Pm 2016 09 anteprima

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ANNO 90 - n° 1042 - € 3,00 Poste Italiane S.p.a. spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB VERONA

sett 2016 n. 9

SPECIALE

Vips


Kataboom

Contro le armi di distrAzione di massa

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asta mettere insieme videogame e dispositivi mobili quali smartphone, palmari, tablet ecc. e i soldi (ma anche i giochi…) sono fatti! Primo fra tutti l’ha capito il colosso cinese Tencent che per la bella sommetta di 7,5 miliardi di euro ha comperato più dell’80% dell’azienda finlandese Supercell, specializzata in videogiochi di successo. Quando qualcuno spende così tanti soldi per una “fabbrica di videogame” significa che prima qualche conticino se lo ha fatto. Sicuramente ha calcolato che la passione per i videogame, nel mondo, muove un giro d’affari di circa 90 miliardi di euro l’anno. Che ci sono 100 milioni di giocatori che hanno scaricato il videogioco di strategia Clash of Clans, prodotto dalla Supercell, e grazie al

Lo scontro non ti fa lo sconto

quale l’azienda ha fatto 800 milioni di euro di guadagni netti. E che i videogame oggi vanno di più sui cellulari che su PC o console. Davanti a business milionari così elevati, ho cercato di scoprire il segreto di tanto successo. Credo di averlo capito fin da subito dal titolo del videogame: “scontro fra clan” (sì, proprio così: Clash of Clans). Un gioco di strategia in cui i giocatori online devono difendere il proprio villaggio e distruggere quelli dei nemi-

ci. Il classico meccanismo del “passatempo per tempi morti”, dove ci si rilassa facendo morti e pensando ammazzare più nemici possibili. Scommettiamo che se il videogame fosse stato un gioco di pace dal titolo “Meeting of Clans” non avrebbe fatto così tanti soldi? Complimenti ai creativi della Supercell e ai manager della Tencent: la fuga dalla realtà e i videogame di guerra sono sempre degli ottimi investimenti perché piacciono tanto alla gente!

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...tanto per cominciare

LA SCUOLA: O T R O P A S S PA O R U T U F L I PER a cura di p. Elio Boscaini

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settembre e si torna a scuola. Noi del PM a scuola ci torniamo volentieri. Perché ritroviamo gli amici e le amiche che avevamo lasciato a giugno e sappiamo di poterne trovare di nuovi. Ma soprattutto ci piace rientrare in classe perché ci teniamo a formarci bene e riconosciamo il ruolo importante che ha la scuola nella nostra crescita.

La scuola ci dà conoscenze, ma anche capacità e comportamenti per occupare un giorno il nostro bel posto nella società, per pensare con la nostra testa e diventare così cittadini liberi e coscienti. Perché la scuola è soprattutto un posto in cui si impara, si socializza e si creano bellissimi incontri. Perché la scuola non trasmette solo un sapere teorico da imparare, ma trasmette il saper fare e il saper essere, cioè atteggiamenti nuovi

grazie ai quali impariamo a vivere con gli altri, rispettandoli e accogliendoli. A questo ci aiuta anche il gioco, così importante per le nostre giornate. Così come importante è imparare a leggere un libro per farci sempre più “curiosi” o visitare un museo (anche il Museo africano di Verona, qui in casa del PM) dove incontrare gli altri e farceli amici. Che bella l’amicizia! Perché la scuola serve a diventare liberi! Buon anno scolastico! PM SETTEMBRE 2016

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Speciale a cura di Annalisa Avesani e Sara Milanese

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i chiama Yusra, ha 18 anni ed è siriana. È una dei dieci atleti che hanno formato la squadra dei rifugiati alle Olimpiadi di Rio appena concluse. La storia di questa ragazza è incredibile e, fortunatamente per lei, a lieto fine. Poco più di un anno fa, Yusra decise, assieme a sua sorella Sarah, di abbandonare il suo paese d’origine (Siria) per fuggire alla guerra e alla violenza, tutte crudeltà che ancora oggi affliggono le popolazioni di quella regione del Medio Oriente. Fuggire da questi paesi così tormentati, si sa, non è per niente facile. Le due sorelle lasciano la città di Damasco per raggiungere prima il Libano e poi la Turchia, dove hanno pagato degli scafisti che le trasportassero in Grecia a bordo di un gommone. Una traversa-

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i n i d r a M a r s u Y

a c i n o i p m i l o ’ l dei rifugiati


ta per niente sicura nel mare Egeo, in compagnia di altre venti persone. Dopo nemmeno un’ora di viaggio, a causa di un guasto al motore, Yusra e Sarah si sono viste costrette a gettarsi in acqua e a nuotare per raggiungere la riva. Ma vedendo che il gommo-

ne stava imbarcando acqua e rischiava di affondare assieme agli altri passeggeri, le due sorelle hanno incominciato a fare la spola a nuoto mettendo in salvo tutti gli immigrati che si trovavano a bordo e che non sapevano nuotare. Passarono così circa tre ore immerse nell’acqua, a volte nuotando, altre volte facendosi trainare dal gommone per non essere sopraffatte dalla stanchezza. Una volta arrivate a mettersi miracolosamente in salvo sull’isola greca di Lesbo, bagnate fradice e senza scarpe né bagagli, Yusra e Sarah hanno continuato il loro tormentato viaggio attraverso Macedonia, Serbia e Ungheria, fino a raggiungere la Germania dove attualmente vivono e dove sono riuscite a ottenere lo status di rifugiate. Venuto a conoscenza della loro storia, l’allenatore di nuoto Sven Spannekrebs ha accolto Yusra nella sua squadra sportiva, con l’intenzione di prepararla per poter gareg-

giare alle Olimpiadi del 2020 a Tokyo. Ma visti gli straordinari progressi realizzati dalla ragazza negli ultimi mesi, il coach ha voluto darle l’opportunità di farla partecipare alle qualificazioni per i giochi di Rio 2016; e così è stato. Yusra è così entrata a far parte della squadra olimpica dei rifugiati, che ha gareggiato sotto la bandiera olimpica, il vessillo che rappresenta l’unione di tutti i cinque continenti nel nome dello sport. L’atleta siriana ha dichiarato che partecipare alle Olimpiadi è stata la grande occasione che la vita le ha offerto e che non ha intenzione di sprecarla. È sua intenzione impegnarsi a fondo nella disciplina del nuoto affinché gli altri rifugiati possano essere orgogliosi di lei: spera di diventare un esempio di riscatto e di speranza per chi, come lei, ha dovuto affrontare delle dure prove, ma anche per chi – come noi – si abbatte e si scoraggia davanti alle prime difficoltà della vita. PM SETTEMBRE 2016

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artedì, 25 settembre 2012. Secondo me il mio nome è, senza offesa, il più bello di tutti. È un nome indiano, perché i rom sono indiani di tanto tempo fa. Io lo scrivo dappertutto. Su questo diario l’ho già scritto un sacco di volte all’inizio. Però lo scrivo anche in altri posti strani. Praticamente, se ho in mano una matita o un gesso e c’è un posto vuoto, io ce lo scrivo. E se non ho la matita, la vado a prendere. Ieri ho scritto SUNITA sul muro della scuola, proprio accanto all’entrata. Oggi c’era ancora”. Sunita ha 10 anni, e abita in

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un campo rom, a Pisa, dove non ci sono elettricità, acqua e servizi igienici. Vive in una baracca con i suoi genitori, e i suoi sette tra fratelli e sorelle. Ha frequentato la prima e la seconda elementare, poi il pulmino che la portava a scuola non è più passato. I suoi fratelli e gli altri bambini del campo non si sono preoccupati molto di questo, ma a Sunita invece importava, perché il suo sogno era quello di finire le elementari e andare alle scuole medie. Per fortuna una coppia di “gagè” (cioè di “non rom”), Luca e Clelia, ha deciso di aiutarla, e per permetterle di andare a scuo-

la tutti i giorni le ha proposto di vivere durante la settimana a casa con loro e le loro due figlie, Marta e Bianca. Sunita ha accettato, e per un anno ha condotto una “doppia vita”: dal lunedì al venerdì andava a scuola, frequentava le compagne, faceva i compiti, era “costretta” a lavarsi i denti tutti i giorni, a mangiare a orari precisi, seduta a tavola con tutta la famiglia di Luca, assaggiando anche cibi che non le piacciono. Il venerdì invece tornava dalla sua famiglia, al campo rom, dove non ci sono regole: ognuno dorme, mangia e gioca quando ne ha voglia. Al campo


Luca e Clelia con le figlie Marta e Bianca, e Sunita

però non sempre c’è l’acqua per lavarsi, mentre quando piove, si allaga tutto, e non si possono stendere i vestiti ad asciugare, perché dentro le baracche non c’è posto. Per Sunita il campo rom è però anche un posto un po’ magico, dove con le altre famiglie si fa festa la sera, e si balla fino a tardi; mentre durante il giorno si può giocare a calcio con gli amici, e avventurarsi nei boschi vicino alle baracche, scoprendo ogni volta posti nuovi. All’inizio dell’anno scolastico, la maestra Patrizia chiede a Sunita di tenere un diario. Lei dice che scrivere non le serve a niente, che l’idea del diario

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I diritti d’autore del libro “Diario di Sunita” saranno devoluti all’associazione Articolo 34, per sostenere il diritto allo studio di Sunita, dei suoi fratelli e di altri bambini rom. Per saperne di più:

https://articolo34.org è “una cretinata”. Poi, però, ci ripensa e quasi ogni giorno scrive quello che le succede: le litigate con i compagni di classe, i pigiama party con le amiche, le nuove avventure con la famiglia di Luca, come per esempio andare in montagna a sciare. Ci racconta anche cosa vuol dire vivere in un campo rom: non avere la corrente elettrica; dover leggere la posta che arriva agli adulti, perché loro non sono andati a scuola; essere costretti a lasciare le proprie cose,

perché il Comune ha deciso di sgomberare il campo. Ci aiuta così a capire un po’ meglio cosa significa essere rom, e a rompere i pregiudizi che a volte abbiamo nei loro confronti.


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Testi Gabriele Bagnoli

Disegni Elisa Ferrari


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