I libri della Valconca P.G. Pasini, Piero e i Malatesti. L’attività di Piero della Francesca per le corti romagnole (1992)
Pier Giorgio
Pier Giorgio Pasini
Pasini
IL TESORO DI SIGISMONDO
E. Grassi, Giustiniano Villa poeta dialettale, 1842-1919 (1993) P.G. Pasini, Il crocifisso dell’Agina e la pittura riminese del Trecento in Valconca (1994)
e le medaglie di Matteo de’ Pasti
A. Bernucci – P.G. Pasini, Francesco Rosaspina “incisor celebre” (1995)
P.G. Pasini, Arte in Valconca dal Barocco al Novecento (1997) A. Fontemaggi - O. Piolanti, Archeologia in Valconca. Tracce del popolamento tra l’Età del Ferro e la Romanità (1998) P.G. Pasini, Emilio Filippini pittore solitario 1870-1938 (1999) E. Brigliadori – A. Pasquini, Religiosità in Valconca. Vicende e figure (2000) P.G. Pasini (a cura), Arte ritrovata. Un anno di restauri in territorio riminese (2001) Loris Bagli, Natura e paesaggio nella Valle del Conca (2002) A. Sistri, Cultura tradizionale nella Valle del Conca. Materiale e appunti etnografici tra Romagna e Montefeltro (2003) Oreste Delucca, L’uomo e l’ambiente in Valconca (2004) P. Meldini, La cultura del cibo tra Romagna e Marche (2005) P.G. Pasini, Passeggiate incoerenti tra Romagna e Marche (2006) C. Fanti, Pietre e terre malatestiane (2007) P.G. Pasini, Atanasio da Coriano frate pittore (2008)
Sono in vendita nelle migliori librerie; alcuni titoli sono esauriti
IL TESORO DI SIGISMONDO
P.G. Pasini, Arte in Valconca dal Medioevo al Rinascimento (1996)
BANCA POPOLARE VALCONCA
BANCA POPOLARE VALCONCA
Sigismondo Pandolfo Malatesta, uno dei più importanti signori italiani del Quattrocento, è stato capitano generale degli eserciti della Chiesa, di Firenze, di Napoli e di Venezia, guadagnandosi una grande fama di condottiero ed enormi ricchezze, che gli permisero di costituire a Rimini una importante corte letteraria e artistica. Ancora viveva, quando correva voce di un suo favoloso “tesoro” nascosto nelle mura di alcune rocche del territorio riminese: un tesoro cercato per secoli, e mai trovato. Effettivamente Sigismondo faceva nascondere qualcosa di strano nelle mura dei suoi edifici: ma non si trattava di tesori nel senso classico del termine, bensì di medaglie con la sua effigie, ritrovate, e in grande quantità, soprattutto nei restauri del dopoguerra. Medaglie in bronzo e in argento, squisite e preziose, tra le prime del Rinascimento, dovute al veronese Matteo de’ Pasti, stabilmente attivo alla corte riminese fino alla morte, che precedette di pochi mesi quella di Sigismondo (1468). Dopo aver fornito notizie sul presunto tesoro di Sigismondo, e sui vani tentativi di ritrovarlo, questo volume passa ad illustrare il vero tesoro: le medaglie di Matteo de’ Pasti, annoverate fra i capolavori della medaglistica rinascimentale; e si sofferma sul loro autore, sui loro ritrovamenti, sulla loro datazione, sul loro stile, sulla funzione loro affidata di diffondere la fama del signore presso i contemporanei e presso i posteri. L’apparato illustrativo offerto dal volume – frutto di una campagna fotografica appositamente condotta - permette di esaminare esemplari sicuramente autentici di medaglie pastiane e di approfondirne la conoscenza; e inoltre invita a riflettere su alcuni problematici risvolti dell’attività artistica del grande medaglista veronese e dell’arte alla corte di Sigismondo Malatesta, grande condottiero e grande quanto tirannico mecenate, vissuto in un momento di crisi e di trapasso tra l’autunno del Medioevo e la primavera del Rinascimento. Pier Giorgio Pasini si occupa di storia dell’arte rinascimentale fin dagli anni settanta, quando diresse la mostra “Sigismondo Pandolfo Malatesta e il suo tempo”, Rimini, Sala dell’Arengo, 1970. Già nel catalogo di tale mostra (edit. Neri Pozza, Vicenza) figurano i suoi primi studi su Matteo de’ Pasti, che poco dopo lo indussero a proporre una completa revisione della cronologia delle medaglie pastiane. Per questa si vedano i contributi portati al primo convegno internazionale di studio su “La medaglia d’arte” di Udine (10-12 ottobre 1970) e al symposium su “Italian Medals” della National Gallery of Art di Washington (29-31 marzo 1984), riproposti nel presente volume. Allo studio dell’attività di Matteo de’ Pasti l’autore si è dedicato anche in numerosi altri lavori riguardanti la civiltà umanistica fiorita alla corte malatestiana, e soprattuto nei seguenti: I Malatesti e l’arte, Silvana ed., Milano 1983; Piero e i Malatesti, L’attività di Piero della Francesca per le corti romagnole, Silvana ed., Milano 1992; Piero e Urbino, Piero e le corti rinascimentali, Marsilio ed., Venezia 1992; Cortesia e Geometria. Arte malatestiana fra Pisanello e Piero della Francesca, Luisè ed., Rimini 1992; Il Tempio Malatestiano. Splendore cortese e classicismo umanistico, Skira, Milano 2000. Infine ha scritto, con altre, la “voce” Matteo de’ Pasti per il Dictionary of Art, Macmillan Publishers Ltd, London, 2004.
IL TESORO DI SIGISMONDO e le medaglie di Matteo de’ Pasti
Pier Giorgio Pasini
IL TESORO DI SIGISMONDO e le medaglie di Matteo de’ Pasti
Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata Deroga a quanto sopra potrà essere fatta secondo le seguenti modalità di legge: • Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla siae del compenso previsto dall’articolo 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra siae, aie, sns e cna, confartigianato, casa, claai, confcommercio, confesercenti il 18 dicembre 2000 • Le riproduzioni per uso differente da quello personale potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata dagli aventi diritto/dall’editore Direttore editoriale: Roberto Mugavero Editor: Paolo Tassoni Grafica e impaginazione: Alessandro Battara In copertina: Matteo de' Pasti, Medaglia per Sigismondo Malatesta, rovescio. Rimini, Museo della città. Copyright © 2009 Minerva Soluzioni Editoriali s.r.l., Bologna isbn 978-88-7381-272-2 Minerva Edizioni Via Due Ponti, 2 – 40050 Argelato (Bologna) Tel. 051.6630557 – Fax 051.897420 info@minervaedizioni.com – www.minervaedizioni.com Copyright © 2009 Banca Popolare Valconca, Morciano di Romagna
Quando nel 1992 il Consiglio d’Amministrazione della Banca Popolare Valconca decise di iniziare l’avventura di una collana editoriale dedicata al territorio di riferimento non poteva certo immaginare la ricchezza e la varietà di contenuto di questi volumi. L’idea di partenza era semplice e bella: argomenti locali (ma non banali) svolti da autori di questo territorio (ma di rinomanza nazionale), una grafica bella e ripetitiva, quasi seriale. D’altra parte era difficile immaginare nel 1992 anche lo sviluppo della rete delle filiali della Banca che ad oggi sono trenta (all’epoca erano meno di un terzo di quelle attuali). L’intuizione iniziale non solo regge agli anni che passano ma, anzi, ogni volta trae nuovi spunti e trova nuovi argomenti. Questo diciottesimo volume descrive uno straordinario momento della vita della nostra terra: l’indagine sulle medaglie malatestiane di Matteo De’ Pasti offre all’autore l’estro di presentare uno “spaccato” della corte letteraria ed artistica di Sigismondo Pandolfo Malatesta. Verso la metà del 1400 a Rimini si ritrovano (in maniera non casuale nè provvisoria) personalità come Basinio da Parma, Roberto Valturio, Matteo De’ Pasti , Agostino Di Duccio, Piero Della Francesca e Leon Battista Alberti. Nel giro di quindici, venti anni questi straordinari personaggi lasciano tracce indelebili in Rimini. Sigismondo Pandolfo Malatesta, un “libero professionista della guerra” era ossessionato dalla preoccupazione, tutta umanistica, della “fama” presso i posteri: egli, quindi, recluta letterati e artisti per eternare il suo nome e tramandare ai posteri il suo valore e la sua grandezza. Le medaglie celebrative create da Matteo De’ Pasti (il tesoro di Sigismondo) sono nel solco ideale tracciato dal principe. Per Sigismondo la forza, il potere non hanno senso se non accompagnati dalla fama che vinca il tempo e che superi la morte. Ma la fama è mutevole. Dante, nel Purgatorio, afferma che “non è il mondan romore altro che fiato di vento” e Torquato Tasso, nella Gerusalemme Liberata scrive: “La fama ch’invaghisce a un dolce suono voi superbi mortali,e par sì bella, è un’eco, un sogno, anzi del sogno un’ombra che ad ogni vento si dilegua e sgombra”. La fine di questa avventura umanistica era già scritta fin dall’inizio perché, si legge in questo libro, “come ogni homo sa, tucte le cose che hanno principio hanno a havere fine”. A noi non resta che ammirare la bellezza di ciò che è rimasto, quella bellezza che, come scrive Pier Paolo Pasolini, passa “sul deserto delle nostre strade… rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio.”
Avv. Massimo Lazzarini Presidente della Banca Popolare Valconca
Il tesoro di sigismondo
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Indice
I. Il tesoro di Sigismondo Il declino del condottiero La leggenda del tesoro Un tesoro di medaglie
9 13 17
II. Matteo de’ Pasti medaglista malatestiano All’origine Matteo de' Pasti a Rimini Fra scultura e miniatura
23 24 35
III. Note su Matteo de’ Pasti e la medaglistica malatestiana Ritrovamenti di medaglie malatestiane del XV secolo Tavola delle medaglie malatestiane costituenti depositi Nota sui contenitori di medaglie
45 64 74 75
IV Matteo de’ Pasti: problemi di stile e di cronologia
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Note
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Bibliografia
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Indice dei nomi
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Il tesoro di sigismondo
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I. Il tesoro di Sigismondo «Sì, talora, nei leggendari ci si trova, per alcuni luoghi o persone, dinanzi alle più strambe inesplicabili leggende: ma di solito non è così. Di solito la leggenda ha le sue radici nella realtà, e, se anche nello svolgimento del racconto e nei particolari risulta prodotto di fantasia, non lo è invece per ciò che riguarda la natura dei luoghi e la psicologia delle persone». Corrado Ricci, Figure e fantasmi, Milano 1931, p. 138
Il declino del condottiero L’ultimo decennio della vita di Sigismondo Pandolfo Malatesta fu - come è ben noto molto duro: l’isolamento politico, il conflitto con il Papa, la scomunica, la sconfitta militare e la drastica riduzione territoriale del vicariato gli fruttarono in un breve giro di anni (1458-1462) una secca perdita di prestigio e il tracollo finanziario. Una lettera inviata il 3 dicembre del 1463 a Pier Francesco de Medici costituisce una testimonianza - diretta e molto significativa - dello stato d’animo di Sigismondo dopo la sconfitta: il signore di Rimini vi confessava apertamente - e con una certa amara autoironia - di trovarsi in una condizione ben diversa da quella «che volgarmente se sole dire che chi ha poca roba ha pochi pensieri; a mi è remasto poca roba e assai pensieri»1. Nel 1464 il signore riminese sperava di risollevare e il suo prestigio e le sue disastrate finanze offrendosi di guidare le truppe veneziane nella ‘crociata’ contro i Turchi in Morea, tanto desiderata da Pio II Piccolomini (un’offerta vista naturalmente di malocchio dal Papa e accettata ‘in mancanza di meglio’ dal Senato Veneziano). Sappiamo che le cose non andarono secondo le sue intenzioni e le sue speranze, e che quell’impresa anzi segnò la sua definitiva sfortuna, e probabilmente fu la causa della malattia che lo portò alla morte pochi anni dopo (nel 1468). Su queste vicende ha scritto pagine belle e informatissime soprattutto Giovanni Soranzo negli anni dieci del Novecento2, e ad esse conviene
ancora rimandare e attenersi piuttosto che a recenti ripetizioni divulgative. Sigismondo stilò il contratto con Venezia per la ‘crociata’ contro i Turchi il 17 marzo del 1464: per due anni «veniva assunto quale capitano generale delle milizie venete di terra, riceveva quale stipendio la provvisione di 300 fiorini al mese e otteneva la condotta di 400 ‘lance’ da tre cavalli l’una, tra queste vi fossero 400 uomini ‘da elmetto’ e i saccomanni d’uso; poteva condurre 100 balestrieri a cavallo armati all’italiana e 300 pedoni»3. Aveva un mese per approntare la spedizione. La Repubblica, ben al corrente delle ristrettezze finanziarie in cui Sigismondo si dibatteva, gli fu generosa di prestiti per l’arruolamento degli uomini e per il loro equipaggiamento, per l’acquisto dei cavalli e delle vettovaglie. Solo verso la fine di maggio, e dunque con un mese di ritardo sulla data prevista, le truppe cominciarono ad imbarcarsi per la Morea. Sigismondo partì più tardi ancora, alla fine di giugno: infatti veniva ‘distratto’ da altre gravi preoccupazioni4: soprattutto quella della salvaguardia di ciò che rimaneva dello stato durante la sua assenza, affidato alla moglie Isotta e al figlio Sallustio, e soprattutto all’infida protezione di Venezia. Non era il timore di ribellioni interne a preoccupare il signore: i sudditi del superstite territorio malatestiano, ormai limitato alla città di Rimini e a poco contado, subivano sconcertati e rassegnati
Nella pagina precedente Agostino di Duccio, Ritratto di Sigismondo Pandolfo Malatesta. Rimini, Tempio Malatestiano, particolare della cappella detta “degli Antenati”.
Ritratto di Sigismondo Pandolfo Malatesta, marmo. Parigi, Museo Jacquemart-André.
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Il tesoro di sigismondo La rocca malatestiana e il paese di Montefiore Conca
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la situazione del loro signore e non pare abbiano tentato, come invece spesso (anzi normalmente) capitava nei momenti di crisi e di oggettiva debolezza del potere, atti di ribellione, forse auspicati dai rivali di Sigismondo e certamente da Pio II. Quest’ultimo deve aver avuto una parte non piccola, per quanto indiretta (e se non altro di appoggio morale), in un tentativo eversivo che doveva essere messo in atto nella primavera del 1464 da alcuni fuorusciti in favore del suo prediletto nipote, Antonio Piccolomini. Si trattava di un progetto che avrebbe dovuto portare all’occupazione della città in assenza di Sigismondo, impegnato appunto nella spedizione contro i Turchi. Del processo che ne seguì conosciamo il ‘costituto’, cioè la deposizione di un te-
stimone autorevole, il riminese Francesco Mengozzi (che poi seguì Sigismondo in Morea)5, fatto in una seduta ufficiale e pubblica, e in un certo senso solenne, il 7 aprile 1464 in Castel Sismondo alla presenza di Sigismondo stesso, dei suoi consiglieri e di molti ‘onorandi’ cittadini di Rimini. Il Mengozzi fece i nomi dei congiurati, chiarì i tempi e i modi del previsto assalto alla città e aggiunse che era intenzione dei ribelli di impossessarsi del tesoro di Sigismondo, che essi sapevano essere nascosto nelle muraglie delle rocche di Montefiore e di Verucchio. Il verbale della deposizione, redatto dal notaio Bartolomeo di Ser Sante, su questo punto recita esattamente: «Intendebant et frangere certos muros arcis Montis Florum et castri Veruculi causa inveniendi thesaurum ispisus magnifici do-
Il tesoro di Sigismondo
mini Sigismundi Pandulfi et quod sciebant et abebant notitiam quod in dictis locis erat dictum suum thesaurum»6. A quale tesoro segreto avranno pensato i congiurati, che certamente non potevano essere all’oscuro delle difficoltà economiche in cui si dibatteva il signore riminese? Non sappiamo, ma la notizia ci interessa molto, perché ci fa comprendere che già nel 1464 era voce diffusa l’esistenza di una specie di tesoro della corona nascosto nei muri dei castelli malatestiani; voce che certamente fu rafforzata dalla deposizione del Mengozzi di fronte a tanti testimoni, e che, comprensibilmente, Sigismondo si sarà guardato bene dallo smentire. Sigismondo in tempi migliori era stato certamente molto ricco e molto fiero delle
sue ricchezze, che non esitava ad ostentare. Sappiamo dei suoi molti possedimenti fondiari ed immobiliari, e abbiamo notizie di argenterie e di gioielli ‘di famiglia’, comperati da lui e dai suoi predecessori per le loro case e le loro persone, o donati alle loro donne, e nei momenti difficili momentaneamente impegnati nei banchi degli ebrei. «Gioielli e argenterie, oltre ad aumentare il prestigio della corte, costituivano un capitale che non perdeva di valore e poteva essere venduto, impegnato, divenire dote, essere scambiato facilmente con beni di consumo. L’acquisto di gioie era soprattutto un modo di investire il denaro, di tesaurizzarlo… Purtroppo non ci è giunto, che si sappia, neanche un gioiello malatestiano; ed una ben pallida idea degli originali forniscono quelli che portano il Pandolfaccio
La rocca malatestiana detta del sasso a Verucchio.
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Il tesoro di sigismondo I gioielli di Violante Bentivoglio, moglie di Pandolfo IV Malatesta, ultimo signore di Rimini. Particolare della pala del Ghirlandaio raffigurante i Santi Vincenzo Ferrer, Sebastiano e Rocco venerati dalla famiglia malatestiana. Rimini, Museo della CittĂ .
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Il tesoro di Sigismondo
ed i suoi familiari nei ritratti che si vedono nella tavola del Museo riminese dipinta dal Ghirlandaio alla fine del secolo, o le descrizioni notarili. Tra le quali sceglieremo solo alcuni ‘pezzi’: per esempio i “quattro boccali d’acqua dorati col coperchio smaltato con uno smalto in megio a la dita arma”, impegnati insieme a gioielli e vesti da Pandolfo III a Bologna presso i Foscherari nel 1409. E i ventitrè gioielli impegnati dallo stesso Pandolfo a Venezia nel 1427, formati da balasci, zaffiri, perle, diamanti, rubini, in montature d’oro a forma di uccelli, cervi, fanciulle. Anche Sigismondo fu costretto talvolta ad impegnare oggetti preziosi: per esempio nel 1461 a Fano ottenne un prestito dando in pegno una saliera d’oro e d’argento ornata di pietre preziose. Ma Sigismondo sembra aver avuto con gli oggetti preziosi un rapporto molto ‘disinvolto’, e talvolta contraddittorio… Al principe dovevano piacere molto, tanto da indebitarsi talvolta per acquistarli. Nel 1457 a Fano non aveva esitato ad acquistare (a rate, e per tre quarti in natura) dal nobile veneziano Marco Corner un gioiello del costo di 20.000 ducati d’oro, e dovettero farsene garanti gli stessi comuni di Fano e di Rimini. Nel 1453 Sigismondo aveva donato a Isotta “vestes, zoglias, iocalia et adornamenta” per un valore di 5.000 ducati d’oro: corrispondenti al prezzo di una piccola flotta mercantile o peschereccia, se lo stesso Sigismondo nel 1440 aveva speso solo 375 ducati d’oro per l’acquisto di una barca della stazza di 70 anfore, completa di vele e armamento»7. Le ricchezze di Sigismondo debbono essere state in gran parte consumate nelle spese militari per la difesa dello stato negli anni terribili del 1461-62, quando si trovò addosso l’esercito della Chiesa guidato dal suo tradizionale nemico Federico d’Urbino: infatti la guerra costa molto, in armamento, in organizzazione e in paghe per i soldati. Non a caso l’ultimo suo gesto di mecenatismo nei confronti dell’incompiuto edifico che gli era più caro, la chiesa di San Francesco (il Tempio malatestia-
no), aveva riguardato solo una campana, nel 14628 (ma probabilmente già commissionata negli anni precedenti). La leggenda di un tesoro La condotta veneziana contro i Turchi ridiede un po’ di fiato alle finanze di Sigismondo, inflessibile ad ogni fine mese nel reclamare la paga pattuita con la Serenissima, come ricordava assai indispettito il provveditore veneto Giacomo Barbaro («questo illustrissimo signore è tanto importuno che mai non lassa preterir el mese de una hora ch’elo vol la sua provisione compita oltre le altre importunità sue consuete de spese el fa extraordinarie…»)9. Poco dopo il suo ritorno a Venezia, nel marzo del 1466, la Repubblica gli avrà pagato le paghe arretrate, i cavalli e le attrezzature lasciati a disposizione in Morea; forse anche una sorta di liquidazione o ‘ben servito’. Ma il condottiero non ritornò a casa ricco; anzi diceva (ma probabilmente solo per impietosire il Senato veneto ed accelerare i pagamenti che gli erano dovuti) che «l’è reducto a tanto estremo de povertà che s’el va a Rimino li bisogna andar a l’hostaria per non haver niente in casa», come riferiva l’ambasciatore milanese presso la Signoria di Venezia10. In seguito ricevette un premio in ducati dal papa, che non era più l’odiato Pio II (morto nel 1464), ma il veneziano Paolo II, del quale si era messo al servizio con pochi soldati e con una paga piuttosto modesta. Qualcosa comunque deve essere riuscito a mettere insieme e a ‘capitalizzare’ in seguito, fra crediti riscossi e vendita del bottino di guerra, e poi grazie agli introiti delle tasse, alla vendita di case e di terreni, e soprattutto a multe a cittadini evasori e a confische a veri o presunti ‘traditori’ e ‘cospiratori’. Comunque, sentendosi ormai insicuro nel suo piccolo stato insidiato da tutte le parti, più che accumulare tesori da tenere presso di sé faceva investimenti all’estero, precisamente a Ragusa (cioè l’attuale Dubrovnic), dove acquistò case e terreni per quasi tremila ducati fino a pochi mesi pri13
Il tesoro di sigismondo
Ciò che resta di Castel Sismondo, il castelloreggia di Sigismondo Pandolfo Malatesta a Rimini.
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ma della morte, che seguì il 7 di ottobre del 146811. Ma certamente anche presso di sé teneva una certa quantità di denaro, per le spese correnti, per mantenere alto il decoro della sua casa, per essere pronto ad assoldare difensori in eventuali momenti di pericolo. Delle condizioni finanziarie estreme di Sigismondo qualcosa ci dice l’inventario della sua residenza ufficiale, Castel Sismondo, fatto eseguire in ottemperanza agli statuti riminesi dalla vedova Isotta pochi giorni dopo la sua morte, inventario che elenca una quantità di cose, oggetti, abiti, paramenti da stanza, mobili, libri, armi, bandiere, tende da campo e via dicendo, e anche soldi e gioielli12.
Il ‘tesoro’ del signore era conservato nella camera «de geneveri», la prima inventariata e forse la più privata, e probabilmente la stessa in cui era morto; ed era costituito da 2500 ducati d’oro e 110 lire di moneta, una decina di anelli d’oro e una decina di gioielli (fra pendenti, spille, collane) ornati da rubini, zaffiri, diamanti, balasci e perle, venti libbre d’argento e poca argenteria. Per quanto riguarda i soldi, cinquecento ducati erano destinati alla vedova Isotta e altrettanti alle genti d’arme; per quanto riguarda i gioielli, alcuni dovevano essere venduti per distribuire il ricavato ai poveri. Il signore, dunque, non era morto povero. Ma oltre alle cose trovate, e dichiarate, avrà
Il tesoro di Sigismondo
avuto altro, cioè denari e gioie, nascosto da qualche parte? Di un tesoro di Sigismondo nascosto nei muri di qualche castello si favoleggiò a lungo dopo la sua morte; pare l’abbiano cercato anche i discendenti, e sicuramente anche i veneziani che acquistarono la città da Pandolfo IV (‘il Pandolfaccio’, nipote di Sigismondo) nel 1500. A tal proposito nei diari di Marin Sanudo, in data 14 febbraio 1504, si trova un passo interessante, che qui conviene trascrivere interamente: «In questa matina ritornò Alberto Tealdini secretario, qual fo mandato a Rimano per il Consejo di X, per certa conscientia fata a li cai per uno di Ravena, intervenendo sier Zuan Balbi qui ser Marco videlicet che il signor Sigismondo, qual fo capitano di la Signoria e di altri e cumulò assa’ danari, par li (na)scondesse in un certo muro in la rocha, et solo una so fiola el sapeva, qual par havesse a far con lei. Et morto ditto signor, el fiolo signor Ruberto fè assai inquisition di trovar questi danari e thesoro ascoso e tamen non potè saper, licet ditta fiola natural fusse tormentata. La qual andò monacha in uno monastero a Ravena, e venendo a morte, la disse a l’abadessa di questo tesoro, e ditta abadessa a la morte la disse a una monacha, qual è viva, e hora revellò a uno suo parente acciò lo dicesse a la Signoria. Or questo
andoe, etiam el Balbi, e andati in rocha col proveditor, e fato romper in varj luoghi, non trovo(ro)no nula; ma ben el loco nel muro concavo dove stava una cassa di ferro, e soto uno leto fo trovà una cassa qual si crede sia quella. Sichè con le man vuode ritornò, e referì al principe e a li cai di X quanto era sucesso per tal soa andata»13. La storia, o meglio la leggenda del tesoro di Sigimondo non finisce qui, cioè con questa presunta ‘cassaforte’ cercata e alla fine trovata, ma smurata e violata. Se ne continuò a parlare, anche perché ogni tanto fra i ruderi di fortificazioni o di palazzi dismessi si trovavano passaggi segreti ostruiti da crolli che si pensavano provocati ad arte per nascondere qualcosa: tesori, appunto (come si diceva per esempio a Piandimeleto)14, o tesoretti di inspiegabile origine; per quanto riguarda questi ultimi dovette subito essere diffusa e fare impressione la notizia, registrata da un cronista cesenate, di “uno tesoro di uno vaso pieno de medaglie de argento”, trovato a Verucchio nel 150715. Verucchio è uno dei luoghi del ‘tesoro nascosto’ indicati dai cospiratori del 1464, insieme a Montefiore. A Montefiore si continuò a credere per secoli al tesoro, e lo si cercò a lungo, segretamente e inutilmente. Non ci sono documenti o testimonianze scritte al riguardo,
Lo stemma malatestiano affiancato dal nome di Sigismondo Pandolfo Malatesta sull’ingresso di Castel Sismondo a Rimini.
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Il tesoro di sigismondo
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Il tesoro di Sigismondo
ma solo una radicata tradizione locale, ben nota e registrata nel 1828 dallo storico Gaetano Vitali16. Da uno scritto recente sappiamo che i montefioresi avrebbero finito addirittura per individuare il luogo preciso in cui il tesoro malatestiano sarebbe stato nascosto e dove andrebbe ricercato: nella cinta esterna della rocca, nella zona detta “la fratta”, in una torre chiamata appunto “del tesoro” o “del diavolo”. Il tesoro non è mai stato trovato, nonostante in più punti e a più riprese sia stato cercato squarciando il paramento esterno di quella torre. Ma un fulmine che l’ha colpita nel 1952 ha contribuito a riaccendere la convinzione che proprio lì sia nascosta una massa metallica ingente, forse proprio il tesoro dell’antico signore17. Mal fotografabile perché soffocata dalle piante, questa torre esiste ancora; è a pianta rettangolare, piena, ma in origine doveva avere dei vani agibili, come dimostra ancora un’apertura sul suo lato esterno rivolto verso la valle (forse lo scarico di una latrina). Di un tesoro trovato e prontamente trafugato si è propalata voce anche a Rimini negli anni settanta del Novecento, durante i primi lavori di restauro della rocca malatestiana riminese (Castel Sismondo): ma sembra si sia trattato di pura fantasia18. Un tesoro di medaglie Le leggende hanno generalmente radici reali. Quali sono le radici della leggenda del ‘tesoro’ di Sigismondo? Prima di tutto la ‘certezza’ che Sigismondo doveva essere straordinariamente ricco. E poi sicuramente alcune operazioni insolite che venivano compiute nei cantieri malatestiani, e di cui sfuggiva il senso e la portata. Si tratta del fatto che Sigismondo faceva nascondere delle medaglie nei muri (non nelle fondamenta, o raramente) delle costruzioni da lui promosse. Mentre l’usanza di gettare oggetti propiziatori nelle fondamenta degli edifici era antica, quella di inserire medaglie nei
muri degli edifici durante la loro costruzione era del tutto nuova e praticamente aveva avuto un unico precedente alla fine del Trecento a Padova, dovuto ai Carraresi19, certo poco o affatto conosciuto al di fuori della cerchia padovana. Si può sospettare che la novità sia stata suggerita a Sigismondo dal quel bell’ingegno ‘antiquario’ di Leon Battista Alberti intorno alla metà del secolo, come imitazione di una presunta usanza degli antichi. È il Filarete che ‘chiarisce’ il senso di questa novità e che sostiene questa usanza20, fatta propria in seguito da molti potenti, a cominciare dal papa21. Sicuramente Sigismondo faceva ‘murare’ medaglie, sotto la sorveglianza attenta di Matteo de’ Pasti o di persone di sua fiducia, “in tutti i luochi che ora se lavora”, come è accertato da testimonianze, da documenti e soprattutto da numerosi ritrovamenti (come si vedrà in seguito)22. Matteo de’ Pasti, l’autore stesso delle medaglie, o qualche fidato soprastante alle costruzioni malatestiane, doveva soprintendere all’operazione materiale del nascondimento di questi oggetti simili alle monete, anche se di più grandi dimensioni e di maggior peso; naturalmente si sarà servito delle normali maestranze attive in quei posti e in quei momenti, ed avrà loro raccomandato una certa discrezione su quelle inconsuete operazioni. Ma cosa avranno capito gli operai, e cosa si saranno detti, e cosa avranno raccontato dopo il lavoro, durante le veglie, a casa e all’osteria, e come saranno stati interpretati (e tramandati) i loro discorsi? Per la gente comune le medaglie erano allora una novità, e una novità ancora maggiore, e assurda (e quindi incomprensibile e comunque difficilmente spiegabile) era quella di nasconderle ‘per sempre’ nelle mura di edifici che sembravano dover sfidare i secoli, tanto erano massicci e grandiosi. Appunto dai racconti degli operai, unitamente alla fama di ricchezza del signore, deve essere nata la leggenda del tesoro di
Un interno della rocca del sasso di Verucchio (prima degli ultimi lavori di restauro).
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Il tesoro di sigismondo
La torre del tesoro (o del diavolo) nella cinta esterna del paese di Montefiore Conca, in localitĂ â€œla frattaâ€?.
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il tesoro di sigisMondo
Sigismondo: una leggenda che accese la fantasia dei contemporanei e dei posteri23. Nessun dubbio può rimanere oggi: il tesoro fatto nascondere da Sigismondo nelle murature dei suoi edifici non era costituito da denari, da gioielli e da oggetti preziosi, ma da medaglie, dischetti di bronzo che hanno un modesto valore venale ma un grande valore culturale, artistico e storico. Ci tramandano, con l’effigie, l’ambizione di chi si era tanto prodigato a costruire quelle meraviglie architettoniche che il tempo e gli uomini hanno insidiato, rovinato e, spesso, distrutto: come peraltro, e chissà con quanta ambascia, previsto da Sigismondo stesso: perché «come ogni homo sa, tucte le cose che hanno principio hanno a havere fine»24.
Nella rocca di Montefiore e di Verucchio, i due luoghi indicati nel 1464 come custodi del tesoro segreto di Sigismondo, non sono stati trovati tesori; e solo nella rocca “del sasso” di Verucchio, in cui Sigismondo aveva fatto compiere grandi lavori nel 1448-1449, sono state trovate alcune medaglie malatestiane, purtroppo in seguito trafugate. Neanche una invece è stata trovata a Montefiore, almeno per ora: se Sigismondo vi ha fatto compiere lavori murari di una certa consistenza – cosa che però al momento non risulta – anche qui li ha certamente ‘firmati’ facendovi murare medaglie con la sua effigie e i suoi ‘titoli’.
Ritratto di Sigismondo in una medaglia di grande diametro di Matteo de’ Pasti (bronzo, diametro mm. 74, Hill 174). Washington, National Gallery of Art.
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Il tesoro di sigismondo
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Il tesoro di Sigismondo
Il paese di Montefiore Conca dominato dalla rocca malatestiana.
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ii. matteo de’ pasti
medaglista malatestiano
All’origine L’invenzione della medaglia rinascimentale viene generalmente e giustamente attribuita al Pisanello; e più volte è stato sottolineato l’entusiasmo con cui fu subito accolta dai principi e dagli intellettuali25. Le medaglie furono considerate oggetti preziosi, cioè vere e proprie opere d’arte da godere per la loro ‘fattura’, e nello stesso tempo documenti iconografici e simbolici importanti, in grado di rendere eterna l’effigie e la fama di chi vi era ritratto; e quindi opere da raccogliere e da conservare. Alla fine del Quattrocento non c’era studiolo principesco senza la sua collezione di medaglie, come di monete antiche, di cammei e di gemme intagliate. La ‘mania’ collezionistica poteva provocare anche atti di prepotenza, come nel caso ben noto di Carlo de’ Medici, che nel 1455 si vide sequestrate da «Monsignor di San Marco» (il futuro Paolo II) le medaglie che aveva acquistato a Roma da uno scolaro del Pisanello26. E, naturalmente, poteva anche indurre a confezionare copie, falsi e ibridi; questi ultimi, come è noto, non sono altro che medaglie composite, con le facce derivate da medaglie diverse: è il caso per esempio anche di una medaglia malatestiana nota già nel Cinquecento con al recto il profilo di Sigismondo, tratto da una medaglia di Pisanello, e al verso il profilo di Isotta, tratto da una medaglia di Matteo de’ Pasti, che noi conosciamo solo in esemplari assai scadenti e tardi che recano la firma,
naturalmente falsa, di pisanello stesso (OPVS PISANI PICTORIS)27. Le medaglie venivano prodotte per essere donate appunto come oggetti preziosi ad amici e collegati. Con la sola e già ricordata eccezione dei Carraresi di Padova, non risulta che prima di Sigismondo Malatesta, e prima della metà del Quattrocento, qualcuno le abbia mai nascoste nei muri degli edifici che faceva costruire28. E non risulta che Sigismondo abbia mai usato a questo scopo le medaglie fuse per lui dal Pisanello nel 14441445, medaglie abbastanza rare, fuse in pochi esemplari, forse già ‘esauriti’ quando cominciò la sua sistematica disseminazione di medaglie nelle mura degli edifici che faceva costruire o restaurare. Né certo poteva richiederne altri al Pisanello, che alla fine del 1448 era già entrato con successo a far parte della corte napoletana del suo mortale nemico Alfonso d’Aragona. «Un medaglista solo poteva gareggiare col Pisanello per le sue doti compositive e inventive e questo era Matteo de’Pasti»29. E a quella data Matteo de’ Pasti già era al servizio di Sigismondo e già doveva aver cominciato a provvedere alla bisogna con evidente soddisfazione del signore, e ad attrezzarsi per modellare e fondere, se non in continuazione con una certa frequenza e comunque in grande quantità, le sue medaglie malatestiane. Si pensi che solo quelle rinvenute fino ad ora nei muri di costruzioni malatestiane superano le duecento unità, in pochi tipi, ma con una notevole quantità di varianti (ottenute per fusione
L’assedio di Populonia, illustrazione dall’Hesperis di Basinio da Parma. Oxford, Bodleian Library, Canon. Class. Lat. 81, f. 16 r.
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Il tesoro di sigismondo Medaglia ibrida con Sigismondo e Isotta, recto e verso. Rimini, Museo della Città.
Pisanello, Medaglia per Sigismondo, recto e verso (bronzo, diametro mm. 99, Hill 34). Rimini, Museo della Città.
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da stampi diversi, non per ritocco); varianti che riguardano soprattutto le iscrizioni, continuamente e inspiegabilmente variate nella forma, che per lo più qualificano Sigismondo (Sigismondvs/Sigismvndvs) talora con l’epiteto di Capitano generale della Santa Chiesa Romana (S. Ro. Eclesie Capitanevs G.; o anche S. Ro. Eclesie C. Generalis), talaltra, classicamente, di Imperatore dell’Esercito Pontificio (Pontificii Exer. Imp.). Non sembra azzardata l’ipotesi che il medaglista veronese abbia fuso a Rimini quasi un migliaio di pezzi, tra firmati e non firmati.
Matteo de’ Pasti a Rimini Matteo de’ Pasti era giunto a Rimini fra il 1446 e il 1449, già superata la trentina e, a quanto sappiamo, con un curriculum da miniatore, non da medaglista. Aveva lavorato a Firenze e a Venezia per i Medici e a Ferrara, accanto al Pisanello, per gli Estensi. Di buona famiglia veronese (figlio di un medico investito di un feudo ad Erbè), aveva cinque fratelli, dei quali due erano illustri religiosi: Benedetto, canonico della cattedrale di Verona e decretorum doctor, e Pietro, arciprete di Quinzano, nel veronese. Non tardò a mettersi in vista alla corte malatestiana di Rimini (a cui
Matteo de’ Pasti Medaglista Malatestiano
potrebbe essere stato indirizzato e accreditato da Lionello d’Este) come uomo di cultura, intendente d’arte e medaglista, divenendo ben presto fiduciario e amico e confidente di Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468), signore di Rimini e delle terre riminesi e fanesi. A Rimini si sposò nel 1449 e pochi anni dopo accolse, forse introducendoli a corte, i propri fratelli Bartolomeo e Antonio; e a Rimini rimase per tutta la vita (vi morì poco più che cinquantenne fra il 15 maggio del 1467 e il 26 gennaio 1468)30, ma non dimenticò mai la sua città d’origine: è spesso seguita da un orgoglioso veronensis la sua firma sulle medaglie, quando c’è. Quello della mancanza della firma nelle medaglie di Matteo de’ Pasti è stato un problema che ha assillato gli studiosi. Addirittura si è pensato che il medaglista stesso avesse negato la sua firma ai pezzi che non aveva direttamente fuso31; ma il problema si risolve facilmente se si tiene conto della megalomania di Sigismondo, che non voleva nomi accanto al suo nelle opere che faceva fare per eternare la propria gloria32. Una gloria messa fortemente in discussione -com’è ben noto- dal contrasto con Pio II, contrasto che gli procurò universalmente una fama pessima durata fino ad anni recenti e che certo ebbe un qualche riflesso negativo anche sul collezionismo delle sue medaglie, che però non mancarono mai nelle antiche collezioni importanti, e che fornirono modelli anche per tardi ritratti, dipinti e incisi33; e che furono particolarmente apprezzate sia come ‘documenti’ che come opere d’arte specialmente nel Settecento e nell’Ottocento, quando fornirono anche spunti per curiose panoplie e trofei disegnati, incisi e rilevati34. «Le medaglie di Matteo de’ Pasti si caratterizzano per un modellato che è tutto di piani lunghi, di attaccature curvilinee, dolci nelle carni, di ombre calde nella profondità delle capigliature, di limiti netti negli
edifici, più molli nelle vesti. La stecca dello scultore, che crea passaggi insensibili alla misura ma non all’occhio, si sente e gode in tutte le medaglie del Pasti, la cui modellatura è forse quanto egli ha di più caratteristico. Meno ricco del Pisanello nella
Pisanello, Medaglia per Sigismondo, recto e verso (bronzo, diametro mm. 90, Hill 33). Washington, National Gallery of Art
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Il tesoro di sigismondo
Composizione fantastica con la raffigurazione di medaglie per Isotta e per Sigismondo, incisione tratta da C.G. Fossati, Le Temple de Malateste de Rimini architecture de Leon Baptiste Alberti de Florence, Foligno 1794.
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Matteo de’ Pasti medaglista malatestiano
Medaglie malatestiane, incisione tratta da F. G. Battaglini, Memorie istoriche di Rimini e de’ suoi signori artatamente scritte ad illustrare la zecca e la moneta riminese, Bologna 1789.
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Rovescio di due medaglie per Sigismondo con e senza le iniziali di Matteo de’ Pasti (bronzo e bronzo dorato, diametro mm. 43, Hill 165,166). Rimini, Museo della Città.
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concezione, il suo stile è meno forte, ma la sua modellatura è più dolce e perfettamente libera nella semplicità della composizione», hanno acutamente scritto Calabi e Cornaggia35. Ma accanto al modellato, andrà considerata appunto la composizione, vale a dire l’impaginazione degli elementi o delle parti della raffigurazione, sempre ariosa, sempre attentissima all’equilibrio, all’armonia, alla chiarezza, anche quando è costituita da elementi astratti goticheggianti: si guardi per esempio il rovescio della medaglia di Sigismondo con la sua sigla nello scudo araldico con cimiero, data e iniziali dell’autore (Hill 165), di impeccabile coerenza compositiva e formale (appena turbata negli esemplari che, ‘per ordine superiore’, sono stati privati della ‘firma’)36. Adolfo Venturi è stato tra i primi a definire Matteo de’ Pasti un semplice “imitatore” del Pisanello, e ad istituire fra i due artisti un confronto che va certamente a discapito di Matteo, ma che nello stesso tempo evidenzia l’estrema raffinatezza delle sue opere: «Matteo de’ Pasti arrotonda le teste e pulitamente le minia, per così dire, tanta è l’accuratezza sua; mentre il Pisanello, più rude, risoluto, trova accenti di realtà forte e originale. Si veda ad esempio come Pisanello è imitato da Matteo de’ Pasti nella medaglia di
[Sigismondo] Pandolfo Malatesta, come la testa del signore di Rimini perda della sua energia, meglio adattandosi al tondo, restringendosi verso la volta craniale, e arricciandosi la sua capigliatura. Mentre il Pisano mostra in generale i busti de’ suoi personaggi tagliati quasi rettangolarmente nelle medaglie, Matteo de’ Pasti studia di curvare, di coordinare alla circonferenza i contorni delle sue figure, di non rompere i vuoti con le lettere delle iscrizioni, di comporre ogni cosa armonicamente…»37. L’influenza del Pisanello medaglista su Matteo de’ Pasti è innegabile, e non può essere sottaciuta né sottovalutata; ma si deve rilevare che non si risolve mai in semplice imitazione, né nei ritratti, caratterizzati sempre da un intenso naturalismo pittorico, né nelle raffigurazioni dei rovesci, dove la compostezza grafica e plastica trova spesso una sua misura originale. Certo non tutte, ma molte medaglie modellate da Matteo de’ Pasti sono davvero dei capolavori: senz’altro quelle di Guarino Veronese e di Timoteo Maffei, di disinvolto e caparbio naturalismo la prima (Hill 158) e di morbida compostezza la seconda (Hill 159); e, tra quelle dovute alla diretta committenza malatestiana, per esempio le medaglie di
Matteo de’ Pasti medaglista malatestiano
grande modulo con Sigismondo e il castello, in entrambe le versioni, con Sigismondo senza e con armatura (Hill 163, 184-5), cioè come principe umanista e come principe condottiero: due bellissimi ritratti, caratterizzati nella prima da eleganza e umanità, e nella seconda da solenne fermezza e dura determinazione, per virtù delle forme che si fanno asciutte e dilatate e del mutato rapporto con il fondo; la raffigurazione del castello sul rovescio, quasi uguale nelle due versioni (con variazioni formalmente insignificanti nella raffigurazione e nelle scritte), è originale e ha qualcosa di poeticamente fiabesco nel suo irrazionale dilatarsi e frastagliarsi di torri e
di merli, nella sua lenticolare descrizione di mattoni, di pietre e di erbe. Tra i capolavori è da porre senz’altro anche la ben nota medaglia con Isotta ‘velata’ e l’elefante (Hill 167): il ritratto presenta dolcezze plastiche e disinvolte finezze credo mai raggiunte da altri medaglisti del Quattrocento, mentre al rovescio l’immenso elefante incede con una solennità e, insieme, con una naturalezza straordinarie sul prato fiorito che oltre il primo piano non ha e non accetta limiti di spazio. Non meraviglia trovare una quantità di copie tarde proprio di questa medaglia, che più delle altre deve aver affascinato i collezionisti di tutti i tempi; e di ibridi, in cui il ritratto di Isotta è accop-
Rovescio di una medaglia per Sigismondo con le iniziali di Matteo de’ Pasti: O(pus) M(attei) D(e) P(astis) V(eronensis) (bronzo mm. 43, Hill 165). Rimini, Museo della Città.
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Il tesoro di sigismondo
.Medaglia per Isotta degli Atti con al rovescio l’elefante malatestiano (bronzo, diametro mm. 84, Hill 167). Rimini, Museo della Città.
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piato a quello di Sigismondo, ricavato a volte da una delle medaglie di Pisanello e altre volte da una delle medaglie di Matteo de’ Pasti (fra gli altri si veda Hill 173). In quanto al rovescio, in alcuni esemplari tardi ha subito curiose varianti; è notevole quello di un esemplare unico (Milano, Civiche Raccolte Numismatiche, cat. 362; Hill 169): abraso e perfettamente levigato, ha ricevuto un’incisione a bulino con una splendida rosa malatestiana ‘si-
glata’ da Matteo, ma di sapore e di fattura ormai liberty (al dritto, sempre a bulino, è stata aggiunta la data 1447). Infine ben degna di alta considerazione è almeno la già ricordata medaglia di Sigismondo che al rovescio reca la sua sigla in uno scudo araldico sotto un lambrecchino che si distende ‘danzando’ con insolita vivacità ed eleganza gotica sotto all’elmo coronato dalla testa dell’elefante (Hill 165): una piccola fantasia geniale e
Matteo de’ Pasti medaglista malatestiano
armoniosa, soprattutto nelle versioni che recano la sigla dell’artista. Al confronto con i rovesci delle medaglie citate sembrano impacciati e arcaici quelli con il tradizionale simbolo della fortitudo, cioè della fortezza o della potenza (Hill, 178, 181), che trattengono ancora qualcosa della fissità e del descrittivismo
trecenteschi nonostante qualche elemento ‘moderno’; e quello con la palma della vittoria (Hill 182), ancora di gusto gotico, che caratterizza la più piccola e forse la più antica medaglia pastiana, eccezionalmente con la data del 1447. Nel loro insieme le medaglie pastiane costituiscono un argomento affascinan-
In alto a sinistra Medaglia per Sigismondo con al rovescio Castel Sismondo (bronzo dorato, diametro mm. 84, Hill 174), trovata nelle mura di Castel Sismondo durante i lavori di restauro il 29 dicembre 1972. Rimini, Museo della Città
Cristofano dell’Altissimo, Ritratto di Sigismondo Pandolfo Malatesta (c. 1560) derivato dalla medaglia con Sigismondo e il Tempio Malatestiano (Hill 183). Firenze, Galleria degli Uffizi, Raccolta Gioviana.
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Il tesoro di sigismondo
Coronamento del sepolcro di Isotta, con stemma malatestiano e cimiero. Rimini, Tempio Malatestiano.
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te per la loro bellezza e intrigante per la quantità delle loro varianti; ma anche sfortunato (assai più sfortunato di quello riguardante le medaglie pisanelliane, favorito dall’attività pittorica dell’artista), forse perché per troppo tempo è stato affidato soprattutto ai numismatici, in genere tra l’indifferenza degli storici e il modesto interesse degli storici dell’arte. Perdurante quest’ultimo, come spesso dimostra la
pessima qualità delle medaglie pastiane (e il prossapochismo delle schede relative) presentate a corredo di mostre d’arte anche recenti. La classificazione delle medaglie di Matteo de’Pasti ha trovato il suo compimento solo fra il secondo e il terzo decennio del Novecento ad opera di George Francis Hill38, ma i primi tentativi abbastanza esaurienti di determinarne il ‘cor-
Matteo de’ Pasti medaglista malatestiano
pus malatestiano’ risalgono al Settecento; in sede locale il primo e più interessante è dovuto ad un frate francescano, Anton Francesco Maria Righini, il cui elenco manoscritto si trascrive qui in nota, cui seguì la bella e ben nota trattazione a stampa di Francesco Gaetano Battaglini39, uno dei migliori eruditi settecenteschi di Rimini e uno dei grandi storici della città. Ma delle medaglie in genere si sono occupati - come si è accennato - i numismatici, interessati semplicemente e comunque soprattutto alla loro classificazione, alla loro rarità, alle loro ‘patine’ e alla distinzione tra originali, varianti, copie e falsi. In quanto agli storici, le hanno usate come complementi e supporti alle loro ricostruzioni, senza badare troppo all’originalità e alla qualità; mentre gli studiosi d’arte si sono troppo spesso dimostrati freddi, quasi imbarazzati di fronte ad oggetti considerati decisamente d’arte minore, e si sono limitati a formulare generiche osservazioni, che tendono a ridurre il Pasti ad un semplice seguace-imitatore del Pisanello. Per una migliore comprensione e valutazione complessiva delle medaglie pastiane ho avuto occasione di compiere diversi interventi40, e qui di seguito mi è sembrato utile ripubblicarne un paio; sono ormai vecchi, ma forse ancora (spero) di una qualche utilità almeno a livello metodologico. Con il più antico, che costituisce il III capitolo del presente volume e che rispecchia una relazione tenuta a Udine nel 1970, ho cercato di inserire le medaglie nell’ambiente e nel clima culturale che ne hanno sollecitato la creazione e l’uso e di metterne in discussione i dati cronologici esteriori tradizionalmente e comunemente accettati41. I risultati di tali riflessioni sono stati presi in considerazione e generalmente accolti42. Quell’intervento partiva da dati in un certo senso esterni alle medaglie, riguardando la loro funzione, i loro depositi e i loro ritrovamenti, la data che recano ecc.; ma altre osservazioni, naturalmente più
soggettive, e quindi sempre discutibili, se ne debbono fare, considerando le loro caratteristiche interne, cioè formali o di stile. E appunto ad una riflessione sullo stile delle medaglie del Pasti in rapporto con la cultura che si è sviluppata alla corte malatestiana riminese è dedicato il saggio qui ristampato nel IV capitolo; è stato presentato ad un simposio sulla medaglia italiana tenuto a Washington nel 1984 e pubblicato negli atti relativi, in una traduzione in inglese di Maria Pollard43. Qui viene presentato per la prima volta nella sua stesura originale per agevolarne una diffusione locale, ma avvertendo che non ha trovato un unanime consenso44. Nel presente volume si è apprestato con particolare cura l’apparato illustrativo, privilegiando e utilizzando in maniera particolare esemplari di medaglie pastiane ritrovati negli ultimi sessant’anni nei muri di edifici malatestiani, e quindi sicuramente autentici, anche se in diseguale stato di conservazione (sono in buona parte conservati ed esposti a Rimini nel Museo della Città, alla cui Direzione siamo grati per aver consentito di eseguire una nuova generale campagna fotografica). Ma non si è inteso darne una nuova classificazione (dichiarandosene l’autore incapace e non interessato, e peraltro già soddisfatto da quella dell’Hill, continuamente richiamata); né si è tenuto conto nelle riproduzioni della grandezza reale delle medaglie (particolarmente cara ai collezionisti e ai numismatici) per privilegiare la loro figuratività, la loro componente plastica e materica, pur coscienti di forzarne la natura. Del resto ogni riproduzione, indipendentemente dal formato e dalla fedeltà, snatura il senso di qualsiasi opera d’arte; ma per quanto riguarda le medaglie ci si permetta di osservare e sottolineare che ne snaturano il senso anche le migliori esposizioni museali; infatti le medaglie non sono altro che piccole sculture che oltre alla vista dovrebbero coinvolgere il tatto, perché sono state concepite, oltre e più che per essere guardate, per essere tenute in mano, 33
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cioè per essere soppesate, accarezzate, valutate nei loro rapporti di misura e di peso; e pretenderebbero quindi una conoscenza e una confidenza anche tattile che ormai è loro giustamente negata (o riservata solo a qualche fortunato e accorto collezionista). Fra scultura e miniatura Ovviamente per avere un quadro generale della personalità e del valore di Matteo de’ Pasti occorrerebbe esaminarne l’intera attività, che per molti aspetti risulta ancora misteriosa. Infatti egli svolse sicuramente, almeno in gioventù, un’attività artistica da miniatore per i Medici e per gli Estensi che ci è completamente sconosciuta, poi a Rimini fu probabilmente architetto e soprastante (ma certo molto di più di un semplice “direttore dei lavori”) a tutte le fabbriche malatestiane, e forse fu anche disegnatore e miniaturista, oltre che medaglista. Solo l’attività di scultore e di incisore di lapidi gli fu estranea, e ritengo del tutto fantasioso ogni riferimento a lui di queste attività. In un suo interessante contributo Ulrich Middeldorf45 definì il Pasti un intellettuale-cortigiano ‘dilettante’ d’arte e particolarmente di scultura, e gli attribuì l’ideazione di tutte le opere plastiche del Tempio Malatestiano. Ma direi che l’esame delle medaglie, le uniche opere certe di Matteo - rendendoci sicuri che è stato un artista lento, riflessivo, di modesta fantasia e di gusti sostanzialmente legati alla tradizione padana - esclude ogni possibilità di considerarlo l’inventore delle sculture del Tempio, così fantasiose e vivaci e varie e, soprattutto, così fiorentine; mentre gli va certo riconfermato l’insieme del progetto architettonico-decorativo dell’interno del Tempio, concepito «con un gusto da miniatore, foglia dopo foglia, stemma dopo stemma, colore su colore; sontuoso e fastoso, brillante e invadente, particolareggiato fino all’inverosimile, raramente geniale; con riporti vistosi di gusto tipicamente veneto (come le balaustre sormontate da colonnine o animate da put-
ti; come i baldacchini sui sepolcri; come le decorazioni degli sguanci delle finestre, solo per fare qualche esempio)»46. Per quanto riguarda la scultura solo in un caso si può rimanere incerti, escludendo comunque la fase inventiva o ‘concettuale’: cioè sui festoni bronzei con foglie e frutti che fuoriescono dai canestri marmorei su cui insistono i pilastri della cappella dei Pianeti, la terza di destra del Tempio Malatestiano. L’invenzione è sicuramente dovuta agli intellettuali di corte, che per tema della cappella avevano scelto la descrizione del cosmo celeste; quei canestri colmi di frutti dovevano dimostrare che il moto armonioso e regolare degli astri, determinando l’ordinato svolgersi del tempo, rende feconda la terra e capace di produrre frutti abbondanti47. Ma a chi attribuire la realizzazione - tecnicamente perfetta - di quei ‘trionfi’ bronzei stipati di frutti e di foglie, e tuttavia rispettosi di una ideale simmetria, rimane una questione aperta, per la quale in passato sono state avanzate senza molta convinzione ipotesi comprendenti i nomi di Lorenzo Ghiberti, Maso di Bartolomeo, Luca della Robbia, Ottaviano di Duccio e, naturalmente, del nostro Matteo de’ Pasti48. Viene spontaneo pensare alla Firenze di Lorenzo Ghiberti e di Luca della Robbia, ma soprattutto alla Padova di Donatello, dove il grande maestro aveva lavorato fino a pochi anni prima e dove aveva lasciato bronzisti esperti; tanto più che tra le foglie compaiono frutti e animaletti e insetti ottenuti mediante finissimi calchi dal vero (o addirittura includendo nella forma animaletti veri?) secondo una tecnica sviluppata effettivamente a Padova qualche tempo dopo49. Anche se inconfrontabili con le medaglie, per quei pezzi bronzei (oltre tutto di misura mediocre cm. 80 x 28 - , realizzabili dunque anche in un laboratorio modesto) onestamente non si può escludere a priori la partecipazione diretta di Matteo de’ Pasti, l’unico bronzista presente a Rimini, e certo
Gli archi e le decorazioni ‘gotiche’ delle cappelle del Tempio Malatestiano. Rimini
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Il tesoro di sigismondo
Festone bronzeo nella cappella detta “dei Pianeti� (alla base del pilastro di sinistra). Rimini, Tempio Malatestiano.
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Matteo de’ Pasti medaglista malatestiano
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Il tesoro di sigismondo Un ramarro tra foglie e frutti, particolare di uno dei festoni bronzei nella cappella detta “dei Pianeti”. Rimini, Tempio Malatestiano.
in possesso di buone capacità tecniche per quanto riguarda la fusione di piccoli bronzi. L’esame delle medaglie ci assicura che la formazione e la cultura di Matteo sono gotiche, come tutti hanno riconosciuto, e di quel particolare goticismo che è il gotico veronese; ma nello stesso tempo ci permette di capire che si tratta di un artista di notevole intelligenza, oltre che di grande sensibilità, attento alle manifestazioni degli ‘innovatori’ contemporanei e pronto ad accogliere quei dati di novità che non erano troppo in contrasto con l’imprinting ricevuto durante gli anni della formazione, come peraltro è successo al suo compagno e collega Agostino di Duccio, cui rimasero sempre estranee costruzioni plastiche di razionale spazialità. Benché comprese in un periodo abbastanza breve, circa un quindicennio, le medaglie pastiane infatti permettono di avvertire oscillazioni stilistiche anche rilevanti (da un fare 38
puntuto e gotico a un fare largo e sobrio, essenziale, quasi castigato in rigorose geometrie) che non sembrano dovute solo ad una evoluzione ‘interna’, ma postulano contatti, confronti, attenzione e comprensione per ciò che andava maturando in quegli anni cruciali. I dati di novità che potevano essere accolti senza veri sconvolgimenti e rivoluzioni, tanto da Matteo quanto dalla corte a cui Matteo è organicamente appartenuto con un ruolo di primo piano, erano quelli riguardanti l’idealizzazione conseguita attraverso la ‘regolarizzazione’ tanto dei dati naturali quanto delle formule decorative attraverso la geometria, che è una delle novità dovute agli ambienti intellettuali soprattutto toscani e particolarmente fiorentini; ed è una delle novità giunte a Rimini con Piero della Francesca e con Leon Battista Alberti. È chiaro che l’interesse suscitato da questa novità non è stato sufficiente a scardinare la
Matteo de’ Pasti medaglista malatestiano
raffinata concezione medievale dell’arte dominante l’ambiente cortese malatestiano e a dare vera modernità allo stile del nostro medaglista; ma è stata certo recepita e in qualche modo recuperata. Il confronto fra le sue due medaglie di grande modulo con il ritratto di Isotta (Hill 167, 187), che ho avuto occasione di proporre più volte, mi sembra ancora utile per dare l’idea di un deciso passaggio da forme di delicato naturalismo a forme più regolari e armoniche, regolate da una idealizzante geometria. Comunque, a proposito dell’ambiente culturale della corte malatestiana intorno alla metà del Quattrocento, va detto che meriterebbe un serio approfondimento globale e una sintesi d’insieme che superasse le molte e pur meritorie ricerche parziali di cui è stata oggetto. Qui si potrà
appena avvertire - magari in controtendenza con le dichiarazioni e aspirazioni locali - che nonostante alcuni esiti eccezionali non fu d’avanguardia, e che soffrì troppo pesantemente delle ingerenze di Sigismondo Pandolfo Malatesta, il “signore-tiranno” che l’ha promosso, nelle cui scelte culturali e artistiche (come peraltro negli atti di governo) è difficile scorgere qualche seria e coerente traccia di vere aperture verso il nuovo. Nelle manifestazioni artistiche Sigismondo si manifestò più uomo medievale che signore del rinascimento, e sostanzialmente sembra aver continuato ad alimentare uno splendido medioevo cortese tutto fasto ed esteriorità, con elitari elementi di umanesimo, ma di fatto lontano dall’umanesimo vero, quello che cercava un equilibrio di valori, che cercava una razionalità nelle azioni umane, che
Una rana tra foglie e frutti, particolare di uno dei festoni bronzei nella cappella detta “dei Pianeti”. Rimini, Tempio Malatestiano.
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Il tesoro di sigismondo Bartolo Bettini da Fano (not. 14561491), Pictura castri nocturni, illustrazione dall’Hesperis di Basinio da Parma. Parigi, Bibliotèque de l’Arsenal, 630, f. 15r
era pensoso della condizione e del destino dell’uomo. Va rimarcato che il suo agire nel campo dell’arte è segnato soprattutto da uno smodato desiderio di gloria postuma, di “eternità storica”, e da un gusto irresistibile per l’autocelebrazione, che si accompagna ad una costante sopravvalutazione delle sue forze, del suo ruolo, delle sue imprese e delle sue finanze. Questa personalizzazione, ancorché ispirata all’antichità e assecondata da umanisti interessati, e anche se talvolta si è manifestata con apparenze moderne (come nel caso dell’esterno del Tempio Malatestiano), non basta certo a renderlo uomo del rinascimento; anzi nella sua esaspera40
zione e nella sua irrazionalità ci fa capire che presso di lui poteva trovare cordiale ospitalità e apprezzamento soprattutto l’umanesimo cortigiano dei filologi e degli eruditi e solo un’arte adulatoria in sostanza tradizionale, intesa a celebrarne la potenza, il fasto e la ricchezza: che sono appunto gli elementi caratterizzanti della produzione letteraria e artistica cortigiana riminese, destinata, come è naturale, ad estinguersi irrevocabilmente senza lasciare eredità di rilievo alla morte dell’ambizioso signore-padrone. Dal punto di vista biografico ricerche recenti hanno portato alla scoperta di nuo-
Matteo de’ Pasti medaglista malatestiano
Il trionfo di Sigismondo a Firenze, illustrazione dall’Hesperis di Basinio da Parma. Oxford, Bodleian Library, Canon. Class. Lat. 81, f. 61r.
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Matteo de’ Pasti medaglista malatestiano
vi documenti e di nuovi dati di un qualche interesse sulla vita e sulla famiglia di Matteo de’ Pasti50, ma non hanno sostanzialmente cambiato il quadro generale delle nostre conoscenze. Dal punto di vista critico gli sforzi maggiori sono stati rivolti al tentativo di identificare qualcosa di concreto della misteriosa attività giovanile di Matteo, quella in gran parte, sembra, interessata alla miniatura, ma con incerti risultati51. A questo proposito non mi sembra siano ancora state osservate con sufficiente attenzione e prese in seria considerazione le pseudo-miniature di tre codici dell’Hesperis di Basino da Parma assegnati quasi concordemente al fanese Bartolo Bettini, che ha firmato le illustrazioni degli esemplari di Parigi (Bibliothèque de l’Arsenal, ms. 630) e della Vaticana (Biblioteca Apostolica, ms. Vat. Lat. 6043). Continuo a credere che il terzo esemplare, quello di Oxford (Bodleian Library, Canon Class. Lat. 81), non firmato, non spetti all’artista fanese, e che sia il possibile prototipo della breve serie; non tanto per la qualità delle illustrazioni, ma per la loro perspicuità formale, il loro descrittivismo plastico, che è lontano dalla resa eminentemente pittorica tipica di Bartolo Bettini: ammirato per i suoi paesaggi caratterizzati da dolci colline e da prati fioriti dall’umanista Roberto Orsi52; e da noi soprattutto per una sua bella pictura Castri nocturni contenuta nel codice di Parigi. Alla luce delle ipotesi più recenti non sembrerebbe possibile attribuire a Matteo de’ Pasti le illustrazioni del codice di Oxford, come, sia pur dubitativamente, ho proposto in passato53; tuttavia l’attenzione su questo codice, scarsamente esaminato e riprodotto, a mio parere va mantenuta alta nel considerare l’attività tarda del nostro artista. Del resto le proposte avanzate fino ad ora su Matteo de’ Pasti miniatore riguarderebbero solo la sua attività giovanile, svolta in un ambiente dal punto di vista
tecnico del tutto tradizionale, che si sarebbe esercitata su testi che esigevano una decorazione del tutto tradizionale. Altra cosa sono le miniature, o meglio le illustrazioni dell’Hesperis, riguardanti fatti concreti e contemporanei, per quanto idealizzati. Non solo erano passati quasi vent’anni da quella attività giovanile, per Matteo pieni di esperienze diverse e di contatti importanti, ma era cambiata la tipologia dell’opera, che probabilmente già nelle intenzioni del committente non esigeva solo astratte e sontuose decorazioni, ma illustrazioni narrative e quasi esplicative, se non proprio didascaliche. Illustrazioni che ricevono un aulico risalto dalle cornici “marmoree” rigorosamente geometriche simili a quelle dei bassorilievi del Tempio Malatestiano, descritte con la competenza di un costruttore. Cornici che isolano dal testo e dalle sue convenzionali ma pur necessarie decorazioni diciotto scene di guerra, di avventura e di paesaggio, ricostruite e descritte con ingenua puntigliosità e gremite da una folla di piccoli personaggi sospesi in uno spazio senza profondità, anche se immerso in una luce chiara che sembra voler ricuperare qualcosa delle atmosfere di Piero della Francesca. Non si tratta certo di capolavori, né di prodotti d’avanguardia; sono piuttosto il frutto della paziente intelligenza e del gusto minimalista di un gotico sfiorito e naif più sensibile al particolare che alla struttura d’insieme, e della preoccupazione di giovare all’apprezzamento di un testo composto per esaltare nei secoli quel Sigismondo che non era mai sazio di successi, di lodi e di gloria: poliorcites invictus, come aveva voluto essere definito in una medaglia che Matteo de’ Pasti aveva progettato e modellato in tempi migliori (Hill 190), rimasta incompiuta ma in attesa che il volgere della “rota della Fortuna” restituisse all’arrogante signore ciò che l’invidia e il malvolere degli uomini gli avevano tolto.
Sigismondo in marcia con il suo esercito, illustrazione dall’Hesperis di Basinio da Parma. Oxford, Bodleian Library, Canon. Class. Lat. 81, f. 50 r.
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Il tesoro di sigismondo
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iii. note su matteo de’ pasti e la medaglistica malatestiana*
I motivi per cui Sigismondo s’interessò tanto alle medaglie in un tempo relativamente precoce (a cominciare dal 1445 circa), sono ben comprensibili e comuni agli altri principi del tempo; basterà qui appena ricordare che alle medaglie egli chiedeva tanto di assolvere a fini politici o di prestigio politico - immediati, quanto di perpetuare la sua gloria. Ma per spiegare il grande favore che quest’arte incontrò presso la corte malatestiana quando ancora aveva il sapore di quasi assoluta novità e comunque era senza il conforto di una vera tradizione, forse non basta ricorrere solo all’intuizione personale di Sigismondo, del prestigio che gliene sarebbe derivato; né all’esempio dell’imperatore bizantino o dei Gonzaga o, in modo particolare, degli Estensi; né alla passione per i piccoli oggetti preziosi, le oreficerie, le gemme e i gioielli. Oltre a questi motivi, anzi prima ancora di questi, sembra opportuno tener presente il clima particolare dell’umanesimo malatestiano e considerare la possibilità delle sollecitazioni dei numerosi umanisti ed eruditi della corte, veronesi e ferraresi, che dovettero cogliere ed apprezComunicazione letta il 10 ottobre 1970 al primo convegno internazionale di studio dedicato alla Medaglia d’arte e pubblicata negli atti relativi, Udine 1973, pp. 41-75. Viene riproposta col medesimo titolo, senza varianti e senza aggiornamenti bibliografici, con la semplice omissione del primo capoverso. Tuttavia, fra parentesi e segnalate da asterisco, vengono aggiunte le notizie dei ritrovamenti di medaglie malatestiane operati dopo il 1970. *
zare non solo e non tanto la novità dell’invenzione della medaglia moderna, quanto le implicazioni classiche ed archeologiche che la rendevano affine a quelle monete antiche di cui già allora si faceva incetta perché rispecchiavano una storia gloriosa. Quest’invenzione in effetti era singolarmente rispondente al tipo di cultura classicheggiante da essi perseguito, basata sulla riscoperta dell’antichità e sulla ispirazione ad essa a fini celebrativi; celebrativi dell’uomo eccellente, campione e protagonista della vita e della storia, centro dell’universo: incarnato per essi, per ammirazione o per convenienza, dal loro signore. Che queste fossero proprio le caratteristiche anche dell’ambiente riminese, come di pochi altri centri italiani in questo tempo, è risaputo ed ampiamente testimoniato dall’Hesperis di Basinio e dal De Re Militari del Valturio, per esempio; e, nel campo delle arti figurative, tanto dall’esterno del Tempio Malatestiano quanto dall’iconografia generale delle sue decorazioni interne; e inoltre dall’aspirazione ‘ellenistica’ di alcuni bassorilievi di Agostino di Duccio. Il cui percorso stilistico, che chiaramente denuncia un progressivo approfondimento ed apprezzamento del classicismo, può essere portato come esempio dell’influenza diretta dell’ambiente umanistico riminese, non alieno da recuperi filologicamente fedeli dell’antichità, ma soprattutto teso a dare dell’antichità una interpretazione sentimentalmente aderente:
Ritratto di Sigismondo Malatesta, particolare di una medaglia di Matteo de’ Pasti rinvenuta durante i lavori di restauro del Tempio Malatestiano il 21 maggio 1948. Rimini, Museo della Città.
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Il tesoro di sigismondo Agostino di Duccio, Divus Augustus Pater, disco marmoreo. Rimini, Museo della Città.
come dimostra a meraviglia il medaglione in marmo rappresentante Augusto del Museo Civico di Rimini, quasi paradigmatico della situazione56, che in questa occasione piace nuovamente riprodurre per le sue caratteristiche esterne, affini a quelle delle medaglie. è ben noto d’altronde quanto gli umanisti amassero essi stessi essere effigiati nelle medaglie, che ritennero ben degne di celebrare anche la gloria degli uomini di cultura oltre che dei principi. Sarà bene quindi tenere conto, quando si pensa allo sviluppo così rapido di quest’arte, a Rimini come negli altri centri italiani, di tutta una cerchia di nuovi interessi culturali che vanno affermandosi e che cercano di realizzarsi in forme nuove, ma consonanti con quelle del mondo antico 46
che si veniva riscoprendo con sempre maggior entusiasmo. Purtroppo le complicate vicende della signoria malatestiana, la complessa psicologia di Sigismondo, la mancanza di testimonianze contemporanee non hanno contribuito a far luce sugli inizi e sullo sviluppo della medaglistica alla corte riminese e a mettere ordine nell’abbondante materiale medaglistico malatestiano. Forse più portati a considerare l’opera in se stessa che documento ed espressione viva della storia - politica, militare, economica, culturale, finanche psicologica - gli studiosi delle medaglie di Sigismondo si sono troppo spesso arrestati ad un generico apprezzamento formale o ad una puntuale classificazione morfologica e troppo spesso si sono fidati degli elementi este-
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Matteo de’ Pasti e la medaglistica malatestiana
riori forniti dai singoli pezzi, anche per quanto riguarda la loro datazione. Questo punto in particolare dovrà essere approfondito perché come ben poche sono le date veridiche che appaiono sui monumenti malatestiani, a cominciare dal Tempio, così nessuna delle date che compaiono sulle medaglie serve a datarle con sicurezza. Ad eccezione, forse, di quella del Pisanello del 1445 (forse per l’assedio di Roccacontrada) (Hill, 34)57; d’altra parte, se questa data è reale, è da mettere in dubbio la presenza alla corte riminese del Pisanello, dato che non solo mancano di ciò testimonianze documentarie dirette, ma anche riflessi culturali e a Rimini e nel Pisanello, e riferimenti di qualunque tipo anche nella sua abbondante opera grafica. Tanto che, anziché favoleggiare di un soggiorno del grande artista a Rimini, sarà meglio riportare l’origine, anche materiale, delle prime medaglie riminesi nell’ambiente ferrarese, dove il Pisanello si trovava sicuramente nel 1444 e nel 1445; e ciò anche in considerazione della funzione stimolatrice della cultura estense sulla corte malatestiana. Non è certo possibile, qui, né utile, dare una traccia anche solo sommaria dei rapporti culturali intercorsi fra le corti degli Estensi e dei Malatesta, alimentati tanto da scambi commerciali e da alleanze politiche quanto da vincoli di parentela e di reciproca stima; basterà ricordare che da Ferrara giunsero a Rimini letterati, poeti e artisti. Ad una sola testimonianza faremo esplicito riferimento, perché legata in maniera abbastanza specifica al nostro argomento: cioè ad una lettera di Flavio Biondo inviata da Roma a Lionello d’Este il primo febbraio 1446. Il grande umanista scriveva al principe di essere stato presente qualche giorno prima ad una cena offerta dal cardinale Prospero Colonna a Sigismondo Malatesta; in quella occasione il signore riminese aveva raccontato che Lionello aveva fatto coniare diecimila monete di bronzo ad imitazione di quelle romane, con il suo ritratto ed il suo
Tre monete romane: asse per Augusto divinizzato e denari di Caio Giulio Cesare e di Quinto Metello Pio. Forlì, Biblioteca Comunale, Monetiere Piancastelli.
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Il tesoro di sigismondo Matteo de’ Pasti, medaglia per Timoteo Maffei, recto. Washington, National Gallery of Art .
Nella pagina a fianco Piccolo “trofeo” ottocentesco con tre medaglie di Matteo de’ Pasti per Sigismondo e Isotta, trovate presso la rocca di Senigallia nel 1879. Senigallia, Biblioteca Comunale Antonelliana.
L’unica medaglia d’argento conosciuta di Matteo de’ Pasti per Sigismondo (diametro mm. 42, Hill 165), rinvenuta durante i lavori di restauro del Tempio Malatestiano il 21 maggio 1948 nel capitello sinistro della cappella di San Sigismondo. Rimini, Museo della città.
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nome («rem de te gratissimam cardinali et mihi Malatesta narraverit: nummos te ad decem millia aëneos vetustorum principum Romanorum more cudi curavisse, quibus altera in parte ad capitis tui imaginem tuum sit nomen inscriptum, altera autem pars quid habeat, cum diu oblivioni reluctatus voluerit dicere, nequivit»). La notizia aveva suscitato l’entusiasmo del cardinale («Laudavit Columna ingenium, laudavit vetusti moris imitationem, quae videatur te impulsura, ut, quorum aemularis gloriae et famae amorem, vestigia quoque in ceteris, quae veram ac solidam afferunt gloriam, sequaris»), e di questo entusiasmo, pienamente condiviso, si faceva portavoce il Biondo, che inviava all’Estense alcune parti della sua Roma instaurata (in cui si trattava appunto delle prime monete coniate e degli orti di Mecenate) ed alcune monete romane58.
Il discorso riguardava certamente le monete, non le medaglie, come dimostra il numero altissimo dei pezzi che si diceva fossero stati coniati; inoltre l’entusiasmo che traspare da tutta la lettera non poteva avere come oggetto che un fatto assolutamente nuovo, e non era certo un fatto nuovo, nel 1446, la creazione di medaglie per Lionello. Misteriosamente però non ci è pervenuta neanche una di queste diecimila monete (e infatti il primo ritratto monetale a noi noto è quello di Francesco Sforza, sul ducato milanese del 1450). Evidentemente Sigismondo si riferiva ad un progetto (che fu poi realizzato da Borso d’Este nei suoi primissimi anni di regno), non ad un fatto già accaduto; ciò è abbastanza importante, e va sottolineato perché dimostra come il signore riminese fosse attento a quanto si stava facendo a Ferrara nel campo delle monete e delle medaglie; attento, ammirato e interessato, cioè pronto a recepire quelle novità che rendevano veramente esemplare, per raffinatezza, eleganza, cultura, la corte ferrarese. Quel colloquio del 1446, riconfermando l’entusiasmo dell’ambiente colto della capitale verso espressioni d’arte che si rifacevano direttamente all’antichità romana, può aver rafforzato l’interesse di Sigismondo per la medaglistica, già rivelato con la commissione di quegli anni al Pisanello di due medaglie con la sua effigie, e determinato in lui il desiderio di avere stabilmente alla sua corte un artista in grado di creargli tut-
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Matteo de’ Pasti e la medaglistica malatestiana
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Il tesoro di sigismondo
Matteo de’ Pasti, medaglia di grande modulo per Isotta, recto e verso (bronzo, diametro mm. 84, Hill 187). Fano, Museo.
Nella pagina a fianco Matteo de’ Pasti, medaglia di grande modulo per Sigismondo (bronzo dorato, diametro mm. 84, Hill 174), rinvenuta nelle murature di Castel Sismondo durante i lavori di restauro il 29 dicembre 1972. Rimini, Museo della Città.
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ta una serie di medaglie, come già aveva fatto il Pisanello per Lionello d’Este. Da Ferrara, o da Verona, ma in ogni caso dietro suggerimento o raccomandazione della corte estense, giunse alla corte malatestiana per fermarvisi stabilmente Matteo de’ Pasti, che divenne in breve il vero protagonista delle vicende artistiche riminesi. Sull’opera di medaglista del Pasti esistono alcune testimonianze contemporanee di indubbio interesse, che prima di tutto vale la pena riproporre e commentare estesamente, anche se sono conosciute da tempo. La più antica e la più nota è quella del canonico veronese Timoteo Maffei, contenuta in una lettera inviata a Sigismondo nel 1453: «Ad quandam tui nominis immortalitatem Matthaei Pasti Veronensis opera industri quidem Viri, vidi aere, auro et argento innumeras, quasi caelatas imagines, quae vel in defossis locis dispersae, vel muris intus locatae, vel ad extras nationes transmissae sunt. Illae futurae sun tibi decori et ornamento non parvo»59. La prima cosa che va sottolineata in questo passo è la coscienza che le medaglie renderanno immortale il nome del signore; cioè il tema della gloria postu-
ma, tipico e fondamentale dell’Umanesimo italiano. Poi va rilevato che il Maffei elenca la qualità dei metalli, tutti nobili: «aere, auro et argento», in cui sono fuse le medaglie: che conosciamo bene in bronzo e, per un unico esemplare proveniente dal Tempio Malatestiano, anche in argento60. Non rimane che auspicare il ritrovamento di qualche esemplare d’oro sicuramente autentico, ammesso che l’affermazione del Maffei sia veridica e non un’amplificazione encomiastica. Dal brano riportato risulta inoltre che già nel 1453 giravano per il mondo - se si può dire così - molti esemplari di medaglie malatestiane («innumeras») e che era ben nota la loro destinazione: alcune «ad extras nationes transmissae», assolvevano a quel compito tradizionale di prestigio politico immediato di cui aveva bisogno Sigismondo, altre venivano «in defossis locis dispersae, vel muris intus locatae», per trasmettere ai posteri, con l’immagine e il nome, la fama di Sigismondo. E vedremo subito, infatti, che i casi di medaglie chiuse nelle cortine murarie sono frequentissimi e rispondono a un disegno preciso, hanno una loro sistematicità.
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Matteo de’ Pasti e la medaglistica malatestiana
Basterà appena accennare ad una seconda testimonianza contemporanea, che ci è stata lasciata dal notaio Francesco Paponi nell’inventario dei beni del riminese Ludovico Mengozzi del 1457, testimonianza in cui sono enumerati diversi tipi di medaglie: «una medaglia metalli magna in qua ab una parte erat sculta ymago magnifice domine Isotte de Mallatestis et in alia parte ymago elephantis; una alia medaglia parva in qua ab uno latere erat ymago magnifici domini nostri, in alia quedam manus cum ferula; tres alie medalee mediocres in quarum una mediocris erat sculpta ymago magnifice domine Ysotte in aliis duabus parvis ymago magnifici domini nostri; due medalee metalli, una magna in qua ab uno latere erat ymago magnifici domini nostri et in alio latere fortitudo recubans supra ellephantes et in alia medalea parva ab uno latere erat elephans unicus et in alio latere ymago magnifici domini nostri; due medalee metalli, una magna in qua ab una parte erat sculta ymago magnifici domini nostri et in alia parte erat scultum castrum Sismundum et in alia parva ab una parte erat sculta ymago prefati magnifici domini et in alia ymago elefhantis cum arma SI; tres alie medalee parve cum ymaginibus prefati magnifici domini»61. Il documento può servire a datare anteriormente al 1457 la creazione dei tipi descritti; ma non ce n’era bisogno, perché a questa data la fusione di nuove medaglie malatestiane era probabilmente quasi cessata; serve comunque a testimoniare della loro diffusione e della considerazione in cui erano tenute. A proposito di inventari, è strano che né in quello dei beni di Sigismondo, né in quello di suo figlio e successore Roberto, né infine in quello di uno dei personaggi più importanti e influenti della corte riminese, Rainerio Megliorati, non figuri, almeno esplicitamente, neanche un esemplare di medaglie malatestiane. 51
Il tesoro di sigismondo Medaglia per Sigismondo con il Tempio al verso (bronzo, diametro mm. 40, Hill 183), rinvenuta durante i lavori di restauro del Tempio Malatestiano nel dicembre 1947. Rimini, Museo della Città.
Ma testimonianze ancora più importanti di quelle ora ricordate abbiamo dallo stesso Sigismondo e dallo stesso Matteo de’ Pasti. Com’è noto i senesi poco prima del Natale del 1454 arrestarono un cancelliere di Sigismondo che avrebbe dovuto raggiungere il suo signore impegnato come capitano dei senesi nell’investimento di Sorano e gli sequestrano tutto il carteggio che aveva con sé62. Tra questo di particolare interesse per il nostro tema è un promemoria dettato da Sigismondo stesso poco prima del 16 novembre, ed una lettera del Pasti a Sigismondo scritta da Rimini il 17 settembre. Nel promemoria, tra le commissioni che il cancelliere doveva fare a Rimini troviamo: «Item la torre de Charignano... fornire. A Matheo di Pasti, glie ponga quello che lui glie ha a mettere et sopra l’usso de la torre glie faccia mettere quelle parole che parerà a messer Roberto etc. Item vedere el lavorero de Senigaglia in tri modi. La porta glie sia messo le lettere et la facenda de Matheo di Pasti; el lavorero de la roccha ancora; poi universalmente la fortificatione de tutta la terra, et parlare a messe Pietro Giohanno et ser Baptista de la opinione etc.»63. Non sapremmo probabilmente capire di quali ‘facende’ si tratta, tanto per Cari52
gnano quanto per Senigallia, se non c’illuminasse la lettera del Pasti, in parte scritta in risposta agli ordini contenuti nel promemoria: «Io mandai venti de le facende a Senigaglia per ser Baptista e Sagramoro, che le metesse in lo revelino di sopra dal cordone, come scrissi alla S.V. a ciò ne sia in tutti li luochi che ora se lavora. Si che non so al presente que me abia a fare. Scrivete a chi par a la S.V. che me dia argento per gettar la medaglia picola che conzio, a cio che ne possa gettare per far quanto volete se faccia»64. Le faccende in questione sono dunque le medaglie del Pasti. L’artista aveva già provveduto ad inviarne venti a Senigallia, dove da sei anni si lavorava alla ricostruzione della città per ordine di Sigismondo, affinché fossero poste nel rivellino probabilmente della Porta Nuova, cominciata nel febbraio di quell’anno e compiuta prima dell’inverno. Matteo aggiunge: «a ciò ne sia in tutti li luochi che ora se lavora»; e questa affermazione è di estremo interesse per noi, in quanto dimostra che non ci troviamo di fronte a depositi sporadici, ma sistematici e che riguardavano anche le località più lontane del dominio, per cui a Rimini si fondevano continuamente medaglie in bronzo e in argento, e sicuramente in non pochi esemplari. Il 17 dicembre 1454 Matteo stava dunque ritoc-
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cando lo stampo per un tipo di medaglia d’argento piccola, cioè di piccolo modulo proprio come l’unica conosciuta e trovata nel Tempio Malatestiano. Purtroppo non sappiamo se l’artista preparava una rifusione o se aveva modellato un nuovo pezzo, perché non abbiamo ulteriori notizie. Ma torniamo al problema, anzi al fenomeno, delle medaglie «in defossis locis dispersae, vel muris intus locatae». Siccome nel promemoria stesso di Sigismondo vengono menzionati alcuni lavori che si andavano facendo in quel periodo, e tenendo presente la frase di Matteo: «a ciò ne sia in tutti li luochi che ora se lavora», sarà lecito pensare che depositi di medaglie fossero posti nel 1454-55 a Rimini e nelle rocche di Montalto, Cartoceto, Cola Cavuto, oltre che a Carignano e Senigallia. Per quanto riguarda quest’ultima città sappiamo inoltre da una cronaca quattrocentesca che il torrione di San Giovanni, costruito nell’estate del 1455, era chiamato Isotto o Isotteo «perché ci è una pignatta di medaglie di Madonna Isotta»65. Questo torrione era già scomparso nel XVIII secolo. Di ritrovamenti di medaglie malatestiane appositamente nascoste, come queste, abbiamo diverse notizie, in gran parte mai rese note e raccolte per la prima volta in appendice a questo scritto. Finora sono documentabili con sicurezza ben sedici ritrovamenti (*ora, 2009, venti), tutti abbastanza consistenti, in sette diverse località; ma possiamo documentare una ventina di depositi (*ora, 2009, quasi venticinque), in un arco di tempo di quasi diciotto anni. Purtroppo non sappiamo quando quest’uso è cominciato a Rimini; il fatto però che non siano mai stati trovati depositi di medaglie del Pisanello e che mai nessun esemplare del Pisanello sia comparso insieme a quelli del Pasti nei ritrovamenti effettuati fino ad ora, fa pensare che l’uso sia cominciato verso il 1449, quando le scorte di medaglie del grande artista erano esaurite ed il Pasti
Matteo de’ Pasti e la medaglistica malatestiana
doveva provvedere a fondere tutti i pezzi. Come si vede ci troviamo di fronte ad un fenomeno di dimensioni considerevoli e di grande interesse storico e culturale, che non ha veri precedenti per frequenza e durata, quantità e qualità dei pezzi. L’unico precedente che possiamo ricordare è quello dei Carraresi a Padova, alla fine del Trecento, che rappresenta un fenomeno estremamente importante ed ha qualche analogia con l’usanza malatestiana; probabilmente anzi i due fatti non hanno in comune solo una radice culturale classica, anche se per ora altre più precise connessioni ci sfuggono. Ma in ogni modo i depositi malatestiani proprio per la loro frequenza, la loro sistematicità e l’estensione nel tempo e nel territorio hanno una portata ben diversa e rivelano una ben diversa consapevolezza del fatto storico e culturale, imputabile soprattutto ai due ben diversi momenti di civiltà in cui vennero a trovarsi Francesco II da Carrara e Sigismondo Malatesta. Comunque è certo che fra i depositi dei Carraresi e quelli di Paolo II nessun altro caso tanto vistoso e culturalmente importante, anche per la conoscenza che ne ebbero i contemporanei, è dato considerare oltre a quello del signore riminese. Il quale non ebbe il suffragio, a quanto sembra, di una qualche simile tradizione locale; sappiamo di un solo precedente, da una fonte seicentesca: nel 1431 il fratello di Sigismondo, Galeotto Roberto, avrebbe gettato molti denari nelle fondamenta delle fortificazioni del palazzo malatestiano vicino alla porta del Gattolo, in occasione della posa solenne della prima pietra; ma questo fatto ha un carattere assai diverso ed è in un certo senso assimilabile al costume tutto medievale di porre oggetti propiziatori, di tipo religioso o magico o anche solo simbolico, nelle fondamenta di edifici pubblici e privati, costume universalmente diffuso e almeno in un caso documentato anche a Rimini nel 1358, quando «misser Malatesta Ongaro pose in lo fondamen53
Il tesoro di sigismondo
Va ancora sottolineato che questi depositi ricalcavano coscientemente un uso antico; ce ne rende sicuri, tra le altre, la precisa testimonianza, un poco più tarda, del Platina a proposito di Paolo II: «Vero numismata prope infinita, ex auro, argento aereve sua imagine signata, sine ullo senatuconsulto in fundamentis aedificiorum suorum more veterum collocabat: veteres potius hac in re, quam Petrus, Anacletum et Linum imitatus»68.
La Fortitudo, rovescio di una medaglia di grande modulo per Sigismondo (bronzo, diametro mm. 81, Hill 178), rinvenuta nel Tempio Malatestiano nel dicembre 1947 insieme ad altre dieci medaglie. Rimini, Museo della Città. Come nella medaglia riprodotta alla figura precedente, la fusione è ben riuscita nonostante la disomogeneità della impiegata.
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to de uno torrione presso il ponte de San Piero uno elmo da omo d’arme: fo segno di battaglia»66. Del fenomeno dei depositi di medaglie malatestiane è dunque necessario prima di tutto sottolineare l’importanza dal punto di vista del costume e della cultura, perché forse non ci si è mai resi del tutto conto della sua portata in questo senso, oltre che della sua vastità. E non sarà fuor di luogo, qui, ricordare con il Muntz ed il Weiss che attorno agli stessi anni il Filarete sottolineava e quasi teorizzava la necessità e l’importanza dei depositi di medaglie con un passo molto significativo: «La cagione perché io metto queste cose in questo fondamento si è, che, come ogni huomo sa, tucte le cose che hanno principio hanno a havere fine; quando sarà quel tempo, si troveranno queste cose, e per questo da loro saremo ricordati e nominati, come che noi nominiamo, quando o per cavamento o ruina si truova alcuna cosa degna, no’ l’habbiamo per cara e piaceci haver trovato quella cotal cosa che ci presenti antichità et nome de quegli che l’hanno fatta»67.
Ma, oltre che dal punto di vista del costume e della cultura, i ritrovamenti di medaglie malatestiane vanno considerati attentamente perché sono in grado di fornire importanti precisazioni cronologiche sull’attività pastiana, che da quasi mezzo secolo non ha subito revisioni sostanziali e che deve essere riesaminata, come si diceva all’inizio, indipendentemente dalle date che compaiono sulle medaglie stesse. Purtroppo la cosa non è semplice come a prima vista può sembrare per il problema della datazione degli edifici, quasi sempre sconosciuta, anche quando ostentano iscrizioni datate. Infatti le date ufficiali, proprio come per le medaglie, non corrispondono quasi mai a quelle di fondazione o di compimento. Di ciò si erano accorti anche i contemporanei e la citata cronaca di Senigallia ricorda che quattro «epitafi» per edifici costruiti in tempi diversi furono scolpiti da «un maestro tagliapietre fiorentino, nominato maestro Ottaviano (evidentemente il fratello di Agostino di Duccio) e li fece tutti tre in un tempo et mise tutti li tempi in una per più fama dell’illustrissimo signore»69. In alcuni casi abbiamo tuttavia indicazioni preziose. Come per esempio per la celeberrima medaglia commemorativa dell’erezione del Tempio Malatestiano, che, come l’edificio, reca la data del 1450 (Hill, 183): il 23 ottobre 1450 fu posta in opera la seconda coppia di elefanti in bardiglio della prima cappella del Malatestiano, quella dedicata a San Sigismondo70;
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nel giugno del 1948 sul dorso di questi elefanti sono state trovate ben ventidue medaglie, tutte datate 1446, nove grandi e tredici piccole, con la rappresentazione della Fortezza al rovescio (Hill, 178, 180, 181). Di medaglie col Tempio neanche una, mentre era questo evidentemente il luogo più adatto in cui avrebbero dovuto essere collocate; la posa in opera degli elefanti avvenne infatti con una notevole solennità e fu benedetta dall’abate di San Gaudenzo. Dopo qualche tempo, a compimento del pilastro retto da questi elefanti, vennero messe sul capitello che sostiene l’arco gotico otto medaglie, di tre tipi diversi (Hill, 165, 174, 181) e tra queste era l’unico esemplare in argento che conosciamo, ma nessuna di esse rappresenta il Tempio: sono state rinvenute nel maggio del 1948. In questo caso dunque i ritrovamenti ci forniscono un preciso termine post quem. Ma se la medaglia è posteriore alla data che reca, 1450, non è tuttavia tarda, come pur è stato scritto71; nel 1454 doveva già essere stata fusa, o almeno ne doveva essere stato preparato lo stampo, perché in quell’anno era già stata apportata dall’Alberti una vistosa modifica al suo progetto nelle ali della facciata, non registrata nella medaglia; e la modifica era ben nota al Pasti (o comunque a Rimini e in particolar modo nell’ambiente della corte, se si vuol negare al Pasti questo pezzo), come ci accerta la lettera autografa dell’Alberti al Pasti stesso, ora alla Pierpont Morgan Library di New York72. Un attento esame dei ritrovamenti permette di considerare come primissime medaglie pastiane riminesi quelle con la raffigurazione simbolica della Fortezza, in entrambi i tipi, grande e piccolo (Hill, 178, 181), con la data 1446, che dovrebbero essere state fuse tra il 1448 e il 1449, non posteriormente, comunque, perché sono le uniche rinvenute nella rocca del Sasso a Verucchio, compiuta appunto nel 1449. Del 1449 (19 giugno) è anche il primo do-
Matteo de’ Pasti e la medaglistica malatestiana La Fortitudo, rovescio di una medaglia per Sigismondo (bronzo, forse argentato, diametro mm. 42, Hill 181). Si noti che il bordo non ha ancora ricevuto la limatura. Rimini, Museo della Città.
cumento che ci rende sicuri della presenza a Rimini di Matteo de’ Pasti73, che potremo ipotizzare alla corte malatestiana dall’anno precedente, ma non fin dal 1446 come si ritiene comunemente e unicamente per la data che appare sulle medaglie. D’altra parte se qualche medaglia è stata fusa tra il 1445 e il 1448-49 non può essere che quella che reca al rovescio la mano con la palma e l’anno 1447 (Hill, 182); ma essa è piuttosto lontana, come tecnica e come stile, da quelle del Pasti74. Tra le medaglie pastiane più tarde saranno invece da considerare quelle che mostrano al diritto il busto di Sigismondo con la corazza - uno dei soli quattro tipi in cui Sigismondo appare armato: è indicativo che questo formidabile generale preferisse farsi ritrarre più come principe che come soldato - che giunge fino alla circonferenza esterna, ed al rovescio Castel Sismondo (Hill, 186): anche se recano ancora la data 1446, che va riferita all’erezione del castello, sono state rinvenute in depositi da considerare abbastanza tardi, come quello di Montescudo, castello restaurato nel 1460. D’altronde la fisionomia del signore vi appare appesantita più che per imperizia o trascuratezza dell’artista, per l’età; e già sono state notate le analogie iconografiche e fisionomiche con un rilievo in 55
Il tesoro di sigismondo Matteo de’ Pasti, medaglia di grande modulo con il ritratto di Sigismondo armato e Castel Sismondo (bronzo, mm. 80, Hill 184)). Rimini, Museo della Città.
Agostino di Duccio, ritratto di Sigismondo (incompiuto) sulla parte nascosta del coperchio dell’Arca degli Antenati nel Tempio Malatestiano, marmo. Da un calco. Rimini, Museo della Città.
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marmo sulla sua tomba, datato appunto al 146075. Inoltre l’idea compositiva sembra desunta, nell’insieme, dal ritratto scolpito da Agostino di Duccio nel 1454 sul sarcofago detto «degli antenati» nel Tempio Malatestiano, che ci è noto solo da poco76. Da rilevare che il nome di Sigismondo è seguito in questa medaglia solo dal patronimico, senza titoli di sorta: un indizio che ormai l’ex capitano generale della Chiesa non aveva più niente a che fare con il papa, e non aveva più nemmeno interesse a ricordare la carica sostenuta, ed un altro elemento quindi per costringere la datazione del pezzo tra il 1456 circa e il 1460. Anche le medaglie fuse in onore di Isotta sono tutte datate al 1446; nel Tempio di esse non s’è trovata traccia, e forse non solo perché quelli del Tempio erano depositi ufficiali, come è stato proposto77. Infatti abbiamo visto dedicato a Isotta un grande torrione a Senigallia, nel 1455, alla cui base era riposta una «pignatta» di sue medaglie. Altri due depositi, almeno uno dei quali da considerare ufficiale,
avvennero in tempi imprecisati a Fano; qui nel 1930 furono trovate insieme cinque medaglie piccole d’Isotta (Hill, 189) in un muro del castello, mentre nell’area dell’attuale Collegio S. Arcangelo, anticamente monastero di Benedettine, nel 1934 venne in luce un vaso di terracotta con ben otto medaglie di grande modulo, con Isotta e l’elefante (Hill 187); in entrambi questi depositi non c’erano medaglie di Sigismondo. Per la datazione di questi pezzi va considerata semplicemente commemorativa di un anno felice per Sigismondo e Isotta la data 1446; Isotta infatti cominciò ad essere ufficialmente onorata solo dopo la morte della seconda moglie di Sigismondo, cioè dopo il 1449, e a poco a poco. Anche i componimenti poetici a lei dedicati sono forse posteriori a questa data e la critica tende comunque a porli in massima parte tra il 1449 e il 145178. Il sepolcro d’Isotta con le iscrizioni celebrative famose e le date 1446 e 1450, nel Tempio Malatestiano, è stato probabilmente montato dopo il 1452, dopo cioè l’ultimazione dei lavori della prima cappella, dedicata a San Sigismondo. È possibile dunque che le medaglie in questione siano posteriori a questa stessa data e che per questo non compaiano tra quelle ritrovate nel Tempio79. D’altra parte, una volta che ci si è sbarazzati di quell’onnipresente «1446»,
note su
non sembra ci siano elementi, fuorché stilistici, che possano avvalorare un’altra data, almeno per ora. Speriamo però che una nuova e più attenta lettura delle moltissime composizioni poetiche dedicate a Isotta, o che hanno Isotta come protagonista, offra qualche testimonianza in proposito. Il secondo ritrovamento fanese ora citato si presta ad un’altra considerazione; purtroppo è documentato solo nell’inventario manoscritto del Museo di Fano e non è chiaro come le medaglie siano state rinvenute. Sembra però che il vaso in cui erano contenute non fosse collocato in un muro, ma semplicemente sotterrato. Se così fosse avrebbe forse un senso preciso quel «in defossis locis dispersae» del Maffei e potremmo dire, sia pur cautamente, di trovarci di fronte ad un altro caso di imitazione puntuale ed ingenua dell’antico: cioè di quei depositi di monete, di quei tesori affrettatamente nascosti e mai più recuperati nell’antichità, che ogni tanto dovevano anche allora, come adesso, venire casualmente alla luce, suscitando interesse e meraviglia. Come si vede sul tema dei ritrovamenti di medaglie malatestiane c’è ancora quasi tutto da dire. E purtroppo c’è anche molto da criticare. Per esempio solo i due citati del Malatestiano sono ubicabili perfettamente e di essi si conosce, sia pure approssimativamente, la condizione originaria. Un terzo ritrovamento nel Tempio fa sorgere invece legittimi dubbi e sulla sua ubicazione e sulla sua consistenza; ci soffermiamo solo su questo perché già noto e perché permette di trarre più utili conclusioni. Nel dicembre del 1947 alcuni operai trovarono nel Tempio alcune medaglie e le trafugarono, ma vennero scoperti e il materiale recuperato. Prima di tutto c’è da dubitare, come sempre in questi casi, che il materiale sia stato recuperato nella sua totalità. Poi c’è da chiedersi dove avvenne il ritrovamento, a cui nessun respon-
Matteo de’ Pasti e la medaglistica malatestiana
sabile della Soprintendenza ovviamente aveva assistito. Stando ai verbali ufficiali nel muro di destra della cappella d’Isotta; secondo una notizia pubblicata nel «Notiziario della scuola» in quello di destra della cappella attigua, detta dei Pianeti e nel sepolcro di Sigismondo; questa notizia sembra confermata anche dall’unico testimone ancora vivente (il geom. Umberto Savini della Soprintendenza ai Monumenti di Ravenna) e dal fatto che il muro di destra della cappella d’Isotta è sicuramente trecentesco, anteriore quindi ai lavori promossi da Sigismondo. Tutto ciò può sembrare accademico o addirittura ozioso solo a chi non ha idea della difficoltà di datazione delle varie parti di questo grande monumento rinascimentale e della conse-
Matteo de’ Pasti, medaglia per Isotta con al rovescio l’angelo in volo (bronzo, diametro mm. 42, Hill 171) Rimini, Museo della Città, dono F. Bartolotti.
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il tesoro di sigisMondo
Matteo de’ Pasti, medaglia di grande modulo per Isotta con l’elefante malatestiano (bronzo, diametro mm. 84). Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection.
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guente difficoltà di definizione dell’intervento dei vari artisti. A parte che la conoscenza dell’esatta ubicazione e della vera consistenza del deposito potrebbe fornire utili indizi cronologici, resta il fatto che si potrebbe meglio definire anche la datazione di quella medaglia con il Tempio di cui abbiamo già parlato (secondo i verbali ufficiali in questo ritrovamento infatti ne compaiono due esemplari) e che dovette essere cara quanto il Tempio stesso a Sigismondo, tanto che ne furono collocate alcune nel suo sepolcro. Naturalmente tutti i reperti di questo tipo dovrebbero essere conservati uniti e distinti; gli archeologi sanno bene che gli oggetti hanno prima di tutto valore in quanto trovati in un certo luogo e in associazione fra di loro; ma questo concetto non è entrato ancora a far parte della mentalità di chi ha autorizzato ed autorizza la confusione e la dispersione dei depositi di medaglie, smembrati in varie raccolte, impedendo così di compiere tutti quei rilievi e quelle osservazioni sul maggiore o minore grado di rifinitura e sulla qualità dei pezzi - a volte quasi informi, a volte accuratissimi, come ben documentano i ritrovamenti del Malatestiano - e sulla omogeneità o meno delle leghe. Non credo si conoscano infatti medaglie fuse identiche, né del Quattro, né del Cinquecento; tutti i pezzi sono dunque da considerare unici. Inoltre la conservazione dei ritrovamenti nella loro interezza fornirebbe forse elementi sulla qualità e quantità dell’intervento degli aiuti e sulla sorveglianza svolta dal maestro sulla bottega, per esempio. Ma alle medaglie malatestiane, e probabilmente non solo a quelle malatestiane, può capitare anche di peggio: addirittura di essere donate ufficialmente a privati dai Comuni che le possiedono, come è successo a Fano; e nessuno ha pensato di impedire una cosa talmente assurda ed assolutamente illegale. Anche uno degli ultimi ritrovamenti, quello di Montescudo, è stato smembrato;
note su
Matteo de’ Pasti e la medaglistica malatestiana
Dieci delle ventidue medaglie rinvenute nel Tempio Malatestiano durante i lavori di restauro il 5 giugno 1948 sul dorso degli elefanti che reggono i pilastri di sinistra della cappella di San Sigismondo. Sono tutte di bronzo, ad eccezione della seconda in alto, che è d’argento. Rimini, Museo della CittĂ
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Il tesoro di sigismondo Medaglie di medio modulo per Sigismondo, in bronzo, in argento, in bronzo dorato (diametro mm. 43, Hill 165, 166). Solo quella in argento reca le iniziali di Matteo de’ Pasti e proviene dal Tempio Malatestiano; le altre provengono da Castel Sismondo. Rimini, Museo della Città.
era formato da medaglie di due soli tipi (Hill, 183, 185), con pochissimi difetti di fusione e in uno stato di conservazione straordinario. Gli esemplari rinvenuti in questo deposito sono interessanti, tra l’altro, perché non sembrano fusi nel solito bronzo scuro; alcuni pezzi hanno appena qualche traccia di patina verde, cui si accompagnano macchie rossastre e parti gialle come l’oro, tanto da far pensare a prima vista ad una doratura molto consunta con tracce del bolo; alcuni altri, e in particolare quelli conservati ora presso la Biblioteca Malatestiana di Cesena, sembrano fusi in una specie di oricalco, di similoro, o una lega simile a questo in rame e zinco, la cui composizione si poteva probabilmente apprendere dalle fonti classiche, o poteva essere il frutto di esperimenti particolari del Pasti; una lega del genere avrebbe potuto essere ottenuta in piccoli crogiuoli e fusa senza la preoccupazione di bolle gassose, perciò offriva qualche vantaggio rispetto alla lega tradizionale e poteva essere ad essa preferita per il colore, anche se era un po’ più costosa. Tuttavia queste potrebbero essere fantasie o impressioni personali; sarebbe 60
utile che qualche esperto esaminasse con cura questi metalli e ce ne desse la composizione, come è stato fatto del resto per le monete. Probabilmente le medaglie d’oro di cui parla il Maffei non erano d’oro, ma simili a queste, o dorate, anche se non si può escludere che Sigismondo abbia fatto fondere qualche pezzo rarissimo in oro quando la sua fortuna politica, militare ed economica era al culmine, cioè sulla metà del secolo; per questo l’unica conferma ormai potrà venirci solo dai ritrovamenti futuri, perché è certo che se ciò è avvenuto Sigismondo nella sua sete di gloria ha riservato ai posteri le sue medaglie più preziose80. Non sembra fuor di luogo, in questa occasione, accennare ad un altro fatto mai rilevato: la tradizione delle medaglie celebrative malatestiane, inaugurata a Rimini da Sigismondo verso il 1445, non durò in tutto solo qualche anno come comunemente si crede, e non si spense con il cessare della fortuna di Sigismondo. Certo i suoi successori, in una città e in uno stato esaurito dalle lotte e con innumerevoli problemi di tipo economico e politico da
note su
affrontare e risolvere, ebbero ben altro cui pensare; tuttavia non sembra dimenticassero il lustro che le medaglie avevano dato al loro ben più grande predecessore: infatti la fine del secolo vide circolare una nuova medaglia dei Malatesta (Hill, 1130), fatta per quel Pandolfo IV che i riminesi chiamarono per disprezzo il Pandolfaccio, che presenta al rovescio l’elefante malatestiano (ben noto soprattutto per i rovesci delle medaglie d’Isotta) che è stato sempre una delle imprese più care ai signori riminesi. Ma neanche col 1528, che segna la cacciata definitiva dei Malatesta da Rimini, questa tradizione si spense; l’accolse infatti prima il ramo malatestiano soglianese, con il conte Pandolfo (+1580) che fece fondere nel 1554 una medaglia con la propria effigie e quella della moglie Aurelia Santa Croce; e soprattutto il ramo malatestiano di Roncofreddo, con il marchese Giacomo (+ 1600) e suo nipote Leonida (+ 1639)81. Non è che si voglia qui, per spiegare l’origine di tali medaglie - che non ha bisogno di essere spiegata perché in questo periodo la medaglia rappresenta un fatto culturale ormai ovvio ed in un certo senso marginale - ricorrere alle medaglie del Pisanello e di Matteo de’ Pasti di quasi un secolo e mezzo prima. Si vuole invece sottolineare il legame fra queste e quelle, che costituisce una traccia di tradizione
Matteo de’ Pasti e la medaglistica malatestiana
continua fino al 1630. Del resto il marchese Giacomo Malatesta imitò sempre, come poté e come gli permisero le circostanze e la fortuna, Sigismondo Malatesta nelle opere di guerra e in quelle di pace, e soprattutto nel desiderio di gloria postuma. In due epigrafi dedicategli dalle comunità di Roncofreddo e da un suo gentiluomo, Antonio Maria Santi da Gubbio, viene apertamente dichiarato il suo valore di capitano e la sua grandezza d’animo nell’erigere e restaurare chiese e rocche, per cui «priscis Malatestis Principibus merito comparandus»82. Sua nipote poi, ancora nel 1674, vien detta «dominantis olim totam Flaminiam Familiae ultimo germini». Il desiderio di essere considerati discendenti dei Malatesta di Rimini e di poter annoverare fra i propri antenati quel Sigismondo che si era reso tanto illustre per valore, grandezza d’animo, amore per la cultura e le arti, faceva dunque coscientemente tradire anche dati storici ben certi e ben conosciuti83. Nel campo specifico di queste medaglie sembra che l’esempio di Sigismondo fosse determinante non solo nel sollecitare al loro uso, ma anche nel determinare certe caratteristiche esteriori, pur in forme moderne che non tradiscono quasi più la loro derivazione. Se si considera la medaglia di Pandolfo Malatesta di Sogliano, del 1554 (Armand, II, p. 221, 37), si ve-
Medaglia per Pandolfo IV Malatesta (“il Pandolfaccio), nota in soli due esemplari (bronzo, diametro mm. 42, Hill 1130). Rimini, collezione privata.
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Il tesoro di sigismondo
Medaglia per Giacomo Malatesta marchese di Roncofreddo. Bologna, Museo Civico.
Medaglia di piccolo modulo per Sigismondo con al rovescio la “palma della vittoria” (bronzo, diametro mm. 31, Hill 182). Rimini, Museo della Città.
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drà che la seconda parte della leggenda del dritto (REST. A. FVND.) riecheggia iscrizioni di Sigismondo; è inoltre una «medaglia di fondazione», come quelle del Pasti col Castello e il Tempio e probabilmente è stata fusa anche per costituire depositi: una comunque fu trovata, nel XVIII secolo, presso il castello di San Giovanni in Galilea. Una «medaglia di fondazione» fece fondere, tra le altre, anche Giacomo Malatesta di Roncofred-
do, per celebrare l’erezione della chiesa di Santa Maria Liberatrice a Montecodruzzo nel 1573 (Armand, II, p. 221, 40); e alcuni esemplari di un’altra sua medaglia, quella col motto SIC SEMPER (Armand, II, p. 222, 42) sono stati trovati nelle mura di suoi edifici a Roncofreddo: non si trattava di depositi ricchi come quelli di Sigismondo (si trattava sempre di medaglie singole), tuttavia erano sicuramente intenzionali.
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Quest’ultima medaglia reca al verso, oltre al motto riportato, un braccio uscente dalle nuvole con la mano che stringe dei serpentelli; è molto probabile che nel determinare questa figurazione sia stata d’esempio la medaglia di Sigismondo che al rovescio mostra un braccio come qui uscente da una nuvola, con la mano che stringe la palma della vittoria Hill 182. Non sembra comunque una coincidenza casuale, ricordata l’ammirazione per Sigismondo e ricordato che già in questi anni si cominciavano a produrre false medaglie di Sigismondo, ma un preciso riferimento a quei «priscis Malatestis Principibus», e la continuazione di una tradizione secolare destinata a spegnersi solo nel 1630, con Leonida Malatesta, terzo marchese di Roncofreddo. Per concludere: queste note sulle medaglie malatestiane vorrebbero solo riproporre all’attenzione degli studiosi alcuni problemi e problematicizzarne alcuni punti particolari. Non si è fatto per esempio nessun accenno estetico e stilistico, non si è tentata una nuova e complessiva sistemazione cronologica, né si è posto il problema attribuzionistico dei pezzi discussi o discutibili, proprio perché questi accenni vogliono essere un semplice invito a riprendere dalle origini e nella sua complessità tutta la questione, con maggior scrupolo di come è stato fatto finora, ma anche con una diversa e più ampia angolazione storica. In particolare vorremmo ancora sottolineare agli studiosi ed alle autorità responsabili l’importanza dei ritrovamenti di ripostigli di medaglie (malatestiane e non: e anche in questo senso il discorso dovrà essere allargato ed approfondito) al fine tanto di una revisione critica, quanto di una puntualizzazione cronologica, quanto infine per una precisazione tecnica sulle medaglie stesse; ma soprattutto per chiarire un aspetto importante della cultura del Quattrocento. E ricordare che
Matteo de’ Pasti e la medaglistica malatestiana Medaglia cinquecentesca con al rovescio la “palma del giusto”. Rimini, collezione di F. Bartolotti.
si deve trovare una efficace metodologia della conservazione di questi reperti, che permetta di valutarli nella loro effettiva consistenza e nella loro vera qualità di preziosi depositi.
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Il tesoro di sigismondo ritrovamenti di medaglie malatestiane del xv secolo
1. Schede dei ritrovamenti e dei depositi (in ordine alfabetico per luogo) CARIGNANO DI FANO - 1455, dicembre: Deposito nella rocca. Per questo deposito si veda nel testo ed alla nota 10; è ricordato dallo scrivente nel Cat. mostra Sigismondo, pp. 120-121. cartoceto, cola cavuto, montalto - 1455: Depositi (?) nelle rocche rispettive. Tutti e tre questi luoghi vengono ricordati nel citato promemoria di Sigismondo da Sorano del dicembre 1454 a proposito di lavori di fortificazione. Ricordando la cura di Matteo de’ Pasti nel predisporre medaglie «aciò ne sia in tutti li luochi che ora se lavora» (lettera del Pasti a Sigismondo del 17 dicembre 1454, cfr. n. 9) non sarà azzardato supporre depositi anche in queste fortificazioni.
Medaglia di Isotta velata con il libro (bronzo, diametro mm. 41, Hill 189), rinvenuta con aòltre quattro uguali nelle mura della rocca di Fano il 28 novembre 1932. Fano, Museo Civico.
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FANO - 1932, 28 novembre: Ritrovamento nella rocca. Il ritrovamento, effettuato dal signor Luigi Milesi (già custode del Museo Civico di Fano) il 28 novembre 1932, consisteva in cinque medaglie piccole, tutte uguali, di Isotta col capo velato e, al rovescio, il libro chiuso (Hill, 189). Due esemplari sono ora conservati nel Museo Civico di Fano [fig. 5]; due sono scomparsi; uno è stato donato indebitamente (insieme ad un altro della
collezione Castellani, di proprietà dello stesso Museo) il 12 luglio 1952 dal Comune di Fano alla signora Andreina Borelli con regolare (!) delibera registrata nell’inventario manoscritto del Museo stesso (Inventario di tutti gli oggetti artistici che trovansi nel Museo Malatestiano, nella Residenza Comunale, nella Biblioteca Federiciana di Fano, Fano, dicembre 1929, ms. presso il Museo). Sulle circostanze del ritrovamento l’Inventario del Museo (p. 18) reca le seguenti notizie, confermate dal signor Milesi che effettuò il ritrovamento: «Tali cinque medaglie furono trovate il 28-XI-1932 nella Rocca Malatestiana di Fano, propriamente nel muro (spessore m 1,20) volto a mezzogiorno della camera a piano terra della rocchetta di penultima difesa nell’interno della Rocca stessa, e cioè prima di arrivare al maschio. Furono trovate a metà di detto muro, chiuse fra quattro coppi, nel romperlo per l’apertura di una finestra» (segue la sigla del conte Pier Carlo Borgogelli Ottaviani, allora ispettore onorario). Una lunga iscrizione latina sul mastio di questa rocca permetteva di datare i lavori di restauro e rifacimento di Sigismondo al 1452, ma all’edificio si continuò a lavorare anche in seguito. Il muro in cui furono trovate le cinque medaglie d’Isotta sembrerebbe posteriore al mastio e potrebbe essere stato eretto nel 1454, durante i lavori di potenziamento di tutto l’apparato difensivo di Fano e del suo territorio. L’unico accenno a questo ritrovamento è in O.T. Locchi, La provincia di Pesaro ed Urbino, Roma, 1934, pp. 458 e 474. - 1934, 30 luglio: Ritrovamento nell’area del Collegio Sant’Arcangelo. Ben otto grandi medaglie d’Isotta furono trovate «nell’eseguire scavi per fondamenta per il rifacimento di un’ala del Collegio di Sant’Arcangelo. Il ritrovamento fu fatto a circa metri 10 dal muro del portico grande, allorché esso fa angolo perpendicolarmente con quello dove è il Sacro Cuore, a circa 50 metri dal campanile in linea sud ovest, e a m. 0,80 circa sottoterra. Detti otto esemplari erano chiusi in un vaso di terracotta, che si ruppe nello scavare. Di essi quattro esemplari furono lasciati al Collegio (vedi ricevuta in data 2 agosto rilasciata da Fratel Remo, direttore del Collegio, al Soprintendente on. comunale) e
note su
Matteo de’ Pasti e la medaglistica malatestiana Medaglia di Isotta con l’elefante malatestiano (bronzo, diametro mm. 83, Hill 187), rinvenuta con altre sette uguali nell’area del Collegio Sant’Arcangelo di Fano il 30 luglio 1934. Fano, Museo Civico.
quattro al Museo, a norma dell’art. 119 sezione IV della Legge sulle “scoperte fortuite”, del Regolamento in esecuzione alle Leggi 20 giugno 1909 n. 364, e 23 giugno 1912 n. 668 per le Antichità e Belle Arti; e art. 18 Legge 20 giugno 1909 n. 364 “Norme per l’inalienabilità delle Antichità e Belle Arti”. Fece il ritrovamento il muratore Signoretti Alfredo, a cui il Municipio regalò L. 15. Anche questa nota è siglata dall’ispettore on. conte Pier Carlo Borgogelli Ottaviani, e si trova nell’Inventario manoscritto del Museo Civico di Fano (p. 18, r. e v.). Le quattro medaglie depositate a norma di legge presso il Collegio di Sant’Arcangelo dei Fratelli delle Scuole Cristiane sono sparite. Delle quattro che dovrebbero esistere al Museo di Fano sono stato in grado di rintracciarne tre, tutte eguali ed in buono stato di conservazione; rappresentano Isotta al diritto ed al rovescio l’elefante (Hill, 187) (fig. 6). Tutti i protagonisti del rinvenimento (muratore, direttore del collegio, ispettore on.) sono deceduti. Nell’area dell’attuale Collegio Sant’Arcangelo, in via Matteotti, sorgeva fin dal 1360 un monastero di Benedettine, che durò fino al 1860. - 1944: Ritrovamento (?) nel mastio della rocca malatestiana. Nell’agosto del 1944 i Tedeschi distrussero completamente con cariche di dinamite il bel mastio della rocca di Fano (cfr. G. Perugini, Fano e la seconda guerra mondiale, Bologna, 1949, p. 151 e E. Capalozzi, Un diario fanese: integra-
zioni e rettifiche, in "Fano", Fano, 1967, p. 150 n. 35); fu un atto di vandalismo che si può spiegare, se si può spiegare, con l’intenzione di ostruire la sottostante linea ferroviaria. Nel settembre dello stesso anno, durante la rimozione delle macerie di questa alta torre su cui era l’iscrizione di Sigismondo con la data 1452, sembra che gli operai abbiano trovato e trafugato numerose medaglie malatestiane di grande modulo. Non sono
Il mastio della rocca malatestiana di Fano, distrutto nel 1944
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Il tesoro di sigismondo
in grado di suffragare la notizia con documenti di sorta, ma la riporto qui nella speranza che qualche studioso fanese possa convalidarla con sicure testimonianze. Chi mi ha riferito la cosa è persona degna di credito; ha aggiunto che allora ebbero ad interessarsene i Carabinieri e che una di queste medaglie dovrebbe essere giunta nelle mani di qualche funzionario (di allora) della Soprintendenza ai Monumenti di Ancona. Non ho ancora avuto la possibilità di svolgere ricerche in questo senso.
Tre delle ventidue medaglie di Sigismondo rinvenute nelle mura della cinta malatestiana di Montescudo il 31 marzo 1954. Montescudo, Municipio.
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MONTESCUDO - 1954, 31 marzo: Rinvenimento nelle mura castellane. II 31 marzo 1954, durante l’esecuzione di lavori di restauro alla parete est delle mura castellane di Montescudo, vennero trovate ventidue medaglie di Sigismondo (lettera del Sindaco di Montescudo alla Soprintendenza alle Gallerie di Bologna dell’1-4-1954, prot. del Comune di Montescudo n. 548). Sembra che queste fossero contenute in un vaso di terracotta che però non ci è stato conservato. Dai Carabinieri di Montescudo furono recuperate venti medaglie, perché due furono trafugate subito dopo il ritrovamento. L’unica, breve e generica notizia di questo ritrovamento è nel quotidiano "Il Resto del Carlino" di Bologna, nella cronaca riminese del 3 aprile 1954.
Il deposito era formato da venti medaglie piccole col Tempio Malatestiano (Hill, 183), di cui diciotto recuperate; e da due grandi con il busto di Sigismondo con corazza al diritto e Castel Sismondo al rovescio (Hill, 185). Il ritrovamento è stato diviso in due parti uguali fra il Comune di Montescudo e la Soprintendenza alle Gallerie di Bologna che, dopo aver inventariato i suoi pezzi con i nn. da 6363 a 6372, li ha distribuiti alla Biblioteca Malatestiana di Cesena (due piccoli e uno grande), al Museo di Schifanoia a Ferrara (due piccoli), al Museo Civico di Bologna (tre piccoli). I due rimanenti dovrebbero essere finiti al Tempio Malatestiano, ma non ci sono. Le dieci medaglie di proprietà del Comune di Montescudo (fig. 3) sono state esposte nel 1970 alla Mostra riminese dedicata a Sigismondo (cat. n. 225). RIMINI - 1624: Rinvenimento in Castel Sismondo (I). La prima notizia sicura di un rinvenimento di medaglie malatestiane nel palazzo-fortezza di Sigismondo a Rimini ci è data dal Clementini (op. cit., II, pp. 123-724); sarebbe avvenuto durante i lavori di rammodernamento del castello voluti da Urbano VIII, e precisamente durante la trasformazione dell’accesso «di soccorso», verso la campagna, nelle fondamenta di «un grande e sodissimo portone posto in mezzo alla fossa». In quell’occasione dunque fu trovata «al piano dell’acqua buona quantità di medaglie di bronzo grandi, col ritratto di Sigismondo da una parte, e dall’altra il disegno del castello stesso, con la quale v’erano anche delle picciole, col medesimo ritratto, e col geroglifico di lui, e d’Isotta, nel rovescio»; queste ultime sono sicuramente del tipo Hill, 165-166. La notizia, passata finora inosservata, conferma la supposizione del Weiss: «Né credo sarà oltremodo arrischiato presumere che almeno alcune medaglie di Sigismondo col castello.., siano state poste nelle fondamenta e mura di questo edificio» (op. cit., p. 72). La data del deposito di tali medaglie non è purtroppo precisabile ad annum; la data 1446 scolpita sulle targhe marmoree del castello, la stessa che appare su quasi
note su
tutte le medaglie, è quella dell’inaugurazione ufficiale, ma non segna l’effettivo compimento dei lavori, che continuarono sicuramente almeno fino al 1452-'53. L’anno del rinvenimento è precisabile grazie alla seguente notizia coeva: «Dell’anno 1624 fu buttato a terra il maschio ch’era nel fosso della rocca di questa città, che fu verso alli condotti della porta del soccorso...» (M. Bentivegni, Memorie della Famiglia Bentivegni, fasc. I, c. 17 r, in «Misc. manoscritta riminese», fondo Gambetti; Rimini, Biblioteca Gambalunghiana). - 1746: Rinvenimento nella «scuola antica del Comune». La notizia di questo rinvenimento (cinque medaglie del tipo HILL, 165) è contenuta unicamente nelle note manoscritte di viaggio dal 1740 al 1774 (Odeporici) di Giovanni Bianchi, o Jano Planco. È inedita e viene qui trascritta interamente come documento significativo dell’interesse degli eruditi settecenteschi per la medaglistica rinascimentale, oltre che per la numismatica antica; e inoltre per il riferimento a numerosi ritrovamenti anteriori, per la sostanziale esattezza con cui vengono descritti i reperti e per le considerazioni sulla «vanità» di Sigismondo, del resto formulate anche da altri eruditi in quegli anni (cfr. per esempio M. Oretti, in ms. B. 165 II, c. 198 v, Bologna, Biblioteca Comunale). Purtroppo non sono in grado di indicare dove sorgeva la «scuola antica del Comune» in cui fu effettuato il ritrovamento: «12 agosto 1746. Passando il dopo desinare davanti la scuola antica del Comune, una parte della quale è stata comprata dal sig. Matteo Costa, fattore della Comunità, il quale ora la fabbrica per fare un magazzeno da legname, egli mi disse che nel muro di quella in un piccolo ripostiglio fatto a posta ci avea ritrovato cinque medaglie di Sigismondo Malatesta Signor di Rimino, una delle quali donò a me; erano tutte d’un conio. Dalla parte della testa di Sigismondo sta scritto: SIGISMONDVS. P. D. MALATESTIS. S. R. ECL. C. GENERALIS. Nel rovescio ci è la cifra sua S I dentro lo solito scudo dentato, il quale scudo è dentro un panneggiamento con sopra un elmo e sopra l’elmo ci è un capo di elefante alato, che è coronato nel collo, d’intorno ci sono le seguenti
Matteo de’ Pasti e la medaglistica malatestiana
lettere: .O.M.D.P.V. MCCCCXLVI. è curiosa la vanità di Sigismondo di perpetuare la memoria del suo nome e delle sue opere facendo seppellire di queste sue medaglie dentro muri, perciocchè in altri muri dentro la città di Rimino, e fuori nella Diocesi, sono state ritrovate altre medaglie sue con altri rovesci. Questo rovescio che ha le sigle O.M.D.P.V. si spiega così: Opus Matthei de Pastis Veronensis, che è l’artefice che serviva i Malatesti, del quale s’hanno altre medaglie col nome distinto per cui si legge questo»: Rimini, Biblioteca Gambalunghiana, ms. 4. H. II. 12, fasc. XIII, penultima carta r e v (Debbo la segnalazione di questa notizia alla cortesia del prof. G.L. Masetti Zannini). *- 1908, 1 settembre: Rinvenimento a porta Galliana. Il I settembre 1908 l’Ispettore onorario alle Belle Arti di Rimini, Mariano Mancini, informava il Direttore Scavi e Monumenti dell’Emilia che erano state trovate ben 32 medaglie bronzee «di Sigismondo», racchiuse «in un vaso di terra», in un pilone a fianco di Porta Galliana. Lo stesso Mancini, il 19 ottobre dello stesso anno, in una lettera al Prefetto di Forlì, precisava che il ritrovamento era stato fatto durante lavori di
Medaglie malatestiane rinvenute nel dicembre 1947, durante i lavori di restauro del Tempio Malatestiano, nella muratura della seconda o terza cappella di destra. Rimini, Museo della Città.
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Il tesoro di sigismondo Medaglie malatestiane rinvenute il 21 maggio 1948 durante i lavori di restauro del Tempio Malatestiano, sul capitello sinistro dell’arcone della cappella di San Sigismondo. Rimini, Museo della Città.
Uno degli otto gruppi di medaglie malatestiane rinvenuti durante i lavori di restauro nelle mura del mastio di Castel Sismondo nel febbraiomarzo 1983. Rimini, Museo della Città.
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fognatura, nella «fronte interna» della suddetta porta, e che le medaglie, di 80 e 30 mm. di diametro, erano simili a quelle già esistenti nel locale Museo, dove erano state depositate (debbo la segnalazione di questa notizia alla cortesia del prof. Giovanni Rimondini, che l’ha ricavata dalla corrispondenza conservata nell’Archivio della Soprintendenza ai Monumenti di Ravenna). Del ritrovamento fu data notizia nel periodico locale “L’Ausa” del 3 settembre 1908. - 1920, 28 settembre: Rinvenimento nella tomba di Sigismondo. Durante la prima ricognizione della tomba di Sigismondo nel Tempio Malatestiano, il 21 agosto 1756, furono notate sotto al corpo di Sigismondo sei medaglie disposte a forma di croce. Durante la ricognizione del 28 settembre 1920 ne furono trovate sette: sei con al rovescio la rappresentazione del Tempio (Hill, 183) e una del braccio con la palma (Hill, 182). Per questa ricognizione e la precedente settecentesca e le polemiche ad essa relative si veda: A. Tosi, Relazione degli oggetti trovati nella Tomba di Sigismondo Pandolfo Malatesta nel Tempio Malatestiano in Rimini, Rimini, 1924 (II ed. illustrata: Firenze, st. anno) e Alcune note sul Tempio Malatestiano - Controversie nella prima ricognizio-
ne degli avelli malatestiani, ne “La Romagna” II-III (1927), pp. 214-225. Queste medaglie sono ora conservate nella Cella delle Reliquie nel Tempio Malatestiano, meno una (col Tempio al rovescio), dispersa o sottratta nel dopoguerra. Il loro stato di conservazione è pessimo. Gli esemplari con il Tempio sembrano fusi in una cattiva lega, con ben poco
note su
rame: potrebbe inferirsene che sono state fatte negli anni estremi della vita di Sigismondo, quando il signore e la città versavano in grandi ristrettezze economiche. Eppure proprio di questo tipo di medaglie il Clementini (op. cit., pag. 371) ricorda un esemplare in oro «di quaranta scudi di peso» (cfr. anche F.G. Battaglini, op. cit., pag. 254) (*tutte le medaglie conservate nel Tempio Malatestiano sono state trafugate nel 1998). - 1947, dicembre: Rinvenimento nel Tempio Malatestiano, cappella dei "Pianeti"? (I). Per questo rinvenimento, secondo i verbali ufficiali avvenuto nella parete destra della cappella d’Isotta, si veda nel testo. è stato parzialmente esposto recentemente alla mostra riminese dedicata a Sigismondo insieme ai due seguenti; tutti e tre sono stati in quell’occasione pubblicati dal Panvini Rosati nel Catalogo, pp. 168-171. Questo primo rinvenimento nel Tempio fruttò in tutto undici medaglie: cinque grandi con la Fortezza su elefanti (Hill, 178), quattro piccole col braccio uscente da una nuvola e la mano che tiene una palma (Hill, 182), e altre due piccole col prospetto del Tempio (Hill, 183). La prima nota a stampa su questo e gli altri ritrovamenti è contenuta nel Supplemento al Bollettino Ufficiale del Ministero della Pubblica Istruzione, "Notiziario della Scuola", IV, I, Roma, 10 gennaio 1949, sotto al titolo: Ritrovamenti di medaglie del '400 nel Tempio Malatestiano. La notizia sembra desunta in buona parte dai verbali di ritrovamento e di stima firmati dal Soprintendente ai Monumenti di Ravenna, arch. C. Capezzuoli; anzi come stile tutto il breve articolo gli potrebbe essere attribuito, ma lasciano perplessi alcune inesattezze accanto a precisazioni interessanti. Riportiamo il brano che si riferisce a questo ritrovamento, con la notizia, che non ha avuto seguito ma che forse è da tenere presente, di un altro ritrovamento nel monumento funerario di Sigismondo: «Un primo gruppo fu rinvenuto pochi giorni prima del Natale del '47 (il giorno non è noto, perché i due operai scopritori, ignari della procedura in materia, occultarono le medaglie che fecero pervenire direttamente al Ministero dell’Istruzione) nei lavori della I cappella a destra, detta di S. Girolamo o dei Pianeti. In un piccolo vano della muratura, nascosto dal para-
Matteo de’ Pasti e la medaglistica malatestiana
mento marmoreo, era un recipiente di terracotta, contenente 9 medaglie (5 di 8 cm di diametro, e 4 di cm 3,2). Circa gli stessi giorni, nella rimozione di alcune parti della tomba di Sigismondo, gli stessi operai trovarono in due incavi circolari nel marmo di base altre due medaglie, pure bronzee, di circa 4 cm di diametro». Un esemplare di ciascun tipo è conservato presso il Medagliere del Museo Nazionale di Ravenna (vetrina 19); due esemplari della medaglia grande sono stati trattenuti dal Ministero della P.I. e non si sa che fine abbiano fatto (donate a
Medaglie malatestiane rinvenute il 5 giugno 1948, durante i lavori di restauro del Tempio Malatestiano. Rimini, Museo della Città.
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Il tesoro di sigismondo Ultima versione della medaglia per Sigismondo con Castel Sismondo al rovescio (bronzo, diametro mm. 80, Hill 185). Cesena, Biblioteca Malatestiana (dal rinvenimento di Montescudo, 1954).
Bernard Berenson e alla fondazione Kress, che tanta parte ebbero nei restauri del monumento?); tutti gli altri sono presso il Comune di Rimini. Verbali di rinvenimento, di consegna, di stima e di ripartizione di questo e dei seguenti ritrovamenti sono conservati nell’Archivio della Soprintendenza ai Monumenti di Ravenna e della Biblioteca Gambalunghiana di Rimini. - 1948, 21 maggio: Rinvenimento nel Tempio Malatestiano, cappella di San Sigismondo (II). Di questo rinvenimento, avvenuto sul capitello sinistro dell’arcone della cappella di San Sigismondo, fa parte l’unica medaglia d’argento di Sigismondo finora nota, per cui si veda il cit. studio del Panvini Rosati, utile peraltro per tutti e tre i ritrovamenti. Il deposito era di sole otto medaglie: quattro grandi con Castel Sismondo (Hill, 174, ma una di esse con una variante al dritto); una piccola con la Fortezza in trono di profilo (Hill, 181); tre piccole con lo stemma di Sigismondo (Hill 165, 166); una di queste, tipo Hill 165, era l’esemplare d’argento. Ad eccezione di due, le medaglie sono presso il Comune di Rimini. Il deposito è databile alla fine del 1450. Tutti i pezzi sembrano fusi con grandissima cura, specialmente quelli piccoli, con lo stemma di Sigismondo, di bronzo e d’argento; tanto quelli con le iniziali del Pasti quanto quelli senza presentano finissimi ritocchi al diritto. Questo ritrovamento ci ha dato la più bella medaglia che si conosca del tipo Hill, 174, di un bel bronzo chiaro; lo stato di conservazione di tutti i pezzi è quasi perfetto.
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- 1948, 5 giugno: Rinvenimento nel Tempio Malatestiano cappella di San Sigismondo (III). è il deposito del Malatestiano più ricco di pezzi, ben ventidue, ma di due soli tipi: tredici piccoli con la Fortezza in trono di profilo (Hill 181) e nove grandi con la Fortezza seduta su due elefanti (Hill, 178, 180) [fig. 9]. Erano posti in un incavo sul dorso degli elefanti che reggono il pilastro di sinistra della cappella di San Sigismondo. Tranne due esemplari che sono nel Monetiere del Museo Nazionale di Ravenna (Hill, 178, 181), le medaglie sono conservate presso il Comune di Rimini. Questo deposito è databile al 23 ottobre 1450, giorno in cui fu messa in opera la seconda coppia di elefanti della cappella di San Sigismondo. Dal punto di vista tecnico le medaglie di diametro minore appaiono abbastanza ben riuscite, senza rilevanti difetti di fusione. Quelle grandi invece presentano esemplari ben riusciti ed altri quasi informi. La lega non è omogenea ed alcuni esemplari presentano vistose chiazze chiare. In genere si tratta di un bronzo scuro, quasi nero. Oltre che negli studi sopra citati, notizie sui tre ritrovamenti del Malatestiano o riferimenti ad essi sono contenuti in: "L’Osservatore Romano" del 14 gennaio 1949; C. Mitchell, The Imagery of the Tempio Malatestiano, in "Studi Romagnoli", II (1951), p. 83; R. Weiss, op. cit., p. 71; PG. Pasini, Vicende e frammenti del Tempio Malatestiano, in "Rimini storia arte e cultura", Rimini, luglio-dicembre 1969, p. 226.
note su
Le medaglie di proprietà del Comune di Rimini non sono facilmente accessibili ai comuni mortali, anche se studiosi, perché sono conservate in una cassetta di sicurezza della locale Cassa di Risparmio (* dal 1998 sono esposte nel Museo della Città). Era intenzione del bibliotecario che ve le depositò, il prof. C. Lucchesi, di tenere distinti i vari ritrovamenti, e ciascuno di essi è infatti contenuto in una busta diversa; ma le medaglie vennero mescolate già all’atto stesso del deposito e non è più possibile ora ricostruire con assoluta certezza la condizione originaria di ciascun ritrovamento, dato che in quasi tutti compaiono medaglie dello stesso tipo. Tutte le medaglie trovate nel Tempio furono esposte per la prima volta nel 1950 (30 luglio-15 settembre) a Rimini nella Mostra Malatestiana organizzata durante la celebrazione del V centenario del Tempio Malatestiano (cfr. il relativo Catalogo, a cura di C. Lucchesi, Rimini, 1950, p. 14, c). *- 1972, 29 dicembre. Rinvenimento in Castel Sismondo (II). Durante il restauro del Castello, nella zona centrale dell’edificio (il “cassero”), al piano terra, alla base dell’imposta dell’arco centrale, all’altezza di circa cinque metri dal pavimento, è stata rinvenuta nella malta cementizia una medaglia di bronzo dorato, di grande modulo, con il ritratto di Sigismondo al dritto e la raffigurazione del Castello al rovescio (Hill. 174). Ne ha dato notizia P. Sanpaolesi nel periodico locale “L’Arengo”, I, 15 febbraio 1973, p. 3. La medaglia è conservata a Rimini nel Museo della Città. *- 1983, 11 febbraio-18 marzo. Rinvenimenti in Castel Sismondo (III). Sempre nel vano posto alla base del “cassero”, all’altezza di circa quattro metri da terra, vennero trovate 24 medaglie malatestiane disposte tre a tre in otto diversi punti delle pareti perimetrali, in alloggiamenti accuratamente murati (probabilmente già utilizzati come “buche pontaie”). I gruppi erano composti ciascuno da una medaglia di grande modulo con Sigismondo al dritto e il castello al rovescio (Hill 174), e da due medaglie di piccolo modulo con Sigismondo al dritto e la sua sigla nello scudo e sotto al lambrecchino al rovescio (Hill 166). Per
Matteo de’ Pasti e la medaglistica malatestiana
una relazione sui ritrovamenti si veda la scheda di G. Giuccioli Menghi in Castel Sismondo e Sigismondo Pandolfo Malatesta, a c. di C. Tomasini P. e A. Turchini, Rimini 1985, pp. 142-145 (ivi, pp. 129-141 anche un confuso saggio di A. Turchini su Medaglie malatestiane rinvenute in Castel sismondo). Tutte le medaglie sono conservate a Rimini nel Museo della Città. SAN GIOVANNI IN GALILEA - c. 1884: Rinvenimento nella rocca (I). «... in una parete divisoria interna della rocca, entro un calice di vetro» sarebbero state rinvenute nel 1884 tre medaglie; una di grande modulo, recante al verso la Fortezza su due elefanti (Hill, 178) e due piccole con la Fortezza in trono (Hill, 181). L’esemplare di diametro maggiore nel 1916 era conservato nel Museo Renzi di San Giovanni in Galilea, secondo la testimonianza di G. Gerola (Il piccolo museo di San Giovanni in Galilea, in "Felix Ravenna", fasc. 24, 1916, p. 1000), a cui dobbiamo la precisa notizia del rinvenimento, da lui riferita probabilmente su indicazione di don Eugenio Berardi, parroco del paese e direttore del museo stesso. - c. 1886: Rinvenimento nella rocca (II). «...entro un orcio conficcato nella muraglia nord della rocca, presso l’angolo nord-est», furono trovate attorno al 1886 più di una quindicina di medaglie, tutte uguali, con Sigismondo e il Tempio Malatestiano (Hill, 183). La notizia ci è data dal Gerola (op. e loc. cit.) che ne vide un esemplare nel Museo Renzi di San Giovanni in Galilea. A questi rinvenimenti probabilmente si riferisce don E. Berardi, Cenni storici di Roncofreddo, Sogliano, Borghi e dintorni, Gatteo, 1894, p. 141: «Dopo qualche anno questo castello ritornò a Sigismondo Pandolfo, e nel 1447 ristaurò ed ingrandì la rocca, come ne fan prova due medaglioni e molte medaglie ritrovate da poco tempo negli avanzi di quella ». Ma fa rimanere perplessi il fatto che il Berardi scriva di due medaglioni (da intendere medaglie di grande modulo, naturalmente) dato che nel 1884 ne fu trovato uno solo e nessuno nel 1886. Nell’op. cit., a p. 160, il Berardi scriveva inoltre che tra i materiali del museo esistevano «medaglioni
71
Il tesoro di sigismondo Piccolo “trofeo” con tre medaglie di Matteo de’ Pasti per Sigismondo e Isotta, ritrovate presso la rocca di Senigallia nel 1879. Senigallia, Biblioteca Comunale Antonelliana.
e medaglie di Sigismondo Pandolfo Malatesta trovate sul luogo». - c. 1930: Rinvenimento nella rocca (III). In un buco in un muro della rocca don Eugenio Berardi trovò casualmente verso il 1928-'30 un imprecisato numero di medaglie in bronzo di Sigismondo, alcune delle quali mostrò al prof. Augusto Campana, la cui testimonianza è stata raccolta dal Weiss (op. cit., p. 72), da cui il Panvini Rosati (Un’inedita medaglia d’argento..., p. 197). Il Campana mi ha assicurato di non aver mai visto, né saputo del ritrovamento di esemplari d’argento a San Giovanni in Galilea, come inesattamente è stato scritto dal Weiss. Anche queste medaglie erano conservate nel museo di San Giovanni in Galilea; ma tutti gli esemplari malatestiani sono andati perduti o dispersi durante la guerra. La Cassa di Risparmio di Cesena ha acquistato verso il 1950
un certo numero di oggetti dagli eredi di don E. Berardi (+ 1931), che avrebbero dovuto appartenere alla sua bella raccolta privata. Tra essi sono tre medaglie di grande modulo, una di Isotta (Hill, 187) e due di Sigismondo (Hill, 185): queste ultime due appartengono sicuramente al rinvenimento del 1930 circa, perché sono quasi interamente ricoperte da una spessa patina calcarea che il Campana ricorda perfettamente e che in un certo senso le caratterizza. Di tutte o di parte delle medaglie in questione esistevano calchi in gesso, già esposti nel museo di San Giovanni in Galilea, come sottolinea A. Corbara (Il piccolo Museo di San Giovanni in Galilea, ne "La Piè" I (1969), p. 34): «Scomparsi dall’esposizione i calchi in gesso delle medaglie malatestiane, almeno in parte scoperte dai fondatori [del museo] tra i ruderi del castello e che quindi già come tali avrebbero dovuto essere inamovibili: vennero invece ritirate e sparirono. Ad ogni modo anche i calchi possedendo un interesse documentario si dovrebbero esporre». Nel 1789 F.G. Battaglini (Memorie istoriche..., op. cit., p. 328) ricordava il rinvenimento, come avvenuto «non da molti anni presso il Castello di San Giovanni in Galilea» di una medaglia del 1554 di Pandolfo Malatesta del ramo Sogliano con la leggenda REST[ITUIT]. A. FUN[DAMENTIS]. (Armand, II, p. 221, 37). SENIGALLIA - 1454: Deposito a Porta Nuova (?). Di un deposito di venti medaglie nel rivellino di una porta (forse Porta Nuova) ci rende certi la citata lettera di Matteo de’ Pasti a Sigismondo del 17 dicembre 1454 (cfr. n. XXX). Questa lettera ed il promemoria di Sigismondo da Sorano del dicembre 1454, anch’esso già citato (cfr. n. XXX) ci rendono quasi sicuri che il deposito in questione non era il primo, né l’unico di quegli anni. - 1455: Deposito nel torrione di San Giovanni. Nelle fondamenta di questo torrione, detto anche Isotteo, era posta una «pignatta di medaglie di Madonna Isotta» secondo una cronaca senigalliese del XV secolo (cfr. n. 10). Si ignora quali tipi di medaglie d’Isotta contenesse.
72
note su
- 1879: Rinvenimento nei pressi della rocca roveresca. Questo è l’unico ritrovamento senigalliese di cui ho notizia; fu effettuato nel maggio del 1879 nei pressi dell’attuale rocca, sorta tra il 1480 e il 1491 sul luogo di quella malatestiana. Data e luogo sono incisi nel basamento di marmo del grazioso «trofeo» (cm 28,5 x 23,3) formato alla fine del secolo con le tre medaglie trovate (ignoro se sono state le uniche), già conservato presso l’Ufficio Economato del Comune di Senigallia (cfr. N. Lazzarini, Guida turistica di Senigallia, Senigallia 1963, p. 36) ed ora presso la Biblioteca Civica (inv. gen. III, 147). Le medaglie, molto consunte, sono: una grande di Sigismondo armato con al rovescio Castel Sismondo (Hill, 186) e due piccole di Isotta con al rovescio il libro chiuso (Hill, 189) [fig. 11 a, b]. Il ritrovamento non sembra da mettere in connessione con i depositi di Porta Nuova e del torrione di San Giovanni. Alla ricostruzione di Senigallia ed alla costruzione della sua cinta muraria Sigismondo fece lavorare fino al 1459. VERUCCHIO - 1953: Rinvenimento alla Rocca del Sasso (I). Due medaglie malatestiane furono rinvenute nel 1953 nella facciata meridionale della torre della Rocca, in quella parete che delimita la così detta «sala delle guardie», appena sotto l’intonaco, ad un’altezza sul piano del pavimento attuale di poco più d’un metro. Si tratta di due dei più comuni ed antichi tipi di medaglie fuse per Sigismondo, cioè quelle di grande e piccolo modulo che recano al rovescio le allegorie della Fortezza, rappresentata come una donna incoronata che spezza una colonna, nel tipo di grande modulo seduta su due elefanti (Hill, 178), nel tipo piccolo seduta in trono di profilo (Hill, 181). Il ritrovamento è ricordato da G. Pecci (Verucchio e la sua Rocca, Verucchio 1962, p. 38) e da Panvini Rosati (Un’inedita medaglia d’argento..., p. 196), che è l’unico a fornire l’elenco dei pezzi e le date di questo e del seguente.
Matteo de’ Pasti e la medaglistica malatestiana
- 1959: Rinvenimento alla Rocca del Sasso (II). In quest’anno si rinvennero quattro medaglie degli stessi tipi delle precedenti (una di modulo grande, tre piccolo) nel muro che delimita ad est gli spalti della Rocca. Il punto esatto del ritrovamento non è ben noto; «nell’angolo estremo a destra [dello spalto meridionale] furono rinvenute, sepolte, alcune medaglie recanti l’effigie di quel signore malatestiano [Sigismondo], a testimonianza dell’opera da lui compiuta», scrive A. Pazzini (La rocca malatestiana di Verucchio, in "Annali di Medicina Navale e Tropicale", vol. XIII, 1960, p. 18 dell’estr.), mentre il Pecci (op. cit., pp. 37-38) le dice «scoperte in un angolo dello spalto principale a nord-est». Questo ritrovamento è ricordato inoltre dal Panvini Rosati, op. e loc. cit. Tutte e sei le medaglie rinvenute a Verucchio sono conservate nel «salone» della Rocca stessa, senza distinzione di rinvenimenti (*sono state rubate nel corso degli anni settanta del Novecento). Il diritto di una, di modulo grande, è riprodotto nel cit. volumetto del Pecci a p. 9. Il restauro della Rocca da parte di Sigismondo è da porsi con sicurezza tra il 1448 - testimonianza di Tobia Borghi, in R.I.S.2 ,T. XVI, P. III, 1913, p. 92 - ed il 1449 - data delle due iscrizioni commemorative del restauro, fatte porre da Sigismondo ed ancora esistenti nella Rocca. Se i depositi sono avvenuti durante questo restauro sono contemporanei o di poco anteriori a quelli a noi noti del Tempio Malatestiano; sono costituiti del resto da tipi di medaglie presenti anche nei depositi del Tempio.
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Il tesoro di sigismondo
TAVOLA DELLE MEDAGLIE MALATESTIANE COSTITUENTI I DEPOSITI FINO AD ORA ACCERTATI Descrizione
N. pezzi
Luogo del ritrovamento.
Anno del ritrov.
D/ SIGISMONDVS. P. D. MALATESTIS. S. R. ECL. C. GENERALIS. busto di Sigismondo a sinistra R/ .O. M. D. P. V. (sopra); .M CCCC XLVI. (sotto). Scudo con monogramma di Sigismondo sotto un cimiero coronato a testa di elefante e baldacchino. Ø mm 42; argento e bronzo Hill 165.
5
Rimini, Scuola antica del Comune
1746
2
Rimini, Tempio Malatestiano (II)
1948
D/ SIGISMONDVS. P. D. MALATESTIS. S. R. ECL. C. GENERALIS. Busto di Sigismondo a sinistra. R/ .M CCCC XLVI. Scudo con monogramma di Sigismondo sotto un cimiero coronato a testa di elefante e baldacchino Ø mm 42. Hill, 166.
? 16
Rimini, Castel Sismondo (I) *Rimini, Castel Sismondo (III)
1624 1983
1
Rimini, Tempio Malatestiano (II)
1948
D/ (rosetta) SIGISMONDVS. PANDVLFVS. DE. MALATESTIS. S. RO. ECLESIE. C. GENERALIS Busto di Sigismondo a sinistra. R/ (rosetta) CASTELLVM. SISMONDVM. ARIMINENSE. M. CCCC. XLVI Veduta di Castel Sismondo. Ø 83 Hill, 174.
?
1 8
Rimini, Castel Sismondo (I) *Rimini, Castel Sismondo (II) *Rimini, Castel Sismondo (III)
1624 1972 1983
3
Rimini, Tempio Malatestiano (II
1948
D/ (rosetta) SIGISMVNDVS. PANDVLFVS. DE. MALATESTIS. S. RO. ECLESIE. C. GENERALIS Busto di Sigismondo a sinistra. R/ (rosetta) CASTELLVM. SISMONDVM. ARIMINENSE. M. CCCC. XLVI Veduta di Castel Sismondo. Ø mm 83.
1
Rimini, Tempio Malatestiano (II)
1948
D/ (rosetta) SIGISMONDVS. PANDVLFVS. DE. MALATESTIS. S. RO. ECLESIE. C. GENERALIS Busto di Sigismondo a sinistra. R/ (rosetta) M. CCCC. XLVI (rosetta) Allegoria della Fortezza,rappresentata come una donna con corazza e corona seduta su due elefanti, che spezza una colonna. Ø mm. 81 Hill, 178.
5 6
Rimini, Tempio Malatestiano (I) Rimini, Tempio Malatestiano (III)
1947 1948
1
San Giovani in Galilea, Rocca (I)
1884
1 1
Verucchio, Rocca (I) Verucchio, Rocca (II)
1953 1959
D/ (rosetta) SIGISMVNDVS. PANDVLFVS. MALATESTA. PAN. F. PONTIFICII. EXER. IMP Busto di Sigismondo a sinistra. R/ (rosetta) M. CCCC. XLVI. Allegoria della Fortezza, come la precedente. Ø mm 81. Hill, 180.
3
Rimini, Tempio Malatestiano (III)
1948
D/ SIGISMONDVS. P. D. MALATESTIS. S. R. ECL. C. GENERALIS. Busto di Sigismondo a sinistra. R/ MCCCC XLVI Allegoria della Fortezza seduta in trono di profilo a sinistra che spezza una colonna. Ø mm 42. Hill, 181.
2
San Giovani in Galilea, Rocca (II)
1884
1 13 1 3
Rimini, Tempio Malatestiano (II) Rimini, Tempio Malatestiano (III)
1948 1948
Verucchio, Rocca (I) Verucchio, Rocca (II)
1953 1959
74
note su
D/ SIGISMVNDVS. PANDVLFVS. MALATESTA. Busto di Sigismondo a sinistra. R/ PONTIFICII. EXERCITVS. IMP. MCCCCXLVII. Braccio destro uscente da una nuvola con mano che stringe una palma. Ø mm 31. Hill, 182.
1
Matteo de’ Pasti e la medaglistica malatestiana
1920
4
Rimini, Tempio Malatestiano (Tomba di Sigismondo) Rimini, Tempio Malatestiano (I)
D/ SIGISMVNDVSPANDVLFVS. MALATESTA. PAN. F. Busto di Sigismondo a sinistra con corazza e con corona d’alloro. R/ .PRAECL. ARIMINI. TEMPLVM. AN. GRATIAE. V. F. M. CCCC. L. Prospetto del Tempio Malatestiano secondo un primo progetto dell’Alberti. Ø mm 40. Hill, 183.
15?
S. Giovanni in Galilea, rocca (II)
1886
6 2
Rimini, Tomba di Sigismondo Rimini, Tempio Malatestiano (I)
1920 1947
20
Montescudo, mura castellane
1954
D/ SIGISMVNDVSPANDVLFVS. MALATESTA. PAN. F. Busto di Sigismondo a sinistra con corazza. R/ .CASTELLVM. SISMVNDVM. ARIMINENSE. M. CCCC. XLVI Veduta di Castel Sismondo. Ø mm 80. Hill, 185
2(+?)
S. Giovanni in Galilea, rocca (III)
c. 1930
2
Montescudo, mura castellane
1954
D/ .SIGISMVNDVSPANDVLFVS. MALATESTA. PAN. F. Busto di Sigismondo a sinistra con corazza. R/ .CASTELLVM. SISMVNDVM. ARIMINENSE. M. CCCC. XLVI Veduta di Castel Sismondo. Ø mm 80. Hill, 186.
1
Senigallia, nei pressi della rocca
1879
D/ .D. ISOTTAE. ARIMINENSI. Busto a destra di Isotta con i capelli stretti da nastri. R/ (rosetta) M. CCCC.XLVI. Elefante in moto verso destra. Ø mm 82. Hill, 187.
8
Fano, Collegio Sant’Arcangelo
1934
D/ D. ISOTTAE. ARIMINEN. M. CCCCXLVI. Busto a destra di Isotta con i capelli velati. R/ ELEGIAE. Libro chiuso. Ø mm 41. Hill, 189.
2
Senigallia, nei pressi della rocca
1879
5
Fano, rocca
1932
*? Medaglie non descritte, di grande e piccolo modulo
32
*Rimini, Porta Galliana
1908
1947
NOTA SUI CONTENITORI DI MEDAGLIE Nessuno dei recipienti in cui all’atto del ritrovamento erano contenute le medaglie che costituivano i depositi di cui sopra è stato conservato o descritto con qualche precisione. Non sembra si trattasse di recipienti appositamente fabbricati, come i salvadanai carraresi o le pentole di Paolo II; essi comunque vennero definiti variamente: pignatta, come a Senigallia; orcio, come a San Giovanni in Galilea; semplicemente vaso di terracotta, come per esempio a Fano. Un caso unico, purtroppo incontrollabile, è quello del primo rinvenimento di San Giovanni in Galilea, in cui le medaglie sembra fossero contenute in un «calice di vetro». In molti casi non ci è giunto nessun accenno ai recipienti. Spesso però le medaglie erano collocate in appositi alloggiamenti, e non avevano quindi bisogno di contenitori; è il caso per esempio del secondo e terzo rinvenimento, corrispondenti ai depositi più antichi, del Tempio Malatestiano: infatti le medaglie erano collocate in incavi quadran-
golari ricavati nel marmo, forse non eseguiti appositamente, ma costituenti le «olivelle» che servivano a sollevare i blocchi; la parte superiore di questi incavi non era chiusa con una apposita copertura, tanto che le medaglie venivano a trovarsi direttamente a contatto con le malte cementizie, di cui recano infatti ancora tracce o grosse incrostazioni. A volte le medaglie erano murate senza protezione di sorta, come a Verucchio, in cui si trovavano, sembra, direttamente sotto l’intonaco; mentre a volte particolari alloggiamenti erano ricavati nella muratura e, relativamente, protetti, come nel caso del castello di Fano, in cui le medaglie erano nella muratura, ma racchiuse fra quattro coppi. Dunque ci troviamo di fronte ad un’estrema varietà di casi; molto spesso lo stato di conservazione dei pezzi risente dell’inadeguatezza della riposizione.
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Il tesoro di sigismondo
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iv. matteo de’ pasti: problemi di stile e di cronologia*
I problemi che riguardano la personalità e il ruolo di Matteo de’ Pasti non sono pochi, né irrilevanti, perché si legano al primo fiorire dell’arte della medaglia rinascimentale e alla complessa attività artistica di una delle corti più importanti del primo Quattrocento, quella malatestiana di Rimini. Il Pasti più noto e importante è senza dubbio il ‘medaglista’; e alle medaglie – assai più che alle miniature ed alle consulenze architettoniche e decorative – egli deve una fama che ha continuato a crescere fino a suggerire improbabili quanto suggestivi ampliamenti della sua attività, o almeno della sua sfera d’influenza 85. E tuttavia alle sue medaglie non sono stati riservati negli ultimi tempi né particolari attenzioni né nuove indagini documentarie. Proprio per questo il presente contributo sarà costretto a rifarsi, oltre alla puntuale classificazione dell’Hill, ad una poco nota e ormai vecchia relazione dello scrivente, di cui dà come acquisiti alcuni punti86. Uno di questi riguarda la cronologia delle medaglie malatestiane del Pasti, che deve essere svincolata dalle date offerte dalle medaglie stesse (1446, 1450); la loro produzione iniziò infatti non prima Comunicazione letta il 30 marzo 1984 al convegno “Italian Medals” del Center for Advanced Study in the Visual Arts, National Gallery of Art, Washington D.C., e pubblicato negli atti relativi: Italian Medals, a c. di J.G. Pollard, Washington 1987, nella traduzione in inglese di Maria Pollard. Qui se ne *
dà l’inedita versione originale in italiano.
del 1449, come suggeriscono i numerosi rinvenimenti effettuati nei muri degli edifici malatestiani. Un altro punto riguarda proprio tali rinvenimenti, che denunciano l’usanza – importante per la sua frequenza, sistematicità e precocità – di costituire depositi di medaglie con l’esplicito intento di assicurare al principe una larga fama presso i posteri. A conferma ed aggiornamento di questo punto posso appena accennare che recentemente si sono avuti altri rinvenimenti nei muri di Castel Sismondo a Rimini87. Mentre nella relazione a cui ora accennavo si sono forniti e considerati soprattutto dati ‘esterni’ – documentari, archeologici, storici e culturali – riguardanti l’attività medaglistica del Pasti, ora esporrò alcune riflessioni partendo da dati ‘interni’ alle medaglie stesse, sia pure verificati da elementi di carattere storico. In sostanza vorrei invitare ad una lettura formale più attenta e puntuale della produzione dell’artista, convinto che essa può aiutare a mettere un po’ d’ordine nella sua cronologia e rivelarne i legami con le grandi correnti culturali contemporanee, e anzi con i grandi artisti contemporanei, e dunque ancorarla meglio al suo tempo, permettendone così una miglior valutazione complessiva. È ovvio che questa operazione è possibile solo nella misura in cui le medaglie pastiane vengono realmente considerate ‘oggetti’ d’arte, o meglio vere ‘opere d’arte’ che riflettono e fissano un’idea originale dell’ar-
Particolare della raffigurazione di Castel Sismondo nel rovescio di una medaglia di grande modulo per Sigismondo (bronzo, diametro mm. 84, Hill 174) proveniente dal Tempio Malatestiano (ritrovamento del 21 maggio 1948). Rimini, Museo della Città.
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Il tesoro di sigismondo
tista, all’interno di quel Rinascimento che sostanzialmente si è svolto attorno ai due grandi temi della valorizzazione dell’uomo e del recupero delle sue radici antiche, ma sempre con un’alta tensione idealizzante ed estetizzante. Tensione che a Rimini, in quel grande atelier costituito dalla corte malatestiana, negli anni centrali del Quattrocento è stata altissima per la presenza contemporanea di personalità come Leon Battista Alberti, Piero della Francesca, Agostino di Duccio e, naturalmente, lo stesso Matteo de’ Pasti (per citare solo gli artisti maggiori)88. Il punto iniziale per una revisione del percorso di Matteo, scomparsa ogni traccia della sua iniziale attività di miniatore89 e trascurando la sua attività di architetto90, dovrebbe essere costituito dalle ventidue medaglie collocate nell’ottobre del 1450 sul dorso degli elefanti della cappella di San Sigismondo nel Tempio Malatestiano91. Sono, come è noto, di due tipi e di due moduli, rappresentano al recto il profilo di Sigismondo e al rovescio due differenti allegorie della fortezza, o meglio della fortitudo (Hill, 181, 178)92. I rovesci appunto parlano un linguaggio ancora gotico, e direi anzi da miniatore gotico: le figure sono gracili, le forme sono pittoriche, le erbe e i fiori sono insolitamente incisi e non modellati, quasi con la calligrafia rapida del miniatore. Per quanto riguarda il rilievo i richiami più precisi vanno senza dubbio, genericamente, all’arte gotica veneta. Nei dritti invece è chiara l’influenza e la misura del Pisanello, tanto nel profilo solido del ritratto, quanto nel rapporto tra il fondo e la lunga iscrizione (che si rifanno in maniera particolare alle medaglie fuse dal Pisanello per Lionello d’Este e per lo stesso Sigismondo). Con qualche variante gli stessi dritti sono stati utilizzati nelle medaglie, appena posteriori, di piccolo e grande modulo che nel rovescio recano l’una la sigla di Sigismondo e l’altra il castello di Rimini (Hill 165, 174) rinvenute in gran numero 78
– e come al solito in molte varianti – tra le mura del Tempio e del Castello malatestiani: fra esse è l’unico esemplare d’argento fino ad ora rinvenuto93. Queste medaglie sono ritenute i capolavori di Matteo (specialmente quella col castello) e a ragione: non tanto e non solo per le loro raffigurazioni, quanto per le loro caratteristiche di vere “sculture portatili”. Si tratta di oggetti preziosi da toccare e da soppesare, oltre che da guardare, di proporzioni quasi sempre perfette, con rapporti di diametro, di spessore, di rilievo, e anche di colore, negli esemplari migliori veramente di straordinaria armonia. Gli esemplari più antichi di queste medaglie, nonostante la data (1446) che recano sul rovescio, dovrebbero essere stati fusi subito dopo l’ottobre del 145094: è naturale quindi porre il problema dei rapporti intercorsi fra il loro autore e Piero della Francesca, che nell’affresco riminese del 1451 (nel Tempio Malatestiano) raffigurò in maniera molto simile tanto Sigismondo che il Castello Malatestiano95. Nella medaglia l’eccellenza e soprattutto la saldezza del ritratto, la sua perspicuità grafica mi avevano fatto pensare ad una diretta influenza di Piero su Matteo96, contrariamente a quanto di solito viene affermato; ma ora, riscontrando che tale profilo, con le stesse caratteristiche ed anzi ottenuto almeno in parte dalla stessa matrice, appariva già nelle medaglie fuse prima dell’ottobre del 1450, quel rapporto mi sembra assai improbabile97. Ad un’indagine più attenta, infatti, non sfuggono la ricchezza delle notazioni realistiche e delle modulazioni plastiche, pur all’interno di una forma compatta e solenne, presenti nel ritratto dipinto, che lo rendono ben diverso – anche dal punto di vista puramente fisionomico – da quello modellato. Quest’ultimo si caratterizza piuttosto per una forte capacità di sintesi di tipo ‘naturalistico’ e per una forte stilizzazione di tipo pisanelliano, con soluzioni convenzionali (come per esempio il taglio dell’occhio)
Matteo de’ Pasti: problemi di stile e di cronologia Alcune delle medaglie malatestiane rinvenute il 21 maggio 1948, durante i lavori di restauro del Tempio Malatestiano. Rimini, Museo della Città.
e con graficismi di gusto ancora gotico (come il trattamento della capigliatura e dell’abito). Le stesse osservazioni valgono anche per le raffigurazioni del castello, che appaiono sorprendentemente uguali nella medaglia e nell’affresco e tuttavia
profondamente diverse, come derivate in assoluta libertà e indipendenza da un unico prototipo: ma quella dipinta è di una solidità e di una chiarezza prospettica assolutamente razionali, mentre l’altra è mossa e pittoresca, con notazioni descrit79
Il tesoro di sigismondo
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Matteo de’ Pasti: problemi di stile e di cronologia
tive che ne scompaginano la struttura. Va sottolineato inoltre che la raffigurazione di Piero risulta come tagliata ai bordi per fingere al di là di essi il dilatarsi prospettico dello spazio e che il suo primo piano (più di un quarto del tondo) appare non risolto dal punto di vista formale; mentre quello di Matteo, proprio grazie allo squinternarsi della prospettiva, risulta in assoluta armonia con la forma e la misura della medaglia e si inserisce perfettamente e con una certa originalità nel cerchio dell’iscrizione (concepito come bordura pittoresca e limite elegantissimo di un hortus conclusus medievale), secondo una prassi costante nel nostro medaglista, che tende a dilatare la parte figurata per saldare i vari elementi dell’immagine98. A proposito dell’iscrizione, oltre alla forma dei suoi caratteri (sostanzialmen-
te ancora pisanelliana, ma con varianti sensibili), va notato che nelle medaglie malatestiane, e anche in questa, la firma dell’artista, per quanto prevista, è raramente presente; molte volte è stata sostituita, altre volte semplicemente eliminata dal modello in cera prima della fusione99. In genere si pensa che ciò sia dovuto alla volontà di Matteo de’ Pasti, impossibilitato ad eseguire o a controllare di persona tutte le fusioni; facendo cancellare la firma egli avrebbe in un certo senso ‘declinato ogni responsabilità’. Ma, a mio parere, è assai più probabile che a ciò sia stato costretto da un preciso ordine del committente, Sigismondo. Possiamo ricordare, a proposito, che anche le firme scolpite di Matteo architetto e di Agostino lapicida sono state cancellate dalle cornici interne del Tempio Malatestiano dopo la loro posa in opera100;
Piero della Francesca, Ritratto di Sigismondo Pandolfo Malatesta (tavola). Parigi, Museo del Louvre.
Castel Sismondo, particolare dell’affresco di Piero della Francesca nel Tempio Malatestiano, Rimini.
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Il tesoro di sigismondo Matteo de’ Pasti, medaglia per Sigismondo con la Fortitudo (bronzo, diametro mm. 43, Hill 181), proveniente dal Tempio Malatestiano (rinvenimento del 5 giugno 1948). Rimini,Museo della Città.
Matteo de’ Pasti, medaglia per Sigismondo con la Fortitudo (bronzo, diametro mm. 82, Hill 178), proveniente dal Tempio Malatestiano (rinvenimento del dicembre 1947). Rimini, Museo della Città.
e queste cancellazioni non possono che risalire ad una precisa volontà del principe. Del resto alle medaglie e ai monumenti Sigismondo affidava soprattutto la sua fama presso i posteri; non vi dovevano dunque apparire altri nomi al di fuori del suo: anche i monumenti (e le monete) dell’antichità recano solo il nome del committente, non quello degli artefici. Le medaglie destinate a tramandare ai posteri con l’effigie e il nome la fama del
principe, venivano nascoste nei muri degli edifici: quelle che sono state ritrovate finora non recano mai per esteso il nome di Matteo, e solo qualcuna, rarissima, ha le sue iniziali (O.M.D.P.V: Opus Mattei De Pastis Veronensis). Spesso la cancellazione della firma ha causato vuoti sgradevoli dal punto di vista formale, compositivo; e mi vado chiedendo se, per caso, almeno la sigla del medaglista non fosse originariamente contemplata anche attorno all’immagine della fortitudo nel rovescio della prima medaglia di grande modulo modellata da Matteo per Sigismondo (Hill 178). Vicina al gruppo di medaglie considerate fin qui, che deve essere stato fuso fra il 1449 e il 1451101, ma ben distinta da esso, possiamo porre la grande medaglia con Isotta velata (Hill 167), che sembra concepita quasi per formare un dittico con quella di Sigismondo e il Castello. Coincidono le misure, il carattere e la disposizione delle scritte, la grandezza interna dei profili. La medaglia di Isotta però si distingue dall’altra per una straordinaria tenerezza e complessità di modellato, non disgiunta da una grande precisione, come se in essa avesse avuto qualche parte, almeno a livello di suggestione, Agostino di Duccio, l’elegante e raffinato e sottile scultore del Tempio. Credo che la medaglia d’Isotta, proprio per la sua raffinatezza, che sembra
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Matteo de’ Pasti: problemi di stile e di cronologia Matteo de’ Pasti, medaglia per Sigismondo con al verso la sigla e cimiero (argento, diametro mm. 42). Rimini, Museo della Città.
il frutto di un progressivo arricchimento dell’asciutto decorativismo naturalistico delle opere precedenti, sia databile assai più tardi, verso il 1453. Questa data è suggerita anche dal fatto che solo nel 1453 Isotta entra a far parte ufficialmente della famiglia Malatesta, perché Sigismondo (pur senza sposarla, sembra, per il momento) in quell’anno le intesta un ricco patrimonio, una specie di dote; è dal 1453 inoltre che troviamo le prime sottoscrizioni di Isotta come “de Malatestis”102. E proprio a questo fatto, cioè all'ingresso 'ufficiale' di Isotta nella famiglia del signore, dopo una relazione che durava dal 1446, mi sembra alluda esplicitamente sul rovescio della medaglia il grande elefante (non si dimentichi che esso costituisce l’impresa araldica per eccellenza dei Malatesti), una delle raffigurazioni di animali più suggestive dell’arte rinascimentale; così grottesco nel suo disegno largo e fluido, così massiccio nel suo modellato sensibile anche alle variazioni minime della pelle: figura naturale e immaginaria, che si accampa voluminosa con precisione ed armonia in uno spazio che è solo superficie, tappeto di prato e sfondo di cielo limitati dalla mirabile cornice costituita dalla firma di Matteo e da quella “magica” data che compare, immutabile, su quasi tutte le medaglie: 1446103. Mi si permetta qui una breve digressione a proposito appunto dell’elefante,
questo animale tanto caro al Medio Evo e tanto caro ai Malatesti, e ancor oggi tanto affascinante e in un certo senso misterioso. So bene che ha una quantità di significati; credo però che ai Malatesti importasse soprattutto come allusione alla forza regale (e come tale può essere considerato un simbolo mutuato dagli antichi, e frequente sulle monete dell’antichità), quella forza che in realtà era l’unica giustificazione del loro potere. «Elephans indus culices non timet», dichiarano gli elefanti usati a Cesena dal fratello di Sigismondo, Malatesta Novello; e un motto uguale accompagna uno sgraziato elefante sull’unica medaglia nota del Pandolfaccio, nipote di Sigismondo e ultimo signore di Rimini104. In un certo senso debbono essere considerati sinonimi la fortitudo, il castello o fortezza (cioè Castel Sismondo), e l’elefante; sinonimi di forza, in riferimento alla famiglia del principe. Ma per Sigismondo la forza, il potere, non sembrano aver senso se non accompagnati dalla fama (un’ossessione, questa, tipica degli umanisti e dell’umanesimo): e infatti tutti i suoi atti di mecenatismo, oltre e più che in funzione di una propaganda politica immediata, sono in funzione di una fama che vinca il tempo, che superi la morte. Non a caso, grazie ad un suggerimento del Petrarca105, l’elefante figura al seguito della fama nell’iconografia rinascimentale dei “Tronfi”, in collegamento con Scipione (e di Scipione l’Africano Sigismondo 83
Il tesoro di sigismondo
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Matteo de’ Pasti: problemi di stile e di cronologia
Piero della Francesca, San Sigismondo venerato da Sigismondo Pandolfo Malatesta, affresco (1451). Rimini, Tempio Malatestiano.
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Il tesoro di sigismondo
Matteo de’ Pasti, Medaglia di grande modulo per Sigismondo (bronzo, diametro mm. 84, Hill 174), Rimini, Museo della Città.
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si dichiarava discendente)106; i “liofanti” accompagnavano anche il “trionfo della fama” dipinto nel 1441 da Matteo de Pasti per Piero de’Medici107. Sono portato a pensare che, oltre ad usarlo come elemento gentilizio per dichiarare il potere e la forza della famiglia, Sigismondo abbia inteso attraverso l’elefante proclamare la sua forza e la sua fama108. E l’elefante di Isotta? Non mi sembrano accettabili i significati proposti fino ad ora, in quanto non applicabili ad Isotta o allusioni a qualità personali, private (la forza, la regalità, la magnanimità, la castità, la continenza ecc.) che non hanno ragione di figurare in un ‘monumento’ pubblico e ufficiale quale è appunto la medaglia. È accettabile invece e va riconfermata una interpretazione strettamente “gentilizia”, che convalida una data 1453 o post 1453 per la medaglia; ma accanto a questa si può considerare un significato simbolico: l’elefante proclamerebbe la fama della fanciulla riminese, dovuta tanto al suo ingresso nella famiglia del principe quanto alla sua “bellezza e virtù” che la rendono, come spiega l’iscrizione al recto, ‘ornamento’ dell’Italia tutta: «Isote ariminensi forma et virtute Italiae decori»109.
Nel gruppo più antico delle medaglie del Pasti, composto da quelle già citate, da considerare naturalmente in tutte le loro varianti, bisogna includere anche la medaglia di Isotta con l’angelo (Hill 170), di squisita composizione e di fattura e gusto ancora pienamente gotici. Si tratta complessivamente di un gruppo abbastanza omogeneo, ideato fra il 1449 e il 1453 e composto da pezzi in gran parte ‘firmati’ (o che l’artista aveva pensato di poter firmare). Nessuna delle medaglie malatestiane rimanenti è firmata o siglata da Matteo; esse formano un altro gruppo abbastanza coerente, che rispetto al primo presenta notevoli cambiamenti, non d’iconografia, ma di forma, di stile, cambiamenti che le fanno ritenere successive. Va precisato che intorno al 1454 le medaglie malatestiane sono ormai tutte inventate; Matteo non fa altro che rielaborarle, a volte impercettibilmente, a volte profondamente. Matteo è un artista lento, riflessivo, con poca fantasia, con poca prontezza o facilità di invenzione (e anche per questo non posso essere d’accordo col Middeldorf nel ritenerlo l’inventore di tutta la decorazione plastica del Tempio Malatestiano)110, ma è tenace ed ha la pazienza ed il gusto della perfezione che sono tipici dei minia-
Matteo de’ Pasti: problemi di stile e di cronologia
tori; e possiede quel senso della superficie e della linea che hanno i disegnatori migliori111. I cambiamenti, le piccole novità che ritornano costantemente nelle medaglie di questo gruppo (e anzi di questa fase dell’attività pastiana) riguardano lo stile, come dicevo. Sono costituiti in sostanza da una semplificazione generale, prima di tutto ben visibile nel progressivo aumento degli spazi vuoti e nel conseguente graduale rimpicciolirsi delle iscrizioni e delle figurazioni; poi da un maggior rigore disegnativo e plastico, per cui le forme sono come irrigidite, mentre i ritratti diventano più centrali rispetto al campo e assumono un tono maggiormente celebrativo, aulico. Nelle iscrizioni diviene costante l’uso di lettere ‘quadrate’ che si avvicinano come forma alle litterae lapidariae romane, mentre spariscono le tradizionali e pittoresche rosette, e anche i puntini rotondi distanziatori, sostituiti quasi sempre da classici punti triangolari. Proprio nello stesso periodo un ugual cambiamento si avverte nei bassorilievi di Agostino di Duccio posti a decorare le cappelle di sinistra del Tempio riminese, ma anche in altre manifestazioni artistiche e culturali malatestiane (tra le quali van-
no ricordate le iscrizioni monumentali). Probabilmente i semi gettati da Piero della Francesca qualche anno prima cominciano a germogliare solo ora, e forse grazie all’influenza ed alle pressioni (talvolta anche ai bruschi richiami) di Leon Battista Alberti, che ebbe senza dubbio un grande ascendente su Sigismondo e su tutta la sua corte. Non saprei spiegare altrimenti questo nuovo rigore, questa nuova geometria, questo classicismo, che in realtà ha esiti più simili a quelli di Piero della Francesca che non a quelli dell’Alberti. Un classicismo cioè che tende a ricuperare l’humanitas dell’antichità ispirandosi all’estetica dell’antichità, ma senza mai riprenderne direttamente le forme, come fa invece l’Alberti e come
Matteo de’ Pasti, Medaglia di grande modulo per Isotta (bronzo, diametro mm. 83, Hill 167), Rimini, Museo della Città.
Particolare della firma abrasa di Agostino di Duccio su un architrave interno del Tempio Malatestiano. Rimini.
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Il tesoro di sigismondo Leon Battista Alberti, L’esterno del Tempio Malatestiano, Rimini.
faranno in seguito i classicisti. In fin dei conti tanto Matteo quanto Agostino dovevano capire relativamente il ‘ritorno all’antico’ dell’Alberti, troppo puntuale ed archeologizzante per loro, che mentalmente appartenevano ancora alla generazione del Brunelleschi e del Ghiberti, e che per molto tempo debbono aver maledetto in segreto gli architetti che usavano “questa praticaccia moderna” del ricorso all’antico, come si esprimeva – con una chiarezza esemplare – il Filarete proprio in quegli anni112. Anche elementi ‘estranei’ potrebbero essere invocati per giustificare questi cambiamenti: come le aumentate ambizioni del principe che, sulla spinta dei successi militari (poliorcites et imperator sempre invictus, Hill 190) e delle adulazioni e delle illusioni create dalla colonia sempre più folta degli umanisti di corte, desidera dare un’immagine di sé sempre più idealizzata e distaccata dalla realtà; e 88
così il mutato atteggiamento dello stesso Matteo, definitivamente immesso nella ristretta èlite degli intimi del principe (di cui viene definito dal 1454 socius et familiaris, contubernalis, aulicus)113 e ormai partecipe dei discorsi dei dotti, può aver influito sullo stile aristocratico delle sue opere. Da tenere presente, infine, il crescente sviluppo a corte di una cultura letteraria sempre più informata ad un’erudizione complessa e raffinata, con inclinazioni accentuatamente platoniche. La piccola, notissima e discussa medaglia raffigurante al verso il Tempio Malatestiano (Hill, 183), può essere collocata all’inizio di questa fase; deve essere stata modellata fra il 1453 e il 1454 seguendo indicazioni o suggerimenti dell’Alberti: per la prima volta Sigismondo compare su una medaglia armato e incoronato d’alloro, con il busto che giunge all’esergo e con la scritta che si compone come una grande aureola: il tono altamente celebrativo del
Matteo de’ Pasti: problemi di stile e di cronologia Il Tempio Malatestiano nella raffigurazione di Matteo de’ Pasti, desunta da un disegno o da un modello di Leon Battista Alberti, sul rovescio di una medaglia per Sigismondo (bronzo, diametro mm. 49, Hill 183). Rimini, Museo della Città .
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Il tesoro di sigismondo Elefante malatestiano scolpito nello stilobate del Tempio Malatestiano, Rimini.
dritto deriva dalla composizione serrata di tutti gli elementi e da un ricercato equilibrio di pieni e di vuoti, e trova coerente risposta nel rovescio, con la raffigurazione della prima facciata rinascimentale di un templum, condotta ancora una volta con la precisione e l’amore di un miniatore tardo-gotico, e tuttavia straordinariamente solenne. Qui si celebra il vincitore glorioso, e si commemora la fondazione del Tempio; la migliore illustrazione della medaglia è ancor oggi nei versi che concludono il poema di Basinio, là dove il poeta descrive il ritorno di Sigismondo vittorioso dopo la battaglia di Vada contro Alfonso d’Aragona (1452-1453): «Huic ad Arimineam fertur laetissimus urbem, / Victor ubi Superis votum dum solvit, honorem / Ipse Deo redens summo, mirabile Templum / Marmore de pario construxit, et urbe locavit / In media»114. Questo tono aulico si ritrova, spesso accentuato, anche nelle altre medaglie del gruppo, le cui raffigurazioni talvolta sono come semplificate e regolarizzate (fino ad esiti di sconcertante modernità, si sarebbe tentati di dire) come per esempio nel verso delle medaglie piccole di Isotta con il libro chiuso (Hill
188, 189). Il pezzo più singolare però è costituito forse da una nuova versione della medaglia di Isotta con l’elefante (Hill 188, 189), meno gradevole dell’altra, ma piena di un fascino arcano per quell’affiorare così netto dal fondo liscio di forme semplici, regolari, solenni, connesse solo da misteriosi rapporti geometrici, fuori da ogni logica decorativa e lontanissimi dalla tradizione pisanelliana. Si tratta di un’opera veramente classica (di quel classicismo astratto tanto amato da Piero della Francesca), non ‘classicista’: e infatti non l’intesero e non l’amarono i classicisti per eccellenza, come Lisippo, come l’Antico, come i cinquecentisti; solo Benvenuto Cellini forse ne subì il fascino, se è sua la medaglia per il Bembo 115. È impossibile dilungarsi ulteriormente sui vari pezzi che compongono questo gruppo, continuamente ritoccati e rifatti nella ricerca di una forma plastica sempre più equilibrata ed essenziale, obbediente ad una lirica geometria e attenta alle pause, alle scansioni, ai ritmi di una grafica sempre più pura, ed anche proporre confronti con le opere degli ultimi anni riminesi di Agostino di Duccio (1454-'56), in cui si avverte un’uguale inclinazione classicheggiante116. Occorre invece accennare ad un altro piccolo gruppo di medaglie pastiane, composto da quattro pezzi squisiti, generalmente considerato giovanile (del periodo veronese e ferrarese) e comunque anteriore al 1446. Si tratta delle medaglie fuse per Guarino Guarini, Timoteo Maffei, Benedetto de’ Pasti e Leon Battista Alberti (Hill 158-161). L’unico motivo che può farle ritenere così antiche è costituito dalla mancanza di riferimenti malatestiani e riminesi. Ma se si considera la loro forma, cioè il loro classicismo, e il loro rigore formale, sarà impossibile ritenerle anteriori alla frequentazione del grande medaglista con Piero della France-
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Matteo de’ Pasti: problemi di stile e di cronologia
Il tempio Malatestiano in costruzione, illustrazione dall’Hesperis di Basinio da Parma. Oxford, Bodleian Library, Canon. Class. Lat. 81, f. 137 r.
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Il tesoro di sigismondo
sca e Leon Battista Alberti. D’altra pare anche dati ‘esterni’ conducono agli anni compresi fra il 1453 e il 1455. Al 1453, appunto, datano i rapporti di Timoteo Maffei con la corte riminese, testimoniati da una lettera con cui il canonico regolare veronese invita Sigismondo a partecipare alla guerra contro il Turco e a difendere la fede cristiana117: un appello che giustifica e spiega molto bene la qualifica di praecon Dei data al personaggio nell’iscrizione. In quella stessa lettera il Maffei loda esplicitamente le medaglie di Matteo, e nulla vieta di pensare, credo, che la medaglia modellata dall’artista (e firmata a tutte lettere, va sottolineato) sia un suo omaggio personale al compatriota e sottintenda reciproca conoscenza e stima. Anche con l’altro veronese effigiato dal Pasti, cioè il celebre Guarino, sono documentati rapporti (e forse inviti ufficiali) con l’ambiente riminese soprattutto piuttosto tardi, nel 1455118. E come non pensare allo stesso giro d’anni, non fosse altro per l’età dimostrata dal ritratto, per la medaglia dedicata all’Alberti? Si ricordi che è solo fra il 1453 e il 1455 che la grande mole marmorea del Tempio comincia a concretizzarsi all’esterno destando in tutti ammirazione e meraviglia; che sono del 1454 le discussioni più accese su particolari non secondari del progetto albertiano (come la copertura e la cupola), i rapporti epistolari per modificare in corso d’opera il progetto stesso, forse anche qualche viaggio a Roma di Matteo per consultare di persona l’Alberti: contatti e frequentazioni che determinarono scambi di informazioni e di libri, di manifestazioni di reciproca stima, e soprattutto l’arrivo o l’approfondimento di nuove idee nel cantiere malatestiano119. In queste quattro medaglie (compresa forse quella del canonico Benedetto de’ Pasti, fratello di Matteo, dal bellissimo e misterioso rovescio)120 c’è comunque una così attenta considerazione delle proporzioni, una così sottile investigazione delle superfici, una così avanzata ricerca di coe92
renza e di astratta armonia, che mi sembra impossibile pensarle come «opere prime» di un giovane che si è formato nel terzo decennio del secolo nell’ambito della cultura pisanelliana e veneta, sia pure considerando che il classicismo di alcuni centri del Veneto, come Verona e soprattutto Padova, ha radici lontane e profonde. Tra l’altro si noti che nel verso di tutte e quattro le medaglie in questione ‘trionfano’ le corone, per la prima volta credo nella medaglistica rinascimentale. Si tratta di un motivo che il Pisanello non ha mai usato, ma che era caro alla numismatica antica ed era caro a Leon Battista Alberti, che l’ha impiegato a Rimini nel Tempio Malatestiano in accezione celebrativa, e che l’aveva riproposto all’attenzione degli scultori e degli architetti fiorentini. Sono presenti anche influenze fiorentine, cioè ghibertiane e donatelliane (a dimostrare come ormai l’orizzonte delle esperienze artistiche del Pasti sia ampio, e come le sue scelte culturali siano libere), da sottolineare specialmente nella bellissima medaglia del Guarino, che curiosamente presenta alcune lettere dell’iscrizione di gusto ancora gotico (la G ed alcune E), come appunto succedeva ancora a Firenze e come quasi costantemente succede nelle iscrizioni di Piero della Francesca121. Dunque all’alfabeto aulico, classicheggiante in lettere quadrate, proposto e diffuso dall’Alberti, si faceva ancora qualche opposizione, preferendo la raffinatezza di certe forme arcaiche. Non mi sembra ci possano essere dubbi, dunque, nel collocare queste medaglie ben all’interno dell’attività del Pasti, oltre la metà del secolo, fra il primo e il secondo gruppo di medaglie malatestiane. Ancora più tarda, e anzi l’ultima medaglia pastiana in assoluto, almeno come concezione e realizzazione, credo invece sia quella generalmente così poco considerata ed apprezzata (e così rara) raffigurante il busto del Salvatore di profilo al recto e la Pietà al verso (Hill 162): anch’essa da-
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Agostino di Duccio, La Botanica, bassorilievo nella cappella detta “delle Arti liberali”. Rimini, Tempio Malatestiano.
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Copia da un esemplare di una medaglia sconosciuta con Sigismondo Poliorcites et imperator semper invictus (bronzo, diametro mm. 88, Hill 190); senza rovescio. Rimini, Museo della Città.
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tata, al solito, agli anni giovanili dell’artista, ma senza considerare i suoi aspetti stilistici. È vero che esiste un disegno pisanelliano con un profilo di Cristo simile a questo122, e che si può riscontrare qualche affinità con la medaglia di Cecilia Gonzaga del Pisanello; però qui tutti gli elementi del recto conducono decisamente verso l’arte nuova di Piero della Francesca e di Leon Battista Alberti, dall’iscrizione regolarissima, all’isolamento maestoso del busto che campeggia sul fondo liscio, al nimbo rigorosamente scorciato come nei pittori più ‘moderni’ (specialmente Domenico Veneziano, Piero della Francesca e tutti i seguaci di quest’ultimo, fino ai Lendinara), realizzato in scultura per la prima volta, e con grande coerenza, da Desiderio da Settignano solo intorno o dopo il 1460. Non è improbabile un ulteriore, rinnovato contatto di Matteo con l’arte fiorentina, magari tramite l’Alberti; lo postula anche il rovescio di questa stessa medaglia, che mentre segna un ri-
piegamento su posizioni gotiche, se non altro per il suo descrittivismo quasi naive, sembra vada messa in qualche connessione con la Pietà di Donatello a Padova e con quella donatelliana del Victoria and Albert Museum di Londra. Ma ancora un’altra Pietà occorre qui richiamare, collegabile con l’ultima non per stile, ma per significato: quella di Rimini, dipinta da Giovanni Bellini su commissione avuta - afferma il Vasari123 - da Sigismondo. Dove e quando? Probabilmente a Venezia nel 1466, al ritorno dalla guerra contro i Turchi in Morea: un’impresa che aveva distrutto moralmente e fisicamente il signore riminese, e che in pratica gli aveva fruttato solo le reliquie di Gemisto Pletone. Può darsi che la medaglia del Salvatore sia da mettere in rapporto con questo ritorno e con il desiderio, e forse il tentativo, di riprendere i lavori del Tempio rimasti interrotti per più di cinque anni124. Potrebbe anche essere una medaglia votiva, fusa poco prima della partenza (1464) per questa singolare crociata; in ogni caso penso si tratti di una delle ultime opere del nostro artista. Ma questa medaglia può fornire anche altri spunti di riflessione, e soprattutto altri indizi per quanto riguarda l’attività del Pasti. I morbidi puttini che appaiono accanto al Cristo in pietà, nel suo rovescio, non si possono semplicemente collegare con quelli di Agostino di Duccio nel Tempio, che sono cugini e talvolta anche fratelli di quelli di Donatello e di Michelozzo. I ‘pupi’ di Matteo, così patetici e soffici, appartengono a tutt’altra famiglia e si dichiarano piuttosto parenti degli angioletti veneti e lombardi dei miniatori e dei pittori dei primi decenni del secolo. Di simili, a questa data, se ne possono trovare tra le volute ornamentali nei bordi di un bel codice malatestiano con l’Hesperis di Basino conservato a Oxford, attribuito al miniatore Bartolo Bettini da Fano per la sua somiglianza con due codici analoghi, da lui firmati, a Parigi e in Vati-
Matteo de’ Pasti: problemi di stile e di cronologia
cano125. Il codice di Oxford, non firmato, è però di diversa e più alta qualità, e deve essere considerato il prototipo degli altri due; credo che sia da attribuire al Pasti, ritornando così ad un’ipotesi espressa più di mezzo secolo fa126. In quelle miniature si ritrova infatti quel gusto della descrizione e del racconto precisi e con continue variazioni sul tema che è tipico del Pasti medaglista: i castelli hanno una prospettiva fantasiosa e incerta, ma i loro particolari sono precisati uno ad uno come nelle medaglie; i paesaggi sono minutamente descritti secondo i canoni del naturalismo gotico, ma risultano immersi in una luce tersa, chiara ed uniforme: sono stati composti senza dubbio da qualcuno che ha conosciuto Piero della Francesca e
ne ha intuito la poesia, anche senza veramente comprenderla e senza riuscire a dimenticare la propria formazione ‘gotica’127. Strana la carriera di Matteo de’ Pasti: cominciata con la miniatura e conclusa forse con la miniatura, ma con quel lungo intermezzo, importante, importantissimo, da medaglista; cominciata guardando il Pisanello e conclusa ricordando il Pisanello. Un percorso attraversato e illuminato dall’arte dell’Alberti, di Piero, di Agostino e di Donatello, che l’hanno portato ad evoluzioni e sviluppi, ma che non si è mai trasformato sostanzialmente, né ha mai negato le sue origini gotiche. Il tutto in un giro di anni molto breve: quindici, al massimo venti, non di più.
Matteo de’ Pasti, Ritratto di Guarino da Verona, medaglia di bronzo. Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection.
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Il tesoro di sigismondo Matteo de’ Pasti, medaglia per Guarino da Verona (bronzo, diametro mm. 92, Hill 158). Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection.
Matteo de’ Pasti, medaglia per Timoteo Maffei (bronzo, diametro mm. 90, Hill 159). Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection.
Matteo de’ Pasti, medaglia per Benedetto de’ Pasti (bronzo, diametro mm. 90, Hill 160). Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection.
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Ma perché indagare su spostamenti cronologici ‘minimi’ all’interno di un arco di tempo così piccolo, specialmente ora che ritornano di moda i periodi lunghi, le “lunghe durate”? Le ragioni particolari sono molte, e tra esse potrebbero avere un certo peso e il tentativo di ancorare meglio al suo tempo e alla sua cultura un’attività artistica come quella della medaglia troppo spesso considerata a sé, come ‘specialistica’; e la speranza di individuare la giusta sequenza temporale delle opere che permetta di formulare un più corretto giudizio critico sulla personalità di un artista molto ammirato, ma poco compreso, come si accennava all’inizio. C’è poi una ragione generale assai più importante che dovrebbe giustificare un’indagine così minuta: proprio in quel breve, intenso giro d’anni si conclude la stagione sperimentale e rivoluzionaria dell’Umanesimo. In quel periodo cruciale e magnifico, così pieno di invenzioni e contraddizioni, già si cominciano ad esorcizzare le avanguardie e a sistematicizzare le innovazioni. È in quel momento che comincia a nascere il classicismo con tutte le sue sicurezze e le sue regole che permetteranno agli artisti un tono estetico medio-alto costante. Ma è anche da quel momento che comincia a farsi rara, e forse a morire, la poesia. Nell’arte delicata e sottile della medaglia ancor prima che nelle altre arti. Vediamo ora di fare il punto, riassumendo e schematizzando, sul percorso di Matteo de’ Pasti, come si è venuto delineando sulla scorta delle nuove osservazioni e usufruendo di vecchie e meno vecchie notizie128. L’avvio è misterioso, perché è costituito da una attività come pittore e miniatore che ci è del tutto sconosciuta, al servizio di Piero di Cosimo de’ Medici (1441) e degli Estensi; da questi ultimi Matteo riceve ancora pagamenti nel 1446. Si ri-
Matteo de’ Pasti, medaglia per Leon Battista Alberti (bronzo, diametro mm. 92, Hill 161). Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection.
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Matteo de’ Pasti, medaglia con il Busto del Redentore al dritto e la Pietà al rovescio (bronzo, diametro mm. 93, Hill 162). Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection.
Artista pisanelliano, Studio per medaglia con il busto del Redentore, disegno a penna. Parigi, Louvre, 2305.
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cordi che fra il 1441 e il 1447 è a Ferrara, dove lavora come pittore e medaglista, il Pisanello. Nessun documento invece garantisce la presenza a Rimini del Pisanello, solitamente ammessa nel 1445, e di Matteo nel 1446. Solo dal 1449 siamo certi della presenza del Pasti a Rimini: non doveva esservi arrivato da molti anni, ma neanche da pochi giorni; infatti vi si era già accasato e ammogliato (nel 1449 gli fu versata la dote della moglie). Alla stessa data sono presenti a Rimini Agostino di Duccio e un paio di lapicidi veneziani, forse incaricati di decorare le cappelle gentilizie di Sigismondo Malatesta e di Isotta degli Atti nella chiesa di San Francesco (il futuro “Tempio Malatestiano”), iniziate nel 1447. Il 1447 appunto figura su una medaglia di Sigismondo (Hill 182) che forse è da considerare la prima medaglia nota di Matteo: impossibile dire, per ora, se quella data è commemorativa di una qualche carica o vittoria militare (come sembrerebbe) o di qualche altro avvenimento (per esempio la fondazione delle due cappelle) o se si riferisce all’anno della fusione. Sicuramente hanno un carattere commemorativo
le date 1446 e 1450 che compaiono su tutte le medaglie malatestiane successive. Le più antiche sono databili intorno al 14491450 e raffigurano al recto Sigismondo e al rovescio la fortitudo (Hill 184, 178); ad esse seguono immediatamente quelle con al rovescio Castel Sismondo (Hill 174) e lo stemma personale di Sigismondo (Hill 165), databili fra gli ultimi mesi del 1450 e i primi del 1451. Le medaglie di questo gruppo conservano in parte influssi pisanelliani, ma l’artista già vi rivela la sua personalità, caratterizzata da un istintivo naturalismo temperato dal gusto per for-
Matteo de’ Pasti: problemi di stile e di cronologia
me semplici, per il modellato nitido, per le composizioni chiare e armoniche. A questo gruppo, e quindi a questi anni (14491451) può essere associata la medaglia di Isotta con l’angelo (Hill 170), che assomiglia molto a quella di Sigismondo con lo stemma (Hill 165) e che presenta nel rovescio influenze gotiche, e di un goticismo veneto e settentrionale. A Rimini fra il 1449 e il 1452 si lavora intensamente alla decorazione delle cappelle malatestiane in San Francesco, probabilmente su uno schema di Matteo; quella di San Sigismondo viene consacrata il I maggio 1452. Nell’anno precedente Piero della Francesca aveva eseguito nell’ambiente fra le due cappelle il suo celebre affresco. Sigismondo decide di trasformare completamente la chiesa di San Francesco e prende i primi contatti con Leon Battista Alberti proprio in quegli anni (1451-1452). Matteo de’ Pasti è la figura chiave di tutta l’impresa architettonico-decorativa ed è incaricato di tenere i contatti fra il signore, l’architetto, il cantiere, le maestranze, come rivela la corrispondenza malatestia-
Donatello, La Pietà (bronzo). Padova, Basilica del Santo.
na del 1454. All’esterno l’edificio cresce lentamente: nel 1454 è ancora al livello dello stilobate e l’Alberti progetta varianti di una certa consistenza; all’interno invece si lavora alle cappelle di sinistra. Si tratta di anni di intenso impegno e proficui contatti: oltre che con l’Alberti, con Firenze, il Veneto, Roma e tutte le maggiori corti italiane. Il Matteo “medaglista”, oltre a produrre le medaglie a cui si è accenna-
Donatello, La Pietà (marmo). Londra, Victoria and Albert Museum.
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Giovanni Bellini, La Pietà (tavola). Rimini, Museo della Città.
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Il tesoro di sigismondo Desiderio da Settignano, Gesù e san Giovanni ( marmo). Washington, National Gallery of Art, Andrew W. Mellon Collection.
Fregio miniato da l’Hesperis di Basinio da Parma, Oxford, Bodleian Library, Canon. Class. Lat. 81, f. 50 r.
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to sopra, nel 1453 o subito dopo modella la prima medaglia di Isotta con l’elefante (Hill 167), in cui sembra di scorgere una maggior delicatezza plastica ed una maggior solennità. Questi caratteri si riscontrano, accentuati, nella produzione successiva del Pasti, a cominciare dalla medaglia commemorativa della fondazione del Tempio, del 1453-1454, con un nuovo tipo di ritratto al recto: Sigismondo armato (Hill 183). Dal 1454 al 1460 il signore di Rimini verrà sempre rappresentato così, oltre che nelle medaglie, nelle sculture di Agostino e di altri artisti. Fra il 1454 e il 1455-56 dovrebbero essere state modellate da Matteo, che le ha firmate, le sue uniche medaglie non
malatestiane: di Timoteo Maffei, Guarino Guarini, Benedetto de’ Pasti (tutti veronesi) e Leon Battista Alberti (Hill 159, 158, 160, 161). Si tratta di opere che rivelano una maturazione stilistica notevole, un’ampia conoscenza degli avvenimenti artistici moderni, e soprattutto la meditazione sull’arte di Piero della Francesca e dell’Alberti: quest’ultimo è l’indiscusso ispiratore dell’arte ufficiale malatestiana negli anni fra il 1450 e il 1456. Le medaglie successive (Hill 184, 187), in cui la firma di Matteo non compare mai, costituiscono rielaborazioni, e non varianti, in chiave classicheggiante di quelle del primo gruppo. Uniche vere ‘invenzioni’ sono le medaglie di Isotta con il libro chiuso (Hill 189, 188). Queste opere si dovrebbero scalare fra il 1454 e il 1460, anni in cui, oltre ai lavori del Tempio Malatestiano (abbandonati da Agostino di Duccio al più tardi tra la fine del 1456 e l’inizio del 1457), Matteo segue tutti i lavori di architettura (specialmente militare) dello stato malatestiano. Con il 1461 la situazione di Sigismondo diventa precaria; naturalmente ai guai politici e militari si accompagnano quelli economici, che costringono ad interrompere anche i lavori del Tempio. Matteo viene inviato a Maometto (1461), ma è arrestato dai Veneziani a Candia e fatto rimpatriare: portava con sé, tra l’altro, un
Matteo de’ Pasti: problemi di stile e di cronologia
esemplare del De Re Militari di Roberto Valturio, scritto, decorato e miniato a Rimini. Dopo questa data (e forse anche prima) probabilmente si dedica alla miniatura. Sigismondo, scomunicato, bruciato in effigie, sconfitto (1461-1462), cerca di risollevare le sue fortune recandosi nel 1464 in Morea al comando di truppe venete per combattere contro i Turchi. Ritorna a Rimini nel
1466 e vi si spegne due anni dopo (9 ottobre 1468). Poco prima doveva essere morto Matteo, che negli ultimi anni di vita oltre a dedicarsi alla miniatura aveva modellato ancora una medaglia, quella del Salvatore (Hill 162): prezioso documento della sua arte, in bilico fra il nuovo e il vecchio; singolare confessione di fiducia nell’uomo e di fede religiosa; e forse sottile allegoria della
Schema geometrico sull’ultima versione della medaglia di Matteo de’ Pasti per Isotta degli Atti.
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Il tesoro di sigismondo
Matteo de’ Pasti, l’ultima versione della medaglia per Sigismondo Malatesta con Castel Sismondo al rovescio (bronzo, diametro mm. 80, Hill 185). Rimini, Museo della Città.
Matteo de’ Pasti, Medaglia con Isotta velata al dritto e il libro chiuso al rovescio (bronzo, diametro mm. 4,15, Hill 189). Rimini, Museo della Città.
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condizione del suo principe, ormai costretto a riporre le sue speranze solo nella pietà del Salvatore. Nel 1468 l’Alberti è lontano e lavora per i Gonzaga; anche Agostino, finalmente rientrato in una Firenze che, se non ostile, ormai gli è estranea, è lontano; Piero della Francesca invece è vicino, tra Urbino e Sansepolcro, ma lavora per Federico da Montefeltro, il ‘tradizionale’ nemico
di Sigismondo. A Rimini non ci sono ormai più né artisti, né poeti ; né occorrono più medaglisti. Tra poco, tuttavia, calerà nella zona lo Sperandio, che a Faenza e a Bologna faticosamente modellerà molte medaglie ricordando il Pisanello e il Pasti: cioè secondo una tradizione destinata a spegnersi presto tra le mani degli “incisori di zecca”.
note
Matteo de’ Pasti, Elefante malatestiano, rovescio di una medaglia per Isotta (bronzo, diametro mm.83, Hill 187). Rimini,Museo della Città .
note
G. Fantaguzzi, “Caos”, Cronache Cesenati del Sec. XIV, a c. di D. Bizzochi, Cesena 1915, p. 274.
1 Il passo è citato da L. Rossi, Di un delitto di Sigismondo Malatesta, in “Rivista di Scienze Storiche”, Pavia 1910, app. IV; G. Soranzo, Pio II e la politica italiana nella lotta contro i Malatesti, Padova 1911, p. 457; F. Arduini, La vita di Sigismondo Pandolfo Malatesta, in Sigismondo Pandolfo Malatesta e il suo tempo, mostra storica, Vicenza 1970, p. 30.
15
G. Soranzo, op. cit.; Idem, Sigismondo Pandolfo Malatesta in Morea e le vicende del suo dominio, in “Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le province di Romagna”, serie IV, vol. VIII, Bologna 1918, pp. 211-280. Cfr. anche P.J. Jones, The Malatesta of Rimini and the Papal State, Cambridge 1974, pp. 240-261.
17
2
Soranzo, op. cit., 1918, p. 218.
3
Idem, p. 224.
G. Vitali, Memorie storiche risguardanti la Terra di M. Fiore, Rimini 1828, p. 69.
16
Nell’appendice alla ristampa dell’opera sopra citata, curata da G. Cipriani, Rimini 1992, è un capitoletto intitolato Una cronaca montefiorese di tutti i tempi: il tesoro dei Malatesta, con le notizie delle ricerche e del fulmine (pp. non numerate). Più volte in articoli sui quotidiani locali è stata riproposta la leggenda del tesoro di Montefiore; cfr. da ultimo G. Martelli, Un tesoro invisibile a tutti che però attira i fulmini, in “Il Resto del Carlino”, EmiliaRomagna primo piano, 12 settembre 2004, p. 5. P.G. Pasini, in Le fontane di Rimini, Rimini 1993, p. 130.
4
18
C. Clementini, Raccolto istorico della fondatione di Rimino, e dell’origine, e vite de’ Malatesti, II, Rimini 1627, p. 448.
L. Rizzoli, Teche e medaglie murali carraresi, in “Bollettino del Museo Civico di Padova”, II, 1879, pp. 56-58; R. Weiss, Un umanista veneziano. Papa Paolo II, Venezia-Roma 1958, p. 70.
5
F.G. Battaglini, Della vita e de’ fatti di Sigismondo Pandolfo Malatesta signore di Rimino, in Basinii Parmensis poetae Opera praestantiora, II, 2, Rimini 1794, pp. 534 e 665.
19
6
Filarete, Trattato d’architettura, a c. di A.M. Finoli e L. Grassi, Milano 1972, p. 104.
20
P.G. Pasini, I Malatesti e l’arte, Cinisello Balsamo (Milano) 1983, p. 65.
21
R. Weiss, Un umanista veneziano. Papa Paolo II, Venezia-Roma 1958.
C. Ricci, Il Tempio Malatestiano, Milano-Roma 1924, p. 232.
22
Cfr. il III capitolo.
G. Soranzo, op. cit., 1918, p. 262.
23 Questa tesi, già formulata in P.G. Pasini, I Malatesti e l’arte, op. cit., p. 147, è ripresa da O. Delucca, op. cit., p. 786.
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8
9
10
Ibidem, p. 269, nota 1.
Il profilo migliore di Sigismondo, per quanto riguarda affidabilità ed equilibrio, è ancora quello tracciato da F. Arduini in Sigismondo Pandolfo Malatesta, mostra storica (cat.), Vicenza 1970, pp. 3-35.
24
Filarete, op. e loc. cit.
11
Il documento, conservato nell’Archivio di Stato di Rimini, Carte Zanotti, b. II, è stato pubblicato per la prima volta da F.G. Battaglini, op. cit., pp. 673-684. L’edizione migliore è quella di O. Delucca e E. Tosi Brandi in Castel Sismondo, Sigismondo Pandolfo Malatesta e l’arte militare del primo Rinascimento, Cesena 2003, pp. 337-355.
12
M. Sanudo, Diarii, tomo V, Venezia 1881, coll. 848-849, cit. da O. Delucca, Artisti a Rimini fra Gotico e Rinascimento. Rassegna di fonti archivistiche, Rimini 1997, pp. 786, 788.
13
C. Gozi, La famiglia dei Conti Oliva di Piagnano e di Piandimeleto, in “Libertas Perpetua”, A. X (1942), n. 1, p. 71.
14
Sul Pisanello medaglista si vedano soprattutto i contributi nei cataloghi delle recenti mostre dedicate all’artista a Parigi e a Verona. Per un’antologia di lodi umanistiche al Pisanello: A. Venturi in G. Vasari, Gentile da Fabriano e il Pisanello, edizione critica, con note e documenti, Firenze 1896, pp. 35, 40-41, 49-67.
25
26
A. Venturi, op. cit., p. 63.
È già citata in una lettera di Paolo Giovio del 1551, citata dal Vasari, come opera di Pisanello (in Le opere di Giorgio Vasari con nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi, T.III, Milano 1906, p. 11). A proposito di falsi vale la pena ricordare, ma solo perché riguarda il principale erudito riminese del Settecento, che il dottor Giovanni Bianchi (alias Jano Planco) si era fatto appositamente eseguire nel 1765 una falsa medaglia malatestiana: il 26 marzo di quell’anno il Bianchi saldava un debito di due paoli a un ignoto frate bolognese «per quello che aveva favorito di spendere nel far
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Il tesoro di sigismondo gettare, e nel mandarmi quella medaglia d’Isotta»: cfr. A. Potito, Rimini dei secoli XV al XIX, II, Rimini 1979, p. 392. Evidentemente non crede a questa originalità – per il suo tempo, naturalmente – e singolarità d’uso G. Castiglioni, Sulle labili orme di Matteo de’ Pasti, in “Verona illustrata”, XV (2002), p. 47.
28
J. Graham Pollard, Medaglie italiane del Rinascimento, Museo Nazionale del Bargello, Firenze 1983, p. 10.
29
G. Dal Re, Notizie della famiglia De’ Pasti, in “Madonna Verona”, V, 1911, pp. 177-192, 218-226; O. Delucca, Artisti a Rimini fra Gotico e Rinascimento. Rassegna di fonti archivistiche, Rimini 1997, pp. 324-351.
30
A. Calabi-G. Cornaggia, Matteo de’ Pasti, Milano [1926], p. 29; G.F. Hill, A Corpus of Italian Medals of the Renaissance before Cellini, Londra 1930, p. 41; E. Camesasca, Artisti in bottega, Milano 1966, p. 254; U. Middeldorf, On the Dilettante Sculptor, in “Apollo”, 194, aprile 1978, p. 322; G. De Lorenzi, Medaglie di Pisanello e della sua cerchia, cat. Mostre del Museo Nazionale del Bargello, Firenze 1983, p. 51; ecc. 31
32 Cfr. P.G. Pasini, Il Tempio Malatestiano. Splendore cortese e classicismo umanistico, Milano 2000, p.19; cfr inoltre idem, in Italian Medals, 1987, p. 146 (ora nel IV cap. nel presente volume).
Tra gli altri quello dipinto da Cristoforo dell’Altissimo nella raccolta gioviana degli Uffizi a Firenze (cfr. P.G. Pasini in Malatesta Novello magnifico signore. Arte e cultura di un principe del Rinascimento, cat. della mostra di Cesena, Bologna 2002 pp. 103-104); per le incisioni cfr. Il Tempio di Sigismondo. Grafica malatestiana fra Rinascimento e Novecento, cat. a c. di F. Farina e P.G. Pasini, Rimini 2000.
33
Di grande interesse quelli composti e incisi da Carlo Giuseppe Fossati nel suo volume Le Temple de Malateste de Rimini, Foligno 1794; ma si tenga conto anche del piccolo “trofeo” in marmo e bronzo della Biblioteca Comunale Antonelliana di Senigallia (1879) e dei rilievi in stucco della Collegiata di Verucchio.
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35
A. Calabi, G. Cornaggia, Matteo de’ Pasti, Milano 1926, p. 17.
Di questo tipo è l’unica medaglia malatestiana d’argento sicuramente autentica fino ad ora rinvenuta; pubblicata da F. Panvini Rosati, Un’inedita medaglia d’argento di Sigismondo, in “Rimini storia, arte e cultura”, luglio-dicembre 1969, pp. 195-199: «… L’eleganza e la leggerezza della composizione, ove la giustapposizione di vari elementi poteva ingenerare un senso di pesantezza, rivelano l’abilità dell’artista che si dimostra anche nell’adattamento di tutta la complessa figurazione al campo rotondo della medaglia e nell’inserimento in essa con fine senso decorativo delle lettere ben evidenti della leggenda» (p. 199).
36
In Giorgio Vasari, Gentile da Fabriano e il Pisanello, edizione critica, Firenze 1896, p. 72.
37
G.F. Hill, The Medals of Matteo de’ Pasti, in “Numismatic croniche”, s. IV, vol. XVII, Londra 1918; Idem, A corpus…, cit.
38
39 F.G. Battaglini, Memorie istoriche di Rimino e de’ suoi signori ad illustrare la zecca e la moneta riminese, Bologna 1789, pp. 237, 246-265, tavole 1-4. Oltre all’elenco del Righini, qui di seguito trascritto, va segnalato l’inedito manoscritto 1729 della Biblioteca Oliveriana di Pesaro, opera di Domenico Bonamini-Pepoli, che è un incompiuto catalogo di Medaglioni di bronzo spettanti alle Famiglie dei Malatesta, Carrara ecc, con sommarie illustrazioni a penna (le medaglie malatestiane, in numero di 23, alle cc. 1-12). Il ms. del Righini, Nuovo ed esatto campione di questo nostro convento de Minori Conventuali di S. Francesco di questa città di Rimini da me F. Francesco Anton Maria Righini…composto … incominciandolo a qui scriverlo in questo giorno 15 marzo 1756, è conservato a
108
Forlì, Biblioteca Comunale, Fondo Piancastelli, ms I/13, p. 273: «Non sarà cred’io disaggradevole al benigno lettore la seguente erudizione di tutte le medaglie che in diversi tempi e circostanze fece battere Sigismondo Pandolfo Malatesta figlio di Pandolfo III Signore di Rimino. … Tra le medaglie che fece vedere questo Principe una v’è di bronzo di mezzana grandezza in cui si vede la testa di esso Sigismondo con queste lettere attorno: Sigismundus P. D. Malatestis S. R. Eccl. C. Generalis, e nel rovescio vi è un gran cimiero che finisce colla testa di elefante; e sotto questo cimiero vi è un piccolo scudo con le lettere SI e sopra vi sono le cinque altre O.M.D.P.V. che dicono Opus Matthei de Pastis Veronensis e sotto vi è notato MCCCCXLVI. 3. Questa cosa fu anche fatta rappresentare da Sigismondo nel rovescio di quelle piccole monete, che egli fece battere con l’effigie del S. Gaudenzo e Giuliano Protettori di Rimino, le quali monete sono portate e descritte dal sig.e Abbate D. Vincenzo Bellini Curato di Casana vicino a Ferrara nella sua erudita dissertazione intorno alle monete inedite delle Città d’Italia stampata l’anno 1755 in Ferrara. … Un’altra di gran bronzo su cui vedesi la testa di Sigismondo con parte di busto con armatura, e lettere in giro: Sigismundus de Malatestis Arimin. Et Romanae Ecclesiae Capitaneus Generalis. Nel rovescio poi si mira il medesimo a cavallo vestito alla militare, che nella destra tiene un bastone, e colla sinistra la briglia, ed in lontananza vi è un edificio colle di lui armi ed evvi notato l’anno MCCCCXLV. Sotto al cavallo si legge Opus Pisani Pictoris. 4. Un’altra di gran bronzo con la di lui testa e lettere in giro: Sigismundus Pandulfus de Malatestis Eccl. Cap. Generalis e nel rovescio vi è una figura che rappresenta una donna, la quale colle mani spezza una colonna, ch’è simbolo della fortezza di Sigismondo, e nell’esergo vi è MCCCCXLVI. 5. Un’altra simile di mezzana grandezza che nel diritto è simile alla sud.a, ma nel rovescio tiene la figura della Fortezza, che sta a sedere sopra una gran sedia ed in giro evvi l’anno sud.o MCCCCXLI. 6. Un’altra si vede in gran bronzo che Sigismondo fece gettare in occasione della fabbrica del suo castello, nel diritto della quale si vede la di lui testa con all’intorno: Sigismundus Pandulfus de Malatestis S. R. Eccl. Cap. Generalis e nel rovescio vedesi il detto Castello con le lettere in giro Castellum Sismondum Ariminense MCCCCLVI. 7. Altra quasi simile di non minor grandezza con picole variazioni, cioè la testa nel diritto con parte di busto ed armatura, e le sole parole in giro: Sigismundus Pandulfus Malatesta Pan. F. e nel rovescio il Castello sud. e le lettere Sismundum non Sismondum. 8. Un’altra vi è di picol bronzo con la testa di Sigismondo attorno a cui si legge Sigismundus Pandulfus Malatesta e porta nel rovescio un braccio vestito, la di cui mano stringe un ramo di palma con quest’epigrafe: Pontifici Exercitus Imp: MCCCCXLVII. 9. Ve n’è un’altra similmente di bronzo di mezzana grandezza con da una parte la testa di Sigismondo coronata d’alloro con le lettere in giro: Sigismundus Pandulfus Malatesta Pan. F. e nel rovescio vi è la facciata di questa Chiesa o Tempio di Rimino con la gran cupola, e le seguenti parole: Praecl. Arimini Templum An. Gratiae V. F. MCCCCL. Di questa sorte di medaglie nota il Clementini parte 2. lib…. fol….che ne furono stampate anche molte d’oro di peso di scudi quaranta l’una. 10. Un’altra dicesi essere in Firenze presso il Sig. Barone di Stoi in gran piombo con la testa di Sigismondo e parte di busto con armatura e queste lettere in giro: Sigismundus Pandulfus de Malatestis Arimini Fani D. e nel rovescio vi è il medesimo Prencipe stante con armatura di ferro, a mano destra vi è il cimiero colla corona che finisce colla testa di elefante e a sinistra le di lui armi, e nel essergo legesi Opus Pisani Pictoris. 11. Prima medaglia d’Isotta in gran bronzo nel diritto vi è Isotta colle parole all’intorno Isote Ariminensi forma et virtute Italie decori, e nel rovescio si rappresenta l’elefante colle parole di sopra Opus Matthei de Pastis , e sotto MCCCCXLVI. 12. Un’altra ve n’è di gran bronzo che nel diritto mostra Isotta con una mirabile conciatura e le lettere in giro D. Isotte Ariminensi, e nel rovescio l’elefante sud., ma senza altre lettere e col solo MCCCCXLVI. 13. Un’altra mezana in bronzo che ha nel diritto Isotta colle lettere Isotte Ariminensi forma et virtute decori; e nel rovescio un genio volante con corona di rose in mano ed il MCCCCXLVI. 14. Altra simile in mezzano bronzo, che mostra nel diritto Isottae Ariminens. MCCCCXLVI e nel rovescio un libro serrato con all’intorno le lettere Elegiae. 15. Oltre le sud.e altra ne viene riferita da mons.Giovio in una lettera che scrive al Duca Cosimo di Firenze stampata dic’egli di Vitore Pisano in forma maiuscola con al rovescio Madonna Isotta da Rimino.»
Note 40 Nel catalogo di alcune mostre: Sigismondo Pandolfo Malatesta e il suo tempo (Rimini), Vicenza 1970; Le medaglie dei Malatesta dei Musei Comunali (Sportello Arte), Rimini 1986; Piero e Urbino, Piero e le Corti rinascimentali (Urbino), Venezia 1992; Cortesia e geometria, Rimini 1993; Medioevo fantastico e cortese, Rimini 1998; Malatesta Novello magnifico Signore (Cesena), Bologna 2002; nei volumi I Malatesti e l’arte, Cinisello Balsamo (MI) 1983; La Pinacoteca di Rimini, Cinisello Balsamo (Milano) 1983; Piero e i Malatesti Cinisello Balsamo (Milano) 1992; nella voce Pasti, Matteo de’, del “Dictionary of Art” dell’ed. Macmillan, Londra 1988.
17-39; A. Dillon Bussi, Due ipotesi per Matteo de’ Pasti miniatore, in Piero della Francesca tra arte e scienza, Atti del Convegno (1992), a c. di M. Dalai Emiliani e V. Curzi, Venezia 1996, pp. 455-474; M. Minardi, R. Martini, F. Toniolo in Cosmè Tura e Francesco del Cossa. L’arte a Ferrara nell’età di Borso d’Este, cat. a c. di M. Natale, Ferrara 2007. La questione è ben sintetizzata da G. Castiglioni, op. cit., 2002, pp. 8-18. 52
In M. Baxandall, Giotto e gli umanisti, Milano 1994, p. 136.
P.G. Pasini, I Malatesti e l’arte, cit., pp. 152-153; idem, Piero e i Malatesti, cit., pp. 112-114.
53
P.G. Pasini, Note su Matteo de’ Pasti e la medaglistica malatestiana, in La medaglia d’arte, atti del primo convegno internazionale di studio (Udine 10-12 ottobre 1970), Udine 1973, pp. 41-75.
41
Per la prima volta, che io sappia, in Medaglie di Pisanello e della sua cerchia, a c. di G. De Lorenzi (Mostre del Museo Nazionale del Bargello, cat.), Firenze 1983. Mi piace sottolineare che utili esami metallografici delle medaglie - suggeriti nel saggio precedentemente citato - sono stati eseguiti su quelle della National Gallery di Washington (J.G. Pollard, Renaissance Medals, I, The Collections of the N. G. of Washington, Sistematic Catalogue, New York-Washington 2007).
42
P.G. Pasini, Matteo de’ Pasti: Problems of Style and Chronology, in Italian Medals, edited by G. Pollard, Studies in the History of Art, vol 21, del Center for Advanced Study in the Visual Arts, National Gallery of Art, Washington, 1987, pp. 143-159.
43
Su questo tema esistono molti contributi particolari, ma per una visione generale (sia pure riguardante soprattutto la corte ‘letteraria’) conviene ancora rimandare a A. Battaglini, Della corte letteraria di Sigismondo Pandolfo Malatesta signor di Rimino, in Basinii Parmensis Poetae Opera praestantiora, II, Rimini 1794, pp. 43-253; sul tema ho tenuto una relazione al convegno “The Filigree Hiding the Gothic. The Malatesta”, UCLA, Center for Medieval and Renaissance Studies, Los Angeles, 30 novembre - 1 dicembre 2006. Gli atti di tale convegno non sono ancora stati pubblicati, ma si può vedere il testo del mio saggio anticipato in “Romagna arte e storia”, 86, 2009.
54
P.G. Pasini, in Sigismondo Pandolfo Malatesta e il suo tempo, cat. della mostra (Rimini), Vicenza 1970, sch. 50, pp. 94-95.
56
G.F. Hill, A corpus of Italian Medals of the Renaissance before Cellini, London, 1930. A quest’opera ci si riferisce nel testo tutte le volte che si cita l’Hill. Mentre per i riferimenti all’Armand si rimanda a A. Armand, Les medailleurs italiens des quinzième et seizième siècles, Paris, 1883-87.
57
Cfr. specialmente G. Castiglioni, op. cit., pp. 5-57, cui si deve un saggio complessivo molto informato e di grande interesse.
44
45 U. Middeldorf, On the Dilettante Sculptor, in “Apollo”, 194, Aprile 1978, pp. 310-322.
P.G. Pasini, Lo Zodiaco di Agostino, in P. Meldini, P.G. Pasini, La Cappella dei Pianeti del Tempio Malatestiano, Cinisello Balsamo 1983, p. 46.
46
47 Ivi, , pp. 33-52; Idem, Il Tempio Malatestiano, Splendore cortese e classicismo umanistico, Milano 2000, p. 142.
Come ha ben riassunto Corrado Ricci (il quale si è astenuto da ogni attribuzione) in Il Tempio Malatestiano, Milano-Roma 1924, pp. 47, 455-456. A Matteo de’ Pasti è attribuito un calamaio di bronzo conservato al Museo dell’Hermitage, che reca le consuete iniziali OMDPV e la sigla di Sigismondo. Non ho mai visto questo oggetto (che è stato riprodotto da C. Yriarte e da E. Munz) verso cui però nutro più di un sospetto; probabilmente è lo stesso che nell’Ottocento si trovava a Rimini presso Antonio Bianchi: «Di Sigismondo possiedo un calamajo di bronzo di forma triangolare, come costumava in quell’epoca, con la sua solita sigla, e con le lettere iniziali dell’artefice Matteo de’ Pasti veronese, come si vede sopra alcune medaglie malatestiane fuse dal medesimo» come scriveva lo stesso Bianchi (in Storia di Rimino dalle origini al 1832, a c. di A. Montanari, Rimini 1997, p.156).
48
49 Cfr. da ultimo, con bibl. prec., Donatello e il suo tempo. Il bronzetto a Padova nel Quattro e nel Cinquecento, cat. della mostra (Padova), Milano 2001.
O. Delucca, Artisti a Rimini fra Gotico e Rinascimento. Rassegna di fonti archivistiche, Rimini 1997, pp. 324-351.
50
Cfr. specialmente Pisanello, Actes du colloque organisé au Musée du Louvre par le service culturel le 26, 27, 28 juin1996, a c. di D. Cordellier e B. Py, Paris 1998, II, e in particolare il saggio di M. Medica, Matteo de’ Pasti et l’enluminure dans les cours d’Italie du Nord, entre le gothique finissant et la Renaissance, p. 519 e segg.; inoltre H.J. Hermann, La miniatura estense, a c. di F. Toniolo, Modena 1994, pp. 66-67, 258; G. Mariani Canova, in Piero e Urbino, op. cit., pp. 258-259; S. Nicolini, Alcune note su codici riminesi e malatestiani, in “Studi Romagnoli”, XXXIX (1988), Bologna 1992, pp.
51
B. Nogara, Scritti inediti e rari di Biondo Flavio, Roma, 1927, pp. 159160.
58
C. Clementini, Raccolto istorico della fondatione di Rimino, II, Rimino 1627, p. 386 (è il solo a riportare l’intera lettera del Maffei, mentre il brano qui citato è riportato tra gli altri da: F.G. Battaglini, Memorie Istoriche di Rimino e de’ suoi Signori, artatamente scritte ad illustrare la zecca, e la moneta riminese, Bologna, 1789, p. 254; A. Battaglini, Della corte letteraria di Sigismondo Pandolfo Malatesta, in Basinii Poetae Opera Praestantiora, II, Arimini 1794, pp. 137-138; C.G. Fossati, Le Temple de Malateste de Rimini, Foligno, 1794, p. 42; C. Ricci, Il Tempio Malatestiano, Milano-Roma,. [1924], p. 57, n. 11; G.F. Hill, The Medals of Paul II, "numismatic chronicle", sez. A, X (1910), p 354.
59
F. Panvini Rosati, Un’inedita medaglia d’argento di Sigismondo, in "Rimini storia arte e cultura", Rimini, luglio-dicembre 1969, pp. 195-200. 60
(*Alla trascrizione di F.G. Battaglini, op. cit., p. 264 e C. Ricci, op. e loc. cit. sostituisco quella più esatta e completa di O. Delucca in Artisti a Rimini fra Gotico e Rinascimento. Rassegna di fonti archivistiche, Rimini 1997, pp. 788-789). I tipi descritti dal notaio sono tutti conosciuti, meno uno: la medaglia di Sigismondo, piccola, con al rovescio l’elefante; ma ritengo possa trattarsi di una medaglia uguale alla quartultima dell’elenco, con l’ymago di Sigismondo al recto e al verso l’ymago elefhantis cum arma SI (Hill, 165-166).
61
A.F. Massèra, Il sequestro di un corriere diplomatico malatestiano, "La Romagna", 1(1928), pp. 125-147.
62
63 Ibid., p. 138. Tanto negli ordini per Carignano, quanto in quelli per Fano, si potrebbe anche pensare che Sigismondo intendesse riferirsi a degli stemmi in pietra; ma i periodi sono strutturati in modo da rendere più plausibile l’ipotesi delle medaglie. Oltre a ciò si tenga conto che gli stemmi di Sigismondo fuori di Rimini sono abbastanza rari (ma ciò sarà dovuto alla perdita di quasi tutto il suo dominio) e che non ci è nota un’attività di scultore del Pasti.
109
Il tesoro di sigismondo Si veda la trascrizione di questa lettera in Z. Bicchierai, Alcuni documenti artistici non mai stampati, per Nozze Vai-Gentili Farinola, Firenze, 1855, pp. 9-10; C. Yriarte, Un condottiere au XV siècle. Rimini, études sur les Lettres et les Arts à la cour des Malatesta, Paris, 1882, pp. 419-420; e inoltre Ricci, op. cit., p. 39 e p. 588, e Pasini, in Cat. mostra Sigismondo, pp. 143144.
64
65 L. Mancini, Sigismondo Malatesta e la ricostruzione di Sinigaglia, in "Bollettino amici dell’arte e della cultura in Sinigaglia», 11-1V (1924-26), p. 19; R. Weiss, Un umanista veneziano - Papa Paolo II, Venezia-Roma, 1958, p. 72; G. Monti Guarneri, Annali di Senigallia, Ancona, 1961, pp. 105-106; A. Campana, Atti, Isotta degli, « Dizionario Biografico degli Italiani", IV, Roma, 1962, p. 548. La cronaca quattrocentesca di Senigallia è tuttora inedita e si trova nel cod. Urb. Lat. 992 (la notizia del torrione a c. 20 v) della Biblioteca Apostolica Vaticana; alcuni brani che interessano la ricostruzione di Sigismondo sono riportati dal Mancini, dal Weiss e dal Guarneri.
14. C. Clementini, op. cit., p. 256 bis; U. Branchi, Cronaca, ed a cura di A. F. Massera in R.I.S.2, t. XV, p. II, Città di Castello, 1924, p. 165.
66
E. Muntz, Les Arts à la cour des Papes, II, Paris 1879, p. 7 n. 1; Weiss, op. cit., p. 70.
67
B. Platina, De vita Christi et omnium pontificum, ed. a cura di G. Gaida in R.I.S., t. III, p. 389.
68
69
Mancini, op. cit., p. 20.
Cronache Malatestiane dei secoli XIV e XV, a cura di A.F. Massèra, in R.I.S2., cit., p. 134.
70
Calabi-Cornaggia, Matteo de’ Pasti, Milano [1926], p. 44. Sulla impossibilità di datare queste medaglie a dopo il 1454 si veda inoltre Pasini, Sigismondo, cat. 1970, cit., pp. 139-141, e Panvini Rosati, ivi, pp. 169-170.
71
C. Grayson, An Autograph letter from Leon Battista Alberti to Matteo de’ Pasti, New York, 1957.
72
73
Ricci, op. cit., p. 104.
Non si vuole qui affrontare il problema attribuzionistico delle medaglie fino ad ora date al Pasti perché è troppo complesso ed esula dai limiti di queste note. Basterà per ora accennare al fatto che Sigismondo poté servirsi anche di minori artisti locali, e non ne mancarono certo nel suo vasto dominio, che ci sono in buona parte ignoti, o malamente noti, come quel Pietro da Fano, medaglista, che prima di emigrare a Mantova e poi a Venezia fece probabilmente in patria qualche esperienza. Si vuole inoltre richiamare l’attenzione degli studiosi sul rovescio di questa piccola medaglia, in cui è rappresentato un braccio uscente da una nube che stringe nella mano un oggetto interpretato come una ferula, ma che è da ritenere invece una palma: la palma della vittoria che «ben s’addice in una medaglia commemorativa di un imperator exercitus», come scrive A. Tosi (p. 229) in un breve articolo a cui si rimanda per la discussione del problema e la bibliografia precedente: Alcune note sul Tempio Malatestiano, "La Romagna" II-III (1927), pp. 225229. Il motivo della mano con la palma, come non è ignoto alla numismatica classica (cfr. Hill, op. cit., p. 42), così non è sconosciuto alla medaglistica del Cinquecento, come dimostra questa splendida medaglia di Anonimo (Armand, II, p. 172, 40) che l’amico dott. Franco Bartolotti di Rimini mi ha offerto l’opportunità di vedere nelle sue raccolte e di riprodurre da una sua fotografia.
74
75
Calabi-Cornaggia, op. cit., p. 42.
76
Pasini, Cat. mostra Sigismondo, pp. 162-164, con bibl. prec.
77
Panvini Rosati, Cat. mostra Sigismondo, p. 169.
110
78
Campana, op. cit., pp. 548 e 553.
Nella cappella d’Isotta furono trovate nel 1947 alcune medaglie, ma erano tutte di Sigismondo (si veda qui in Appendice). Nella cappella, com’è noto, è il sepolcro d’Isotta; la cappella stessa era stata voluta e dotata da Isotta; se sue medaglie esistevano già quando si lavorava attorno a questa parte del Tempio, perché depositarvi solo medaglie di Sigismondo? Purtroppo però c’è il dubbio che questo rinvenimento, come si dirà più avanti, sia stato effettuato nella cappella attigua: ed in questo caso non ci sarebbe più stato motivo di celarvi medaglie di Isotta.
79
Purtroppo se qualche medaglia aurea originale di Sigismondo è stata conosciuta, è anche stata fusa da tempo [*C. Clementini nel 1627 conosceva una medaglia del Tempio in oro «di quaranta scudi di peso, come tra l’altre se ne vede oggidì una in mano degli eredi di Antonio Pancrazi Cavalier di Portugallo» (op. cit., p. 371)]. La speranza di ritrovarne in qualche deposito non deve sembrare assurda, proprio perché questi depositi erano costituiti per il desiderio di procurarsi fama postuma, come ha ben sottolineato il Weiss nell’op. cit. (dove l’interessante capitolo sulle medaglie murali, p. 69 e sgg., costituisce il contributo più intelligente ed aggiornato sull’argomento). Ai posteri non si potevano quindi tramandare prodotti scadenti o poco significativi (almeno in teoria, perché in pratica è accaduto: si veda il III ritrovamento del Malatestiano e la fig. 10), se si intendeva provocare la loro ammirazione o il loro interesse: ma certo ci si doveva anche augurare, all’atto della riposizione, che i posteri non venissero a conoscenza frequentemente di questi depositi, perché ciò avrebbe significato anche la distruzione dell’opera in cui erano contenuti. Evidentemente Sigismondo pensava ad una posterità lontana millenni, quando si poteva ragionevolmente pensare che per legge naturale gli edifici sarebbero crollati o avrebbero dovuto ineluttabilmente lasciare il posto a testimonianze di una civiltà completamente diversa (come, per l’uomo del Rinascimento, le vicende della civiltà romana) e ben pochi altri documenti al di fuori dei prodotti letterari e delle medaglie avrebbero ricordato lo splendore del passato. C’è da avvertire che, purtroppo, è sempre più difficile sapere quel che accade nei cantieri, autorizzati e non, sorvegliati e non, che trafficano attorno a monumenti antichi. È molto difficile che oggi anche il più sprovveduto dei manovali non attribuisca un grande valore a una medaglia o ad una moneta, anche di metallo non prezioso, casualmente trovata nel corso dei lavori e non riesca a trafugarla. Figuriamoci dunque se una medaglia d’oro di Sigismondo sarebbe consegnata alle autorità, con le notoriamente miserabili perizie di stima che fanno i funzionari dello Stato. Ma un pezzo così raro dovrebbe ben presto essere notato sul mercato antiquario; se accadrà di vederlo circolare in questo modo avrà però già perso gran parte del suo valore, insieme alla memoria del luogo, dei modi, del momento del suo ritrovamento.
80
Su queste medaglie si veda F.G. Battaglini, Memorie istoriche..., cit., pp. 323, 328, e R. Comandini, Epigrafi, medaglie, stemmi e ritratti riguardanti il marchese Giacomo Malatesta, Faenza 1961, pp. 38-45.
81
Comandini, op. cit., pp. 33-35. Anche il marchese Giacomo Malatesta usò, almeno in un caso, una data «falsa» su una campana fatta fondere per la chiesa di Santa Maria Liberatrice di Montecodruzzo. La campana porta la data dei 1570, ma è stata fusa probabilmente almeno due anni dopo, secondo le considerazioni del Comandini (pp. 27-28). In effetti le date che compaiono sulle medaglie di Sigismondo, come su questa campana, possono servire solo come termini post quem, in quanto si riferiscono ad avvenimenti già avvenuti; anche quando accompagnano la firma dell’autore debbono essere guardate con sospetto perché quasi mai vogliono ricordare il momento insignificante - in cui l’oggetto è stato fatto. Ci si perdoni l’insistenza, ma associare la data presente su un oggetto commemorativo o celebrativo al momento della sua fabbricazione è tipico della nostra mentalità e chiaramente erroneo.
82
83
Ibid., pp. 36-38.
Ulrich Middeldorf, On the Dilettante Sculptor, “Apollo” 194 (1978), 314-372.
85
Note George F. Hill, A Corpus of Italian Medals of the Renaissance bifore Cellini, London 1930; P.G. Pasini, Note su Matteo de’ Pasti e la medaglistica malatestiana, in La medaglia d’arte, Atti del primo convegno internazionale di studio, Udine 1970, Udine 1973, pp. 41-75 (in riassunto e senza note e appendici, ma con qualche altra osservazione, in Pier Giorgio Pasini, I Malatesti e l’arte, Milano 1983, pp. 140-147); i dati offerti in questa relazione non sono stati ancora discussi, e se ne incomincia a vedere qualche riflesso solo ora: cfr. Giovanna De Lorenzi, Medaglie di Pisanello e della sua cerchia, Firenze 1983, pp. 49-54. 86
La prima medaglia è stata trovata il 29 dicembre 1972 ed è stata malamente illustrata da Piero Sampaolesi, Importante rinvenimento al Castel Sismondo, in “L’Arengo”, 1, 15 febbraio 1973, p. 3, con fotografia. Il breve articolo è riprodotto anche da Pier Giorgio Pasini, Misteri di Castel Sismondo, in “La Pie”, 2, marzo aprile 1984, p. 88, a cui si rimanda per precisazioni e correzioni. Si tratta della medaglia catalogata da G. Hill, A Corpus…, cit., al n. 174, tav. 33, ma sembra trattarsi di un esemplare dorato. Nel 1983, in un diverso ambiente di Castel Sismondo furono rinvenute insieme tre medaglie (un’altra del tipo Hill 174, due del tipo Hill 166) (*Le medaglie rinvenute nel 1983 furono in tutto 25, e sono tutte conservate ed esposte nel Museo della Città dopo un opportuno restauro).
87
Sull’ambiente artistico della corte malatestiana intorno alla metà del Quattrocento (cioè al tempo di Sigismondo Pandolfo Malatesta) è ancora di grande utilità il bel volume di Corrado Ricci, Il Tempio Malatestiano, Milano-Roma [1924], ristampato a Rimini nel 1974 con una appendice di Pier Giorgio Pasini, Cinquant’anni di studi sul Tempio Malatestiano. Si veda inoltre Sigismondo Pandolfo Malatesta e il suo tempo, cat. (Rimini), Vicenza 1974; Pasini, I Malatesti e l’arte, op. cit.
88
89
Ricci, Il Tempio Malatestiano, cit., p. 38.
90
Ibidem, pp. 55-56.
91 Pasini, Note su Matteo de’ Pasti…, cit., p. 54. Inutile ribadire qui che le date presenti sulle medaglie non hanno “valore documentario per indicare l’anno di fusione”, come ha osservato John Pope Hennessy, Italian Renaissance Sculpture, Londra 1958. Si veda anche Giovanni Soranzo, Un atto pio della diva Isotta, in “Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Romagne”, IV serie, XV, Bologna 1925, pp. 277-291. 92 Si farà costante riferimento, con Hill seguito da un numero, al cit. Corpus dello Hill, che ancor oggi costituisce la miglior sistemazione delle medaglie rinascimentali, comprese quelle di Matteo de’ Pasti. L’Hill cataloga ben 31 pezzi sotto la voce “Matteo de’ Pasti”, considerando anche le varianti. Qui si terrà conto solo dei “tipi”, che sono riconducibili a 16. Per “medaglia tipo” non si intende “medaglia prototipo”: per esempio ritengo Hill 163 prototipo di Hill 174, ma considero solo quest’ultima. Il problema “prototipo-variante” meriterebbe uno studio a parte, che qui non può essere affrontato, né per la sua natura, né per la sua complessità, né per la sua lunghezza. Infine un’ultima avvertenza: le date proposte si riferiscono all’ “invenzione” delle medaglie, senza escludere che i modelli siano stati usati successivamente anche per diversi anni. 93
Pasini, Note su Matteo e’ Pasti…, cit., pp. 65-69.
Il 23 ottobre 1450 fu benedetta la seconda coppia di elefanti nella cappella di San Sigismondo del Tempio Malatestiano, sul cui dorso vennero collocate le 22 medaglie già citate, tutte raffiguranti al rovescio la fortitudo. Solo in seguito, naturalmente, fu montato il pilastro che poggia su quella coppia di elefanti, e che è concluso da un capitello: su di esso furono rinvenute 8 medaglie, delle quali 4 con Castel Sismondo al rovescio (Hill 174) e tre con la sigla di Sigismondo (Hill 165, 166), oltre ad un esemplare con la fortitudo (Hill 181). La datazione dei nuovi tipi dovrebbe dunque essere successiva all’ottobre 1450; ma anche assai anteriore l maggio 1452, giorno nel quale la cappella fu consacrata: Pasini, Note su Matteo de’ Pasti, cit., p. 65.
94
95 Eugenio Battisti, Piero della Francesca, Milano 1971, pp. 56-74; Marilyn Aronberg Lavin, Piero della Francesca’s Fresco of Sigismondo Pandolfo Malatesta bifore St. Sigismund, in “Art Bullettin”, 3, settembre 1974, pp. 345-374. 96 Sigismondo Pandolfo Malatesta…, cat. cit., p. 130; anche Lavin, cit., p. 359; Michel Laclotte, Le portrait de Sigismond Malatesta par Piero della Francesca, in “Revue du Louvre”, 1978, pp. 254-266.
Come è noto, il 7 aprile 1449 Sigismondo informava Giovanni de’ Medici che i muri delle due cappelle erano ancora freschi e quindi per il momento non adatti ad essere dipinti; ma che attendeva ugualmente il pittore che Giovanni gli aveva promesso di mandargli da Firenze: l’avrebbe adoperato «in dipingere altro, che et a lui et a mi serrà grandissimo piacere»: G. Gaye, Carteggio inedito d’artisti, I, Firenze 1839, pp. 159-160: Ricci, Il Tempio Malatestiano, cit., p. 214; Battisti, cit., II, p. 220 (doc. XXIII). Non si sa a quale pittore faceva riferimento la lettera, ma nulla vieta di pensare a Piero della Francesca, che potrebbe essere giunto a Rimini già nell’estate o nell’autunno del 1449: in ogni caso troppo tardi, ritengo, per “ispirare” il ritratto di Sigismondo sulle prime medaglie di Matteo, che appunto in quel periodo già dovevano essere in lavorazione. D’atra parte il ritratto di Matteo rientra nella tradizione pisanelliana e gotica: John Pope Hennessy, The portrait in the Renaissance, New York, 1966.
97
È difficile che la raffigurazione della medaglia, così minutamente descrittiva e articolata, possa derivare dall’affresco; in teoria è più plausibile il contrario. Ma forse il problema si pone correttamente solo presupponendo un comune modello: vorrei precisare però che questo doveva essere grafico, non plastico, poiché nelle due opere l’intersecazione degli elementi posti su piani a diverse profondità è assolutamente identica, il che postulerebbe un identico punto di vista e un’identica capacità di percezione prospettica. La medaglia del Pasti (non l’affresco) è stata tenuta presente da Agostino di Duccio nella raffigurazione del castello all’interno del “panorama” di Rimini scolpito sotto al segno zodiacale del Cancro nella cappella dei Pianeti del Tempio Malatestiano (c. 1454).
98
99
Hill 163, 164, 174, 165, 166, 167, 168, 170, 171.
Ricci, Il Tempio Malatestiano, cit., pp. 36, 104, 256, 374; Augusto Campana, Per la storia delle cappelle trecentesche della chiesa malatestiana di San Francesco, in “Studi Romagnoli”, 2 (1951), pp. 18-19.
100
Infatti risultano presenti in tutti i depositi di medaglie documentati in quegli anni: Pasini, Note su Matteo de’ Pasti…, cit., p. 54.
101
Augusto Campana, Atti, Isotta degli, in Dizionario Biografico degli Italiani, IV, Roma 1962, p. 550. Anche Giovanni Soranzo, Un atto pio della diva Isotta, cit. 102
103 Ricci, Il Tempio Malatestiano, pp. 23, 26, 148: Campana, Atti, cit., p. 547; Pasini, I misteri di Castel Sismondo, cit., p. 84: «Il 1446 era stato l’anno fortunato, “fatidico”, per Sigismondo: quello della difesa vittoriosa di Gradara e della conquista di Isotta, cioè del definitivo consolidamento dello stato, dell’affermazione definitiva sui nemici, della realizzazione di un legame affettivo profondo e duraturo. Sigismondo volle far credere ai posteri di essere riuscito a compiere in quell’anno anche la sua splendida residenza; e volle che su di essa si riverberasse la fortuna che in quell’anno l’aveva assistito».
Ricci, Il Tempio Malatestiano, cit., pp. 322-323; Pasini, I Malatesti e l’arte, cit., pp. 112, 145.
104
Nel Trionfo della Fama del Petrarca non si fa cenno ad animali, ma il corteo è aperto da Cesare e da Scipione l’Africano. Gli elefanti compaiono nell’Africa (IX, 368) dello stesso Petrarca, appunto nel trionfo di Scipione (F. Petrarca, L’Africa, ed. Nicola Festa, Firenze 1926, p. 275).
105
111
Il tesoro di sigismondo Francesco Gaetano Battaglini, Memorie istoriche di Rimino e de’ suoi signori, Bologna 1789, p. 263; Ricci, Il Tempio Malatestiano, cit., p. 514.
106
Ricci, Il Tempio Malatestiano, cit., p. 38.
107
Sicché per esempio gli elefanti che fanno da seggio alla fortitudo nella medaglia Hill 178 potrebbero significare la fama che sostiene e accompagna la forza, e quelli che sormontano gli scudi con la sigla di Sigismondo, nella medaglia Hill 165, la fama che circonda e fa trionfare il nome di Sigismondo. Tanto basti su un argomento delicato e infido, di cui mi confesso non competente: “benché io non m’arrogi di decifrare cotali arcani, figurati a lusingar l’altrui ambizione da maestri di sottilissimo intendimento”, come scriveva il Battaglini, Memorie istoriche…, cit., p. 258 (che proponeva di identificare Sigismondo stesso nell’elefante di Isotta).
108
Anche il sepolcro di Isotta nel Tempio è sostenuto da due elefanti e coronato da due teste di elefanti, ed aveva una identica iscrizione: Ricci, Il Tempio Malatestiano, cit., pp. 433-437.
109
Middeldorf, On the Dilettante Sculptor, cit.
110
111 Ancora in gran parte validi mi sembrano i giudizi con cui Adolfo Venturi cercava di caratterizzare le medaglie di Matteo rispetto a quelle del Pisanello, in Giorgio Vasari, Gentile d Fabriano e il Pisanello, edizione critica, Firenze 1896, pp. 72-73.
Filarete, Trattato di architettura, ed. W. Von Oettinger, Wien 1896, p. 89.
112
Numerose citazioni riguardanti questa condizione del Pasti sono raccolte dal Middeldorf, op. cit., pp. 316, 327.
113
Basinii Parmensis, Opera praestantiora, I, Arimini 1794, p. 288: Hesperidos, liber XIII, versi 343-347. Per alcuni dati archeologici utili per la cronologia di queste medaglie cfr. Pasini, Note su Matteo de’ Pasti…, cit. A questo stesso periodo, e al Pasti, assegnerei l’invenzione della medaglia senza rovescio Hill 190, generalmente indicata come un falso o come opera del XVI secolo, anche se non ne conosco alcun esemplare originale, ma solo fusioni tarde.
114
115 Graham Pollard, Renaissance Medals from the Samuel H. Kress Collection at the National Gallery of Art, London 1967, p. 93.
Sigismondo Pandolfo Malatesta e il suo tempo, cit., pp. 90-85. La lenta ricerca formale di Matteo è evidentissima nelle tre varianti della tarda medaglia di Sigismondo armato, con Castel Sismondo al verso (Hill 184, 185, 186).
116
Cesare Clementini, Raccolto istorico della fondatione di Rimino, II, Rimini 1627, p. 386.
117
Epistolario di Guarino Veronese raccolto e ordinato da Remigio Sabbadini, III, Venezia 1919, pp. 489-490. Tuttavia un carme “in laudem d. Sigismundi Pandulfi Malatestis” era stato inviato a Rimini da Guarino verso il 1448. 118
Ricci, Il Tempio Malatestiano, cit., pp. 221-224; Sigismondo Pandolfo Malatesta e il suo tempo, cit., pp. 130-137.
119
Non si conosce la data di morte di Benedetto de’ Pasti (*Morì tra il 23 aprile e il 4 luglio 1445: cfr. Dal Re, Notizie della famiglia De’ Pasti, in “Madonna Verona”, V, 1911, pp. 177-192); se la medaglia fu modellata da Matteo dopo la morte del fratello, il rovescio potrebbe essere letto come allegoria dell’amor fraterno che nulla può ormai contro la morte.
120
Un bell’esempio è costituito da quello sul rovescio dei ritratti di Federico
121
112
da Montefeltro e Battista Sforza agli Uffizi di Firenze. Per l’epigrafia malatestiana si veda, ma con cautela, Giovanni Mardesteig, Leon Battista Alberti e la rinascita del carattere lapidario romano nel Quattrocento, in “Italia medioevale e umanistica”, II, 1959, pp. 285-307. 122 M. Fossi Todorow, I disegni del Pisanello e della sua cerchia, Firenze 1966, p. 263.
Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori ed architettori, Firenze 1568, p. 436. La committenza di Sigismondo, esclusa dalla critica moderna, è stata ripresa recentemente da Daniele Benati in Pittura a Rimini tra Gotico e Manierismo, Rimini 1979, pp. 40-41, che propone una esecuzione del dipinto «negli anni che immediatamente seguono il 1468». Credo che tale datazione possa essere ancora anticipata di qualche anno.
123
L’ultimo ricordo di un qualche lavoro promosso da Sigismondo nel Tempio riguarda la fusione di una campana nel 1462 (Ricci, Il Tempio Malatestiano, cit., p. 232). Dopo (?) il ritorno dalla Morea (marzo 1466) fu collocato sotto ad uno degli archi laterali del Tempio il sarcofago di Gemisto Pletone, che ha una bella iscrizione latina incisa in caratteri che ricordano molto da vicino quelle delle tarde medaglie di Matteo de’ Pasti. Anche Mitchell ha collegato questa medaglia ai lavori del Tempio Malatestiano: Charles Mitchell, Il Tempio Malatestiano, in Studi malatestiani, Istituto storico Italiano per il Medio Evo, fasc. 110-11, Roma 1978, pp. 96, 98.
124
Otto Pacht, Giovanni da Fano’s Ilustrations for Basino’s Epos Hesperis, con appendice di Augusto Campana, in “Studi Romagnoli”, II, Faenza 1951, pp. 91-111.
125
Ricci, Il Tempio Malatestiano, op. cit., pp. 52-54; Idem, Di un codice malatestiano della Esperide di Basinio, in “Accademie e Biblioteche d’Italia”, 5-6, 1928, pp. 20-48.
126
Pasini, I Malatesti e l’arte, cit., pp. 152-153.
127
In questo paragrafo riassuntivo non si richiameranno con note i dati critici, biografici e bibliografici, presenti quasi tutti nella letteratura già citata. Comunque per una biografia dell’artista si vedano in particolare, oltre al capitolo dedicatogli dal Ricci, Il Tempio Malatestiano, cit., pp. 38-60 (con bibliografia precedente): Hill, A Corpus…, cit., pp. 37-38; Pope Hennessy, Italian Renaissance Sculpture, cit.; Middeldorf, On the Dilettante Sculptor, cit., pp. 316-321.
128
bibliografia
114
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indice dei nomi
Matteo de’ Pasti, Ritratto di Isotta, dritto di una medaglia per Isotta (bronzo, diametro mm. 83, Hill 187). Museo della Città .
indice dei nomi
Agostino di Duccio 45, 54, 56, 78, 81, 87, 90, 94, 95, 98, 102, 104. Alberti L.B. 17, 38, 55, 78, 87, 88, 90, 92, 94, 95, 99, 102, 104.
Cartoceto 53, 64. Cellini B. 90. Cesena 72, 83.
Aragona, Alfonso d’ 23, 90.
Cesena, Biblioteca Malatestiana 60, 66.
Atti, Isotta degli, v. Malatesta Isotta
Clementini C. 66, 69.
Balbi G. 15.
Cola Cavuto 53, 64.
Barbaro G. 13.
Cornaggia G. 28.
Bartolomeo di Ser Sante 10.
Corner M. 13.
Basinio da Parma 43, 45, 49.
Costa M. 67.
Battaglini F.G. 33, 69, 72.
Della Robbia L. 35.
Bellini G. 94.
Domenico Veneziano 94.
Bembo P. 90.
Donatello 39, 94, 95.
Bentivegni M. 67.
Erbè 24.
Berardi E. 71,72.
Este Borso d’ 48.
Berenson B. 70.
Este Lionello d’ 25, 47, 48, 50, 78.
Bettini B. 43, 94.
Estensi 24, 35, 45, 47, 97.
Bianchi G. (Jano Planco) 97.
Faenza 104.
Biondo Flavio 47. 48.
Fano 13, 56-58, 64, 65.
Bologna 13, 66, 67.
Fano, coll. Castellani 64.
Bologna, banco de’ Foscherari 13.
Fano, Collegio S. Arcangelo 64, 65.
Borelli A. 64.
Fano, Museo Civico 57, 64, 65.
Borgogelli Ottaviani P.C. 64, 65.
Ferrara 24, 47, 48, 50, 98.
Brunelleschi F. 88
Ferrara, Museo di Schifanoia 66.
Calabi A. 88.
Filarete (A. Averlino detto il) 17, 54, 87.
Campana A. 72.
Firenze 24, 35, 99, 104.
Candia 102.
Gemisto Pletone 94.
Capalozzi E. 65.
Gerola G. 71.
Capezzuoli C. 69.
Ghiberti L. 35, 88.
Carignano di Fano 52, 53, 64.
Ghirlandaio D. 13.
Carraresi 17, 23, 53.
Giuccioli Menghi G., 71.
Il tesoro di sigismondo Gonzaga 45, 104.
Morea 9, 13, 94, 103.
Gonzaga Cecilia 94.
Muntz E. 54.
Guarini G. 28, 90, 92, 102.
New York, Pierpont Morgan Library 55.
Hill G.F. 32, 33, 77.
Oretti M. 67.
Lazzarini N. 73.
Orsi R. 43.
Lendinara 94.
Ottaviano di Duccio 35, 54.
Locchi O.T. 64.
Oxford, Bodleian Library 43, 94, 95,
Londra, Victoria & Albert Museum, 94.
Padova 17, 23, 35, 53, 92, 94.
Lucchesi C. 71.
Panvini Rosati F. 69, 70, 72, 73.
Maffei T. 28, 50, 57, 60, 90, 92, 102.
Paolo II 13, 23, 53, 54.
Malatesta Domenico (d. Novello) 83.
Paponi F. 51.
Malatesta Galeotto Roberto 83.
Parigi, Biblioteque de l’Arsenal 43. 94.
Malatesta Giacomo di Roncofreddo 61, 62.
Pasini P.G. 70.
Malatesta Isotta 9, 13, 23, 29, 39, 53, 56, 57, 65, 82, 83, 86, 90, 98, 99.
Pasti Antonio 25.
Malatesta Leonida di Roncofreddo 61, 63. Malatesta Pandolfo di Sogliano 61, 73. Malatesta Pandolfo III 13 Malatesta Pandolfo IV (il “Pandolfaccio”) 11, 15, 61, 81. Malatesta Roberto 15, 51. Malatesta Sallustio 9. Malatesta Ungaro 53. Mancini M. 67. Maometto 102.
Pasti Benedetto de’ 24, 90, 92, 102. Pasti Pietro de’ 24. Pazzini A. 73. Pecci G. 73. Perugini G. 65. Petrarca F. 83. Piandimeleto15. Piccolomini A. 10.
Maso di Bartolomeo 35.
Piero della Francesca 38, 78, 81, 87, 90, 92, 94, 95, 99, 102, 104.
Medici 24, 35.
Pio II 9, 10, 13, 25.
Medici Carlo de’ 23.
Pisanello 23-25, 28, 30, 33, 47, 49, 53, 61, 78, 92, 95, 98.
Medici Pier Francesco de’ 9.
Platina B. 54.
Medici Piero di Cosimo de’ 86, 97.
Pollard J.G. 77.
Mengozzi F. 10, 11.
Pollard M. 33, 77.
Mengozzi L. 51.
Quinzano 24.
Michelozzo 94.
Ragusa (Dubrovnic) 13.
Middeldorf U. 35, 86.
Ravenna 15.
Migliorati R. 51.
Ravenna, Museo Nazionale 69, 70.
Milano,Civiche raccolte Numismatiche 30.
Ravenna, Soprintendenza ai Monumenti 70.
Milesi L. 64.
Ricci, C. 9.
Mitchell C. 70.
Righini A. F. M. 33.
Montalto 53, 64.
Rimini 9, 13, 15, 17, 24, 25, 33, 35, 38, 46, 47, 52, 53, 66, 77, 98, 99, 103.
Montecodruzzo 62. Montefeltro Federico da 13, 104. Montefiore Conca 10, 15, 19. Montescudo 55, 58, 66.
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Pasti Bartolomeo de’ 25.
Rimini, Biblioteca Gambalunghiana 67, 70. Rimini, Castel Sismondo 10, 13, 17, 62, 66, 71, 77, 98. Rimini, chiesa di San Francesco (Tempio Malatestiano) 13,
Titolo capitolo 35, 40, 45, 47, 50, 52, 54-58, 62, 66, 68, 69, 70, 71, 73, 78, 86, 88, 90, 92, 94, 98, 99, 102. Rimini, Museo della CittĂ 13, 33, 46, 70, 71. Rimondini G. 68. Roccacontrada 47. Roma 23, 47, 92, 99. Roncofreddo 61, 62, 63. Sagramoro S. 52. Sampaolesi P. 71. San Giovanni in Galilea 62, 71, 72. Sansepolcro 104. Santacroce A. 61. Santi A. M. da Gubbio 61. Sanudo M. 15. Savini U. 57. Scipione 83. Senigallia 52, 53, 56, 72, 73. Sforza F. 48. Signoretti A. 65. Sorano 52, 72. Soranzo G. 9. Sperandio 104.
Tealdini A. 15 Tobia dal Borgo 73. Tomasini C. 71. Tosi A. 68. Turchi 9, 10, 13. Turchini A. 71. Udine 45. Urbano VIII 66. Urbino 104. Valturio R. 45, 52, 103. Vasari G. 94. Vaticano, Biblioteca Apostolica 43, 94. Venezia 9, 13, 15, 24, 94. Venturi A. 28. Verucchio 10, 15, 19, 55, 73. Vitali G. 17. Washington 33, 77. Weiss R. 54, 66, 70, 72.
Non sono stati indicizzati i nomi di Matteo de’ Pasti e di Sigismondo Pandolfo Malatesta, ricorrenti in quasi tutte le pagine, e quelli presenti nelle didascalie e nelle note.
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referenze fotografiche
Campagna fotografica realizzata da: © Andrea Testi - www.effedueotto.com Altre immagini provengono da: Luciano Liuzzi, Rimini: 19, 20, 21, 38 42, 44, 50, 70, 74, 93, 94, 95. Pier Giorgio Pasini (nn. 1, 2, 3, 4, 6, 7, 8, 9, 11, 16, 17, 23, 24, 28, 32, 37, 48, 51, 52, 53,54,55, 61, 64, 65, 69, 72, 73, 75, 76, 85, 86, 87, 88, 89, 91, 97.) Archivio Minerva Edizioni (nn. 22, 33, 36, 60.) “Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza PSAE di Parma e Piacenza” (n. 3) “Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Reggio Emilia - Guastalla” (n. 15) “Ufficio Arte Sacra e Beni Culturali della Diocesi di Ascoli Piceno” (nn. 68-71) “Ufficio Arte Sacra e Beni Culturali della Diocesi Urbino” (n. 10) Nel caso di immagini forniteci senza specificazione utile, l’editore resta a disposizione degli aventi diritto.
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C.G. Fossati, Fregio con una medaglia e un cimiero malatestiani, da Le temple de Malateste, Foligno 1794, p. 11.
finito di stampare nel mese di Novembre 2009 per i tipi della Tecnostampa srl, Loreto
I libri della Valconca P.G. Pasini, Piero e i Malatesti. L’attività di Piero della Francesca per le corti romagnole (1992)
Pier Giorgio
Pier Giorgio Pasini
Pasini
IL TESORO DI SIGISMONDO
E. Grassi, Giustiniano Villa poeta dialettale, 1842-1919 (1993) P.G. Pasini, Il crocifisso dell’Agina e la pittura riminese del Trecento in Valconca (1994)
e le medaglie di Matteo de’ Pasti
A. Bernucci – P.G. Pasini, Francesco Rosaspina “incisor celebre” (1995)
P.G. Pasini, Arte in Valconca dal Barocco al Novecento (1997) A. Fontemaggi - O. Piolanti, Archeologia in Valconca. Tracce del popolamento tra l’Età del Ferro e la Romanità (1998) P.G. Pasini, Emilio Filippini pittore solitario 1870-1938 (1999) E. Brigliadori – A. Pasquini, Religiosità in Valconca. Vicende e figure (2000) P.G. Pasini (a cura), Arte ritrovata. Un anno di restauri in territorio riminese (2001) Loris Bagli, Natura e paesaggio nella Valle del Conca (2002) A. Sistri, Cultura tradizionale nella Valle del Conca. Materiale e appunti etnografici tra Romagna e Montefeltro (2003) Oreste Delucca, L’uomo e l’ambiente in Valconca (2004) P. Meldini, La cultura del cibo tra Romagna e Marche (2005) P.G. Pasini, Passeggiate incoerenti tra Romagna e Marche (2006) C. Fanti, Pietre e terre malatestiane (2007) P.G. Pasini, Atanasio da Coriano frate pittore (2008)
Sono in vendita nelle migliori librerie; alcuni titoli sono esauriti
IL TESORO DI SIGISMONDO
P.G. Pasini, Arte in Valconca dal Medioevo al Rinascimento (1996)
BANCA POPOLARE VALCONCA
BANCA POPOLARE VALCONCA
Sigismondo Pandolfo Malatesta, uno dei più importanti signori italiani del Quattrocento, è stato capitano generale degli eserciti della Chiesa, di Firenze, di Napoli e di Venezia, guadagnandosi una grande fama di condottiero ed enormi ricchezze, che gli permisero di costituire a Rimini una importante corte letteraria e artistica. Ancora viveva, quando correva voce di un suo favoloso “tesoro” nascosto nelle mura di alcune rocche del territorio riminese: un tesoro cercato per secoli, e mai trovato. Effettivamente Sigismondo faceva nascondere qualcosa di strano nelle mura dei suoi edifici: ma non si trattava di tesori nel senso classico del termine, bensì di medaglie con la sua effigie, ritrovate, e in grande quantità, soprattutto nei restauri del dopoguerra. Medaglie in bronzo e in argento, squisite e preziose, tra le prime del Rinascimento, dovute al veronese Matteo de’ Pasti, stabilmente attivo alla corte riminese fino alla morte, che precedette di pochi mesi quella di Sigismondo (1468). Dopo aver fornito notizie sul presunto tesoro di Sigismondo, e sui vani tentativi di ritrovarlo, questo volume passa ad illustrare il vero tesoro: le medaglie di Matteo de’ Pasti, annoverate fra i capolavori della medaglistica rinascimentale; e si sofferma sul loro autore, sui loro ritrovamenti, sulla loro datazione, sul loro stile, sulla funzione loro affidata di diffondere la fama del signore presso i contemporanei e presso i posteri. L’apparato illustrativo offerto dal volume – frutto di una campagna fotografica appositamente condotta - permette di esaminare esemplari sicuramente autentici di medaglie pastiane e di approfondirne la conoscenza; e inoltre invita a riflettere su alcuni problematici risvolti dell’attività artistica del grande medaglista veronese e dell’arte alla corte di Sigismondo Malatesta, grande condottiero e grande quanto tirannico mecenate, vissuto in un momento di crisi e di trapasso tra l’autunno del Medioevo e la primavera del Rinascimento. Pier Giorgio Pasini si occupa di storia dell’arte rinascimentale fin dagli anni settanta, quando diresse la mostra “Sigismondo Pandolfo Malatesta e il suo tempo”, Rimini, Sala dell’Arengo, 1970. Già nel catalogo di tale mostra (edit. Neri Pozza, Vicenza) figurano i suoi primi studi su Matteo de’ Pasti, che poco dopo lo indussero a proporre una completa revisione della cronologia delle medaglie pastiane. Per questa si vedano i contributi portati al primo convegno internazionale di studio su “La medaglia d’arte” di Udine (10-12 ottobre 1970) e al symposium su “Italian Medals” della National Gallery of Art di Washington (29-31 marzo 1984), riproposti nel presente volume. Allo studio dell’attività di Matteo de’ Pasti l’autore si è dedicato anche in numerosi altri lavori riguardanti la civiltà umanistica fiorita alla corte malatestiana, e soprattuto nei seguenti: I Malatesti e l’arte, Silvana ed., Milano 1983; Piero e i Malatesti, L’attività di Piero della Francesca per le corti romagnole, Silvana ed., Milano 1992; Piero e Urbino, Piero e le corti rinascimentali, Marsilio ed., Venezia 1992; Cortesia e Geometria. Arte malatestiana fra Pisanello e Piero della Francesca, Luisè ed., Rimini 1992; Il Tempio Malatestiano. Splendore cortese e classicismo umanistico, Skira, Milano 2000. Infine ha scritto, con altre, la “voce” Matteo de’ Pasti per il Dictionary of Art, Macmillan Publishers Ltd, London, 2004.