Attorno al corpo di Eluana Englaro

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Primo movimento: Ascoltare

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Premessa All’origine di questo progetto c’è l’esigenza di contrastare una smemoratezza dell’Italia di oggi e contrastandola riprendere ’tra le mani’ qualcosa. Questo progetto ruota ‘attorno al corpo di Eluana Englaro’. Corpo che nel tempo è trasmutato in epicentro di fatti, ragionamenti, dibattiti privati e mediatici nazionali e locali, interventi legislativi di diversa natura, dichiarazioni, scontri. Si sono scomodate cariche politiche, religiose, menti autorevoli, mass media, web fino a coinvolgere voci sparse e variegate di ogni mestiere e provenienza. Le fondamenta di questo progetto sono l’ascolto, lo studio di alcune pubblicazioni cartacee e virtuali. Pubblicazioni giornalistiche, editoriali fino a diramarsi entro argomentazioni che dal corpo abbracciano la vita e la morte. Ringrazio per le consulenze Teresa de Cesare (medico internista) e Federica Sgaggio (giornalista, scrittrice). Grazie a Giulio Mozzi, Demetrio Paolin, Claudia Boscolo. Grazie a Barbara Garlaschelli e Luca Radaelli. Grazie all’immensa Daniela Terrile. Perché il corpo di Eluana Englaro - forse - non se n’è ancora andato. Barbara Gozzi Settembre-Novembre 2009

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1. Alcune nozioni.

Di seguito informazioni di carattere generale al fine di fornire strumenti sintetici, chiari e puntuali. Tali informazioni sono rintracciabili dalla rete (in questa sezione esclusivamente spazi web tecnici di natura medica o giuridica, nessun articolo di giornale – n.d.r.), da documenti ufficiali che qui vengono ripresi e riassunti ove ritenuto necessario.

Cronologia delle fasi principali (attorno al corpo di Eluana Englaro). Eluana Englaro, nata a Lecco il 25 Novembre 1970, morì a Udine il 9 Febbraio 2009. Il 18 Gennaio 1992 resta vittima di un incidente stradale a Pescate. In seguito al grave trauma cranico riportato nell’incidente, arriva all’ospedale di Lecco in coma. Le viene riscontrata anche una frattura alla seconda vertebra cervicale causa probabile di una paralisi totale. Viene intubata e trattata. Si attende il decorso, le successive 48 ore stabiliscono che il corpo di Eluana Englaro non ha alcuna reazione. Nell’aprile 1992 viene dimessa dal reparto di rianimazione e ricoverata in un altro reparto dell’ospedale di Lecco per essere sottoposta a nuove terapie. Ma il corpo di Eluana Englaro continua a rimanere in stato vegetativo. Nel giugno 1992 viene trasferita nell’ospedale di Sondrio. La diagnosi arriva dopo altri dodici mesi: “ stato vegetativo permanente irreversibile ”. La corteccia (regione superiore del cervello – n.d.r.) compromessa dal trauma va incontro a una degenerazione definitiva coinvolgendo

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direttamente tutte le funzioni di cui è responsabile (intelletto, affetti, coscienza). Dal 1996 il padre, Beppino Englaro, avvia procedimenti legali supportato dalle testimonianze di diversi medici tra cui Carlo Alberto Defanti (primario del reparto di neurologia dell’ospedale Niguarda di Milano) che stila una prognosi definitiva: “In considerazione del lunghissimo intervallo trascorso dall’evento traumatico, si può formulare una prognosi negativa quanto a un recupero della vita cognitiva.” Il 19 dicembre 1996 Eluana Englaro viene dichiarata interdetta per assoluta incapacità con sentenza del tribunale di Lecco, nominando tutore Beppino Englaro. Nel dicembre 1999 la corte d’appello di Milano rigetta la richiesta di rifiuto delle cure confermando la posizione del Decreto depositato il 2 Marzo 1999 dal Tribunale di Lecco che dichiarò inammissibile l’istanza del tutore in quanto ritenuta incompatibile con l’art. 2 della Costituzione, letto ed inteso come norma implicante una tutela assoluta e inderogabile del diritto alla vita. Il 26 Febbraio 2002 si deposita il secondo procedimento che si conclude nel 2003 con istanza del tribunale di Lecco poi confermata dalla Corte d’appello di Milano, mantenendo la posizione di inammissibilità. Il 30 Settembre 2005, con ricorso depositato, inizia il terzo procedimento arrivato fino alla corte di Cassazione nel 2006 che respinge le richieste a causa di un vizio nel procedimento stesso. Il 16 Ottobre 2007, in seguito all’ennesimo ricorso di Beppino Englaro, la Suprema Corte con sentenza numero 21748 sancisce due presupposti necessari all’autorizzazione dell’interruzione alimentare artificiale: - condizione di stato vegetativo irreversibile senza alcun fondamento medico sulla possibilità di recupero della coscienza;

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- l’istanza deve essere realmente espressiva con elementi di prova chiari, univoci e convincenti della voce del paziente. [ Dalla sentenza 21748 del 16 ottobre 2007, riportata nel decreto del 9 Luglio 2008: «Ove il malato giaccia da moltissimi anni (nella specie, oltre quindici) in stato vegetativo permanente, con conseguente radicale incapacità di rapportarsi al mondo esterno, e sia tenuto artificialmente in vita mediante un sondino nasogastrico che provvede alla sua nutrizione ed idratazione, su richiesta del tutore che lo rappresenta, e nel contraddittorio con il curatore speciale, il giudice può autorizzare la disattivazione di tale presidio sanitario (fatta salva l’applicazione delle misure suggerite dalla scienza e dalla pratica medica nell’interesse del paziente), unicamente in presenza dei seguenti presupposti: (a) quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno; e (b) sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona. Ove l’uno o l’altro presupposto non sussista, il giudice deve negare l’autorizzazione, dovendo allora essere data incondizionata prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e di volere del soggetto interessato e dalla percezione, che altri

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possano avere, della qualità della vita stessa» ] Il 9 Luglio 2008, il Decreto della corte d’appello di Milano: “[…]accoglie il reclamo proposto dal Sig. Beppino Englaro, quale tutore di Eluana Englaro, cui ha aderito anche la curatrice speciale di quest’ultima, avv. Franca Alessio, e per l’effetto, in riforma del decreto n. 727/2005 emesso dal Tribunale di Lecco in data 20 dicembre 2005 e depositato in data 2 febbraio 2006, accoglie l’istanza - conformemente proposta da entrambi i legali rappresentanti di Eluana Englaro - di autorizzazione a disporre l’interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale di quest’ultima, realizzato mediante alimentazione e idratazione con sondino naso-gastrico”. Il 13 Novembre 2008 la Corte Suprema di Cassazione respinge il ricorso della procura di Milano atto a derogare l’autorizzazione a disporre l’interruzione del trattamento di sostengo vitale artificiale. Il 16 Dicembre 2008, il ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, l’On. Maurizio Sacconi emana un atto d’indirizzo (il cui testo consiglio per una lettura privata, contenendo argomentazioni precise, testo rintracciabile on line, link tra le fonti di questa sezione – n.d.r.) contente un preciso divieto: “Di conseguenza, le disposizioni di cui all’articolo 25 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità si applicano anche agli stati vegetativi. Si ritiene, pertanto, nel rispetto dei principi e criteri ispiratori della Convenzione, che sia fatto divieto di discriminare la persona in stato vegetativo rispetto alla persona non in stato vegetativo. Ciò premesso, si invitano codeste Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano ad adottare le misure necessarie affinché le strutture sanitarie pubbliche e

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private si uniformino ai principi sopra esposti e a quanto previsto dall’articolo 25 della Convenzione sui diritti della persona con disabilità.” [Stralcio dell’articolo 25 della Convenzione sui diritti della persona con disabilità: “Gli Stati Parti – membri dell’Onu, n.d.r – riconoscono che le persone con disabilità hanno il diritto di godere del più alto standard conseguibile di salute, senza discriminazioni sulla base della disabilità. Gli Stati Parti devono prendere tutte le misure appropriate per assicurare alle persone con disabilità l’accesso ai servizi sanitari che tengano conto delle specifiche differenze di genere…”. L’intero documento è visionabile on line, link tra le fonti di questa sezione – n.d.r.]. Il 26 Gennaio 2009, la sentenza n.214 del T.A.R.: “Accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato nei sensi di cui in motivazione”. Sostanzialmente Beppino Englaro “ chiedeva all’Amministrazione Regionale della Lombardia, di indicare la struttura del servizio sanitario regionale presso cui procedere all’esecuzione del decreto della Corte di appello di Milano pronunciato il 25 giugno 2008 e depositato il 9 luglio 2008” (estratto della sentenza, testo integrale rintracciabile on line, link tra le fonti di questa sezione – n.d.r.). Il 3 Febbraio 2009 il corpo di Eluana Englaro dalla casa di cura ‘Beato Luigi Talamoni’ di Lecco viene trasportato alla residenza sanitaria assistenziale ’La quiete’ di Udine, quest’ultima struttura si è resa disponibile ad attuare il protocollo terapeutico conformemente a quanto disposto dalla corte d’appello di Milano (il 9 luglio 2008).

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Il 6 Febbraio 2009 l’equipe che segue il corpo di Eluana Englaro annuncia l’avvio del protocollo, contestualmente il consiglio dei ministri approva un decreto

legge

per

impedire

la

sospensione

dell’alimentazione

e

dell’idratazione dei pazienti. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, rifiuta di firmare il decreto legge. Nella serata (del 6 Febbraio 2009), riunito in sessione straordinaria, il consiglio dei ministri approva un disegno di legge confermando i contenuti del decreto rifiutato, in particolare nella premessa si precisa: “ Si rende pertanto necessario disporre il divieto di sospendere le attività di alimentazione e idratazione nei confronti di tali soggetti (tali soggetti si riferisce a “quei soggetti che non hanno manifestato direttamente in modo certo o non sono attualmente in grado di esprimere la propria volontà in materia” – paragrafo precedente – n.d.r.)”. Di conseguenza l’articolo 1 del disegno di legge sancisce: “In attesa dell’approvazione di una completa e organica disciplina legislativa in materia di fine vita, l’alimentazione e l’idratazione, in quanto forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze, non possono in alcun caso essere sospese da chi assiste soggetti non in grado di provvedere a se stessi”. Il 9 Febbraio 2009 si riunisce il senato per discutere del disegno di legge del 6 Febbraio. Alle ore 19:35 Eluana Englaro muore. Il Governo, la Presidenza del Senato e i gruppi parlamentari decidono di ritirare il disegno di legge.

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Alle ore 23,23 la seduta viene ripresa per le considerazioni finali tra le quali, il ministro Sacconi dichiara: “Il Governo conferma l’opportunità di un percorso legislativo che garantisca in tempi certi una regolazione, quantomeno nei suoi contenuti essenziali, della fine di vita. Alla luce di tale convinzione il Governo giudica interessante la disponibilità manifestata dall’opposizione di giungere in Commissione ad una definizione rapida ed ampiamente condivisa del testo sulla fine di vita, del quale la norma sul divieto di sospensione

dell’alimentazione

e

dell’idratazione

costituisce

parte

essenziale. Alla Presidenza del Senato spetterà il compito di garantire, come sempre, tempi certi di avvio e di conclusione dell’iter del provvedimento in Aula”. Gasparri: “Il Gruppo conferma l’impegno a discutere in tempi rapidi un disegno di legge organico in materia di fine vita, certamente più soddisfacente della norma ponte contenuta nel disegno di legge n. 1369. Quest’ultimo testo, tuttavia, detta un principio sacrosanto e irrinunciabile, tanto più fortemente condiviso dall’opinione pubblica oggi, dopo la morte di Eluana Englaro, che il Governo ha tentato di impedire con un provvedimento di urgenza, bloccato dal Presidente della Repubblica con una decisione legittima quanto discutibile. Sottolinea di aver espresso un giudizio rispettoso e responsabile. Propone quindi di inserire all’ordine del giorno della seduta antimeridiana di domani la discussione di una mozione la quale stabilisca che l’alimentazione e l’idratazione non costituiscono accanimento terapeutico”. (Consiglio vivamente di visionare l’intera trascrizione della seduta, le dichiarazioni sopra riportate sono state estrapolate dal resoconto sommario

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rintracciabile on line, link tra le fonti della sezione – n.d.r.). Il 11 Febbraio 2009, l’esame autoptico effettuato sul corpo di Eluana Englaro, su ordine della Procura della Repubblica di Trieste, stabilisce che la causa del decesso è stata un arresto cardiaco conseguente alla disidratazione. Tale riscontro risulta dunque compatibile con il protocollo previsto dalla legge e ripreso dalla perizia stessa. Dal 18 Gennaio 1992 al 9 Febbraio 2009, il corpo di Eluana Englaro viene considerato in stato vegetativo poi divenuto permanente dal 1993. I corpi in stato vegetativo non mostrano evidenza di : coscienza di sé e dell’ambiente; risposte comportamentali costanti, riproducibili, intenzionali o volontarie a stimoli visivi, uditivi, tattili o dolorifici né comprensione o espressione del linguaggio. E’ considerato stato vegetativo, se vi è evidenza di: ritmi sonno-veglia; funzioni autonomiche sufficientemente preservate da permettere la sopravvivenza e il nursing; incontinenza sfinterica; infine riflessi del tronco cerebrale e del midollo spinale conservati anche se non intatti. La morte encefalica, invece, viene regolamentata dalla legge italiana attraverso il riconoscimento di due specifiche condizioni: la cessazione irreversibile delle funzioni encefaliche precedente o successiva l’arresto cardio-respiratorio. La legge del 29/12/93 n°578, all’art. 1 sancisce: “La morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo” E più oltre, art.2: “La morte per arresto cardiaco si intende avvenuta quando la respirazione e la circolazione sono cessate per un intervallo di tempo tale

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da comportare la perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo…”. Sul notiziario on line della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Firenze, Paola Innocenti precisa: “Mi sembra utile sottolineare

come

il

recepimento

da

parte

della

legge

italiana

dell’atteggiamento scientificamente rigoroso di identificare la morte con la “cessazione irreversibile di TUTTE le funzioni dell’encefalo” (sia del tronco che della corteccia) renda impossibile nel nostro Paese confondere la morte encefalica con uno stato di coma profondo o con lo stato vegetativo.” Tale distinzione risulta necessaria in quanto fondamento di alcuni ragionamenti a sostegno della tesi che Eluana Englaro non dovesse morire perché le cellule cerebrali nei corpi in stato vegetativo permanente mandano segnali elettrici rilevabili chiaramente dall’encefalogramma, dunque sono vive. In un comunicato stampa del 5 Febbraio 2009, pubblicato sul sito ufficiale del Centro Nazionale Trapianti si chiarisce dunque: “… appare evidente che lo status vegetativo persistente in cui si trova Eluana Englaro non può essere in alcun modo assimilato alla morte cerebrale che coincide con la cessazione di tutte le funzioni vitali del cervello, generata dalla distruzione totale delle cellule cerebrali. In tal caso, infatti, il cervello non solo è danneggiato sul piano della funzionalità e della percezione, ma anche su quello anatomico perché le cellule morte cominciano a decomporsi e gli enzimi che si liberano, conseguenza di questa decomposizione, aggrediscono e demoliscono le altre cellule innescando un meccanismo inarrestabile. La morte cerebrale è uno stato irreversibile, irreparabile e

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definitivo che coincide con la morte della persona.” [ Ricordo che la Suprema Corte con sentenza numero 21748 del 16 Ottobre 2007 tra i due presupposti necessari all’autorizzazione dell’interruzione alimentare artificiale ha sancito che ci sia “stato vegetativo irreversibile senza alcun fondamento medico sulla possibilità di recupero della coscienza” – n.d.r.] Fonti: Wikipedia. Zadig, salute, scienza e ambiente. Eius – informazione giuridica per studenti e operatori del diritto (Decreto 9 Luglio 2008, corte d’appello di Milano: on line QUI – sentenza n.214, 26 gennaio 2009, del Tar: QUI). Sentenza corte di cassazione n.21748/2007, on line QUI o QUI. Federalismi.it, rivista di diritto pubblico italiano, comunitario e comparato (Atto di indirizzo del ministro Sacconi QUI). Il sito del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali (QUI la scheda del Ministro Sacconi citato sopra). Il sito del Governo italiano (QUI il testo della Convenzione ONU sul diritto alle Persone con disabilità). Il sito del Senato della Repubblica (QUI Atto del Senato n.1369 del 9 Febbraio 2009, QUI testo in pdf del disegno di legge del 6 febbraio 2009 – Resoconto sommario stenografico della seduta n.145 del 09/02/2009 QUI). Il notiziario on line della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Firenze ( Coscienza – coma – stato vegetativo – morte encefalica, QUI).

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Il sito ufficiale del Centro Nazionale Trapianti ( il comunicato stampa del 5 Febbraio 2009: lo stato vegetativo persistente non è la morte cerebrale, QUI).

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2. Massmedialità: il corpo di Eluana Englaro attraverso i media.

[La presente sezione si fonda su recuperi, riflessioni e confronti di articoli pubblicati da alcune testate giornalistiche nazionali. Le scelte delle fonti nonché l’incidenza delle testate sono dipese esclusivamente dai contenuti delle stesse e dalla reperibilità entro l’obbiettivo primario di questo progetto ovvero ‘attorno al corpo di Eluana Englaro’. La modalità di inserimento nella sezione è cronologica salvo diversamente motivato. – n.d.r.]

Dal punto di vista mediatico, il corpo di Eluana Englaro ha scatenato quantitativi abnormi di articoli, approfondimenti, interviste, puntate in trasmissioni. Fiumi di parole.Anche mentre questo progetto giunge a conclusione, le notizie si rincorrono giorno dopo giorno. Come l’uscita di un nuovo libro ’La vita senza limiti’ di Beppino Englaro e la giornalista Adriana Pannitteri (Rizzoli, collana saggi, 14 Ottobre 2009). Il padre di Eluana aveva già scritto un libro, ’Eluana’ assieme a Elena Nave (Rizzoli, collana saggi, 2008 – per entrambi i libri, sono rintracciabili on line le schede, link tra le fonti – n.d.r.). Contestualmente a distanza di otto mesi (quasi nove ormai) dalla sua morte, si recuperano statistiche. Da un’indagine dell’Osservatorio Scienza e Società di Observa (link rintracciabile nell’articolo di Guido Romeo del 13 novembre 2009, tra le fonti – n.d.r.), risulta che il 66% degli italiani sa cos’è un testamento biologico. Ma la guerra dei numeri resta aperta. Risale al 17 novembre 2008, un altro articolo di Renato Mannheimer per il Corriere della Sera, intitolato: "Testamento biologico: il 50% non sa cos’è".

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L’impatto della vicenda, i simboli, i significati più o meno evidenti, trasparenti e comprensibili (a livello conscio almeno) sono stati e sono tutt’ora vari, (pre)potenti, subdoli e in alcuni casi spudoratamente ostentatati e utilizzati dalla massmedialità. Attra-verso il corpo di Eluana Englaro ma anche (attra)versoi corpi di altri. Un esempio, un fatto direi, di questa potenza mediatica espandibile, dilagante,lo si rintraccia in un articolo dell’agosto scorso, dove ci si occupa della nascita a Savona di una bimba la cui madre il 9 febbraio 2009 (giorno della morte di Eluana Englaro) si era rivolta ai volontari del ‘Centro Aiuto alla Vita’ per non abortire come invece voleva il futuro padre. La bambina è stata chiamata Eluana. (Articolo tra le fonti: ‘Il convivente voleva farla abortire lei si è opposta, è nata Eluana’ - n.d.r.). Il 10 Settembre 2009, Beppino Englaro partecipando a un dibattito all’interno del festivalNo DalMolin a Rettorgole (Vicenza), in un’intervista per Arcoiris.tvha dichiarato: “I media sono stati determinanti.” (visionabile on line il video dell’intervista, link tra le fonti su Arcoiris.tv – n.d.r.). Prima di recuperare articoli e proiezioni massmediatiche, mi soffermo su due pubblicazioni del febbraio 2009 che individuano nodi attorno al corpo di Eluana Englaro a distanza di poco più d’una settimana dalla morte stessa della ragazza. Il 14 Febbraio 2009 su La Stampa, Ceronetti Guido scrive “Eluana e gli stormi di avvoltoi” definendo Eluana Englaro ‘creatura disfatta’ : “Non permettiamo che si raffreddi. Il caso Englaro va riattizzato costantemente: che davanti a quel Golgotha arda un lume sempre. Tutti dobbiamo gratitudine a quella vittima sacrificale e alla sua famiglia:

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perche’ la passione civile non finisca in una cloaca e la passione etica e religiosa trovino altre e ben diverse, e superiori, vie. Si sono visti stormi di avvoltoi, sulla breve agonia di Udine, scendere in picchiata a disputarsi i resti di una creatura disfatta e sfamarsi a beccate ignobili di qualcosa che gia’ piu’ non era e che altro non aveva da offrirgli, tetri pennuti ciechi, che carne di sventura. “ E conclude: “L’Italia debole, che con strenuo sforzo in cui va compreso il tributo di una risalita coscienza collettiva, di risorse d’anima e mentali inapparenti, antiavvoltoio, di pensieri silenziosi ma renitenti ai ricatti e alle violenze verbali dell’estremismo cattolico, materialista e anticristico - ha liberato dalle catene Eluana, e’ un resto di Italia dei giusti, di Italia che sa giudicare umanamente e cerca la liberta’ nella legge, che non accetta che l’impurita’ piu’ grossolanamente sofistica prevalga sulla verita’ semplice e pura. Dobbiamo un po’ tutti ri-imparare a morire: dunque a vivere e a trascendere la morte. Comprendere l’insignificanza della vita e dell’esistenza materiale e’ luce in tenebris. Per chi, pensando, ritenga che la vera salvezza consista nel liberarsi dalla schiavitu’ delle rinascite in corpi mortali, Eluana col suo lungo martirio avra’ meritato la tregua nirvanica, e non tornera’ in mondi come questo a patire sondini e beccate di avvoltoi - condannati, per loro intrinseca natura, a commettere empieta’. Da cristiani autentici si sono comportate le Chiese evangeliche: schierate dalla parte di Eluana, hanno voluto ricordare che un essere umano non e’ soltanto un aggregato scimmiesco di funzioni e che e’ delitto tradirne l’anelito al padre ignoto al di la’ del finito. Il combattimento spirituale e’ brutale. La meno ingiusta Italia, che assumera’ Eluana per segno, non deve temere di accettarlo, di restare unita, respinto l’avvoltoio, per la pieta’ e la luce.”

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Il 17 Febbraio 2009 Filippo Ceccarelli su La Repubblica affronta direttamente il ’Corpo. L’oggetto del desiderio del potere politico’: "Ma che gli è preso, e tutto insieme, e all’ improvviso? Preghiere, strilli e vaniloquio mediatico - istituzionale attorno al corpo vivomorto, reale e virtuale di Eluana Englaro. E adesso, senza nemmeno il tempo per un respiro, ecco una seconda ondata di pensieri, parole, opere e prevedibile ottusità normativa attorno ai corpi femminili violati..." Il corpo di Eluana Englaro, insomma, non è l’unico corpo di cui si è discusso e che impazza (entro

modalità

differenti)

in

quest’Italia

che

sembra

nutrirsi

disperatamente di "immaginazione corporale". Ceccarelli ragiona ruotando angolazioni: "(La politica - n.d.r.)... ridotta ai minimi termini della semplificazione, ma al massimo format dell’ evoluzione spettacolare e tecnologica, questa benedetta politica, o post-politica che sia, si è reincarnata. Messa così, l’ ipotesi può suonare ermetica, per non dire incomprensibile. Così come appare morboso, stucchevole e irrilevante lo scatenarsi dei media su..." La politica si è reincarnata e i mass media si scatenano. Ceccarelli espone un quesito, che si dirama proprio dai legami sottili dei simboli: "Viene da chiedersi che cosa sarebbe oggi, la politica, senza questa immensa pressione di carne; senza questa urgenza anatomica che sempre più chiaramente cerca di travolgere i confini tra sfera pubblica e sfera privata, che s’ incrocia con la tirannia dell’ intimità, con la deriva esibizionistica e guardona dei talkshow; e nel frattempo rimbalza nel linguaggio, ne abbassa le soglie cognitive, accende il turpiloquio a colpi di "vecchio", "panzone", "nano", "mettiti la dentiera". Chi abbia cominciato a raccogliere con certosino entusiasmo quanti più possibili sfoghi e ogni ragionevole follia del corpo politico della nazione si sorprende oggi a rileggere tutto questo materiale con fatica e sgomento.".

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E ancora: "Con il povero risultato che sia pure per frammenti e per abbagli, per simboli misteriosi e materiali organici, acquista un senso il monito di Nietzsche: «C’ è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza»." La ragione dei corpi, insomma, tende a scivolare, perdersi tra usi, ostentazioni, ammiccamenti, logiche che dalla carne si allungano, spostano visuali, lanciando altro. Fino a un ultimo quesito, uno dei nodi centrali anche di questo progetto: "Come possiamo parlare del corpo? E innanzitutto, bisogna parlare di un corpo o di molteplici corpi?" I mass media si sono occupati della vicenda di Eluana Englaro con un’interesse crescente e dilagante dal 2008. Già nei precedenti quindicisedici anni in cui le condizioni della ragazza non mutavano, lo stato vegetativo permaneva, e contestualmente il padre poi divenuto tutore legale, insisteva nel portare avanti quella che è stata poi definita la ’battaglia legale’ per la sospensione dell’alimentazione ed idratazione forzata; in questo lungo lasso temporale i media hanno divulgato, specie in prossimità di nuove sentenze (che insistevano ribadendo le posizioni iniziali di rigetto delle richieste), oppure per raccogliere testimonianze. Ma l’esplosione mediatica, l’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa si è risvegliata al primo segnale di cambiamento. L’immutabilità dei fatti (sul corpo di Eluana Englaro, sui procedimenti giuridici attorno allo stesso corpo) ha mantenuto pressoché immutata anche l’attenzione mediatica, riflettendosi a cascata su un’immutabilità sociale generale. Evidentemente già in quei primi quindici-sedici anni si sono formate e manifestate opinioni, tesi, logiche attorno a quel corpo e allargando la visuale, su tutti i

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corpi in quelle condizioni (ma anche su tutti i corpi che potenzialmente possono tutt’ora finire in condizioni affini). Eppure non si sono mai concretamente, mai con forza, mai con palese consapevolezza, considerate le effettive implicazioni che il corpo di Eluana Englaro palesava invece ogni

giorno,

senza

mostrarsi,

senza

urlare,

senza

chiedere.

Il 26 Giugno 2008, in attesa della sentenza della Corte d’appello di Milano, Carlo Albero Defanti, primario neurologo dell’Ospedale Niguarda e membro della Consulta di Bioetica di Milano (il neurologo che si è occupato direttamente di Eluana Englaro e che ha poi eseguito il protocollo di sospensione dell’idratazione e nutrimento assistito a Udine - n.d.r.) pubblica su L’Unità: "Il caso Englaro: un paese senza volontà". Scrive il prof. Defanti: "Fino ad oggi le sentenze hanno respinto la richiesta del padre, ma la Cassazione ha affermato due principi che pongono il caso in una luce diversa. Il primo è che ogni atto medico trova la sua giustificazione nel consenso informato e che eccezioni a questo principio sono possibili solo nelle situazioni di emergenza e devono perciò avere un’estensione limitata nel tempo. Un secondo principio che il diritto alla vita non è più forte del diritto di autodeterminazione, ma anzi deve essere subordinato ad esso. Ciò significa che se una persona ammalata ritiene che una terapia non corrisponda al suo concetto di dignità, ha diritto a rinunciarvi anche se la morte dovesse conseguire a questa rinuncia. Purtroppo, la grande maggioranza dei pazienti in stato vegetativo non ha dato disposizioni per il futuro prima e ovviamente non sono più in grado di darne una volta si trovino in quello stato." Precisando sul finire dell’articolo che: "A scanso di equivoci, la Cassazione afferma che in nessun caso la

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sospensione può basarsi su un giudizio di qualità della vita formulata da persone diverse dal paziente, fossero pure lo stesso rappresentante legale o altri membri della famiglia." La provocazione del titolo ‘Un paese senza volontà’ in realtà allude al fatto che ciò che fino a quel momento pareva mancare, non era tanto la volontà in sé che ognuno poteva o non poteva aver formulato, ma la manifestazione di tale volontà entro l’immutabilità di uno stato di non azioni, non dichiarazioni, non regolamentazioni entro cui si era ’stabilizzata’ l’Italia fino al 9 Luglio 2008, quando la giurisprudenza ha spostato l’asse d’equilibrio. Il 16 Luglio 2008, Piero Colaprico, giornalista de La Repubblica che seguì la vicenda di Eluana Englaro negli anni, ha raccolto alcune dichiarazion di Beppino Englaro in un articolo intitolato ’Da sedici anni mia figlia invasa dalle mani degli altri è ora di lasciarla in pace’: "Signor Englaro, sul corpo di una donna sembra combattersi una battaglia ideologica e religiosa. Per lei, che di questa donna è il padre, come stanno le cose? «Per me è un errore gravissimo parlare di corpo. Eluana era una persona, che andava e va vista nella sua interezza. Mia figlia da oltre sedici anni è invasa in tutto e per tutto da mani altrui..." L’articolo è nodo c’entrale di una delle questioni alla base di simboli e significati: Beppino Englaro fa un distinguo netto tra ’corpo’ e ’persona’: "Eluana era una persona", afferma Beppino Englaro, ’era’ (già all’epoca dell’articolo) una persona. Mentre il suo corpo veniva invaso ’in tutto e per tutto da mani altrui’. C’è una frattura evidente, nelle percezioni dirette della carne e di ciò che è stata per poi mutare in altro. Sempre il 16 Luglio 2008 Adriano Sofri su La Repubblica intitola un articolo ’La legge e l’amore’, andando a inquadrare un altro nodo in questo

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caso fondamento di ragionamenti strettamente legati alla scelta di vita o di morte: "Beppino Englaro pensa fermamente, ha avuto già sedici anni per pensarci, ogni giorno e ogni notte, che quella non sia vita per la sua Eluana, che non la riterrebbe vita per sé. Pensa che sua figlia l’ avesse respinta dal proprio orizzonte, e si fosse affidata all’ amore dei suoi per esserne, quando una simile disgrazia l’ avesse colpita, liberata. In questi giorni sono state raccontate, in contrappunto con la storia di Eluana, tante altre storie di figlie e figli in una condizione simile, assistiti dai loro famigliari e da persone di buona volontà con una dedizione eroica, compensata dall’ amore che, "nonostante tutto", nonostante l’ assenza di ogni segno di riconoscimento

e

di

comunicazione,

ne

ricevono

in

cambio."Successivamente: "Dunque l’ argomento che il signor Englaro, uomo solo, le oppone intrepidamente - "Non si tratta della consumazione di una vita, ma di fare in modo che la natura riprenda il suo corso che è stato interrotto" - suonerà invalido al cardinal Bagnasco, per il quale la natura è subordinata, salvo che diventi un sinonimo della legge divina. Ma sta di fatto che se oggi la medicina ha saputo prolungare un’ esistenza cui "la natura" avrebbe ancora poco fa posto irrimediabilmente fine, la dignità di questa esistenza non è definibile in modo assoluto, se non, vorrei dire, attraverso l’ amore. E l’ amore di una madre o un padre che devolvano intera la propria vita alla cura di un figlio, anche quando non sia offerta loro alcuna speranza se non il miracolo, non è né maggiore né minore di quello di una madre e un padre che vogliano liberare un corpo disertato dalla vita, compiendo così la volontà della propria figlia. Sono semplicemente incomparabili." Sofri riflette sulla posizione di Beppino Englaro, una posizione che verte su

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tre concetti chiave: ’natura’, ’dignità-amore’ e ’volontà’. Il primo come netta contrapposizione a "oggi la medicina ha saputo prolungare". Il secondo che inquadra il concetto di ’dignità’ attraverso l’amore di un padre e una madre che non è ’né maggiore né minore’. Ma Sofri prosegue: "Che i signori Englaro debbano "lasciare", come si è chiesto in questi giorni incandescenti, il corpo della propria figlia alle brave suore miserendine, è davvero un chiedere troppo. Che non si tratti, per Eluana, di "staccare la spina", ma di interrompere l’ alimentazione e l’ idratazione artificiali, non è affatto una vera differenza, se non per far evocare il raccapriccio di un’ agonia per fame e per sete. Ma è a questo che la medicina può e deve dare rimedio. Non è meno raccapricciante, una volta che contro un accanimento terapeutico si interrompa la ventilazione, una morte fra i gorgogli e gli spasimi dell’ asfissia…[…] Quanto a noi fratelli umani, la differenza mi sembra questa. Che alcuni di noi dicono: ‘Con tutto il rispetto per Beppino Englaro, stiamo dalla parte della Chiesa’. Altri di noi dicono: ‘Con tutto il rispetto per la Chiesa, stiamo dalla parte di Beppino Englaro’.” Sul finire dell’articolo, Sofri recupera le due posizioni dominanti nonché i ’rumors’ attorno alla modalità con cui si interromperebbe la vita di Eluana. Ma è del corpo che si dibatte come nota Sofri: “Che i signori Englaro debbano "lasciare", come si è chiesto in questi giorni incandescenti, il corpo della propria figlia alle brave suore miserendine, è davvero un chiedere troppo.” E’ un lascito carnale, null’altro. Un lascito che per la famiglia Englaro forse neanche esisteva, era pensabile (a maggior ragione alla luce della dichiarazione del padre a Colaprico riportate sopra – n.d.r.). Il 6 agosto 2008 Lucia Annunciata su La Stampa scrive di ’Aggrappati a una spina’, sollecitando una discussione entro ’dinamiche umane’:

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" la mancata volonta’ della ragazza allarga, non elimina, lo spettro di chi decide, obbligando gli altri, tutti noi, a farlo per lei. Per questa strada arriva nel cuore della societa’ lo stesso dilemma che un pugno di uomini affronta salendo sulle alte vette: rottura o conservazione, continuita’ o salto nel vuoto? Per quanto azzardato appaia, questo e’ il filo comune tra la morte eroica sulle nevi e la morte in ospedale. Non ci aiuta certo a dare risposte immediate. Ma collocare il caso di Eluana fra le ragioni piu’ ampie delle dinamiche umane che affrontiamo tutti i giorni, toglierlo dal suo status di anormalita’ per collocarlo nel senso dei gesti che l’umanita’ compie ogni giorno, ci permette almeno di poterne discutere, uscendo dalla trappola fede-\scienza

,

politica-\etica

e,

buon

ultimo,

Pdl-Pd.

"

Il 13 agosto 2008 su La Repubblica, Grazie Maria Mottola firma un articolo intitolato: ‘ Lecco, una giornata nella stanza di Eluana’, sottotitolo: ‘dodici ore con il sondino per nutrirsi, dodici per dissetarsi’. L’articolo resoconta i tempi di una giornata qualunque nella stanza dov’era ricoverata da quattordici anni Eluana Englaro a Lecco. Nel resocontoemergono anche Beppino Englaro e suor Rosangela, intrecci complessi, tra azioni, parole, posizioni diverse. C’è in questo articolo un’immagine di Eluana Englaro restituita dalle parole: "Eluana non dorme, ha gli occhi aperti. La tendina rossa che la separa dal corridoio si sposta, papà Beppino entra. Lo fa almeno una volta al giorno. Un bacetto. Il solito saluto, quello degli ultimi 16 anni. Che non cambia la realtà. «Bacio la figlia che ricordo, quella che si vede nelle foto». Casa di cura Lecco. Secondo piano, a destra, poi subito a sinistra. Suor Rosangela aggiusta il copriletto, glielo tira fin sopra la vita. Tapparelle abbassate, penombra. Fa caldo nella stanza, un corridoio, bagnetto, poi lo spazio per il letto, un comodino, sopra un bicchiere con qualche fiore rosso. Due

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orsacchiotti bianchi sulla testiera, ricordo di cugini gemelli. Foto e poster sulle pareti azzurre: mare e cavalli di un passato lontano, passioni e affetti in decine di immagini sotto vetro, che forse non guarda più nessuno. Eluana spiritosa in hula hop;sorridente al timone di una barca; tenera con le scarpe del padre; bellissima in una recita scolastica. Infanzia felice, adolescenza impetuosa. La maturità, invece, è tutta lì, quello che si vede su un letto d’ospedale. Trentasette anni, la pelle da bambina. Eluana è dimagrita. Le braccia lungo il corpo, rilassate in un pigiama bianco, leggero; il volto è adagiato sulla guancia sinistra; dal naso spunta il sondino che la nutre, quello che, se la Cassazione rigetterà il ricorso della Procura generale, cesserà di funzionare." Dalla pagina on line dell’articolo è anche possibile vedere un’immagine stilizzata della stanza di Eluana con gli oggetti citati nel pezzo (link intitolato "La stanza - Guarda" rintracciabile direttamente dal sito di La Repubblicatanella pagina dell’articolo in oggetto, link tra le fonti - n.d.r.). Il 3 settembre 2008 su La Stampa, Lisa Elena intervista il prof. Carlo Albero Defanti. Dall’intervista emerge una contrapposizione significativa, a proposito di Eluana Englaro che si rifletta anche sul linguaggio, le terminologie nonché le percezioni della ragazza stessa entro la distinzione ‘persona’ – ‘organismo’: "Dove finisce la vita e dove comincia la morte, professor Defanti? «Sono un laico e prima di tutto, quando si parla di vita e morte, e’ opportuno distinguere tra persona e organismo». Cosa intende dire? «Persona e’ colui che sa di esistere. Che e’ in contatto con la realta’, prova sensazione ed emozioni. Organismo e’ cio’ che ha perso tali consapevolezze». Quando parla di Eluana Englaro a cosa si riferisce? «Ad un organismo vivente privo di coscienza»."

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L’ 8 ottobre 2008, sempre Lisa Elena su La Stampa riporta un colloquio avuto con Beppino Englaro dal titolo: “Mia figlia deve morire, cosi’ finira’ il mio inferno’. Oggi potrebbe decidersi la sorte della ragazza in coma”. Ciò che era Eluana Englaro per suo padre, trova in questa intervista una precisa collocazione tra le parole: “«Quello che per i giornali e’ staccare la spina per me e’ far ripartire il processo naturale di morte interrotto dai medici con la rianimazione a oltranza dell’Eluana». Dice cosi’: «dell’Eluana», «l’Eluana», l’articolo davanti al nome lo mette sempre.” Emanuela Audisio il 15 novembre 2008 su La Repubblica scrive di ’Un paese tra la vita e la morte. Il confine di Eluana’. E anche in questo articolo le parole tratteggiano immagini precise, in questo caso più dilatate, volgendo sguardi che dal ’confine’, da Eluana Englaro, spaziano attorno: "Di là, Eluana. Dietro le finestre verdi, al secondo piano. Di qui, la città, l’ altro mondo. Il lago, le onde, il Resegone pieno di neve. In mezzo, il confine tra vita e morte. Anonimo e sottile, come un tubino. C’ è sole, chissà se filtra. Il solito corridoio grigio, mentre le suore vestono divise bianco e nere. Eluana viene messa in carrozzella, con un apposito reggitesta, e portata a prendere aria. Non è vero che ha i capelli bianchi, dice il suo medico curante, Carlo Alberto Defanti. è vero invece che ha ancora mestruazioni fortissime, tanto che un’ emorragia, un mese fa, se la stava quasi portando via. Eluana è invecchiata in questo confine, senza voci, dove non si può entrare. Il mondo in sua assenza è andato avanti. Eluana è figlia di questa terra, ma la sensazione è che sia sopravvissuta da estranea. Giocando fuori casa, sul pianerottolo della sua adolescenza. Ora, dopo 17 anni, è il momento dell’ addio. Ti aspetteresti un abbraccio, una scossa emotiva, un pianto generoso. Ama il prossimo tuo come te stesso. Eluana è un prossimo conosciuto. Invece no. Il paese non l’ accarezza, è

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infastidito dai riflettori, e non porge l’ altra guancia. Reagisce con indifferenza, si difende con il tema della discrezione, invoca il silenzio." Emanuela Audisio raccoglie voci per strada lasciando la feroce impressioni che manchi qualcosa. Al punto che la stessa Audisio ragiona sulla ’misura della sofferenza’ come ’visione singolare’ tenuta lontana e ne chiede un’altra, di visione: "Meglio rimuovere le ombre, staccarle dalle pareti della città e lasciarle lì, prigioniere in ospedale. La misura della sofferenza è una visione singolare che trova pochi appigli, forse bisognerebbe mostrare le foto di Eluana adesso, far vedere le sue tenebre, la sua assenza, prima della sua morte carnale. Vederla nelle foto, allegra sciare, non rende il suo presente. In questa storia senza futuro si usa il passato e si ignora il presente. Lecco oggi è l’ Italia che prova a tirar dritto per paura che lo sguardo contamini certezze, per timore che la visione susciti emozione, lo scandalo del corpo senza animazione che non smette di esser caldo. Ma quante volte deve morire Eluana per trovare pace e una carezza?" Il 14 novembre 2008, in un articolo dal titolo ‘Il diritto di dire basta’ su La Stampa, Carlo Federico Grosso chiarisce che: “E’ pacifico che ogni persona capace d’intendere e di volere ha il diritto di rifiutare le cure mediche e di lasciarsi morire. Lo si ricava dalle norme costituzionali (artt. 2, 13, 32 Cost.), dalle fonti giuridiche soprannazionali (Convenzione di Oviedo e Carta dei diritti fondamentali dell’Ue), dalla giurisprudenza ben salda della Corte di Cassazione in materia di consenso informato quale condizione di liceita’ dell’intervento medico. Cio’ significa che ognuno di noi ha la facolta’ di rifiutare una terapia in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale: si tratta dell’esercizio di un diritto fondamentale di liberta’. Ne’ si puo’ sostenere

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che il rifiuto consapevole delle cure, quando conduca alla morte, costituisca un’ipotesi di eutanasia: tale rifiuto esprime, semplicemente, la libera scelta del malato che la malattia segua il suo decorso naturale. Il problema, a questo punto, e’ stabilire quale sia la regola applicabile ove il malato non sia in grado di manifestare la sua volonta’. La Cassazione, un anno fa, ha stabilito che puo’ decidere il tutore.” Precisa anche: “Il tutore dovra’ decidere, ha stabilito la Cassazione, non «al posto» del malato, ma «insieme a lui», ricostruendo la presunta volonta’ del paziente inconsapevole tenendo conto dei desideri da lui espressi quando era cosciente ovvero desumendo la sua volonta’, dalla sua personalita’, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori, dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali. Di qui l’importante principio di diritto enunciato. In caso di malato incapace tenuto artificialmente in vita, il giudice puo’ autorizzare la disattivazione del presidio sanitario, ma unicamente quando sia provato con certezza che lo stato vegetativo e’ irreversibile e che la richiesta d’interruzione da parte del rappresentante legale corrisponde alla presumibile

volonta’

del

paziente.

[…]

in

assenza

di

una

regolamentazione specifica del testamento biologico, ha desunto la regola di giudizio applicabile attraverso un’attenta ricostruzione dei principi costituzionali, della giurisprudenza pregressa in tema di consenso informato, delle norme di diritto soprannazionale in materia. In questo contesto, parlare d’illegittima autorizzazione all’omicidio mi sembra, quantomeno, indice di scarso rispetto per le istituzioni giudiziarie che hanno valutato e deciso.” Su L’Unità, dal 15 al 17 novembre, si susseguono tre interventi concatenati.

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Il 15 novembre 2008, Lidia Ravera chiede ‘Eluana: non mostrate quelle foto’. La Ravera si domanda anche altro, e lo fa con lucida consapevolezza: "mi viene naturale pormi qualche domanda. È una scelta casuale? È legata esclusivamente al fatto, obbiettivo, che il padre, giustamente, non concede fotografie del terribile stato del presente? È l’ambiguo sinistro frutto della comune, e inevitabile, commercializzazione delle grazie femminili? Insomma:

perché

pubblicare,

continuativamente,

ossessivamente,

istantanee della fulgida e interrotta giovinezza di Eluana Englaro? E se si trattasse (per certi giornali involontariamente, per altri con coscienza della propria scelleratezza) di dar corpo a un sottile messaggio implicito, quasi un invito a difendere qualcosa che non esiste più? Il sottile messaggio è: guardate quant’è bella, quant’è giovane, quant’è radiosa. E voi volete ucciderla? Volete staccarle il sondino, il respiratore, quello che è? Volete staccare dalle macchine che la tengono in vita questa fanciulla nel fiore degli anni? Certo l’articolo che correda la fotografia spiega le cose come stanno veramente. Spiega che Eluana subisce una non-vita, è in stato vegetativo,

lontana

anni

luce

dalla

condizione

in

cui

viene,

quotidianamente, ritratta. Ma lo sappiamo tutti che le immagini parlano più forte e più chiaro delle parole. Le immagini si impongono mentre le parole vanno lette, decifrate, capite. Le parole sfumano, dettagliano, spiegano. Le immagini colpiscono. E colpiscono, in genere, là dove non si dovrebbe, là dove le parole non arrivano. Sotto la cintura. In zone fragili, fortemente reattive. E lontane dal cervello." Sempre il 15 novembre 2008 mentre Lidia Raveda si interroga sul potere delle immagini, sempre su L’Unità, Ferdinando Camon scava nell’amore e scrive ’Se la vita diventa blasfema’. Per Camon non c’è scontro tra chi ama e chi no, perché tutte le parti che si sono esposte e che hanno preso

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posizione ’amano’. Ma non Eluana: "Se il medico ama la scienza, se la giustizia ama la legge, se la Chiesa ama Dio, nessuno ama veramente Eluana. Ad Eluana è mancato l’amore che amasse Eluana per quel che è, e le desse ciò di cui ha bisogno. Adesso Eluana non verrà più nutrita, e si spegnerà di fame e di sete cellula per cellula, impiegando in questa agonia (di cui non sappiamo niente) sei-sette giorni. Come Terry Schiavo. Per amare Eluana bisognerebbe aiutarla molto di più. E risparmiare alle sue cellule lo strazio della fame e della sete. Riconoscerla per quel che è. Per amare Eluana, bisognerebbe liberarla, in un unico istante, di sofferenza, coscienza ed esistenza." Nei ragionamenti di Camon, Eluana è Eluana, non c’è uso del termine ’corpo’. E’ un nome a cui si può associare qualunque cosa (immagine o non immagine, senso o non senso). Oltre tutto i termini ’ sofferenza, coscienza ed esistenza’ usati nell’articolo rafforzano la percezione che si stia ragionando sulla ’persona’ piuttosto che su ’mero corpo’. Il 17 Novembre 2008, Concita De Gregorio intitola ’In nome del padre’ e ragiona sul rapporto corpi e immagini: "Aggiungevo anche, in pieno accordo con Lidia Ravera (l’articolo del 15 novembre 2008 riportato come stralcio sopra e rintracciabile tra le fonti n.d.r.), che mostrare le immagini di una giovane donna sorridente non aiuta a comprendere cosa ne sia di un corpo che giace esanime da 17 anni." Nella prima pagine de L’Unità proprio del 17 novembre 2008 c’è una foto di Beppino Englaro con dettaglio del volto visto di lato, la testa reclinata in avanti, gli occhi chiusi (e un’espressione tra le labbra difficilmente descrivibile. Prima pagina de L’Unità del 17-11-2008 rintracciabile tra le

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fonti - n.d.r.). Di quest’immagine scrive sul finire del pezzo la stessa De Gregori, motivando la scelta: "Abbiamo discusso a lungo, ieri sera, se pubblicare in prima pagina la foto di Giuseppe Englaro, il padre sotto assedio. Proprio perché avevamo chiesto silenzio: forse dobbiamo spegnere i riflettori noi per primi, ci siamo detti. Però poi ci è sembrato di dover dire che è un’indecenza accanirsi su una persona così addolorata, così tremendamente provata, così stanca e così sola. Condurre una battaglia politica sulla pelle di un uomo e di sua figlia." Dunque, la misura ‘del dire’, le ragioni di quel ‘dire’ sono state espresse attraverso una fotografia di Beppino Englaro. Il riferimento al titolo in prima pagina e ad altri ragionamenti della De Gregorio riguardano una fiction in onda in quel periodo su RaiUno. C’è, si avverte tra le righe, il dilemma del ’potere delle immagini’, il dilemma su chi guardandole le associa a un corpo, un’idea, una fede (religiosa, sociale, politica). Le immagini dei corpi come unico canale diretto, non filtrato, non appesantito da infrastrutture apparenti come possono essere le parole. Le immagini che danno una forma, a nomi propri, a stati d’animo di nomi propri.

Umberto Veronesi il 18 Dicembre 2008 pubblica un intervento su La Repubblica intitolato ‘La volontà di una donna’. Veronesi allontana ‘il caos’ degli ultimi mesi per recuperare‘la volontà di Eluana Englaro: "La confusione è sempre una cattiva consigliera perché alla fine delle polemiche abbandona la gente alla sfiducia sconsolata nella capacità della società, attraverso le sue istituzioni, di aiutare i suoi cittadini proprio nelle situazioni più complesse e drammatiche, quando la collettività e i suoi servizi dovrebbero invece essere di sostegno e di incoraggiamento.

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Occorre allora riconcentrarsi sul tema: la volontà di Eluana. Se qualcuno ha dei dubbi deve fermarsi lì: se effettivamente quella del rifiuto della vita vegetativa fosse davvero la scelta lucida della ragazza. Resta da vedere perché mai dovremmo mettere in dubbio il lavoro paziente e meticoloso dei nostri giudici che hanno ricostruito questa volontà, emettendo una sentenza che sapevano perfettamente sarebbe stata altamente impopolare. E perché mai un padre adorante verso la propria "bambina", come dice Beppe Englaro, avrebbe dovuto battersi per anni per realizzare tale volontà, affrontando la gogna mediatica e la distruzione della sua vita personale? A prescindere dalle considerazioni puramente umane, però, i dubbi sono legittimi perché non esiste purtroppo un documento firmato che riporti il pensiero di Eluana. Ma se invece siamo d’ accordo che la volontà di Eluana è quella ricostruita dalla magistratura, allora la confusione su chi decide che cosa è subito dissipata. Decide Eluana e la sua decisione va rispettata." La volontà insomma prima di tutto: “Come ricorda Carlo Casonato, grande esperto di diritto costituzionale comparato e responsabile del Progetto Biodiritto "il diritto di disporre della propria vita esiste. E’ sancito dall’ articolo 13 sulla libertà personale e dall’ articolo 32 della Costituzione, secondo il quale nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario e anche dall’ articolo 35 del Codice di Deontologia Medica che conferma che non è consentito alcun trattamento

medico

contro

la

volontà

della

persona."

Veronesi conclude l’articolo ragionando sul corpo di Eluana, su ciò che ragionevolmente era diventato dopo sedici anni (all’epoca dell’articolo – n.d.r.) di immobilità e stato vegetativo rispetto alle immagini proposte con ostinazione dai media: “Sono mesi che dalle pagine dei giornali e dagli schermi di televisioni e computer ci ossessiona la figura di una donna nella

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dirompente bellezza dei suoi vent’ anni: Eluana con il cappello nero, Eluana in tuta rossa fiammante sulla neve, Eluana che esce dalla doccia e ride. Eluana oggi non è quella delle foto. E’ una donna di quasi quarant’ anni anni, senza sorriso, senza espressione negli occhi, senza vita di relazione, senza coscienza, senza controllo di un corpo, che è ormai un involucro in disfacimento. Messa così, l’ ipotesi può suonare ermetica, per non dire incomprensibile. Così come appare morboso, stucchevole e irrilevante lo scatenarsi dei media su.” Il 23 Gennaio 2009 Concita De Gregorio radiografa la condizione di una nazione divisa tra Stato, Chiesa e un uomo: "Beppino Englaro, uomo ostinato, ha chiesto al suo Paese che debbo fare e ora che la giustizia italiana glielo ha detto domanda di farlo."

Eluana

Englaro viene nominata in un appello: «Eluana è anche nostra figlia». E c’è tra i ragionamenti della De Gregorio l’ Habeas Corpus, espressione che nei sistemi democratici indica l’insieme delle garanzie previste dalla costituzione a difesa delle libertà del cittadino (maggiori informazioni tra le fonti, link da Encarta – n.d.r.). ‘Habeas Corpus’ è dunque il titolo dell’articolo su L’Unità, dove ’corpus’ è termine che letteralmente corrisponde a ’corpo’ nella declinazione però, ampia, di ’persona’. Il 10 Gennaio 2009 su La Stampa intitolando ‘Eluana, qui si rompe il principio di legalità’ a proposito dell’intervento del Ministro Sacconi (l’atto di indirizzo del 16 dicembre 2008- n.d.r.) Carlo Federico Grosso scrive: “Al di la’ dei possibili cavilli, delle possibili interpretazioni piu’ o meno interessate, c’e’ peraltro un profilo giuridico, chiarissimo, sul quale non e’ consentito neppure discutere: che di fronte a una sentenza irrevocabile della Cassazione che, tenendo conto delle leggi operanti in Italia, ha stabilito

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determinati principi (ad esempio, che Eluana si trova in una condizione giuridica di coma persistente, che un intervento di idratazione e di nutrizione artificiale mediante sondino ipogastrico non costituisce semplice alimentazione,

bensi’

intervento

medico)

e

ha

conseguentemente

riconosciuto a Eluana, o a chi per lei, il diritto di staccare quel sondino, nulla, sul terreno giuridico, e’ piu’ consentito obiettare. La sentenza deve essere eseguita, punto e basta. Nessuno e’ piu’ legittimato a vietare, bloccare, frapporre ostacoli, ritardare. Al di la’ delle convinzioni personali di ciascuno di noi sul merito complessivo della dolorosissima vicenda e, conseguentemente, sulla bonta’, o meno, della decisione giudiziale assunta dalla Corte Suprema, oggi ci troviamo pertanto, a valle del problema principale, di fronte a una importante questione di principio sulla quale occorre essere chiari, determinati, inflessibili: che le sentenze irrevocabili della Cassazione, piacciano o non piacciano, siano condivise o non siano condivise, devono essere, in ogni caso, applicate, adempiute, eseguite. Infrangere tale regola significherebbe innescare una rottura gravissima del principio di legalita’ attorno al quale ruota l’intero nostro sistema giuridico.” Il 28 gennaio 2009, a firma di Neirotti Marco su La Stampa si pubblica un reportage intitolato ’Nelle stanze delle ventitre’ Eluana Nessuno si illude, ma abbiamo cura di loro’ che resoconta gli ’identici corpi immobili’ dei ’pazienti in stato vegetativo permanente’: "Andiamo a fare due passi». Gli infermieri aiutano a spostare dal letto alla carrozzella la donna di trentatre’ anni immobile, occhi in viaggio tra parete e finestra. Nulla di forzato, grottesco, nessun delirio di passato e neppure fantasie di guarigione impossibile. Soltanto lei che spinge per mezz’ora la figlia fuori dal reparto «pazienti in stato vegetativo permanente». I Cedri,

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convento ristrutturato, 40 mila metri quadrati di parco. In questa clinica convenzionata siamo nell’altro versante del caso Englaro. Qui non si chiede fine, ma sono identici corpi immobili: danni irreversibili agli emisferi del cervello, intatto il «tronco», la parte interna che sorveglia le funzioni di base, battito cardiaco come respirazione. Ventitre’ stanze, ventitre’ pazienti, poco piu’ di meta’ donne, fra trentatre’ e ottant’anni. Il primo ricoverato e’ venuto nel 1999, la ragazza che ora va a passeggio nel 2001. Le rianimazioni li hanno recuperati per quanto possibile da traumi cranici, ischemie, emorragie cerebrali, prolungati arresti cardiaci. Per quanto possibile: l’osservazione clinica, tac, risonanze magnetiche hanno diagnosticato lo stato «vegetativo permanente», gli emisferi che muoiono, si riassorbono, svaniscono vacui. Non si passa a miglior vita, non si tornera’ indietro." Proseguendo Neirotti scrive di ‘Corpi fermi, talora occhi in movimento. Non pensieri prigionieri’. E conclude: "L’infermiera apre la porta. La paziente va al bagno «vero», stanza calda dove il corpo viene adagiato in una vasca in plastica e lavato come si farebbe con un bimbo a casa. Una donna porta dischi, un’altra narra novita’ di famiglia a chi da sette anni non capisce. Nessun bisogno furente o lacrimoso, nessuna tenaglia sul passato. Il nome del reparto e’ una verita’: stato ve-ge-ta-le. Il dolore e’ uscendo, parlera’ nell’intimo, nei passi verso l’auto e la vita di stasera e domani." Su La Repubblica del 4 Febbraio 2009 rimbalzano le parole del professor Amato Da Monte: " «La cosa più angosciante, che mi ha accompagnato per tutto il percorso, è stato toccare con mano la grossa diversità che c’è stata tra il vissuto e la realtà». Il professore non l’aveva mai vista dal vero. Come tutti noi, solo fotografie di un passato diventato un immutabile presente. «Ho provato un

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dolore immenso per questa ragazza, che ci è stata presentata nel fiore della giovinezza, piena di gioia di vivere. Mi sono trovato davanti a una persona completamente diversa dall’immaginario che ognuno di noi si era creato». Nell’articolo di Marco Imarisio si ripercorre il trasporto di Eluana Englaro da Lecco a Udine, seguendo e ascoltando la voce di chi l’ha appunto accompagnata: "C’è poi la squadra, che ha scelto di persona. Altri due medici, 10 infermieri esterni, due consulenti. Ci sono un’infinità di altri protocolli e iter normativi. Ci sono tutte queste cose, certo. Ma poi c’è lei, Eluana. Quel che era, quel che è diventata. Il suo corpo. La sua presenza. Di notte, sull’ambulanza, il professor De Monte ha dovuto farsene carico. Forse è per questo che ha scelto di non usare monosillabi. Ne ha sentito il bisogno. Si doveva liberare di quella esperienza appena vissuta. Di quella visione che ad un nome diventato suo malgrado simbolo di dispute furiose fissava un corpo, qualcosa di reale. «Sono state cinque ore dolorosissime» ha detto." Dall’articocolo emerge una consapevolezza: il corpo di Eluana ha una precisa presenza in chi l’ha visto da vicino, in chi aveva un immaginario che poi si è scontrato con la realtà. Il 5 febbraio 2009, Su La Stampa, Fabio Poletti resoconta ciò che accade davanti al cancello della clinica ’La quiete’ di Udine, in un reportage intitolato "Ira e preghiere contro il padre ’assassino’ Si riuniscono in 200: e’ l’ora degli anatemi. C’e’ anche chi porta i figli in carrozzina ". Ed è un resoconto preciso: "La messa e’ finita. Comincia la guerra. Davanti al cancello della clinica «La Quiete» si schierano in 200. Recitano il Pater Nostro e l’Ave Maria. Accendono lumini con cui vorrebbero rischiarare coscienze spente e

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assopite. Sventolano cartelli con la foto di Eluana come se fosse una bandiera. Spingono carrozzine con disabili gravi e fanno i confronti". Parole e immagini che colpiscono, necessità di simboli da cui urlare. Il 5 Febbraio 2009, su Il Messaggero Veneto, Onorio Gonano scrive: "Così mi immagino Eluana, prigioniera nel suo corpo, impossibilitata a completare il ciclo della sua vita perché non trova il modo di uscire per raggiungere la meritata pace." Sempre il 5 Febbraio, sempre su Il Messaggero Veneto si pubblica un articolo intitolato ‘Simbolo di amore’ dove si ragiona su immagini, messaggi e simboli: “Martedì sera c’è stata una intera puntata di Porta a porta dedicata al caso di Eluana Englaro. Non amo molto la tv, anzi direi che generalmente se non mi disgusta mi annoia, ma se c’è qualcosa che mi interessa la guardo. Pur essendo attratto dal tema di quella puntata (che penso eticamente decisivo nel momento attuale), sono riuscito a seguirne solo una decina di minuti. La trasmissione era spesso interrotta da foto di Eluana nel pieno della gioventù, sorridente, felice. Il messaggio era che si stava uccidendo quella persona: giovane, sorridente e felice. Un messaggio scorretto. Faceva bene un ospite a sottolineare che quando si usavano termini come sospensione del cibo, non si doveva immaginare una persona che mangiava un panino col prosciutto. Non si poteva nemmeno parlare del cibo come lo intendiamo noi. Quelle immagini facevano credere di avere a che fare con una ragazza autosufficiente, ed era necessario ristabilire un minimo di relazione con la realtà dei fatti. […]

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Per il professor De Monte, la differenza tra le immagini mostrate e il corpo reale di Eluana sembra sia stata decisiva, insieme alla comprensione del dolore del padre, nella scelta di una condotta che pur gli procura angoscia personale. Ha visto il dolore di un corpo, e il dolore di un genitore e ha scelto. Un comportamento del genere credo che si

possa

senza

dubbio

chiamare

compassione.

Agire

in

modo

compassionevole. […] All’epoca, quando lessi le parole di Mozzi, mi parvero esatte, ma anche troppo radicali. In qualche modo, contenevano uno sfondo utopistico che credevo irrealizzabile nella società attuale. Parole che hanno la verità e insieme la durezza angeliche. Il dibattito su Eluana mi ha fatto ricredere. Se leggo che alcuni politici, realisti e scaltri, come Fini dicono che: «Sul caso Englaro ho solo dubbi, uno su tutti: qual è e dov’è il confine tra un essere vivente e un vegetale? Penso che solo i genitori di Eluana abbiano il diritto di fornire una risposta. E avverto il dovere di rispettarla», mi sembra che qualcosa si stia muovendo. Il padre di Eluana ha detto che sua figlia è un simbolo. Spero che diventi, nella coscienza comune, simbolo di compassione, di amore e di rispetto per il dolore altrui.” Il 5 Febbraio 2009, Marco Imarisio per Il Corriere della Sera intitola: “In piazza con i figli malati: sono prove di vita” e nel sottotitolo: “ In duecento davanti all’ospedale. I parenti: amiamo le nostre croci, Englaro svilisce la nostra scelta.” Imarisio resoconta con parole precise: “Lo spettacolo davanti alla clinica di Eluana è respingente e umano al tempo stesso.” E successivamente: “È inutile costringere queste persone a

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discutere delle differenze tra la vicenda dei loro figli e quella di Eluana Englaro, di fede e laicità. Sono qui soprattutto per se stessi, per rivendicare il senso delle loro vite. […] I padri e le madri delle case famiglia sono tornati a casa contenti, sentendo di aver fatto il loro dovere.”

L’ 8 Febbraio 2009, Giuseppe Genna pubblica on line un intervento su Carmilla intitolato ‘Il corpo e il sangue di Eluana Englaro: lo stupro assoluto’. Genna precisa che il corpo e il sangue di Eluana Englaro non sono doni, quanto meno non perché diventino ‘massacro’. Ma fa un’ulteriore premessa notevole. Notevole perché non la si è espressa frequentemente entro la massmedialità, non a proposito di Eluana Englaro: “Raffiguratevela mentalmente e sentitevi lei. Perché, se non si riaccende l’empatia e la pietà, cioè l’amore stesso, ogni parola è vana.” Immaginare di essere lei, cosa significa realmente? Cosa si immagina, tentando con la mente di essere Eluana Englaro (l’Eluana Englaro che l’8 Febbraio 2009 era ancora viva)? Cosa si vede mentalmente? Un corpo? Quale? Come? E’ stato scritto raramente ‘immaginate di essere lei’ perché non si può, ragionevolmente e onestamente immaginarlo. Ma Genna colpisce anche un altro nervo scoperto: “Si deve partire concretamente, materialmente, mondanamente da lei: non si deve prescindere da lei. Deve rimanere presente, come un filo rosso acceso, per tutto il discorso. Qualunque grado di affermazione deve essere riportato a quel corpo che sta nel letto…”. Genna sta scrivendo, semplicemente ciò che nel rumore generale, negli oceani di strilli, parole schizzate, teorie aggrappate a sondini, logiche che colpiscono pelli immobili, è probabilmente sfuggito. Si è sfilacciato gradualmente. Lentamente. Il corpo di Eluana Englaro è diventato col

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tempo questo o quello fino a perdere l’origine delle varie diramazioni. E

questa

origine

è

Eluana

Englaro.

Per Genna il corpo e il sangue di Eluana Englaro hanno subito diversi stupri, per diverse ragioni, ma ugualmente ‘violenze carnali’ che da quella carne hanno preso, tolto, posseduto, strappato: “Non è affatto destinale che il corpo inanimato sia obbligato a un’indefinita e ossessionante sospensione, che nega di fatto ciò di cui la società occidentale ha paura: vale a dire la morte e il lutto.” Genna conclude chiedendo silenzio, per questo corpo e questo sangue, per “il suo principio vitale che non è personale più, ma soltanto organico”. Richiesta, interpretabile non in senso assoluto ma per chi dall’esterno, fino a quel momento aveva dato a Eluana una precisa forma, non avendo dunque legami, affettività e memorie rispetto a quel corpo poi costretto a letto immobile. Infatti il pezzo si conclude con: “Bisogna provare pietà e amore e con questi, che non sono semplicemente sentimenti o emozioni, dare forma al silenzio e dare forma all’azione.” Dare forma al silenzio. Dare forma all’azione. Forme che partendo dal corpo visto dall’esterno come non personale ma organico, restituiscano pietas e amore. Anche Marco Rovelli su L’Unità scrive di ’Stupro sul corpo di Eluana’ [ il 14 Febbraio 2009 – articolo qui ripreso spezzando la cronologia, per collegare gli interventi – n.d.r.] riprendendo il pezzo di Giuseppe Genna su Carmilla e un altro di Evelina Santangelo su Nazione Indiana. Rovelli riflette su quanto si è detto e scritto, su questo corpo arrivando a un’osservazione precisa: "Ho sentito come il corpo di Eluana fosse oggetto, allora, di una vera «attenzione», nel senso più spirituale che

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Simone Weil attribuisce al termine: una concentrazione riflessiva che lasciava entrare quel corpo nella propria sfera di esistenza. E da quel corpo, allora, occorre ripartire, se ancora c’è lo spazio, qui ed ora, per ricostruire una comunità di persone e non di proprietari." Ripartire da un corpo, insomma, per ricostruire persone. Riconoscendo a quel corpo un peso specifico, in quanto oggetto e simbolo. Il 9 Febbraio è giornata in flessione, intensa a partire dalle divulgazioni massmediatiche. Carlo Federico Grosso su La Stampa pronunciandosi in merito al Disegno di Legge approvato dal Consiglio dei ministri il 6 febbraio: “La Cassazione, come e’ noto, ha «definitivamente» riconosciuto a Eluana Englaro, o a chi per lei, il diritto di staccare il sondino nasogastrico attraverso il quale si realizza il suo mantenimento artificiale in vita. Ebbene, di fronte a un diritto ormai definitivamente riconosciuto dall’autorita’ giudiziaria, davvero si puo’ ritenere che una legge successiva sia, di per se’, in grado di cancellare il giudicato? Si badi che, curiosamente, lo stesso governo, sul punto, deve avere avuto i suoi dubbi. Infatti nella relazione di accompagnamento al decreto ha scritto che e’ vero che, nel caso di specie, c’e’ stata una sentenza della Cassazione, ma essa, data la particolare natura del provvedimento assunto (di mera «volontaria giurisdizione»), non avrebbe dato vita ad alcun «accertamento di un diritto». Cosi’ facendo, lo stesso governo ha ammesso che se, invece, fosse stato riconosciuto un diritto, esso sarebbe ormai intangibile anche di fronte alla legge. Ebbene, poiche’, a differenza di quanto sostenuto dal governo, la Cassazione ha, in realta’, riconosciuto un vero e proprio diritto individuale a non essere piu’ medicalmente assistiti

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contro la propria volonta’ comunque manifestata, e’ lecito dubitare che il legislatore possa davvero, ormai, interferire, con una legge, su tale situazione giuridica costituita. A maggior ragione, non potrebbero, d’altronde, essere considerati legittimi ulteriori interventi a livello amministrativo diretti a ostacolare, o eventualmente impedire, l’esercizio del diritto ormai definitivamente riconosciuto. Lo impone, ancora una volta, la salvaguardia del principio costituzionale della divisione dei poteri.” Sempre il 9 Febbraio 2009, Giovanni Maria Bellu, nell’editoriale de L’Unità ricorda che manca all’intera nazione, ai cittadini, un’immagine: "Quella di Eluana nel letto di morte. L’immagine che, se solo avesse voluto, Beppino Englaro avrebbe potuto diffondere per mettere a tacere i suoi calunniatori. Non l’ha mai fatto. Non ha voluto farlo. " Un’immagine che in pratica è esistita fino alla sera dello stesso giorno di pubblicazione di questo articolo. Ma appunto non è mai entrata nel circuito massmediatico. Una fotografia che Giovanni Maria Bellu non immagina, non prova a descrivere. Non è nella spettacolarizzazione la mancanza di quel corpo. Bensì nel simbolismo, nella strumentalizzazione dell’altro corpo, quello di una Eluana Englaro con diciassette anni e oltre, in meno: "Perché la campagna mediatica della tragedia di Eluana Englaro è la dimostrazione evidente dei danni che la cosiddetta “anomalia italiana” è in grado di produrre nella libera formazione del consenso." Bellu accosta immagini a sondaggi. Tenta di scavare nei sensi e nei pesi attribuiti a quelle fotografie dove Eluana è "la ragazza sorridente delle foto", una ragazza però che " non esiste più da diciassette anni."

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Su Il Corriere della Sera, Aldo Cazzullo intervista Monsignor Betori in un articolo del 9 Febbraio 2009. Monsignor Betori è arcivescovo di Firenze da pochi mesi. Titolo e sottotitolo, recuperando frasi dell’intervista stessa: ‘Monsignor Betori: «Per i cristiani le persone sono sopra la legge» L’arcivescovo di Firenze: «nella storia di Eluana l’amore più alto e concreto è quello delle suore».’ In particolare, ragionando su Eluana Englaro e sul contrasto tra ‘persona’ e ‘corpo’: “Considera giusto il ricorso a un decreto? E come valuta il no di Napolitano? «C’è un realismo cristiano, per il quale il valore di una persona è superiore anche agli interessi di tenuta di un sistema politico e alle esigenze delle stesse forme giuridiche. Da questo punto di vista, quest’ultimo passaggio è in linea con le molteplici forzature che si sono registrate sul piano giuridico prescindendo dal bene della persona. Se il diritto non è a servizio delle persone diventa un problema. Noi cattolici amiamo talmente la realtà che non accettiamo di chiamare morta una persona che ancora vive. E mi lasci dire che siamo noi i veri uomini della ragione, coloro che non cadono nella contraddizione di dichiarare una persona priva di ogni dimensione umana per poi sedarla per evitarle un dolore che non dovrebbe sentire. Tutto questo ci potrà procurare anche qualche ingiuria, ad esempio di meschino integralismo...». […] Che cos’altro avrebbe potuto fare il padre? Lasciarla alle suore che si erano offerte di seguirla? «Mi sembra che in tutta questa vicenda se c’è qualcuno che se ne esce con intatto prestigio e accresciuta credibilità sono proprio le suore, che da anni servono questa donna come una figlia e tale la considerano. Non hanno

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scritto libri né si son messe a frequentare le televisioni per dire le loro ragioni, traducendo un fatto umano in un volano di azione politica; ma nessuno può negare che, se la ragione sta dalla parte dell’amore, il loro amore è stato il più alto e il più concreto fra tutti. Non chiedevano altro che di poter continuare nei gesti dell’amore. Se una donna in questi giorni viene privata della sua vita in forza di un’ipotetica ricostruzione di una sua presunta volontà, altre donne, queste suore, vengono anche loro offese, private di una relazione che non smetterà però di riempire la loro vita. Come pure il ricordo di questa donna resterà nel cuore di quanti amano la vita come un dono da custodire e non come un possesso di cui disporre». Eluana, nelle parole di Mons.Betori, è ‘donna’ tra quanti amano-la-vitacome-dono-da-custodire in contrapposizione con quanti la considerano possesso-di-cui-disporre. (contrapposizione anche tra le due diverse percezioni di Eluana, evidentemente: ‘persona’ come dono e ‘corpo’ da possedere – n.d.r.). Eugenio Tassini nell’editoriale (sempre del 9 febbraio 2009) su Il Corriere Fiorentino, sottolinea che: "Ormai è una «danza macabra » intorno al corpo di Eluana". Danza che è "un alzarsi di voci, ognuna con le sue certezze, che impressiona." ma anche una danza "senza ’tenerezza’, come spiegara nelle righe successive. E qui ’tenerezza’ è una scelta linguistica che colpisce perché riferita a una donna "che conosciamo per le poche foto sorridenti che il suo papà ha dato ai giornali". Conoscere sottintende dunque una collocazione carnale di un nome e cognome. E’ una conoscenza che le foto restituiscono nell’aspetto, in quell’aspetto fermo a una Eluana Englaro che ancora non sapeva,

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dell’incidente che l’aspettava e del resto.

Infine, in coda a questo recupero massmediatico, si inserisce una pubblicazione recente, del 10 novembre 2009. Su Il Manifesto, Marco Mancassola scrive di ’Estremi confini’. Ne ripropongo alcuni stralci che a distanza di nove mesi dalla morte di Eluana Englaro, analizzano e propongono riflessioni : "Nel frattempo, dentro la clinica giaceva muto il corpo di Eluana Englaro. Giaceva senza traccia di coscienza riconoscibile, immobile, la bocca semiaperta, con quella gonfiezza e quella sconcertante assenza di tensione conosciuta, purtroppo, da chiunque abbia avuto un congiunto o un amico in simili condizioni. Da diciassette anni quel corpo era in stato vegetativo. Un sondino gastrico infilato nel naso. Erano serviti tutti quegli anni e un tormentato percorso giuridico prima di ottenere dalla magistratura il consenso a sospendere nutrizione e idratazione forzate, seguendo il desiderio della famiglia e quello che sembrava essere stato il desiderio della ragazza. La conclusione della storia è nota. Eluana se ne andò il 9 febbraio. Ma l’opposizione più feroce all’epilogo “tragico ma umano” di questa storia non era stata infine quella dei magistrati o dei manifestanti accampati là fuori, quanto della gerarchia cattolica e dello spregiudicato governo italiano. Furono loro a trasformare il caso Englaro in un trauma civile. Nel suo libro Beppino Englaro racconta di quando, stremato dalle manovre politiche e dalla violenza della polemica, mandò un invito a Silvio Berlusconi. Gli chiese di venire a visitare sua figlia. Se fosse venuto, quell’uomo che all’improvviso si era fatto paladino della “vita a tutti i costi” si sarebbe forse reso conto delle vere condizioni di Eluana.

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[...] Sarebbe stato un incontro, quello mancato tra Silvio Berlusconi e il corpo di Eluana Englaro, in qualche modo storico. Pur nell’impossibilità di comunicazione verbale, sarebbe bastato il semplice accostarsi di queste due figure umane, dei loro due corpi così diversi, per creare un dialogo di contrasti e significati simbolici. Da una parte il corpo immobile della giovane donna e dall’altra quello agilissimo dell’anziano uomo. Il corpo ridotto in passività e quello ambiziosamente deciso a continuare a muovere il mondo. L’immortale per costrizione e l’immortale per aspirazione: non era stato proprio Silvio Berlusconi, una volta, a venire definito dal suo medico Scapagnini “tecnicamente immortale”? Le differenze non sarebbero finite qui. Da diciassette anni le funzioni vitali di Eluana erano mantenute per una volontà non sua. Ecco dunque da un lato il corpo che subiva il potere altrui, dall’altro il corpo che il potere, invece, continuava a incarnarlo. Da un lato il corpo di cui il padre aveva sempre proibito, per pudore, la diffusione di immagini, dall’altro il corpo mille volte messo in posa, al centro di una sapiente cultura dell’immagine. Il corpo che stava per uscire di scena e quello che al contrario occupava ogni scena, e che di lì a poco avrebbe avuto nuovi riflettori addosso, persino più di quelli voluti, per una serie di discusse vicende intime. [...] Per paradosso, dopo secoli di rivoluzioni per i diritti della vita, la nuova battaglia civile sembra quella per il diritto di morire. Per evitare fraintendimenti: quando si parla di diritto di morire non si allude certo al suicidio, questione che condurrebbe ad altre riflessioni. Si allude alla semplice libertà di riconoscere, di fronte a noi stessi e ai nostri cari e persino a Dio se ci crediamo, il momento in cui il senso della nostra vita tramonta, per circostanze che non abbiamo deciso, dinnanzi al senso della

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nostra morte. E qui torniamo a Eluana Englaro. Per sfuggire al rischio di trasformare questa donna in martire della retorica, oltre che martire della tecnica, rischio a cui si espongono i libri su di lei e in fondo questo stesso articolo, dobbiamo compiere il doppio sforzo di riconoscerci in lei e insieme quello di rispettare la sua individuale umanità. Un’umanità inesauribile, il cui senso ultimo, nella vita e nella morte, non sarà mai del tutto definito dalle nostre speculazioni, ma può essere solo “sentito” in prima persona. Proprio per questo nessuna legge ha il diritto di circoscriverlo. Possiamo solo cercare i modi per rispettarlo." In questo intervento di Mancassola, si rintracciano alcune keywords che da un ’attorno’ si diramano verso l’ ’ascolto’ del corpo di Eluana Englaro, dell’umanità di tutti i corpi.

Fonti IGN: (‘Englaro racconta l’addio a Eluana’ articolo del 12/10/2009 QUI). Rizzoli: La vita senza limiti (QUI la scheda del libro), Eluana (QUI la scheda del libro). Serendipity, di Guido Romeo ( ‘Sul biotestamento gli italiani hanno le idee più chiare del Parlamento’ articolo del 13/10/2009 QUI). La stampa.it: Il convivente voleva farla abortire lei si è opposta, è nata Eluana del 25-082009, La Stampa di Imperia a pag.61 Eluana e gli stormi di avvoltoi del 14-02-2009 di Guido Ceronetti. Aggrappati a una spina del 6-08-2009 di Lucia Annunziata.

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’’Si’, non basta che un organo sia perduto’’ Il medico: ma c’e’ il rischio di un blocco dei trapianti Il neurologo di Eluana del 3-09-2009 di Lisa Elena. ’’Mia figlia deve morire, cosi’ finira’ il mio inferno’’ Oggi potrebbe decidersi la sorte della ragazza in coma del 08-10-2009 di Lisa Elena. Il Diritto di dire basta del 14-11-2008 di Carlo Federico Grosso. Eluana, qui si rompe il principio di legalità del 19-01-2009 di Carlo Federico Grosso. Dalla parte delle regole del 09-02-2009 di Carlo Federico Grosso. Reportage Nelle stanze delle ventitre’ Eluana’’ Nessuno si illude, ma abbiamo

cura

di

loro

del

28-01-2009

di

Neirotti

Marco.

Ira e preghiere contro il padre, ‘assassino’ si riuniscono in 200: è l’ora degli anatemi. C’è anche chi porta i figli in carrozzina del 05-02-2009 di Fabio Poletti. Il Corriere della Sera.it: Testamento biologico: il 50% non sa cos’è del 17-11-2008 di Renato Mannheimer. Lecco, una giornata nella stanza di Eluana del 13-08-2008 di Grazia Maria Mottola. Il medico, bocconiano con l’orecchino <lei non è più quella delle fotografie> del 04-02-2009 di Marco Imarisio. In piazza con i figli malati: sono prove di vita del 05-02-2009 di Marco Imarisio. Monsignor Betori: < Per i cristiani le persone sono sopra la legge> del 0902-2009 di Ado Cazzullo. L’Unità.it: Il caso Englaro: un pasese senza volontà del 26-06-2008 di Carlo Albero

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Defanti. Eluana: non mostrate quelle foto del 15-11-2008 di Lidia Ravera. Se la vita diventa blasfema del 15-11-2008 di Ferdinando Camon. Prima Pagine de L’Unità del 17-11-2008 da Funize.com. In nome del padre del 17-11-2008 di Concita De Gregorio. Habeans corpus del 23-01-2009 di Concita De Gregorio (Habeas Corpus, definizione da Encarta QUI). La foto che manca del 09-02-2009 di Giovanni Maria Bellu. Lo stupro sul corpo di Eluana del 14-02-2009 di Marco Rovelli. La Repubblica.it: Da 16 anni mia figlia invasa dalle mani degli altri è ora di lasciarla in pace del 16-07-2008 di Piero Colaprico. La legge e l’amore del 16/07/2008 di Adriano Sofri. Un paese tra la vita e la morte. Il confine di Eluana del 15-11-2008 di Emanuela Audisio. La volontà di una donna del 18-12-2008 di Umberto Veronesi. Corpo. L’oggetto del desiderio del potere politico del 17-02-2009 di Filippo Ceccarelli. Il Messaggero Vento: Prigioniera del suo corpo del 05-02-2009 di Onorio Gonano. Simbolo di amore del 05-02-2009. Il Corriere Fiorentino: La conta dei vocianti del 09-02-2009, editoriale di Eugenio Tassini.

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Il Manifesto: Estremi confini. Manovre di potere nei territori del limbo del 10-11-2009 di Marco Mancassola (link all’articolo dal suo blog – n.d.r.)

Intervista a Beppino Englaro del 10-09-2009 su Arcoiris.tv a cura di Davide Sannazzaro e Daniel Bertacche. Il corpo e il sangue di Eluana Englaro: lo stupro assoluto del 8-02-2009 di Giuseppe Genna su Carmilla.

3. ‘Non epilogo: appendici’. Recupero dei fatti successivi. Il 12 novembre 2009, su L’Espresso Tommaso Cerno anticipa alcune informazioni sulla perizia encefalica eseguita sul corpo di Eluana Englaro (testo integrale tra le fonti - n.d.r.) La notizia è stata ripresa nei giorni scorsi da alcune piccole testate. Ma l’unico articolo in potenziale diffusione nazione resta quello su L’Espresso (a oggi, 16 novembre 2009 - n.d.r.). In particolare, sul portale Aduc (testo integrale tra le fonti - n.d.r.) già il 13 novembre scorso si rilanciano alcune osservazioni a proposito di questa ’verità mediaticamente inesistente’: "Sui quotidiani di oggi, con rare eccezioni, questa notizia praticamente non c’è. Per non parlare dei telegiornali. Ciò non è dovuto solo alla proverbiale memoria corta che da sempre affligge gran parte della stampa tradizionale. Le cause sono altre:

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finanziamenti pubblici ai giornali, assetti proprietari da terzo mondo dell’editoria e la corporativizzazione della professione hanno prodotto fenomeni come questo odierno, grazie soprattutto ad una visione parzialissima della società. […]". E’ indubbio che Eluana Englaro fosse ’attrazione interessante’ finché la si poteva considerare viva (finché lo era il suo corpo quanto meno). Ed è altrettanto indubbio che il ’peso specifico’ delle informazioni non è uguale per tutti. La massmedialità però, che determina l’effettiva diffusione delle informazioni,

ha

evidentemente

criteri

e

logiche

specifiche

da

comprendere. I gradi di importanza ci devono essere, sia chiaro. A un attentato non si può dare lo stesso risalto dell’ultimo concerto di Madonna o meglio, si può ma intervengono altre dinamiche di morale, etica, critica sociale. Quello che è stato definitivo ’il caso Englaro’ ha scatenato interventi mediatici di ogni tipo. Recentemente tali interventi si sono drasticamente ridotti non soltanto per la morte della ragazza ma anche per un certo ristagno, rallentamento e confusione nell’andamento del Ddl Calabrò. […] La perizia encefalica è stata fatta sul corpo di Eluana Englaro e ha definito risultati scientifici indiscutibili. Si sciolgono dunque le ’immaginazioni’. Già l’articolo su L’Espresso usa il termine ’verità’.

Sostanzialmente

si tratta di ’fatti accertati’ dalla scienza medica.

Ma questi fatti, che tanto sono mancati l’anno scorso, fino a febbraio 2009, queste certezze diventate ’immaginazioni’ ovvero idee soggettive, teorie, convinzioni parziali in alcuni casi poggiandosi su fedi religiose, politiche, culturali, sociali; questi fatti ora che ci sono in pochi arrivano a saperlo.

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Che ci sono per l’appunto. Il problema della ’inesistenza mediatica attuale’ in realtà potrebbe essere tranquillamente ignorabile a sua volta, se i cittadini avessero comunque il modo o la maniera di rintracciare l’informazione. Ma la rintracciabilità è direttamente legata alla possibilità di venirne a conoscenza. Dunque non si può svincolare l’elemento divulgativo mediatico con l’effettiva conoscibilità. Sostanzialmente non ci sono state ad oggi reazioni. Ma non c’è stata nemmeno divulgazione basilare dell’informazione.

Fonti: Eluana, la verità di Tommaso Cerno, L’espresso del 12-11-2009 La verità su Eluana Englaro: mediaticamente inesistente, Aduc del 13-112009

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Secondo movimento: Dire

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1. Le cose attorno. Può accadere in qualunque momento. Adesso. Fra un’ora. Domani. Chissà. Si fa di tutto per non pensarci. Può accadere di morire. Ho iniziato a sentirne il rumore fissando il volto di una donna che molti anni prima sorrideva all’obbiettivo. Poi un altro volto, segnato, pallido, quello di un padre. Ho familiarizzato con un certo fischio alle orecchie, ogni volta che leggevo titoli, seguivo dibattiti, interviste, salotti qualunque ripresi da occhi estranei. Il fischio, in realtà era ed è ancora la semplice ammissione di una caducità carnale. Associata, anzi peggio, aggravata, da quel volto pallido, asciutto, quello d’un genitore che insiste a parlare di ‘volontarietà’ nonostante l’immutabilità, nonostante la giurisprudenza, la gente, nonostante il resto tutto. Allora in quel volto ci ho visto riflessa una precisa domanda (domanda che persiste): chi farà rispettare le mie volontà? Ma anche: potrò io far rispettare quelle di mio figlio, eventualmente? I corpi come quello di Eluana Englaro sono sempre esistiti, e sempre ci saranno. Corpi bloccati. Incapaci di agire nella pienezza naturale. Incapaci di compiere azioni volontarie, corpi costretti all’immobilità, silenziosi, trattenuti. Eppure di quello di Eluana si discute ancora. Alla luce del sole, hanno detto in molti, lo stesso Beppino Englaro. Alla luce del sole in un’Italia cieca e sorda si è fatto qualcosa di piccolo e grande assieme: si è cercato di rispettare una volontà, che è manifestazione di una libera scelta. Ora, non starò qui a valutare le ipotesi secondo cui Eluana non avrebbe mai espresso quella volontà, che sia stato tutto impastato da qualcuno che non sopportava più la condizione della figlia, il dolore. Non lo farò perché non mi compete. Perché non lo saprò mai. Senza dubbio ciò che è sempre stato fatto, indurre la morte farmacologica nel silenzio, senza clamore o parole,

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senza richiedere l’intervento della legge, dello stato, delle istituzioni; tutto questo è altro, restano atti privati, chiusi, celati. Ciò che è accaduto a Eluana no, non è stato privato (se non tra le pareti delle stanze in cui è stata ricoverata), non è stato evento chiuso, si è detto e scritto di tutto. E proprio in virtù di questo detto e scritto, io credo di essere arrivata a le cose attorno capaci di colpire anche me. Chi si batterà per me? E io? Potrò veramente proteggere e far rispettare le volontà di mio figlio? Potrò affrontare quest’incertezza legislativa, sociale, psicologica, morale ed etica?

2. Morire e la morte. La morte terrorizza. Ricordo una nottata in macchina, di ritorno da una visita a parenti, avrò avuto otto, dieci anni al massimo. Chiesi a mia madre se pensava mai alla morte. Presi un lungo respiro e lo sputai fuori ad alta voce per sovrastare il cicaleccio della radio. Mia madre balbettò. Mio padre sentenziò l’inizio del tabù. In realtà, e lo capii molto dopo, il tabù c’era sempre stato, fuori e dentro di noi. E lo dimostrano i riti stessi che in Italia subiscono inflessioni regionali. Si dice che ‘ognuno reagisce a modo suo’, o almeno, è quello che ho sentito ripetere spesso nel Nord Italia, mai per spiegare grandi manifestazioni piuttosto per tutelare quella sottile freddezza che accompagna veglie, strette di mani, sguardi, passi, fiori sontuosi, bare che sono business impensabili (finché non si è costretti a sceglierne personalmente – a me è successo di recente – e appaiono dal nulla cataloghi e sale espositive). Con l’avvento delle tecnologie, le ricerche, i progressi medici, oggi molto più che per la generazione dei miei genitori ad esempio, i corpi restano in vita più facilmente in quel periodo di spegnimento lento e graduale (più o

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meno veloce) tra la malattia e la morte o la vecchiaia e la morte. E in quei periodi, quando gli accadimenti possono non essere certezze ma avere ugualmente aspettative concrete, le reazioni, la qualità di ciò che si fa con e per il corpo che è ancora persona; resta avvolto da flessioni, routine, fughe, imposizioni. Perché morire ci terrorizza. L’atto del morire, non è solo la morte in sé, la condizione di non vita, bensì ciò che accade, il transito dalla vita alla morte intesa come fine, black out, oscurità, il nulla. Morire è ancora capace di tirare fuori il peggio di noi. Noi tutti. Non esiste accompagnamento, condivisione, discussione che lo riguardi. Ma con Eluana Englaro molto presto la parola ‘morte’ è stata pronunciata insistentemente, fino a diventare leitmotiv. Le sue condizioni, tra pareri più o meno tecnici ed esperti e umori soggettivi, non erano poi così complesse da motivare perplessità in proposito. Eluana Englaro è morta il 9 Febbraio 2009. Il suo cuore ha smesso di pompare. I polmoni hanno subito un blocco definitivo. E’ così per tutti, in realtà, a rileggere le frasi precedenti non sembra esserci nulla di straordinario. Eccetto un dettaglio. Eluana viveva ma in stato vegetativo permanente. Eluana è morta dopo diciassette anni di non parole, non sorrisi, non pianti, non litigi, non studi, non amori, non piaceri, non carezze (almeno quelle che lei poteva dare perché deve averne ricevute da chi l’ha curata e accudita. Parole queste, le mie, che sono speranze, non certezze). La realtà di Eluana non presupponeva altro che quello. Immobilità. Poi la morte. Mentre le nostre vite, quelle di chi non vegeta ma può pensare, fare, dire, ragionare, essere; queste vite sono potenzialmente destinate a tutto meno che l’immobilità perenne. Poi certo, per tutti, prima o poi, la morte è comunque gradino obbligatorio. Non sosterrò che morire mi lascia indifferente. Mentirei. Ma ciò che più mi rende inquieta è il ‘come’ considerando le possibili scelte in condizioni

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controllabili quanto meno dalla medicina e le tecnologie. C’è chi sostiene che conta come si vive. Io credo sia importante anche come si muore. Specie in contesti che presuppongono scelte, volontà, libertà individuali. 3. Immaginarsi un corpo. Di Eluana Englaro si è cercato, raccontato, scritto e detto molto. Solo il suo corpo è stato custodito lontano da sguardi e riflettori. Unico gioiello prezioso da proteggere. Eppure di Eluana tutti abbiamo una precisa immagine in testa. Ed è un’immagine deformata. Quella di una ragazza coi capelli scuri vaporosi, un sorriso luminoso, gli occhi brillanti. Quell’immagine che risale a un corpo effettivamente esistente ma diciassette,

ormai

quasi

diciotto,

anni

fa;

quell’immagine

che

automaticamente si associa al nome, di fatto non è reale. Non solo ora, che Eluana è morta. Ma anche l’anno scorso, due anni fa e così via. Ci è difficile non associare ai nomi propri un volto, una consistenza precisa (di altezza, dimensioni, tratti del volto, caratteristiche specifiche), perché è con la carnalità che percepiamo intensamente le cose, attraverso gli spessori, la materialità riconosciamo, collochiamo dentro di noi. Nel caso di Eluana però c’è sempre stato un evidente impedimento di forma e sostanza. La sua carne è rimasta bloccata in quelle fotografie scattata quando ancora non era pensabile nulla, l’incidente, lo stato vegetativo, non esistevano nemmeno negli incubi. Poi è subentrata l’immutabilità. I tempi si sono dilatati. Quel corpo avrà subito i cambiamenti comuni a tutti i corpi in quello stato, e scrivo ‘avrà’ perché resto in un bilico rispettoso. Qualcuno ha azzardato ipotesi per mestiere, qualcun altro ha tentato smentite dichiarando di averlo visto qualche giorno prima della morte. Resta il fatto che non ci sono tangibili immagini di Eluana Englaro dopo l’incidente. Dell’Eluana di cui si è tanto dibattuto non si conoscono le forme precise.

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Ma l’immaginazione, che lavora febbrilmente e incessantemente di lei ha quasi sempre proiettato un ologramma. Ha fermato il tempo. Ha reso immortale qualche scatto dandole le sembianze di una ragazza sorridente. Per molti, Eluana sarà sempre e solo quella ragazza. C’è un evidente bolla, un gap fortissimo, nell’immaginazione della gente, nella necessità di attribuirle un volto e possibilmente sembianze riconoscibili. Il bisogno di collocare ha schiacciato la logica. Che dopo diciassette anni quella non fosse più Eluana in fondo lo sappiamo, lo abbiamo sempre saputo. Eppure – evidentemente – è più semplice, veloce e rassicurante insistere sulla fotografia che tende a rovinarsi. Quanto - immaginarsi un corpo - incide nella formulazione di pensieri, opinioni, scelte? Io ricordo perfettamente i corpi di due persone a me molto vicine che ho visto morire. E li ricordo all’interno di un preciso percorso di discesa, gradino dopo gradino. Potrei ora immaginare quelle persone con i volti sorridenti di quando giocavano con una Barbara-bambina? Posso, certo. Ma mentre morivano, o subito prima, avrei potuto scacciare l’immagine reale a pochi passi da me, per sostituirla con l’immaginazione d’un corpo (che era poi lo stesso solo fissato dalla memoria in altri luoghi, tempi e contesti) sorridente, vitale, nel pieno delle sue forze? No, di questo sono certa. La reale tangibilità scaccia le immaginazioni. Quanto meno nell’immediato, mentre gli accadimenti prepotenti rubano la scena, si impongono.

4. Icona. L’immagine di Eluana è stata riproposta con l’insistenza che stordisce. Come una di quelle hits lanciate dalle case discografiche che le radio trasmettono ad oltranza, insistendo finché la mente ne canticchia il

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ritornello per forzoso assorbimento involontario. La massmedialità l’ha fagocitata e se ne avvalsa in ogni possibile occasione. Sebbene, come già detto-digerito-vomitato, le uniche immagini pubbliche sono alcune fotografie, nient’altro. Eppure si è insistito, le si è mostrate nei telegiornali, tra pagine di quotidiani, per non parlare del web. Eluana Englaro è diventata icona? Il suo sorriso enorme, allegro. La pelle abbronzata, sulla neve con gli occhiali da sole, oppure con un cappello nero enorme o un paio di orecchini tondi che ricordano gli anni ottanta. Può uno dei pochi corpi non visti, corpo-non-corpo, in Italia oggi diventare Eikòn, immagine? O ancora: diventare Eikòn Graphé, descrizione di immagine? Se di immaginazione di corpo si tratta. Se di immagine precisa si tratta, nonostante il tempo trascorso, nonostante il gap. Evidentemente sì. E l’uso, di questa icona, mi preoccupa. L’uso è l’esatta differenza tra l’essere e il diventare. Sul diventare però, nella fattispecie un diventare post mortem, si perde facilmente il contatto tra corpo, identità, essenza per proiettare tutto verso necessità, aspettative, finalità altrui.

5. Assuefazione. Ogni giorno sentiamo pronunciare la parola ‘morte’ e il verbo ‘morire’ coniugato all’occorrenza. Ogni giorno vediamo immagini o scene a esse collegate sia in contesti reali (al telegiornale ad esempio) che tra finzioni a portata di telecomando (serie tv, film). I nomi pronunciati, i corpi mostrati, quanto sono ancora in grado di toccarci? E’una nominazione, uno svelamento, che inverte processi. Permette di non sentire alcunché tra pori e sentimenti. Dire, dire, vedere, vedere e ancora. Finché parole e frame entrano nei corpi per poi uscirne sgusciando

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frettolosamente. In medicina la si definisce assuefazione. L’organismo perde

sensibilità

verso

una

sostanza

farmacologica,

impara

a

metabolizzarla. Se mi guardo attorno, se ascolto i discorsi su ‘morte’ e ‘morire’ è esattamente questo che tocco. Insensibilità da assuefazione. Ormai perfino assistere a un’autopsia non ci procura alcun moto interiore, probabilmente qualche guizzo lo si controlla stringendo la mascella, nient’altro. Intestini sfilacciati, cuori recisi e stretti tra mani guantate, sangue a ricoprire tessuti molli, materiale cerebrale sparso, fratture, tagli, incisioni, cuciture, lividi, liquidi. A tutto siamo abituati. Vediamo senza collegare immagini a percezioni. Ascoltiamo rendendo sordi i timpani delle affezioni. L’assuefazione è virus letale. Paralizza. Atrofizza. In alcuni casi procura perdite permanenti. Poi. A volte, per qualcuno, i sentimenti sono ancora capaci di strappare al contagio. A volte. Immaginate di vedere ‘un’ corpo immobile (sapendolo morto) attraverso lo schermo del televisore di casa vostra. Immaginate di vedere ‘il’ corpo immobile (sapendolo morto) a poca distanza da voi riconoscendoci i lineamenti di qualcuno a voi noto (intimamente noto). Vi scatena la stessa reazione istintiva? A me no. Le conoscenze, i ricordi, le carni avute vicine, possono strapparci all’atrofia negli organi dei sensi. Sono nutrimenti capaci di combattere l’assuefazione. La quantità e qualità con cui ci nutriamo di questi alimenti, possono fare la differenza. Possono. Lo fanno. Ci restituiscono il tocco di ‘morte’ e ‘morire’.

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6. Di chi sono i corpi? Sulle ‘proprietà’ sono intervenute numerose discipline (giurisprudenze, religioni, sociologie, filosofie, psicologie, politiche…). Ma di chi sono i corpi resta ‘territorio di tutti e nessuno’. I corpi delle donne con l’aggiunta del sistema riproduttivo, dunque della possibilità di contenere un altro corpo, altra-nuova vita, sono ancora più contesi, incarcerati, stretti tra mani estranee. Sapere di chi è un corpo diventa necessario per capire come disporne, per riconoscere chi è titolare a scegliere per e su esso. Il paradigma semplice che attribuisce al possesso fisico primario le fondamenta dell’essere (‘Il corpo è mio’, ‘del mio corpo decido io’), quel paradigma è stato bucato, smantellato e minato. Eppure, di nuovo un qualche sussurro pare scivolare dalle sottrazioni, o meglio: da ciò che resta, dall’individuo. Stabilire di chi sono i corpi può restare landa desolata, posseduta ogni giorno da conquistatori differenti, erranti, barbari che cacciano e se ne vanno. Ma c’è una sottrazione innegabile, un resto che non si cancella: l’individuo. Possiamo insistere in battaglie linguistiche, semantiche, etimologiche, di fedi e credi poliedrici e mutevoli. Possiamo, lo facciamo da secoli. Eppure come ogni ‘insieme’, le singole parti che lo compongono, parti indipendenti, autonome, si riconoscono comunque. Io non so di chi sono i corpi. I corpi-tutti. Ma so di chi vorrei fosse il mio. E lo so perché esiste in me, come in ognuno, una consapevolezza individuale denominata ‘volontà’. Le volontà collegano corpo ad anima, anima a corpo. Le volontà ci restano in ogni caso, entro collettività quanto

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essendo comunque singoli individui. Le volontà sono resti rumorosi, basta allenare i timpani a percepirne le frequenze. Possiamo oggi, nel ventunesimo secolo in Italia, ignorare le volontà individuali di credere (in qualunque cosa, sia chiaro), scegliere per sé, decidere gesti, azioni e conseguenze su e per il proprio corpo?

7. Lo Stato di Diritto. La giurisprudenza regolamenta. Ma in Italia una regolamentazione per il c.d. ‘testamento biologico’ ancora non esiste. Proposte, discussioni, litigi, cancellazioni, rigetti. Ma una legge, no. Potrebbe essere la precedente interrogazione a bloccare lo Stato di Diritto. Potrebbe essere il non riuscire a scegliere per tutti (a non trovare un’unica risposta applicabile su tutti), di chi sono i corpi. Penso sia una considerazione ragionevole. Laddove tra Stato e Diritto intervengono altre variabili dai nomi capaci di mutare da labbra a labbra, come potere, sostegno economico, alleanze, tutele, controllo e forza politica. Foucault sosteneva che dare all’uomo la libertà di scegliere della propria morte equivale a rinunciare al potentissimo controllo sulle vite di tutti (teoria sostenuta in ‘Droit de morte et pouvoir sul la vie’ capitolo quinto di ‘Histoire de la sezualité’, 1976). Ed è rinuncia che le biopolitiche non sono disposte ad accettare (biopolitiche nella trattazione di Foucault ovvero dispositivi di potere dunque istituzionali, disciplinari, legislativi, scientifici, filosofici e così via). Qualunque logica, analisi e teoria si abbracci, resta un fatto: di una regolamentazione da parte dello Stato di Diritto in materia di testamento biologico, in Italia si è fatto a meno fino ad oggi. Ci si potrebbe insomma,

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domandare: perché cambiare? Ma anche: cos’è cambiato che ha trasformato un’assenza in mancanza conclamata? E’ bastata ‘un’ Eluana? Aggiungo io. E’ stato il riporre sotto il naso di tutti il suo non corpo? Bastato, non saprei. Di certo ha contribuito in maniera evidente, tangibile, a fissare da vicino quell’assenza che per taluni (me compresa) è diventata mancanza, buco, sacca cava. Quel nulla in mezzo ad altro è ormai fastidioso, doloroso. Resta da capire e valutare quanto il testamento biologico (se lo Stato di Diritto raggiungerà un accordo con le biopolitiche) qualitativamente riempirà, tamponerà la mancanza oppure diventerà cerotto destinato a staccarsi al primo contatto improvviso.

8. Perché tutto questo chiasso? Volendo sintetizzare: perché tutto questo chiasso? In altri tempi - in condizioni come quelle di Eluana Englaro - dopo incidenti o traumi di una certa gravità, si moriva. Ora non più. Dunque? Meglio, peggio, bene, male, giusto, sbagliato? Così è. In altri tempi. Si moriva. Ci sono due facce della stessa medaglia, io credo, che affermazioni come quella di cui sopra illuminano. Nel saggio ‘Soglie. Medicina e fine vita’, pubblicato nel 2005 da Bollati Boringhieri, il professor Carlo Alberto Defanti (definito dalla medialità ‘il neurologo di Eluana’) dedica l’intera terza parte al ‘Morire Oggi’ iniziando con un’affermazione pesante: “La morte diventa sempre più un problema medico”. Defanti radiografa mutamenti sociali, giuridici, pratici del morire,

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ed è radiografia impietosa. La percezione, l’importanza nonché il peso che attribuiamo al morire si riflette su gesti, scelte, rituali. Scrive Defanti: “Il morente spesso non fa neppure testamento e si affida talmente ai familiari da entrare talora in modo attivo nella congiura del silenzio, fingendo di ignorare l’approssimarsi della fine. Un altro aspetto della morte negata è la sua dislocazione: essa avviene nell’ottanta per cento dei casi in un ambiente medicalizzato […]. Si muore fuori casa, a contatto con personale di assistenza che ha sue regole e che richiede tacitamente al morente di mantenere quello che gli anglosassoni chiamano acceptable style of facing death (stile accettabile di affrontare la morte), ossia un contegno emotivo dignitoso. […] La morte è stata scomposta, spezzettata in una serie di piccole tappe di cui, in definitiva, non si sa quale è la morte vera, quella in cui si è perduta la coscienza oppure quella in cui si è perduto il soffio.” In altri tempi. Si moriva. Che sostanzialmente si può decodificare con: Oggi (in tempi recenti). Non sempre si muore (si resta in una vita-non-vita). Progresso tecnologico, ricerche medico-scientifiche, sono loro le divinità che hanno mutato la caducità dei corpi frenando (in alcuni casi evitando) la naturale cadenza della morte a beneficio di una vita se non altro più lunga. Eccola dunque una delle facce della medaglia: il progresso tecnologico. Ciò nonostante, nel saggio di Defanti, che di tali progressi medici è pienamente consapevole, le due prime parti sono interamente dedicate ad analizzare le dinamiche per il riconoscimento della morte fino alle recenti soglie innescate dalle diagnosi di morte cerebrale. Oltre duecento pagine in cui il neurologo recupera teorie, espone esperienze, ragiona e dibatte.

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Perché oggi il confine tra vita e morte si è spostato, e insiste a restare in movimento. Ma resta necessario definire quella soglia, si può essere in vita o morti, non entrambi. Ed è quanto meno sorprendente constatare che proprio la tecnica ha complicato le distinzioni, ha dilatato tempi, modi e opportunità ma ci ha resi schiavi del caos. La tecnica non può garantirci quando esattamente è morte. E non può perché la definizione stessa di ‘morte’ poggia su concetti variegati a loro volta influenzati da variabili differenti. La tecnica ha costruito uno svincolo nuovo nell’autostrada della vita: la vita-non-vita. Una diramazione in tutto e per tutto simile a quella preesistente ma che può finire avvolta da nebbie improvvise, non sempre la segnaletica è presente e corretta, non sempre si è in grado di riconoscere dove ci si trova. Le percezioni di questa diramazione figlia della tecnica, sono tutt’ora dibattute. Basta che sia vivo, sostengono alcuni. Ma che razza di vita è? Ribattono altri. Da cui, ecco l’altra faccia della medaglia che rotola, rotola, rotola. La qualità. Il progresso tecnologico non è in grado di comprenderne il senso di ‘qualità della vita’ (e qualità della morte). L’umano sì, quanto meno dovrebbe. Eppure ne ha perso completamente il controllo. Come per altri progressi, come per altre evoluzioni, l’uomo stringe tra le mani il potere, ne vede le potenzialità e smette di essere, dimentica tutto (compresa la propria vita, figuriamoci la propria morte). L’uomo davanti alla tecnica ha le sembianze del Gollum tolkieniano. Scrive Giulio Mozzi nel suo saggio ‘Corpo morto e corpo vivo’ (Transeuropa, 2009): “… è una condizione nuova (quella di Eluana Englaro- n.d.r.), creata dal progredire della tecnica: è un modo nuovo che il male ha inventato per prendere forma ed entrare nel mondo” .

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Che di male si tratti non ho dubbi neanch’io. Che sia il male a essersi inventato nuove condizioni attraverso i progressi tecnologici, sì, qualche dubbio ce l’ho. L’uomo è male e bene. Il potere lusinga, contagia, acceca i suoi lati maligni, se ne nutre ingrossandosi in lui. Ma la tecnica di per sé non è né bene né male, io credo. In tempi recenti. Si resta in una vita-non-vita. Il progresso tecnologico ci ha fisicamente spostati. Ci ha costretti a mutare riti, gestioni, ci ha fornito strumenti nuovi alimentando aspettative e programmi. Ci ha permesso di cambiare l’approccio stesso verso il vivere e il morire. Ci ha alleggeriti, anche. Da taluni pesi. Da taluni dolori carnali. Da talune perdite improvvise. Ma ci ha allontanati dal senso profondo della qualità che, di fatto, rende ogni attimo diverso dall’altro. Ogni attimo vissuto. Ogni attimo del morire. E la medaglia rotola, rotola, rotola. Eluana Englaro l’ha tenuta in mostra diciassette anni, silenziosamente, i suoi bagliori a tratti sono usciti dalle camere dove quel corpo restava. Ora la medaglia rotola, rotola, rotola. Luccica. E rotola, rotola, rotola.

9. E la vita? C’è un piccolo saggio a cui sono molto legata. Si intitola ‘Modi di morire’ di Iona Heath, tradotto da Maria Nadotti, con postfazione di John Berger, pubblicato da Bollati Boringhieri nella collana Incipit, a gennaio 2008. Attualmente (fine 2009) è l’unico scritto della Heath tradotto in italiano. Proprio dal titolo una domanda facilmente corruga fronti: e la vita?

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Ragionare su Eluana Englaro richiama necessariamente la morte. Necessariamente non soltanto per l’epilogo ormai noto, bensì per le tematiche collegate al suo corpo. Anche ‘vita’ come termine, concetto, talismano, è stato usato e ripetuto a lungo. Non con la stessa frequenza di ‘morte’. Ma c’è una sottile eppure importante differenza tra vita-morte e vivere-morire. Scrive proprio Iona Heath: “Morire fa parte della vita, non della morte: il morire va vissuto.” Scrivere, ragionare e insistere su dinamiche legate strettamente al morire, non credo sia una forma di dimenticanza del vivere. Anzi. La morte scandisce il tempo della vita. E fin ora, l’Italia, gli italiani, hanno preferito non conoscere quella cadenza, l’hanno sfiorata per imprescindibile necessità anche pratica, formale, figlia dell’etica che impone gesti e rituali ma non c’è stata la stessa cura, consapevolezza, appartenenza che invece si vuole (per alcuni anche pretende), costruisce per-verso-dentro la vita.

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