Grazie per il sostegno, non solo per questo libro, a: Michael Groenewald, Claudia Jerusalem-Groenewald, Richard Weize, Franz Dobler, Basti “Vadda Cash” Krondorfer, Erika e Lothar Kleist Bettina Oguamanam, Sylvia Schuster, Carlsen Comics, Martin Rabitz, Ron Rineck, Butch-Meier-Band, Steffen “Doc” Mittelstedt, David Fernandez, Christian Vagt, Helmut, Fil, Mawil, Andi Michalke, Naomi Fearn, Jo Werth, K77, Möbel Olfe, Keb-up 1 a Rosenthaler Platz per il sostegno morale, Greg Dulli per «Love (Demo)», the immortal johnny-cash-club at gayromeo.de Uli, Oli, Basti, Roland Heinrich e Oldrik, il bassista The Crooked Jades: Megan Adie, Carley Wolf, Jeff Kazor, Adam Tanner, Erik Pearson Digger Barns, Pencil Quincey Reinhard Kleist
Traduzione Anna Zuliani Lettering e impaginazione Cosimo Torsoli con Officine Bolzoni Supervisione Leonardo Favia Proofreading Francesco Savino e Andrea Petronio
Via Leopardi 8 – 20123 Milano chiedi@baopublishing.it – www.baopublishing.it Il logo di BAO Publishing è stato creato da Cliff Chiang. Titolo originale dell’opera: Cash - I see a darkness Copyright text and illustrations © 2006 by CARLSEN Verlag GmbH, Hamburg, Germany. First published in Germany under the title Cash - I see a darkness. All Rights Reserved. This book was negotiated through the agent Anna Becchi. Per l’edizione italiana: © 2016 BAO Publishing. Tutti i diritti riservati. ISBN: 978-88-6543-585-4 PRIMA EDIZIONE Stampato nel gennaio 2016 presso A4 Servizi Grafici, Chivasso (TO) su carta Fabriano Offset da 115 grammi per gli interni e Fedrigoni Symbol Freelife Satin da 300 grammi per la copertina.
NULLA È SICURO di Franz Dobler Siamo alle prese con un nuovo virus, diffusosi dopo l’uscita del biopic su Johnny Cash, Walk the Line Quando l’amore brucia l’anima, di James Mangold: la Cashmania. Reinhard Kleist potrebbe approfittarne. Ma già mi pare di sentire la gente: «Oddio, ci mancava anche un fumetto su Johnny Cash!» Perciò arrivo subito alle mie conclusioni: se Mangold si fosse ispirato al libro di Reinhard Kleist, il film sarebbe venuto meglio. Quando Walk the Line arrivò nelle sale, il fumettista berlinese aveva già finito la prima bozza del suo lavoro, e mi scrisse che “da settimane si sentiva tormentato dai dubbi”. Temeva che il film fosse “più autentico e personale”. Per fortuna non ha ceduto alla tentazione di cambiare qualcosa della sua storia. Anche Kleist, come Mangold, usa il concerto del 1968, Johnny Cash live at Folsom Prison, come motore della narrazione, ma la sua regia ha un taglio completamente diverso. Più guardavo il fumetto, più mi rendevo conto di quali fossero le lacune del film. Geniale l’idea di Mangold di costruire il film completamente sulla storia di Johnny Cash e June Carter e di concluderlo con la proposta di matrimonio, ovvero un bel happy ending (il finale era stato approvato dai due protagonisti, che però non fecero in tempo a vedere il film al termine delle riprese). Finali di questo tipo piacciono a mezzo mondo. Un’incasinata storia d’amore nei primi anni del rock’n’roll pompati di speed, limata e confezionata bene. Eppure, nella vita e nell’opera di Johnny Cash, c’è qualcosa in più. Reinhard Kleist, appassionato di film western e grandioso nel disegnare scene d’azione, avrebbe sentito il peso del confronto con il film solo se ad assicurarsene la regia fosse stato Quentin Tarantino, grande ammiratore del musicista. Ciò risulta evidente già all’inizio del fumetto, cioè nella raffigurazione di Folsom Prison Blues, che delinea un omicidio crudele e inutile: “I shot a man in Reno just to watch him die.” A rendere Johnny Cash così popolare fra i detenuti fu soprattutto questo brano, comparso nel secondo 45 giri del 1955 e il cui testo fu copiato da Cash - cosa che ora non stupisce - e che trasmette un sentimento di compassione nei confronti dei colpevoli che scontano la pena in carcere1. Nel carcere di massima sicurezza di Folsom c’erano i peggiori criminali del Paese, o più semplicemente quelli che erano considerati “non reinseribili”.
Kleist sceglie proprio uno di quei detenuti come narratore, Glen Sherley. Alla fine del libro, invece, sarà Johnny Cash, ormai anziano, a raccontare la storia di quell’uomo, quasi dimenticata. Ottimo, bel montaggio! Il tutto unito all’inquietante domanda se Sherley possa aver mai rimpianto di aver conosciuto Johnny Cash, quando non fu in grado di sopportare il peso del suo seppur limitato successo. Viene da chiedersi se le persone a lui vicine possano essersi sentite schiacciate dalla sua immensa notorietà: con gli album Live at Folsom Prison e San Quentin nel 1970 era diventato una superstar americana, vendeva più dischi dei Beatles, aveva una trasmissione televisiva che il pubblico adorava e per il suo spettacolo era circondato da una squadra di ben 50 persone. C’erano giorni in cui non due pullman, bensì due dozzine di pullman di fan e turisti si presentavano davanti a casa sua per acclamarlo. In Glen Sherley ritroviamo il carattere oscuro di Johnny Cash, il suo lato pericoloso. Cash impersonava il killer di Reno in modo talmente credibile che per decenni non fu possibile smentire la voce che lui stesso avesse passato molti anni in prigione. E proprio nel dramma di Sherley troviamo conferma che Cash non era un hillbilly divenuto famoso per caso, ma un acuto uomo d’affari. Diversamente da quanto fece Elvis, fu in grado di dirigere la propria azienda; e non si fece sopraffare dalla popolarità, come accadde invece a Kurt Cobain. Quando Kleist dà libero corso all’immaginazione, lo fa con ponderatezza: dopo il concerto, Sherley può incontrare il suo idolo e questi gli dice: “Uno che scrive una canzone così non può essere una persona cattiva.” Con la stessa frase si congedava l’ispettore Colombo nella puntata intitolata Il canto del cigno con Johnny Cash nel ruolo di un cantante country colpevole di duplice omicidio. In particolare nella rappresentazione di The Ballad of Ira Hayes risaltano le lacune del film di Mangold. Non solo l’immagine del cantante-tossicomane risulta troppo calcata, ma manca anche il coraggio di raccontare la verità per il timore di compromettere il successo del film. Se le amfetamine provarono il fisico del cantante, per anni stimolarono anche la sua creatività. Il film tralascia di raccontare che proprio in quella fase Johnny Cash, con i suoi concept album, diede una svolta alla musica country che fino a quel momento tendeva a produrre piuttosto dei singoli-hit. Ride this Train era una lezione sulla sto4
ria del Paese, in Blood, Sweat & Tears si affrontava la questione dei diritti dei lavoratori. E quando, nel 1964, con l’album Bitter Tears raccontò la storia degli Indiani dell’America del Nord, si trattava di una provocazione con una netta implicazione politica. La ballata in cui si narra la vera storia di Ira Hayes, nativo della tribù dei Pima, e il cui autore, Peter LaFarge, fu ingaggiato come consulente per l’intero album, fu boicottata dai media. I capi dell’industria discografica del country e i fan conservatori non trovarono questa mossa per nulla divertente e pure il Ku Klux Klan si fece sentire nella sua solita maniera vile e meschina. E quale fu la reazione del cantante, scaricato dai media, tossicomane e bisognoso solo dell’amore di June? Attaccò esplicitamente dj, capi e fan del country, e invece di disdire i concerti a causa dei pazzi del Ku Klux Klan, andò in giro sempre armato. Accidenti, Mangold, verrebbe da dire: come hai potuto farti scappare un dettaglio come questo? Così la vera anima dell’uomo in nero pare scomparire poco a poco nella finzione. Reinhard Kleist, invece, con questo episodio come pure con molti altri dettagli, citazioni e interpretazioni della complessa personalità del cantante, gli si avvicina il più possibile. Senza il produttore Rick Rubin non esisterebbe la Cashmania, né la biografia che ho scritto io, niente film, niente fumetto. Reinhard Kleist aveva già conosciuto il primissimo Johnny Cash quando sugli scaffali di suo padre trovava, dietro ai dischi di Elvis, quelli del Man in Black, e si era appassionato al brano country-horror (Ghost) Riders in the Sky. Ma dai primi anni Settanta fino al suo esplosivo ritorno nel 1994, si era sentito parlare sempre meno di Johnny Cash. Alcuni album importanti riscossero un’attenzione modesta e nel 1986 la CBS lo licenziò. Era diventato una leggenda del country. Quando Rick Rubin lo chiamò, il sessantunenne non aveva più un contratto discografico. Senza la favola dell’incontro tra Johnny e Rick non si può raccontare la storia di Johnny Cash. Il mostro che si era fatto le ossa con i Beastie Boys, i Public Enemy e gli Slayer ora si impossessava di Johnny Cash. L’industria discografica country statunitense, il mercato musicale più potente del mondo, reagì di conseguenza: il circuito di reti radiofoniche e televisive, negozi e premi ignorarono letteralmente le American Series, internazionalmente acclamate. Nel 1996 i due uomini ringraziarono pubblicamente, facendo comparire su un’intera pa-
gina di Billboard Magazine una foto di Johnny Cash con il dito medio alzato (che vediamo a p. 196). Così Johnny Cash, supportato, incoraggiato e guidato da Rubin, riuscì a portare a termine l’incredibile progetto di un’opera grandiosa. E Reinhard Kleist si sintonizza proprio quando il progetto sta per essere portato a termine, poco prima che si raggiunga il culmine con il brano e il video Hurt. “Va be’” fa Cash, quando il suo angelo custode gli affida proprio la canzone Hurt, “tanto io faccio qualunque canzone”. È Kleist a far pronunciare a Cash queste parole. Non è vero, ma verosimile: nulla è sicuro. Dietro questa frase scopriamo tutto un mondo. Il testo di Folsom Prison Blues, copiato, il cui significato si sondò solo con la versione di Johnny Cash. Il brano di Glen Sherley, che il cantante ricevette solo la notte prima del concerto. Infine, canzoni di Nick Cave, Bruce Springsteen, dei Depeche Mode, i Beatles o gli Eagles, che furono completamente stravolte. Country, rock, nulla è sicuro, tutto è fragile. Johnny Cash si impossessò di I See a Darkness di Will Oldham, ma anche la sua versione fu rimaneggiata dal dj Acid Pauli che ne fece un pezzo techno, I See a Dark(er)ness. Ogni bella canzone è anche fragile, ogni canzone è fragile di fronte alla potenza di un bravo cantante. Lo si comprende anche pensando alla figura di Johnny Cash: nulla è sicuro nella vita, nel lavoro, in amore. Nessuno è sicuro. A meno che non si rinchiuda la propria vita, il proprio lavoro, i propri amori in un carcere di massima sicurezza. Solo una cosa è certa: non comprerò la suoneria per il cellulare di Ring of Fire, non ho una Johnny Cash Prepaid MasterCard e se questo fumetto andrà a finire fra le assurdità della Cashmania è un’ingiustizia. Franz Dobler ha pubblicato numerosi libri e prodotto svariati CD. Sul tema country, fra le sue opere, la raccolta Auf des toten Mannes Kiste e la biografia di Johnny Cash The Beast in Me; ancora, la raccolta CD A Boy Named Sue.
1 È stato appurato che Cash copiò il testo di Folsom Prison Blues dal brano Crescent City Blues del noto compositore/arrangiatore Gordon Jenkins. La canzone si trova nell’album di Jenkins Seven Dreams.
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Capitolo 1 1935 - 1956
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Ehi, Sherley.
Metti via la chitarra. Ora si fa silenzio.
’fanculo!
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Che mira, tesoro!
Cosa? Johnny Cash? In questo buco?
Ah, ho sentito che il cantante country Johnny Cash farà un concerto qui. Ti tira su il morale?
Che schifezza!
Me l’ha detto Brooks, il guardiano del blocco 3. Dopo una cicca si è anche lasciato scappare la notizia che fanno una registrazione per la radio. Cash suonerà qui in mensa. Che te ne pare?
Il re è Elvis.
Che domande! È il re maledetto, amico!
Macché Elvis! Quello sbruffone non suonerebbe mai qui. Cash è dei nostri. Sa cosa significa passare attraverso l’inferno.
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Non è stato anche lui in prigione?
Mai. Non devi credere a tutto quello che raccontano i giornali. Ma credimi, Johnny Cash sente cosa significa stare in prigione. Racconta delle storie e vive le sue canzoni.
Ci trovi la profondità, l’abisso di questa vita di merda. Diavolo, è stato dappertutto e racconta...
Ehm... se non lo mangi più, dallo a me.
Cammino su e giù tra le sbarre come un animale predatore in gabbia.
L’attesa può essere dannatamente lunga in un posto come questo, specialmente quando hai un obiettivo preciso.
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Avanti, Sherley!
Reverendo Garret. Psst...
Mi deve fare un grande piacere, reverendo. Stia attento che non capiti nelle mani di un guardiano...
Sherley, cosa posso fare per lei?
Molti detenuti hanno provato a scappare da questa fortezza infernale. Ne conoscevo più di uno...
Li riportavano indietro distrutti e bastonati... i muri di Folsom sono spessi anche tre metri. Ma io li attraverserò semplicemente cantando. Dirò che noi carcerati non siamo come pensa la gente fuori.
Non so cosa mi riservi il futuro, ma ho fiducia in Dio. E se lui lo vorrà, questo nastro capiterà nelle mani di chi saprà farne buon uso...
... e non lascerà marcire qui un suo compagno di sventura.
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Mi pare quasi di udire, attraverso il rumore della tempesta, una voce dei tempi andati, che canta, quasi impercettibile, una canzone piena di speranza e conforto...
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