G LI ORCHI-DEI
Una storia scritta da
HUBERT messa in scena e disegnata da
BERTRAND GATIGNOL
BAO Publishing via Leopardi, 8 MILANO
In memoria del mio amico. Bertrand Gatignol
La scalinata è abbastanza solida? Reggerà il mio peso?
Sì, signora.
Lo spero per voi. Mio fratello non sarebbe contento, se mi spezzassi l’osso del collo.
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Buongiorno, nonna.
Elmire, mia cara! È sempre bello ricevere le tue visite.
Sono preoccupata per la tua salute. Mi hanno detto che ti rifiuti di mangiare, non va bene.
Sì… ho vissuto troppo a lungo, ma il mio corpo si rifiuta di arrendersi.
Non puoi lasciarti andare, nonna! Sei così forte… tu sei la primogenita!
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È troppo tardi per mentire a me stessa. Tutto ciò che ho fatto ha solo peggiorato le cose…
Non è vero! Sei un modello per tutte noi! Le tue opere… la scuola, la biblioteca…
Basta. Voglio raccontarti la verità. Nuda e cruda, non le leggende fantastiche o i racconti morbosi che mi hanno cucito addosso. Forse così riuscirai a comprendere meglio la mia rassegnazione.
Sai, ai miei tempi le cose erano diverse. Sono cresciuta come una prigioniera, confinata in un perimetro ristretto del castello. E non mi è mai piaciuto che mi fossero imposti limiti.
Presto! il travaglio è iniziato!
E avvisatelo.
Preparate acqua calda e lenzuola pulite.
Cominciamo!
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Spero che sia un maschio, stavolta.
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Non sempre la natura asseconda i nostri desideri.
Be’, le versioni discordano… ci sono diverse teorie sull’argomento e…
Non voglio teorie! Esigo risposte!
E come posso vincere questo scontro a colpo sicuro?
Voglio dei maschi! Dei guerrieri! Le donne servono solo a fare figli! Voglio sapere come posso fare per avere dei maschi!
il maschio è secco e caldo, la femmina è umida e fredda. È proprio questa umidità a corrompere la sostanza maschile. Durante le mestruazioni, il corpo della donna è più umido… conviene aspettare le settimane prima della fecondazione. E alcuni cibi contribuiscono a ottenere…
Tutti concordano sul fatto che il sesso dell’infante dipenda dall’esito dello scontro tra il seme del padre e i fluidi della madre.
Carne… salumi… evitare latticini…
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Allora?
È un maschio. il suo ventisettesimo figlio, se non erro. Congratulazioni, sua maestà.
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Stai bene?
Hai delle ragnatele tra i capelli. Dove sei stata?
Sì.
Mi sono nascosta per assistere al parto. Mi sono dovuta accucciare per non farmi vedere... Tuo padre te lo aveva proibito. Ha paura che ti vengano strane idee in testa.
È stato orribile…
Bragante…
Non avrò mai dei figli!
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Mi hai disobbedito, Bragante.
Perdono…
Non ti punirò. Sei solo una bambina, e ti voglio troppo bene per farti del male. Tua zia Nita avrebbe dovuto sorvegliarti meglio… sarà lei a pagarne le conseguenze.
No! Ti supplico, padre! Non Nita!
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Tenetela ferma.
siete perfino peggio di quanto pensassi.
Padre, no! Non lo farò più! Ti obbedirò!
Non ce l’ho con te, Bragante.
Lo so, mia cara. Ed è per questo che tua zia non verrà frustata a morte. Si riprenderà. E tu lo terrai bene a mente.
Riportatela nel gineceo.
Tu non c’entri niente. Tuo padre è l’unico responsabile.
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Figlia mia, lo faccio per il tuo bene. Devi capire qual è il tuo posto.
E devi accettarlo, se non vuoi essere infelice per tutta la tua vita.
Papà ti vuole bene, lo sai. Non ha occhi che per te.
il giorno in cui avrai dei figli, capirai.
in un certo senso, mio padre aveva ragione. Nita mi aveva educata plasmando il mio spirito attraverso i libri e facendomi scoprire un universo così vasto da farmi venire le vertigini… eppure fuori dalla mia portata.
Alla sua morte, ho ritrovato gli scritti di mia zia. So che era in buona fede.
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Ma, a volte, mi dico che sarei stata più felice se non avessi preso coscienza delle ingiustizie subite da mio padre. La consapevolezza è un male che non ha rimedio.
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STORIA DI NITA Che, suo malgrado, divenne istitutrice dei figli giganti del Fondatore.
a prima volta che Nita vide Bragante, la primogenita dei figli giganti del Fondatore della dinastia reale, in mano aveva un coltello e nell’anima una forte determinazione a ucciderla. Eppure, al contrario di sua sorella Orba, l’impetuosa sposa del Fondatore, Nita era una donna riflessiva e dalla natura pacifica, più portata per i libri che per le armi. Lui, invece, Nita lo avrebbe ucciso senza neanche pensarci due volte. La donna pensava di conoscere abbastanza bene se stessa, eppure, dopo il matrimonio della sorella, a volte si riconosceva a stento. Più aveva a che fare con l’uomo che aveva sposato sua sorella dopo aver sottomesso a una a una le valli in cui erano cresciute, più si sentiva combattuta tra la paura e il disgusto: il Fondatore era un colosso mostruoso che staccava di una testa buona gli uomini più grandi delle valli, la cui taglia era pari soltanto alla sua crudeltà. Alle sue spalle non lasciava altro che una scia di cadaveri, e governava i nuovi territori conquistati con il pugno di ferro. Ma Orba non sembrava avere paura del marito. A volte Nita li sorprendeva insieme, intenti a ridere per qualche battuta comprensibile solo a loro due. Erano gli unici momenti in cui l’uomo non mostrava la sua tipica espressione arcigna. Il suono di quella risata, però, la faceva tremare ancora di più. Per lei era un enigma privo di qualsiasi senso, che la faceva sprofondare in un abisso di dubbi. E poi Orba rimase incinta. Superati i primi momenti di gioia mista a paura – partorire comportava sempre un certo rischio per le donne, in quanto dare la vita spesso coincideva con l’andare incontro alla morte – il sentimento divenne terrore puro, poi angoscia: la gravidanza sembrava infinita. La pancia continuava a gonfiarsi e il termine ufficiale era ormai passato da un pezzo. Era una tortura, per Orba:
«Nita fu scossa da un irrefrenabile impulso infanticida. [...] La neonata non le aveva solo tolto sua sorella, ma l’aveva privata del senso stesso della propria esistenza.»
S TO R I A D I N I TA
la donna si sentiva divorata da quel mostruoso erede che cresceva a dismisura dentro di lei. Se avesse potuto, Nita avrebbe affondato la mano nel cuore della sorella per estirpare la parassita. Orba piangeva di dolore, supplicando che quello strazio finisse, ma la stanza era sorvegliata giorno e notte per impedire qualsiasi tentativo di aborto. La donna si agitava nel letto, esangue, il ventre sempre più gonfio rispetto al corpo esile, le braccia e le gambe saldamente bloccate per evitare che si ferisse da sola. Sembrava aver perso il senno e, tra un gemito e l’altro, proferiva parole prive di senso. Nita non riusciva a farsene una ragione. Arrivò infine il giorno del parto. La bambina non usciva: la testa era troppo grande e non faceva che aumentare le sofferenze della gravida, sempre più piegata sul letto. Il chirurgo chiamato dal Fondatore tagliò il basso ventre e la bambina uscì completamente ricoperta di sangue: enorme e perfettamente formata, neonata magnifica e mostruosa, venne alla luce mentre sua madre esalava l’ultimo respiro, portata via dall’emorragia. Nita fu scossa da un irrefrenabile impulso infanticida. Si era impossessata di nascosto del coltello che il medico aveva abbandonato dopo l’operazione, e avrebbe senza dubbio cercato di uccidere la nipote se la gigantesca bambina non fosse stata immediatamente portata via per essere presentata al padre che la attendeva in una stanza attigua. La neonata non le aveva solo tolto sua sorella, ma l’aveva privata del senso stesso della propria esistenza. Nita aveva consacrato la vita allo studio, per lei miracoli e mostri leggendari non erano altro che superstizioni derivanti da paura e ignoranza. Credeva solo a ciò che vedeva, e niente avrebbe potuto farle dubitare del suo pragmatismo illuminato. Ma non poteva certo negare l’esistenza di quella bambina che andava contro ogni ragione. Tutto ciò in cui aveva sempre creduto non aveva più senso. Sarebbe stato più saggio per Nita andarsene. Morta sua sorella, non c’era più niente che la trattenesse al castello. Eppure non riusciva a liberarsi dall’immagine di quella bambina, che le provocava un misto di repulsione e attrazione. E più sua nipote Bragante cresceva, più assomigliava in maniera incredibile alla madre. I suoi capelli erano dello stesso biondo e gli occhi erano dello stesso colore ceruleo. E quando si avvicinava alla nipote e la guardava negli occhi, Nita si sentiva ancora più confusa: la bambina si agitava, emetteva vocalizzi e sorrideva di un sorriso che le ricordava quello di Orba. Come poteva un mostro simile essere così dolce? Non poteva di certo lasciarla tra le grinfie del suo abominevole padre. Senza neanche accorgersene e senza averlo mai deciso ufficialmente, Nita si convinse a prendersi cura di Bragante. Dormiva ai piedi del suo letto, giocava insieme a lei, era presente durante i suoi primi passi e sorrise alla sua prima parola: “Nita.” Era una bambina straordinaria, anche grazie all’educazione della zia, che le parlava di continuo e le permetteva di nutrire il suo giovane spirito con conoscenze fin troppo complesse. “Prima di incontrare tuo padre, tua madre era la signora del suo castello” le sussurrava Nita. “Impugnava la spada e guidava eserciti in battaglia. E quando lo ha sposato, lui l’ha rinchiusa tra quattro mura. Si è sottomessa a lui ed è morta.” Quando Nita si allontanava, la bambina scoppiava a piangere. Con il passare del tempo, Nita finì per accettare di voler bene a sua nipote come se fosse stata lei ad averla portata in grembo.
«Dopo la nascita della seconda bambina, Oxanne, e la morte della madre, Bragante si recò alla culla.»
S TO R I A D I N I TA
Dopo la morte di Orba, il Fondatore restò a lungo da solo. A Nita sembrava ancora più inquietante di prima, gli occhi vacui nel viso scavato. Quando gli passava accanto, Nita teneva lo sguardo basso e serrava i denti: lo odiava dal profondo del suo cuore. Ma, per fortuna, l’uomo lasciava spesso il castello per spostarsi sui campi di battaglia. “Quando sarò regina, anche io andrò in guerra come mia madre” diceva Bragante. “Dubito che tuo padre sia d’accordo” replicava Nita, preoccupata per la sua protetta. “Papà mi vuole bene” rispondeva la bambina. “Farebbe di tutto per rendermi felice.” Un giorno, mentre attraversava la corte del castello, Nita credette che sua sorella fosse tornata dal regno dei morti. Ma più si avvicinava alla donna, più si accorgeva che quel corpo era solo un’illusione. La giovane, una schiava tenuta prigioniera, assomigliava tantissimo a Orba… ma non era lei. Il Fondatore se ne innamorò perdutamente e non le fece più lasciare il proprio letto. Ma poi, come per trovare un antidoto a una pericolosa ossessione, iniziò ad avere concubine dall’aspetto il più diverso possibile da quello della sua prima sposa. Fu la sua seconda compagna, una donna dai capelli scuri e i lineamenti spigolosi e fieri, a restare per prima incinta. Tutti iniziarono a tenerla d’occhio, domandandosi se l’atroce miracolo cui avevano già assistito si sarebbe ripetuto. Quando, al nono mese di gravidanza, il ventre della donna continuava a gonfiarsi a dismisura, provocandole numerose fitte di dolore, per la prima volta dopo tanto tempo il Fondatore sorrise. E Nita fu scossa da un brivido. Dopo la nascita della seconda bambina, Oxanne, e la morte della madre, Bragante si recò alla culla. Un sorriso rischiarò il suo volto: “È come me!” Prese la gigantesca neonata tra le mani e si mise a cullarla. Nita si avvicinò. Se non fosse stato per le circostanze drammatiche e le dimensioni anomale della ragazza e della neonata, sarebbe stato un quadretto familiare come tanti altri. “Che strana famiglia che siamo” sospirò Nita. Le schiave si susseguivano sempre più numerose. Il Fondatore fece costruire il gineceo, un edificio tutto per loro, rigorosamente chiuso e di cui soltanto lui possedeva le chiavi. Le stanze dei bambini si trovavano al piano terra. Quando non era in battaglia, il Fondatore passava le notti facendo visita ai suoi figli. Dopo la costruzione del nuovo palazzo, per le donne la possibilità di spostarsi all’interno del castello si ridusse drasticamente. Gli unici momenti in cui Nita e la Primogenita potevano mettere piede fuori dal gineceo erano quelli in cui il Fondatore le convocava nella sala del trono, attigua al gineceo. Succedeva raramente, però, solo quando il re desiderava dare particolarmente enfasi all’incontro con le due. E così apriva loro la porta altrimenti accuratamente chiusa a chiave. La sala del trono era una stanza che, da sola, superava in ampiezza l’intero gineceo. Come questo, però, era impermeabile al mondo esterno. Un tempo libera di muoversi e sempre in viaggio alla scoperta dei paesi vicini e delle loro famose biblioteche, Nita soffriva quella condizione da reclusa. Eppure doveva riconoscere che la sua vita non era neanche lontanamente paragonabile a quella delle schiave destinate esclusivamente a partorire. Dentro di sé, si sentiva felice di non aver ereditato la luminosa bellezza della defunta sorella… non osava pensare a quale sarebbe stata la sua sorte, altrimenti. Lo sguardo del Fondatore si era sempre posato su di lei senza mai soffermarsi davvero, come se fosse stata invisibile. Nita aveva un ruolo, nel castello: era solo uno strumento utile a prendersi cura della progenie del Fondatore. La donna ne era doppiamente contenta: forse aveva la possibilità di educare i bambini senza l’influenza nefasta di un genitore dal quale sperava non avessero preso niente.
S TO R I A D I N I TA
Si occupava dell’educazione delle ragazze e dei ragazzi al meglio che poteva, cercando di risvegliare i loro giovani spiriti. Le gravidanze intanto aumentavano, così come aumentava il numero delle schiave morte di parto. Fu necessario ingrandire il gineceo e prendere sempre più balie per sfamare i famelici stomaci dei giovani giganti. Nita osservava con dolcezza Bragante prendersi cura dei suoi fratellastri e sorellastre, cullandoli con tenerezza, giocando insieme a loro, raccontando loro storie. La bambina aveva preso il ruolo di primogenita sul serio, e Nita non poteva che essere fiera di lei. Più passavano gli anni, più cresceva il numero di figlie e figli che occupavano le stanze dei bambini: una marea di marmocchi che sembrava non dover finire mai, di cui Bragante sembrava quasi più la madre che la sorella. Nita ormai non si stupiva più di quei bambini troppo grandi per essere veri. Erano passati anni, ormai, e quelli che un tempo considerava mostri erano diventati la normalità. Le circostanze avevano fatto di lei l’istitutrice di quell’orda di giganti che si apprestavano a dominare il mondo grazie alla loro forza senza uguali. Era il destino ad aver riservato loro quel ruolo, pensava Nita. Senza rendersene conto, per tutti quegli anni in cui si era dedicata alla loro educazione, non aveva fatto altro che prepararsi a quel momento. Aveva cercato di insegnare ai giganti l’amore verso gli umani e verso la loro cultura. E si preoccupava per la violenza che percepiva in loro, per quel lato selvaggio difficile da contenere che sembrava pronto a esplodere in qualsiasi momento. In quei momenti si diceva che avevano in loro il seme del mostruoso Fondatore. La sua missione, allora, le sembrava ancora più cruciale: si vedeva come una domatrice di leoni. Eppure, cercava di autoconvincersi che non avrebbero mai potuto dimenticare il modo in cui lei si era presa cura di loro quando erano piccoli; sperava di aver creato un ponte di affetto così robusto da essere indistruttibile. Era un ponte tra le loro specie. Sua nipote, la Primogenita, ne sarebbe stata la custode, ricordandolo nel momento in cui ce ne sarebbe stato bisogno, anche dopo che Nita non ci fosse stata più. Ne era assolutamente certa.
FINE