BBQ4All Magazine - Almanacco 2019

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D I R E T TO R E E D I TO R I A LE

Rossella Neiadin

R E D AT T O R E C A P O

Michela Bongiorni REDAZIONE

Enio Berton, Giovanni Bolzonella Virgilio Brunetti, Michele Chipa, Roberto Dal Bosco, Tommaso Di Gregorio, Salvatore Di Mento, Luca Gallozza, Mariangela Ibba, Gianfranco Lo Cascio, Alessandro Morichetti, Riccardo Meniconi, Emiliano Nencioni, Andrea Spaggiari, Alessandro Trezzi, Carlo Trono, Paolo Tucci REALIZZAZIONE GRAFICA

Carlo Trono S TA M P A

Graphic Master s.r.l. - Perugia magazine@bbq4all.it instagram.com/bbq4allmagazine/ ©2019 BBQ4All è un marchio BBQ4All Consulting s.r.l. BBQ4All Magazine è un prodotto in concessione a ©2019 NetAddiction s.r.l. Tutti i loghi e marchi riportati, gli elementi grafici, le immagini e i materiali presenti nella presente pubblicazione sono soggetti alle norme vigenti sul diritto d’autore; è quindi severamente vietato riprodurre anche parzialmente ogni elemento delle pagine in questione. Nomi, marchi registrati e loghi eventualmente presenti su questa pubblicazione non possono essere utilizzati per alcuna forma di pubblicità o diversamente per indicare sponsorizzazione, patrocinio o affiliazione a prodotti o servizi senza previa autorizzazione scritta da parte della società che ne detiene i diritti. Tutto il restante materiale fotografico pubblicato è stato realizzato da BBQ4All e/o acquistato e/o licenziato allo stesso, con trasferimento dei diritti di utilizzazione economica salvo le immagini utilizzabili con licenza Creative Commons o GNU Free Documents Attribution. BBQ4All ha osservato le più ampie tutele affinchè non venisse violato il diritto d’autore altrui.


MAGAZINE ALMANACCO

2019 volume 1



GLI EDITORIALI DI GIANFRANCO LO CASCIO Piccola Guida per Briskettari allo sbaraglio Creare un Team Barbecue: tutto quello che devi sapere e non fare La sottile linea rossa che unisce Reverse Searing, cottura a bassa temperatura e microonde “È una rivolta?” “No Sire, è una Rivoluzione!” Un Pulled Pork Perfetto: tutti gli errori che non devi commettere CARNE è SCIENZA - Approfondimento sul REVIT Wagyu Day: cosa abbiamo imparato sulla carne più pregiata al mondo. Incontro con il selezionatore Onishi San Aglio, olio e peperoncino scientifica Il risotto - migliorare significa cambiare, essere perfetti significa cambiare spesso Come vi smantello i preconcetti: la carne trattata con antibiotici e ormoni non esiste Tutto quello che non hai capito dell’arrosticino, anche se sei abruzzese Un gambero che camminava in avanti - come riconoscere il vero gambero rosso di Mazara

GLI SPECIALI DEL MESE Il Brisket W.E.S.T. 2019 - Gare Barbecue KCBS & SCA La Porchetta - Pork belly Pasqua Pulled Pork Hamburger Pesce e crostacei La grigliata di Ferragosto Tex-Mex Hot Dog Spiedini dal mondo Gambero Rosso di Mazara

Volume 01 Volume 01

3 81

Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01

161 237 311 385

Volume 02 Volume 02

5 79

Volume 02

152

Volume 02 Volume 02

232 314

Volume 02

393

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28 102 192 260 342 420 20 94 184 258 336 400

NICE TO MEAT YOU - LE INTERVISTE Onishi-San, selezionatore di Wagyu Anthony Puharich, della macelleria Winston Churchill Juan Manuel Lobato Palomero, selezionatore di Jamon Iberico Matteo Marchetti, Gutrei Galizia Kobe Desramaults, Chef Johan Jureskog, Chef Kelsey Monterotti, Snake River Farms The Meat Hook, macelleria di New York City

Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02

22 96 318 400 10 84 160 242

ALMANACCO 2019 - INDICE GENERALE

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PORTFOLIO

Business: l’editoriale di Frank Merenda Spuntino letterario: la biblioteca gastronomica l’Australia e il gusto del Barbecue Non si chiama Pata Negra: guida al prosciutto più caro al mondo Wagyu: il manzo dell’armonia Lo Speziale del barbecue - introduzione alle spezie Gambero Rosso di Mazara: storia della pesca e dell’inevitabile ascesa Lo Speziale del barbecue - il finocchietto selvatico

Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02

BUTCHER CLASS - LA BISTECCA DEL MESE Flat Iron Steak New York Steak Flank Steak Teres Major

Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01

PER INIZIARE - IL BBQ PER I PRINCIPIANTI Quale dispositivo a carbone scegliere per iniziare a grigliare A tutto GAS - i dispositivi a gas Spegnimento del carbone: come evitarlo Come posizionare il carbone nel tuo dispositivo, tutti i tipi di set-up La cottura diretta Il pesce: gli errori da non fare e qualche consiglio per grigliarlo alla perfezione La grigliata affollata: come servire tante persone contemporaneamente Grigliata bagnata: come grigliare con la pioggia

DISPOSITIVI E ACCESSORI

La ghisa: cinque accessori che non ti possono mancare Sei coltelli che non ti possono mancare Come trattare gli accessori in ghisa Tutto quello che c’è da sapere sul Water Pan Sette accessori che ti faranno dire: come ho potuto farne a meno? Planking: come cuocere sulle tavolette di legno I BBQ portatili E questo a cosa serve? Quattro accessori apparentemente inutili Affumicatori: Bullet Smoker Dispositivi: il Kamado

II - BBQ4All MAGAZINE

8 72 186 246 322 378 400 472

14 90 168 242

Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01

60 222 258 332 414

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23 172 256

Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02

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TECNICHE E APPROFONDIMENTI L’evoluzione del Rub Sui carboni ardenti: l’ember roasting Il Pastrami: la storia Lo Smoke Ring: una guida completa La patata fritta perfetta Come pulire e sfilettare il pesce Il Pit Beef L’arrosticino perfetto Guida ai legni per affumicare L’Aragosta: come pulirla e come cuocerla alla perfezione

#CHIEDIALCOACH

L’evoluzione dello snake, dalla testa alla coda. Il fondo bruno: consigli e controindicazioni Low&Slow: gestione dell’umidità in camera e dello stallo. Per una Maillard da sballo, è possibile avere una lista di zuccheri riducenti? Nel pulled pork le injection vanno fatte poco prima di andare in griglia oppure la sera prima? Hot&Fast: pregi, difetti e differenze con il Low&Slow È possibile effettuare un dry brining e reverse searing e conservare sottovuoto le carni, così da utilizzare il forno una sola volta? Qual è la differenza sostanziale tra dry aged e sottovuoto? I nitriti in che modo agiscono chimicamente sulla carne? Come si fa: la conservazione del pulled pork in barattoli Carni sottovuoto e cattivo odore Come si fa: Pepper Stout Beef per celiaci Alimenti congelati e sicurezza alimentare Pollo: quello italiano è di qualità?

THE CHEMICAL GRILLER La scienza dell’affumicatura Brining: capitolo I Brining: capitolo II Brining: capitolo III Marinatura: un approccio scientifico Marinatura: parte seconda Marinature estreme

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174 265 288 336 452 50 62 125 180 422

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64 64 66

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153 155 226 372 460 138 218 382

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298 366 458 58 134 222 299

ALMANACCO 2019 - INDICE GENERALE

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WINE CLASS

Il giusto bicchiere per il vino A me gli occhi: vini di tutti i colori In un solo bicchiere l’odore del mondo Tutti i profumi del vino Accendete il naso: 8 vini e una birra incredibile da annusare 8 vini in cui anche un marziano vorrebbe infilare il naso Il gusto del vino è un gran bel casino Estate: sbagliare clamorosamente la temperatura del vino Il gusto del vino: parte II Vino: posso diventare un esperto? Acidità e libertà 10 bottiglie da bere tra Natale e Capodanno

IL GLOSSARIO DEL BBQ B C-D E-F G-H I-J-K

SEGUO

Seguo - gennaio “Ciao, mi puoi sbannare?” Seguo - marzo Seguo - aprile Seguo - maggio Seguo - giugno Io nel pensier mi fingo Seguo - agosto Seguo - settembre Seguo - ottobre Seguo - novembre Seguo da un anno

IV - BBQ4All MAGAZINE

Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02

18 92 178 252 324 408 16 90 166 250 328 466

Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 02 Volume 02

62 230 376 68 142

Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02

76 156 232 304 378 462 70 147 226 308 386 474


I MEN횢 Pasqua Ferragosto Tex-Mex Sicilia

Volume 01 Volume 02 Volume 02 Volume 02

266 96 184 414

Caramelle ripiene di Brisket Panelle e sliders Pizza con salsiccia affumicata e carciofi in ember Polpette di pulled pork e jalapeno Mini-hamburger alla parmigiana di melanzane Mini-hamburger con acciughe, crema di mozzarella e fiori di zucchina fritti Jalapeno fritti

Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01

44 266 278 350 436

Volume 01 Volume 01

439 444

Vol au vent con gamberi grigliati Calamari grigliati in insalata di grano al pesto sfizioso Moules frites La panzanella con pomodorini arrostiti Nachos Torta rustica con zucca bruciata Tartare di gamberi

Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02

26 34 36 96 191 287 414

Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02

46 48 134 204 270 352 30 99 192 270 284 426 433 436 446

APERITIVI E FINGER FOOD

PRIMI PIATTI

Rag첫 di Brisket Brisket e cannelloni Mac&Cheese Mezze maniche con rag첫 di pancetta Pasta al fumo: melanzane, acciughe e burrata Ravioli al vapore ripieni di pulled pork e salsiccia Cous cous con brodo di pesce e scampi grigliati Trofie con salsiccia e verdure grigliate Arroz rojo Risotto filante con radicchio grigliato Gnocchi di zucca bruciata Cous cous alla trapanese Busiate al rag첫 di tonno Tagliolini al nero di seppia, gamberi rossi, burrata e lime Pasta con le sarde

ALMANACCO 2019 - INDICE GENERALE

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SECONDI PIATTI

La moussakĂ Le mini-porchette La porchetta dal cuore tenero Agnello alla Vernaccia con olive Salsicce affumicate alla birra Wellington bacon explosion Orata affumicata su piastra di sale Jacket potato con polpo grigliato Braciole marinate allo zenzero La Rosticciana Tagliata di BBQ4All Steak Burger Il Chili Il Trapizzino con Pepper Stout Beef Tamales La Birria

Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02

50 132 196 272 274 442 38 40 103 104 110 113 115 202 208

Portobello farcito e grigliato Involtini grigliati con spinaci e gorgonzola Tri-tip ripieno Frigarui Pinchos morunos Shish taouk Souvlaki Anticuchos Satay Kushiyaki Corn Dogs Gamberi ammuddicati Sarde a beccafico Caponata di tonno

Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02

274 276 278 342 345 348 350 354 356 361 364 438 451 452

Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 02 Volume 02

34 126 128 182 200 210 291 344 62 101

AMERICAN BARBECUE Il Brisket Definitivo Kansas City pork ribs Chicken Thighs Boneless Beef Ribs Pork Belly Chicken lollipop Il pastrami: il metodo Il pulled pork Baltimora Pit-beef Smoked Louisville chicken wings VI - BBQ4All MAGAZINE


PANINI E TACOS

Panino con brisket cipolle caramellate e salsa Tiger Il panino di Elvis Il panino con pork belly cipolla rossa e maionese alla paprika Panino con la frittata e cipolle caramellate Sandwich con pastrami Pulled pork sandwich Hamburger con uovo, peperone, speck, cipolle e salsa barbecue Hamburger con cialda di patate e cipolle all’aceto Hamburger con avocado, lardo di colonnata e mele Fish-burger con olive e acciughe Trapizzino con Pepper Stout Beef Burrito con pollo alla birra Tacos alle verdure Tacos con pollo marinato all’arancia Tacos con salsiccie piccanti Hot-dog perfetto

VERDURE E CONTORNI Insalata di cetrioli feta e cipolle carmellate Baked Beans Tartufi di zucca bruciata Mississippi mud cheesy potatoes La rigrigliata Insalata mista con noci e mele Melanzane alla sassarese al mojito La caponata fumante Asparagi grigliati con uovo affumicato Zucchine ripiene alla menta Hamburveg Misticanza con mango, mela e semi vari Pico de gallo Elote (pannocchie) Patate messicane

Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02

42 136 202 268 293 354 428 432 440 28 115 194 199 199 200 264

Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02

40 41 54 138 142 206 208 276 282 356 360 44 204 207 211

ALMANACCO 2019 - INDICE GENERALE

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DOLCI E FRUTTA

Crostatina con lemon curd di limoni grigliati Mini-strudel fritti con mele grigliate e crema pasticciera Biscotti al muesli con crema di arance grigliate La Grigliacassata American Pie con fragole grigliate Cialde grigliate di Foresta Nera Sorbetto allo yogurt con melone bruciato Crostata con crema di cocco e ananas grigliato Sangria di frutta grigliata Churros Aspic di Prosecco e uva Fico, ricotta e noci Cannoli siciliani Cassata

ABBINAMENTI CONSIGLIATI Brisket Preparazioni da gara BBQ Porchetta - Pork Belly Menù di Pasqua e Pasquetta Menù Pulled Pork Hamburger Pesce Grigliata di Ferragosto Menù Tex Mex Menù d’autunno Hot dog Spiedini dal mondo Crostacei

VIII - BBQ4All MAGAZINE

Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02

52 140 216 284 358 446 48 120 122 212 280 368 454 458

Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02

56 144 218 294 362 448 54 128 214 288 290 372 462


IL COCKTAIL DEL MESE Rob Roy Negroni Long Island Gin Tonic Limoncello Gin Cocktail Gin Fizz Kyoto Sour Bloody Mary Margarita Kraken Mule Zombie cocktail Orange Daiquiri

Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 01 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02 Volume 02

59 148 221 297 365 451 57 132 217 292 376 464

ALMANACCO 2019 - INDICE GENERALE

- IX



N°1/ANNO 1 - GENNAIO 2019

MAGAZINE

GIANFRANCO LO CASCIO

GU I DA PE R BRI SK ET TA RI ALLO SBARA GLI O FRANK MERENDA

ROA DHO U SE, P RODOT TI DOZZ IN AL I MA TANT I CLI ENTI . P ERCHÉ ?

SPECIA LE

BRISK E T : T U T TO QUEL LO CHE D EV I SAPE RE


2 - BBQ4All MAGAZINE


EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO

PICCOLA GUIDA PER

BRISKETTARI

ALLO SBARAGLIO

Eccoci qua, finalmente, al primo Speciale del 2019 di BBQ4All dopo quello di Dicembre, il numero Zero, che ha avuto un successo maggiore di quanto sognassi. No, non è vero: ero certo che ti sarebbe piaciuto e che ti saresti abbonato per almeno tre mesi (perché se stai leggendo questo editoriale o ti sei abbonato o ti sei fatto fare le fotocopie a colo­ ri, e in tal caso complimenti per lo sbattimento).

Mi sono fatto prendere dall’entusiasmo e ho deciso che lo Speciale Brisket doveva avere lo speciale dello speciale, uno speciale al quadrato, specialception: la preparazione forse più costosa, delicata, impegnativa e appagante di tutto l’american BBQ, il Brisket di wagyu (cross bred). Ho trafugato dalla cella del megastore nove chili di Brisket WX by Rangers Valley, mi sono attaccato al telefono e ho convocato chi poteva garantirmi al primo colpo un succesQuesto, per certi versi, è un ulterio­ so a prova di foto macro ad alta rire debutto, con tutte le emozioni soluzione. Il prezioso pezzo di ciccia del caso: sono orgoglioso di questo in questo numero diventa un articonumero, bellissimo e onestamente lo approfondito più che una ricetta, non paragonabile a nient’altro sul una riflessione motivante più che un mercato, in termini di informazioni elenco di procedure, a cura di coach elargite e di valore di contenuti. Emiliano Nencioni. Tanto per cominciare puoi leggere, senza nessun sovrapprezzo, un inter- Permettimi però, prima di inziare vento che Frank Merenda ha scritto questo bel viaggio approfondito nel appo­sitamente per lo Speciale 2019. mondo della preparazione regina Frank Merenda, esperto di Marketing a ri­ sposta diretta, allievo prediletto di Al Ries (non ti spiegherò chi è), e uno dei principali artefici della metamorfosi di BBQ4All nell’ultimo anno. Visto e considerato che Frank, che non a caso chiamo spesso il mio maestro, vi catapulta addosso fatture da diverse migliaia di euro per una chiacchierata di mezz’ora, vi consiglio di conservare con cura questa copia, perché di fatto avete con voi una consulenza vera e propria, una serie di inestimabili consigli utili per vendere un prodotto o voi stessi.

dell’American barbecue, di farti un breve intruduzione. Il Brisket è in assoluto la preparazione più complessa fra le classiche dell’American barbecue. È la vera sfida del Pit Master, un punto di arrivo incredibilmente impegnativo che richiede grande cono­ scenza, condizione necessaria ma non sufficiente, unita ad una lunga esperienza di cotture. Arrivare al Brisket perfetto non è semplice, nemmeno per un Pit Master esperto. Ma cosa si intende per Brisket perfetto? Si intende un trionfo di sapori che solo il manzo può regalare. Manzo che in questo caso deve essere tenero, succoso, incredibilmente saporito e con una gradevole, ma non predominante, nota affumicata. Per centrare questo obiettivo, dovrai per forza capire quale sia il Flavour Profile, ovvero il quadro gustativo entro i cui confini dobbiamo far ricadere le caratteristiche del tuo Brisket, una sorta di principio di coerenza da rispettare nel caso si ricerchi il profilo della preparazione così come viene concepita nel paese di origine. Dobbiamo quindi stabilire le caratteristiche che dovrai ricercare:

Come se non bastasse, l’avrai notato, questo è un numero focalizzato sul Brisket; ti sveleremo ogni nostro segreto, parleremo approfonditamente di ogni procedura e di ogni metodo collaudato da BBQ4All: in questo modo potrai gettare via tutta la tua knowledge base appresa per sentito dire o in gruppi di dilettanti allo sbaraglio (o in rotta). A posto così? No, per niente. Esageriamo. ALMANACCO 2019

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• Il gusto della carne dovrà essere pieno, molto intenso, sapido e a tratti “pungente”. • Nel momento in cui verrà affettato dovrà essere molto succoso e tenero ma non al punto da sfilacciarsi. • Dovrà avere un bark (quella deliziosa crosticina superficiale) scuro, sapido e speziato; • Dovrà essere delicatamente affumicato. Fin qui tutto chiaro, no? Benissimo. Sappi che mentre leggerai questo speciale, nel quale ti spiegheremo il taglio in modo approfondito, ti insegneremo il metodo di cottura e ti forniremo varie idee su come riutilizzare ciò che avanza, incontrerai parole che, se sei un neofita, potresti far fatica a capire: trimming, inje­ ction, rub, stallo, foil, smoke ring. Non è semplice poter spiegare tutto in poche righe, ma io sono qua apposta per cercare di chiarirti un po’ le idee, in modo che tu possa usufruire di questo speciale nel modo più completo possibile. Ecco per te, briskettaro allo sbaraglio, una piccola guida. Il trimming è un’operazione fondamentale che consiste nel ripulire la carne dal grasso in eccesso e da eventuali brandelli. In molti tolgono tutto il grasso e continuano a credere che sia la cosa migliore. Nel corso degli anni e dopo innumerevoli prove, sono arrivato ad una conclusione: trimmare il Brisket completamente è sbagliato, perché è fondamentale che conservi parte del grasso che poi in cottura possa sciogliersi e dare sapore, umidità e morbidezza alla carne. Una cosa fondamentale da ricordare: per effet­tuare qualsiasi operazione di trimming è necessario un coltello da disosso ben affilato: con molta calma incidiamo, tagliamo e rimuoviamo il grasso in eccesso. È molto importante procedere con tagli netti e decisi, per evitare di creare troppi brandelli e rovinare la superficie. Il rub è una miscela di spezie, la cui base è sempre il sale. Per il Brisket in stile texano il rub è un esaltatore naturale del manzo e non contiene spezie che possano alterare il suo gusto naturale. Molto spesso, il sale contenuto nel 4 - BBQ4All MAGAZINE

rub deve essere sufficiente a fornire la giusta sapidità a tutto il pezzo di carne. Nel caso del Brisket è impensabile che il solo condimento superficiale possa penetrare fino all’interno, pertanto la dose di sale deve essere sufficiente a dare sapi­ dità solo in superficie. In base alla mia esperienza, 20g di sale per chilo di Brisket sono una proporzione ideale. Nel rub per Brisket ti consiglio di non aggiungere zucchero perché i tempi di cottura lunghi ne favorirebbero senza dubbio la carbonizzazione, con una risultante di note amare fastidiosissime. Usa, invece, l’aglio in polvere. L’aglio è importante per due motivi fondamentali. Il primo è appunto questa dolcezza mista a note sulfuree che in cottura lasciano spazio ad un aroma molto gradevole. Il secondo è la presenza di moltissimi zuccheri riducenti che aiuteranno la formazione del bark. La proporzione ideale è di 5g di aglio per ogni chilo di Brisket. Gli americani amano il “Kick”, traducibile in “contraccolpo”. Il kick non

è altro che una leggera nota piccante che deve arrivare dopo il morso e la masticazione. Per ottenerlo nel caso del Brisket, dobbiamo prevedere l’uso di pepe, l’unico elemento di kick ammesso dalla scuola texana e compatibile con il manzo. Le injection sono il moto più efficace per portare sapore e sapidità all’interno del grande pezzo di carne. In pratica, si inocula ripetutamente un liquido, nel caso specifico un ottimo brodo di manzo, all’interno della carne direttamente con una siringa alimentare: devi ricreare un reticolo, distanziando di 3 o 4cm ogni punto d’ inserimento. Lo stallo è uno degli incubi peggiori di chiunque si decida a cuocere un Brisket, che sia un neofita o un griller esperto: è quella fase in cui la temperatura interna del tuo pezzo di ciccia in cottura, che fino a quel momento si alzava costantemente, si ferma. Si inchioda. Entra in stallo per quattro o più ore e a malapena si alza di una tacca. A volte scende


anche di alcuni gradi. Ebbene, per farla breve, cos’è ‘sto benedetto stallo? È un processo di raffreddamento evaporativo. È una semplice conse­ guenza del raffreddamento per eva­ porazione dell’umidità dalla carne, rilasciata lentamente nel tempo attraverso fibre e cellule. All’aumentare della temperatura della carne fredda, il tasso di evaporazione aumenta fino a quando l’effetto di raffreddamento equilibra l’input di calore. Quindi la carne resterà in stallo fino a quando l’ultima goccia di umidità disponibile sarà evaporata. Il foil è il metodo migliore e più efficace per curare lo stallo. Se avvolgerai il Brisket in foil di alluminio, in special modo in un texas crutch, la carne affronterà di potenza lo stallo, generando una curva di crescita della temperatura costante, accorciando di molto i tempi di cottura e mantenendo molti più succhi all’interno. Il Texas Crutch è la pratica di chiudere la carne in un foglio di alluminio allo scopo di evitare il raffreddamento per evaporazione. L’idea è quella

di produrre un ambiente non troppo ermetico per evitare di costringere il bark al contatto con l’alluminio, consentendo l’innalzamento della temperatura senza un’eccessiva pressione del vapore. Lo smoke ring è quella rosea aureola che si crea sotto il bark di tutte le preparazioni sottoposte ad affumicazione lenta con temperatura controllata, è un ambìto traguardo di ogni appassionato di barbecue che si rispetti. Diversi famosi Pit Master d’oltreoceano contestano l’importanza che molti di noi attribuiscono a questo folcloristico effetto collaterale della cottura. A conti fatti hanno ragione: si può fare buon BBQ in assenza di uno smoke ring marcato, così come ho assaggiato orrende nefandezze pur in presenza di un perfetto smoke ring. La verità è che lo smoke ring non è garanzia di un buon risultato, ma è solo un affascinante elemento coreografico. Ne parleremo comunque in modo più approfondito nei prossimi numeri. Bene, il meno è fatto. Sì, hai capito

bene: il meno. Il tuo viaggio è appena iniziato. Sappi che quando arriverai alla fine di questo numero ci saranno tre cose che vorrai fare: 1. Iscriverti a uno dei nostri corsi Smoke To Perfection per imparare sul campo a cuocere il Brisket perfetto; 2. Accaparrarti un Brisket sul nostro Megastore perché avrai voglia di rifarlo a casa, da solo, mettendoti alla prova; 3. Smettere di usare il termine “briskettato” (questo è uno spoiler, ma puoi andare subito a leggere l’ultima rubrica, se sei proprio curioso). Buona lettura e ci vediamo il mese prossimo. Braci e abbacchi. Gianfranco Lo Cascio P.S. Nencioni, si può dire “briskettaro”?

ALMANACCO 2019

-5


INDICE GENNAIO 2019 - NUMERO 1 ANNO 1

BB4All BUSINESS

l’editoriale di Frank Merenda

B U TC H E R C LASS

La bistecca del mese: flat iron WINE CLASS

il giusto bicchiere per il vino ACC E SS O R I

La Ghisa

6 - BBQ4All MAGAZINE

8 14 18 20

22 28

N I C E T O M E AT Y O U

Onishi-san selezionatori di WAGYU S P EC I A LE

Brisket


ALL’INTERNO DELLO SPECIALE BRISKET 28 Scusi, mi darebbe un brisket? 34 Come preparare il brisket definitivo 38 Infografica: il re dell’American Barbecue 40 Cipolle caramellate, insalata di cetrioli e feta 41 Baked Beans 42 Panino al brisket 44 Caramella al brisket 46 Ragù di brisket 48 Brisket & Cannelloni 50 Moussaka 52 Crostatina al Lemon Curd 54 Tartufi di Zucca Bruciata 56 Abbinamenti vino 58 Abbinamenti birra 59 Abbinamenti cocktail

60 62 64 72 76

B B Q P E R P R I N C I PA N T I

quale dispositivo per iniziare

GLOSSARIO BBQ #CHIEDIALCOACH SPUNTINO LETTERARIO SEGUO

ALMANACCO 2019

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BBQ4All BUSINESS a cura di FRANK MERENDA

se

ROADHOUSE

PERCHÉ

S O L D I E C L I E NDITTE I?

usa prodotti dozzinali

HA PIÙ

“Ma il fatto che la mia carne sia la migliore, non mi fa avere automaticamente il ristorante pieno?”

No, mio giovane padawan. Non è così che funziona; forse negli anni ’70 era così, ma non oggi.

di qualcosa che ti sta particolarmente a cuore: il marketing nel mondo del food.

Oggi non puoi sbarcare il lunario solo con la “qualità”. Oggi devi applicare delle precise strategie di marketing per fare il gioco del tuo mercato e avere il ristorante sempre pieno.

Un argomento piuttosto sfidante, quindi bando alle ciance, seguimi per pochi minuti e ti porterò per mano, conducendoti sulla strada per il successo nella ristorazione.

Marketing, questa parola americana che tanto spaventa i ristoratori e più in generale gli imprenditori italiani. Questo concetto che da solo permette alle aziende di restare aperte, di donare lavoro e di prosperare.

Abbi un minimo di fiducia e non te ne pentirai. Lo so, nel momento in cui ho nominato Roadhouse ho fatto vibrare i tuoi sensi da gastrofighetto.

Mi chiamo Frank Merenda e mi occupo di Marketing. Più nello specifico, sono - numeri alla mano - il più influente divulgatore europeo in ambito marketing e vendite e da poco mi sono affacciato al mercato statunitense. Ci pensi? Un italiano che va a spiegare il marketing agli americani. Pare assurdo, lo so, eppure è andata proprio così. Pensa, hai la fortuna di poter leggere un mio inserto, nella rivista del mio grande amico Gianfranco, che parla 8 - BBQ4All MAGAZINE

Certamente la qualità della loro carne non ha nulla e che vedere con quella che puoi trovare nel megastore e per quanto riguarda il come è cucinata, parliamo pur sempre di cucina omologata. Fatte le opportune premesse però, non posso fare nient’altro che riconoscere i meriti a Roadhouse in ambito marketing, motivo per cui va alla grande anche se non ha di certo carne di wagyu giapponese. Perché se sei un piccolo ristoratore, o qualcuno che un giorno sogna di aprire un proprio ristorante in cui

servire una carne da maestro, allora non puoi ignorare la legge comune che colpisce tutti gli imprenditori: il tuo prodotto può essere figo quanto ti pare, ma se la gente non lo conosce e non lo sai vendere, allora sei destinato al fallimento. Per i ristoratori lo scopo quotidiano deve essere uno e categorico: devi avere tutti i tavoli pieni, tutti i giorni e a tutte le ore. Riguardo il “a tutte le ore” apro una parentesi; il modello italiano del “sono aperto a pranzo solo in un certo orario” non si può vedere. Quando decidi di chiudere il ristorante alle 14.30 stai letteralmente lasciando dei soldi sul piatto. Le persone non mangiano quando vuoi tu; mangiano quando hanno fame e soprattutto quando hanno il tempo di farlo; se arrivano al tuo locale alle 15.00 e lo trovano chiuso ti sei perso i loro soldi. Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, sono migliaia di euro di fatturato che stai buttando via, tra l’altro andandoci in perdita; perché


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Come si ricollega tutto questo a Roadhouse e alla tua attività di ristorazione? Abbiamo detto che lo scopo è riempire il locale il più possibile e che, soprattutto se vuoi avere una cassa bella ricca a fine mese, devi cercare di marginare il più possibile rispetto a ogni vendita che fai. Naturalmente se in determinati giorni hai una clientela che potrebbe fare da cast nel film su una città fantasma, allora lo scopo cambia nel portare il fatturato da zero a qualcosa. E quindi fai come Roadhouse che il giovedì ha messo gli hamburger a metà prezzo e che la domenica ha messo le ribs all you can eat a 10 euro a persona. l’affitto del locale lo paghi eccome e quindi le ore in cui tieni chiuso sono soldi di affitto (più bollette, etc.) che stai buttando direttamente nello sciacquone del bagno. Chiusa parentesi torniamo a noi; dicevamo che lo scopo di un ristoratore è di avere tutti i tavoli pieni, il più frequentemente possibile. Ed è qui che voglio parlarti di un’ottima mossa di Roadhouse, ma prima di arrivarci porta un secondo di pazienza perché è necessario per me farti un’altra importante premessa. Immagina questa situazione: hai finito di lavorare e stai camminando verso casa; all’improvviso vedi un negozio di scarpe, ti ricordi che effettivamente hai bisogno di comprartene un paio nuovo per l’inverno e così entri. Prosegue la solita trafila tra il guardarti attorno, il commerciante che ti porta qualche paio da provare della tua misura e tu che ti ammiri davanti allo specchio. Gira che ti rigira alla fine paghi il tuo paio di scarpe, il commerciante ti chiede “serve altro?” E al tuo “no grazie” te ne esci e prosegui per la tua strada. Il commerciante in questione ha sbagliato tutto; sai cosa avrebbe do10 - BBQ4All MAGAZINE

vuto fare? Ti avrebbe dovuto offrire un secondo paio di scarpe al 50% di sconto. Magari preso dalle giacenze in magazzino. Scarpe che per lui rappresentano un “costo” più che un potenziale guadagno. All’imprenditore medio italiano viene un infarto all’idea di fare una cosa del genere. “È mio! È tutto mio! Sono mie le scarpe! È roba mia! Le paghi a prezzo pieno!” Il problema è che l’imprenditore in questione ragiona sul fatturato totale e non sul margine e quest’ultimo è l’unica cosa che conti veramente. Perché, mio caro amico, anche se avesse marginato solo 5 euro su quel paio scontato del 50%, e considerando che senza sconto non lo avresti mai preso il suddetto paio, alla fine ne risulta che saresti uscito dal negozio lasciandogli 5 euro di margine in più sullo scontrino. 5 euro in più di margine che altrimenti non avrebbe avuto. Considera un aumento di margine, per quanto piccolo su ogni vendita che fai e ti rendi conto di come a fine mese la tua cassa possa essere molto più ricca.

Ti fermo subito prima che tu possa fraintendere; queste iniziative non nascono dalla creatività di qualche direttore marketing che la mattina si è svegliato pensando “abbiamo bisogno di più clienti! Mettiamo i panini al 50% il giovedì e le ribs all you can eat la domenica! Sono un dannatissimo genio!” No; non è andata così. Lo scopo è quello di avere il ristorante sempre pieno cercando di strappare il margine maggior possibile. Detto questo, Roadhouse ha analizzato i numeri della propria attività, cosa che ogni imprenditore dovrebbe fare in quanto, come dico sempre: un imprenditore è un esperto di marketing che sa leggere un bilancio. Dall’analisi dei numeri è emerso che avevano un calo delle vendite il giovedì e la domenica. Così il giovedì ha messo gli hamburger al 50% e in questo modo piuttosto che guadagnare niente guadagna qualcosa. Anche perché alla fine sugli hamburger non ci margina niente, ma su acqua, bibite e magari anche il dolce stai sicuro che ci guadagna. Poi si sono resi conto, come dicevo, che hanno un picco negativo la do-


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menica, e quindi che hanno fatto? Hanno ragionato come prima cosa; considerando che gli adulti sono pieni dalla cena della sera prima e al massimo la domenica fanno il pranzo in casa, alla fine chi è che rimane in giro a cui poter vendere? I ragazzini. E quindi vai con le ribs all you can eat a 10 euro. Anche in questo caso piuttosto che non guadagnare niente ci guadagnano qualcosa e alla fine marginano sulle bibite. Quali sono gli insegnamenti che si possono trarre da tutto ciò: 1) Devi analizzare i numeri della tua attività ed essere ben consapevole di quando hai i picchi negativi. 2) Questi picchi negativi li devi portare in positivo attirando i clienti con delle offerte irresistibili in modo da poter fare upsell sui prodotti sui quali hai margine. 3) infine, e questo è l’insegnamento più importante che devi comprendere, non devi ragionare pensando “aspetto che i clienti entrino”. Sei tu che decidi quando devono venire a mangiare da te. Nei giorni in cui sei già pieno (tipo il sabato sera) e in cui le prenotazioni piovono da sole non devi fare niente per portarli a te naturalmente. In quei giorni invece in cui i clienti scarseggiano ti inventi una promo-

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zione per guadagnare quel qualcosa in più piuttosto che niente, in modo da avere i tavoli sempre pieni e da non pagare giornate di affitto o di stipendi per niente. Hai una carne di qualità superba? La cucini come un Dio? Bene, senza tirartela in nome del tuo ego, nei giorni di magra attiri clienti con delle promozioni cercando quindi di strappare del margine che altrimenti non avresti mai avuto. Continua ad analizzare i numeri, testare strategie e promozioni fino a trovare la tua formula perfetta, perché vedrai che seguendo questo metodo anche una churrascheria può riuscire ad avere il pienone il 24 di dicembre quando tutto il mondo cristiano dice che “si mangia solo pesce”. Se con questa piccola strategia riuscirai a ottenere dei risultati… beh, fallo pure sapere allo staff di BBQ4All che mi farà avere il messaggio e sarò felice di leggere dei tuoi successi. Naturalmente Gianfranco questi concetti e molti altri più complessi li conosce benissimo. È un mio studente avanzato e se sei abbonato a questa rivista e fai parte della community BBQ4All, dovresti saperlo piuttosto bene. E cosi come gli amici dei miei amici sono anch’essi miei amici, allo stesso tempo gli studenti dei miei studenti sono anch’essi miei studenti;

ecco perché hai trovato un mio pezzo su questo strepitoso magazine. Se però la tua fame di conoscenza non può essere placata da un singolo intervento, se sei un imprenditore desideroso di saperne di più, puoi entrare a far parte del Circolo degli Imprenditori. Un luogo in cui poter imparare tutto con i tuoi ritmi, attraverso video, audio e carta, mettendo in pratica come meglio credi quanto hai imparato. Un luogo in cui imparerai a co­struire un sistema per trovare e vendere a nuovi clienti in modo da poter rea­ lizzare finalmente il tuo sogno e avere un’attività, un’azienda, un’impresa che funziona, che cresce e che nonostante tutte le difficoltà che comunque ci saranno là fuori, saprà darti le giuste soddisfazioni. È un qualcosa che devi assolutamente provare e in cui non hai nulla da perdere per due motivi: 1) Puoi chiedere direttamente a Gianfranco se ne vale la pena o meno. 2) Così com’è semplice farne parte, allo stesso tempo è facilissimo uscirne con un semplice click. Il Circolo degli Imprenditori è la membership dove trovi tutto quello che ti ho detto e che ricevi comodamente a casa tua, con i video e gli audio direttamente nel tuo PC.


Entro brevissimo (stiamo aspettando l’autorizzazione dalle principali piattaforme di app), potrai guardarlo comodamente da smartphone o tablet in quella che è la prima piattaforma modello Netflix per la formazione business nel mondo. Esattamente come in Netflix accedi, ti scarichi se vuoi il contenuto sul tuo dispositivo in modo da poterne usufruire anche quando sei disconnesso o in viaggio e ti godi i contenuti. Una vera e propria endovena di marketing operativo e copywriting a risposta diretta sia con strumenti online cioè sul web (con guide passo-passo a schermo solo da implementare per far partire le tue campagne) che offline, con strumenti fisici come lettere di vendita, pacchi, volantini, cartoline, ecc… Poi a casa ricevi sempre comodamente nella tua casella postale e spedito tramite corriere il dossier cartaceo in edizione da collezione in modo da poter rileggere i contenuti su carta se quello è il modo di apprendere che preferisci. Se stai pensando di studiare marketing e accrescere le tue competenze da imprenditore il Circolo degli Imprenditori è il tuo primo step. Cos’hai da perdere? Nulla. Puoi disdirlo in qualunque momento con un click, esattamente come Netflix. Quindi devi assolutamente provarlo.

Però ASPETTA prima di correre al computer ad iscriverti perché c’è dell’altro! Puoi avere due mesi di Circolo COMPLETAMENTE GRATIS. Come? A Febbraio ti invito a partecipare a un intero corso di DUE GIORNI che sia chiama MARKETING EVIL con me, Al Ries (il padre del Posizionamento di Marca che a 92 anni ha deciso di tornare in Italia apposta per i soci del Circolo degli Imprenditori) e Laura Ries. Un corso incredibile dove presenteremo in anteprima mondiale: “I 5 nuovi principi del Posizionamento per il 21esimo secolo”. Se non vuoi fare la fine di quegli imprenditori che servono tutti i clienti solo per essere ricordati per coloro i quali hanno fatto fallire l’azienda, dopo essersi ostinati a lavorare in maniera stupida nonostante anni di sangue buttato e onorata carriera, allora non puoi mancare a Marketing Evil. Quindi ricapitolando, acquistando il biglietto per partecipare al corso di due giorni Marketing Evil, ecco cosa ricevi per ben due mesi: • Video mensili del Circolo in area riservata; • Audio mensili del Circolo in area riservata (se preferisci ascoltare senza guardare monitor);

• Dossier cartacei speciali da collezione (per studiare ancora meglio su carta); • Webinar mensile dove potrai fare la tue domande (e ricevere risposta ovviamente); • 1 Biglietto GRATIS per Marketing Evil; Tutto questo quanto costa? La R-ID-I-C-O-L-A cifra di 297 euro per partecipare al corso, e in più hai due mesi gratis di Circolo degli Imprenditori. In più, visto che stai leggendo questa rivista c’è un’altra cosa che devi sapere; solo per i lettori di questa rivista, solo per i fedeli membri di BBQ4All c’è un regalo in esclusiva da parte mia per coloro che prenderanno i proverbiali due piccioni con una fava, ovvero 2 mesi del Circolo degli Imprenditori e Marketing Evil in un colpo solo. Quale regalo? Beh, questa resta una sorpresa, e lo scoprirai solo dopo che sarai andato su

www.marketingevilbbq4all.com

Il corso è a Febbraio, quindi non perdere tempo. Detto questo ti saluto caro lettore e ricorda: cerca di strappare sempre il margine maggiore possibile. Frank Merenda

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BUTCHER CLASS a cura di SAL DI MENTO e MICHELE CHIPA

FLAT IRON STEAK la bistecca del mese:

La Flat Iron Steak è una di quelle bistecche che vi soprenderanno, definita da più parti non convenzionale. Cosa si intende per non convenzionale? Se fermassimo la gente per strada, qui in Italia, e le chiedessimo se sa di cosa si tratta, ci ritroveremmo con facce smarrite e grossi punti interrogativi stampati in fronte. Questa è la dura verità: ancora per troppi italiani bistecca è sinonimo di fiorentina o al massimo di costata; molti non si fidano e guardano con scetticismo tutti coloro che osano allargare i propri orizzonti, tirando fuori nomi esotici come appunto Flat Iron Steak. Ma noi siamo qui per questo, per accompagnarvi in un vero e proprio viaggio alla scoperta di tagli di carne che non conoscete o che conoscete poco, con la certezza assoluta che alla fine di questo percorso vi dimenticherete o quasi della fiorentina. Attenzione, il nostro non vuole essere un attacco alla tradizione italiana, quanto piuttosto un modo per ampliare il vostro panorama gastronomico e culinario. Partiamo allora da un punto certo e sicuro: la Flat Iron Steak è una bistecca che sorprende per tenerezza ed esplosività di sapore. Infatti, una cosa che forse non sapete è che il muscolo infraspinatus dalla quale è ricavata è il secondo muscolo più tenero dell’intera carcassa dell’animale, subito dopo il filetto. La tenerezza è dovuta al fatto che un’ampia fascia di tessuto connettivo scorre attraverso il centro del muscolo. Questo fa­scia tendinea ha lo scopo di sostenere lo sforzo loca­lizzato in questa area: in questo modo le due porzioni di muscolo che da essa vengono separate non sono sottoposte a grandi 14 - BBQ4All MAGAZINE

sforzi. Ecco spiegata la morbidezza. Il muscolo dalla quale è ricavata la Flat Iron Steak è conosciuto con diversi nomi: Top blade, Feather blade, Oyster Blade, oppure in italiano Copertina di spalla e Cappello del Prete. Ed ecco visi che si rischiarano: “ah ma sì, Cappello del Prete! Quello che uso per gli spezzatini! Ma no, se non lo fai cuocere tanto diventa duro e immangiabile!”. Infatti, in Italia il suo utilizzo canonico si limita alla prepara­ zione di brasati e di spezzatini, ovvero tutte cotture prolungate, in umido e a moderata temperatura, finalizzate allo scioglimento del tessuto connettivo. Tuttavia, vi assicuriamo che c’è un altro modo per rendere giustizia a questo taglio e per dargli la dignità che si merita: eliminando la vena di connettivo centrale, otteniamo due belle bistecche, le Flat Iron Steak, appunto, pronte per la griglia: una superiore ed una inferiore. Ma dobbiamo dirvi anche questo: proprio per la presenza della fascia di connettivo che lo attraversa, è uno dei tagli più difficili dal quale ottenere le bistecche. Gli enormi sforzi, però, saranno ripagati dalle tenerissime e succose Flat Iron. Vediamo come fare per ricavare le bistecche partendo dal Cappello del prete. Occorre avvisarvi subito di una cosa: partendo dal taglio appena staccato dalla spalla fino ad arrivare al risultato finale bello pulito, scarterete quasi il 50% della massa. Anche se chiamarlo scarto è comunque una parola grossa, perché può diventare il trito perfetto per un ragù strepitoso.


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Veniamo ora alla parte difficile: 1. Identificate il fascio connettivale centrale: noterete che il Cappello del prete tende ad assottigliarsi man mano che vi spostate lungo il pezzo. Il foglietto connettivale inizia nell’estremità ventrale più spessa del muscolo, quella più vicina, per intenderci, all’estremità articolare della scapola. Posizionate, quindi, il lato con il grasso di copertura verso il basso, e la parte ricoperta da una membrana argentea (silver skin) verso alto. Dall’estremità più spessa, entrate piano piano con il coltello, indivi­ duando il nostro tendinone. Rimanete piatti con il coltello, il più parallelamente possibile al foglietto connettivale, e seguitelo piano piano sollevando la parte di carne che a mano a mano libererete da questo legame amoroso tra ciccia e connettivo. 2. Seguite sempre il tessuto connettivo, lavorandolo ai fianchi: procedete lentamente verso la parte più sottile, sempre mantenendo la lama più piatta possibile; aiutatevi sollevando ed abbassando la porzione di muscolo libero, che terrete nella mano opposta al coltello, in modo da aiutarvi a scoprire il più possibile la membrana. Purtroppo questo foglio connettivale non è piattissimo e questo rende più complesso il seguirlo lungo il muscolo. Meglio ripeterlo un’altra volta, soprattutto per chi non è molto abituato a usare il coltello: procedete lentamente, facendo dei piccoli tagli esplorativi finché non l’avrete vinta voi. A questo punto, piano piano, riuscirete a dividere le due porzioni muscolari 3. Denude the two sides: una delle due porzioni di mu­ scolo che avete appena separato, quella mediale, avrà ancora la guaina ossea (quella membrana argentea), mentre l’altra, quella laterale, avrà tessuto connettivo da ambo i lati. Ovviamente, se volete ottenere un lavoro perfetto, dovete armarvi di pazienza e togliere tutto, con la lama ben affilata: mano sopra il pezzo di carne per tenerlo appiattito sul tavolo, infilate la lama tra la membrana e la ciccia e, inclinando leggermente la lama verso la membrana ma mantenendola parallela al tavolo, tagliate fino all’estremità opposta. Ripetete questa operazione sugli altri lati che necessitano della stessa attenzione. Rifilate le parti sottili squadrando il tutto. Se però siete pigri potete sempre decidere di gestire sul piatto la separazione del connettivo: una volta tolto il grasso superficiale al Cappello del Prete, porzionatelo in tante bistecchine tenendo la lama perpendicolare al tavolo. Avrete così la vena di connettivo centrale al centro di ogni fetta. La bistecca così ottenuta (Top blade Steak) sarà tenerissima lo stesso e voi potrete agilmente lascia­re nel piatto il connettivo. Se non avete mai assaggiato la nostra selezione di Top blade Steak o Flat Iron cercate di accaparrarvene una appena appare sul Megastore, e poi diteci se non abbiamo ragione: vi mangerete pure il piatto.

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WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI

G I U S T O BICCHIERE PER IL VINO il

è così importante? Assolutamente si! Ecco perché

L’abito non fa il monaco però lo riveste. Per i bicchieri da vino è la stessa cosa: il giusto liquido nel bicchiere sbagliato può portare ad effetti nefasti. Ti concentri troppo sulla bottiglia giusta e trascuri il bicchiere? Male, molto male! Per fortuna non è grave, errore più comune del previsto anche tra i professionisti. Cerchiamo almeno di evitare gli errori più grossolani. Incrociando forme, dimensioni e prezzi, il campionario dei calici da vino è pressoché infinito ma individuare pochi concetti fondamentali sarà decisivo per fare la scelta giu­sta. Nel regno dell’edonismo ogni dettaglio è fondamentale.

Il bicchiere da vino è come un ve­ stito. Ogni outfit nasce per valorizzare alcune caratteristiche fisiche a discapito di altre e pochi possono permettersi qualsiasi abito. Le corporature imponenti avranno bisogno di leggerezza, i fisici scolpiti cercano aderenza, alle persone alte non servono tacchi mentre diventano un validissimo aiuto per le corporature più minute. Allo stesso modo, ogni vino ha un corredo di profumi e sapori differente. Immaginate un buon Prosecco (ne esistono eccome!) brioso e profumato, esile e poco alcolico, e poi un Barolo maturo, con dieci e più anni di storia sulle spalle, dai profumi sussurrati e infiniti che sono il preludio di un corpo impo-

nente, maestoso, elegante e com­ plesso. Stesso bicchiere? Naaaaa, vade retro Satana. La forma del bicchiere modifica il gusto del vino. È un dato di fatto ormai consolidato. Attenzione: non solo i profumi del vino, come viene spontaneo immaginare. A cambiare è anche il gusto tanto da dover parlare proprio di meccanica della lingua: zona di stimolazione primaria (il vino entra in punta, al centro o sul fondo?), inclinazione del sorso e velocità di ingresso del liquido portano a stimolazioni differenti come i risultati. La sensibilità nell’assaggio matura col tempo, non serve avere fretta. Il calice da degustazione ISO e il ballon sono (quasi sempre) il male. Peccato siano due delle forme di ca­ lice più diffuse e utilizzate. Il primo, addirittura, utilizzato per anni ai corsi da sommelier. Bicchiere “tecnico”, stretto e basso, particolarmente utile ad esaltare i difetti del vino quindi ottimo strumento di cantina ma pessimo per valorizzare bouquet e ampiezza del gusto. Come infilarsi una calzamaglia senza avere il fisico di Roberto Bolle: un disastro. Diverse le caratteristiche ma gene­ ralmente tremendo il risultato anche col ballon, a forma di grande sfera, rotondo e ampio. Trooooppo ampio per quasi tutti i vini, con inevitabile dispersione dei profumi, e con l’imboccatura così larga da inondare la lingua in tutte le direzioni con un inevitabile caos gustativo.

a sinistra, il calice da degustazione ISO a destra il baloon 18 - BBQ4All MAGAZINE


Calici giganti? Nella raccolta differenziata. Ho in mente due imma­ gini, due diversi ristoranti ambiziosi ma uno stesso errore. Puntare sulla forma appariscente a discapito della sostanza. Un qualsiasi vino, servito in bicchieri mastodontici, giganteschi, dalla capienza forse supe­ riore al litro, esce con le ossa rotte, stuprato, senza più una fisionomia riconoscibile, devastato da una chirurgia estetica invalidante. Bicchieri insomma da non comprare mai, non regalare, non utilizzare, non consi­ gliare, non toccare. Base, stelo, bevante. Sono le tre parti che compongono un calice e soprattutto le ultime due hanno un ruolo nella dinamica del sorso. Sottigliezza, elasticità ed ergonomia dello stelo determinano percezione del peso e “comodità” del bicchiere. La forma del bevante, ampio o stretto, angolato o sferico, ovaleggiante o svasato, impatta fortemente sulla percezione del vino in bocca e non secondaria è la tattilità determinata dallo spessore del vetro/cristallo. Un eterno dilemma: la flûte. Odiata dagli assaggiatori professionisti, amata dai festaioli per quel senso innato di joie de vivre, la flûte non mette tutti d’accordo. In virtù della forma allungata con imboccatura strettissima potrebbe castrare i profumi ma ricordiamoci che le bollicine di anidride carbonica, il perlage, hanno una funzione sostanziale nella diffusione delle molecole odo­ rose. Sul tema, gli studi del professor Gérard Liger-Belair, scienziato in forza all’Università di Reims (capitale morale della Champagne), tenderebbero a vedere benvolentieri l’utilizzo del più classico tra i bicchieri da festa, storicamente stretto e alto così da permettere ai camerieri di servirne in quantità con un unico vassoio. Nel dubbio, utilizzatela serenamente preferendo magari calici più ampi nel caso di bollicine davvero importanti.

ria della valenza originaria del vinoalimento, immancabile a tavola fino a qualche decennio fa. I tempi sono cambiati e le destinazioni d’uso anche, ma è impossibile dimenticare la celebre scena del film Sideways (consigliatissimo!), quella in cui il protagonista finisce per bere la sua bottiglia più pregiata, uno Château Cheval Blanc del 1961 (valore di mercato superiore ai 3.000 euro per bottiglia), in un bicchiere di plastica da fast food.

di temperatura e i vini rossi dopo un breve passaggio in frigo) potrà diventare impresa ardua anche solo riconoscere il colore del vino. Capitolo assai ampio e affascinante, ma questa è un’altra storia.

Esercizio: prendere uno stesso vino e versarne medesime quantità in calici differenti. Quantità e qualità dei profumi nonché percezione del liquido in bocca Il bicchiere nero. Ogni vino ha il potrebbero essere così differenti suo bicchiere d’elezione ma è imda rendere quasi irriconoscibile possibile averli tutti e sarà meglio iniziare con una forma universale il vino stesso. che possa andare più o meno bene per una pluralità di vini, dal frizzante leggero al bianco profumato al rosso importante. Se invece volete regalare e regalarvi una esperienza mistica, straniante, inconfessabilmente peccaminosa, alla forma universale aggiungete il colore nero ed avrete il perfetto strumento del delitto, capace di rimettere in discussione l’unica certezza che abbiamo di fronte ad un vino e cioè il colore: sì, perché nel bicchiere nero, giocando con le temperature (servendo cioè i vini bianchi con qualche grado in più

Consigli per gli acquisti. La linea Authentis della Spiegelau offre prodotti universali dal prezzo accessibile, resistenti e tecnicamente molto validi. La linea Veritas di Riedel è il massimo in termini di funzionalità, l’unica che nasce da studi specifici di abbinamento tra vitigno e forma del calice. Quanto ad estetica e leggerezza, i marchi di riferimento sono Zalto e Sophienwald: bicchieri aerei e delicati, dalla leggerezza sconcertante, più costosi della media ma molto validi e di sicuro fascino.

E il bicchiere da osteria? Caduto in disuso tra i professionisti per tutti gli evidenti limiti tecnici, sta tornando in auge come manifesto del vino quotidiano, bevuta spontanea, disim­pegnata e senza troppe ambizioni organolettiche. Poco utile per godere davvero di un liquido, è al contempo un validissimo promemoALMANACCO 2019

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GUIDA AGLI ACCESSORI - RUBRICA a cura di LUCA GALLOZZA

GHISA

LA CINQUE ACCESSORI CHE

non ti possono m ancare

La ghisa. Ne sentiamo parlare sempre noi griller, quando si discute di accessori e strumenti per le cotture. Ma cos’è la ghisa? Lo sapete? Si tratta di una lega molto resistente di ferro e carbonio, ottenuta mediante fusione in altiforni in appositi stampi. È molto adatta alla produzione di accessori per il barbecue, soprattutto per la capacità di trattenere il calore a lungo e di resistere ad alte temperature. Ecco perché, fra gli innumerevoli accessori che un griller degno di questo nome deve avere, non possono assolutamente mancare quelli in ghisa.

01 COCOTTE Vuoi fare un Pepper stout beef affumicato con il tuo blend preferito ? Vuoi realizzare un ottimo Chili Beans o uno stufato da accompagnare con della polenta nelle fredde sere d’inverno? La soluzione per le tue cotture è la Cocotte Weber adatta a qualsiasi circostanza. Con un diametro da 33 cm e un’altezza di 21 cm, ti offre la comodità di poter cucinare grandi quantità di cibo e, tramite il coperchio, di mantenere il calore interno. Una qualità in più da non sottovalutare? Piace molto alle signore (e signorine).

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PIASTRA WEBER GOURMET Eccezionale, pratica e funzionale. La piastra Weber Gourmet in ghisa smaltata, con i suoi 30 cm, è adatta a tutte le griglie Gourmet dei dispositivi Weber, dall’Mt57 GBS a quelli a gas. I due pratici manici, permettono di afferrarla con sicurezza, la struttura garantisce una fantastica uniformità di cottura. Banale ricordare quanto sia insuperabile per cuocere le vostre bistecche, è l’ideale per un brunch a base di uova e bacon, per cuocere i vostri fantastici cookie o ancora per realizzare un crumble di frutta secca affumicata. Pensate di poter rinunciare a tutto questo ?

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GRIGLIA PER ROSOLATURA Cos’è che fa di un griller normale un vero maestro? Questa griglia. Grazie alla finitura a losanga, permette di ottenere un calore uniforme capace di realizzare quelle fantastiche grill marks che differenziano le normali bistecche da quelle fatte a regola d’arte, e anche belle da vedere. Adatta alle griglie gourmet, diventerà in poco tempo indispensabile per ogni cottura.

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GUANTI PREMIUM I guanti sono assolutamente indispensabili per ogni accessorio in ghisa. Questi sono fatti in aramide e silicone all’esterno, e cotone e poliestere all’interno: necessari per salvaguardare le vostre manine dalla ghisa rovente quando dovrete spostare velocemente gli accessori o rimuoverli dalla griglia. Sono pratici, confortevoli ed estremamente resistenti.

03 WOK Amate la cucina Giapponese? Le verdure saltate? I risotti con quel sapore affumicato unico? Le cotture a vapore? Beh, dovete sapere che grazie a questo accessorio potrete realizzare tutte queste cose e anche di più col vostro dispositivo a carbone o a gas. Scenografico, vi permette di stupire i vostri ospiti con veri e propri showcooking. Inoltre vi permette di sbizzarrirvi con la fantasia: dal ragù alla paella, dalle verdure saltate ai ravioli al vapore, avrete sempre una scusa per poterlo utilizzare. Vi avviso: vostra moglie se ne innamorerà e probabilmente ve lo ruberà. Compratene due.

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NICE TO MEAT YOU - INTERVISTE a cura di PAOLO TUCCI

INTERVISTA A

ONISHI SAN SELEZIONATORI DI WAGYU Per l’intervista di questo mese abbiamo preso un aereo destinazione Giappone per portarvi alla scoperta di Ginkakuji Onishi, storica macelleria di Kyoto specializzata in carni di altissima qualità. Il padre Raizo ed il giovane figlio Hideki, macellai da quattro generazioni, ci raccontano di come negli anni la famiglia Onishi si sia sempre più focalizzata nella selezione delle migliori wagyu del paese del Sol Levante. Insieme a loro ho avuto il piacere di visitare alcuni fra i migliori allevamenti della prefettura, apprendere alcuni dei segreti della macellazione del wagyu Miyabi, la selezione premium della prefettura di Kyoto, e poter cenare in un vero yakiniku giapponese, un ristorante specializzato nella cottura delle carni alla griglia. In questa intervista e nei prossimi numeri, vi sveleremo un boccone alla volta le tappe salienti del nostro tour culinario in Giappone. Itadakimasu!

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Nome? Raizo e Hideki Onishi. Professione? Macellai e selezionatori di wagyu a Kyoto. Come mai proprio Kyoto? H: Kyoto è stata per quasi un millennio la capitale del Giappone. Una città ricca di storia, arte e cultura, centro religioso del paese con i suoi oltre mille templi, ha ospitato per secoli il Tennō ( NdR “imperatore”) e la sua corte. Grazie alla presenza di una raffinata aristocrazia la nostra città è stata anche la capitale ga­ stronomica del Giappone per molto tempo, e quando dopo secoli di consuetudini alimentari vegeta­ riane il consumo di carne si è diffuso nuovamente nel paese gli abitanti di Kyoto sono stati fra i primi a fare richiesta di questa prelibatezza. Perché il vostro negozio si chiama Ginkakuji Onishi? R: In onore del tempio Ginkakuji o Padiglione d’Argento. È proprio lì di fronte che i miei antenati aprirono il nostro primo negozio. Un luogo a noi 24 - BBQ4All MAGAZINE

molto caro, dove ancora oggi trove­ rete mia moglie che lavora dietro alla cassa, pronta a consigliare il taglio di carne giusto o una ricetta particolare per una cena speciale.

liare e da allora la nostra macelleria si è trasformata in un’azienda con oltre 20 fra negozi, supermercati e ristoranti specializzati nella cottura delle carne, in Giappone e all’estero.

Da dove nasce la vostra passione per la carne? R: Fin da ragazzo ho sempre supportato i miei genitori nei nostri negozi, aiutando nel taglio della carne e in altri piccoli lavori. Compiuti i 25 anni, dopo la laurea in Economia all’università di Kyoto Sangyo, ho ini­ ziato ad accompagnare mio padre al mercato della carne wagyu di Kyoto, ed ho passato quasi una decade a selezionare e giudicare fino a 10.000 capi all’anno, privilegiando l’acquisto di carne di altissima qua­ lità. Fu in quegli anni che i capi di bestiame e gli allevatori di wagyu da noi selezionati iniziarono a vincere molti premi di rilevanza nazionale, trasformando Ginkakuji Onishi da piccola azienda di qualità dal profilo locale in una compagnia riconosciuta da tutti per la specializzazione in carni wagyu di qualità premium. A 35 anni mi fu affidata dai miei genitori la responsabilità dell’eredità fami­

H: Dopo gli studi in Economia a 27 anni ho seguito le orme di mio padre e sono entrato in azienda. Date le mie esperienze precedenti in realtà con frequenti contatti con l’Occidente, ho imparato la lingua inglese ed in accordo con mio padre ho deciso di focalizzarmi sull’export della carne wagyu dei nostri allevamenti. È un compito che mi rende molto orgoglioso e mi consente di poter viaggiare per poter educare i nuovi clienti che si approcciano al mondo del vero wagyu premium giapponese. In che senso educare? H: Voi occidentali avete alcune credenze estremamente singolari riguardo al mondo del wagyu. Massaggi, alimentazione a base di super­ alcolici, musica classica, tutte cose che non appartengono alla cultura giapponese. E’ vero, prestiamo molte cure ai nostri animali e i nostri al-


levatori li coccolano come se fossero figli. Ma la vera sfida è saper sele­ zionare. Selezionare? Non esiste una sola razza chiamata Kobe? H: Assolutamente no. La parola Wagyu significa “manzo giapponese “che oggi viene allevato in tutto il Giappone. Kobe è solo un brand all’interno della categoria wagyu, e condivide con altre vacche wagyu la caratteristica di essere Kuroge, o razza nera giapponese, la radice comune della maggior parte delle wagyu premium. La ragione per la quale la carne wagyu viene accuratamente selezionata è che la qualità varia in base a 1) tecniche di allevamento di ogni agricoltore 2) am­ biente con totale assenza di stress 3) durata del periodo di allevamento 4) mangimi utilizzati e dieta personalizzata per ogni capo 5) toro da monta 6) il pedigree complessivo, le linee di sangue storiche ed altri dettagli tenuti riservati dagli allevatori. Negli anni siete riusciti a trovare una categoria di wagyu migliore

delle altre? H: Per fare sì che i nostri clienti siano sempre contenti del prodotto che offriamo, grazie al sapere accumulato attraverso le generazioni cerchiamo di scegliere l’animale migliore dall’allevatore migliore. Per questo amiamo lavorare con la selezione wagyu Miyabi di Kyoto, la massima qualità disponibile fra quelle della nostra prefettura. Di recente la nostra allevatrice di wagyu Miyabi di Kyoto ha vinto il premio come miglior selezione al Kinki Tokai Horukiku Rengo, concorso di rilevanza nazio­ nale che vede competere noi insieme ad altri brand famosi come Hida, Kobe, Omi, Matsuzaka, cosa che ci rende molto orgogliosi visto che è la carne che stiamo esportando proprio ora in Italia grazie al nostro partner Wagyu Company.

BBQ o forno? R: In Giappone in realtà privilegiamo altre tecniche di cottura. La mia preferita ad esempio è lo shabu shabu.

Quali sono stati i piatti tipici giapponesi con i quali siete cresciuti? R: Beh, a casa nostra si è sempre mangiata principalmente carne, in tutte le preparazioni possibili.

Vino o sake ? H: Nella nostra casa consumiamo entrambi. Durante un mio recente viaggio ho osservato che voi italiani bevete il vino a tavola ma anche da solo, senza accompagnarlo a cibi, mentre noi in Giappone principal

Taglio preferito di wagyu? R: Personalmente amo il gusto ben bilanciato del Ran’ichi, che voi ita­ liani identificate con il taglio Scamone. Sapore, gusto, profumo e consistenza si adattano a tante preparazioni diverse della cucina giapponese e internazionale. Un solo taglio che ha davvero tantissimi usi. H: Il Chuck Roll o Reale, specialmente la parte molto marezzata che noi chiamiamo “Haneshita”. I succhi grassi e carichi di aromi che rila­ scia durante la masticazione sono incredibili.

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mente beviamo il sake quasi esclusivamente in abbinamento ai pasti. Nell’ultima visita in Italia mi sono innamorato di un vino rosso che viene da una regione chiamata Valpolicella, delizioso. Carne italiana o wagyu? R: Una domanda molto difficile. Il fatto è che per noi la carne occidentale e la carne wagyu sono due categorie distinte e separate. Mangiando quasi esclusivamente wagyu durante l’infanzia e l’adolescenza il nostro gusto si è ormai abituato. Quando viaggiamo per lavoro dopo alcuni giorni passati ad esplorare le materie prime locali, sentiamo il bisogno di mangiare carne, che per noi è wagyu. Un consiglio ai nostri lettori su come cucinare al meglio la carne? H: Consiglierei di esplorare alcuni piatti tradizionali come il sukiyaki, yakiniku e shabushabu, senza dimenticare di assaggiare la carne wagyu semplicemente scottata. Le giuste salse di accompagnamento sono fondamentali per completare l’esperienza gustativa. Noi utilizziamo salsa di soia, wasabi, salsa 26 - BBQ4All MAGAZINE

sukiyaki, salsa yakiniku e salsa di sesamo. Ogni abbinamento crea un piatto e un punto di vista diverso, regalandoci ogni volta un’esperienza unica. Se volete dare un tocco in più, il caviale, ricci di mare e il tartufo si sposano benissimo con la carne wagyu appena scottata. E per un approccio più occidentale? H: A casa io e mia moglie amiamo mangiare i burger di carne wagyu Miyabi. Un po’ di salsa di soia, germogli croccanti, una punta di wasabi e il gioco è fatto. É molto divertente cucinarli e provare le diverse combinazioni possibili fra carne e toppings. BBQ4ALL: cosa ne pensate? H: Che stia facendo un lavoro estremamente utile che ci supporta e ci aiuta a lavorare meglio. Per fare sì che l’industria della carne rimanga sana, crediamo sia molto importante condividere e passare le informazioni corrette a professio­nisti ed appassionati. Per questo trascorro la maggior parte del mio tempo all’estero ad insegnare un estratto di quello che la mia famiglia ha impa­

rato sul campo in tanti anni di lavoro. Spero di poter venire a insegnare da voi in futuro. Cosa vorresti dire ai nostri griller che iniziano a scoprire ora il mondo della wagyu? H: Essendo la wagyu giapponese un prodotto relativamente nuovo sul mercato italiano, chiunque la utilizzi è da considerarsi un vero e proprio pioniere culinario. Crediamo che sia un prodotto talmente particolare che potrà sviluppare nuovi approcci e nuovi piatti nei paesi che inizieranno ad usarlo. Speriamo di poter supportare tutti voi nel prossimo futuro ospitandovi qui a Kyoto presso la nostra macelleria, mostrandovi non solo alcune tecniche di allevamento, macellazione e cucina ma anche facendovi scoprire il mondo degli strumenti da taglio giapponesi.

どうもありがとう Dōmo arigatō Onishi san!


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BRISKET

SPECIALE

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IL BRISKET a cura di TOMMASO DI GREGORIO e SALVATORE DI MENTO

“Scusi mi darebbe un Brisket?” “No, guardi, i pomodori li trova in ortofrutta, il pane in forneria”. È questa la risposta che vi vorrebbe dare il macellaio quando andate a chiedere un Brisket. Magari per gentilezza non lo fa e cerca di interpretare la vostra richiesta, ma nel suo profondo pensa “Questo vuole fare una bruschetta con la carne?”. Diciamo subito una cosa: non è solo colpa del macellaio se voi non riuscite a trovare il Brisket. È bene chiarire che la macelleria in Italia (intesa come l’arte di sezionare e dividere l’animale) ha un’identità regionale fortemente radicata al territorio e che il taglio varia a seconda delle esigenze del mercato, delle consuetudini locali e dalla costituzione dell’animale. In Italia questa caratteristica è ancora più accentuata rispetto ad altri paesi e assume una connotazione ancora più forte. Basti pensare che uno stesso taglio di manzo cambia nome circa ogni 100 km lungo tutta la penisola. Ad esempio, lo scamone, che è un taglio di prima categoria, è conosciuto anche come “bicchiere” in Toscana, o come “cassa del belin” in Liguria, mentre in Sicilia viene chiamato “sottocaduta”. Districarsi dunque in questa miriade di nomi è già difficile per chi è del mestiere, figuramoci per gli avventori con richieste anglofone. Cerchiamo, dunque, di descrivere al me­ glio questo interessante taglio delle cultura barbecue americana per fare un po’ di chiarezza. Innanzitutto partiamo da una considerazione assolutamente necessaria: tutto quello che potete trovare nella porzione più bassa dell’anteriore è molto gustoso ma necessita di cure maniacali nella cottura. Il Brisket può essere burrosamente tenero o duro, duro, duro come una suola di uno stivale e per conoscere come trattarlo adeguatamente, anche per non rovinare il lavoro del vostro dentista, sarà bene che leggiate attentamente questo speciale

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IL BRISKET a cura di TOMMASO DI GREGORIO e SALVATORE DI MENTO

Il Brisket è anatomicamente corrispondente al petto, il cui gruppo muscolare è composto da: sterno-omerale, sterno-aponeurotico, sterno-trochiniano, intercostali. Stiamo parlando di muscoli potentissimi, che devono sorreggere il peso della testa dell’animale e l’inerzia del corpo ogni qual volta il nostro bovino si alza. Dovete sapere che, alzandosi, i bovini sollevano prima da terra il treno posteriore, gravando così completamente sugli arti anteriori, quindi sui pettorali. Inoltre, ad ogni abbassamento del capo per brucare erba, questi muscoli vengono sollecitati. Sicuramente è vero che un muscolo che lavora tanto ha anche tanto gusto, ma è altrettanto vero che tanto lavoro vuol dire fibre molto tenaci. Per questo motivo abbiamo bisogno delle tecniche di cottura molto particolari che sappiano trasformare tutto questo connettivo in burrosa gelatina Entrando ancora più nel dettaglio, possiamo dire che il Brisket è un taglio unico costituito da due muscoli: il pettorale profondo ed il pettorale superficiale. Il pettorale profondo è posizionato più internamente (medialmente) ed è conosciuto anche come flat. Il pettorale superficiale, o meglio noto come point, è posizionato esternamente (lateralmente) e normalmente è molto più infiltrato di grasso rispetto al flat. Lo vedremo dopo, ma questi due muscoli possono essere facilmente separati lungo il setto naturale che li divide. Il fat cap è il lato del petto ricoperto da uno strato di grasso ed è anche oggetto di molte discussioni fra i patiti del barbecue: lasciarlo per la cottura? Non lasciarlo? A Lo Cascio l’ardua sentenza. 32 - BBQ4All MAGAZINE

Una delle cose importanti che bisogna sottolineare è che questi due muscoli hanno l’uno con l’altro le fibre incrociate, cosa di cui dobbiamo ricordarci, soprattutto quando andremo a tagliare il nostro bel pezzo di carne affumicata. Cominciamo adesso a scomporre il nostro bovino: siamo dunque nella porzione anteriore. In Italia l’anteriore viene reciso con un taglio parallelo alle coste, più precisamente tra la quinta e sesta costa. A questo punto, si sega in due: da una parte troveremo collo e reale, dall’altra il nostro Brisket e l’arto anteriore. Ricordiamoci che l’arto anteriore in un bovino non è come negli uomini. La cintura toracica è data dalla sola scapola (per intenderci, semplificando, manca la clavicola). Sarà dunque molto semplice separare la spalla dal resto. Tolta la spalla e separato il reale dal Brisket, non ci resterà che disossarlo, iniziando seguendo con precisione la giunzione che unisce le coste allo sterno. Qui ci vuole un po’ di attenzione: bisogna appoggiarsi sempre sulle ossa se non si vuol rischiare di procurare delle incisioni profonde al brisket, che rovinerebbero poi la presentazione finale. Tolta via la parte ossea, il gioco è fatto: non resta che rifinirlo togliendo eventuali eccessi di grasso. Volendo, si può continuare l’operazione di trimming separando il pettorale profondo dal pettorale superficiale, infilando delicatamente il coltello nel naturale setto che esiste tra i due, solitamente riempito completamente di grasso. Avremo quindi separato flat e point. Chi legge questo articolo a questo punto dirà: “bene, ora


che so tutto vado al supermercato sotto casa, faccio la mia orazione e finalmente porterò a casa il mio brisket”. Ci spiace deludervi ma dobbiamo dirvelo: sapere individuare il brisket è solo il primo scoglio che affronterete.

to e senza un filo di grasso. Appunto: marezzatura completamente assente. E quindi, avete fatto tutta questa fatica per poi ritrovarvi con un pezzo di carne non adatto a quello che dovete fare?

In un supermercato è praticamente impossibile che troviate il Brisket o qual si voglia taglio che non rientri nei confini della tradizione culinaria italiana. La GDO sta abbandonando la lavorazione delle mezzene in punto vendita, svolgendo la trasformazione dei capi in centri unificati che si occupano di sezionamento, conserva­ zione e distribuzione. Abbandonata quindi la strada della Grande Distribuzione non ci resta che avventurarci per i vicoli del paesello e riscoprire i luoghi della memoria, alla ricerca di una macelleria che lavori ancora le mezzene come si faceva una volta. Trovato dunque il macellaio disposto a parlare, è il momento di trattare. Esatto, trattare! Perché non sarà assolutamente facile convincerlo a deturpare la sua mezzena per vendervi un Brisket. Con molta probabilità il macellaio vi venderà anche tutti i ritagli anomali prodotti per sezio­nare il pezzo a vostro piacimento. Tanta fatica tra giorni di studio, chilometri spesi a vagare per le vie di paesini sperduti, litigi con macellai poco cordiali, ma eccolo, finalmente: il vostro Brisket.

Purtroppo sì, e per due motivi:

Siete sicuri? Delusione parte seconda: quello che avete di fronte non è un Brisket, ma la sua versione italica ; bello, abbronza-

1. le caratteristiche proprie delle razze italiane; 2. le richieste dei consumatori. Anche se nel Bel Paese sussiste una moltitudine interes­ sante di razze bovine, nessuna di queste ha una spiccata attitudine alla trasformazione. La maggior parte è predisposta alla produzione di latte (reggiana, brunalpina, frisona), mentre le altre sono per lo più ad attitudine mista (carne, latte, lavoro). La richiesta del consumatore è lo scoglio più grande. In Italia siamo abituati a consumare carni molto magre (e molto dure) rispetto ai consumatori USA. Per questa ragione il mercato si è evoluto nella direzione opposta rispetto a quello d’oltreoceano, dove la marezzatura della carne è una caratteristica molto ricercata dal cliente. L’insieme di questi due fattori ha fatto sì che il mercato obbligasse i produttori a evolversi in questa direzione, portando sulle tavole degli italiani carni estremamente magre. Detto questo, per tornare al nostro Brisket, se volete cucinarne uno degno di questo nome, adesso sapete che caratteristiche specifiche deve avere. Non vi rimane che rivolgervi a chi vende il prodotto giusto, ad esempio il nostro Megastore, non potete sbagliare. ALMANACCO 2019

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SPECIALE BRISKET - IL METODO a cura di EMILIANO NENCIONI

Come preparare il

BRISKET D E F I N I T I VO

Alla fine, il momento in cui ti senti pronto per il grande salto è arrivato: nel corso della tua carriera da griller hai affrontato pezzi di carne abbastanza grandi, hai acquisito padronanza nelle cotture low&slow, hai affinato il tuo palato e il tuo senso critico, e l’idea di stabilizzare il kettle o lo smoker non ti sembra più un’oscura pratica alchemica riservata a pochi iniziati. Sei diventato grande. Hai superato la fase del “tanto è buono lo stesso” e quella de “l’importante è che a tavola tutti abbiano gradito”, ora senti il bisogno di fare qualcosa di eccellente. La sfida, l’inseguimento della perfezione, fa parte del tuo processo di crescita, e da tempo ti stai allenando per rag­giungere la tua Moby Dick, la tua pietra filosofale, la tua Mustang Eleanor: un brisket eccezionale, irripetibile, il brisket della vita. Probabilmente hai già in testa il post che farai su tutti i social di tua cono­ scenza per presentarlo al mondo, immaginando già ogni sfumatura di 34 - BBQ4All MAGAZINE

gusto e quella consistenza perfetta, succosa, cedevole. Il brisket definitivo, stanne certo, è possibile: non è una chimera, non è una fantasia o un mito tramandato oralmente; è, soprattutto, ripetibile. Immagina le conseguenze: il brisket irripetibile ripetuto ogni volta che senti ne valga la pena. La fetta inarrivabile alla quale arrivare ogni volta. Il risultato eccezionale che diventa consuetudine, perché ormai hai fatto tuo il metodo: non ci sono più incertezze o pareri discordanti da seguire, le procedure sono standar­ dizzate, e non si parla più di tenta-

tivi ma di reiterazioni. Ma ti ho tenuto sulle spine fin troppo, passiamo al da farsi. Cosa ti serve? Quello che ho utilizzato io: un brisket di wagyu del nostro Megastore, un litro di brodo di manzo e 250 g di rub Oakridge BBQ Black Ops Brisket rub Preparati con un po’ d’anticipo il brodo di manzo: nell’editoriale, Gianfranco Lo Cascio ti ha spiegato a cosa serve e come farlo. Adesso sta a te decidere quanto tempo e energie investire, perché puoi farti


in pochi minuti un brodo (sempre di manzo!) partendo da una base granulare, oppure puoi farti un brodo triplo, con tutti i crismi, partendo da un pezzo di manzo vero. Dopo esserti preparato un litro circa di brodo di manzo, che avrai accu­ ratamente filtrato per eliminare i corpuscoli che ti intaserebbero l’ago della siringa, non è una cattiva idea ritoccare la sapidità con un po’ di salsa di soia, visto che l’umami in questi casi non fa mai male. Il brodo dovrà essere robusto, sapido, carico, non un’acquetta da ospedale.

Il mio consiglio è quello di procedere al trimming del fat cap fino a ridurlo a 3-4 millimetri, 5 se proprio vogliamo stare larghi. Ripeto: mi riferisco al grasso sopra il flat. Quello sottostante, quello eventuale sopra il point e quello veramente in eccesso tra flat e point, direi di toglierlo. Occhio: la vena di grasso fra flat e point puoi ridurla un po’, ma ricordati che, scava scava, va a finire che separi del tutto le due fasce muscolari, e non è quello che vogliamo fare in questo momento.

A questo punto, appoggia il tuo brisket su un bel tagliere ampio, affila il tuo coltello preferito e prendi un respirone: stai per preparare il tuo capolavoro.

Rifila, senza crucciarti troppo, eventuali lembi di carne sottili, irregolari, ai bordi del brisket. In cottura comunque si seccherebbero, brucerebbero, e ti ritroveresti con delle fette dai contorni poco gradevoli. Lo so che si paga questa carne, ma sai che ti dico? Mica la butti via! Con le trimmature ci fai i baked beans. Oppure fai un macinato e via di hamburger (gli hamburger di brisket di wagyu sono una cosa lussuriosa, si parla dell’edonismo più sfrenato in questi casi).

Guarda bene la carne, individua point e flat (ormai sai cosa sono) prendi nota dell’andamento delle fibre muscolari, chiarisciti perfettamente l’andamento della vena di grasso fra i due fasci: hai, ci scommetto, un fat cap (cioè quello strato compatto e spesso di grasso che ricopre praticamente tutto il flat fino all’inserimento nel point) molto massiccio, e devi decidere come affrontare la questione. Questo è il primo bivio che troverai, e ti è chiesta una scelta ponderata: come ormai sai, uno strato di grasso così spesso impedisce o comunque contrasta la formazione dello smoke ring (quell’anello rosa ai bordi che tanto ti piace); sciogliendosi, inoltre, potrebbe “lavarti via” un po’ di rub. Per contraltare, sai benissimo che il grasso può donare un sacco di sapore e che una riserva di umidità e di gusto posta sopra al flat, che tende sempre a diventare secco e asciuttino, può essere una salvezza.

A questo punto dovresti trovarti un brisket ben trimmato, con un fat cap regolare abbastanza sottile e con i bordi ben definiti. Controlla di nuovo l’andamento delle fibre e cerca di non dimenticarlo.

Impugna la tua siringa da injection preferita e con tanta pazienza inietta il brodo di manzo nel brisket, immaginando una griglia di 30x30mm sulla carne, giusto per avere un’idea di dove praticare la punturina. Point, flat, sopra, sotto: cerca di fargli prendere più liquido possibile. Avrai fatto caso che non ho parlato di pozioni da necromante e esaltatori di sapidità esasperati: è una scelta precisa, dovuta principalmente al fatto che questo brisket ve lo mangerete tutto, non un morso a testa, e che il brisket di wagyu ha già un sapore definito e appagante che non merita di essere influenzato o modificato da una chimica esterna. A questo punto, manca solo il rub. Dovresti avere il brisket completamente umido a causa delle injection (figurati se non ti sei schizzato un po’ di brodo addosso!) e questo dovrebbe essere sufficiente a far aderire il rub. Se così non fosse, ungi la carne con un pochino d’olio: un goccio, non un bagno. Io ho scelto un rub commerciale per una ragione molto semplice: è buonissimo, è molto bilanciato in tutti i suoi aspetti e ha un odore fantastico. Avrei potuto fare l’ennesimo sale-pepe-aglio, ma il patto all’inizio

Pensaci bene: stai partecipando a una competizione? Devi conquistare alla vista e al primo morso? No, qui stiamo parlando di un brisket di un certo costo, che dovrà essere man­ giato tutto, mica solo un morsettino. Quindi ti consiglio di non pensare troppo a uno smoke ring impeccabile, definito e simmetrico: il gusto non cambia, è tutta scena; lo so che ti piace vederlo e che vuoi bullarti con le foto, ma stai sicuro che ricaverai un anello colorato più che dignitoso. ALMANACCO 2019

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dell’articolo era di farti cuocere una cosa fantastica. Liberissimo comunque di usare il rub che ti piace di più: a me piace il Black Ops. Spargi il rub sul brisket in maniera da coprire tutto senza fare le sabbiature al manzo. Un velo leggero è quello che serve. Sopra e sotto, sui lati, sotto la piega del point, non lasciare nulla. Quando sei pronto per andare in cottura sii ben certo di aver settato il tuo smoker a 140-150°C in camera di cottura. È un po’ più alto del solito, ma andrà bene, dai retta a me: favorirà la formazione del bark e ti permetterà di velocizzare la cottura. Faremo, in futuro, un ampio discorso su questo argomento. Parlo di smoker perché, sebbene tu possa farlo anche nel kettle, spesso il brisket è decisamente grande e potresti avere dei grattacapi nell’impostare una cottura indiretta: peggio, potresti avere mezzo brisket adagiato nella zona della cottura diretta. Per i kettle da 47 cm di diametro non ne parliamo neppure. Consiglio un termometro a tre sonde: una sonda in ca­ mera di cottura, una infilata nel flat e una nel point. Prendi i chunk di legno aromatico e inizia ad affumicare; un grande classico è l’hickory, ma anche melo e ciliegio faranno un lavoro egregio: scegliere di non affumicare, invece, è un errore imperdonabile. Ti ricordo, per l’ennesima volta: per affumicare con grande gusto è necessario che il legno aromatico bruci di combustione incompleta. Lanciare un chunk in un rogo da sabba infernale ti procurerà solo un sentore amaro. Basta, chiudi il coperchio e vai a fare altro. Il dispositivo è stabilizzato e ci vorrà un bel po’ di tempo. È stabilizzato perché sei bravo, hai fatto i corsi, hai seguito la mail class e hai piena padronanza del dispositivo, ma se ti stai chiedendo cosa fare del waterpan ti dico cosa ho deciso di farne io. Di umidità in camera di cottura, con tutta quella carne, ce ne sarà già a sufficienza; invece di mettere acqua, ci ho versato un chilo di sale. Crepi l’avarizia. Il sale fa da volano termico (stabilizza le oscillazioni di temperatura) e, senza aggiungere umidità, assorbe i succhi e i grassi della carne che altrimenti, gocciolando su un caldissimo waterpan asciutto e vuoto, produrrebbero un sacco di fumo e sporcizia incrostata. Dopo un’oretta e mezzo potrebbe essere una buona idea aprire il coperchio e versare il più velocemente possibile un altro velo di rub sul brisket (anche nella parte di sotto), magari facendo gocciolare via eventuali “pozze” di grasso che si possono essere create. Questa operazione contribuirà a fornirti un bark corposo e croccantino. Il bark sarà l’indicatore per la prossima operazione delicata da fare: il foil. Io, in questo caso, ti consiglio di usare l’alluminio. Troverai chi ti consiglierà di usare la butcher paper (una carta parzialmente permeabile), chi ti dirà che il foil lessa il brisket, chi come al solito troverà una correlazione ben

precisa fra il foil e la scarsa virilità di chi lo preferisce. Continuano ad essere scelte tue, ma ecco cosa ti consiglio io: non appena il bark sarà completamente formato, quindi consistente, asciutto, non più farinoso e granuloso, togli il brisket dal dispositivo e adagialo su una leccarda di alluminio grande abbastanza da contenerlo. Rivesti il tutto con un paio di strati di foglio di alluminio, il più largo e spesso che riesci a trovare, in modo che non ci siano troppe vie di fuga per l’aria. Infila di nuovo le sonda, chiudendo attorno l’alluminio e senza indugio metti di nuovo il brisket in cottura. Attendi i 96 gradi. La sonda del flat può verosimilmente darti una lettura diversa da quella del point, quindi fai attenzione a non andare over (sovracottura) e piuttosto fermati un attimo prima. Calma, non è ancora finita. Prendi il tuo brisket, facendo molta attenzione perché la leccarda si sarà riempita di saporitissimi (e preziosi!) sughetti che non devi assolutamente rovesciare. Aiutati con un tagliere, perché la leccarda scotta, il brisket pesa, tu sei stanco, impaziente, hai fretta, non ti sei messo i guanti termici. Apri il foil, fai uscire il vapore e poi richiudilo. Nascondi il pregiato brisket in un isobox, o in un forno tiepido, e dimenticalo chiuso nella sua accogliente spelonca per almeno un paio di orette, se non tre. Al momento di servire, tira fuori il brisket con sapienti gesti pieni di teatralità, sguaina un coltello abbastanza lungo e inizia a tagliare perpendicolarmente alle fibre il flat: fai attenzione al bark, dovrebbe essere piuttosto rigido e croccante e con un coltello poco affilato potresti “strapparlo” durante il taglio, vanificando tutti gli sforzi per avere il miglior bark possibile. Ma sicuramente tu hai la scimitarra BBQ4All, no? Fai fette spesse circa 8mm. Deponi con ordine e attenzione le fette risultanti in una leccarda contenente i succhi di cottura (che puoi leggermente riscaldare), e quando sarai arrivato alla fine del flat inizia a tagliare il point, anche stavolta controfibra. Adesso che hai point e flat a bagno da diversi minuti nel succo di brisket caldo, puoi servire le fette ai fortunati invitati. Può essere utile una breve introduzione per presentare la carne ai presenti (non vorresti mai che ti chiedessero “mi ci metti una sottiletta?” o “me lo puoi servire con la panna?”), anche per metterli un po’ in soggezione e farli sentire in colpa per il costo della materia prima, e sei arrivato. Probabilmente è il miglior brisket che tu abbia mai assaggiato, il migliore mai fatto fino ad ora. Per me è stato così, non vedo perché tu non debba avere lo stesso risultato. A parità di materia prima e di precisione nell’esecuzione, s’intende.

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SPECIALE BRISKET - CONTORNO 01 - di EMILIANO NENCIONI

a Beethoven e Sinatra preferisco

L ’ I N S A L ATA La citazione è di Battiato e cade a pennello. Finalmente il momento è arrivato: dopo aver passato tutte quelle ore preparando il brisket e pregustandoti il suo sapore, puoi finalmente portarlo in tavola e servirlo ai tuoi impazienti ospiti. Già, ma cosa servire come contorno? Cosa può esaltare il sapore di quella ciccia buonissima e dal sapore esplosivo, senza sminuirla né, al contrario, sovrastarla? La risposta è facile: un’insalata. Fre­ sca e saporita, sgrasserà l’untuosità del brisket. Allo stesso tempo, ricercata e raffinata, sarà la degna compagna di cotanto sapore. Ecco la nostra proposta: insalata di cetrioli, feta e cipolle caramellate.

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Procedimento: 1. In una padella scalda l’olio. 2. Taglia le cipolle e falle soffriggere. 3. Aggiungi il sale, in modo da far fuoriuscire l’acqua contenuta nelle cipolle e darle la possibilità di eva­ porare. 4. Quando l’acqua sarà completamente evaporata, aggiungi l’aceto e lo zucchero. 5. Lascia cuocere a fiamma vivace così da far sfumare l’aceto e caramellare leggermente lo zucchero. 6. Aggiungi l’uvetta, aggiusta di sale e pepe e termina la cottura. 7. Taglia a cubetti la feta e affetta sottilmente i cetrioli. 8. Condisci i cetrioli e la feta con un pizzico di sale, un filo d’olio e mescola delicatamente. 9. Aggiungi all’insalata le cipolle caramellate e qualche fogliolina di basilico e di nuovo dai una leggera mescolata, facendo molta attenzione. 10. Servi con una macinata di pepe nero.

I N G RED I EN TI P E R 6 P E R S ON E

PER LE CIPOLLE CARAMELLATE 1 kg cipolle rosse Sale q.b Pepe q.b 1/2 bicchiere di aceto di mele 3 cucchiai zucchero di canna grezzo • Olio extravergine di oliva q.b • 300 g uvetta sultanina • • • • •

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PER L’INSALATA DI CETRIOLI E FETA 500 g di cetrioli 200 g di feta a cubetti 200 g di cipolle caramellate basilico q.b. Sale Olio extravergine di oliva q.b. pepe nero macinato fresco


SPECIALE BRISKET - CONTORNO 02 - di MARIANGELA IBBA

anche gli angeli mangiano

BA K E D B E A N S IL CONTORNO PERFETTO I Baked Beans sono una delle tante pietanze che compongono la tipica e ricca colazione inglese: un piatto rustico, ma sicuramente godurioso e sostanzioso. Ormai diventati famosissimi, si trovano perfino già pronti nei barattoli di latta: basta solo scaldarli e il gioco è fatto. Li avrai visti sicuramente anche tu in qualche reparto dedicato ai prodotti internazionali del supermercato. In Italia, nell’immaginario dei trentenni e dei quarantenni di oggi, i Baked Beans sono spesso associati ai fagioli che Trinità e Bambino mangiavano col mestolo di legno direttamente nella padella, durante le pause tra un cazzotto e l’altro. Alzi la mano chi non ha mai guardato quelle scene con l’acquolina in bocca. In effetti, i Baked Beans sono veramente strepitosi, sia mangiati come piatto unico, sia come contorno per ribs, pulled pork, brisket: non solo si sposano alla perfezione coi sapori

della carne cotta e affumicata per molte ore, ma ti permettono anche di non sprecare le trimmature delle varie preparazioni. Bene, preparati perché ora ti dico come utilizzare le trimmature del brisket per dare una marcia in più ai tuoi Baked Beans. Procedimento: 1. Metti a mollo i fagioli in acqua per una notte, separati per tipo. 2. Bolli i fagioli in abbondante acqua, con mezzo cucchiaio di sale. 3. Non stracuocere i fagioli ma la­ sciali al dente e conserva un po’ della loro acqua di cottura. 4. Stabilizza il dispositivo per una cottura diretta. 5. Versa una mezza ciminiera di bricchetti Weber accesi al centro della griglia carbone del dispositivo. 6. Togli la parte centrale della griglia gourmet e metti al suo posto la cocotte in ghisa Weber; fai atten­ zione: i bricchetti non devono toc-

care la cocotte. 7. Quando la cocotte è ben calda, fai sfrigolare i cubetti di pancetta affumicata, fino a quando non sono belli dorati e croccanti. 8. Togli i cubetti di pancetta dalla cocotte e mettili da parte. 9. Versa l’olio extravergine d’oliva nella cocotte e soffriggi la cipolla, la carota e il sedano, che avrai tritato finemente. 10. Quando il soffritto è imbiondito, aggiungi le trimmature del brisket e una presa di sale; mescola bene e lascia insaporire la carne per qualche minuto. 11. Aggiungi la salsa barbecue, il concentrato di pomodoro e la paprika dolce; mescola bene e lascialo andare così per circa un’ora. 12. Passati i 60 minuti, aggiungi i fagioli con un po’ della loro acqua di cottura e lascia andare un’altra ora circa a coperchio chiuso, aggiungendo l’acqua dei fagioli al bisogno. 13. Passate le due ore, aggiungi l’aceto di mele e lo zucchero e continua la cottura a coperchio aperto 14. Quando i Baked Beans sono quasi pronti, aggiungi la pancetta che avevi sfrigolato in precedenza e poi aggiusta eventualmente di sale. Ti consiglio di servire i Baked Beans con delle fette di pane grigliato. E tanta birra.

IN GREDIENTI PE R 4 PERSO N E • • • • • • • • • • • • • • • •

mezza cipolla un gambo di sedano una carota 100 g di pancetta affumicata a dadini 200 g di trimmature di brisket 2 cucchiai di concentrato di pomodoro 250 g di salsa barbecue 2 cucchiai di paprika dolce 100 g di fagioli borlotti 100 g di fagioli cannellini 100 g di fagioli neri 100 g di fagioli rossi 100 g di aceto di mele 4 cucchiai di zucchero di canna olio extravergine d’oliva q.b. sale q.b.

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SPECIALE BRISKET - ALTRI UTILIZZI - ricetta di MICHELA BONGIORNI

I L R E D E I PA N I N I

Si fa presto a dire: ti faccio un panino. Certamente sotto questa parola è compresa una miriade di varianti, profumi e sapori. Nonostante sembri facile assemblare gli ingredienti e infilarli dentro due fette di pane, vi assicuro che non è così banale. L’accostamento dei sapori, il perfetto bilanciamento tra la parte grassa, quella acida e quella sapida, la scelta del pane e la presentazione fanno la differenza. Mettere insieme dei sapori a caso, aprire il frigo e svuotarlo possono essere soluzioni di emergenza che sfamano, ma la cosa è ben diversa quando si decide di studiare a fondo un panino che sia

I N G REDIEN T I P ER UN PA N IN O

PER LA SALSA TIGER: •due cucchiai di maionese •un cucchiaio di senape •mezzo cucchiaio di rafano PER LE CIPOLLE CARAMELLATE: •una cipolla rossa •un cucchiaino di olio extravergine d’oliva •un cucchiaino di miele •un cucchiaino di zucchero •mezzo bicchiere di vino rosso PER ASSEMBLARE IL PANINO: • un panino alle patate • rucola q.b. • due fette di brisket alte circa un centimetro • un cucchiaio di salsa Tiger • cipolle caramellate q.b.

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veramente buono da mangiare, non banale nella scelta degli ingredienti e bello da vedersi. Perché alla fine, come si dice, anche l’occhio vuole la sua parte: se un panino si presenterà bene, inevitabilmente sarà percepito come buono dai commensali anche prima del morso. E se poi al morso il panino

sarà veramente buono, i commensali lo troveranno strepitoso. Inarrivabile. Oltremodo godurioso. Ed è questo il nostro obiettivo, no? Nel nostro caso, l’ingrediente principale è il brisket. Attorno a lui è stato letteralmente costruito un panino che vi farà fare il triplo salto mortale sulla sedia.


Procedimento 1. Svuotate il panino, togliendo un po’ della mollica, e farcitelo con una base di rucola. 2. Aggiungete le fette di bri­ sket taglia­ te non troppo spesse, ma nean­che troppo sottili: poco meno di un centimetro di spessore. 3. Preparate la salsa Tiger mesco­ lando insieme due cucchiai di maionese, uno di senape e mezzo di rafano.

4. Preparate le cipolle caramellate affettando una cipolla rossa sottilmente e caramellandola in un pentolino con un cucchiaio d’olio, un cucchiaino di miele, uno di zucchero di canna e mezzo bicchiere di vino rosso: sono pronte quando sono appassite e ritirate bene. 5. Finite di assemblare il panino condendolo con la salsa tiger e infine con le cipolle caramellate.

Un’ultima considerazione sul pane: essendo il brisket una preparazione bella succosa, unta e bisunta, scordatevi un panino morbido che si sfaccia al primo morso. Qui ci vuo­ le qualcosa che regga bene i succhi, che inevitabilmente usciranno dalle vostre fette di brisket. Noi abbiamo scelto un panino alle patate, ma voi potete sbizzarrirvi con le idee, preparandovelo anche in casa. L’importante è che abbia un bella crosta croccante e una mollica abbastanza compatta, senza però che si faccia fatica a morderlo. Buon panino a tutti.

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I NGREDIEN T I

P ER 12 CA RAME LLE • Una sfoglia di pasta Brisée rettangolare • 200 g di Brisket • 100 g di Formaggio Chimay a la Rouge • Salsa barbecue classica q.b. • un Tuorlo d’uovo • Semi e spezie a piacere (ad es. semi di sesamo, caffè, papavero, paprika)

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SPECIALE BRISKET - ALTRI UTILIZZI - ricetta di LUCA GALLOZZA

la vuoi una

CARAMELLA? Un cocktail, un antipasto finger food e, in sottofondo, la musica country di Chris Stapleton che riscalda l’atmosfera: così prende il via la serata, in piena convivialità.

Per questo voglio proporvi qualcosa di sfizioso, che si presta a pregu­stare il piatto forte della vostra cena: il brisket. Utilizzando un po’ di quel brisket che avete preparato con tanto amore e tanta pazienza, non solo potrete presentare un antipasto decisamente sorprendente, ma i vostri ospiti avranno anche una piccola anticipazione di ciò che troveranno nel loro piatto più avanti. L’antipasto, che precede il pasto vero e proprio come si intuisce dal nome, è tendenzialmente proposto per stuzzicare l’appetito. Spesso è sostituito con l’entrée, ed è formato da piccoli stuzzichini a base di carne, pesce o verdure serviti sotto forma di finger food o anche in stile gourmet, ma sempre di piccole porzioni. Seppur ricercato negli accostamenti di sapori, solitamente è da ritenersi poco impegnativo e di facile preparazione. Ecco perché ho puntato sulla sem-

plicità. Tre soli ingredienti. Ma vi garantisco un’esperienza superlativa. Pasta brisée, brisket e formaggio. Tutto qui. Li metti uno dentro l’altro, in versione matrioska, ed ecco il tuo antipastino sfizioso. Procedimento: 1. Iniziate col tritare al coltello le rimanenze del brisket al quale aggiungerete un po’ di salsa barbecue, per amalgamare il tutto. 2. Prendete il formaggio e create dei cubetti da 1x1 cm 3. Stendete la pasta brisée e realizzate dei quadrati da 8x8 cm. 4. Con un po’ di brisket, realizzate delle polpettine di circa 3cm di diametro, nelle quali inserirete al centro, un cubetto di formaggio. 5. Adagiate la sfera di brisket al centro di ogni rettangolo e avvolgete, torcendo le estremità, a mo’ di caramella. 6. Sbattete il tuorlo d’uovo, spennellate le caramelle e poi sopra di esse cospargete le spezie e i semi di vostro gusto, per renderle visivamente più appetibili e colorate. 7. Settate il kettle per una cottura indiretta e stabilizzatelo a 180°C. 8. Appoggiate le caramelle su una teglia che possa andare dentro al kettle, foderata di carta forno, e ponetela in cottura indiretta, per 30 minuti, fino a completa doratura della pasta. Ora potete servire le vostre caramelle brisée ripiene di brisket, stuzzicando l’aspettativa dei vostri ospiti. Sarà un successo assicurato e la cena non potrà che proseguire coi fuochi d’artificio.

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I N GREDIEN T I PER 4 PERSO N E

PER IL RAGÙ • 500 gr di brisket • mezza cipolla • 1 spicchio d’aglio • un gambo di sedano • una carota • un cucchiaio di concentrato di pomodoro • un bicchiere di brodo (manzo, o vegetale) • olio extravergine di oliva q.b. • sale q.b.

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avanzi? nessun problema!

QUANDO IL DIVIENE Quando prepari il brisket per amici e parenti, per te è sempre una grande sfida fatta di: trimmature, injection, rub, overnight, ansia da prestazione, rest. Insomma, è una gran bella fatica. Per questo motivo, quando il brisket avanza, la tua più grande paura è che possa andare sprecato. Fra le varie opzioni di recupero che possono venirti in mente, e che leggerai su questo numero, avevi mai pensato al ragù? Quando diciamo ragù, la prima cosa a cui tutti pensano è la versione alla bolognese, ovvero con carne di manzo macinata (e in alcune versioni anche di maiale), a base di pomodoro. In realtà ogni regione ha la sua versione: famosissimi sia quello napoletano, che prevede l’uso di carne in pezzetti e non macinata, che quello toscano, con l’aggiunta di fegatini di pollo e il concetrato di pomodoro al posto della passata. Quindi, se ognuno ha il suo ragù, noi abbiamo il nostro, da veri griller incalliti. Ti assicuro, il connubio tra la regina della cucina italiana, la pasta, e il re del barbecue, il brisket, è perfetto. Dopo aver assaggiato questo ragù dal gusto robusto, corposo e avvolgente, con la tipica nota di affumicato, spererai sempre che un po’ di brisket avanzi.

RE RAGÙ

Procedimento: 1. Stabilizza il tuo kettle per una cottura diretta e poni la cocotte Weber al centro della griglia gourmet, con i bricchetti sotto. Fai atten­zione che non siano a contatto con la cocotte, altrimenti rischi che que­ sta si riscaldi troppo e che il cibo si bruci. Lascia che la cocotte si riscaldi bene. 2. Prendi il brisket avanzato e tritalo abbastanza finemente al coltello. 3. Versa nella cocotte l’olio e fai un soffritto con la carota, il sedano, la cipolla e l’aglio. 4. Quando il soffritto sarà imbiondito, aggiungi il brisket precedentemente tritato e fai insaporire. 5. Aggiusta di sale e poi aggiungi il concentrato di pomodoro e il brodo. 6. Lascia cuocere il tutto a fuoco basso e a coperchio chiuso per almeno due ore e poi fallo ritirare bene. 7. Fai cuocere la pasta e condiscila col ragù di brisket. Non temere, mezza ciminiera di bricchetti ti sarà sufficiente per portare a termine la cottura del ragù senza fare rabbocchi.

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SPECIALE BRISKET - ALTRI UTILIZZI - ricetta di LUCA GALLOZZA

BRISKET & CA N N E L LO N I storia di un matrimonio felice

Chiamare questa ricetta “di recupero” è oltremodo riduttivo. Dovendo fare variazioni sul tema “brisket” per questo numero, ho pensato ad una preparazione che rivisita il brisket e unisce il piacere della carne alla sostanza di un primo piatto gustoso ed esaltante: pasta fresca, un ripie­ no di carne succoso e saporito, una parte cremosa e una salsa, per creare il cannellone più buono di sempre. E, soprattutto, originale. Pensate a quando inviterete la suocera a pranzo la domenica e vi vedrà sfornare una bella teglia di cannelloni dal kettle: il giorno dopo andrà dal notaio per intestarvi la casa. Di cosa avete bisogno? Di qualche 48 - BBQ4All MAGAZINE

fetta di brisket, di una buona pasta all’uovo, di un po’ di sugo di pomodoro e di una buona besciamella. Il tocco in più è dato dalle patate che farete cuocere “in ember” ovvero a contatto diretto con le braci. Aggiungete qualche aroma e il gioco è fatto. Suddividiamo le preparazioni e partiamo. Procedimento: 1. Formate una fontana di farina su uno spianatoio con un cratere al centro e versateci dentro le uova. 2. Dall’esterno verso l’interno amalgamate i due composti, fino ad ottenere un impasto liscio e omogeneo. 3. Successivamente avvolgetelo con

pellicola e mettetelo in frigo per un’oretta. 4. Passato il tempo necessario, tirate la pasta: decidete voi se a mano, in maniera più rustica, o con la sfogliatrice. L’importante è che otteniate una sfoglia piuttosto sottile, dalla quale ricavare dei rettangoli, più o meno di circa 9 cm per 15 cm. 5. Ottenuti i rettangoli, sbollentateli per un minuto in acqua salata e stendeteli ancora caldi su un vassoio coperto da un telo da cucina pulito. 6. Fate imbiondire uno spicchio d’aglio nell’olio. Toglietelo appena dorato e aggiungete la salsa di pomodoro, un po’ di origano secco, un pizzico di sale e uno di pepe nero. 7. Lasciate tirare la salsa a fiamma


ING RED I EN TI P ER 6 P E R S ON E

PER LA PASTA ALL’UOVO • 450 g di farina • quattro uova PER LA SALSA DI POMODORO • 600 g di passata di pomodoro • quattro cucchiai di olio extravergine di oliva • uno spicchio di aglio • origano q.b. • Pepe nero q.b. • sale q.b. PER LA BESCIAMELLA • 500 ml di latte • 50 g di farina • 30 g di burro • sale q.b. • noce moscata q.b PER IL RIPIENO • 600 g di Brisket • 5 Patate • due cucchiai di olio extravergine di oliva • 50 g di carote • 40 g di sedano • 50 g di cipolla

medio bassa per almeno mezz’ora, senza che si riduca troppo. 8. Nel frattempo, preparate la besciamella: fate sciogliere il burro in un tegame. Quando questo fonde, setacciate la farina all’interno del tegame, mescolando con la frusta per ottenere un roux. 9. Appena questo assumerà un color ambrato, aggiungete il latte che dovrà essere caldo, continuando a mescolare con la frusta per amalgamare gli ingredienti. Aggiungete sale, pepe e un pizzico di noce moscata. A que­ sto punto, sempre mescolando, continuate a far cuocere la besciamella finché avrà raggiunto la consistenza desiderata. 10. Una volta pronta, versatela in un

contenitore o in una ciotola in vetro e coprite con uno strato di pellicola da cucina, per evitare che si secchi in superficie. 11. Adesso preparate le patate in ember: accendete una mezza cimi­ niera di bricchetti, prendete le vo­ stre patate, avvolgetele nella carta d’alluminio e appoggiatele direttamente sulle braci, finché non riu­ scirete a penetrarle con uno spiedino senza il minimo sforzo. Ci vorranno pressappoco 40 minuti. Assumeranno un caratteristico sapore rustico, di fumo, che si può ottenere solo con questa tecnica di cottura. 12. Sbucciatele e schiacciatele, per ottenere dalla loro polpa un impasto che vi permetterà di creare consi­

stenza all’interno del cannellone e di mantenere la giusta umidità. 13. Il brisket necessita di un ultimo passaggio: in un tegame, versate due cucchiai di olio extravergine, la cipolla, la carota e il sedano e fate soffriggere a fiamma bassa. 14. Appena le verdure iniziano ad appassire, inserite il brisket tritato finemente al coltello e i suoi succhi che sicuramente avrete tenuto da parte. In alternativa, brodo di manzo. 15. Rimestate velocemente. Il brisket non deve cuocere, deve soltanto insaporirsi ulteriormente. 16. Stendete i rettangoli di pasta all’uovo, riempiteli con uno strato di circa 2 mm con l’impasto di patate, per ¾ del rettangolo, lasciando un bordo di qualche centimetro per permettere la chiusura del cannellone in forma cilindrica. Sopra lo strato di patate, eseguite lo stesso procedimento con il brisket, cercando di non eccedere verso l’esterno, che andrà rabboccato una volta chiuso il tutto. Quindi arrotolate, chiudendo il cannellone. 17. Prendete una teglia, cospargete bene sul fondo una porzione abbastanza sufficiente di besciamella, che ricopra il fondo e si appoggi bene ai bordi: eviterà ai vostri cannelloni di attaccarsi. 18. Aggiungete il sugo di pomodoro che avevate preparato, cospargendo la besciamella. Adagiate i cannelloni sulla teglia, uno davanti all’altro, in una o due file affiancate. Versate sopra un’altra abbondante quantità di besciamella per ricoprirli e altrettanta salsa sopra. 19. A questo punto avete due solu­ zioni per terminare la cottura. Finirli in forno a 180°C per 15/20 minuti, oppure caricare il kettle di bricchetti belli roventi e mettere la vostra te­ glia in indiretta con circa 180°C di T alla griglia. Il primo più pratico, il secondo più appassionante, e volendo potete aromatizzare un po’ con una manciata di chips di legno aromatico. Direi che non vi resta che mettervi a programmare il prossimo brisket, perché se non vi è ancora venuta l’acquolina, evidentemente dovete far denuncia di smarrimento delle vostre papille gustative. Io fossi in voi non perderei l’occasione di fare un bel figurone la prossima dome­ nica a pranzo. ALMANACCO 2019

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SPECIALE BRISKET - ALTRI UTILIZZI - ricetta di MARIANGELA IBBA

mille e una

MOUSSAKÀ Basta dire Moussakà e il nostro pensiero corre subito in Grecia, al suo mare azzurro, alle sue meravigliose spiagge e al suo splendore artistico ed archeologico. Questo perché la Moussakà è uno dei piatti simbolo della cucina ellenica: un piatto unico, ricco, sostanzioso, una gioia per il palato. Assomiglia un po’ alla nostra parmigiana di melanzane: è una stratificazione alternata di melanzane fritte, ragù di agnello e formaggio grattugiato, il tutto ricoperto da uno spesso strato di besciamella. In pochi sanno però che la parola Moussakà non ha origini greche, bensì arabe (mussaqq’ha, raffreddata), e che la Moussakà ellenica è la variante più famosa di un piatto freddo turco, musakka, a base di melanzane, carne e pomodori, diffusosi in Europa Orientale durante la lunga dominazione ottomana. Esistono varianti balcaniche di questo piatto, che in molti casi hanno sostituito le melanzane con le patate e la besciamella con una crema di latte e uova; così come la scelta della carne per il ragù varia da zona a zona: montone, manzo, pollo, maiale, agnello. Esistono anche varianti a cui si aggiungono le zucchine, in altre si usano melanzane e patate insieme. Le uniche cose su cui tutte concordano è la stratifica­ zione del piatto e la successiva gratinatura in forno. Così, viste le innumerevoli versioni della Moussakà abbiamo deciso di crearne una anche noi, (mantenendo come punto di riferimento quella greca) e usando come carne il ragù di brisket (trovate la ricetta in questo stesso numero), di fatto aggiungendo un nuovo ingrediente: una leggera nota di affumicato, che rende questo piatto, già eccezionale per la sua armonia di sapori, una vera esplosione di gusto. Procedimento: 1. Lava e asciuga le melanzane, tagliale a fette non troppo sottili e friggile in abbondante olio di arachidi. 2. Mi raccomando, asciuga bene le melanzane dall’olio in eccesso della frittura. 3. In un pentolino sciogli il burro, aggiungi la farina e mescola bene con la frusta, per evitare la formazione di grumi. 4. Quando la farina è tostata, ovvero quando ha acquistato un leggero colore dorato, aggiungi il latte tiepido, il sale e una spolverata di noce moscata, continuando a mescolare con la frusta fino a quando il composto non si sarà addensato. Aggiungi il formaggio grattugiato ed il

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tuorlo fuori dal fuoco, continuando a mescolare. A questo punto sei pronto per montare la Moussakà: 1. In una teglia imburrata, fai uno strato di melanzane, poi uno di carne e infine dai una generosa spolverata di Parmigiano. Ripeti con un secondo strato di melanzane, di carne e di Parmigiano. Infine ricopri con un ultimo strato di sole melanzane. 2. Sopra l’ultimo strato di melanzane metti un abbondante strato di besciamella e una bella spolverata di Parmigiano. 3. Stabilizza il tuo dispositivo a 180°C per una cottura indiretta, quindi a coperchio chiuso; 4. Appoggia sulla griglia la teglia con la Moussakà, in cottura indiretta, e chiudi il coperchio: quando la superficie è ben gratinata è pronta. Fai riposare la tua Moussakà affumicata e servila tiepida. Aspettati gli applausi a fine pasto.

I N G RED I EN TI P E R 4 P E RS ON E

PER LA BESCIAMELLA • 500 ml latte • 40g burro • 40g farina • 50 g di formaggio stagionato grattugiato (Parmigiano Reggiano o Kefalotyri) • 1 tuorlo d’uovo • sale q.b. • noce moscata q.b. PER LA MOUSSAKÀ • 500 g di ragù di brisket • 3 melanzane • olio di arachidi q.b. • 100 g di Parmigiano Reggiano


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SPECIALE BRISKET - PER CONCLUDERE IN DOLCEZZA - ricetta di MARIANGELA IBBA

C R O S TAT I N A

CON

LEMON CURD di limoni grigliati

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Hai mai sentito parlare della lemon curd? È un crema inglese, nata tra il XIX e il XX secolo, servita per tradizione all’ora del tè spalmata su scones e bi­ scotti. La prima volta che l’ho assaggiata, le mie papille gustative hanno esultato: era come se un limone mi fosse esploso letteralmente in bocca, eppure l’acidità e l’asprezza dell’agrume erano mitigati dallo zucchero e dal burro presenti nella crema, che invece esaltavano il gusto pieno e rotondo del limone. Insomma, une vera bontà, limonosa e burrosa. A questo punto mi è balenata in testa un’idea: perché non unire la passione per la griglia alla passione per questa crema deliziosa, creando una lemon curd col succo di limoni grigliati nel kettle? Detto, fatto. Ti dirò un segreto: spremendo i limoni grigliati, ancora caldi, ottieni più succo; quest’ultimo, essendo concentrato, ha un sapore intenso perché una parte d’acqua è evaporata in griglia; inoltre, durante la spremitura, le molecole caramellizzate del limone finiscono nel succo rendendolo una bomba di sapore. Ti assicuro che il risultato è strabiliante: una crema dal sapore intenso e deciso con un leggero sentore di affumicato che le dà una marcia in più. Provato questo nuovo procedimento, non tornerai indietro. Per gustare al meglio la lemon curd, ho deciso di usarla per farcire delle crostatine di pasta frolla; la delicatezza della pasta frolla esalta ancora di più l’intenso sapore del limone e la nota di sottofondo dell’affumicato. Servi le crostatine con una bella spolverata di cacao amaro, il contrasto col dolce della crema enfatizzerà ancora di più il limone.

INGR EDIE NTI

P ER 4 CROSTAT I N E PER LA PASTA FROLLA • 300 g di farina • 130 g di zucchero al velo • 150 g di zucchero • tre tuorli d’uovo PER LA LEMON CURD • quattro limoni grossi • 200 g di zucchero • due uova • 100 g di burro • cacao amaro in polvere q.b.

Procedimento: 1. In una ciotola versa la farina, lo zucchero, i tuorli e il burro freddo tagliato a dadini, quindi impasta fino a quando non ottieni una palla liscia e omogenea; 2. Avvolgi la pasta frolla nella pellicola e lasciala riposare in frigo per 30 minuti; 3. Stendi la frolla sottilmente con un matterello; 4. Rivesti con la pasta frolla gli stampi imburrati e bucherella la pasta frolla con una forchetta; 5. Cuoci in bianco (cioè coprendo l’interno con un foglio di alluminio riempito di riso o fagioli secchi Ndr) a 180°C, per circa 20/30 minuti. 6. Predisponi il dispositivo per una cottura diretta. 7. Taglia a metà i limoni e ponili sulla griglia, direttamente sulla fonte di calore per qualche minuto: quando la parte tagliata è leggermente brunita, sono pronti; 8. Spremi i limoni ancora caldi e lascia raffreddare il succo; 9. In un pentolino versa il succo freddo dei limoni, lo zucchero, le uova sbattute e mescola; infine aggiungi il burro freddo tagliato a dadini; 10. A fuoco basso, ti consiglio il fornello di casa, mescola lentamente fino a quando la crema non si addensa, la crema non deve raggiungere il bollore altrimenti l’uovo si straccia; 11. Versa la crema ancora calda nelle crostatine; 12. Quando la crema è fredda metti le crostatine in frigo almeno per 3 ore; 13. Servi le crostatine con una spolverata di cacao in polvere. ALMANACCO 2019

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NON DI SOLA CARNE RICETTA VEGETARIANA di MARIANGELA IBBA

TARTUFI DI

ZUCCA B R U C I ATA con gazpacho e chimichurri

Diciamo la verità, spesso gli amici che non mangiano carne si sentono un po’ emarginati e si irrigidiscono quando sentono parlare di barbecue. E questa è anche un po’ colpa dell’addetto alla griglia, che è capace di stare ore a cucinare elaborate e lunghe preparazioni, ma poi presenta ai compagni vegetariani le solite verdure grigliate (male!) e servite sul pane abbrustolito. Vi siete mai chiesti se esiste un modo per cucinare sul fuoco qualcosa di vegetariano che sia sfizioso e diver­ tente sia per chi cucina che per chi assaggia? Beh, esiste. Per questa ricetta useremo la zucca, che si presta a una delle cotture più affascinanti e primitive che cono­ sciamo: l’ember roasting, ovvero la cottura del cibo a contatto diretto con le braci. Con questo tipo di cottura potete offrire ai vostri amici vegetariani dei piatti di verdure gustosi arricchiti dal sapore di affumicato. La zucca, grazie alla sua buccia dura, si presta benissimo, perché viene appoggiata intera (o a fette) con la buccia a contatto diretto con le braci e la sua polpa diventa cremosa e ben affumicata. Una volta ottenuta questa gustosa crema con sentori di fumo, potete preparare questi tartufi di zucca bruciata, ovvero delle polpette deliziose spolverizzate di rub (un misto spezie tipico delle cotture barbecue) e accompagnate da salse altrettanto deliziose, come il chimichurri e il gazapcho. Tutto ciò per trasformare la classica grigliata tra amici in un’esperienza divertente e gustosa, anche per coloro che non mangiano carne. Anzi, probabilmente anche i carnivori ne vorranno a volontà. Quindi non fatene pochi. Potete servire ai vostri ospiti i tartufi mettendoli semplicemente in un vassoio o infilzandoli su uno stecchino da spiedino.

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Procedimento: 1. Preparate il dispositivo per una cottura diretta sulle braci; 2. Appoggiate a la zucca sulle braci e chiudete il coperchio: dopo circa un’ora la zucca sarà pronta. 3. Lasciate raffreddare la zucca e con l’aiuto di un cucchiaio scavate la polpa, eliminando le parti bruciate. 4. Mentre la zucca è nel kettle, lessate le patate e fate rinvenire i funghi secchi in una tazza d’acqua calda; 5. Schiacciate bene le patate e togliete i funghi secchi dall’acqua, strizzateli e tritateli grossolanamente. 6. Aggiungete alle patate schiacciate la polpa della zucca e amalgamate bene; 7. Aggiungete la cipolla e l’aglio tritati finemente, i funghi, l’uovo, il pecorino romano, il sale: a questo punto lavorate l’impasto. 8. Per dare più consistenza, aggiungete un po’ di pangrattato, senza esagerare. 9. Formate delle palline di circa 50 grammi l’una. 10. Preparate il rub mescolando tutti gli ingredienti facendo attenzione che non si creino grumi. 11. Passate i tartufi nel rub. 12. Stabilizzate il kettle a 180° per una cottura indiretta, mettete i tartufi direttamente sulla griglia, per 15 minuti. 13. Nel frattempo versate nel mixer la polpa del pomodoro, l’aglio, la cipolla tritati grossolanamente, poi l’olio extravergine e il peperoncino; quindi frullate. 14. Ottenuto un composto omogeneo, aggiungete il succo d’arancia, la salsa di soia e il sale. Il Gazpacho è pronto. 15. Tritate finemente il prezzemolo, la cipolla, l’aglio e il peperoncino: mettete tutto in una ciotola, aggiungete l’olio, il succo del limone e il sale. Ecco la vostra Chimichurri. Potete servire questi tartufi anche tiepidi. Sono un ottimo antipasto, o un secondo piatto gustoso. Piaceranno moltissimo anche ai bambini. Insomma, metteranno tutti d’accordo.


I NGREDIENT I PER 4 PERSO N E

PER I TARTUFI • una zucca • tre patate • 20 g di funghi secchi • 30 g di pecorino romano • un uovo • mezza cipolla • uno spicchio di aglio • pangrattato q.b. • sale e pepe q.b. PER IL RUB • 120 g di paprika dolce • 50 g di sale • 20 g di aglio in polvere • 15 g di cipolla in polvere • 5 g di peperoncino tritato • 5 g di pepe nero • 5 g origano in polvere • 20 g di zucchero grezzo di canna in polvere PER IL GAZPACHO • 130 g di polpa di pomodoro • uno spicchio di aglio • mezza cipolla • un cucchiaino di salsa di soia • quattro cucchiai di olio extravergine di oliva • il succo di mezza arancia • peperoncino q.b. • sale q.b. PER LA CHIMICHURRI: • un mazzetto di prezzemolo; • mezza cipolla; • tre spicchi di aglio ; • cinque cucchiai di olio extravergine di oliva; • il succo di mezzo limone; • peperoncino; • sale q.b.

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SPECIALE BRISKET - VINI ABBINATI a cura di ENIO BERTON

È ORA DI

BERE! abbinamenti consigliati

C A R A PA C E Vino: Cantina: Abbinamento :

Montefalco Sagrantino DOCG Carapace 2013 Tenute Lunelli brisket in purezza e insalata con cetrioli, feta, cipolla rossa caramellata e basilico

Questo vino è prodotto nella cantina Castelbuono della Tenuta Lunelli in Umbria. Nel 2006 iniziarono i lavori di ristrutturazione affidati all’artista di arte contemporanea Arnaldo Pomodoro; terminata nel 2012, si è presentata sul territorio come un’opera d’arte maestosa. Il termine “Carapace”, voluto dallo stesso Pomodoro, è dovuto alla caratteristica cupola in rame della struttura che simula con le sue forme un guscio di tartaruga, che ben si integra nel paesaggio collinare umbro. La produzione del Sagrantino, iniziata nel 2003, viene fatta con uve sagrantino esclusivamente selezionate a mano nai vigneti storici dell’azienda, dislocati nei comuni di Montefalco e Bevagna, nel mese di ottobre. Dopo la prima fermentazione riposano in barriques per 15/20 giorni, per poi affinare in botti di rovere per 24 mesi ed altri 12 mesi in bottiglia. Dal colore rosso rubino intenso, all’olfatto prevalgono le note di frutta rossa dove le ciliegie vengono arricchite da note di carruba e petali di rose; da evidenziare sentori balsamici e di humus. Al palato risulta cremoso, elegante e molto intenso, con tannini fini e persistenti. Le note di liquirizia e cioccolata arricchiscono ulteriormente il bicchiere, nell’attesa dei sentori di tabacco e spezie che arrivano subito dopo. Un bicchiere imperiale che ben si accosta alla maestosità del brisket. Da servire a 18/20 gradi in calici balloon

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MOREI

Vino: Teroldego Morei 2016 12,5 gradi Cantina: Foradori Abbinamento : cannelloni con ripieno di brisket, conditi con besciamella e sugo al pomodoro

Il vino che vi propongo è poco noto, ma lo scelgo perché mi permette di farvi conoscere un vitigno che è la storia della viticoltura del trentino. Il Teroldego rotaliano trae le sue origini dai vitigni lagrein, marzemino e syrah, da cui ricava le sue caratteristiche organolettiche. Le prime informazioni sul vitigno risalgono ad inizio del 1800 nella zona veronese del lago di Garda; il nome nasce da “tiradola”, il sistema di impianto della vite sostenuta da “tirelle”. La cantina Foradori nacque nel 1939 quando Vittorio Foradori acquistò l’attuale cantina di Mezzolombardo (in provincia di Trento). Attualmente le redini dell’azienda sono nelle mani della figlia Elisabetta soprannominata la “signora del Teroldego” per la sua attività di rivalutazione di questo vitigno. Completamente biologica dal 2002 e dal 2007, questa azienda fa parte del gruppo VinNatur. Il termine “Morei” significa moro (scuro) che identifica il colore già molto accentuato sin dalla fase di fermentazione. Nello specifico, dopo la vendemmia, esclusivamente manuale, il vino subisce la fermentazione ed il successivo affinamento restando a contatto delle bucce per otto mesi nelle tinajas di Villarobledo, anfore spagnole che permettono a questa varietà di esprimere e conservare il suo potenziale in termini di biodiversità. All’esame visivo si presenta di un rosso granato molto particolare per questo vitigno, generalmente di un rosso scarico poco intenso. All’olfatto prevalgono le note di frutta rossa matura con intensi profumi di mora e mirtillo che lasciano, nel tempo, predominare gli aromi speziati e minerali. Al palato risulta caldo ed avvolgente, l’aroma di frutti rossi esalta il palato e le note minerali ci permettono di contrastare l’acidità del sugo di pomodoro bilanciato dalla besciamella. Nel finire riappaiono le note speziate soprattuto di pepe che ben si abbinano all’affumicatura del brisket. La tannicità, non pronunciata, ci permette di assecondare e non coprire il gusto dei nostri cannelloni. Da servire a 18/20 gradi in calici renani.

AMARA Liquore: Cantina: Abbinamento :

Amara Rossa crostatina con lemon curd di limoni grigliati

Quale liquore abbinare a questo dolce, una crostatina farcita con lemon curd ottenuta da limoni grigliati e poi cosparsa di cacao? La prima opzione ricadrebbe, molto banalmente, su un limoncello più o meno artigianale. Ma a me piace osare e quindi vi propongo questo liquore prodotto in Sicilia, alle pendici dell’Etna, da un infuso che ha come base le bucce di arance rosse catanesi di varietà Tarocco Gallo e Tarocco Nocellara. Il sapiente dosaggio dell’infuso di arance e di erbe aromatiche con acqua, alcool e zucchero dona un aroma ed un gusto inconfondibile. Ottimo per la chiusura pasto in naturalezza (magari con 2 cubetti di ghiaccio) o in abbinamento a cocktail raffinati. Servito a temperatura ambiente in piccoli calici da vino dolce, sarà un elegante e nobile accompagnatore del nostro dolce.

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SPECIALE BRISKET - BIRRE E COCKTAIL ABBINATI a cura di RICCARDO MENICONI

AT - D O P P E L Abbinamento :

panino al brisket

Sua maestà il Brisket: una carne dai sapori forti, decisi, pepati, grassi e “beefy”. Stavolta sarà accompagnato, in un panino, da cipolle caramellate, rucola e salsa Tiger. Andiamo ad analizzare i sapori e vediamo come abbinarli perfettamente ad una birra. La punta di petto di manzo è sapida, unta e pepata; passando per l’amaro della rucola, saltando al piccante del rafano e arrivando all’agrodolce delle cipolle caramellate, arriveremo all’apoteosi del godimento gastronomico. Abbiamo dunque bisogno di una birra in grado di risaltare tutte queste sensazioni, pensando ad equilibrare il boccone con un sorso di equivalente spessore. Andremo quindi a scegliere una birra dai toni maltati, dal grado alcolico elevato e abboccata, in sintesi una Doppelbock di livello. Grazie a queste peculiari caratteristiche, questo tipo di birra riesce a centrare in pieno il nostro obbiettivo. Il tenore alcolico ci aiuta a sostenere i sapori piccanti e pepati, la dolcezza va in contrasto sia con il sapore amaricante della rucola, sia con i toni sapidi del brisket facendo da spalla alle cipolle con le note caramellate dei malti. Per questa ricetta ho scelto in particolare la “AT-Doppel” del birrificio Altotevere (San Giustino, Umbria), uno dei giovani nomi più interessanti nella scena brassicola nazionale. Nel bicchiere si presenta leggermente velata, dal colore ramato e con una schiuma compatta e abbastanza persistente. Al naso note tostate: leggero caramello e un profumatissimo sentore di crosta di pane; infine un ricordo di fumo. In bocca esplode con un corpo pieno, dai sapori maltati e tostati. Ritroviamo anche la crosta di pane con una piacevolissima sensazione di amaro. La nota affumicata è più intensa in bocca e l’etilico si fa sentire. Una birra corposa da 7,8% e dal carattere forte, che grazie all’uso di una piccola percentuale di malti rauch si accosta perfettamente alle note affumicate della carne. Un consiglio, servitela ad una temperatura tra gli 8°C e i 10°C in un Bierkrug.

RESET Abbinamento :

tartufi di zucca

In questa ricetta ritroviamo un ortaggio con le sue note dolci, speziate e frizzanti. Ci serve una birra che possa bilanciare queste sensazioni e rendere il boccone ancora più piacevole. Sentori dolci e maltati con una parte di amaro e un finale deciso, a tratti agrumato, sono le caratteristiche che cerchiamo. Una American Amber Ale farà al caso nostro. Ho quindi scelto la Reset del birrificio Rurale di Desio (MB). Una sicurezza su tutta la linea, da anni caposaldo del movimento Artigianale italiano. Nel bicchiere si presenta di un bellissimo colore ambrato, leggermente velata, con riflessi ramati e una schiuma compatta. Al naso risaltano i profumi dei malti, con note erbacee e resinose, donate dai luppoli americani. In bocca ritroviamo tutti questi sentori, con una morbidezza e una leggera dolcezza iniziale, che virano sull’amaro e sull’agrumato con un finale asciutto. Una birra beverina, anche grazie ai suoi 5,6°abv da bere a litri. Da servire in una pinta Americana, preferibilmente ad una temperatura di 10°-12°C. Cheers!

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R O B R OY Abbinamento :

caramelle ripiene di brisket

Il Brisket si reinventa per dare nuova vita ad un banale antipasto o ad un noioso aperitivo, diventando il ri­ pieno di una caramella saporita e sorprendente. Ritroviamo i sapori pepati e grassi di questa spettacolare preparazione che abbineremo questa volta ad un cocktail. Come spesso si vede fare ultimamente, in ristoranti alla moda e nei cocktail bar, l’abbinamento cibo/drink è sempre più quotato. E allora perché non sperimentare un po’? Sapete cosa fa rima con manzo e barbecue? No? Ve lo dico io: Scotch Whisky. Perché il whisky? Con il suo tenore alcolico elevato è in grado di sgrassare e alleviare le note pepate del manzo, la torba sostiene perfettamente, invece, il fumo di legno duro tipico delle preparazioni barbecue. Per il cocktail di oggi ci serviranno: • 4,5cl di Scotch Whisky • 2,5cl di Vermut • 1 goccia di angostura • ciliegina o peel d’arancia per guarnire. Esatto, stiamo parlando del Rob Roy, che deriva dal Manhattan ma che si differenzia da quest’ultimo per l’uso del whisky scozzese (il Manhattan prevede il rye whisky, il whisky americano dal sapore più grezzo) che ha un gusto particolarmente raffinato. Mettiamo tutti gli ingredienti in un mixing glass colmo di ghiaccio, mescoliamo bene e con uno strainer, per non rovinare il vermut, trasferiamo in una coppa martini ben fredda. Guarniamo e gustiamo questo abbinamento esplosivo.

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PER INIZIARE - IL BBQ PER I PRINCIPANTI RUBRICA a cura di MICHELE CHIPA

quale

DISPOSITIVO INIZIARE A GRIGLIARE

A CARBONE SCEGLIERE PER

Finalmente hai deciso di affiancare alla griglia tradizionale un bbq a carbone “di quelli con il coperchio per fare le cotture lunghe”. Vuoi iniziare a fare i primi passi nel mondo della cottura indiretta e della low&slow ma non sai da che parte iniziare.

a sinistra George Stephen inventore del kettle Weber 60 - BBQ4All MAGAZINE


I bbq ormai sono venduti ovunque anche nei supermercati e nei negozi fai da te. Ne trovi di tutti i prezzi: da 50 euro in su. Hai visto su internet bbq tondi con il coperchio, altri a forma di proiettile con più griglie, disposti in verticale, e alcuni talmente grandi da poterci grigliare un maiale intero. Sicuramente ti starai domandando quale dispositivo sia adatto alle tue esigenze da principiante. Vediamo se riesco a fare un po’ di chiarezza e a darti qualche consiglio. TIPOLOGIE DI DISPOSITIVI I dispositivi a carbone si differen­ ziano in kettle, bullet smoker (affu­ micatori verticali) e offset smoker (affumicatori orizzontali). Gli ultimi due, come già intuibile dal nome, sono strumenti progettati per le affumicature ovvero cotture lunghe ed a bassa temperatura. Forse un giorno avvertirai la necessità di comprarne uno, ma adesso è prematuro. Concentriamoci sui kettle. KETTLE I kettle sono i classici bbq sferici con coperchio. La loro particolare forma permette sia la cottura diretta che quella indiretta. Hanno delle aperture sul fondo e sul coperchio per regolare la temperatura di cottura e tanti accessori abbinabili: girarrosti, griglie in ghisa, forni pizza e chi più ne ha più ne metta. Rappresentano il dispositivo più versatile. Con un kettle puoi anche affumicare e procedere a cotture lunghe, pur con qualche difficoltà in più rispetto ad uno smoker. A questo punto, avendo scelto il kettle come dispositivo da comprare, starai valutando i vari modelli. Come mai esistono differenze importanti di prezzo? Sicuramente ti starai chiedendo: siccome sono un principiante, non è meglio che compri un dispositivo economico per fare pratica per poi successivamente comprarne uno più costoso? DIFFERENZE DI PREZZO La risposta alla prima domanda è semplice: ci sono differenze di prezzo perché sono differenti i mate­ riali utilizzati dal produttore e tutti i servizi di post vendita inclusi nel prezzo iniziale. Prova a verificare la differenza di peso fra un dispositivo economico

ed uno di marca: già questo è un fattore discriminante. Maggior peso equivale a dire materiali di maggior spessore e quindi un mantenimento migliore della temperatura impostata. Verifica la facilità di apertura/chiusura delle bocchette poste sul fondo e sul coperchio: più questa opera­ zione sarà agevole e più facile sarà l’eventuale correzione di imposta­ zione. Chiedi al venditore della durata della garanzia: alcuni produttori si limitano alla minima legale (2 anni), altri arrivano fino a 10 anni. DISPOSITIVO ECONOMICO O PIU’ COSTOSO Per la risposta alla seconda domanda ti racconto un aneddoto. Un mio carissimo amico mi invitò a pranzo da lui e mi propose in menù le ribs in stile Kansas City (costine di maiale affumicate a bassa temperatura e glassate con salsa bbq). Aveva appena partecipato ad un corso di bbq ed era voglioso di mettere in pratica le nozioni apprese. Disponeva solamente di un kettle economico seppur di dimensioni adeguate (mi pare fosse un 57cm di diametro acquistato a 50/70 euro in un negozio di fai da te) perché era convinto che spendere 2/300 euro per iniziare a fare barbecue fossero soldi buttati. Arrivai a casa sua quando aveva già cominciato la cottura. Aveva settato il dispositivo per una cottura indiretta a bassa temperatura, circa 110 gradi, e aveva già iniziato ad affumicare. Improvvisamente si alzò un vento fortissimo, volarono via tutte le apparecchiature già pronte sul tavolo all’aperto e si rovesciò un sacco di carbone sul prato. Questo improvviso aumento di ossi­ geno (il vento convogliò una maggiore quantità d’aria nelle ventole inferiori e quindi sulle braci) provocò una impennata della temperatura interna portandola velocemente oltre i 150 gradi. Le lamiere sottili del dispositivo economico non riuscirono a fare da volano termico e quindi non assorbirono parte dell’incremento di temperatura. Le ventole sul fondo messe in un posto scomodissimo da raggiungere non erano di facile regolazione soprattutto a causa del materiale di cui erano composte (una lamierina che si deformava ad ogni utilizzo). Quindi fu praticamente

impossibile limitare l’accesso di aria alle braci. Morale della favola: risultato delle ribs compromesso. L’alta temperatura carbonizzò lo zucchero presente nella miscela di spezie creando un terribile sapore amaro. Oltre a que­ sto, la carne perse molti liquidi e quindi risultò molto secca. In pratica due slab di ribs da buttare. Se il mio amico avesse avuto un dispositivo di migliore qualità pro­ babilmente il risultato sarebbe stato diverso. Provate ad immaginare cosa sarebbe successo se avesse avuto a di­ sposizione, per esempio, un Weber Master Touch. Le lamiere del dispositivo sono abbastanza spesse da creare un buon isolamento dall’ambiente esterno e da fungere da volano termico: l’incremento di temperatura sarebbe stato inferiore. Le ventole inferiori sono comandate da un’unica leva e sono di un materiale resistente alle alte temperature e con uno spessore idoneo alla non deformazione. Il mio amico avrebbe potuto chiudere completamente le ventole inferiori soffocando le braci e riportando la temperatura al valore inizialmente impostato. Il risultato della cottura fatta con un Weber Master Touch sarebbe stato completamente diverso e non avrebbe reso immangiabili due slab di ribs. Quindi la risposta alla tua domanda “ è meglio un dispositivo economico per far pratica?” è NO. Un dispositivo ben fatto permette una più facile gestione degli imprevisti oltre a facilitare l’impostazione iniziale della cottura. Già per questo motivo la scelta dovrebbe essere chiara. Ti elenco comunque anche altre motivazioni. Materiali più resistenti permettono una riduzione del rischio di rotture e malfunzionamenti. Una garanzia più duratura evidenzia la qualità del prodotto offerto ma ti mette anche al riparo da brutte sorprese nel futuro. Il marchio del produttore, inoltre, ti infonde fiducia perché così hai la certezza che il tuo prodotto rispetta tutte le normative di sicurezza. Anche nella scelta del dispositivo vale il detto “chi più spende, meno spende”. ALMANACCO 2019 - 61


DO YOU speak DIZIONARIO DEL MONDO BARBECUE

BBQ

GLOSSARIO BBQ

Ogni mondo ha la sua parlata e se vuoi entrare in quel determinato mondo, devi imparare il suo codice, in qualsiasi lingua sia. È quello che dice la filologia, la disciplina che serve (anche) a ricostruire i documenti letterari nella loro forma più originale: è filologicamente molto più corretto chiamare le cose coi loro nomi originali piuttosto che usare le traduzioni.

pietanza cotta a bassa temperatura in presenza imprescindibile di fumo, ma anche lo strumento utilizzato per cucinarla o l’occasione in cui questa stessa pietanza viene mangiata.

Chiaro, no? L’unica cosa da fare è studiare. Se vuoi entrare nel mondo della pasticceria, userai termini come macaronage e craquelin. Se vuoi essere uno di noi, userai rub e bark. Quindi continua ad arricchire il tuo lessico del bbq, proseguendo con la lettera B.

Bear Paws Artigli appuntiti in plastica o me­ tallo, dotati di maniglia, utilizzati per pullare (sfilacciare) la carne.

Baby Back Ribs Negli Stati Uniti dal costato intero vengono ricavati due tagli di costine (che in inglese si chiamano ribs): Baby Backs e Spare Ribs. Partendo dall’osso spinale, dove le costole sono più piccole e incurvate, si ottiene il taglio Baby Back, che è lungo circa 12 cm. Barbacoa o Barbecoa 1) Il nome che i caraibici hanno dato ad una griglia in legno sulla quale conservavano e cucinavano le carni 2) in Messico è la preparazione che prevede la cottura della testa del bovino, o di altri animali interi (capra, maiale, agnello), all’interno di una fossa rivestita in foglie di agave e riempita di rocce calde. Oggi le carni vengono avvolte in fogli di alluminio, coperte o cotte in forno. Barbecue (anche: barbecue, barbecue, Bar-B-Q, Bar-B-Que, Bar-BCue, ‘Cue,’ Que, Barbie, Q) Nove ortografie e almeno una dozzina di definizioni. Barbecue è una 62 - BBQ4All MAGAZINE

Bark La crosta superficiale, brunita e croccante, che nasce dall’interazione tra il rub (il mix di spezie), la carne e la Reazione di Maillard.

Beer Can Chicken (BCC) Ricetta culto per gli appassionati di griglia, si tratta di un pollo cotto intero in modalità indiretta, pratica­ mente “seduto” su una lattina di birra, o su un supporto dedicato. Leggenda (sfatata) vuole che la birra contenuta nella lattina intenerisca le carni dall’interno. Black & Blue Carne di manzo quasi carbonizzata all’esterno e “blu” (43°-49°C) all’interno. Prende anche il nome di “Pittsburgh”. Blue Smoke Fumo rado ma costante, dai riflessi blustri, emesso dalla combustione incompleta di chips o chunk di legno aromatico Boston Butt La porzione di spalla assicura il corretto apporto di collagene, mentre la coppa apporta la giusta quantità di grasso, gusto e succosità. Il Boston Butt lavorato correttamente comprende al suo interno la scapola (“paletta”), la cui presenza assicura un buon apporto di sapore. Il sezionamento squadrato e la grande com-

pattezza completano l’insieme. Bricchetti (Briquets o Briquettes) Capsule di carbone pressato e mi­ scelato con additivi, che ne aumentano la resa calorica. Brine/Brining “Wet Brining” sta per salamoia, ovvero una soluzione di acqua e sale, “Dry Brining” significa cospargere la superficie dell’alimento con il sale. Nel Wet brining il sale si dissolve nell’acqua e penetra nella carne, ma non tramite osmosi, come ti sarà capitato di leggere spesso. Sia la salamoia che il brining a secco aumentano l’umidità interna della carne e la sua aromaticità. Brisket La punta di petto del manzo. E se hai letto fin qui sai già tutto quello che c’è da sapere sull’argomento. Bullet Smoker verticale a forma di pallottola (bullet), come il Weber Smokey Mountain. Bun Il panino semi dolce, soffice e tondo, utilizzato nella preparazione degli hamburger. Burnt Ends Le estremità abbrustolite e croccanti del point del brisket, spesso tagliate a cubetti e servite nel jus (sugo) del brisket o aggiunte ai baked beans (fagioli stufati). Butt over Brisket Quando un Pitmaster cucina carne di maiale e brisket insieme, posizionando il primo sul secondo. In questo modo il grasso del maiale gocciola ed insaporisce il manzo sottostante.


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RUBRICA a cura della BBQ4All UNIVERSITY

#CHIEDIALCOACH

coach Dario “ZeroSbatti” Salbego

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DAVIDE BELLONI chiede: #chiedialcoach l’evoluzione dello snake, dalla testa alla coda. risponde DARIO SALBEGO Ti è mai capitato di dover cucinare una determinata preparazione per molte ore, magari non potendo rimanere a sorvegliare il tuo dispositivo come una guardia svizzera? Dimmi la verità, tra timer, deleghe varie a tua moglie (o compagna) e sudori freddi dovuti all’insicurezza, quanto ti sei goduto il piacere della cottura? Ricordo che durante le mie primissime cotture non mi staccavo mai dal dispositivo per più di cinque minuti, a causa della paura degli sbalzi di temperatura o addirittura per paura di non ritrovarmi pronto con il combustibile per un eventuale rabbocco. Poi ho scoperto il Sacro Graal di tutti i griller, il minion method. In breve, il minion method consiste nel disporre bricchetti di carbonella accesa accanto a bricchetti spenti, che per contatto si accenderanno lentamente. La lenta combustione va a generare quindi un ciclo virtuoso, dove i bricchetti accesi prendono il posto di quelli esauriti, garantendo una temperatura costante, senza la presenza di fiamma e quindi del fumaccio nero e puzzolente. Per i kettle, questo metodo prende il nome di snake method, o “lo snake” per gli amici. Occorre creare un serpente, costituito da bricchetti di carbone spenti, disposti lungo il bordo del braciere; procedendo all’accensione dello snake e versando i bricchetti accesi solo ed esclusivamente ad una delle due estremità, si dà inizio al sistema di innesco continuo che abbiamo visto per il minion method. A questo punto, trovo eticamente giusto informarti che esistono due grandi scuole di pensiero: la prima, ti dice di posizionare i bricchetti spenti tutti in fila, allineati come bravi soldatini, posizionando due file sotto e una sopra o tre file sotto e due sopra, ottenendo un effetto scenico spettacolare. L’altra… beh, l’altra è regolata dallo Zerosbatti, e io, che modestamente ne ho fatto uno stile di vita, tendo a buttare alla rinfusa i bricchetti. Attenzione, non vuol dire che li butto lì e me ne sbatto! Diciamo solo che li posiziono in ordine sparso, ottenendo sempre un serpentone compatto ma senza impazzire durante la sistemazio­ne. Come dico sempre, non posso impiegare più tempo a posizionare i bricchetti che a cuocere. Ricorda: più uniforme sarà il tuo serpentone, più uniforme sarà il mantenimento della temperatura. A questo punto arriva il primo dilemma che tutti, ma proprio tutti i griller meno esperti si pongono: quanti bricchetti devo accendere? La risposta più sincera che mi sento di darti è: non lo so, dipende. Ci sono molte variabili da considerare: temperatura di esercizio, composizione del serpentone, temperatura ambientale, per dirne alcuni. Il consiglio che ti posso dare è quello di prepararne in più e posizionare sull’estremità dello snake quelli che servono, in modo da non metterne troppi o troppo pochi rispetto alla sezione del percorso. Quelli in avanzo ti serviranno nel caso in cui tu abbia sottostimato il calore prodotto, andando ad aggiungerne di volta in volta. La seconda grande domanda che solitamente viene posta è: quanto lungo deve essere questo snake? Come faccio a sapere che non si esaurirà il carbone prima della

fine della cottura? La risposta è presto detta: crea il tuo serpentone riempiendo i ¾ della circonferenza della griglia braciere e separa la testa accesa dalla coda con l’ausilio di un mattone. Indicativamente, ad una temperatura di 110 gradi il tuo kettle se ne starà bello e tranquillo per almeno 8 ore (condizioni atmosferiche escluse). Se la tua cottura dovesse concludersi prima, ti basterà solamente chiudere le bocchette di ventilazione sotto e sopra e, nel giro di 20 - 25 minuti, le tue braci saranno spente. Se invece la tua preparazione richiedesse più ore, ti basterà solamente aggiungere bricchetti spenti al posto di quelli esauriti, allungando così il tuo snake. Per assurdo, in questo modo la tua cottura potrebbe continuare all’infinito. All’interno della Premium Community potrai trovare inoltre molte altre testimonianze e stratagemmi attuati non solo da Coach esperti ma anche da altri tuoi colleghi di griglia.

MARCO GEROMETTA chiede: il fondo Bruno: si può utilizzare i sughi delle cotture Barbecue? Consigli e controindicazioni risponde ALESSANDRO COLUSSO Il fondo bruno, chiamato nella cucina francese ““Fond de veau”, fa parte di una pratica intelligente che prevede l’uso degli scarti, ossia di quello che la cucina frenetica di oggi tende più semplicemente a buttare via. Il fondo bruno non è altro che un fondo di cottura, una preparazione composta da: - elementi aromatici come carote, aglio, sedano, alloro, rosmarino ecc.. - elementi nutritivi come ossa e carcasse. Di fatto, è una salsa densa e ricca di sapore, caratterizzata da una tostatura in forno (detta anche imbrunitura) delle ossa, successivamente trasferite in pentola, sfumate con vino e fatte bollire in abbondante acqua o brodo, fino al raggiungimento di una riduzione. Di solito, sono da preferire ossa di animali giovani, perché più ricche di collagene. Cosa ha in comune il fondo bruno con i succhi di cottura barbecue? Sono entrambi fondi di cottura ma differiscono nella tecnica di preparazione (manca la tostatura) e negli ingredienti di partenza (si utilizza carne e non ossa, di conseguenza in generale i succhi risultano più grassi). Ne consegue quindi che è assolutamente possibile utilizzare i succhi di cottura delle preparazioni barbecue (proprio come facciamo anche nei corsi BBQ4All) ma non si otterrà un vero fondo bruno inteso in senso classico, quanto piuttosto un’altra salsa, certamente non meno buona. Questa tecnica di recupero dei succhi di preparazioni barbecue prevede che, una volta sgrassato il succo di cottura, si aggiungano a quest’ultimo brodo e altri elementi aromatici; successivamente si crea una riduzione che andremo a usare per arricchire di sapore l’alimento da cui ha avuto origine. Questa salsa in un certo senso potrebbe essere definita un “fondo bruno veloce”. ALMANACCO 2019

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ALEX ALBERTI chiede: L&S: gestione dell’umidità in camera e dello stallo. Il foil è una soluzione o un trick for dummies che impedisce risultati top? risponde FILIPPO VASSANELLI Quando ci si approccia ad una cottura Low&Slow, sono molte le variabili da affrontare che possono far pendere l’ago della bilancia dalla parte di un glorioso successo o dalla parte di un clamoroso insuccesso. Svariate sono infatti le criticità che si affrontano quando andiamo a mettere un pezzo di carne nella nostra griglia con coperchio: dalla gestione della tempe­ ratura alla densità dell’affumicatura, dalla percentuale di umidità presente in camera di cottura al classico dubbio “ma foil sì o foil no?”. Le difficoltà si incontrano spesso quando ci approcciamo al L&S per le prime volte, quando magari stiamo più attenti ai dettagli e perdiamo di vista il risultato finale. Ma cos’è il risultato finale? Cosa vogliamo ottenere da una cottura a bassa temperatura di un ammasso di proteine in un dispo­sitivo chiuso? Vogliamo ottenere un pezzo di carne che sia morbido e succoso allo stesso tempo, con una (più o meno marcata) nota affumicata che avvolga il palato, e un crosticina croccante e saporita che sfidi a duello le nostre papille gustative. Focalizzato il nostro obiettivo, come ho detto prima intervengono diversi fattori, che ai pitmaster più in erba possono sembrare disgiunti e indi­ pendenti, ma che in realtà appartengono allo stesso piano dimensio­nale. In queste righe analizzeremo la triade umidità, stallo e foil. Come sappiamo, una delle caratteristiche imprescindibili di una cottura L&S è la presenza di fumo aromatico che va a dare quel sentore caratteri­ stico all’alimento presente in griglia. Il fumo per sua natura è composto da una parte corpuscolata (o corpuscolare) e da una parte gassosa. La prima, ovviamente, è quella che interessa a noi in quanto formata da tutte le sostanze che danno l’aroma (e non solo) durante la cottura. Durante il L&S, il coperchio chiuso ci permette di saturare la camera di cottura con queste molecole, in modo da accelerare una reazione chimica fra queste ultime e l’alimento presente in griglia. Reazione che produrrà il 66 - BBQ4All MAGAZINE

caratteristico sapore di affumicato. Uno dei fattori che favoriscono que­ sta reazione è la presenza di umidità all’interno del nostro dispositivo, ottenuta solitamente posizionando un contenitore riempito con dell’acqua (water pan), possibilmente calda per velocizzare il processo di evapora­ zione. Il vapore acqueo in sospensione ottenuto grazie al calore fornito dalle braci favorisce il trasporto delle molecole aromatiche, velocizzando l’assorbimento delle stesse dal nostro alimento in cottura. Una camera ricca di umidità, tuttavia, sfavorisce la formazione della crosticina croccante e profumata, must immancabile di una cottura alla griglia, che prende il nome di bark. É risaputo infatti che le reazioni che creano questa crosticina (che prendono in maniera semplificata il nome unico di reazione di Maillard) sono favorite da un ambiente secco: l’umidità rallenta o addirittura inibisce il processo. L’utilizzo di un water pan poi ha il pregio di stabilizzare la temperatura intorno ai 100/110°, ma ha anche il difetto di stabilizzare la temperatura intorno ai 100/110°. No, la frase pre­ cedentemente scritta non è un refuso se seguite un semplice ragionamento che coinvolgerà anche il secondo protagonista della triade, lo stallo. Nel L&S per definizione vogliamo ovviamente fissare la temperatura del dispositivo in un range che si attesta fra i 100°C ed i 120°C. Un contenitore pieno d’acqua che eva­ pora all’interno del dispositivo stesso mi stabilizza la temperatura, il che è sicuramente un vantaggio. Ma se per caso avessi bisogno di un aumento della temperatura, magari per superare la fantomatica e temuta fase di stallo? Ma cos’è questo stallo? Spieghiamolo con un semplice esempio. Supponiamo di monitorare la temperatura di una data quantità di ghiaccio messo in una pentola e fatto scaldare lentamente fino all’ebollizione e successiva evaporazione. Il grafico che si verrà a creare avrà un punto di partenza (semplificando 0 stato solido dell’acqua) e un punto finale (semplificando 100 stato gassoso dell’acqua). La linea che congiungerà lo stato iniziale e lo stato finale non sarà retta, bensì avrà un appiattimento intorno ad alcune temperature ben precise. Queste temperature

coincidono con quelle del cambiamento di stato dell’acqua: da solido a liquido e da liquido e gassoso. Il calore assorbito è usato non più per innalzare la temperatura, ma è sfruttato per favorire il cambiamento di stato della sostanza stessa e prende il nome di calore latente. E questo stallo quindi? Semplice: provate a sostituire un pezzo di carne col ghiaccio dell’esempio pre­ cedente. Nel cuocerlo, l’acqua, i grassi, le proteine e tutto il resto assorbiranno calore e innalzeranno la temperatura alla ciccia, ma ad un certo punto questo stesso calore verrà usato per un cambiamento di stato dei componenti stessi: dei grassi per sciogliersi, delle proteine per denaturarsi e così via. Lo stallo quindi non è altro che quel momento in cui il nostro pezzo di carne ha bisogno del calore fornito non più per innalzare la sua temperatura interna bensì per attuare tutti i processi fisico/chimici per completare la sua trasformazione da crudo a cotto. A livello pratico, il termometro a sonda inserito nel cuore dell’alimento non monitorerà più un aumento costante della temperatura ma resterà in qualche modo bloccato ad una data temperatura, che può variare dai 56° ai 70°. Quanto può durare lo stallo? Da poche decine di minuti a diverse ore, dipende anche dalla materia prima e dal suo spessore. Si capisce bene che non sempre, sopratutto a livello casalingo, si ha il tempo di aspettare un pomeriggio intero o più per superare questa fase. Quindi come riusciamo a fare riprendere l’aumento di temperatura interna di un brisket o di un pulled pork? Beh, semplice: basta innalzare la temperatura. Aspetta un momento però: ho il water pan, una camera satura di umidità per una perfetta affumicatura ed una temperatura magicamente stabilizzata per un L&S di 110°; è un peccato rovinare una così perfetta situazione. Come posso ovviare alla cosa? Detto e fatto, si parlava di triade. Manca il terzo protagonista, compagno di umidità e stallo, aiuto e tecnica imprescindibile per un grillmaster: il foil. Il foil è un accorgimento che consiste nell’avvolgere l’alimento in variabili strati di foglio di alluminio con del liquido, in modo da creare


un ambiente ermetico e chiuso ricchissimo di umidità. Una camera di cottura nella camera di cottura del dispositivo, come una matrioska. Ok, ma perché mi fa superare lo stallo? Anche qui, semplifichiamo utilizzando un esempio di un mondo che mi è caro: quello del running. Supponiamo di andare a fare 10 km di corsa, prima in un altopiano molto secco e poi in una bella località dei Caraibi. A parità di condizioni (scarpe, vestiario, temperatura, percorso) dove vi sentireste più accaldati e perché? Indubbiamente nella loca­ lità dei Caraibi, che non permette tramite la sudorazione del corpo una fluida dispersione del calore dello stesso. Il clima umido ed il suo vapore acqueo infatti inibiscono que­ sto processo permeando la superficie della nostra pelle. Bene immaginate ora il foil come i Caraibi e la ca­ mera di cottura del dispositivo come l’altipiano molto secco. L’umidità estre­ mamente maggiore presente nel foil inibisce la dispersione di calore del pezzo di carne, favorendone di fatto l’aumento di temperatura e di conseguenza il superamento della fase di stallo. D’altro canto l’elevata umidità presente potrebbe compro-

mettere la formazione del bark attraverso la reazione di Maillard che come detto prima è favorita da un ambiente secco. Sul tavolo quindi ora abbiamo un risultato di cottura da ottenere e 3 fattori di cui conosciamo i principi di lavoro e che aiutano o meno il raggiungimento di questo risultato: 1. l’umidità favorisce l’affumicatura ma inibisce la formazione del bark 2. lo stallo è uno step che difficilmente supereremo in tempi brevi sopratutto con pezzi di carne con un dato spessore 3. la tecnica del foil ci permette di superare lo stallo ma compromette la formazione del bark Con le carte che abbiamo ora in mano non ci resta che fare il nostro gioco, secondo i nostri bisogni e se­ condo la preparazione che andiamo ad affrontare. Difficile non andare in foil per la preparazione di un boston butt o di un brisket data la stazza dei pezzi che stiamo cuocendo ed a causa dello stallo che con ogni probabilità sopraggiungerà. Al contrario delle slab di ribs, data la loro sezione non im-

portante, potrebbero tranquillamente superare lo stallo facendoci evitare la fase di foil. Ricordiamoci inoltre che una caratteristica imprescindibile della no­ stra preparazione è il bark: evitiamo di andare in foil se esso non è ben formato e magari evitiamo il water pan nel caso avessimo un dispositivo grande come uno smoker molto carico di ciccia (l’umidità che si genererà dovuta alla materia prima presente sarà sufficiente per favorire l’affumicatura). Gioco forza, un ruolo dominante è dato dall’esperienza: personalmente evito il foil con le già sopracitate costine ma lo uso per tutte le altre preparazioni L&S, non considerandola una tecnica for dummies bensì un aiuto innegabile una volta appresi i principi che si celano dietro. PS. Non mi sono dimenticato di rivelarti il metodo per riconoscere lo stallo, che risponde a questa semplice regola tramandata da grillmaster a grillmaster: se hai il dubbio di star affrontando una fase di stallo, allora sei proprio in una fase di stallo.

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GIANLUCA CASTRO chiede: X una Maillard da sballo, è possibile avere una lista di zuccheri riducenti? E questi possono essere aggiunti oltre che in superficie nelle marinature e produrre cmq gli effetti desiderati? risponde VIRGILIO BRUNETTI Per risponderti, permettimi di fare un discorso più ampio. Una bistecca bollita e una bruciata sono i risultati estremi di una cottura andata male; sono assolutamente sicuro che chiunque si sia sporcato le mani davanti ad un grill abbia ottenuto almeno una volta un fallimento del genere. Nella foga di una grigliata con tanti amici affamati ho visto cose che voi umani non potreste neanche immaginare: sette chilogrammi di salsicce, bombette e ali di pollo su una griglia di 20 centimetri poggiata su una brace ancora poco accesa, oppure 15 chilogrammi di carbone accesi a temperatura di fusione del tungsteno per 3 fettine sottili di coppa e 2 costate di vitellone (mi raccomando magre). Risultato? Una catastrofe gastronomica! Chiunque, nella ricerca di un risultato, incappa inevitabilmente in piccoli fallimenti che però devono portare

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a porci la giusta, doverosa domanda. Lo stesso dottor Maillard più di un secolo fa si angustiava vedendo i suoi esperimenti andare male. Il dottore era alla ricerca di uno dei più importati capisaldi della biochimica ossia la sintesi proteica, nel suo laboratorio giocava con le proteine, si accorgeva spesso che, invece di ottenere una sintesi pulita, nelle sue provette si andavano a formare strane melme brune dal caratteristico aroma. In realtà ciò che per Maillard costituiva una reazione chimica andata a male, non era altro che la reazione tra aminoacidi e zuccheri che costituivano una variabile non prevista dei suoi esperimenti. Nella storia della scienza le scoperte più rivoluzionarie nascono dall’attenta analisi di un errore. “Tutto inizia con una scelta, ma è la domanda che ti ha spinto fino a qui” (cit.): cos’è la Reazione di Maillard? La reazione di Maillard è l’essenza stessa della cottura, la senti quando cuoci il pane, nel caffè appena tostato, nell’aroma dei biscotti, nella carne ben arrostita, in un fondo bruno. Ti voglio dire anche un’altra verità: non è corretto parlare di reazione ma di reazioni, infatti la complessità

di questo processo chimico ha una variabilità così elevata che ancora oggi i chimici lavorano per classificare tutti i possibili prodotti a partire da una schiera relativamente bassa di molecole, ossia amminoacidi (circa venti), cioè i mattoncini che costituiscono tutte le proteine degli zuccheri. Questi devono manifestare proprietà riducenti (quindi vanno bene i cosiddetti aldosi come il glucosio, il mannosio, lo xilosio, il galattosio), mentre i chetosi non contenendo un gruppo funzionale con proprietà riducenti (come ad esempio il fruttosio) e, risultando meno attivi, danno luogo ad un mecca­ nismo e a prodotti di rea­zione ancora differenti. La reazione di Maillard richiede energia per essere attivata e alcune semplici ma necessarie condizioni. Nei nostri corsi insegniamo a ricreare queste condizioni in poche e semplici mosse. Tutto ciò stupisce la maggior parte dei no­ stri corsisti, che in una mattinata si ritrovano in mano le tecniche base per poter gestire la cottura al fuoco perfetta. Le condizioni e le tecniche che bisogna considerare e conoscere per una cottura corretta sono: tempera-


tura, umidità, materiali dei supporti di cottura, tipologia e qualità degli alimenti, pH e seasoning La temperatura gioca un ruolo cruciale nella cotture al fuoco. Molte reazioni chimiche stentano ad avvenire se non c’è una spinta energetica; il range ideale perché la reazione di Maillard avvenga con efficenza è 140-180 gradi Celsius. Sembra una banalità sottolinearlo ma la reazione di Maillard avviene esclusivamente sulla superficie dell’alimento: avrete sicuramente notato che le reazioni di imbrunimento avvengono esclusivamente all’esterno del cibo, salvo che non sia ridotto in singoli piccolissimi pezzi come accade nel trito di carne per un ragù o una brunoise per un soffritto; per cui il modo più efficiente per trasferire il calore è per contatto con una superficie calda oltre che per irraggiamento e convezione. In definitiva se vi trovate una bistecca bollita l’errore potrebbe essere una temperatura di cottura troppo bassa o avete sovraffollato la griglia con troppa ciccia; se invece la superficie dell’alimento è nera e amara con un bell’aroma di fuliggine,

allora la temperatura è veramente troppo alta, chimicamente è avvenuta una reazione extra Maillard detta pirolisi, una delle tante reazioni che si attivano nella cotture degli alimenti. Queste reazioni parallele non sono sempre dannose ma contribuiscono in una certa misura a dare complessità al bouquet di aromi di un cibo grigliato. La pirolisi dello zucchero semolato viene utilizzata in cucina per ottenere il caramello: il risultato è tutt’altro che spiacevole, vero?

asciugare e poi asciugare. Dopo aver asciugato, devi asciugare e poi ungere con un grasso. Noi mediterranei amiamo l’olio extravergine di oliva, ma ti dico la verità: non è la scelta migliore, dobbiamo usare un grasso più stabile alle alte temperature e che dia il minore impatto aromatico possibile. Meglio un olio d’oliva semplice di buona qualità o l’olio di arachidi. L’olio ha il compito di trasferire calore più efficientemente, dal metallo della griglia all’alimento.

L’umidità è il nemico numero uno della reazione di Maillard. Quando gli alimenti sono umidi, a contatto delle superfici calde del dispositivo di cottura fanno precipitare le temperature delle superfici stesse: è come se buttassimo dell’acqua sulla brace, generando un vapore acqueo che stabilizza la temperatura del no­ stro alimento a 100 gradi (temperatura dell’acqua a ebollizione) e non ci sarebbe modo di schiodarla da lì finché tutta l’acqua non è evaporata. Il risultato sarebbe una splendida cottura a vapore. Se vuoi una crosticina perfetta sulla tua carne la devi asciugare, asciugare, asciugare,

I materiali sui quali eseguiamo le cotture al fuoco sono piuttosto importanti, ovviamente parliamo di metalli o meglio delle leghe con cui sono forgiate le griglie. Acciaio, acciaio smaltato e ghisa sono quelli che prenderemo in considerazione. Questi materiali devono accumulare una quantità di calore molto alta e rilasciarla efficientemente nel tempo. Le performance migliori le otteniamo con le griglie in ghisa, un materiale che accumula tantissimo calore e lo rilascia gradualmente e lungamente nel tempo. Consideriamo esclusivamente le griglie perché l’uso di pia­ stre e padelle sminuisce secondo ALMANACCO 2019

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me i risultati di una cottura al fuoco. Una griglia infatti permette la percolazione degli umori degli alimenti sulle superfici roventi sottostanti la griglia (carboni, pietra lavica, barre aromatizzanti in metallo o ceramica) che vaporizzano istantaneamente gene­ rando la complessità aromatica tipica delle cotture a fuoco diretto. Questo processo si chiama affumicatura natu­ rale e dona autenticità alla grigliata. Inoltre, ti sarà capitato di sentire che una griglia usata rende meglio di una nuova di pacca; questo perché la reazione di Maillard è autocatalitica ossia è facilitata se le superfici di cottura presentano tracce di prodotti di reazione di cotture precedenti (ma questo non ti autorizza a non pulire la griglia, piuttosto deve suggerirti che in alcuni casi condizionare la cottura degli alimenti con una brevissima cottura diretta può avere effetti più che inte­ 70 - BBQ4All MAGAZINE

ressanti, anche in cotture lunghe che richiedono temperature basse come il L&S e le cotture in sous vide). La tipologia e la qualità degli alimenti sono un altro check point. Tutti i substrati biologici commestibili, sia animali che vegetali, sono costituiti da cellule che sono essenzialmente fatte di acqua e macromolecole: ossia zuccheri, proteine, grassi, acidi nucleici. Tutte queste molecole possono partecipare a vario titolo alle reazioni di Maillard. Dal punto strettamente chimico abbiamo bisogno essenzialmente di amminoacidi e zuccheri riducenti ed una buona quantità di energia sotto forma di calore. Nota: una reazione chimica è una interazione tra molecole che vogliono combinarsi una con l’altra per dare origine ad una molecola del tutto nuova che viene chiamata prodotto

di reazione. Immaginiamo che le molecole coinvolte in una reazione chimica siano le tessere di un Domino: queste si combineranno solo se saranno libere le combinazioni tra i numeri rappresentati sui lati delle varie tessere. In questa partita a Domino, le tessere che rappresentano gli amminoacidi sono di circa 20 tipi diversi e possono combinarsi con un numero relativamente basso di zuccheri riducenti. Finché le tessere rappresentate dagli zuccheri sono singole, ossia zuccheri semplici detti mono­meri, come fruttosio, galattosio e glucosio, la combinazione è relativamente facile, basta dargli il giusto calore. Il problema è che la maggior parte degli zuccheri possono essere variamente complessi ossia costituiti dall’assembramento di più tessere dove la facce che si appaiano a quelle delle tessere degli amminoacidi sono coperte. Il sacca-


rosio, il comune zucchero bianco, è un dimero di glucosio e fruttosio che non reagisce con gli amminoacidi, perché il gruppo riducente è impe­ gnato nel legame tra i due monomeri. Affinché il saccarosio possa diventare uno zucchero utile alla reazione di Maillard lo dobbiamo modificare facendolo diventare uno zucchero invertito, bisogna semplicemente solubilizzarlo in acqua e aggiungere qualcosa di acido ottenendo un comune sciroppo. Così possiamo truccare la partita. Allo stesso modo, zuccheri più complessi come gli amidi e l’inulina presenti in vari prodotti vegetali come aglio, cipolla, patate, topinambur possono dare ottimi risultati semplicemente trattandoli con una soluzione acidulata attuando una comune idrolisi acida. Possiamo in definitiva sfruttare una vasta schiera di alimenti che contengono zuccheri riducenti, quali sciroppi di saccarosio (Golden Syrup), succhi di frutta e i loro derivati fermentati; vini e aceti, malto di cereali e suoi derivati fermentati; le birre, il latte e i suoi derivati, il miele, il succo d’acero, il succo d’agave. Devi però sapere che nella carne di manzo, soprattutto se di elevata qualità e con una adeguata maturazione, troviamo zuccheri riducenti sufficienti perché possano avvenire le reazioni di Maillard: infatti dalla naturale degradazione delle cellule del muscolo bovino si liberano sufficiente ribosio (lo zucchero riducente presente negli acidi nucleici) e amminoacidi liberi perché la reazione possa avvenire senza particolari aggiunte; se la carne è finemente marezzata, avremo anche sufficiente grasso per poter fare una cottura perfetta senza nessun artifizio. Certo, a volte trovare una carne di tale qualità è quasi come trovare la pietra filosofale . Seasoning e pH: fatta eccezione per le carni bovine di qualità supersonica che trovate nel nostro Megastore, non

tutte le carni hanno zuccheri sufficienti perché la reazione di Maillard possa avvenire in maniera decente, spesso carni più povere come il pollo, tendono a carbonizzare nelle stesse condizioni di cottura piuttosto che formare quella magnifica cro­ sticina aromatica, punto di arrivo e orgoglio di ogni griller rispettabile. Le molecole brune aromatiche e saporite che vogliamo sulla superficie delle nostre preparazioni hanno bisogno di un aiutino. Ti ho già detto che ogni cibo che deve arrivare alla griglia deve essere asciutto e unto, ma se non bastasse dobbiamo prima prenderci cura di lui dandogli quel plus di zuccheri riducenti che ottimizzeranno la cottura. Il seasoning è una serie di tecniche che permette di rendere migliore quasi ogni tipologia di alimento destinato alla cottura a fuoco e non. Marinate, salamoie, salse e rub saranno i nostri alleati, semplicemente perché saranno in grado di aggiungere ciò che manca alla carne in termini di zuccheri e amminoacidi. Quando lavoriamo la carne con una marinata, la base acida e zuccherina che andiamo ad utilizzare agisce superficialmente, ma ci vorrà un tempo adeguato perché si arricchisca di tutte quelle sostanze che andranno a valorizzare la cottura. Negli articoli del Prof. Bressanini c’è una nota importante riguardante il pH. Il pH è una condizione che influisce in maniera significativa sulla reazione di Maillard, infatti, sebbene tutte le tecniche di seaso­ning utilizzino componenti acide, un pH basso tende a rallentare la rea­ zione rispetto ad una condizione di pH neutro o basico. Da una parte l’acidità rende disponibili maggiori quote di zuccheri riducenti, dall’altra la reazione tende ad essere inibita. Tuttavia l’uomo ha evoluto il suo palato a percepire come gradevoli e sicure sostanze lievemente acide e dolci (frutti maturi ad esempio) piuttosto che basiche o amare, che vengono invece percepite dai nostri recettori gustativi come disgustose e

pericolose. Di conseguenza, solo in alcune condizioni molto specifiche è possibile lavorare alzando il pH: ad esempio possiamo vederne direttamente l’efficacia su alcune tecniche di panificazione, come la cottura del pane tipo pretzel, che viene precotto in una soluzione di soda caustica che dona lo splendido colore bruno a questi lievitati, dovuto appunto ad una reazione di Maillard particolarmente intensa. Questi pochi punti di riflessione saranno la tua chiave d’accesso ad una cottura al fuoco più consapevole. Seguendo i nostri corsi si viene ca­ tapultati direttamente in un mondo nuovo dove bistecchine lesse, pollo bruciato e verdurine carbonizzate saranno solo un lontano ricordo. Un’ultima cosa: le aggiunte degli zuccheri sull’alimento non amplificano la connotazione dolce quando viene cotto, perché gli zuccheri vengono letteralmente consumati e trasformati in centinaia di molecole dal caratteristico colore bruno e dalle spiccate proprietà aromatiche, che possono avere un sentore tostato, nocciolato, arrostito, e che offrono un’entusiasmate varietà di combinazioni. Si può utilizzare una serie di sostanze come i moderatori di pH (bicarbonato, citrato e ascorbato), latte in polvere (che fornisce sia proteine della caseina e lattosio), proteine delle uova (famoso trucco della maionese), proteine idrolizzate da soia, frumento e uova. Queste sostanze possono essere un valido aiuto in marinate, salse di glassatura e rub ma non prescindono mai da una tecnica di cottura adeguata e dalla qualità degli alimenti che deve essere sempre elevata. Fonti Le Scienze Blog“ La scienza in cucina di Dario Bressanini http://bressanini‐ lescienze. blogautore.espresso.repubblica.it/ http://www.chimicare.org

“Vuoi entrare a far parte della Community di appassionati di barbecue e grilling più grande d’Italia? Iscriviti a

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SPUNTINO LETTERARIO - RUBRICA a cura di PAOLO TUCCI

SPUNTINO

LET TERARIO

Il lavoro del gastronomo è senza ombra di dubbio il più difficile che ci sia. Egli infatti non è solo un vizioso amante di ristoranti stellati, trionfatore delle sagre di paese, eterno giornalista in incognito odiato da chef e maître D’, giudicante spina nel fianco di ogni amico che voglia condividere con lui “la ricetta del pollo (stracotto, NdR) di mia madre, provala non te ne pentirai!”. Il gastronomo è una persona normale alla quale è però richiesto in modo continuativo uno sforzo non banale: dimostrare di possedere un’opinione bilanciata e fine conoscenza di qualsiasi cosa l’umanità abbia ritenuto o riterrà opportuno definire cibo. Per poter sostenere questa gravosa ed eccitante responsabilità, il gastronomo saggio, fra un’indomita impresa culinaria e l’altra, di tanto in tanto e senza esagerare, ritempra le forze e affila il proprio senso critico con lo

ANTIPASTO

strumento più utile che ci sia dopo il Maalox: la lettura. Pensando di farvi cosa gradita dopo i bagordi delle feste ho pensato di imbandire per voi un gustoso spuntino letterario ad impatto calorico zero, assemblato attingendo a biblioteche gastronomiche italiane ed estere. Un antipasto della tradizione, un corposo primo piatto e un dessert con poco zucchero e molta creatività: sono questi gli spunti(ni)concreti che ho scelto per intraprendere insieme una prima spedizione nel vastissimo universo delle scienze gastronomiche. La cultura dopotutto è il vero potere, il principale ingrediente che ogni weekend ci rende supereroi capaci di trasformare un freddo ammasso di atomi in una succosa bistecca, per la gioia nostra e dei nostri commensali. Buona lettura e buon appetito!

LA SCIENZA IN CUCINA E L’ARTE DI MANGIARE BENE di PELLEGRINO ARTUSI

“ per riuscire […] basta la passione, molta attenzione e l’avvezzarsi precisi : poi scegliete sempre per materia prima roba della più fine, chè questa vi farà figurare”. P. Artusi

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Autore del primo ricettario italiano capace di raggiungere le centinaia di migliaia di copie vendute, Pellegrino Artusi, nato a Forlimpopoli nel 1820, cresce nella Romagna verace e papalina della prima metà dell’800. Figlio di un droghiere benestante, unico maschio di sette figli, grazie ai frequenti viaggi di lavoro prima al seguito del padre e poi da solo, fu esposto sin da giovane alla realtà gastronomica del nascente Regno d’Italia. Proprietario di una fiorente attività di commercio tessile da lui avviata, dedicò la sua vita di scapolo impenitente alla scoperta delle delizie gastronomiche (e non) del Bel Paese, che ebbe cura di registrare e successivamente pubblicare nel volume La Scienza in Cucina, nel 1891. Le sue non sono ricette dalla struttura scontata, riportanti pesi, grammature e (orrore) tempi di cottura, ma veri e propri racconti di viaggio che fotografano gusti, tecniche, ingredienti e profumi di un’Italia ancora artigiana in cucina, traboccante di pietanze gustose e abbinamenti indovinati, dove l’arte di arrangiarsi viene

mescolata alla creatività e ai prodotti del luogo. Il Cacimperio, gustosa fonduta di fontina mescolata a burro fuso e uovo; le Cotolette di vitella di latte alla Milanese con battuto di prosciutto, prezzemolo, parmigiano e l’odor dei tartufi; la Lingua dolceforte, il Bue garofanato, il Risotto alla Cacciatora con lardo, prezzemolo e aglio; pietanze che fanno salivare e udire sfrigolii di immaginari arrosti cotti sui carboni ardenti nel camino di un’osteria ferrarese. Gli aneddoti si mescolano a consi­ gli, norme igieniche, poesie e motti latini, indicazioni dietetiche, nozioni base di matematica per il calcolo di pesi e volumi; un fiume in piena che detta scienza, intesa come economia domestica, proveniente dalla vulcanica esperienza dell’Artusi e dal suo amore per la cucina. Un patrimonio gastronomico di un’altra epo­ ca che sarebbe prezioso riscoprire, studiare e riadattare alle tecniche e strumenti di cottura disponibili oggi. Che sia giunta finalmente l’ora di scrivere la “Scienza in Cucina : BBQ edition”?


Ricetta n° 43

R I S O A L L A C A C C I AT O R A O D E L L ’ O S T E S S A tratta da “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi

«Un negoziante di cavalli ed io, giovanotto allora, ci avviammo al lungo viaggio, per que’ tempi, di una fiera a Rovigo. Alla sera del secondo giorno, un sabato, dopo molte ore di una lunga corsa con un cavallo, il quale sotto le abilissime mani del mio compagno, divorava la via, giungemmo stanchi ed affamati alla Polesella. Com’è naturale, le prime cure furono rivolte al valoroso nostro animale; poi entrati nello stanzone terreno che in molte di simili locande serve da cucina e da sala da pranzo: - Che c’è da mangiare? - domandò il mio amico all’ostessa. - Non ci ho nulla, - rispose; poi pensandoci un poco soggiunse: - Ho tirato il collo a diversi polli per domani e potrei fare i risi. - Fate i risi e fateli subito - si rispose - che l’appetito non manca. - L’ostessa si mise all’opera ed io lì fermo ed attento a vedere come faceva a improvvisar questi risi. Spezzettò un pollo escludendone la testa e le zampe, poi lo mise in padella quando un soffritto di lardone, aglio e prezzemolo aveva preso colore. Vi aggiunse di poi un pezzo di burro, lo condí con sale e pepe, e allorché il pollo fu rosolato, lo versò in una pentola d’acqua a bollore, poi vi gettò il riso, e prima di levarlo dal fuoco gli diede sapore con un buon pugno di parmigiano. Bisognava vedere che immenso piatto di riso c’imbandí dinanzi; ma ne trovammo il fondo, poiché esso doveva servire da minestra, da principii e da companatico. Ora, per ricamo ai risi dell’ostessa di Polesella, è bene il dire che invece del lardone, se non è squisito e di quello roseo, può servire la carnesecca tritata fine, che il sugo di pomodoro, o la conserva, non ci sta male e perché il riso leghi bene col pollo, non deve essere troppo cotto, né brodoso. »

LA CICCIA

IL CIBO E LA CUCINA. SCIENZA E CULTURA DEGLI ALIMENTI di HAROLD MCGEE

FRANCO MUZZIO EDITORE, 2002 - 788 PAGINE Se per anni nel preparare un piatto, osservando la panna che monta o vedendo una bistecca mutare colore in frigo o in cottura vi siete chiesti quali siano le misteriose reazioni chimico-fisiche che governano que­ sti fenomeni, ecco che La Scienza e cultura degli alimenti del Prof. Harold McGee è il libro che fa per voi! Fra i primi testi ad indagare in maniera completa il rapporto fra scienza e cucina, questa bibbia di 788 pagine è da considerarsi fra i testi divulgativi fondamentali e di più facile accesso per approcciarsi alla chimica e alla fisica in cucina. Storia degli alimenti, tecniche di produzione, aneddoti, esperimenti ed analisi chimiche sono solo alcuni dei punti di vista che Harold McGee utilizza per indagare il mondo dei cibi e delle bevande. Diviso in capitoli che trattano i diversi settori merceologici come carne, pesce, uova, cereali senza escludere le bevande come vino e distillati, il libro ci rivela fra le altre cose quali

leggi della natura governino la produzione dei formaggi, come manipolare le carni per ottenere sapori, profumi e consistenze desiderate, i segreti per creare salse perfette e con una prosa garbata rende sempli­ ci metodi di cottura innovativi, fermentazioni ed approfondimenti sulla chimica dei cibi. Tale è la vastità dell’opera che qualsiasi sia il vostro interesse in campo gastronomico, nella Scienza e cultura degli alimenti troverete una guida sicura per iniziare ad orientarvi nel complesso e incredibilmente affascinante mondo della scienza in cucina. Libro da sfogliare con calma e da tenere a portata di mano nel weekend per sessioni hardcore di ricerca e sviluppo o in caso di dibattiti accesi fra grillers. Estremamente utile come oggetto da lancio nel caso il coinquilino gallese che abita con voi svuoti accidentalmente la vostra collezione di spezie rare da rub nel lavandino perché ha finito i barattoli da passata (true story). ALMANACCO 2019

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LA GRAMMATICA DEI SAPORI E DELLE LORO INFINITE COMBINAZIONI

IL DESSERT

di NIKI SEGNIT

GRIBAUDO EDITORE, 2011 – 400 PAGINE Niki Segnit, britannica esperta di marketing e cuoca provetta, resasi conto di seguire in maniera quasi maniacale ricette che sembrano standardizzare tutto e togliere fantasia all’atto creativo del cucinare, si pone come obiettivo quello di indagare la sfera del gusto a 360°. L’autrice vuole capire come i diversi sapori lavorino insieme rimanendo libera di improvvisare ed inventare accostamenti in qualsiasi situazione e con qualsiasi prodotto, creando un proprio modo di esprimersi in cucina, un linguaggio unico, personale e flessibile. Non potendo indagare tutti gli alimenti esistenti, la Segnit sceglie arbitrariamente 99 sapori e li riunisce in gruppi quali le carni (maiale, manzo, fegato), il pesce, le spezie (noce moscata, cannella), facendoli dialogare per semplicità in coppia, regalandoci una lista composta da più di 1000 abbinamenti, alcuni vicini ai gusti del lettore italiano, altri più legati a dinamiche della cucina internazionale. Se il matrimonio fra carne di manzo e chilli piccante, tipico della cucina Tex-Mex del sud degli Stati Uniti, è ormai entrato a far parte delle nostre consuetudini alimentari, l’esplosione di gusto che si ricava accostando la ciccia di qualità e il cocco stupirà il

più nazionalista fra i nostri lettori. La Segnit non si limita solo a fornirci un’idea astratta ma la elabora attraverso i suoi viaggi e le sue esperienze a tavola, fornendo suggerimenti corredati da ampie digressioni. L’abbinamento manzo-cocco ci narra quindi di un beef rendang indonesiano, manzo stufato nel latte di cocco arricchito fra le altre cose di scalogno, aglio, zenzero o galanga, chilli e citronella. Preparatevi ad avere la casa invasa da profumi celestiali che vi faranno volare in una foresta tropicale del sud-est Asiatico, mentre lentamente tutto il liquido contenuto nella pentola evapora estraendo sapore e creando una riduzione dove la carne viene lasciata friggere negli olii essenziali del cocco; un big bang dei sensi che è solo uno dei tantissimi spunti che troverete in questo prezioso volume. La Grammatica dei sapori è un libro perfetto sia per il novizio che inizia a cucinare, sia per l’esperto che vuole rinfrescare le proprie abitudini alimentari con una lettura leggera, che non ci impone ma ci suggerisce come usare il nostro gusto e la nostra testa per dipingere nuovi orizzonti culinari. Quando sperimenterete, non dimenticate di invitarmi a cena!

IL MANZO l sapore del manzo è soprattutto salato e umami, con vaghe note dolci o agre (e amarognole se la carne è al sangue). Il suo sapore è lineare, ricorda il lievito e… la carne, con una leggera nota metallica alla fine e poco del carattere selvatico che si riscontra in agnello e maiale. Il sapore dipende dalla varietà, da come l’animale è stato allevato, dal taglio e dal metodo di cottura. Il manzo allevato al pascolo ha sapore più intenso di quello alimentato con cereali. In genere la carne bovina trae beneficio dalla frollatura, in quanto il sapore si fa più profondo e ricorda la selvaggina. È ottimo con verdure e frutti di mare, come le altre carni, ma ha un’affinità particolare con i sapori pungenti o piccanti, per esempio rafano e senape. Manzo & Aglio: l’aglio esalta il carattere virile del manzo. Servite una costata di manzo con purè di patate all’aglio o preparate una salsa per fettine sottili di manzo teriyaki sbollentando una manciata di spicchi d’aglio sbucciati 74 - BBQ4All MAGAZINE

in brodo di manzo e quindi frullandoli. Oppure praticate qualche taglio in un pezzo di carne per arrosto e infilatevi delle lamelle fini di aglio. Manzo & Bacon: persino il manzo può trarre beneficio dal sapore intenso del bacon. La carne conservata, come appunto il bacon, enfatizza il sapore del manzo e aggiunge un poco di grasso decisamente ben accetto. Del resto i tagli più magri si prestano sempre a venir lardellati, e gli arrosti già pronti sono spesso avvolti in fettine di pancetta. È più o meno lo stesso principio che si ottiene quando condite la pasta con la pancetta, o aggiungete dei lardelli al manzo alla bourguignon . In Germania, il bacon viene arrotolato tra fettine sottili di manzo, con senape e sottaceti: sono i celebri rouladen, o involtini alla tedesca. Da noi, i saltimbocca si preparano distribuendo prosciutto crudo e salvia su fette di carne magra di vitello prima di procedere alla cottura. Vedi Salvia & Prosciutto crudo.


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SEGUO a cura di EMILIANO NENCIONI

SEGUO

- Scusate, voglio fare un brisket ma non ho un brisket, cosa posso chiedere al macellaio? - Fatti dare il biancostato, quello che usano per il brodo! - No, lascia perdere, non potrà mai venire bene, ti serve qualcosa di adeguato. - Cosa? Come puoi dire queste cose? Io sono macellaio, ti garantisco che... - man_eating_popcorn.gif - Io una volta ho cotto per 45 minuti un pezzo di petto di muccaccia e ti assicuro che tutti i miei commensali hanno gradito, in fondo dobbiamo pensare alla convivialità, questi scienziati hanno rotto, siete tutti professorini di me [BAN] - Un momento, un momento, ho io la soluzione. Fatti dare il “cappello del prete”. - Ciao, grazie per la risposta, però scusa, io volevo fare un brisket.

- Ah nessun problema, tu compri il cappello del prete e poi lo fai briskettato.

MOO B !

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Senti chiaramente MOOB quando qualcosa implode fragorosamente: è un’esplosione al contrario . Il primo ad aver detto “cappello del prete briskettato” deve aver scatenato proprio questo: certezze sgretolate, facce pensose, rielaborazioni dei concetti di Verità e Bellezza, pensieri laterali scaturiti in libertà. Da quel momento un pezzo di carne poteva essere, con un discreto successo, promosso a brisket: un sostantivo, che diventa participio passato, che diventa aggettivo ma che soprattutto pare infrangere una rigorosa barriera anatomica nella sottocultura delle preparazioni barbecue. Prima di proseguire, lettore, farò un po’ di chiarezza. Il cappello del prete, chiamato anche con mille altri nomi nella babele regionale delle macellerie lungo lo stivale, si ricava dal “chuck” del manzo, una zona nei dintorni della spalla. Puoi trovarlo molto spesso nel Megastore BBQ4All in tagli come Top Blade e ti vengono fuori delle bistecchine fantastiche. In questo numero ne abbiamo parlato. Il brisket, invece, è un taglio ricavato dal petto del manzo, tipicamente formato da due fasce muscolari sovrapposte (il flat, più magro, e il point, più ricco di grasso). Non si parla di bistecche, è spesso un oggettino di peso superiore ai cinque chili, da cuocere intero e da servire a fette. L’anatomia, dicevo poco fa: spalla contro petto. Non esattamente la stessa cosa. O sapore. O grandezza. Dopo l’iniziale clamore e le varie espansioni mentali dovute a questa piccola rivoluzione del briskettare, i più illuminati hanno iniziato a farsi delle domande e a trovare delle falle. All’inizio pensavamo fosse facile rintuzzare questo strano neologismo: “è brutto”, “per fare un brisket ci vuole un brisket”, furono le disorganizzate proteste: poveri illusi. “E allora il coniglio pancettato?” “E il filetto di maiale lardellato?” furono le prime resistenze. La situazione diventava complicata e il termine risultava orecchiabile e pieno di speranze per il tipico neofita che ancora non voleva arrendersi ad acquistare un brisket per fare un brisket. Servivano argomentazioni più precise, più tecniche. Che vuoi, i neologismi esistono. I prestiti da altre lingue ci sono sempre stati. La derivazione è considerata uno strumento fondamentale per l’arricchimento del lessico. Potrebbe essere un prestito di necessità, visto che nella lingua italiana non c’è un termine adeguato per l’espressione “fare un brisket”. Tutto a posto quindi? Sdoganiamo il termine e briskettiamo pezzi di manzo a caso? No, neanche per idea. Ci sono delle regole da rispettare. In due parole, non torna. É sbagliato su veramente tanti livelli. Prima di tutto, il brisket è un pezzo di carne e non un metodo di cottura. Il brisket è già brisket quando è ancora crudo, quando vi arriva in skin sigillata dentro gli isobox del Megastore. Il termine non regge, perché non è come tonnato che significa fatto col tonno, lardellato che significa arricchito con lardo e neanche come porchettato, che si riferisce

a una preparazione e a un metodo di cottura. Non esiste la porchetta in natura. La preparate voi, con pezzi di carne specifici, e poi la cuocete in un certo modo. Quindi, porchettato ci sta: preparato a mo’ di porchetta. Il brisket invece è un pezzo di carne. Affinché la parola indichi un metodo di cottura è necessario un cambio semantico, che tuttavia non è avvenuto. Per fare un brisket ci vuole un brisket, continuavo a rispondere alla gente, con la flemma imperturbabile di Sergio Endrigo. L’obiezione non aveva mordente. - Sì va bene ma tanto ci siamo capiti - Tutti professori qua dentro? - A me piace, e poi è come la pasta risottata! - Tutti a fare gli scienziati, adesso gli amici si chiamano commensali, non si pensa alla convivialità - Comunque a me queste americanate non vanno giù, io la carne la griglio cinque minuti per lato e quindici sull’osso, e ogni volta posso percepire il mio testosterone che fluisce indisturbato. Insistere con la forza della ragione, parlando di cambio semantico e di parti anatomiche non avrebbe certo smosso di una virgola gli appassionati del tanto ci siamo capiti e quelli del vabè ma a me piace. Era il momento di sguainare il sarcasmo. Dire briskettato è come dire che hai pettopollato un coniglio. Che hai fusillato le fettuccine. Che hai conigliato un pomodoro. Purtroppo, contrastare il briskettato suonava antipatico e elitario, come voler togliere qualcosa che piaceva alle masse. Quindi, come spesso succede, scoraggiare l’uso di qualcosa ha il risultato di farne prosperare l’uso clandestino. Allo stato attuale briskettato viene usato dai neofiti che hanno fatto un po’ di ricerche su google o nei gruppi, o direttamente per sbeffeggiare i suddetti neofiti facendone una grottesca caricatura. Un po’ come i simpaticissimi che fanno delle esclamazioni palesemente caricaturali aggiungendo tanti punti esclamativi alternati al numero uno. Nessuno più farcisce volontariamente i propri (troppi) punti esclamativi con degli 1, è una cosa ormai di uso esclusivo di trollettini e di figure che aspirano ad innalzare la simpatia generale. O di persone con dei pesanti limiti nell’uso produttivo di computer e tastiere in genere. La stessa cosa avviene per il cappello del prete bri­ skettato. Il cappello del prete, fatto in low&slow e con rub sale-pepe-aglio è decisamente buono, specie se la materia prima è di qualità, ma usare lo stesso rub e la stessa tecnica del brisket non promuove nessuna metamorfosi. Per cui, se decidi di usare il termine ricorda che non solo fai la parte del principiante assoluto confuso da un paio di ricerche su internet, ma anche quella del te­ stardo che non vuol accettare una spiegazione e molto probabilmente sarai preso di mira dai trollettini che sfottono. E da me. ALMANACCO 2019

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N°2/ANNO 1 - FEBBRAIO 2019

MAGAZINE

GIANFRANCO LO CASCIO T U T TO Q U EL LO C HE N O N D E VI FAR E P ER CR EA RE U N TEAM B AR B E C U E DALLA MACELLERIA PIÙ BELLA DEL MONDO INTERVISTA AL PATRON DI

VICTOR CHURCHILL

W.E .S. T . 2 0 1 9 R EPORTAG E

BUIO. F REDD O. ESTRE MO.



CREARE UN

EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO

TEAM BARBECUE TUTTO QUELLO CHE DEVI SAPERE E NON FARE Il Barbecue è una passione ormai condivisa da tantissimi. Personalmente ho sempre avuto una fiducia cieca in questo mondo e ci ho creduto anche quando nessuno (o quasi) lo riteneva possibile.

Ci ho creduto fermamente anche quando iniziò ad accendersi in me una fiammella: l’idea di portare le competizioni barbecue KCBS in Italia. Me lo ricordo come se fossi ieri: Il 21 febbraio 2014 noi di BBQ4All arrivammo a Memphis, direttamente a casa di Wayne Lohman, per convincerlo a portare la KCBS a casa nostra. Andammo lì con niente in mano e zero team attivi in Italia. Non zero virgola, zero e basta. Gli garantimmo di poter dare un contributo alla creazione del circuito e ci venne accordata la fiducia. Il 17 maggio dello stesso anno, alla Rocca di Verrua Savoia, la KCBS tenne il primo corso per giudici certificati e 74 persone ottennero il badge quel giorno. Moltissimi sono membri ancora attivi del circuito: giudici o componenti di barbecue team.

no, sarebbe una pretesa assurda. Ma di certo non si può negare il contributo significativo, anche solo in termini di ispirazione, che BBQ4All ha profuso nella nascita e soprattutto nella crescita del circuito delle competizioni in Italia.

arrivato alla fine, avrai voglia di formare una squadra per partecipare a una competizione. Mettiti comodo e leggi con attenzione, ho più di qualcosa da dirti a riguardo.

Siamo nel 2019 e di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia: i team si sono moltiplicati. Alcuni si sono sciolti per poi riformarsi sotto altri nomi, altri sono definitivamente naufragati. Lo stesso vale per le gare organizzate nel Belpaese: alcune hanno avuto più successo di altre, di certe nemmeno si parla più. Il W.E.S.T., a cui è dedicato questo Speciale di Febbraio, è sicuramente quella che gode di maggior prestigio.

L’idea è bella e stimolante ma hai una vaga idea di quanto ti costerà avviare la baracca? Ti anticipo un po’ di cose, giusto per farti passare la voglia:

Ma non è questo il punto. Il punto è che quella prima intuizione era giu­ sta e sono molto contento di averla avuta. Per questo motivo, ho pensato a te che molto probabilmente, una volta

Vuoi fondare un team barbecue?

• Comporta una mole di lavoro inaudita (no, di più). • È un hobby costoso (molto) e ci rimetterai dei quattrini (troppi) specialmente all’inizio. • Litigherai spesso con tua moglie/ marito/compagna(o) e anche furio­ samente. • Ti verrà a mancare il concetto di tempo libero. • Puzzerai perennemente di fumo di hickory o ciliegio. Anche dopo la doccia. Anche dopo lo shampoo.

Il 15 giugno, quindi meno di un mese dopo, 8 team si sfidarono alla prima edizione dell’Italian Barbecue Championship, dove Tomaso Castiglioni e il suo Pit Club furono consacrati come Primi Grand Champion della storia delle competizioni italiane. BBQ4All negli anni ha avuto addirittura 4 squadre impegnate nelle gare bbq: dal Jack Daniel’s Invitational al Prime Uve Invitational, dal W.E.S.T. a Piacere Barbecue, abbiamo vinto anche qualcosina e ci siamo tolti diverse soddisfazioni. L’evoluzione è stata significativa: dagli zero team del gennaio 2014 siamo arrivati a più di cinquanta. Tutto merito di BBQ4All? Certo che ALMANACCO 2019

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ma non meno duro. Avrai successo, crescerai insieme alla tua squadra, rientrerai dagli investimenti e potenzialmente potrai anche guada­ gnarti da vivere. Scriverai un piccolo capitolo di storia e vivrai delle espe­ rienze fantastiche. Potrai girare il mondo, gareggiare e vincere. Aprire ristoranti, fare catering, scrivere libri, andare in tv, produrre le tue salse e le tue miscele di rub. Raccontare la tua storia a qualcuno. Sarai una persona vincente.

Jim Johnson Anche dopo giorni. • Litigherai anche con chi ti ha messo al mondo e sovente. Ma non chiedermi perché, la risposta potrebbe non piacerti. • Più diventerai bravo e più sarai il bersaglio continuo dei tuoi detrattori (ma non farti intimorire e archiviali). • Ti verranno riconosciute solo piccole parti del merito. • Non sarai capito. • Una persona saggia e posata farebbe bene a rinunciare prima di cominciare (fallo, fidati). Sei ancora lì? Non sto scherzando, è più lavoro di quanto tu possa immaginare e avrai sempre meno soldi. Può esserci solo una ragione, solo un motivo può spingerti a voler con­ sciamente addomesticare que­ sto delirio: o sei pazzo, o sei pazzo per il barbecue, o sei uno di quei pochi eletti che farà cose gloriose nel mondo della ciccia cotta al fumo di hickory. Se sei un folle, sarai un fuoco di paglia. Investirai del denaro e dopo qualche mese vedrai la tua squadra smembrarsi perché sì, non vivi in Kazakistan e gli uomini non hanno voglia di sottostare al tuo delirio di onnipotenza. Essere un leader non significa avere una patacca appuntata sulla camicia, non è sedere sul trono e comandare a bacchetta i sudditi. Essere leader è sporcarsi le mani prima e più degli altri, essere in prima linea, tirare il carretto. Tendi la corda il giusto e fai in modo che non si spezzi. Puoi anche non farlo, ma ricorda che gli altri ti guardano e 82 - BBQ4All MAGAZINE

si fanno un’opinione in base ai tuoi comportamenti. Se sei pazzo per il barbecue sarai animato dal fuoco, ma devi stare attento all’effetto “fischione impazzito”. Non pianificare, decidere oggi per domani e poi cambiare idea dopodomani, perché protenderti in avanti senza una direzione, un obiettivo o uno scopo preciso ti porterà al fallimento. Resta focalizzato, prova a non cedere alle lusinghe dei primi successi, non cambiare costantemente opinione, non contraddirti in conti­ nuazione, non curarti degli avversari, persegui gli obiettivi con perizia e soprattutto rispetta i tuoi compagni. Ad ogni costo. Ogni costo significa senza compromessi. Loro sono come te. Rispettali e si prenderanno una pallottola al posto tuo, non farlo e terranno il mirino puntato sulla tua nuca. Se sei l’eletto sarà molto più semplice

Ancora della stessa intenzione? Sei davvero propenso a fondare o ade­ rire a un team barbecue? Allora la­ scia che ti suggerisca 4 step da mettere in pratica per iniziare: 1. ATTREZZATURE Il primo passo è avere una strumentazione idonea. Per il grilling è semplice, basta avere un paio di kettle e un po’ di accessori e il problema è risolto. Ma l’american barbecue di livello superiore non può prescin­ dere da una batteria di smoker. Sì, ho scritto batteria. Diciamo che un paio sono il minimo sindacale. So cosa stai per fare: inizierai a scandagliare la rete in cerca del migliore affumicatore che il mercato possa offrire: Bullet Smoker, Kamado in ceramica, affumicatori offset tradizio­ nali, con flusso inverso, a pellet e chi più ne ha più ne metta. Primo consiglio spassionato: chetati e punta alla massima resa con il minor sforzo. Esistono centinaia di barbecue team americani che hanno vinto fior fiore di gare utilizzando gli smoker verticali WSM di Weber. L’attrezzo conta ma le mani e la cenere che ti


butterai alle spalle conteranno molto di più. Altro consiglio: evita gli affumicatori elettrici, a gas o a pellet perché non sono regolamentari e se non costano più di 7/8000€ possono tranquillamente essere ascritti alla categoria “giocattoli”. Un paio di WSM 57, dei termometri con termocoppia affidabile, guanti, grembiuli, pinze, ciminiere di accensione, qualche quintale di bricchetti e una cassa isobox per la birra sono un ottimo inizio. Fidati di me, bastano e avanzano. I primi tempi saranno dedicati solo ed esclusivamente al training. 2. CONOSCENZA Se pensi che ti basti uno smoker, un paio di slab di costine e qualche post letto su internet per diventare Pit Master, beh, stai sbagliando di grosso. Le ribs per gli amici sono una cosa, le ribs da presentare a un giudice in una gara sono un’altra cosa. I tuoi avversari sono professionisti e con ogni probabilità hanno alle spalle quintali se non tonnellate di cenere. Pile alte quanto un palazzo di quindi­ci piani. Impossibile competere con loro? Nient’affatto. Se sei preparato hai le stesse opportunità di un gruppo solido e consolidato, ma non sarà un percorso breve o semplice. Gira la rete, compra dei libri importanti, segui dei corsi da dei veri professionisti, come i miei Coach. Se hai deciso di intraprendere l’avventura di un team barbecue, non ha senso non porsi l’obiettivo di diventare il più bravo del mondo. Riu­ scirci è un altro paio di maniche, ma non si può non tentare, giusto? La conoscenza è la chiave del tuo successo. Viene prima di ogni cosa, prima di ogni cubetto di paraffina che andrai ad accendere. Ogni volta che porti lo smoker in stabilizzazione, fissa bene il tuo obiettivo. Stai lavorando sulle ribs? Definisci a priori il risultato che vuoi ottenere. Segna i passaggi e correggili. Segna le dosi del rub e aggiustalo. Cuoci ribs fino a quando il risultato al morso è identico a quello che hai descritto sul pezzo di carta prima di cominciare. Metodo e disciplina. Non accontentarti mai del provo la prossima volta, per adesso voglio capire come viene. La prossima volta è adesso e subito, senza se e senza ma. 3. APPARTENENZA Crea la tua identità ma cerca di aderire ad un circuito. Fai squadra con

altri e fai sinergia per farti co­noscere. Non fare il solone, non iniziare a parlar male degli altri credendo di apparire bello e figo: otterrai esattamente l’opposto. Crea una pagina Facebook, un sito web con un blog dove proponi dei contenuti di alto livello a cadenza più o meno regolare. Al pubblico non frega nulla se sei bello, se hai scritto libri, se vai in TV o hai il numero 1 sul biglietto dei salumi al supermercato. Le persone hanno bisogno di valore, sono molto consapevoli e, che tu ci creda o no, hanno una testa, ti giudicano e probabilmente non saprai mai cosa esattamente pensano di te. Ciò che dai deve essere e rappresentare per loro un vero beneficio. Non aspettarti lodi e preghiere perché gli ita­ liani non sono un popolo, sono una folla (cit.). Ed è da qualche migliaio di anni che la folla sceglie sempre Barabba. I social network hanno accorciato le distanze, hanno sfatato i miti, distrutto i mentori, annullato i riferimenti. Tutti si sentono in diritto

di criticare tutti e se da un lato è un bene, dall’altro t’impone di essere sempre al meglio di te stesso. Dai valore, resta umile e impara dai tuoi errori. In ogni caso preparati a vedere altri proporre le tue idee rimpastandole alla meno peggio. Sì, pensano che tutti apprezzeranno il loro colpo di genio tranne te, che sai di essere quello da cui hanno copiato. Non curartene, costa fatica mantenere un’identità precisa e senza ta­ lento li vedrai sciogliere come neve al sole. Matematico. 4. UMILTA’ Parla con il tuo team. Di tutto e di niente, del serio e del faceto, dei programmi e dello sviluppo. Scendi dal tuo piedistallo e non pensare di dover essere sul trono solo perché tu hai dato il via a tutto. Sei anche tu una persona e in quanto tale puoi commettere errori. Dovresti essere una guida giusta. Autorevole senza mai apparire autoritario. È vero, a volte non è possibile. A volte vorresti ALMANACCO 2019

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battere i pugni ma non puoi farlo, e in ogni caso devi impegnarti ad essere la risposta ad ogni domanda. Quando non riesci ad essere quella risposta, non privarti dell’esperienza di gruppo. Magari tu sei quello che ne sa di più sul barbecue, ma ricorda che ogni membro della tua squadra potrà e saprà offrirti spunti ed espe­ rienze che unite alla tua visione, potranno rovesciare e sovvertire le sorti di quel problema. Ti assicuro che guidare un gruppo può essere un affare infarcito di molte insidie. Devi incoraggiare e nutrire la spinta motivazionale della tua squadra. E non devi farlo a chiacchiere, ma con fatti concreti. Non dare mai per scontata la fedeltà dei tuoi compagni perché è proprio quando lo fai che iniziano i problemi. Ti sarà necessario trovare un giusto mix di giocatori e tipi di personalità. Personaggi capaci di riuscire a stare uniti per condurre insieme un gioco inarrestabile. Allora? Vuoi proprio farlo? Se l’idea ti stuzzica ancora, lascia che ti dia 9 ottimi consigli sul “come” fare sba84 - BBQ4All MAGAZINE

gliando il meno possibile. 1. Fondazione del team In qualità di Leader, è tuo compito stabilire la mission del tuo Team. Stabilisci adesso dove vorrai arrivare e scrivi su un foglio di carta come pensi di arrivarci. Non importa quanto tempo e con quali risorse. Scrivi. Segna gli obiettivi e ragionaci. Vedrai che giorno dopo giorno quella lista apparirà sempre più chiara. 2. Co-Fondatore Da solo non vai da nessuna parte. Ricordalo. Potrai anche voler fare il solista ma se non sei Tony Stark non riuscirai mai a fare da solo ciò che potresti fare con 20 persone. Uno conta uno, venti contano venti. Potrai anche trovare degli assistenti ma sappi che prima o poi si stancheranno di vivere alla tua ombra, ti abbandoneranno e dovrai ricominciare da capo. E ti dirò di più. Se c’è una cosa che fa imbestialire le comparse è sentire qualcuno decantare la performance del divo di turno e attribuirgli tutto il merito, dimenticando di dare il giusto riconosci-

mento anche a chi era lì a dare una mano. È il modo migliore per iniziare a sgretolare la sua carriera da star. Partire insieme ad un buon CoFondatore è un passo fondamentale per il tuo team. Scegli il migliore che cono­ sci e che sia disposto ad impegnarsi senza riserve. Con un grande senso di organizzazione e che sia in grado di sostituirti quando non ci sei. In tutto e per tutto. Fa in modo che tu possa essere identificato come lea­der ma fai anche in modo che il tuo team ascolti e offra rispetto al tuo co-fondatore tanto quanto ne offre a te. 3. Nome del team Trova un nome che sia facile ma al contempo evocativo. Evita nomi banali quali “1-2-3 Barbecue” o “Happy Grill Marks”. Ricorda che dovrai invecchiare e con te anche la tua autorevolezza. Con un nome sciocco farai fatica a essere credibile. Fai in modo che il tuo nome faccia venire il mal di stomaco ai tuoi avversari ogni volta che lo sentono o lo leggono. Il nome giusto è fondamentale. Non sottovalutare questo aspetto.


4. Reclutamento Difficile non è trovare persone, difficile è farle restare a lungo. Poche semplici regole: i membri del tuo team non devono necessariamente essere i più grandi pit master della galassia. Devono solo essere ben disposti all’idea di far parte di un collettivo in cui tutto è basato sul lavoro del singolo veicolato ad un obiettivo comune. Scegli individui con diverse personalità e prova a farli lavorare insieme, in modo che il pregio di uno compensi il difetto dell’altro. Ricorda che ne vedrai entrare molti e ne vedrai uscire altrettanti. Probabilmente, a qualche anno dalla prima formazione, ti resteranno vicini al massimo un paio di membri. È una selezione naturale che fa solo bene al gruppo. Non tentare in nessun modo di trattenerli. Se non funziona, lasciali andare. Lascia il romanticismo fuori dalla gestione della tua squadra. Se c’è affinità la vedrai subito, altrimenti non la vedrai mai. 5. Eventi e Campionati Questa è la parte divertente. La cosa più importante per un team barbecue è essere attivo. Fai in modo di avere delle attività pianificate settimanalmente, specialmente durante la stagione primaverile e estiva. Or-

ganizzate reunion con gli amici o cominciate ad offrire i vostri servizi a pagamento. C’è una grandissima richiesta, la domanda è in crescita e l’offerta è davvero poca. C’è davvero spazio per tutti. Il campionato, invece, è la tua opportunità per farti conoscere, vincere ed entrare così nel circuito delle sponsorizzazioni e della promozione del tuo business. A quel punto si comincia a fare sul serio, ma ricorda che avrai a che fare con altri team altrettanto agguerriti e determinati. Dovrai continuare a mantenere la posizione acquisita. 6. Supporto Come leader del team, è tuo compito supportare i tuoi membri in ogni modo. Assicurati di ascoltare tutti, di sentire tutte le campane e fare in modo che ognuno possa dimostrare il suo valore. Ricorda che alcuni di loro possono avere molta più esperienza di te in alcuni campi e possono rappresentare un beneficio per tutta la squadra. Affida loro delle responsabilità e lascia che le gestiscano in autonomia. Dai degli obiettivi e lascia che portino a casa il risultato. Devi guidarli, non con­ trollarli. Fidati di loro senza riserve e allo stesso modo escludili senza pietà se il loro atteggiamento nuoce

all’equilibrio raggiunto. 7. Errori comuni Sbaglierai, è connaturato. Di seguito ti elenco alcune insidie facilmente ​​ identificabili che spesso portano al fallimento di un team. Prova a te­ nerle in considerazione da subito e le tue possibilità di successo aumenteranno enormemente. Troppi dirigenti. Le tavole rotonde non funzionano. Tu e il tuo co-fondatore siete più che sufficienti. Ascolta il parere di tutti ma decidi tu. Se hai l’appoggio del tuo co-fondatore, conferma la tua scelta anche se tutti gli altri non sono d’accordo. Se ne faranno una ragione o se ne andranno, fa lo stesso. Chi muore giace e chi vive si dà pace. Inattività Non stare mai fermo. Allenati, prova, pianifica, fai un progetto e seguilo. L’inattività è la prima causa di scioglimento dei team. Tieni viva l’attenzione. Dispute interne. Usa estremo giudizio ma rimuovi i rami secchi senza colpo ferire. Non offrire mai una terza possibilità ai membri che causano problemi e non

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offrire mai una seconda a chi ti crea danni permanenti. Membri che non si integrano. Ce ne saranno molti. Prova a condividere le responsabilità con loro ma allontanali se vedi che nulla cambia. Se non c’è sintonia all’inizio non ci sarà mai. Se c’è all’inizio potrebbe non durare. Quando è così, inutile insistere. L’armonia è il tuo fare; gestire i malumori interni ti sottrae tempo e risorse per fare ciò che invece ha la priorità. Generatori di cattiva reputazione Rimuovili senza pietà. Chi non ti ascolta o ha manie da prima donna è una mina vagante; lascia che esplo­ da lontano. Soloni I celolunghisti sono quelli che sanno fare tutto alla perfezione e criticano sistematicamente gli altri. Anche questi devono essere immediatamente allontanati. Chiunque siano. Chi non accetta la squadra è solo un opportunista che sta cercando di stare sul cavallo fino alla prossima fermata. Lascialo a piedi nel deserto. Co-Leader troppo leader Presta la massima attenzione a questo parametro perché più vai avanti e più sarà complicato mettere le cose a posto. Se è tuo amico, riconoscerà il tuo ruolo. Se prova a sopraffarti, lascialo fuori o minaccia di andartene e ricominciare altrove. Chi ti ama ti seguirà e potrebbero non essere pochi.

dizioni dovesse verificarsi. Devi essere un leader leale e con i piedi per terra. Premiare i membri, con ogni mezzo possibile, ti consente di far crescere la tua squadra e al contempo coltivare nuove leve attraverso gli anziani. Accertati che ognuno di loro sappia di avere l’obbligo di seguire le direttive che tu e il tuo co-fondatore stabilirete. Sembra banale ma ti assicuro che a volte qualcuno potrebbe far fatica a capire il motivo per cui lo hai ripreso mentre cucinava con la sigaretta accesa in bocca. Di contro, però, ricorda che quelle persone non sono lì per diritto acquisito ma per scelta. Sei un fortunato e non hai un titolo nobiliare che legittima la tua posizione. Accetta e rispetta questo privilegio in ogni momento. Senza di loro puoi averne altri ma in ogni caso, senza una squadra, non avrai nulla. Esprimi sempre la tua gratitudine e fai in modo che possano ottenere soddisfazioni personali importanti. In tutti i sensi. 9. Divertimento Divertiti. Questo è il vero spirito del barbecue: passare le notti a bere birra ghiacciata davanti al fuoco acceso mentre butti un occhio al termometro dello smoker in cui si abbronza il brisket; mangiare carne buona e cotta bene come se non ci fosse domani; abituarsi alla migliore espressione dell’alleanza e del convivio e nel frattempo guadagnare ogni possibile tipo di gratificazione. Ricorda che il barbecue ti renderà una persona felice. Senza dubbio. In alcuni casi anche benestante.

Nessuna pratica Tutti i membri del team hanno bisogno di fare pratica costante. Un membro che per esempio vive in appartamento e non ha il barbecue in casa, non può sviluppare le stesse abilità di chi accende lo smoker tre volte a settimana. Fai in modo di riservare un luogo in cui poter fare pratica costante.

Ancora qualche piccolo consiglio:

8. Leadership Il team esiste grazie a te e deve vivere grazie alla tua guida. Tutti i problemi comuni che ti ho paventato possono portare a spaccature o addirittura allo scioglimento del team. E se questo accade è soprattutto colpa tua. Tutto ciò può essere evitato adottando le giuste misure nel momento in cui una di quelle con-

Una volta che hai una base solida e sai di poter contare su un buon numero di persone, non aver timore di lasciare andare coloro che non ingranano bene o che vivono un disagio con te o con gli altri membri. Può essere controproducente per te e per loro.

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Parti con il reclutare chiunque sia interessato; avrai tempo per sele­ zionare. Accetta tutti ma tieni affilata la cesoia per tagliare il ramo secco ai primi sentori di inconcludenza. Cerca di limitare il numero dei componenti del team. Se si è in troppi, inizia a diventare complicato.

Non arrabbiarti mai con un membro

del team, specialmente in pubblico. Lava in famiglia i panni sporchi. Le carnevalate sono becchime per i detrattori. Mantieni sempre la calma, anche quando ottieni una sconfitta. La lucidità ti permette di trasformarla in un’opportunità, sempre. Sii onesto con i membri del team. Se in pubblico, difendili fino alla morte, con senso critico ma anche se hanno torto. Fagli da scudo in ogni controversia e parla tu al posto loro. Prendi tutti gli oneri e assumiti ogni responsabilità. Poi, lontano da tutto e tutti, quando nessuno ascolta eccetto l’interessato, sentiti libero di fare il tuo cazziatone. Non essere romantico. I membri del team vanno e vengono. Sii positivo e incoraggia chi esce per espandersi in proprio. I matrimoni che non funzionano generano solo attriti e malumori. Meglio lontani ma felici. Ac­ cetta di perdere qualche compa­gno, fa parte del gioco. Un vero amico non ti tradirà e comprenderà sempre le tue posizioni. Ricorda che un team può sciogliersi in qualsiasi momento. Se non è solo colpa tua e se sai di aver fatto bene, non abbatterti. Basta iniziare da capo e fare tesoro di ciò che hai imparato. Bene, dovrebbe essere un po’ tutto. Se sei ancora convinto di fondare un team barbecue, queste informazioni dovrebbero portarti quantomeno sulla buona strada. Perciò, se davvero sei abbastanza pazzo per il barbecue, scegli il nome del tuo team e corri fuori a fare cenere. Gianfranco Lo Cascio


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INDICE FEBBRAIO 2019 - NUMERO 2 ANNO 1

B U TC H E R C LASS

la bistecca del mese New York Steak

WINE CLASS

vini di tutti i colori

N I C E T O M E AT Y O U

intervista a

Anthony Puharich

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90 92 96

102 151 156

S P EC I A LE

competizioni barbecue #CHIEDIALCOACH

SEGUO


ARTICOLI 102 KCBS&SCA: storia e regolamento 104 Reportage: W.E.S.T. 2019 116 Classifica punteggi W.E.S.T. 2019 118 Intervista ad Haymo Gutweniger 123 Interviste ai Team Internazionali RICETTE 126 Kansas City Style Pork Ribs 128 Chicken thighs 130 Salsa Barbecue 132 Mini-porchette 134 Mac&Cheese 136 Il panino di Elvis 138 Missisippi Mud Cheesy Potatoes 140 Strudel di carnevale 142 Ricetta veg: rigrigliata 144 Abbinamenti vino 146 Abbinamenti birra 148 Abbinamenti cocktails

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BUTCHER CLASS a cura di SAL DI MENTO e TOMMASO DI GREGORIO

NEW YORK STEAK la bistecca del mese:

Delmonico’s restaurant, Manhattan, New York, 1827. Autore, luogo e data in cui venne creata la Strip steak. Molte fonti concordano e attribuiscono a questo ri­ storante la paternità di questa prelibatezza. La storia ebbe inizio in una pasticceria di New York, in William Street. I fratelli Giovanni e Pietro, di origini ticinesi, stanchi della loro attività decisero di seguire il loro so­ gno americano: aprire un ristorante di lusso. Ristrutturarono quindi la pasticceria e la trasformarono in un ristorante. Il loro obiettivo era quello di creare un ambiente invitante per i nuovi ricchi che a quel tempo iniziavano a popolare Manhattan. Per invogliare i clienti fu realizzato un menù alla carta, creata una lista di vini separata dal resto e infine ideata una nuova iconica bistecca: la Delmonico steak. Questa bistecca inizialmente veniva indicata come Kansas City Steak. In seguito a numerose lamentele da parte di alcuni clienti, lo chef decise di rimuovere l’osso e servirla senza. Di conseguenza, la dicitura sul menù venne aggiornata e diventò “New York Steak”. Questa secolare bistecca è conosciuta anche come Strip Steak. Veniamo ai dettagli: vi ricordate delle lombata formata da otto coste da cui abbiamo cominciato a smontare il nostro cuberoll per ottenere la ribeye? Ne abbiamo parlato nello speciale di dicembre. 90 - BBQ4All MAGAZINE

Bene, oggi continuiamo da quel punto per ricavare l’iconico taglio delle steak house americane. In italia è conosciuta come lombata, i più raffinati arrivano addirittura a suddividerla in lombata alta (carvery) e lombata bassa (1 rib loin); ebbene, la lombata bassa è quella su cui ci dobbiamo concentrare per ricavare il nostro striploin (o se vogliamo dirlo in italiano controfiletto) Per gli aficionados, così ci capiamo meglio: prendete una fiorentina, togliete il filetto e il fantomatico osso a T, ed otterete il controfiletto. Per ottenere le nostre amate NY Strip Steak, non dobbia­ mo far altro che porzionare le bistecche tagliando perpendicolarmente alle fibre del longissimus dorsi, unico mu­scolo di questo taglio. Unico muscolo? Beh, in realtà è una piccola bugia, perché mano a mano che procediamo caudalmente al nostro controfiletto, troveremo un punto in cui si manifesterà il gluteus medius (lo conoscete come scamone, non agitatevi per le parole troppo difficili). Trattasi solitamente dell’ultima porzione di NY Strip, se tagliate belle spesse come noi del Megastore. Ovviamente la bisteccozza potete comprarla anche con osso, ma credere che sia più buona è solo un illusione per appagare il nostro desiderio di spolparlo con i denti.


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WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI

OCCHI VINI DI TUTTI I COLORI A ME GLI

Le tonalità del liquido ammiccano. Non c’è ancora contatto, solo sguardi a distanza

L’ultima in ordine di tempo è stata la bistecca alla fiorentina di un locale molto noto, contemporaneamente cruda, bollita e bruciata. Per fortuna non l’ho mangiata, è bastato il colore: una sentenza. Le apparenze contano, spesso rivelano la sostanza, talvolta depistano. Il primo contatto con il vino è a distanza, solo visivo. A volte può ba­ stare uno sguardo per capirsi, o per intuire che qualcosa non va. Molto raramente, già da come il vino scende nel bicchiere o dal colore spento si intuisce l’anomalia, magari un’ossidazione precoce: vini bianchi particolarmente dorati o aranciati, privi di luminosità e brillantezza, o rossi decadenti che dimostrano 50 anni e magari ne hanno 5. Serve allenamento, certo, e mai dare nulla per scontato. L’analisi del colore del vino è inizialmente fredda e sterile, poco informativa, meramente descrittiva. I vini si dividono in 3 macro-categorie: bianchi, rosa e rossi. La scheda di degustazione

dell’Associazione Italiana Sommelier codifica 11 tinte: giallo verdolino, paglierino, dorato o ambrato, rosa tenue, cerasuolo o chiaretto, rosso porpora, rubino, granato o aranciato. Lavorando su sfumature, variazioni, intensità e riflessi si può arrivare a 36 tonalità: un arcobaleno, una mera­ viglia per gli occhi. L’analisi del colore è importante ma i dati, inizialmente solo quantitativi, ad un certo punto iniziano a diventare qualitativi. Se un Brunello di Montalcino è rubino scurissimo abbiamo un problema (perché il sangiovese è uva dalle tinte trasparenti) così come se un Verdicchio (nome omen) di Matelica si presenta arancione. Attenzione però. Una convin­ zione dura a morire in tanta parte del mondo è quella secondo cui il colore scuro e impenetrabile sia indicatore di alta qualità dei vini rossi. Al crescere del prezzo e del blasone di una bottiglia, il vino – a prescin­dere da zona di provenienza, vitigno e tecniche produttive – si fa viscoso,

materico ed opulento, incute timore per ostentare il suo presunto rango. Ricordo un celebratissimo vino della Napa Valley, El Dorado dei vini ca­ liforniani, nero come la pece e dal profumo di pesche sciroppate prepotente: prototipo del vino bomba­ stico, impattante. Purtroppo imbevibile, e si intuiva già dal colore. Non tutto è perduto, fortunatamente. La pigmentazione estrema non è più una virtù a prescindere. Al contrario, negli ultimi anni hanno trovato spazio vini pallidi, trasparenti, dalle tonalità pastello, a volte sin troppo. Alcuni degustatori, addirittura, di fronte a colori leggiadri si sentono confortati a prescindere, già un po’ rapiti. Che gran casino, vero? Ma facciamo un passo indietro. Il colore è solo uno degli aspetti dell’analisi visiva. Ci rendiamo conto di quanto serva proprio quando viene meno, col bicchiere nero. Guardare il vino nel calice, infatti, orienta le preferenze individuali e può dare molte informazioni. Dicono, ad esempio, che il vino debba essere limpido, ma sarà vero? Assolutamente no. Una delle espressioni più ricorrenti nel vino contemporaneo è “non chiarificato, non filtrato”. Precisa scelta tecnica che corrisponde più o meno a “non depilato”: una grande categoria che va da Sean Connery a Chewbecca, con tutti i distinguo del caso. La limpidezza a tutti i costi, cioè l’assenza di particelle in sospensione, non è più una virtù. Quello che sarebbe un difetto, un errore te­ cnico per chi opera industrialmente, nel caso di certi vini artigianali è una precisa scelta stilistica tesa a

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non “spogliare” il vino, mantenendo inalterato il corredo di struttura e profumi, opalescenza inclusa. Sarà poi l’analisi organolettica a determinare se la scelta sia azzeccata, ma la spasmodica ricerca del vino enologicamente ineccepibile, filtrato e limpidissimo, è stata abbondantemente ridimensionata. Per fortuna. C’è di più. Nell’ultimo decennio, hanno trovato nuova linfa, in Italia e non solo, una pluralità di vini detti “col fondo” o sur lie, cioè prodotti con il metodo ancestrale della rifermentazione in bottiglia senza sboccatura, che prevede proprio la presenza in bottiglia di particelle in sospensione, atte a proteggere dall’ossidazione e ad ampliare il bagaglio aromatico (non sempre positivamente) mettendo sul piatto un’evidente torbidità. Proporrei un vino così alla suocera per iniziare il pranzo della domenica? Certo, convintamente.

tripartizione iniziale. Ma non è tutto. Da un’uva rossa è possibile produrre vino bianco? Ebbene sì. Se lasciamo le bucce di uva bianca a contatto con il mosto (quindi facendo una vinificazione in rosso di uve bianche) nascono i vini orange, o vini bianchi macerati, tipologia contemporanea eppur arcaica, praticamente assente dalla manualistica per sommelier e riscoperta solo di recente. Basti pensare che il primo libro interamente dedicato alla tipologia – Amber Revolution del giornalista inglese Simon Woolf – è usci­to appena un anno e mezzo fa. I vini ambrati hanno rivoluzionato l’immaginario, sia dei produttori che dei bevitori, facendo da ponte tra vini bianchi e rossi, stravolgendo

gusto, modalità di consumo ed orizzonti. I bianchi realizzati come fossero rossi vanno bevuti ad una temperatura più simile a quella dei rossi che dei bianchi (il freddo li aneste­ tizza) e nelle zone d’elezione, come il Carso a cavallo tra Friuli-Venezia Giulia e Slovenia, vengono abbinati con quasi tutto perché hanno tannino e acidità, corpo e articolazione. Curiosamente, spesso vengono prodotti attraverso una macerazione in anfora, tecnica ispirata dalle vinificazioni tradizionali in Georgia (storicamente culla della vite, da Mosè nella Bibbia in poi) e diffusa in Italia con tale vigore da essere famosa in Francia quasi alla stregua di una “tecnica “italiana”. Ma questa è un’altra storia…

Tollerato inizialmente solo nei rossi da lungo invecchiamento, il leggero deposito sul fondo della bottiglia non è più un tabù ma nel caso dei vini bianchi – dove la pigmentazione gialla rende ben più evidente la velatura – pone non pochi interrogativi. Tecnici ma anche estetici, formali e sostanziali insieme perché troverete ben più di un enologo considerare “difettoso” un vino bianco solo perché non perfettamente limpido. La limpidezza, però, è strettamente collegata alla trasparenza, cioè la capacità del liquido di farsi attraversare dalla luce. Ma come nascono i colori? Il colore, sotto forma di antociani, sta nella parte esterna della buccia (eccet­ tuate le uve tintorie, in cui anche la polpa è colorata) ed essendo solubile viene trasmesso al mosto attraverso la macerazione, cioè il contatto con la buccia stessa. Tradizionalmente, si parla di vinificazione in rosso quando il mosto rimane per un periodo più o meno lungo (diciamo da 3 a 30 giorni) a contatto con le bucce, mentre si parla di vinificazione in bianco quando mosto e bucce vengono immediatamente separate. Il vino sarà quindi rosso rubino o granato, tra­ sparente o impenetrabile, a seconda della varietà di uva di partenza, dell’età e delle modalità di estra­ zione del colore. Un’infinità di sfumature che espande a dismisura la ALMANACCO 2019

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WINE CLASS -

IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI

G RA N D I V I N I COLORI DIVERSI

DA PROVARE ASSOLUTAMENTE

Giallo paglierino torbido Zero Infinito Pojer e Sandri Bianco frizzante col fondo prodotto da quel genio di Mario Pojer, scienziato pazzo e buono col vizio della sperimentazione. Da uve solaris, una varietà resistente interspecifica, profuma di Fanta (aranciata, mela gialla, albicocca), è secco e godibilissimo.

Giallo dorato carico Terminum Alto Adige Gewurztraminer Vendemmia Tardiva, Tramin L’uva aromatica per eccellenza vi­ nificata dalla cantina cooperativa altoatesina che ne è interprete di riferimento porta ad un vino dolce strabiliante, dal profumo intenso e penetrante che inebria e stordisce come un indimenticabile doppio passo a velocità supersonica di Ronaldo, con litchi, mango, ananas e pompelmo. Goduria allo stato puro, non delude mai.

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Giallo paglierino intenso Villa Bucci Verdicchio dei Castelli di Jesi Riserva, Bucci Un grande classico dei vini bianchi italiani è un Verdicchio che viene dalle Marche, matura in legno grande e ha profumi delicati di anice e finocchietto anche dopo una lunga permanenza in bottiglia. Chi ha bevuto Villa Bucci 1988 con 25 anni sulle spalle deve ancora riprendere coscienza.

Giallo ambra Vitovska Venezia Giulia igp Zidarich Un eccezionale campione dei bian­ chi macerati che mantengono un carattere di ferro: dorato non limpido, dal profumo di cera d’api, arancia candita, miele e pietra e con un gusto irradiante, ampio e saporitissimo. Quando è in carta al ristorante, lo ordino sempre.


Ambrato Ribolla Josko Gravner Un must assoluto tra i vini bianchi macerati, arrivando nelle migliori annate anche a 7 mesi di macerazione. Gravner è il capostipite moderno di questa vinificazione e il suo radicale ripensamento stilistico (figlio dei viaggi in Georgia a partire dall’anno 2000) ha influenzato produttori in tutto il mondo. Vino da servire a non meno di 14 gradi e da lasciare a lungo nel bicchiere per goderne tutta l’evoluzione olfattiva.

Rosa cerasuolo Piè delle vigne Cerasuolo d’Abruzzo Cataldi Madonna Il rosato in Abruzzo è vino quotidia­ no per eccellenza, dal colore carico, quasi rosso perché l’uva montepulciano ha una pigmentazione importante. Il prof. Luigi Cataldi Madonna lo interpreta con la tecnica della svacata (a un 85% dell’uva vinificata in bianco viene aggiunto un 15% di liquido che fa 4-5 giorni di mace­ razione). Perfetto con una tonnellata di arrosticini.

Rosso porpora scuro Es Primitivo di Manduria Gianfranco Fino Da alberelli che guardano il mare, su terre rosse da 400 grammi di uva per pianta raccolta a fine agosto viene uno dei vini rossi più premiati d’Italia. Ricco e denso, opulento ma non greve, è una macedonia di frutta scura matura che avvolge il palato e si pianta nella memoria. Deep Purple.

Rosa tenue Bardolino Chiaretto Rodon Le Fraghe Prototipo assoluto del rosato leggero e spensierato, tonico e pimpante, icona dei vini da piscina. Sbarazzino, dal colore delicato e dai profumi floreali che ammiccano senza mai stancare. Il tappo a vite è un plus.

Rosso rubino trasparente Pian del Ciampolo Montevertine Vino d’ingresso di un’azienda-mito nel cuore del Chianti Classico. Da uve sangiovese al 90%, con un saldo di canaiolo e colorino, incarna il prototipo della grazia, con giochi di trasparenze e profumi che ammaliano, conquistano e stordiscono. Prezzo accessibile, un inno alla gioia.

Rosso granato chiaro Barolo Cav. Lorenzo Accomasso Basti il nome perché è ricercatissimo in tutto il mondo ma introvabile. Un Barolo classico d’altri tempi come chi lo produce, una figura mitica distante anni luce dalle mode. Quasi aranciato trasparente, scarico e dai profumi classici di terra, viole e tartufo, antitesi perfetta del vino da competizione. Bello anche solo da immaginare.

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NICE TO MEAT YOU - INTERVISTE a cura di PAOLO TUCCI

INTERVISTA A

A N T H O NY PUHARICH

MENTE E CUORE DELLA MACELLERIA PIÙ DEL

bella

mondo

Questo mese prendiamo insieme a voi un aereo per il continente australiano, direzione Sydney, per portarvi alla scoperta di Victor Churchill, nominata nel 2009 come macelleria più bella del mondo, uno dei templi mondiali della lavorazione delle carni di alta qualità. Il fondatore e cuore pulsante di questa istituzione, Anthony Puharich, ci ha portato in un viaggio alla scoperta delle radici di un progetto che ancora oggi continua costantemente ad innovare il modo di intendere, relazionarsi e consumare la carne in ogni angolo del pianeta. Incastonata in una strada di Woollahra, operoso quartiere di Sydney non lontano dal centro, nasce sulle ceneri della più antica macelleria d’Australia, Churchill’s Butcher Shop, fondata nel lontano 1876. Salvata e riaperta dai Puharich nel 2009, il nome del negozio viene in parte modificato da Anthony aggiungendo all’insegna il nome di Victor, suo padre, un gesto estremamente umano, che racchiude un omaggio al prezioso passato della famiglia Puharich e la unisce a doppio filo al futuro radioso della carne e della gastronomia australiana nel mondo. 96 - BBQ4All MAGAZINE


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Nome? Anthony Puharich Professione? Macellaio Australiano DOC? Si può dire così, sì. In che senso “Si può dire”? Sono nato e cresciuto qui ma la mia famiglia è originaria della Croazia. Quasi tutti gli australiani o sono discendenti di immigrati, o dei nativi aborigeni, i soli autentici abitanti del continente prima dell’arrivo degli Inglesi. Quando i miei antenati approdarono qui quasi 50 anni fa, portarono con loro un cambio d’abito in valigia e l’unica eredità di famiglia trasportabile: il sapere trasmesso dalle generazioni di macellai che li avevano preceduti. L’eredità di famiglia come si riflette nel tuo lavoro? E quanto il tuo essere nato in Australia? Direi 50-50. L’arte degli insaccati, di affumicare il prosciutto, di preparare i ćevapčići e di utilizzare l’intero 98 - BBQ4All MAGAZINE

animale, quindi anche le fratta­glie e le ossa, derivano dalla filosofia di mio padre. In un paese come la Croazia, storicamente più povero dell’Australia, lo spreco concesso al macellaio era zero. La metà australiana che è in me ama invece l’arte del BBQ, del giocare e lavorare con carne e fuoco. Queste due tradizioni sono tenute insieme da un forte sentimento che le accomuna: il rispetto, per l’animale in primis e per il cliente che andiamo a servire.

siano, sembrano non avere più il tempo di cucinare, di stare in famiglia o di recarsi dal proprio macellaio locale. Tutto quello che comprano deve necessariamente essere disponibile in un solo luogo, nel medesimo istante. La distribuzione organizzata sta mettendo in crisi primo fra tutti il negozio di vicinato, distruggendo il mondo delle relazioni che ruotano intorno a noi. Noi di Victor Churchill siamo impegnati nel combattere questi fenomeni il più possibile!

A quali sfide va incontro un macellaio che lavora in Australia? Per dirla tutta, in questo particolare momento storico non riusciamo a trovare collaboratori. C’è un vero e proprio salto, in termini di competenze e attitudine al lavoro fra la generazione di professionisti affermati che oggi ha 60 anni, come mio padre, ed i giovani che si avvicinano alla nostra industria oggi.

In che modo? Cambiando, evolvendo, attraendo nuove persone verso il nostro mondo, sia davanti che dietro il bancone. Per fare questo il tema del viaggio è fondamentale. Noi incoraggiamo i nostri macellai a viaggiare, assaggiare, comprendere altre culture gastronomiche e farle proprie. Organizziamo corsi e organizziamo degli stage che danno la possibilità ai nostri collaboratori di esplorare e lavorare in altre aziende. La macelleria deve essere un luogo di crescita e sviluppo, questo è

Un altro tema molto attuale qui a Sydney è quello della distribuzione organizzata. Le persone, ovunque


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il segreto per diventare un grande mastro macellaio. Il nostro obiettivo è sempre stato cercare di tra­ sformare Victor Churchill in un faro di speranza per tutti i macellai del mondo, incoraggiandoli a spingere sull’acceleratore, e ricordandogli che “si può fare “. Parlando di carne in generale, la ciccia va mangiata... In un solo modo: con la famiglia, gli amici ed un’ottima bottiglia di vino! Un consiglio per i nostri lettori: il tuo taglio preferito? Personalmente amo una Rib eye con osso, frollata dalle 4 alle 6 settimane e ben grigliata. La piccola noce di grasso che contiene, una volta in cottura, si scioglie lentamente mantenendo la carne unta e succosa a dovere. Preferisco tagli proveniente da animali più maturi, fra i 28 e i 36 mesi. Parlando di tagli più economici hai qualche suggerimento? Sicuramente l’Inside Skirt, da non confondere con il taglio Hanger steak. Ha una fibra particolarmente adatta ad assorbire le marinature, basta scottarlo velocemente per ottenere una bistecca piena di sapore e morbidissima.

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In Australia non si mangia solo carne bovina. Se dovessi scegliere due specialità locali: wallaby o canguro? Canguro! Amo la carne di canguro principalmente perché è nativa austra­ liana. Per generazioni non è stata consumata poiché avendo a disposizione una vasta scelta di carni, gli australiani sono stati un po’ viziati. Ma con 60 milioni di canguri che trotterellano in giro per l’Australia nutrendosi di cibi incontaminati, oggi più che mai ha senso guardare alla carne di canguro come una risorsa preziosa e abbondante, traendo ispirazione dalle abitudini alimentari degli antichi aborigeni, che molto più di noi sapevano interpretare l’abbondanza alimentare presente sul nostro continente. La carne è molto gustosa, ricca di ferro e non troppo grassa. Cotta per poco tempo ad alta temperatura, è perfetta a cottura media, oppure ideale per stufati. La coda in particolare cotta a bassa temperatura è una vera prelibatezza, soprattutto se abbinata a spezie locali, che difficilmente potrete trovare sugli scaffali europei. Cosa significa essere sostenibili nel mondo delle carni? Con un consumo di carne di circa 110 kg l’anno a persona, noi australiani

siamo il terzo paese dopo Stati Uniti e Kuwait per consumo mon­diale pro capite di carne. Essere sostenibili per noi di Victor Churchill ha si­ gnificato innanzitutto accettare di essere parte del problema. Questo ci ha fatto capire che potevamo essere anche parte della soluzione. Dato il forte impatto che l’allevamento industriale della carne ha sull’ecosistema, non possiamo aspettarci un futuro roseo per i nostri figli se non cambiamo le nostre abitudini. Dobbiamo scegliere animali alimentati in maniera corretta, senza mangimi di dubbia qualità e tracciabilità, da allevamenti che cercano di minimizzare il proprio impatto sul territorio. Non voglio fare come gli struzzi e nascondere la te­ sta nella sabbia. A Victor Churchill ad esempio, abbia­ mo voluto dare il nostro contributo con un progetto legato al mondo del Rose Veal. Rose Veal? Ci puoi spiegare? L’allevamento di vacche da latte in Australia è una vera e propria indu­ stria intensiva che ogni anno genera uno scarto di circa 400.000 vitelli da latte, la cui carne, non particolarmente pregiata, viene venduta a poco prezzo senza curare l’alimentazione


o il welfare dell’animale. Il nostro progetto “Rose Veal” ha lo scopo di trasformare questo “scarto” in animali di alta qualità, tramite uno specifico programma di allevamento della durata di 7 mesi che ci regala capi di circa 150 kg di peso. Il risultato è una carne particolare, dal sapore elegante e delicato, morbida e magra, perfetta per persone che cercano una fonte gustosa e magra di proteine. Abbiamo iniziato 4 anni fa per seguire la nostra inclinazione etica volta alla sostenibilità, ed ora non riusciamo a stare dietro alle richieste che riceviamo, soprattutto dall’estero. Il ricordo più bello dietro al bancone? I primi 5 anni di attività passati a lavorare gomito a gomito con mio padre, le giornate di 14 ore spese ad affrontare la sfida dell’essersi messi in proprio, lavorando accanto al mio modello e mentore. Sembrerà ovvio e stucchevole, ma dal punto di vista tecnico ritengo mio padre Victor il miglior macellaio del mondo. E tua moglie? Ormai sarà diventata vegana... Conosco mia moglie da 25 anni e siamo sposati da 20. Durante gli alti e i bassi legati all’espansione della

nostra macelleria e al crescere quattro figli insieme, si è sempre rivelata la mia supporter numero uno, capace di ascoltare idee per nuovi progetti e dare giudizi puntali e costruttivi. Per quanto riguarda diventare vegana, non credo ci sia questo problema, adora la carne, anche se negli ultimi anni abbiamo ridotto il nostro consumo in famiglia. Come mai? Crediamo che mangiare meno carne sia parte della soluzione agli squilibri della catena alimentare. Meno carne, di alta qualità, cucinata in manie­ ra impeccabile e creativa, traendo spunto da altre culture. L’Asia, con la sua dieta fatta di verdura e carni cucinate in maniera gustosa e sempre diversa, avrà un enorme impatto sul modo in cui l’occidente si alimenta, vedrete! E guardando al futuro? Dopo tanto lavoro cosa ti rimane da fare? Se penso a quanta strada abbiamo fatto ancora non ci credo. Oltre alla nostra azienda di distribuzione Vic’s Meat e al nostro flagship store Victor Churchill, abbiamo realizzato anche uno show televisivo, The Chef & The Butcher e scritto un libro, “Meat“, pubblicato pochi mesi fa, una vera e propria bibbia della carne volta a

tra­ smettere al mondo quanto abbiamo imparato in 20 anni di storia. Nel Novembre 2019 apriremo a New York all’interno del mercato voluto dal mio caro amico Anthony Bourdain, ahimè scomparso da poco, un secondo Victor Churchill, per poter condividere con una platea più grande il nostro ethos e la nostra visione del mondo delle carni. Dopo tutto questo lavoro e dopo 22 anni dietro al bancone, in futuro voglio passare più tempo con la mia famiglia e viaggiare di più. Non vedo l’ora di poter tornare a Milano, una delle mie città preferite. La gastronomia Peck è uno dei miei punti di riferimento per ambiente, servizio al cliente e scelta. Un ultimo consiglio per i nostri appassionati? Non abbiate paura di fare errori. È tutta la vita che vivo con e per la carne, macellando, studiando, gri­ gliando ed ancora di tanto in tanto commetto errori e imparo. Perseve­ rate e raggiungerete il vostro obbiettivo! Grazie mille per il tuo tempo Anthony! A te Paolo, ti aspetto di nuovo a Sydney!

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APPROFONDIMENTO a cura di MICHELE CHIPA

KCBS &SCA UNA PICCOLA GUIDA

La Kansas City Barbecue Society (KCBS) è un’ associazione che nasce negli Stati Uniti nel 1985, la sua missione è la celebrazione, l’insegnamento, la protezione e la promozione del barbecue americano come tecnica culinaria, sport e forma d’arte. Quale miglior modo di compierla se non creando un circuito di gare?

La gara di barbecue è un evento durante il quale decine di team si sfidano a colpi di carbone durante un intero fine settimana. Il pubblico può interagire con i team in gara, ri­spettandone il lavoro, e assaggiando le preparazioni. Ogni team deve presentare un campione delle pietanze preparate ad un pool di giudici che le valuterà secondo le regole KCBS. I giudici ovviamente non conoscono la provenienza dell’assaggio per garantire la massima oggettività di giudizio. Attualmente la KCBS conta più di 20.000 membri in tutto il mondo e ha a disposizione giudici per oltre 500 eventi all’anno. Ma quali sono le preparazioni che ogni team deve consegnare obbligatoriamente? Le quattro categorie obbligatorie sono: chicken, ribs, pork e brisket La carne viene ispezionata prima dell’inizio della gara (meat inspection) al fine di valutarne la conformità alle direttive: solo dopo l’ispezione i team potranno iniziare a prepararla. Questa operazione viene eseguita dai REP ovvero i rappresentanti KCBS responsabili della correttezza della manifestazione. Oltre all’ispezione, i REP devono controllare il rispetto della normativa di gara, degli orari dei turn in (la consegna delle preparazioni), della regolarità dei giudizi e, infine, proclamano i vincitori di categoria e assoluti. Possono esser presenti delle categorie facoltative come 102 - BBQ4All MAGAZINE

chef choice, mistery box, salsa bbq ed altre che non concorrono alla definizione del vincitore finale, ma solamente del vincitore di categoria. Non è possibile utilizzare per la cottura dei dispostivi a gas o elettrici. Come si svolge la gara? La gara è articolata su due giorni, generalmente un fine settimana. Spesso si parte già il venerdì con la judging class, ovvero il corso finalizzato alla formazione di nuovi giudici. Il sabato mattina/primo pomeriggio è dedicato alla preparazione dei dispositivi e della postazione di lavoro e alla meat inspection. Successivamente si parte con la preparazione della carne: e qui ogni team ha una propria strategia. C’è chi va in cottura per l’intera notte (overnight), c’è chi preferisce farlo la mattina prestissimo e accorciare i tempi: in ogni caso, il campo gara non chiude mai. La domenica è il giorno della consegna delle prepara­ zioni (turn-in) e della valutazione dei giudici. Ogni tipo di carne deve essere consegnata in un box bianco fornito dall’organizzazione che non porti segni distintivi, ma solo un numero, assegnato anch’esso dall’organizzazione. Si parte col pollo alle 12, le ribs alle 12,30, il pork alle 13 e il brisket alle 13, 30. Le categorie extra vengono consegnate dopo. La tolleranza per la consegna va dai cinque minuti prima ai cinque minuti dopo l’ora prestabilita. Sforare quell’orario significa essere squalificati per quella determinata categoria. Nel pomeriggio della domenica avvengono le premia­ zioni e la proclamazione dei vincitori.


Come si svolgono i giudizi?

Che cosa è la SCA (Steak Cookoff Association)?

I giudici incaricati agli assaggi vengono divisi in tavoli composti da 6 membri. Ogni tavolo ha un responsabile (table captain) che controlla la regolarità dell’assaggio. Per avere il risultato più oggettivo possibile, ogni tavolo assaggia preparazioni di diverse squadre in modo da evitare che lo stesso team sia valutato sempre dal medesimo tavolo.

È sempre più frequente l’abbinamento di una gara SCA ad una gara KCBS. La SCA fu fondata nel 2013 e, a distanza di 5 anni, sanziona ben 180 eventi nel mondo. In una competizione di questo genere si va a giudicare la cottura della bistecca. In questo caso, per cuocere le bistecche sono permessi tutti i tipi di dispositivi, quindi anche quelli elettrici e a gas.

Ogni giudice valuta l’assaggio e dà una votazione numerica da 2 a 9 su tre aspetti: appearance (aspetto), taste (gusto), tenderness (morbidezza). La somma dei voti, al netto del giudizio peggiore, moltiplicato per un coefficiente di ponderazione predefinito (gusto più importante di morbidezza, morbidezza più importante di aspetto) dà il punteggio alla preparazione. Ogni categoria obbligatoria dà un punteggio ed una classifica Dalla somma dei punteggi di ogni categoria si ottiene il vincitore (Grand Champion) e il secondo classificato (Reserve Grand Champion).

Per evitare anomalie, le bistecche vengono fornite direttamente dall’organizzatore (taglio ribeye). Le squadre vengono estratte per la scelta delle due bistecche da grigliare. Devono però presentarne una sola. Il grado di cottura deve essere rigorosamente medio (warm pink center) e gli aspetti giudicati sono taste (gusto), doneness (grado di cottura), texture (consistenza della carne), appearence (aspetto) e overall impression (impressione generale). La somma dei voti dei giudici decreta il vincitore.

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REPORTAGE - testi di MICHELA BONGIORNI foto di ROSSELLA NEIADIN

WEST 2019 CRONACHE DEL GHIACCIO E DEL FUOCO Non è facile raccontare cosa sia una gara di barbecue a chi non l’ha mai vissuta. Mi ricordo bene la prima volta che ho cercato di descriverla ad amici e parenti: facce smarrite e sguardi interrogativi, con sorrisi fintamente accondiscendenti e commenti cortesemente distratti, tipo “ma pensa. Che bello. Insomma cucini tanto, eh? Brava.” Per questo motivo, non farò un semplice resoconto di quello che ho vissuto, ma cercherò, caro lettore, di prenderti per mano e portarti con me attraverso la gara di barbecue più estrema e spettacolare che, a tutt’oggi, viene organizzata ogni anno in Italia. Non sarà una descrizione, sarà un viaggio, anzi, un’immersione, quindi amico mio prendi fiato e facciamo il salto. 104 - BBQ4All MAGAZINE


l W.E.S.T. – Winter Extreme South Tyrol BBQ Contest è una gara di barbecue sanzionata dalla Kansas City Barbecue Society (KCBS). Viene organizzata, sempre a Gennaio ormai da cinque anni, dai leggendari MiG (Männer im Glutrausch, ovvero, in libera traduzione: uomini nell’ebbrezza della brace): Haymo Gutweniger, Michele Capano e Myrko Leitner. Uniti da una fortissima passione per la griglia e per il barbecue americano, un bel giorno i MiG hanno deciso di organizzare una gara di barbecue che fosse unica ed estrema. E ci sono perfettamente riusciti. Per darti solo una piccola idea di dove si svolge questa competizione, ti fornisco qualche informazione geografica e climatica: siamo a Riva di Tures, in provincia di Bolzano, a 1542m nella Valle Aurina ai piedi del Collalto (3.436 m), il monte più alto e imponente del Gruppo delle Vedrette di Ries. Pensi di potere arrivare quassù e sperare in una bella giornata di sole per scaldarti? Sbagliato. In Gennaio, ovvero il mese in cui, lo ripeto, ogni anno viene organizzata la gara, ci sono solo dai 30 ai 60 minuti di sole che illuminano l’area contest e la temperatura scende quasi sempre fino a -20 gradi centigradi e oltre. Senti già il freddo? Per arrivare fin qua, noi della redazione del BBQ4All Magazine abbiamo preso quattro treni, un autobus e un taxi. A ogni cambio, scendevamo di cinque o sei gradi rispetto alla fermata precedente. Il viaggio faticoso fa parte del pacchetto. Devi letteralmente arrampicarti, devi sudarti la meta. E quando arrivi, sei solo all’inizio.

Appena metti piede sul ghiacciato suolo del campo gara, due cose ti rimangono impresse: la meraviglia del pae­ saggio che si apre intorno a te, così bianco e accecante, fatto solo di monti, vallate e metri di neve (hai presente “Frozen”? Manca solo Elsa che canta “Let it Go”) e il pensiero “queste temperature non sono compatibili con la vita umana, chi me lo ha fatto fare?”. E se lo pensa chi, come noi, è solo uno spettatore, ti lascio immaginare cosa possano pensare coloro che gareggiano. La competizione si svolge il sabato e la domenica (sì, la notte compresa), ma già dal venerdì qui tutto è in fermento: ci sono nuovi giudici da formare con la KCBSJudging Class, durante la quale viene insegnato, a chi vuole diventare giudice per le gare future, quali siano i parametri da tenere in considerazione e quale sia il flavour profile di ogni singola preparazione; ci sono i team che cominciano ad arrivare e a scaricare tutta la loro roba (smoker, kettle, isobox, coltelli, taglieri, utensili da cucina, tavoli, sedie, stufe, cibo, alcol di varia natura, gazebo aggiuntivi) per sistemarsi in una delle trenta casette di legno che sono state tirate su apposta per l’occasione. Ah già, le casette di legno sono state usate dal secondo anno: nel primo erano stati messi a disposizione dei normali gazebo. I sopravvissuti lo ricordano come una sorta di espiazione dei loro peccati. Ma, come si sa, dagli errori si impara, ed ecco quindi tutte queste casettine immerse nella neve, che ricordano molto il villaggio di Babbo Natale. Solo che qui non ci sono gli elfi a costruire giocattoli per bambini viziatelli. Qui si griglia. Forte.

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Arriviamo sul campo gara sabato mattina: diversi team non sono ancora arrivati, molti invece si stanno sistemando, alcuni sono già con i dispositivi accesi e con la ciccia in cottura; non è certo quella che verrà presentata in gara, è un’altra ciccia: quella del divertimento e del sollazzo. Ci accoglie un Haymo indaffarato e gentile: “sono contento che siate arrivati! Trenta team in gara quest’anno! Abbiamo fatto il sold out di iscrizioni in poche ore”. Ci promette poi che ci concederà un’intervista di lì a breve. Nel frattempo ci invita a fare un giro sul campo gara. Fra poco ci sarà la Meat Inspection: i responsabili KCBS controlleranno la carne dei team per verificare che sia ben conservata, che non sia già pretrattata e che i tagli siano quelli previsti dal regolamento. Le quattro categorie ufficiali sono: Chicken, Ribs, Pork e Brisket. La prima cosa che facciamo è cercare i team italiani presenti: Bros Hog, The Barktenders, Psycho Dog, Luna Smoke, Burros, Italian Style e Smokin’Hot. Gli altri provengono da varie nazioni: Austria, Belgio, Svizzera, Germania, Svezia; ci rila­ sceranno interviste molto interessanti che potrete leggere qualche pagina più avanti. Incontriamo subito Alessandro Pavanello, degli Italian Style, che è lì insieme al suo team per partecipare solo alla SCA. La Steak Cookoff Association (SCA) è una mini-sfida affiancata alla gara maggiore: si svolge il sabato nell’arco di poche ore. L’organizzazione for-

nisce le bistecche (Ribeye) ai team partecipanti che possono sce­gliersi la propria fra tutte le bistecche presenti sul bancone, in base a un’estrazione. Tutti possono scegliersene due, ma devono poi presentarne una sola. Accanto alla bistecca, in questa occasione le squadre dovranno presentare anche un altro piatto: l’hot dog. La prima cosa che ci fa vedere Alessandro è proprio una foto di quello che presenterà ai giudici. Già ci fa venire fame: abbiamo davanti una goduriosa preparazione a base di hot dog e mac&cheese, una di quelle cose che fa salire il colesterolo solo a guardarla.

Fra poco i team che partecipano alla SCA devono andare a scegliere le bistecche, poi hanno poco tempo per cucinarle e per presentare i loro piatti: alle 16 devono correre a consegnare le Ribeye, alle 17 l’hot dog, poi possono rilassarsi un pochino in attesa della prima piccola premia­ zione, che ci sarà alle 18,30 circa. Lasciamo Alessandro a studiarsi le varie strategie di cottura e prose­ guiamo il nostro giro nel campo gara. Quest’anno c’è una gran bella novità: i foodtruck, fra cui quello dei MadforBbq, ragazzi riminesi che servono continuamente panini caldi con salsiccia affumicata, pulled pork ed altre preparazioni bbq e i Burros (che sono anche un team in gara) che servono i tortellini di Modena nel brodo caldo, un vero sollievo dal freddo intenso che già si insinua sotto le giacche. Mentre ci aggiriamo timidamente fra le casette dei team, incontriamo Marco Agostini dei The Barktenders che, con le sue due Ribeye appena scelte, ci saluta e ci dice che esi­ stono diverse strategie per la cottura della bistecca. C’è chi mette un rub particolare, chi sceglie di usare il burro, chi la lega come un filet mignon. Sappiamo che la bistecca non potrà essere trimmata e che l’assaggio avverrà dopo che i giu-

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dici avranno valutato il grado di cottura (è richiesta una cottura media da regolamento). Tutti quanti presentano le bistecche con grill marks nette e di un bel colore marrone scuro. Chiediamo se è un paramentro richiesto e ci viene riposto che è come lo smoke ring per il Brisket: le grill marks non sono obbligatorie ma ufficio­samente è meglio se sono presenti, perché la bistecca risulta più bella. Vedendo che alcuni team non sono ancora arrivati, decidiamo di fare qualche foto e di aspettare poi la premiazione SCA nella tenda riscaldata, dove costantemente vengono serviti the caldo, birre, liquori e bibite. La musica è alta, gli avventori e i curiosi si avvicendano, l’atmosfera è di festa. Accanto alla tenda c’è anche un bar che serve, fra la altre cose, il latte caldo con Zabov: schiumoso, liquoroso, bollente è quello che ci vuole per riscaldarsi. Non mancano le toilette pulite e i servizi essenziali: l’organizzazione è una macchina perfettamente oliata. Alle 18,30 le prime premiazioni: la tenda riscaldata si riempie, siamo tutti seduti ai tavoli e già abbiamo un piccolo spoiler di quella che sarà la grande premiazione, l’indomani. La cerimonia finisce presto, fra gridolini di gioia e applausi, poi Haymo preannuncia che sarà una serata di festa con musica dal vivo e cuochi che serviranno, intorno alla mezzanotte, la zuppa di gulash. Divertimento per tutti tranne che per i team, per loro inizia la vera sfida: sopravvivere alle temperature che scenderanno anche sotto i -20 gradi durante la notte. Eh sì, mio caro lettore: qui si fa sul serio. Le squadre presenti in gara si dividono abbastanza

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equamente in due scuole di pensiero: cottura hot&fast e cottura low&slow. Chi opta per la tradizione, ovvero per il calore dolce e prolungato nel tempo, sceglie di farsi l’overnight, cioè di controllare le proprie prepara­ zioni, che lentamente cuociono chiuse nei dispositivi, per l’intera notte (i team più numerosi riescono a dividersi il picchetto in due turni). Il low&slow è la scelta di Massimo Zaramella degli Psycho Dog, che ci dice in modo un po’ colorito ma decisamente esaustivo: “Per me solo tradizione, solo low&Slow. Venire in gara e fare hot&fast è come grattarsi il cuBIP! coi guanti”. Di altro avviso Carlo Alvaro dei Bros Hog, team pluripre­ miato in Italia e in Europa: “Durante le prime gare ti fai tutta l’overnight, perché è parte del divertimento. Poi quando come noi ne fai dodici o più all’anno, capisci che dormire la notte è molto importante ai fini del risultato, e quindi abbandoni il low&slow in favore dell’hot&fast”. Chi esegue questa tecnica, infatti, va a dormire la notte e arriva sul campo gara alle cinque del mattino per iniziare le cotture. Le due diverse scuole di pensiero sono anche, per estensione, un diverso approccio alla gara in generale. C’è chi la vive più come competizione sportiva, chi invece vuole godersi proprio ogni minuto e considera parte del divertimento anche la mancanza di sonno. Ma non credere a chi ti dice che va lì solo per partecipare: anche i team più sgarrupati e improvvisati del mondo vanno lì perché sotto sotto sperano di portarsi a casa uno o più premi. Fare una gara di barbecue è costoso. Ci sono team che riescono ad autofinanziarsi le gare, grazie ad eventi organizzati appositamente, ce ne sono altri che hanno trasformato questa passione in lavoro, aprendo


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locali o fornendo servizi di catering; ma ci sono anche quelli che lo fanno solo come hobby: portarsi a casa un premio ripaga di tanta fatica e tante spese. E se è un premio importante, si vincono anche dei soldini. Quindi ripeto, in barba a de Coubertin: l’importante è partecipare, ma se si vince è molto meglio. Chiediamo a quasi tutte le squadre presenti perché hanno scelto di partecipare a una gara così estrema, al freddo e al gelo. Tutte, nessuna esclusa, rispondono che è una gara unica nel mondo, che la bellezza del paesaggio è mozzafiato, che il W.E.S.T. ha un fascino particolare, che la doppia sfida col fuoco e col ghiaccio rende il tutto ancora più appassionante. Ci sono poi anche aspetti romantici: i Bros Hog, ad esempio, la ricordano come la loro prima gara in assoluto e ogni anno, partecipando, celebrano l’anniversario. “Ma cosa differenzia questa da tutte le altre gare in Italia e nel mondo?” chiediamo ancora ai Bros Hog. Risponde Alessandro Iorio: “Noi ormai abbiamo partecipato a molte gare sia in Italia che all’estero. Il W.E.S.T. fra le italiane è quella organizzata meglio, con gli eventi associati alla gara e ogni anno una novità. Ne è prova il fatto che i team fanno le corse per potersi iscrivere in tempo. Rispetto al resto del mondo l’Italia è ancora indietro. La gara di barbecue rimane ancora una cosa di nicchia, ci vorrà del tempo prima di avvicinarsi ai numeri, per esempio, della gara di Ruhrpott in Germania, che se­ condo noi è la migliore in Europa.” “E l’America?” “Quello è proprio un altro mondo. Noi abbiamo fatto l’American Royal World Series of Barbecue, che è come il Disney World delle gare di barbecue. È un evento co­ stosissimo, paragonabile con le dovute proporzioni al

Super Bowl: team che affittano spazi enormi e organizzano feste private a pagamento, con musica e streetfood. Pullman di turisti che raggiungono l’evento da tutto il mondo, la tv, i giornali, gli sponsor. Una cosa inimmaginabile, se non ci sei stato”. A te, caro amico che leggi, non è venuta una voglia enorme di vederla, una cosa del genere? Torniamo sulla terra e al nostro W.E.S.T. È incredibile come nelle competizioni di questo tipo il tempo scorra in modo diverso: tanto lunga è la notte che, come diceva una famosa canzone, non passa mai, tanto veloce è la mattina, allorché tutti i team si ritrovano in un battibaleno al dover cominciare le consegne (turn in). Ed è in quel momento che l’ansia comincia a prendere il sopravvento: alle 12 devi consegnare il Chicken, alle 12,30 le Ribs, alle 13 il Pork e per ultimo, alle 13,30 il Brisket. Esistono poi categorie accessorie facoltative: in questo caso i team devono presentare un dolce, alle 14. Tutte le preparazioni principali vengono presentate in box bianchi forniti dall’organizzazione che non possono avere segni distintivi, pena la squalifica. L’unica guarnizione permessa nei box è un “tappeto” di insalata lattuga o prezzemolo riccio, su cui vengono appoggiati gli assaggi di ogni preparazione (almeno sei assaggi, uno per ogni giudice). Poi i box vengono chiusi e consegnati ai responsabili, che hanno il compito di distribuirli ai tavoli dei giudici. La domenica mattina non osare avvicinarti a uno dei team nei minuti che precedono il turn in, se non vuoi ritrovarti con un coltello alla gola. Noi, molto rispettosi,

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ci limitiamo a fare le foto e a guardare gli avventori curiosi e affamati, che aspettano con trepidazione la fine delle consegne, perché a quel punto le squadre mettono fuori tutte le preparazioni avanzate. Hai presente le cavallette? Ecco, più o meno così. Alle 14,05 il campo gara diventa una bolgia infernale di visitatori che, a mani nude, arraffano succulente costine, fettone di bri­ sket e sfilacci di pulled pork, come se avessero fame da un paio d’anni. Le squadre a quel punto si rilassano, quel che fatto è fatto. Inizia l’attesa della premiazione. Se non hai mai partecipato a una gara di barbecue, non puoi sapere cosa sia davvero l’ansia. Certamente, a un certo punto della gara tutti pensano “ma perché decido volontariamente di sottopormi a una tortura del genere?”. Anch’io, che ho partecipato qualche volta e mi sono presa un paio di soddisfazioni, non saprei risponderti su due piedi. L’adrenalina. La sfida. L’atmosfera. Ma pensandoci bene conta anche il fatto di partecipare a una cosa strana agli occhi di molti, non banale, non scontata, veramente faticosa, che mette alla prova fisico e nervi e che non tutti sarebbero in grado di affrontare. Il momento che segue il turn in è suddiviso così: una mezz’ora di “mi siedo due minuti finalmente” e, subito dopo, la frenesia “ok, cominciamo a mettere a posto che appena finite le premiazioni ce ne andiamo, eh!”. In un battibaleno le squadre rimontano tutto sui loro furgoni. Via gli striscioni, le bandiere, i dispostivi. Per le quattro e mezza, orario della premiazione, sono tutti pronti e seduti nella tenda riscaldata con una birra davanti, in attesa delle call. La premiazione è in assoluto il momento più bello: Haymo col microfono in mano chiama le squadre vincitrici e tu vedi ragazzoni alti due metri piangere come pupi perché hanno ricevuto un premio per la cottura del pollo o del pork. Vedi i team che non vengono chiamati applaudire gli altri con un po’ di tri­ stezza, un po’ di invidia ma anche partecipazione. Vedi i mariti che sul palco portano le mogli (a proposito, la presenza femminile nei vari team è in costante ascesa) e i figlioletti, alcuni anche di pochi giorni. Urla 114 - BBQ4All MAGAZINE


liberatorie, qualche siparietto simpatico, abbracci a non finire. Noi tifiamo per le squadre italiane, che ci danno delle belle soddisfazioni: The Barktenders si aggiudicano un primo posto Brisket e un primo posto Pork. Luna Smoke è la squadra italiana col punteggio più alto in overall (classifica generale) e per questo si aggiudica un gettone per la partecipazione al Jack Daniel’s World Championship Invitational Barbecue, la mitica gara che si svolge in autunno in Tennessee. Alla fine delle premiazioni tutti si fiondano a prendere le score sheet sulle quali possono leggere il loro risultato, i voti dati da ogni giudice a ogni singola preparazione, e possono trovare le eventuali comment card, ovvero dei bigliettini in cui il giudice a sua discrezione giustifica un voto che ha dato, sia esso molto basso o molto alto. Le squadre si dividono in capannelli, vedi teste chine sui fo­ gli. Qualcuno alza le spalle, qualcuno scuote la testa: come sempre c’è chi si aspettava di più e non capisce. Poi, però, sportivamente accetta il risultato e se ne va. Incontriamo i tre ragazzi del team Smokin’Hot, giovanissimi (uno di loro ci tiene a farci sapere di avere solo 23 anni) che sono alla loro prima gara KCBS e che si portano a casa un buon risultato. Si dicono soddisfatti, sono contenti per l’organizzazione perfetta, il freddo non li ha spaventati, il giudizio ricevuto è coerente con le loro aspettative. Devono solo aspettare il carro attrezzi perché l’auto di uno di loro è in panne a causa del congelamento del gasolio e poi potranno andare a casa contenti. Le due giornate sono finite, cala velocemente il buio sul campo gara, l’organizzazione comincia a smontare tutto. I team se ne sono andati, alcuni felici, alcuni con un po’ di amarezza. Tutti stanchi. In molti poi durante il ritorno pensano: “basta, questa è l’ultima gara che faccio!”. Fino alla prossima. E tu che hai letto fino a questo momento, dimmi: non hai voglia di viverti un’esperienza simile? ALMANACCO 2019

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CLASSIFICA GENERALE

Individual Categories Master Series

Grand Champion : Hot Wachula’s Reserve Grand Champion: Gecko BBQ

Individual Categories Master Series

CHICKEN

PORK RIBS

RANK

TEAM NAME

TOTAL

RANK

TEAM NAME

TOTAL

RANK

TEAM NAME

TOTAL

1

Hot Wachula’s

696.5828

1

Masters of Fire

180.0000

1

Good Old BBQ

176.0116

2

Gecko BBQ

689.0744

2

Hot Wachula’s

177.2000

2

Hot Wachula’s

173.7028

3

Good Old BBQ

687.9544

3

Smoke and Fire

177.1428

3

Knockstone BBQ Team Austria

173.1428

4

Smoke and Fire

679.4404

4

West Side BBQ

174.8456

4

Luna Smoke

173.1428

5

Cooklounge BBQ

675.4400

5

Cooklounge BBQ

173.1428

5

Psycho Dog bbq team

173.1200

6

Luna Smoke

675.3372

6

White Squirrel BBQ

171.9656

6

Smoke and Fire

172.5944

7

Knockstone BBQ Team Austria

673.6340

7

Rokende Regahs

170.8456

7

Cooklounge BBQ

172.5600

8

Smokin’ Hot

673.1772

8

BBQ Freunde Südtirol

169.6800

8

The Barktenders

171.9772

9

Iron BBQ

672.1144

9

Gecko BBQ

169.6800

9

Gecko BBQ

168.5716

10

White Squirrel BBQ

667.3484

10

PureBBQ

169.6684

10

Iron BBQ

168.0000

11

Rokende Regahs

667.2912

11

KGB - Katka Gergo Barbecue

169.6684

11

Rokende Regahs

166.2400

12

Bros hog

665.0056

12

Good Old BBQ

168.5600

12

Viking BBQ

165.7256

13

Viking BBQ

661.1656

13

Smokin’ Hot

165.6912

13

Bughouse Smokers

164.5256

14

Bughouse Smokers

655.2684

14

Bros hog

165.1084

14

Smokin’ Hot

163.9888

15

KGB - Katka Gergo Barbecue

653.1088

15

Iron BBQ

164.6400

15

BBQ Freunde Südtirol

163.9772

16

Burros bbq

652.9944

16

Wild Hogs BBQ

164.5484

16

Chläggi-Brutzler

163.9772

17

West Side BBQ

649.6112

17

No Regrets Barbecue

163.4284

17

West Side BBQ

163.3944

18

PureBBQ

649.0172

18

Viking BBQ

161.7372

18

Masters of Fire

163.3828

19

Masters of Fire

647.9084

19

Südtiroler BBQ

159.9656

19

Bros hog

162.2516

20

Wild Hogs BBQ

637.5888

20

Luna Smoke

159.9428

20

PureBBQ

162.2516

21

District of Grillers-Xtreme BBQ Team

635.7940

21

District of Grillers-Xtreme BBQ Team

159.9428

21

Salzburger Barbecue Bulls

162.2284

22

BBQ Freunde Südtirol

635.2572

22

Knockstone BBQ Team Austria

159.4056

22

White Squirrel BBQ

159.4172

23

Salzburger Barbecue Bulls

631.2912

23

Bughouse Smokers

157.0856

23

District of Grillers-Xtreme BBQ Team

158.2056

24

No Regrets Barbecue

627.4744

24

Burros bbq

155.3484

24

Tactigrill

157.7028

25

Chläggi-Brutzler

622.7544

25

Chläggi-Brutzler

153.1200

25

Burros bbq

157.6572

26

Psycho Dog bbq team

618.0800

26

BBQ Grillfreunde Vinschgau

152.5828

26

BBQ Grillfreunde Vinschgau

156.5828

27

BBQ Grillfreunde Vinschgau

586.8344

27

Salzburger Barbecue Bulls

150.8112

27

No Regrets Barbecue

156.5716

28

Südtiroler BBQ

581.0056

28

Tactigrill

149.1888

28

KGB - Katka Gergo Barbecue

155.4288

29

The Barktenders

525.6916

29

Psycho Dog bbq team

116.9944

29

Wild Hogs BBQ

141.6576

30

Tactigrill

469.7488

30

Südtiroler BBQ

141.1200

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Individual Categories Master Series

Individual Categories Master Series

PORK

Caregoria accessorie

CHEF CHOISE

BRISKET

RANK

TEAM NAME

TOTAL

RANK

TEAM NAME

TOTAL

RANK

TEAM NAME

TOTAL

1

The Barktenders

177.7144

1

The Barktenders

176.0000

1

Knockstone BBQ Team Austria

178.8572

2

Gecko BBQ

177.7028

2

Wild Hogs BBQ

175.4056

2

Chläggi-Brutzler

177.1772

3

Smokin’ Hot

177.2000

3

Gecko BBQ

173.1200

3

Salzburger Barbecue Bulls

176.0572

4

Hot Wachula’s

172.5716

4

Hot Wachula’s

174.8456

Luna Smoke

173.1084 172.0456

4

Iron BBQ

177.1772

5

Knockstone BBQ Team Austria

177.1428

5

Viking BBQ

169.1428

5

6

Burros bbq

175.4400

6

Good Old BBQ

168.5372

6

BBQ Freunde Südtirol

7

Good Old BBQ

174.8456

7

Luna Smoke

167.9772

7

Tactigrill

169.1200

8

Luna Smoke

174.2744

8

Smokin’ Hot

166.2972

8

Iron BBQ

167.9656

9

Südtiroler BBQ

151.9540

9

Hot Wachula’s

173.1084

9

Cooklounge BBQ

165.7372

10

Bros hog

171.9656

10

Bughouse Smokers

165.6800

11

White Squirrel BBQ

170.8228

11

Bros hog

165.6800

12

Rokende Regahs

168.5256

12

White Squirrel BBQ

165.1428

13

Bughouse Smokers

167.9772

13

No Regrets Barbecue

164.5944

14

Smoke and Fire

167.4288

14

Burros bbq

164.5488

15

Viking BBQ

164.5600

15

KGB - Katka Gergo Barbecue

164.0116

16

Cooklounge BBQ

164.0000

16

Psycho Dog bbq team

163.9772

17

KGB - Katka Gergo Barbecue

164.0000

17

Knockstone BBQ Team Austria

163.9428

18

Psycho Dog bbq team

163.9884

18

District of Grillers-Xtreme BBQ Team

163.3828

19

Chläggi-Brutzler

163.4056

19

Tactigrill

162.8572

20

Salzburger Barbecue Bulls

158.8344

20

Iron BBQ

162.2972

21

BBQ Freunde Südtirol

157.6800

21

Smoke and Fire

162.2744

22

PureBBQ

156.5484

22

Rokende Regahs

161.6800 160.5488

23

West Side BBQ

155.9884

23

PureBBQ

24

Wild Hogs BBQ

155.9772

24

Salzburger Barbecue Bulls

159.4172

25

District of Grillers-Xtreme BBQ Team

154.2628

25

Masters of Fire

157.1084

26

BBQ Grillfreunde Vinschgau

150.8572

26

West Side BBQ

155.3828

27

Masters of Fire

147.4172

27

BBQ Freunde Südtirol

143.9200

28

No Regrets Barbecue

142.8800

28

Chläggi-Brutzler

142.2516

29

Südtiroler BBQ

141.1428

29

Südtiroler BBQ

138.7772

30

BBQ Grillfreunde Vinschgau

126.8116

ALMANACCO 2019

- 117


INTERVISTA - a cura di MICHELA BONGIORNI e MARIANGELA IBBA

HAYMO

GUTWENIGER il segreto del nostro successo

Davanti a un bicchiere pieno e fumante di tortellini in brodo di cappone, siamo seduti insieme ad Haymo Gutweniger nel tendone riscaldato tirato su, qui al W.E.S.T., apposta per permettere a tutti i visitatori e ai partecipanti di riscaldarsi e di riposare. Haymo è il rappresentate italiano della KCBS, da pochissimo membro del KCBS Board of Directors, si occupa fra le tante cose anche della formazione di nuovi giudici (insieme a Luca Famigli, l’altro rappresentante italiano) ed è uno dei tre MiG, gli organizzatori di questo evento così particolare. Sguardo vivace, barba folta e bianca e spiccato accento altoatesino, Haymo ci concede questa intervista al volo, mentre viene chiamato da tutte la parti da persone dello staff, visitatori, partecipanti e amici. Nonostante sia così indaffarato, accetta di rispondere a tutte le domande con perizia di particolari: segno che per lui questo non è solo un lavoro, ma una vera e autentica passione.

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ALMANACCO 2019

- 119


Perché il West è una gara barbecue fondamentalmente diversa da tutte le gare italiane? Non solo è fondamentalmente diversa dalle gare italiane, è fondamentalmente diversa da qualsiasi contest barbecue a livello mondiale. Questa gara è nata in un quarto d’ora, come un’idea strana, quando il circuito delle gare KCBS in Italia e in Europa era all’inizio. Il primo contest europeo è del 2011, la prima edizione del West è del 2015. L’idea del West è nata in una serata estiva. Riflettendo sul fatto che tutti organizzavano gare barbecue in esta­ te, ci siamo detti: “perché noi non proviamo a fare qualcosa di diverso e di estremo?” Abbiamo messo su la prima edizione del W.E.S.T. in tre mesi. Il primo anno ci aspettavamo sette, otto squadre, non pensavamo che ci fossero tante persone così matte da partecipare a una gara del genere. Invece abbiamo avuto ventiquattro squadre. Il primo anno i team avevano a di­ sposizione solo le tende, per la se­ conda edizione abbiamo cercato altri sponsor per dare ai partecipanti delle casette di legno. Questa è una zona molto ventosa e per la sicurezza dei team le casette di legno sono un’ottima soluzione. Ci hanno chiesto di replicare il W.E.S.T. anche d’estate ma abbiamo rifiutato, nel periodo estivo ci sono

già tanti contest. In Italia il W.E.S.T. è la gara barbecue che ha avuto più consensi, un successo che è andato crescendo, rispetto ad altre gare che sono partite bene ma hanno registrato un calo significativo di entusiasmo nel tempo. Perché secondo te? Forse l’errore delle altre manifesta­ zioni è nell’organizzazione. Noi ad ogni edizione abbiamo cercato di aggiun­gere sempre qualcosa di nuovo, anche adesso che siamo arrivati alla quinta edizione non abbiamo perso la voglia di migliorarci. Una gara barbecue all’esordio non

deve mai partire come un grande evento, ma crescere nel tempo, trattare bene i team e i giudici, e creare un programma di eventi aggiuntivi per il pubblico. Oggi abbiamo i foodtruck e il tendone riscaldato, con musica anche dal vivo: cose che non avevamo all’inizio. Il West è cresciuto nel corso delle varie edizioni, aggiungendo ogni anno delle novità. Tutto questo è molto importante per le squadre, per gli spettatori, per i giudici e, siamo sinceri, anche per gli sponsor. Sponsor che devi cercare, devi convincere, ai quali devi vendere la tua manifestazione e fare in modo che guadagnino anche loro, indirettamente. Un posto come questo, estremo in tutti i sensi, anche dal punto di vista del panorama mozzafiato, attira più pubblico e più team rispetto ad altri contest barbecue orga­ nizzati in posti meno belli? Sicuramente la cornice invernale e l’essere così vicino a montagne alte 3500 metri è un di più che attira spettatori e team. L’anno scorso abbiamo ricevuto un complimento bellissimo, gli americani hanno stilato una lista dei contest barbecue più strani e importanti a livello mondiale, il W.E.S.T. era tra i primi cinque. La stranezza della nostra competizione non è la gara invernale, perché ce ne sono altre, ad esempio in Minnesota gareggiano su un lago ghiacciato. Solo che lì i team arrivano sui loro trailer e non scendono mai, mentre noi siamo gli unici al mondo dove i team vivono la gara

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completamente all’aperto, affrontando le difficoltà del freddo intenso. Un altro vantaggio di cui beneficiamo è la pausa della stagione agonistica da Ottobre a Marzo, i team si sono riposati e scalpitano per gareggiare: il W.E.S.T. è il primo contest dell’anno. Arrivato all quinta edizione il W.E.S.T. si è fatto una sua reputazione, perché, siamo sinceri, è vero che si gelano le mani, è vero che si gelano le carni, ma almeno una volta i team vogliono viverlo. Ogni anno, alla fine della manifesta­ zione, se domandi a noi organizzatori: “Ma il prossimo anno lo rifate?” la risposta è: “No!”, perché siamo cotti, in special modo quest’anno. Nessuno lo sa, ma la strada per arrivare qui è stata chiusa fino a martedì sera, per rischio valanghe, e noi avevamo programmato l’arrivo delle casette di legno per mercoledì mattina. La stessa identica sensazione la vivono anche i team dopo ogni gara, ma dopo una settimana torna la voglia di gareggiare. Succede anche a noi. Dalla prima edizione, la domenica dopo i turn in i team offrono ciò che hanno cucinato al pubblico in cambio di un contributo libero, i soldi raccolti vengono donati alla Debra Italia Onlus. Ecco, nel momento in cui con-

segniamo alla Debra il nostro piccolo contributo, ci torna immediatamente la voglia di organizzare la nuova edizione (quest’anno il W.E.S.T. è riuscito a devolvere 1700 euro per l’associazione, per un totale complessivo di 10.000 euro in cinque anni N.d.r.). Visto il grande successo del W.E.S.T. gli sponsor fanno a gara per finanziarvi o dovete sempre cercarli? In parte sì, in parte no. Oggi tutte le manifestazioni cercano sponsor, noi abbiamo il vantaggio di avere un nome, ma continuiamo comunque a ricercare partner commerciali. A dirla tutta non ci lamentiamo: abbiamo sponsor piccoli e qualche sponsor più grande. Quest’anno avete introdotto la SCA, il contest sulla bistecca. È un contest molto interessante per le squadre: veloce, con regole semplici, che si basa sulla bistecca. La SCA è diversa dalla classica gara barbecue, perché dura solo tre, quattro ore e la carne la fornisce l’organizzazione. Ogni squadra riceve un box e due bistecche, che può scegliere durante il cook meeting. I team devono riconsegnare una sola bistecca nel box chiuso; è richiesta una cottura media. La bistecca viene tagliata e giudicata da cinque giudici

su quattro parametri: aspetto generale, punto di cottura, sapore, consistenza. Per cuocere la carne i team possono usare tutto: gas, carbone, elettrico. Vale tutto. Secondo me, questo tipo di contest si sposa molto bene con la gara KCBS che ha preparazioni molto lunghe. L’hanno scorso avevamo come categoria extra per la SCA gli hamburger, quest’anno abbiamo gli hot dog. I giudici molto spesso sono stati oggetto di discussione, tu cosa pensi sulla veridicità dei giudizi? Il problema del nostro mondo è che tutti noi compriamo perfezione e tutti noi vendiamo perfezione, ben sapendo che non esiste. C’è l’errore della squadra, dell’organizzatore e l’errore qualche volta del giudice, ma se guardiamo i risultati europei, con 40 contest annui e vediamo più o meno le stesse squadre in alto nella classifica, cosa possiamo dire? È sempre facile lamentarsi e le squadre si lamentano dei giudici in tutto il mondo. Uno dei problemi che ho riscontrato come membro di un team è che troppo spesso, qui in Italia, il giudice non scrive la comment card e tu rimani spesso con un voto molto basso chiedendoti perché è arrivato. Non sarebbe bene spingere i giudici a giustificare i voti bassi,

ALMANACCO 2019

- 121


in modo da aiutare i team a capire dove hanno sbagliato? C’è stata una discussione interna alla KCBS, sulla richiesta di alcune squadre di rendere obbligatoria la comment card con un certo punteggio. Alla fine la KCBS ha stabilito che la comment card non può essere obbligatoria, ma solo volontaria. Le squadre vogliono giudici esperti, in Europa ne abbiamo venti, venticinque. In realtà, per la mia esperienza, i giudici nuovi sono molto più cauti nei giudizi e tendono a rimanere alti, mentre il giudice esperto no, perché ti dice sinceramente anche quando la preparazione non va e ti dà anche il 5 e il 6. Ma un giudice che proviene da culture gastronomiche molto diverse è in grado di riconoscere se un brisket è veramente buono o no, senza averlo mai assaggiato prima? Gli diamo noi i parametri da seguire, gli insegniamo a riconoscere se è buono o no, al di là del gusto personale. Io da tre anni sono anche istruttore di nuovi giudici, ne ho certificati tra i 350 e i 400 e continuo a seguirli. Una cosa è certa: se una preparazione non è buona è giusto dare il 4, il 5 e il 6. Inoltre dall’anno scorso, all’interno della KCBS la scelta dei giudici non è più libera, ma è affidata a un sistema computerizzato che funziona da Dio. Il tempo a nostra disposizione è finito. Haymo deve scappare, fra poco i team devono andare a scegliersi le bistecche per la SCA, poi devono prepararsi per le premiazioni. Prima di salutarci, però, prende il cellulare e ci mostra le foto di due bambini appena nati: “ci tengo a dirvelo, la cosa più importante della mia vita sono loro: mia figlia, di poche settimane e mio nipote, che ha solo nove giorni”. Gli occhi gli diventano lucidi per un attimo, poi si alza e se ne va.

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INTERVISTA - a cura di EMILIANO NENCIONI

DALLA ALLA

SVIZZERA F LO R I DA

i team internazionali al

W.E.S.T.

Il mio compito, qui al W.E.S.T., è ben preciso: venendo meno il mio solito incarico di guidatore astemio, dopo l’incauto affidamento degli spostamenti all’agghiacciante sistema ferroviario italiano, serve qualcuno in grado di intervistare in inglese i membri dei team stranieri più quotati.

I momenti buoni per l’intervista sono essenzialmente due: il primo, la mattina del sabato, quando tutti i concorrenti, freschi e generalmente di buon umore, socializzano e offrono qualche grigliatina estemporanea; il secondo, il sabato notte, nei festeggiamenti e nella famigerata convivialità della lunga cottura notturna, l’overnight. Mai, assolutamente mai importunare i concorrenti la domenica mattina a ridosso del turn in, quando devono dare il loro meglio e rispettare precisamente i tempi di conse­ gna delle preparazioni ai giudici; e neanche dopo il turn in, prima della premiazione, quando tutti i team, stanchissimi, con poche (diciamo pochissime) ore di sonno sulle spalle, cercano solo di rilassarsi, riprendere fiato e contemporaneamente smontare il loro piccolo accampamento competitivo. Sabato mattina: un freddo insopportabile, impossibile stare fermi all’aperto. Comunico che aspetterò i team da intervistare al caldo del bar attiguo al campo gara, tanto prima o poi tutti passano da lì. Sabato notte: il freddo della mattina era solo un assaggio, e anche solo togliersi i guanti un attimo per utilizzare uno smartphone diventa doloroso dopo una manciata di secondi. Domenica mattina il resto degli inviati della redazione, riuniti davanti a un confortevole latte e zabov bollente, mi chiede con entusiasmo un breve riassunto di tutti gli aneddoti sensazionali e imperdibili frammenti di vita vissuta da me raccolti. Il mio bottino al momento consiste in un paio di selfie, lo scontrino di un food truck

austriaco e due chiacchiere con la barista. Con ampi gesti da venditore di auto usate tranquillizzo i colleghi, con una vaga scusa mi allontano e mi dirigo verso le mie interviste internazionali. Lo so, avevo detto che la domenica sarebbe stato il momento meno adatto. Invece ho dovuto ricredermi: nono­ stante la stanchezza e il calo di tensione, sono stati tutti felici di concedermi un’intervista e hanno parlato a lungo con me, sia durante le operazioni di sgombero, sia dopo le premiazioni. I primi che ho intercettato sono stati i Good Old BBQ, dalla Svizzera, tra Lucerna e Zurigo sottolineano. Nel 2018 hanno fatto dodici gare, di cui quattro in italia, una in Svizzera e il resto in giro per l’Europa; la scelta di venire al W.E.S.T è stata anche di carattere strategico, perché è la prima competizione KCBS della stagione, utile per fare un posizionamento e verificare l’efficienza del team. La prendono anche un po’ come una sfida perché, sostengono loro: “Fare barbecue con 28 gradi riesce a tutti!”. Ottimisti. I Good Old BBQ sono infatti alla terza partecipazione e solo la prima volta hanno avuto problemi di gestione della temperatura in griglia. Parlandoci un po’ scopro però che non fanno la cottura overnight: si dedicano all’Hot&Fast, per cui le loro cotture iniziano la mattina alle sei, togliendo di mezzo molti problemi di ipotermia. Sottolineando svariate volte che “gli altoatesini non si sentono italiani e più si va a nord più le gare europee sono precise, pignole e fiscali, mentre scendendo in Italia si nota un certo permissivismo e fin troppa tolleranza.” Riguardo a cosa, chiedo. “Per ALMANACCO 2019

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esempio molti team si lasciano andare all’eccessiva sporcizia e ci vorrebbe il polso più fermo”. Li ringrazio, li saluto e mi dirigo velocemente verso i KGB, che hanno appena completato il turn in: il nome del team viene dalle iniziali dei fratelli Katka e Gergo, provenienti dall’Ungheria, ristoratori a tempo pie­no. Fanno gare quando la loro attività glielo concede, precisamente

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sette nel 2018 e se tutto va bene sperano di riuscire a farne quattro o cinque nel 2019. In italia il W.E.S.T è la loro prima gara, ma in compenso hanno ricevuto il draw per il Jack, un’ambitissima competizione negli States. La loro principale difficoltà, guarda caso, è stata gestire il grande freddo, specie al momento del turn in, “perché ai giudici la carne molto fredda potrebbe piacere meno del dovuto”. Hanno apprezzato molto

la presenza delle casette in legno, e il generale buon umore e la predi­ sposizione a fare amicizia dei team presenti. Scorgo un team che sta portando via tutto quanto dal campo gara, caricando le masserizie su una slitta di vago stampo santaclausiano: sono i Rokende Règahs dall’Olanda, un team da settanta gare in sette anni, presenti al W.E.S.T per la quarta volta e invitati tre volte su tre al Prime Uve Invitational Barbecue Champion­ ship, l’esclusiva gara italiana che per quattro anni è stata organizzata nella storica sede della Distilleria Bona­ ventura Maschio a Gaiarine (Tv). Li intercetto prontamente, provocando solo un lievissimo ritardo nelle loro operazioni di sgombero. Questi signori vogliono che il loro talento alla fiamma rimanga solo un hobby, nonostante competano senza sosta in Olanda, Belgio, Germania, Inghilterra, Svizzera, Austria, Repubblica Ceca: “la nostra priorità è divertirci e non abbiamo nessuna intenzione di farne un lavoro”. Si concedono però alcuni workshop, eventi e ca-


tering a pagamento, pratica comune fra i team più forti, per finanziare l’attività competitiva. Approfondendo qualche concetto tecnico concordiamo che una difficoltà inaspettata al West è la carenza di ossigeno dovuta all’altitudine, con tutti i problemi di combustione e di resa del carbone ovviamente legati a questo fattore ambientale. Essendo organizzatori di gare i Rokende Règahs sono dell’avviso che “ogni gara debba avere degli eventi collaterali per portare pubblico, soldi e interesse, con la speranza che i semplici curiosi diventino un giorno degli appassionati”. Alle gare trovano sempre “amici molto generosi”, e di solito quando gareggiano fuori dall’Olanda i loro “barbecue friends” prestano loro le attrezzature e i dispositivi necessari, un gesto decisamente molto bello da parte degli amici-avversari. Un fuggi fuggi generale mi fa capire che nel tendone (più o meno) riscaldato sta per aver luogo la premiazione: corro con la velocità appropriata ad un principio d’assideramento per

accaparrarmi il posto migliore (che non è in prima fila, ma accanto al cannone dell’aria calda) e mi godo i crolli emotivi dei concorrenti. È Matt Barber degli Hot Wachulas (Lakeland, Florida), Grand champion del West 2019, che ho il piacere di interpellare al termine della cerimonia di premiazione. Ha vinto, è il numero uno, e si fa intervistare molto volentieri. Ha gareggiato in team con appassionati italiani conosciuti in Florida, che lo hanno aiutato nella sua partecipazione al W.E.S.T. Compete da circa nove anni, per una media di circa trenta - quaranta gare all’anno, e questa è la prima sua gara in Italia. È rimasto colpito da “quanto siano tutti amichevoli e di­ sponibili” e, con mia discreta soddisfazione, usa la parola comraderie (vedi rubrica Seguo più avani n.d.r.). Dettaglio di colore, Matt è felicissimo di “trovare, nelle gare italiane, quella dimensione più familiare e ludica che negli States si è ormai persa, visto che oltreoceano i contest sono dei megaeventi che riempiono autodromi interi”. Vive il clima più ap-

passionato e più umano come un ritorno alle origini. Gli Smoke and fire, dal Belgio, hanno realizzato un risultato particolare nella categoria chicken: il Perfect Score. Tutti nove. Una bella medaglia da appuntarsi all’uniforme del team. Per loro probabilmente non è un punteggio troppo inaspettato: di solito vanno molto forte proprio nel pollo, mi dicono. Partecipano a dieci - dodici competizioni all’anno, escludendo gli invitational. Fanno gare in Belgio, in Olanda, sono già stati al W.E.S.T e al Prime Uve. La loro maggiore difficoltà è stata un corto circuito che ha causato un blackout alla loro casetta di legno, che ha bloccato il riscaldamento e ha fatto congelare tutto. Prima di salutarmi, il team leader ci tiene a sottolineare che “al W.E.S.T tu sai per certo che sarà molto freddo, ti organizzi con indumenti e strutture. Invece nelle altre gare il freddo ti può prendere alla sprovvista. Ecco, stavolta non ci siamo fatti trovare impreparati”. Effettivamente, non fa una piega.

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RICETTE DA GARA di EMILIANO NENCIONI

Kansas City Style

PORK RIBS Le costine di maiale cotte affumicando per un lungo periodo di tempo sono una delle preparazioni più tipiche ed evocative dell’american barbecue: morbide, saporite, dolci, luccicanti di salsa, si contrappongono, nell’immaginario italiano, alle nostra versione più basilare, veloce e troppo spesso un po’ bruciacchiata. In questo articolo, come è capitato lo scorso numero per il brisket, non cercherò di darti le dritte essenziali per un buon piazzamento in una gara KCBS (visto che questo numero ne parla ampiamente), ma farò in modo di darti la possibilità di preparare un’ottima pietanza da servire in tavola, che incontri i gusti dei più e che si possa mangiare fino ad esaurimento, non solo un morso a testa. Ho scelto di presentarti la cottura “Kansas City Style”, una wet con rub a base di paprika e salsa barbecue rossa. Parti dal fatto che ti serve il taglio giusto: baby back o spare ribs. • Baby back: ricavate a partire dall’osso spinale, per una lun­ ghezza di 10cm circa, sono molto incurvate. • Spare ribs: ricavate a partire dal 126 - BBQ4All MAGAZINE

taglio finale delle baby back fino ad arrivare allo sterno. Scelta che lascio ai tuoi gusti. Ovviamente non puoi pensare di fare delle pork ribs da manuale con un taglio “molto italiano” in cui tutte le ossa sono state separate tra loro. Fissati, come sempre, degli obiettivi: • Flavour profile: è il “profilo gustativo”. Così come un piatto napoletano non deve ricordare la cucina indiana, una preparazione tipica americana deve avere un suo gusto e una sua identità. • Bark: le spezie deposte sulla carne devono formare una leggera cro­ sticina molto saporita e devono risultare croccanti e non polverose o impastate. • Sentore di fumo: non c’è barbecue senza smoky flavour, ma la nota affumicata deve essere solo una parte del gusto, senza essere preponderante. • Aspetto: dovranno essere belle, ben rifilate, di un bel colore mogano senza bruciature e senza chiazze dovute a una cattiva di­ sposizione del rub. • Consistenza: per una prepara­zione

casalinga ti consiglio di “stare sul morbido”, puntando sulla morbidezza più che sulla precisione del morso. • Sapore: senza voler sottolineare l’ovvio, devono essere buone. Ma non basta: ogni componente del gusto deve essere ben riconoscibile: il sapore della carne, l’affumicato, le spezie del bark, la salsa. Tutto ben definito. Nessun componente deve essere invadente o rovinare l’azione di un altro. Scoprirai che la conformazione del costato non è assolutamente ideale per l’uso di un termometro a sonda: per questo motivo dovrai imparare a fidarti dei tuoi sensi usando uno (o entrambi!) di questi due metodi: • Bend test: con una pinza capovolgi la slab sulla griglia e poi afferrala per le prime tre ossa. Solleva la pinza e osserva con attenzione il modo con cui la carne si piega: se nel punto di flessione la carne inizia a lacerarsi, la slab può essere considerata cotta. Più si piega, più è cotta. Più resiste, più sarà tenace al morso. • Toothpick test: con uno stuzzica-


denti fai un buco nel centro della slab (e un altro paio di buchi a due ossa di distanza, per sicurezza). Se riesci a penetrare incontrando pochissima resistenza, sei arrivato a cottura: ancora una volta, più resistenza incontrerai più sarai indietro di cottura. Per questa cottura ho usato, e ti consiglio sinceramente di usare, il nostro nuovo BBQ4All Tennessee Mild Rub, perfetto per questa preparazione, già pronto, formulato alla perfezione e di sicuro effetto. Molto meglio che ritrovarsi in casa una dozzina di buste aperte di spezie e poi litigare a cottura ultimata perché il bilanciamento dolce - salato - piccante era completamente sballato. Procedimento: 1. Rifila e pulisci la slab: rimuovi la pleura polmonare, quella pellicola tenace che trovi nella parte concava, aiutandoti con il manico di un cucchiaino o con un altro strumento simile, non tagliente. Il trucco è sollevarla quanto basta per poterla afferrare e strapparla via come si farebbe con un brutto adesivo. Con un coltello molto affilato togli il grasso in eccesso ed eventuali brandelli di carne,

facendo attenzione a non scoprire l’osso facendo dei fastidiosi buchi nella carne. 2. Ungi leggermente di olio e cospargi di rub la slab, in uno strato regolare, uniforme e non eccessivo. 3. Imposta il tuo kettle per una cottura indiretta, o stabilizza il tuo smoker, cercando una temperatura costante di 110/120°C in camera di cottura. 4. Assicurati di aver introdotto il tuo legno aromatico preferito, per far partire la fase di affumicatura. 5. Metti la slab sulla griglia pietanze, sdraiata, con la parte concava rivolta verso il basso. 6. Appena il bark è ben formato e risulta asciutto e di color mogano avvolgi la slab nell’alluminio, creando un rivestimento ben chiuso e torna in cottura. 7. Quanto la carne risulta morbida al bend test o al test dello stuzzicadenti liberati dell’alluminio e metti la slab su un tagliere: qui provvederai a versare lentamente la salsa barbecue sulla tua preparazione, uniformando poi con un pennellino di silicone. 8. Con un coltello affilato, a lama liscia, taglia la slab andando parallelamente alle ossa, nella maniera più precisa che riesci.

Credo non ci sia bisogno di sottolineare che in questo caso un’ottima salsa barbecue è fondamentale per un risultato eccezionale e, guarda un po’, proprio su questo magazine, da qualche parte, troverai l’articolo che ti permetterà di farti delle salse micidiali. L’esperienza in griglia ti farà capire quali parametri variare per arrivare al tuo sapore preferito: gradi di cottura diversi, salse diverse, materia prima diversa, potranno portarti a risultati del tutto dissimili tra loro.

I N G RED I EN TI P E R U N A S LA B D I R I BS • una slab di spare ribs o di baby back • tre cucchiai di BBQ4All Tennessee mild rub • un cucchiaio d’olio • mezzo bicchiere di salsa barbecue • una manciata di chip o chunk per affumicatura

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RICETTA DA GARA di MARIANGELA IBBA

piccoli bocconi dal gusto esplosivo

CHICKEN THIGHS Le gare di barbecue del circuito KCBS sono composte da quattro categorie fondamentali e obbligatorie: chicken, ribs, pork e brisket. Qui voglio parlarti del chicken, perché nel team BlueSmoke, di cui faccio parte, aiuto la team leader Michela Bongiorni su questa preparazione, con la quale nella gara d’esordio a Perugia durante IBC 2016, conquistammo il podio con un terzo posto. Nonostante il regolamento dia piena libertà ai team di cucinare il pollo in qualsiasi modo, per una consuetudine non scritta quasi tutte le squadre preparano le chicken thighs. Sono palline di sovracosce di pollo disossate, avvolte nella loro pelle . Le sovracosce sono private dell’osso, tagliate e rifilate, in modo che tutte abbiano la stessa forma e lo stesso peso: questo è importante per ottenere una cottura omogenea e per l’appearence, dato che le chicken 128 - BBQ4All MAGAZINE

thighs a colpo d’occhio devono sembrare tutte uguali. Successivamente si fanno le injection e si condisce l’interno della carne col rub. Arrivati a questo punto, il pollo viene avvolto su se stesso, con l’aiuto della pellicola alimentare, per formare delle palline compatte. Ma adesso passiamo alla parte più divertente della preparazione. Prima di iniziare il procedimento che ti ho appena descritto, al pollo viene tolta la pelle, la quale viene stesa su un tagliere e sgrassata con un coltello ben affilato. Ti assicuro che sgrassare la pelle del chicken sotto una tenda non è né semplice, né gradevole, perché a causa della temperatura esterna, spesso alta, e del calore corporeo, il grasso si scioglie rendendo tutto scivoloso: non solo la pelle che stai sgrassando, ma anche la postazione di lavoro, il coltello e le mani. L’unica gara in cui i team non hanno questo inconveniente è il W.E.S.T., perché a

-16 gradi C il grasso certamente non si scioglie. Poco prima di essere messe in griglia, le palline vengono avvolte nella pelle con una cura maniacale e una volta cotte vengono spennellate con la salsa barbecue, per poi essere posizionate ordinatamente nel box con estrema cautela. Il turn in del pollo solitamente è alle 12. Le chicken thighs, come tutte le altre categorie, vengono giudicate da sei giudici sulla base di tre parametri: appearence (aspetto generale), taste (gusto) e tenderness (morbidezza e consistenza). So a cosa stai pensando: le chicken thighs sono una ricetta quasi impossibile da realizzare nella vita frenetica di tutti i giorni, per questo qui ti propongo la versione veloce e semplificata per cucinare delle palline di pollo succose, morbide, dalla


I N G RED I EN TI P E R 4 P E RS ON E

• 8 sovracosce • 100g burro • 1/2 cucchiaino di paprika dolce PER IL RUB • 120g paprika dolce • 50g sale • 20g aglio in polvere • 10g pepe nero • 5g peperoncino in polvere • 250 g di salsa barbecue piccante

pelle croccante e dal gusto esplosivo, senza impazzire con quelle bene­ dette pelli da sgrassare. Procedimento: 1. Elimina dalla pelle delle sovracosce eventuali piume residue bruciandole con la fiamma di un cannello. 2. Togli la pelle dalle sovracosce, facendo attenzione a non romperla. Se hai difficoltà a staccarla, lo so che è scivolosa, usa della carta da cucina per avere una presa migliore. 3. Disossa le sovracosce, incidendo la carne lungo e sotto l’osso. Elimina anche il tendine, il ginocchietto e il grasso in eccesso e rifila i bordi per renderle il più possibile regolari. 4. Condisci le sovracosce solo all’interno col rub, che avrai pre­ cedentemente preparato mescolando la paprika, il sale, l’aglio, il pepe e il peperoncino. 5. Prendi un foglio di pellicola alimentare, stendici sopra la sovra­

coscia e chiudila a pallina formando una caramella. 6. Una volta chiusa la sovracoscia, stringi bene i lati della caramella. 7. Per stringere bene il pollo, afferra i lati della caramella e falla scorrere sul piano (in un solo verso) fino a quando non è ben compatta. 8. Annoda tra loro i lati della pellicola per evitare che perda la forma aprendosi e metti le palline e le pelli (coperte dalla pellicola) nel frigo per una notte. 9. Il giorno successivo stendi su un tagliere la pelle lasciando che l’interno più liscio e grasso rimanga rivolto verso l’alto; poni al centro la pallina di pollo e richiudila bene dentro la pelle: se necessario taglia la pelle in eccesso col coltello. 10. Sciogli il burro in un pentolino e aromatizzalo con mezzo cucchiaino di paprika dolce. 11. Spennella le palline di pollo col burro e salale leggermente.

13. Prepara il dispositivo per una cottura indiretta a 150°C e metti di fianco ai bricchetti, sulla griglia carbone, una vaschetta con un dito d’acqua (water pan). 14. Metti il pollo in cottura direttamente sulla griglia e affumica con 2 manciate di chips di legno aromatico. Chiudi il coperchio. È pronto quando la temperatura al cuore è di 78°C. Consiglio di lasciare infilato un termometro a sonda in una delle palline. 15. Fai una veloce passata in cottura diretta, facendo attenzione a non bruciare la pelle, e togli il pollo dal dispositivo. 16. Spennella le palline con la salsa barbecue piccante e servile calde. Si sposano benissimo con un’insalata fresca. Un’idea? Iceberg, carote alla julienne, pinoli tostati, olio extravergine d’oliva, sale, timo e aceto di mele. ALMANACCO 2019 - 129


RICETTE DA GARA di EMILIANO NENCIONI

correte, che salsa!

( . . . BA R B EC U E ) Sin dai miei primi goffi esordi in griglia la preparazione della salsa di accompagnamento è sempre stata l’incombenza che preferivo. Considero rilassante e appagante mettermi lì con misurini, bilance di precisione, siringhe e pentolini, tentando a ripetizione abbinamenti inconsueti fino a ridurmi la lingua ad una moquette insensibile e ane­ stetizzata, finendo poi per ridurre la cucina di casa in un antro alchemico con barattoli aperti e pentole sporche disseminate ovunque. La quantità di salse diverse ottenibili è sterminata, direi infinita visto che i sapori possono variare con conti­ nuità, e il solo errore possibile è quello di procedere a casaccio. Bisogna certamente procedere con metodo, fissando degli obiettivi precisi. Col nostro consueto metodo scien-

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tifico, possiamo dividere le componenti della salsa barbecue in: • base: nel nostro caso, la base sarà il ketchup. • grasso: olio, burro, strutto, etc • sapido: sale, salsa di soia, capperi, etc • aroma: spezie, oli essenziali, etc • percezioni: peperoncino, pepe, wasabi, etc • acido: agrumi, vino, aceto, etc • amaro: olive, caramello, scorza di agrumi, etc • dolce: miele, zucchero, melassa, etc • umami: funghi, alghe, salsa di soia, etc Un buon modo di partire è quello di creare un’ottima salsa barbecue “normale”, e per normale intendo non pesantemente virata verso il sapore fruttato, o verso la piccantezza, o

verso l’acidità. Una salsa barbecue multiuso, da arricchire successivamente, ma molto, molto più buona e soddisfacente di quelle commerciali. Procedimento: 1. Versa in una pentola grande a sufficienza tutte le polveri e tutti i liquidi, escludendo gli sciroppi e il ketchup, e scalda a fuoco moderato. Per evitare la comparsa di grumi, agita con una frusta. 2. Arrivato a bollore togli dal fuoco, aggiungi tutto il ketchup e frulla tutto con un mixer a immersione, direttamente nella pentola. 3. Torna a cuocere a fuoco moderato per circa mezz’ora: dovresti notare una riduzione notevole in volume, circa il 40%. 4. Raggiunta la densità voluta, a fuoco spento, aggiungi gli sciroppi, aiutandoti con la frusta.


INGREDIEN TI • • • • • • • • • • • •

250g di ketchup 20g di zucchero di canna grezzo 100g di miele 100g di sciroppo d’acero 50g di aceto di mele 50g di succo limone 40g di Worcestershire sauce 25g di senape 10g di peperoncino di Cayenna 3g di aglio in polvere 3g di pepe nero 1g di sale

Una curiosità: la salsa darà il meglio di sé dopo un paio di giorni, te ne accorgerai dalla maggiore complessità aromatica. Adesso hai un’ottima base, che puoi comunque ritoccare a tuo piacimento: puoi farla più piccante, più dolce, più pungente o più ricca in aromi, seguendo i tuoi gusti o la voglia del momento. Ma, per quanto mi riguarda, è da qui in avanti che arriva il vero divertimento: puoi trasformare una buona salsa nella tua salsa segreta e stupire amici e colleghi invidiosi. Ci ho pensato per un po’. Voglio dirti come faccio la mia salsa segretissima. Salsa che non sarà la migliore del mondo, ma ogni volta che la portavo ad una gara mi assicurava sempre un premietto. Non aspettarti le dosi precise, qui devi giocare e arrivare a cosa ti piace di più. Il trucco è: un buon sapore fruttato, un buon sapore di agrumi, un pe­ peroncino con del bel carattere e un po’ di whiskey.

Caccia al tesoro: • Procurati, per vie traverse, due frutti di Citrus Lumia Pyriformis, una pianta abbastanza rara che dà frutti a metà strada fra il limone e il cedro, con un aroma e un sapore particolarissimi. La buccia non è commestibile, ma puoi strizzarla fra due dita per ottenerne l’olio essenziale, estremamente profumato. • Acquista le amarene, quelle in sciroppo, vendute nel vasetto bianco con le decorazioni blu. Quel sughetto fantastico dovrà essere parte della salsa, ed è la parte che stupirà tutti. • Al supermercato dovresti trovare la glassa alla mela, vicino all’aceto balsamico. Costituirà la parte un po’ acida ma fruttata. • Riduci in un pentolino un bicchiere di whiskey: aumenterà la sensazione di profondità della salsa. • Metti le mani su dell’habanero autentico in polvere (in senso figurato, che poi brucia). • Invece del miele “normale”, usa miele di qualità, aromatizzato alla mela. A freddo, in una ciotola, mescola a

piacimento succo di Citrus Lumia, sciroppo di amarena e glassa alla mela, fino ad avvertire una dominante di amarena contrastato da un grande aroma di agrumi. In sottofondo, come un controcanto, un sentore di mela. Il whiskey ridotto serve solo a dare colore (sensorialmente parlando) e complessità, non devi pensare a una “salsa ubriaca”. Occhio con l’habanero. Una punta di coltello è sufficiente per un bicchiere intero di salsa: deve dare aroma e piccantezza, non mandare al tappeto le persone. Le gare di chi riesce a mangiare più piccante sono un’altra cosa. Può darsi che tu abbia bisogno di qualche tentativo prima di azzeccare la quantità di amarena o di miele aromatizzato che fa al caso tuo, ma ti assicuro che te ne accorgerai: una salsa barbecue del genere dà prati­ camente dipendenza. E ovviamente non provare neanche a sostituire il Citrus Lumia Pyriformis con del limonaccio comune preso in rete al supermercato. Ora però non andare a dire a tutti il nostro piccolo segreto, fammi questo favore. ALMANACCO 2019 - 131


RICETTA di MICHELA BONGIORNI

MINI-PORCHET TE anche il nome vuole la sua parte

I N G REDIENT I

P ER 4 PERSO N E • 6 fette di pancetta alte 1 cm circa; • 12 fette sottilissime di arista di maiale; • mezzo cucchiaio di sale • misto aromi in polvere: aglio, rosmarino, salvia, alloro, maggiorana, timo a piacere • pepe q.b. • olio extravergine di oliva q.b.

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Qualche mese fa ho postato una foto in Community su Facebook che ha avuto un discreto successo: le MiniPorchette. Subito in molti mi hanno chiesto la ricetta e hanno cercato di replicarle. Questo perché, se è vero che noi griller abbiamo bisogno di cotture lunghe, preparazioni infinite e overnight, è vero anche il contrario: a volte abbiamo bisogno di semplicità e velocità, senza rinunciare al gusto.

Cercavo qualcosa da preparare in griglia che fosse, appunto, veloce ma gustoso, per cui ho pensato che tentare di replicare il sapore della porchetta, ma in piccolo, potesse essere un ottimo compromesso. Ho preso quindi delle belle fettone di pancetta alte circa un centimetro, le ho condite con il rub che di solito uso per la porchetta, poi le ho arrotolate con all’interno quella che in Toscana chiamiamo arista (ovvero una parte della schiena del maiale, che comprende tagli come lombo, controfiletto, filetto). Dopo averle cotte in indiretta e affumicate, mi sono accorta che erano esattamente ciò che volevo: delle piccole bombette di gusto, ottime come secondo piatto, o come aperitivo prima di una grigliata, o ancora ideali per farcire un panino. In realtà chiamarle MiniPorchette è un po’ arbitrario, perché di fatto sono grandi involtini. Ma anche il nome vuole la sua parte: vi assicuro che avranno un gran successo con gli amici se le chiamerete così, rispetto a un anonimo “ehi, lo vuoi un involtino di maiale?”.

Procedimento 1. Stendere le fette di pancetta su un tagliere e condirle con una presa di sale, il misto spezie e il pepe; 2. Adagiare sulla fetta di pancetta una o due fettine di arista e poi condire anche queste ultime allo stesso modo, facendo attenzione a non esagerare col sale: 3. Arrotolare la fetta di pancetta con all’interno le due fettine di arista, chiudere l’involtino con uno stuzzicadenti e rubbare l’involtino col misto spezie (senza il sale stavolta) e col pepe; 4. Predisporre il dispositivo per una cottura indiretta stabilizzandolo a un a temperatura di circa 150°C; 5. Adagiare le miniporchette sulla griglia, in cottura indiretta, e affumicare con una manciata di chips di melo a coperchio chiuso; 6. Quando le porchettine raggiungono i 75 gradi al cuore, spennellarle con un po’ d’olio extravergine di oliva e passarle velocemente in diretta, per rosolarle bene. L’idea in più: servitele affettate sottilmente in un panino, farcito con spinaci saltati in padella, honey mustard e qualche fogliolina di salvia fritta.

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RICETTA di LUCA GALLOZZA

ci sta come il

CHEDDAR SUI MACC H E RO N I Quando pensate al piatto re della tradizione culinaria italiana, cosa vi viene in mente? Spaghetti al pomodoro? Pizza? O forse le lasagne? La cucina italiana è così varia che i piatti popolari sono molteplici e tutti diversi a seconda della regione di appartenenza. Se ponessi, invece, la stessa domanda negli Stati Uniti, son sicuro che la stragrande maggioranza mi direbbe Macaroni and Cheese o Mac&Cheese. Questo piatto, straordinariamente buono, è di una sempli­ cità incredibile. In America è un vero cult, fatto principalmente di due ingredienti: pasta corta e formaggio. Ma non un formag­ gio qualsiasi: la versione originale prevede il Cheddar. Stiamo parlando del celeberrimo formaggio inglese di vacca, a pasta dura, dal sapore importante, che varia da un colore giallo pallido sino all’arancione. In realtà ognuno, poi, in America ha una propria versione di Mac&Cheese: ho un amico americano che vive in Italia, il quale afferma di non essere mai riuscito a replicare in modo perfetto questo piatto che gli preparava la nonna, perché lei usava un formaggio particolare che non ha mai trovato qui da noi. Questo vi fa capire quanto possano essere diverse le ricette di ogni singola famiglia. Io ho preparato una delle tante versioni possibili, ma niente vieta che voi possiate usare anche altri formaggi. Volete dei suggerimenti? Castelmagno, Gruviera e Emmenthal. L’importante è che siano formaggi dal sapore forte e spiccato. Ma come si realizza? Semplice. Si cuoce la pasta, si crea una crema di formaggio e poi si fa gratinare

tutto al forno. La ricetta prevede la pasta corta, meglio se rigata e tubolare, per fare in modo che si impregni e riesca a trattenere a sé una buona parte della spettacolare crema di formaggio. Voi però vedrete ora come farla, nel vostro fedele dispositivo. Procedimento 1. Mettete a bollire l’acqua salata e cuocete la pasta. 2. In un tegamino, sciogliete il burro, al quale (una volta sciolto) va aggiunta la farina, mescolando sino a formare il roux. 3. Aggiungete il latte a filo, poco per volta. Man mano che il roux assorbe quello già versato, aggiungetene altro. 4. Una volta versata tutta la quantità di latte, aggiungete il Cheddar (o il vostro mix di formaggi preferito) e aggiungete, mescolando, la senape in polvere e una grattugiata di noce moscata. Salate e pepate. 5. Scolate la pasta molto al dente, raffreddandola sotto un getto di acqua corrente, in modo che perda l’amido. 6. In un recipiente, mescolate la pa­ sta con la crema di formaggio, impregnandola per bene. 7. Imburrate una pirofila, rivestitela di pan grattato e versateci dentro la pasta condita. 8. Cospargete infine con una spolve­ rata di pane grattugiato e col Parmigiano Reggiano. 9. Settate il vostro dispositivo in indiretta, sino a 180° /200° C in ca­ mera. Inserite la vostra pirofila e la­ sciate cuocere circa 20 minuti, finché si sia formata una bella crosticina superficiale.

Avete bello che pronto in tavola un piatto della tradizione americana. Un primo piatto cosmico, godurioso, carico di sapore, con quello strato brunito della pasta, croccante e bruciacchiato. La bellezza del piatto sta nel dargli un vostro tocco personale. Potete sbizzarrirvi con l’aggiunta di altri ingredienti in polvere al posto della senape, come paprika o chipotle. Insomma, partite da questa base e fatela vostra.

I N G REDI EN TI

P E R 4 P E RS ON E • 400g di pasta corta tipo pipe rigate • 1 l di latte intero • 50g di farina • 50g di burro • 100g di Cheddar • 50g di pane grattugiato • 100gr di Parmigiano Reggiano • 1 cucchiaino di senape in polvere • noce moscata q.b • sale q.b • pepe q.b.

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RICETTA di EMILIANO NENCIONI

I L PA N I N O D I E LV I S e voi siete così folli da provarlo?

The Fool’s Gold sandwich, il panino dello stolto. Un cibo avvolto dalla leggenda, come qualsiasi cosa graviti attorno a Elvis Presley. Parlando di Elvis è doveroso ricor­ dare che ci stiamo riferendo a un bel giovanotto (almeno inizialmente) del Mississippi, nato nel ’35, pioniere del rock’n’roll e di una certa qual li­ berazione dei costumi, sia nel ballo che nei modi di porsi; in vent’anni di carriera, oltre a generare gli spin-off nostrani di Little Tony e Bobby Solo, ha smesso di essere un cantante ed è diventato un fenomeno, un oggetto di culto, un personaggio al centro di oscuri complotti dell’FBI, ha avuto a che fare con Nixon e con la morte di JFK. Solo personaggio, nessun talento quindi? Assolutamente no, vista la produzione musicale di alto, talvolta altissimo livello: certo, essere nella propria maturità artistica nel momento dell’esplosione del rhythm’n’blues e del rock aiuta molto, ma provateci voi a interpretare Suspicious Minds con la stessa intensità. In italia ci hanno provato, con esiti altalenanti, Gianni Morandi e Ligabue, più una versione al contrario del brano che spero conosciate. Tutto questo per dirvi che un mito del genere non muore e basta. Muore in circostanze misteriose, con complotti terribili, e magari non muore neppure, si è solo auto esiliato alle Hawaii, con Marilyn, Jim, Jimi e 136 - BBQ4All MAGAZINE

Ettore Majorana. Una figura così non può semplicemente morire, a 42 anni, per l’abuso di farmaci, barbiturici, anfetamine e psicofarmaci di cui fa largo uso per contrastare le paranoie, la depressione e la vita eccessiva a cui è costretto: deve morire lasciando una bella storia da raccontare. Ad esempio potrebbe morire d’infarto, seduto sul WC a leggere un libro sul volto di Cristo, per colpa della sua dieta da 94mila Kcal giornaliere. Lasciamo perdere per un attimo il fatto che 94mila calorie dovrebbero essere circa 20 chili di grassi e proviamo a crederci. Elvis prendeva il suo jet privato, un Lockheed che chiamava “Lisa Marie” (come sua figlia, che poi spo­ serà un’altra leggenda, un certo Michael), andava a Denver in Colorado e si faceva preparare il panino più folle, calorico e probabilmente famoso della storia: fool’s gold, oro dello stolto, come veniva anche chia­ mata la pirite. Un gioco di parole per sottolineare l’inganno nutrizionistico del panino? Chissà, lasciamo anche questo avvolto nel mito. La leggenda narra di un’intera pa­ gnotta piena di un barattolo di marmellata, uno di burro di noccioline, mezzo chilo (!) di bacon e qualche banana, tutto mangiato direttamente nell’hangar dell’aeroporto, accompagnato da champagne. Non uno, due panini, già che ci siamo, afferma la

leggenda. Noi della redazione non siamo (al momento in cui scrivo) leggende, al massimo siamo aneddoti, per cui terremmo a proporre una versione capace di tenerci in vita: niente di consigliabile come pasto pre-workout, ma nulla che vi faccia trovare in arresto cardiaco sul WC mentre componete un prezioso commento su Facebook. Procedimento 1. Innanzitutto niente pagnotte intere. Due fette di pane bianco, quello per i sandwich tipico americano, andranno benissimo. 2. Prendete una banana e tagliatela in dischi di 5-6mm. Non impanatela, non friggetela, state calmi un attimo. 3. Spalmate uno strato generoso di burro sulle parte esterna delle fette di pane e grigliatele o tostatele in padella, solo dalla parte del burro: occhio che si bruciano in fretta. 4. Quando saranno tostate alla perfezione, spalmate sull’altro lato del pane il burro di arachidi a piacere. 5. Tagliate il bacon in strisce sottili e rendetelo croccante su una padella in ghisa o sulla griglia del kettle, do-


podiché mettetelo tutto nel panino, insieme alla banana. Non metteteci un barattolo di marmellata, non pensate di friggere il tutto. È già pesantuccio così com’è. Dividete a metà e servite sopra ad un 45 giri di Rock’n’roll, country o al massimo rockabilly, accompagnandolo con lo champagne più costoso che riuscite a trovare. Qualcuno, in redazione, qualcuno di insospettabile, ha detto “secondo me ci manca un hamburger in mezzo”, e in qualche modo non ha

tutti i torti. Il re del rock fagocitava sicuramente sostanziose quantità di calorie, ma forse il bilanciamento dei sapori poteva essere rivisto e un bell’hamburger di manzo sarebbe servito alla bisogna. Potete usare questo panino per fare i fenomeni in una cena fra amici spacconi, per rendere più filologica una commemorazione di “the King” Elvis o per mettere alla prova le vostre coronarie ma, per carità, non fatene il vostro regime alimentare quotidiano.

I N G REDI EN TI P E R U N PA N IN O • Due fette di pane bianco da • • • •

sandwich americano burro a piacere una banana 120g di bacon burro di arachidi a piacere

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RICETTA di LUCA GALLOZZA

Missisippi Mud Cheesy Potatoes

L A PATATA CHE TI MANCA Non è facile aprire un articolo parlando di patata. Si cade nella battuta facile e ovvia. Rocco Siffredi e la sua amica patatina, nella famosa pubblicità, ne sono l’esempio. Tuttavia, al netto delle battute e dei doppisensi (‘importante è non scendere mai nella volgarità) la ricetta che sto per presentarvi è una cosa squisita e sono sufficientemente convinto che questa patata vi manchi letteralmente: sia perché non conoscete la ricetta, sia perché

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una volta assaggiata non potrete più farne a meno. Non voglio stare qui a dilungarmi per descrivervi il sapore. Vi dico solo questo: avete presente quando mangiate qualcosa e alla prima forchettata state già pregustando la seconda? Esattamente così. Io lo so che c’è una cosa in questa ricetta che al solo sentirne parlare fa strabuzzare gli occhi: la maionese. Ebbene sì. Anche piuttosto abbon-

dante. Vi chiedete quale pasticcio americano vi stia proponendo? Nient’altro che un ottimo contorno: le Missisipi Mud Cheesy Potatoes. Provatelo e capirete. Procedimento 1. Pelate le patate, tagliatele a cubotti, sciacquatele sotto l’acqua per far perdere loro l’amido e asciugatele. 2. Tagliate grossolanamente la cipolla.


3. Saltate la pancetta affumicata su una piastra in ghisa adagiata sul nostro dispositivo di cottura bbq, sino a tostarla. 4. Affettate il Cheddar a strisce o riducetelo a pezzetti. 5. Unite in una ciotola, le patate, la pancetta già tostata, la cipolla e aggiungete la maionese. 6. Mescolate per bene, salate e pepa­te. 7. Trasferite il tutto in una teglia e cospargete col Cheddar. 8. Mettete a cuocere in indiret-

ta nel vostro dispositivo, settato a 180°/200°C per circa 60 minuti, affumicando, se volete, con un legno fruttato. Se vi piace, aggiungete dell’erba cipollina fresca a fine cottura o una spolverata di rosmarino fresco tritato. Un tocco mediterraneo non fa mai male.

I N G REDI EN TI PER 4 PERSONE

• 6 grosse patate a pasta gialla • 1 cipolla rossa • 150 g di pancetta affumicata a cubetti • 200 g di formaggio Cheddar • 100 g di maionese • Sale q.b • Pepe q.b

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DULCIS IN FUNDO - RICETTA di MARIANGELA IBBA

se non è fritto

C H E D O LC E D I C A R N E VA L E É ? Febbraio è per antonomasia il mese del Carnevale, una ricorrenza ricca di dolci fritti. Ogni regione ha le sue specialità, e alcune si somigliano molto fra loro: sono spesso preparazioni semplici, povere, fatte con farina, acqua, latte e zucchero. In alcuni casi sono arricchite con il miele e la crema. Sono famosi i nastri di pasta dolce fritta, chiamati Cenci, Chiacchiere o Bugie. Allo stesso modo tutti conoscono le Castagnole, delle palline di pasta fritta ripiene con crema o ricotta, così come i Tortelli fritti, vuoti o ripieni di crema, spolverati con zucchero a velo e cannella. Così, vista la grande abbondanza di dolci fritti carnevaleschi, abbiamo deciso di crearne uno anche noi, solo più sostanzioso. Dato che per prepararlo abbiamo usato i tipici ingredienti dello strudel, anche in onore del W.E.S.T. cui è dedicato questo numero, abbiamo deciso di creare una sorta di “ministrudel”, prima grigliando le mele e affumicandole, poi friggendole insieme alla pasta fillo, la crema, l’uvetta e i pinoli. Io ci scommetto: appena finirete di leggere questa ricetta correrete a comprare gli ingredienti per rifarla subito. Quindi, non perdiamo tempo. Procedimento 1. Prepara il dispositivo per una cottura indiretta a 180 gradi. 2. Sbuccia le mele e tagliale a dadini. 3. Aggiungi alle mele il succo di limone, lo zucchero e mescola bene. 4. In una teglia disponi le mele stendendole bene e senza ammassarle troppo. 5. Metti le mele in cottura indiretta a 180°C, affumicandole con una 140 - BBQ4All MAGAZINE

manciata di chips di melo, e lasciale cuocere per 30/40 minuti circa. 6. I dadini di mela sono pronti quando sono belli dorati e cedevoli al tocco della forchetta. 7. Togli le mele dal dispositivo e lasciale raffreddare. 8. Tosta i pinoli e comincia a preparare la crema.. 9. Con la punta di un coltello incidi la bacca di vaniglia per tutta la sua lunghezza, poi raschia l’interno della bacca per estrarre i semi, con i quali aromatizzerai lo zucchero. 10. Versa in una ciotola lo zucchero e la vaniglia e con un cucchiaio inizia a mescolare. 11. In un pentolino versa lo zucchero aromatizzato, i tuorli, l’amido di mais e dai una prima energica mescolata con la frusta. 12. Aggiungi il latte intero a temperatura ambiente e sempre con la frusta mescola energicamente gli ingredienti per evitare la formazione di grumi. 13. Poni il pentolino su fuoco medio continuando a mescolare con la fru­ sta, quando la crema arriva al bollore mescola con più energia e togli la crema dal fuoco appena si addensa. 14. Versa la crema in un ciotola, copri con pellicola a contatto e lasciala freddare 15. Mentre aspetti che la crema ra­ f­ freddi, fai rinvenire l’uvetta nella grappa almeno una mezz’ora. 16. Prendi un foglio di pasta fillo, stendilo sul piano per lungo, la parte più corta deve essere rivolta verso di te. 17. A circa tre centimetri dal bordo più corto, metti un cucchiaio di crema al centro poi aggiungi metà cucchiaio di mele, i pinoli e l’uvetta. 18. Sei pronto per chiudere: piega il lato corto fino a farlo aderire alla crema, senza schiacciarla, coprendola in parte. Lo stesso fai con i lati più

lunghi: li pieghi verso la crema, li fai aderire con delicatezza per non schiacciarla, coprendo totalmente il ripie­ no. A questo punto, non ti rimane che avvolgere il fagottino per tutta la lunghezza del foglio. Bagna l’estremità con un po’ d’acqua per chiudere. 19. Se proprio non vuoi rinunciare a cuocerli al bbq, prepara il dispositivo per una cottura diretta, versa mezza ciminiera di bricchetti accesi al centro e sostituisci il centrale della griglia con il wok, facendo attenzione che i bricchetti non tocchino il fondo della pentola. 20. Versa l’olio di semi di arachidi e quando è caldo inizia a friggere i fagottini uno per volta, la pasta fillo ci mette veramente pochi secondi a cuocere. 22. Sono pronti quando entrambi i lati sono ben dorati. 23. Asciugali dall’olio di frittura in eccesso e lasciali intiepidire. Ti consiglio di mangiarli quando sono ancora tiepidi, con una bella spolverata di zucchero a velo.


I N G REDI EN TI PER 4 PERSONE

PER LE MELE • 500g di mele sbucciate (Renette, Golden o Stark) • un limone • 50g di zucchero PER LA CREMA • 500ml latte intero • 120g tuorlo d’uovo • 90g zucchero • 40gr amido di mais • una bacca di vaniglia PER I MINISTRUDEL • una confezione di pasta fillo • 500ml olio di semi di arachidi • 200gr pinoli • 100gr uvetta • un bicchiere di grappa • 100gr zucchero a velo

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I N GREDIENT I • • • • • • • • • • • • • • • • •

500g pane toscano raffermo 500g fagioli bianchi secchi uno spicchio d’aglio 3 foglie di salvia sale q.b. olio extravergine q.b. una cipolla una costa di sedano 3 carote 50gr concentrato di pomodoro un mazzo di cavolo nero mezzo cavolo verza un mazzo di bietola tre zucchini pepe q.b. sale q.b. olio extravergine q.b.

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NON SOLO CARNE - RICETTA VEGETARIANA di MARIANGELA IBBA

LA R I G R I G L I ATA Da Nord a Sud, quando si parla di Ribollita l’associazione con la Toscana è automatica. Infatti questa zuppa è un piatto tipico toscano e non c’è trattoria tradizionale che non lo proponga nel suo menù. La Ribollita nasce come piatto povero della tradizione contadina. Era una pietanza di recupero: si utilizzavano le verdure presenti in casa, unite al pane raffermo. Per questo non esiste una ricetta unica, ma tante versioni più o meno ricche, che però ruotano attorno a tre ingredienti principali: il cavolo nero, il cavolo verza e i fagioli. Ma perché si chiama Ribollita? Come ti ho già detto, era una ri­ cetta di recupero, le donne la preparavano il venerdì (giorno in cui per tradizione si mangiava di magro) e veniva mangiata per diversi giorni. Prima di gustarla la ribollivano sul fuoco, per poi inzuppare il pane. Ne esistono più versioni: mentre la ribollita prevede che venga riscaldata continuamente nei giorni successivi alla preparazione e che il pane venga inzuppato di volta in volta,

nelle zone di Pisa e Livorno esiste la “Zuppa di cavolo nero”, una preparazione molto simile, nella quale però il pane viene ammollato tutto subito e lasciato riposare, meglio se una notte intera. Il giorno successivo si scalda e si mangia (ma c’è chi se la mangia anche fredda!). Quindi, giocando un po’ con le va­ rianti di questa ricetta e adattandola alla griglia, abbiamo creato la Rigrigliata. Una cosa fondamentale da ricordare è che il pane da utilizzare è rigo­ rosamente quello senza sale, che è l’accompagnamento perfetto per questa preparazione così saporita. Il pane toscano per eccellenza è il Pane di Altopascio, diventato un prodotto D.O.P. con la direttiva europea del 2016/58/UE pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 4 Marzo dello stesso anno. Procedimento 1. Metti i fagioli a bagno in acqua fredda per una notte. 2. Lessa i fagioli in acqua con un po’ di sale, uno spicchio d’aglio e la salvia: mi raccomando, cuocili a fuoco molto molto basso, altrimenti perdono la buccia, e non stracuocerli. 3. Quando i fagioli sono pronti, sco­ lane la metà e mettila da parte. 4. Passa l’altra metà dei fagioli con la loro acqua di cottura: devi ottenere una crema di fagioli non eccessivamente asciutta. 5. In una pentola fai soffriggere, con un po’ di olio extravergine, lo spicchio d’aglio schiacciato e la salvia (che toglierai successivamente) e poi aggiungi il passato di fagioli con tre bicchieri della loro acqua di cottura: lascia andare a fuoco basso per 30 minuti circa. 6. Prepara il dispositivo per una cottura diretta, versa nella parte centrale una mezza ciminiera di bricchetti accesi, sostituisci il centrale

della griglia con la cocotte in ghisa; mi raccomando i bricchetti non devono toccare la pentola. 7. Fai soffriggere nell’olio extravergine la carota, la cipolla e il sedano tritati finemente. 8. Quando il soffritto è imbiondito, aggiungi le foglie del cavolo nero (private della parte fibrosa centrale) e il cavolo verza tagliato grossolanamente, sala e lascia appassire le verdure. 9. Quando le foglie del cavolo nero e del cavolo verza sono appassite, aggiungi la bietola, privata totalmente della costa centrale, e due carote tagliate a rondelle. 10. A questo punto, aggiungi due bicchieri d’acqua o brodo e chiudi il coperchio del dispositivo, affumicando con una manciata di chips di legno aromatico. Lascia andare per 40/45 minuti circa controllando che le verdure non si asciughino e aggiungendo al bisogno acqua o brodo. 11. Passati i 45 minuti, aggiungi le verdure che hai affumicato alla mi­ nestra di fagioli che hai preparato all’inizio. 12. Aggiusta di sale e di pepe, aggiungi il concentrato di pomodoro e cuoci a fuoco basso (sul fornello di casa in questo caso) per almeno due ore. Nell’ultima mezz’ora aggiungi la metà dei fagioli che avevi messo da parte. 13. Nel frattempo, griglia gli zucchini tagliati per lungo e le fette di pane. 14. In una teglia che possa andare nel kettle, stendi prima uno strato di pane, poi uno di verdure col brodo; sopra le verdure metti gli zucchini grigliati tagliati a pezzetti e poi procedi con un altro strato di pane, di verdure e di zucchini. 15. Lascia riposare la zuppa per una notte e poi rigrigliala, in cottura indiretta nel kettle a 180°C per una ventina di minuti. Ti consiglio di servirla con sopra un filo d’olio extravergine d’oliva. ALMANACCO 2019 - 143


SPECIALE W.E.S.T. - VINI ABBINATI a cura di ENIO BERTON

È ORA DI

BERE! abbinamenti consigliati

R O S S O C E LT I C O Vino: Cantina: Abbinamento :

Rosso Celtico 2011 Moschioni pork ribs

Siamo di fronte ad un abbinamento difficile. Oltre che della succosità e dell’affumicatura della pietanza, dobbiamo tener conto anche del tipo di salsa usata in finitura, che può essere più o meno dolce oppure più o meno piccante in base ai gusti di ognuno di noi. Prendo dunque come riferimento la ricetta classica delle ribs, che è stata insegnata a tutti noi di BBQ4All dallo Zio, e vi propongo questo vino in abbinamento. La famiglia Moschioni, presente nel cividalese fin dal 1500, fonda la cantina all’inizio del 1900 con quattordici ettari di terreno di proprietà. Nel 1953 vengono acquistati altri tredici ettari di terreno dalla Curia Vescovile. Tutti i terreni sono nei dintorni di Cividale del Friuli, con caratteristiche organolettiche diverse ma con una grande presenza di calcare. Da quando, nel 1989, Michele Moschioni ha preso il comando l’azienda ha puntato tutto sulla produzione dei vini rossi, in una zona prevalentemente dedita ai vini bianchi, per valorizzare i vitigni autoctoni quali il Pignolo, lo Schioppettino, il Refosco ed il Tazzelenghe. Il rosso celtico è un blend di Merlot e Cabernet Sauvignon (50% Merlot 50% Cabernet Sauvignon). Le uve vengono raccolte da metà a fine settembre, e subiscono una maturazione di dodici mesi in barrique ed altri quarantotto mesi di affinamento in grandi botti di rovere. Prima della vendita vengono tenute dodici mesi in bottiglia per un ulteriore affinamento. Dal colore rosso rubino acceso, al naso si sentono profumi complessi di frutta rossa matura con note speziate di anice stellato che evolvono nel tempo in sentori di cuoio, tabacco e caffè. Al palato risulta potente, profondo, con note di frutti di bosco. Tannini dolci, levigati dalla lunga maturazione. Note minerali che si espandono nel fin di bocca. Grado alcolico: 14.5%. Bicchiere consigliato: ballon.

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KREMS Vino: Cantina: Abbinamento :

Kremstal Reserve DAC Riesling Krems 2016 Rainer Wess Mac&Cheese, Mississippi Mud Cheesy Potatoes

Visto che in questo speciale abbiamo parlato del Sud Tirolo, andiamo in Austria a scoprire questo vino. Vogliamo abbinarlo al Mac&Cheese alle Mississippi Mud Cheesy Potatoes, che tendenzialmente portano verso un gusto dolciastro maggiormente accentuato dal Cheddar e dalla maionese. Abbiamo bisogno, pertanto, di un vino che con la sua sapidità possa darci una sensazione di freschezza in bocca e ci consenta di ripulire il palato dalla grassezza del boccone. La cantina è nella regione di Kremstal, in Austria, nella vallata di Wachau, in una zona di produzione che i conoscitori del vino definiscono eroica, con terrazzamenti ripidi a secco che richiedono un grande lavoro manuale per la coltura delle uve. Applica la coltivazione biologica anche se non certificata. Le uve sono raccolte a mano, la fermentazione avviene a temperatura controllata in vasche di acciaio inox e continua la sua maturazione sempre in vasche di acciaio: un riesling prodotto in purezza che permette di conoscere il potenziale di questo vitigno. Dal colore giallo paglierino, all’olfatto i sentori di frutta bianca matura si susseguono alla mela con note di ciliegia e mango; sentori di pompelmo rosso e prugne ci accompagnano fino all’assaggio. In bocca si presenta fine, elegante con un regale fin di bocca agrumato. Consiglio di servirlo ad una temperatura di 12°C. Grado alcolico: 13% .Bicchiere consigliato: calice tulipano

PIERA DOLZA Liquore: Cantina: Abbinamento :

Torchiato di Fregona Piera Dolza DOCG Cantina Produttori Fregona dolci fritti di carnevale

Voglio giocare vicino casa e farvi scoprire una peculiarità e un’eccellenza del territorio trevigiano. Le colline del trevigiano sono note in tutto il mondo per il Prosecco e il Torchiato, che si ottiene dalle uve bianche di Glera (base del Prosecco), Verdiso e Boschera (55% Glera, 20% Verdisio, 25% Boschera). È permessa l’aggiunta fino ad un 10% di riesling e Bianchetta. I grappoli sono raccolti ed appesi in locali asciutti ed arieggiati, esposti al sole per evitare la coltura di muffe. La spremitura avviene nella settimana che precede la Pasqua in tinozze di legno, battendo gli acini con l’utilizzo della “becanela”, un cilindro di legno con due manici. Il mosto ottenuto viene torchiato e poi nuovamente battuto e nuovamente torchiato per più volte. Fatto riposare in piccole botti di rovere o castagno fino al 2 di agosto, viene poi assaggiato e successivamente stoccato in botticelle di legno fino alla Pasqua successiva. Il nome (Piera Dolza) è stato scelto per ricordate la pietra tenera con cui venivano adornate le ville nel territorio di Vittorio Veneto e con la quale venivano anche costruiti gli antichi torchi (uno dei quali ancora presenti in un frazione del comune di Fregona). È un vino dal colore dorato carico, con sentori di miele di acacia e tiglio; al palato un leggero gusto maderizzato con retrogusto amarognolo. Acidità equilibrata. Grado alcolico: 16%. Bicchiere consigliato: piccolo calice da vino passito. ALMANACCO 2019 - 145


SPECIALE W.E.S.T. - BIRRE CONSIGLIATE a cura di RICCARDO MENICONI

X YA U Y Ù F U M È Per superare la notte con la birra giusta

I grossi pezzi di carne stanno cuocendo lentamente, il legno aromatico profuma l’aria di hickory e ciliegio, il tempo rallenta e tutti cercano di riposare. Si discute davanti al mite calore che si propaga dall’affumicatore in azione. Quale momento migliore per prendersi una pausa e bere con i propri amici e compagni di team una bella birra da meditazione come un barley wine. E per rimanere in tema fumo, perché non una straordinaria Xyauyù Fumè 2014 di Baladin? Mentre la versiamo, si intuisce subito una certa viscosità, di colore bruno intenso con riflessi ramati, limpida e senza schiuma, scalda già alla vista. Al naso, note torbate date dall’invecchiamento in botti di wiskey scozzese e sentori maltati; il corpo è caldo e morbido, anche grazie ai suoi 14°, e si possono distinguere bene note caramellate, sentori di datteri e frutta secca, di ciliegia sotto spirito e di marmellata di prugne. Le chiamano birre da divano, birre da contemplazione. Noi la chiameremo birra da overnight, birra da competizione. Da servire in un tulip ad una temperature di 12-14 gradi, magari tenendola nel bicchiere ad ossigenare mentre si parla di un pulled pork o di quel coltello che tanto vorreste comprare, ma che non potete permettervi perché spendete tutto in birra.

TA P 5 FOLLE come ELVIS

Il panino di Elvis è uno dei sandwich più famosi al mondo. Chiamato “Fool’s Gold”, l’oro del matto, in molti lo ritengono il principale colpevole della morte prematura del Re del Rock&Roll. Questa versione, con burro di arachidi, banane e pancetta croccante, è sicuramente più “light” della ricetta originale (che veniva anche spalmata e fritta nel burro e alla quale veniva aggiunto abbondante miele) ma comunque abbastanza...folle. La birra ideale da abbinare avrà un tenore alcolico piuttosto elevato e una carbonazione spinta, per contrastare la grassezza della pancetta e del burro di arachidi. Per quanto riguarda le banane, beh, se c’è una birra in cui possiamo trovare nitide note di questo estero così particolare è nelle Weizen: uno dei pochi stili classici tedeschi ad alta fermentazione. La TAP5 di Schneider è però una Hopfenweisse, sottogenere molto particolare che si distingue per il dry hopping di luppoli tedeschi, normalmente assente in questo stile. Il cappello di schiuma è molto consistente, bianco e pannoso. Subito sotto si presenta di colore arancione opalescente con riflessi dorati. Al naso i luppoli si fanno sentire, con note di frutta tropicale accompagnati da sentori speziati donati dai lieviti. In bocca la dolcezza del malto e l’acidità del frumento rendono la birra molto equilibrata, lasciando poi spazio alla veloce sterzata sui toni amari e fruttati che rendono la bevuta pericolosamente facile nonostante gli 8,2° alcolici. Vi consiglio di servirla nel tipico bicchiere da Weizen ad una temperatura di 7°C. 146 - BBQ4All MAGAZINE


MU-PILS Una birra per la gara più fredda

Via, si accendono le ciminiere, si svuotano sacchi di carbone e si spacca la legna. Gli affumicatori sono caldi, le carni sui taglieri vengono trimmate e si preparano le salse. La tensione cresce e la sete aumenta. Ma noi siamo arrivati preparati, vero? Nel costipato bagagliaio della macchina, del camper o del furgone, abbiamo sicuramente trovato un po­ sticino per una bella cassa di birra dissetante. Forse con queste temperature qualcuno preferirebbe una cioccolata calda. Ma noi no, a noi il freddo fa venire voglia di pilsner, fragrante, leggermente luppolata e 100% marchi­ giana. La Mu-Pils, del birrificio Mukkeller di Porto Sant’Elpidio ha tutto quello che cerchiamo. Nel bicchiere si presenta con il classico cappello di schiuma bianca candida e compatta, dal colore giallo dorato, limpida come da tradizione. Al naso spiccano note erbacee e floreali con una delicata crosta di pane. In bocca ritroviamo la leggera luppolatura con un finale secco ed amaro molto equilibrato unita alla giusta carbonatura che richiama il sorso successivo. Ottima per le preparazioni barbecue tipiche da gara. Vi consiglio di servirla in un pilsner glass a temperatura ambiente, se siete al freddo estremo come al W.E.S.T., altrimenti a circa 8°C..

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SPECIALE W.E.S.T. - LA PROPOSTA a cura di ENIO BERTON

L A C O P PA

DELL’AMICIZIA Il giusto conforto per la lunga notte

Non me ne vogliano gli amici valdostani ma cercherò di essere chiaro e preciso nella definizione della ricetta e del contenitore. Quella in foto è la coppa dell’amicizia, più comunemente chiamata grolla, anche se in realtà la grolla è utilizzata per servire il vino ed è più alta. Chiarito il primo punto, passiamo al secondo: la coppa dell’amicizia va riempita con il caffè alla valdostana che, per la sua origine tra Val d’Aosta, Piemonte e Valtellina andrebbe fatta rigorosamente con caffè e Genepy o Genepì. Siccome il Genepy non si trova in giro facilmente, in questo caso potremmo sostituirlo con la grappa, preferibilmente di vinacce bianche o, per i più audaci, con del gin. Il Genepy è un liquore ottenuto dalla macerazione in alcool e zucchero di artemisie alpine (piante perenni che 148 - BBQ4All MAGAZINE

crescono tra i 2400 e 3500 metri) dal profumo intenso floreale e fruttato. Dal 2014 ha ottenuto il riconoscimento dell’ IGT (indicazione Geografica Tipica). Bene, dato giusto spazio alla tradizione, passiamo alla preparazione di questa bevanda che ci può accompagnare nelle lunghe notti, in attesa dei cicalini dei termostati o delle sveglie per le cotture overnight. La coppa è fatta apposta per condividere con i compagni la bevanda e preservare il tepore. L’ho già detto: ci vuole il caffè, nero e forte (60%) e il Genepy (o grappa o gin, 40%), poi zucchero, scorze d’arancia e limone. Scaldate il tutto, inseritelo nella coppa, bagnate il coperchio con lo zucchero e il liquore, date fuoco al liquido e chiudete il coperchio. Buon divertimento e buona bevuta a tutti.


SPECIALE W.E.S.T. - COCKTAIL a cura di RICCARDO MENICONI

Un cocktail per scaldarsi

IL NEGRONI Finalmente è arrivata la competizione che tutti aspettavano, la più fredda, la più spettacolare, la più estrema: Winter Extreme South Tyrol Bbq Contest, il W.E.S.T. Tutte le squadre accorrono, con non poche difficoltà, al campo gara. La neve la fa da padrona, le piccole strutture in legno sembrano poter essere le uniche zone di comfort quando, ad un certo punto, per rinfrancarsi dalla prima fatica dell’intenso weekend, qualcuno inizia a miscelare tre magici ingredienti. Vermouth rosso, bitter e dell’ottimo gin.

Ha così tanta vita uno dei cocktail più famosi, molto in voga anche nel mondo di BBQ4All, di cui quest’anno si festeggia il centesimo anniversario: il Negroni. Era il 1919 quando a Firenze il conte Camillo Negroni, forse perché stanco del solito Americano, chiese di aggiungere una dose di gin in sostituzione del seltz al barman Fosco Scarselli dell’aristocratico Caffè Casoni. Nacque così questo cocktail che scalda il cuore, l’anima e il corpo. La speziatura del vermouth, l’amaro del bitter, la secchezza e l’aromaticità del gin lo rendono, se fatto bene,

l’aperitivo perfetto. Vediamo come si prepara: in un bicchiere old fashioned pieno di ghiaccio si versa prima un ottimo gin (come il Tanqueray N°10), poi il vermouth rosso (io adoro il Punt e Mes, il nostro Gianfranco Lo Cascio il Carpano Antica Formula) e infine il bitter Campari. 2cl per ogni ingrediente per un totale di 6cl di puro piacere. Mi raccomando, non dimenticate lo spicchio, o meglio, un twist di arancia, in modo da spruzzare gli olii essenziali sul bordo del bicchiere.

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RUBRICA a cura della BBQ4All UNIVERSITY

coach Michela Bongiorni

#CHIEDIALCOACH

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MANUELE RUNNER chiede: Scusate la domanda da neofita: nel pulled pork le inje­ ction vanno fatte poco prima di andare in griglia oppure contestualmente al rub, quindi la sera prima? risponde MICHELA BONGIORNI Il Pulled Pork è una delle tre preparazioni della Holy Trinity del Barbecue americano (Ribs, Pork, Brisket). Di solito è un pezzo molto grande di spalla di maiale che viene cotto, in modo classico, con il metodo low&slow, cioè a bassa temperatura per tempi lunghi, fino a che non si disfa (pulla) ovvero fino a che la carne non perde la sua struttura tenace e diventa talmente morbida, te­ nera e succosa al punto da sfaldarsi. A questo risultato ci si arriva sciogliendo il collagene, una delle proteine del tessuto connettivo, in gelatina. Questa trasformazione è in realtà una reazione chimicofisica precisa chiamata “idrolisi del collagene” e avviene soprattutto per via termica. La denaturazione delle proteine può avvenire, tuttavia, anche per via chimica. Due elementi in grado di favorire questo processo sono il sale e l’acidità. Ecco perché è molto importante fare le injection, ovvero iniettare, tramite una siringa bella grossa, una salamoia acidificata all’interno del pezzo di carne qualche ora prima. La dose ideale è un litro d’acqua, 40g di sale e 5 cucchiai di aceto di vino (o succo di limone, o salsa Worcestershire). Le injection quindi non sono altro che dei composti prevalentemente liquidi che vengono iniettati tramite una siringa all’interno del nostro pezzo di ciccia. Nel preparare le injection è importante ricordarsi che devono aiutare a denaturare le proteine, che devono aiutare a migliorare la succosità della carne, ma non devono assolutamente coprire il sapore di quest’ultima. Meglio evitare quindi sapori troppo invasivi, (ad esempio aglio, peperoncino, spezie particolarmente forti) e optare per basi neutre come ad esempio un buon brodo, a cui aggiungere il sale, una parte grassa e una acida: succo di limone, aceto di mele, burro, salsa Worcestershire, salsa di soia, vino bianco o rosso sono alcuni degli ingredienti più usati. Per tornare alla domanda principale, ripeto: inietta le tue injection nella spalla (o nella coppa) di maiale e lasciale agire in frigo per qualche ora prima di andare in cottura. Per quello che riguarda il rub, io preferisco sempre metterlo poco prima di andare in cottura e non la sera prima, per evitare che si bagni troppo e che impedisca la formazione della tanto desiderata crosticina (bark). Ultima raccomandazione: mai il rub prima delle injection, lo laveresti via. Questo, quindi, il percorso ideale da seguire: injection, riposo in frigo, rub e via in cottura. E buona “pullata”.

MARIO CARIELLO chiede: Io vorrei sapere maggiori info sul metodo di cottura Hot&Fast, pregi e difetti e differenze con il Low&Slow risponde EZIO SPADA Ciao Mario ti ringrazio per la domanda perché mi dà modo di affrontare un argomento molto in voga ultimamente ma

oggetto di grande confusione : il barbecue in Hot&Fast o più semplicemente H&F. Come ben intuirai dal nome, H&F si contrappone a quel che è definito Low&Slow o “barbecue in purezza” e si riferisce alla temperatura di cottura e di conseguenza ai tempi per ottenere il risultato voluto. Nel L&S si ricorre ad una temperatura di cottura molto bassa, intorno ai 107°C (225°F), mentre nell’H&F si viaggia a temperatura molto più alte, dai 170°C ai 190°C (ovvero 350/375° F e oltre). Capirai bene che i tempi di cottura saranno molto diversi risultando notevolmente ridotti nell’H&F (per fare un esempio semplificato diciamo che una spalla di maiale che normalmente in L&S cuoce dalle dieci ore alle quattordici e oltre, nell’H&F può essere cotta dalle cinque alle sette ore circa). A questo punto è logico porsi delle domande: • Come mai dovresti impiegare più tempo se puoi ottenere lo stesso risultato dimezzandolo? • Il risultato finale sarà esattamente uguale? • I vari passaggi richiesti, la loro difficoltà e la loro sequenza saranno uguali per tutte e due le metodologie di cottura ? Procediamo con ordine. Le due tecniche sono simili ma allo stesso tempo del tutto differenti. Per capire meglio questo concetto dobbiamo partire da due punti in comune tra loro: 1. La ciccia utilizzata fa parte di quei tagli “poveri” ca­ ratterizzati da una grande presenza di tessuto connettivo (e di conseguenza di collagene, la proteina che principalmente lo compone), molto difficile da trattare e denaturare per far risultare la carne una esplosione di sapore e morbidezza. 2. Dobbiamo stamparci ben in testa un concetto che Gianfranco, in una delle sue Mail Class, ha evidenziato in maniera disarmante : - Lo scioglimento del connettivo non avviene solo ad una data temperatura. Avviene sempre, anche quando l’animale è vivo. Il punto sostanziale è che a determinate temperature questo processo si accelera in modo significativo. Questo range è compreso fra 70°C e 82°C/85°C. A 85°C si ha il picco massimo di velocità di scio­ glimento del connettivo. Questi 85°C però non sono “un interruttore”, nel senso che non è che se arrivo a 85°C allora tutto il connettivo si è sciolto. Ma nemmeno per idea. Il punto è che mantenendo la carne a questa temperatura sto velocizzando il processo di scioglimento. Che comunque ci impiegherà, rea­ listicamente, qualche ora. Ed è proprio per questo motivo che entra in gioco la fase di “rest” cioè di riposo. Maggiore è il tempo in cui lasciamo la carne all’interno di questo range di temperature, più veloce sarà il processo di scioglimento. Ecco, ora è possibile comprendere meglio come il L&S e l’H&F affrontano questo problema con due approcci diversi. Con la tecnica del L&S la bassa temperatura ti consente di stressare meno le fibre per portare la carne alla temperatura interna richiesta (70°C) per iniziare ad attuare questo processo (idrolisi del collagene), e una volta arALMANACCO 2019

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rivato nel range prestabilito, impiegherai ancora tanto tempo per far continuare a salire la temperatura interna fino a quella finale desiderata, garantendoti un intervallo sufficiente per la totale gelificazione del connettivo. Con la tecnica dell’H&F invece porterai molto più velocemente il tuo pezzo di carne ad una temperatura interna di circa 70°C, e molto più velocemente questa continuerà a salire fino a 85-90°C e oltre. 3 sono però i punti fondamentali che dovrai tenere in considerazione con l’H&F: 1. Viaggiando ad una temperatura più alta potrai ottenere dei sentori di arrostito molto più marcati grazie ai processi della reazione di Maillard accelerati, ad una notevole quantità di grasso che sciogliendosi e venendo vaporizzato dal calore delle braci restituirà più sapore ed alla agevolazione della formazione del Bark (stai solo attento allo zucchero eventualmente utilizzato nella composizione del rub che a determinate temperature potrebbe bruciare). 2. Questa temperatura di cottura più elevata “strizzerà” inevitabilmente le fibre della carne facendo fuoriuscire più acqua; devi quindi prevenire questo problema con un trimming più leggero (cioè cercando di schermare la superficie esterna più esposta al calore lasciando una quantità maggiore di grasso superficiale), e andando in foil il prima possibile, non appena avrai dato la quantità di fumo sufficiente e non appena il tuo bark si sarà ben formato. A questo punto ti risulterà chiaro che se la qualità della materia prima fa sempre la differenza, questo è ancora più vero con l’H&F, in quanto un taglio di carne ben infiltrato di parte grassa ti permetterà di ovviare al problema della maggiore perdita di liquidi interni

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mantenendo il morso finale succoso e saporito. 3. In ultimo, e forse più importante di tutto, nell’H&F è fondamentale la fase di REST (o meglio di “rest controllato”). Il rest è sempre importante nelle cotture ed in particolare in quelle barbecue “tradizionali”, ma diventa essenziale con l’H&F; siccome in cottura la tua carne sarà rimasta nel famoso range di attua­ zione dell’idrolisi del collagene per un periodo troppo breve, dovrai, una volta raggiunta la temperatura che ti eri prefissato, terminare la cottura e mettere in rest la ciccia avendo cura che la temperatura interna non scenda al di sotto dei 70/75°C. La fase di rest nell’H&F è logicamente fatta in foil ed è prolungata, può arrivare a diverse ore (impossibile stabilire con esattezza la durata a priori, dipende dalla temperatura mantenuta e dalla morbidezza raggiunta), e puoi attuarla sia in un dispositivo stabilizzato apposta, che nel forno di casa o dentro un contenitore isotermico professionale ben isolato. Concludendo, L&S e H&F sono due tecniche (qualcuno forse direbbe due filosofie di cottura) molto differenti che portano a risultati eccezionali ma diversi. Nel L&S, a fronte di una gestione più semplice e che ti permette una probabilità di riuscita maggiore, hai una necessità di stabilizzare il dispositivo per un periodo molto più lungo. Con l’H&F invece i fattori si invertono ed è molto più facile incorrere in un risultato finale troppo asciutto o in una quantità di connettivo non perfettamente ammorbidito a causa di un errore su uno dei vari passaggi di cottura; se sarai però abbastanza in gamba da centrare l’obbiettivo, avrai impiegato complessivamente meno tempo.


ALESSANDRO CARLINI chiede: #chiedialcoach È possibile effettuare un dry brining e reverse searing e conservare in sottovuoto le carni cosi da utilizzare il forno una sola volta? E se è possibile, ha senso portare la carne a 52° per poi raffreddarla?

na - proteina sciolta nell’acqua - rimane intatta, mentre l’acqua, evaporando, cede il suo peso all’aria avviando di fatto un processo di concentrazione del sapore, così come avviene quando partendo da un brodo di manzo otteniamo un gustoso fondo bruno.

La fase successiva, la cosiddetta “ cottura diretta”, normalmente non richiede le procedure di abbattimento e successiva rigenerazione; quasi sempre infatti si prefe­ risce consumare la carne immediatamente. Nella ristorazione professionale, immediatamente dopo le prime due fasi, per ottimizzare i tempi e gestire grossi numeri o si abbatte in positivo o talvolta si congela, il tutto in tempi molto rapidi per evitare i problemi tipici della conservazione casalinga derivanti, ad esempio, dai Poniamo quindi il caso che tu abbia comprato un bel macro-cristalli di ghiaccio. pezzo di cuberoll e lo abbia porzionato in grosse (mi auguro) bistecche alle quali poi hai applicato le procedure Portare quindi una preparazione ai fatidici 52°C e poi indicate. I pezzi di carne così trattati subiranno delle raffreddarla, perché si è deciso ad esempio di consutrasformazioni chimico fisiche che sono in ogni caso marla in un altro momento, non inficia tutto il lavoro fatto in precedenza, poiché come già detto la struttura irreversibili, che tu li cuocia o meno. della carne è stata modificata. Il dry brining per mezzo degli ioni di sodio e cloro che si diffondono penetrando nel tessuto, innescano un È d’obbligo quindi seguire le regole di un abbattimento processo di denaturazione che cambia in sostanza la rapido e, ove prevista, il successivo congelamento deve essere effettuato con degli accorgimenti che preservino struttura proteica. al meglio una materia prima cosi fortemente disidratata. Il reverse searing amplifica questo processo con l’attivazione di enzimi che inteneriscono ulteriormente Prima di porre la carne in sottovuoto, se non si è dotati la struttura e, mentre la miosina inizia a sciogliersi per di un abbattitore professionale, la si dovrebbe adagiare poi emulsionarsi con i grassi presenti, è con la disidrata­ su delle placche rivestite di carta forno e metterla nel zione superficiale che cambia radicalmente il quadro ri­ freezer senza coprirla, per favorire un veloce raffreddamento e procedere con la messa in busta sottovuoto, spetto al punto di partenza. solo dopo a congelamento avvenuto. Rimanendo infatti sotto la soglia dei 52°C la mioglobiALMANACCO 2019 - 153 risponde MARCO ZORZAN Ciao Alessandro, è sicuramente possibile effettuare dry brining e reverse searing e poi conservare in sottovuoto, ma nel caso di procedura casalinga dovrai adottare degli accorgimenti per non incorrere in alcuni pericoli, problema che nella ristorazione professionale difficilmente può accadere.


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MECU SPECNAZ chiede: Qual è la differenza sostanziale tra dry aged e sottovuoto nella Frollatura? #chiedialcoach risponde GULI PONTIGGIA In risposta ad un nostro membro della community Mecu Specnaz, oggi analizziamo i vari tipi di frollatura. Innanzitutto voglio ricordare cos’è e perché viene fatta la frollatura. Possiamo considerarla come una fase di riposo dopo la macellazione fino al momento del consumo vero e proprio. La frollatura viene solitamente effettuata in celle frigorifere apposite, per un determinato periodo di tempo. Durante questo processo, all’interno della carne si creano dei nuovi enzimi che in questa fase di maturazione vanno a denaturare parzialmente il tessuto connettivo. Ne consegue un maggiore intenerimento delle fibre e una trasformazione, o meglio una concentrazione, del sapore delle fibre stesse. Questi enzimi sono le calpaine e le

catepsine, che possono essere più o meno presenti e che comunque lavorano lentamente. Per questo motivo, più la frollatura sarà lunga e più la carne ne beneficerà sia in termini di gusto che di morbidezza. Non dimentichiamoci inoltre che la morbidezza è data anche dalla marezzatura che può essere più o meno presente nella carne e che, se abbinata ad una frollatura adeguata, porta ad un risultato strepitoso anche in termini di gusto. Veniamo quindi al punto. Nello specifico troviamo il wet aging e il dry aging. Il primo è la frollatura effettuata in sacchetti sottovuoto, come la carne che trovi nel nostro Megastore. La dry aging invece viene effettuata in camere o teche apposite con temperature controllate, umidità co­ stante dell’80% e con l’ausilio di lampade UV che aiutano a tenere sotto controllo la proliferazione batterica in superficie. La carne subisce un notevole calo che può raggiun-

gere anche il 30% del peso iniziale, e ciò influisce negativamente sul prezzo finale. Considerando che il mercato è sempre in continua evoluzione, in commercio ormai si trovano sia sacchetti per la frollatura fai da te, sia teche per uso domestico per effettuare una frollatura dry aged con standard di buon livello. In ogni caso, per non incorrere in problemi, è bene affidarsi ai professionisti del settore che garantiscono e certificano tempi e accorgimenti adeguati in totale sicurezza. È vero, c’è ancora chi preferisce la carne magra e fosforescente, snobbando quella magari un po’ scura e grassa, sospettando che il macellaio l’abbia dimenticata fuori dal frigo. Ma sono sicuro che i nostri corsisti e i membri della Community di BBQ4All vanno dritti su quel pezzo di carne che non vuole nessuno… o qualcuno chiede ancora la fettina fresca e bella rossa?

“Vuoi entrare a far parte della Community di appassionati di barbecue e grilling più grande d’Italia? Iscriviti a

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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI

SEGUO

“Ciao, mi puoi sbannare?”

Avete mai visto Tango & Cash (USA, 1989)? Avete presente la scena in cui Sylvester Stallone e Kurt Russell, che interpretano due poliziotti, vengono incastrati e condotti in un carcere di massima sicurezza pieno di gente arrestata proprio da loro? Questa è un po’ la storia del mio arrivo a Campo di Tures, terreno di sfida della competizione KCBS. Per prima cosa, una precisazione: io di solito sono molto infastidito dal freddo già a novembre, sul litorale to­ scano. Ed è un clima considerato mite, sui dodici gradi. Non perché abbia particolari problemi, è solo che considero decisamente superfluo e seccante dover tollerare la

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sensazione sgradevole del freddo alle estremità. Invece eccomi lì, catapultato in un posto bellissimo, candido di neve fresca e assolutamente inospitale, “incompatibile con la vita!” come andavo bofonchiando sotto la sciarpa. Meno venti gradi, un delta di circa trenta gradi rispetto alla temperatura che per i miei standard rappresentava l’idea di freddo. Il piano è molto semplice: “devi intervistare i team stra­ nieri, SOLO i team stranieri, agli italiani pensiamo noi”, e il team sorriso della redazione spariva nel bagliore della neve, lasciando chi vi scrive in un tendone adibito a bar, a rimuginare sulle interviste da fare, all’uso del ter-


mine comraderie (lo capiranno? È un vocabolo desueto?) e a cosa poter scrivere nella rubrica Seguo del numero di febbraio, che far sorridere i lettori quando si ha il permafrost nell’anima non è così immediato. “Solo gli stranieri, con gli italiani parliamo prima noi, è meglio”. Ma perché il confronto con la scena di Tango & Cash? Perché sono il Community Manager di BBQ4All e perché, per un motivo o per l’altro, il settantacinque per cento dei concorrenti era stato, in passato, sanzionato (ok, proprio bannato) da me. Nota bene: mai avuto uno scambio di parole storto, mai un diverbio personale. Con buona approssimazione, non so neanche che faccia abbiano: è sempre stata solo l’applicazione di una regola che è uguale per tutti, spesso a causa di comportamenti non corretti nei confronti dell’azienda che rappresento, qualunque ne sia stato il motivo scatenante. Tutto intorno, però, un gran levare di sopracciglia. Ho visto qualcuno farsi dei selfie con me sullo sfondo, come quei turisti all’Isola del Giglio con la Costa Concordia spiaggiata dopo l’inchino. Questo ovviamente solo dopo essere stato riconosciuto, cosa non facile vista la mia somiglianza con un goffo gomitolo di pile e goretex, due cappucci in testa e diversi giri di sciarpa che lasciavano intravedere solo degli occhi accigliati. Ma ad un tratto, l’inaspettato: “ciao, mi sbanni?” “...eh?” “Sì dai, almeno vedo cosa scrivete, puoi togliermi il ban? Io non sono uno di quelli che dice cattiverie, sì ok ne ho dette diverse. Sì, in certi momenti ripetutamente, ma solo perché le dicevano gli altri dai.” Dai. Uno dietro l’altro, la stessa storia: invece delle tazze sbattute sulle sbarre della scena di Tango & Cash accoglievo una sfilza di sorrisi, strette di mano, richieste di amnistia, “dai sbannami”: amichevoli, tranquilli, ragionevoli. “Era solo una serata un po’ così, era solo la forza del coro, mi sentivo in branco e mi sono lasciato trascinare, ma poi è diventato grottesco, non ha senso questo continuo darsi addosso”.

Una delle strette di mano più illustri è avvenuta in maniera rocambole­ sca proprio in bagno, alle prese con un orinale. Sì, dopo essersi lavati le mani, non facciamo battutine da seconda media. In generale, sembrava non ci fosse proprio mai stato niente per cui scontrarsi, offendersi, bannare. Abbiamo avuto modo di salutare il mio primo istruttore, ora pilastro della squadra forse più famosa e ricca di successi internazionali in KCBS, che non ha potuto sottrarsi al piacere sottile di ricordare a tutti di quella volta che, con la goffaggine dell’esordiente, feci cadere uno dopo l’altro tutti gli hamburger attraverso gli spazi vuoti della griglia, come se fossero gettoni all’autolavaggio. Abbiamo vissuto la grande tensione emotiva della premiazione, con questi omoni barbuti e pettoruti che arrivano alle lacrime e strillano come sopranisti quando ricevono una call per la pietanza che hanno preparato: tensione che conosco molto bene, visto che ho avuto una crisi di nervi da diva del cinema muto per un quinto posto alla mia prima gara KCBS. Ma sotto i tre giri di sciarpa e la matrioska di cappucci di pile rimango un attento osservatore e non ho potuto fare a meno di notare la gente che cambiava direzione per non incrociare lo sguardo, o il concorrente giovanissimo che si rifiuta di concedere un’intervista “a quelli là”, ma che poi ci tiene a farmi sapere che lui, ah lui il gruppo facebook lo legge lo stesso, perché si è creato un account sotto falso nome! Wow, Kevin Mitnick delle costine, bastava fare un logout, il gruppo ha visibilità pubblica.

E non ho potuto non notare una signora dalla faccia simpatica e sorridente raggelarsi e incupirsi, come se avesse visto l’Azrael delle gri­ gliate, fare un passo indietro e allonta­narsi solo perché aveva riconosciuto credo - una frazione della mia iride, unico dettaglio visibile nella matassa agghiacciante di tessuto termoisolante che mi ricopriva. Questo è sicuramente quello che mi auguro che possa sparire quanto prima dai rapporti online e offline tra griller: perché ok, si può anche non essere d’accordo su alcuni argomenti, ma la spirale di insulti, conti in sospeso, sfottò e bassissimi attacchi che continuano dopo anni dal primo screzio (secondo me in molti non si ricordano nemmeno perché e quando hanno iniziato) ha stufato un po’ tutti a quanto pare; con un po’ di fortuna la spirale summenzionata diventerà abbastanza ridicola e insensata da nauseare e scocciare definitivamente anche gli hater più accaniti. Il numero del magazine che stai leggendo lo abbiamo messo assieme anche con questa segreta speranza: uno speciale sulle competizioni, per ricordarsi cosa tutto il movimento barbecue dovrebbe essere, per migliorare le cose con - si spera la collaborazione di tutti. Difficile, parecchio complicato, ma qui in BBQ4All abbiamo conseguito degli obiettivi mica da niente, chissà.

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N°3/ANNO 1 - MARZO 2019

MAGAZINE

GIANFRANCO LO CASCIO LA S OT TILE L I NEA ROSSA T RA R E V ER S E SEA RI NG , C B T E MIC ROO N D E PORTFOLIO L’AUSTRALIA E IL CULTO DEL BBQ SPECIALE

UNA PORCHET TA PER DOMARLI


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EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO

la sottile

LINEA ROSSA

che unisce

REVERSE SEARING

cottura a bassa temperatura E

MICROONDE

Sono certo che qualcuno tra voi se lo sta chiedendo: ma la cottura a bassa temperatura, la tecnica del sottovuoto insomma, e il Reverse Searing, il passaggio in forno delle carni fino al raggiungimento dei fatidici 52°C al cuore, sono la stessa cosa? Squillino i termometri a sonda, sto per dare a quel qualcuno una risposta. Ho constatato a malincuore che persiste ancora un po’ di confusione nella scelta del metodo e alcuni ritengono che le due tecniche siano intercambiabili. Vi do una brutta notizia, non è così. Facciamo quindi chiarezza ed iniziamo a snocciolare di nuovo i concetti chiave. Il Metodo BBQ4All per ottenere la bistecca perfetta prevede la suddivisione della procedura in due batch distinti di cottura: interna ed esterna. L’obiettivo della cottura interna è quello di ottenere una sfumatura omogenea nella sezione del taglio, uniforme dallo strato superficiale a quello sottostante, fino al grado di cottura richiesto dal commensale. Questo ci consente di preservare succosità e tenerezza al morso. Lo scopo della cottura esterna è quello di ottenere una crosta di cauterizzazione omogenea su entrambe le superfici; le grill marks, le righe incrociate che ci piacciono tanto, sono anelabili ma opzionali. La crosticina ambrata consente di incrementare le molecole umami ed è la chiave del potenziamento gusto-olfattivo. Fin qui ci siamo, giusto? Ora facciamo un piccolo ripassino e rispolveriamo la definizione di “reazione di Maillard”. È quella reazione chimico-fisica che si manifesta quando proteine e zuccheri riducenti, in totale assenza di acqua, vengono esposti ad una fonte di calore. Queste molecole, grazie al calore, si riallineano e formano nuove molecole

non esistenti in natura, molto profumate e gustose, dal colore ambrato. La crosta del pane, dell’arrosto, dei bignè, dei croissant, dei biscotti, del pollo, e di tutti quegli alimenti che contengono proteine e zuccheri riducenti, si trasformano grazie alla Reazione di Maillard. That’s all. Adesso ragioniamo su come ottenere questo risultato e quali tecniche distinte poter applicare per arrivare alla meta. Cominciamo dall’esterno. Come otteniamo una perfetta crosta di cauterizzazione? Quella che amiamo definire “crosticina croccante” è in realtà il prodotto di una reazione chimico-fisica ben precisa che prende il nome di reazione di Maillard. La reazione di Maillard avviene solo se si manifestano tutte le seguenti condizioni contemporaneamente: 1. Totale assenza di umidità. 2. Temperatura della superficie di contatto di almeno 140°C. 3. Presenza di zuccheri riducenti. Ma la bistecca è umida, è necessario trovare un espediente per eliminare completamente l’acqua. È qui che entra in gioco la tecnica del Reverse Searing, applicandola nel modo che ti ho insegnato: metti la bistecca in forno impostato a 52°C e aspetti che calore dolce e moti di convezione asciughino la superficie. Sai bene che tamponare la carne con la carta da cucina è una condizione necessaria ma non sufficiente ad eliminare ogni residuo di umidità. Ti serve una fonte di calore secco che permetta ai liquidi in superficie di evaporare. Parliamo ovviamente di un procedimento che richiede del tempo, nell’ordine di qualche ora. La cottura a bassa temperatura, che per comodità indicheremo con l’acronimo CBT, è una tecnica straordinaria che permette di raggiungere risultati altrimenti impossibili da ottenere. Nel nostro specifico caso, impatta in ALMANACCO 2019 - 161


modo positivo per ciò che riguarda la cottura interna ma al contempo influisce in modo negativo sulla cottura esterna. Semplicemente perché il calore esercitato con la CBT produce un’inarrestabile contrazione proteica che, come ti ho detto più volte, strizza fuori l’acqua dalle fibre. L’acqua si riversa nel sacchetto del sotto-vuoto e quindi, di fatto, la superficie della bistecca resta bagnata. La tecnica CBT va benissimo per il condizionamento interno, dobbiamo solo tenere in considerazione che esiste un effetto collaterale legato al mantenimento di umidità in superficie. Fermo restando che il beneficio è nettamente superiore al difetto. Quindi sì, il condizionamento in CBT della nostra bistecca è ricevibile e più che degno di considerazione tra le tecniche papabili, ma sempre tenendo presente l’effetto collaterale nei confronti della superficie che, in un modo o nell’altro, dobbiamo eliminare successivamente. Ora torniamo sui parametri a cui attenersi per produrre una crosticina esterna perfetta. Una crosta di cauterizzazione perfetta (Reazione di Maillard) si ottiene con una minima permanenza al ca-

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lore e in totale assenza di umidità. Nell’optimum, la reazione di Maillard definitiva si ottiene esponendo la bistecca al calore per 30 secondi, su una superficie completamente asciutta e leggermente spennellata di olio. Per ottenere una superficie completamente asciutta devi, quindi, disidratarla. Puoi farlo in molto modi: nel forno, nell’essiccatore, con l’asciugacapelli (nella top five dei dispositivi per asciugare), con la pistola per sverniciare, con una salamandra, con una blow torch, un mantice da fabbro, o anche mettendola accanto ad un termosifone o sotto un asciugamani elettrico dell’Autogrill. Devi semplicemente esporla al calore secco e fare in modo che l’acqua in superficie evapori. Ma devi tenere bene in considerazione che è un processo che può richiedere del tempo a seconda della “forza” della tua fonte di calore secco. La disidratazione superficiale, in ordine temporale, è l’ultimo passaggio prima della padella o della griglia. Se hai una superficie completamente asciutta, leggermente unta, la tua crosta di cauterizzazione si produrrà in non più di 30 secondi di perma-

nenza sul fondo del tuo ferro. Matematico e garantito. Ha senso, a questo punto, fare una cottura in CBT e poi asciugare la carne in forno? Certo che ha senso. Come ti ho spiegato prima, la CBT serve a valorizzare il cuore della carne ma ha il “difetto” di mantenere umida la superficie. Pre condizionare sotto-vuoto per poi asciugare in forno ha tutto il senso della vita. Quindi se hai modo e tempo, fallo. E ti dirò di più, di base è la combo più gettonata dai Grill Master di lungo corso perché riduce al minimo gli sforzi in funzione del massimo beneficio. Una volta asciugata la superficie, non ti resta che spennellare la tua ribeye con dell’olio e lasciarla 30 secondi in padella rovente. Otterrai una crosta da manuale sempre e in ogni latitudine. Sistematicamente, tutte le volte. Lo so, ora vuoi sapere quale tra CBT e Reverse Searing garantisce una cottura al cuore omogenea. La risposta è: dipende. Se hai presente il Simposio di Platone e la teoria della mela, potrai facilmente capire che ogni tecnica ha dei


pro e dei contro, e su diversi fronti. Devi applicarle tenendo in considerazione tre parametri fondamentali: 1. Che tipo di bistecca hai davanti. 2. Quanto tempo a disposizione hai. 3. Che risultato vuoi ottenere. Ci ragioniamo fra un attimo. Per adesso fidati quando ti dico che non esiste una tecnica migliore dell’altra in senso assoluto. Esiste una tecnica migliore in funzione del risultato che vogliamo ottenere. Non tutte le bistecche sono uguali e non tutte si comportano allo stesso modo. Ho parlato spesso di Frollatura e Dry Brining, quindi do per scontato che tu queste cose le sappia già (iscriviti subito alla Mail Class se non sai di cosa parlo). Andando al sodo, una NYS di Rubia Gallega non si comporta come una Ribeye WX. Se sei un cliente Megastore avrai ben chiaro il concetto. Se invece non hai colto il parallelismo, la Rubia è una vacca anziana, quindi di base molto tenace, con una buona marezzatura e un significativo accumulo di grasso superficiale. Ha un carattere gustativo tutto suo e un nutrito seguito di estimatori. Il WX è di base un castrato o una scottona di

Wagyu, molto marezzato, molto frollato, molto saporito e molto tenero. Per quale motivo dovrei mettere una costata WX in un sacchetto? Devo intenerirla? No, non c’è alcun bisogno. Devo mettere allora la Rubia in CBT? Avrebbe già più senso. Di certo otterresti un miglioramento della texture gelificando il tessuto connettivo con qualche ora di CBT a temperatura controllata. Ma questo non vuol dire che la CBT sia deleteria per il wagyu WX. Puoi tranquillamente mettere la costata in un sacchetto, dargli una mezz’ora di CBT per scaldarla in modo uniforme e poi metterla ad asciugare in forno fino al momento di cuocerla in padella. Non gli fai un soldo di danno. Così come puoi, invece, metterla direttamente in forno per riscaldarla. Di base non è un reverse “vero”, ma scaldarla al cuore mentre la asciughi fuori non gli fa di certo male. E sappiamo anche perché. In questo caso sai di non avere alcuna necessità di “lavorare” il connettivo. Ti serve solo per portarla ad una temperatura di servizio e velocizzare la reazione di Maillard, partendo da una temperatura più alta. Tutto qui.

Mentre per la Rubia ha senso intenerire in CBT e poi asciugare in forno. La degradazione del tessuto connettivo, infatti, può avvenire per via termica e/o per via enzimatica. È fuori discussione che con la CBT andiamo ad accelerare la degradazione del connettivo per via termica. Perché l’acqua conduce il calore molto meglio dell’aria: la somministrazione del calore è molto più performante in CBT rispetto al Reverse. Quindi scegli la CBT quando sei certo di avere una bistecca che necessita di intenerimento. Se sai di avere una materia prima tenace, vuoi perché poco frollata, vuoi perché proveniente da una bestia matura che ha quindi fasci di connettivo molto più strutturati, ha molto senso ripiegare subito sulla cottura CBT. Anzi, ti dirò di più, è da preferire rispetto al Reverse perché mentre inteneriamo i fasci di connettivo, limitiamo la perdita di liquidi. C’è un legame molto stretto tra lo scioglimento del connettivo e la perdita di umidità. L’intenerimento del connettivo per via termica è tanto più efficace quanta più umidità esiste tra i fasci. Considerando che il ALMANACCO 2019 - 163


Reverse produce, oltre alla disidratazione superficiale, anche l’evaporazione costante dei liquidi interni, ha più senso eliminare una variabile e intenerire la carne dentro al sacchetto. Fare un Reverse con una bistecca non frollata porterebbe ad una rapida evaporazione dei liquidi interni che potrebbe limitare la degradazione del connettivo. Il risultato sarebbe una carne molto compatta ma ancora dura. Il binomio umidità-calore, nella CBT, è di vitale importanza per ottenere il risultato ottimale. Ecco perché, almeno in teoria, sarebbe molto meglio procedere ad un Dry Brining (cospargendo la carne con del sale kosher) di almeno 24 ore su carni non frollate prima di procedere alla CBT. La degradazione avverrebbe in parte per via chimica grazie alle trasformazioni dovute al sale. Su una carne ben frollata non ti serve il Reverse per intenerire e nemmeno la CBT. Ti serve il Reverse per disidratare. E visto che la CBT non disidrata, di base, non dovrebbe mai venirti in mente di mettere una carne molto frollata in un sacchetto. A meno che, come ti ho detto sopra, tu lo faccia per qualche minuto per scaldarla, ma sempre tenendo a mente di dover andare in forno per asciugare. La vera domanda a questo punto è: ne vale la pena? Ma permettimi di tornare sulla degradazione enzimatica: funziona come per la frollatura. Calpaine e Catepsine sono gli enzimi responsabili della degradazione del connettivo. Il punto è che non sappiamo mai se questi enzimi sono presenti o meno nella bistecca che abbiamo davanti. In caso ci siano, ti basti sapere che a temperatura comprese tra 40°C e 50°C questi enzimi “si svegliano” con una fame boia e iniziano a “demolire” i fasci di connettivo. Di base, quindi, portare la bistecca ad una temperatura di 40-50 gradi, nel caso in cui siano presenti gli enzimi, significa fare una frollatura accelerata sotto steroidi. Prima porto la carne a quella temperatura, prima inizia. Per più tempo ci resta e più si intenerisce. E a questo punto entra in gioco il microonde. Ha senso usarlo per scaldare la carne? Ma chiaro che sì. Devi fare però mol164 - BBQ4All MAGAZINE

ta attenzione. Per prima cosa, non puoi controllare la forza delle microonde. Se vai oltre i 55 gradi fai piazza pulita degli enzimi. Se vai oltre i 72 fai anche piazza pulita di mioglobina. In pratica lessi la bistecca senza ottenere nessun beneficio. L’unica maniera saggia di usare il microonde è fornire energia pulsata, con delle pause in mezzo, per dare modo alla carne di scaldarsi in modo uniforme. Le microonde sono onde elettromagnetiche emesse da un magnetron (una valvola termoionica) che “eccitano” le molecole d’acqua facendole vibrare. La vibrazione sviluppa calore. In modo minore, anche zuccheri e grassi ballano al piffero del magnetron. Quindi non ci resta che usarlo in modo molto saggio: ogni microonde ha la funzione DEFROST. Infili dentro la tua bistecca in modalità defrost e la esponi alle microonde per un minuto. Acqua, zuccheri e grassi si scaldano. Contrariamente a quanto dicono, la bistecca è ricca di acqua anche sulla superficie, quindi saranno prima gli strati esterni a scaldarsi rispetto a quelli interni. Trascorso il minuto, aspetta un altro minuto per dare modo al calore di propagarsi per conduzione. Ricordi quella storia dei corpi caldi che cedono calore a quelli freddi? Bene, devi fare in modo che gli strati interni della bistecca assorbano il calore di quelli esterni. Dopo un minuto, rifai un secondo giro di microonde defrost. Fai ancora un minuto di pausa e poi infili la tua sonda. Verifica che la temperatura sia al di sotto dei 40/45 gradi e se sei ancora lontano fai un terzo giro. Ed eventualmente un quarto. E così via. Un minuto di microonde defrost più un minuto di pausa. Quando arrivi a 40/45 gradi la tiri via e la infili nel forno per il tuo Reverse. In questo modo, se presenti, avrai attivato gli enzimi. Ma non solo. Avrai attivato anche la degradazione termica che continuerà in forno in aggiunta al beneficio della disidratazione, che ti serve per la reazione di cauterizzazione.

ratura dell’acqua. Sarebbe solo una perdita di tempo. In forno, invece, potrebbero volerci ore prima che la bistecca si scaldi per conduzione. Quindi sì, in caso di Reverse puro ha senso la botta al microonde. In caso di CBT no.

Non ha alcun senso, invece, attivare in microonde e poi passare in CBT. Se metti una bistecca nel sous vide, in 6/8 minuti raggiunge la tempe-

Gianfranco Lo Cascio

A questo punto mi chiederai: posso fare condizionamento in CBT e poi abbattere in positivo? Se stai intenerendo il connettivo su più bistecche e vuoi lasciarle pronte da rinvenire successivamente, sì, te lo consiglio. Stai ottimizzando i tempi, nulla da dire. Ma se lo stai facendo perché qualcuno ti ha detto che abbattendo la carne risulta più tenera, stai soltanto facendo una cosa stupida detta da un cretino. Abbattendo la temperatura rallenti la degradazione enzimatica che torna a quella di una frollatura standard (settimane) e disattivi quella termica. È una roba priva di qualunque senso logico. E te ne dico un’altra, l’abbattimento della temperatura non elimina la carica batterica, ma manco nei sogni più bagnati. La cottura CBT, se fatta in abbinamento alle tabelle di pastorizzazione, di fatto sterilizza (non è il termine giusto ma è per rendere l’idea) il tuo prodotto. Non ci può essere carica batterica in quel preciso momento. Potrebbe cambiare durante il processo di raffreddamento, quello sì. Quindi, come detto, se devi conservare la tua carne devi assolutamente abbattere prima di mettere in frigo. Se devi farlo per scongiurare il carryover (inerzia termica) o perché tuo cugino ha detto che abbattendo diventa più tenera, sappi che stai facendo una cavolata senza alcun senso e per i motivi che ti ho spiegato prima. Più chiaro ora, giusto? Si parla di scienza, non di punti di vista, il resto non conta. L’aspetto più triste della vita di oggi, per citare qualcuno, è che la scienza accumula conoscenza più velocemente di quanto la società accumuli saggezza. Braci e abbacchi


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INDICE MARZO 2019 - NUMERO 3 ANNO 1

B U TC H E R C LASS

la bistecca del mese Flank Steak A PP RO FO N D I M E N TO

l’evoluzione del rub

168 174 178 184 186 S P EC I A LE 192 MA I A L E 222 226 230 232 S E G U O WINE CLASS

il profumo del vino

ACC E SS O R I

6 coltellli che non ti possono mancare

PO RT FO L I O

L’Australia e il culto del barbecue

PER INIZIARE

cuocere e affumicare nei dispositivi a gas

#CHIEDIALCOACH GLOSSARIO BBQ

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RICETTE 182 Boneless Beef Ribs 192 Porchetta BBQ4All Style 196 Porchetta dal cuore morbido 198 Introduzione al Pork Belly 200 Pork Belly 202 Panino con Pork Belly 204 RagÚ di pancetta 206 Un’insalata che non potrai rifiutare 208 Melanzane ubriache al Mojito 210 Chicken Lollipops 212 Guida al trimming delle Chicken lollipop 216 Biscotti al Muesli con crema alle arancie siciliane 218 Abbinamenti vino 220 Abbinamenti birra e cocktail

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BUTCHER CLASS a cura di SAL DI MENTO

la bistecca del mese:

FLANK STEAK È una bistecca atipica, relativamente ingombrante nel grill, non proprio semplicissima da grigliare ma rappresenta, senza paura di alcuna smentita, un incredibile compromesso tra sapore, succulenza e tenerezza delle fibre. Il modo più classico, il vero cavallo di battaglia, la ricetta per antonomasia per cuocere la flank è quello nella tecnica Teriyaki.

narli sottilmente prima di metterli nel piatto, rigorosamente contro fibra.

La tecnica Teriyaki prevede prima una marinatura e poi una finitura con una salsa saporitissima e molto brillante -la Teriyaki appunto- capace di infondere una complessità aromatica incredibile. Se non l’hai mai provata, non solo è il momento di farlo, ma sappi che sarà un’esperienza alla quale non rinuncerai mai più.

Pulire la Flank La Flank steak necessita di un pre-trattamento veramente irrisorio. All’estremità del muscolo c’è uno strato ovale e spesso di silverskin; usa un coltello per rimuoverla. Squadra e rifila i bordi appuntiti che presentano tessuto connettivo, perlopiù nell’estremità più ampia.

Flank Steak – rectus abdominis Nel bovino, la regione della Flank (leggi “pancia”), da non confondere con la flank (leggi bavette) contenuta in essa, è l’unica regione priva di ossa. Questo negli U.S.A., però. È importante chiarire infatti che in Italia quando si dice “pancia” questa ha anche una parte ossea che negli Stati Uniti e nei Paesi anglosassoni chiamano short rib. Negli States si disossano gli animali con un approccio e protocolli differenti, come abbiamo già detto nei numeri precedenti, tienilo sempre a mente. Quindi, ricapitolando, negli U.S.A. la “pancia” è quella parte senza ossa che spesso rimane attaccata al posteriore al momento della separazione in due della mezzena.

La tecnica di cottura Questa preparazione ci farà capire che non sono i tagli di carne ad essere nobili o poveri, ma piuttosto le tecniche di cottura scelte ad essere giuste o sbagliate. Anche un taglio tenace come questo, se opportunamente preparato e (soprattutto) affettato nel modo corretto, può diventare una prelibatezza al pari del più blasonato filetto e, in certi casi, oscurarlo completamente.

Dalla pancia o Flank primal si ricavano 3 tagli: la flank steak, l’inside skirt e il sirloin flap. Sono muscoli sottili e forti che hanno l’inesorabile compito di sostenere le viscere addominali dell’animale. Possono trarre beneficio dalla marinatura, ma prima di tutto, assicurati di porzio168 - BBQ4All MAGAZINE

Nomi alternativi: jiffy steak, bavetta, bavette, flanchet. La flank steak è una bistecca facile e rapida da grigliare che, come tutte le bistecche di quel gruppo muscolare, trae beneficio dalla marinatura e dal taglio contro fibra.

Crosta croccante Ricercare le reazioni di cauterizzazioni è sempre il nostro obiettivo primario. In questo caso, la salsa che spennelleremo in cottura, se da una parte ci aiuta, dall’altra ci rende il compito più difficile a causa della presenza di zucchero che tende a bruciare. Carne tenera e succulenta La flank è un taglio relativamente sottile con fibre molto grandi, per questo motivo tende ad asciugarsi in fret-


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ta. Inoltra, la presenza di una grande quantità di tessuto connettivo la rende difficile da masticare. Per ovviare a questo problema sarà sufficiente cuocerla il giusto e affettare la carne sottilmente, mezzo centimetro al massimo, e in modo perpendicolare alle fibre. Le fibre corte, in questo modo, perdono la capacità di coesione anche se il connettivo non è completamente sciolto. Marinatura La salsa Teriyaki di base è composta da 3 ingredienti: salsa di soia, mirin (un sake leggermente dolce) e zucchero. Alcune varianti prevedono anche sake, zenzero e aglio. È straordinaria con il pollo, ma superba anche con il manzo. Bisogna distinguere la salsa Teriyaki usata per marinare da quella utilizzata per la finitura. La seconda viene lasciata sobbollire e ridurre fino ad una consistenza sciropposa. La prima, invece, viene lasciata un po’ più liquida, ideale per immergervi la carne, lasciandola ad insaporire per alcune ore prima della cottura (meglio se per tutta la notte). Se il tuo taglio è poco frollato, è una buona idea sostituire lo zucchero con dell’estratto fresco di polpa d’ananas. Questo frutto contiene un enzima, la bromelina (presente in quantità maggiori anche nel gam-

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bo, e reperibile come estratto secco), realmente capace di intenerire le fibre in maniera davvero efficace. Ma tu avrai senz’altro acquistato una Flank Steak dal Megastore Bbq4All e in quel caso, e solo in quello, la frollatura non avrà bisogno di aiutini o espedienti di sorta. Esistono molte Teriyaki commerciali, alcune molto valide. Usare quelle pronte non è un aspetto da sottovalutare a priori; basta trovare un prodotto di qualità. Come grigliare la flank steak Una volta che la nostra flank steak è stata marinata, bisognerà (come al solito) asciugarla con della carta da cucina, spennellarla con un filo d’olio di semi e grigliarla ad alta temperatura. Quando la nostra bistecca raggiunge un bel colore e ottiene una bella crosta saporita, arriva il momento di spennellare la salsa Teriyaki di finitura. A questo punto, è importante tenere d’occhio la cottura perché la presenza di zucchero nella salsa può rappresentare un pericolo. Gli zuccheri, sottoposti a calore elevato, tendono a caramellare molto in fretta ed è forse superfluo ricordare che la linea di confine tra caramellizzazione e carbonizzazione è davvero sottile.

Bisogna, a questo punto della cottura, rigirare spesso la carne in modo da evitare che arrivi troppo calore e troppo in fretta. Dopo un paio di spennellature dovresti ottenere una crosticina deliziosa, scura, profumatissima e brillante. Come porzionare la flank steak La flank ha una struttura che evidenzia palesemente una striatura delle fibre che corrono per il lato lungo del pezzo. Il taglio migliore è quindi quello perpendicolare. In questo modo, le piccole fettine di flank steak risulteranno molto tenere in quanto il tessuto connettivo, essendo tagliato in porzioni molto sottili, non sarà sufficientemente resistente e potrà essere masticato senza difficolta. Consigli per il servizio Tradizionalmente, il manzo Teriyaki viene servito affettato su un letto di riso e con una generosa dose ulteriore di salsa, peperoncino tritato e cipollotto fresco. Eccezionale anche servito come base per tacos o fajitas insieme a fagioli, insalata, julienne di peperone crudo e peperoncino Jalapeño.


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BUTCHER CLASS a cura di SAL DI MENTO

La porzione anatomica principale del flank inizia vicino alla punta del controfiletto e continua fino alla tredicesima costola in direzione craniale. Per separare questa parte dal quarto posteriore basterĂ seguire la stessa direzione. L’approccio ideale è triplice: seguire le giunture naturali e la curvatura muscolare lungo lo short loin e il sirloin, trovare il lembo del sirloin flap e quindi tagliare parallelamente alle vertebre mantenendo la distanza dai muscoli lombari principali.

Ora che hai rimosso il fianco, puoi separare rapidamente i tre tagli principali (flank steak, inside skirt e sirloin flap). Tutti i muscoli del fianco sono grossi e molto suscettibili allo strappo. Per questo motivo, quando incontri una notevole resistenza, usa il coltello per separare le connessioni. La linea tratteggiata indica la posizione della flank steak.

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Identificata la flank steak pratica un incisione intorno ad essa con la punta del coltello. Tira la membrana del muscolo, iniziando dai bordi. Usa la mano libera per tenere fermo il muscolo sul tavolo ed evitare di strapparlo. I tessuti particolarmente resistenti possono essere recisi con il coltello.

Usando le dita, passa tra la punta appuntita del muscolo e la membrana sottostante, e quindi staccala dalla parte grassa. Questo passaggio può essere fatto principalmente a mano, anche se ci si può imbattere in aree che richiederanno l’uso del coltello. Infine, stacca il muscolo nel punto in cui si assottiglia il grasso.

Usa il coltello per passare sotto lo strato di connettivo (silverskin) sul bordo del muscolo e quindi rimuovi l’area esposta senza tagliare troppo in profondità. Rimuovi con cura tutte le membrane e il grasso in eccesso. La flank steak è pronta per essere cotta in griglia.

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Perché fermarsi al sale e pepe? Su cosa sia il rub e a cosa serva abbiamo discusso moltissimo in Community. Tuttavia, per semplificare la vita a quelli che non hanno ben chiaro l’argomento, ecco qui una piccola guida per comprendere meglio il concetto di rub: cos’è, a cosa serve, come si usa. Cos’è, a cosa serve? Partiamo dalle basi: il rub è una miscela di spezie che viene cosparsa sulla ciccia prima della cottura. Ha la funzione principale, nelle preparazioni bbq, di favorire la formazione della crosticina superficiale (bark), in modo da renderla ancora più croccantina e gustosa. La base di ogni rub è sempre il sale, che deve essere dosato in quantità tali da fornire la giusta sapidità a tutto il pezzo di carne. Il che significa, in parole povere, che assaggiando un rub col dito la sapidità deve essere sbilanciata per eccesso. La nota dolce del rub, lo zucchero quindi, serve a mitigare la durezza di sapore data dal sale, ma non solo: sciogliendosi e cristallizzandosi contribuisce alla formazione del bark. Oltre ad essere responsabile di quel terribile sapore amaro e del color carbone nelle preparazioni che, per dirla in modo soft, non sono andate a buon fine: bisogna fare sempre molta attenzione, perché lo zucchero si brucia molto velocemente. Nei vari rub di solito si utilizza lo zucchero di canna grezzo (in proporzione 3:1, cioè una parte di zucchero ogni tre parti di sale) per due ragioni principali: la prima è che ha un potere lievemente meno dolcificante rispetto al normale zucchero da cucina; la seconda è che i suoi sentori di caramello e melassa sono sicuramente più piacevoli al palato. Ok, adesso abbiamo la nostra base di sale e zucchero. Cosa manca? Il sapore. Tutti sappiamo che l’esaltatore di sapidità per eccellenza è il glutammato monosodico. Toglietevi pure quell’espressione disgustata dalla faccia: in natura esistono spezie ricche di questa sostanza. Qualche esempio? La paprika dolce, l’aglio e la cipolla disidratati e ridotti in polvere sono tutte spezie che contengono quantità concentrate di glutammato e sono anche ricche di sfumature aromatiche molto intense. Vanno quindi aggiunte alla miscela, in quantità variabili a seconda del gusto che si vuole dare. Inoltre, per caratterizzare un rub e renderlo unico, è necessario aggiungere altre spezie, creando un blend aromatico caratteristico che poi aggiungeremo alla miscela di base. Via libera quindi a qualsiasi cosa possa suggerirvi il vostro gusto: curcuma, semi di finocchio, cardamomo, cannella, cumino, noce moscata, macis, caffè. E via così.

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Montreal Steak Seasoning


L’EVOLUZIONE DEL

RUB

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Ci siamo quasi, il rub sta prendendo forma. Manca solo una cosa: il kick. Parliamo di una leggera nota piccante che deve arrivare dopo il morso e la masticazione. Un contraccolpo, quindi, dato dall’uso di peperoncino o di pepe (o di entrambi), il cui effetto deve essere ritardato grazie alla presenza dello zucchero. Il kick non è obbligatorio, sia chiaro, ma è spesso previsto, specie dal flavour profile (profilo gustativo) americano. Fin qui abbiamo parlato del dry rub. Per ottenere un wet rub, è sufficiente aggiungere un liquido: birra, vino, salsa di soia, aceto di mele o burro fuso. Come si usa? Solitamente, l’errore che tutti commettono (quando sono alle prime armi) è quello di usare troppo rub. In giro si vedono foto di ribs pronte per

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andare in cottura che sembrano fettine panate. Potremmo sintetizzare il pensiero comune in questo modo: se mi serve una bella crosta croccante, più rub metto, più sarà spesso il mio bark. Sbagliato. Uno strato troppo generoso di rub farà sì che quest’ultimo si bagni molto durante la cottura e non abbia poi il tempo di asciugarsi, diventando una pappetta molliccia che al primo morso si attacca ai denti. Quindi, per prima cosa bisogna sempre dosare bene il rub con una spolverizzata che si attacchi alla superficie e la ricopra tutta bene (di solito si usa un velo di senape o d’olio per fare in modo che si aggrappi alla carne), senza però esagerare e senza formare uno strato troppo spesso. Un

consiglio? Per distribuirlo sulla carne è utile usare un setaccio che separi bene le polveri e le sparga in modo omogeneo e senza grumi. Nel caso in cui si voglia usare il wet rub, perfetto in preparazioni come costolette di maiale e di agnello, braciole di maiale e cosce di pollo, bisogna sempre ricordarsi che la consistenza può anche variare, ma l’importante è che sia “sticky”, appiccicoso, cioè che si aggrappi saldamente all’ingrediente. Andare oltre Torniamo alla domanda iniziale: perché fermarsi al sale e pepe sulla bistecca? E soprattutto, perché fermarsi all’utilizzo del rub solo come descritto nel “foglietto illustrativo”? Utilizzare un buon rub per “pompare” preparazioni che sulla carta non


ne prevedono l’uso vuol dire aprire la mente a nuove sperimentazioni, significa essere liberi dai condizionamenti dei gastro-talebani e, particolare non trascurabile, ci fa godere molto di più. Come spesso abbiamo avuto modo di ricordare, un piatto è perfetto quando non c’è più nulla da togliere, non quando non c’è più niente da aggiungere. La maionese, per fare solo un esempio, non è migliorabile, perché è già perfetta così. La bistecca invece lo è, nonostante gli irriducibili del “non aggiungere nulla, basta solo il sapore della ciccia”. È possibile, e in molti casi auspicabile, migliorare l’esperienza gustativa di una bistecca aumentando, amplificando, migliorando il gusto che già adoriamo. Basta aggiungere il rub, quello giusto.

Certo, volendo uno può farselo in casa, ma chi si è cimentato nella preparazione casalinga deve dire la verità: quanti soldi ha speso per procurarsi ogni singola spezia? Polveri che sono a volte difficili da reperire, che avanzano e prendono umidità, dimenticate negli angoli più bui e reconditi delle nostre dispense.

utilizzabile sulla bistecca sia prima della cottura che dopo, mette letteralmente sotto steroidi la vostra ciccia. Il Tennessee Mild Rub è un’evoluzione del vecchio BBQ4All rub 19. Dalle ribs, allo stinco, dal Pit Beef al Pepper Stout. Senza dimenticare il pollo. Un grande classico intramontabile.

I rub già pronti sono sicuramente la soluzione ideale: già dosati, già perfettamente equilibrati, con un sapore ben bilanciato. Basta solo aprire la confezione e utilizzarli, fino all’ultimo granello, senza nessuno spreco.

Li trovate entrambi nel BBQ4All Megastore, insieme al Kosher salt che è, appunto, sale Kosher, perfetto per il Dry Brining (il pre trattamento della bistecca con sale). Meno invadente del sale grosso, ma con più mordente del Maldon.

La nostra proposta Noi di BBQ4All, dopo molte sperimentazioni, abbiamo messo a punto due ricette di rub definitive: Il Montreal Steak Seasoning e il Tennessee Mild Dry Rub. Il primo,

I rub per le bistecche, dai fanatici delle bistecche per i cultori delle bistecche, li trovate solo su:

https://megastore.bbq4all.it.

Tennessee Mild Dry Rub

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WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI

in un solo bicchiere

L’ODORE

del

MONDO

Perché il profumo del vino è magico? Scopriamolo insieme (prima parte)

“Quando vado a dormire indosso solo due gocce di Chanel N°5” (Marilyn Monroe) Il profumo del panettone appena scartato, un mazzo di rose centifolie, il burro affumicato del ristorante Andreina a Loreto, un cesto di fragole selvatiche, venti fiammiferi accesi contemporaneamente, la confezione di prugne Sunsweet appena aperta e una bella macinata di pepe del Sichuan, che pepe in realtà non è e profuma come i limoni di Sorrento. Per non parlare poi di gomma bruciata, pipì di gatto, sella di cavallo e lucido da scarpe. La gamma di profumi che possono uscire fuori da un bicchiere di vino è ammaliante e pressoché infinita, probabilmente più estesa che in qualsiasi altro genere alimentare. “Il vino racchiude in un solo bicchiere l’odore del mondo intero” non è mia ma del prof. Luigi Moio, uno dei massimi ricercatori universitari al 178 - BBQ4All MAGAZINE

mondo per quanto riguarda i profumi nel vino. Non serve una laurea per capire che l’aspetto olfattivo del vino sia quello più accattivante per il consumatore. Fondamentale il gusto ma più “emozionante”, stimolante, il profumo. Non serve nemmeno avere l’olfatto sovrumano di Jean-Baptiste Grenouille – indimenticabile protagonista del romanzo Il Profumo di Patrick Süskind – per apprezzare fino in un fondo un liquido capace di regalare centinaia di odori differenti. Ben più utili sono esercizio, confronto e apertura mentale, gli unici strumenti davvero necessari per costruire un bagaglio olfattivo ampio, affidabile e utile a memorizzare, riconoscere, apprezzare. Attenzione però: se è vero che possiamo addestrare il nostro naso e soprattutto il nostro cervello a riconoscere ed elencare gli odori di un vino, gli esperimenti di Jay Gottfried,

neuroscienziato della Northwestern University, dimostrano che siamo “costruiti” con un deficit neuronale che ci impedisce di “dare un nome” ai profumi, pratica inutile fino al Medio Evo con l’avvento della profumeria. Bella storia: tre miliardi di molecole profumate potenzialmente riconoscibili e la perenne difficoltà di identificare un odore. Perché diciamolo, niente avrà mai il potere evocativo di certi profumi, che in un nanosecondo ci portano avanti e indietro nello spazio-tempo come il teletrasporto di Star Trek. D’altra parte, come dice Laura Tonatto (“naso” della profumeria artistica di fama mondiale) “l’ultimo messaggio che lasciamo nella nostra esistenza è olfattivo, è la degenerazione delle nostre cellule”. Così come il primo rapporto del bimbo con la mamma è, appunto, olfattivo. Ma partiamo dalle basi, anzitutto. Che odore si sente camminando in


mezzo ad un vigneto? Esatto! Nella maggioranza dei casi, nessuno (oltre quello “ambientale” ovviamente). Le uve appese alla pianta, anche mature, non hanno nessun odore perché le molecole profumate sono ancora “vincolate”. Unica eccezione, le uve aromatiche, ricchissime di sentori già disponibili prima della fermentazione alcolica: sono quelle in cui il profumo del vino ricorda il profumo dell’uva stessa, già presente nella buccia dell’acino. Arriviamo così per direttissima alla classificazione dei profumi del vino in: 1) primari o varietali (dovuti al tipo di vitigno) 2) secondari o fermentativi (effetto della vinificazione) 3) terziari o postfermentativi o da invecchiamento “In natura, nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma” (A. Lavoisier) Un arco costituzionale che va dai profumi di rosa bulgara e muschio caratteristici di un Brachetto d’Acqui brioso, fresco e frizzante – vino dolce leggero e spensierato da fine pasto: provate quello di Braida ad esempio – ai profumi terziari com-

plessi e stratificati di un Brunello di Montalcino d’annata, magari una Riserva 1955 di Biondi-Santi, patriarca della denominazione e icona del grande vino da invecchiamento (inserito tra i 12 migliori vini del secolo da Wine Spectator, Bibbia americana del settore): sui 3.500 euro per un concentrato di cuoio, pietra focaia, goudron, prugne e viole secche, tabacco da pipa e chissà cos’altro. Quando lo trovo vi dico meglio. Tra i due estremi, praticamente il 99% dei vini del mondo, caratterizzati da profumi secondari delle tipologie più disparate. Come si annusa quindi un vino? Sostanzialmente in tre fasi. Anzitutto, a bicchiere fermo. Per valutare l’intensità dei profumi, cioè con quanta forza escono spontaneamente dal bicchiere. Attenzione: quello dell’intensità non è un indice qualitativo bensì quantitativo. Un vino più intenso non è necessariamente migliore di uno dallo sviluppo aromatico più timido, spesso anzi è l’esatto opposto: più un vino urla, meno ha da raccontare, mentre chi parla a bassa voce spesso ha molto da dire. In secondo luogo, con la rotazione del bicchiere si favorisce un’ossige-

nazione necessaria a liberare i profumi. Anche qui, cautela: non siamo in palestra a far volteggiare calici quindi non servono acrobazie circensi per indagare la complessità del vino, cioè la quantità di profumi differenti sprigionati. Un’areazione lenta e ponderata prolunga il piacere e con il graduale innalzarsi della temperatura di un vino aumenta anche la quantità di profumi percepiti (un vino semi-congelato è muto e inodore): un bene per i grandi vini, meno per gli altri perché l’effetto anestetico della bassa temperatura di solito aiuta chi ha qualcosa da nascondere. L’ultimo step, meno considerato, è l’olfazione a bicchiere vuoto. Può regalare sorprese, quindi quando state per riempire il bicchiere ormai scolmo, una rapida annnusatina non guasta mai. Intanto, però, l’incrocio di intensità e complessità dei profumi ci avrà dato informazioni di tutto rispetto sulla qualità dei profumi del vino che abbiamo scelto. A questo punto, l’unico modo per saperne di più è iniziare ad infilare il naso in alcuni vini didattici e molto rappresentativi. Forza e coraggio.

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WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI

V I N I C H E VA NN O

ASSOLUTAMENTE ANNUSATI Moscato d’Asti, Saracco Tanto bistrattato e svilito dall’industria coi pacchi di Natale da 2,99 euro comprensivi di Asti Spumante e panettone, quanto insuperabile nelle migliori versioni: il Moscato d’Asti (quello col tappo raso, a differenza dell’Asti Spumante che ha tappo a fungo e un paio di gradi alcolici in più) è un fine-pasto di inarrivabile piacevolezza. Dolce, frizzante e dal profumo inconfondibile: fiori d’arancio, pesca ed erbe aromatiche come la salvia unite ad un’intensità penetrante lo rendono corroborante, dissetante, quasi da bere in spiaggia, o in vigna, o nel cambio di campo a tennis. Squisitezza da cercare ma attenzione: l’evoluzione dei profumi dell’uva moscato è semplicemente sorprendente. Dopo 20 anni sembrerà di bere un tè alla pesca. Saracco poi è un fautore del tappo a vite e mi piace ancor di più.

Alto Adige Gewürztraminer Kolbenhof, Hofstätter Insieme al Moscato, il Gewürztraminer è l’uva aromatica per definizione. Profumo intenso e penetrante che è croce e delizia dei bevitori: amato dai beginners, malvisto dagli espertoni. La verità sta nel mezzo. Il tripudio di frutta esotica, rosa sotto spirito, mango, frutto della passione, lychees, pesca e albicocca esplode fuori dal bicchiere con una potenza deflagrante. Rapisce e stanca, stanca e rapisce di nuovo. Più sesso che amore ma chi storce il naso mente sapendo di mentire.

Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Col del Sas Extra Dry, Spagnol Come spiegare con una bottiglia il successo mondiale del Prosecco (per alcuni ormai sinonimo di “bollicine”)? Facile. Un profumino invitante, immediatamente comprensibile a tutti - pera, mela, mela, pera, pera, mela e qualche crosticina di pane – e un sapore altrettanto easy, gustoso e lineare come una bibita: un po’ di zucchero residuo ad ammorbidire il sorso e una temperatura di servizio decisamente bassa per compensare lo rendono l’aperitivo perfetto da San Pietro di Barbozza a Timbuctù passando per Londra. Se volete far venire un infarto ai puristi, gli espertoni, esibite a mo’ di croce dell’Anticristo una delle tante infografiche che mettono a confronto Prosecco e Champagne.

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Champagne Vintage Dom Pérignon Questo è LO Champagne per definizione. Marchio semplicemente inavvicinabile, storia che è ormai leggenda, numeri impressionanti (probabilmente ben oltre i 5 milioni di bottiglie), prezzo importante mai inferiore ai 150 euro: 50% chardonnay e 50% pinot nero che dopo 8 anni sui lieviti sono un archetipo del metodo classico o méthode champenoise. Al naso, in un’annata sontuosa come la 2008 appena uscita, tanta nocciola e tanti agrumi, poi anice, menta, ananas maturo, mele gialle, datteri, mirtilli e chi più ne ha più ne metta. Un esercizio olfattivo costoso ma di sicuro valore.

Sauvignon Sanct Valentin, Cantina San Michele Appiano In Italia, Sanct Valentin della Cantina Produttori San Michele Appiano è un po’ il paradigma del sauvignon. Celebrato, famoso, premiato, al costo di un cinema per due riporta tutto il repertorio di un’uva semiaromatica molto diffusa nel mondo. Esprime in maniera nitida il varietale nei toni vegetali peperonosi e muschiati ingentiliti da lime, pesca bianca, sambuco ed erbe aromatiche. Profumi netti che possono essere più o meno “spinti” a seconda delle aziende. Odori che in Loira, terroir d’elezione per questa uva, trasfigurano ipnoticamente diventando tutt’altro. Al primo appuntamento, una certezza.

Barolo Chinato, Cocchi Vertice qualitativo dei vini aromatizzati, il Barolo Chinato nasce col farmacista Giuseppe Cappellano nella Torino di fine Ottocento come vera e propria “medicina”, tanto che i vini aromatizzati sono stati fino a pochi anni fa nei listini di alcune distribuzioni di case farmaceutiche. Il Chinato Cappellano è tutt’oggi un punto di riferimento assoluto ma, come sempre accade, a ciascuno la propria ricetta e Giulio Cocchi ci mise del suo: immaginate solo cosa possa succedere all’interno del vostro naso quando ad un Barolo viene aggiunto un mix strabiliante di corteccia di china calissaja, radice di rabarbaro, genziana, seme di cardamomo e altre spezie segrete in proporzioni segrete. Quel che esce è un vino dolce-amaro dal naso sconvolgente di china, cacao, radice di liquirizia, fiori appassiti, spezie dolci e non.

In conclusione, quindi, tutti vi starete chiedendo: ma che differenza c’è tra una rosa bulgara e e una rosa centifolia? Non ne ho la più pallida idea ma la questione è rilevante. Alla prossima puntata

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DAL MEGASTORE ALLA BRACE - RICETTA di EMILIANO NENCIONI

BONELESS BEEF RIBS

con salsa chimichurri: e i commensali fanno ooohhhh! Le beef ribs sono una di quelle preparazioni che, quando eri novellino e inesperto in campo barbecue, ti facevano scaturire quell’oooooh di ammirato stupore. Probabilmente le hai viste condivise in qualche post autocelebrativo, con l’immancabile didascalia “costine di dinosauro!!” o motteggi similari. Ormai sei maturato, disilluso, e per quanto riguarda le cotture su fiamma hai visto cose che voi umani etc., ed è giusto che tu assapori, tolta tutta la sovrastruttura sensazionalistica, la bontà delle beef ribs preparate come si deve. Per toglierti la possibilità di generare l’ennesimo post “costine di triceratopo” (e, non lo nego, per il piacere di recarti una sottile delusione) voglio parlarti di come cuocere alla perfezione ...le costine senza costato. Cioè senz’osso. Viene rimosso precedentemente, dal macellaio. Sto parlando delle Boneless Beef Ribs, in questo caso delle sardanapalesche Boneless Beef Short Ribs di 182 - BBQ4All MAGAZINE

Wagyu Rangers Valley Australia. Roba che puoi trovare solo sul Megastore BBQ4All, e ti consiglio di avere una membership di quelle proprio insolenti e altère per aggiudicartele. Ti racconterò la loro preparazione secondo un flavour profile e un gusto che ricorda da vicino quello già affrontato con il Brisket Anche stavolta il rub sarà molto basilare e texano: sale, pepe, aglio. Nelle solite proporzioni da rub SPG, che poi sono quelle che ti fanno sempre litigare sui social: un terzo un terzo e un terzo, ma un terzo in volume? Un terzo in termini di peso? Dipende dalla granularità delle polveri che usi. Il mio consiglio è quello di usare il Sale Kosher BBQ4All, che può assicurarti mordente e granulosità ottimale. E assaggiare, aggiustando secondo i tuoi gusti. Alla fine della cottura la carne sarà accompagnata da un’ottima e sempre valida salsa Chimichurri, pungente e saporita, che renderà più

gestibile la marcata nota grassa delle beef ribs. A costo di suonare ripetitivo ti invito ancora a fissare bene i tuoi obiettivi. Flavour profile: è il “profilo gustativo”. L’identità del piatto è tipicamente statunitense: sarebbe fuori luogo inserire i sapori tipicamente mediterranei perché in Italia si mangia meglio che nel resto del mondo. Bark: le spezie deposte sulla carne devono formare una leggera crosticina molto saporita e devono risultare croccanti e non polverose o impastate. Sentore di fumo: l’affumicatura deve essere solo una parte del gusto, senza sovrastare. Aspetto: rendi giustizia alla carne producendo qualcosa che sia bello a vedersi, senza bruciature, disomogeneità e trascuratezze varie. Consistenza: al morso la carne deve essere morbidissima. Non al punto di sfilacciarsi, ma estremamente cedevole. Dovresti poterla mordere an-


che senza denti. Sapore: ogni componente del gusto deve essere ben riconoscibile: il sapore della carne, l’affumicato, le spezie. Nessun componente deve essere invadente. Procedimento: 1. Rifila e pulisci la slab: nel tuo caso sei fortunato, perchè le porzioni di Rangers Valley arrivano solitamente già pronte: al massimo puoi dover togliere qualche piccolo brandello di carne. 2. Ungi leggermente di olio di girasole e cospargi di rub la carne, in uno strato regolare, uniforme e non eccessivo. 3. Imposta il tuo kettle per una cottura indiretta, o stabilizza il tuo smoker, cercando una temperatura costante di 110°C in camera di cottura. 4. Assicurati di aver introdotto il tuo legno aromatico preferito. Qualcosa di deciso tipo hickory andrà benone. 5. Metti la carne sulla griglia pietanze, sdraiata. 6. Appena il bark è ben formato e risulta asciutto e bello scuro, avvolgi la slab nell’alluminio, creando un rivestimento ben chiuso e torna in cottura. L’assenza delle ossa evita il brutto inconveniente del foil bucato tipico delle ribs. 7. Al raggiungimento dei 95°C al cuore, segnalàti dalla sonda del tuo termometro, togli tutto dal dispositivo. 8. Lascia la pietanza in rest (mantenimento) per circa due ore. 9. Nel frattempo, mentre aspetti che la temperatura della tua ciccia scenda pian pianino, prepara la salsa: trita finemente il prezzemolo, la cipolla, l’aglio e il peperoncino: metti tutto in una ciotola, aggiungi l’olio, il succo del limone e il sale. Quando la carne avrà raggiunto la temperatura di circa 75 gradi al cuore, con un coltello affilato, a lama liscia, affettala e servila affiancata alla salsa Chimichurri. Preparazione fantastica, che piacerà agli amanti del manzo, anche a quelli che reputano un po’ troppo massiccio il gusto del brisket.

I N G RED I EN TI

P E R 2 / 3 P E R S ON E • una slab di Boneless Beef Ribs Wagyu Rangers Valley Australia • tre cucchiai di rub SPG (sale, pepe aglio) • un cucchiaio d’olio di semi di girasole

PER LA SALSA CHIMICHURRI: • • • •

un mazzetto di prezzemolo mezza cipolla tre spicchi di aglio cinque cucchiai di olio extravergine di oliva • il succo di mezzo limone • peperoncino q.b. • sale q.b.

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GUIDA AGLI ACCESSORI - RUBRICA a cura di MICHELE CHIPA

dalla parte del manico

S E I C O LT E L L I

che non ti possono m anca re Uno dei principali alleati del griller è sicuramente il coltello. Con questo strumento egli potrà, infatti, preparare gli alimenti prima della cottura e porzionarli dopo. Il coltello deve essere di ottima qualità sia a livello costruttivo che di materiali: questo perché sarà più efficace e durerà di più nel tempo. È bene, quindi, evitare di acquistare i set già preassemblati che di solito sono realizzati con materiali più scadenti e affidarsi alle marche più rinomate in termini di qualità, oppure a produttori artigianali. Il coltello è composto da due elementi: lama e manico. A sua volta la lama può essere suddivisa in cinque parti: 1. punta, la parte più delicata ma anche più precisa; 2. filo, la parte centrale affilata alla perfezione e utilizzata per il taglio; 3. dorso, la parte superiore più resistente ed utilizzabile, con cautela, anche per rompere ossa di piccole dimensione e carapaci di crostacei; 4. innesto, la parte finale della lama, utilizzabile per il taglio di alimenti più duri, data la distribuzione ottimale del peso; 5. raccordo, cioè il punto di unione fra lama e manico, dove è inserito il “salvadita”. Esistono decine di tipi di coltello prodotti con i materiali più disparati, alcuni dei quali molto specifici e riservati ad un utilizzo professionale. Se siete alla ricerca del set di coltelli perfetto per un griller, vi elencherò quali sono quelli proprio indispensabili.

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COLTELLO DA MACELLAIO - SCIMITARRA proprio lei, la Scimitarra BBQ4All. Un coltello robusto e resistente, con una lama lunga 30 cm arrotata a filo e satinata per tutta la superficie. Pensata apposta dai Coach BBQ4All per renderla adatta al taglio di grandi pezzi di carne, come il Brisket, e affilatissima per non rovinare il bark. Presto nuovamente su https://diventaregrillmaster.store

COLTELLO DA CUOCO - TRINCIANTE ha una lama ampia e triangolare disponibile in varie misure (dai 15 ai 30 cm). La sua particolare forma curvata facilita l’oscillazione e quindi è perfetto per tritare, sminuzzare e tagliare a cubetti. È il coltello universale per eccellenza.

SPELUCCHINO è disponibile in varie forme. Scegliete quello a lama per così dire tradizionale, simile a quella del coltello da cuoco. Questa caratteristica lo rende ideale per le rifilature di pezzi piccoli o per perfezionare le trimmature dei pezzi più grandi. Inoltre la lama corta permette di controllare al meglio il coltello ed eseguire tagli di precisione

COLTELLO PER DISOSSO - BUTCHER ha una lama stretta, lunga e con punta curva. Fondamentale per le operazioni di disosso, è ottimo per le trimmature di pezzi grandi nelle parti in cui non è ne­ cessaria molta precisione.

COLTELLO DA VERDURE - SANTOKU coltello dalla lama sottile ma molto affilata e spesso con degli avallamenti su entrambi i lati che servono a non far attaccare le fette appena tagliate, poiché creano un cuscinetto di aria tra l’acciaio e alimento. La lama ampiamente sporgente dal manico è perfetta per il taglio veloce e ripetuto delle verdure, e la sua larghezza importante è utilissima per trasferire gli alimenti dal tagliere al di­spositivo di cottura.

COLTELLO DA BISTECCA in un set che si rispetti non può mancare questo coltello. È lo strumento ideale per il taglio della bistecca: la lama deve essere liscia, affilata alla perfezione e di una lunghezza media (15cm circa) adatta ad ogni tipo di steak.

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PORTFOLIO - RUBRICA a cura di PAOLO TUCCI

LET’S PUT A ON THE

SHRIMP

BARBIE MATE!

l’Australia ed il gusto del Barbecue

Per capire il segreto della ricchezza della gastronomia australiana bisogna guardare la storia, la demografia e la geografia di questo continente così lontano. In seguito allo sbarco della Prima Flotta della Marina Britannica, approdata nel 1788 nella baia che diventerà l’odierna città di Sydney, arrivarono i coloni inviati dalla madrepatria inglese per costruire i primi insediamenti. Fu da subito vitale per l’uomo bianco, non in grado di procurarsi risorse tramite la caccia e la raccolta come i nativi Aborigeni, il bisogno di coltivare la terra e allevare animali da carne e da latte il più velocemente possibile per generare risorse atte a garantire l’autosufficienza ed il futuro della neonata colonia. Questa monumentale spinta in avanti, questo desiderio di domare l’energia della terra è ancora oggi palpabile in tutte le regioni agricole che circondano come una cintura protettiva le metropoli principali, separandole dagli

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enormi spazi dell’Outback interno, apparentemente vuoti agli occhi occidentali, ma ricchi in realtà di una flora e fauna affascinanti e misteriosi, il cui pieno potenziale solo gli Aborigeni autoctoni sanno sfruttare appieno. Semi che una volta arrostiti danno vita a bevande corroboranti che ricordano caffè e nocciole, antichi ritua­ li per ottenere la perfetta cottura della carne in forni d’argilla scavati nel terreno (dindal), conoscenze precise sulla collocazione di sorgenti d’acqua, riserve di caccia e circa l’uso di piante officinali per la creazione di piatti e di “rub” per la carne squisiti e raffinati. Un gigantesco bagaglio di conoscenze tramandato per via orale di ge­ nerazione in generazione per più di 30.000 anni, un soft power in grado di imbrigliare l’enorme vitalità del continente, il tutto incastonato nella mitologia del tempo del Sogno, un’epoca leggendaria in cui gli dei camminavano sulla terra plasmandola con i loro poteri che gli uomini ancora ricordano attraverso i loro Canti.


Fra queste due visioni del mondo, quella Occidentale che cerca tra­ sformazione e dominio, e quella Aborigena che cerca di vivere in simbiosi con la terra, vi sono stati in passato ed ancora oggi permangono dei momenti di attrito e tensione, che trovano oggi una risoluzione perlopiù pacifica nell’abbondanza garantita da uno dei continenti più ricchi e straordinari del mondo. Anche per questo gli australiani sono considerati fra i più tenaci ed appassionati allevatori di maggior successo del mondo. La straordinaria vastità del continente, capace di affascinare e al tempo stesso di intimidire un Europeo, garantisce agli allevatori di bestiame una grande varietà climatica. Pensate al caldissimo clima semi-tropicale degli stati a nord come il Queensland, dove gli animali sono prevalentemente alimentati con cereali, e confrontatelo con gli stati del sud come Victoria, Tasmania e Sud Australia, benedetti dall’influenza mitigatrice dell’oceano, dove crescono rigogliosi i pascoli e le vacche sono prevalentemente grass fed. Sulle tavole americane le carni bovine disponibili sono principalmente grain fed, in Europa si tende ad una alimentazione a base di erba; in Australia è possibile avere facile accesso ad entrambe le tipologie di carne, e gli animali hanno a disposizione spazi immensi, non contaminati dall’inquinamento e dalla presenza dell’uomo. Con tanta fantastica ciccia a di­ sposizione non possiamo certo meravigliarci che lo stile di vita dell’australiano moderno incorpori nel suo quotidiano il rito ancestrale della cottura della carne per mezzo del fuoco. Spazi immensi, praterie e valli infinite, legna da ardere raccolta nei boschi, pianure o su spiagge tropicali, l’immagine mentale della perfetta grigliata con gli amici. E quando dico grigliata intendo una vera e propria celebrazione in pompa magna con costolette di agnello, maiale, salsicce, scotch filet e T-Bone come se piovesse. Tagli perfetti per essere cucinati in un mondo dove il clima è spesso clemente e i fumi della griglia possono percorrere da pochi metri a diversi chilometri prima di dare “noia” ad un vicino, che probabilmente non ne sarebbe infastidito, ma anzi si uniALMANACCO GENNAIO2019 2019

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rebbe ai festeggiamenti portando un six-pack di birra gelata ed ulteriore ciccia “to throw on the barbie” (N.d.R. slang australiano per barbecue). Il BBQ australiano non è solo questo ma un vero e proprio momento di aggregazione familiare e sociale, tanto in campagna quanto in città, dove la quieta preparazione di una cena in famiglia intorno al Weber può sempre trasformarsi in una festa con musica e amici; all’ospite potrebbe venire chiesto di “bring your own chair“ - portare la propria sedia in caso la famiglia ospitante sia piccola e non attrezzata per grandi tavo­late – un’abitudine che potrebbe far storcere il naso ai più perbenisti fra di noi, ma che è il segno tangibile di una cultura aperta, inclusiva ed easy going. Difficilmente ad un vero BBQ austra­ liano troverete montagne di focacce, antipasti, secondi e altri piatti come potrebbe accadere in altre parti del mondo, Italia inclusa. Il focus è solo ed esclusivamente ciccia, ciccia e ancora ciccia, con qualche eccezione ammessa per l’occasionale “corn on the cob”, o un dolce come

­ amingtons o Pavlova. L Ma parlare di barbie significa parlare di BBQ American style? Anche qui emergono delle interessanti differenze. Per anni in Australia si è pensato che il BBQ fosse uno sport quasi esclusivamente nazionale, guardando poco oltre i confini del paese. Solo negli ultimi 5 anni, grazie a frequenti viaggi di appassionati del settore negli Stati Uniti, la cultura del BBQ low & slow si è diffusa nelle princi-

pali città, ribaltando il concetto locale di barbecue fatto di tempi rapidi di cottura a temperature infernali. Fattore decisivo per capire un BBQ ed una tavola australiana è il melting pot culturale che anima la nazione fin dalla sua fondazione. Sydney e Melbourne sono città che sono state fortemente cambiate dall’immigrazione negli ultimi 70 anni : la prima ha in parte abbandonato le consuetudini alimentari britanniche per introdurne molte provenienti dalla forte componente etnica asiatica; la se­ conda, punto di arrivo dagli anni 50’ in poi di Italiani e Greci, ha assorbito tradizioni culinarie più mediterranee. Nascere, cucinare, grigliare in questo continente unico significa essere in grado di gestire una dispensa con più di 100 fra ingredienti esotici, curry, polveri, salse di soia, erbe fresche, essenze, sapendo far scivolare le dita fra barattoli e sacchettini per trovare il giusto mix di sapori con la stessa destrezza con cui un pianista professionista gioca con i tasti e le note durante un concerto di musica classica. Yuzu, gochujang, farofa, galanga, wattleseed e samphire non sono nomi di malattie esotiche, ma frecce da scagliare dal grill master nella lunga battaglia che conduce al godimento assoluto. L’Australia è viva e creativa perché libera di accettare la propria tradizione senza esservi incatenata, uno spunto di riflessione che in Italia potremmo cercare di fare nostro, ripensando alcune tradizioni, aggiornandole e così facendo inventandone di nuove. Restate sintonizzati, nei prossimi numeri l’Australia avrà molto da raccontarci.

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T H E U LT I M AT E S Y D N E Y

M E AT T O U R

Avete solo 24 ore di scalo a Sydney e non vedete l’ora di affondare i denti in un bel po’ di ciccia australiana? Abbiamo chiesto ad Anthony Puharich di consigliarci tre indirizzi di ristoranti imperdibili per chiunque voglia godere forte.

ROCKPOOL BAR & GRILL 66 Hunter St, Sydney NSW 2000, www.rockpoolbarandgrill.com.au +61 2 8099 7077

V I C ’S M E AT MAR K E T 50-60 Bank St, Pyrmont NSW 2009, www.vicsmeatmarket.com.au +61 2 8570 8570

“Da non perdere la bistecca cotta nel forno a legna e l’infinita selezione di diverse carni australiane di qualità eccelsa. Servizio elegante ed impeccabile”

“Collocato all’interno del Sydney Fish Market, contiene l’intera selezione di carni di Victor Churchill. Imperdibile il sandwich di Brisket affumicato 12 ore”

FIREDOOR RESTAURANT 23-33 Mary St, Surry Hills NSW 2010, www.firedoor.com.au +61 2 8204 0800 “Fuoco e fiamme sono protagonisti in questo ristorante con forni a legna, griglie ed uno spirito incandescente che richiama quello di Asador Extebarri. Imperdibile“

e per finire . . . se lo conoscete abbastanza bene, un barbecue a casa di Anthony Puharich, la miglior esperienza carnivora di tutta l’Australia. Buon appetito! ALMANACCO GENNAIO2019 2019

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SPECIALE MAIALE - LA PORCHETTA BBQ4ALL a cura di MICHELA BONGIORNI

UNA

P O R C H E T TA PER DOMARLI TUTTI

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Nel Giugno del 1796 Napoleone, durante la Campagna d’Italia, giunse in Toscana. Si fermò a cena, la sera del 29, in quel di San Miniato ospite del canonico Filippo Buonaparte. La “Gazzetta Toscana”, riportando fedelmente tutto ciò che accadde in quell’occasione, ci fa sapere che durante la cena venne servita al generalissimo una “profumatissima porchetta”. Nello stesso anno, il 24 Agosto 1796, a Bologna venne celebrata per l’ultima volta la Festa della porchetta. Di origini medievali (esistono numerose testimoniante che la attestano già nella seconda metà del 1200) era una grande celebrazione che ogni anno, in occasione della ricorrenza di San Bartolomeo, veniva organizzata nella città emiliana. Per circa 600 anni, dunque, a Bologna si è festeggiata la porchetta durante una manifestazione popolare che vedeva il suo culmine nel lancio dalla ringhiera del Palazzo del Popolo (l’attuale Palazzo d’Accursio, sede municipale) di un porchettone arrostito alla folla sottostante che, a suon di pugni e spinte, se lo contendeva: “...tutta la piazza s’empie di una ghiottissima, e golosissima fragranza, e allora si conoscono i golosi, perché molti inghiottiscono la saliva, e si vedono preparare molte persone sotto, per pigliarla con sacchi, sacconi, sacchette, lenzuoli e altre simili cose...” ( G.C.Croce, L’eccellenza e il trionfo del porco, Ferrara, 1594) Piatto da re e piatto popolare, dunque: la porchetta ha sempre messo tutti d’accordo. Certo non è facile risalire alle sue origini. Ad Ariccia ne rivendicano la paternità, ma lo stesso fanno in Umbria, dove sostengono sia nata a Norcia. In molti affermano che invece sia di origine etrusca, altri che sia nata nelle Marche, altri ancora a Campli, in provincia di Teramo, dove sono state ritrovate testimonianze nella necropoli picena di Campovalano. Di certo è una preparazione tipica dell’Italia centrale, che nel corso dei secoli poi ha “sconfinato” diventando una preparazione tradizionale anche in alcune parti del nord, in particolare in Veneto. Tradizionalmente è preparata utilizzando l’animale intero che viene pulito dalle interiora e disossato, insaporito all’interno, richiuso e successivamente cotto. Gli aromi utilizzati possono localmente variare un po’: in Toscana e a Roma, ad esempio, viene data una particolare preferenza al rosmarino. In altre parti, come un Umbria, nelle Marche e in Romagna, si predilige moltissimo il finocchietto selvatico. Di certo, qualsiasi porchetta deve essere molto agliata e pepata. La nostra variante Noi di BBQ4All, da un po’ di tempo, presentiamo ai corsi una variante di coach Alessandro Colusso che utilizza solo una sezione del maiale: ovvero la zona centrale della pancetta e della lonza. Si prepara in questo modo un tronchetto di porchetta più facilmente gestibile, che si può cuocere tranquillamente nei dispositivi casalinghi e perfino senza il girarrosto. La pancetta è un taglio molto ricco di sapore, morbido e dolce che, grazie alla presenza massiccia di grasso e ALMANACCO 2019

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connettivo, rilascia succosità necessaria a contenere l’asciugatura e l’indurimento della carne durante la cottura. Il consiglio è sempre quello di non scegliere una pancetta troppo grassa (no, non è un ossimoro) nella zona sotto l’epidermide per non rischiare di trovarsi, al momento del taglio, con uno strato eccessivamente molliccio e poco gradevole. La lonza è un taglio più compatto e omogeneo, che serve a restituire una migliore consistenza all’intera preparazione ma che, essendo magra e povera di connettivo, tenderebbe a diventare asciutta e stopposa se non ci fosse la pancetta attorno a proteggerla e a rilasciare sostanze lubrificanti. L’elemento da cui, però, non si può prescindere è la cotenna del maiale che grazie alla sua struttura serve a proteggere i tagli sottostanti, limitando di molto l’eccessiva evaporazione superficiale e formando essa stessa una crosta croccante, saporitissima, che contrasta egregiamente con la morbidezza della carne più interna. La preparazione di una porchetta casalinga prevede, quindi, l’utilizzo di una pancetta che abbia ancora la cotenna, ovviamente pulita dalle setole, e della lonza, che di norma il macellaio dovrebbe mantenere attaccata per agevolare la chiusura del tutto. In fase di taglio va calcolata la lunghezza della pancetta affinché possa avvolgere completamente la lonza, arrivando quasi a toccarsi alle due estremità. La porchetta poi va condita prima della cottura, andando a distribuire in modo uniforme, all’interno della pancetta, le erbe aromatiche, il sale e le spezie. Tutti questi aromi, una volta arrotolata la lonza su se stessa e dopo averle fatto aderire intorno tutta la pancetta, andranno a infondere sapore e gusto poco alla volta, mentre la temperatura salirà e la carne inizierà a cuocere grazie ai liquidi che cominceranno a muoversi e a diffondersi all’interno delle fibre. Come si lega il tronchetto di porchetta Innanzitutto bisogna scegliere uno spago molto resistente che non perda fibre durante la legatura e durante le cottura. Poi si procede in questo modo: si passa lo spago sotto e sopra la porchetta, legando le due estremità del filo. La stessa cosa si fa passando lateralmente. Dopo aver fatto i nodi non si deve tagliare il filo: è molto più comodo lasciarlo attaccato alla matassa, così non si rischia che a un certo punto manchi. Con il filo si forma un cappio e si infila la mano al suo interno, girandola su se stessa due volte per formare un attorcigliamento alla base del cappio. Con il cappio attorno alla mano, si afferra l’estremità del tronchetto e si fa scivolare lo spago sotto di esso, in modo che entri nel cappio. A questo punto si sfila la mano dallo spago e si tira per stringere il cappio alla carne. Si continua a procedere per legare tutta la porchetta: ogni volta che si infila la carne nel cappio, bisogna spostarsi di un paio di cm rispetto al punto precedente. Completata la gabbia, ripetendo questa operazione su tutta la lunghezza del tronchetto, si ferma la legatura con un nodo all’estremità. Si taglia a questo punto lo spago et voilà: il tronchetto è pronto 194 - BBQ4All MAGAZINE

per essere cotto. Una cosa da ricodare sempre è quella di stringere bene lo spago attorno alla carne, in modo che non risulti lasco quando inevitabilmente la porchetta si ritirerà durante la cottura. Come si cuoce Le caratteristiche fondamentali che deve avere una porchetta perfetta sono essenzialmente tre: la crosta croccante, il profumo e l’aroma di affumicato e l’interno morbido, succulento e saporito. Una buona cotenna croccante si ottiene con delle temperature medio alte, intorno ai 160-170°C sfruttando un veicolante di calore (olio o burro chiarificato fuso) da spennellare durante la cottura. Una buona affumicatura si ottiene aggiungendo il legno aromatico al combustibile nella prima fase della cottura. Quale legno utilizzare? Melo, ciliegio, pecan, hickory, usati sia da soli che in blend. L’importante è ricordarsi di dosare bene il fumo, in modo da non sovraffumicare la porchetta, rendendola immangiabile. Per quanto riguarda l’interno, come già accennato in precedenza, lo scioglimento del grasso presente nella pancetta sarà l’elemento che ci permetterà di ottenere un risultato strepitoso. La temperatura impostata prevista (come detto, 160170°C), ci permetterà di attivare, in tempi relativamente brevi, la reazione di Maillard sulla cotenna, aiutata anche dai grassi addizionati con il pennello durante la cottura, e di cuocere l’interno in tempi abbastanza lunghi (indicativamente circa 5-7 ore per porchette da 5-7 kg) per consentire al collagene presente nella lonza di convertirsi parzialmente in gelatina fissando il termine della cottura agli 84-85°C al cuore. Oltrepassare questa temperatura limite, calcolando anche l’innalzamento di qualche grado durante il riposo post-cottura, significherebbe portare il collagene alla totale conversione in gelatina, ottenendo il collasso della struttura delle fibre e di conseguenza fette che si sfaldano durante il taglio. Dove si cuoce La porchetta che tradizionalmente si cucina a casa, è una preparazione che ha una conformazione cilindrica, con un diametro che possiamo attestare tra i 20-25 cm, e di lunghezza variabile in base allo spazio utile nel dispositivo di cottura. Per ottenere una cottura uniforme si prediligono tutti quei dispositivi provvisti di coperchio dove sia possibile creare un setup di calore indiretto, come i kettle a carbone o i dispositivi a gas con più di un bruciatore. In questi dispositivi si andrà a posizionare la porchetta lontano dalla fonte di calore, facendola ruotare alcune volte, per ottenere una cottura uniforme. Ovviamente, col girarrosto diventa tutto più facile: far ruotare la porchetta su uno spiedo è la pratica migliore per ottenere un risultato omogeneo su tutta la superficie. Come dicevo però è possibile, specie con pezzature più piccole, ottenere un buon risultato senza il girarrosto:


basta appoggiare il tronchetto sulla griglia, in cottura indiretta, e ricordarsi di girarlo ogni tanto, in modo da ottenere una cottura più uniforme possibile. Una raccomandazione: pensate sempre durante la cottura a inserire una leccarda sotto la porchetta, con un po’ d’acqua all’interno, in modo da raccogliere il grasso, il quale inevitabilmente si scioglierà, anche e soprattutto per preservare il vostro dispositivo. Come ottenere una cotenna croccante Arriviamo all’eterna diatriba: va o meno bucherellata la cotenna? Il consiglio è di valutare a seconda dell’anatomia del taglio interno della pancetta. Se appena sotto l’epidermide c’è uno strato eccessivo di grasso, andrebbe preferita la foratura per agevolarne la fuoriuscita. Al contrario, se lo strato di grasso è ridotto, meglio non effettuare i fori perché i rivoli di grasso disciolto, ricchi anche di acqua, colerebbero lungo gli avvallamenti delle legature umettando parte della cotenna e inibendo la formazione della crosta croccante. Per evitare che la cotenna si vetrifichi, creando uno strato troppo spesso e duro, a fine cottura si può aumentare la temperatura fino ai 250°C, aggiungendo carbone nel kettle o aumentando i bruciatori a gas: l’epidermide si gonfierà e diventerà croccante e leggera. Un’alternativa all’aumento drastico di temperatura è la frittura della cotenna, realizzata versando con un mestolo dell’olio di arachidi bollente, preventivamente scaldato fino a 190-200°C, che agirà istantaneamente nei punti dove viene versato.

È consigliabile munirsi di una leccarda sottostante di dimensioni adatte a raccogliere l’olio versato, evitando di sporcare eccessivamente il grill o facendolo incendiare, nel caso di contatto con la fonte di calore. Come si serve Arrivati alla temperatura target, si toglie la porchetta dalla cottura e si lascia scoperta, facendola raffreddare lentamente fino ad arrivare ai 65-60°C interni. L’abbassamento termico favorisce la ripresa di consistenza del taglio garantendo fette esteticamente migliori e di una consistenza più uniforme e gradevole. Se si vuole un miglioramento in ambito gustativo, il mio consiglio è di far abbassare ulteriormente la temperatura almeno fino a 50°C e poi mettere la porchetta una notte a riposare in frigo, avvolta nella pellicola. Il giorno dopo il sapore sarà letteralmente esplosivo. Basterà affettarla (da fredda è anche più facile) e riscaldarla in forno per far rinvenire la cotenna. Partendo da questa base, è possibile apportare numerose altre varianti per preparare un ottimo tronchetto di porchetta. Date un’occhiata, ad esempio, alla ricetta qui a fianco: si sa che siamo temerari e quindi abbiamo osato farcire la pancia del maiale, invece che con la lonza, con un polpettone a base di salsiccia. Giusto per renderla un po’ più dietetica, no? Vedo che state sbavando. Quindi che aspettate? Provate immediatamente a cuocere la vostra porchetta perfetta!

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SPECIALE MAIALE - RICETTA di MARIANGELA IBBA

la porchetta... ...DAL CUORE TENERO Dunque hai imparato che per mangiare la porchetta non devi più aspettare la fiera di paese, perché puoi prepararla tu stesso nel tuo dispositivo a gas o carbone, cucinando non il maiale intero ma solo una sezione costituita dalla pancia e dalla lonza. Nell’articolo dedicato a questa preparazione, hai letto tutto quello che c’è da sapere. Qui, però, ti propongo una variazione sul tema: porchetta con cuore di salsiccia. Inoltre ti spiegherò come cuocerla senza il girarrosto, ottenendo comunque una cotenna croccantissima. Per fare il ripieno, servono salsicce molto speziate (tipo quelle toscane ricche d’aglio o quelle umbre), ma se nella regione in cui vivi questi insaccati sono poco saporiti, non devi far altro che separare la pasta della salsiccia, aggiungere sale, pepe, aglio, maggiorana e finocchietto ed avrai il ripieno perfetto. Vista la grande ricchezza di sapore di questo piatto, se non vuoi cedere al classico panino ma preferisci una presentazione più raffinata, ti consiglio di accompagnarlo ad un’insalata che, con il suo effetto rinfrescante sul palato, ti farà apprezzare ancora di più il gusto e la complessità aromatica della porchetta. Trovi la ricetta di un’insalata che fa al caso tuo proprio in questo numero. Procedimento: 1. Con un coltello, incidi la salsiccia per la lunghezza e separa il budello dalla pasta. 196 - BBQ4All MAGAZINE

2. Se non hai a disposizione salsicce molto speziate, aromatizza la pasta con le spezie. 3. Dai all’impasto la forma di un polpettone, avvolgilo nella pellicola alimentare, stringilo bene e riponilo in frigo per tre ore circa, perché acquisti compattezza. 4. Prendi la pancia di maiale ed elimina dalla cotenna eventuali residui di setole, con un coltellino affilato. 5. Stendi la pancia sul piano, la cotenna deve essere rivolta verso il basso, distribuisci sulla carne il sale e le altre spezie, massaggia bene la superficie con le mani, in modo da distribuire uniformemente il rub. 6. Metti al centro della pancetta il polpettone di salsiccia e arrotolagli la pancia intorno, per creare il tronchetto di porchetta. 7. Legala con lo spago da cucina. 8. Prepara il dispositivo per una cottura indiretta a 160/170 gradi C° 9. Spennella la porchetta con olio d’oliva e mettila in cottura indiretta, appoggiandola sulla griglia vista la sua ridotta dimensione e affumicandola per un’ora circa con chips di legno aromatico (non ti dimenticare di mettere sotto la porchetta, sulla griglia delle braci, una vaschetta di alluminio con dentro un po’ d’acqua). 10. Terminata la fase di affumicatura spennella la cotenna ogni tanto con olio d’oliva: questo ti aiuterà a farla diventare croccante. 11. Quando la temperatura al cuore è tra gli 80/82 gradi C°, è il momento di far scoppiare la cotenna: puoi alzare la temperatura del kettle, puoi provare con olio bollente oppure, se la porchetta è di piccole dimensioni, puoi perfino provare a spostarla in

cottura diretta: devi avere però molta manualità in questo caso, perché rischi che a causa dei grassi che colano si incendi tutto e la cotenna invece di esplodere si annerisca. Quindi, se vuoi provare questo metodo, fallo solo con porchette di piccole dimensioni e solo se hai una discreta velocità di manovra. 12. Quando la cotenna è croccante e friabile, togli la porchetta dal dispositivo e lasciala raffreddare un po’. 13. Servila tiepida, o a temperatura ambiente.

I N G RED I EN TI P E R 8 P E R S ON E

• 4kg di pancia del maiale con cotenna • 2kg di salsicce • Misto di erbe aromatiche (rosmarino, salvia, timo, semi di finocchietto) circa 10g/kg • uno spicchio di aglio fresco • pepe q.b. • sale circa 10g/kg • olio d’oliva q.b. • spago da cucina resistente


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Pork Belly: che taglio è? Il nome può sembrare esotico e affascinante. In realtà pork belly è la traduzione di pancia di maiale in inglese. Questo tipo di taglio ha una diffusione quasi planetaria, in Cina è conosciuto come wǔhuāròu, in Francia viene utilizzato per fare la choucroute garnie, in Colombia viene invece tagliato a striscioline e fritto per il bandeja paisa. Questo taglio molto conosciuto anche in Italia viene principalmente utilizzato per la preparazione di salami e insaccati. Oltre alle preparazioni più tipiche si presta bene anche a cottura lunghe e a bassa temperatura in kettle.Visto l’elevato contenuto di grasso tendenzialmente, però, viene utilizzato per la preparazione della pancetta stesa o arrotolata. Se invece si è disposti a sacrificare le costine durante la macellazione, allora si otterrà un taglio più magro che meglio si presta a cotture in low&slow e che esalta maggiormente il sapore di questo piatto. É esattamente questo il taglio che abbiamo utilizzato per preparare il sontuoso pancettone che trovate qui a fianco. Per maggiore chiarezza, soprattutto nel momento dell’acquisto è utile fare una distinzione tra pancia di maiale e pancetta (fresca). Quest’ultima è quella che comunemente si trova al banco della macelleria, è possibile trovarla con o senza cotenna, affettata o meno. Preferibilmente, per avere il pezzo completo è opportuno ordinarlo con un poco di anticipo in maniera che questo non venga lavorato. La pancia di maiale ha un’elevata percentuale di grasso, che supera quella della parte magra, fatta di tessuto muscolare. Per avere una percentuale accettabile di parte magra (almeno il 50%) è necessario sacrificare le costine, in modo da poter cuocere la pancetta ed avere almeno una parte magra edibile. Sarà quindi preferibile chiedere al macellaio di staccare la pancia senza intaccare le costine. Si otterrà così un pezzo che sarà costituito dalle costine disossate e dal grasso della pancia stessa. ALMANACCO 2019

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SPECIALE MAIALE - RICETTA di MARIANGELA IBBA

PORK B E L LY

ma quanto è sexy questa pancia? La pork belly è una squisita pancia di maiale con cotenna croccante, dal color caramello. Il sapore lussureggiante è dovuto non solo all’alta percentuale di grasso presente nel taglio, ma anche alla cottura lenta e all’affumicatura con chips di legno aromatico. Ti assicuro, ancora prima di assaporarla il suo aspetto invitante e il suo delizioso profumo manderanno le tue papille gustative in visibilio. Ai corsi BBQ4All la serviamo in un panino con la salsa dijonnaise, fresca e piacevolmente sgrassante. Tuttavia io non disdegno anche di assaporarla così, al naturale, magari con un contorno fatto con croccante insalata iceberg, salsa allo yogurt (ok, adoro le insalate, credo si sia capito) e crostini di pane. In ogni caso, un’ottima pork belly deve avere la pelle piacevolmente croccante. Come? Cuocendola con lo strato di cotenna rivolto verso l’alto. I flussi di convezione del dispositivo disididratano così la superficie, in modo che poi sarà più semplice renderla croccante semplicemente alzando la temperatura, dopo aver spennellato la cotenna con olio caldo. Il calore manderà in ebollizione l’acqua intrappolata nello strato di epidermide facendo letteralmente scoppiare la pelle come un pop corn.

lati con la salsa Worcestershire, spolverala col rub fatto con sale, pepe, aglio e paprika e massaggiala bene con le mani in modo che il rub sia distribuito uniformemente su tutta la superficie e nei solchi dei tagli. 4. Imposta il dispositivo per una cottura indiretta a 130/140 gradi C°. Accanto alle bricchette sulla griglia carbone metti una vaschetta con un dito d’acqua. Il water pan oltre ad aiutarti a stabilizzare la temperatura, raccoglie il grasso che si scioglie. 5. Poni la pancetta sulla griglia in cottura indiretta con la cotenna rivolta verso l’alto, e affumica con un paio di manciate di petali di legno aromatico. 6. Quando la temperatura al cuore arriva a 88°C, spennella la cotenna con olio caldo e alza la temperatura del kettle fino a circa 200°C, per fare in modo che la pelle scoppi e diventi croccantissima. 7. Togli la pancetta dal dispositivo e affettala seguendo i tagli sulla cotenna.

I N G REDI EN TI P E R 8 P E R S ON E

Procedimento: 1. Prendi la pancia del maiale ed elimina eventuali residui di setole. 2. Stendi la pancia su un piano, con la cotenna rivolta verso l’alto: seguendo il verso della carne incidi la cotenna e un po’ del grasso sottostante, i tagli devono essere distanti tra loro circa mezzo centimetro. 3. Spennella la pancia su entrambi i

• 4kg circa di pancia del maiale con cotenna • 10 g di aglio in polvere • 10 g di pepe • 20 g di paprika dolce • 40 g di sale • salsa Worcestershire q.b. • olio d’oliva q.b.

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SPECIALE MAIALE - RICETTA di LUCA GALLOZZA

PA N E , P O R C O . . . ...e fantasia

Cosa vi resta di bello dopo una grigliata con gli amici?

domanda: cosa resta di bello dopo una grigliata con gli amici?

Ok, potreste rispondermi: il ricordo del tempo passato assieme, delle risate fatte sorseggiando una buona birra o un buon bicchiere di vino, della bella giornata all’aperto. E riecheggiano i suoni: lo sfrigolìo dei grassi sulle braci, i profumi delle carni... a quel punto, presi quasi da un raptus, vi risvegliate dal torpore nostalgico e vi date la vera risposta alla

Gli avanzi.

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E vi ricordate di avere ancora delle belle fettone di quella Pork Belly che la brava Mariangela Ibba vi ha proposto in questo stesso numero del vostro magazine preferito. Come utilizzarle? L’idea migliore è quella di un paninozzo veloce che restituisca alla

pork belly la dignità del primo assaggio. Così la smetterete di chiamarli “avanzi”. Ma adesso ascoltatemi: io vi propongo una delle mille varianti a cui potenzialmente si presta questo panino. Aggiungete pure tutto quello che vi suggerisce la vostra fantasia. Ricordatevi però di non far mancare mai un elemento acido, che vada a “sgrassare” la pork belly, e un po’ di insalatina fresca, che alleggerisca il tutto.


Procedimento 1. Mescolate la maionese con la paprika e la senape; 2. Condite l’insalata con un filo d’olio e un pizzico di sale; 3. Tagliate sottilmente le cipolle rosse; 4. Aprite il panino a metà e stendete sulla base l’insalata, poi due belle fette della nostra magnifica pork belly, gli anelli di cipolla rossa e la maionese alla paprika.

Chiudete il panino e fate partire un bel morso. Entrerete nella macchina del tempo che vi riporterà al giorno prima: sentirete nuovamente i discorsi, le risate, i profumi e i sapori. E continuerete a sognare.

I N G REDI EN TI

P E R 4 P E RS ON E • 6 fette di pancetta alte 1 cm circa; • 12 fette sottilissime di arista di maiale; • mezzo cucchiaio di sale • misto aromi in polvere: aglio, rosmarino, salvia, alloro, maggiorana, timo a piacere • pepe q.b. • olio extravergine di oliva q.b.

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SPECIALE MAIALE - RICETTA di MICHELA BONGIORNI

RAGÙ DI PA N C E T TA

la dieta? da lunedì del duemilamai

I N GREDIENT I PER 4 PERSO N E

• 500 g di ritagli di pancia del maiale (privati della cotenna) • una cipolla rossa • uno spicchio d’aglio • un cucchiaino di paprika affumicata • un bicchiere di bicchiere di passata di pomodoro • un cucchiaio di concentrato di pomodoro • due cucchiai di olio extravergine di oliva • sale q.b. • un peperoncino PER LA PASTA • 500g di mezze maniche rigate • sale q.b. • pepe q.b.

Onestamente, devo dirvelo: ho provato questo ragù perché, dopo la preparazione della pork belly, non volevo sciupare i ritagli della pancia del maiale che erano avanzati dopo la rifilatura. È stata una decisone estemporanea insomma, non una cosa studiata e ponderata. Ho voluto provare, senza essere molto certa del risultato.Tuttavia, a volte, le cose fatte con poca convinzione si rivelano invece scelte felici. E questo ragù è stato esattamente questo: una scelta felicissima. Corposo, godurioso, appagante, quasi lo preferisco a quello classico. O, perlomeno, se la batte alla pari. Certamente non è dietetico (ma c’è veramente qualcuno a dieta fra voi lettori del BBQ4All Magazine o è solo una leggenda metropolitana?) e rappresenta un ottimo primo piatto per tutti quei pranzi importanti, della domenica, con le zie e le suocere che rimarranno a bocca aperta, anzi piena, di fronte a cotanta opulenza. La leggerissima nota affumicata è l’idea vincente in più. Il poterlo preparare sul kettle lo rende anche divertente da cucinare. Secondo me questo ragù rischia di diventare leggendario. Procedimento: 1. Tagliate a cubetti piccoli i ritagli della pancia, avendo cura di rimuovere la cotenna se ancora fosse presente. 2. Tritate finemente la cipolla, l’aglio e il peperoncino e teneteli da parte. 3. Predisponete il kettle per una cottura diretta, ponendo la cocotte weber nell’apposito spazio in griglia o comunque al centro della griglia,

con sotto mezzo cesto di bricchetti accesi: fate attenzione che non tocchino la cocotte. 4. Quando la cocotte sarà ben calda, versateci dentro l’olio, il trito di cipolla, aglio e peperoncino, e i cubetti della pancia del maiale: lasciate insaporire bene. 5. Dopo pochi minuti, aggiungete la paprika affumicata, aggiustate di sale e dopo poco aggiungete la passata di pomodoro e il concetrato di pomdoro. 6. Se necessario aggiungete a questo punto un po’ d’acqua. 7. Chiudete adesso il coperchio, stabilizzate il kettle su una temperatura di circa 150 gradi e affumicate per una mezz’oretta con petali di legno aromatico (melo o ciliegio sono ideali). 8. Passata la mezz’ora, riaprite il coperchio, controllate che il ragù non si sia asciugato e continuate la cottura coprendo la cocotte col suo coperchio in ghisa. 9. Controllando sempre che il ragù non si asciughi (e nel caso aggiungete acqua) continuate a cuocerlo per circa due ore (i bricchetti dovrebbero bastare, ma siate eventualmente pronti a fare un rabbocco veloce). Aggiustate di sale, se necessario. 10. Il ragù è pronto quando è bello rosso e ritirato, e la pancetta si disfa. 11. Non vi resta che cuocere la pasta in abbondate acqua salata e poi saltarla nel ragù, servendola con una bella macinata di pepe. Gustatevi un bel piattone di questa pasta e non pensate alla dieta. Per quella c’è sempre tempo. ALMANACCO 2019

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RICETTA di MARIANGELA IBBA

ti farò

I N S A L ATA

UN’ C H E N O N POT RA I

R I F I U TA R E

Diciamoci la verità, nel mondo barbecue le verdure sono un po’ bistrattate, a patto che non si possano grigliare o cuocere direttamente sulle braci, non vengono quasi mai prese in considerazione. Per questo, mi sento molto temeraria a proporti qui la ricetta di un contorno di verdure fresco e gustoso, che non necessita della griglia ma che ti assicuro farà apprezzare ancora di più a parenti ed amici il sapore intenso e deciso delle varie preparazioni barbecue che gli servirai. Se ancora non l’hai capito voglio parlarti dell’insalata, ma non di quella banale fatta di lattuga olio e sale, bensì dell’ insalata gourmet che renderà la tua grigliata con gli amici memorabile. So a cosa stai pensando: per te l’insalata è solo una pietanza di fortuna che porti in tavola quando, troppo concentrato sul taglio di carne giusto, sulle spezie e sulla salsa, ti dimentichi completamente del contorno. A quel punto, l’unica soluzione è mandare moglie, marito o figli al supermercato per comprare qualche busta di lattuga, da buttare in una ciotola con un po’ d’olio e sale, che in pochi mangeranno, perché decisamente poco allettante. Da qui nasce la tua convinzione che l’insalata non sia un contorno adatto alle cotture su griglia. In realtà è un ottimo accompagnamento per preparazioni dal sapore così ricco, intenso e aromatico, perché sgrassa e ridona freschezza al palato permettendo ai tuoi invitati di apprezzare a pieno il gusto specifico di ogni piatto; solo che, come tutte le portate, anche l’insalata va preparata con cura. Innanzi tutto deve risultare invitante alla vista: rendila allegra con fogliame 206 - BBQ4All MAGAZINE

di diversi colori come la valeriana, il radicchio rosso, l’insalata iceberg, la rucola, la lattuga ecc... Aggiungi un elemento croccante come la frutta secca o i crostini di pane; donale un tocco di dolcezza e acidità con la frutta fresca e condiscila con una vinaigrette di olio, aceto o limone, sale e qualche erba aromatica tritata finemente. Te lo assicuro: l’insalata non avanzerà più. Io ti do la ricetta di un contorno che si sposa benissimo con le preparazioni grasse e unte a base di carne di maiale che trovi in questo numero. Ma scatena la tua fantasia. L’insalata può e deve diventare un piatto gourmet. . Procedimento: 1. Lava sotto l’acqua corrente il fogliame e asciugalo stendendolo tra due canovacci. 2. Taglia la mela senza sbucciarla in fette sottili e immergile in acqua con il succo di mezzo limone, perché non anneriscano. 3. Trita grossolanamente le noci. 4. Con una frusta emulsiona tra loro l’olio, il succo di un limone, il sale, il timo e un po’ di senape. 5. Prendi una ciotola capiente e versaci dentro il fogliame, le noci e la mela: combina gli ingredienti tra loro e condisci con l’emulsione, mescolando bene. L’insalata gourmet non è solo un ottimo contorno, se arricchita, con sott’oli, formaggi, pane tostato può diventare anche un gustoso piatto unico, da mangiare durante la pausa pranzo.

I N G REDI EN TI P E R 4 P E RS ON E • • • • • • • • • •

100g valeriana 100g insalata iceberg 100g radicchio rosso 150g noci una mela renetta due limoni mezzo cucchiaino di senape un cucchiaino timo tritato finemente 100ml olio extravergine sale q.b.


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NON SOLO CARNE - RICETTA VEGETARIANA di TOMMASO DI GREGORIO

Un Mojito da mangiare

MELANZANE A D A LT O TA S S O

A LCO L I CO

Facciamo un gioco, ora che siamo in primavera e si sente già il profumo del mare nell’aria: immaginate di essere in ferie, è un caldo pomeriggio estivo, siete sulla spiaggia Pelosa a Stintino e state sorseggiando un fresco Mojito cullati dal riverbero delle onde che si infrangono sul bagnasciuga. Tutto sembra perfetto, ma avete un languorino, ci vorrebbe qualcosa di fresco, leggero, che si abbini bene al vostro cocktail. La cucina sarda è ricca di leccornie e piatti eccellenti, ma una porzione di malloreddus non si addice molto all’aperitivo. Tra le molteplici pietanze della tradizione c’è, però, un piatto che si potrebbe adattare perfettamente alle esigenze estive: la melanzana alla sassarese. Conoscete tutti la ricetta classica, no? Melanzane tagliate a metà, incise, condite con olio, sale ed aglio e arrostite in forno (o in griglia). La versione al Mojito è una variante interessante, che ho provato una volta per i miei stupiti ospiti e che si abbina alla perfezione all’omonimo cocktail. E poi fa figo e non impegna. Procedimento 1. Lavate e asciugate la melanzana, tagliatela a metà per il lato lungo 2. Incidete la polpa con la lama di un coltello, facendo dei segni a scacchiera e prestando attenzione a non 208 - BBQ4All MAGAZINE

bucare la buccia. 3. Stabilizzate il kettle per una cottura diretta a circa 150°C. 4. Grigliate inizialmente in diretta le melanzane dal lato della polpa per un paio di minuti. 5. In una ciotola preparate un’emulsione di olio, lime, menta e rum. 6. Condite ora le melanzane con sale, pepe, menta tritata, zucchero di canna e l’emulsione appena preparata (conservatene una parte). 7. Mettete ora le melanzane nel dispositivo in cottura indiretta, appoggiandole sulla griglia dal lato della buccia. 8. Controllate le melanzane dopo circa un’ora e se appaiono asciutte aggiungete un po’ di emulsione conservata in precedenza. 9. Le melanzane sono pronte quando la polpa diventa morbida e cremosa 10. Prima di servire aggiungete un po’ di menta tritata e zeste di lime per guarnire. È un’ottima idea per far felici gli amici vegetariani, ma è perfetta da servire anche ai carnivori come aperitivo, magari nei bicchierini o sopra delle bruschette. L’idea in più? Qualora dovessero avanzarvi, queste melanzane sono ottime anche come condimento di una bella pastasciutta.

I N G RED I EN TI PER DUE PERSONE

• una melanzana • un bicchiere di rum (preferibilmente lo stesso che avete usato per fare il Mojito) • il succo di un lime • Zeste di lime • 2 cucchiai di zucchero di canna • Sale q.b. • Pepe q.b. • Olio extravergine di oliva q.b.


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RICETTA di LUCA GALLOZZA

CHICKEN LO L L I PO P

ad Apelle figlio di Apollo piace questo elemento

Quanto vi suona familiare la frase: dai, non fare il pollo! È l’ora di invertire la rotta. Qualunque sia il senso di queste parole (letterario o figurato) con i chicken lollipop vi ricrederete, e farete i polli ogni volta che ne avrete l’occasione. Parliamo di cosce o fusi di pollo. Chi di voi ha visto La Spada nella Roccia almeno una volta nella sua vita, avrà notato la miriade di coscioni che si sbafava Caio, il fratello di Semola, nel suo castello in quel di Londra. Faceva venir voglia di assaggiarle! Ebbene, con questa preparazione i vostri sogni di bambini (e quelli dei vostri figli, se ne avete) diventeranno realtà. Pollo, bacon e salsa barbecue: una triade perfetta per ogni goloso. Il fine sarà quello di avere una coscia di pollo raccolta in un unico boccone, che ricorda un vero lecca lecca, saporito e gustoso. Procedimento 1. Il primo passo è procedere al trimming della coscia, come specificato nell’articolo tecnico. 2. Spennellate il fuso con senape e applicate un velo di rub. 3. Avvolgete la carne con una fetta di bacon, preoccupandovi di effettuare una bella chiusura della fetta, per evitare che si stacchi durante la cottura. 210 - BBQ4All MAGAZINE

4. Preparate il vostro dispositivo per una cottura indiretta e stabilizzatelo a 110°C 5. Ponete le cosce di pollo in piedi sulla griglia e affumicatele con petali di legno aromatico, preferibilmente ciliegio. 6. Lasciate cuocere sino a 58°C al cuore. 7. Aggiungete dei bricchetti accesi e portate il vostro dispositivo sino a 200°C in griglia 8. Continuate a cuocere sino a 65° C al cuore. 9. Spennellate i chicken lollipop con la salsa barbecue e continuate l’indiretta sino a 75° C al cuore 10. A piacere, spennellate con altra salsa a fine cottura. Se siete forti e coraggiosi, provate ora a portarle in tavola, su un bel vassoio in pompa magna. Il coraggio vi servirà perché verrete presi d’assalto ancor prima che il plateau venga appoggiato sulla tavola. Il profumo inonderà la casa, il suo gusto stordirà le papille gustative e i vostri bambini gireranno per la cucina come piccoli primitivi, con l’osso tenuto stretto tra le mani e lo sguardo rabbioso del guai a chi me lo tocca!

I N G REDI EN TI PER 4 PERSONE • • • • •

8 cosce di pollo 8 fette di bacon Salsa BBQ q.b. 1 cucchiaio di senape 2 cucchiai di BBQ4All Tennessee Mild Dry rub


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Chicken Lollipop: preparazione deliziosa e molto scenografica che, senza l’accortezza di una buona preparazione del pezzo di carne, non permette di ottenere l’effetto desiderato. Ora vedremo quali sono i passaggi corretti per eseguire una giusta pulizia della coscia. Gli step fondamentali sono tre: 1. Pulitura dell’osso e della giuntura tra tibia e metatarso 2. Taglio inferiore della tibia e del giunto tibio-femorale 3. Estrazione della fibula Cosa ci occorre per eseguire questa lavorazione? Un buon coltello a lama larga o una mannaia, un coltello tipo sfiletto e una forbice. Pulitura dell’osso e della giuntura tra tibia e metatarso. Prendiamo la nostra coscia di pollo e incidiamo, appena sopra il muscolo, la pelle intorno all’osso con un coltello a sfiletto, recidendo i tendini che andremo poi ad eliminare tagliandoli con una forbice. Spingiamo il muscolo verso il basso e asportiamo la pelle. Effettuiamo un taglio verticale, seguendo l’osso verso la giuntura, ed estraiamo la pelle e i tendini. Con l’aiuto della punta di un coltello, stacchiamo la giuntura metatarsiale dalla tibia in modo da lasciarla pulita. Taglio inferiore della tibia e del giunto tibio-femorale. Ora con l’aiuto di un coltello a lama larga o di una mannaia, pratichiamo un taglio sulla parte inferiore della tibia, per creare una base d’appoggio della coscia che in cottura deve rimanere in verticale sulla griglia. Se il taglio è effettuato in modo corretto, dovremo riuscire a vedere in sezione sia la tibia che la fibula ( l’ossicino attaccato alla tibia per mezzo della cartilagine). Estrazione della fibula Con la punta dello sfiletto, seguiamo la fibula dal basso verso l’alto per staccarla dal muscolo e dalla cartilagine. Estraiamola prendendola alla base, facendola ruotare delicatamente e tirandola verso il basso. A questo punto avete un chicken lollipop perfetto in ogni suo aspetto. Le caratteristiche che deve avere sono le seguenti: 1. più verticalità possibile; 2. un’ottima base di appoggio in griglia; 3. un muscolo raccolto e compatto intorno all’osso; 4. assenza di ossa o cartilagine superflua. Forse il piatto non sarà perfetto fin da subito, la prima volta potreste avere delle piccole difficoltà e le cosce non verranno come vi aspettate, ma questa guida, lo garantisco, vi darà una mano significativa per arrivare al risultato perfetto. Non mi resta che augurarvi buon lavoro.

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DULCIS IN FUNDO - RICETTA di MARIANGELA IBBA

B I SCOT T I A L M U E S L I CON CREMA ALLE

ARANCE G R I G L I AT E

I biscotti appena tolti dal forno di casa sono una bontà irresistibile. Ti assicuro che i biscotti preparati sulle braci lo sono ancora di più, perché il fuoco dona ai dolci una particolare nota aromatica che ne esalta in un modo unico e straordinario la dolcezza e il gusto. E poi non è una cosa così bizzarra cuocere torte e biscotti sul fuoco, le nostre bisnonne lo facevano con regolarità. Questo mese come dessert voglio proporti la ricetta dei biscotti al muesli da inzuppare in una golosissima crema di arance grigliate. Come ben saprai, il muesli è un alimento tipico della prima colazione, è composto da cereali, frutta secca, frutta disidratata, cioccolato, uvetta e molto altro e solitamente si mangia in una tazza con abbondante latte freddo. Nonostante in commercio ce ne siano di molti tipi, preferisco prepararlo in casa per poter abbondare con gli ingredienti che mi piacciono di più, l’uvetta e le gocce di cioccolato, e per poter calibrare secondo il mio gusto la sua dolcezza. Tuttavia relegare il muesli solo alla prima colazione è un peccato, perché con questo mix si possono preparare dei biscotti molto buoni, che diventano una vera leccornia se intinti nella crema freschissima e sgrassante di arance grigliate. Un dolce ottimo da offrire dopo una scorpacciata di porchetta. A questo punto ti starai chiedendo: “perché le arance vanno grigliate, visto che per fare la crema serve solo il succo? Non basterebbe semplicemente spremerle?” Perché grigliandole otteniamo una quantità maggiore di succo da ogni 216 - BBQ4All MAGAZINE

arancia; perché il succo risulterà più concentrato (una parte dell’acqua evapora mentre il frutto è in griglia); infine, perché il succo avrà un sapore più intenso in quanto le molecole scure ottenute grazie all’effetto della caramellizzazione finiranno inevitabilmente all’ interno della spremuta, rendendola una bomba di sapore. Procedimento 1. Versa in una ciotola capiente i fiocchi d’avena, la frutta secca tritata grossolanamente, la cannella, l’olio di semi e mescola bene gli ingredienti tra loro. 2. Aggiungi il miele: se questo fosse cristalizzato, scaldalo per renderlo liquido. 3. Prepara il tuo dispositivo per una cottura indiretta a 180°C. 4. Ricopri una teglia con la carta da forno e stendi il muesli. 5. Metti la teglia in cottura sulla griglia, dalla parte opposta delle braci, chiudi il coperchio e lascia cuocere per 15/20 minuti circa. 6. Quando il muesli sarà dorato, togli la teglia dal dispositivo e versalo in una ciotola, aggiungi l’uvetta e le gocce di cioccolata, poi mischia uniformemente gli ingredienti. 7. In una ciotola capiente versa il muesli, la farina, lo zucchero e il lievito mischiandoli tra loro. 8. Aggiungi prima il burro fuso e poi le uova sbattute, amalgamando bene. L’impasto ottenuto non sarà quello liscio e classico dei biscotti, anzi ti sembrerà di aver sbagliato qualcosa, perché gli ingredienti saranno quasi slegati tra loro. Tutto questo dipende dalla presenza dell’avena che è secca e ha bisogno di un po’ di tempo per

assorbire gli elementi liquidi ed ammorbidirsi. Lascia riposare l’impasto per 20 minuti circa. 9. Stendi su una teglia la carta forno, fai delle palline con l’impasto, poi schiacciale leggermente, cercando di farle tutte della stessa grandezza e regolari. 10. Prepara il tuo dispositivo stabilizzandolo a 180 gradi C°, poni la teglia in cottura indiretta per 15/20 minuti e cuoci i biscotti 11. Una volta pronti falli raffreddare. Preparazione della crema: 1. Taglia a metà le arance e ponile sulla griglia, direttamente sulla fonte di calore per qualche minuto dalla parte del taglio: quando sono leggermente brunite, sono pronte; 2. Spremi le arance ancora calde e lascia raffreddare il succo; 3. In un pentolino versa il succo dell’arancia, lo zucchero, la farina e l’uovo sbattuto e con una frusta dai un’ energica mescolata per evitare la formazione di grumi. 4. Aggiungi l’acqua a temperatura ambiente, metti il pentolino su fuoco medio basso e continua a mescolare: quando la crema è vicina al bollore, mescola più velocemente e toglila dal fuoco appena si addensa. 5. Lascia raffreddare la crema coperta con la pellicola alimentare. Ti consiglio di servire la crema fredda nei bicchierini in modo che i tuoi ospiti possano intingerci dentro i golosi biscotti.


I NGREDIEN T I PER 4 PERSONE

PER IL MUESLI • 100g fiocchi d’avena • 25 g di nocciole • 25g di mandorle • 1 cucchiai di olio di semi di girasole • 3 cucchiai di miele • 40g di uvetta • cannella q.b. PER I BISCOTTI • 200g di farina • 50 g di gocce di cioccolato • 2 uova • 80g di zucchero di canna • 80g di burro • mezza bustina di lievito per dolci PER LA CREMA • 50g di succo di arance grigliate (2/3 arance) • 20g di farina • 250g di zucchero • un uovo • 150g d’acqua

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VINI ABBINATI a cura di ENIO BERTON

È ORA DI

BERE! abbinamenti consigliati

SAN MAGNO Vino: Cantina: Abbinamento :

Cesanese del Piglio “San Magno” DOCG 2016 Corte dei Papi Porchetta

La porchetta mi riporta alla mente Ariccia; ebbene, a circa un’ora di strada dalla località laziale troviamo questa cantina che produce una delle ultime DOCG registrate in Italia (il disciplinare riporta la data del 01 agosto 2008). La porchetta ha gusto, morbidezza, succosità e, se siete bravi, croccantezza della cotenna. La parte grassa si è parzialmente sciolta irrorando la carne dei suoi succhi. Spezie varie, principalmente odori mediterranei, vanno poi a riempire la gamma dei profumi. In questo caso abbiamo la necessità di avere un vino con dei tannini giovani ma già aggraziati, che permettano di asciugare il palato dalla succulenza del boccone ma che preservino la voglia di mordere il panino o la fetta di nuovo senza nessun rimorso. La cantina ha una superficie di circa 190 ettari tra Anagni e Paliano di cui 25 riservati ai vigneti a bacca rossa dove prevale il Cesanese (sia d’Affile che comune). Altri 5 ettari sono riservati a vigneti di bacca bianca. Fondata nel 2004 da Antonio di Cosimo, si sviluppa attorno a tre colline dai nomi alquanto singolari: Colle Tonno (rotondo), Colle Ticchio e Colle Ricchezza. I vigneti derivano da selezioni di ceppi da vecchie vigne, per mantenere la tipicità clonale delle varietà. Particolare cura viene posta alla potatura verde nel corso dell’anno (praticamente, il diradamento dei grappoli) che ne abbassa la resa e la attesta attorno ai 60 quintali per ettaro. La vendemmia viene eseguita a mano e immediatamente si va alla spremitura soffice delle uve; numerosi rimontaggi (portare il mosto sopra le bucce) consentono di estrarre in modo naturale le sostanze nobili delle bucce. Finita la vinificazione, si passa in botti per 16-18 mesi fino all’imbottigliamento. Dal colore rosso rubino vivo, questo vino stupisce per le note floreali e fruttate impreziosite da tocchi speziati. Al palato risulta morbido di corpo medio con tannini leggermente astringenti che permettono di avere un fin di bocca fresco e prolungato Grado alcolico: 14,00% . Da servire a 16/18 gradi in bicchieri tulipano.

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L E BAST Ì E Vino: Cantina: Abbinamento :

Bastìe Friulano Grave DOC Tenute Tommasella mezze maniche con ragù di pancia di maiale

Un azzardo? Forse, ma questo vino bianco merita un assaggio e sono convinto che regga alla grande il confronto con il piatto di abbinamento. Cerchiamo di capire cosa ci propone la cucina: il ragù con pancia di maiale e pomodoro (anche concentrato) ci dà, in abbinamento con la pasta, un boccone pieno con un gusto deciso. L’acidità del pomodoro contrasta con la succosità e la grassezza della pancia del maiale, e con la nota dolce data dalla pasta. Abbiamo bisogno di un vino che sappia sgrassare il palato e non sovrasti il gusto della carne. Troppo facile andare su un vino rosso, per cui vi propongo questo abbinamento con un vino di una cantina che ha una storia cinquantennale in una zona dal fascino e dalla storia millenaria. Ci troviamo nei dintorni di Portobuffolè, nelle terre della nobile Gaia da Camino figlia di Gherardo III, citato da Dante Alighieri nel Convivio. L’azienda di trenta ettari, ne ha sette nella Friuli Grave DOC da cui, con una selezione che parte già dalla vendemmia rigorosamente a mano, nasce questo vino affinato in barrique e tonneau di rovere per nove mesi, per poi passare in acciaio per altri sei mesi e maturare almeno dodici mesi in bottiglia. Dal colore giallo paglierino carico, al naso si passa da sentori di frutta esotica a note di agrumi che lasciano poi lo spazio a sensazioni erbacee e balsamiche; leggeri sentori di vaniglia contrastano la nota fumè. Al palato vengono confermate le sensazioni olfattive e si ha una buona sapidità che permette di avere un fin di bocca prolungato e piacevole. Grado alcolico: 13,00%. Da servire a 12/14 gradi in bicchieri tulipano.

AMARO NONINO Liquore: Cantina: Abbinamento :

Amaro digestivo Nonino digestivo

Pasta al ragù, porchetta, panino con pork belly: penso che il vostro stomaco abbia bisogno di una nota tonificante e digestiva. Anche se non confortata da analisi scientifiche positive, è opinione comune che una leggera dose di alcool sistemi lo stomaco. Nonino vuol dire la storia della grappa in Friuli Venezia Giulia; l’azienda fonda le sue origini nel 1897 quando Orazio Nonino decide di abbandonare l’alambicco itinerante e stabilire a Ronchi di Percoto (Ud) la sede della distilleria. È conosciuta nel mondo per un famoso premio letterario, oltre che per la produzione di grappe che valorizzano i vitigni autoctoni della regione. L’amaro, il cui grado alcolico è di 35,00% vol, viene prodotto da infusione di erbe della Carnia con grappa UE. Da servire a temperatura ambiente oppure, vi suggerisco, con un paio di cubetti di ghiaccio ed una fettina d’arancia.

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BIRRE CONSIGLIATE a cura della redazione del BBQ4All Magazine

UNGESPUNDET HEFETRÜB Bamberga è una cittadina dell’Oberfranken, l’Alta Franconia, che dai primi del XIX secolo fa parte della Baviera. I piccoli birrifici che sono presenti a Bamberga sono tutti storici, con birre che sono la naturale continuazione di quelle più antiche, nate agli albori della produzione tedesca. Uno di questi birrifici, le cui origini risalgono addirittura al 1670, è Mahrs Bräu. Ed è proprio su una delle loro birre, la più nota, che è caduta la scelta di questo mese per l’abbinamento ideale con la porchetta: la Ungespundet Hefetrüb, anche conosciuta come “U”, una kellerbier non filtrata e quindi torbida. La lettera “U” sta per Ungespundet, appunto, che indica una maturazione avvenuta in un fermentatore non pressurizzato, in modo da ottenere una birra dalla carbonazione contenuta. È una birra dal colore ambrato intenso con riflessi dorati. La schiuma bianca è compatta e cremosa. Al naso, presenta sentori di camomilla, di pane appena sfornato e di miele. In bocca presenta molte bollicine fini, è molto scorrevole e beverina. Anche nel sapore si ritrova la dolcezza mielosa del malto, tagliata, sul finale, dall’amaro del luppolo e da una discreta secchezza. La delicata luppolatura pulisce il palato molto rapidamente e spinge a volerne bere subito un altro sorso, il che la rende una birra ideale per una preparazione importante e speziata come la porchetta.

SAISON EX T RAOM N E S Un panino importante come quello con la pork belly è caratterizzato da una discreta grassezza e dal sapore particolarmente speziato. La necessità è quella di abbinare, quindi, una birra corroborante e beverina, che pulisca bene il palato e che abbia un gusto pulito. La scelta ricade sulla Saison del birrificio artigianale Extraomnes, una birra fatta praticamente dal lievito, senza spezie ma pepata e piccante grazie alla presenza del malto di segale. Dal colore oro brillante e dalla schiuma simile a una meringa, fine, cremosa e molto persistente, la Saison è una birra che al naso presenta note dolci e fruttate, di pepe fresco, di sambuco e tiglio. Corpo medio, carbonazione media. Il sapore corrisponde quasi totalmente all’aroma: dopo un attacco morbido e dolce, si distingue la freschezza piccantina, che termina poi con una luppolatura vegetale e balsamica molto simile nel sapore alla radice di liquirizia. Finisce secca e lascia un retrogusto pungente scaldato da una leggera nota alcolica. Da servire in un Calice Belga.

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COCKTAIL CONSIGLIATO a cura della redazione del BBQ4All Magazine

LO N G I S L A N D Iced Tea

Sembra un the ma non lo è, serve a darti l’allegria! Ok, citazione anni ‘80 a parte, in effetti è proprio così: il Long Island Iced Tea sembra proprio un innocuo the freddo, se visto da fuori. Nato, pare, negli anni ‘70 dalla mente di Robert Butt, un barman americano di Long Island, deve il suo nome al colore ambrato dato dalla cola, ma non ha niente a che vedere col the freddo: è, anzi, uno dei cocktail più inebrianti in circolazione. Esistono molte varianti di questo drink dall’alta gradazione alcolica, quindi non esiste una ricetta originale; tuttavia è stato codificato nel ricettario ufficiale IBA, nonostante sia contrario alle regole che non vorrebbero l’uso di più di due distillati. Si sposa benissimo coi sapori forti, affumicati e opulenti del maiale cotto al bbq che celebriamo in questo numero, ed è perfetto per party serali e finger food. Ecco la ricetta ufficiale: 1.5 cl di Gin. 1.5 cl di Tequila. 1.5 cl di Vodka. 1.5 cl di White Rum. 1.5 cl di Triple sec. 2,5 cl di succo di limone 3 cl di sciroppo di zucchero Cola per completare Come si prepara? Riempendo un bicchiere di tipo highball con cubetti di ghiaccio e versando tutti gli ingredienti al suo interno; dopodiché si mescola abbastanza lentamente e si decora con una spirale di limone. Una variante possibile che ben si adatta al nostro menù? Il Satisfaction Iced Tea: si sostituisce il triple sec con il liquore di mela verde, la cola con la ginger beer e si aggiunge confettura di mela. .

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GAS a

TUT TO

foto cortesia WEBER ITALIA 222 - BBQ4All MAGAZINE


PER INIZIARE - IL BBQ PER I PRINCIPANTI RUBRICA a cura di MICHELE CHIPA

Sei appassionato di cotture su griglia ma non hai il tempo per la gestione del carbone? Hai bisogno di un dispositivo velocemente pronto all’uso e dall’estrema semplicità di utilizzo? Abiti in un condominio e non puoi giocare con le fiamme libere? Rilassati, un rigo più in là ti parlerò del barbecue a gas, ovvero del dispositivo che risponde positivamente alle domande che ti ho appena posto. La struttura di un dispositivo a gas è semplice: un tubo omologato collega la bombola di combustibile ad un collettore e da lì ai bruciatori. Sopra ai bruciatori sono disposte delle barre aromatizzanti che li proteggono dalla caduta dei grassi sciolti e, vaporizzando questi ultimi, creano un fumo aromatico che risale verso l’alimento. Sopra le barre è disposta la griglia di cottura e, infine, il coperchio del dispositivo che permette le cotture indirette e low&slow. Per far funzionare il dispositivo basta aprire la valvola della bombola, ruotare la manopola dei bruciatori (in base alle necessità) e azionare il meccanismo di accensione. La temperatura di cottura è facilmente regolabile aumentando o diminuendo l’intensità della fiamma del bruciatore.

Il kettle ha le stesse dimensioni dell’omologo a carbone. Ha uno o due bruciatori circolari che percorrono la circonferenza della struttura (in caso di due bruciatori uno dei due è più piccolo) ed unisce la praticità della velocità di preparazione all’ingombro decisamente contenuto. Anche in questo caso, per le cotture indirette è necessario affidarsi a degli accessori.

Esistono diverse tipologie di barbecue a gas: australiani, kettle e affumicatori verticali.

COSA VALUTARE NELL’ACQUISTO Prima di acquistare un barbecue a gas è necessaria la valutazione attenta di una serie di parametri.

L’australiano è il tipico dispositivo rettangolare. È disponibile con un numero vario di bruciatori (da 2 fino a 6) e con diverso combustibile (gas propano o gas metano). Ha il vantaggio di avere grande spazio in griglia, conservando però dimensioni importanti. Alcuni modelli dispongono anche dei bruciatori laterali, esterni alla camera di cottura, per le preparazioni più veloci. Ci sono dei dispositivi più piccoli ad esempio (il Weber Q) con un solo bruciatore e con dimensioni decisamente più contenute, che permettono le cotture indirette grazie all’utilizzo di appositi accessori.

Gli affumicatori verticali hanno un solo bruciatore disposto nella parte inferiore del dispositivo che convoglia il calore nella camera di cottura (praticamente isolata dal bruciatore stesso). Sono perfetti per le cotture a bassa temperatura grazie alla proporzione fra le dimensioni della camera di cottura e quelle della camera di combustione.

Struttura, dimensione e peso: più la struttura è semplice e migliore sarà il dispositivo, poiché i componenti da manutenere e gestire saranno numericamente inferiori. Inoltre un numero inferiore di pezzi genera anche una minore probabilità di guasto. La dimensione da scegliere deve essere quella giusta per l’utilizzo che ne vorremo fare: è inutile acquistare un dispositivo da 6 bruciatori per gestire una grigliata da 3/4 persone. In questo caso non vale la massima del “più grande è meglio” perché rischiereste di trovarvi con un carro armato in balcone che userete poche

volte (sia per il consumo di combustibile che per la pulizia successiva alla cottura). Meglio optare a quel punto per uno con meno bruciatori. Più che sulla dimensione concentratevi sul peso del dispositivo. Ad un peso maggiore di solito corrisponde una maggiore qualità dei materiali e, soprattutto, un maggiore spessore degli stessi (all’aumentare dello spessore aumenta anche la stabilità in cottura del dispositivo). Per verificare il peso del bbq potete provare ad aprire e chiudere il coperchio. Maggiore sarà la forza necessaria per aprirlo e maggiore sarà il peso dell’intera struttura. Bruciatori, barre di aromatizzazione e potenza: la struttura dei bruciatori deve essere in grado di fornire il calore più omogeneamente possibile sulla griglia e nei dispositivi più economici questo non succede. Controllate anche le barre di aromatizzazione: più fini sono, più si riscalderanno e più rischierete fiammate in cottura. Per quanto riguarda la potenza, espressa in Kw, non soffermatevi asetticamente sul dato numerico: non è detto che a maggior potenza equivalga maggior efficienza. Questo perché dovrete valutare anche l’ampiezza della camera di cottura o meglio, la proporzione fra potenza e ampiezza della camera di cottura. Insomma, la valutazione di un dispositivo a gas non è cosi immediata e semplice come per il suo parente a carbone. Pensateci bene ma sappiatelo: difficilmente vi pentirete dell’acquisto. ALMANACCO 2019 - 223


Apparentemente, uno degli svantaggi più fastidiosi dei dispositivi a gas è la difficoltà di affumicatura rispetto all’omologo a carbone. Con questo articolo cercherò di sfatare questo mito e vi darò tutte le dritte del caso. Ma facciamo le dovute premesse. Differenza fra dispositivo a carbone e dispositivo a gas Un bbq a carbone è quasi ermetico: le uniche aperture presenti nella struttura sono le vent-in (nel braciere) e le vent-out (nel coperchio). Per questo motivo, il movimento dei flussi d’aria al suo interno è generato dalla differenza di peso fra aria calda (leggera) ed aria fredda (pesante). L’aria fredda entra dal basso, si scalda nel braciere e prosegue la sua corsa verso l’alto uscendo dal coperchio. L’uscita dal coperchio non è così veloce come l’entrata, perché appena fuori dalla vent-out l’aria subisce un brusco raffreddamento dato dall’ambiente esterno, rallentando la sua salita. Questo fa sì che il fumo generato dal legno aromatico e dal combustibile stazioni sull’alimento in affumicatura. Inoltre le vent-in e out possono essere regolate in maniera indipendente per aumentare/diminuire la permanenza del fumo sull’alimento. In un dispositivo a gas, il movimento del flusso d’aria all’interno della camera di cottura subisce un’interferenza dovuta al fatto che il coperchio non è completamente chiuso per una questione di sicurezza. Le numerose aperture su di esso creano una turbolenza che velocizza il flusso d’aria, quindi il fumo non riesce a stazionare per un lasso di tempo adeguato sull’alimento. Per questo motivo, per avere in un bbq a gas una affumicatura paragonabile a quella di un bbq a carbone, è necessario aumentare tempo e quantità di fumo. Come si affumica in un bbq a gas Se in un bbq a carbone è sufficiente posizionare del legno aromatico sulle braci o in vicinanza delle stesse per avere un adeguato flusso di fumo, in un bbq a gas dobbiamo utilizzare necessariamente un accessorio: la Smoker Box. Si tratta di una vera e propria scatolina di metallo con dei fori laterali e sul coperchio in cui inserire il legno aromatico. Questa scatolina va posizionata sulla griglia ( per un’affumicatura più leggera) oppure sulle barre aromatizzanti del dispositivo poste sopra ai bruciatori (per un’affumicatura maggiore). Un altro accessorio che si può utilizzare è il Pellet tube. Si tratta di un cilindro forato dove inserire del pellet aromatico alimentare. Per avviare l’affumicatura è sufficiente innescare il pellet con una fiamma (cannello, accendino, fiammifero) e poi posizionarlo sulla griglia. Allora? Chi ha detto che col bbq a gas non si può affumicare?

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RUBRICA a cura della BBQ4All UNIVERSITY

coach Virgilio Brunetti

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RAFFAELE PERSICHETTI chiede: I nitriti in che modo agiscono chimicamente sulla carne? Come la modificano oltre che nel colore, nel sapore e nella gestione dei batteri? risponde VIRGILIO BRUNETTI Approfitto della domanda per fare un discorso più ampio e il più completo possibile. La scelta dell’uso dei conservanti a livello amatoriale è una cosa che deve essere guidata da diversi fattori, quali: l’osservanza delle buone pratiche di igiene in cucina, la qualità e l’origine delle materie prime, la soggettiva percezione del rischio chimico e biologico e il buon senso. L’uso del nitrito di sodio E250 è estremamente diffuso nell’industria alimentare per la preparazione di prodotti crudi a media/lunga conservazione che non richiedano processi di fermentazione e stagionatura; ha lo scopo primario di migliorare i preparati dal punto di vista organolettico, soprattutto in termini di colore e texture, oltre a prevenire le contaminazioni da microorganismi patogeni. Nella produzione artigianale degli stessi prodotti, lo scopo primario dei conservanti a base di nitriti ha un ruolo determinante nella prevenzione delle intossicazioni alimentari, e nel prevenire lo sviluppo di microorganismi patogeni potenzialmente letali, tra cui il Clostridium botulinum che causa il botulismo. I nitriti di per sé hanno un potenziale tossico rilevante; l’uso cronico di alimenti conservati contenenti nitriti è associato ad aumento del rischio dei tumori dello stomaco e dell’esofago. Inoltre, in ambiente acido, a livello della bocca e dello stomaco, i nitriti possono subire delle modificazioni chimiche che danno origine ad una serie di molecole dette nitrosammine potenzialmente cance-

rogene. Le attuali normative di legge, che regolano l’uso dei nitriti come additivi alimentari. sono basate sul principio che consente il loro utilizzo in piccole quantità per i cibi in cui il rischio di una possibile contaminazione da botulino è molto maggiore rispetto al rischio di aumentare le probabilità di contrarre un tumore. In ogni caso, il limite massimo di nitriti ammissibile per la legge è di 200 milligrammi (200ppm) per chilogrammo di prodotto alimentare. L’uso combinato di acido ascorbico (la vitamina C) nel preparato, come agente antiossidante/riducente, abbatte efficacemente il rischio di formazione delle nitrosammine oltre a fornire altri vantaggi in termine di shelf life e mantenimento del colore. Un’intossicazione acuta da nitriti, invece, genera un avvelenamento metabolico dovuto all’affinità chimica del nitrito con i pigmenti muscolari e respiratori quali mioglobina e emoglobina che non legano più l’ossigeno. Nei processi di conservazione con nitriti, il colore rosato delle carni è proprio dovuto alla nitrazione della mioglobina in forma nitroso-mioglobina. Quando il consumo di prodotti contenenti nitriti è sconsigliabile? Sicuramente per le categorie a rischio: bambini, anziani e soggetti debilitati, in quanto i nitriti hanno tossicità intrinseca e legano mioglobina ed emoglobina, generando una sorta di intossicazione molto simile a quella da monossido di carbonio. Da notare che le fonti alimentari di nitriti non sono solo i cibi conservati, ma anche gli ortaggi e le acque potabili. Il rischio c’è, è giusto tenerne conto ma non ha proporzioni tali da giustificare qualsiasi atteggiamento terroristico. I nitriti e tutti i composti azotati sono alla base dell’esistenza degli ecosistemi, essendo l’azoto essenziale alla vita.

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Maneggiare E250 puro o in miscela è pericoloso? Certamente sì, non a caso non troverete mai questi sali puri o in miscela in un normale supermercato, ma solo presso aziende specializzate con varie denominazioni; inoltre vanno accuratamente scelti per non confonderli con sali puri o miscele di E251/252 che sono a base di nitrato di sodio/potassio ed hanno un uso differente (produzione di insaccati, conce per salumi a lunga stagionatura). I prodotti denominati Prague Salt #1, Insta Cure #1, Pink curing salt #1 contengono tipicamente 6.25% nitrito di sodio ed il 93.75% cloruro di sodio, oltre ad un colorante rosa per poterlo distinguere dal normale sale da cucina ed evitare che tua suocera lo usi sull’arrosto. In Italia sono reperibili miscele al 10% di E250 e 90% di sale comune con diverse denominazioni, fornite di opportuna scheda tecnica dedicata ai professionisti del settore. Le miscele a base di nitrito di sodio e sale da cucina sono denominate anche Quick Cure salt proprio perché il loro utilizzo è circoscritto a prodotti non a lunga conservazione e che non richiedono stagionatura. Come si usa e si dosa il conservante E250 o nitrito di sodio? Essendo le quantità necessarie veramente molto basse, si usano prodotti pre-miscelati a base di sale da cucina e nitrito di sodio dal 6,25% al 10%, anche per agevolare le operazioni di pesata. Di base attieniti sempre alle schede tecniche dei prodotti specifici. A livello casalingo, i nitriti ci aiutano ad ottenere un prodotto simile ma non uguale a quello industriale, ottenuto con attrezzature professionali. C’è sicuramente un fattore soggettivo determinante che ci spinge a impelagarci, ad esempio, nella realizzazione di un prosciutto cotto o di un pastrami, ossia la soddisfazione di averlo fatto noi in casa. Tuttavia la procedura di trattamento della materia non avrà mai i livelli di sicurezza e standardizzazione tali da assicurarci che il prodotto finale sia realmente buono:

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la riuscita del prodotto finito dipenderà da quanto siamo bravi nella preparazione e nella cottura. Sul sito Amazing Ribs trovate un “Wet Curing Calculator” che vi indicherà esattamente le dosi di E250 considerando il livello di nitriti fino a 200ppm, il peso del prodotto da trattare, il volume d’acqua, lo spessore massimo del taglio e la geometria del taglio. Personalmente ritengo che la miscellanea di diverse unità di misura di tipo anglosassone e l’abitudine di dosare i soluti in “spoon” renda in parte poco fruibile questo converter; inoltre si complicano i dosaggi anche del semplice sale da cucina. Io ti consiglio di riferirti sempre ad un sistema metrico a te familiare, quindi grammi, litri e centilitri e lasciare agli anglosassoni le variabili dovute alla gestione di un cucchiaio di sale comune grosso o fino, maldon o Kosher. Un grammo di sale da cucina è un grammo di sale da cucina e su questo, invece, non c’è da discutere: se lo devi sciogliere per creare una salamoia non ha senso andare a sindacare sulla geometria del cristallo di cloruro di sodio, sarebbe come discutere sul sesso degli angeli. In definitiva, oltre al termometro, comprati anche una bilancia precisa al grammo perché se non lo fai sei una fava atomica (cit). Nella formulazione di una salamoia sarà buona norma, affinché si possa generare un dosaggio efficace e sicuro dei nitriti, mantenersi su 2,5 grammi di curing salt per kg di carne (partendo da una miscela madre al 6,25% di E250), al quale va aggiunto tra il 5 e il 10% (v/v) di sale comune e facoltativamente il 5-10% (v/v) di saccarosio (zucchero semolato), aromi e spezie. L’aggiunta di curing salt va sempre fatta per ultima, al fine di poter fare opportuni aggiustamenti di volume e per evitare che si creino fenomeni di intorbidimento dovuti alla flocculazione dei sali. La salamoia va effettuata in contenitore igienico posto a 2-4 gradi C° per tempi che variano a seconda del taglio. Per tagli spessi oltre i 5 centimetri


sarà opportuno iniettare fino al 20% in peso della miscela. Il volume della salamoia dovrà essere tale da poter ricoprire tutta la carne che intendiamo trattare. La durata del trattamento sarà mediamente tra i 5 e i 7 giorni. In che preparazioni è possibile utilizzare i Nitriti? Nelle “cured-cooked meats” ossia salate e cotte e affumicate a caldo, destinate ad una conservazione breve a secco o medio-lunga in ambiente umido (sottovuoto, in busta, in scatola, in gelatina o altro opportuno liquido di governo). Prosciutti cotti o simili, salumi cotti a base di pollo e tacchino, bacon, pancetta, bacon Canadian Style, pastrami e corned beef. Il salmone o altri pesci grassi sono un’altra categoria di prodotti che possono richiedere l’uso dei nitriti ma qui entriamo nell’ambito di preparazioni che denominiamo “cured-raw meats”. Ovvero prodotti carnei (o ittici) che non vengono cotti nel processo di preparazione. Qui diventa preponderante da parte dell’operatore la volontà di aumentare la shelf life di un prodotto che è sicuramente tra i più deperibili. I pesci infatti perdono qualità e freschezza molto rapidamente; quelli particolarmente grassi tendono ad irrancidire anche se sottoposti a sola salagione, e i nitriti prevengono efficacemente i processi di ossidazione dei grassi, oltre a stabilizzare il colore e la coesistenza. In questo caso andremo ad operare un Dry

brining: infatti la disidratazione permette di ottenere un prodotto che si presta molto bene all’affumicatura fredda. Tuttavia proprio l’affumicatura fredda e una dubbia qualità del prodotto ittico possono essere fattori rilevanti di rischio per via di alcuni agenti patogeni. Ebbene sì, il salmone o i pesci in generale possono essere vettori di spore del botulino, poiché lo stesso batterio può annidarsi nella flora batterica intestinale degli animali. La salatura a secco dei pesci, inoltre, non permette un abbassamento del pH tale da prevenire il botulismo con assoluta certezza, e una lunga affumicatura fredda crea l’ambiente anossico sufficiente perché il botulino possa compromettere la preparazione. La miscela secca per la concia del salmone deve contenere circa il 2% di Curing Salt (miscela di nitrato tra il 5-10% di E250) e il 98% di sale bilanciato (50% sale comune +50% di zucchero semolato). È imperativo che la dispersione del curing salt sia uniforme, assicurando un trattamento omogeneo su tutta la superficie del pesce. Calcoliamo circa 250 grammi di concia per kg di pesce. La durata del trattamento sarà tra le 24 e le 48 ore a 4°C. I risultati saranno differenti a seconda della qualità e la freschezza di base del pesce che si presuppone di buona qualità e regolarmente abbattuto per prevenire infestazioni da anisakis.

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DO YOU speak DIZIONARIO DEL MONDO BARBECUE

BBQ

GLOSSARIO BBQ

Ogni mondo ha il suo codice, i suoi acronimi ed il suo dizionario di riferimento, e il barbecue non fa certo eccezione. Se vuoi diventare un griller esperto devi espandere il tuo vocabolario, che andrà da Adobo Sauce a Zest. La filologia, ovvero la disciplina che serve (anche) a ricostruire i documenti letterari nella loro forma più originale dice che è filologicamente molto più corretto chiamare le cose coi loro nomi originali piuttosto che usare le traduzioni. Sei d’accordo, no? Ci eravamo lasciati alla lettera “B”, continuiamo il nostro viaggio lessicale passando per “C” e “D”.

C

Cabinet Affumicatore di forma rettangolare che somiglia un po’ ad un frigorifero. Alimentato a legna, carbone, gas o elettricità, ha un difetto rispetto ai bbq tipo bullet (vedi WSM Weber): quando si apre lo sportello per ricaricare le legna o riempire il water pan, la temperatura si abbassa repentinamente e ci vogliono 15-30 minuti prima che ritorni al range iniziale Call Quando ricevi una “call” ad una gara barbecue significa che hai vinto un premio, ne abbiamo parlato ampiamente nel numero di Febbraio del Magazine. Capsaicina È un composto chimico presente, in diverse concentrazioni, in piante del genere Capsicum (ad esempio nel peperoncino piccante). Insieme alla diidrocapsaicina, è uno degli alcaloi230 - BBQ4All MAGAZINE

di responsabili della maggior parte della “piccantezza” dei peperoncini, cui si aggiungono gli altri capsaicinoidi, meno piccanti. La capsaicina è un derivato del metabolismo di un acido grasso monoinsaturo e viene prodotta da ghiandole situate tra la parete del frutto e la placenta, il tessuto che sorregge i semi. Soprattutto quest’ultima è ricca di capsaicina, mentre i semi, contrariamente all’opinione comune, sono sì ricoperti in superficie di capsaicinoidi, ma ne sono internamente privi. Capsaicina e capsaicinoidi sono alcaloidi incredibilmente stabili: restano inalterati per lungo tempo, anche dopo cottura e congelamento. La capsaicina fu scoperta nel 1816 da P.A. Bucholtz, il quale isolò la sostanza piccante dai peperoncini macerati mediante solventi organici. La sensazione di bruciore dovuta alla capsaicina ha una sua scala di misura, la scala di Scoville. Va da 0 a 10, e inizialmente si riferiva alla diluizione necessaria ad attutire la sensazione di piccante nei coraggiosi assaggiatori volontari. Attualmente si usano le unità di Scoville, per cui si va da 0 a 16 MSU per la capsaicina pura in cristalli. La scala di Scoville prende il nome dal suo ideatore, Wilbur Scoville che sviluppò il SOT (Scoville Organoleptic Test) nel 1912. Questo test originariamente prevedeva che una soluzione dell’estratto del peperoncino venisse diluita in acqua e zucchero finché il “bruciore” non fosse più percettibile da un gruppo di 5 assaggiatori; il grado di diluizione, posto pari a 16.000.000 per la capsaicina pura, dava il valore di piccantezza in unità di Scoville. Il valore 16.000.000 per la capsaicina fu posto arbitrariamen-

te da Scoville. Quindi un peperone dolce, che non contiene capsaicina, ha un valore zero sulla scala Scoville, a significare che l’estratto di peperone non è piccante anche se non diluito. Al contrario uno dei peperoncini più piccanti, l’Habanero, fa misurare un valore superiore a 300.000 sulla scala Scoville: posto 16.000.000 la capsaicina pura, significa che l’estratto di Habanero ha un contenuto di capsaicina equivalente di 300.000:16.000.000x100= 1,875 % in peso. Il record, registrato nel Guinness dei primati nel dicembre del 2013, appartiene al Carolina Reaper con 2.200.000 SHU. Caramellizzazione Trasformazione chimica e fisica subita da uno zucchero sottoposto a riscaldamento. È anche quel processo che determina il cambiamento di colore della carne da rosso a brunito e che apporta complessità nei profumi e nel gusto. Carryover È l’inerzia termica, ovvero il processo che si innesca quando si allontana il cibo dalla fonte di calore, qualunque essa sia. La parte superficiale, più esposta, continua comunque a trasferire calore alla parte più interna equilibrando la temperatura. Tale trasferimento di calore può quindi mutare la struttura del cibo, di fatto cuocendolo. Cast Iron grates Griglie in ghisa, pesanti, che accumulano il calore lentamente ma lo trattengono a lungo. Carbone O Hardwood Lump charcoal, il carbone ottenuto dalla combustione del


legno in atmosfera povera di ossigeno. Questo processo elimina l’umidità e i gas volatili presente nella materia prima d’origine, cioè il legno. Il carbone risultante non solo brucia più a lungo e in modo più coerente rispetto al legno vergine, ma è anche più leggero, da un quinto a un terzo del peso originale. L’ HLC migliore, ideale per la cottura diretta, si ricava da legno duro e pregiato come quercia e noce, non scoppietta, dura molto e non produce odori sgradevoli. Cauterizzazione Processo attraverso il quale, lasciando la carne a contatto con una superficie rovente, si ottiene la formazione della crosta. Chili con carne Piatto texano a base di carne stufata ed insaporita con un blend di peperoncini in polvere, spezie e de erbe, solitamente peperoncino ancho, origano, aglio, pepe nero e paprika. Chips Petali di legno duro aromatico, utilizzati per affumicare i cibi. Chunks Ciocchi di legno duro aromatico, sempre utilizzati per affumicare i cibi Churrasco Piatto tipico del Sud del Brasile e dell’Argentina, è una grigliata mista di vari tipi di carne (dal pollo al manzo, dal maiale alla pecora) che vengono tagliati a pezzettoni o lasciati interi, marinati e poi cotti su brace, ad almeno 50cm di distanza dal carbone. Nel churrasco rodizio la carne viene servita direttamente sul piatto con i tipici spiedoni (espeto) Ciminiera di accensione Cestino in acciaio dalla forma cilindrica che viene riempito di combustibile, acceso con un innesco (solitamente cubetti di paraffina) posto nella parte sottostante. Accessorio fondamentale che dimezza i tempi di accensione del combustibile. Collagene È la principale proteina del tessuto connettivo negli animali. È la proteina più abbondante nei mammiferi (circa il 25% della massa proteica totale). Se trattata a dovere e cotta alla giusta temperatura, si scioglie e

si trasforma in succelenta e morbida gelatina. Conduzione Trasmissione di calore che avviene in un mezzo solido, liquido o aeriforme (all’interno di un corpo solo o due corpi tra loro in contatto) dalle zone a temperatura maggiore verso quelle con temperatura minore. Convezione È un particolare meccanismo di trasmissione del calore che avviene attraverso movimento macroscopico. In particolare nella convezione naturale il moto è indotto da differenze di densità , legate a loro volta a differenze di temperatura; quando una superficie (ad esempio una lastra di acciaio) è ad una temperatura superiore rispetto all’ambiente esterno essa riscalda l’aria immediatamente circostante che per effetto di un aumento di temperatura cambia la sua densità , divenendo quindi più leggera. Ciò crea dei moti convettivi per i quali l’aria più fredda “scende” verso il basso mentre quella più calda “sale” verso l’alto , in modo che il processo si possa ripetere nuovamente. Questi moti fanno si che il calore generato dalla superficie in questione venga quindi disperso nell’ambiente fino a raggiungere un equilibrio termico. Cottura diretta O Direct Grilling. Quando il cibo viene posto sulla griglia “direttamente” sopra le braci. La cottura diretta si caratterizza per temperature molto elevate (anche oltre i 400°C), tempi di cottura nell’ordine di pochi minuti e tagli di carne prevalentemente piccoli Cottura indiretta Può avvenire solo in grill che consentono di creare una camera di cottura chiusa. La fonte di calore viene posta su un lato del grill e sull’altro viene posto l’alimento da cuocere. Il calore investe il cibo per convezione, quindi indirettamente. La cottura indiretta si caratterizza per temperature medio-alte (130-200°C) tagli di carne medi o grandi e tempi di cottura nell’ordine di decine di minuti. Alla cottura può essere associata la presenza di affumicazione. Cowboy Steak È una Tomahawk steak con l’osso

più corto. Trovi questa tipologia di costata, molto maschia e davvero scenografica, sul nostro Megastore. Creosoto Dal gr. κρέας “carne” e σώζω “salvo”. È il nome comune di diversi prodotti, di differente composizione. Si tratta di derivanti dalla distillazione o di legna, o di catrami minerali. Il più comune derivato dal legname è un miscuglio di fenoli ed eteri fenolici che si ottiene dalla distillazione tra 200-225°C del legno di faggio. Crisp Letteralmente “croccante”. Fase di cottura ad alta temperatura che rende la superficie della cotenna di maiale o la pelle dei volatili croccante come un biscotto.

D

Denver steak È una bistecca ricavata da un gruppo muscolare molto tenero del sottospalla, estremamente difficile da estrarre senza rovinare l’intero collo. La sua ricca infiltrazione di grasso dona alla carne sapore e morbidezza. Dip Salsa leggera a base di aceto, ideale per accompagnare le pietanze cotte al bbq. Dry Aged beef Processo di frollatura del manzo in un ambiente a temperatura e umidità controllata, dove enzimi e muffe lavorano per disidratare la carne e concentrare i sapori, creando spesso nuovi aromi ricchi di umami che ricordano i funghi , il formaggio e persino il prosciutto. Dry brine Operazione di salatura della carne prima della cottura. Il sale aiuta le proteine a trattenere l’umidità durante la cottura e ne migliora l’aroma. Per i tagli sottili, può essere fatto con 1-2 ore di anticipo. Dry Rub Una miscela di erbe e spezie applicate agli alimenti per aromatizzare e aiutare la formazione della crosta di cauterizzazione.

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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI

SEGUO Titolo del blog da installare: Cerco il libro di Lo Cascio Eventuali plugin richiesti: salve ma perché è tutto esaurito non lo trovo da ness-<EOF>

Hai appena letto un esempio delle tante clamorose scelte di canale sbagliato che, quando ci si trova dietro le quinte (e io sono dietro a tutte le quinte possibili), si ha la necessità di affrontare in maniera asettica, professionale e cortese. Ma come si fa? Sai quanti laptop hanno sofferto di urto repentino contro pavimentazione, quanti smartphone sono stati protagonisti di lanci degni del miglior Jurij Sedych, per il grande avvilimento risultato dalla lettura di queste perle? È innegabile, BBQ4All ha un sacco di dipartimenti, settori, aree d’interesse: c’è la parte University, rivolta ai corsi e alla formazione di voi fanatici della griglia; c’è il Megastore, che tratta la carne più bella che si possa trovare; c’è la Premium Community, il social network senza troll; c’è tutta la parte commerciale rivolta a accessori, dispositivi, oggetti esclusivi e ambìti; c’è la divisione Media, a cui fa capo il magazine che stai sfogliando con avidità in questo momento. Questi settori e dipartimenti possono essere raggiunti 232 - BBQ4All MAGAZINE

efficientemente tramite vari indirizzi email, che ti metteranno in comunicazione con la nostra nuova piattaforma di helpdesk. C’è un indirizzo per ogni scopo e, onde nessuno abbia dubbi, ciascuno di essi è scritto ben in evidenza nella foto copertina della community su Facebook. Tuttavia, per quanti sforzi possiamo fare al fine di rendere la comunicazione agile e ordinata, c’è sempre qualcuno abbastanza fuori dagli schemi da rendere tutto imprevedibile e difficilmente gestibile. È per questo che, per rendere la tua esperienza il più gradevole possibile, voglio darti due dritte, se non altro affinché tu non sia ricordato come “quello dei ticket bizzari”: 1. Metti parole significative nell’oggetto della mail: “mancata ricezione pacco” o “info membership” sono molto più efficaci per il nostro scopo rispetto a “DAIIII MUOVERSI” o “adesso basta”. 2. L’helpdesk è un luogo dove trovare risposte, non dove sfogare la tua acrimonia verso la società. L’agente con


cui ti stai interfacciando è probabilmente reduce da altri drammi giornalieri, stanco quanto te e sta cercando di risolvere il tuo problema quanto prima: sii gentile e ricordati che stai parlando con chi ti può condurre a una felice soluzione. 3. Fornisci subito tutti i dettagli che possono servire: presentarti come TheThickHammer93 non consente una tua rapida individuazione sul database. 4. Interagire con un nome che ti suona nuovo, invece che con i coach-celebrities raffigurati sul materiale promozionale, non ti autorizza a essere sgarbato e arrogante: non offenderò la tua perspicacia spiegandoti nel dettaglio perché. Lo sai. 5. Per l’assistenza, usa l’assistenza. Non altri canali. Quest’ultimo punto è molto importante: può sembrarti logico che scrivere sulla community sia il modo migliore per condividere il tuo problema, cercare alleati e arrivare alla risoluzione, ma ti rivelo un dettaglio: agli altri 45 (quasi 46) mila utenti il tuo travaglio non interessa molto. Rischi solo di veder disperdere la tua criticità in una marea di commenti sarcastici, troll dell’ultim’ora e moderatori furiosi. Ripeti con me: se vuoi assistenza scrivi all’assistenza.

Se scrivi all’assistenza entri in un database micidiale seguito da persone preparate e competenti; se scrivi in giro ti perdi soltanto in mille io penso che, e rischi che nessuno prenda in carico il tuo caso. Senza arrivare ai capolavori di creatività citati nel paragrafo introduttivo della rubrica, è capitato che qualcuno fraintendesse leggermente lo scopo di un certo canale. Ad esempio, pare che tutta la faccenda dell’unsubscribe mandi in confusione un gran numero di utenti. Te la prendi, lettore, se provo a fare chiarezza anche qui? Sono sicuro che sicuramente qualcuno si adonterà, ma è necessario un approfondimento. Le notifiche in un thread o in un gruppo che stai seguendo nella Premium Community (e non dirmi che non ci sei già dentro) non sono una newsletter dalla quale rimuoversi: sono solo notifiche, gestibili dal tuo pannello di controllo. Scrivere UNSUSCRIBIS alla mia mail personale non sortirà effetti auspicabili. Se per qualche motivo hai effettuato un ordine con la mail di tua moglie o del tuo compagno, e loro, all’oscuro di tutta la pratica, continuano a mandare mail indignate e unsubscribenti in risposta agli inviti a confermare il nuovo account, tu non godrai mai della Premium. E la brutta notizia è che nel tuo rapporto ci sarebbe bisogno di molto, molto più dialogo.

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MAGAZINE

N°4/ANNO 1 - APRILE 2019

L’EDITORIALE DI

GIANFRANCO LO CASCIO PORTFOLIO

JAMON IBERICO

L’APPROFONDIMENTO

TUTTO IL PASTRAMI MINUTO PER MINUTO

GUIDA AL PROSCIUTTO PIÙ COSTOSO DEL MONDO

I L M EN Ù P ER LE GRI GL I ATE DI PRI MAVERA

PA S Q U A , PA S Q U E T TA E PASQUALBBQ


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"è una rivolta?"

EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO

"no Sire, è una"

RIVOLUZIONE Luigi XVI

e

François

de

Liancourt,

in occasione della presa della

Vi immagino così, quando mettete in cottura il brisket a -15°C o rimboccate le coperte al povero pollo impalato, nel kettle, sotto la pioggia battente. Come le vestali col sacro fuoco che non va mai spento, voi d’inverno non mettete il barbecue in garage, no, voi siete l’anti-griller della domenica col cappello, voi siete la rivoluzione delle calpaìne, V for Vacio. Tuttavia, ammettiamolo: quanto è bello fare brace quando arriva la primavera e il cruscotto al sole viene fuori a cottura media? Impagabile. Aprile è il mese delle festività pasquali, delle grigliate all’aperto e delle nefandezze gastronomiche cotte sul fuoco. Quel periodo in cui divento particolarmente creativo nel lanciare gli strali, certe volte mi verrebbe voglia di mettervi le mani in reverse, ma poi mi calmo, e da

Bastiglia

1789

suocera con l’idrofobia mi trasformo nuovamente nello Zio. Qual è il primo e più grande errore che si può commettere, secondo voi, in queste occasioni di convivialità sperticata? Mischiare il mischiabile, grigliare il grigliabile, aggiungere cose a casaccio al menù. Le grigliate di Pasquetta sono tutte un pullulare di rosticciane gommose e bruciacchiate, spiedinidimmerda, bistecche dure ammostro, wurstel terribili e salsicce sventrate, pare di stare sul set di un film di Romero: il buco con la salsiccia intorno. Tutto sulla griglia, tutto nello stesso momento. E perché non aggiungere anche un paio di verdure e l'hamburger per i bimbi? Per favore, no. Meglio una singola preparazione fatta a regola d'arte che mille cose fatte così così, senza infa-

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mia e senza lode. Se non proprio fatte male. La grigliata mista lasciatela alla festa dell'Unità e alla Pro Loco di Portobuffole. Voi siete un'altra cosa, un altro livello, un altro campionato. O mi sbaglio? L'altro, gigantesco, errore che commettono in molti, la bestia centauresca che combatto da anni è la certezza incrollabile sui tempi di cottura. Ripetete insieme a me: i-tempi-di-cottura-non-esistono. Ho già avuto modo di raccontarvi una storia vera che ha come protagonista Jaques Pépin, a mio parere uno dei più straordinari e sottovalutati cuochi del mondo. Pépin rammenta del giorno in cui aveva scritto la ricetta delle pere in salsa di caramello. Siccome durante la prima esecuzione la cottura perfetta delle pere era avvenuta in 30 minuti, è stato proprio questo il tempo indicato nel testo della ricetta. Il problema è che la volta seguente, con pere diverse e con un grado di maturazione maggiore, il tempo di cottura si era ridotto a 10 minuti. La terza volta, usando pere molto dure e consistenti, l'esecuzione aveva necessitato di quasi un'ora di cottura. Eppure la ricetta scritta recitava: 30 minuti. Qual è il punto? Se la ricetta fosse stata sempre eseguita in base al tempo di cottura, almeno due volte su tre il risultato sarebbe stato disastroso. Capite dove voglio arrivare? Che si tratti di pere o di ciccia la cosa non cambia: il tempo di cottura dipende comunque da infinite varianti, come il peso del pezzo che andrete a cuocere, la razza e

"Tutto quello che NON devi fare durante una grigliata"

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l'età dell'animale, la frollatura, la marezzatura, la temperatura della carne al momento di andare in griglia. Ma voi lo sapete, perché avete letto la Mail Class, no? E allora perché vi ostinate a chiedere quanti minuti devono cuocere le costine, perché continuate a sostenere quel cugggino, che griglia da una vita, che fa delle fiorentine che lèvati, cuocendole semplicemente cinque minuti per lato, in equilibrio su un piede solo e gridando forte “io non sono uno yes man! Lo Cascio ha deliri di onnipotenza!”. Di conseguenza, gli errori che scaturiscono da questa incrollabile certezza sono almeno due: non avere idea di quali siano le temperature target di cottura, e trattare qualsiasi tipo di carne allo stesso modo. E l'unica cosa che potete fare in questo caso non è credere a Lo Cascio ad occhi chiusi, ma documentarvi, verificare e, solo dopo, darmi ragione. Ogni tipo di carne ha la sua temperatura di cottura ideale. Ogni tipo di carne deve essere trattata in modo diverso a seconda del risultato che si vuol raggiungere e a seconda del tipo di cottura che si vuol fare. Non si può cuocere tutto alla stessa temperatura, per lo stesso tempo, con gli stessi metodi. Sarebbe impossibile per me, adesso, dirvi tutto ciò che dovete sapere, quindi lo ripeto: l'unico modo che avete per imparare davvero qualcosa è studiare. Per fortuna ho messo a disposizione per voi due strumenti fantastici: la Mail Class e i corsi, tutti nuovi, della BBQ4All University.


Vi serve un piano infallibile, una tabella di marcia da seguire per preparare la migliore grigliata della vostra vita? Vi accontento subito. Per prima cosa, le domande di rito che dovete porvi,come dei Marzulli qualsiasi, e le risposte che dovete darvi: 1. Quanti e quali dispositivi vi porterete dietro? 2. Quanto tempo avrete a disposizione per realizzare tutte le portate? 3. Quante persone avete invitato al vostro bbq joint improvvisato? Una volta stilate le risposte, si passa alla stesura del menù, e successivamente alla spesa: 1. Iniziate sempre con una entrée stuzzicante, qualcosa di sfizioso che intrattenga gli ospiti e faccia da apripista alle portate successive. 2. Cucinate un primo piatto che non sia troppo elaborato e moderate le porzioni, per preservare l'appetito dei vostri commensali. 3. Concentrate le vostre abilità nella portata principale, il vostro coup de théâtre, la pietanza che lascerà il segno. 4. Preparate un contorno fresco che bilanci il sapore ricco e untuoso delle pietanze cotte in Low&Slow. 5. Mi raccomando Il dolce. Perché per quello c'è sempre spazio, pure dopo due porzioni di agnello. Provate a dimenticarvene e riecheggerà per sempre un laconico “tutto buonissimo, per carità, ma non c'era il dolce”.

Inutile dirvi che in questo numero del BBQ4All Magazine troverete tutte le indicazioni del caso, gli how-to, le tecniche e le dosi per ogni singolo piatto. Prima di salutarvi, però, voglio rivelarvi qual è un altro errore che commettete, non soltanto durante la grigliata di Pasquetta, mentre vi destreggiate tra una tracchiulella di balsa e un’aletta di pollo svampata, ma più in generale: aver paura di sperimentare. La bistecca? Solo sale e pepe. Le costine? Solo sapori mediterranei. Troppe spezie? Naaaaa meglio le cose al naturale. Ma perché? Fermarsi sul pianerottolo della zona di comfort, anche in cucina, senza mai aprire la mente e senza mai lanciarsi a briglie sciolte nella sperimentazione è una delle cose più sbagliate che si possa fare. Ma voi non siete personcine che hanno paura di sperimentare, no?

- C’est una révolte? - Non, Sire, C'est une révolution. Braci, abbacchi e buona rivoluzione.

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INDICE APRILE 2019 - NUMERO 4 ANNO 1 B U TC H E R C LASS

la bistecca del mese

Teres Major WINE CLASS

i profumi del vino seconda parte

PER INIZIARE

tieni viva la fiamma

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PO RT FO L I O

Jamon Iberico

il prosciutto più costoso al mondo

G U I DA A G L I ACC E SS O R I

Ghisa

le regole di manutenzione


SPECIALE

PASQUA E PASQUETTA GRIGLIATE DI PRIMAVERA

TUTTO IL

PASTRAMI MINUTO PER MINUTO

È ORA DI

BERE !

ABBINAMENTI CONSIGLIATI

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Introduzione: la grigliata brutta la tecnica dell'Ember Roasting Panelle & Sliders Pane e Frittata Pasta al Fumo Agnello al vernaccia con olive Salsicce affumicate alla birra la Caponata Fumante Pizza: metodo + ricetta Uovo affumicato e asparagi grigliati la grigliaCassata

288 Parte 1: la storia 291 Parte 2: la preparazione 293 Parte 3: la ricetta 294 vini consigliati 296 birre consigliate 297 cocktail: gin tonic

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THE CHEMICAL GRILLERS

La Scienza della Affumicatura

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SEGUO

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BUTCHER CLASS a cura di SAL DI MENTO

TERES MAJOR la bistecca del mese:

“Non c’è storia con il Teres Major del Megastore... il filetto viene surclassato per morbidezza e sapore” Non l’ho detto io, ma uno di voi: l’apparenza incanta, in questo caso. Parliamo del Teres Major aka filettino di spalla, ovvero uno dei tagli più teneri di tutto il manzo. Il primo è senza dubbio il filetto, ma costa cinque volte tanto. La forma è pressappoco la stessa, affusolata, ma le dimensioni sono sensibilmente minori. È avviluppato da moltissimi muscoli strapieni di tessuto connettivo ma, aprite bene le orecchie, Il Teres Major è un flessore della spalla e adduttore della zampa: è per questo che è un muscolo tenero, i bovini non hanno grandi movimenti di adduzione dell’arto anteriore, ed è affiancato alla copertina di spalla (topblade/flatiron), anch'essa parte di quel gruppo muscolare e quindi tenera. Cosa vuol dire? Ve lo spiego subito. Questo taglio è quasi privo di connettivo e, se frollato a dovere, al morso risulta molto più tenero di tanti filetti ricavati da bovini italici non frollati. Volete fare un giochino con i vostri amici espertoni di carne? Prendete un Teres Major del Megastore, tagliatelo in fette spesse quasi 3cm spacciandolo per filetto e fateglielo assaggiare. Vi garantisco che la vostra percentuale di successo 242 - BBQ4All MAGAZINE


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è del 100%, non vi sgameranno mai, sempre che non abbiate invitato un amico come me. Con questa mossa Kansas City avrete stupito la vostra piccola platea personale con 1/5 della spesa. Nomi alternativi del Teres Major: petit tender, shoulder tender Il Teres Major è un muscolo della spalla di piccole dimensioni e del peso di circa 700 grammi. Ci sono solo due filettini di spalla per carcassa, di conseguenza la resa per animale è veramente ridotta. Trimming: asportare tutta la silverskin (membrana connettivale) rimasta attaccata dopo la separazione dagli altri muscoli della porzione di spalla, lavorando nella direzione delle fibre muscolari. Sezionamento: tagliare in medaglioni spessi 2,5 cm o più o cuocere intero. Altri usi: strepitoso anche crudo, perfetto per una tartare battuta al coltello. È una matrioska di sapore e ciccia, con un filetto nascosto dentro e ad un prezzo nettamente inferiore. Ripetete con me: il Teres Major è un filetto ma dal gusto di manzo più solido e con trame di marezzatura mediamente più intense. Cottura con la tecnica Flip&Brush (gira e spennella): Spennellate la carne con olio o con la Teriyaki, una salsa densa a base di sake o mirin, salsa di soia e zucchero, cuocete in diretta e giratela velocemente fino al grado di cottura desiderato. È fondamentale ottenere una crosticina perfettamente cauterizzata e controllare la temperatura interna con un termometro (48-52°C), evitando di carbonizzare le parti zuccherine della salsa. Il risultato sarà una carne tremendamente morbida, succosa e che si armonizza perfettamente con l’altalena di sapori orientali, tra il dolce, il sapido e l’umami.

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PORTFOLIO GASTRONOMICO - RUBRICA a cura del Direttore ROSSELLA NEIADIN

NON SI CHIAMA

P ATA N E G R A

guida al prosciutto più caro al mondo

Una coscia a 4100 euro, non mi riferisco alla famosa assicurazione degli arti inferiori di Tina Turner, ma parlo del prezzo del Dehesa Maladua, il prosciutto più costoso al mondo. A produrre questo insaccato da record è Eduardo Donato, allevatore catalano da anni stabilitosi nel piccolo comune di Cortegana, in Andalusia. Si tratta di 80 pezzi numerati, ricavati dalle carni di una razza suina unica al mondo: il Manchado de Jabugo, maiale pezzato dichiarato in via d'estinzione oltre 25 anni fa e salvato proprio da Donato, i cui 100 esemplari, due per ettaro per la precisione, grufolano liberi tra ruscelli, cascate e boschi di querce, alimentati soltanto con una quantità precisa di ghiande (tra i 6 e i 7 chili al giorno) erba e radici. Aggiungete alla conta un affinamento di 6 anni e avrete una zampa di maiale stagionata che costa tre stipendi. Tutti soldi ben spesi, mangiare quelle fettine color crèmisi è un’esperienza che ti segna, e poi lo sanno tutti che gli spagnoli fanno prosciutti più buoni dei nostri, non c’è Sardo o Cinta che tenga. Pausa. A questo punto dell'articolo, azzardando con l’insiemistica, vi sarete senz’altro divisi in tre gruppi:

1. Quelli che il prosciutto italiano è superiore, e costa pure di meno 2. Quelli che il Pata Negra lo mangiano a colazione, con una grattatina di tartufo bianco 3. Quelli che il Pata Negra non l’hanno mai assaggiato, e vorrebbero saperne di più 246 - BBQ4All MAGAZINE


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Pata negra: è giusto chiamarlo così?

Iniziamo dalle basi: il nomignolo “Pata Negra”, letteralmente “unghia nera”, stava a differenziare i prosciutti di porcelli spagnoli con gli zoccoli scuri. Vuol dire tutto e niente, non ha valore semantico dal punto di vista normativo. Non tutti i maiali iberici hanno l’unghia nera né l’unghia nera è un’esclusività di questa razza, sono altre le caratteristiche che distinguono un prosciutto spagnolo di qualità, e sono tutte racchiuse in un decreto emanato nel 2014 dal Ministero spagnolo dell’Agricoltura. Questo non è il Vietnam, ci sono delle regole [cit.] La legge del 2014 Ci hanno provato in tutti i modi: zoccoli di prosciutti scadenti dipinti di nero, unghie bruciacchiate e un po’ di make-up per far passare prodotti mediocri per merce eccellente e costosa. A tutelare produttori e consumatori ci pensa un decreto, alleluja, che riconosce solo tre tipi di denominazioni di prosciutto iberico, tutte stabilite in base al tipo di alimentazione dei maiali durante la fase di ingrasso: Prosciutto Iberico De Cebo, alimentato con mangimi a base di cereali e leguminose. Prosciutto Iberico De Cebo De Campo, allevato a regime semi brado e combinato di mangimi, foraggi e risorse campestri. Prosciutto Iberico De Bellota: durante la Montanera, il periodo che va da ottobre a dicembre, il maiale vive allo stato brado e si ciba esclusivamente di ghiande di leccio, sughero o rovere. 248 - BBQ4All MAGAZINE

Un altro fattore cardine per la classificazione del prosciutto iberico è il grado di purezza della razza, vale a dire la percentuale di geni iberici presenti nel corredo del porcello. Il prosciutto 100% Iberico è quello realizzato macellando animali di pura genetica iberica. Ciò significa che i due progenitori, padre e madre, dovranno essere 100% iberici e figurare nel libro genealogico ufficiale. Soltanto “Iberico” è invece il prosciutto ricavato da animali con almeno il 50% del loro patrimonio genetico di razza pura. Le madri dovranno essere sempre 100% iberiche, ma i padri potranno essere di razza duroc o incrociati iberico-duroc. Questa classificazione rimanda al nuovo sistema di individuazione mediante sigilli in plastica e divisi per colore. Quello bianco indica che il maiale è iberico De Cebo, ma con una percentuale di razza iberica del 50 o del 70%, che deve essere sempre indicata sull’etichetta. Il sigillo verde viene utilizzato per identificare prosciutti iberici De Cebo De Campo, mentre il rosso indica che l’animale è stato alimentato nei pascoli durante la fase di ingrasso, è di razza iberica (al 50% o 75 %) e si è cibato di sole ghiande. Il sigillo nero è riservato ai prosciutti migliori, i Pata Negra veri, ricavati da maiali 100% iberici puri e alimentati esclusivamente con ghiande.

La Dehesa

È un vocabolo intraducibile al pari di cazzimma, “el bosque humanizado”, così lo chiamano in Spagna. La Dehesa era un terreno boschivo inadatto alla colti-


vazione, che grazie all’intervento selettivo dell’uomo e alla puntellatura di alberi di quercia, si è trasformata nel pascolo ideale, un Eden dispensatore di frutti zuccherini e saporiti: le ghiande, in spagnolo bellotas. Durante il periodo della Montanera, che corrisponde agli ultimi mesi dell’anno, i maiali fanno il pieno di erbe e acido oleico, la stessa sostanza presente nelle olive. Il gusto si insinua lentamente nel grasso degli animali, al punto che gli spagnoli chiamano i suini iberici “olive con le zampe”. Il consumo del maiale varia in funzione del suo peso, mediamente si considerano dai 6 ai 10 kg al giorno per animale, oltre a circa 3 kg d’erba ed erbette aromatiche come il timo ed il rosmarino.

Produzione e stagionatura

Il “porco di razza Alentejana” è un siluro di grasso su gambe sottili. La Denominazione di Origine conta 4 regioni: a nord, la Salamanca e la città di Guijuelo, a est la provincia di Huelva e in particolare la città di Jabugo. Valle de Los Pedrochas è la denominazione meno conosciuta, il viaggio termina ai confini con l’Andalusìa, nella regione dell‘Extremadura, dove la lavorazione dei prodotti iberici è particolarmente estesa (quasi un milione d’ettari di dehesa per 1500 allevamenti). Le principali zone di trasformazione si ritrovano sulle sierra del sud ovest di Badajoz, Ibor e Villuercas, Gredos Sur, Sierra de Montánchez e Sierra de San Pedro.

Processo di elaborazione delle carni

Il processo di elaborazione delle carni avviene in 4 fasi. 1. Salatura e lavaggio Dopo la macellazione, i prosciutti vengono ricoperti di sale marino per una settimana o dieci giorni, a seconda del peso. La temperatura di stazionamento può oscillare tra 1º e 5ºC, l’ umidità tra l' 80 o il 90%. Trascorso questo tempo, i prosciutti vengono lavati con acqua tiepida, per eliminare ogni traccia di sale. 2. Riposo Le cosce lavate trascorrono dai 30 ai 60 giorni ad una temperatura che oscilla tra i 3º ed i 6ºC, in questa fase il sale si distribuisce in maniera uniforme, innescando il delicato processo di disidratazione e conservazione. 3. Essiccatura e maturazione I pezzi vengono trasferiti in un essiccatoio naturale nel quale l’umidità e la temperatura sono controllati tramite meccanismi di ventilazione manuali. La temperatura oscilla tra i 15º ed i 30º, durante i 6 – 9 mesi successivi il prosciutto continua a disidratarsi e trasudare, diffondendo il grasso tra le fibre muscolari. 4. Invecchiamento I prosciutti trascorrono dai 6 ai 30 mesi in cantina, la bodega. La temperatura può oscillare tra i 10º ed i 20ºC, e l’umidità relativa si attesta tra il 60 e l’80%. In questa fase l’attività della flora microbica si aggiunge ai processi biochimici iniziati durante la stagionatura, processi che conferiranno l’aroma peculiare e il sapore finale del prosciutto.

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Lo specialista vero del prosciutto, impara a tagliarlo da sé, o alla peggio lascia fare alla mano esperta del Cortador, il tagliatore di prosciutto, godendo dell’estetica codificata di certi gesti, tentando di rubarne i segreti. E poi, diciamo la verità, il taglio a macchina è roba da pivelli, in più provoca frizione e riscaldamento, tutte cose che rovinano l’aspetto e le fette di prosciutto risultanti. Importante: il prosciutto deve essere consumato a temperatura ambiente, preferibilmente intorno ai 21°C. Soltanto a questa temperatura potrete scorgere il brillìo del grasso naturale, quando il prosciutto è freddo, invece, risulta opaco e perde punti-fascino. I più volenterosi potranno porzionare il prosciutto con le proprie manine, seguendo questa procedura: 1. Collocare il prosciutto Il porta prosciutto deve essere collocato ad un’altezza e in una posizione che agevoli il taglio, senza forzare i movimenti né la posizione del corpo. Se pensate di consumare tutto il prosciutto in poco tempo, ingordi che non siete altro, iniziate ad affettarlo dalla parte centrale, anche detta fiocco (maza). Se invece volete prolungare il piacere per più di 2 giorni, cominciate ad affettare il prosciutto dalla zona del cosciotto (babilla). 2. Pulire il prosciutto Nell’ordine: togliere la cotenna e il grasso esterno che ricoprono questa zona, insistere sino a quando affiora la

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fibra muscolare. La parte esterna del prosciutto è ricoperta di muffe ed essudati naturali, frutto del processo di asciugatura e stagionatura: tutte impurità e nefandezze che devono essere eliminate dal contorno della zona di taglio, rischio retrogusto di rancido durante l’assaggio. 3. Affettare Tagliare il prosciutto a fettine molto sottili, quasi trasparenti, rispettando la larghezza del prosciutto e non superando i 6/7 cm di lunghezza. Man mano che si taglia, rimuovere dai bordi la cotenna ed il grasso esterno. I tagli saranno sempre paralleli tra loro e in direzione contraria all’unghia, lasciate sempre alla vista una superficie piana, senza striature. Arrivati all’osso dell’anchetta, fate un taglio profondo intorno all’osso in modo che le fette vengano fuori belle pulite. La carne più vicina alle ossa non va affettata, ma tagliata a dadini: potrete usare i preziosi cubetti nelle preparazioni barbecue, perché no. Quando avrete divorato la parte del fiocco, girate il prosciutto, rivolgendo l’unghia verso il basso. Disponete le fette in un piatto, in un unico strato o leggermente sovrapposte.

La degustazione

Esame visivo: il prosciutto spagnolo dei sogni ha una forma allungata, lo zoccolo nero o scuro, le ossa abbastanza sottili, il tutto ricoperto da un velo sottile di muffe.


Eliminata la cotenna, si può intravedere un primo strato di grasso giallognolo, e man mano che l’atmosfera si scalda e si inizia a preparare il pezzo per l’affettatura, si può osservare una bella quantità di grasso bianco attaccato ai muscoli, sviluppatosi durante il periodo di Montanera. Se il tono di questo grasso vira sul rosa significa che abbiamo un gran cu.., ahem fortuna, e ci troviamo di fronte ad un prosciutto di quelli da incorniciare. Anche il magro dice la sua: nelle zone meno stagionate e a temperatura ambiente, un buon prosciutto ha un colore rosso o rosa intenso, brillante per l’effetto del grasso intramuscolare e ricoperto da tutta una mirabolante serie di amminoacidi cristallizzati. Aroma Tutto dipende dall’alimentazione dei maiali in regime di montanera e dal tempo e le condizioni ambientali durante la stagionatura. Anche il punto di sale ricopre una parte importante, quando è equilibrato asseconda la percezione di tutte le sfumature olfattive. Consistenza Gli elementi da valutare sono tre: 1. La succosità, prodotta per effetto combinato del grasso e di un contenuto equilibrato di sale. 2. La secchezza, che tende ad aumentare se il pezzo è stato esposto a un periodo di maturazione eccessivo e, in tutti i prosciutti, si concentra nella parte più superficiale. 3. La quantità di fibra contenuta nel prosciutto: se il prosciutto è buono, avrà meno contenuto fibroso e più grasso fluido.

Gusto Finalmente si mangia. Assaporando la fibra tenera ed untuosa, scioglievole come nessun prosciutto al mondo potrà essere, coglierete note stagionate che ricordano le erbe selvatiche, il fungo, il tartufo, che aumentano di intensità e complessità a seconda della stagionatura. Oppure mangerete senza percepire nessuna di queste cose, chissenefrega dei sentori, l’importante è godere. I voti Ghianda: quando a temperatura ambiente si può percepire il sapore di ghianda nelle fette di prosciutto. Salato: positivo solo quando è equilibrato Dolce: una sfumatura tipica dei prosciutti spagnoli sottoposti a lunghi periodi di stagionatura in cantina, seguendo i metodi tradizionali Piccante: dev’essere moderato, non invasivo. Di solito il piccante segnala un’accelerazione anomala nel processo di stagionatura. Rancido, che in misura molto ridotta, udite udite, può essere considerato, positivo e interessante. Tra le note gustative “positive” si registrano anche: il sapore di zucchero bruciato, quello di cantina e di frutta secca (ghiande, noci e nocciole) Ed il nostro approfondimento sul prosciutto più costoso al mondo termina qui, per il momento, il tempo di fare i conti con l'abaco e aggiudicarsi il cibo del bon vivant per eccellenza. Che poi i salvadanai sono tutti a forma di maiale. Coincidenze? ALMANACCO 2019

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WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI

TUTTI I DEL

PROFUMI

VINO

Il problema è ritrovarli nel bicchiere ma possiamo farcela (seconda parte)

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Avete presente il sommelier vestito da pinguino, impettito e serioso, elastico come una pala da neve e col tono di voce da Messa di Natale? Ebbene, io lo odio ma mi sono appassionato al vino grazie a lui: irretito da un tizio in tv all’ora di pranzo che snocciolava decine di profumi magnifici semplicemente infilando il naso nel bicchiere. Una specie di mago. Solo dopo, molto dopo, ho capito che c’era il trucco. Annusare il vino buono è uno dei piaceri della vita ma dobbiamo sgombrare il campo da tanta pantomima: non serve il diplomino da assaggiatore appeso in salotto per collegare naso e cervello. Tutti possono annusare un vino. Tutti possono trovarci dei profumi specifici attingendo alla propria memoria olfattiva. Tutti possono sparare riconoscimenti in libertà. Dicevo che c’è il trucco e per certi versi è proprio così. Basta essere fermi nel tono di voce, ostentare convinzione, cadenzare i movimenti di bocca, sopracciglia, spalle e busto come stessi per declamare l’Infinito di Leopardi e il gioco è fatto: il pubblico va in estasi, i commensali rimangono a bocca aperta, la fidanzata gongola e il successo è assicurato. Prima o poi la smetteremo con certe pagliacciate. Veniamo al dunque. Annusare un vino è ascolto più che egotismo. Se è vero che dopo dieci anni di assaggi ho una buona capacità di riconoscere e soprattutto discernere, è altrettanto vero che l’intelligenza collettiva attorno ad un tavolo - tanti nasi collegati tra loro – sono una risorsa incredibile. Non tanto nell’inquadrare la qualità di un profumo quanto proprio di riconoscerlo. Perché ciascuno di noi ha un bagaglio unico e inimitabile di odori immagazzinati, una privatissima “olfattoteca”, galleria olfattiva continuamente stimolata e arricchita. Le degustazioni collettive, specie con chi non sa un accidenti di vino, sono divertentissime. Perché chi parla a ruota libera, senza formazione specifica, spesso becca il punto più degli iniziati. Centra il bersaglio, un profumo (o una puzza) senza essere bloccato dalle sovrastrutture, griglie che invece di guidare in molti casi ingabbiano e stritolano. Il paradosso del degustatore, addirittura, è che più odori si conoscono e meno risulta facile identificarli. Ma in fondo, che importa? Non ho idea della differenza tra una rosa bulgara e una rosa centifolia ma, se anche ce l’avessi, sarebbe poco utile specificarlo al mio lettore. Però se dico che un grande Barolo può profumare anche di rosa iniziamo già a capirci meglio e la cosa si fa interessante. Leggenda narra che il grande Luigi Veronelli, patriarca del racconto enogastronomico in Italia, a proposito dello Champage Krug utilizzò addirittura il descrittore “sperma”. Questo è l’apice immortale della perversione che raggiunge un degustatore quando vuole essere puntiglioso coi riconoscimenti gusto-olfattivi ma è anche un monito: vale tutto (quando aiuta a memorizzare e comunicare un odore).

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Il funzionamento è semplice e non esiste miglior regalo per un bevitore alle prime armi. “Non riesco a sentire nulla” sarà solo un brutto ricordo perché tutti annusiamo ma il difficile è riconoscere. La ruota facilita perché si parte dal centro con categorie generali e ci si sposta verso l’esterno andando su riconoscimenti sempre più specifici. Allenare naso e cervello è più facile del previsto, se sai come farlo. Gioverà anzitutto partire dagli odori più comuni, le famiglie che si trovano in quasi tutti i vini: floreale e fruttato. Prima, però, un breve inciso. Percepiamo profumi grazie ai recettori olfattivi, cellule sensibili agli odori che si trovano nella parte più alta della cavità tra narici e fondo della gola. Qui le particelle odorifere vengono riconosciute ed identificate e proprio per questo, se vi tappate il naso, non sentirete nessun odore: non per via diretta, inalando, né per via retrolfattiva, cioè deglutendo un solido o un liquido. Se nel caso dei fiori usiamo prevalentemente il naso, nel caso della frutta sarà prevalentemente il retrolfatto a imprimere un input preciso nella nostra memoria. A naso chiuso o con un raffreddore potente, sarà assai difficile distinguere una mela da una cipolla. Provare per credere. Fiori e frutta, dicevamo. Per i primi, il campo d’allenamento esiste ed è il fioraio più vicino a casa. Entrate millantando di dover fare un regalo e annusate tutto. Ci sono fiori ricorrenti nei vini bianchi (ginestra, acacia, camomilla, tiglio…) e fiori ricorrenti nei vini rossi (viola, rosa, lavanda…). Teniamo a mente le parole del prof. Luigi Moio: “Le due grandezze odorose sulle quali è stato costruito il ventaglio olfattivo degli odori floreali dei vini bianchi sono la nota di miele (fenilacetaldeide, un marker di ossidazione aromatica) e la fragranza di rosa (linalolo)”. Nei vini rossi, curiosamente, le note floreali appaiono con l’affinamento in bottiglia e il ventaglio aromatico va dalla viola (betaionone) alla lavanda (sempre linalolo). Capite bene come già giocando coi fiori bianchi e gialli, rossi e viola ci sarebbe da divertirsi per una vita. Sì perché quando diciamo che un

vino profuma di questo o quello usiamo delle analogie: non c’è papaia nel mio vino bensì la sostanza chimica responsabile di quel profumo (butanoato di etile). Fino ad oggi sono state isolate poco meno di 1.000 molecole volatili di diversa natura chimica e si ipotizza che in natura esistano oltre 250.000 molecole in grado di dare altrettanti odori. Capite che roba pazzesca e infinitamente affascinante? Quando sentiamo profumo di banana è grazie all’acetato di isoamile, la magnolia deve il suo profumo al geraniolo, il burro al diacetile, il pepe nero al rotundone e così via. Ricapitolando. L’odore diventa immagine olfattiva e attiva processi cognitivi nella corteccia cerebrale, dove viene confrontata con tutti gli odori già presenti nel nostro privatissimo database. Se già presente, avviene il riconoscimento consapevole, altrimenti aggiungiamo un volume alla libreria pronti a sfoderarlo quando ne capiterà l’occasione. Per dirne una, pochi giorni fa ho bevuto un vino il cui odore non sarei mai riuscito ad identificare nonostante fosse ben presente nella mia mente: profumava di peperoncino! Attenzione però. Perché quando abbiamo sotto al naso uno stesso vino sentiamo frequentemente odori diversi? Per i nostri diversi “archivi” ma anche per un altro aspetto centrale: la soglia di percezione. Sul piano dei sensi, ognuno di noi ha una diversa soglia di percezione: vale per il caldo, il freddo, il dolore… e ovviamente per i profumi. Definizione: “Quel valore della concentrazione di un composto volatile in corrispondenza della quale un odore è percepito almeno dal 50% della popolazione”. Ci sono molecole di cui bastano 2 ppm (parti per milione) per essere percettibili mentre di altre ci vogliono 100 ppm. Idem per le persone. Alcuni percepiscono molecole presenti in bassissime quantità, altri – con una soglia di percezione più alta – no.

da memorizzare: il bosso di alcuni Sauvignon Blanc (che ricorda la pipì di gatto) e il peperone di certi grandi Cabernet Franc, ma anche fungo e tartufo di certi vini piemontesi ben maturi o il mallo di noce dei Vin Jaune dello Jura. Il capitolo delle spezie è talmente vasto e affascinante che dovremmo fare una gita in un bazar per riempire la casella dell’archivio: zafferano dei Sauternes (vini dolci muffati francesi), cannella, curry, pepe di tutti i colori nelle Syrah del Rodano. La vaniglia meriterebbe un capitolo a parte perché le bacche hanno un profumo meraviglioso ma nel vino, quando l’odore è troppo pronunciato, indica una permanenza in legno quasi invalidante, banale, che stanca molto presto pur risultando accattivante nell’immediato. Poi ci sono i profumi tostati di caffè, cioccolato, fumo, goudron (il catrame dell’asfalto estivo, tipico di alcuni grandi vini di Bordeaux) e quelli minerali di zolfo e pietra focaia che escono fuori in alcune zone particolari di Irpinia e Loira. Ci sono poi anche profumi sgradevoli, sui quali negli ultimi anni si dibatte ferocemente disquisendo se siano difetti sempre e comunque o caratteristiche peculiari di alcune zone. Perlopiù sono errori di produzione ma immaginateli per un attimo: uovo marcio, merdino, fogna, aceto, sella di cavallo, sudore. Meglio non incontrarli, fidatevi. Il modo migliore per esercitarsi è bere vino buttando un occhio alla Ruota degli Aromi. Renderà possibili delle associazioni mentali sorprendenti!

Ma torniamo alle famiglie olfattive. Oltre il fruttato e floreale c’è di più. Ci sono le erbe aromatiche: la salvia del Moscato d’Asti, timo e rosmarino, il finocchietto selvatico in alcuni Verdicchio. Ci sono i profumi erbacei e vegetali, difficili da descrivere ma più facili ALMANACCO 2019

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GUIDA AGLI ACCESSORI - RUBRICA a cura di MICHELE CHIPA

come trattare gli

AC C E S S O R I

I N G H I SA

qualche consiglio utile

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Esistono svariati accessori in ghisa: padelle, wok, griglie, cocotte e chi più ne ha più ne metta. Prima di poter essere utilizzati, però, devono subire un pre-condizionamento. Questo trattamento serve a creare una patina di olio polimerizzato finalizzata a rendere l’accessorio antiaderente e a proteggerlo dalla ruggine

Normalmente, il produttore effettua in fabbrica il trattamento, ma se così non fosse, ti dico come provvedere. Cospargi l’accessorio con un grasso, aiutandoti con due o tre strappi di carta assorbente, e poi mettilo in forno, capovolto, per circa un’ora ad alta temperatura (180/250°C). Appena uscito dal forno aggiungi altro grasso e lascia raffreddare. Una volta raffreddato l’accessorio avrà uno strato polimerizzato molto resistente. Di solito si usa olio di girasole o di vinacciolo e, per avere un risultato eccellente, è necessario ripetere il procedimento per tre/cinque volte. Ti avverto: con questo trattamento si creerà molto fumo e quindi ti suggerisco di farlo in un fornetto all’esterno oppure con le finestre aperte, per non sentire le urla dei tuoi familiari. Se hai dei rilevatori di fumo, assicurati di spegnerli. A questo punto ti starai domandando come pulire la ghisa senza rovinare il pre-condizionamento. Se utilizzi un wok o una padella e noti dei residui di cibo carbonizzati, metti l’accessorio sul fornello con dell’acqua al suo interno e fai bollire per almeno 10 minuti. Con una spatola rimuovi delicatamente i residui che si saranno già parzialmente staccati. Butta via l’acqua sporca e passa sul fondo due o tre tovaglioli inumiditi. Se hai pulito bene dovresti vedere sul tovagliolo un sottile strato di residui scuri. Accendi nuovamente il fornello per far riscaldare ancora la ghisa in modo da eliminare ogni traccia di acqua, poi cospargi d’olio (lo stesso usato per il pre-condizionamento) e lascia raffreddare. Se non ci sono residui puoi saltare il passaggio della bollitura dell’acqua e iniziare dal passaggio veloce di tovaglioli umidi. Le griglie in ghisa, invece, devono essere pulite da calde con l’aiuto di apposite spazzole non abrasive. Potresti utilizzare un limone diviso a metà e passarlo sulla superficie della griglia; in caso di sporco ostinato potresti mettere del sale grosso prima del passaggio col limone. Una volta pulito l’accessorio, dovrai cospargerlo nuovamente con dell’olio prima di riporlo in un luogo asciutto.

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PER INIZIARE - IL BBQ PER I PRINCIPANTI - RUBRICA a cura di MICHELE CHIPA

T I E N I V I VA L A

F I A MM A come evitare gli errori che portano allo spegnimento del carbone

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Finalmente siamo pronti a grigliare: carbone disposto nel barbecue e sonda del termometro inserita sulla griglia. Chiudiamo il coperchio per stabilizzare la temperatura. Quest’ultima inizia a salire e quando arriviamo in prossimità di quella desiderata, andiamo a regolare vent-in e vent-out. Dopo una ventina di minuti, va in scena la tragedia: la temperatura inizia a calare vistosamente e non riusciamo ad interrompere questa discesa neanche riaprendo tutto. Alziamo il coperchio e troviamo il carbone quasi completamente spento. Cosa potrebbe essere successo? Come mai sembrava tutto pronto ed invece si è verificato il disastro? Vediamo insieme cosa è andato storto.

Per far sì la combustione avvenga sono necessari tre elementi: combustibile, comburente (ossigeno) e innesco. È il cosiddetto triangolo del fuoco. Quali sono gli errori più frequenti che vanno ad impattare sui lati del suddetto triangolo e che quindi causano lo spegnimento del fuoco? Errori con il combustibile: 1. Carbone umido: la presenza di umidità nel combustibile rallenta l’innesco e rende più difficile il mantenimento della combustione. È opportuno, quindi, ricoverare sempre il carbone in un luogo asciutto. 2. Carbone non perfettamente acceso: l’innesco è avvenuto e si è accesa la fiamma, però abbiamo disposto il combustibile nel braciere troppo presto. In fase di accensione il carbone si incendia per contatto (come succede, per esempio, in una ciminiera) e, disponendolo ancora non perfettamente acceso nel bbq, lo andiamo a ridurre fortemente. La completa accensione sarà avvenuta quando sul combustibile sarà presente la caratteristica cenere bianca. 3. Carbone parzialmente combusto: può succedere che, terminata una cottura, sia rimasto del combustibile parzialmente utilizzato. È sicuramente possibile riutilizzarlo, ma non in fase di accensione. La cenere della precedente combustione rallenterà

l’innesco e lo renderà meno efficiente. Se utilizzate una ciminiera, potete inserire il carbone già utilizzato tra due strati di quello nuovo. Errori con il comburente: 1. Vent-in parzialmente ostruite: in caso di utilizzo di coperchio e con una apertura delle vent-in e ventout limitata, per stabilizzare il dispositivo ad una bassa temperatura, lo spegnimento del carbone potrebbe essere causato da un’ostruzione. L’azione combinata fra la cenere delle precedenti cotture non smaltita e dei liquidi della cottura potrebbe creare una patina sopra le vent-in. In questo modo il poco ossigeno in entrata nel braciere non riuscirebbe a garantire la combustione. 2. Vent-in troppo chiuse: se accendiamo troppo carbone rispetto alla temperatura da tenere è ovvio che per stabilizzarla dovremo chiudere molto le vent-in. Se la chiusura è quasi completa può succedere che si arrivi allo spegnimento del carbone. Purtroppo, visto l’isolamento del dispositivo ci accorgeremo dello spegnimento troppo tardi (perché il raffreddamento sarà graduale). Dobbiamo cercare di accendere il giusto combustibile che serve per l’ottenimento di una data temperatura. Errori con l’innesco 1. Accensione del combustibile sparso sulla griglia carboni: nella fase

iniziale dell’accensione, il fuoco è generato dall’accenditore. Una volta consumato quest’ultimo, l’accensione prosegue per contatto. Se c’è poco contatto fra i pezzi di carbone o le bricchette, l’accensione sarà difficoltosa ed inefficace. È opportuno accendere utilizzando una ciminiera di accensione. 2. Utilizzo di un accenditore di breve durata: il carbone richiede del tempo per essere acceso correttamente. Se si usa un accenditore che si consuma troppo presto (fogli di giornale, alcool e altri materiali infiammabili) non arriveremo alla completa accensione. Bisogna utilizzare gli accenditori creati appositamente per questo scopo. Ne esistono anche di completamente naturali che eliminano l’odore di paraffina. 3. Utilizzo di accenditori in quantità non congrue rispetto al combustibile da accendere: all’aumentare del combustibile da accendere deve necessariamente corrispondere un aumento della quantità di accenditori utilizzati. È impensabile accendere efficacemente una ciminiera colma di bricchette con un solo cubo accenditore. Adesso riprovateci e fatemi sapere: scommettiamo che seguendo questi consigli non vi ritroverete più con il carbone spento e la faccia delusa dei commensali che aspettavano di vedervi in azione? ALMANACCO 2019 - 259


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SPECIALE PASQUA - PREMESSA a cura di EMILIANO NENCIONI

la grigliata

B R U T TA Noi griller evoluti abbiamo questo vizio: vantarci con amici e parenti. All’inizio non ci danno molto ascolto: “che sarà mai una grigliata! Una cottura lunga? Figurati, questo cuoce il manzo dodici ore, bah, lo sanno tutti che basta tenerlo 7 minuti in piedi su un osso a caso”. Poi il dramma: “senti ma… visto che sei così bravo, quasi quasi chiamerei…”. È la fine: ti ritrovi fra i piedi parenti, colleghi di lavoro pesanti, amici con cui ti trovi benino ma solo se dopo dieci minuti ognuno torna a casa sua, tutta una serie di personaggi scrocconi con i quali non avresti mai desiderio di condividere una grigliata come si deve e men che mai una Denver Steak di Black Angus. Immancabile la suocera incontentabile che vuole tutto ben cotto mi raccomando o una nonna bisbetica che ha già in canna la frase “quelle americanate lì te le mangi tu”. Potresti comprare qualche prelibatezza sul Megastore, ma semplicemente non se lo meritano. Sbattersi per una cottura perfetta e poi vederli mangiare distrattamente mentre polemizzano col telegiornale, o accorgersi della fidanzata noiosa di quel tuo “amico su Facebook” (eppure lo avevi dis-amicato tempo fa...) che mezza schifata toglie via il grasso al manzo: non esiste proprio. Ci vengono in aiuto però alcune catene di grande distribuzione (un po’ low-cost) che capiscono bene le nostre difficoltà e spesso si prodigano in generosissime offerte per grigliate brutte. Tu sei più bravo di così, ma per questa volta non vuoi spendere, non vuoi impegnarti, vuoi fregartene del risultato. Vuoi che la vecchia se ne stia zitta cibandosi dei sapori nella sua comfort zone; sai che tutti prestano più attenzione a Maria Concetta Mattei che legge le notizie al Tg1 che alla tua carne; vuoi che possibilmente non tornino più, lasciandoti solo con le tue grigliate, perché come le capisci tu non le capisce nessuno: al massimo vorrai allargare l’invito a quei due tre amici che hai educato all’umami, alla carne marezzata, alle frollature dry aged prolungate.

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Si scusano, da subito, per il disagio. Perché troverai un bel po’ di disagio, figure pittoresche e frequentazione spesso degna del Cantina Bar di Star Wars: A New Hope. Ma i prezzi, ah, i prezzi saranno davvero bassi, così quanto le tue aspettative. Aprirai con un grande classico della grigliata non evoluta: gli spiedini misti. Garanzia di cottura matematicamente sbagliata, lo spiedino è gettonatissimo presso i ragazzini (i quali successivamente potranno dedicarsi alla gioiosa attività di darsi noia con lo steccolo) e presso i nonnetti sprint. Potrai scegliere se avere il boccone di maiale crudo e il resto cotto, oppure il pezzo di maiale cotto ma salsiccia, peperoni e pancetta carbonizzati. Il consiglio è di virare sulla seconda alternativa, per soddisfare gli integralisti del ben cotto. Otto euro e novantanove ogni confezione da un chiletto. Sei diventato bravissimo nel pulled pork? Chiudendo gli occhi ti immagini in un contest KCBS, premiato con un Perfect Score, circondato dagli avversari che annuiscono e applaudono lentamente? Bene, prova a rimontare

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la coppa del maiale, allora. Perché qui, nelle catene low cost della grigliata in super sconto, te la vendono affettata. “Bracioline Grigliazzi, tagliate fini fini”. Devi tornare agli albori: una bella diretta rovente (tanto stai facendo solo quella a questo giro), fettine di scamerita girate e voltate finché non diventano belle dure. Sei tentato dall’asciugarle per bene prima, per togliere umidità e favorire la reazione di Maillard, ma senti subito tua cognata parlare di quella volta che ha mangiato l’hamburger di tofu e bentonite, e in guisa di fallo di reazione scagli le fette con stizza, direttamente dalla padellina bianca di polistirolo, sulla griglia incandescente d’astio. Ti ricordi delle Louisville Chicken Wings? Hai imparato a farle alla perfezione ai corsi Grill to Perfection di BBQ4All, ma no, non stavolta, non per loro. Ecco la proposta della grande catena del risparmio a tutti i costi, ed è esattamente quello che serve: Delizie Del Pollaio Aulente, ali di pollo speziate: tre euro e ventinove una confezione da 500g. Puoi giocare sulla quantità e rimpinzare gli sgraditi commensali con questo pollo che non dovrai neanche pren-


derti la briga di pulire, speziare o altro. Via in griglia. La cosa indispensabile per far svoltare la giornata però è la gara HOT SPICY WINGS per i rumorosissimi figlioletti presenti, o per quei tre o quattro colleghi che fanno sempre gli sbruffoni ripetendo alla nausea che loro sono maschi alfa, loro grigliano la fiorentina senza tanta

scienza, basta il manico, s’è sempre mangiata bruciata fuori e palpitante dentro e che il piccante lo mettono

nel caffellatte. La gara “a chi ne mangia di più” si svolge così: fai una betoniera di alette di pollo prese in offerta, leggermente piccanti, insaporite con il tabasco El Brucior trovato nel solito discount: a caso, senza farvi vedere, prendete sei o sette alette e cospargetele di Trinidad Scorpion. All’arrivo del 118 le risa, ah le risa! A fine serata i flaconi a forma di peperoncino gigante di El Brucior diventano anche simpaticissime idee regalo, gadget simbolo della grigliata appena trascorsa. Sai benissimo però che cognati, vecchie zie e colleghi dovranno andarsene via infastiditi, ma non scontenti di te. Ne va della tua fama da griller. Metti che poi al tuo prossimo post di autocelebrazione invece del solito Like di incoraggiamento ti mettono un bel Grrrr, come si fa? Per questo motivo è necessario servire un hamburger. Però brutto, tanto l’hamburger buono, studiato e bilan-

ciato come sei solito fare tu non sarebbe probabilmente capito e compreso. Non vuoi preparare un capolavoro di croccantezza e sapidità per poi sentire tuo genero dire “no, non mi mettere la crema di melanzane cotte in ember con caprino, menta e mandorle, spruzzaci un secchio di ketchup e maionese” (con gesto virile e un po’ inguinale ad accompagnare la richiesta). L’hard discount dell’amarezza in griglia ci propone un’innovazione: hamburger già fatto, cotto e condito, sigillato in atmosfera protettiva (seriamente, esiste). Va più che bene. Apri busta, metti sulla griglia. Se non c’è posto in griglia, microonde. Andrà benissimo. Perché perdere tempo con la Qualità? Chef Choice - Hamburger di carne suina (quasi), c’è anche formaggio Gouda e il sesamo, ma che vuoi ancora? Hai speso a malapena trenta euro, hai saziato venti persone, ti sei tolto il pensiero di questa mangiata che andava fatta, hai fatto piangere il figlio del vicino di casa e compromesso la salute intestinale del caporeparto. Nonna ha mangiato male e quindi è soddisfatta, perché la ciccia deve essere bella dura come quando eravamo sfollati in tempo di guerra. In molti, dopotutto, si ricorderanno solo delle notizie del Tg1. È un successo. ALMANACCO 2019

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SPECIALE PASQUA - IL METODO a cura di MICHELE CHIPA

sui carboni ardenti

e m ber roasting

Se vi siete stancati delle classiche verdure grigliate proseguite nella lettura: vi spiegherò una tecnica di cottura in grado di trasferire un caratteristico e persistente aroma di “griglia”. L’ember roasting non è altro che la cottura a contatto diretto delle braci. Per questo motivo l’alimento deve essere in grado di sopportare l’alta temperatura senza carbonizzarsi completamente.

Gli alimenti più idonei all’ember roasting sono senza ombra di dubbio le verdure: la loro buccia è perfetta per schermare il calore delle braci e proteggere il cuore, a patto di mantenerla in cottura. Inoltre, data l’importante presenza di acqua, la cottura della polpa interna avverrà grazie al vapore generato dal calore, che lo aromatizzerà. La tecnica da seguire è semplice: assicuriamoci che il carbone sia ben acceso e con un leggero velo di cenere bianca (saremo così sicuri di un calore ben presente ma dolce), prendiamo l’alimento e lo posizioniamo sulle braci. Più volte andremo a girarlo, più il sentore di affumicato della polpa sarà intenso grazie alla maggiore quantità di buccia interessata dalla carbonizzazione superficiale. Una volta che il nostro ortaggio sarà cedevole al tatto e floscio alla vista sarà pronto per essere tolto dalla cottura, pulito dalle parti carbonizzate e utilizzato per altre preparazioni. Vi do qualche consiglio per la preparazione di alcune verdure: Le Melanzane: una volta posizionate sulle braci non giratele; il fumo assorbito dalla polpa sarà sufficiente a dare quello spiccato sentore di affumicato. Quando, toccando la buccia con un dito, rimarrà impressa l’impronta del polpastrello vorrà dire che saranno pronte. Le melanzane sono perfette per creare una crema aromatizzata. È sufficiente eliminare la pelle carbonizzata e frullare la polpa con aglio, sale, succo di limone, olio e qualsiasi aroma si preferisca. Si può utilizzare per condire un crostino di pane abbrustolito, oppure per preparare una pasta o,

perché no, sulla pizza. I Peperoni: vanno girati più volte in modo da carbonizzare più pelle possibile: in questo modo sarà più facile eliminarla dopo la cottura. Per capire quando sono pronti è sufficiente bucarli con uno stuzzicadenti o con la punta di un termometro per alimenti. La punta dovrà entrare senza incontrare resistenza ma senza sfilacciare la polpa. I peperoni dovranno essere spellati e andranno rimossi semi e filamenti interni prima del successivo utilizzo. Provate a tagliarli a listarelle e a condirli semplicemente con olio, aglio e un trito di erbe aromatiche. Lasciate che si insaporiscano per un paio d’ore e poi serviteli. Se volete, potete spruzzare qualche goccia di limone per donare una punta di acidità. I Carciofi: tagliate solamente la punta e lasciate intatte le foglie esterne: queste. Carbonizzandosi, proteggeranno il cuore e saranno tolte dopo la cottura. Posizionate ogni carciofo sulle braci incastrando il moncone del gambo nel carbone. Non appena le brattee esterne saranno completamente carbonizzate e l’interno si sarà un po’ colorito, aggiungete un filo d’olio tra le foglie interne (ma attenzione a non versarlo sulle braci) e spolverate con un pizzico di sale e pepe. Per verificare il grado di cottura prendete uno stuzzicadenti o un termometro per alimenti e infilzate con la punta la base del carciofo. Se entrerà senza incontrare resistenza l’ortaggio sarà pronto. In alternativa, potete strappare qualche foglia interna con l’aiuto di una pinza e testare la cottura. Il carciofo così cotto è ottimo per essere sminuzzato e utilizzato per innumerevoli preparazioni. ALMANACCO 2019

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SPECIALE PASQUA RICETTA a cura di TOMMASO DI GREGORIO

PA N E L L E & sliders

I NGREDIEN T I PE R 8 PA N IN I • • • •

• • • •

500 g di farina di ceci 1,5 lt di acqua Un cucchiaino di sale raso Un mazzetto di finocchietto selvatico (in alternativa potete usare il prezzemolo) 8 BBQ4All Sliders 8 panini piccoli al latte Pepe q.b. Olio per la frittura q.b.

La Sicilia è sicuramente da considerarsi la patria dello street food italiano. Palermo in particolare è tra le prime città al mondo per ricchezza e varietà di leccornie da mangiare per strada. È infatti possibile trovare di tutto per i vicoli del capoluogo siciliano: arancine, frittole, sfincione, quarume, stigghiola e tanto altro. Oggi vi voglio parlare di uno dei piatti meno noti ai turisti ma più consumati dagli autoctoni: Il panino con le panelle. Questo piatto millenario affonda le proprie origini nella dominazione araba della Sicilia. Dapprima cotte in forno vennero poi fritte, probabilmente durante la dominazione Angioina. Ad avvalorare questa tesi ci sono numerosi aneddoti nei Vespri Siciliani. Questa pietanza, nata povera per sfamare il popolo, è stata poi portata sulle tavole di personaggi illustri ed è considerata una vera e propria prelibatezza. Si dice che personaggi celebri come Guttuso, Sciascia e Pirandello ne fossero ghiotti. È un piatto talmente amato che è stato dato un nome a chi le vende (il panellaro) e uno al luogo in cui si vendono (la friggitoria). Le panelle costituiscono il tipico spuntino del siciliano: i bambini le mangiano a scuola durante l’intervallo, gli adulti le scelgono come pausa pranzo durante una faticosa giornata di lavoro. Generalmente vengono consumate all’interno di un panino (mafalda) ricoperta di sesamo. I più golosi aggiungono anche crocchette di patate o würstel (rigorosamente fritti nello stesso olio delle panelle).

Ultimamente si sta anche diffondendo una varietà più raffinata che prevede l’abbinamento con il salmone affumicato marinato in olio e limone. Io oggi ve le propongo in abbinamento agli slider BBQ4All. E mi ringrazierete per questa idea. Procedimento 1. In una pentola capiente mescolate la farina di ceci setacciata e l’acqua. 2. Aggiungete il sale e il pepe. 3. Mescolate il tutto con una frusta (o in alternativa con un frullatore a immersione) in modo da non creare grumi e ottenere un impasto liscio e setoso. 4. Accendete la fiamma a fuoco medio e cominciate a mescolare il composto. 5. Quando il composto si stacca dai bordi della pentola aggiungete il finocchietto continuando a mescolare per qualche altro minuto. 6. Versate adesso il composto in uno stampo (per plumcake) unto con un po’ d’olio. 7. Lasciate raffreddare una notte. 8. Quando il composto si sarà raffreddato ribaltatelo su un tagliere e affettatelo sottilmente. 9. Friggete le fettine in olio bollente. 10. Scolate le panelle su carta assorbente; salate e pepate a piacimento. 11. Grigliate gli sliders BBQ4All sul kettle o, se preferite, preparateli in padella. 12. Farcite il panino con gli sliders e le panelle e condite il tutto con una spruzzatina di limone. ALMANACCO 2019

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SPECIALE PASQUA - RICETTA di MICHELA BONGIORNI

non girare la

F R I T TATA mettila nel

PA N I N O

I N GREDIENT I PER 4 PERSO N E

PER LE CIPO LLE CARAME LLATE: • 500g di cipolle rosse • 50g di zucchero di canna • 180g di vino Cabernet • 80g di aceto di vino rosso • Sale q.b. • Olio d’oliva q.b. PER I PANINI: • Cipolle caramellate • 8 ciabattine • 6/8 uova • Sale q.b. • Pepe q.b. • Parmigiano grattugiato a piacere • Olio extravergine d’oliva

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Diciamoci la verità, il panino con la frittata fa subito venire in mente le gite scolastiche, le giornate al mare con la famiglia, quando la mamma lo tirava fuori dalla borsa frigo e poi ti diceva “sì, ora lo mangi, ma poi ricordati: non farai il bagno per almeno quattro ore!” In effetti, rappresenta da sempre il tipico pranzo al sacco dell’italiano medio, citato anche da Rocco Papaleo in “Basilicata coast to coast” che lo adora “bello sponzato”, cioè quando ormai non si capisce più la distinzione tra la fetta di pane e la frittata all’interno. Personalmente, fra tutte le varianti possibili, quello che preferisco è con la frittata di cipolle di fantozziana memoria ( anch’io la condisco con tifo indiavolato, ma rinuncio

volentieri al rutto libero). Quindi ho pensato: ma perché non proporre ai nostri cari lettori un panino con la frittata che coniughi l’amore per la griglia e la voglia di un pranzo al sacco, veloce e gustoso? Ecco quindi questo panino con la frittata di cipolle caramellate, cotta nel kettle e leggermente affumicata. Sia chiaro, io ve ne sto suggerendo solo una delle infinite varianti. È possibile farla anche con la ciccia avanzata. Prendete spunto da questa e poi scatenatevi: le scampagnate da fare in questo periodo non mancano di certo. Procedimento 1. Riscaldate una padella e aggiungete un filo d’olio. Aggiungete la cipolla affettata e fate andare a fuoco alto mescolando di tanto in tanto. 2. Quando il colore della cipolla diventa scuro e uniforme aggiungete il

Cabernet a coprire. 3. Quando il vino sarà evaporato, aggiungete lo zucchero di canna e l’aceto. 4. Mescolate finché il liquido non diventa brillante e sciropposo. Infine aggiustate di sale. 5. Sbattete le uova in una ciotola con una forchetta. Aggiungete il Parmigiano grattugiato, il sale e il pepe e mescolate fino ad ottenere un composto schiumoso. 6. Aggiungete le cipolle caramellate fino a ottenere un composto omogeneo. 7. Bagnate e strizzate un po’ di carta forno per foderare una teglia. Mettete il composto all’interno del kettle stabilizzato a 180°C, in cottura indiretta, chiudendo il coperchio. 8. La frittata non va girata: dopo circa 30 minuti controllate che sia cotta e toglietela dalla teglia aiutandovi con la carta forno. 9. Dividetela in quattro spicchi, riscaldate i panini tostandoli un po’ e poi farciteli con la frittata e una generosa macinata di pepe.

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SPECIALE PASQUA - RICETTA di MICHELA BONGIORNI

pasta al

FUMO

melanzane, acciughe e burrata Protagonista indiscussa sulle tavole degli italiani nelle occasioni conviviali, la pasta al forno è sicuramente un piatto tradizionale, eppure ancora molto attuale ed estremamente versatile, perfetto come piatto di recupero. Sono principalmente due le tradizioni che se ne contendono i natali: quella bolognese, con le classiche lasagne al ragù, e quella napoletana, con una farcitura ben più ricca e fantasiosa. Tuttavia, è veramente difficile dire con certezza dove sia nata la pasta al forno: ogni regione ha la sua tradizione e la sua variante. Anch’io ve ne propongo una: la variante fuoco e fumo, che contraddistingue tutte le nostre preparazioni. Ho utilizzato la crema di melanzane cotte in ember roasting per condire i maccheroni: crema che, come vedrete, darà alla vostra pasta un sapore spiccato di affumicato. Poi ho pensato di alleggerire il tutto con burrata e acciughe. Il risultato mi ha soddisfatto molto, per cui ho pensato di proporvela qui. Ah, sappiatelo: è ottima il giorno dopo! Sapete perché? Il passaggio finale nel kettle la essicca e fissa la gelatinizzazione degli amidi: di conseguenza la pasta continua ad essere al dente anche i giorni successivi alla preparazione. Quindi potete tranquillamente prepararla il giorno prima e servirla, riscaldandola, ai vostri commensali mentre aspettano la ciccia, in occasione delle tradizionali grigliate primaverili. Procedimento 1. Predisponete il kettle per la cottura in ember roasting delle me270 - BBQ4All MAGAZINE

lanzane, formando un mucchietto di carbone sulla griglia più bassa e appoggiando le melanzane direttamente sulle braci: quando saranno cedevoli e “sgonfie” saranno pronte: toglietele dalle braci e lasciatele raffreddare; 2. Una volta raffreddate, aprite le melanzane e con l’aiuto di un cucchiaio separate la polpa morbida dalla buccia carbonizzata; 3. In una padella, o direttamente nel wok sul kettle, scaldate due cucchiai d’olio, fate imbiondire uno spicchio d’aglio (che poi rimuoverete) insieme a qualche filetto di acciuga, e successivamente versate nella padella la polpa che avete ricavato dalle melanzane cotte in ember; 4. Salate, pepate, condite con il succo di limone e fate andare per qualche minuto; dopodiché, aggiungete il concentrato di pomodoro e un bicchiere d’acqua; 5. Fate ritirare un po’ il sugo e poi aggiungete le olive; 6. Cuocete la pasta in acqua salata scolandola al dente: NON sciacquatela sotto l’acqua fredda per fermare la cottura, cuocete la pasta normalmente. 7. Condite la pasta con il sugo, giratela bene aggiungendo anche 150 grammi di burrata; 8. Ungete benissimo una pirofila e versateci dentro la pasta condita, aggiungete una bella macinata di pepe e poi spolverizzate col Parmigiano grattugiato e il pangrattato; 9. Ponete la pirofila nel kettle, in cottura indiretta a circa 200°C per 10/15 minuti. 10. Alla fine, decorate la pasta con delle belle cucchiaiate di burrata, qualche filetto di acciuga e le foglioline di basilico.

I N G REDI EN TI P E R 4 P E RS ON E • • • • • • • • • • • • • •

500 g di maccheroni; 3 melanzane grosse; 1 spicchio d’aglio; 2 cucchiai di doppio concentrato di pomodoro; Il succo di mezzo limone; 250 g di olive taggiasche; 50 g di filetti di acciughe sott’olio; 300 g di burrata; Sale q.b. Pepe q.b. Olio extravergine di oliva Qualche fogliolina di basilico Parmigiano grattugiato q.b. Pangrattato q.b.


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SPECIALE PASQUA - RICETTA di LUCA GALLOZZA

AGNELLO ALLA V E R N ACC I A con olive

INGREDIEN TI PER 4 PERSO N E

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Mezzo agnellino da latte Un bicchiere di vino vernaccia 400 g di olive in salamoia 1 carota 1 cipolla 1 pomodoro sotto sale 4 foglie di alloro Olio extravergine di oliva q.b Sale q.b

S’anzoneddu (agnellino) come si pronuncia in Sardegna, è il piatto di carne tipico del periodo pasquale. Simbolo della morte e della Resurrezione di Cristo, viene celebrato durante questa festività. D’altronde l’agnello è una figura iconica nella religione ebraico-cristiana. Nel libro dell’Esodo, Il Signore disse ad Aronne e a Mosè : “Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per consumare un agnello, si assocerà al suo vicino, al più prossimo della casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l’agnello, secondo quanto ciascuno può mangiarne. “ E ancora : “In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell’acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere.” In ogni caso ormai l’agnello, anche per coloro chi non rappresenta un simbolo religioso, è comunque un cibo tradizionale di questo periodo. Questa ricetta tradizionale sarda viene eseguita con l’agnello da latte, non ancora svezzato, condito con il vino e le olive in salamoia. Qui la ricetta è stata adattata al barbecue, dove la rosolatura dei pezzi di carne, invece che in un tegame, viene fatta sulla griglia mediante una diretta veloce. Ecco come potete procedere per realizzarla anche voi, con il vostro kettle.

2. Impostate il vostro dispositivo per una cottura diretta. 3. Adagiate sulla griglia i vostri pezzi di agnello e procedete con una cottura veloce e diretta per rosolare la carne. Non necessita di Maillard vistosa. 4. A questo punto spostate in indiretta, chiudete il coperchio e affumicate con una manciata di chips di Hickory sino a che la carne non ha raggiunto i 55°C 5. Ora posizionate una cocotte al centro della vostra griglia, con il carbone sotto, versate l’olio e rosolate un soffritto di carota e cipolla con l’aggiunta di un pomodoro sotto sale, battuto finemente al coltello. 6. Mettete nel tegame i pezzi di agnello, aggiungete l’alloro e sfumate con il vino bianco, aggiustando di sale. 7. Lasciate cuocere per 30 minuti circa con coperchio, dopodiché aggiungete le olive e lasciate cuocere ancora finché la carne non inizia a staccarsi dall’osso. 8. La vostra cocotte di agnello con vernaccia alle olive è pronta per essere servita. Preparate un bel centro tavola, con un bel pane casareccio o del tipico Carasau, un buon vino e dei commensali di buona forchetta. Questo piatto gustoso, dal sapore selvatico e arcaico è da consumare rigorosamente con le mani. Le olive andranno via come le ciliegie e il vino scorrerà piacevolmente tra le vostre labbra. A fine pasto persino la cosiddetta “scarpetta “ col pane è legittima e quasi obbligatoria.

Procedimento 1. Sciacquate il vostro agnello da latte e asciugatelo bene. Dividetelo in pezzi. ALMANACCO 2019

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SPECIALE PASQUA - RICETTA di LUCA GALLOZZA

non bucarmi le

SALSICCE smoke & beer

Bucasalsicce a me gli occhi: niente può essere meglio di questo articolo per prepararvi al battesimo del fuoco. L’argomento in questione è la ricetta del griller per antonomasia. Se prima avevi buttato sempre le tue salsicce “sul fuoco dell’Inferno”, dopo averla letta ti sentirai nel Limbo dantesco dei non battezzati e morirai dalla voglia di passare al secondo cerchio, quello dei golosi. È una prassi consolidata. Mai più salsicce stoppose, asciutte e bucate come un colabrodo. Da ora in poi solo carni succose, saporite e aromatizzate con una buona birra. Mi sembra quasi di vederli, i grigliatori delle Pasquette dimenticabili: chi divide le salsicce a metà e le disidrata talmente tanto che, al primo boccone, c’è sempre l’amico che appronta manovre di primo soccorso, e chi le buca all’ inverosimile, fino a rendere lo stecchino più gustoso della salsiccia stessa. Mai più. Le salsicce preparate col Metodo BBQ4All cuoceranno in Low&Slow, con un minimo di smoke ring. Saranno super gustose e umide all’interno, lievemente affumicate e pronte per essere tuffate in un bagno di birra calda, che le terrà idratate e tenerissime. 274 - BBQ4All MAGAZINE

Procedimento 1. Preparate mezza ciminiera di bricchette e settate il vostro dispositivo ad un range di temperatura tra i 110° - 130° C . 2. Appoggiate le salsicce sulla griglia in cottura indiretta, affumicate con chips di ciliegio, tramite smoker box o semplicemente appoggiando un chunk di legno sulle braci e chiudete il coperchio. 3. Adagiate un vassoio sotto le salsicce, che funga da drip pan (contenitore per raccogliere i grassi disciolti), nel quale metterete la vostra birra a scaldare. 4. Lasciatele cuocere sino a 83°C al cuore. 5. Toglietele dalla griglia, recuperate il drip pan e lasciatele riposare nella miscela di birra e grassi disciolti per almeno mezz’ora. Le vostre prime salsicce sono pronte. Ritenetevi battezzati. Siete golosi? Lo sarete. Non vi resta che metterle dentro un mini bun con delle cipolle caramellate, accompagnarle con una senape al miele, oppure utilizzarle per altre preparazioni, tipo una buonissima pizza con carciofi e salsicce. Primo Step superato. Prossimo step, bacchettare le mani degli amici che, alla prossima grigliata, vorranno bucarvi le salsicce.

I N G RED I EN TI P E R 4 P E RS ON E

• 12 Salsicce • Birra 66 CL • Chunk o chips di ciliegio o melo


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SPECIALE PASQUA - RICETTA a cura di TOMMASO DI GREGORIO

la caponata

FUMANTE Citando l’avvocato di Johnny Stecchino, potremmo dire che la Sicilia è una terra bellissima: il sole, il mare, i fichi d’india. Una terra stupenda che è nota anche per alcune piaghe: l’Etna, la siccità e una terza. Quest’ultima è la peggiore perché causa violenti conflitti interni e mette famiglia contro famiglia. Eh sì, avete già capito: parliamo della caponata! Mai ci fu più aspra diatriba, ogni provincia ha la sua ricetta, ogni città la sua peculiarità, ogni pianerottolo il suo tocco segreto. Oggi vi propongo una nuova versione, che si basa sulla ricetta tipica del trapanese, cambiandola un po’: lo dico subito in modo da evitare rappresaglie verso di me e tutta la mia stirpe. L’ho preparata nel wok sul kettle e ho grigliato le verdure invece di friggerle. Il che la rende più leggera, con qualche nota affumicata, e sicuramente più adatta ad essere preparata anche durante le grigliate di primavera all’aperto. Provate per credere. Procedimento 1. Lavate le melanzane e tagliate via il picciolo e la parte finale. Riducetele a fette alte un centimetro e lasciatele spurgare in uno scolapasta con del sale grosso per circa 30 minuti. Dopodiché sciacquatele e asciugatele, preparate il kettle per una cottura diretta, spennellate le melanzane con un po’ d’olio e grigliatele. 2. Pulite e affettate i peperoni e grigliate anch’essi, poi tagliate la cipolla a fettine e fate lo stesso con le carote. 3. Posizionate il wok nel kettle, nell’apposito spazio in griglia, con i carboni sotto. 4. Fate rosolare le cipolle e le carote nel wok con un filo di olio e uno spicchio di aglio (che poi rimuovere276 - BBQ4All MAGAZINE

te). 5. Aggiungete i pomodori puliti e tagliati a pezzetti insieme a mezzo bicchiere di aceto, lasciate sfumare e poi unite i due cucchiai di zucchero. 6. In una pentola fate sbollentare per qualche minuto il sedano in acqua e aceto e poi aggiungetelo ai pomodori. 7. Unite le verdure grigliate e tagliate grossolanamente ai pomodori. 8. Aggiungete quindi le olive a pezzetti, le mandorle leggermente tostate e i capperi. Mescolate delicatamente e fate amalgamare tutti gli ingredienti evitando di far sfaldare le verdure. 9. Aggiustate di sale e lasciare raffreddare. Qualche variante utile e interessante? Potete grigliare le melanzane e i peperoni utilizzando il basket per verdure della Weber, quello bucherellato: dopo aver ridotto le verdure a cubotti, le condite con un pizzico di sale, olio e aceto e posizionate il cestino in cottura diretta. In questo modo le verdure si insaporiranno moltissimo. In alternativa, potrete grigliare nel modo classico le melanzane e utilizzare, invece, i peperoni cotti in ember roasting seguendo i preziosi consigli di Michele Chipa, su questo stesso numero, nell’articolo dedicato a questa tecnica. Fatemi sapere quale versione preferite!

I N G REDI EN TI P E R 4 P E RS ON E • • • • • • • • • • • • • • •

800 g di melanzane tonde 2 peperoni 1 gambo di sedano 1 cipolla rossa 1 spicchio di aglio 2 carote Olive verdi Nocellara del Belice a piacere Mandorle leggermente tostate a piacere 1 manciata di capperi dissalati 400 g di pomodori 2 cucchiai di zucchero di canna Aceto di vino Olio extravergine di oliva Sale q.b. Pepe q.b.


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I N G RED I EN TI P E R 4 P E RS ON E • • • • • • • • •

700 g di farina tipo 1 W320 525 g di acqua 7g di lievito di birra fresco 21 g di sale Olio extravergine di oliva q.b 400 g di pomodori pelati 400 g di mozzarella 4 carciofi 4 salsicce affumicate alla birra • Semola rimacinata fine q.b

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SPECIALE PASQUA - IL PROCEDIMENTO a cura di LUCA GALLOZZA

MICA PIZZA&FICHI? no! salsiccia affumicata e carciofi in ember

Se barbecue e birra sono il binomio perfetto per gli americani, pizza e birra lo sono altrettanto per gli italiani, almeno fino all’arrivo di BBQ4All. Quando parliamo di pizza, parliamo di tricolore, del connubio tra basilico verde mediterraneo, la bianca mozzarella di bufala campana e il pomodoro rosso dell’Agro Sarnese – Nocerino. Non a caso venne inventata, verso fine Ottocento, da Raffaele Esposito con ingredienti che rappresentassero la nazione agli occhi della Regina Margherita di Savoia, disposti su un cerchio dorato e fragrante di impasto lievitato ore ed ore. La pizza è compagnia e convivialità, proprio come il barbecue. È un matrimonio perfetto con una birra ghiacciata. È poesia se fatta da mani sapienti. La pizza è mille gusti e sapori. E’ creatività, ingegno e studio. E’ cibo da strada, è una serata informale. La pizza è un’istituzione. Volendo unire l’amore per la pizza alla passione per il barbecue, ciò che nasce è un prodotto sorprendente dai sapori eccezionali, che si sposano bene tra loro. Le varianti sono infinite: noi oggi la condiremo con salsicce affumicate alla birra e carciofi in ember roasting. Vediamo come prepararla in casa. Quello che vi spiegherò di seguito è il procedimento per la teglia romana, che io preferisco però stendere in forma cilindrica, come la classica Napoletana. Cercherò di sintetizzare il processo al massimo per facilitarvi il compito, senza scendere in tecnicismi. Iniziamo col dire che la preparazione dell’impasto andrà affrontata almeno 24 ore prima di quando vorremmo mangiare la nostra pizza .Questa fase può essere suddivisa in 10 punti fondamentali : impasto, primo riposo, pieghe, partenza della lievitazione, puntata, staglio, appretto, stesura, condimento e cottura. 1. Impasto Iniziare sciogliendo il lievito in acqua a temperatura ambiente. In una ciotola, unire un terzo della farina setacciata, mescolandola con una frusta per non formare grumi. Dopodiché, aggiungere ancora farina pian piano, finché non si sarà assorbita tutta l’acqua. A questo punto procedere con un mestolo di legno e schiacciare l’impasto verso il centro della ciotola. Continuare aggiungendo la restante farina fino al totale della quantità descritta. Farlo a mano risulterebbe dannoso perché si rischierebbe di scaldare troppo l’impasto. Impastare fino ad ottenere un panetto liscio e omogeneo, che abbia assorbito bene l’acqua.

2. Primo riposo Lasciare riposare il panetto dentro un contenitore, coperto, per mezz’ora. 3. Pieghe Passata la mezz’ora, effettuare i cicli di pieghe, per dare struttura all’impasto e per asciugarlo. Piegare l’impasto verso se stessi, per tre o quattro volte, chiudere il panetto e lasciare riposare sulla spianatoia per circa 20 minuti, senza mai infarinare. Ripetere questa fase per tre o quattro volte, finché il panetto si reggerà su se stesso. 4. Partenza della lievitazione A questo punto, prendere il panetto e posarlo all’interno di una ciotola ben oliata, che ne contenga almeno tre volte il suo volume. Lasciare partire la lievitazione a temperatura ambiente per almeno 3 ore o finché l’intero impasto non sarà triplicato, chiudendo il contenitore con un coperchio o con la pellicola. 5. Puntata Quando la lievitazione sarà partita, prendere la ciotola e metterla in frigorifero a 4°C per effettuare la cosiddetta puntata, ovvero l’azione esercitata dall’impasto lievitante di spingere contro le pareti del contenitore. Lasciatelo in puntata per almeno 18/ 24 ore. 6. Staglio Almeno tre ore prima di procedere alla stesura e cottura della pizza, togliere la ciotola dal frigorifero. Suddividere l’ impasto in 4 panetti da circa 300g l’uno ed effettuare nuovamente un ciclo di pieghe per ogni panetto. 7. Appretto Prendere un contenitore adatto a contenere i 4 panetti affiancati tra loro. Spolverare il fondo di semola e adagiare i panetti al suo interno, l’uno affianco all’altro, poi spolverare leggermente anche il dorso dei panetti. Coprire e lasciare riposare a temperatura ambiente per tre ore. 8. Preparazioni dei condimenti Nell’attesa, considerando di condire la pizza con carciofi in ember roasting e salsicce affumicate alla birra, procedere per le due cotture in questione, seguendo le ricette che trovate in questo numero del Magazine. Quando saranno pronte entrambe le pietanze, tagliare i carciofi a spicchi e le salsicce a fette. Schiacciare in una ciotola, con le mani, dei pomodori pelati, ai quali verrà aggiunto un pizzico di sale e un filo ALMANACCO 2019

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d’olio. Tagliare a listarelle o cubetti, una mozzarella e lasciare scolare almeno un ora. 9. Stesura Accendere il forno e iniziare a riscaldarlo al massimo della potenza, in un range che va dai 250° C ai 280° C, in modalità ventilata. Questo per garantire l’asciugatura del panetto ed eliminare l’umidità in eccesso nella pizza. Stendere un velo di semola sul piano di lavoro e da una parte farne una montagnetta. Rovesciare il panetto sulla montagnetta di semola e infarinare anche il dorso. Ora, con le falangi, premere sul panetto partendo dal basso verso l’alto, senza schiacciare ma spostando l’aria. Rigirare il panetto su se stesso, e continuare a spostare aria con le dita. Volendo, si può pinzare leggermente il panetto per allargarlo e dargli la forma cilindrica che si desidera ottenere. 10. Condimento Ungere una teglia tonda con un filo d’olio. Prendere l’impasto e adagiarlo sulla teglia, eliminando precedentemente la semola in eccesso. Versare un cucchiaio di salsa di pomodoro al centro del cerchio e cospargerlo in maniera rotatoria dal centro verso i bordi senza mai toccare la teglia. 10. Cottura Infornare la teglia nel piano del forno, sul fondo. Lasciare per circa 7 minuti , finché il fondo della pizza sarà ben dorato e si staccherà con facilità dalla teglia, grazie alla spinta di calore che riceve dal basso. Passato questo tempo, togliere per un istante la pizza dal forno, terminare il condimento con l’aggiunta di mozzarella, spicchi di carciofi in ember roasting ben distribuiti e fette di salsicce affumicate alla birra. Infornare nuovamente nella parte più alta del forno, sotto il grill, e finire la cottura per alcuni minuti. 11. Ultimi ritocchi Sfornare, togliere dalla teglia e poggiare su una gratella per evitare la formazione di umidità sul fondo, che le farebbe perdere la croccantezza desiderata. La pizza è pronta a subire gli ultimi ritocchini: un filo di ottimo olio extravergine di oliva, una macinata a mulinello di pepe nero e poi addentarla godendo moltissimo. 280 - BBQ4All MAGAZINE


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SPECIALE PASQUA - RICETTA di MARIANGELA IBBA

andiamo al sodo!

U O V O A F F U M I C AT O e ASPARAGI GRIGLIATI Esistono molti modi per cucinare un uovo: al tegamino, in camicia, strapazzato, sotto forma di omelette e frittata, à la coque, sodo. Ma ti sei mai chiesto se è possibile affumicarlo? Ebbene sì, è possibile donare quel buon sapore di fumo anche alle uova. Con questa ricetta, un banale uovo sodo si trasforma in un alimento sublime, ricco di sapore grazie all’aroma affumicato, che però mantiene la sua peculiare morbidezza. Pensa solo allo stupore sul volto dei tuoi amici, quando alzerai il coperchio del dispositivo e capiranno che hai cotto le uova direttamente sulla griglia. Non crederanno ai loro occhi. Adesso però ti starai domandando: “Com’è possibile affumicare l’uovo con tutto il guscio?” La risposta è molto semplice: a causa della sua superficie porosa, il guscio è permeabile ai gas e al vapore acqueo.

IN GREDIE NTI PE R 4 PERS O N E

• 8 uova • 2 mazzi di asparagi • Olio extravergine di oliva q.b. • Aceto di mele • Montreal Steak Rub BBQ4All • Maionese q.b.

La cosa a cui si deve stare veramente attento è il tempo di permanenza dell’uovo in griglia: tenendo l’uovo per troppo tempo in cottura si rischia di stracuocere sia l’albume che il tuorlo, che può diventare sabbioso e secco. Noi vogliamo che l’albume sia perfettamente coagulato ma che il tuorlo mantenga una certa morbidezza. A mio avviso la temperatura ottimale è di circa 180°C per circa 8/10 minuti, a seconda della consistenza più o meno cremosa del tuorlo che si vuole ottenere. Una volta affumicate, puoi mangiare le uova intere con un po’ di Montreal Steak Rub BBQ4All, all’interno di un panino o di un’insalata, oppure, come ti propongo qui, puoi assaporarle con dei meravigliosi asparagi grigliati. Ti assicuro il connubio tra la croc-

cantezza dell’asparago e la morbidezza delle uova sarà perfetto e verrà esaltato ancor di più dall’essenza di affumicato. Preparazione 1. Prepara il dispositivo per una cottura indiretta a 180°C. 2. Metti le uova direttamente sulla griglia, dalla parte opposta delle braci, affumica con una manciata di legno aromatico e chiudi il coperchio. Lasciale andare per 10 minuti circa. 3. Passato questo tempo, togli le uova dalla griglia e falle raffreddare. 4. Inizia a pulire gli asparagi, con un pelapatate, pela l’asparago da circa metà in giù fino a quando non affiora il bianco. Ripeti questa operazione su tutti gli asparagi. 5. Suddividi gli asparagi in due mazzi e legali con lo spago da cucina. 6. Procurati una pentola più alta degli asparagi, in modo che durante la precottura non si incurvino e immergili in acqua salata. Attenzione, le punte degli asparagi, molto tenere, devono rimanere fuori dall’acqua. Quando l’acqua prende il bollore, copri la pentola con un coperchio, in modo che grazie al vapore si cuociano anche le punte e lasciali andare per 5/6 minuti. 7. Scolali ed asciugali bene tra due canovacci 8. Prepara il dispositivo per una cottura diretta e poni sulla griglia dalla parte delle braci gli asparagi per qualche minuto. 9. Prepara un’emulsione con tre parti d’olio e una d’aceto di mele, sale e un pizzico di maionese (per fare in modo che la parte grassa non si divida da quella acida) e condisci gli asparagi. 10. Sguscia le uova e servile con gli asparagi conditi e qualche fetta di pane abbrustolito. ALMANACCO 2019

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SPECIALE PASQUA - DULCIS IN FUNDO - RICETTA di MARIANGELA IBBA

la

G R I G L I A C A S S ATA

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La conoscete tutti. Rivestita di glassa di zucchero trasparente come il vetro opaco, decorata finemente con frutta candita colorata, ripiena di morbida crema alla ricotta racchiusa in un guscio delicato di pan di Spagna e fasciata dalla pasta reale verde al pistacchio: è la Cassata siciliana. Questo dolce, tipico delle festività pasquali dal 1575 per volontà del sinodo di Mazara del Vallo, è diventato, per la sua squisitezza e ricercata eleganza uno dei baluardi dell’antica pasticceria sicula. Anche perché nei suoi ingredienti è racchiuso tutto il sole della Sicilia: pistacchio, mandorla, arancia e ricotta.

La Cassata nasconde in sé una storia lunga ed affascinante, poiché nasce e si evolve nei secoli come l’incontro e la fusione delle diverse dominazioni che l’isola subì: araba, normanna e spagnola. Il termine cassata deriva dall’arabo “quas’at”, bacinella. Secondo la leggenda, una sera un contadino arabo mescolò in una bacinella di rame la ricotta di pecora con dello zucchero di canna (d’importazione araba); alla domanda dei curiosi su cosa stesse facendo, lui rispose “quas’at”, pensando che si riferissero al recipiente: da qui il nome Cassata. Inoltre la dominazione araba introdusse in Sicilia il pistacchio, le mandorle e le arance, elementi fondamentali nella preparazione di questa prelibatezza.

Si trasformò in un dolce freddo in epoca normanna: fino al quell’istante veniva fatta con la pasta frolla e cotta. Ma da quel momento il morbido ripieno venne custodito in un golosissimo scrigno di pasta reale, detta anche “Martorana”. Con l’arrivo degli spagnoli, la cassata conobbe un’ulteriore evoluzione, che la portò ad avvicinarsi sempre di più alla versione che tutti conosciamo. Nel tempo, furono aggiunte le scaglie di cioccolato all’interno della crema, il guscio di pasta reale fu sostituito in parte dal pan di Spagna e l’influenza barocca portò all’opulenta decorazione con la frutta candita e la glassatura di zucchero. Vista la grande evoluzione di questo dolce, risultato della fusione di diverse culture, ho pensato di proporti una nuova versione, unendo alla tradizione secolare di questa prelibatezza pasticcera la cultura della griglia, decorandola non con frutta candita, bensì con frutta grigliata su-

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gosa, morbida, deliziosamente dolce e dal sapore intenso, che esalterà ancora di più la straordinaria bontà della Cassata, rendendola una bomba di sapore. Questo tipo di decorazione, inoltre, dona a mio avviso quel tocco di acidità che, oltre a rinfrescare il palato, crea un piacevole contrasto con la considerevole dolcezza dell’insieme. Preparazione 1. Sbatti le uova con un pizzico di sale, aggiungendo poco per volta lo zucchero, fino ad ottenere un bell’impasto cremoso e spumoso. 2. Aggiungi la farina setacciata un po’ per volta, mescolando dall’alto verso il basso per non smontare l’impasto, e mezza bustina di lievito. 3. Prepara il dispositivo per una cottura indiretta a 160° C. 4. Imburra la teglia, versa il composto e metti in cottura, sulla griglia dalla parte opposta delle braci, per 35/40 minuti circa. 5. Per verificare la cottura della torta, infila uno stuzzicadenti nella zona centrale del Pan di Spagna, andando in profondità: se risulta asciutto il dolce è pronto. Sfornalo e lascialo raffreddare. 6. Passiamo alla crema: setaccia la ricotta, alla quale aggiungi 250g di zucchero al velo, e lavora bene gli ingredienti fino ad ottenere una crema liscia. 7. Aggiungi alla crema le gocce di cioccolato facendo in modo che siano distribuite in modo omogeneo. Riponi la crema in frigo, coperta dalla pellicola alimentare. 8. Prendi il marzapane e, sul piano da lavoro ricoperto con un leggero strato di zucchero al velo, stendilo con un mattarello: devi creare delle strisce, non troppo spesse, della stessa altezza del bordo della teglia. Ricavate le strisce devi dividerle in rombi tutti della stessa grandezza. 9. Prendi il Pan di Spagna completamente raffreddato, e suddividilo in tre strati. Da uno strato ricava delle strisce della stessa altezza del bordo della tortiera e suddividile in rombi della stessa grandezza, come hai fatto per la pasta reale. 10. Fodera il bordo della tortiera, alternando un rombo di Pan di Spagna e di pasta reale, facendo aderire bene i margini dei rombi tra loro. 286 - BBQ4All MAGAZINE

Se il bordo fuoriesce dalla teglia, rifilalo con un coltello. 11. Fodera la base della tortiera con uno strato di Pan di Spagna, tagliato a misura. 12. Versa all’interno la crema, distribuendola in modo omogeneo. 13. Sbriciola il Pan di Spagna rimasto, distribuiscilo su tutta la superficie della torta e schiaccialo delicatamente, con le mani, in modo da ottenere uno strato compatto. 14. Copri la cassata con la pellicola alimentare e ponila in frigo 5/6 ore perché rassodi. Capovolgi la teglia e sformala con estrema delicatezza. 15. Passiamo alla glassa: prendi 350 grammi di zucchero a velo, aggiungi l’acqua e metti sul fuoco: quando sfiora il bollore è pronta. 16. Versa la glassa sopra il dolce e aiutati con una spatola perché coli anche sui bordi. Mi raccomando, questa operazione deve essere rapida, la glassa si rapprende velocemente. 17. Lava e asciuga bene la frutta. Affetta l’arancio e il limone, taglia in due le fragole. 18. Spolverizza entrambi i lati della frutta con lo zucchero di canna, senza esagerare. 19. Sulla griglia, dalla parte delle braci, metti un foglio di carta da forno bagnato con un po’ d’acqua e strizzato, e appoggiaci la frutta qualche minuto per lato affinché grigliando si caramelli. Quando vedi che il foglio diventa troppo nero, sostituiscilo e ripeti l’operazione. Fai molta attenzione perché altrimenti ti ritrovi con lo zucchero bruciato e la frutta amara. 20. Quando la frutta è ben caramellata, falla raffreddare completamente su un foglio di carta forno e poi procedi con la decorazione, secondo il tuo gusto. 21. Dopo aver sistemato la frutta, posiziona qua e là anche le more e delle foglioline di menta.

I N G RED I EN TI P E R 6 P E R S ON E • • • • • • • • • • • • • • • •

120 g di farina 4 uova 120 g di zucchero Burro q.b. 1/2 bustina di lievito per dolci 250g di pasta reale al pistacchio, già pronta 1kg di ricotta 100g di gocce di cioccolato 600g di zucchero a velo 3 cucchiai d’acqua 1 arancia 1 limone 200g di fragole 150g di more Menta q.b. Zucchero di canna q.b.


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IL PASTRAMI MINUTO PER MINUTO APPROFONDIMENTO a cura di VIRGILIO BRUNETTI

PA S T R A M I co m e n as c e u n m i to g as t r o n o m i co

PARTE 1: LA STORIA

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Personalmente considero il Pastrami una delle preparazioni più intriganti della cucina americana, non solo per complessità della tecnica di salagione, di speziatura e di cottura, ma anche per tutta la storia che si porta dietro. Il Pastrami è senza dubbio il più famoso di tutti i “delis”, la quintessenza della gastronomia Americana che affonda le sue radici nella cultura gastronomica Ebraica “Jewish Deli”. La storia del Pastrami è una questione piuttosto complicata e controversa, sono stati scritti molti libri in proposito e a me tocca il difficile compito di riassumere una diatriba che probabilmente non avrà mai una fine. Capirete che è complicatissimo identificare con certezza l’origine del pastrami; resta evidente solo un fatto: da sempre l’uomo, in ogni cultura, ha inseguito la necessità di dover conservare la carne e lo ha fatto utilizzando i mezzi più semplici che aveva a disposizione: sale, fumo e spezie. Secondo “The Artisan Jewish Deli at Home”, il pastrami deriva da una carne (spesso di montone e di oca) speziata, salata e stagionata, tipica romena ma di acquisizione turco-ottomana chiamata pastramă. Il consumo del pastramă si è diffuso rapidamente nell’est europeo seguendo la via delle spezie e, di paese in paese, si è adattata secondo gli usi e i costumi locali. Pare che gli stessi migranti romeni lo abbiano portato per primi in America e abbiano adattato la ricetta al taglio di carne più economico e reperibile in loco: il brisket di manzo. Il più duro e salato pastramă d’oca romeno diventa così il morbido e speziato beef pastrami; il termine probabilmente si è così evoluto perché aveva assonanza migliore con la parola “salami” ossia i “delis” con cui spesso era venduto presso gli spacci chiamati appunto Delicatessen. Se vi state chiedendo come mai il pastrami sia così simile al Brisket Texano posso dirvi che questa è un’ottima domanda. Il brisket, la punta di petto di manzo, approdò a NY perché i macellai romeni sbarcarono numerosi negli stati del sud dove fecero proprie le tecniche di affumicatura e di cottura di questo taglio. Ma chi fu veramente il primo a servire Pastrami nella grande mela? Si narra che a produrre il primo panino al pastrami a New York, nel 1887, fu il macellaio ebreo di origine lituana Sussman Volk, che dichiarò di aver ricevuto la ricetta da un amico romeno in cambio della custodia dei bagagli, durante un viaggio in Romania. Quella ricetta avrebbe avuto presto un successo tale da convincere Volk a vendere il panino nella sua macelleria per poi aprire un ristorante. I numerosi Delicatessen di New York City divennero sinonimo di gastronomia ebraica (Jewish Deli): non erano dei luoghi che vendevano semplicemente cibo, così come i bar italiani e i pub Irlandesi, erano centri di aggregazione e socializzazione. Di fatto, furono il ponte tramite il quale gli ebrei del nord-centro Europa immigrati negli States conquistarono la loro identità di cittadini americani. I Delicatessen newyorkesi non restarono chiusi nella comunità ebraica ma aprirono le loro porte a tutti: qui si potevano acquistare proteine saporite a basso costo che fornivano energia ad una popolazione di lavoratori affamati, i quali sostennero l’economia statunitense in un periodo difficile come quello a cavallo delle due guerre ALMANACCO 2019

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mondiali. I Delicatessen si diffusero rapidamente in tutti gli States ed in Canada. La preparazione classica. La salamoia è quello che distingue nettamente la preparazione del pastrami dal brisket texas style. La punta di petto viene sgrassata e squadrata, poi pesata e messa e in wet brining in una soluzione salina al 10% di sale bilanciato e 1,5 grammi di Curing Salt (nitrito di sodio al 10%) per kg di carne. Per semplificare la procedura conviene utilizzare un volume di salina grossomodo equivalente al peso in carne. Ad esempio: 10 chilogrammi di carne, 10 litri di soluzione salina. In questo caso dovremo disciogliere 973 grammi di sale da cucina, 1000 grammi di zucchero di canna, 30 grammi di curing salt (miscela di sale comune e E250 nitrito di sodio al 10%). Nella salamoia del pastrami devono essere aggiunte delle spezie grossolanamente tostate in padella e pestate: pepe nero, coriandolo, senape in grani, aneto, cannella in stecche, chiodi di garofano, pimento. Terremo il pastrami in salagione circa 5 giorni a 2-4°C . Successivamente, essendo la salamoia piuttosto concentrata, laveremo la carne per eliminare l’eccesso di sale superficiale; una breve asciugatura in frigo andrà ad equilibrare il sale assorbito dalla carne prima dell’applicazione del rub. Il Rub è uno dei caratteri distintivi del pastrami, nella versione classica troviamo: sale, zucchero, coriandolo, pepe nero, grani di senape, paprika ungherese, aglio. I grani di senape insieme al coriandolo intero vengono prima tostati in una skillet (padella in ghisa) fino a quando non iniziano a crepitare come popcorn. Si pesta tutto al mortaio mantenendo una grana piuttosto grossa, poi si miscelano gli antri ingredienti. Nella versione canadese “Smoked Meat” invece la fa da padrone Il Montreal steak Seasoning una miscela a base: pepe nero, paprica, peperoncino, coriandolo senape in grani, aneto, aglio e cipolla essiccata. La tecnica di cottura si avvicina molto alla cottura del brisket texano, squisitamente L&S con una temperatura di in camera di cottura molto bassa intorno gli tra i 90 e 105°C. Si procede affumicando fino allo stallo (circa 65°C/150°F interni) per poi passare alla fase di foil (avvolgimento nell’alluminio) fino ai fatidici 205°F (93°C). In alternativa è possibile, superato lo stallo, finire il pastrami in un forno a vapore mantenendo una temperatura di 95 gradi e 80% di umidità. Il pastrami caldo e fumante potrà essere conservato e rigenerato a vapore e servito nel sandwich tagliando sottilmente la carne e non lesinando con le quantità: ricordatevi che siamo in America!

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IL PASTRAMI MINUTO PER MINUTO IL PROCEDIMENTO a cura di EMILIANO NENCIONI

PA S T R A M I è i l mom e n to d i a ff r o n ta r e l a l e g g e n da

PARTE 2: IL METODO

Capita a tutti, dicono, di arrivare a New York (o a San Francisco o a Chicago) e di avere la distinta impressione di esserci già stati. I taxi gialli, gli idranti rossi, walk/don’t walk sul semaforo, i Cable Car che ondeggiano sulle colline, il treno sferragliante sulla sopraelevata: tutti elementi ormai diventati familiari per noi avidi consumatori di cinema e serie TV, piccole presenze subliminali associate all’idea stessa di cinema, tanto che mi sembrerebbe quantomeno strano un film di supereroi ambientato, che so, a Pontedera (noto paese della provincia pisana n.d.r.) Per quanto, vi dico la verità: avrei delle sceneggiature da proporre. Il pastrami rientra in questa categoria: non porterai a tavola del manzo speziato, affumicato e affettato, ma una movie star, una presenza costante nelle commedie brillanti; fornirai ai tuoi amici e ai parenti uno spunto di conversazione, una stiva carica di aneddoti. Probabilmente, senza girarci troppo attorno, ci sarà sempre l’amico particolarmente brillante e supersimpa che vorrà scimmiottare la scena di Meg Ryan con l’acconciatura immensamente cotonata al Katz’s Deli, e tu ti ritroverai con la faccia basita di Billy Crystal. Sbrigata la doverosa formalità del riferimento cinematografico (non credo esista un articolo sull’argomento che non ne parli, vedi anche quello del panino qui accanto)

penso di poter procedere in tutta tranquillità a spiegarti come preparare un buon pastrami in perfetto stile BBQ4All. Occorrente: 1. Il flat di un brisket Black Angus Creekstone Farms (lo trovi sul Megastore BBQ4All), di almeno 2kg 2. 120g di Rub BBQ4All Montreal 3. Due cucchiai di pepe in grani 4. Circa 10g di curing salt (nitrito di sodio al 10%) 5. Un contenitore abbastanza capiente o una busta sigillabile 6. Legna aromatica per affumicare Ho scelto di usare il Rub BBQ4All Montreal perché, oltre a essere notoriamente buono, ha nella sua formulazione il coriandolo, componente praticamente obbligatorio per il flavour profile di un pastrami ortodosso; lo stesso rub è poi eccellente anche per insaporire la salamoia, indispensabile per la preparazione del pastrami; come se non bastasse, gli olii essenziali in esso contenuti deflagreranno piacevolmente durante la cottura. Il flat di un buon brisket (ne potrai trovare di ottimi sul Megastore BBQ4All) è una buona base per i tuoi primi esperimenti pastrameggianti: prendi confidenza con questo e un giorno potrai prorompere in inaspettate evoluzioni e contaminazioni, usando altri pezzi di manALMANACCO 2019

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zo ma anche del tacchino, tanto per buttare giù due idee. Trimming: 1. Incidi lungo la vena di grasso e separa il point dal flat (non sai cos’è? Corri a ripassare sul numero di gennaio!); 2. Togli via tutto lo strato di grasso e tutta la silverskin dal flat; 3. Rifila in maniera regolare la carne, togliendo le parti troppo sottili o irregolari: dovresti ritrovarti con un “mattoncino” di manzo; 4. Non spaventarti per la troppa carne scartata, con il point e le trimmature del flat puoi arricchire dei baked beans, fare un ragù, oppure fare degli hamburgher se sei a corto di quelli BBQ4All. Per comodità, e per una più snella gestione dello spazio in frigorifero, per la fase di riposo in salamoia prediligo di gran lunga l’uso delle buste usa e getta richiudibili all’impiego di vasche voluminose e difficilmente sigillabili: se la dimensione della carne lo consente (se ne fai due chili ce la fai senza problemi) e se riesci a trovare le solite buste svedesi con ziplock, secondo me vale la pena provare. Delle specifiche della salamoia ha già parlato con precisione il Coach Virgilio, esperto biologo, per cui ti farò solo un sunto “operativo” da consultare durante la preparazione. Salamoia: 1. Metti in una vasca un numero di litri d’acqua pari al peso della carne in chili; 2. Aggiungi: 10% di sale, 10% di zucchero di canna, due cucchiai di Rub BBQ4All Montreal, un cucchiaio di pepe in grani, 1,5 grammi di Curing Salt per ogni chilo di carne; 3. Metti la carne a bagno, chiudi il contenitore e lascia in frigo per 7 giorni. Per i meno avvezzi alla stechiometria: su due chili di carne dovrai usare due litri d’acqua, 200g di sale, 200g di zucchero, 3g di Curing Salt. Qui, onestamente, il più è fatto. Davvero: se sei in grado di fare un pit beef o un brisket, sei in grado di tirare fuori dalla griglia un eccellente pastrami, e dato che siamo già al numero di Aprile, dopo lo speciale brisket e l’articolo sulle beef ribs, mi stupirei del contrario (non ti sto espressamente consigliando di rileggere gli articoli sugli arretrati di questo magazine, ma sarebbe un buon momento per farlo, senza dubbio). Sette giorni sono passati, hai detto ai tuoi amici che farai il pastrami, la tua famiglia si è lamentata per quell’affare enorme che prende spazio nel frigorifero; una mamma o una suocera, ci scommetterei, ti ha sciorinato una filippica interminabile sul rischio intossicazioni, sulla tossina botulinica e, dopo che gli hai detto con spavalderia granitica che tu hai imparato a usare il nitrito di sodio perché lo hai letto sul BBQ4All Magazine, ti hanno urlato tutti in coro che non la vogliono mangiare quella schifezza lì, coi nitriti, vuoi mettere la roba genuina, trà trà, 15 secondi in piedi sull’osso ...e tutte le altre pappardelle alle quali ormai dovresti essere più che abituato. Ma tu sei un griller della nuova generazione, di quelli che 292 - BBQ4All MAGAZINE

studiano e queste cose le fai per te, per sorprendere, per portare in tavola un pezzo di storia del cinema, per generare curiosità e argomenti di conversazione tra i tuoi invitati. È lo stesso motivo per cui ci piacciono le muscle car americane, anche se hanno il retrotreno di un camioncino e il motore con distribuzione ad aste e bilancieri, o le moto con la frizione a secco che suona come il cassetto delle posate quando sbatte (componente non tipicamente americano, anzi molto italiano, ma per restare in linea col concetto di fascino irrazionale). Alla fine poi quella suocera o quel cognato potrebbero anche stare a casa loro: quando c’è il barbecue di mezzo è la tua giornata. Sette giorni, dicevo, e adesso si cuoce e si riscuotono i complimenti. Cottura: 1. Stabilizza il tuo dispositivo a 100-110°C in camera di cottura: se non hai uno smoker e disponi solo di un kettle, impostalo per una cottura indiretta; 2. Utilizza il tuo legno aromatico preferito per la nota di affumicatura; 3. Sciacqua molto bene la carne sotto l’acqua corrente e non ti impressionare se la vedi un po’ grigiastra; 4. GETTA la salamoia: non farti venire idee strane. Davvero. 5. Spennella d’olio o di un velo di senape la carne; 6. Copri in ogni sua parte la pietanza con il Rub BBQ4All Montreal; 7. Con un macinapepe dai un’ulteriore generosa passata di scaglie grossolane di pepe; 8. Metti il futuro pastrami nel dispositivo e chiudi il coperchio; 9. Quando il bark si è formato chiudi la carne in un texas crutch ben fatto: di solito attorno ai 65-68°C è un buon momento per questa operazione; 10. Giunto ai 93-95°C elimina il foil e valuta il bark: se si è bagnato molto continua per cinque dieci minuti a cuocere, senza più texas crutch. Lascia freddare il pastrami fuori dal dispositivo. Se hai un’affettatrice usala, altrimenti prendi il coltello più affilato che hai e fai del tuo meglio per affettare (contro fibra) delle slice di un paio di millimetri di spessore. Noterai un bel colore rosso intenso, come se fosse tutto uno smoke ring: in realtà è l’azione dei nitriti: emoglobina e mioglobina riducono il nitrito tramite l’ossidazione dell’eme ferrico, si forma la nitrosomioglobina che rimane rossastra anche a temperature più alte, tipo i nostri 90 gradi. Per la tua tranquillità, non stare troppo a puntualizzare la parte chimica e goditi il sicuro successo della preparazione: a questo punto starai già pensando a quale altro muscolo o quale altra bestia tuffare nella pozione magica pastramizzante, ti si sarà aperto un mondo. E scommetto che verrà la moda di condividere su tutti i social network “Ecco il mio cappello del prete briskettato pastramato!”: brisketception?


IL PASTRAMI MINUTO PER MINUTO LA RICETTA a cura di MARIANGELA IBBA

PA S T R A M I "quello che ha preso la signorina"

PARTE 3: IL SANDWICH

La famosissima battuta che dà il titolo a questa ricetta è quella della signora che, dopo aver assistito nel cult “Harry ti presento Sally” all'orgasmo simulato da Meg Ryan, risponde così al cameriere che le chiedeva cosa desiderasse. E Sally cosa aveva preso? Il sandwich al pastrami. Questo delizioso panino è una tipica specialità della cucina americana, in particolar modo della Grande Mela. È impossibile visitare la città di New York senza addentare un panino ripieno di questa carne affumicata: sarebbe come visitare l'Italia senza mangiare il gelato o la pizza. Il pastrami può essere preparato con la carne di manzo, di tacchino, di maiale, di montone, ma di fatto il più apprezzato rimane il beef pastrami. Il classico sandwich farcito con que-

sta prelibatezza affumicata può essere alto anche 10 cm, grazie al ricco strato di carne con cui viene riempito. Il condimento può variare: c'è chi preferisce gustarlo con insalata e pomodori, chi con il formaggio fuso e chi nella versione classica con pane di segale, cetriolini sottaceto e senape. Una curiosità: se volete visitare il locale a New York dove il film è stato girato, Katz's Delicatessen, potrete anche sedervi allo stesso tavolino dove era seduta la giovane protagonista e, alzando gli occhi al soffitto, leggere: dove Harry ha incontrato Sally… spero che tu possa provare quello che ha provato lei! Preparazione: 1. Cerca di affettare il pastrami il

più sottilmente possibile, se non hai a disposizione un'affettatrice. 2. Griglia qualche minuto per lato il pane. 3. Spalma la senape su entrambe le fette di pane. 4. Disponi su una delle fette di pane un abbondante strato di carne e metti sopra qualche cetriolino diviso a metà per lungo. 5. Chiudi con l'altra fetta di pane e il tuo panino è pronto. Non simulerai l'orgasmo, te lo assicuro. Sarà tutto vero.

I N G REDI EN TI P E R 4 P E RS ON E • • • •

800 g di pastrami di manzo 8 fette di pane di segale 150 g di cetriolini sottaceto 200 g di senape

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VINI ABBINATI a cura di ENIO BERTON

È ORA DI

BERE! abbinamenti consigliati

CREDE Vino: Cantina: Abbinamento :

Crede Brut Prosecco DOCG Superiore Bisol 1542 Una giornata all’aperto

Una giornata all’aperto spensierata e senza troppi formalismi. Un vino facile da bere dove il bicchiere di plastica, se proprio si vuole, può sostituire il calice. Un prosecco, che sia per il classico Spritz Aperol o per degustarlo al naturale, è quello che ci vuole. La produzione del prosecco, nelle sue declinazioni DOCG e DOC, ha superato (come numero di bottiglie prodotte e vendute) il ben più blasonato champagne. La zona di produzione tipica si trova ai piedi delle Alpi Ampezzane nelle zone pedemontane racchiuse tra Asolo, Possagno (patria del Canova) e Conegliano Veneto. Queste sono diventate zone DOCG con la creazione della DOC nel 2009 che, estendendosi fino al paese di Prosecco in provincia di Trieste, ne ha salvaguardato a livello mondiale il nome. Tracce di produzione del prosecco si perdono nell’età romana con il nome di vino Pucino decantato da Plinio il Vecchio nella sua “Naturalis historia”. La prima nota sul cambio del nome si registra nel 1500 quando Fynes Moryson, un gentiluomo inglese in viaggio nel nord Italia, descrive il prosecco come vino prodotto in Istria (con riferimento al castello di Prosecco). Prodotto da uve glera e verdiso, è tassativamente messo in produzione l’anno successivo alla vendemmia. Non esistono, quindi, prosecco e prosecco millesimato: sono tutti prosecchi millesimati (cioè prodotti con uve dello stesso anno). Bisol è uno dei nomi storici del prosecco della zona di Valdobbiadene, che ha fondato le sue origini già dal 1500 (come dimostrato da documenti visibili nella pagine web dell’azienda); è poi entrata nel 2014 nel gruppo Lunelli (produttrice del vino Ferrari). Il vino che degustiamo richiama nel nome Crede (termine dialettale per indicare l’argilla) il terroir tipico della zona di produzione. Di colore giallo paglierino con riflessi verdi dal perlage fine e persistente, all’olfatto si presenta floreale (note di glicine) e fruttato fresco (mela renetta). Al palato le note di frutta fresca sono armoniose ma decise, una buona sapidità e la persistenza del perlage rende il fin di bocca piacevole e pulito. Portate del ghiaccio ed un contenitore termico, e buona giornata! Da servire a 8/10 gradi in bicchieri tulipano, concessi (ma solo all’aperto) bicchieri diversi.

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BUIO BUIO Vino: Cantina: Abbinamento :

Carignano del Sulcis Riserva DOC Buio Buio 2015 Mesa Agnello arrosto

Agnello arrosto: bel piatto, con una complessità dovuta al tipo di marinatura della carne e delle spezie usate in cottura. A non tutti piace il gusto della carne d’agnello molto tendente al dolce con delle note tipiche date dalle erbe con cui si nutre. L’abbinamento richiede un vino di corpo ma non troppo strutturato per non coprire la dolcezza della carne. Abbiamo quindi bisogno di acidità o tannini per sgrassare il palato ed invogliarci ad affondare la forchetta per un altro boccone. La pastorizia ci porta con la mente nelle zone appenniniche del centro sud Italia o nelle zone pedemontane del nord Italia, ma soprattutto in Sardegna. E proprio da questa regione andiamo a recuperare il vino giusto per noi, di una DOC nelle province di Cagliari e Carbonia-Iglesias prodotto da uve della varietà Carignagno. La varietà, probabilmente portata in Sardegna durante la dominazione degli Aragonesi nel 1300, si trova anche in Francia nella regione del Midi e Languedoc- Roussillon ed in Sicilia. La giovane cantina Mesa, nata nel 2005 grazie al noto pubblicitario Gavino Sanna, dispone di circa 70 ettari vitati ad alberello o a cordone speronato. La produzione spazia tra i vitigni tipici della Sardegna quindi, oltre al carignano, cannonau e vermentino, trattati in una struttura minimalista di 5000 metri a tre piani dove tutta la movimentazione avviene per caduta senza uso di pompe idrauliche. Il carignano viene vendemmiato tra fine settembre ed inizio ottobre, la macerazione sulle bucce si protrae per 18/20 giorni, viene poi affinato in botti grandi e barrique non nuove per 12 mesi per una parte, e per l’altra in vasche di acciaio. Assemblato, successivamente, in vasche di cemento dove sosta per 6 mesi, dopo l’imbottigliamento rimane in cantina per altri 6 mesi. Il vino di colore rosso rubino con riflessi violacei si presenta al naso con note floreali e fruttate per poi svilupparsi in sentori balsamici e da macchia mediterranea. Al palato si presenta ricco, pieno, con tannini persistenti ma arrotondanti e non invasivi; il retrogusto ci ricorda le erbe officinali e profumi di bacche selvatiche. Fin di bocca prolungato ed appagante. Da servire a 16/18 gradi in bicchieri ampi.

DONNA FRANCA Liquore: Cantina: Abbinamento :

Marsala Superiore Riserva Donna Franca Cantine Florio 1833 Cassata

La Cassata è un mix fotonico di calorie e gusto: il Pan di Spagna, la pasta con mandorle e pistacchio, la ricotta, la bagna di rum o marsala. Ecco, il marsala è il vino fortificato tipico della Sicilia. Le sue origini sono legate al commerciante inglese John Woodhouse che arrivò a Marsala nel 1773. Colpito dalle potenzialità del vino del luogo, che ricordava i ben noti vini liquorosi di Spagna (Cherry) e Portogallo (Porto), decise di avviarne il commercio portando con sé una serie di botti a cui aggiunse acquavite per alzarne il grado alcolico. Prodotto anche con il metodo soleras (se in etichetta riporta il termine “vergine”), il Marsala ha una classificazione complessa che mescola le uve usate e l’invecchiamento del vino. Vi consiglio di capire le varie denominazioni prima di iniziare ad assaggiare, e sicuramente apprezzare, questa nostra tipicità nazionale. La cantina Florio nasce nel 1833 affacciata sul mare a Marsala: è una struttura bellissima ed immutata nonostante il passare degli anni. Il Marsala in degustazione viene prodotto esclusivamente da uve grillo in vigneti posti nella zona costiera del comune di Petrosino in provincia di Trapani. La vendemmia è volutamente tardiva per aumentare il grado zuccherino. Dopo la lenta fermentazione si procede, come la tradizione vuole, all’aggiunta del mosto cotto, la mistella e il distillato di vino. Segue l’invecchiamento con metodo solera per 15-30 anni e successivamente almeno 6 mesi in bottiglia. Dal colore topazio brillante con riflessi ambrati, ha un olfatto ampio ed intenso con sentori di datteri e frutta bianca sciroppata. In bocca risulta caldo, morbido come il velluto con note di vaniglia, frutta candita e caramello. Da servire a 14/16 gradi in bicchieri da liquore. ALMANACCO 2019

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BIRRE CONSIGLIATE a cura di RICCARDO MENICONI

TRIPEL EX T RAOM N E S Il pastrami sandwich: la pietanza più ambita da chiunque ami il mondo dell’american barbecue e di tutti quelli che vedono Katz’s Delicatessen come luogo di culto, da visitare almeno una volta nella vita, ma che nel frattempo si cimentano a casa con questa lunga ma soddisfacente preparazione. La punta di petto marinata a lungo, affumicata lentamente e affettata sottilmente trova il suo habitat naturale in mezzo a due fette di pane di segale. Un concetrato di sapidità, speziatura e succulenza che può essere sostenuto solamente da una birra di pari spessore. Extraomnes, birrifico di Castellanza (VA), ha quello che fa per noi. Una tripel in pieno stile Belga, dal nome evocativo “Tripel” ci fa capire subito che non si tratta di una reinterpretazione dello stile. Dal colore dorato carico, leggermente velato, con schiuma compatta color crema, questa birra ha profumi sia fruttati di pesca e albicocca, che maltati di pasta frolla e miele chiaro, equilibrati da un etilico pungente che ritroviamo già dal primo sorso. Il corpo consistente con finale secco e luppolato rendono la bevuta fin troppo semplice, a tratti pericolosa con i suoi 8,6%. Vi consiglio di servirla a 8-10° in un tulipano.

S U N NYS I D E DI EASTSIDE Pizza e birra, quante volte l’avrete sentito dire? Una chiara, leggera e fredda, da mezzo litro possibilmente. Tipicamente, una lager di dubbia provenienza, indipendentemente dal fatto che la pizza sia Margherita, Capricciosa o con la salsiccia, no? Niente di più sbagliato. E se sulla pizza ci fossero dei carciofi? Se c’è un abbinamento difficile è proprio quello con i carciofi, complicato da abbinare al vino, sicuramente più semplice da abbinare alle birre grazie alla grande palette sensoriale che ci mettono a disposizione. Tipicamente amaro e balsamico, con la cottura in ember roasting guadagna note tostate e affumicate: il carciofo è un ingrediente incredibile. Il Re della tavola romana trova l’abbinamento perfetto in casa con la Sunnyside di Eastside, American Ipa dal colore dorato con schiuma bianca, pannosa e persistente. Al naso esplode l’aroma agrumato del pompelmo e quello balsamico degli aghi di pino, in bocca entra con una nota biscottata per poi lasciare subito spazio ai sapori agrumati e freschi. La beva è facile grazie alla secchezza e alla bassa carbonazione, nonostante il tenore alcolico non proprio moderato di 7°abv. Vi consiglio di servirla in una pinta americana ad una temperatura di 8°. Attenzione, crea dipendenza. 296 - BBQ4All MAGAZINE


COCKTAIL CONSIGLIATO a cura dI RICCARDO MENICONI

G I N TO N I C

Nelle prime sere di primavera l’aria è frizzante, la terra è fresca, bagnata dalle ultime pioggie. Già pensi alle serate fuori, agli aperitivi in un cocktail bar con tavoli all’aperto che si affacciano in una bella piazza o lungo la spiaggia. Il Gin Tonic è il cocktail dissetante per eccellenza: la ricetta originale prevede solo gin, acqua tonica, ghiaccio e una fettina di limone. Oggi si trovano milioni di varianti, miriadi di gin e acque toniche differenti, aromatizzate o no. Personalmente adoro aggiungere un rametto di rosmarino fresco o qualche fetta di cetriolo a seconda del gin scelto. Hendrick’s con acqua tonica Fever three Indian Premium e una fetta di cetriolo sono l’abbinamento che preferisco.

Semplicissimo da preparare anche a casa, si procede in questo modo: raffreddiamo un bicchiere Highball con abbondante ghiaccio, girandolo bene con un bar spoon. Togliamo l’acqua che si sarà formata con uno strainer e aggiungiamo 4cl di gin e tra i 10 e i 15cl di acqua tonica, mescoliamo e finiamo con una fetta di cetriolo e twist di limone. Possiamo aggiungere spezie come il pepe in grani, bacche di ginepro o erbe aromatiche come basilico, rosmarino ma anche altri agrumi come pompelmo o arancia. Non ponete limiti all’immaginazione.

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THE CHEMICAL GRILLERS - RUBRICA a cura di VIRGILIO BRUNETTI

la scien za della

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I grandi Pit Master Americani non sono semplicemente esperti di cucina al fuoco, sono delle celebrità ed influenzano in modo determinate il modo di fare barbecue dentro e fuori gli States. Alcuni di loro sono considerati delle vere leggende, solo per nominarne alcuni: Aaron Franklin, Franklin Barbecue; Ed Mitchell, Ed Mitchell’s Q on; Chris Lilly, Big Bob Gibson; Tootsie Tomanetz, Snow’s BBQ; Scott Roberts, The Salt Lick BBQ; Myron Mixon, Jack's Old South BBQ; Johnny Trigg, Smokin' Trigger e molti altri. Così come i grandi chef stellati, ognuno di loro ha una identità stilistica, una sorta di impronta digitale che marca in maniera unica il loro modo di fare barbecue. Ma fuori dall’Olimpo del barbecue cos’è che realmente identifica un Pit Master? Un Pit Master degno di questo nome è colui che esprime la sua bravura nel controllo di qualsiasi dispositivo di cottura che sia Smoker o che sia Grill, nella preparazione delle carni, nel seasoning e nella tecnica di affumicatura. Personalmente sono abbastanza convito che ciò che rende speciale il barbecue è proprio il fumo. Molti definirebbero l’affumicatura un’arte, alcuni addirittura magia. Vi assicuro che questa tecnica di artistico e magico ha ben poco, ma soltanto solide basi scientifiche. Il fumo non è altro che un prodotto di una reazione chimica esotermica chiamata combustione. Un combustibile (gas, carbone o legna) brucia solo se è presente una adeguata quantità di comburente, ossia l’ossigeno che è presente nell’aria. Più precisamente, la combustione è una ossidoriduzione che rilascia energia sotto forma di radiazione elettromagnetica e genera prodotti di reazione sia solidi che gassosi. La reazione di combustione non avviene in maniera spontanea, inizia mediante un

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innesco. La reazione di combustione ha una resa in prodotti di combustione che varia a seconda della disponibilità di comburente e dalla qualità del combustibile utilizzato. La combustione completa dei più comuni combustibili utilizzati nella cucina al fuoco (gas, carbone, legna, pellet) ha come prodotti di reazione vapore acqueo e anidride carbonica; in particolare la combustione libera della legna ben asciutta produce normalmente una fiamma, ossia la radiazione luminosa che si genera dalla combustione delle componenti gassose che si liberano dall’ossidazione dei composti organici di cui è fatto il legno. La combustione del legno si realizza sostanzialmente in 3 fasi caratterizzate da uno specifico range di temperature: • riscaldamento del solido ed essiccamento (100°C) • pirolisi con rilascio di composti volatili (200-500°C) • combustione (500-1000°C) Nella fase di essiccazione l’acqua contenuta nel legno inizia a evaporare, ciò avviene a partire da temperature inferiori ai 100°C; l’evaporazione abbassa la temperatura nella camera di combustione, rallentando il processo di combustione. La pirolisi (degassificazione) avviene a partire da una temperatura di 200°C, in questa fase le molecole presenti nel legno iniziano a degradarsi e ad 300 - BBQ4All MAGAZINE

evaporare. I primi componenti del legno ad essere degradati sono le emicellulose e la cellulosa, successivamente la lignina; a 400 °C la maggior parte delle sostanze volatili è stata liberata ed il processo evaporativo decresce rapidamente. La fase della combustione inizia tra i 500 e i 600 °C e si protrae fino ai 1000 °C: consiste nella completa ossidazione dei gas. I principi costituenti il legno in generale sono mediamente • Cellulosa ed Emicellulosa • Lignina • Pectine • Altre Sostanze organiche: terpeni, grassi, cere, fenoli e tannini • Sostanze inorganiche non combustibili (Si, K, Na, S, Cl, P, Ca, Mg, Fe) Il fumo è il prodotto della combustione lenta ed incompleta del legno, in assenza di fiamma ed in atmosfera povera di ossigeno. Nelle cotture barbecue è una condizione che viene specificamente ricercata affinché avvenga la formazione del fumo. Perché il fumo si generi in maniera corretta dobbiamo fare in modo che il legno da affumicatura sia posizionato sulla fonte di calore in modo che si inneschi una combustione volutamente incompleta. Fondamentale sarà regolare l’ingresso di aria, che dovrà essere sufficiente perché la combustione proceda, ma in assenza di fiamma. La stabilizzazione del dispositivo sarà una variabile fondamentale per avere una


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cottura ed una affumicatura corretta. Durante la degradazione pirolitica (degassificazione) del legno, si generano i composti utili a sviluppare un fumo con un corretto profilo aromatico. Tecnicamente il fumo è un sistema difasico con una fase dispersa o discontinua rappresentata dalla frazione solido liquida (goccioline di diametro compreso tra 0,1 -10 μm cariche elettricamente) contenente tra le altre anche sostanze indesiderate come gli idrocarburi policiclici aromatici ed una fase disperdente, o continua gassosa, rappresentata dal vapore acqueo contenente molte sostanze volatili responsabili della conservazione e dell’aroma conferito all’alimento. Il fumo ha la capacità di condensarsi entrando in contatto con superfici umide e con una temperatura inferiore rispetto alla camera di cottura. In un affumicatore la cottura sarà indiretta, in questo modo il fumo fluisce seguendo i moti convettivi dell’aria riscaldata dalla fonte di calore ed entra in contatto con tutte le superfici depositandosi più efficacemente su quelle a temperatura inferiore e che hanno una più elevata umidità superficiale. Viene da sé che una superficie calda e asciutta tenderà ad affumicarsi meno e diversamente rispetto a quella umida e fredda; quindi un alimento tenderà a condensare il fumo sulla sua superficie maggiormente nelle prime fasi di cottura quando ancora è presente un film di umidità superficiale e la temperatura dell’alimento è più bassa rispetto all’atmosfera presente nella camera di cottura. Avrete sentito parlare sicuramente di Blue Smoke: questa è la condizione necessaria e ideale per affumicare un alimento per lungo tempo senza correre il rischio di sovraffumicare, ed evitare di condensare sull’alimento un eccesso di sostanze tossiche che danno anche uno profilo aromatico sbagliato. Se siete convinti che un pezzo di carne ad un certo punto della cottura smetta di affumicare ed assorbire le sostanze presenti nel fumo, vi state sbagliando di grosso. In tutti i casi la carne continua ad assorbire fumo sulla sua superficie soprattutto se: avete sovraffollato la camera di cottura con troppa carne, oppure se siete in piena fase di stallo, o se state utilizzando delle basting sauce (succhi per irrorare la carne). Per gestire correttamente l’affumicatura dovrete fare attenzione al colore e la densità del fumo, controllare a naso se percepite odori distorti. Ad esempio, un dispositivo troppo sporco potrebbe dare una brutta impronta di grasso bruciato. Un’affumicatura con prevalenza di sapore amaro e aroma acre è sicuramente il risultato di una combustione del legno a temperatura troppo elevata. Nel range di temperatura compreso tra 650 e 750°F (350-400°C) abbiamo la distillazione dei composti fenolici aromatici generati dalla combustione della lignina. In particolare i composti fenolici quali Siringolo e Gauaiacolo sono le molecole maggiormente responsabili rispettivamente del gusto e dell’aroma di affumicato, e sono il prodotto della pirolisi (degassificazione) proprio della lignina. Nella frazione gassosa ritroviamo anche monossido di carbonio e monossido di azoto, che invece generano un potente effetto conservante e imprimono negli strati superficiali della carne il cosiddetto smoke ring. Importante sapere che il 302 - BBQ4All MAGAZINE

fumo reagisce e si deposita differentemente a seconda della quantità componete grassa dell’alimento. Degli oltre diecimila composti presenti nel fumo solo un migliaio sono stati caratterizzati, mentre l’effetto di queste molecole è conosciuto da migliaia di anni. Il fumo ha infatti un potente effetto conservante, colorante, antibatterico, ed inoltre agisce significativamente sulla texture degli strati più superficiali dell’alimento. Il fumo generato da chunks di legno duro e secco di essenze non resinose sarà il primo step verso una affumicatura corretta e consapevole; la dimensione ideale del chunk dovrà essere non più grande di una decina di centimetri, in modo che la combustione del pezzo sia omogenea e lenta senza generare rialzi di temperatura nella camera di cottura. Questo vi dovrebbe far capire quanto è importante lavorare con un set up regolare di carbonella di alta qualità e la giusta quantità di legno aromatico; queste accortezze permetteranno di ottenere risultati ripetibili. Le varie qualità di legno utilizzabili per affumicatura a caldo daranno un’impronta indelebile sulla vostra pietanza e saranno selezionati in base a numerosi fattori quali disponibilità del legno, tradizione, tipologia di carne. Esiste una letteratura enorme su quali legni utilizzare e su quale specifico alimento, ma tenete conto che in tutti i casi questa varietà deve giocare il ruolo di valore aggiunto, l’aroma del fumo non dovrà mai sovrastare l’alimento ma valorizzarlo, inoltre ricordate che, se affumicare poco è un errore, sovraffumicare è un errore molto più grave. Evitate di lasciarvi ossessionare dalla qualità del legno di affumicatura, sceglietene un paio di tipi e provateli diverse volte, tenendo bene in mente che qualità della carne, il rub e le salse influenzeranno molto di più il risultato rispetto alla tipologia del legno che utilizzate per affumicare. Una volta affinate le tecniche di cottura e seasoning, potete dedicarvi alla selezione di legni diversi. Sicuramente Hickory, Mesquite, Quercia, Pecan, Faggio, Olivo dovranno essere gestiti con molta cautela dai principianti, visto che hanno un’impronta aromatica piuttosto forte e caratterizzante; anche il Ciliegio con il suo aroma estremamente fruttato potrebbe ingannarvi. Se dovessi scegliere quale legno avere sempre a portata di mano, onestamente sceglierei il legno di melo, che in tutti i casi permette risultati ottimi con margini di manovra relativamente ampi. Ovviamente sono escluse tutte le essenze tossiche e resinose, oltre ai legni porosi e teneri. References: Modernist Cuisine, Techniques and Equipment, Volume 2, Pagine 132-149 What you need to know about wood, smoke, and combustion; Meathead Goldwyn; https://amazingribs.com/more-technique-and-science/grill-and-smoker-setup-andfiring/what-you-need-know-about-wood-smoke-and


infografica fasi di combustione del legno e prodotti

PRODUZIONE CALORE 30%

CENERE

PRODUZIONE CALORE 70%

500°C

400°C

NESSUNA COMBUSTIONE

300°C

vapore acqueo

ossidi del carbonio

composti organici complessi

FASE 2 SENZA FIAMMA PIROLISI E GASSIFICAZIONE

EMICELLULOSA

Migliore produzione di fumo aromatico

ossidi dell’azoto

CELLULOSA

FASE 2 CON FIAMMA AUTOIGNIZIONE

LIGNINA

FASE 3 COMBUSTIONE DEL CARBONE

200°C

100°C

FASE 1 DEIDRATAZIONE ALMANACCO 2019

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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI

SEGUO “Ci sono verità banali e verità profonde. L’opposto di una verità banale è chiaramente una falsità, ma l’opposto di una verità profonda potrebbe benissimo essere un’altra verità profonda.” Niels Bohr, fisico abbastanza bravo.

Agli inizi del secolo scorso il mondo della scienza, e di riflesso il mondo in generale, fu scosso da una serie di stravolgimenti nel pensiero e nella maniera di percepire e conoscere la natura stessa delle cose. Per “natura delle cose” intendo concetti piuttosto chiave per la nostra esistenza, quali il concetto di Tempo, di posizione in un dato luogo, di composizione dell’atomo. Niente di esattamente trascurabile o banalotto. Se nel mondo classico la descrizione delle leggi della natura era affidata a profondi e rarissimi pensatori e acuti osservatori, capaci di pensieri molto logici ma anche di prendere cantonate micidiali (Anassimandro elaborò la prima rivoluzione cosmologica intuendo che la Terra fluttuasse nel vuoto, ma attribuì al sole una dimensione ventotto volte più grande della terra, non andandoci molto vicino), agli inizi del Novecento i fisici teorici si impossessarono di questo ruolo, proiettandoci in pochi anni in un’era assai più consapevole. Albert Einstein, superstar del mondo scientifico e per un periodo anche del jet-set e di una certa vita mondana (ai giorni nostri lo avremmo avuto ospite a Sanremo, praticamente), nel 1905 pubblicò una quantità di scritti, articoli e esperimenti da far impallidire il lavoro trentennale di chiunque altro scienziato. Niels Bohr, promettente ma distratto calciatore, incidentalmente premio Nobel per la Fisica, colonna portante

della “scuola di Copenhagen”, persona estremamente ironica e piena di piccole ossessioni, nel 1913 propose il suo rivoluzionario modello di struttura dell’atomo, e mandò in crash la fisica classica. Il mondo stava venendo a contatto con le idee della fisica quantistica e con il trauma di dover abbandonare teorie particellari e corpuscolari in favore di probabilità e stati di energia (perdonate la rozzezza estrema dell’esposizione ma qui parliamo di altri argomenti, non è il luogo per approfondire). Una rivoluzione del genere non si era mai vista dai tempi dell’abbandono del sistema tolemaico, quello con la Terra al centro dell’universo. Insomma, te la faccio molto breve, che già ti starai chiedendo se questo mese vorrò cercare di farti ridacchiare parlando di bannati pentiti che briskettano le salsicce bucate o se ho proprio deciso di annoiarti fino in fondo parlandoti di Entanglement Quantistico. Il fatto è che questa nuova, complicatissima e avvincente teoria ebbe dei fieri oppositori, e non erano esattamente persone che rispondevano con tanti punti esclamativi!!!11!1 o che ti subissavano di commenti TUTTI IN MAIUSCOLO. Erano i migliori scienziati viventi. Bohr, appena sfornata la teoria più sconvolgente del mondo moderno, trovò a contrastarlo con ossessiva ferocia nientemeno che l’influencer più trendsetter della fisica di allora, Albert Einstein. ALMANACCO 2019 - 305


Niels Bohr

Pensa che frustrazione, povero Niels. Entrare in polemica con Einstein. È come se tu ti mettessi a fare scarpe da ginnastica e la Nike facesse gli spot al superbowl prendendoti per il culo. E così non vale, dai. Balzo spaziotemporale (a proposito di quantum leap): adesso siamo in Italia, nel ventunesimo secolo, e l’argomento che infiamma gli animi è la cottura della bistecca. C’è la scuola classica, costituita da una sorta di presocratici della lombata, la quale afferma che se la bistecca è stata sempre cotta così, si dovrà per forza cuocere così, e quel che conta è il manico: deve essere alta, altissima, tre dita, quattro dita, un braccio, messa sulle braci roventi, scottata violenta fuori e carne cruda dentro. E poi ti dà quel senso di selvaggio, lo strappare la ciccia a brandelli ti fa sentire predatore, e farsi i selfie da duro sicuramente aiuta ed esalta la liturgia del momento. Ci sono i modernisti, i quali confessano di preferire la carne che abbia almeno leggermente sentito un po’ di calore all’interno, e quindi dopo averla scottata la tengono in forno o in cottura indiretta fino al raggiun306 - BBQ4All MAGAZINE

gimento di una misurata con lo del “premiti sul mentre ti tocchi consistenza che

temperatura interna sciamanico metodo muscolo del pollice il medio, quella è la deve avere”.

Ci sono gli illuminati del Metodo Finney, la nuova scuola che rompe le tradizioni: si tratta di mettere la bistecca in forno a 100°C prima che sulla griglia, per disidratare la superficie, attivare la degradazione enzimatica e tutto il resto che ormai puoi recitare a memoria, dopo tutte le mail class lette e i corsi fatti. Poi a un certo punto arriva Gianfranco Lo Cascio col reverse searing e ti dimostra come a 55 gradi la mioglobina inizi a denaturare, e quindi non solo vogliamo fermarci a 52 gradi, ma vogliamo mantenere i 52 gradi per più tempo possibile; ti spiega anche come l’interno della carne cuocia per il calore che gli viene trasmesso dagli strati più esterni, e che se vuoi evitare il mouse ring (lo strato di stracotto) tu quel forno lo devi tenere non a 100°C, ma proprio a 52°C per un sacco di tempo. Ancora una volta scusa la rozzezza del riassunto, lo so che siamo su una rivista di cottura su fuoco, ma ormai questa cosa dovresti averla imparata

più che bene, e se ti manca qualche dato puoi riprendere in mano le mail class o i numeri precedenti di questo stesso magazine: un ripasso non fa mai male. Da qui, la guerra. Forse non lo sai ma esistono delle figure professionali (perché spero sia­ no pagati e non lo facciano per ossessione personale) che, in giro per la rete, spulciano ogni singolo post che parla di reverse searing e si indignano seguendo un copione ben definito e collaudato: - Dove l’hai letta questa cosa? - Ma almeno, almeno lo fai a 100°C?

Così ti salvi col Finney, e non è il metodo di quello lì. - Ah lo fai a 52°C? Ma lo sai che poi ti mangi i batteri morti cauterizzati? - Ho capito, fai parte di quella setta. Ti hanno fatto il lavaggio del cervello. - Puoi ancora salvarti: abbandona tutto, rinnega il marchio, unisciti al mio gruppo, siamo tutti amici e abbiamo come unico ideale la convivialità e la fratellanza che lega il mondo del grilling. - Ah, continui con 52°C? Aspetta che vado sul tuo profilo e ti scrivo delle offese ben mirate in base al tuo aspetto fisico, ai tuoi affetti o ai tuoi hobby.


- Sei una pecora, mi fai schifo come loro, hahah ora rido sguaiatamente con i miei amici bulli. Sempre così.

Non escludo che anche all’inverso (con il classicista o il seguace di Finney nella parte del contestato) succeda la stessa cosa: uno scontro ridicolo e senza filo logico, solo che ho molte meno evidenze della cosa, perché ci sono molti meno personaggi avvelenati con qualche rancore irrisolto. O forse perché semplicemente ne vedo di meno io, perché guardo nel posto sbagliato. Non voglio essere categorico a riguardo o prendere una posizione giusto/sbagliato, sto solo parlando della maniera paleolitica che il mondo del grilling ha per risolvere le controversie di filosofia e di biochimica spicciola. Non posso e non possiamo dire con rigorosa esattezza chi usi il metodo migliore e chi sia contemporaneamente il più corretto nel raffrontarsi agli esponenti di una diversa scuola di pensiero, in una sorta di Principio di Indeterminazione di Heisenberg applicato al mondo della cottura su fuoco (questo googolatevelo in autonomia se vi punge vaghezza, altrimenti questa rubrica non passerà mai le severe selezioni caporedattoriali). Copenhagen, 1923. Einstein, in visita nella città danese, si incontra con Bohr che lo accoglie alla stazione ferroviaria. I due prendono un comunissimo tram (probabilmente il tram con più QI per metro quadro nella storia del trasporto pubblico) per andare a casa di Niels, ma durante il tragitto sono così infervorati nella loro discussione che saltano la fermata e arrivano al capolinea. Imbarazzati prendono il tram nella direzione opposta, ma si distraggono di nuovo e arrivano all’altro capolinea. La quantità di ripetizioni di questo viaggio si perde nella leggenda, ma la storia è assolutamente vera. Il tedesco aveva dimostrato, insieme a Podolski e a Rosen, che la teoria sostenuta da Bohr era paradossale perché in contraddizione con la relatività ristretta (e a queste cose Albert ci tiene) e con il principio di località. Paradosso EPR, se ti interessa. La risposta di Bohr fu “è meraviglioso trovarsi davanti a un paradosso: adesso abbiamo l’opportunità di fare qualche progresso”.

I due continuarono a duellare fino alla loro morte. Il continuo botta e risposta generò una serie di teorie, dimostrazioni e nuove scoperte, rivoluzioni del pensiero filosofico e della concezione di realtà e tempo. Il laser, la risonanza magnetica, il touchscreen che accarezzi per ore ogni giorno sono in qualche modo derivati dalla fisica quantistica. Per confutare il Paradosso EPR è nata la teoria del Multiverso, secondo la quale esisterebbero infiniti universi generati da ogni nostra scelta (in realtà, da ogni evento con incertezza probabilistica). No, non è una creazione Marvel. No, non ti sto spoilerando il finale di Avengers Endgame, è molto, molto più complicato di così.

Nel frattempo, noi ci esibiamo in body shaming e offese alle mamme per sottolineare la correttezza del nostro modo di cuocere una fiorentina, o per valutare l’opportunità o meno di mettere la pancetta nella carbonara.

“Non esprimerti mai più categoricamente di quanto tu sia in grado di pensare” Niels Bohr, miglior troll del ‘900, vincitore di una polemica pluriennale con l’uomo più intelligente del mondo.

Albert Einstein ALMANACCO 2019

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MAGAZINE

N°5/ANNO 1 - MAGGIO 2019

SP EC IALE

PULLED PORK L’EDITORIALE DI GIANFRANCO LO CASCIO

GLI ERRORI DA NON FARE SE LO VUOI PERFETTO #CHIEDIALCOACH COME CONSERVARLO IN VASETTO LO SMOKE RING ANCHE L'OCCHIO VUOLE LA SUA PARTE


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EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO

UN PERFETTO

PULLED P O R K TUTTI NON DEVI

GLI ERRORI CHE

COMM ET TERE

Il successo non è tutto, è l'unica cosa. Perché okay, sbagliare ti rende umano, ma perseverare ti fa sembrare un po' gonzo. E poi, onestamente, ci sta che per imparare bisogna provare, provare, provare (cit.) ma al quarto pulled pork che finisce nel bidone dell'umido un po' mi girano le vent out. A te è mai capitato? Io dico di sì. Ti sei fatto in quattro, che dico, in trentadue, per trovare il taglio giusto, sei venuto pure alle mani col macellaio, e quello mena forte. Un'ora per ricamare un trimming da incorniciare, hai anche comprato la siringa nuova, mezza giornata per macinare le spezie del rub, poco che non stai preparando il tiramisù, metti in cottura pregando un pantheon tutto tuo, rimani lì a vegliare lo smoker, nella gioia e nel dolore, eppure il bastardo sta nascondendo uno spettacolo sotto il coperchio che sono certo non ti piacerà. Il risultato di tutti i tuoi sforzi è un manufatto a metà tra un reperto etrusco e una zolla di bitume. Secco, ma proprio arido forte. Tu non ti dai per vinto, provi comunque a pullarlo. E sorpresaaa: quelli non sono sfilacci di carne, ma riccioli di betulla islandica, il tuo pork si disintegra come una mensola dell'angolo delle occasioni Ikea. Meno male che è arrivato il numero di Maggio del BBQ4All Magazine, dedicato a una delle preparazioni della Holy Trinity del Barbecue americano.

Almeno in teoria, preparare un Barbecue Pork (sarebbe più corretto chiamarlo così) in modo perfetto dovrebbe essere semplice e lineare: prendi un pezzo di spalla di maiale e lo cuoci, classicamente con il metodo low&slow, finché non diventa tenero al punto da sfaldarsi o, per dirla nel nostro gergo, da pullare. Facile, no? No. Per arrivare al punto in cui la carne perde la sua struttura tenace e diventa morbidissima, tenerissima e succosissima, sciogliendo il collagene - una delle proteine del tessuto connettivo - in gelatina, è necessaria tutta una serie di accorgimenti che ti saranno chiari solo dopo averne preparati a decine. Ma che dico a decine? Sicuramente più di 37. In questo numero troverai diversi articoli che ti spiegheranno come si prepara il pulled pork in tutte le sue fasi, da come servirlo ai tuoi ospiti al rub perfetto da usare (uno spoiler? Il nostro Tennessee è la polverina magica che ti serve), da come conservarlo per lungo tempo a come condirlo. Io, invece, voglio ragionare al contrario. Voglio dirti tutto ciò che NON devi fare, gli errori che proprio non devi commettere perché il tuo barbecue pork sia leggendario. Ti assicuro, gli sbagli che trovi in elenco qui sotto li hanno fatti tutti, prima o poi, Zio compreso (poche volte però). Quindi adesso mettiti comodo, apri una birretta e continua a leggere. ALMANACCO 2019

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1° errore: scegliere il taglio sbagliato. Facciamo un esperimento di mentalismo. Alza la mano se ti è mai capitato di fare questo ragionamento: se il Pulled Pork realizzato con un taglio povero come la spalla è così buono, quanto migliore sarà se realizzato con un taglio nobile come la coscia? Ti vedo. Sei lì con la mano alzata. Lo ammetto, quando ero un pischello alle prime armi ho formulato il tuo stesso identico pensiero e ci ho provato: il risultato è stato un ammasso di sfilacci di cartone tipo imballo da cristalleria. E sai perché? Molto semplice. Nel mondo delle idee, il maiale sfilacciato si può ottenere da qualunque taglio del suino, ma nel concreto dobbiamo creare le condizioni tali per cui calore, umidità e tempo degradino l’indeformabile collagene in tenera gelatina. Il taglio che ci serve deve avere la giusta quantità di grasso, che incrementa l'umidità e conferisce sapore, e deve avere anche una notevole quantità di collagene, che una volta convertito in gelatina diventa un incameratore di moisture molto efficace. La coscia di maiale è un taglio decisamente meno gras-

so della spalla e con un contenuto di collagene inferiore. Ecco perché è un taglio poco adatto. Scegli quindi uno di questi tagli e vai sul sicuro: Boston Butt (taglio americano): è IL taglio per eccellenza. La porzione di spalla assicura il corretto apporto di collagene, mentre la coppa conferisce la giusta quantità di grasso, gusto e succosità. Il Boston Butt lavorato correttamente comprende al suo interno la scapola (“paletta”), la cui presenza garantisce un boost di sapore. Il sezionamento squadrato e la grande compattezza completano l’insieme. Pic Nic (taglio americano): la presenza di una notevole percentuale di ossa sul totale amplifica il gusto, mentre la quantità di collagene è, forse, sovrabbondante. Si tratta di un taglio più economico e dalla resa inferiore, ma ti permette di realizzare un Pulled Pork con caratteristiche abbastanza simili a quelle del Boston Butt. Coppa di maiale (taglio italiano): buona quantità di grasso e quindi sapore intenso, il suo limite risiede nella quantità di collagene non ottimale. Il risultato sarà un Pulled Pork saporito ma che tenderà a disidratarsi abbastanza in fretta, per quanto il grasso assicurerà morbidezza e aromi importanti (che non sempre è un difetto). Spalla di maiale (taglio italiano): al contrario della cop-

BOSTON BUTT

PICNIC

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pa, qui abbiamo una gran quantità di collagene su un taglio abbastanza magro. Il Pulled Pork preparato con la spalla sarà poco saporito, aiuta molto utilizzare la variante con osso. 2° errore: fare le injection a casaccio In rete si leggono cose che voi umani... Le injection sono fondamentali per la riuscita di un ottimo pulled pork. Ma è inutile, oltre che deleterio, utilizzare sbobbe fantasiose fatte con: brodo di cinghiale, liquido di governo della burrata, olio quello buono di miocuggino, peperoncino, filetti di acciughe, capperi e basilico “perché voglio dargli un sapore più italiano”. Le injection devono avere un senso. La denaturazione delle proteine può avvenire anche per via chimica. Due elementi in grado di favorire questo processo sono il sale e l’acidità. Ecco perché è molto importante “pompare”, tramite una siringa, una salamoia acidificata all’interno del pezzo di carne qualche ora prima della messa in cottura. La dose ideale è un litro d’acqua, 40g di sale e 5 cucchiai di aceto di vino bianco/rosso/succo di limone/salsa Worcestershire. Da lì in poi si possono aggiungere aromi o grassi, ricordando sempre, però, che i sapori troppo forti (come aglio, spezie particolari, peperoncino) invece di esaltare il sapore della carne, tendono a coprirlo. La quantità di injection consigliata è del 10% rispetto al peso della carne. Questo, come sempre, in teoria: sarà la

tua esperienza a guidarti di volta in volta, a seconda del pezzo di ciccia scelto. Fai attenzione: le punturine devono essere dosate e a breve distanza l'una dall’altra, in modo da evitare ristagni di liquido. Inoltre, inizia a siringare dopo aver inserito l'ago nella carne ed estrailo progressivamente durante l’iniezione, per ottenere un risultato più omogeneo. Metti un grembiule perché iniettare è peggio che fare rafting. 3°errore: non capire quando usare il water pan Il Bark (lett. “corteccia”) è la tipica crosticina superficiale che si forma sui grossi tagli di carne sottoposti alla lenta ed inesorabile disidratazione delle basse temperature. Il pulled pork ideale deve presentare degli sfilacci che abbiano come cappello un Bark perfettamente aderente, più spesso, sapido ed intenso di quello di altre preparazioni barbecue. Il giusto grado di umidità all'interno della camera di cottura, quindi, sarà fondamentale per non trasformare il rub in una pappetta che si aggrappa ferocemente ai premolari. Non dirlo, so cosa stai per chiedermi: “devo o no usare il water pan per stabilire il giusto grado di umidità?” L'ho sentito dire spesso, “io il pork lo faccio senza water pan!”, come se farne a meno fosse una cosa da vero

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maschio alfa. L'utilizzo di questo strumento non c'entra nulla con il tuo livello di testosterone, e sono due le cose fondamentali che devi ricordare: 1. quanti pezzi di carne stai cuocendo? Una camera di cottura piena di spalle sarà probabilmente saturata di umidità dalla semplice naturale evaporazione della materia prima. Al contrario, una camera di cottura molto grande con una sola spalla all’interno necessiterà dell’ausilio di un water pan; 2. su quale dispositivo stai cuocendo? Con un bullet smoker avrai probabilmente la necessità di contenere l’umidità, con un offset smoker di intensificarla un pochino. Chiaro, no? 4° errore: ignorare cosa avviene durante la cottura A prescindere dalle due grandi scuole di pensiero sulla cottura, cioè “low&slow” e “hot&fast”, quello che proprio non devi fare è saltare la fase di Rest (mantenimento). Per fartela breve: alcuni sostengono che cuocere a bassa temperatura per più tempo sia meglio, altri invece preferiscono cuocere ad alta temperatura riducendo drasticamente i tempi. Il consiglio che ti do è questo: diffida da chi si schiera in modo netto per l’una o per l’altra tecnica. Lo scioglimento del connettivo non avviene solo ad una data temperatura. La questione è che a determinate temperature questo processo si accelera in modo significativo, ovvero in un range compreso fra 70°C e 82°/85°C. A 85°C si registra il picco della velocità di scioglimento del connettivo. Questi 85°C però non fungono da “interruttore”: non è che arrivando a temperatura il connettivo si scioglie tutto per magia. Il punto è che mantenendo la carne a questa temperatura sto velocizzando il processo di scioglimento. Che comunque ci impiegherà, realisticamente, qualche ora. Ed è proprio qui che entra in gioco la fase di Rest, cioè di riposo. Maggiore è il tempo in cui lasci la carne all’interno di questo range di temperature, più completo sarà il processo di scioglimento. Ora, capisci bene che il modo in cui arrivi alla temperatura target è assolutamente ininfluente (low&slow/ hot&fast) se ti sei preoccupato di favorire la denaturazione per via chimica (injection di salamoia acidificata). Che cosa cambia, quindi, se lo fai lentamente o velocemente? Cambia l’effetto superficiale e quindi il sapore. Una cottura in low&slow, magari in foil, rende più critica la formazione e il mantenimento del bark. Una cottura in hot&fast incrementerà il sapore di “arrostito” grazie alla velocizzazione dei processi di cauterizzazione (reazione di Maillard). Ma di certo l’hot&fast non facilità né complica il processo di scioglimento del connettivo in gelatina; quello accadrà comunque, è solo una questione di tempo. Quali sono i pregi e difetti del low&slow? Gestione più semplice del processo di cottura a fronte di tempi più lunghi. Quali sono i pregi e difetti dell’hot&fast? Gestione mediamente più complessa a fronte di tempi sensibilmente più brevi e note “arrostite” più marcate. Resta inteso che senza il controllo della fase di scioglimento del connettivo, i due metodi non apportano ulteriori benefici. 314 - BBQ4All MAGAZINE


5° errore: scegliere la materia prima con superficialità Tutta questa fantastica discettazione perde ogni significato se chi la adotta non diventa prima di tutto un grande selezionatore di materia prima di qualità. L’età dell’animale, per esempio, determina il tipo di struttura del connettivo: immagina la coriaceità dei tessuti di un rinoceronte comparate a quelle di una quaglia. La degradazione enzimatica delle proteine post mortem (collagenasi, catepsine & co.) determina la solidità della struttura del connettivo di quel preciso animale che richiederà tempi di cottura sicuramente diversi rispetto a qualunque altro. Fondamentale è anche la quantità di grasso intramuscolare, che può dipendere da mille fattori: resta certo che il giusto livello di marezzatura e frollatura di una bestia faranno una differenza abissale rispetto ad un suo fratello magro e appena macellato. Soprattutto, la quantità di liquidi ritenuti nei tessuti e il pH della carne possono dare risultati completamente diversi. Devi quindi scegliere la tua materia con la consapevolezza di quello che vai a comprare. Sento dire spesso: “per il primo esperimento uso la carne peggiore, così non rischio di sciuparla”. Stampatelo bene in mente, perché ciò che ti dirò vale per il Pulled Pork come per qualsiasi altra preparazione. Se vuoi fare un primo esperimento senza rischiare di sciupare la tua preparazione gli unici accorgimenti che devi usare sono: studiare bene i procedimenti (in troppi si mettono a provare avendo letto qua e là distrattamente poche informazioni) e usare la ciccia di prima qualità.

Sai perché? Perché con quella di scarsa qualità avrai la certezza assoluta che la tua preparazione sarà un disastro. Sprecherai tempo e soldi, sarai frustrato e indispettito e soprattutto non potrai capire se quel risultato vergognoso sia dipeso da un tuo errore o solo dalla pessima qualità della carne. Facciamo quindi un breve recap. Per il Pulled Pork perfetto devi conoscere la tua materia prima, sapere quando è stata macellata, verificarne colore, odore e marezzatura. Poi devi procedere ad una preventiva denaturazione del connettivo inoculando una salamoia acidificata e lasciandola agire per alcune ore prima di andare in cottura. Quando sei pronto per cuocere, devi scegliere il tipo di bark che vuoi ottenere, seguendo l’una o l’altra scuola di pensiero, ma tenendo bene a mente che sono il mantenimento e il monitoraggio della fase di scioglimento del connettivo (cioè quella in cui la carne rimane per qualche tempo ad una temperatura minima di 85°C) che ti assicurano il risultato perfetto. Sai come si fa. Adesso sarà solo l’esperienza a fare la differenza. Provare, provare, provare. Da solo, purtroppo, ma senza paura di sbagliare: ogni errore ti avvicinerà al successo. E tu, che sei un lettore del BBQ4All Magazine, sbaglierai meglio degli altri. Braci e abbacchi Gianfranco Lo Cascio

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INDICE

A PP RO FO N D I M E N TO

lo Smoke Ring

MAGGIO 2019 - NUMERO 5 ANNO 1

anche l'occhio vuole la sua parte

I N T E R V I S TA Juan Manuel Lobato Palomero

selezionatore di Jamon

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PULLED PORK SPECIALE

318 330

358

362

D U LC I S I N F U N D O

324

American Pie

332

WINE CLASS inizia l'allenamento

accendete il naso

IL BBQ P E R P R I N C I PA N T I

Lo Accendiamo?

tutti i setup del dispositivo a carbone

360

D I S POS I T I V I E ACC E SS O R I

il water pan

tutto quello che c'è da sapere

N O N S O LOCA R N E

Hamburveg

È ORA DI

BERE ! ABBINAMENTI CONSIGLIATI

316 - BBQ4All MAGAZINE


342 Introduzione: il Boston Butt 344 Pulled Pork: il procedimento 350 Polpette di Pulled Pork e Jalapeños 352 Ravioli al vapore ripieni di Pulled Pork 354 Pulled Pork Sandwich 356 Sale&Whisky in Zucchina

THE CHEMICAL GRILLERS

Brining: chapter one

#CHIEDIALCOACH

366 372 378

SEGUO 376

GLOSSARIO BBQ ALMANACCO 2019

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NICE TO MEAT YOU - INTERVISTE a cura di PAOLO TUCCI

DIRETTAMENTE DA MADRID TUTTO QUELLO CHE AVRESTI VOLUTO CHIEDERE

AD UN SELEZIONATORE DI

J A M ON

IBERICO DE BELLOTA

Questo mese abbiamo deciso di portarvi nel cuore della penisola iberica in una piccola cittadina appena fuori Madrid. Lì da più di 40 anni il nostro amico Juan Manuel Lobato Palomero insieme alla sua famiglia seleziona i migliori prosciutti di maiale iberico di Spagna, li fa maturare nelle sue cantine per poi venderli interi e affettati. Volendo indagare il mondo del vero Jamon spagnolo pensavamo di trovarci davanti un prodotto gustoso ma relativamente semplice. Con grande sorpresa abbiamo potuto degustare un vero e proprio universo, fatto da razze, incroci, alimentazione, tecniche di allevamento, controllo della qualità e alcuni preziosi segreti: una serie infinita di variabili che compongono l’anima di questo salume eccellente. In questa intervista e in alcuni articoli di prossima pubblicazione cercheremo di condividere con voi tutti i segreti di questa vera punta di diamante della gastronomia spagnola

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Nome? Juan Manuel Lobato Palomero, Juanma per famiglia ed amici. Di dove sei? San Sebastián de los Reyes, cittadina appena fuori Madrid, Spagna. Professione? Responsabile della qualità dei negozi Jamonalia a Madrid. Non conosco Jamonalia... Dal 1976 Jamonalia si occupa di trovare i migliori salumi ed insaccati spagnoli principalmente a base di carne di maiale iberico, farli maturare e offrirli ai clienti, educandoli alla complessità di sapori del vero prosciutto spagnolo, dal cebo and cebo campo, fino ad arrivare al prosciutto di maiale iberico alimentato a ghiande. All’interno dell’azienda di cosa ti occupi? Mi occupo della selezione di prosciutti, lombate, salsicce e salumi provenienti da tutte le regioni di Spagna. Il mio lavoro è principalmen320 - BBQ4All MAGAZINE

te orientato al futuro, poiché devo acquistare con due anni di anticipo i tagli di qualità migliore che andremo ad offrire ai nostri clienti, pensando a come evolveranno durante la maturazione, garantendo così che i nostri prosciutti soddisfino i parametri ottimali di qualità e gusto. Un “affineur” di prosciutti insomma! Come hai imparato il tuo lavoro? Beh, non saprei dirti dove, o come, perché i miei primi ricordi sono di quando la domenica, ancora bambino, accompagnavo mio padre nel suo lavoro di selezione dei prosciutti. Avevo 5-6 anni, e sfrecciavo fra le gambe degli operai intenti a raccogliere ed appendere i prosciutti alle corde, giocando con i carretti dove veniva trasportato il preziosissimo carico, che al tempo per me rappresentava semplicemente “la merenda”. Correvo intorno ai prosciutti che si asciugavano e mio padre, preoccupato, urlava "Attento Juanma a non scivolare sul grasso a terra !!!” - quel grasso di maiale iberico che, fondendo a bassa temperatura, goc-

ciola giù dai prosciutti quando sono lentamente asciugati negli essiccatoi naturali ed esprime con il suo aroma la promessa del gusto succulento che verrà. Jamonalia . . . storia di famiglia? Assolutamente. Mio padre è arrivato a Madrid con i suoi genitori dalla campagna che aveva 13 anni e si è messo subito a lavorare. Ha iniziato nel settore alberghiero, in un bar che serviva colazioni ai muratori che si recavano al lavoro prima dell’alba. Da adolescente sbrigava commissioni e consegnava pacchi per diversi negozi di Madrid, e così ha incontrato quello che sarebbe diventato il mio nonno materno, che aveva un piccolo alimentari (uno di quelli che vende davvero di tutto) e che gli fece conoscere per primo il mondo dei prosciutti. Fu così che iniziò a lavorare in un negozio specializzato in prosciutti e salumi, in uno dei mercati più importanti della capitale. In poco tempo mio padre divenne l'uomo di fiducia del suo capo, che iniziò a portarlo in viaggio per trovare i migliori


produttori e allevamenti della penisola iberica. È stato allora che iniziò a ispezionare migliaia e migliaia di prosciutti ogni anno, il che gli ha permesso di imparare rapidamente a individuare i pezzi migliori e rimuovere quelli che non soddisfacevano i criteri di "cala" ottimali. Da lì ad aprire il suo primo negozio, il passo è stato breve. Perdonami, cos’è la Cala? La cala è un utensile di osso di cavallo molto appuntito con un piccolo manico di legno. Lungo circa 8-10 cm, lo utilizziamo per pungere il prosciutto o la spalla e verificarne qualità e stato di conservazione all’interno. Annusando l’aroma che rimane sull’osso possiamo capire lo stato di avanzamento della stagionatura di ogni pezzo e i possibili problemi come l’eccesso o mancanza di sale e lo sviluppo di microorganismi nocivi. L'incisione dovrebbe essere fatta rapidamente (2-3 secondi), portando l'utensile al naso per annusare gli aromi. Le articolazioni sono i punti ideali per l'inserimento dell’ago, in questo modo non si alterano i processi microbiologici caratteristici della lenta stagionatura del prosciutto iberico.

Nel tuo negozio ho visto prosciutti interi ma anche buste di prosciutto e insaccati già tagliati. Come mai? È vero che il prosciutto appena tagliato è uno spettacolo sensoriale, ma in una casa moderna è difficile poter tenere diversi giorni un prosciutto intero aperto nelle condizioni idonee che evitano che si asciughi o irrancidisca. Ho tre fratelli tutti cresciuti come me a pane e jamón, ricordo che in casa nostra un prosciutto durava appena una settimana, quindi ogni fetta conservava un aroma, gusto e aspetto sempre perfetti e appetitosi. Ma ora è difficile trovare un prosciutto in queste condizioni poiché le famiglie sono più piccole, consumano meno e più lentamente, e in molti casi le cucine o i luoghi in cui riporre il prosciutto sono più piccoli e meno attrezzati. Quindi se sai come tagliare il prosciutto e lo vuoi consumare tutto insieme durante un evento o una festa a casa festa ti consiglio l'intero pezzo. Ma se vuoi gustare durante una cena speciale o un momento particolare un prosciutto Iberico dal colore, aroma e sapore perfetti ti consiglio di aprire una busta sottovuoto. Basta avere cura di servirla fra i 20°

e 25 ° C per poterti godere ogni fetta, già tagliata alla perfezione da un maestro cortador specializzato. Prosciutto Iberico o Serrano. Cosa mi consigli? Due prodotti che pur essendo entrambi buoni sono come il giorno e la notte. L’iberico è quello che rende la Spagna esclusiva nel mondo perché, come dice la stessa parola, l'iberico fa parte della nostra penisola iberica. Qui abbiamo l'ecosistema perfetto che regala al maiale iberico il nutrimento più appetitoso ovvero le ghiande che cadono dai lecci e dalle querce da sughero delle dehesas di Extremadura, Salamanca, Huelva e Valle de Pedroches. Il prosciutto Serrano deriva da altre razze più comuni e producibili in tutto il mondo, quindi smette di essere qualcosa di esclusivo come è il nostro prosciutto iberico di bellota. Il taglio senza cui non puoi vivere? Senza alcun dubbio un Jamón de Bellota anche se, quando la parte della spalla è ben tagliata, se la gioca benissimo nelle degustazioni che organizziamo nei nostri negozi. Del maiale Iberico amo però selezionare e far assaggiare non solo il Bellota ma anche il Cebo, alimen-

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tato con mangimi selezionati, sia il Cebo Campo, alimentato a ghiande e mangimi tradizionali. Sono prodotti spettacolari perché il segreto è nella razza iberica nel suo complesso. Quando parliamo di Bellota, quindi maiale Iberico alimentato esclusivamente con ghiande, tengo sempre a specificare la percentuale della razza. In che senso la razza? Il maiale Iberico può essere legalmente incrociato con la razza Duroc, e a seconda della percentuale di incrocio si ottengono risultati organolettici sempre diversi. Aumentando la percentuale di maiale iberico il colore diventa più scuro e sapore e colore si concentrano diventando più forti. Non a tutti i clienti piace un maiale Iberico 100% alimentato a ghiande, alcuni preferiscono Cebo o Cambo o dei Bellota 50%. Se a casa o ad un evento ci sono persone diverse in termini di età o di gusti e chi ospita vuole accontentare tutti consiglio sempre un prosciutto bellota con un pedigree di 50% maiale iberico, ma per chi ha mangiato

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spesso Jamon e vuole goderselo ad esempio con un buon Sherry, allora suggerisco un 75% o 100%. In alternativa al prosciutto? Per gli embutidos preferisco il lomo, principalmente di bellota, anche se quando mi imbatto in un buon chorizo di campagna, non resisto e lo devo provare. C’è un prodotto eccellente che crea un nostro artigiano, lo fa benissimo, una morcilla iberica stagionata per minimo 70 giorni con una ricetta segreta che ti consente di percepire oltre alla sapidità del maiale, aromi e sapori squisiti di affumicato, cumino e paprika. Fuori dal mondo del maiale iberico scelgo sempre una riserva di cecina di vacca vieja, stagionata in essiccatori naturali tra i 15 ei 20 mesi e affumicata solo ed esclusivamente con legno di quercia. E se volessimo aprirci una buona bottiglia? Indubbiamente vini spagnoli pieni, grassi, come una buona manzanilla o uno sherry. Con un Jamon Ibérico

100% bellota, preferisco o uno sherry palo cortado o optare su vini rossi più leggeri provenienti dalla Ribera Sacra o a base di uva Tempranillo della Ribera del Duero. Per i vini italiani...sono io che chiedo a te Paolo! Abbinamento particolare : musica e jamón. Si può fare? Assolutamente sì. Personalmente sono cresciuto con il rock di Keith Richards, Nuno Bettencourt degli Extreme, Slash dei Guns and Roses o i Tesla e i Black Crowes. Quando,nel silenzio della sera, mi siedo a mangiare un buon jamón ibérico l’abbinamento perfetto per me è ascoltare il flamenco. Tutto un altro sapore! il tuo ricordo più bello in Jamonalia I viaggi che ho fatto con mio padre, imparando a scegliere il meglio del meglio e le prime riserve di prosciutti che ho creato io stesso. Belli sono quei momenti quando condivido un tavolo con agricoltori, allevatori di porci o contadini che ti raccontano tutti i dettagli segreti delle dehesas e delle linee di sangue antiche e pre-


ziose dei loro maiali iberici vecchie di generazioni. Penso che sia qualcosa che non ha prezzo, perché nulla di quello che raccontano potrà mai essere veramente scritto in un libro. Ogni stagione, ogni dehesa, ogni animale è unico. Cosa significa Jamonalia per te? Jamonalia significa, tradizione, esperienza, eredità, famiglia e sapore. Ogni persona che entra da noi viene per una ragione diversa. Un cliente può gradire più questo o quel prodotto, ma ciò che è chiaro che non potrà rimanere indifferente, perché in Jamonalia cerchiamo di differenziarci da ciò che viene offerto nei grandi magazzini, supermercati o ipermercati. Il prosciutto è tradizione, dedizione ed è per questo che se vuoi qualcosa che ti sorprende devi andare nei negozi specializzati, perché è lì che c'è anima, passione e soprattutto criterio nella scelta dei prodotti. Noi viviamo ogni istante per creare un’esperienza gustativa unica per i nostri clienti! Fantastico. Non vedo l’ora di tornare da voi per una degustazione. A presto Juanma! ALMANACCO 2019

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WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI

INIZIA L'ALLENAMENTO

AC C E N D E T E

IL NASO 8 vini e una birra incredibile da annusare come segugi (i profumi del vino, terza parte)

La teoria della degustazione è nulla senza pratica e stappo compulsivo. Costruirsi un bagaglio olfattivo è affascinante come poche altre cose anche per chi, come me, ha una memoria pessima. Indiscutibilmente, i grandi vini del mondo offrono una gamma di profumi insuperabile per fascino, complessità e dinamismo: tanti odori che evolvono nel bicchiere e si rincorrono, non necessariamente intensi ma stratificati, cangianti. Alcuni memorabili. Iniziare subito da quelli, però, sarebbe un errore. Come salire in una Ferrari appena presa la patente: non hai gli strumenti per guidarla. Così tanta potenza e così poco controllo per godere fino in fondo. Meglio avvicinarsi per gradi ai grandi miti, stimolare il naso preparandolo alla complessità, allenarsi nel riconoscimento delle famiglie di profumi e lasciarsi suggestionare da vini di tutti i generi, senza preclusioni. Ho scelto 9 bottiglie che mi sembrano perfette per iniziare, “didattiche” e molto significative. Alcuni sono vini di cui è impossibile non innamorarsi follemente, quindi fate attenzione. Si comincia! 324 - BBQ4All MAGAZINE


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TAV E R N E L L O R O S S O

Esattamente lui. Il brik più bevuto in Italia. Un litro di vino cooperativo da decine di milioni di pezzi a poco più di un euro. Prototipo del vino industriale per eccellenza, chiarificato, stabilizzato e filtrato per essere sempre fedele a se stesso. Lo produce Caviro in uno stabilimento visibile dall’A14 all’altezza di Forlì che, a pieno regime, lavora giornalmente 850.000 litri di vino: quanti un artigiano da 30.000 bottiglie l’anno ne produrrebbe in una vita. Terribile? Al contrario: liquido pensato e studiato per piacere a tutti stando nel mezzo, senza eccessi. Un po’ di profumini di frutta rossa ma non troppi, un po’ di corpo ma non troppo, un po’ di profondità gustativa ma di certo non troppa. Ormai 6 anni fa feci il giochino di far assaggiare il Tavernello Rosso alla cieca in una fiera dei vini naturali. Nessuno che lo riconobbe, nessuno che parlò di vino “chimico”, “industriale”, “banale”. A forza di togliere e pulire, non ci sono tanti profumi ma è un inizio perfetto. Da provare come esercizio altamente istruttivo per poi bere altro. (O da servire, alla cieca, agli amici per divertirsi un po’. Specie a chi dice di capirci).

L AM B R U SCO D I S O R BA RA RA D I C E , PA LT R I N I E R I

Il giorno in cui Dio inventò l’unto maialoso delle pork ribs bevve Lambrusco, nella Bibbia è scritto di sicuro. Quello dei Lambruschi, in realtà, è un micromondo a sé che parla emiliano. Impossibile non dividersi tra Guelfi e Ghibellini, Don Camillo e Peppone, Sorbara e Grasparossa. Siamo nel cuore mondiale del vino frizzante, di nome e di fatto. Gente allegra il ciel l’aiuta e quando nasci tra Parmigiano Reggiano, mortadella, tortellini e culatello hai già fatto bingo. Sorbara è il lato rosa/rosso pallido e acidulo del Lambrusco e Alberto Paltrinieri è un nome di riferimento: se la denominazione negli ultimi anni ha riguadagnato un valore è anche grazie a lui. Viticoltura di pianura, rese sopra i 100 quintali per ettaro (quindi alte) e vendemmia spesso meccanizzata non farebbero pensare all’alta qualità ma il mondo è bello perché vario e imprevedibile. Radice è un Lambrusco di Sorbara in purezza e profuma di lamponi non troppo maturi e pompelmo, in un mix agrumato avvincente. Vino da merenda perfetto.

F O N TA N A D E I B O S C H I E M I L I A L A M B R U S CO, V I T TO R I O G RA Z I A N O

Dopo un pranzo da fine del mondo al Ristorante Laghi di Campogalliano, tempio dei Lambruschi e dell’Emilia a tavola, saliamo in collina verso Castelvetro di Modena. Qui troviamo l’uva lambrusco grasparossa e cambia tutto: il vino si fa scuro, viola/rubino impenetrabile come i profumi che virano su frutti di bosco, visciole, fragole acerbe e qualche spezia. Vittorio Graziano è un highlander di Castelvetro e sembra uscito da un film di Federico Fellini, giacca di pelle, ciuffo bianco ed eloquio schietto. Fontana dei Boschi è un vino introvabile: non si sa mai quando esce, non si sa esattamente l’annata (solo approssimativamete intuibile leggendo il codice del lotto di produzione) e rappresenta un piccolo gioiello artigianale. L’unico consiglio sensato che si possa dare trovandone in giro è comprarlo sempre e ovunque. Vino del cuore.

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F R A N C I A C O R TA B L A N C D E B L A N C S B R U T , C AVA L L E R I

Quanto mi piace questo Metodo Classico, ormai “classico” davvero per meriti acquisiti sul campo. Dopo due frizzanti rifermentati in bottiglia e senza sboccatura, opalescenti e nervosi, arriva una signora in giallo, elegante e affabile, bottiglia trasparente e dettagli dorati. Il Blanc de Blancs di Cavalleri, 130.000 bottiglie prodotte con solo chardonnay coltivato in biodinamica, è ben distribuito e risulta una scelta azzeccata per iniziare una serata alla grande senza strafare. Il naso è avvolgente e suggestivo, immaginate profumi di pan brioche, scorza d’arancia e pesca gialla insieme: dolcezza ma non solo perché poi il sorso ha ritmo. La presa di spuma di 24 mesi, il dosaggio all’imbottigliamento di soli 2 g/l di zucchero e un livello di solforosa totale decisamente basso per gli standard sono numeri abbastanza sterili per trasmettere davvero la piacevolezza complessiva di questo Franciacorta.

V E R D I C C H I O D I M AT E L I C A , C O L L E S T E FA N O Quanti italiani saprebbero indicare il comune di Matelica sulla cartina? Lo 0,0001% ad essere fiduciosi. Peccato! Perché qui nasce uno dei vini bianchi italiani che potrebbero affascinare il mondo, purtroppo ancora nascosto come la terra che lo ospita. Nell’unica valle marchigiana disposta da nord a sud, quindi al riparo dagli influssi marini, il Verdicchio si fa montagna, diventa severo e tremendamente affascinante per un carattere asciutto e penetrante. Collestefano è stata per anni una one wine winery, un’azienda che produce un solo vino. Con riflessi verdolini e dal profumo di erba medica, finocchietto, pesca bianca, mela verde e genziana. Tenuta nel tempo garantita, spesa intorno ai 10 euro, vino da prendere a bancali.

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G I A L L O D I C O S TA , D A N I E L E R I C C I Dai colli di Tortona, provincia di Alessandria, all’alta ristorazione di Milano (Contraste, stellato consigliatissimo), finendo sulla tavola di Belen Rodriguez, il passo è breve. Se parliamo dell’uva timorasso e della sua zona d’elezione è solo grazie ad una persona: Walter Massa ci crede da trent’anni e i risultati sono importanti. Giallo di Costa è una personalissima interpretazione di Daniele Ricci, che lascia il succo delle sue uve migliori, i grappoli perfetti, per 90 giorni a contatto con le bucce. Interventismo ai minimi termini e botti di acacia fanno il resto per questo bianco aranciato che ha fatto impazzire Belen in una recente cena: “ricorda il whisky” non è affatto male come descrizione, suggerisce profumi boschivi decisamente insoliti per un vino “bianco”. Poi probabilmente troveremmo miele di castagno, pesca e albicocca disidratate, agrumi canditi.

L AC R I MA D I MO R R O D’ A L BA S U P E R I O R E , S T E FA N O A N T O N U C C I

Morro d’Alba non è famosa per il vino come Radda in Chianti né per i fiori come Sanremo ma dovendo indicare una bottiglia che sembra fatta mettendo tritolo dentro a un fioraio con la passione per le rose, quel vino sarebbe fatto con un’uva che si chiama lacrima e quel fioraio sarebbe Stefano Mancinelli, vero padre putativo della denominazione. Tra le colline marchigiane si nasconde questo gioiellino il cui profumo di rose è deflagrante, quasi ossessivo. Poi ci sono anche viole, frutti di bosco, olive nere e muschio, ma è la componente floreale a togliere il respiro

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V E R D U N O P E L AV E R G A B A S A D O N E , CAST E L LO D I V E R D U N O In terra di Barolo, dove il nebbiolo regna sovrano scortato da dolcetto e barbera, è difficile emergere ma a Verduno, comune da cui solitamente provengono Barolo raffinati e leggiadri, c’è una piccola chicca che si chiama Pelaverga. Nome curioso per un vitigno-vino rubino trasparente che al naso è indimenticabile: pepe, fragola e noce moscata. Spezie a nastro e un fruttino ad ingetilire. Quello del pepe è un profumo penetrante, caratteristico degli Schioppettino in Friuli Venezia Giulia, degli Shiraz australiani e della Vernaccia di Serrapetrona nelle Marche. Quando trovate uno di questi vini, ordinatelo convintamente e, a un certo punto, esclamate: “Ahh, senti come spinge il rotundone!” (che è la molecola responsabile del profumo di pepe). Successo assicurato.

G U E UZ E , CA N T I L LO N In chiusura, per aprire le porte della percezione, la birra più sconvolgente che vi possa mai sopraggiungere sotto al naso. Un monumento dell’arte brassicola che viene dal Belgio, più precisamente dal Pajottenland, sudovest di Bruxelles, patria delle birre a fermentazione spontanea (anche dette birre acide o sour beers). Niente di lontanamente paragonabile a cosa vi sia capitato di bere fino ad oggi. Attenzione però: il primo appuntamento di solito è terrificante. Se il lambic (rigorosamente al maschile) è una birra a fermentazione spontanea, tendenzialmente piatta, una gueuze miscela lambic giovani (con maturazione inferiore ai 6 mesi) e invecchiati. Cantillon è la quintessenza dello stile ma a spiazzare sono profumi acri, inizialmente respingenti, citrini e selvaggi, combinati ad una acidità devastante. Se qualcuno coniasse il descrittore “succhi gastrici” non mi stupirei. Cantillon mette in retroetichetta una data di “scadenza” che solitamente non è inferiore ai 20 anni. Per molti, però, l’approdo è senza ritorno perché la personalità contundente di una Gueuze Cantillon è perfetta alle 5 di pomeriggio come aperitivo ma anche alle 3 di notte dopo il whisky. Il concetto spiazzante ma empiricamente indiscutibile è che non esiste assaggio di qualsiasi bevanda al mondo che possa oscurare quello di una grande birra acida. Provare per credere.

E il prossimo mese ci facciamo un bel giro in Ferrari tutti insieme. ALMANACCO 2019

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DISPOSITIVI E ACCESSORI - RUBRICA a cura di MICHELE CHIPA

WAT E R PA N

TUTTO QUELLO CHE C'È DA SAPERE SUL

Molto spesso si sente parlare, nelle varie ricette bbq, di water pan. Ed ogni volta sorgono le stesse domande: “A cosa serve?”, “Hai messo solo acqua oppure hai aggiunto altri liquidi?”, “E se ci mettessi sale o sabbia?”. In questo articolo vi darò le risposte alle domande più frequenti.

Cos’è il water pan? Il water pan non è altro che un contenitore per l’acqua. Il termine identifica un componente dei bullet smoker (affumicatori verticali) ma nel gergo comune si intende esteso, seppur erroneamente, a qualsiasi altro contenitore con bordi alti (vaschette di alluminio, teglia, etc). A cosa serve? Le funzioni del water pan sono molteplici. Alcune comuni a tutti i dispositivi ed altre specifiche per un determinato strumento. Funzioni comuni → la funzione principale del water pan è quella di aiutare la stabilizzazione della temperatura. L’acqua contenuta assorbe il calore e funge da volano termico (una volta arrivata a temperatura di ebollizione continua ad assorbire calore per mantenerla). Il vapore acqueo che si crea genererà umidità in camera di cottura e andrà ad agevolare un’affumicatura omogenea dell’alimento. Se dovete rabboccare l’acqua nel water pan, ricordatevi di utilizzare quella calda per evitare bruschi cali di temperatura. Funzioni specifiche per bullet smoker (affumicatori verticali) → poiché in questi strumenti il combustibile è situato in basso, il water pan funge da schermo protettivo per le griglie innescando, quindi, la cottura indiretta. Inoltre il pan diventa un’unica superficie radiante assicurando una omogeneità di temperatura sulla griglia. Funzioni specifiche per kettle → in questi dispositivi il water pan se posizionato sulla griglia carboni accanto al combustibile raccoglie i succhi della carne (diventando a tutti gli effetti un drip pan riempito di acqua). 330 - BBQ4All MAGAZINE

Si può riempire con altri liquidi per aromatizzare la cottura? La risposta è NON SERVE A NIENTE. In alcune cotture si inseriscono spezie nell’acqua per aromatizzare gli alimenti come per esempio in quella al vapore. In queste tipologie di cottura l’operazione è efficace perché il volume della camera dove sono posti gli alimenti è marginale. In un kettle, magari da 57cm di diametro, o ancor peggio in un bullet smoker di pari diametro è impensabile che il vapore generato dall’acqua contenuta nel water pan possa aromatizzare l’alimento, per un duplice motivo: in primis per la grande volumetria della camera di cottura che non permette un’aromatizzazione efficace; in secondo luogo perché l’aroma della affumicatura è molto più forte rispetto a quello del vapore.Quindi, nel water pan non vanno messi aromi per il semplice fatto che non ha alcuna utilità. Si possono usare sale e/o sabbia? Sia il sale che la sabbia fungono da volano termico in quanto assorbono calore e lo rilasciano gradualmente. Quindi entrambi possono essere usati quando non c’è necessità di ulteriore umidità in camera di cottura, per esempio quando è satura di alimenti, o quando contiene alimenti molto grassi che andranno (in autonomia) ad aumentare l’umidità. La sabbia ve la sconsiglio perché potrebbe, con l’impatto della caduta dei liquidi, depositarsi sui cibi in cottura. È necessario utilizzarlo in ogni cottura low&low? La risposta è NO. Fatto salvo l’utilizzo nel bullet smoker che è sempre necessario per schermare il calore diretto, negli altri casi si può omettere, se siamo sufficientemente esperti nel gestire la stabilizzazione della temperatura e se non abbiamo necessità di incrementare l’umidità in camera di cottura.


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PER INIZIARE - IL BBQ PER I PRINCIPANTI - RUBRICA a cura di MICHELE CHIPA

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AC C E N D I A M O ? come posizionare il carbone nel tuo dispositivo: tutti i tipi di set up

Quando parliamo di set-up intendiamo la preparazione di un dispositivo per una data tipologia di cottura: per questo motivo, esistono vari tipi di set up utilizzabili a seconda di cosa andremo a grigliare. Quasi tutti possono essere applicati sia ad un bbq a carbone che ad uno a gas, seppur con accortezze differenti. Esistono tre macro categorie di set-up adatte ai tre tipi di preparazioni principali: diretta, indiretta e low&slow. All’interno di queste, esistono delle sottocategorie ancor più specifiche che vi spiegherò in questo articolo. 332 - BBQ4All MAGAZINE


SET-UP PER COTTURE DIRETTE Di solito, per una cottura diretta la prima cosa che ci viene in mente di fare è prendere il carbone ben acceso e riversarlo nel braciere. Ma siamo sicuri che sia il metodo più efficiente e più sicuro? Esiste un metodo alternativo per non creare fiammate non appena posizioniamo un alimento piuttosto grasso sulla griglia? La risposta alla prima domanda è NO, mentre alla seconda è SI’. Parliamo del set-up a due zone e di quello a tre zone. Nel primo caso si tratta di dividere virtualmente in due la griglia di cottura: una metà con sotto il carbone ed una metà da utilizzare come safe zone (“zona di sicurezza”). L’obiettivo di questo metodo è quello di posizionare l’alimento nella zona di sicurezza al primo accenno di fiammata e poi, chiudendo il coperchio, spegnerla definitivamente. Il set-up a tre zone è un metodo molto simile al precedente con la differenza che la griglia viene virtualmente divisa in tre parti: una ad alta temperatura, una a media temperatura ed una safe zone. La temperatura viene gestita con una maggiore o minore quantità di carbone posizionato sotto alla griglia. Questo metodo è perfetto per non carbonizzare quegli alimenti che necessitano di una cottura prolungata: si posiziona il cibo prima sulla griglia molto calda e poi si sposta sulla griglia con temperatura più moderata. La safe zone si usa esattamente come per il precedente set-up.

ZONA DI COTTURA DIRETTA

ZONA CALORE INTENSO

ZONADI SICUREZZA

ZONA CALORE MEDIO

ZONADI SICUREZZA

Nei dispositivi a gas normalmente non si ha il rischio di fiammate perché i bruciatori sono schermati dalle flavorizer bar (barre aromatizzanti), e quindi i succhi in caduta non vengono a contatto con la fiamma. Tuttavia, in caso di alimenti molto grassi, le barre non riescono a vaporizzare tutti i succhi e quindi qualche fiammata potrebbe verificarsi. In questo caso è sufficiente lasciare spento, se possibile, un bruciatore, in modo da riservarsi una safe zone anche sul dispositivo a gas.

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SET-UP PER COTTURE INDIRETTE Nella cottura indiretta l’alimento non viene irraggiato dal calore del combustibile ma si cuoce per convezione. È imprescindibile, quindi, l’utilizzo del coperchio. Ma dove dobbiamo disporre l’alimento in cottura? In questo caso il metodo più semplice è quello di utilizzare il set-up a zona di cottura laterale: per dirlo in modo molto semplificato e chiaro, carbone da una parte e ciccia dall’altra. Chiudendo il coperchio avviene la cottura. Questo è il set-up più versatile in quanto si adatta alla maggior parte delle cotture. Nei dispositivi a gas si ottiene accendendo uno o più bruciatori a seconda della temperatura da tenere e lasciandone spento almeno uno, sopra il quale posizionare l’alimento. Il set-up a zona di cottura centrale è il metodo che andiamo a utilizzare, invece, quando vogliamo esser sicuri che il calore investa il nostro alimento omogeneamente oppure quando usiamo il girarrosto che, per sua caratteristica costruttiva, viene posizionato centralmente rispetto alla griglia. In questo caso è sufficiente posizionare il carbone nei due lati del braciere e mettere l’alimento in cottura nella zona centrale della griglia, che rimane libera dal calore diretto. Usualmente in questo metodo si usano i cesti porta carbone perché assicurano una disposizione ordinata dello stesso nel braciere. In un dispositivo a gas questo set up è applicabile a seconda di come sono posizionati i bruciatori e dal loro numero. Infine, il set-up a zona di cottura circolare è un metodo che prevede la disposizione del carbone nella parte centrale della griglia carboni, posizionato nei cesti, in modo da tenerlo raggruppato mentre gli alimenti saranno messi sulla parte esterna della griglia. In questo modo è possibile mettere in cottura una maggiore quantità di alimenti a patto che di piccola misura (alette o cosce di pollo, ad esempio, ma anche gamberoni). Questo set-up è replicabile solamente in dispositivi a gas di tipologia kettle.

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SET-UP PER LOW&SLOW Nella cottura low&slow cambia solamente la disposizione del combustibile all’interno del braciere, in quanto l’alimento dovrà essere posizionato come in una cottura indiretta. L’obiettivo di questi set-up è quello di eliminare o limitare al massimo la necessità di rabbocco di combustibile, nelle cotture molto lunghe. Per quanto ovvio, sottolineo che nei dispositivi a gas non c’è questa necessità. Il metodo principale per la predisposizione di un dispositivo a carbone in caso di cottura low&slow è il Minion Method che consiste nel disporre combustibile acceso accanto a quello spento il quale, per contatto, lentamente si accenderà garantendo il mantenimento della temperatura di cottura. La disposizione del combustibile cambia a seconda del tipo di strumento utilizzato: bullet smoker (affumicatore verticale), kettle o offset smoker (affumicatore orizzontale). Bullet smoker: si riempie l’anello del braciere (charcoal ring) con carbone spento, avendo cura di lasciare una piccola parte centrale libera dove andremo a versare il carbone acceso. Quest’ultimo innescherà lentamente per contatto quello spento. Kettle: in questi dispositivi il Minion Method è chiamato snake method. Occorre creare un serpente costituito da carbone spento disponendolo lungo il bordo del braciere; poi si versa il combustibile acceso solo ed esclusivamente ad una delle due estremità della mezzaluna, dando inizio al sistema di innesco continuo. Offset smoker: normalmente questi dispositivi non richiedono l’applicazione del Minion Method perché sono alimentati a legna. Tuttavia, se si volesse utilizzarlo in un offset smoker si dovrà disporre il carbone nella firebox, creando un serpentone, aiutandosi con del materiale refrattario o comunque in grado di inibire l’accensione immediata e totale del combustibile.

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APPROFONDIMENTO a cura di CARLO TRONO

T H E LO R D O F T H E

smoke RING

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Il primo assaggio lo si dà con gli occhi: l’aspetto estetico di quello che ci portiamo alla bocca è sempre stato un fattore fondamentale, in grado di influenzare notevolmente la percezione fornita dagli altri sensi e arrivando in alcuni casi a inibire la nostra volontà di alimentarci. Le preparazioni realizzate al fuoco non fanno assolutamente eccezione, e anche chi cucina grandi pezzi di carne cerca di ottenere caratteristici risultati estetici che, pur non influenzando per nulla il gusto o l’olfatto, vengono percepiti come indicatori di un barbecue “fatto bene”. In questo articolo, che esce su un numero del BBQ4All Magazine dedicato a una delle tre preparazioni tipiche dell’American Barbecue, voglio parlarvi di uno degli aspetti più ricercati dai pitmaster di tutto il mondo, ovvero lo smoke ring.

Sapete già di cosa parlo, no? Di quella zona rosata che si posiziona subito sotto il bark, quella pellicola compatta e speziata che dovremmo essere riusciti ad ottenere nelle prime fasi della nostra preparazione. E’ una regione, larga dai 3 ai 12 millimetri, nella quale la carne presenta una colorazione dal rosa tenue al rosso intenso; il miglior risultato estetico è quello che vede la formazione di un vero e proprio “anello” sotto tutta la superficie del pezzo di carne, che compare ben in evidenza tagliando in trasversale una fetta. Per capire l’importanza che ha lo smoke ring sulla nostra percezione, osserviamo le immagini riportate nella pagina precedente, che rappresentano lo stesso taglio (il brisket) cotto con tre tecniche differenti: il primo (in basso a sinistra) è stato preparato sottovuoto in sous-vide per

36 ore a 68°C per poi finire la cottura nel kettle a 135°C per 3 ore con affumicatura data da chunk di legno (tenete a mente questo procedimento, ci ritorneremo dopo); il secondo (in basso a destra) è stato scottato sul fuoco e successivamente brasato in pentola; il terzo (nella foto grande), ha iniziato e terminato la cottura in uno smoker. Quale delle tre immagini mette in movimento le vostre ghiandole salivali, facendovi assomigliare ad un molosso? Ma soprattutto, quale delle tre vi racconta una storia fatta di cottura lenta, fumo aromatico, legna e braci? La risposta è scontata, ma voglio lo stesso rendere tutto più chiaro, anche esagerando, con la prossima immagine. Respira un attimo, prendi coraggio, e gira la pagina. ALMANACCO 2019 - 337


Orrore! Mensa da ospedale ! E’ evidente che l’assenza di smoke ring e tutto quel griglio rende questa preparazione quasi disgustosa alla vista, e la pone lontana mille miglia dalla comune concezione del barbecue. Come si forma lo smoke ring I muscoli contengono percentuali variabili di mioglobina, una proteina globulare in grado di legare in maniera reversibile una molecola di ossigeno prelevata dal sangue, rendendola disponibile, quando necessario, alla produzione dell’energia richiesta dalla contrazione delle fibre. L’ossigeno viene trattenuto dal gruppo prostetico della proteina, costituito da una porfirina contenente al centro un atomo di ferro. Quando il ferro non lega l’ossigeno, la mioglobina assume un colore rosso; legandosi all’ossigeno, diviene ossimioglobi-

na dal colore rosso brillante. Un’esposizione eccessiva all’ossigeno o ad altri agenti ossidanti, specie con apporto di calore, può far passare il ferro dallo stato di ossidazione +2 a +3; il ferro così ossidato diviene incapace di legarsi all’ossigeno e si lega ad una molecola d’acqua, dando luogo alla colorazione bruna della metmioglobina. Finché la mioglobina è nel suo stato naturale, questi processi sono in qualche modo reversibili: diventano irreversibili quando la proteina, per azione del calore apportato durante una cottura, inizia a denaturare a partire dai 60°C fino ai 70°C, temperatura alla quale tutta la mioglobina sarà ormai coagulata e avrà conferito alla carne un colore bruno-grigio. Il ferro contenuto nel gruppo EME della mioglobina, oltre all’ossigeno molecolare (O2) può legare diverse

TIPO DI CARBURANTE

NO MISURATO IN PPM = PARTI PER MILIONE

erba, corteccia e legno fresco

250 ppm

bricchetti di carbone ben accesi

100-200ppm

fuoco di legno rovente

50-200 ppm

smoker a pellet a 107.2°C (225°F)

25-50 ppm

carbone di legno a pezzi irregolari

10-70 ppm

bricchetti di carbone in low&slow (225°F)

meno di 20 ppm

propano, dispositivo a gas, fiamma alta

meno di 20 ppm

bricchetti nel kettle weber con “slower”

meno di 10 ppm

propano, dispositivo a gas, temperatura bassa meno di 2 ppm dispositivo elettrico con chips di legno 338 - BBQ4All MAGAZINE

meno di 2 ppm

molecole contenenti ossigeno: anidride carbonica (CO2), monossido di carbonio (CO), acqua (H2O), monossido d’azoto (NO). Che c’entra tutto questo con lo smoke ring? Ci arrivo subito. In condizioni ideali, ad esempio nei dispositivi a gas che bruciano con molta efficienza il propano, la combustione genera principalmente vapore acqueo e anidride carbonica. In un dispositivo a legna o a carbone, in genere avviene una combustione incompleta, spesso in carenza di ossigeno per mantenere controllata la temperatura. Queste condizioni generano un fumo carico di sostanze chimiche, tra le quali monossido di carbonio (CO) e, in quantità fino a cento volte inferiori, monossido d’azoto (NO). Entrambe queste molecole gassose sono in grado di penetrare per qualche millimetro nella carne, diffondendosi attraverso i succhi e legandosi alla mioglobina con una affinità superiore rispetto a quella per l’ossigeno. La carbossimioglobina e la nitrosomioglobina presentano entrambe un caratteristico colore rosso, solo che il legame del monossido di carbonio con l’EME è reversibile in abbondante presenza di ossigeno, mentre quello con monossido d’azoto è molto più stabile. Di conseguenza, uno smoke ring formato esclusivamente dal legame del monossido di carbonio con la mioglobina sbiadirà fino a scomparire dalla nostra fetta di brisket dopo appena una mezz’oretta di esposizione


all’aria, mentre quello provocato dal monossido d’azoto rimarrà evidente anche dopo giorni. In sintesi, nonostante il monossido d’azoto costituisca in media lo 0.2% dei prodotti della combustione, è il principale responsabile nella formazione di uno smoke ring. Se lo smoke ring non si forma, la causa è imputabile o ad una carenza di NO all’interno dei prodotti della combustione, oppure all’instaurarsi di condizioni che rallentano o bloccano del tutto la diffusione del gas nella carne e il legame con la mioglobina. Il dottor Greg Blonder, autore e collaboratore scientifico del celebre sito amazingribs.com, si è preso la briga di misurare la quantità di monossido di azoto presente nei fumi di combustione di diverse tipologie di carburante, ottenendo risultati molto interessanti che rivelano una serie di aspetti importanti: 1. La combustione a temperature più elevate, con i bricchetti ben accesi e soprattutto ben distanziati in modo da ricevere una adeguata quantità di ossigeno (comburente), libera una quantità di monossido di azoto molto maggiore rispetto agli stessi bricchetti stabilizzati ad una temperatura più bassa, accatastati gli uni sugli altri secondo il Minion method o all’interno di un dispositivo concepito per ridurre la superficie esposta all’ossigeno, come lo “slower” o lo “smokenetor”; 2. Il carbone, rispetto al legno dal quale deriva, ha perso una grande quantità di azoto, ed inoltre per la sua forma irregolare tende a occupare tutti gli spazi riducendo l’efficacia della combustione per carenza di ossigeno; 3. La fiamma dei dispositivi a gas, quando raggiunge una elevata potenza, è in grado di ossidare una piccolissima quantità di azoto molecolare presente nell’aria (l’azoto è l’elemento più abbondante nell’atmosfera); i dispositivi elettrici, anche in presenza di chips di legno, non riescono a raggiungere una temperatura sufficiente alla liberazione di NO nei fumi della combustione. In effetti, può capitare di ottenere uno smoke ring molto più marca-

to in una preparazione realizzata in indiretta, a temperatura più elevata, rispetto ad una preparazione low&slow portata avanti con una temperatura costante inferiore ai 110°C. A questo punto, sempre grazie agli esperimenti del dottor Blonder, possiamo evidenziare quali condizioni riducono o bloccano completamente la diffusione nella carne del monossido d’azoto, con conseguente influenza negativa sulla formazione dello smoke ring. Acidità: valori di pH bassi (quindi acidi) riducono la penetrazione del monossido di azoto nella carne, e di conseguenza rendono più difficile la formazione di smoke ring profondi; al contrario, ph alti (basici) agiscono in senso contrario. Utilizzare le marinate, spruzzare la carne con sostante acide come il succo di frutta, adoperare come “aggrappante” del rub la senape, sono pratiche che contri­ buiscono negativamente alla formazione dello smoke ring. Trimming: il grasso di copertura, ovvero quello esterno alle fibre muscolari e disposto in genere tra un fascio muscolare e l’altro, viene normalmente eliminato (in gergo si dice “trimmato”) prima della stesura del rub e dell’avvio della cottura. Il tessuto adiposo ovviamente NON contiene mioglobina, quindi anche se permeato da NO o CO non può assumere una colorazione rosata. Per ottenere un buon smoke ring è quindi fondamentale ripulire accuratamente la carne dal grasso di copertura, per evitare che questo faccia da barriera alla diffusione del monossido di azoto. Anche la “silver skin”, ovvero quel sottile strato di connettivo che avvolge i gruppi muscolari, rallenta la penetrazione del NO riducendo la formazione dello smoke ring, quindi questo è un ulteriore motivo per eliminarlo accuratamente. Stesso discorso per la pleura che avvolge la parte inferiore delle ribs. Umidità: la superficie umida della carne favorisce la condensazione dei fumi e la penetrazione delle molecole di gas nei tessuti sottostanti, favorendo la formazione di uno smoke ring più profondo. Per mantenere la superficie umida, è necessario saturare di vapore acqueo la camera di cottura del nostro dispositivo, utilizALMANACCO 2019

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zando un waterpan colmo di acqua calda. Oltre al waterpan, è possibile mantenere umida la superficie della carne moppandola (inumidendola) regolarmente. Se fate caso, lo smoke ring è sempre più spesso sui lati del pezzo di carne: questo accade perché i succhi che traspirano dalla parte superiore, spesso scolano dai lati, mantenendo umide queste zone per più tempo. Mantenere umida la superficie della carne, inoltre, riduce la traspirazione dei succhi dagli strati più interni verso l’esterno, specialmente quando si raggiunge una temperatura interna di 55°C: a questa temperatura le fibre di collagene iniziano a contrarsi e a strizzare fuori i succhi, quindi inizia quel processo evaporativo che pochi gradi più su provocherà il cosiddetto “stallo”. Quando i succhi fuoriescono, trasportano con se anche la mioglobina legata al monossido d’azoto, e questa si “accumula” dando forma ad uno smoke ring più sottile ma più netto e colorato. Le immagini in alto sono tratta dagli esperimenti di Blonder: lo smokering nel cerchio a sinistra è stato ottenuto in uno smoker a pellet, mentre quello a destra è ricavato dallo stesso dispositivo ma con una modifica che permette di saturare la camera di cottura con il vapore acqueo. L’umidità favorisce la diffusione del NO all’interno degli strati più profondi, dando luogo ad uno smoke-ring più sfumato. Temperatura: la mioglobina inizia a denaturare al raggiungimento dei 340 - BBQ4All MAGAZINE

60°C ed è completamente coagulata a 70-75°C; il monossido di azoto può legarsi con la proteina solo al di sotto di queste temperature, pertanto più tempo ci mette il pezzo di carne a superare i 60-70°C, più possibilità avrà il monossido d’azoto di penetrare negli strati più profondi. Una volta avvenuta la completa denaturazione della mioglobina, quella che si sarà legata all’NO o al CO rimarrà tra il rosa e il rosso, mentre la restante diverrà marrone-grigia. Per tale motivo, cuocere un pezzo di carne ad una temperatura più bassa ci dà più tempo utile alla formazione di uno smoke ring profondo e sfumato, mentre cuocere a temperatura più alta ci farà ottenere uno smoke ring più sottile ma più marcato, anche per effetto della traspirazione dei succhi che riporta in superficie la mioglobina Vi ricordate il brisket cotto per 36 ore in sous-vide e per altre 3 ore nel kettle con presenza di fumo generato dalla combustione di chunck? Smoke ring completamente assente. A questo punto è abbastanza semplice intuirne il motivo: questo brisket è stato portato e mantenuto in 36 ore di sous-vide alla temperatura di 68°C, quindi quando è stato tirato via dal sottovuoto la mioglobina era in gran parte già denaturata, o prossima a diventarlo. La successiva fase è stata effettuata ad una temperatura più elevata (135°C) rispetto a quella normalmente utilizzata negli smoker, quindi probabilmente la quantità di

NO prodotta nel fumo era grande, ma questo non aveva più la possibilità di incontrare mioglobina disponibile a reagire per formare lo smoke ring. Come avete avuto modo di leggere, i fattori che influenzano la formazione di uno smoke ring sono molti: tipo di carburante, pH superficiale della carne, apporto di umidità durante la cottura, temperatura più o meno alta. Tutti questi aspetti e il loro variare durante un tempo di cottura più o meno lungo, lasciano una traccia nella carne così come l’alternarsi di stagioni più o meno secche modifica l’aspetto degli anelli di un albero. Quando la temperatura varia nel corso di una cottura lunga, magari perché non siamo riusciti a tenere il dispositivo perfettamente stabilizzato, si formano delle aree più scure nello smoke ring, circondate da aree più sfumate. Chiaramente, solo un occhio veramente esperto (leggasi: superimpallinato del barbecue) può riuscire a “leggere” uno smoke ring intuendo la “storia” della cottura di quel pezzo di carne, come se fosse un’impronta digitale lasciata sul luogo del delitto; al contrario, la maggioranza di noi si limita a dargli una occhiata soddisfatta e a dare via al moto compulsivo alle mascelle. Fino a pochi anni fa, lo smoke ring era un elemento di valutazione adottato dai giudici nelle gare barbecue: oggi si raccomanda di non tenerlo in considerazione, poiché si era diffusa la pratica tra i concorrenti di utilizzare sali addizionati ai nitrati


per ottenere un marcato e rossissimo strato colorato. Come ottenere un perfetto smoke ring Giunti alla fine dell’articolo, prima dell’elencone finale, è giusto ribadire un concetto fondamentale: lo smoke ring non influisce assolutamente sul sapore finale della preparazione, esso costituisce solo un risultato estetico particolarmente apprezzato dagli appassionati di cucina al barbecue. Tutti i seguenti suggerimenti contribuiscono alla formazione di un marcato smoke ring, ma alcuni di essi influiscono negativamente su altri aspetti di una preparazione al barbecue (ad esempio sulla formazione di un bark solido), e vanno in qualche modo bilanciati nella pratica. 1. Rimuovete accuratamente il grasso di copertura, la silverskin e le altre membrane di connettivo dalla superficie della vostra carne.

2. Scegliete carburanti ad alto tenore di azoto, come le bricchette di carbone compresso; potete eventualmente addizionare dei gusci di arachidi (contengono il 2-3% di azoto), delle foglie (4% di azoto), oppure dei pezzetti di legno ricavato dai rami, dotato di tutta la corteccia e non eccessivamente stagionati. Se siete avventurieri, potete provare pure con piccole quantità di erba fresca. 4. Non usate marinate acide o sostanze acide per aggrappare il rub (la senape ha un pH di 4.5, quindi mediamente acida). Se volete osare, rendete più basica la superficie con del bicarbonato. 5. Iniziate la cottura con la carne ancora fredda da frigo: questo farà condensare più fumo sulla superficie e darà più tempo al monossido di azoto di penetrare prima della denaturazione della mioglobina. 6. Usate il waterpan carico di acqua bollente. 7. Moppate o spruzzate la superficie della carne, mantenendo umidità superficiale (senza far gocciolare); que-

sto favorirà la penetrazione del NO e ridurrà la traspirazione dei succhi, rendendo lo smoke ring più profondo e sfumato. L’umidità, inoltre, raffredderà gli strati superficiali della carne allungando il tempo necessario alla denaturazione della mioglobina iniziate la cottura con una temperatura più elevata e pochi bricchetti ben accesi e ossigenati, in modo da saturare la camera di fumi ricchi di monossido di azoto, dopodiché abbassate la temperatura e prolungate il più possibile la cottura; bastano 15-30 minuti iniziali a temperatura più alta per formare una sufficiente quantità di NO. Un ultimo consiglio: aumentare la densità del fumo riempiendo di chunk il vostro smoker NON migliorerà lo smoke ring, ma sicuramente peggiorerà il sapore della vostra preparazione, che risulterà sovraffumicata. Pensate a salvare il gusto del vostro barbecue, perché alla fine è quello che conta maggiormente.

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SPECIALE PULLED PORK - IL TAGLIO a cura della REDAZIONE

I L TA G L I O

G I U S TO ! come ricavare il boston butt, il miglior taglio possibile per realizzare un perfetto pulled pork

Per capire meglio il sezionamento. Non è facile intuire il sezionamento del Boston Butt e del Pic nic, specialmente qui in Italia in cui i due tagli sono ancora poco conosciuti, sia dai clienti che dai macellai ancora legati alla tradizione del Bel Paese. Abbiamo dunque pensato che fosse utile una piccola guida fotografica che potesse aiutarvi anche visivamente a capire bene come effettuare il sezionamento. Sappiate che qualunque macellaio in Italia si presti a realizzare questi tagli dovrà farlo per forza partendo dall'intera mezzena di un suino, e tagliarla in modo del tutto diverso da come è abituato di solito, quindi potreste trovare un po' di resistenza da parte di alcuni professionisti del settore poco propensi alle novità. Se siete particolarmente intraprendenti, potreste procurarvi l'intera mezzena del maiale e provare a sezionarla da soli. Vediamo dunque come procedere: 1. La prima cosa da fare è quella di effettuare un taglio molto vicino alla testa del maiale per preservare il Money Muscle. Cos'è il Money Muscle? E' un muscolo allungato a forma di

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piccolo filetto, molto riconoscibile perché inframezzato da linee di grasso longitudinali. Viene spesso servito a parte, senza essere pullato ma affettato come il salame. Si chiama così perché secondo la leggenda pare sia il maggior responsabile di un posto sul podio nelle gare di bbq: se il money muscle è perfetto, il premio lo porti a casa. 2. Torniamo al nostro sezionamento: dopo aver effettuato il primo taglio, si procede dunque a realizzare un taglio netto fra la terza e la quarta costa. Successivamente si possono separare Boston Butt e Pic nic: a circa due dita dal punto più alto della colonna vertebrale, si effettua il taglio. A questo punto i due pezzi sono quindi ben riconoscibili: il Boston Butt è la parte superiore della spalla che comprende la scapola; il Pic Nic è la parte della zampa fino all'articolazione con la scapola. 3. Non resta quindi che togliere la cotenna, lo spesso strato di grasso sottostante e procedere al disosso. Ora non vi resta che seguire tutti i consigli per la cottura che troverete nelle prossime pagine e potrete finalmente servire il pulled pork definitvo. Buon divertimento!

foto di James Lowe, macellaio britannico, tratte dal suo profilo facebook ALMANACCO 2019

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SPECIALE PULLED PORK - IL PROCEDIMENTO a cura di EMILIANO NENCIONI

pulled pork d all ' a m e rica co n sapor e

Nell’estate del 2012, quando ancora in molti paventavano la fine del mondo pronosticata dagli antichi Maya e propagandata da autorevolissime trasmissioni televisive, in Italia si verificò un evento ben più drammatico e sconcertante: lo switch off. D’un tratto i nostri immarcescibili Grundig e Telefunken (“del resto, il palcolor lo abbiamo inventato noi”- cit.) sarebbero diventati inservibili e inadeguati, vittime di una obsolescenza improvvisa e sancita a tavolino: era il momento della cessazione delle vecchie trasmissioni analogiche in favore del digitale terrestre. Per indorarci la pillola e rendere sopportabile il trauma ci blandirono con la promessa di centinaia di nuovi emittenti: libere, tematiche, approfondite, settoriali. La verità si rivelò subito molto meno lusinghiera: già dal 2009, assieme alle prime trasmissioni DVB-T, le emittenti “nuove e tematiche” si rivelarono una masnada di strutture improvvisate e senza palinsesto, che trasmettevano in loop docufiction sgangherate in lingua originale, al massimo sottotitolate. Nel pubblico televisivo del tempo, però, avveniva un fenomeno memorabile: queste sitcom, falsi reality e serial imbarazzanti diventavano un’alternativa più che valida agli show incravattati e paludati della tv del secolo scorso. Invece di addormentarsi dilaniati dalla noia davanti a preti in bicicletta e attrici sbiadite impegnate in un paso doble, sempre più persone sceglievano di assopirsi col sottofondo di tatuatori, carri attrezzi, esploratori ghiotti di vermi. Ci ricolleghiamo proprio adesso al nostro argomento preferito: inizialmente tradotto in “stracotto di maiale sfilacciato”, abbiamo visto per la primissima volta il pulled pork grondare proprio dalle barbe ispide dei conduttori di questi show un po’ alieni e un po’ esotici. L’idea iniziale si sintonizzava subito su “ma che americanate unte” e su un po’ di facile dileggio, ma poi…

Poi abbiamo trovato qualche food truck o siamo stati invitati da un amico per inaugurare il kettle, ed eccolo lì: il pulled pork. Il pulpòrk, il pulleppòrche, a seconda del ceppo etnico, è diventato un’ossessione. Sontuoso e palatabile, è il batterista delle cotture barbecue: trascina tutti ed è il più facile da fare.

Da fare male. Hai mai ascoltato un incapace mentre tenta di suonare la batteria? Ricordi il fastidio? Stesso supplizio e stesso tormento avrai cercando di mangiare un pulled pork arido come una stella spenta, asciutto come Pietro Mennea nel ‘79. Ma, ancora una volta, tu sei un assiduo frequentatore della Community BBQ4All, sei abbonato al BBQ4All Magazine e questi problemi non li hai. Se non altro non li hai più, perchè ho il proposito e la volontà di spiegarti come fare il pulled pork che verrà preso come paradigma da tutto il tuo entourage.

Veniamo al procedimento ideale per un pulled pork preparato e servito alla perfezione. Potresti procurarti un bel boston butt, ma ti sfido a spiegare il taglio al macellaio e a fartelo preparare. Molto più facile farsi mettere da parte una coppa. O scamerita, sempre per la solita babele italiana di denominazioni. Come facilmente potrai intuire, e come già ti ha detto il Boss nell'editoriale, il taglio ideale è quello ricco di grasso e di collagene, responsabile della ritenzione dell’umidità e quindi di un piatto umido e succoso: per questo ALMANACCO 2019 - 345


motivo la carne proveniente dall’anteriore del maiale, spalla e collo, è da preferire a zone del tutto inadeguate, come la coscia. Il Trimming Metti pure a riposo le tue lame migliori, questa preparazione non ha bisogno di abilità da chirurgo estetico di Hollywood, specie per scopi casalinghi. Se ti sei procurato una coppa non c’è quasi niente da togliere, eccetto eventuali evidenti brandelli di carne lasciati lì dal sezionamento; se con azioni rocambolesche sei riuscito a mettere le mani su un boston butt e questo possiede ancora la cotenna, lasciala: usala come “base d’appoggio” del pezzo sulla griglia, ti aiuterà a conservare l’agognata moisture, la succulenza. Ti consiglio di lasciare anche l’eventuale materiale osseo presente, facilmente separabile in fase di sfilacciamento. Injection Come salvaguardarsi dalla carenza di sapore e succosità? Iniettandola dentro. La tua fida siringa potrà trasformare un potenziale piatto “bah” in un piatto “wow”. In questo caso è molto molto facile: con un pentolino sciogli sul fuoco 125 g di burro chiarificato in mezzo litro

di succo di mela (usa solo il succo chiaro, non la purea che ha molta parte solida, o l’ago si intaserà ad ogni iniezione); lo senti quel profumo di torta di mele? Vuol dire che la tua pozione è pronta. Se preferisci puoi aggiungere due cucchiai di salsa di soia, col consueto scopo di

aggiungere sapidità e umami. Aggiungi la senape, che agirà da stabilizzatore dell’emulsione, aiutandoti con una frusta o con un frullatore a immersione. Lascia raffreddare e nel frattempo corri a cercare la siringa, io non la trovo mai quando serve. In maniera non dissimile dalle altre preparazioni, immaginati un reticolo a maglie di 25mm e inizia a fare punturine: non serve un tre assi a controllo numerico, puoi benissimo andare un po’ “a occhio”. La mia regola è molto scientifica: “finché ne piglia, dagliene” (quella istituzionale è il 10% rispetto al peso della carne). Inietta sopra, sotto e di lato, fino a quando il pezzo di carne sembra far scolare via ogni aggiunta di liquido. Poi metti il tutto in frigo per qualche ora. Il rub Il rub, e la conseguente formazione del bark, ha un ruolo molto importante anche nel pulled pork, nonostante il suo destino di sfilacciamento: è proprio il bark a costituire quei piccoli “inciampi di croccantezza” durante la degustazione della massa morbida, ed è l’unico responsabile di quei sapore di paprika, cumino, peperoncino e altre spezie aromatiche. Un buon rub conquista anche il naso, e innalza con forza i livelli di

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attenzione a non far stare troppo vicino combustibile e pietanza. Dovrai mettere la carne proprio dal lato opposto allo snake. Stabilizza il dispositivo a 110°/ 120°C in camera di cottura: meglio se monitori il tutto con un termometro a due sonde.

godimento sensoriale: viceversa una mistura scadente, polverosa, non equilibrata e povera degli elementi speziati tipici di questa cottura, riuscirà inevitabilmente a mortificare ogni tuo risultato. Vivi in un periodo meraviglioso, perché BBQ4All oltre a insegnarti tutte queste accortezze ti offre anche gli strumenti necessari per un risultato ineccepibile: il BBQ4All Tennessee Rub è perfetto per questo utilizzo. “Il Tennessee”, così lo chiamiamo, ha già la grana giusta, la miscela giusta, l’odore giusto. Non diventa nero per il troppo zucchero, ha un bilanciamento esemplare e ti arriva pure in un comodissimo vasetto con tappo bucherellato per una bella doccia uniforme di granelli.

Se usi un kettle servono alcuni accorgimenti: deponi le bricchette di combustibile sulla griglia carboni lungo metà della circonferenza del kettle, e nell’altra metà piazza una leccarda usa e getta piena d’acqua; innesca lo snake con una decina di bricchette roventi; installa la griglia pietanze e posiziona il tuo pezzo di carne nella zona sovrastante la leccarda, facendo

Cottura In attesa della stabilizzazione del dispositivo indossa di nuovo un paio di guanti per scopo alimentare, appoggia la carne su un tagliere e inumidiscila leggermente con dell’olio di semi o con un velo di senape. Non un bagno: leggermente. Ci siamo capiti, sì? Inizia a deporre il rub spolverando uniformemente tutta la carne, sopra e sotto, fino a creare un velo senza buchi. Un velo. Non una doppia panatura da medaglioni di pollo. Lo so che il Tennessee ti piace, ma lo aggiungeremo ancora, dopo. Pro tip: avrai sicuramente individuato un “sopra” e un “sotto” nel tuo taglio. Inizia col rub dal lato inferiore, così quando rovescerai la carne potrai spolverare il lato superiore senza appiccicarlo al tagliere. È vero, non cambia niente, è un sopra e sotto del tutto arbitrario, ma sarà più visivamente gradevole durante la cottura e ti aiuterà a capire quando la formazione del bark sarà soddisfacente. Quando il dispositivo è stabilizzato appoggia il maiale sulla griglia pie-

Setup del dispositivo Anche stavolta hai – nella maggior parte dei casi- due alternative: uno smoker o un kettle. Se hai un bullet smoker molto probabilmente sai già cosa fare: deposita il combustibile sulla griglia carboni, innescalo con mezza ciminiera di bricchette accese, riempi il waterpan di acqua o di sale (a seconda di quanta umidità tu abbia intenzione di introdurre in camera di cottura), posiziona il pezzo (o pezzi!) di carne sulla griglia pietanza. ALMANACCO 2019

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tanze, inserisci una sonda del termometro in una zona centrale della ciccia e chiudi il coperchio. Qualsiasi dispositivo tu abbia scelto, è obbligatorio affumicare: posiziona chips o chunk del tuo legno preferito (stavolta melo, ciliegio, ontano e acero sono l’ideale, anche mischiati) sulle braci o in una smoke pouch (una tasca fatta con la stagnola). Dopo un paio d’ore io consiglio sempre di sollevare il coperchio e dare un veloce controllo a tutto: carbone, posizionamento della carne, combustione del legno aromatico: sfrutta questo momento anche per stendere un ulteriore velo di rub sul maiale. Attorno ai 60 - 65°C gradi al cuore dovrai fare il secondo controllo: non appena il bark si sarà formato, infatti, ti suggerisco di compiere una delle scelte cruciali di ogni appassionato di american barbecue: andare in foil. Con questa espressione ben poco elegante, ma ormai universalmente adottata in Italia, intendiamo l’uso del foglio d’alluminio per continuare la cottura. In questa occasione quello che ti serve è un Texas Crutch. Prendi una leccarda usa e getta suf348 - BBQ4All MAGAZINE

ficiente a contenere la carne, colloca all’interno il maiale e mezzo bicchiere di aceto di mele; con l’alluminio crea un bel pacchetto chiuso, che abbia solo un forellino per il cavo della sonda. Ricordati: questo avvolgimento di leccarda e pietanza deve riuscire a contenere i vapori, per cui se lasci degli spazi aperti è come non averlo mai fatto. Continua in questo modo fino ai 98°C al cuore. Con il foil dovresti superare il tipico stallo senza asciugare troppo la carne, e se come ti ho detto hai aspettato la formazione di un bel bark non avrai neanche problemi di rub molliccio attaccato ai denti. Dopo qualche ora raggiungerai i fatidici 98 gradi e arriverà la fase di rest. Metti il maiale, leccarda e tutto, dentro un forno spento o appena tiepido, o in un isobox, o in un kettle, e aspetta un’oretta o due. In questo lasso di tempo il collagene superstite, sotto l’azione del calore della carne stessa, si gelatinizzerà definitivamente facendoti trovare una carne arrendevole e madida. Sfilacciamento Aprendo il foil dovresti trovare una discreta quantità di succhi nella leccarda. Buon segno.

Con due forchette, o con gli appositi artigli se vuoi dare al tutto un taglio più supereroistico, sfilaccia con decisione la carne, avendo l’accortezza di lasciare dei pezzi leggermente più grandi (tenderanno a formarsi spontaneamente, avranno la forma di un “dente” e una bella crosta di rub all’estremità) assieme agli sfilacci più fini. Per aggiungere ulteriore gusto e succosità alla carne, scalda in un pentolino un bicchiere di salsa barbecue, due cucchiai di aceto di mele e un cucchiaio di salsa di soia. Unisci il tutto ai succhi di cottura, tieni a mollo gli sfilacci disposti uniformemente e lascia per un quarto d’ora a bagno. Gli sfilacci sono pronti per il panino più invitante del mondo, o per essere mangiati rubandoli direttamente dalla leccarda, con le mani, macchiandosi irrimediabilmente indumenti e fedina penale. Se avrai seguito alla lettera il procedimento ti accorgerai subito che quelle sfide televisive a chi ne mangiava fino a scoppiare diventeranno, in confronto alla foga dei tuoi commensali, delle candide, morigerate, sobrie, pacate degustazioni fra serafici disappetenti.


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SPECIALE PULLED PORK - RICETTA di MICHELA BONGIORNI

P I OVO N O POLPET TE

di pulled pork e jalapeños

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Se lo puoi cuocere, lo puoi grigliare. Lo diciamo da anni noi di BBQ4All. E quando lo hai grigliato? Lo puoi friggere! Ebbene sì, oggi friggiamo il pulled pork.

INGRED I EN TI P ER 4 P E R S ON E

PER LE POLPETTE: • 400 g di pulled pork • 40 g di green jalapeños sott’aceto • 3 cucchiai di salsa bbq • Pangrattato q.b. • 2 uova • Farina q.b. • Olio per friggere q.b. • Sale q.b. PER LA SALSA ALLO YOGURT: • 200 gr di yogurt greco bianco • 1 cucchiaio di olio d’oliva extravergine • 1 cucchiaio di succo di limone • Rub BBQ4All Montreal Steak q.b. • Sale q.b. • Olio per la frittura q.b.

Abbiamo pensato di presentare questa ricetta come aperitivo di una cena a tema, tutta a base principalmente di pulled pork. Il problema però si è presentato quasi subito, nel momento in cui le abbiamo assaggiate (eh, sì, la vita di chi fa shooting fotografici per BBQ4All è così difficile...): queste polpettine sono talmente sfiziose che c’è il rischio che i vostri ospiti ne mangino in quantità smisurate e si riempiano, dimenticandosi del resto. Immaginatevi la scena: arrivano tutti affamati e si ritrovano davanti delle pepite ripiene di pulled pork e jalapenos, fritte, da tuffare in una invitante salsa allo yogurt. Potete avere idea della carneficina che può uscirne? Quindi, siate parsimoniosi e preparatene poche. I vostri ospiti devono rimanere con la voglia, in modo da potersi godere anche il resto del pranzo. Fidatevi. In ogni caso, se alla fine del pasto ci fosse il golosone di turno che proprio ne vuole ancora, sono così veloci da preparare che lo farete felice in un attimo. Un’idea in più? Spolverizzate un po’ di rub BBQ4All Montreal Steak Seasoning sulla salsina allo yogurt: non ve ne pentirete. Procedimento 1. Tritare al coltello in modo grossolano il pulled pork e poi impastarlo con la salsa bbq. 2. Tritare finemente i peperoncini e aggiungerli al composto. 3. Dopo aver ottenuto un impasto compatto, dividerlo in tante piccole polpette della grossezza di una noce. 4. Sbattere le uova con l’aggiunta di un pizzico di sale. 5. Passare le polpette prima della farina, poi nell’uovo e poi nel pangrattato. 6. Scaldare bene l’olio in una padella larga e friggere le polpette: quando saranno dorate, saranno pronte. Lasciarle scolare su un foglio di carta assorbente. 7. Amalgamare lo yogurt con l’olio extravergine d’oliva. Mescolare il tutto di modo che l’olio non resti in superficie. 8. Una volta che i due ingredienti saranno ben amalgamati, unire il succo del limone, il sale e un po’ di rub. Mescolare molto lentamente. Servire spolverizzando un po’ di rub anche sopra. ALMANACCO 2019

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IN GR EDIEN T I PER 2 0 RAV IO LI

PER LA PASTA: • 250 grammi di farina • 150 ml di acqua • Un pizzico di sale PER IL RAGÙ: • 500 grammi di Pulled pork • Una salsiccia • Mezza carota • Mezza cipolla rossa • Un gambo di sedano • Qualche foglia di cavolo cinese • Due cucchiai di salsa di soia • Un cucchiaio di paprika forte • Un cucchiaio di paprika dolce • Mezzo bicchiere di aceto di mele • Un cucchiaio di concentrato di pomodoro • Un cucchiaio di olio di oliva • Sale q.b.

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SPECIALE PULLED PORK - RICETTA di MICHELA BONGIORNI

I TA L I A N AMERICAN ASIAN FUSION

ravioli al vapore ripieni di pulled pork (e saRCiccia!) Può succedere talvolta che il pulled pork, preparato per qualche occasione speciale in dosi massicce, avanzi. In quel caso che fare? In molti vi risponderanno che basta congelarlo, magari diviso in porzioni singole, e scongelarlo al momento del bisogno quando si ha voglia di un bel paninozzo, magari a mezzanotte al rientro dal cinema. Sì, vero. Ma ammettiamo che uno voglia trovare un modo alternativo per consumarlo? Io ho pensato di farci un ragù con cui farcire i ravioli al vapore. Avete presente i classici ravioli cinesi (jiǎozi, 饺子) cotti nella vaporiera di bambù che trovate ormai in tutti i ristoranti orientali? Ecco, siccome ci vado matta, e per matta intendo che ne sono drogata, ho pensato che farmeli in casa fosse un’ottima idea. Sì, ma che metterci dentro? Avevo del pulled pork avanzato che avevo già scongelato (e che quindi non potevo ricongelare) e ho provato a tirar fuori qualcosa di buono. Secondo me, invece, il risultato non è stato buono: è stato eccezionale. Questo ragù è delizioso, saporito e affumicato, volendo utilizzabile per condire qualsiasi altro tipo di pasta. Anche le tagliatelle di nonna Pina, per dire. Provatelo e fatemi sapere. Procedimento 1. Preparate la pasta mescolando piano piano la farina con l’acqua e un pizzico di sale. Lavorate l’impasto per qualche minuto su una spianatoia infarinata, poi foderatelo con pellicola trasparente e lasciatelo riposare per un’oretta.

2. Nel frattempo preparate il ragù: tritate finemente il sedano, la carota, la cipolla e il cavolo cinese e poi fate soffriggere il tutto con un cucchiaio d’olio. 3. Aggiungete il pulled pork che avete prima tritato finemente col coltello e una salsiccia sbriciolata. Lasciate insaporire, poi aggiungete la salsa di soia, la paprika dolce e quella piccante. Mescolate il ragù e aggiustate eventualmente di sale (usandolo con parsimonia). 4. Bagnate con mezzo cucchiaio di aceto di mele e poco dopo unite il concentrato di pomodoro diluito in mezzo bicchiere di acqua. Coprite il tegame e lasciate cuocere per un’oretta, facendo ritirare il ragù per bene. 5. Trascorso il tempo necessario, tirate la pasta con un mattarello e ricavatene dei dischi, aiutandovi con un coppapasta di diametro abbastanza grande. Tirate ancora un po’ la pasta col mattarello e poi ponete al centro di ogni disco un’abbondante dose di ragù (abbondante ma non esagerata, il raviolo deve chiudersi). 6. Richiudete il raviolo a mezza luna e poi formate dei piccoli sacchettini, aiutandovi con le dita inumidite. 7. Mettete i ravioli a cuocere nell’apposita vaporiera foderata di cavolo cinese facendo in modo che i ravioli non si tocchino fra loro. Cuocete per circa 20 minuti chiudendo il coperchio. Alla fine, potete anche saltarli in padella con un po’ di salsa di soia, facendo attenzione a non romperli perché sono molto delicati. ALMANACCO 2019

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SPECIALE PULLED PORK - RICETTA di MARIANGELA IBBA

PULLED PORK SA N DW I C H Carolina style

Per realizzare la ricetta del “Carolina style pulled pork bun” ci vorrà tutta la tua forza di volontà, la stessa che Ulisse dimostrò contro il canto delle sirene. Non perché sia particolarmente arduo farcire un panino con carne di maiale sfilacciata e insalata di cavolo cappuccio, ma perché sarà estremamente difficoltoso trattenerti dal mangiare tutto il pork, direttamente dalla teglia, dopo il primo assaggio. Probabilmente stai pensando che io stia esagerando, ma quelli che si sono già cimentati in questa preparazione, tipica dello stato della Carolina, possono capire cosa intendo. Appena inizierai a pullare il pork, e le forchette affonderanno nella carne, sarai investito ed avvolto da un profumo inebriante di maiale affumicato, arricchito dall’aroma delle spezie presenti nel rub, che ti farà venire l’acquolina in bocca. Che poi diventerà voglia matta di mangiare, alla vista degli splendidi sfilacci di carne morbidi e succosi. Così, non potendo più resistere, lo assaggerai, per sentire giustamente “com’è venuto”. Ma dopo il primo assaggio e dopo aver assaporato una carne tanto tenera e dal sapore esplosivo, non potrai trattenerti da farne un secondo assaggio, poi un terzo e così via. Attirati dalle tue esclamazioni estasiate, anche i tuoi amici vorranno provare il gusto eccezionale del pork. Sembrerete un po’ come un branco di leoni che banchetta con una gazzella. Ed è in questo momento che devi raccogliere tutta la tua forza di volontà, smettere di mangiare e strappare il pulled pork dalle fauci dei tuoi commensali. Secondo il mio gusto personale, il modo migliore per apprezzarlo è 354 - BBQ4All MAGAZINE

condirlo con una salsa acetosa e piccante, poi infilarlo all’interno di un panino insieme alla coleslaw: insomma, sto parlando di una specialità tipica della cucina americana, in particolar modo del North-Carolina. La salsa acidina darà al panino quel tocco di agrodolce che esalterà ancora di più il gusto intenso della carne, mentre la coleslaw, oltre ad essere l’elemento croccante, con la sua freschezza contrasterà quel senso di pesantezza che si prova quando si mangiano cibi molto saporiti. Della coleslaw esistono molte varianti, quella che ti propongo qui è molto semplice, ma nulla vieta che tu possa variarla secondo il tuo gusto. Procedimento 1. Prepara il tuo dispositivo per una cottura diretta. 2. Affetta finemente il cavolo cappuccio e la cipolla. 3. In una ciotola molto capiente mescola bene, fino ad ottenere un composto omogeneo: la maionese, la panna liquida, lo yogurt, l’aceto di mele e lo zucchero di canna. 4. Alla salsa ottenuta unisci il cavolo e la cipolla. Aggiusta di sale e pepe. 5. In un pentolino, sul fuoco di casa, riscalda insieme dopo averli amalgamati, la salsa barbecue, l’aceto di mele e il tabasco. Lascia sobbollire per qualche minuto e poi condisci la carne. Se fredda, per farla rinvenire prima puoi inizialmente condirla con un po’ di brodo caldo e poi metterla in forno alla temperatura di 70 gradi, coperta con un po’ di alluminio. 6. Dividi in due i panini e griglia la parte interna. 7. Farcisci il panino, con uno strato abbondante di pork ricoperto di coleslaw

I N G REDI EN TI P E R 8 P E R S ON E • • • • • • • • • • • • •

3/4 kg pulled pork sfilacciato 8 bun 100 g di salsa barbecue 50g di aceto di mele Tabasco q.b. 1 cavolo cappuccio 1 cipollotto 250g di maionese 100g di panna liquida 100g di yogurt greco 20g di zucchero di canna Sale q.b. Pepe q.b


ALMANACCO 2019

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RICETTA di LUCA GALLOZZA

sale

e

whisky

IN ZUCCA! Cucurbita ripiena e fumosa

I NGREDIEN TI PE R 4 PERSO N E • • • • • • • • • • •

8 zucchine 5 foglie di menta 25 foglie di basilico 1 uovo 150g di Parmigiano grattugiato 100g di pangrattato 1 cucchiaino di concentrato di pomodoro Noce moscata q.b Olio Extravergine di oliva q.b. Sale q.b. Pepe nero q.b

La cucurbita, ovvero la zucchina come la conosciamo nel gergo comune: importata dopo il 1500 in seguito alla scoperta dell’America, ha preso il largo da noi in breve tempo, diffondendosi in svariate specie. Ovviamente questo ha stimolato un consumo massiccio in cucina, tramite innumerevoli preparazioni. Persino il suo fiore è molto utilizzato per piatti delicati e saporiti. Noi, in questa ricettina tutta vegetariana, prepareremo delle belle zucchine tonde di Nizza, in versione ripiena. Non con il solito macinato, come si usa fare maggiormente, ma con un ripieno morbido e cremoso fatto per gran parte di zucchina stessa che poi affumicheremo in griglia con delle buone chips di whisky. È un piatto gustoso e appagante, che unisce la bontà della zucchina al gusto degli ingredienti che ne esaltano la preparazione. Questo piatto, poi, ha un gusto particolare per me, perché mi riporta all’infanzia. Un piatto che mia madre ha sempre preparato egregiamente e che io ho adattato alla griglia. Buono sia caldo che freddo. Facile da preparare e di grande piacevolezza anche per i carnivori più incalliti. Volete provarlo? Mettetevi all’opera. Procedimento 1. Lavate le zucchine. Asportate la calotta superiore e, con l’aiuto di uno scavino, svuotate la zucchina la-

sciando solo la parte esterna e ricavandone un saccottino. 2. Mettete in una pentola la parte interna, aggiungete le foglie di basilico e di menta, un filo d’olio, sale e pepe e passatela grossolanamente con un minipimer. 3. Aggiungete il concentrato di pomodoro e fate cuocere a fiamma media per 15 minuti sino ad evaporazione dei liquidi. Quindi spegnete e lasciate raffreddare. 4. Procedete con la cottura dei saccottini di zucchina, friggendoli sino a leggera doratura. 5. Nella pentola con il passato di zucchine, inserite l’uovo, il pangrattato, il formaggio e la noce moscata. Amalgamate fino ad ottenere un impasto omogeneo e consistente. 6. Riempite con l’aiuto di un cucchiaino, i saccottini di zucchina col ripieno ottenuto, sino al bordo, senza eccedere. Crescerà in cottura. Spolverate la parte superiore col formaggio grattugiato e un filo d’olio. 7. Adagiate le zucchine ripiene in una teglia che disporrete sulla griglia del vostro dispositivo. 8. Impostate per una cottura indiretta, con una temperatura in camera di 180°C, affumicando con chips di whisky. 9. Verificate la cottura dopo 20 minuti e toglietele quando si sarà formata una deliziosa crosticina superficiale. ALMANACCO 2019

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DULCIS IN FUNDO - RICETTA di MARIANGELA IBBA

bye bye miss AMERICAN PIE

I NGREDIEN TI PE R 6 PERSO N E • • • • • • • • • • •

120 ml di latte 1 cucchiaio di aceto di mele 375 g di farina 00 30g di amido di mais 230g di burro 110g di zucchero di canna 500g di fragole Succo di un limone 1 pizzico di sale Un uovo 1 cucchiaio di latte

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Sulle note della canzone “American Pie”(1972) del cantautore rock statunitense Don McLean, parliamo della torta americana più famosa nel mondo. Non dirmi che non conosci l’American Pie, perché non ti credo. Anche se non hai mai avuto la fortuna di mangiarla, non puoi non sapere di cosa sto parlando. Ti do un indizio. Nei film holliwoodiani è la torta di mele sempre servita in una teglia tonda argentata, ricoperta da uno strato di pasta croccante. Ti si sono illuminati gli occhi, vero? L’american Pie è un caposaldo della tradizione americana, infatti esiste il detto: “as american as an apple pie”, “è americano quanto una torta di mele”, usato per indicare tutto ciò che è statunitense fino al midollo. In realtà, questo dolce affonda le proprie radici in Europa: fu importato dagli immigrati inglesi sbarcati nel New England e, in origine, il ripieno era fatto con ogni tipo di frutta. Solo che, nel nord degli Stati Uniti, le mele erano talmente diffuse e presenti tutto l’anno che la versione con le mele divenne l’American Pie per eccellenza, mettendo in ombra tutte le altre versioni. Conosciuta in tutto il mondo grazie anche ai fumetti della Disney, Nonna Papera ne sforna in continuazione, fu resa ancora più celebre, all’inizio del 2000, dai film della saga “American Pie”. Inoltre, se aguzzi la vista, noterai spesso questo dolce sullo sfondo della scenografia nei film o nelle serie TV, un po’ come oramai adocchi sempre la presenza di un barbecue. Lo so che lo fai. In ogni caso, la nostra versione non è con le mele, ma con le fragole. La Strawberry Pie Ma non per questo è meno buona. Anzi. L’abbiamo resa ancora più straordinaria affumicando le fragole prima di metterle all’interno della torta; il che la rende un dolce unico nel suo genere, con il quale stupire tutti. Provatela con una pallina di gelato alla vaniglia e fidatevi, il primo assaggio non si scorda mai (cit.).

Procedimento 1. In un recipiente, mescola il latte con l’aceto di mele. Copri con la pellicola alimentare e riponilo in frigo per 4 ore circa. Passato questo tempo puoi iniziare a preparare la pasta. 2. In una ciotola capiente amalgama gli elementi secchi: la farina, 30g di zucchero, 15 grammi di amido di mais e un pizzico di sale. Poi aggiungi il burro freddo tagliato a tocchetti e inizia a lavorare l’ impasto. 3. Quando il composto avrà una consistenza sabbiosa, aggiungi, poco per volta, il latte che avevi messo in frigo. Continua a lavorare l’impasto con le mani fino a quando non avrai ottenuto una bella pasta liscia ed omogenea. 4. Avvolgi la pasta nella pellicola alimentare e lasciala riposare in frigo per 30 minuti circa. 5. Prepara il tuo dispositivo per una cottura indiretta a 180 gradi. 6. Lava le fragole sotto l’acqua corrente e asciugale bene tra due canovacci. Poi tagliale grossolanamente e condiscile con il succo di limone, 15 grammi di amido di mais e 80 grammi di zucchero. 7. Poni le fragole in una teglia resistente alle alte temperature e mettile in cottura indiretta, dalla parte opposta delle braci, per un decina di minuti, affumicando con due manciate di petali di legno aromatico. Naturalmente chiudi il coperchio. 8. Dopo 10 minuti circa, togli le fragole dal dispositivo e lasciale raffreddare. 9. Dividi in due parti non uguali la pasta, perché la sfoglia per la base è sempre più grande di quella che va a chiudere la torta. Infarina il piano di lavoro e con un mattatello stendi la pasta sottilmente. 10. Fodera la teglia con la pasta, versa all’interno le fragole e ricoprile con la seconda sfoglia di pasta. 11. Rifila i bordi con un coltello e poi fai aderire bene i bordi tra di loro schiacciandoli con una forchetta. 12 Al centro della torta pratica un'incisione a forma di croce, per far uscire il vapore della frutta durante la cottura. 13. Sbatti il tuorlo con un cucchiaio di latte e spennella la superficie della torta, affinché acquisti un bell’aspetto dorato. 14. Poni la torta in cottura indiretta a 180°C per circa 30/40 minuti.

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NON SOLO CARNE - RICETTA VEGETARIANA di LUCA GALLOZZA

HAMBURveg il patty più "rare" che ci sia

I N G REDIENT I P ER 4 PAT TY • • • • • • • • • • • •

300g di barbabietola 150g di lenticchie lessate 1 carota 2 coste di sedano 150g di daikon 50g di cipolla rossa 100g di pangrattato 200 gr di semola rimacinata Aglio granulare q.b. Prezzemolo q.b. Sale q.b. Pepe nero q.b.

Non è sicuramente “vegetariano” l’aggettivo più simpatico per un griller. Nonostante questo, si possono fare delle grosse abbuffate di verdura senza nulla togliere a quell’istinto carnivoro che ci contraddistingue. Il più delle volte si tratta solamente di trovare i giusti abbinamenti e di unire gli ingredienti in modo originale. E poi bisogna pur accontentare anche chi non condivide la nostra sfrenata voglia di carne. Perché allora non preparare qualcosa che metta tutti d’accordo? Questa preparazione vi farà cambiare idea sul consumo consapevole di vegetali, e vi porterà dentro una serie di sapori sorprendenti. Inoltre siamo noi stessi, in certe circostanze, ad aver bisogno di un pasto più leggero che ci sgrassi il palato. E’ pure bello da vedere, questo hamburger veg, che oltre a riempire la pancia, riempie anche gli occhi: potete cuocerlo quanto volete, ma lui rimarrà sempre rare. Bene: direi che se vi ho convinto è giunto il momento di prepararlo. Procedimento 1. Prendete la barbabietola e grattugiatela finemente. Fate lo stesso con sedano, carota e daikon. 2. Con un minipimer, riducete a crema le lenticchie lessate. 3. Unite gli ingredienti grattugiati precedentemente alla crema di lenticchie. 4. Aggiungete la cipolla rossa cruda,

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tritata finemente, l’aglio granulare e il prezzemolo. Aggiustate di sale e pepe. 5. Mescolate tutto insieme aggiungendo poco alla volta il pangrattato e la farina di semola, sino ad ottenere una consistenza pari a quella di un impasto. 6. Formate delle palline di circa 200g e schiacciatele per formare il vostro patty. 7. Utilizzate la rimanente semola per impanare i vostri patty in modo che assorbano l’umidità in eccesso. 8. Metteteli in frigorifero e lasciateli riposare per mezz’ora in un contenitore coperto con pellicola. 9. Toglieteli dal frigo e ripassateli nella semola. 10. Settate il vostro dispositivo per una diretta sui 200° C e sistemate sopra la griglia una bella piastra in ghisa. 11. Fate cuocere il vostro patty per circa due minuti per lato, rigirando almeno ogni 30 secondi per non bruciare l’eccesso di semola. A questo punto, non vi rimane che servire. Potete realizzare un bel piatto composto con dell’insalata e delle patatine fritte, oppure come ho fatto io: riscaldate un panino con semi di sesamo, farcite con agretti, fetta di pomodoro, una fetta di Emmenthal francese, della cipolla rossa a crudo e una senape al miele.


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VINI ABBINATI a cura di ENIO BERTON

È ORA DI

BERE! abbinamenti consigliati

DUCA ENRICO Vino: Cantina: Abbinamento :

Terre Siciliane IGT Duca Enrico 2011 - 100% Nero d'Avola Duca di Salaparuta Pulled Pork

Pulled Pork: il principe delle nostre preparazioni (il re brisket non si tocca), una ventata di profumi e di sapori più o meno mitigati dall’onnipresente insalata coleslaw (aggiungeteci una mela granny smith, non ve ne pentirete) e dalla salsa barbecue. Le variabili in gioco sono molte (che tipo di affumicatura abbiamo usato, la coleslaw più o meno acidula, la salsa barbecue tendente al dolce o anch’essa più acre) e per questo motivo ci teniamo alti, anche nel costo. Il nero d’avola per anni è stato usato come vino da taglio (utilizzato in cantina per aumentare il grado alcolico di altri vini) e solo negli ultimi decenni si è iniziato a vinificarlo in purezza. È chiamato anche Calabrese da una italianizzazione del termine locale calaulisi o calarvisi (tradotto: uve dalla città di Avola), usato fin dall’800 dai commercianti francesi per invogliare l’acquisto, i quali consideravano i vini calabresi ottimi per aumentare il tasso alcolico ed il colore dei loro vini rossi. Le origini risalgono al tempo della Magna Grecia; recentemente è stato esportato in California e Turchia. La tradizionale coltivazione ad alberello sta lasciando lo spazio ad altri sistemi di impianto, anche se, per mantenere una elevata qualità, si continua con questo sistema. La cantina Duca di Salaparuta è stata la prima, in Sicilia, che ha prodotto il nero d’avola in purezza già dal 1984. Di origini antichissime (fondata nel 1824), ha mantenuto nel corso degli anni un’elevata qualità produttiva abbinando i vitigni classici siciliani con i vitigni internazionali. Il Duca Enrico nasce dalle selezionatissime vigne presenti nella tenuta di Suor Marchesa nel comune di Butera, in provincia di Caltanissetta, ed è il capostipite dei neri d’avola dell’azienda. La raccolta a mano viene fatta solo a perfetta maturazione delle uve. Dopo la fermentazione con macerazione delle bucce per 8/10 giorni, viene posto in affinamento per 18 mesi in fusti di rovere e poi altri 18 mesi in bottiglia. Dall’aspetto rosso rubino intenso, sprigiona già all’olfatto un bouquet di sensazioni che vanno dalla frutta matura a sentori di fiori e note speziate. Al palato è imperiale, morbido e di grande struttura, persistente ma non invasivo anche nel fin di bocca. Da servire a 16/18 gradi in bicchieri ampi.

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CARMENERE PIÙ Vino: Cantina: Abbinamento :

Carmenere Più IGT 2015 - 70% Carmenere 30% Merlot Azienda Agricola Inama Agnello arrosto

Ravioli al vapore con ripieno di pulled pork e salsiccia: bel piatto che unisce l’affumicato del pulled con la dolcezza della salsiccia e della pasta dei ravioli. Il vino non deve coprire i diversi sapori del piatto e contemporaneamente deve essere in grado di pulire il palato per invogliare ad un altro boccone. Ci serve un vino di corpo ma con un tannino aggraziato e non invasivo. Il vitigno carmenere è stato per anni considerato una varietà di provenienza cilena. In realtà proviene dalle zone dalmate e fu portato dai romani in Francia, dove entrò a far parte del blend di vini di quella regione (il famoso taglio bordolese). Per la sua bassa resa e per la difficoltà di maturazione delle sue uve, ne fu abbandonata la coltivazione dopo l’epidemia di filossera che colpì l’Europa a metà del 1800. Solo nel 1994 alcuni studi scientifici sul DNA rilevarono che il vitigno era giunto in Cile (dove era stato scambiato con il Merlot) e nel nord est Italia dove veniva chiamato Cabernet Vecchio, spesso confuso come una varietà meno pregiata del Cabernet Franc. È entrato nel registro delle varietà vinicole italiane nel 1996, dopo ulteriori studi della scuola Enologica di Conegliano Veneto. Inama lo coltiva all’interno della DOC Colli Berici, nelle zone a cavallo tra le province di Vicenza e Padova. Rappresenta il vino di entrata di questa cantina per la tipologia Carmenere, ma è un vino interessante e dai sentori decisi. Le uve vengono raccolte a mano e, dopo la diraspatura, vengono pressate e poste in fermentazione in tini di acciaio, per poi fare un passaggio di 12 mesi in barrique usate. Di colore rosso cupo, con riflessi violacei, al naso si presenta con note floreali, sentori di bacche di sottobosco, cacao e pepe nero. Al palato risulta fresco, con tannini non invadenti anche se leggermente spinti, ma ben bilanciati da una buona alcolicità e sapidità. Da servire a 10/12 gradi in bicchieri ampi.

SORÌ GALA Liquore: Cantina: Abbinamento :

Sorì Gala Moscato d’Asti 2017 - 100% Moscato Federico Ferrero American Pie

Un classico della cucina americana, l’American pie, con un classico dei vitigni per dolci, il moscato. Diverse sono le zone dove questo vitigno viene coltivato, sia in Francia che in Italia, sotto diverse denominazioni e varietà sia a bacca nera che bianca. Portato in Italia dai coloni durante il periodo della Magna Grecia, si diffuse in tutta Europa per merito dei commerci della potente Venezia nel medioevo, a quel tempo prevalentemente come vino appassito. La zona del moscato d’Asti comprende circa un centinaio di comuni a cavallo delle provincie di Asti, Alessandria e Cuneo. Proprio in provincia di Cuneo, e più precisamente a Mango (località Bongiovanni), troviamo la cantina Federico Ferrero. Nata alla fine del 1800, ha attraversato diverse vicissitudini fino ad interrompere, per un periodo, la vinificazione delle uve prodotte. Nel 2002 Federico, dopo gli studi alla scuola enologica, ha ricominciato la produzione del vino in bottiglia. L’azienda consta di circa 30 ettari di cui 14 dedicati a vigneti ed altri 10 dedicati alla coltivazione della nocciola Piemonte IGP. Il Sorì Gala nasce dai vigneti esposti a sud in zona Gala (sorì in piemontese corrisponde a zone soleggiate). La raccolta delle uve viene fatta verso la metà di settembre, il mosto viene subito portato a 0°C con un 1% di alcol svolto (questo blocca la trasformazione degli zuccheri in alcol). Dopo circa un mese il vino è pronto per la messa in autoclave, dove sviluppa il grado alcolico e la tradizionale frizzantatura. Dal colore giallo dorato intenso, sviluppa un sottile perlage persistente. Al naso si presenta floreale, pieno di frutta fresca con note di mela gialla. Al palato si esaltano le note agrumate, di buona acidità che compensa il grado zuccherino elevato. Da servire a 8/10 gradi in bicchieri tulipano. ALMANACCO 2019

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BIRRE CONSIGLIATE a cura di RICCARDO MENICONI

S TA R S H I P

Il Pulled pork, probabilmente la nostra prima overnight, la vera e propria sfida nel mondo del Low&Slow. Le ansie, le notti passate in bianco a leggere e rileggere le indicazioni del nostro Guru, a studiare in ogni dettaglio il set up, a bilanciare il rub, a scegliere la salsa perfetta. Dopo giorni e giorni di studio, è arrivato il momento di accendere la ciminiera e di mettere in fresco le birre. Perché si sa, nel bbq il tempo non si misura in minuti, ma in birre. Ma noi siamo pronti. Lo smoker fuma, l’ansia inizia a diminuire, le birre ad aumentare, gli amici ad arrivare. Siamo già provati, ci siamo svegliati all’alba per preparare la sontuosa cena, ci serve una birra defaticante. Rinfrescante e luppolata. Mi ricordo ancora di quella volta in cui andai fino a Montepulciano dal mio amico Moreno Ecolani del birrificio Olmaia, per recuperare qualche fusto di Starship, perché se le cose si fanno, vanno fatte bene. Due fusti, e qualche bottiglia. La Starship è la birra perfetta per queste giornate di festa con gli amici, la musica e il buon cibo. Il colore è ambrato, leggermente velato, con una schiuma persistente, compatta e cremosa soprattutto se spinata a pompa. Il naso è quello delle tipiche bitter inglesi, pieno di crosta di pane e biscotto con sentori di caramello e note erbacee. Molto coerente, in bocca ritroviamo quegli aromi con un amaro intenso, terroso ed erbaceo donato dalla luppolatura inglese. I suoi 4,5% e il corpo snello la rendono molto beverina e dissetante. Da bere a litri.

PA L E A L E D I VETRA Questo più che un vero abbinamento gastronomico è un matrimonio d’amore. Un panino con pulled pork, insalata di cavolo e salsa barbecue insieme alla Pale Ale di Vetra e si è subito catapultati nella West Coast, seduti sulla panchina di fronte ad un chioschetto a godersi il panorama dell’Oceano Pacifico. Anche se in realtà Vetra è un birrificio italianissimo, di Varese per la precisione, con questa American Pale Ale è in grado di farci viaggiare senza dover muovere un passo. Il colore è giallo dorato, limpido e brillante; la schiuma abbastanza persistente, bianca con un perlage molto fine, dalla quale si sprigionano profumi floreali e di frutta esotica ancora non troppo matura, come ananas e litchi. Si sentono note di agrumi dati dai luppoli americani usati in modo massivo. In bocca entra morbida per poi diventare quasi immediatamente aspra e secca con note amaricanti ma eleganti. Ritroviamo nel sapore tutti quei sentori di frutta e di agrurmi, con un corpo snello ed elegante che richiama la bevuta, con un colpo di coda resinoso e asciutto. Impossibile smettere. Con i suoi 5,4 gradi sicuramente ve ne serviranno almeno due per finire il panino. Da servire in una pinta Americana assolutamente fresca, e questa volta non parlo di gradi Celsius, ma di data di imbottigliamento. La temperatura di servizio è di 7°-8°C. 364 - BBQ4All MAGAZINE


COCKTAIL a cura della REDAZIONE

L I M O N C E L L O

G I N C O C K TA I L "limonoso" e rinfrescante

Siamo a Maggio. Le giornate calde cominciano a farsi sentire e con esse anche la voglia di bere qualcosa di fresco e dissetante. Inoltre, dobbiamo servire ai nostri ospiti un fantastico aperitivo con delle polpettine ripiene di pulled pork e peperoncini. Abbiamo quindi bisogno di qulcosa che sgrassi il palato e che sia rinfrescante. Niente di meglio di un cocktail a base di limoncello. Tutti conosciamo questo liquore tipico della costiera amalfitana, preparato con le scorze di limone. Il suo grado alcolico oscilla tra il 20% e il 32% vol. Dolce, dal caratteristico colore giallo, il limoncello si prepara lasciando macerare nell'alcol puro le scorze di limone con l'aggiunta di uno sciroppo a base di acqua e zucchero. Deve rimanere in bottiglia per almeno un mese prima di essere bevuto. Ed è proprio il limoncello la base del cocktail che andremo a servire ai nostri opiti, in queste calde giornate di Maggio, insieme al pulled pork fumante. E' facilissimo da preparare, ecco quello che vi serve: 50 ml di Limoncello 25 ml di Gin il succo di un limone Ghiaccio Direttamente nel bicchiere ghiacciato, preferibilmente un Tumbler Medio o Collins, mescolate il limoncello, il gin e il succo di limone insieme ad abbondante ghiaccio. Decorate con zest di limone. E' ottimo servito anche nei bicchieri piÚ piccoli, come shottino

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THE CHEMICAL GRILLERS - RUBRICA a cura di VIRGILIO BRUNETTI

brining

chapter one Il termine italiano “Salamoia” identifica una soluzione salina per il trattamento di una vasta gamma di alimenti: prodotti caseari, ittici, carnei e non ultimo ortaggi e verdure. L’uso di una soluzione salina come conservante è uno dei mezzi più semplici per mantenere a lungo prodotti deperibili a temperatura ambiente, previa pastorizzazione o sterilizzazione. Spesso vengono definite “conserve al naturale”, dato che l’alimento mantiene la maggior parte delle caratteristiche organolettiche del prodotto fresco o cotto: colore, sapore, idratazione (più difficilmente la consistenza). Inoltre non sono aggiunte componenti acide, grasse o zuccherine che caratterizzano le conserve sott’aceto, sott’olio e in agrodolce. Abbiamo parlato molto spesso di Salamoia, più precisamente di Wet Brining e Dry Brining. Quest’ultimo è uno dei temi più hot della nostra community, insieme alla tecnica del reverse searing; tuttavia, la mia percezione è che, nonostante i nostri sforzi, ci sia ancora confusione nell’applicazione delle tecniche di brining, le quali di fatto sono la base del seasoning e si applicano spesso inconsapevolmente anche quando utilizziamo un rub o una marinatura. ALMANACCO 2019

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Il termine Brining raccoglie una serie di tecniche che hanno lo scopo di applicare una quantità utile di sale, tale da esaltare la sapidità e la succosità della carne in maniera significativa. Dry Brining significa “salamoia a secco”. Sebbene per noi Italiani il concetto di concia o salagione degli alimenti quali carni, pesci e formaggi sia intuitivo, iniziamo a vacillare quando invece si tratta di salare la carne prima della cottura. Lo scopo del dry brining è quello di migliorare la qualità di base della carne in termini di sapidità, succosità e resa in cottura; inoltre il dry brining non ha lo scopo di prolungare la shelf-life. Per saperne di più vi invito ad iscrivervi alla nostra BBQ4All MAIL CLASS dove vi verranno spiegati con rigore scientifico tutti i perché del Dry Brining. Vi anticipo solo che Il Dry Brining, se applicato correttamente. è una tecnica assolutamente versatile. Le quantità di sale non sono le stesse che si usano per la salagione di un prosciutto o di una baffa di salmone, sono largamente inferiori e si posso quantificare tra lo 0,5 e 2% rispetto al peso della carne. I tempi di esposizione su una bistecca di spessore 368 - BBQ4All MAGAZINE

accettabile non superano le 48h. Un’altra variabile che genera caos nell’applicazione di queste tecniche è l’uso di sali da cucina cristallizzati in maniera particolare e di unità di misura arbitrarie come “Cup” e “Spoon”. Accettate un consiglio: scegliete il sale che preferite e ragionate sempre in grammi. Nel caso del Dry Brining, dove il sale va sparso in maniera uniforme sull’alimento, è ragionevole parlare di sali con cristalli con geometrie differenti da quelle del nostro comune sale da tavola. Il sale Maldon® o il Morton® si prestano meglio al Dry brining perché, a parità di peso, presentano una massa maggiore dovuta alla struttura dei cristalli di cloruro di sodio, per cui risulta più agevole cospargere il sale sulla superficie della carne. Fonti autorevoli dichiarano che il dry brining può essere considerata una tecnica totalmente sostitutiva rispetto alle più complicate e ingombranti procedure di Wet Brining. Il sale può essere miscelato a vostra discrezione con le spezie secche, ma forse per questo non siete ancora pronti: pare che in Italia condire una bistecca alla fiorentina con sale e aromi prima della cottura sia un reato passibile penalmente. Che ci crediate o no, il sale appli-

cato nella giusta misura sulla vostra bistecca renderà i seguenti vantaggi: • Maggiore succulenza del pezzo di carne; • Adeguata sapidità, distribuita uniformemente; • Parziale denaturazione del connettivo; Inoltre vorrei sottolineare che la denaturazione delle proteine degli strati superficiali della bistecca permette un rendimento migliore della reazione di Maillard. Quantità maggiori di sale, parliamo di oltre il 2% in peso rispetto la materia prima da trattare, hanno tre scopi: stabilizzare gli alimenti dal punto di vista microbiologico, disidratare e aumentare i tempi di conservazione. Il Dry brining in questo caso va a complementare processi di affumicatura fredda, essiccazione e stagionatura, rendendo gli alimenti conservabili anche per mesi. Il Wet Brining invece è un approccio “umido” che si effettua immergendo gli alimenti in una soluzione salina, ma esistono di fatto due varianti nell’esecuzione di questa tecnica che vale la pena distinguere almeno a livello conoscitivo. Il Wet brining rappresenta un approccio tradizionale al brining e con-


siste nell’immersione di un alimento in una soluzione ipersalata con una concentrazione di sale comune che va dal 5 al 10%. In questo caso, parliamo di Gradient Brining. Per meglio spiegare cosa significhi utilizzare una salamoia per gradiente, si può ricorrere ad un interessante parallelismo tra Brining e Cottura. Normalmente, siamo abituati a cucinare la nostra carne ad una temperatura superiore a quella target interna: prendo il mio girello di manzo di super qualità, lo aromatizzato con amore e lo metto in cottura indiretta a 140-160°C per il tempo sufficiente perché la temperatura al cuore arrivi a 48°C, resting e carry-over faranno in modo che la temperatura arrivi a 52°C. Cottura Perfetta? Se il concetto di cottura perfetta è una carne stracotta negli strati esterni e cruda al centro sappiate che esiste un livello di perfezione superiore al quale non siete ancora addestrati, a meno che non siate degli appassionati di cotture a bassa temperatura e in sous vide. Bene, il Gradient Brining agisce con la stessa identica cinetica di una

cottura a temperatura elevata: essendo il processo basato sulla diffusione e non sul principio di osmosi, l’assorbimento dei liquidi è condizionato da una lenta penetrazione del sodio a partire dagli strati più esterni verso l’interno. I tempi, come nella cottura, dipendono dalla massa, dalla geometria del pezzo di carne e dalla forza della soluzione. Il risultato sarà del tutto analogo: avremo gli strati esterni ipersalati e un gradiente di salatura disuniforme dal l’esterno verso l’interno. I vantaggi di un Wet Gradient brining sovrapponibili a quelli di un Dry Brining (maggiore succulenza, sapidità aumentata e rilassamento dei tessuti connettivi, inibizione efficacie della crescita di molti ceppi batterici) a fronte però di alcuni importanti effetti collaterali: salatura eccessiva soprattutto negli strati superficiali, denaturazione intensa delle proteine superficiali, ricorso a procedure correttive che dilatano i tempi di preparazione, correzione della sapidità mediante l’aggiunta di zuccheri. Gli effetti collaterali di un gradient brining si correggono facilmente con un bagno in acqua dolce e lasciando riposare la carne in frigo per qual-

che ora, in modo che il sale vada ad equilibrarsi all’interno della ciccia. Una salamoia al 6% è sufficientemente forte da inibire la crescita batterica, a mano che non ci siano contaminazioni a monte del processo, a mano che il gruppo muscolare da cui è costituito il taglio sia intero e a mano che non ci siano buchi o tagli effettuati con arnesi contaminati. Un gradient brining non è una tecnica che si presta bene ad alimenti delicati, soprattutto se si vogliono evitare modificazioni significative sulla texture. Esiste un’alternativa “modernist” al tradizionale gradient brining chiamato Equilibrium Brining. Questa tecnica segue la stessa cinetica d’azione delle cotture a bassa temperatura, in sous vide e del reverese searing BBQ4All style, in cui si tratta la carne (o altri alimenti) ad una temperatura uguale a quella che vogliamo raggiungere al cuore: si prende la bistecca si mette in forno a 52°C e si attende che la temperatura della carne si equilibri con quella della camera di cottura. Il tempo di searing o di cottura sarà in funzio-

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ne delle caratteristiche della carne. In un Equilibrium Brining si sceglie di utilizzare una concentrazione di sale che sia “giusta”, si fa agire la salina finché si va a stabilire un equilibrio tra sale disciolto nella soluzione e quello diffuso all’interno dell’alimento. Qual è la concentrazione di sale giusta? È molto semplice. Premetto che una soluzione di sale da cucina in acqua rimane insapore per una concentrazione inferiore a 0,009 M (circa 0,5 g/L) e viene poi percepita progressivamente sempre più dolce fino a 0,030 M (1,8 g/L). Per concentrazioni comprese tra 0,030 M e 0,040 M (1,8 -2,3 g/L) il sapore è misto dolce-salato per diventare poi salato puro sopra 0,040 M. Una salina fisiologica ha una concentrazione dello 0,9% (cioè circa 9 g/L), l’acqua di mare il 3,5% (35 g/L) in questo range si attesta la nostra percezione di poco e molto sapido. La formula per determinare la giusta quantità di sale da dissolvere è: (peso Acqua + peso Carne) x Concentrazione della soluzione in % = peso del sale da dissolvere Per una soluzione al 2% per 1 kg di carne più 2kg di acqua, saranno necessari 60 grammi di sale comune contro i 60 grammi su litro che andremo ad utilizzare per una salamoia tradizionale al 6%. Le percentuali di sale vanno aggiustate in base alla tipologia di alimento: • frutti di mare delicati 0,5-1%, • carni bianche 1,5-1,75% • carni rosse delicate fino al 2% A queste concentrazioni abbiamo un’inibizione piuttosto bassa della crescita batterica, per cui si consiglia sempre di mantenere la catena del freddo e l’igiene dei processi di preparazione. Essendo i tempi piuttosto dilatati, questa tecnica viene utilizzata maggiormente per alimenti delicati di dimensioni contenute. In alternativa, su pezzi di dimensioni più consistenti potete considerare di accelerare iniettando la soluzione con una apposita siringa, perforando/massacrando la carne con un Meat Jaccard oppure usando un introvabile Vacuum Meat Tumbler (una sorta di agitatore che muove un contenitore da vuoto). I tempi di esposizione dipendono 370 - BBQ4All MAGAZINE


dallo spessore della carne; il tempo si calcola in maniera approssimativa come quadrato dello spessore: per una bistecca di 2 cm il tempo di brining dovrà essere circa 4 giorni. L’utilizzo di una Equilibrium Brine potrebbe sembrare una inutile complicazione, ma è di fatto l’unico approccio che permette di tenere sotto controllo tutte le variabili e di applicare la tecnica del brining con rigore scientifico. Esiste anche un metodo strumentale per controllare accuratamente la quantità di sale in un alimento: si chiama “salitometro con sonda ad infissione” ma ha un costo proibitivo per gli scopi di un griller comune. Nel prossimo capitolo vedremo come la nostra salamoia a base di semplice NaCl benefici dell’aggiunta di altri particolari Sali, e i relativi scopi. To be continued!

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RUBRICA a cura della BBQ4ALL UNIVERSITY

#CHIEDIALCOACH

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#chiedialcoach Speciale Pulled Pork: molti utenti ci chiedono chiarimenti sulla conservazione del pulled pork in barattoli. Risponde il senior coach VIRGILIO BRUNETTI. Avere in dispensa la nostra batteria di Pulled Pork in barattolo pronto all’uso è un’idea che intriga ed entusiasma moltissimi griller e amanti della carne affumicata, ma è un prodotto che richiede una procedura di preparazione specifica che si basa gran parte sulla gestione dell’igiene, della temperatura della carne e del pH della conserva. Prima di suggeriti come fare, permettetemi di farvi qualche premessa. La rigenerazione degli avanzi del nostro barbecue è una necessità sostanzialmente diversa rispetto a quella di preparare una carne al barbecue destinata ad una lunga conservazione in un vaso ermetico. In ambito professionale esiste una serie di strategie complesse che consentono di garantire la gestione degli avanzi e la conservazione a medio termine degli alimenti preparati. Conoscere ed applicare queste strategie consente di economizzare in maniera intelligente i prodotti freschi faticosamente preparati e di riutilizzarli garantendo qualità e sicurezza. Il rendimento di queste procedure è legato strettamente all’utilizzo consapevole e programmato degli apparati tecnologici deputati alla gestione della temperatura dell’alimento e si configura in un percorso a tre passaggi: Cottura – Abbattimento – Ritorno in temperatura. A livello domestico, i livelli di allerta in termini di sicurezza e di qualità tendono a rilassarsi e sono governati dalla mentalità della singola persona e dalla sua percezione di rischio ma devono comunque mantenere degli standard accettabili al fine di evitare inutili rischi di intossicazione alimentare. Gli avanzi di un pulled pork spesso non possono essere abbattuti, perché l’uso di abbattitori a livello domestico è ancora poco diffuso; si ricorre quindi alla conservazione in frigo o in congelatore. Una carne cotta a lungo e affumicata avrà di base una carica batterica veramente molto bassa se si applicano le normali norme igieniche, ma tutto cambia se il pulled pork deve essere preparato e predisposto ad una lunga conservazione in contenitore ermetico, come un vaso in vetro. I rischi sono gli stessi di qualsiasi altra conserva casalinga: il botulismo e le tossinfezioni alimentari sono un pericolo sempre troppo grande da correre, a fronte della necessità ludica di avere una conserva auto prodotta. I nostri vecchi conoscevano benissimo questi rischi, ma un tempo mettere in conserva gli alimenti era una necessità. Quando mia nonna preparava la salsa di pomodoro, per prima cosa sterilizzava i tappi e i contenitori bollendoli in acqua. La sterilità dei contenitori è il primo passo per ottenere una conserva sicura. Gli alimenti venivano lavati accuratamente, cotti e inscatolati ancora molto caldi. Se questo non era possibile, le conserve erano sottoposte ad acidificazione e a ripetuti cicli di bollitura (pastorizzazione). Le conserve così ottenute si potevano riporre anche per un anno a temperatura ambiente (e sempre previa ispezione dello stato del barattolo: tenuta del tappo, sfiati di gas all’apertura, odori di fermentato e rancido, effervescenza, muffe e patine sono indice di una conserva che non va assolutamente ALMANACCO 2019 - 373


consumata). Il vostro pulled pork appena uscito dal vostro barbecue sarà sostanzialmente sterile (anche se la sterilità assoluta non esiste); la lunga cottura, la temperatura prossima ai 100°C, l’affumicatura, il sale, le spezie e l’acidità della salsa barbecue, vi garantiranno una carica batterica molto bassa finché non iniziate a maneggiare la carne e la temperatura non si approssima alle condizioni necessarie e sufficienti affinché i batteri possano iniziare a proliferare. Tenete conto che questi ultimi si possono categorizzare in tre principali tipologie: I batteri termofili restano vitali e proliferano e sopravvivono fino a 60°C. I batteri mesofili proliferano e sopravvivono tra i 20 e i 45°C. I batteri psicrofili proliferano e sopravvivono tra i 10 e i 20°C. Ogni microrganismo ha la capacità di proliferare in un alimento ad un ritmo esponenziale quando trova l’optimum della temperatura. Nella tabella possiamo vedere come il range di temperatura tra 10 e 60°C definisce la zona di massimo pericolo all’interno della quale quasi tutti i microrganismi proliferano alla massima velocità. Inoltre ci suggerisce come sia importante che gli alimenti permangano il meno possibile all’interno di quel range di temperatura. La preparazione del “Canned” Pulled Pork inizialmente è del tutto sovrapponibile a quella che fareste per un pulled da consumare immediatamente; le strade si dividono a partire dal maneggiamento della carne contestualmente alla fase di resting, che deve avvenire in un contenitore il più possibile pulito per evitare contaminazioni. Quando sfilacciate la carne dovete avere l’accortezza di utilizzare utensili puliti, inoltre evitate di massacrare la carne fino all’ultima fibra, cercando quando più possibile di mantenere i pezzi grossi. Un passaggio che ritengo fondamentale, come suggerito nelle linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità riguardo alla conservazione di Salse e Sughi contenenti pesci e carni, è che il preparato, per essere pastorizzato/sterilizzato, deve avere anche un pH non superiore ai 4,6 TEMPERATURA (°C)

per evitare la germinazione delle spore di Botulino e il rilascio della tossina; di conseguenza è obbligatorio acidificare la preparazione mediate uso di aceto o acido ascorbico per uso alimentare, secondo le prescrizioni della scheda tecnica del prodotto. La misura del pH è abbastanza semplice se i prodotti contengono acqua, ma più complicata nel caso di prodotti su base grassa. Il pH misura il grado di acidità in una scala che va da 0 a 14. Minore è il valore del pH, maggiore è il grado di acidità di un prodotto. Il contrario di acido è alcalino, quindi un prodotto in cui il pH ha un valore prossimo a 14 è un prodotto alcalino oppure basico. A pH 7 corrisponde il livello di neutralità. Per quanto riguarda il rischio botulismo, i prodotti sono sicuri se il loro pH è minore di 4,6. In ambito domestico il pH si può misurare con le cartine al tornasole, che sono delle striscioline di carta solitamente di colore giallo che variano il loro colore in funzione dell’acidità del prodotto. Il semplice confronto del colore ottenuto misurando il pH del prodotto con una scala colorimetrica di riferimento presente nella confezione delle cartine fornisce il valore del pH della conserva. Il vaso di vetro e il relativo coperchio devono essere sanificati; devono inoltre essere di forma e di volume adeguato al prodotto che state andando a confezionare: il volume interno del vaso determina per quanto tempo dovete trattare il contenitore nelle operazioni di pastorizzazione o sterilizzazione. Gli spazi vuoti devono essere riempiti sfruttando i liquidi di cottura del pulled pork (che avete tenuto da parte) oppure un brodo ricco di gelatina che va versato caldo nel barattolo in modo da non avere bolle d’aria. Inoltre deve essere gestito con cura il livello di riempimento del contenitore: è importate lasciare il livello d’aria corretto, perché un riempimento eccessivo genera facilmente l’estrusione di alimento che potrebbe sporcare le guarnizioni e la filettatura del vaso, compromettendo nella maggior parte dei casi la tenuta del contenitore. La conserva a questo punto va stabilizzata mediante trattamento termico, che viene scelto in base alla tipologia della conserva e che deve essere anche praticabile a livello casalingo. Non è possibile, in tutti i casi, effettuare una sterilizzazione vera e propria del prodotto: viene effettuata una pastorizzazione.

COMPARAZIONE TRA TEMPERATURA E SVILUPPO MICROBICO PSICROFILI

MESOFILI

TERMOFILI

100 80 60

INTERROTTO RALLENTATO

RALLENTATO/ INTERROTTO

MASSIMA CRESCITA

MASSIMA CRESCITA

RALLENTATO

50 30 10

MASSIMA CRESCITA

0

RALLENTATO

RALLENTATO

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BLOCCATO

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BLOCCATO

ZONA DI MASSIMO PERICOLO


Il metodo casalingo per stabilizzare le conserve è la bollitura (a pressione ambiente) ed è un metodo sicuro solo su conserve acidificate. Vediamo come operare. I contenitori devono essere disposti nella pentola di capienza opportuna ed immersi totalmente in acqua; non devono avere contatto diretto col fondo: è utile frapporre un canovaccio tra i contenitori e il fondo. Il tempo di bollitura deve essere sufficiente affinché il calore arrivi al cuore della conserva. Non abbiamo modo di controllare con un termometro questo processo per cui dobbiamo

basarci sulle linee guida emanate dalle istituzioni, che regolamentano la sicurezza alimentare. Il Ministero della Salute indica 20 minuti tra 0 e 300 metri sul livello del mare e tra 25 e 35 per altitudini superiori. Il tempo si misura quando l’acqua inizia a bollire. Terminata la bollitura i barattoli devono essere lasciati in acqua e successivamente ispezionati, prestando attenzione alla tenuta dei tappi (sistema Click-Clack). Dopo l’apertura il vostro Pulled Pork deve essere conservato in frigo e consumato entro tre, quattro giorni.

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GLOSSARIO BBQ

DO YOU speak DIZIONARIO DEL MONDO BARBECUE

BBQ

Ogni mondo ha il suo codice, i suoi acronimi ed il suo dizionario di riferimento, e il barbecue non fa certo eccezione. Se vuoi diventare un griller esperto devi espandere il tuo vocabolario, che andrà da Adobo Sauce a Zest. La filologia, ovvero la disciplina che serve (anche) a ricostruire i documenti letterari nella loro forma più originale dice che è filologicamente molto più corretto chiamare le cose coi loro nomi originali piuttosto che usare le traduzioni. Sei d’accordo, no? 376 - BBQ4All MAGAZINE

Riprendiamo adesso il nostro viaggio lessicale, dopo le ettere C e D, affrontiamo la E e la F..

E

Emulsione. Usatissime in cucina, e anche nella cottura bbq, le emulsioni sono miscele di una componemente grassa con una soluzione acquosa. Sottoponendo la miscela ad una forte

agitazione, le goccioline di un ingrediente (la fase dispersa) possono distribuirsi nell’altro ingrediente (la fase continua). La formazione di una emulsione viene facilitata dall'uso di emulsionanti, cioè molecole che possiedono una parte affine all’acqua e una parte affine ai grassi. Esistono molte sostanze che possono essere utilizzate come emulsionanti, che hanno lo scopo di stabilizzare l'emulsione in modo che la parte grassa non si divida velocemente da quella liquida.


Quali sono queste sostanze? Le lecitine, ad esempio, contenute largamente nel tuorlo dell'uovo, Ma anche le proteine. Ecco perché aggiungere ad esempio la maionese nell'emulsione per la marinata è un ottimo modo per stabilizzarla: la maionese contiene sia le lecitine dell'uovo che le proteine. Un altro ingrediente largamente utilizzato per stabilizzare è la senape: le particelle finemente suddivise della senape si depositano sulle goccioline all'interfase tra il grasso e la sostanza acida, stabilizzando l'emulsione. Le emulsioni sono in ogni caso strutture molto delicate e la loro stabilità può essere influenzata da molti fattori, fra i quali la temperatura. Aumentando la temperatura si favorisce la separazione, perché i grassi diventano più fluidi. Di conseguenza, un raffreddamento può stabilizzare l’emulsione. Ember roasting. Cottura a contatto diretto delle braci. È uno dei metodi più antichi di cottura. Il senso è quello di conferire una complessità aromatica al cibo che non è possibile replicare con altri metodi. Tante materie prime si prestano perfettamente alla cottura su braci, in modo particolare gli ortaggi: cipolle, zucche, carciofi, melanzane, peperoni, peperoncini, patate e rape sono perfetti per questo metodo e offrono dei risultati sempre sorprendenti. Il calore, il fumo, la cottura interna che avviene grazie agli stessi vapori sprigionati dal calore delle parti a contatto, ne trasformano completamente il sapore originale.

F

Fall off the bone. Si usa questa espressione quando ci si trova davanti a delle ribs troppo cotte, che diventano molto morbide e pastose: la carne si sfilaccia e si stacca completamente dall'osso. Nonostante l'estrema tenerezza, il sapore ne risente molto. E' sempre meglio preferirie una cottura in cui l'osso si sfili facilmente, ma la carne continui a mantenere una certa compatezza. Fat cap. È uno spesso strato di grasso che si

trova tra la carne e la pelle. Se ne sente parlare in special modo quando ci si trova ad avere a che fare col Brisket. Il fat cap è quello strato di grasso compatto che ricopre tutto il flat fino all'inserimento nel point (vedi speciale Brisket per maggiori dettagli). Fat Flashing. È una procedura che nasce dalla fusione di altre due tecniche utilizzate per la cottura della carne in alcuni ristoranti e steakhouse americane . Riunisce il Basting (inumidire la superficie della carne durante la cottura condeterminati composti solitamente a base di burro fuso o fondi di cottura per aggiungere sapore ) e il Flashing ( somministrare una veloce botta di calore prima del servizio finale della bistecca). Con Fat Flashing si indica il passaggio che prevede di versare del grasso bollente (olio, burro, strutto ecc.) sulla superficie della carne cotta, quando è trascorso un lasso di tempo che può essere da qualche decina di secondi ad alcuni minuti. Non è una tecnica di cottura ma di termine di cottura. E' una tecnica molto usata per le bistecche. Firebox. È la camera di combustione, che contiene appunto il combustibile e il fuoco. Su alcuni smoker, come gli offset smoker, è separata dalla camera di cottura che contiene il cibo. Flat. È uno dei muscoli che compongono il Brisket. Esso infatti è composto dal pettorale profondo e dal pettorale superficiale: il primo è posizionato più internamente ed è appunto conosciuto come flat (il secondo invece è conosciuto come point). Ha la particolarità di essere molto meno infiltrato di grasso rispetto al point. Il Flat può essere facilmente separato dal point seguendo il setto naturale che li divide. Flat Iron Steak. È una bistecca che sorprende per tenerezza ed esplosività di sapore. Infatti, il muscolo infraspinatus dalla quale è ricavata è il secondo muscolo più tenero dell'intera carcassa dell'animale, subito dopo il filetto. Questa tenerezza è dovuta al fat-

to che un'ampia fascia di tessuto connettivo scorre attraverso il centro del muscolo. Questo fascia tendinea ha lo scopo di sostenere lo sforzo localizzato in questa area: in questo modo le due porzioni di muscolo che da essa vengono separate non sono sottoposte a grandi sforzi. Ecco spiegata la tenerazza. Il muscolo dalla quale è ricavata la Flat Iron Steak è conosciuto con diversi nomi: Topblade, Featherblade, Oyster Blade, oppure in italiano Copertina di spalla e Cappello del Prete Flip&Brush. È una tecnica per cuocere le bistecche sottili. Per le bistecche alte 25 mm o meno, il segreto è usare calore elevato e muoverle in continuazione. Si fa mettendo la carne sulla parte più calda della griglia e girandola ogni minuto, in modo da far raffreddare la superficie calda della bistecca, impedendo al calore di accumularsi troppo e scongiurando la possibilità di stracuocere l'interno. Durante l'operazione è utile spennellare la carne con una marinata. Foil. Comunemente si chiama così la tecnica di avvolgere la carne in cottura (brisket, ribs, pork) in un foglio di alluminio, in modo da generare una curva di crescita della temperatura costante, accorciando di molto i tempi di cottura e mantenendo molti più succhi all’interno. Frollatura. La frollatura della carne è il tempo di permanenza in cella frigo che intercorre tra l'abbattimento dell'animale e la sua vendita sul banco. Più lungo sarà il periodo di frollatura, più tenera e saporita sarà la carne. La maturazione in frigo rende la carne molto tenera ma soprattutto ne concentra il sapore perché essa fa perdere circa il 30/40% di peso alla carne. Questo peso perso è il prezzo da pagare per avere questo sapore concentrato.

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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI

SEGUO

Il londinese John Newlands, nel 1865, ebbe una fondamentale intuizione per il mondo della chimica: notò la possibilità di classificare e ordinare gli elementi in base al loro peso atomico relativo e la curiosa tendenza di questi ad avere un pattern, uno schema di caratteristiche e proprietà ripetute ciclicamente a gruppi di sette. In maniera evidente poté notare, ad esempio, le somiglianze nei comportamenti di Litio, Sodio e Potassio, (piazzati nei posti 1, 8, 15), in quelli di Fluoro e Cloro (7 e 14), Ossigeno e Zolfo (6 e 13), e fece una scelta molto bizzarra assegnando ad ogni elemento un tasto sul pianoforte e rappresentando così visivamente, presso la seriosa comunità scientifica del tempo, la sua visionaria e rivoluzionaria Teoria delle Ottave. Fu ferocemente preso in giro. Ad ogni convegno, ad ogni discorso pubblico nelle principali università, c’era sempre il simpaticone pronto a chiedere se gli elementi potessero suonare un brano di Mozart, mentre austeri e sussiegosi professoroni si sgangheravano dal ridere mimando alle spalle di Newlands le gestualità di un virtuoso pianista. L’umiliazione non si fermò al dileggio e al bullismo più sfrenato: la Chemical Society rifiutò di pubblicare il lavoro del bistrattato John, nonostante lo scienziato avesse predetto la presenza di elementi, al tempo non ancora

scoperti, grazie alla sua osservazione di ripetitività dei comportamenti. L’idea di ordinare in base alla massa atomica era di estrema rilevanza ma passò completamente in secondo piano rispetto al rito collettivo di sfottere senza misericordia Newlands. Il malavventurato chimico avrebbe forse potuto salvare il suo geniale lavoro, ai nostri giorni, reagendo sui Social Network con un perentorio: “non mi dovete mancare di rispetto”. Ah, il rispetto e la sua sgradita mancanza. Il “non mancare di rispetto” credo sia diventato il “tana libera tutti” del nascondino perverso dei social. Esaminiamo qualche caso tipo:

L’ESPERTO PER INDUZIONE (se è vero al caso n = 0 e al caso n = 1, allora è vero anche per il caso n + 1 qualunque sia il valore di n.) “Io sono un grande esperto nel mio campo, riconosciuto in diverse sagre paesane del circondario, e non temo smentita affermando [Tesi A]” ALMANACCO 2019

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Niels Bohr “No, ti stai sbagliando: evidenze speri-

go] e ha fatto [Cose], pensa, è passato da

amico, forse perché non hai amici, perché

mentali, teoria e senso comune dimostrano

[Itinerario] e poi [Aneddoto meraviglio-

devi sempre puntualizzare tutto! Fatti una

chiaramente [Tesi B]”

so]”

risata!”

“Buffonate: sai quanta [Tesi A] ho fatto

“Mi sembra strano, [Itinerario] è chiuso,

prima di te? [Tesi B] è da signorine! Quando applico [Tesi A] ricevo grandi complimenti, e anche mia madre ha sempre confermato la mia competenza!” “Se [Tesi A] fosse corrispondente al vero l’universo collasserebbe in una singolarità infinitesimale dove le leggi di natura, il tempo e il cappuccino al ginseng non avrebbero più modo di esistere. Inoltre stando a [Ricca bibliografia], [Tesi B] è una verità incontrovertibile". “Ecco è arrivato il PROFESSORE. Ascolta, tu e le tue università di [Tesi B] non mi interessate perché io ho il sostegno delle sagre paesane, capito? E soprattutto non mi devi mancare di rispetto! Ho detto [Tesi A], tu puoi avere la tua opinione ma rispetta la mia, intesi?”

[Cose] sembrano più cosa faresti tu potendola passare liscia, ma soprattutto [Aneddoto meraviglioso] è esattamente la trama di “Paperoga e il peso della gloria”, di Giorgio Cavazzano.” “Quindi sono un bugiardo, uno scorretto, un millantatore? Stai dicendo questo??” “...Non proprio, forse ti sei espresso male, ma

[Discorsi qualsiasi] “Ehilà! :)” (questo è il Nencioni n.d.r.) “Mi ha mancato ancora una volta di rispetto! SI PRENDANO PROVVEDIMENTI!” “?”

non credo sia possibile quel fatto di [Cose] a [Luogo]. “Tu stai mancando di rispetto a me e al mio amico! Quali problemi hai? Tu vieni qui, sul MIO profilo, dove posso dire cosa VOGLIO, e metti in discussione [Cose]?” “Ok puoi dire cosa vuoi, ma mi hai aggiunto ai contatti e il post mi è apparso in home, leggendo ho ritenuto non proprio plausibile

Lo SMASCHERATO VENDICATIVO (l’inverso dell’opposto del vendicatore mascherato)

la faccenda. Ma va bene così, non importa.”

“Una volta un mio amico è andato a [Luo-

spetto davanti a TUTTI, davanti al mio

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Il NENCIONI (caso limite per eccezionale gravità e inadeguatezza ai rapporti con terzi):

“Eh NO, perché ora mi hai mancato di ri-

Benissimo, è ora di parlare chiaro. Sappiamo benissimo quanto il rispetto non c’entri affatto. In questi casi di contestazioni sui social la frase più veritiera, spogliata dall’allegoria del rispetto, sarebbe: “Mi stai facendo fare una figura di melma davanti a tutta questa gente presso la quale voglio conservare un’aura di infallibilità, potresti per favore smettere di controbattere con argomenti inespugnabili, non avendo io più materiale per difendermi?”


nel profondo, qualora volesse dirimere la controversia sul nascere. Il “rispetto” è il briskettato dei rapporti interpersonali. Sappiamo non essere il termine giusto, sappiamo di voler indicare tutt’altro, ma ormai tutti usano quella formula e allora buonanotte, continuiamo ad usarla. Dmitrij Ivanovič Mendeleev, nel 1869, quattro anni dopo le angherie subite da Newlands, pubblicò la sua Tavola Periodica degli Elementi. Anche lui ordinò tutto in base alla massa atomica, anche lui poté fare predizioni sulla presenza di elementi ancora non scoperti. Niente tastiere di pianoforte, niente accostamenti immaginifici: Mendeleev era un siberiano dall’aspetto truce come una canaglia di un dramma vittoriano, con barba e capelli incolti, sopravvissuto alla tubercolosi e non particolarmente noto per essere docile o accomodante. Nessuno scherzo fu fatto. Ad oggi, con poche modifiche, puoi trovare la tavola di Mendeleev nelle aule di qualsiasi scuola superiore. Nel 1887 il mondo della chimica fece ammenda per la famosa mancanza di rispetto, e riabilitò la figura di John Newlands. John Newlands L’ho detto? L’ho detto davvero. Possiamo adesso dare per scontata la VERA lettura della manfrina del rispetto, almeno fra i lettori del magazine? Non è “rispetto” il trattamento voluto dalla gente in queste occasioni, è più un “potresti non mettermi a disagio davanti a tutti? Potresti non essere così rigoroso dimostrando il torto?” O, per esteso, “potresti non rivolgermi momentaneamente la parola?”

Maggio 2019: sono stati presi provvedimenti: sono stato sanzionato con l’obbligo di non usare mai la parola “che” in nessuna delle sue forme (aggettivo, pronome o congiunzione) negli ottomila caratteri della mia rubrica Seguo. Controllate pure. Provateci voi. Alla prossima mancanza di rispetto, mi dicono, dovrò fare a meno anche del verbo essere. Ossequi dall’indocile e riottoso Emiliano Nencioni

Dmitrij Ivanovič Mendeleev

Il rispetto, sui social network, praticamente non esiste: è una convenzione, un patto di non belligeranza del tipo “io non contraddico te e tu non contraddici me”. Affermo la summenzionata non esistenza per un motivo ben preciso: con un po’ di buon senso sembra ovvio quanto il rispetto sia presente nel non offendersi o nel non chiamare in causa la moralità delle rispettive madri, nel non utilizzare termini triviali, nel non effettuare violenti attacchi verbali basati sul nulla. Ma non è questo ad accalorare l’utente social medio: se mi offendi, se mamma è chiacchierata, se ti rivolgi a me usando i termini del famoso monologo in “Berlinguer ti voglio bene” pazienza, tutto passa ed è usanza di molti; ma se dimostri in maniera fredda e inesorabile quanto io stia dicendo panzane… allora quello rimane e l’onta è insopportabile. “Mi

devi portare acquiescenza!”

Ecco cosa andrebbe detto. “Scusa, io però a te non ho mai mancato di remissività.” Questo dovrebbe scrivere il social media user colpito ALMANACCO 2019

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N°6/ANNO 1 - GIUGNO 2019

T HE CHEM I CAL GRILLE RS

BRINING, VARIAZIONI SUL TEMA

MAGAZINE L ’ E D I T O R I A LE D I GI A N FRA N C O L O C A S C I O

CARNE È SCIENZA

S PEC IALE

H AM B U R G E R DALLA RICET TA DEI BUN ALLE FARCITURE PIÙ ORIGINALI

IL RE DEL FASTFOOD DIVENTA GOURMET


384 - BBQ4All MAGAZINE


EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO

CARNE è SCIENZA “L’aspetto più triste della vita oggigiorno è che la scienza accumula conoscenza più rapidamente di quanto la società accumuli saggezza.” ISAAC ASIMOV

(biochimico russo e padre della narrativa fantascientifica)

Aveva proprio ragione lui. E vi spiego il perché con un A queste persone non potrei mai inculcare che cucinaesempio pratico. re un pezzo di carne non è questione di esperienza ma di scienza. Non potrei mai far capire che l’abilità consi1969 ste nell’acquisire un set di informazioni di uno specifico Il 20 luglio alle 20:17:40 ora americana, Neil Armstrong argomento e non nell’accumulare una serie di procedufu il primo uomo a mettere piede sul suolo lunare. re, incontrollabili ed irripetibili, solo perché si fa così da sempre.

1989

Robert Plath, pilota della Northwest Airline, ebbe l’idea Per queste persone sei abile se cuoci tante bistecche, non di applicare le ruote ad una valigia: nasce il primo trolley. se conosci i principi che regolano la cottura. Pensate: siamo arrivati sulla luna cinquant’anni fa ma abbiamo aspettato gli anni ’90 per appiccicare delle rotelle ad un bagaglio. La scienza ci ha fatto cappotto mentre trascinavamo i borsoni delle vacanze, stanchi e sudati, da secoli. Scienza 1 Società 0.

Ma sono sicuro che nessuno di voi, miei cari lettori, ha mai sofferto della sindrome di Dunning-Kruger. Quelli che cuociono le bistecche col modulo 5-5-5 a farfalla possono mandare un'e-mail per la confessione. Assolvo tutti, pure quelli che bucano le salsicce.

La stessa società che mi trovo a combattere quando parlo di scienza della cottura della carne, che è l’argomento che Prima di parlarvi del mio metodo di cottura delle bistecvoglio trattare oggi. che, che si chiama REVIT, voglio fare una piccola introduzione sulla struttura e la chimica della carne. È imporPer ogni mamma che compra un termo- tante per capire i principi alla base del mio ragionamento.

metro digitale, ci sono dieci nonne che misurano la febbre con il bacio in fronte.

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V I TAM I N E E M I N E RA L I 1 % G RASS I 5-40%

P ROT E I N E 18-20%

LA COMPOSIZIONE CHIMICA DELLA CARNE

CA R BO I D RAT I 1%

ACQ UA 65-75%

Acqua La carne è composta al 65-75% di acqua a seconda del taglio. Il 5% di quest’acqua è legata alle proteine, il resto invece si diffonde per capillarità nello spazio tra le proteine e le fibre muscolari. Quando mettiamo la nostra carne sul fuoco, le proteine riducono il loro potere di trattenere l’acqua, che viene quindi strizzata via. Che poi è il motivo per cui la carne ben cotta andrebbe bandita dal Tribunale Internazionale dell’AIA. Proteine Costituiscono il 20% circa di un pezzo di carne. Parliamo di molecole composte da molecole più piccole, gli amminoacidi, che formano delle lunghe catene legate tra loro. Molto abbondanti nei muscoli sono le proteine fibrose, come ad esempio il tropocollagene, che salda i fasci muscolari l'uno all'altro. Gli amminoacidi che la compongono formano dei fili che si avvolgono su se stessi fino a formare una tripla elica. Oltre al tropocollagene, le due proteine che possiamo rintracciare in grandi quantità nei nostri pezzi di carne sono: la miosina, che rappresenta il 50% delle proteine totali nei muscoli e l’actina, che ne costi­tuisce il 20%. Ma quali sono le loro proprietà, e in che modo caratterizzano la carne di cui ci cibiamo?

s e qu e n za d i a m m i noac i d i

t ro p oco lla ge n e

fi b ra d i co lla ge n e

Idratazione Le proteine, nello specifico miosina ed actina, trattengono l’acqua all’interno della carne regolandone la succosità. Il collagene, invece, per essere attivato ed idratato, ha bisogno di una lunga cottura. Ma ne parleremo dopo. Solubilità In base al pH, la temperatura e la concentrazione di sale (cloruro di sodio), alcune proteine diventano solubili in acqua. La miosina è solubile sia in acqua pura che in acqua molto salata, mentre la solubilità diminuisce con concentrazioni di sale intermedie. Quando mettiamo del sale su una bistecca, la miosina inizia a sciogliersi, mentre l’actina è molto meno solubile. E questo tornerà a nostro vantaggio in cucina. Il collagene non è solubile in acqua, in nessun caso, ma si può solubilizzare aumentando la temperatura o modificando il pH (sia in ambiente acido che alcalino) Gelificazione La miosina, una volta sciolta in acqua, a temperatura superiori ai 45°C comincia a coagulare e a 50°-55°C forma un ALMANACCO 2019

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gel che intrappola l’acqua presente. Il collagene diventa I grassi sono di due tipi, saturi e insaturi. La differenza gelatinoso solo se sottoposto a temperatura superiori ai risiede nella loro struttura e nel loro effetto sul corpo: un 65°-70°C, per tempi piuttosto lunghi. grasso saturo ha legami singoli, mentre un grasso insaturo presenta almeno un legame doppio. È questo doppio Emulsificazione legame a renderlo insaturo, poiché c’è spazio per aggiunLe proteine fungono anche da emulsionanti: riescono gere idrogeno al doppio legame e renderlo saturo, ovvero cioè a mantenere miscelati acqua e grassi, impedendogli privo di spazio per nuove aggiunte. I cibi di origine anidi separarsi. Avete presente la maionese? In quel caso l’e- male sono generalmente ricchi di acidi grassi saturi menmulsionante è la lecitina. tre i cibi a base vegetale sono in genere a basso contenuto di grassi saturi. I grassi insaturi a loro volta si suddividono in: acidi grassi monoinsaturi, se è presente un solo doppio legame C=C (ad esempio acido oleico) acidi grassi polinsaturi se sono presenti due o più doppi legami C=C (ad esempio acido linoleico, presente nell’olio di mais, soia, girasole ecc…) Carboidrati L’animale immagazzina il glucosio in eccesso sotto forma di un carboidrato chiamato glicogeno, una sorta di serbatoio di zuccheri. Dopo la macellazione, però, il glicogeno viene consumato quasi interamente. Le tracce di zuccheri superstiti sono importantissime quando si cuoce la carne a temperature molto elevate.

Grassi Le variazioni della percentuale di grassi presenti in una specie dipendono dall’alimentazione, dalla razza e dall’età dell’animale. Pensiamo al nostro adorato Wagyu giapponese: può avere un contenuto di grasso che si avvicina al 40%. I grassi sono fondamentali nella profilazione del sapore, poiché sciolgono le molecole gustose create dalla cottura e le intrappolano, servendole alle nostre papille gustative su un vassoio d'argento. Dal punto di vista gastronomico, il grasso nobile è sicuramente quello disperso tra le fibre muscolari, che determina la marezzatura o marmorizzazione della carne. Ha due funzioni importantissime: facilitare la masticazione delle fibre e del tessuto connettivo, che sciogliendosi va a lubrificare i fasci muscolari, e sciogliere, come dicevo prima, le molecole gustose insolubili in acqua, depositandole sulla nostra lingua e sul nostro palato. Poiché il grasso ha una persistenza in bocca maggiore dell’acqua, le sensazioni di piacere vengono prolungate. 388 - BBQ4All MAGAZINE

Vitamine e minerali La carne contiene vitamine del gruppo B, è un’ottima fonte di ferro e contiene buone quantità di zinco.

m u s co lo s c h e le t r i co

fa s c i co lo m u s co la re

epimisio

fa s c i co lo m u s co la re

perimisio e n do m i s i o fi b re m u s co la r i

fi b ra m u s co la re

s a rco le m ma m i ofi b r i lle


D EOSS I M I O G LO B I N A

M E TAM I O G LO B I N A

De oxy M b - Fe + + m i oglobi na no n le gata a d o s s i ge no co lo re p o r p o ra

M e t M b - Fe + + + m i oglobi na co n ato mo d i fe rro t r i va le n t e co lo re ma rro n e

OSS I M I O G LO B I N A

Oxy M b - Fe + + m i oglobi na le gata a d o s s i ge no co lo re ro s s o b r i lla n t e

la mioglobina è in grado di legare l’ossigeno in modo reversibile, ovvero può rilasciarlo quando il muscolo ne ha bisogno. Come un bancomat. La mioglobina (Mb) è una proteina composta da 153 amImmaginate un cavo elettrico molto grande, con all’in- minoacidi e da una molecola chiamata “eme” che conterno cavi più piccoli e e loro volta composti da lunghi tiene un atomo di ferro. Il ferro è in grado di legare a sé filamenti. Ad ogni livello c’è una “guaina”che li protegge l’ossigeno e altre molecole, cambiando colore. e li separa. Tutte queste membrane sono composta dalla proteina fibrosa di cui vi ho parlato prima: il tropocolla- Quando la mioglobina lega l’ossigeno, il nostro pezzo di gene. Una specie di collante biologico che tiene insieme ciccia diventa di un rosso brillante. È per questo vi raccofasci muscolari e fibre all’interno di un muscolo. mando sempre di farle prendere un po’ d’aria. Ma cosa succede quando sottoponiamo la carne ad una IL COLORE DELLA CARNE: fonte di calore?

LA STRUTTURA FISICA DEL TESSUTO MUSCOLARE

ROSSO

Specialmente in ambiente acido, a basso pH, il ferro con“Non è sangue, ma mioglobina.” tenuto nella mioglobina si ossida, ottenendo la metamioglobina, di colore marrone. Questa non è più in grado di Quante volte me l’avete sentito dire? Sì perché non è il legare l’ossigeno, si lega a una molecola d’acqua e il risulsangue a determinare la colorazione della carne, bensì tato diventa irreversibile. Scaldandola ancora si denatura una proteina chiamata mioglobina. Come l’emoglobina, e diventa tristemente grigia. ALMANACCO 2019

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IL CALORE: CONDUZIONE, CONVEZIONE E IRRAGGIAMENTO I cibi sono composti, come vi dicevo prima, principalmente da acqua, proteine, grassi, carboidrati, vitamine e sali minerali. La cottura, con la trasmissione dell’energia sotto forma di calore, rende il cibo sicuro, più digeribile e soprattutto più buono, migliorandone consistenza e aspetto. Quando cucinate, il calore viene trasmesso al cibo in tre modi: per conduzione, convezione e irraggiamento. Vi faccio una serie di esempi pratici… CONDUZIONE: il calore generato dal corpo della tua amata a contatto con il tuo. Conduzione è quando l’energia viene trasferita al cibo per contatto diretto, immaginate una ribeye in una padella di ghisa. Il calore del fornello investe la padella, le molecole vibrano e trasferiscono il calore alla bistecca a contatto con la superficie. Stessa cosa avviene cucinando su una griglia, il calore viene trasferito al cibo per conduzione dalle stringhe di metallo. CONVEZIONE: quando la tua amata ti soffia nell’orecchio. Convezione è quando il calore viene trasferito al cibo attraverso l’aria, l’acqua o l’olio. Se bolli un pezzo di ciccia, stai cuocendo per convezione. Se cuoci uno stinco in forno, nel quale verrà inevitabilmente circondato da aria calda, stai cuocendo per convezione. Quando cuoci in modalità indiretta, cioè mettendo la carne su un lato della griglia e lontano dalla fonte di calore, stai cuocendo per convezione: l’aria calda all’interno del dispositivo investirà la pietanza, di fatto cuocendola. IRRAGGIAMENTO: quando avverti il calore della tua amata sotto le lenzuola, senza toccarla. Irraggiamento è quando accendiamo il nostro dispositivo, ma anche la resistenza del tostapane, il metallo diventa rovente ed emette radiazione elettromagnetiche che arrivano direttamente sulla superficie del cibo. Un po’ come fa il sole, avvertiamo distintamente il calore sulla nostra pelle. Una volta riscaldata la superficie della carne, il calore si trasmette all’interno dell’alimento sempre per conduzione.

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LA TEMPERATURA DI COTTURA Vediamo nel dettaglio cosa succede ad un bistecca quando la mettiamo sul fuoco. Faccio però un’analisi al contrario: partiamo dallo scenario peggiore.

75°C

Qui è quando segnate la vostra condanna a morte culinaria. Quando trasformate la vostra bistecca in compost. Io darei l’estradizione per molto meno. Come vedete è diventata asciutta e grigia. L’unica collocazione possibile è il bidone dell’umido, a meno che non siate Trump. In quel caso potete metterci un po’ di ketchup sopra .

70°C

La mioglobina è quasi tutta denaturata e coagulata, l’acqua è stata strizzata completamente via, il colore è grigio marrone e al tatto è dura. Scappate e nascondetevi.

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Vi voglio parlare del mio metodo. Perché funziona, perché è sempre replicabile. Perché è infallibile. Perché è stato concepito come evoluzione dei metodi precedenti i cui Le proteine coagulate non riescono a trattenere l’acqua, ideatori non erano riusciti ad astrarre altri concetti collala carne è umida ma non rilascia succhi al taglio, il coloterali ma di pari importanza. re vira dal rosa al marroncino. Parliamo di una cottura media-ben cotta, che se quella di prima era da ergastolo, Prevede la suddivisione della procedura in due batch diquesta è almeno da domiciliari. stinti di cottura: interna ed esterna.

65°C

60°C

L’obiettivo della cottura interna è quello di ottenere una La mioglobina comincia a trasformarsi in metamioglobi- sfumatura omogenea nella sezione del taglio, uniforme na, il collagene comincia a contrarsi e l’acqua viene espul- dallo strato superficiale a quello sottostante, fino al grado sa, il colore è rosato. Parliamo di una cottura “media”, di cottura richiesto dal commensale. Questo ci consente di preservare succosità e tenerezza al morso. una presa di posizione diplomatica. Lo scopo della cottura esterna è quello di ottenere una crosta di cauterizzazione omogenea su entrambe le superfici; le grill marks, le righe incrociate che ci piacciono Ci avviciniamo all’obiettivo. La miosina è coagulata, la carne è molto umida, succosa, tanto, sono belle da vedere ma opzionali. La crosticina il colore è un rosso un po’ scarico. Qui il collagene non ha ambrata consente di incrementare le molecole umami ed è la chiave del potenziamento gusto-olfattivo. ancora iniziato ad arrabbiarsi e a contrarsi.

55°C

Fin qui ci siamo, giusto? Ora facciamo un piccolo ripassino e rispolveriamo la deLa miosina denatura e comincia a coagulare, la carne è finizione di “reazione di Maillard”. succulenta, di un bel colore vivo. È qui che voglio fermar- È quella reazione chimico-fisica che si manifesta quando proteine e zuccheri riducenti, in totale assenza di acqua, mi, vi spiego il perché.

52°C

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vengono esposti ad una fonte di calore. Queste molecole, grazie al calore, si riallineano e formano nuove molecole, non esistenti in natura, molto profumate e gustose, dal colore ambrato. La crosta del pane, dell’arrosto, dei bignè, dei croissant, dei biscotti, del pollo, e di tutti quegli alimenti che contengono proteine e zuccheri riducenti, si trasformano grazie alla Reazione di Maillard.

1. Totale assenza di umidità. 2. Temperatura della superficie di contatto di almeno 140°C 3. Presenza di zuccheri riducenti.

Ma la bistecca è umida, è necessario trovare un espediente per eliminare completamente l'acqua. È qui che entra in gioco la tecnica del Revit, applicandola nel modo che Adesso ragioniamo su come ottenere questo risultato e vi ho insegnato: mettete la bistecca in forno impostato quali tecniche distinte poter applicare per arrivare alla a 52°C e aspettate che calore dolce e moti di conveziometa. Cominciamo dall’esterno. ne asciughino la superficie. Sapete bene che tamponare la carne con la carta da cucina è una condizione necesCome otteniamo una perfetta crosta di cauterizzazione? saria ma non sufficiente ad eliminare ogni residuo di umidità. Vi serve una fonte di calore secco che permetta La reazione di Maillard avviene solo se si manifestano tut- ai liquidi in superficie di evaporare. Parliamo ovviamente te le seguenti condizioni contemporaneamente. di un procedimento che richiede del tempo, nell’ordine ALMANACCO 2019

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di qualche ora. Il Reverse searing, quello tradizionale, è stato introdotto la prima volta da Chris Finney. L’idea di base era quella di scaldare prima la bistecca in forno a 100°C per poi passarla sul fuoco diretto. Idea che è stata ripresa e diffusa da Meathead Goldwyn (tra l’altro attribuendola a John Dawson con il termine di Redneck Sous vide e non a Chris Finney) ma di nuovo, parlando di esposizione della carne a 225°F, cioè 107°C. Dopo di lui, anche J. Kenji Lopez, chef e autore della famosa rubrica The Food Lab by Serious Eats, elabora il reverse di Meathead esponendo la carne ad una temperatura compresa fra 93° e 110°C. Che cosa non sono riusciti ad astrarre Chris Finney, Meathead, Dawson e Kenji Lopez? Degradazione della mioglobina: a 100°C il colore della carne cambia da rosso a grigio-marrone. L’obiettivo di questa procedura non è solo quello di scaldare la bistecca ma soprattutto quello di attivare gli enzimi per ottenere l’intenerimento a causa della gelificazione del collagene. Dry Brining: ovvero cospargere la superficie della carne con il sale. Questo favorisce la degradazione del connettivo per via chimica e genera una maggiore ritenzione di liquidi. Il sale, come sapete, ha diversi effetti sul cibo. Per prima cosa amplifica il gusto, perché è un naturale esaltatore di sapidità. Il cloruro di sodio è formato da reticoli cristallini, all’interno dei quali si alternano ioni di sodio e ioni di cloro. Gli ioni, caricati elettricamente, attaccano le proteine della carne in un processo che è chiamato denaturazione. Queste proteine (alterate quindi dal processo di denaturazione) avranno maggiore capacità di trattenere l'acqua. Ne consegue che la carne trattata col sale avrà maggiore umidità -e quindi maggiore succosità- anche dopo la fase di cottura. Degradazione enzimatica: il punto non è arrivare a 52°C ma mantenere la temperatura per accelerare la degradazione ad azione di calpaine e catepsine. Catalizzazione della Maillard: La reazione di Maillard avviene in assenza di umidità. La lunga permanenza al calore moderato agevola la disidratazione superficiale. Sicurezza dai patogeni: In accordo alle tabelle di pastorizzazione, la lunga permanenza a 52°C determina una diminuzione della carica batterica di 7 logaritmi. Non sono stato io ad inventare il Reverse. Non sono stato io ad inventare il dry brining. Ho semplicemente ALMANACCO 2019

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astratto dei concetti e ho applicato le mie conoscenze per creare “un metodo”, un codice di procedure che portano inevitabilmente al risultato ottimale. In definitiva, quello che vi ho insegnato e che voglio insegnare NON È il metodo americano. È il mio metodo.

REVIT REV-IT, REVERSE (SEARING) ITALIANO O METODO LO CASCIO Che cos’è? È il Reverse fatto a temperature diverse e con l’inclusione del dry brining. Il risultato è una bistecca cotta in modo uniforme, senza sfumature di colore, con una bella crosta superficiale ed estremamente tenera e succosa. Il grado di cottura è ininfluente. Il mio metodo ti permette di ottenere la perfezione indipendentemente se la vuoi cruda, al sangue, media o ben cotta. Gli italiani saranno dei campioni anche nella cottura delle bistecche. I numeri uno al mondo. Oggi siamo ancora il terzo. Non il terzo posto ma il terzo mondo della carne. (Tratto dal mio intervento al Tuttofood 2019, in esclusiva per voi lettori del BBQ4All Magazine) Gianfranco Lo Cascio

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INDICE GIUGNO 2019 - NUMERO 6 ANNO 1

RUBRICHE

4 0 0 . N I C E T O M E AT Y O U

Galizia, non solo Rubia intervista a Matteo Marchetti 408. WINE CLASS

8 vini DAL PROFUMO ULTRATERRENO i profumi del vino, quarta parte

4 1 5 . I L B B Q P E R P R I N C I PA N T I

IL BELLO DELLA DIRETTA guida al setup, tecniche e precauzioni

4 1 6 . G U I DA A G L I ACC E SS O R I

SETTE INDISPENSABILI

una volta usati non puoi più farne a meno

SPECIALE

HAMBURGERS 420. IL BUN PERFETTO il procedimento per realizzarlo in casa

428. L'Hamburger della redenzione bun, patty di manzo, uovo, speck, peperone, cipolla, salsa BBQ, rub BBQ4All Montreal

432. SWEET HOME ALABAMA bun, patty di manzo, salsa Big Bob Gibson, cialda di patate, cipolle sott'aceto

434. BIG BOB GIBSON's SAUCE 436. TWO is megl'che one

slider alla parmigiana di melanzane slider con acciughe, crema di mozzarella e fiori di zucchine fritti

440. IL FRUTTO PROIBITO

bun, patty di manzo, lardo di colonnata, peperincino, avocado, insalata, mela Granny Smith

442. Wellington BACON EXPLOSION manzo, bacon, scamorza affumicata, Tennessee Rub BBQ4All 4 4 4 . N O N S O LO CA R N E

Jalapeño FRITTI

panatura croccante, ripieni al formaggio fuso 4 4 6 . D U LC I S I N F U N D O

CIALDE GRIGLIATE DI FORESTA NERA con cioccolato fondente e amarene


è ora di BERE 448 VINI ABBINATI 450. BIRRE CONSIGLIATE 451. IL COCKTAIL DEL MESE

APPROFONDIMENTI 452. LA PATATA PERFETTA un lavoretto a quattro mani

458. THE CHEMICAL GRILLER brining chapter two: variazioni sul tema

460. CHIEDIALCOACH apertura delle confezioni sottovuoto

462. SEGUO


NICE TO MEAT YOU - INTERVISTE a cura di GIOVANNI BOLZONELLA

Galizia: non solo

RUBIA Uno sguardo approfondito sulla carne proveniente da questa regione spagnola con uno dei suoi marchi a noi più cari: Gutrei Galicia. In questo numero, abbiamo intervistato per voi Matteo Marchetti, export manager: una delle persone più informate in Italia sulle celebri carni Galiziane. Con lui abbiamo percorso la storia e messo in luce tanti punti di cui spesso non si accenna quando si tratta delle carni di questa regione. La Galizia è una regione magica. Per chi ha avuto la fortuna di visitarla, non è possibile non innamorarsi del suo patrimonio culturale, intriso di spiritualità e storia. O del suo territorio, costituito da scogliere a picco sull’Oceano, pascoli immensi interrotti solo da boschi, torrenti e corsi d’acqua dolce. Qui le città e i borghi sono abitati da una popolazione umile, orgogliosa, legata alla tradizione, alla lingua e ai frutti della propria terra su cui concentrano il proprio lavoro.

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Ciao, presentati ai nostri lettori. Mi chiamo Matteo Marchetti e sono Export Manager. Pur essendo laureato in ingegneria gestionale, ho iniziato la mia carriera nel settore alimentare nel 2005, in Irlanda, presso un macello che commerciava con l’Italia e l’estero. Ritornato in Italia, nel 2009, ho iniziato a collaborare con aziende del settore carne in Scozia e Irlanda, inserendo a mano a mano sempre più aziende non in diretta concorrenza nel portfolio. L’obiettivo era offrire prodotti di origine diversa ma di qualità elevata. Fino al giorno in cui sono entrato in contatto con Gutrei Galicia, che rappresentiamo in Italia e all’estero. Il nostro ufficio ha 3 dipendenti e 2 collaboratori. Quindi si è rivelata ancora una volta utile la mia vecchia laurea! 402 - BBQ4All MAGAZINE

Amiamo lavorare con un prodotto che per molti è considerato “il migliore al mondo”. Il nostro metodo inizia nella visita settimanale sia ai diversi allevamenti nell’area, sia ai macelli di fiducia, selezionando direttamente i lombi che riteniamo appropriati in base alle esigenze del cliente. La carne proviene da bovini da carne (vacche adulte), originari di Spagna settentrionale e nord del Portogallo. I lombi selezionati al macello vengono scelti e poi “timbrati” con il marchio prima di passare al controllo successivo nella nostra sala disosso e sezionamento, dove possono essere lasciati freschi, o in alternativa, sottoposti a un processo di maturazione a secco prima di essere preparati per la Quali sono i punti di forza del vo- spedizione al cliente. stro prodotto, da molti considera- Ci sono due passaggi importantissimi che rendono il prodotto così speciale: to di qualità superiore? Raccontaci qualcosa di questa azienda. È una sala disosso nata a Monforte de Lemos (Lugo) nel 2007. La società è stata fondata da due fratelli, José Manuel e Miguel Ángel Gutiérrez, che, dopo molteplici anni di esperienza al mattatoio, hanno deciso di unire le forze e di avviare la propria attività al fine di commercializzare carne di alta qualità. Le moderne strutture offrono il massimo controllo di qualità, mantenendo il necessario livello di umidità e addolcimento della carne per ottenere il massimo livello di conservazione. Per i proprietari, ciò che distingue la loro azienda dai proprio concorrenti è la qualità suprema della carne.


La FROLLATURA Il controllo della temperatura e dell’umidità sono due elementi fondamentali per ottenere un adeguato livello di frollatura della nostra carne. La SELEZIONE Selezioniamo manualmente ogni animale per verificarne in maniera dedicata le caratteristiche essenziali per la credibilità del nostro marchio. Ci descriveresti le caratteristiche del vostro prodotto, dei capi scelti e ciò che accade loro durante l’allevamento e lungo la filiera? Come ti dicevo selezioniamo manualmente i migliori esemplari della Galizia e del nord del Portogallo, siano essi ancora al pascolo presso i gli allevatori, oppure già negli stabilimenti di sezionamento fiduciari, in entrambi i casi eseguiamo sempre una selezione “in situ”. La caratteristica principale che devono avere i nostri lombi sono la qualità intesa come alto livello di grasso

esterno, almeno 5 cm, un grasso giallo o paglierino, un alto livello di marezzatura, un peso di almeno 30 kg, idealmente 35/40kg. Di solito un animale ha almeno 6 anni per avere queste caratteristiche, ma può capitare che ne abbia meno pur soddisfacendo i requisiti richiesti. I lombi che non soddisfano questi requisiti, vanno nella selezione di seconda scelta ma non per questo di basso profilo. Si parla sempre di un prodotto ottimo, meno grasso, più leggero, grasso più pallido, leggermente meno infiltrato. Entrambe le selezioni possono subire tranquillamente il processo di Dry age.

dato dal metodo di allevamento delle Vacche, piuttosto che dalla razza stessa. Infatti, la maggioranza dei lombi più pregiati provengono da incroci di queste razze, che come noto, sviluppano maggiormente marezzatura e grasso delle razze non ibride.

Perciò vi soffermate più sulle caratteristiche del capo che su quella della razza? La razza pura non sviluppa così fortemente queste due caratteristiche per genetica. Per noi l’importante è la selezione, non la razza o l’età, l’importante è che la vacca soddisfi i requisiti necessari a ritrovare nel prodotto finale una qualità eccelsa che si Quante tipologie di razze tratta- ritrova indiscutibilmente nel piatto. te, dove vengono allevate e quali caratteristiche hanno rispetto ad Quanto è importante la tradizione altri bovini? nella lavorazione e nella valorizzaIn Galizia e nel nord del Portogallo, zione delle vostre carni? ci sono varie razze: Frieiresa, Miran- La Galizia è caratterizzata da un sidesa, Cachena, Rubia Gallega, Friso- stema di allevamento tradizionale in na... Lo speciale sapore della carne è piccole fattorie, che hanno una lunga

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tradizione agricola e zootecnica, con molte famiglie che vivono in campagna e hanno un piccolo allevamento di pochi animali. Non sono fattorie che si dedicano all’allevamento di massa di animali, si parla di un numero che è attorno a una decina di madri negli esempi più virtuosi. Gli animali possono pascolare liberamente all’aperto durante il giorno mentre all’imbrunire, si ritirano nelle loro stalle. Gli animali stanno dunque al pascolo e si nutrono di quello che fondamentalmente trovano in terra. La dieta è inoltre completata da cereali come l’erba medica, l’orzo o il mais che gli stessi agricoltori coltivano. Infine, il clima particolare di queste regioni, ricco di piogge, insieme alla vicinanza dell’oceano Atlantico e la sua brezza conferisce ai pascoli un qualcosa di unico, tipico solo di questa regione della

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Spagna che è appunto la Galizia. È importante riflettere sull’attività di questi piccoli agricoltori, a cui non può essere richiesta un’omogeneità delle dimensioni degli animali che considerano idonei al macello, per il numero limitato di capi che hanno: di solito hanno vacche di diverse razze autoctone nella stessa fattoria ma di diversi paesi e sebbene facciamo una selezione nel macello sulla base della qualità, dobbiamo necessariamente accettare una certa irregolarità nelle dimensioni, nei pesi e nella forma degli animali. Quanto è importante il clima e il territorio nelle caratteristiche del prodotto? È un territorio che secondo voi è abbastanza valorizzato per le caratteristiche ambientali e la storia che porta con sé? Lavoriamo esclusivamente con ani-

mali di questa piccola regione e del nord del Portogallo viste le condizioni climatiche particolari di questa zona che influenzano direttamente la qualità dei pascoli dove vivono le vacche. Nonostante la Galizia e i suoi prodotti siano sempre ecccelsi (non dimentichiamoci del pesce atlantico che lungo la costa la fa da padrone) il territorio è valorizzato ma non tanto quanto si potrebbe in realtà pensare, c’è molto amore per questa terra da parte dei suoi abitanti e questo ne impedisce uno sfruttamento intensivo delle risorse. La Galizia è ben riconosciuta dal resto della Spagna e viene sempre rappresentata nel mondo “food” con almeno uno stand nelle maggiori manifestazioni fieristiche del settore. Per fortuna il territorio è rimasto in mano ai Galiziani che sono molto


radicati alla loro terra e ai loro valori. Teniamo molto a sottolineare ai nostri clienti che noi lavoriamo un prodotto autoctono al 100% e che la nostra porta della sala disosso è sempre aperta a tutti i curiosi: nessuno troverà mai al suo interno carni provenienti da nessuna altra parte. Non solo non sono ammessi carni originarie di paesi Europei, ma neanche il resto della Spagna è ammesso. Fra qualche mese sarà finita la nostra “Finca Gutrei”, una deliziosa casa di campagna tipica della Galizia, con annesso relativo podere ed allevamento dove si potrà toccare con mano quello che siamo e facciamo! Si parla mai di sostenibilità nel mondo delle carni, quali sono le vostre politiche aziendali in merito? In Galizia, sinceramente, la parola sostenibilità non è di grande utilizzo in quanto parliamo di un territorio praticamente incontaminato, naturale, non industrializzato dove si vive ancora di quello che sia ha. Sembra di tornare indietro nel tempo. In Galizia non ci sono allevamenti intensivi che influirebbero in maniera negativa nella lotta alla sostenibilità globale. Le fattorie lavoro praticamente con una filiera completa, i contadini coltivano, allevano e si nutrono appunto del frutto del loro lavoro. Così come i piccoli vitellini, “ternera” si nutrono del latte delle Vacche che sono proprio quelle che ci garantiscono l’elevata qualità del prodotto. La regione non è immensa e vive di questo, è una regione in cui non dimentichiamoci, passa e finisce il cammino di Santiago, è un paese splendido e ricco di storia che cerca di rimanere il più possibile legato alle tradizioni e per questo diventa appunto un paese sostenibile per natura. ALMANACCO 2019

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Raccontaci, quali sono stati i traguardi più importanti di questi anni? Abbiamo vinto la medaglia d’oro nella nostra categoria al World Steak Challege 2018 di Londra, traguardo per noi importantissimo che ci ha permesso di dare più visibilità anche a livello internazionale al nostro prodotto. Ci potete già trovare nei migliori ristoranti di Hong Kong, Parigi, Londra, ma anche in Olanda, in Svezia e chiaramente in Italia, paese che vediamo credere molto in noi e nella nostra filosofia. Abbiamo inoltre ricevuto notevole spazio nella stampa locale cosi come in quella estera essendo stata l’unica azienda in Spagna e in Galizia a macellare 10 “Buey” di qualità in una volta sola esportandoli fuori dalla Galizia. Ci hanno perciò insignito di importanti onorificenze locali, poiché siamo tra le aziende che contribuiscono a portare all’estero il buon nome della Galizia. Abbiamo tra l’altro vinto diverse competizioni all’interno di manifestazioni fieristiche come prodotto dal sapore unico e inconfondibile. Che tagli e che preparazioni consigli agli appassionati dei sapori Galiziani? Ai palati più fini ed esigenti raccomandiamo di lasciare tutto il grasso giallo esterno della bistecca, in cottura non bruciarlo ma lasciarlo al limite del cotto e masticarlo insieme alla carne che deve essere tassativamente frollata almeno 30 giorni (la frollatura corretta è essenziale). In bocca ritroverete una esplosione di sapori unici e tipici di questa terra. Un qualcosa che rappresenta un’esperienza enogastronomica inedita! Questo è quello che abbiamo in testa tutti i giorni per proporvi qualcosa di unico e irripetibile. Essendo carne di vacca vecchia, la carne anche se marezzata non potrebbe mai esprimere tutto il suo potenziale se non accompagnata dal “suo” grasso, due elementi imprescindibili per apprezzare al meglio una carne come questa. Masticando questa carne, che per natura va masticata una volta in più, insieme ai sapori sprigionati da un dry age importante, potremo godere al massimo e capire al meglio cosa intendiamo quando parliamo di “carne tra le migliori al mondo”. Saprai che ci leggono un mucchio di appassionati, molto curiosi e sempre più preparati, per questo ti chiediamo, qual è il tuo taglio preferito? Come consigliate di prepararlo per stupire chi ancora non conosce le carni del vostro territorio? In Galizia è molto apprezzato il Lomo bajo (controfiletto) che viene cotto “alla piedra”, ovvero su pietra lavica. In tanti ristoranti sono presenti tante cappe di aspirazio406 - BBQ4All MAGAZINE

ne quanti sono i tavoli dei commensali e per ogni tavoli ci sono delle piastre di “pietra” come si facevano una volta, e ognuno è libero di cuocere la carne nella maniera che vuole! Vi posso anche consigliare un buon Tataki (la preparazione tradizionale prevede un lomo bajo marinato per oltre 180 giorni!). Però, non possono mancare i tagli da BBQ che con questo tipo di carni alza ulteriormente l’asticella del gusto, faccio solo due nomi: Brisket e Short ribs! Consiglio infine, una chicca più unica che rara: la nostra esclusiva Cecina di Vacca Galiziana stagionata 14 mesi. La versione di alta gamma della classica Cecina de Leon, ottenuta dai tagli della coscia dei nostri capi, che mandiamo a Leon, località con le caratteristiche climatiche e di know how, per ottenere il massimo da una Cecina. Rimane oltre 12 mesi a stagionare per poi rientrare ed essere finita e commercializzata! Quali sono le sfide nell’export? Oltre a consolidare mercati per noi importanti quali Italia, Francia e Olanda attraverso i nostri maggiori distributori, stiamo lottando per convincere i macellai a lavorare secondo i canoni Halal per poter entrare nei mercati dove una carne del genere non può mancare vista la richiesta in aumento! Stiamo infine cercando di sbloccare la situazione con il Giappone, che, impossibile ma vero, ci ha contattato per importare la nostra carne. Cosa ne pensi della nostra Community di appassionati? Ad oggi siamo onorati che il nostro prodotto venga riconosciuto dal pubblico e non per ultimo da una comunità cosi esigente e esperta che è appunto BBQ4ALL. Questo ci sprona ad andare avanti in questa direzione perché il trend è in crescita ma noi non vogliamo in nessun modo proporre un prodotto di più basso livello a fronte di una disponibilità che non può che calare vista la richiesta.


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WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI

8 vini in cui

ANCHE UN MARZIANO VORREBBE

INFILARE

IL NASO I profumi ultraterreni esistono e qui li trovate (quarta parte)

Il fascino del vino non esisterebbe senza le bottiglie mito. Talvolta feticci nelle mani di enostrippati che godono del blasone più che del liquido, spesso oggetti di contrattazione a prezzi importanti, sempre (o quasi) vini magistrali, di livello assoluto, venuti “da cielo in terra a miracol mostrare” per dirla con Dante Alighieri.

La lista delle bottiglie buone a far perdere la testa potrebbe essere lunga ma iniziamo da queste 8. Otto viaggi, otto storie, otto sogni ma soprattutto vini che vorresti inalare senza soluzione di continuità come un segugio, per cogliere ogni sfumatura e metabolizzare l’evoluzione dei profumi nel bicchiere. Alcuni sono tra i liquidi più costosi da sniffare sulla faccia della terra, irreperibili e alla portata di tasche milionarie. Sognare un po’, invece, non costa nulla 408 - BBQ4All MAGAZINE


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C H A M PA G N E S A L O N

Uno Champagne, un mito. Forse, IL mito. Nel 1910, Eugène-Aimé Salon gourmand e self made man della splendida Parigi d’inizio secolo - ha l’intuizione della vita: creare il miglior Champagne del mondo da una sola varietà, lo chardonnay, in un solo comune grand cru, Mesnil-sur-Oger, ed espressione di un solo millesimo. Nasce così Salon, unico vino aziendale. Prodotto appena 37 volte nel XX secolo iniziando dal 1905 e 5 volte nel XXI (2002, 2004, 2006, 2007, 2008 solo in magnum). Profuma di tante cose, tutte sussurrate, tutte squisite: pane alla griglia, pan brioche, florealità, nocciole, agrumi, menta, poi strepitosi profumi di pasticceria. Impossibile dimenticare una versione 1996 a dir poco sontuosa, cui ha fatto seguito una 1997 che farebbe innamorare anche i sassi. Di etichette che fanno sognare così ne esistono poche al mondo.

C H A B L I S C LOS G RA N D C R U , D O M A I N E F R A N C O I S R AV E N E A U

Tra Parigi e Digione, a Chablis, estremo nord della Borgogna viticola, nascono alcuni tra i vini bianchi più buoni del mondo. Chardonnay secchi, sferzanti e severi che poco o nulla concedono alle smancerie. Impossibile non subire il fascino delle due piccole cantine più pazzesche della denominazione, Dauvissat e Raveneau. Autrici di bottiglie ormai praticamente introvabili, su cui è necessario buttarsi a pesce ogni qual volta ne capiti l’occasione. Purtroppo prezzi ormai sempre meno accessibili, un classico. Nel grand cru di Chablis più grande e più raffinato, quel Les Clos che fu il primo ad essere piantato dai monaci, i fratelli Raveneau possiedono una parcella di “addirittura” 0.54 ha (sugli 8 ettari totali per circa 50.000 bottiglie prodotte) da cui evidentemente nasce uno dei bianchi più ricercati sulla faccia della terra. Da bere con almeno 10 anni sulle spalle per apprezzarne tutte le sfumature, profuma di mare, ostriche, erbe officinali, burro di montagna, miele d’acacia, zafferano e chi più ne ha più ne metta. Un concentrato di essenzialità e purezza che lascia a bocca aperta. Un diamante in bottiglia.

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T R E B B I A N O D ’ A B R U Z Z O , VA L E N T I N I

Un’icona del vino e probabilmente il primo nome che salta in mente cercando il bianco più buono d’Italia nasce in Abruzzo, a Loreto Aprutino. L’uva è il trebbiano d’Abruzzo, apparentemente assente dagli annali dei cavalli di razza, e la densità di piante per ettaro, allevate a pergola come da tradizione locale, raramente supera i 1.500 ceppi: i presunti esperti del vino di qualità suggerirebbero densità 3 o 4 volte superiori. Poi c’è il genio italico: Edoardo Valentini nel 1958 mette in bottiglia un Trebbiano d’Abruzzo (“Vino a denominazione di origine semplice”) che avrebbe cambiato la storia: complesso, ampio, longevo oltre ogni logica, specchio esatto dell’annata, agricolo quanto basta, orgogliosamente artigianale. Da sempre in cantina, nel 2006 il timone aziendale passa nelle solide mani di Francesco Paolo Valentini, figlio di Edoardo. Grazie anche alla moglie Elena e a loro figlio Gabriele avremo un Trebbiano d’Abruzzo monumentale per ancora molti anni. Di cosa profuma? Di nocciola verde, fondi di caffè, infusione di tè, cereali, agrumi, zenzero, torba, pepe verde e chissà cos’altro. Alla stappatura può essere un vino irrequieto che ha bisogno di assestarsi nel bicchiere. Nelle annate di grazia vale quanto Michael Jordan nel Nausea Game. Imprendibile.

CO RTO N - C H A R LE MA G N E G RA N D C R U , COC H E D U RY Premessa: io non l’ho mai bevuto. Attenuanti generiche: conosco una persona che ne ha bevute varie annate e più volte ciascuna. Avvertenza: trattasi di vino costosissimo, al limite dell’inavvicinabile. Il prezzo medio su Wine-Searcher, sito imprescindibile per chi commercia bottiglie importanti, è 4.408 euro. Che in un’annata come la 2005 diventano 5.569 euro. Quasi 8 ettari di chardonnay e pochissimo aligoté nel cuore della Borgogna, a Meursault, 2,5 ha di pinot nero e una produzione annua complessiva di nemmeno 50.000 bottiglie. Coche-Dury ha molte parcelle a Meursault, premier cru molto noti e poi 0.34 ettari di Corton Charlemagne, il capolavoro. Inimitabile, elegate, potente, da uve raccolte sempre un attimo prima per mantenere slancio e vibrazione che mettono i brividi. Un tripudio di nocciole, agrumi, pesca gialla, buccia di cedro, susine, cannella, pompelmo, pesca Saturnia. Immateriale, surreale, extra-corporeo. Leggenda.

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B A R O L O R I S E R VA M O N F O R T I N O , G I ACOMO CO N T E R N O Se Barolo è il vino dei Re, Monfortino è il re dei vini dei re, no doubt. Il Monfortino, creatura di Giacomo, poi Giovanni e ora Roberto Conterno, un tempo da vigne a Monforte d’Alba ma dagli anni Settanta prodotto da uve di Serralunga d’Alba, è indiscutibilmente l’icona suprema dell’intera denominazione. I rating stellari alle ultime annate hanno fatto schizzare incontrollabilmente le già altissime richieste e i prezzi, lassù tra i grandi vini da investimento del mondo, tra Bordeaux, Borgogna e compagnia. Botti enormi in vinificazione, permanenze in legno che si protraggono per molti anni a seconda del millesimo, un vino che all’uscita non è mai pronto e necessita di anni per sviluppare il suo potenziale. Bevuto in molte annate, vino devastante. Dobbiamo ad una storica verticale l’analisi più articolata dei profumi del Monfortino, redatta da Andrea Marchetti: “Molto più che la quasi inesistente anguria, il tratto che percorre ed unisce i vini del vigneto Francia è minerale di grafite e iodio, una mineralità salmastra; inoltre una balsamicità di pineta di montagna che con l’invecchiamento diventa menta in foglia e caramella. E poi la liquirizia e l’arancia: buccia d’arancia in gioventù, succo con l’invecchiamento. Con un invecchiamento di oltre 40 anni il vino si spoglia, perde il frutto in polpa croccante che ha in gioventù, perde la fragola e la prugna e si essenzializza in un bellissimo agrume, in succo e candito, in china e rabarbaro ed i tannini diventano seta.” Energia, acidità ruggente, tannini deflagranti.

C H AT E A U D ’ Y Q U E M Per distacco, è il vino dolce botritizzato più famoso del mondo, cioè prodotto da acini che vengono attaccati dalla muffa nobile Botrytis cinerea in particolari condizioni di umidità. La Botrytis provoca l’appassimento dei chicchi e un aumento degli zuccheri, donando al vino particolari profumi e un grado alcolico più alto. La raccolta avviene in fasi successive, chicco a chicco (!) dato che la muffa non si diffonde in maniera uniforme. Un lavoro certosino estenuante, non credibile. Il risultato però è un muffato dalla longevità spaventosa quasi quanto il prezzo (dai circa 300 euro per le ultime annate agli 85.000 per una bottiglia del 1811 venduta all’asta) e dai profumi che stordiscono: crostata di frutta, foglia di limone, succo di pompelmo, menta, anice, fiori macerati, datteri, nocciole, glicine, caramella mou, incenso, mandorla, tabacco biondo, mele al forno, burro. Lista di riconoscimenti prossima all’infinito ma in cima alla quale andrebbero collocati quei sentori di zafferano che fanno sempre riconoscere un vino botritizzato.

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V ECC H I O SAM P E R I Q UA RA N T E N N A L E , MA R CO D E BA RTO L I Questa è una storia che conoscono in pochi, una storia d’Italia che avrebbe potuto essere ma che non è e probabilmente non sarà mai leggendaria. Perché a Marsala, punta estrema della Sicilia occidentale, il Marsala vero non lo beve quasi nessuno. Questo vino è una storia di riscatto e resistenza. Inizia il suo percorso oltre 40 anni fa ma non si chiama Marsala in quanto non fortificato. Vecchio Samperi è un inno al territorio in cui nasce, la contrada di Samperi nell’entroterra marsalese, un grido di orgoglio e dolore figlio della visione di Marco De Bartoli, autentica forza della natura che ha illuminato il vino di Sicilia per troppo pochi anni. Il Vecchio Samperi Quarantennale, da uve grillo, è stato prodotto col metodo “perpetuo” o Solera: un 5% di vini nuovi da uve surmature viene aggiunti a botti contenenti vini già invecchiati. Di stile ossidativo, ha raggiunto negli anni una componente alcolica di 18 gradi e una tridimensionalità in bocca che rende quasi impossibile ogni abbinamento: qualsiasi cibo uscirebbe stritolato, maciullato, asfaltato. Dal bicchiere esce un profumo conturbante di fichi, frutta secca, miele di ogni sorta, caramello, prugne, spezie orientali, iodio, albicocca disidratata, datteri ed erbe aromatiche. Persistenza eterna.

ROMANÉE-CONTI GRAND CRU, DOMAINE DE LA ROMANÉE-CONTI

La vigna più famosa del mondo si trova a Vosne-Romanée, in Borgogna, e viene celebrata da oltre sei secoli. Qui nasce il vino più prestigioso, famoso e irreale della storia. 1,81 ha di proprietà di un’unica azienda che ha i piedi nella storia e la testa nella leggenda. L’uva pinot noir, coltivata in biodinamica dal 2007, in questo esatto spicchio di terra offre esiti che rendono manifesto un senso di inadeguatezza nell’usare le parole per spiegare profumo e carattere gustativo. E se a dirlo è Armando Castagno, vero fuoriclasse della divulgazione del vino in Italia, c’è da credergli. Seguendo il suo consiglio, non si può che citare alcuni dei wine writer più celebri al mondo per cercare anche solo lontanamente di immaginare che profumo possa avere un vino così mitico, il cui prezzo oscilla dai 15.000 euro la bottiglia a cifre difficili da scrivere. “Il più nobile aroma riproducibile da un grappolo d’uva, un’essenza di rosa fané delicatamente speziata”, ha scritto un vero guru del vino francese come Michel Bettane. E Richard Olney: “Velluto, seduzione e mistero: è il più proustiano dei grandi vini. Sotto il suo profumo segreto di rosa appena appassita respira la sensazione di un tempo ritrovato. Romanée-Conti è un souvenir lasciato dagli dèi su questo quadrato di terra: la meravigliosa traccia di una perfezione senza tempo”. Ma poi, servono altri descrittori per tratteggiare un sogno? Può tornare utile solo il Piccolo Principe di Antoine De Saint-Exupery per capire davvero il profumo di Romanée-Conti: “È il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante”.

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PER INIZIARE - IL BBQ PER I PRINCIPANTI - RUBRICA a cura di MICHELE CHIPA

IL BELLO

D E L L A D I R E T TA

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Come sappiamo la cottura diretta prevede di posizionare l’alimento sopra la griglia in corrispondenza delle braci, normalmente per un breve periodo di tempo. Ma quale tipologia di combustibile è preferibile utilizzare? Quali sono gli accorgimenti da mettere in pratica? Vediamo insieme cosa fare e come fare per ottenere il miglior risultato possibile.

di cottura con una safe zone dove spostare gli alimenti in caso di fiammate. Inoltre, se il nostro dispositivo ne è dotato, si potrà utilizzare il coperchio per sopire le fiammate e continuare a grigliare in sicurezza. Direttamente collegato al rischio delle fiammate c’è quello relativo alla carbonizzazione parziale dell’alimento: in presenza di fiamme è molto alta la probabilità di bruciature superficiali. Queste ultime, oltre a conferire un sapore estremamente amaro al cibo, rappresentano un rischio per la salute.

Vista l’alta temperatura, inoltre, si potrebbe verificare il fenomeno del carry over: il calore cuoce l’alimento all’esterno, mentre la temperatura interna aumenta per effetto della conduzione dalla parte esterna. Questo processo continua anche quando si rimuove l’alimento dal dispositivo di cottura, perché il calore accumulato negli strati Il combustibile Per una cottura diretta efficiente, è opportuno scegliere esterni continua a condurre calore verso l’interno per un una tipologia di combustibile in grado di esprimere il po’ di tempo. maggior rendimento in termini di calore. Questo perché l’alimento viene cotto esclusivamente per irraggiamento Il carry over è tanto intenso quanto maggiore è la diffee quindi è necessaria una temperatura tale da poter far ar- renza fra temperatura di cottura e temperatura target al rivare il calore al cuore e per generare la reazione di Mail- cuore, ma dipende anche dallo spessore dell’alimento. Per questo motivo è ottimale togliere quest’ultimo dalla cotlard (quella gustosa crosticina) sulla superficie. tura qualche grado prima rispetto alla temperatura target Il combustibile più adatto per una cottura diretta velo- che vogliamo ottenere. ce è l’hardwood lump charcoal. Non è altro che carbone frammentato in piccoli pezzi; questa sua particolarità “Temperatura infernale” o “fiamme dell’inferno” gli conferisce alto potere calorifero. Assicuratevi che sia Spesso nei vari post del gruppo Facebook di BBQ4All si prodotto utilizzando solo pregiate essenze di legno duro, legge l’espressione “fiamme dell’inferno”che sta ad indicacome quercia e noce. Non accontentatevi di un carbone re una cottura diretta ad altissima temperatura. qualsiasi, il fumo è un ingrediente alla stregua del sale, Visto quanto detto sopra in merito alla carbonizzazione non dimenticatelo mai. Se necessitiamo di calore elevato per più tempo, per gri- superficiale e il carry over, siamo sicuri che la temperatugliare un numero elevato di alimenti, allora potremo me- ra più efficiente per una cottura diretta sia quella di un scolare alla “carbonella” dei pezzi medio/grandi di carbo- altoforno? ne. La risposta è NO: le temperature estremamente elevate L’utilizzo di bricchetti risulta meno efficiente rispetto al non sono quasi mai la soluzione più efficiente. carbone perché, anche se usati nella stessa di quantità, conferiscono un minor apporto calorifero (senza dimen- La reazione di Maillard inizia ad essere più rapida a partire dai 160°C quindi non è necessario ottenere temperatuticare anche il diverso costo di acquisto). ra di fusione dello zinco (circa 420°C): ne bastano anche 200. Piuttosto, concentrate gli sforzi su come eliminare Accorgimenti Stante la vicinanza degli alimenti rispetto alla fonte di ca- l’ostacolo principale alla formazione della crosticina (ovlore e la loro posizione rispetto alla stessa, la cottura diret- vero, l’umidità) e su come veicolare al meglio il calore diretto verso la superficie dell’alimento (utilizzando un velo ta presenta dei rischi. Il rischio principale è quello delle fiammate derivanti dal- d’olio, del burro chiarificato, il grasso animale e chi più ne la caduta dei succhi sul combustibile acceso. Per ovviare ha più ne metta). a questo problema è sufficiente predisporre il dispositivo ALMANACCO 2019

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GUIDA AGLI ACCESSORI - RUBRICA a cura di MICHELE CHIPA

stretto...

il ponte sullo ANCHE UN MARZIANO VORREBBE

...INDISPENSABILE! Sette accessori che ti faranno dire:

come ho potuto farne a meno? Diciamoci la verità: esistono numerosi accessori per i nostri dispositivi, alcuni dei quali indispensabili ed altri onestamente superflui. Tuttavia esiste una terza categoria, ovvero gli accessori che, a prima vista guardandoli su uno scaffale, sembrerebbero inutili -fino ad oggi abbiamo fatto sempre senza, no?- ma che invece si rivelano velocemente indispensabili per un griller che voglia attraversare quel ponte fra “sono alle prime armi” e “sono quello bravo a grigliare in famiglia, tutti si aspettano grandi cose da me”. Volete sapere quali? Ecco una piccola guida.

Supporto per coperchio

Si tratta di una barra metallica modellata in maniera tale da poter essere ancorata al bordo del braciere (oppure avvitata direttamente allo stesso), creata per sorreggere il coperchio aperto. Utilizzando questo supporto il griller avrà entrambe le mani libere per mettere o togliere gli alimenti dalla griglia, oppure per aggiungere legni aromatici e/o combustibile. È l’alternativa ideale al posizionare il coperchio in terra, su un tavolo o, ancor peggio, al tenerlo con una mano, operazione che limita molto la libertà di movimento. Inoltre, una volta sistemato nel supporto, il coperchio funge anche da frangi vento per le cotture dirette.

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Supporto di cottura per costine/arrosti

Questo accessorio ha una duplice funzione. Da un lato sorregge le costine messe in verticale sul lato lungo, dall’altro solleva l’arrosto dalla griglia di cottura e ne permette una facile rimozione o rotazione. Il vantaggio di utilizzare il supporto viene messo in luce quando abbiamo la necessità di cuocere in contemporanea più slab di costine che, per il loro numero, non entrerebbero in griglia se disposte orizzontalmente. Utilizzato con un arrosto, invece, rende estremamente facile il posizionamento sulla griglia ed aiuta a mantenere compatta la carne in cottura.

Raccogli cenere

La cenere è il residuato della combustione nei dispositivi a carbone e va eliminata alla fine di ogni cotture, ma a volte anche durante la cottura stessa. Questo perché i liquidi che colano dagli alimenti potrebbero impastare la cenere ed ostruire le vent-in del dispositivo, con conseguenze negative sulla gestione della temperatura. Molti dispositivi hanno, in corrispondenza delle vent-in, un piattino raccogli cenere che serve, appunto, a raccogliere ciò che cade dall’apertura sul braciere. L’utilizzo del piattino ha, però, dei limiti. Innanzitutto la cenere è esposta al vento e quest’ultimo potrebbe spargerla sul terreno con rischio di incendio (vi ricordo che non c’è solo materiale spento nel piattino). Inoltre la gestione delle aperture è più laboriosa in quanto non c’è un supporto dove poter “prendere appunti” per le varie posizione delle ventole. La soluzione a questi problemi è il kit raccogli cenere. Si tratta di un vero e proprio contenitore chiuso da inserire sotto alla vent-in che permette la protezione della cenere dagli agenti atmosferici e, nei dispositivi Weber per esempio, ha dei segni di riconoscimento delle posizioni delle vent-in.

Graticola da pesce

Il pesce ha una pelle molto delicata, che necessita della massima cura nello spostamento sulla griglia di cottura. Il rischio è che rimanga attaccata alla griglia oppure che venga danneggiata dalle pinze, sfaldando completamente la carne delicatissima del nostro pesce. Il metodo più efficiente per gestire questa problematica è la graticola. Si tratta di un supporto composto da due griglie di rete metallica richiudibili. Si posiziona l’alimento all’interno e si chiudono le due griglie a libro. In questo modo sarà facile spostare il pesce durante la cottura: maneggiando la graticola si eviteranno tutte le problematiche sopra esposte. ALMANACCO 2019

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Cesti porta carbone

I cesti porta carbone sono dei contenitori in metallo dove posizionare il combustibile acceso. Il grande vantaggio del loro utilizzo si concretizza quando abbiamo la necessità di spostare velocemente il loro contenuto. Per esempio per passare da una cottura indiretta con carbone su due lati ad una cottura diretta: in questo caso sarà sufficiente spostare i supporti nel centro del braciere per ottenere il risultato voluto. Zero problemi di cottura, zero sporco, zero fatica.

Siringa per injection

Esistono sul mercato numerose tipologie di siringhe per uso alimentare per iniettare liquidi. La loro caratteristica è quella di essere riutilizzabili, previa accurata detersione, e soprattutto di avere un ago di diametro maggiore rispetto a quelle ad uso medico. Le siringhe utilizzate per le injection sono facilmente soggette ad occlusioni e quindi necessitano la sostituzione dell’ago molto frequentemente. Alcune hanno anche un kit di aghi di diverso diametro e con un numero maggiore di fori per una iniezione di liquidi più efficiente.

Cestello per verdure

Per evitare che le verdure tagliate a piccoli pezzi cadano dalla griglia sul combustibile acceso possiamo usare il cestello per le verdure. Si tratta di una vaschetta di metallo con dei fori nel lato inferiore e nei laterali che aiuta anche a cuocere omogeneamente il contenuto. Inoltre, i fori fanno in modo che i succhi che si creano in cottura cadano sulle braci accese e ritornino verso l’alto sotto forma di fumo aromatizzato che dona un sapore particolarmente intenso al cibo contenuto nel cestello. Le verdure vanno prima oliate in modo da evitare che si attacchino al metallo, ma vi assicuro che saranno aromatizzate e perfettamente grigliate e croccanti, senza quel brutto effetto di verdura bollita, moscia, che si disfa al solo guardarla. 418 - BBQ4All MAGAZINE


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SPECIALE HAMBURGER - IL BUN- PROCEDIMENTO di ALESSANDRO TREZZI

I L B U N P E R F E T TO l'hamburger è una cosa meravigliosa

Chi disaccorda, probabilmente non ha ben chiare le reali potenzialità di questo piatto ormai globale ed eterno, uno dei più celebri simboli dello street food di tutto il mondo. Un medaglione di carne succulenta e cotta a regola d’arte (si spera), abili contrasti di sapori e consistenze per mantenere alto il livello di esperienza, formaggio fuso e cremoso ed una salsa corposa e bilanciata, il tutto racchiuso da un morbido “bun”. L’hamburger-mania è letteralmente esplosa una decina di anni or sono, divenendo oggi un vero e proprio culto, subendo la trasformazione moderna di qualsiasi altro piatto e passando da “cibo povero” a oggetto di ricerca, sperimentazione per gli abbinamenti e cura dei dettagli. E il vero Nerd, l’appassionato, il cultore, che fa? Logicamente tende a trasmettere il proprio estro, un’impronta personale a tutto l’insieme, rendendolo riconoscibile tra mille. Trita i tagli di carne, crea le salse, cuoce gli ingredienti e soprattutto realizza il pane, elemento imprescindibile per un hamburger di qualità. Fare un buon burger bun non è affatto cosa semplice e scontata. Gli stessi locali specializzati nella celeberrima polpetta non sempre hanno l’accortezza di servire un supporto realmente adatto alle caratteristiche del piatto.

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Quante volte vi siete trovati davanti a del cartone imbevuto di succhi, che si è distrutto dopo un paio di morsi? E ancora, quante volte vi hanno portato del pane alto e duro, costringendovi a slogare la mascella pur di addentarlo e facendo sfilare il patty dal retro? Mettiamocelo in testa: il pane non è assolutamente un ingrediente trascurabile: ha il compito di racchiudere l’intera esperienza gustativa e di mantenerla sullo stesso livello per tutta la sua durata..


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Fare un ottimo burger bun a casa, con ingredienti e stru- sprigiona tutti i suoi equilibrati ma fantastici profumi, menti facilmente reperibili, è possibile, ve lo posso assicu- alzando l’asticella del vostro homemade hamburger. rare. Nel ripercorrere insieme gli obiettivi prefissati, risulta chiara la lista di aspetti che un contenitore ottimale Per realizzarlo nel migliore dei modi, leggere una ricettina dovrebbe avere. precompilata con dosi buttate a casaccio non è sufficiente: occorre comprendere a pieno la tipologia delle materie Cosa stiamo cercando? prime utilizzate e il loro ruolo nel costruire il risultato. Vogliamo un pane che non ostacoli il morso ma che abbia la struttura necessaria a sostenere il peso degli ingredien- La farina ti, che sia profumato ma non invadente, con una buona Inutile ricordarvi che la farina è l’ingrediente più imporshelf-life e senza sentori di acidità. tante di ogni lievitato; ogni prodotto dell’arte bianca non In parole povere: equilibrato. può prescindere da una farina selezionata consapevolmente e in maniera specifica. Gira e rigira la scelta migliore per la maggior parte degli Affinché il vostro bun risulti leggero, ben sviluppato ed abbinamenti ricade sul celebre brioche bun: se ben rea- equilibrato nel gusto, la scelta migliore ricade su un tipo lizzato, è morbido, si mantiene a lungo, sostiene gli in- 00 o 0 con una forza di 280-300W e un’ottima percengredienti, non risulta invadente e soprattutto reagisce tuale di assorbimento minimo. magnificamente alla tostatura. L’assenza di crusca permette di creare una maglia glutiniNel nostro bel paese abbiamo una marea di forme adatte ca salda e senza interruzioni, con una risultato più perfornelle dimensioni ma non nella consistenza, e che perciò mante ed esente da difetti in fase di lievitazione; di fatto, è spesso (come già affermato) impegnano troppo il morso, la medesima motivazione che rende consigliabile la farina causando la fuoriuscita degli ingredienti e disgregando raffinata nei dolci, dove lo sviluppo è altrettanto imporl’insieme. tante. Vi invito a focalizzare il risultato nella vostra testa: un Tenete inoltre presente che tra gli ingredienti figura una disco tondeggiante e dorato, dal gusto tendente al dol- quantità consistente di grassi ed elementi di peso; a tal ce, morbidissimo al tatto e che se sottoposto a pressione scopo, una maglia glutinica salda sarà in grado di sostetorna senza fatica allo stato originale. Se tostato in forno, nerne perfettamente il carico, oltre a trattenere i gas della

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lievitazione e conferire struttura, solidità ma anche mor- Il tanto amato lievito madre non è nient’altro che un parbidezza. ticolare tipo di pre-impasto. Un impasto indiretto ben eseguito può apportare alcuni Uova e grassi vantaggi, come una maggior struttura, un aumento delle Latte e burro rendono l’impasto più estensibile, malle- proprietà organolettiche (grazie agli acidi organici proabile e avvolgendo le bolle di anidride carbonica, che si dotti dalla fermentazione lattica) e shelf-life prolungata, formano durante la lievitazione, le stabilizzano. al costo tuttavia di una difficoltà di gestione più elevata L’alveolatura diventa così più omogenea e la struttura (specie in contesto casalingo), in quanto il risultato didella mollica molto soffice; tali fattori aumentano note- pende dalla costanza di temperatura e umidità dell’amvolmente la shelf-life del prodotto finito. biente scelto per la fermentazione del pre-impasto. Le proteine dell’uovo hanno invece proprietà schiumo- Inoltre i vantaggi citati (proprietà organolettiche, durabigene e coagulanti nell’albume ed emulsionanti nel tuorlo. lità e struttura) sono già garantite da farina, grassi e uova La combinazione di questi elementi è la via più semplice presenti nella ricetta; gli stessi risultati sono dunque rage utilizzata per realizzare un bun etereo, di colore ambra- giungibili con una procedura decisamente più semplice e to, sapore dolciastro e morbidezza irresistibile. standardizzabile. Non è certo l’unica strada per le nuvole, ma è sicuramente la più efficace. Malto e zucchero Vi va di smontare uno dei miti più insistenti e fastidiosi Impasto diretto o indiretto? nel mondo della panificazione? Per impasto diretto s’intende un procedimento nel quale “Lo zucchero nell’impasto serve a nutrire il lievito.” tutti gli ingredienti vengono miscelati in un’unica fase; No, nella maniera più assoluta. diversamente, l’indiretto prevede una fase di pre-impasto Le cellule del lievito si nutrono di zuccheri la cui abboncon acqua, farina e un piccolo starter, al quale verranno danza nell’impasto favorisce la fermentazione. Lo zucaggiunti gli ingredienti mancanti dopo la prima fermen- chero classico (il saccarosio) aggiunto all’impasto viene tazione. consumato immediatamente; la sua utilità (come nel ALMANACCO 2019

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nostro caso) è attribuibile solo a questioni di maturazione e sapore. Ai fini della lievitazione non incide in alcun modo, è un “fuoco di paglia”.

di maturazione previsti dal metodo, è fondamentale che il quantitativo di zuccheri sia sempre presente sia per mantenere attiva la lievitazione, sia per colorare e rendere saporito il bun Diversamente, lo zucchero prodotto grazie alla reazione di Maillard. continuamente dalla saccarificazione (il processo che trasforma i carboi- Il contributo del malto è fondamendrati in zuccheri semplici) dell’amido tale in presenza di farine con bassa contenuto nella farina con l’aiuto del- attività amilasica, di solito inversale amilasi e dalle diastasi (enzimi pre- mente proporzionale alla loro forza senti nella farina come nel malto stes- e all’abburattamento (setacciatura so), fornisce nutrimento continuo ai graduale del grano macinato per otlieviti. Considerando i lunghi tempi tenere farina di diversa finezza).

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In commercio esistono diversi tipi di malto, differenti per potere diastasico e quantità di zuccheri; la soluzione migliore è l’estratto di malto concentrato in sciroppo e il malto diastasico in polvere, utilizzabili in proporzioni di 5:1. In sostanza, quando qualcuno vi dice che potete sostituire il malto con il miele o lo zucchero, giratevi dall’altra parte e datevela a gambe.


Pronti? partiamo. Le fasi previste sono: - Impastamento; - Puntata o prima lievitazione; - Staglio e formatura dei panetti; - Appretto o seconda lievitazione; - Cottura. Impastamento Rovesciate in un recipiente ampio (o nella vasca della vostra impastatrice) tutta la farina, il 75% del latte, il lievito sbriciolato e il malto diastasico; dopo averli amalgamati bene aggiungete il latte rimanente poco alla volta, attendendo che sia ben assorbito prima di aggiungerne un'ulteriore quantità. Burro e uova devono necessariamente essere a temperatura ambiente, il primo per agevolarne l’assorbimento, le altre perché l’emulsione possa avere luogo senza problemi di natura fisico-chimica; un’ottima idea è amalgamare i due ingredienti separatamente utilizzando una frusta, aggiungendo poi il composto a poco a poco nell’impasto. Aggiungete anche lo zucchero poco alla volta in quanto, contribuendo ad aumentare in modo sostanziale l’umidità dell’insieme, va amalgamato lentamente per non compromettere la formazione della maglia glutinica. Aggiungete infine il sale (necessariamente lontano dal lievito, o potrebbe inibirne l’azione) e terminate l’impastamento quando l’insieme risulterà liscio, asciutto e setoso e la maglia glutinica si sarà formata. La temperatura interna dovrà essere di almeno 24 °C per permettere a tutti i processi fermentativi e alla maturazione di avere inizio senza particolari ritardi. Lasciate riposare nella ciotola per circa 15 minuti, poi fate alcune pieghe di rinforzo per rafforzare e stabilizzare il glutine e di conseguenza la struttura dell’impasto. Puntata In questa fase l’impasto matura e la maglia glutinica si stabilizza. Posizionate il tutto in un recipiente dai bordi alti ben oliato (soprattutto nella parte superiore, per evitare la formazione della pelle) e lasciate a temperatura ambiente per almeno un’ora per dar modo alla lievitazione di partire, e infine mettete in frigorifero per 18-24 ore a una temperatura di 4 °C. ALMANACCO 2019

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forno a 230 °C e cuocete per 10-11 minuti; per verificare l’avvenuta cottura dei bun è necessario un doppio controllo: la temperatura interna, misurabile con un termometro a sonda, deve essere di 90 °C, e la mollica deve risultare completamente asciutta. Raffreddamento, mantenimento e servizio Una volta sfornati i bun, lasciateli raffreddare su una griglia rialzata, evitando in tal modo la formazione di condensa che rovinerebbe il duro lavoro svolto finora. Staglio Circa 4 ore prima della cottura togliete dal frigorifero e dividete l’impasto in panetti da 100g l’uno. Operazione fondamentale, dopo aver pesato i singoli pezzi di impasto, è di schiacciare per bene facendo uscire l’aria formatasi durante la prima lievitazione, per poi arrotolare e formare una pallina ben chiusa; in tal modo, i gas sviluppatisi durante l’appretto risulteranno uniformemente distribuiti e la mollica avrà una struttura omogenea, senza bolle d’aria indesiderate e dislocate.

leggermente le mani e schiacciate i panetti lievitati per formare dei dischi di circa 2 cm di spessore; questo banale trucco impedisce di sfornare bun alti mezzo metro, con conseguente mascella slogata. In questo frangente potete dare un tocco di personalità con dei semi di sesamo, papavero, zucca, girasole, oppure delle erbe aromatiche, per rendere il vostro bun ancora più accattivante. Altre tre ore e mezza a 28-30 °C e i bun saranno pronti per essere infornati.

Adagiate su una teglia con della carta forno, ben distanziati uno dall’altro, Cottura coprite con un panno umido e lascia- Stabilizzate la temperatura del vostro te in appretto a una temperatura di 28-30 °C. Il consiglio è di non posizionare più di 6 panetti per ogni teglia 30x40, per ottenere un prodotto finito che abbia circa 10-11 cm di diametro. Appretto Durante lo staglio l’impasto viene manipolato e i lieviti ridistribuiti uniformemente; l’appretto (o seconda lievitazione) consente al semilavorato di svilupparsi al fine di ottenere la sua forma finale. Dopo circa 30 minuti, inumiditevi 426 - BBQ4All MAGAZINE

Se riposti in frigorifero in un sacchetto o recipiente a chiusura ermetica, i brioche bun si conservano perfettamente per 2-3 giorni; in caso contrario, è sempre meglio congelarli. Prima di farcire il vostro meraviglioso hamburger, tostateli interamente in forno a 180-200 °C: si formerà una crosticina croccante e saporita in corrispondenza della parte esterna, conferendo all’insieme una piacevolissima nota croccante. Game, set, match.


IN GREDIENTI

PE R 18 B RIOCHE B U N S • 1 kg di farina 00 di grano tenero (300 W); • 500 g di latte intero; • 170 g di burro morbido; • 1 uovo e un tuorlo (a temperatura ambiente); • 50 g di zucchero semolato; • 5 g di malto diastasico; • 25 g di sale fino; • 10 g di lievito di birra fresco (4 g se secco).

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I N G RED I EN T I

P E R 4 P E RS ON E • 4 hamburger • 4 uova di gallina • 4 bun • un peperone • 4 fette di speck • una cipolla • salsa barbecue • 20g di Rub BBQ4All Montreal

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SPECIALE HAMBURGER - RICETTA di EMILIANO NENCIONI

L'HAMBURGER

della redenzione Più o meno tutti gli appassionati di cottura su fiamma o in generale di cucina hanno una specialità che scatena in loro ricordi o riflessioni, un piatto protagonista di un bivio nella loro vita o testimone di un evento importante: nel mio caso, questo ruolo è coperto dall’hamburger.

Era una specie di hamburger quello che la nonna meno interessata alla buona cucina al mondo, la mia, mi cucinava nei primi anni ‘80: tanto olio di oliva, padella in teflon scortecciata rigorosamente tiepida, venti minuti buoni di cottura a fuoco bassissimo. Nei momenti di particolare slancio veniva sovrapposta anche una sottiletta, che non si è mai fusa ma che immancabilmente si tramutava in un polimero lucido, rigido e insapore. Non si chiamava neanche hamburger, si chiamava svizzera. Ricordo che alle elementari non riuscivo a togliermi dalla testa il fatto che qualcuno oltre le Alpi avesse chiamato il suo paese come una polpetta di carne: lo vedevo scritto sulla cartina geografica e mi distraeva, in classe, per la maggior parte del tempo. “Nonna, ma perché non mi fai un panino come quelli in tv? Tondo, con il formaggio fuso e la salsa di pomodoro e la polpetta di carne altissima?” “No. Senti com’è buona la svizzera, ti ci metto anche l’origano sopra.” In tempi molto più recenti la voglia di mangiarne uno come si deve mi spinse a comprare un kettle: pieno di entusiasmo pensai di inaugurare il dispositivo (ai tempi, in tutta sincerità, anch’io sbagliavo e lo chiamavo “il barbecue”) con una colossale hamburgerata, e per la prima volta io stesso mi sarei occupato di cucinare il cibo. Chiamai ben dieci parenti e invitai tutti gli amici che avevo, dal primo all’ultimo; andai al supermercato a comprare un

po’ di pancetta, tante sottilette (mi si erano impresse nella memoria), e gli hamburger più economici che riuscii a trovare. D’altronde sfamare quelle TREDICI persone, me compreso, mi sembrava un’impresa titanica e, dopo un’analisi più approfondita, un po’ troppo costosa in relazione agli invitati. Commisi quasi la totalità degli errori del principiante: kettle pieno di bricchette arroventate, tutti gli hamburger disposti sulla griglia e il coperchio chiuso. Vennero fuori le polpette più rinsecchite, dure, nere, salatissime e ingrate della storia. Tutti sentirono distintamente un’anziana borbottare “però quando gli facevo le svizzere io, da piccino, venivano un bigiù, belle morbide”. Da allora per me è stata una ricerca continua e un po’ ossessiva verso la perfezione, il bilanciamento dei sapori e l’appagamento sensoriale: il mio obiettivo diventò l’hamburger gustoso, piacevole al palato, non necessariamente eccessivo e ostentato ma ricco di particolari gratificanti. Dopo non pochi fallimenti e dopo un percorso formativo dentro BBQ4All che mi ha dato le basi per sperare di non farne più, voglio trasmetterti qualcosa che ti metta in grado di organizzare un’hamburgerata che sarà un successo totale: non voglio darti solo la ricettina del mio panino preferito, voglio renderti in grado di riuscire a prepararlo alla perfezione. ALMANACCO 2019

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Parametri: I tuoi obiettivi, in questo caso, sono semplici ma sono tanti. Hai una manciata di micro obiettivi, tutti importanti.

• La carne deve essere succosa e dal sapore molto “beefy”; questo ti costringe a scegliere una materia prima molto buona e a cuocerla, tanto per cambiare, alla perfezione; il tuo brand preferito per fortuna ti viene in aiuto con gli hamburger BBQ4All, ottimi e dal bilanciamento grasso/magro impeccabile. Non voglio spudoratamente dirti di usare proprio quelli ma... per essere sicuro, usa quelli. Lo speck deve essere croccante, ma non rinseccolito: ricordati che non è

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pancetta, ha una quantità di grasso molto minore e per sua natura è già molto più “tirato”. L’uovo deve essere cotto con una precisione maniacale, perché ritrovarsi l’albume crudo in mezzo a un hamburger è spiacevole e per molti disgustoso; d’altra parte, un tuorloeccessivamente cotto e rappreso non aggiungerà la cremosità voluta al panino. Il peperone deve essere morbido, arrendevole, e tagliato a strisce strette: non è questo il caso del “peperone bello croccante”. Se vuoi il peperone duro e legnosetto fatti una ricetta tua. Il rub dovrà avere carattere e suggerire sapori complessi, ma non do-

vrà essere preponderante o invadente: per questo ti consiglio il nostro Montreal, ma dovrai metterne solo una lieve spolverata. Non è un brisket. Il pane dovrà servirti da spugna: scegli un bun abbastanza grande e soffice, ma non tostarlo eccessivamente. Scaldarlo va bene, abbrustolirlo no. Ci sono molti elementi liquidi o cremosi che metteranno a dura prova l’alveolatura del pane, non irrigidirlo troppo.

Procedimento: 1. Inizia con i peperoni così ti togli il pensiero. Hai due strade: puoi farli in ember o al forno. Se vuoi farli in ember deponi mezzo cesto di bric-


chette ben accese sulla griglia carboni del kettle e appoggia il peperone su di esse: chiudi il coperchio e, quando il peperone si sarà tutto afflosciato, spellalo per bene e riducilo in striscioline ben pulite. Se preferisci usare il forno metti il peperone (intero) su una leccarda, scalda a 200°C e aspetta che sia completamente floscio; anche in questo caso spella e pulisci per bene e riduci in striscioline la polpa. Metti le strisce ottenute in una pirofila con abbondante olio e un po’ d’aglio, lasciandole a bagno per un’oretta. 2. Dedicati all’uovo. Questa è la fase più maniacale ma credimi, la differenza data dalla tua precisione si sentirà e si vedrà. Separa i tuorli dagli albumi, e “lavora” gli albumi in un recipiente fino a renderli molto liquidi: non devi montarli a neve, no, basta che tu li renda liquidi e omogenei; se per te è troppo fastidio, compra gli albumi nei tetrapak per pasticceria, li trovi già liquidi. Prendi una padella o un pentolino che abbia il fondo tondo di dimensioni quasi uguali all’area del cerchio descritto dal bun o dal patty, ungilo leggermente e versa l’albume necessario per un panino (se avevi separato quattro albumi versane un quarto: ci siamo capiti?), cuocendo a fuoco molto basso, senza bucarlo o muoverlo, finchè le proteine non diventano completamente bianche. A solidificazione avvenuta togli dal fuoco e metti da parte. E’ necessario che l’albume sia perfettamente circolare, regolare, uniforme, integro. Allenatevi con discreto anticipo per perfezionare la tecnica. Il tuorlo, in tutto questo procedimento, è al sicuro e non viene preso in causa, non adesso.

tarla leggermente. Prepara mezzo cesto accenditore di bricchette, e nel frattempo copri di carta assorbente gli hamburger, per asciugarne bene la superficie. Versa le bricchette su metà della griglia carboni del kettle, in modo da lasciarti circa metà della griglia pietanze non investita dal calore diretto.

da parte il pressappochismo per qualche altra preparazione. 1. Prendi la metà inferiore del panino e versaci una cucchiaiata di salsa barbecue; 2. Appoggia un numero sufficiente di strisce di peperone precedentemente arrostito, scolando l’olio in eccesso;

4. Dai una velocissima scottata in diretta allo speck: appena il grasso diventa trasparente e la parte magra 3. Sovrapponi adesso uno - due anelinizia a incresparsi rimuovilo dal fuo- lini di cipolla, non serve esagerare co e mettilo da parte. Se vuoi, puoi con la dose; tagliarlo a striscioline. 4. Inserisci ora il patty bello caldo, a 5. Ungi leggermente i 4 patty e met- cottura appena ultimata, e spolvera tili in griglia. Fai attenzione che il leggermente con il Rub BBQ4All grasso che cola non faccia investire Montreal; di fiamme la carne, e in caso ricorri al collaudato stratagemma di chiudere 5. Con delicatezza e conservando la il coperchio per soffocare la fiamma- concentricità fra le componenti metta. Gira più volte la carne, e serviti ti l’albume precedentemente cotto della “safe zone” (la porzione di gri- sopra la carne e il tuorlo sopra l’albuglia non irradiata direttamente dalle me; braci) per mettere temporaneamente in salvo i patty che stanno prenden- 6. Appoggia la metà superiore del do troppo calore o già cotti. bun di fianco alla torre appena forPer una cottura veramente perfetta mata, lasciando il compito di chiudeperò ti consiglio una piastra, anzi- re l’opera e schiacciare il tuorlo a chi chè una griglia: non avrai problemi dovrà mangiare il panino. di fiammate, la reazione di maillard avverrà in maniera più completa rive- 7. Servi ad uno ad uno i panini apstendo la tua carne di una bella cro- pena preparati, senza farli “sostare” sticina brunita e saporita. Puoi usare troppo prima del servizio. una padella in ghisa oppure uno dei numerosi accessori in ghisa (liscia, Assumi un’aria ricca di sussiego e mi raccomando!) per il tuo kettle. supponenza, liquidando i curiosi con Con una buona padella in ghisa puoi risposte tranchant e generale senso di sfruttare anche i bruciatori del tuo fastidio verso il prossimo. dispositivo a gas, se lo possiedi. Raggiunto il grado di cottura deside- Per una completa Nencioni Experato, aiutandoti col tuo fido termo- rience accompagna il tutto con il mimetro a spillo, togli i patty dal fuoco glior Chinotto artigianale reperibile e dedicati ad un meticoloso montag- in commercio. gio.

Hamburgers, assemble! 3. Taglia un po’ di cipolla in anelli In questa fase ti è richiesta attenziomolto fini. Puoi usarla cruda o scot- ne, precisione e meticolosità. Lascia ALMANACCO 2019

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SWEET HOME

ALABAMA

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SPECIALE HAMBURGER - RICETTA di TOMMASO DI GREGORIO

...where the skies are so blue sweet home Alabama Lord, I’m coming home to you

Così cantavano i Lynyrd Skynyrd. Sarebbe curioso sapere come i componenti del famoso gruppo southern rock preferissero mangiare gli hamburger. Probabilmente questa curiosità rimarrà tale. Visto che non è dato sapere le preferenze di Ronnie Van Zant e soci, la proposta di oggi è un hamburger in stile BBA4All che richiami l’Alabama e i suoi sapori più tipici, a partire dalla famosa salsa Big Bob di cui vi parlerò dopo. È un panino che unisce la croccantezza di una cialda di patate alla nota acida delle cipolle sott’aceto e al gusto inequivocabile della salsa bianca. L’ho trovata una combinazione molto equilibrata e interessante, adatta ai succulenti e gustosi burger che conoscete tutti. Provare per credere. IN GREDIENTI

PE R IL PA N IN O • Hamburger BBQ4All • Bun per hamburger • Salsa Big Bob Gibson fatta in casa q.b. • Una noce di burro • Sale q.b. • Pepe q.b. PE R LA CIA LDA D I PATAT E • 2 patate • Olio extra vergine di oliva • Sale q.b. • Pepe q.b. PE R LE CIPO LLE AL L ' ACETO • 1 cipolla rossa • Aceto di vino bianco • un cucchiaio di sale • un cucchiaio di zucchero

Preparazione delle cipolle sott’aceto 1. La preparazione delle cipolle è molto semplice, ma è necessario prepararle con un giorno d’anticipo rispetto a quando si vogliono consumare. Tagliate finemente le cipolle e adagiatele in una terrina. 2. Coprite con acqua bollente e lasciatele immerse per una decina di minuti. 3. Trascorso il tempo necessario, travasate le cipolle in un barattolo e aggiungete un cucchiaino di sale e uno di zucchero. 4. Riempite adesso il barattolo di aceto di vino bianco e chiudetelo ben stretto. Lasciate riposare le cipolle in frigorifero per un giorno prima di

consumarle. Preparazione della cialda di patate 1. Pelate le patate e riducetele in scagliette usando una grattugia a fori larghi. 2. Mettete adesso un filo d’olio in padella e fatele rosolare un po’ alla volta, a cucchiaiate, schiacciandole con il dorso del cucchiaio per formare delle frittelle che dovranno dorarsi su entrambi i lati. Se avete un coppa pasta usatelo per dare una forma più regolare alla cialda di patate. 3. Quando saranno ben dorate adagiatele su un foglio di carta assorbente e lasciatele scolare. Preparazione dell’hamburger 1. Settate il vostro dispositivo per una cottura diretta. 2. Tagliate in due il panino e spalmate un po’ di burro su entrambe le sezioni. Sul kettle, o in alternativa su una padella ben calda, fate adesso dorare i bun dalla parte della mollica. 3. Cuocete l’hamburger girandolo spesso fino a quando non raggiunge il grado di cottura desiderato. 4. Componete il vostro panino. Spalmate la base del pane con la salsa Big Bob Gibson, adagiate sopra la cialda di patate, poi l’hamburger, le cipolle sott’aceto e infine aggiungete ancora un po’ di salsa. 5. Richiudete ora il bun e servitelo ben caldo, magari accompagnando il tutto con la musica dei Lynyrd Skynyrd in sottofondo! ALMANACCO 2019

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SPECIALE HAMBURGER - RICETTA di TOMMASO DI GREGORIO

BIG BOB

G I BS O N ’ S SAU C E

I N GREDIENT I • • • • • • • • • •

170 g di maionese 80 ml di aceto di mela 60 ml di succo di mela 1 cucchiaio di rafano (sottaceto o in crema) (15 grammi) 1 cucchiaio di pepe nero macinato (6 grammi) 60 ml di succo di limone 1/4 cucchiaino di sale (1,5 grammi) 1 cucchiaio di aglio in polvere (8 grammi) ½ cucchiaino di pepe di Cayenna (1 grammo) 1 cucchiaino di senape in polvere (2 grammi)

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Pensate a quanto sarebbe bello potere viaggiare nel tempo e vedere il mondo. Si potrebbero scoprire un’infinità di cose e conoscere una moltitudine di persone interessanti. Purtroppo fino a quando non sarà possibile salire a bordo di una DeLorean e sfrecciare nel passato come nel celebre film, l’unico modo per farlo è con l’immaginazione. Nel viaggio nel tempo che vi propongo oggi, la meta sarà il sud degli USA, più precisamente l’Alabama. Facendo quindi un piccolo sforzo mentale provate a creare un’immagine dell’America a cavallo tra le due grandi guerre. Siete a Decatur, una piccola zona rurale dell’Alabama vicino al fiume Tennessee. La gente coltiva i campi e vive di quello che dà la terra. Nell’aria non c’è il pesante odore di smog che caratterizza le moderne metropoli e si può sentire un piacevole odore di affumicato. Il vento è pregno di questo buonissimo odore che proviene da un piccolo cortile dove un uomo, tanto grande quanto buono, sta affumicando maiale e pollo. Questo signore si chiama Bob Gibson, detto Big Bob a causa della sua grande mole. Bob ha la passione per il bbq e griglia per amici e parenti nel suo giardino. La sua cucina è molto apprezzata ma manca di qualcosa che la caratterizzi. Stanco dei soliti condimenti, quindi, Big Bob inizia

a sperimentare e a mescolare vari ingredienti alla sua maionese casalinga. Ed è così che nel 1925 nasce la prima versione della celebre salsa bianca che porta il nome della famiglia Gibson. La salsa piace molto ai commensali di Big Bob e la voce si sparge richiamando sempre più gente curiosa di assaggiare questo nuovo condimento. Così da piccolo barbecue casalingo, l’attività si allarga e diventa dapprima un ristorante e poi una catena famosa in tutto l’Alabama. Ancora oggi i ristoranti sono gestiti dalla famiglia Gibson che porta avanti la tradizione e il nome dell’ideatore di questo incredibile intingolo. Chi l’ha assaggiata lo sa: crea dipendenza. E quindi ho pensato: perché non provare a replicarla, facendola in casa? Il risultato è stato molto soddisfacente e per questo voglio condividerlo con voi. Procedimento In una ciotola larga unite e mescolate bene tutti gli ingredienti. Lasciate riposare la salsa un paio d’ore in frigorifero. Si sposa benissimo col pollo e con il maiale, ma io ho provato ad abbinarla anche all’hamburger che trovate nella pagina accanto. Provatela anche voi e poi ditemi se non ho ragione quando dico che dà assuefazione. ALMANACCO 2019

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SPECIALE HAMBURGER - RICETTA di MARIANGELA IBBA

T WO ONE is megl’ che

L’antipasto è Il biglietto da visita di MINI HAMBURGER ogni invito che si rispetti. Spesso ti ALLA PARMIGIANA rivela se mangerai bene o se lungo la strada del ritorno ti fermerai al primo DI MELANZANE fast food disponibile per riempire lo Un piatto che è sempre andato forte stomaco vuoto. a casa mia è la parmigiana di melanÈ l’entrée del pasto fatto di piccole zane. Per questo ho deciso di renderla porzioni di cibo godurioso e stuzzi- ancora più buona trasformandola da cante, con il quale si invoglia l’appe- portata unica a farcitura di un hamtito degli ospiti. Solitamente è com- burger dal sapore esplosivo. Infatti, posto da salumi e formaggi locali il gusto speziato della salsa di pomoaccompagnati da crostini, tartine e doro, la croccantezza della melanzana fritta, il sapore del formaggio fuso, dagli immancabili vol-au-vent. unito agli slider BBQ4All, creano un Ma è finalmente giunta l’ora di rom- hamburger dal gusto deciso e corpopere questa routine. E sarai tu a far- so che ammalierà tutti i tuoi ospiti. lo, offrendolo ad amici e familiari un antipasto diverso. Mini hamburger gourmet, farciti con primizie tipiche di questo periodo: melanzane e fiori di zucchine, rigorosamente con slider firmati BBQ4All.

Procedimento 1. Metti a scaldare l’olio d’oliva in una pentola capiente e fai soffriggere da solo lo spicchio d’aglio in camicia. Una volta imbiondito, toglilo dall’olio e fai soffriggere la carota, la cipolSono due le ricette che ti propongo: la, il sedano, il prezzemolo e il pepeuno alla parmigiana di melanzane e roncino tritati finemente. Al trito l’altro ai fiori di zucchine fritti, giusto aggiungi anche i chiodi di garofano e la maggiorana, e lascia imbiondire il per rendere il tutto più leggero. 436 - BBQ4All MAGAZINE

tutto. 2. Sfuma con il vino. Aggiungi la passata di pomodoro, il concentrato e l’acqua. Lascia cuocere per un’ora circa a fuoco lento. 3. Lava bene la melanzana sotto l’acqua corrente e, senza sbucciarla, tagliala a fette non troppo spesse. 4. Poni le fette della melanzana all’interno di uno scolapasta con un po’ di sale, coprile con un canovaccio e metti sopra di esse un peso per farle spurgare, per circa un’oretta. 5. Sciacqua le melanzane sotto l’acqua corrente ed asciugale bene tra due canovacci. 6. Sbatti le uova con un pizzico di sale ed immergi le fette di melanzane una per volta, per poi passarle nel pangrattato a cui avrai aggiunto sale e pepe. 7. Metti una padella sul fuoco e fai scaldare l’olio di semi. Quando l’olio è caldo friggi le melanzane. Mi raccomando asciuga bene l’olio di frittura in eccesso. 8. Prepara il tuo dispositivo per una cottura diretta. Dopo aver versato i


I N G REDI EN TI

PER SEI PERSONE • 6 mini bun • 6 slider BBQ4All • una melanzana • 200g di Parmigiano Reggiano a scaglie • 2 uova • pangrattato q.b. • Olio di semi q.b. • un litro di passata di pomodoro • un cucchiaio di concentrato di pomodoro • 1 spicchio d’aglio • 1 carota • 1/2 cipolla • una costa di sedano • un ciuffo di prezzemolo • 1 peperoncino intero • 4 chiodi di garofano • 2 cucchiaini rasi di maggiorana • 1/2 bicchiere di vino bianco • 1 tazza d’acqua • Sale q.b. • pepe q.b. • olio extravergine d’oliva q.b.

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I N GREDIENT I

PER SEI PERSONE • 6 mini bun • 6 slider BBQ4All • una mozzarella di bufala (da 125 g) • 125 ml di panna fresca • timo in polvere q.b. • 100g di acciughe sottolio • 6 fiori di zucchini • 250g di farina 00 • 200ml di acqua frizzante fredda • olio di semi q.b. • olio d’oliva q.b • sale q.b. • pepe q.b.

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bricchetti accesi, chiudi il coperchio in modo che la griglia raggiunga temperature infernali. 9. Spennella la carne con un velo d’olio, salala su entrambi i lati e mettila in cottura sulla griglia rovente. In questo caso è importante lasciarli indietro di cottura, in quanto ci sarà un ultimo passaggio in griglia. 10.Dividi i panini a metà e griglia la parte interna. Adesso sei pronto per comporre gli hamburger. Prendi la base del pane, metti la salsa di pomodoro, la melanzana, lo slider, nuovamente la salsa di pomodoro e le scaglie sottilissime del Parmigiano. 11.Per far fondere leggermente il formaggio metti il panino aperto nel dispositivo fuori dalle braci per pochi istanti, con il coperchio chiuso. Ecco perché lo slider è bene che sia un po’ indietro di cottura. 12.Chiudi il panino col suo cappello e il mini hamburger alla parmigiana di melanzane è servito.

MINI HAMBURGER CON ACCIUGHE CREMA DI MOZZARELLA E FIORI DI ZUCCHINI FRITTI I fiori di zucchini fritti sono una vera leccornia, specie se ripieni di mozzarella e acciughe. Per questo ti propongo un mini hamburger che racchiude in sé tutto il sapore dei fiori di zucchino ripieni destrutturati, per dirla con un termine che è molto in voga ultimamente. Rispetto al panino con la parmigiana di melanzane, ha sicuramente un gusto più delicato, ma non meno straordinario. Infatti la morbidezza e la dolcezza della crema di mozzarella di bufala aromatizzata al timo, unita al sapore deciso dell’acciuga e al piacevole scricchiolare sotto i denti del

fiore fritto, crea un mix dal sapore paradisiaco, completato in modo impeccabile dallo slider. Procedimento 1. Taglia a pezzi piccoli la mozzarella e frullala nel mixer. Al composto ottenuto, aggiungi la panna, per ottenere una crema liscia e meno corposa, un pizzico di sale e il timo. 2. Prepara la pastella per i fiori di zucchino. In una ciotola versa la farina setacciata. Aggiungi l’acqua fredda a filo, mentre mescoli con la frusta per evitare la formazione di grumi. La pastella è pronta quando ha una consistenza liscia e fluida 3. Lava i fiori di zucchino sotto l’acqua corrente e asciugali bene. Elimina la parte finale del fiore e il pistillo. 4. Passali nella pastella e friggi nell’olio caldo. Mi raccomando a­sciuga l’olio in eccesso passando i fiori nella carta assorbente 5. In contemporanea, prepara il dispositivo per una cottura diretta dopo aver versato la ciminiera di bricchetti accesi, chiudi il coperchio in modo che la griglia raggiunga la temperatura desiderata. 6. Spennella con un velo d’olio gli slider e metti la carne in cottura sulla griglia rovente girandoli spesso. 7. Taglia i bun a metà e tosta l’interno 8. Adesso sei pronto per montare il mini hamburger. Prendi la base del panino, metti un po’ di crema di mozzarella e sopra adagia la carne, poi un’altra dose generosa di crema di mozzarella. Al centro della crema poni un’acciuga sottolio. Chiudi il panino e con uno stecchino infilza il fiore di zucchino fritto in cima. Ti assicuro che una volta assaggiati questi mini hamburger, non vedrai l’ora di prepararli nuovamente, ma nel formato maxi.

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SPECIALE HAMBURGER - RICETTA di MARIANGELA IBBA

F R U T TO P RO I B I TO ?

che peccato!

Per la tradizione culinaria italiana, la frutta è in tutto e per tutto un cibo dolce: ideale a colazione con yogurt e cereali o per uno spuntino sano e veloce ma sempre gustoso. In special modo, con la frutta si realizzano tantissimi tipi di dolciumi dai gusti diversi: caramelle, gelati, granite, creme per farcire torte e crostate. Insomma, è ok quando dobbiamo preparare piatti dolci, mentre in molti arricciano il naso di fronte ad ogni piatto salato che contenga frutta.

all’interno di primi, secondi e contorni come elemento che arricchisce le pietanze creando una piacevole unione di sapori.

Basti pensare allo chef stellato Carlo Cracco che, per San Valentino 2019, ha servito alcune sue creazioni basate proprio su questo tipo di giustapposizione di sapori: ostrica in crosta di cacao, albicocche secche, noci soffiate e caramello salato; ananas al forno, crescenza, riso selvatico e dragoncello; insalata di astice al vapore, crema In realtà, utilizzarla anche per tutte le di rapa e mandarino affumicato. altre portate non è proprio una novità: è abitudine in molte cucine estere. Quindi, nel nostro piccolo, anche In Germania, tanto per fare un solo noi abbiamo voluto giocare con la esempio, amano servire la carne con frutta per realizzare questo hambursalse a base di frutta (ricordo che ne- ger: il sapore burroso dell’avocado si gli anni ‘90 un ristorante a Berlino sposa alla perfezione con il delicato mi servì pollo alla griglia e fettine di gusto di latte della ricotta, e il piccanmela insieme alla maionese) ma, se te del peperoncino dona alla crema scaviamo a fondo nei recessi della no- una marcia in più. La grassezza del stra storia gastronomica, questo con- lardo arricchisce una carne dal sapore trasto di sapori non ci è totalmente già spettacolare e la mela, con la sua ignoto, basti pensare all’insalata d’a- croccantezza e con la sua nota asprirance o alla pasta con le sarde, l’uvetta gna e rinfrescante, sgrassa il palato fasultanina e i pinoli. cendoti apprezzare al meglio questo matrimonio di sapori. In questi ultimi anni, inoltre, molti chef stanno imponendo allo scetti- Procedimento co palato italiano questo mix di sa- 1. Sbuccia l’avocado, privalo del nocpori agrodolci in contrasto, eppure ciolo interno e schiaccialo con una perfettamente armonizzati tra loro. forchetta La frutta è entrata oramai di diritto 2. Unisci l’avocado alla ricotta setac440 - BBQ4All MAGAZINE

ciata , aggiungi il peperoncino, un pizzico di sale, pepe e olio d’oliva e mixa gli ingredienti tra loro fino ad ottenere una crema liscia ed omogenea. 3. Lava sotto l’acqua corrente la mela e, senza sbucciarla, affettala il più sottilmente possibile. Bagna le fette della mela con il succo di limone, perché non diventino scure. Prima di metterle nel panino, ricordati di asciugarle bene, con della carta assorbente. 4. Prepara il tuo dispositivo per una cottura diretta, una volta versata la ciminiera di bricchetti accesi, chiudi il coperchio, in modo che la griglia si scaldi. 5. Spennella con un velo d’olio gli hamburger. 6. Butta gli hamburger in griglia, avendo cura di girarli spesso, fino al tipo di cottura desiderata. 7. Taglia i panini a metà e griglia l’interno. 8. Adesso sei pronto per realizzare il tuo panino. Prendi il pane, metti la crema di ricotta e avocado, un po’ di insalata pan di zucchero, poi l’hamburger, sopra la carne poni il lardo, nuovamente la crema ed infine qualche fettina di mela. Chiudi il tutto con il cappello del panino e il tuo hamburger è pronto.


I N G REDI EN TI

PER QUATTRO PERSONE • 4 bun (panini per hamburger) • 4 hamburger BBQ4All • 250g di ricotta • un avocado • peperoncino q.b. • insalata pan di zucchero q.b. • 150g di lardo di Colonnata a fette sottili • una mela Granny Smith • succo di un limone • sale q.b. • pepe q.b.

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I N G REDIENT I

PER QUATTRO PERSONE • 3 Steak Burger BBQ4ALL da 300g ciascuno • 20 fette di bacon • 500g di funghi Portobello • un rotolo di pasta sfoglia • 200 g di scamorza affumicata • Tennessee Rub BBQ4ALL q.b • Sale q.b • Pepe q.b • 1 cucchiaio di salsa Worcestershire • Olio extravergine di oliva q.b • Salsa BBQ q.b

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SPECIALE HAMBURGER - RICETTA di LUCA GALLOZZA

W E L L I N GTO N

BACO N EX P LOS I O N

Oggi voglio parlarvi di una preparazione abbastanza recente nel mondo del BBQ. Come avete letto dal titolo della ricetta, stiamo parlando del Bacon Explosion o Bacon Bomb. Una preparazione che ha origine a Roeland Park in Kansas City, nel 2008, da due amanti del barbecue come voi: Jason Day e Aaron Chronister. Furono loro ad inventarsi questa pietanza strepitosa ed ormai conosciutissima. Entrambi parte di un team di barbecue, chiamato Burnt Finger BBQ, decisero di trovare un modo per dare visibilità al loro sito, così da guadagnare qualche dollaro da investire per finanziare la loro passione. Tutto partì da una sfida lanciata sul web da un amante della pancetta, che si aspettava un utilizzo della stessa in maniera creativa, in griglia. Spendendo 20 dollari tra pancetta e salsiccia italiana, Jason e Aaron tirarono fuori questa staffilata di calorie, gusto e fantasia che la mise subito tra le preparazioni più amate e ormai più conosciute del barbecue americano. Di fatto è composto principalmente da due soli ingredienti: la macinata di carne e la pancetta; ma può essere trasformata nella preparazione più fantasiosa che possa esserci, se andiamo a modificare a piacere la farcia che la compone internamente. Io voglio proporvela in un modo assolutamente nuovo. Partendo da un

altro grande classico della cucina, vi BBQ4All, aggiungiamo un cucchiaio spiegherò come riprodurla in versio- di salsa Worcestershire, un filo d’olio, aggiustando di sale e di pepe. ne “Wellington rovesciato”. 7. Stendiamo la nostra macinata sulConoscere il filetto in crosta nella la rete di bacon, realizzando un retversione wellingtoniana? Lo andre- tangolo di 35x25 cm circa. mo ad adattare ad una versione Ba- 8. Spolverizziamo di Tennessee Rub con Explosion trasformandolo nel BBQ4All la macinata di Steak Burger Wellington Explosion Bacon, utiliz- 9. Distribuiamo abbondantemente zando oltretutto i burger BBQ4All la nostra crema di funghi su tutta la all’interno della ricetta, che vi sor- carne. prenderanno per l’incredibile versa- 10.Posizioniamo il nostro rotolo di sfoglia ripieno di scamorza sul rettilità. tangolo di macinata e arrotoliamola Procediamo quindi con la prepara- su se stessa. 11.Chiudiamo bene i lati per chiuzione. derli e facciamo aderire al meglio il bacon ai bordi. Procedimento 1. Prendiamo i funghi, inumidiamo 12.Stringiamo i lembi della pellicola un panno e puliamo il cappello e il e arrotoliamo il nostro bacon bomb gambo. Tagliamoli a pezzetti e cuo- facendolo rotolare su un piano. ciamo a fiamma bassa, aggiustando 13.Poniamolo in frigo a riposare e a rassodare per almeno due ore, poi di sale e pepe. 2. Passiamo al minipimer i funghi predisponiamo il nostro dispositivo aiutandoci con un filo d’olio extra per una cottura indiretta stabilizzandolo a circa 160 gradi; poniamo vergine di oliva. 3. Tagliamo la scamorza affumicata a il polpettone in griglia e facciamolo cuocere sino a 74 gradi al cuore, affucubetti 4. Stendiamo la pasta sfoglia, rica- micando con chip di legno aromatizviamo un rettangolo 25X10 cm circa, zato a piacere. mettiamo al centro i dadini di sca- 14.Glassiamo con salsa barbecue e lamorza e arrotoliamo per ricavarne un sciamo ancora in cottura sino ai 78°C cilindro. Chiudiamo bene e faccia- al cuore. mo cuocere nel nostro dispositivo a 15.Portiamolo a tavola su un tagliere 200°C per 25 minuti, in cottura indi- e iniziamo a tagliarlo a fette da 4/5 cm di spessore. retta. 5. Realizziamo una rete intrecciata di bacon su un foglio di pellicola abba- Dubito che ne rimanga anche un solo pezzo. stanza abbondante. 6. Smontiamo i nostri Steak Burger ALMANACCO 2019

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NONSOLOCARNE - RICETTA VEGETARIANA di LUCA GALLOZZA

posso resistere a tutto tranne che agli

JALAPEÑO

FRITTI

Diretta discendenza dei Chile Relleno (piatto messicano a base di peperoni grandi e delicati, ripieni talvolta di formaggio, altre di carne macinata, poi pastellati con uova e fritti), questo gustoso jalapeño fritto fa parte di una lunga lista di varianti che riguardano i peperoncini ripieni in tutto il mondo. Si differenzia dagli Armadillo Eggs, poiché in questa versione non c’è la pancetta che lo avvolge esternamente. Niente rispetto ad una succulenta Ribeye, a due fette di brisket o a un bun ciccioso di pulled pork, direte voi. Provate a chiederlo a Joey Chesnut che detiene il record per averne mangiati ben 118 in soli 10 minuti. Certo, per i griller che amano solo mordere grosse Tomahawk, rimane pur sempre un piatto a base vegetale, ma io ne ho preparato una versione che attirerà pure i più scettici. Nella mia declinazione affumicata al whisky, ho riempito i peperoncini con una crema al formaggio fatta con 444 - BBQ4All MAGAZINE

Cheddar alla birra e semi di senape, li ho aromatizzati col rub e, prima di friggerli, li ho avvolti con una triplice panatura. Risultato? Provate a seguire le mie indicazioni e ditemi voi. Procedimento 1. Lavate e asciugate i peperoncini. Incideteli orizzontalmente sotto il calice ed effettuate un taglio verticale sino all’apice, creando una sorta di finestra. 2. Estraete accuratamente la placenta e i semi. 3. Predisponete il vostro dispositivo per una indiretta a 70°C con una manciata di bricchette e una di chips al whisky e affumicate i vostri jalapeño per un’ora circa, in cottura indiretta. Togliete dal dispositivo e lasciate raffredare. 4. Miscelate con un minipimer il Cheddar con il mascarpone e aggiungete l’olio extravergine di oliva a filo, sino ad ottenere un composto cremoso e fluido. Salate a piacere. 5. Inserite nella crema di formaggio il Tennessee Mild Dry Rub BBQ4ALL

ed emulsionate il tutto. 6. Con l’ausilio di una sac à poche, riempite i vostro jalapeño avendo cura di richiuderli bene. 7. Aggiungete la paprika nel contenitore del pangrattato e mescolate bene. 8. Immergete il vostro peperoncino ripieno nell’uovo precedentemente sbattuto, poi infarinate. 9. Immergete nuovamente nell’uovo e poi passate nel pangrattato. Eseguite questa operazione per due volte. 10.In un pentolino stretto e alto, mettete a scaldare l’olio per friggere e quando avrà raggiunto i 180°C tuffateci dentro i vostri jalapeño panati e ripieni. Fate cuocere sino a doratura e salate a piacere. I vostri meravigliosi jalapeño sono pronti per essere serviti. Se volete gustarli al meglio, non eliminate il peduncolo prima della cottura. Sarà il modo migliore per consumarli come fossero ciliegie.


I N G REDI EN TI

PER CINQUE PERSONE • 10 jalapeño • 100 g di Cheddar cheese • 50 g di mascarpone • 200 g di pane grattugiato • 200 g di semola di grano duro • un litro di olio di arachidi per friggere • 2 uova • un cucchiaio di Tennessee Mild Dry Rub BBQ4ALL • un cucchiaio di paprica dolce • sale q.b • olio extra vergine di oliva q.b.

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I N G RED I EN TI

P E R QUAT T RO P E RS ON E • 1 kg di amarene • 500 g di zucchero • 6 brioche già pronte • burro q.b. • zucchero di canna q.b. • 350g di cioccolato fondente • 500ml di panna fresca

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DULCISINFUNDO - RICETTA di MARIANGELA IBBA

cialde grigliate di

F O R E S TA N E R A “La Foresta Nera” è una torta golosissima di origine tedesca, dove strati di pan di spagna al cioccolato sono intervallati da panna montata e ciliegie fresche. Insomma una vera delizia per gli occhi e una goduria inimmaginabile per il palato. Questo dolce porta lo stesso nome dell’omonima regione montuosa del Sud-Ovest della Germania, ai confini con la Francia. La leggenda narra che nel 1915 il suo creatore Josef Keller, proprietario del café Agner a Bad Godesberg, utilizzò le ciliegie di cui era ricco quel luogo. Inoltre Keller, nell’ideare questo dessert, probabilmente si ispirò alle leccornie della casetta di marzapane nella favola di “Hansel e Gretel” dei Fratelli Grimm. Infatti, in molti sostengono che la Foresta Nera sia lo scenario in cui si svolgevano tutti i loro racconti. So a cosa stai pensando: è impossibile abbinare questo dolce al mondo barbecue. Ma non preoccuparti, qui ti propongo una versione notevolmente semplificata e più rapida di quella tradizionale, che al contempo ne conserva il sapore sublime. A differenza delle altre ricette non affumichiamo la frutta, ma facciamo caramellare lo zucchero di canna sopra ai dischi fatti con le brioches, all’interno del nostro dispositivo a carbone. Una volta ottenute queste golose cialde, verranno farcite con mousse al cioc-

colato e amarene sciroppate. Se hai le amarene fresche in casa, puoi anche sciropparle da solo, altrimenti usa quelle famose già pronte. Non hai già l’acquolina in bocca?

il più sottile possibile. 8. Con un coppapasta, ricavate due cerchi. Ripetete la stessa operazione con le altre brioche. 9. Preparate il dispositivo per una cottura indiretta a 180° C, mezza ciminiera sarà più che sufficiente. 10.Ponete i dischi su una teglia, ricoperta di carta forno, con la parte esterna rivolta verso l’alto. Spennellateli con un velo di burro sciolto e spolverateli con lo zucchero di canna senza esagerare. 11.Ponete la teglia in cottura indiretta, ovvero dalla parte opposta delle braci, per una decina di minuti. Le cialde sono pronte quando lo zucchero si è caramellato. 12.Quando le cialde sono pronte, tirate fuori la teglia dal dispositivo e lasciatele raffreddare completamente. 13.Prendete una cialda con la parte interna rivolta verso l’alto e, con una sac à poche, mettete una generosa dose di mousse al cioccolato e qualche amarena. Sopra mettete un altro disco, la mousse e le amarene. Chiudete con una cialda e colateci lo sciroppo di amarene.

Procedimento 1. Pulite le amarene ed eliminate i peduncoli e il nocciolo. Mescolate e con zucchero e lasciatele riposare una notte. 2. In una pentola versate le amarene ed il loro succo e fatele bollire per una ventina di minuti. 3. Quando i frutti si saranno ammorbiditi, riempite i barattoli di amarene e coprite con il liquido. Chiudete e sterilizzate per 10 minuti. 4. In un pentolino versate metà della panna e su fuoco medio basso riscaldatela senza portarla al bollore. 5. Poco prima che la panna arrivi al bollore, togliete il pentolino dal fuoco e aggiungete poco per volta la cioccolata spezzata grossolanamente, mescolando con una frusta. Terminata questa operazione lasciate raffreddare completamente il composto in frigo. 6. Montate la panna restante ed uni- Il dolce è pronto: potete servirlo con tela con delicatezza alla crema di cioc- ciuffi di panna montata e scaglie di colato. Coprite la mousse ottenuta cioccolato come decorazione. con la pellicola alimentare e riponetela in frigo per almeno mezz’ora. 7. Dividete in due la brioche e con un mattarello spianatela, rendendola

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VINI ABBINATI a cura di ENIO BERTON

È ORA DI

BERE! abbinamenti consigliati

N I VO L A Vino: Cantina: Abbinamento :

Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Frizzante DOC “Nivola” Cleto Chiarli Mini hamburger

Un aperitivo sfizioso richiede un vino sfizioso. Bisogna stare molto attenti a parlare di Lambrusco, vino molto spesso denigrato purtroppo per la brutta abitudine di non salvaguardare le ricchezze enogastronomiche italiane. Le tre principali zone (Sorbara, Grasparossa, Salamino) si distinguono per alcune particolarità che originano vini dalle sfumature completamente diverse. Dalle origini millenarie, che ci portano alle coltivazioni etrusche nella Pianura Padana, il Lambrusco fino a pochi decenni fa era un vino “contadino” che veniva imbottigliato sur lieu (sui propri lieviti), i quali facevano ripartire la fermentazione con lo sbocciare della primavera rendendolo frizzante. Il vino che vi proponiamo appartiene alla zona di Grasparossa, prodotto da una cantina nata nella seconda metà dell’800 a Modena. Nel 1900, all’esposizione internazionale di Parigi, gli viene riconosciuto la “Mention Honorable”, che conferisce onore al Lambrusco nella patria dei vini rossi. Attualmente, l’azienda possiede un centinaio di ettari di terreni dislocati nelle varie zone del Lambrusco. La nuova cantina inaugurata nel 2003, vede alla guida la quarta generazione, con i due fratelli Anselmo e Mauro che continuano quanto iniziato dal loro bisnonno Cleto Chiarli. Il Nivola viene prodotto da uve raccolte agli inizi del mese di ottobre con una macerazione sulle bucce di 48 ore, per poi passare in autoclavi per la rifermentazione con il metodo Charmat. Dalle tonalità rosse intense, il vino presenta una spuma fitta e persistente che solletica il palato; gli aromi sono quelli di frutta fresca a bacca rossa (ribes, ciliegia e mora). I tannini ammorbidiscono il gusto fruttato dando una sensazione di freschezza e pulizia, dal finale persistente. Adattissimo per i mini burger sfiziosi, saporiti e piccantini che vi abbiamo proposto in questo numero. Da servire a 14/16 gradi in calici ad apertura media. Uve: 100% Lambrusco Grasparossa Zone produzione: Comune di Castelvetro. Grado alcolico: 10,50%

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LAGREIN Vino: Cantina: Abbinamento :

Alto Adige Lagrein DOC 2017 Hofstätter Bacon Bomb

Il bacon bomb: una “bomba” di sapori misti che ci impone di trovare un giusto mix di morbidezza e carattere per contrastare le varie note aromatiche. Dall’Alto Adige andiamo a stappare un vino prodotti da uno dei vitigni storici della zona. Le sue origini si fanno risalire a Lagara, colonia della Magna Grecia in corrispondenza dell’attuale Basilicata, dove si produceva un vino chiamato Lagaritanos. Le tracce in Alto Adige risalgono al XIV secolo, anche se in realtà fino al 1525 veniva citato il solo lagrein a bacca bianca. Dalle due tipologie di uve a grappolo corto e a grappolo lungo, si producono vini rosati o rossi. La cantina Hofstätter nata nel 1907 è una realtà che coniuga tradizione ed innovazione. Attualmente guidata con maestria e sapienza dalla quarta generazione da Martin Foradori Hofstätter, l’azienda ha 50 ettari di vigneto dal quale escono le massime espressioni della territorialità sia per i vini bianchi (dal gewürztraminer al pinot bianco) sia per i vini rossi (dal pinot nero, al lagrein fino alla schiava), dei veri e propri “cru” sempre citati nelle etichette delle selezioni. Il vino che proponiamo è un classico, il cui rapporto qualità/prezzo è strepitoso. Prodotto da uve provenienti dai vigneti di Termeno e Ora, viene vinificato sulle bucce a temperatura controllata per circa 10 giorni, continua la maturazione in vasche di acciaio, per poi passare in botti di rovere di Slavonia per 10 mesi ed infine almeno 6 mesi in bottiglia. Dal colore rosso rubino brillante, al naso sprigiona intensi aromi di piccoli frutti di sottobosco con note violacee e di spezie. Al palato risulta robusto, intenso, con tannini aggraziati che rendono il vino morbido e piacevole. In fin di bocca si avvertono note speziati. Da servire a 16/18 gradi in calici ad apertura media. Uve: 100% Lagrein nero Zone produzione: pendici del monte Sella nei comuni di Termeno e Ora. Grado alcolico: 13,00%

A N G H E LU R UJ U Liquore: Cantina: Abbinamento :

Alghero Rosso Liquoroso DOC “Anghelu Ruju” 2005 Sella&Mosca dolce Foresta Nera

Il cioccolato: facile trovare l’abbinamento con un liquore tipo brandy, rum o marsala, ma perché non azzardare con un vino rosso che possa compensare con sapidità e alcolicità la presenza dei tannini del cioccolato e la succulente grassezza del dolce? Provate con un sorso del lagrein suggerito con il bacon bomb e poi ci dite. Per andare sul sicuro, però, scegliamo un vino liquoroso prodotto in Sardegna dalla cantina Sella&Mosca. Fu fondata alla fine del 1800 da due piemontesi che, dopo essersi innamorati della pianura attorno ad Alghero, la bonificarono fino ad ottenere una tenuta di 540 ettari con all’interno le abitazioni dei contadini e la scuola per i loro bambini. Attualmente di proprietà della Campari, ha esteso le sue tenute in Gallura e nel Sulcis. L’Alghero Rosso Liquoroso “Anghelu Ruju” deve il suo nome ad un sito archeologico scoperto nel 1903 all’interno della tenuta. È prodotto da uve Cannonau raccolte nel mese di settembre ed appassite al sole su telai di canne sollevati dal suolo e ricoperte tutte le notti, o nel caso di maltempo, per 15/20 giorni. Dopo la fase di raspatura avviene la fermentazione a temperatura controllata, fino al raggiungimento del residuo zuccherino attorno ai 90 g/l . Nella primavera successiva alla vendemmia, avviene la fase di alcolizzazione per poi proseguire con l’affinamento in botti di rovere per almeno 5 anni. Dal colore rosso granato scuro con riflessi aranciati, al naso le estese note fruttate di more e frutti di bosco lasciano con il tempo lo spazio a sentori di tabacco, cannella e cacao. Al palato risulta pieno, rotondo, avvolgente e complesso, vengono confermate le note fruttate che si accentuano con sentori di affumicazione, lungo fin di bocca. Da servire a 14/16 gradi in bicchieri ampi. Uve: 100% Cannonau. Zone produzione: Alghero .Grado alcolico: 18,50%

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BIRRE CONSIGLIATE a cura di RICCARDO MENICONI

AMERICAN MAGUT

L’hamburger è considerato probabilmente il cibo americano per antonomasia. Con l’avvento dei fast food in Italia è ben presto spopolato ed è entrato a far parte della nostra quotidianità. È stato rielaborato, destrutturato, “italianizzato” ed entrato di diritto anche nei ristoranti più rinomati. Così come l’hamburger, anche la birra subisce trasformazioni e incroci culturali. L’american pale Lager ne è un esempio lampante: a bassa fermentazione, come da tradizione teutonica, ma dalla luppolatura totalmente americana. Questo nuovo stile ancora non trova posto all’interno del BJCP (Beer Judge Certification Program), un manuale americano che stabilisce le linee guida nelle definizioni degli stili. L’American Magut, versione luppolata della Pilsner del birrificio Lambrate (la Magut per l’appunto) è perfetta da abbinare agli hamburger più classici, ma anche a quelli più gourmet. È una birra chiara, dal colore dorato intenso con una schiuma bianca e compatta abbastanza persistente. Al naso, insieme ai classici sentori erbacei, citrici e floreali della luppolatura americana, fa capolino anche un leggera crosta di pane e cereale fresco tipico della bassa fermentazione. Molto coerente al palato con un corpo agile e snello, dai toni amaricanti che uniti all’immensa pulizia fanno sì che la birra sia molto facile da bere e, grazie ai suoi 5 gradi, piacevole anche dopo il secondo bicchiere. Vi consiglio di servirla nella pinta americana ad una temperatura di 6/8° Cheers!

AMOOR

E abbiniamo anche una birra al Bacon Bomb: succosa carne macinata ripiena di formaggio e verdure avvolta da una maglia di delizioso bacon croccante e glassato. Fame eh? Il Bacon Bomb, come suggerisce il nome, è una vera e propria “esplosione” di sapore. In questo episodio ci sposteremo a Bristol, dove troveremo uno dei più importanti birrifici del panorama “craft” mondiale: Moor Beer Co. Sediamoci al bancone ed ordiniamo una magnifica Amoor, porter classica da 4.5% vol, da gustare possibilmente spinata a pompa. Nel bicchiere si presenta di un bel nero con riflessi ramati e con un cappello di schiuma compatta tendente al beige; al naso arrivano note tostate di caffè e cioccolato, in bocca ancora caffè, con un corpo leggero e attacco dolce ma dal finale abbastanza secco e amaro. Queste caratteristiche si legheranno alla nostra “bomba” succulenta ed affumicata, regalandoci un’esperienza di sapori forti sulle note dei Massive Attack. Vi consiglio di servirla ad una temperatura di 8-10°C, in una Pinta Imperiale.

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COCKTAIL a cura di RICCARDO MELICONI

G IN FIZZ Jalapeño fritti: un classico cibo da pub, piccanti e ripieni di formaggio, con una panatura croccante e salata. Spesso li ordiniamo al bancone insieme ad una birra, ma sono fantastici anche abbinati ad un cocktail fresco e aromatico a base di Gin. Il Gin Fizz è eccezionale, dissetante e facile da preparare anche a casa. Sicuramente già lo conoscete: è uno dei cocktail più antichi della storia dei miscelati, capostipite dei Fizz (dei sour allungati con soda). È consigliabile usare un gin molto aromatico, come ad esempio il Monkey 47 dallo spiccato sapore di ginepro e sentori pepati (grazie ai 6 diversi tipi di pepe usati); oppure il G’vine Floraison, particolare gin francese composto da alcol distillato dalla fermentazione dell’uva. Nello shaker spremiamo 3cl di succo di limone filtrato, 1cl di sciroppo di zucchero, 4,5cl di gin e ghiaccio. Shakeriamo e versiamo in un highball colmo di ghiaccio, aggiungiamo la soda e decoriamo con un twist di limone.

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APPROFONDIMENTO a cura di EMILIANO NENCIONI e VIRGILIO BRUNETTI

l'ossessione per la

PATATA P E R F E T TA

Voglio giocare subito a carte scoperte, dichiarare ogni intenzione e mio attuale dubbio: parlare di patate, da quando il Maestro Siffredi è stato protagonista della nota serie di capolavori dell’advertising, è diventato proibitivo. Rischioso. Sentirsi inadeguati è ormai la norma, rischiare di sembrare volgari è la regola. Alla fine, trattare l’argomento dopo che se ne è occupato lui è un po’ come... no, nessuna similitudine sarebbe appropriata. Tutto questo articolo mi costringerà a evoluzioni linguistiche estreme per non risultare involontariamente becero, gretto o banalotto. Ad ogni buon conto, la redazione del BBQ4All Magazine ha due fieri appassionati del tubero biondo: coach Brunetti e coach Nencioni; uno è un fenomenale biologo ricercatore, l’altro... scrive cose per lo più seccanti, ma in passato ha mangiato molte patatine, criticandone aspramente la cottura. Al momento dell’assegnazione di questo articolo, il caporedattore illuminato ha deciso di affidare ad entrambi la patata bollente (appunto), per creare un pezzo a quattro mani. Rigore scientifico, metodologia accademica e, uhm, intermezzi folkloristici tipici delle sitcom anni 90. Ci sono tutte le premesse per un sicuro successo. ALMANACCO 2019

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Da dove viene l’ossessione per il risultato? Dalla storia personale, dall’acqua passata sotto i ponti, dalle tante delusioni. Personalmente detesto, fortissimamente detesto le cose venute maluccio quando con un niente sarebbero potute venir fuori perfette. Divento irritabile, frustrato e polemico. Di più. Le patate fritte in gioventù mi sono state servite in cinque modi diversi: flaccide fuori e leggermente tenaci al centro bruciaticchie, unte e amare completamente intrise d’olio pallide, senza nessuna crosticina e con un leggero retrogusto rancido dorate e croccanti fuori, correttamente salate, morbide e saporite all’interno

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Quelle due volte all’anno che mi capitava nel piatto la quinta tipologia ero solito prendere la patata più lunga e più dorata della mia porzione, avvicinarmi con gli occhi spalancati e pieni di stupore a chi aveva appena 454 - BBQ4All MAGAZINE

fritto e sibilare: “Così. Così me le devi vano in due minuti” o “la tradiziofare. Sempre. Cosa hai fatto di diver- ne” o anche “le cose semplici sono so? Così me le devi fare.” le migliori”, perché stavolta avrete di che indignarvi. O da imparare a fare Immancabilmente arrivava il con- le patate fritte piucchepperfette, se tributo di una zia con le aspettative avrete pazienza e metodo. Passo la molto più basse in termini di perfe- parola a Virgilio. State attenti perché zione in cucina: “Sei il solito noioso, poi sarete interrogati. fattele da solo, alla fine le patatine sono buone sempre, anzi dammene Le patatine con il metodo “triple un altro piatto pieno”. cooked fries” Il metodo della tripla cottura è proIl problema era proprio nella rispo- babilmente l’unico metodo per ottesta alla mia supplica in stile Gollum: nere da zero una patatina fritta per“non ho fatto niente di diverso, le ho fetta: morbida e cremosa all’interno, fritte come sempre”. Ecco qua. Inca- croccantissima all’esterno e mai unta. pacità di saper isolare il cambiamen- Il procedimento parte dalla selezioto, impossibilità di poter replicare la ne delle patate e si completa in tre procedura seguita. passaggi di cottura. Tutta la procedura converge nell’ultimo passaggio Ma ora le cose sono diverse e si sono in olio, controllando alla perfezione fatte serie: c’è il BBQ4All Magazine, tutte le variabili che governano la requi apposta per sviscerare e spiegarvi azione di Maillard: alta temperatura, i metodi più elaborati e folli. Stavolta pH basico, presenza di zuccheri ridupreparatevi, perché per guadagnarsi centi e soprattutto totale assenza di una bella frittura di patate c’è da fa- umidità superficiale. ticare e da affannarsi per ore. Tenete pronte le “nonne che lo face- Come selezionare le patate perfette


per la frittura

conservata a lungo, ricca di amidi e fortemente disidratata. Per selezioIn cucina esiste un metodo scientifi- nare patate con questa caratteristiche co per fare qualsiasi cosa (e BBQ4All dovrete ricorrere a questo semplice da qualche anno ve ne sta fornendo metodo: le prove), persino per scegliere per la patata giusta per la frittura, per il Preparate due soluzioni saline a diffepurè, per gli gnocchi o per le patate al rente densità: forno. Ovviamente la cultivar (la par- La prima a bassa densità: 9% di ticolare varietà di una specie botani- sale (90 grammi di sale disciolti in 1 ca) ha un enorme peso nella selezione kg d’acqua) della patata “giusta”, ma non poten- La seconda ad alta densità: 12% di do scegliere è necessario basarsi sulla sale (120 grammi di sale in 1kg d’acvalutazione dello stato d’idratazione qua) del singolo tubero, misurandone la Le soluzioni, messe in due capienti densità mediante il principio di Ar- contenitori, devono avere volume chimede. Niente quadrati costruiti sufficiente al fine di valutare la spinta sull’ipotenusa stavolta: parliamo solo idrodinamica sulle singole patate. di solidi immersi in un liquido. Le patate che galleggiano nella soLa patata giusta per la frittura deve luzione a bassa densità vanno messe avere un contenuto equilibrato di da parte: sono troppo ricche d’acqua amidi e umidità: questo implica ave- e dovranno essere utilizzate per altri re una densità intermedia tra una scopi. Le patate che affondano nella patata giovane, fresca, ricca d’acqua soluzione a bassa densità vincono la di vegetazione e una patata vecchia, prima selezione, si qualificano come

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idonee e passano allo step successivo. È il momento di testare le candidate superstiti immergendole nella soluzione salina più forte: le patate che affondano anche in questa soluzione vanno scartate perché sono troppo disidratate e ricche di amido, mentre quelle che galleggiano sono quelle con il giusto equilibrio di acqua e amido e quindi perfette per la frittura. Cottura in acqua. Pelate e tagliate in stick con un profilo quadrato di un centimetro le patate qualificatesi come potenzialmente perfette. Adesso è il momento di sbollentare: badate bene, sbollentare, non lessare. Con un termometro a sonda misurate la temperatura al cuore, e raggiunti i 90°C saprete di aver raggiunto una consistenza sufficientemente soda da poter essere maneggiata. Asciugate e raffreddate le patate nel

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modo più veloce possibile. L’alternativa è la cottura in sous vide. Dopo aver tagliato le patate come spiegato precedentemente preparate una soluzione miscelando: 1kg di Acqua 15g di Sale 2.5g di zucchero semolato 2.5g di bicarbonato di sodio

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Questa soluzione vi darà una crosta superficiale incredibile alzando il pH e fornendo una dose di zuccheri riducenti che accelereranno la reazione di Maillard nelle successive fasi di frittura. Imbustate le patate in busta adatta per il sous vide, aggiungete la stessa quantità in peso di salamoia (300 grammi di patate più 300 grammi di soluzione). Sigillate la busta eliminando tutta l’aria possibile e cuocete per 15 minuti a 90°C. Successivamente abbattete o raffreddate il più rapidamente possibile, scartate la salamoia e asciugate le patate; anche in questo caso cercate di non esagerare con la cottura, le patate devono essere cotte ma non devono disfarsi. Prefrittura La prefrittura è necessaria per generare uno strato asciutto e solido sulla superficie delle patatine. Questo strato denominato “protocrust” farà da primer per l’ultima e definitiva cottura in olio. Inoltre, la prefrittura eviterà che l’olio si infiltri in profondità ed eliminerà dalla superficie quasi tutta l’umidità. Le patatine prefritte sono ora stabili sebbene ancora fragili e a questo punto potete interrompere la procedura e surgelarle. Per la prefrittura riempite per metà una pentola grande con olio adatto alla frittura, meglio se con un alto punto di fumo. Riscaldate l’olio fino a 130°C. Utilizzate olio a sufficienza per garantire che la temperatura non scenda troppo non appena si aggiungono le patatine; cuocetene sempre piccole quantità per volta e cercate di mantenerle immerse durante la frittura, aiutandovi con un mestolo forato. È necessario friggere per circa cinque minuti, o fino a quando la superficie inizia ad essere asciutta e soda al tatto. Congelare le patatine fritte Rimuovete le patatine dall’olio e stendetele su una gratella a raffreddare e asciugare. Surgelatele o meglio ancora abbattetele in negativo. Per evitare fenomeni di ossidazione ed imbrunimento, potete confezionare sottovuoto le patatine fritte dopo averle congelate, facendo attenzione a non schiacciarle. A questo punto le patatine possono 456 - BBQ4All MAGAZINE


essere conservate per diversi mesi nel vostro surgelatore: approfittatene. Frittura finale Preparate una pentola con abbondante olio e riscaldate fino a 190°C; prendete le vostre patatine prefritte (anche surgelate) e immergetele in olio per esattamente 1 minuto e 45 secondi. Il risultato sarà sorprendente perché, se avete lavorato bene, la quantità di umidità superficiale sarà molto bassa; per questo motivo vedrete ridursi gradualmente e drasticamente le bollicine che circondano le patatine in frittura, indice che la disidratazione superficiale è completa. Vedrete, per gli stessi motivi, un rapido imbrunimento dal giallo dorato fino al bruno chiaro. Scolate le patatine su carta assorbente per eliminare qualsiasi eccesso di unto e salate a piacimento. Ecco fatto. Virgilio – fedele al suo nome – vi ha guidato nell’Inferno della patata perfetta. Facile no? Anche breve, se vi organizzate bene. Una procedura tutto sommato straight-forward. Ricordate che potrete sempre farvi una scorta di patate prefritte surgelate. Un po’ di balletto fra i fornelli è la tassa necessaria per poter avere a che fare con le patate più gratificanti che possano capitarvi. Qualcuno alle scuole medie mi disse che usando un sacchetto di carta marrone (quello del pane) a mo’ di shaker, scuotendo vigorosamente patatine e sale, più una piccolissima quantità di pepe, si poteva avere un gusto “proprio proprio da fast food”. Non so se sia effettivamente vero o se abbia il minimo senso, ma è un rito che mi piace seguire per perdermi un po’ nei ricordi, mentre ne prendo “anche tre alla volta” (cit.).

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THE CHEMICAL GRILLERS - RUBRICA a cura di VIRGILIO BRUNETTI

brining

chapter two variazioni sul tema

Il cloruro di sodio è la base di ogni salamoia ma, in alcune applicazioni, l’uso combinato di altri sali, quali cloruro di calcio e fosfati, può rafforzare l’efficacia della soluzione. Ricapitolando, sappiamo che la salamoia ha lo scopo di intenerire denaturando le proteine della carne oltre a incrementare la succulenza e la sapidità. Inoltre, va sottolineato che, sebbene lo ione sodio (Na+ ) sia il maggiore responsabile della sapidità della carne perché agisce sui 458 - BBQ4All MAGAZINE

chemiocettori del gusto salato, è il cloruro (Cl- ) lo ione efficace nel processo di denaturazione a carico delle proteine della carne. Il cloruro di calcio agisce con maggiore efficacia rispetto al comune sale da cucina, perché ogni molecola di cloruro di calcio (CaCl2 ) in acqua dissocia il doppio degli ioni cloruro. C’è poi un altro potenziale beneficio rispetto al


sale da cucina: lo ione calcio (Ca++ ) è un importante cofattore per l’attivazione delle proteasi proprie del tessuto muscolare. Di fatto il calcio attiva le proteasi calcio-dipendenti quali le calpaine (ne avete probabilmente sentito parlare a proposito di Revit). Sono enzimi capaci di tagliare con efficacia le proteine muscolari. Il vantaggio di attivare le calpaine presenti nella carne mediante tecniche di brining è una strategia piuttosto interessante, soprattutto se abbinata a metodiche di frollatura di tipo wet. L’uso del cloruro di calcio non può essere sostitutivo, perché questo sale ha un sapore amaro e metallico, quindi deve essere utilizzato sempre in combinazione col cloruro di sodio. La dose minima efficace verificata sperimentalmente è 0,03%, affinché il sapore di questo sale non impatti negativamente sul cibo.

Di fatto, un uso corretto dei polifosfati azzera le perdite di succhi soprattutto nelle fasi di taglio. Quando si lavora con i polifosfati è buona norma dissolverli prima in piccola quantità a temperatura ambiente per evitare fenomeni di polimerizzazione e cristallizzazione, e per evitare quindi che diventino inefficaci ed insolubili. Devono essere aggiunti gradualmente alla soluzione salina. Possono essere combinati con esaltatori di sapidità e con conservanti, in particolare con i nitriti, ma l’aggiunta di questi ultimi deve essere sempre successiva a quella di tutti gli altri componenti della salamoia. L’uso dei polifosfati deve essere sempre contestualizzato; è intuitivo che non abbia senso trattare tutte le carni con una salamoia ai polifosfati (o iniettare preparati a base di polifosfati) se si applicano tecniche di cottura corrette su prodotti di elevata qualità. Sebbene possano costituire una manovra correttiva su punte di petto di media qualità, non sono risolutivi su tagli magri e poco frollati, dove non c’è speranza di successo.

I fosfati o meglio i polifosfati sono una classe di Sali molto diversa e hanno applicazioni industriali importanti, sia in campo chimico che in quello alimentare. Sono classificati come addensanti emulsionati e stabilizzanti. Negli alimenti sono identificati con la sigla che va da E400 a Sono invece estremamente utili su preparazioni di pastraE495. mi, fesa di tacchino affumicata, canadian bacon, prosciutto cotto classico, prosciutto di Praga e tutte le preparazioMolti griller esperti conoscono benissimo questi compo- ni che necessitano di salamoia a base di nitrito di sodio e sti, perché essi sono i maggiori trick del barbecue compe- cotture lunghe a bassa temperatura. titivo, spesso particolarmente utilizzati nella preparazione di miscele da injection. Una nota salutistica: va ricordato che nel corpo umano il metabolismo del calcio è strettamente legato a quello Qual è il loro effetto? Avete presente la differenza tra il del fosforo, quindi una dieta troppo ricca di polifosfati prosciutto cotto senza polifosfati che ha la consistenza sottrae calcio all’organismo, poiché la concentrazione tra della segatura e quello con polifosfati che invece è umido, i due elementi non viene rispettata. Le categorie più senmorbido e consistente? Ecco! Avete capito, no? sibili ovviamente sono bambini in crescita e le donne con tendenza all’osteoporosi. Ricordate, inoltre, che gli aliTecnicamente i polifosfati: menti venduti come privi di polifosfati spesso contengo1. hanno un spiccato effetto denaturante a carico della no una quantità di polisfosfati non rilevabile (polifosfati miosina quindi modificano la texture della carne; ciechi), i quali per legge possono non essere dichiarati in 2. aumentano la succosità generando un’efficace emul- etichetta: a buon intenditor poche parole. sione tra acqua e grassi, per cui i succhi della carne hanno una maggiore densità e vengono trattenuti meglio all’in- Nel prossimo capitolo discuteremo sull’uso degli edulcoterno della texture. ranti, sulle proprietà delle spezie e sugli esaltatori di sapidità; inizieremo a comprendere qual è la linea sottile che Per le salamoie hanno particolare utilità e rilevanza il divide una salamoia da una marinata. sodio trifosfato e il sodio esametafosfato. In genere, questi due sali sono mescolati insieme in un rapporto di 10:1. Aggiunti in concentrazioni pari ed inferiori allo 0,3% hanno un effetto importante sulla texture della carne; a concentrazioni molto basse, tra 0,02-00,5%, hanno già effetti importanti sulla ritenzione di acqua anche dopo lunghe cotture. ALMANACCO 2019

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RUBRICA a cura della BBQ4ALL UNIVERSITY

#CHIEDIALCOACH ALESSANDRO CARLINI chiede: vedo spesso che si consiglia, quando la carne tolta dal sottovuoto emana cattivo odore, di sciacquarla o di far prendere aria. A causa di datori di lavoro un po’ maniaci dovetti fare due corsi specifici su cotture e conservazione in sottovuoto. In entrambi i corsi ci fu detto che l’esame olfattivo è quello che determina se il processo di putrefazione è già stato innescato e che sciacquare o far prendere aria sono solo una “urban legend”. A queste affermazioni non è stata data una spiegazione dettagliata. Diciamo che l’esperienza mi ha confermato questa tesi, specialmente con carni che poi vengono cotte al sangue però la mancanza di una spiegazione scientifica ovviamente mi lascia con il dubbio. Non si sa mai, potrebbe essere un argomento interessante per chi utilizza il sottovuoto in ambito casalingo e magari trascura l’importanza delle varie fasi, dal confezionamento alla conservazione. 460 - BBQ4All MAGAZINE

Risponde il Coach VIRGILIO BRUNETTI: Una delle tecniche più utilizzate, specialmente per i tagli di carne di grossa pezzatura, è proprio il confezionamento sotto vuoto. L’accurata chiusura permette di far sviluppare all’interno della confezione un’atmosfera con CO>25% e O2<1%. Tutto ciò porta all’inibizione della crescita di Pseudomonas (batteri ambientali responsabili di pericolosi processi putrefattivi), mentre sono favoriti i lattobacilli e gli enterobatteri. L’attività antimicrobica dei lattobacilli abbinata alla bassa temperatura e al pH permettono un’estensione della shelf-life della carne confezionata sottovuoto. La piccola quantità di O2, che residua nella confezione, viene consumata dai batteri in pochi giorni. In tali condizioni, il pigmento predominante è la mioglobina in forma ridotta. L’odore tipico di maturo eè abbastanza normale su carni di manzo sottoposte a Wet Ageing. Non trascurabile è anche il contri-


buto dell’aroma del grasso, che può risultare amplificato soprattutto nelle carni di bovino adulto. Sia in ambito professionale che casalingo i fattori predominanti nell’attribuzione del livello di qualità di un alimento da parte del consumatore sono sicuramente odore e colore. Quando abbiamo a che fare con della carne sottovuoto conservata ma, l’apertura dell’involucro può generare sul consumatore un impatto olfattivo estremamente negativo. Gli odori di marcio e rancido sul nostro olfatto innescano i nostri sistemi naturali di allerta, infatti il sistema nervoso interpreta come dannoso un alimento con un odore sgradevole; si genera una naturale sensazione di disgusto che dal punto di vista scientifico non viene solamente considerata una sensazione, ma anche una reazione istintiva. Quest’ultima si manifesta in maniera immediata in presenza di determinati odori, sapori e visioni e comporta il desiderio di allontanarsi da essi. Gli organi di senso associati al gusto e all’olfatto sono caratterizzati da sensori chimici, i chemiocettori, i quali trasformano un messaggero chimico in un impulso elettrico che viene integrato a livello del sistema nervoso e che può reagire anche violentemente, generando reazioni come nausea e malessere. Una carne conservata lungamente in un ambiente privo di ossigeno non è scevra da modificazioni biochimiche di origine microbica, che vanno ad influire in maniera determinante sull’odore ma anche sul colore della carne. Esso è correlato strettamente alla mioglobina, il pigmento respiratorio del tessuto muscolare. La mioglobina è una proteina formata da un gruppo eme legata ad una proteina globulare. Il gruppo eme è formato da un anello porfirinico con un atomo centrale di Fe (ferro), con sei punti di legame. Il colore della mioglobina dipende da almeno tre fattori: 1. lo stato di ossidazione del Fe; 2. il gruppo al sesto punto di legame del Fe; 3. lo stato della globina: nativa o denaturata. In alcuni casi, sugli alimenti carnei, anche conservati in sottovuoto, possono intervenire fenomeni di discolorazione batterica dovuti ad un’eccessiva carica batterica iniziale, che per quanto riguarda i lattobacilli è generalmente innocua e tollerabile. Si può avere così un ulteriore meccanismo basato sulla competizione per l’ossigeno, responsabile della colorazione della mioglobina. Alcuni batteri infatti producono sostanze che ossidano il Fe; le più comuni sono H2S (idrogeno solforato) e H2O 2 (acqua ossigenata), che reagiscono con la mioglobina per dare solfomioglobina e coleglobina. L’H2S dà discolora-

zione verde sulle carni confezionate sotto vuoto, all’apertura la solfomioglobina si trasforma in ossisolfomioglobina, di colore rosso. Ma l’odore di uova marce permane. Anche la coleglobina può dare colorazioni verdastre, ma è tipica dei prodotti sottoposti a salagione. In definitiva l’odore, il colore e la presenza di slime (sostanza viscida dovuta all’azione proteolitica di alcuni batteri) indicano sicuramente che la carne ha subito problematiche importanti dovute al confezionamento e all’interruzione della catena del freddo. Particolare attenzione va posta alla permanenza dell’odore di decomposto nonostante un eventuale miglioramento del colore. Anche un lavaggio in questo caso non va a salvare il prodotto e l’odore permane anche nelle successive fasi di cottura. A livello casalingo sconsiglio vivamente l’utilizzo del sottovuoto allo scopo di conservare ulteriormente la carne per lunghi periodi a +4°C, mentre risulta una procedura assolutamente utile ed interessante per il congelamento e la surgelazione (qualora abbiamo a disposizione un abbattitore). Quindi, ricapitolando e per dare una risposta definitiva: il lavaggio è utile per togliere quell’odore tipico e normale della carne sottovuoto, che comunque va via senza lasciare traccia. Se l’odore resiste è un indice abbastanza certo di una contaminazione e di decomposizione. Il colore vira ma l’odore permane. Un altro elemento che lascia pochi spazi ai dubbi è la presenza di slime, che è una sostanza viscida e maleodorante. Se dopo il lavaggio dunque si ha permanenza di odore di decomposto, si ha la certezza che il prodotto si è alterato irrimediabilmente. In ogni caso, in generale, se la confezione è integra e la catena del freddo garantita, basta asciugare con carta e areare. Per questo motivo vi sconsiglio di conservare la carne del nostro Megastore per più di tre o quattro giorni in frigorifero, molto meglio tenerla in freezer, poiché il frigo non garantisce una temperatura stabile (specie se viene aperto di continuo dai vostri familiari), a meno che non disponiate di un elettrodomestico di ultima generazione con cassetto dedicato alla conservazione di carne e pesce. Il lavaggio con acqua, tuttavia, non deve essere fatto sistematicamente, specie sul manzo wet aged, poiché i problemi insorgono esclusivamente con il maiale e con il pollo.

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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI

SEGUO

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“Stai sbagliando, ciò che dici non avverrà per i motivi che ti ho illustrato e dimostrato poco fa” “Ah, è arrivato il professorone! Siamo tornati a scuola e mi correggi? Non pensavo questo fosse un posto per professori, credevo fosse un gruppo di appassionati!” “hahaha tutti professoroni qua dentro!”

Da quando dare del “professore” alle persone è diventato offensivo? Precisamente quando è successo che, per sfogarsi per la frustrazione che le competenze altrui portano sui loro insuccessi, certuni hanno iniziato ad apostrofare gli altri con “professore”? Ricordo bene un tempo in cui non era così, ed essere professore o maestro era un motivo di vanto. Nel 1850 nasce a Mosca una bambina, Sofia, con uno spiccato e immenso talento per la matematica e la scrittura: la storia della sua formazione è paragonabile alle classiche “origini” di un supereroe dei fumetti, o alla sceneggiatura del primo film dell’immancabile trilogia. Cresciuta in una famiglia conservatrice e capitata in una Russia decisamente misogina (cosa comune un po’ in tutto il mondo, al tempo), passò l’infanzia nella sua cameretta che, per un errore nella consegna della carta da parati, fu tappezzata di fogli di carta comune su cui erano stampate le conferenze sul calcolo differenziale del prof. Ostrogradskj (personaggio realmente esistito, non ho dato una gomitata alla tastiera). Il suo primo insegnante affermò sbigottito che ogni cosa cercasse di insegnarle risultava già precedentemente appresa dalla piccola, come se avesse in qualche modo introiettato i calcoli presenti sulla sua tappezzeria improvvisata. Per la curiosità di finire di leggere il capitolo ALMANACCO 2019

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di ottica di un libro di fisica, Sofia imparò da autodidatta generale (vi risparmio la pappardella sulle derivate parziala trigonometria, ad un’età in cui le bambine imparavano li, ma se volete potete mettere al lavoro il fido Google, è a fare i fiorellini ricamati in punto croce. interessante). Talento e genialità non bastavano però per accedere all’università, preclusa alle donne in Russia. L’unica soluzione era emigrare e studiare all’estero, ma ancora una volta c’era un problema da risolvere: solo alle donne sposate era consentito viaggiare. Fu qui che Sofia prese il nome di Kovalewskaja, sposando in un matrimonio bianco (di concordata convenienza) Vladimir Kovalevskij, anch’egli in procinto di partire per i propri studi di paleontologia. Le “origini” del supereroe Sofia includono, tra le altre cose, anche l’aver partecipato alla rocambolesca evasione dal carcere parigino del cognato, al fresco in quanto attivista politico inviso al governo francese di parrucconi incipriati. Già così ci sarebbe più materiale, e più originalità, rispetto al morso di un ragno o all’iniezione col siero del supersoldato, ma non basta. Sofia all’università di Berlino finì sotto l’ala protettrice - e stimolante - di Karl Weierstraß, nome che avrà scatenato, in alcuni lettori, fragranti ricordi di biennio universitario, funzioni abeliane e serie convergenti. Il professore tedesco, senza dubbio il matematico più attivo e importante del mondo di allora, le dava lezioni private e le fece conseguire ben quattro dottorati di ricerca, portandola a dimostrare il teorema di Cauchy nel caso

Sofia diventò la prima donna al mondo con un dottorato in matematica. Questi risultati impressionanti non spostarono di una virgola le decisioni dei baroni universitari russi: una donna non avrebbe potuto insegnare in nessuna università. Nessuna eccezione, neanche per quel teoremino dimostrato, neanche per l’incredibile talento letterario, neanche per la laurea con lode sotto Karl Weierstraß. “Quei professoroni!”, sbottano gli indignati sui social italiani. Francamente mi sembra un fenomeno tutto italiano. Sembra, pensandoci bene, un certo meccanismo di raccolta di consensi tipico della politica, un discorso nel quale non mi voglio minimamente addentrare. L’iter è più o meno sempre il solito: qualcuno scrive una cosa grossolana o, nel nostro caso gastronomico, una ricetta o un procedimento un po’ troppo empirico, basato su tradizioni o sulla fantomatica “nonna che era brava” e prontamente arriva l’immancabile precisino a rimarcare le pecche, a suggerire accorgimenti, a parlare di chimica organica, di catepsine, di collagene, di termocoppie da infilzare qui e là. A quel punto inizia subito la controffensiva. Nei casi più gravi si dà inizio alla prodigiosa danza del “mancare di rispetto”, rituale sociale di cui ho parlato approfonditamente sullo scorso numero, altrimenti si parte con la mini opera demagogica. Il trucco è quello di racimolare velocemente consensi, facendo cadere in inferiorità numerica schiacciante l’avversario: “ah, non pensavo di essere di nuovo a scuola!” Agli occhi della gente il malcapitato precisetto è già passato dalla parte sbagliata della barricata, posizionandosi nella categoria più temuta dai bulletti aggressivi dei social: l’insegnante, il maestro, il professore, ma soprattutto quella figura che nella loro memoria di branco rivestiva il ruolo sadico di autorità che si ostinava a volerli interrogare quando erano impreparati (sempre), che si permetteva di sottolineare in pubblico, davanti alla classe, gli errori e le nefandezze grammaticali o matematiche compiute. È ovvio, è automatico che la massa si schieri immediatamente compatta ad osteggiare l’incarnazione delle loro paure più radicate: “Sì sì, qui tutti professori! Ma fatevi una risata!” Di solito per loro è il momento buono per scrivere

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“ahahaha”, e più sono le ripetizioni di “ah” più vuol essere arrogante e piena di sdegno la risata: credo sia un po’ come se, nella loro mente, recitassero la battuta che avrebbero nel copione se fossero i protagonisti di un film d’azione, di quelli con le punchline tipo “Commando”. Il precisino ficcanaso si è a questo punto già pentito della sua entrata a gamba tesa, ma ritirarsi senza combattere sarebbe disonorevole, e in queste occasioni siamo stranamente portati a pensare che qualcuno tenga il conto della street credibility di ognuno dopo ogni diverbio. Arriva quindi una reazione, in un’escalation di parole iperboliche, concetti ellittici e svolgimenti parabolici. Dare a qualcuno del “professore” diventa quindi una tattica utilissima, perché tremendamente efficace in termini di mind positioning. Puoi trovarlo in ogni manuale di copywriting: mettiti dallo loro parte, sfrutta le paure, fai leva sul dolore: e cosa c’è di peggio di un’interrogazione? Quante volte abbiamo sognato di dover ripetere l’esame di maturità (o di terza media) o di dover essere interrogati a filosofia (da scalare con “tabellina del sette” a seconda della scolarizzazione)? Lo studio è il Male, il corpo docente ne è l’emissario. Questa è la leva dei gradassi sui social, ma anche fuori dai social. E funziona bene in maniera preoccupante. Insomma, giunti al livello massimo di entropia del qualunquismo va a finire che dalla parte del torto è colui che fa la correzione, non colui che sbaglia. Viene fuori che il comportamento socialmente accettabile è quello di chiudere un occhio, lasciar correre, permettere che passi un’informazione sbagliata. Correggere è offensivo.

quale si era innamorata a un certo punto - e in famiglia facevano confusione a chiamarsi: questi matematici, così distratti!), riesce finalmente a ottenere una cattedra all’università di Stoccolma: prima donna al mondo professorona di matematica.

Una decina di anni dopo Sofia/Sonia muore di polmonite a 41 anni, probabilmente conseguenza del suo trasferimento nella non tiepidissima Stoccolma, unica via di avere la cattedra che aveva inseguito per tutta la sua vita. Non sono sicuro, ma credo che si configuri anche una pa- Rimarrà nota, ancor più che per i risultati raggiunlese mancanza di rispetto (uuuh, sia mai!). ti durante la laurea con Weierstraß, per “la trottola di “Aaah ma quelli sono tutti invidiosi, dai retta a me, non ti Kowalewskij”, la risoluzione di un problema di fisica lecurar di loro ma guarda e passa!” gato alla rotazione di un solido complesso, ottenuta ap“*ragioniam” plicando teorie di matematica pura fino a risolvere appli“che vuoi?” cazioni importanti di fisica “concreta”. “la citazione giusta è non ragioniam di loro etc etc” “EEEH VABBE’ che pesante sei, E’ UGUALE” Vincerà con questo il Premio Bordin nel 1888, lasciando “Fammi indovinare, dovrei farmi una risata ogni tanto ben visibile nel testo il motto di tutta la sua vita: vero?” “Stavo per scriverlo... ma come...” “Esperienza, caro lei.”

Say what you know, do what you must, come what may.

E’ emigrando in Svezia, dopo la morte suicida del marito finito in bancarotta, che Sofia, cambiato nome in Sonia Kowalewskij (perchè aveva chiamato Sofia anche la figlia - avuta dal marito, quello del matrimonio bianco, della

Dì quel che sai, fa’ quel che devi, venga quel che può. ALMANACCO 2019

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MAGAZINE ALMANACCO

2019 volume 2


D I R E T TO R E E D I TO R I A LE

Rossella Neiadin

R E D AT T O R E C A P O

Michela Bongiorni REDAZIONE

Enio Berton, Giovanni Bolzonella Virgilio Brunetti, Michele Chipa, Roberto Dal Bosco, Tommaso Di Gregorio, Salvatore Di Mento, Luca Gallozza, Mariangela Ibba, Gianfranco Lo Cascio, Alessandro Morichetti, Riccardo Meniconi, Emiliano Nencioni, Andrea Spaggiari, Alessandro Trezzi, Carlo Trono, Paolo Tucci REALIZZAZIONE GRAFICA

Carlo Trono S TA M P A

Graphic Master s.r.l. - Perugia magazine@bbq4all.it instagram.com/bbq4allmagazine/ ©2019 BBQ4All è un marchio BBQ4All Consulting s.r.l. BBQ4All Magazine è un prodotto in concessione a ©2019 NetAddiction s.r.l. Tutti i loghi e marchi riportati, gli elementi grafici, le immagini e i materiali presenti nella presente pubblicazione sono soggetti alle norme vigenti sul diritto d’autore; è quindi severamente vietato riprodurre anche parzialmente ogni elemento delle pagine in questione. Nomi, marchi registrati e loghi eventualmente presenti su questa pubblicazione non possono essere utilizzati per alcuna forma di pubblicità o diversamente per indicare sponsorizzazione, patrocinio o affiliazione a prodotti o servizi senza previa autorizzazione scritta da parte della società che ne detiene i diritti. Tutto il restante materiale fotografico pubblicato è stato realizzato da BBQ4All e/o acquistato e/o licenziato allo stesso, con trasferimento dei diritti di utilizzazione economica salvo le immagini utilizzabili con licenza Creative Commons o GNU Free Documents Attribution. BBQ4All ha osservato le più ampie tutele affinchè non venisse violato il diritto d’autore altrui.


MAGAZINE

N°7/ANNO 1 - LUGLIO 2019

L ’ E D ITOR IA LE DI G IA NFR A N CO LO CAS CIO

T U T TO Q U E L LO CHE SAPE T E S U L WAGYU È S BAG L I ATO P E R G LI IR R I DUCIBILI DEL LA CICCIA

I L PI T B E E F

BBQ

SPEC IALE FISH

SAPO R E D I SA LE , SA POR E D I MAR E , SA PO RE DI…


2 - BBQ4All MAGAZINE


INDICE LUGLIO 2019 - NUMERO 7 ANNO 1

RUBRICHE

0 5 . L ' E D I TO R I A LE

Wagyu Day: cosa abbiamo imparato sulla carne più pregiata al mondo 1 0 . N I C E T O M E AT Y O U

Kobe Desramaults 16. WINE CLASS

Il gusto del vino è un gran bel casino 2 0 . D I S POS I T I V I E ACC E SS O R I

IL planking

23. PER INIZIARE

GRIGLIARE IL PESCE

RICETTE

S P EC I A LE P E SC E

26. Vol au vent con guacamole e gamberoni grigliati 28. FiSH BURGER

30. Cous Cous con brodo di pesce e scampi grigliati

34. Calamari grigliati in insalata di grano al pesto sfizioso 36. Moules Frites

38. Orata affumicata su piastra di sale fai da te 40. Polpo e patate 44. INSALATA

48. sorbetti allo yogurt con melone bruciato 5 0 . S P EC I A LE P E SC E

COME SFILETTARE IL PESCE 54. ABBINAMENTI

vino - birre- cocktail

58. THE CHEMICAL GRILLERS (terza parte)

Brining

6 2 . DA L M E G ASTO R E A L LA B RAC E

il pit beef

6 8 . D O YO U S P E A K B B Q e

lettera G H 70.

SEGUO

Io nel pensier mi fingo ALMANACCO 2019

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EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO

WAGYU DAY:

cosa abbiamo imparato sulla carne più pregiata al mondo “Incontro con il selezionatore di Wagyu Onishi San, della Ginkakuji Onishi ”

Sono un nazionalista come voi, e sono quasi sicuro che ognuno dei lettori del BBQ4All Magazine venga investito da una sana vampata di orgoglio quando vede il proprio Parmigiano esportato in tutto il mondo, il proprio vino venduto ad ogni latitudine. Io sono dell’idea che quello stesso orgoglio dovremmo provarlo quando il nostro Paese riesce ad accogliere un prodotto che ha caratteristiche impressionanti, che nasce dallo studio e dall’amore di chi lo produce, praticamente dalla stessa energia deflagrante che proiettiamo sul nostro, di cibo. Oggi è una giornata molto importante perché siamo tra i primi ad intervistare Onishi San, il cuore pulsante dell’allevamento del Wagyu della prefettura di Kyoto. Parliamo di una razza che ha delle caratteristiche incredibili, la sua particolarità è quella di avere all’interno una quantità di grassi monoinsaturi come l’acido oleico, che è seconda solo a quella contenuta nell’olio extravergine di oliva. Tutto questo è dato da uno studio del prodotto. È dato da una grande determinazione nel perseguire un preciso risultato ed è quello che Wagyu Company oggi è riuscito a strappare dalle braccia dei signori del Giappone, rendendolo disponibile per ognuno di voi oggi. Imparerete che cosa è il Wagyu giapponese della prefettura di Kyoto e capirete perché è un prodotto straordinario e perché si sottrae ad ogni

paragone formulabile con tutto il resto della carne che conoscete. Ci sono delle differenze sostanziali tra la cottura del manzo e la cottura del Wagyu: la seconda va eseguita in armonia con la sua cultura e la sua origine, le fettine di carne devono essere tagliate sottilmente, poiché è cruciale che si sciolgano letteralmente in bocca, non vanno masticate più di tanto. Non andiamo alla ricerca di una cauterizzazione estrema ma ci limitiamo a servire la carne ad una temperatura gradevole. Il mio consiglio è quella di gustarla nella maniera più pura possibile, con un pizzichino di sale o appena pucciato nella salsa di soia migliore che riuscite a trovare (non quella da battaglia per capirci). Il Wagyu degustato nella maniera corretta è letteralmente un proiettile che ti esplode in bocca: impressionante. Lorenzo Ferraboschi assieme a Maiko Takashima è il fondatore di Wagyu Company, una società che si è impegnata e si impegna nell’andare a collegare, scovare pepite come quella dell’azienda di Onishi e portarle con grande fierezza in Italia. La collaborazione tra Wagyu company e BBQ4All nasce da un lavoro in sinergia che vi sarà sicuramente più chiaro a fine articolo. Lascio la parola ad Onishi San, fate tesoro di ciò che leggerete. ALMANACCO 2019

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Alcuni di voi conosceranno Kyoto come destinazione turistica, ma prima la mia città era celebre in quanto capitale del Giappone fino all’epoca Edo, circa 400 anni fa. Oltre ad essere stata la città più importante del Paese, è anche storicamente la regione dove si consuma più carne, da sempre. Se è vero che in Giappone si mangia tanto, tantissimo pesce, noi a Kyoto siamo da generazioni molto legati all’allevamento dei bovini di razza Kuroge. Ho la fortuna di conoscere persone straordinarie, come l’erede più giovane dell’allevamento più antico di Kyoto, lo stesso allevamento dal quale noi prendiamo la carne. Rispetto alla Kobe o alla Wagyu persistono tante incomprensioni. Sono certo che tantissimi di voi avranno sentito parlare spesso della carne Kobe e forse meno della parola Wagyu. Esistono tantissimi brand, uno di questi è appunto Kobe, ma il prodotto in sé, la materia prima rimane comunque il Wagyu. Ultimamente, questo prodotto viene associato alla denominazione “Kagoshima” che è un porto di uscita nel sud del Giappone, un hub che ha ottenuto l’okay dall’Europa per poter importare ed esportare. Possiede la certificazione HCCP corretta per gli standard europei. Tra i principali Premium Wagyu che vengono esportati e prondotti in Giappone trovate la Kobe, trovate la Miyabi e tante altre regioni che sviluppano le proprie razze di Wagyu.

Io arrivo da qui, dove c’è la macchiolina rossa: è la prefettura di Kyoto.

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EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO La qualità senza pari del Wagyu si ottiene tramite il DNA puro, l’allevamento in Giappone e la lavorazione in loco.

Siamo una società che è cresciuta rapidamente nel Ma perché questa carne è così morbida? La razza è tempo, fortunatamente abbiamo la possibilità di senz’altro importante, ma cosa la rende così tenera e trattare e selezionare Wagyu dal Nord, da Hokkaido, succosa? l’isola più grande del Giappone, fino al sud, a Kyushu. Conosciamo in maniera approfondita tutte le razze, i fornitori, gli allevatori presenti sul territorio, perché la nostra struttura non solo alleva Wagyu ma fa anche commercializzazione di carni in Giappone. Questa volta sono qua per parlarvi del nostro prodotto di punta, il migliore di quelli che conosciamo. Il capo di Wagyu Kyoto Miyabi allevato dalla ragazza di cui vi ho parlato prima è un animale che ha vinto una di quelle competizioni che si fanno molto spesso in Giappone. Questa allevatrice riceve periodicamente tanti riconoscimenti, sono già diversi anni che raggiunge il primo premio alle Wagyu Olympics, le olimpiadi del Wagyu, arrivando sopra ai brand famosi e blasonati che tradizionalmente vincono più premi. La crescita ed i fattori ambientali sono importantissimi, sono banditi gli allevamenti La parola Wagyu è composta da wa, che significa intensivi, gli animali crescono un ambiente Giappone e gyu, che significa manzo. naturale, comodo e sereno. Ci sono in realtà quattro tipologie di bovino Il bestiame vive in stalle ampie su un letto morbido all’interno del mondo del Wagyu, il 90% però di trucioli, che viene cambiato ogni giorno, sempre appartiene alla razza chiamata Kuroge, “pelo nero”.

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EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO soffice, pulito e profumato. In tutti gli ambienti c’è questo aroma di legno di cipresso e cedro che piace molto agli animali, che crescono in maniera sana e tranquilla, in un ambiente davvero confortevole. Inoltre i capi non vengono mai separati tra loro, questo significa che i bovini crescono accanto ai propri fratelli, nella stessa stalla, sempre a contatto con i propri “familiari”, poiché strapparli dai propri consanguinei provocherebbe stress e agitazione. Ma passiamo all’alimentazione, altra variabile da prendere in considerazione. Il tipo di mineralità dell’acqua è importante, così come la temperatura: in estate viene raffreddata leggermente, d’inverno viene intiepidita per renderla più piacevole da bere. Oltre a dove stanno, come dormono, con chi stanno, cosa bevono, è importante cosa gli animali mangiano. L’erba timotea è un alimento che viene somministrato da pochi allevatori perché molto costosa. Quest’erba ha un effetto particolarissimo sullo stomaco dell’animale, cioè ne rinforza le pareti. Questo gli permette di non provare dolore durante la crescita, un elemento che potrebbe generare malessere. Tutti questi accorgimenti messi insieme sono focalizzate a ridurre lo stress. La tensione è l’elemento che provoca la durezza nella carne, minore stress c’è, maggiore sarà la tenerezza dei muscoli. La leggenda vuole che i capi di razza Wagyu vengano massaggiati, che bevano birra e ascoltino musica classica. È una cosa che mi fa sorridere, ma non escludo che qualche allevatore lo sperimenti per raggiungere l’unico obiettivo: eliminare qualsiasi fonte di malessere dalla nascita al momento della macellazione del bestiame. La macellazione avviene attraverso delle fasi precise: il metodo più diffuso è quello di portare il gruppo di animali in una sala dove vengono lavati, preparati e poi fatti svenire con una pistola ad aria compressa. Una volta svenuti vengono macellati, in una condizione di totale incoscienza. Quella sala è un posto che gli animali conoscono molto bene, iniziano un mese prima a fare un ciclo di docce proprio lì, perché in questo modo familiarizzano con l’ambiente e si sentono a casa. Sanno che in quella stanza fanno la doccia tutti i giorni, c’è una sorta di processo di insegnamento per evitare che il trasferimento in un luogo sconosciuto possa provocare agitazione e paura. Quello che nel mondo viene genericamente indicato con la parola “grasso” non è quella parte bianca che troviamo all’interno della carne. Il “grasso” per noi giapponesi è la parte esterna, quella che ricopre 8 - BBQ4All MAGAZINE

il muscolo. Il tessuto infiltrato, che determina la marmorizzazione del pezzo, prende il nome di

“shimofuri”, che significa “brina”. Più c’è “brina”, più c’è marezzatura, più c’è qualità. Chi ha già acquistato Wagyu in passato, chi ha letto dei menu a base di Wagyu, avrà senz’altro notato delle sigle composte da lettere e numeri. Si tratta di un indice con due parametri, rispettivamente indicato con le lettere A, B o C e un numero che va dall’uno al cinque. Per poter interpretare questi codici bisogna sapere due cose : il primo parametro, la lettera, indica quanto è spesso lo strato di grasso esterno ; “C” avrà tanto grasso sopra e costerà meno, “A” avrà poco grasso sopra e costerà di più. Il secondo parametro è il grado di shimofuri, quanta “brina” c’è all’interno delle fibre a prescindere da quanto sia presente lo strato di grasso esterno. Il BMS (Beef Marble Score) è un altro tipo di indice, il quattro è raro, il cinque è rarissimo. Una regola che possiamo vantare è che il nostro Wagyu diventa Kyoto Beef Miyabi solo quando l’animale ha un indice BMS di quattro o cinque, quindi parliamo solo di carne ottima o eccellente.


EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO Normalmente gli animali vengono allevati per un periodo che va dai 25 ai 29 mesi, ci sono allevamenti più massivi che macellano gli animali a 22 mesi. A Kyoto l’animale viene allevato per un periodo che va dai 31 ai 36 mesi, quasi un anno in più rispetto alla media. Il motivo di questa estensione di tempo è che superando i 30 mesi di vita, oltre all’aumento della morbidezza, diminuisce temperatura di fusione del grasso. Di fatti, vi basta mettere un pezzo della nostra carne in bocca e questo si scioglie, letteralmente.

progetto al quale stiamo lavorando d circa un anno, il ponte che ha unito Wagyu Company e BBQ4All è Paolo Tucci. Lanceremo un hamburger gelo di Kyoto Beef Miyabi, un prodotto che sfida le regole del commercio in Italia. Una cosa interessante da valutare quando si mangia Wagyu è la differenza tra quello che ci si aspetta, un grasso dall’aroma molto forte e intenso, e questa eleganza di sapore. Se si trattasse di un grasso non così oleico, risulterebbe persistente, aggressivo e poco piacevole, il segreto del Wagyu sta proprio nella sua marezzatura sublime. Formulare questo burger è stata una vera sfida, perché bisognava renderlo “grigliabile” mantenendo il suo aroma caratteristico. E direi che ci siamo riusciti.

Cosa dovete controllare prima di acquistare della carne Wagyu? Il valore espresso in lettere ed il grado di shimofuri. Quello che noi chiamiamo grasso è acido oleico, parliamo di un prodotto molto vicino all’olio d’oliva. Andando a leggere un po’ i numeri , la carne australiana ha un contenuto di acido oleico pari al 43%, l’olio d’oliva al 60-70% , il Wagyu Miyabi 55- 58%. La filiera del Wagyu non è così semplice da controllare, i porti di imbarco e di uscita sono sempre gli stessi e per voi diventa difficile risalire alla provenienza della carne. Per questo è stato creato un certificato di autenticità, che vi fornisce un numero ID e tutti i valori relativi alla qualità del pezzo. Oltre a questo, per essere sicuri che la carne sia veramente originale, c’è un link fornito dallo Stato giapponese al quale potete inserire il codice di riferimento e verificare dove è nato quell’animale, dov’è cresciuto, quando è stato macellato. Non siamo noi a gestire questo servizio, ma è lo Stato giapponese che traccia ogni fase della vita dell’animale, per una filiera estremamente chiara e puntuale. Vi dirò di più, questo link funziona per tutte le carni. Quello che abbiamo sviluppato con BBQ4All è un Prima di lasciarvi, voglio darvi alcuni suggerimenti per conservare al meglio la carne di Wagyu: una volta aperto il pezzo, consumatelo subito. Altrimenti mettetelo a bagno in acqua, sale e ghiaccio in firgorifero, per evitare che si ossidi e diventi giallino. Meglio ancora sarebbe ripristinare il sottovuoto e abbattere la temperatura. Onishi Hideki ALMANACCO 2019

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L'INTERVISTA di ANDREA SPAGGIARI

KO B E D E S R A M A U LT S

@ Chambre Séparée Un’insolita location, pochi coperti affacciati su una cucina aperta e il fuoco come unico strumento di cottura: Chambre Séparée è al tempo stesso una sfida e un invito a riscoprire valori autentici. Ce ne parla il suo creatore, lo chef pluristellato Kobe Desramaults.

Camminando nel centro storico di Ghent, città situata nella parte fiamminga del Belgio, potreste imbattervi in un gigantesco edificio industriale, vecchia dimora ormai dismessa dell’operatore telefonico Belgacom. Non ne sareste particolarmente impressionati dal punto di vista architettonico e di certo non indovinereste che è la sede, o meglio l’ambientazione, di una delle esperienze gastronomiche più in voga della città, già in passato culla di avanguardia culinaria e sperimentazione. Chambre Séparée è infatti molto più – o molto meno, decidete voi – di un ristorante tradizionale. Il centro dell’attenzione è costituito da un’imponente cucina aperta nella quale il fuoco la fa da padrone:

cinque grill in stile Santa Maria, un forno a legna e uno a carbone sono gli unici strumenti di cottura utilizzati e fanno da sfondo allo spettacolo che Kobe e la sua squadra portano in scena ogni sera, preparando davanti ai clienti una cena composta da 20 portate. Gli ospiti siedono a un bancone a forma di U che delimita lo spazio di lavoro della brigata di cucina, con i quali l’interazione non è solo accettabile ma addirittura incoraggiata. Proprio per consentire un’esperienza il più genuina possibile il numero di coperti è limitato a 16 e le prenotazioni sono possibili per un massimo di quattro persone; si arriva in orario, ci si siede e si scopre il menù della serata, elaborato dallo chef secondo la stagione, gli arrivi

e la sua ispirazione. Non bisogna nemmeno preoccuparsi troppo del conto dato i 230€ a persona, bevande escluse, si pagano in anticipo al momento della prenotazione tramite carta di credito. L’unica decisione da prendere una volta seduti è quindi se optare per alcolici o analcolici, con una selezione - che si paga 90€ circa - appositamente realizzata in abbinamento alle pietanze. Il prezzo, pur sostenuto, non è tuttavia l’indicatore più rappresentativo dell’esclusività dell’operazione visto che il ristorante si trova in una sede temporanea, disponibile per un massimo di tre anni e mezzo: l’iniziativa è oggi a metà strada e tra poco più di un anno e mezzo si concluderà senza possibili proroghe. ALMANACCO 2019

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D: Ha dichiarato più volte che il concetto di sostenibilità è alla base di questa scelta. In che modo? R: Valorizziamo la cucina e i prodotti locali da sempre e questo aspetto rimane prioritario. La sostenibilità subentra con lo sforzo che facciamo di sfruttare al massimo ingredienti e prodotti, dimostrando che ci si può divertire in cucina e ridurre gli sprechi al tempo stesso.

Kobe Desramaults, del resto, non è nuovo a decisioni radicali. Non aveva esitato a chiudere il suo precedente ristorante, In De Wulf, quando nonostante il conferimento della stella Michelin si era reso conto che in quel particolare contesto non riusciva ad esprimere la sua filosofia: troppo importanti gli sforzi finanziari e i sacrifici in termini di vita privata a fronte di un insufficiente, per lui, contatto con i clienti. Ha quindi ripensato da zero il concetto: via la separazione tra sala e cucina, pochi clienti serviti da una squadra affiatata che opera “in presa diretta”, ingredienti prevalentemente locali e di stagione, sprechi ridotti al minimo possibile. Nonostante la cucina sia di stampo piuttosto tradizionale, Kobe spinge forte sulla sperimentazione e lo fa imponendosi un ulteriore downshifting: si usano solo fuoco vivo e braci, grill e forni a legna o a carbone. Parola dello chef, il cibo ne guadagna in aroma e i clienti assistono a passaggi di preparazione chiari e comprensibili. Che, attenzione, non significa facilmente riproducibili dai comuni mortali: ad esempio Kobe adotta tre cotture diverse per chele, coda e testa degli scampi, serve il piccione in stile sashimi e realizza salse dalle consistenze e dai sapori fuori 12 - BBQ4All MAGAZINE

dall’ordinario. Insomma, il talento e la ricerca sono evidenti. E i risultati lo premiano, come dimostra il successo di pubblico e la stella Michelin arrivata anche per Chambre Séparée. Incuriositi da queste premesse abbiamo voluto approfondire direttamente con lo chef quali sono la sua filosofia e i valori che ha voluto promuovere con questa avventura. Lo abbiamo quindi intervistato in una sessione dedicata esclusivamente a BBQ4All. D: La notorietà di Chambre Séparée ha evidentemente superato i confini nazionali del Belgio ed è in continuo aumento. Quali sono i segreti del successo di un’operazione come questa? R: Questo ristorante è, tecnicamente, il seguito di In De Wulf, il mio precedente locale. Sono sempre stato molto ambizioso e a un certo punto avevo realizzato che in un locale grande come quello non sarei mai riuscito a fare quello che volevo, ovvero cucinare personalmente e al tempo stesso mantenere il contatto con ogni singolo cliente. Con Chambre Séparée ho voluto un ambiente intimo e “trasparente”, in cui gli ospiti potessero entrare in contatto diretto con noi.

D: La cucina BBQ si ispira alla convivialità e al coinvolgimento dei commensali nei rituali della preparazione del cibo. Lei, allo stesso modo, rende gli ospiti partecipi della nascita delle pietanze e li guida nella loro esperienza di degustazione. Il suo intento è di rendere più accessibile la comprensione dell’alta cucina o c’è di più? R: Ci ispiriamo al rito ancestrale di ritrovarsi attorno a un falò e cuocere un animale intero [frutto della caccia o della pesca - ndr]. Mi piace l’idea di rievocare questo cerimoniale, radunando le persone attorno a me e usando braci e fuoco vivo: facendoli assistere a tutto il processo di preparazione li faccio sentire parte di qualcosa e risveglio un loro istinto. C’è qualcosa di romantico in tutto questo. D: E gli ospiti come reagiscono? Chiedono chiarimenti e interagiscono con lei o se ne stanno in contemplazione dello spettacolo? R: Come è normale che sia, alcuni si limitano a guardare e basta. Però a me piace sentire quando le persone si divertono e si godono appieno l’esperienza, interagendo tra di loro e con me, magari chiedendomi cos’è l’ingrediente appeso alle mie spalle e come intendo prepararlo. Mi piace quando siamo un tutt’uno.


D: Quante persone lavorano con lei e quanti clienti servite? R: Oltre a me ci sono altri tre chef e quattro stagiaire di supporto, quindi otto persone che cucinano per un massimo di sedici commensali. Lavoriamo su due turni ogni sera, il primo appunto da sedici coperti in cui gli ospiti arrivano alle 18.30 e lasciano il posto alle 21.30, ora in cui arriva il secondo turno, questa volta da otto persone.

risultato. Quanto è importante la preparazione quando si lavora in “presa diretta” e quanto spazio c’è per l’improvvisazione e il colpo di genio? R: Per quanto mi riguarda questo è un aspetto estremamente positivo perché ci obbliga alla disciplina: all’inizio è strano essere circondati da persone che osservano ogni tua mossa, ma poi ti abitui e ti scopri capace di movimenti che diventano sempre più eleganti e misurati. Sia D: Chambre Séparée sta a un chiaro, non si tratta di fare scena: ristorante tradizionale come il tutto è estremamente autentico, teatro sta al cinema: se ci sono quindi disciplina e concentrazione errori non si può semplicemente sono indispensabili cosi come lo è rifare fino a ottenere un buon la preparazione. Dato che lavoriamo

con un menù che prevede circa 20 portate da servire in circa due ore, ogni pietanza deve essere preparata con un rispetto rigoroso delle tempistiche e ognuno deve aver chiaro a che punto deve essere pronto il piatto di cui è responsabile, cosi come il seguente e così via. Tutto è coordinato al minuto. D: Come se non bastasse tutto questo, è vero che lei non cura solo l’organizzazione in cucina ma si occupa anche della scelta musicale? R: L’idea alla base era di far sentire gli ospiti di Chambre Séparée come se fossero invitati a casa mia, anche se credo che il risultato sia molto

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migliore! Sono un collezionista di vinili e ogni giorno preparo la playlist che sarà diffusa durante la cena: a volte mettiamo musica classica soffusa, altre volte Rock &Roll a volume sostenuto. La musica riflette il mio stato d’animo e un’ambientazione così varia è divertente sia per noi sia per gli ospiti. Anche questo aspetto contribuisce alla riuscita della serata. D: Da qualche anno le tecniche di preparazione più raffinate prevedono l’uso di strumenti come roner, macchine per il sottovuoto, abbattitori di temperatura e uso del vapore, per citarne alcune. Lei invece usa esclusivamente strumenti di cottura come i Grill Santa Maria e il forno a legna, una specie di ritorno alle origini. Perché questa scelta e che importanza ha secondo lei lo strumento per ottenere un risultato eccellente? R: Per me si è trattato di una sfida: usare solo il fuoco e la temperatura. Mi piace l’aroma che si crea nei cibi usando queste tecniche di cottura e il fatto che ci si misura costantemente con un elemento che, di sua natura, è difficile da controllare. Per una delle nostre ricette, per esempio, il piccione deve scaldarsi sulla griglia a circa 60° per un’ora, poi passare in forno a 460° per un minuto e tornare a una fase di rest a temperatura moderata prima del servizio. È un gioco fatto di piccoli gesti alla ricerca della perfezione in cui si combatte con il rischio di compromettere il risultato al minimo errore, ed è per questo che è estremamente divertente. Quando usi strumenti precisi e che danno risultati ripetibili come un roner, stai applicando una scienza esatta. Quando lavori come noi, sei all’estremo opposto: cerchi di crearti una routine e di imparare come adattarla ogni giorno. 14 - BBQ4All MAGAZINE

La vera essenza della cucina, per me, è questa. D: Gli strumenti che vediamo nella sua cucina sono principalmente dei grill in stile Santa Maria, un forno a legna e uno a carbone. Qual è il suo preferito? R: Il mio metodo di cottura preferito è l’abbinamento tra grill e forno a legna, combinazione che ben si presta al nostro stile di cucina. Uso poco il forno a carbone, più adatto a grossi pezzi di carne piuttosto che alle nostre preparazioni, ma non escludo di sfruttarlo di più qualora trovassi una buona ragione per farlo. D: I clienti non scelgono il menù, che cambia giornalmente secondo gli arrivi e gli abbinamenti che la sua esperienza suggerisce. È la conferma che la qualità della materia prima influisce più della tecnica per raggiungere picchi di eccezione? R: La materia prima, ovviamente, è di estrema importanza. Tutti i nostri ingredienti sono biologici e abbiamo una selezione di fornitori a cui ci affidiamo per trovare ogni giorno quel particolare tipo di pesce o di carne che vogliamo proporre nel menù. Per rendere il nostro lavoro più interessante cambiamo quotidianamente da un minimo di una a un massimo di tre portate, evitando la monotonia - soprattutto per noi - e arrivando a proporre un menu completamente rinnovato ogni mese. Il mio motto è “adattati, crea e poi evolviti”: se ogni giorno ti sforzi di inventare qualcosa di nuovo e ti attieni a questo modo di operare, ti evolvi continuamente come persona e come chef. Da giovane, all’inizio della mia carriera, pianificavo l’intero menu sulla carta e da lì partivo pianificandone la realizzazione;


ora ho invertito l’approccio: parto dal prodotto, lo guardo, lo assaggio e poi decido come cucinarlo. È un modo più istintivo di lavorare che comporta qualche rischio in più, visto che i clienti potrebbero non apprezzare quello che i miei gusti mi suggeriscono, ma d’altra parte amo interpretare le loro reazioni di fronte alle novità. Anche questo costituisce uno stimolo quotidiano e una possibilità di imparare.

nonostante la stella Michelin. Sono tutti elementi che comunicano ai foodie vicini e lontani “approfittatene fin che potete”. Creare un’esperienza di lusso era la sua intenzione fin dall’inizio o ha semplicemente colto un’opportunità? Quali piani ha per il futuro? R: Per me tutto è partito dall’opportunità di fare qualcosa in questa location, disponibile solo per un tempo ben definito. Ci ha D: Il suo ristorante è in una costretto a partire subito decisi, location temporanea, i coperti spinti dalla motivazione che il tempo sono pochi e la sua notorietà si a disposizione era limitato e con basa soprattutto sul passaparola l’obiettivo di assicurare l’esperienza e una comunicazione minimalista perfetta fin dal primo giorno.

L’esclusività è un valore aggiunto per gli ospiti, sanno di far parte di qualcosa di unico che sarà chiuso tra un anno e mezzo e non sarà più ripetuto in futuro. Per il seguito ho tantissime idee ed è quasi giunto il momento di cominciare a lavorare alla prossima, che tuttavia non so ancora quale sarà: ho la grande fortuna di avere molta libertà di scelta e voglio godermela fino in fondo. di Andrea Spaggiari


WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI

I L G U STO DEL VINO È UN GRAN BEL

CASINO il segreto è tutto in bocca (prima parte)

Se leggete questa rubrica è perché odiate sentirvi inadeguati quando si parla di vino. Che odio. Come mai nessun disagio davanti a una fiorentina cruda e immangiabile che invece fa miagolare di piacere? Il segreto è tutto nell’X-Factor ma… Calma! C’è una soluzione a tutto e oggi vi svelo un piccolo trucco. Andiamo per gradi: il senso di inadeguatezza con il bicchiere in mano ha un solo vero ostacolo ed è il meraviglioso mondo dei profumi di cui abbiamo parlato: non essere allenati a riconoscerli, o più facilmente a millantare risultando credibili, ci fa sentire un po’ scemi. Sudore freddo, disagio e principio di balbuzie sono i sintomi evidenti ma c’è un momento esatto in cui la paura svanisce ed è quando il liquido entra in bocca. Un passo alla volta: se in quattro mesi a gingillarci sui profumi non abbiamo quasi bevuto un sorso c’è un motivo. Non è mica un caso che il prototipo del bevitore di vino sia ritratto col calice perennemente rotante in mano. Gira e rigira poi annusa, chiude gli 16 - BBQ4All MAGAZINE

occhi trasognante, alza il sopracciglio per scovare il descrittore segreto e infine sentenzia, spesso prima di aver bevuto. Macchietta ma non troppo perché una qualche verità c’è. Pensate invece per un attimo all’icona del bevitore di birra. Addome scolpito da anni di ginnastica da bancone, afferra con sicurezza il bicchiere senza stelo, non lo lascia volteggiare come un ottovolante per non disperdere la preziosa anidride carbonica, annusa per apprezzare il profumo e sincerarsi che corrisponda allo stile, non snocciola descrittori e beve. Beve di gusto, a sorsi pieni. Gestualità differenti che pur si sfiorano. Poche chiacchiere, l’odore del vino ha qualcosa di magico. Pur con soglie di percezione differenti, tutti siamo capaci di sentire gli odori ma il riconoscimento dei profumi è uno scoglio: raramente intuitivo, solitamente figlio di allenamento e confronto. Impresa ancor più complicata dal fatto che matrici


complesse come vino, birra e formaggio offrono tante molecole odorose ma presenti a bassa concentrazione. Un gran casino? Abbastanza. Repeat: diffidare sempre di chi recita la messa cantata delle analogie. Ma adesso viene il bello.

sono un coitus interruptus ma la questione si complica a dismisura. L’assaggio tecnico di molti vini in batteria che vengono poi sputati ne è la prova definitiva. Per godere bisogna ingoiare. Esploriamo allora il gusto del vino. Un tripudio di stimolazioni che attiva una serie di aree cognitive del cervello ben più ampia di quanto non avvenga con la semplice olfazione diretta. Ci servirà giusto qualche nozione basilare di fisiologia del gusto, l’ultimo sforzo per dotarci di un mini-lessico comune ma state bravi. Non ditelo al professore di chimica o anatomia perché qui abbiamo sempre sete e tagliamo con l’accetta le questioni complesse.

Dopo colori e profumi, è la terza fase dell’analisi organolettica a chiudere il cerchio e salvarci la vita. La più importante e la più affidabile! Ve lo conferma Gabriel Lepousez, docente francese di neuroscienze, su La Revue du Vin de France, Bibbia francese del vino: “I degustatori che si fondano molto sulla bocca sono generalmente più solidi, vale a dire più affidabili”. Il naso fluttua, evolve, è aereo, la bocca è solida, stabile, “ripetibile”. Dirò di più: avete mai In principio era la lingua. Il centro di raccolta dati del fatto caso a come assaggiano enologi ed enotecnici gusto è da sempre la lingua ma non come la conosciamo che il vino lo fanno? Pochissimo naso, il minimo oggi. La classificazione dei sapori affascina da sempre indispensabile per individuare eventuali difetti, poi liquido immediatamente in bocca. Perché è il palato la vera cartina di tornasole e avere il vino in bocca ci rasserena, tranquillizza gli animi e dispone ad un’analisi sulla quale siamo più preparati perché la alleniamo quotidianamente, più volte al giorno. Il gusto – o meglio l’esame gusto-olfattivo - è determinante: il liquido o solido entra fisicamente all’interno del nostro corpo per essere esplorato in tutte le sue dimensioni: gustative ma anche tattili e retro-nasali. Il cuore del piacere (o della sgradevolezza più estrema) è qui, guardare e annusare senza “toccare”

l’umanità. Dall’antica Grecia di Democrito, quattro secoli prima di Cristo, all’inizio del Novecento, si è parlato essenzialmente di quattro sensazioni provocate dagli stimoli gustativi: dolce, acido, salato

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e amaro. Nel 1918, con la pubblicazione del suo manuale di anatomia umana (Gray’s Anatomy, da non confondere con la serie tv Grey’s Anatomy), Henry Gray illustra la scoperta delle papille gustative arrivando a disegnare una mappa della lingua con soli quattro sapori puntualmente localizzati su una specifica area. Il dolce sulla punta, l’amaro sul fondo, il salato sui lati anteriori e l’acido su quelli centrali. Attenzione! È l’immagine che abbiamo visto migliaia di volte e che tuttora campeggia su vari testi di degustazione ma è scorretta. Ci sono voluti decenni e centinaia di studi per rimettere in discussione questa falsa credenza su più piani ma andiamo per gradi. (Per facilitare, saltiamo a pié pari ogni approfondimento sugli organi di senso, cioè papille, recettori e bottoni gustativi). Anzitutto, prima inversione a U: la percezione dei gusti è distribuita su tutta la lingua. Cambiano le intensità ma basta un chicco di sale sulla punta per svelare l’arcano: si sente eccome! Non esistono quindi aree di percezione esclusiva. Tutti i gusti sono percepibili sull’intera lingua ma con intensità differente a seconda dell’area. In secondo luogo, i gusti non sono quattro. Di sicuro ne esistono cinque. Molto probabilmente sei. Forse addirittura sette (do you know kokumi?). Qualcuno ipotizza possano essere molti di più ma iniziamo con quelli già codificati e riconosciuti dalla comunità scientifica. Dolce, salato, acido e amaro filano via facili: caramelle, sale da cucina, succo di limone e caffè o mandorle li identificano intuitivamente e non staremo ad approfondire perché il dolce sia confortante e ricercato dai bambini o l’amaro evoluzionisticamente correlato all’idea di tossicità. Gusto per il dolce e rifiuto dell’amaro hanno un’origine ancestrale eppur attualissima: il latte materno è dolce e grasso, le foglie pescate a casaccio nella foresta sono probabilmente amare e spediscono diretti al gabinetto. Da piccolo io mangiavo fette di limone intere ma conosco decine di persone che non lo farebbero da grandi nemmeno sotto tortura: quell’aspro mi piaceva, era a suo modo una sensazione “forte” ed è il motivo per cui non piace a tutti. Quanto alla centralità del gusto salato in cucina, un esperimento sarà illuminante: cenate con pasta, insalata e fettina di carne ospedaliera senza salare alcunché poi ne parliamo. Per non parlare poi dei vini a cui viene aggiunto sale: non è legale ma può accadere, fidatevi. 18 - BBQ4All MAGAZINE

Si potrebbe giocare all’infinito con le soglie di percezione dei diversi gusti modulando la diluizione di zucchero, acido tartarico (si compra in farmacia; prima ancora di malico e citrico è l’acido più presente nel vino) e sale da cucina in acqua pura e sarebbe un buon allenamento, miscelando poi i dosaggi nello stesso bicchierino. Peccato che poi nel vino si incasini tutto! Pensate per esempio ad un bicchiere al contempo con residuo zuccherino alto, molto acido e adeguatamente alcolico: un tripudio di stimoli che manda in tilt! Ci arriveremo ma non prima di aver introdotto il quinto incomodo, l’umami. Mai sentito? Il nome suona strano ma alcuni dei cibi più buoni al mondo ne sono pieni: Parmigiano Reggiano, prosciutto crudo stagionato, acciughe, pomodori secchi, vongole e tanto altro. Nel vino verrebbe da pensare a qualche Marsala, ai vini di stile ossidativo dello Jura, agli Sherry, universi dal gusto pieno e profondo. L’umami viene scoperto in Giappone nel 1908 da Kikunae Ikeda, professore di chimica all’Università di Tokyo che stava studiando il sapore del dashi, un brodo tradizionale a base di kombu. Responsabile dell’umami – che in giapponese significa “saporito” - è l’acido glutammico (uno dei 23 amminoacidi naturali che costituiscono le proteine) e in seguito alla scoperta iniziò la commercializzazione del glutammato monosodico, cioè il sale di sodio dell’acido glutammico, per rendere più saporite le pietanze. Ci sono voluti 94 anni prima che venissero trovati i recettori specifici dell’umami, localizzati principalmente al centro della lingua, facendolo così diventare ufficialmente il quinto gusto nel 2002. [Per sapere tutto in materia, cercate online su BBQ4All l’enciclopedico articolo di Carlo Trono: “Umami, il quinto sapore: un approfondimento illuminante”]. Nel 2012, un altro colpaccio della ricerca: sul Journal of Lipid Research alcuni ricercatori della Washington University School of Medicine dimostrano l’esistenza sulle papille gustative della lingua di recettori che riconoscono le molecole di grasso. Di più: chi geneticamente percepisce in maniera più debole il grasso sarebbe più predisposto all’obesità. Sarà mica un caso che anche una suola di scarpe è buona fritta? Finalmente una scusa credibile: sono grasso però è colpa di Madre Natura! Ma non finisce qui: è notizia di questi mesi che secondo uno studio accreditato la lingua “senta” gli odori.


G = Pc + Pt + Pm + Pd + Px + Fx Il Dr. Mehmet Hakan Ozdener e i suoi colleghi del Monell Chemical Senses Center di Philadelphia sembrano aver individuato recettori olfattivi anche sulla lingua ma prima di perderci nei meandri della scienza torniamo a noi e per farlo sarà ora di rispolverare un’equazione dello Zio Gianfry che mette a sistema tutti gli elementi che compongono il gusto, di un piatto come di un vino (con pochi facili adattamenti). La formula del piacere: G = Pc + Pt + Pm + Pd + Px + Fx. Gusto = Percezioni chimiche + Percezioni termiche + Percezioni Meccaniche + Percezioni Dolorose + Percezioni chemestetiche + X-Factor. Se bevendo vino non si è mai fatto male nessuno (quindi Pd=0), per il resto parliamo la stessa lingua. Sembra stregoneria ma un attimo di pazienza e sarà tutto più chiaro.

libertà e saper giocare con la plasticità della materia è l’asso nella manica dei grandi chef. Chi invece come noi bevitori ha il preciso dovere morale di alzare la media nazionale dei consumi alcolici ragiona più semplicemente e introduciamo due concetti fondamentali: durezze e morbidezze. Parti dure e parti morbide del vino sono l’asse portante dell’analisi gustativa, interagiscono tra loro, nei casi migliori si amalgamano, nei peggiori sono insiemi disgiunti. Percezioni chemestetiche non è una parolaccia. Indica sensazioni uguali a quelle termiche ma indotte da stimoli chimici. Piccantezza, pungenza e freschezza per esempio: il mentolo rinfresca anche se è caldo, il pepe del Sichuan punge fin quasi ad anestetizzare le mucose della bocca ma non picca, il peperoncino invece può rovinare l’esistenza per qualche minuto. Provate come ho fatto io a sbagliare la dose di Carolina Reaper e passerete il quarto d’ora più brutto della vostra vita: una bomba a mano di spilli che esplode in bocca (unico modo per spegnere l’incendio: un bicchiere di latte freddo). E una grappa con 50% vol. di alcol? Calore, calore, calore… anche servita fredda.

Percezioni chimiche sono tutte quelle esplorate fino ad ora: ci sono dentro l’infinito mondo dei profumi veicolati attraverso il naso e i gusti percepiti in bocca. Non servono eccessivi gargarismi e strippaggio (avete presente quando chi beve vino fa orribili rumori con la bocca? Ecco, quella roba lì serve per assaggiare l’olio ma nel vino è discretamente inutile) per stimolare il palato e percepire il necessario, basterà “masticare” Last but not least, l’X-Factor. Il lato emozionale silenziosamente il liquido per stimolare tutta la è fondamentale nell’esplorazione del gusto: il superficie della lingua e avere le informazioni necessarie. gorgonzola puzza da morire ma è celestiale come il vino del contadino di fianco a casa mia: ha uno Percezioni termiche aka la temperatura del vino, spunto acetico che ti fa la permanente ma lui ci niente di più sottovalutato. E son bestemmie ogni mette tanto di quell’amore che non puoi non berlo. volta che ci servono un vino bianco congelato o È anche il motivo per cui i vini bevuti nella zona di un rosso caldo come il brodo. Uno schifo assurdo! produzione, immersi nel panorama e tra le genti che lo L’idea di un Barolo servito in spiaggia sotto il sole fanno, è sempre più buono di quando si torna a casa. d’estate è repellente ma non così lontana dal vero Avete presente quanto si gode a mangiare una bistecca perché si passa dal trionfo al tracollo in un attimo. con l’osso accompagnata da un calice di Chianti Il vino rosso fresco d’estate non è un crimine bensì dal fiasco comodamente seduti in un ristorante a una necessità. La temperatura di servizio modifica Panzano in Chianti? Terribili entrambi ma poi alzi lo strutturalmente la percezione generale e più avanti sguardo e passa tutto. vedremo come. Noi però non ci accontentiamo e ne vedremo delle Percezioni meccaniche, ovvero le consistenze. belle. È solo l’inizio. Qui solidi e liquidi imboccano strade differenti. Alessandro Morichetti È autoevidente come nel cibo ci siano infiniti gradi di ALMANACCO 2019

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PLANKING come cuocere sulle tavolette di legno


DISPOSITIVI E ACCESSORI - IL PLANKING a cura di MICHELE CHIPA Il pesce è un alimento che si presta molto bene all’affumicatura, l’importante è che sia leggera e non copra il sapore delicato di questa pietanza. I legni da scegliere, quindi, non devono avere caratteristiche aromatiche troppo forti, né essere pungenti. Per questo motivo si consiglia l’utilizzo di agrumi: hanno la giusta forza e il giusto aroma per abbinarsi alla perfezione al pesce. Oltre all’affumicatura con chunk e chips, esiste un altro metodo che permette di affumicare in maniera ottimale la carne del pesce: il planking. Con questa tecnica, la cottura avviene a contatto con delle tavolette di legno dette plank. Ne esistono diversi tipi, di legni differenti e dimensioni variabili. Le più comuni sono quelle di cedro, tra l’altro perfette per il pesce. Il procedimento di affumicatura in planking prevede come primo step l’immersione in acqua delle tavolette. I produttori consigliano di lasciarle a mollo per un minimo di 2 ore. Questo passaggio impedirà al legno di carbonizzarsi troppo o di incendiarsi una volta inserito nel dispositivo di cottura. Successivamente bisogna posizionare la tavoletta sulla griglia sopra ai carboni per iniziare la produzione di fumo e, una volta ottenuta, si deve spostare la mattonella di legno in cottura indiretta. A questo punto è sufficiente posizionare il pesce sulla tavoletta fumante ed aspettare la fine della cottura.

Il contatto con il legno fumante renderà il processo di affumicatura più efficiente e insaporirà ulteriormente l’alimento grazie agli oli essenziali che si sprigioneranno dal plank. Dopo un paio di volte, le tavolette inizieranno ad annerirsi e a diventare inutilizzabili per l’affumicatura. Potrete però ridurle in piccoli pezzi e riutilizzarle come chunk fino alla loro completa carbonizzazione. Vi do un piccolo consiglio: lasciate la pelle al pesce, per evitare che si attacchi alla tavoletta, e per questo tipo di cottura utilizzate una tipologia di pesce con delle carni non troppo tenere; ad esempio, il salmone si presta benissimo a questo tipo di cottura. Un altro suggerimento: utilizzate la tavoletta anche per servire il pesce in tavola, non prima di averla posizionata su un tagliere resistente al calore. L’effetto scenico sarà assicurato! Anche l’occhio (da pesce) vuole la sua parte. Michele Chipa

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PER INIZIARE - GRIGLIARE IL PESCE a cura di MICHELE CHIPA

BUT TIAMOCI A PESCE! Gli errori da non fare e qualche consiglio per grigliarlo alla perfezione

Il pesce è uno degli alimenti più difficili da grigliare. Alzi la mano chi non ha mai fatto un disastro cimentandosi per la prima volta in questa impresa. Questa particolare materia prima, infatti, ha delle simpatiche abitudini che mettono alla prova le skill del grigliatore: intanto ha la carne talmente delicata che si distrugge in caso di utilizzo improprio della pinza o della spatola, inoltre si attacca facilmente alla griglia e riesce a passare da “è ancora crudo” a occavolo si è disintegrato" nel giro di pochi secondi. Un altro rischio che si corre quando si griglia questo tipo di alimento è che la polpa, invece che delicata, succosa e piacevolmente saporita, diventi asciutta, stoppacciosa e sgradevole da masticare. In questo articolo vi darò delle dritte che vi permetteranno di grigliare in tutta tranquillità il pesce e di ottenere risultati ottimi con pochi accorgimenti. La prima cosa da sapere è che il pesce è ricco di grasso e tessuto connettivo. Quest’ultimo non è altro che collagene, una struttura capace di tenere unite le fibre muscolari. Rispetto a quelle del manzo, le fibre ALMANACCO 2019

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muscolari del pesce sono molto corte e spesse e lo strato di collagene è meno resistente di quello presente nei bovini. Ciò cosa significa? Che il pesce cuoce molto velocemente, che non necessita di alcuna azione di intenerimento e che la vera sfida non è renderlo tenero ma evitare che si disfi in cottura o che diventi secco e immangiabile.

Basta accartocciarne un pezzo, bagnarlo con dell’acqua e poi distenderlo sulla griglia. Una volta avvenuta la reazione di Maillard potremo eliminarla perché ormai avremo azzerato il rischio che il nostro filetto si attacchi. Come scongiurare il pericolo di stracuocere il pesce? Non posso far altro che dirvi di usare il termometro. Non esiste un tempo di cottura. Sappiamo solo che la trasformazione del collagene in gelatina e la coagulazione completa della struttura proteica avviene a temperature comprese tra 58°C e 60°C. Solamente con un termometro avrete la certezza del risultato: controllare la cottura ad occhio mal s’addice ai nostri metodi...

Le fibre muscolari durante la cottura coagulano, cambiando da un aspetto traslucido ad opaco. Simultaneamente, il collagene si scioglie in gelatina molto presto e le grosse fibre muscolari, non avendo più sostegno, tendono a sfaldarsi e a scivolare l’una sull’altra lubrificate dal collagene disciolto. Questo è il motivo per cui, di solito, si tende a stracuocere il pesce. Inoltre, come tutti sapete, il pesce tende ad attaccarsi alla griglia: quindi, carne dura e asciutta che si disintegra quando Vi elenco anche le temperature di cottura ottimale per cerchiamo di girarla. Un vero incubo.. i principali pesci, molluschi e crostacei. Ovviamente le temperature al cuore sono misurate nel punto in cui la Fortunatamente esistono degli accessori che polpa è più spessa. facilitano il compito: i basket. Si tratta di graticole composte da reti metalliche Salmone................................................................... 54/57°C a maglie sottili che mantengono l’alimento non a Halibut/Merluzzo/Scorfano/Branzino/Trota.... 58/60°C contatto con la griglia. Una volta posizionato il pesce Tonno/Pesce Spada “rare”..................................... 40/45°C all’interno di questo prezioso strumento, e chiuso con un rapido gesto, è possibile girare l’alimento delicato Gamberi, gamberoni, astici, aragoste granchio.....58/62°C senza rischi. Utilissimo nel caso in cui si voglia grigliare Capesante..................................................................... 48°C un pesce intero. Se non abbiamo a disposizione questo accessorio, allora dovremo utilizzare un metodo Adesso non vi resta che mettere in pratica questi consigli facile, veloce e indolore: adoperare la carta da forno e prepararvi per la migliore grigliata di pesce di sempre. bagnata, utile soprattutto col pesce sfilettato. La carta forno permette il trasferimento del calore al filetto ma al contempo funge da supporto antiaderente. Michele Chipa 24 - BBQ4All MAGAZINE



SPECIALE PESCE - RICETTA di MICHELA BONGIORNI

I N G RED I EN TI P E R 4 P E RS ON E

• 12 gamberoni • un avocado • un lime • una cipolla piccola. • 2 cucchiai di olio di oliva. • 1 cucchiaino di peperoncino • tre rotoli di pasta sfoglia rettangolare • un uovo • sale q.b. • pepe q.b. • prezzemolo q.b. • olio extravergine di oliva q.b.

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VOL AU VENT CON GUACAMOLE E GAMBERONI GRIGLIATI Il gambero è un frutto del mare, te lo puoi fare arrosto, bollito, grigliato, al forno, saltato, c’è lo spiedino di gamberi, gamberi con cipolle, zuppa di gamberi, gamberi fritti in padella, con la pastella, a bagnomaria, gamberi con le patate, gamberi al limone, gamberi strapazzati, gamberi al pepe, minestra di gamberi, stufato di gamberi, gamberi all’insalata, gamberi e patatine, polpette di gamberi, tramezzini coi gamberi... e questo è tutto mi pare. - dal film Forrest GumpE in effetti, Bubba, hai proprio ragione: questo crostaceo gustoso e saporito si presta a infinite preparazioni e ad abbinamenti con moltissimi sapori diversi. La sfida era quella di proporvi qualcosa che unisse la passione per la griglia a un aperitivo sfizioso, non pesante, che si mangiasse in un sol boccone e facesse venir voglia di prenderne ancora, in stile uno tira l’altro. Sono nati così i vol au vent ripieni di salsa guacamole; questa burrosissima salsa con una spiccata nota di lime non va a coprire, anzi lo esalta, il sapore esplosivo del gamberone grigliato. Se - come è successo a me - avete qualche ospite un po’ schifiltoso (leggi Nencioni), che non sopporta l’idea di mangiarsi l’intestino, dovete assolutamente toglierlo e pulire per bene il crostaceo, anche se molti mangiatori seriali di gamberi diranno che questa operazione è inutile e che anzi, se non succhi la testa godi solo a metà (provateci, abbiate coraggio, e non smetterete più di farlo). In ogni caso, che voi apparteniate alla prima o alla seconda categoria - onestamente io preferisco pulirli non temo smentite se vi dico che questo piccolo boccone vi soddisferà pienamente. Burroso ma non pesante, acido al punto giusto, dolce quanto basta: la felicità in un morso. Il contrasto poi fra il gambero caldo e la salsa guacamole fredda, serviti in un fragrante vol au vent, vi sorprenderà piacevolmente ancora di più. Oh, mi raccomando, non barate: non rovinate

tutto comprandovi quei vol au vent imbustati, tristi, insapori e duri. Ci vuol poco a farseli in casa Ok, vi concedo almeno la pasta sfoglia già pronta. Ma per il resto non fate i pigri: occhio, che vi vedo! Preparazione: 1. Srotolate la pasta sfoglia e ricavate trentasei tondi tutti uguali usando un coppapasta di circa 6 centimetri di diametro. Mettetene da parte dodici, mentre praticherete un foro al centro dei restanti 24, utilizzando un coppapasta di diametro più piccolo, in modo da ottenere delle corone. 2. Bucherellate con una forchetta i dischi pieni e spennellateli con l’uovo sbattuto. Su ciascuno poi posizionate due corone, spennellando con l’uovo sbattuto anche i bordi. 3. Cuoceteli a 180 gradi finché non saranno dorati, leggeri e fragranti. 4. Preparate la guacamole sbucciando un avocado maturo, privandolo del nocciolo e tagliandolo a pezzetti piccoli. Schiacciate la polpa dell’avocado con una forchetta riducendolo a una poltiglia: a questo punto aggiungete sale, pepe, cipolla tritata finemente, il succo del lime e l’olio. Mescolate il tutto e tenete in frigo la guacamole così ottenuta. 5. Preparate il vostro dispostivo per una cottura diretta. Se volete pulire i gamberoni privandoli dell’intestino, togliete loro la testa e aiutandovi con uno stuzzicandenti sfilate l’intestino delicatamente. Non togliete il resto del carapace. In alternativa, lasciateli interi. 6. Mettete i gamberoni in cottura così come sono: saranno cotti quando avranno raggiunto i 55 gradi al cuore e il carapace sarà diventato bianco. Nel frattempo riempite i vostri vol au vent con la guacamole 7. A questo punto sbucciate i gamberoni e adagiateli caldi sui vol au vent ripieni. Servite con una macinata di pepe e un po’ di prezzemolo tritato finemente. Michela Bongiorni ALMANACCO 2019

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SPECIALE PESCE - RICETTA di MARIANGEL IBBA

I N GREDIEN T I PER 4 PERSO N E

• 4 bun per hamburger • 400g di merluzzo • prezzemolo • sale q.b. • pepe q.b. • pangrattato q.b. • 250 ml maionese • 125 ml yogurt • erba cipollina fresca q.b. • 100g olive verdi • 100g acciughe sott’olio • un cetriolo • 2 carote


Q UAC U N O P E N S I

A I BAM B I N I

(...MA ANCHE AI GRANDI):

un fish burger che mette tutti d’accordo Quando si organizza una grigliata tra amici, dopo essersi scervellati tanto ed aver pianificato ogni dettaglio del menù, c’è sempre un familiare che, con sguardo di sfida, ti domanda “...e i bambini cosa mangiano?”. Ma tu, poggiando i pugni sui fianchi in posa da supereroe, a testa alta rispondi: l’hamburger! Facile, finché si tratta di ciccia...ma col pesce? È ben noto che la maggioranza dei bambini non ami molto questo alimento. Spesso, di fronte ad una preparazione contenente pesce, assumono la loro tipica espressione di disgusto e con il consueto broncio sentenziano un "non mi piace". E tu cadi nella disperazione più profonda. Ma, ti assicuro, non c’è nessun motivo per disperarti, perché la soluzione al problema è molto semplice. Ebbene sì, stai per leggere la ricetta di uno squisito burger di pesce che ti risolverà ogni problema senza dover ricorrere a bastoncini di capitani di mare barbuti. Questa preparazione si può realizzare con diversi tipi di pesce, come il tonno e il ssalmone, ma per andare sul sicuro utilizziamo il merluzzo. È però un vero peccato relegare questa golosa preparazione solo al tavolo dei più piccoli. Per cui ti

propongo una farcitura per creare un fish-burger che soddisfi tutti quanti. Infatti, dopo aver trattato il pesce e averlo aromatizzato con sale, pepe e prezzemolo, impanato e buttato sulla griglia, racchiudiamo il burger in un panino, dove una deliziosa e fresca salsa allo yogurt si sposa alla perfezione con il sapore delicato del patty di merluzzo. Per rendere il nostro fish-burger una vera bomba di sapore, aggiungiamo anche un gustoso trito di acciughe e olive verdi, che esalta al massimo le caratteristiche del merluzzo. Infine, diamo un tocco di croccantezza al tutto con fettine sottili di cetriolo e carote alla julienne. Preparazione 1. Innanzitutto, elimina le eventuali spine presenti nei filetti di merluzzo. Poi tagliali grossolanamente e con l’aiuto di un mixer frulla il pesce. 2. Al merluzzo aggiungi il prezzemolo e il sale, poi amalgama bene gli ingredienti tra loro. Per dare un po’ di consistenza all’impasto aggiungi se vuoi del pangrattato. 3. Per dare al pesce la forma dei burger utilizza un coppapasta, quadrato o tondo scegli tu. Prendi 100g di composto, distribuiscilo all’interno della

cornice e pressalo con le mani, in modo da rendere il burger compatto. 4. Con molta delicatezza passa il pesce nel pangrattato, per dargli una leggera panatura. 5. Prepara il dispositivo per una cottura indiretta a 180 gradi 6. Mentre aspetti che il dispositivo raggiunga la giusta temperatura, prepara la crema. Mescola insieme la maionese, lo yogurt e l’erba cipollina tritata finemente. 7. Lava sotto l’acqua corrente il cetriolo e, senza sbucciarlo, taglialo a fettine sottili. 8. Taglia le carote a julienne, 9. Trita grossolanamente insieme le acciughe e le olive verdi. 10. Con un pennello cospargi con un velo di olio i burger di pesce. Ponili sulla griglia in cottura indiretta dalla parte opposta delle braci e falli cuocere per qualche minuto da entrambi i lati. 11. Dividi i panini in due e griglia la parte interna. 12. A questo punto sei pronto per montare i panini. Prendi il pane, metti un generoso strato di salsa, le carote, il patty di pesce un altro strato di salsa, le fettine del cetr iolo e infine il gustoso trito di olive verdi e acciughe. Chiudi il panino. Addenta. Ricordati anche dei bambini, eh. Mariangela Ibba ALMANACCO 2019

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CO U S COUS

CO N BRODO DI PESC E

E SCAMPI GRIGLIATI piatto di popoli e di re

Il cous cous è una pietanza antichissima. Alcune fonti riportano che perfino il re Salomone si concedesse grandi abbuffate di questo piatto per alleviare le pene d’amore. La sua grande versatilità era utile ai nomadi berberi, che durante la transumanza avevano sempre a disposizione un cibo fresco e saporito. Grazie a questa caratteristiche, la pietanza si è diffusa lungo tutti i paesi dell’area mediterranea nel corso dei secoli. Verso la metà dell’800 i pescatori liguri e quelli siciliani, che stazionavano in Nordafrica, permisero la diffusione di questo piatto anche in Italia. I liguri lo fecero conoscere agli spagnoli e ai sardi, questi ultimi ancora oggi lo preparano con una grana più grossa rispetto al solito e lo chiamano fregola. I pescatori siciliani, invece, fecero conoscere il cous cous ai loro conterranei trasformandolo in un piatto tipico soprattutto nelle zone del trapanese. L’importanza e la diffusione di questa meravigliosa pietanza meritarono pure delle citazioni letterarie, forse una delle più belle è quella di Edmondo de Amicis, il quale in Marocco (1876) definisce il cous cous “piatto di principi e di popolo” e lo ricorda perché memoria delle identità in un piatto unico che unisce i popoli. È doveroso, prima di iniziare, fare una precisazione: il pesce per il brodo varia in base alla zona, di seguito vi propongo quelli più tipici dell’area del trapanese; per quanto riguarda le quantità è molto difficile dare una dose precisa, ognuno può decidere di metterne, per ogni tipo, quanto ne gradisce: 30 - BBQ4All MAGAZINE

I N G REDI EN TI

P E R 4 / 6 P E R S ON E Per il cous cous: • 500 g di semola di grano duro a grana grossa • Acqua q.b. • Olio q.b. • curcuma e cannella a piacere Per il brodo: • 2 spicchi d’aglio • 400 gr di pomodori maturi • 1 cipolla • ½ bicchiere di vino bianco • 1 peperoncino • Olio, sale e pepe q.b. • pesce per il brodo (quantità e qualità a piacere) Per la griglia: • una fetta di pesce spada • dieci scampi • 200 g di calamari puliti


SPECIALE PESCE - RICETTA di TOMMASO DI GREGORIO

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-Pesce San Pietro -Scorfano -Gallinella -Vopa -Triglia -Cozze -Calamari -Scampi Nel nostro caso, continuando la tradizione di questo piatto che avvicina popoli e culture diverse, andremo a unire a questa preparazione anche l’amore per la griglia; quindi, oltre al brodo classico fatto col pesce, griglieremo qualche scampo, qualche calamaro e una bella fettona di pesce spada. Il pesce grigliato e condito con tanto limone darà una spinta in più a tutto l’insieme.

aromi, perché al termine il sapore principale deve essere quello della zuppa e non delle spezie. 5. Terminata la fase di incucciatura si passa alla cottura del cous cous. Il metodo tradizionale prevede l’uso di un recipiente per la cottura a vapore chiamato couscoussiera. Quella usata nel trapanese è in genere composta da una specie di colapasta di terracotta verniciata a fondo tondo, con relativo coperchio, e una pentola dai bordi alti capace di ospitare questo “colapasta”. Se non si ha questo strumento, si può utilizzare uno scolapasta forato sopra a una pentola. Se l’incastro tra il bordo della pentola inferiore e il recipiente superiore non è ermetico, per non far fuoriuscire il vapore dai lati viene usato una “colla” di acqua e farina. Questo perché il vapore dovrebbe uscire esclusivamente dai fori dello scolapasta. Nei paesi arabi si usa la pentola dai bordi alti per cuocere le verdure o la carne in umido e il cous cous si cuoce assorbendo i sapori della preparazione sottostante. A Trapani nella pentola sotto si mette solo acqua, e il cous cous si insaporisce una volta cotto, quando viene unito alla zuppa di pesce. 6. Adagiate sui fori della couscoussiera qualche foglia di alloro, o eventualmente della cipolla tagliata finemente, e versate il cous cous a formare un cumulo. Con un lungo stuzzicadenti formate un foro dal centro del cumulo fino al fondo per permettere una migliore circolazione del vapore. 7. Mettete acqua nel recipiente sottostante e sigillate i due contenitori con un impasto di acqua e farina. Accendete il fuoco e – quando inizia a uscire vapore – abbassate la fiamma, mettete il coperchio in modo che rimanga leggermente aperto e fate cuocere per circa mezz’ora. Rimestate il cous cous sollevando i granelli e facendo prendere aria – mai schiacciando – poi rimettete il coperchio e lasciate cuocere per un’altra mezz’ora. Una volta terminata la cottura, il cous cous si dovrà presentare umido e sgranato. Tenetelo al caldo in un contenitore di terracotta, quello tipico si chiama Tajine, ma andrà bene anche un altro tipo di contenitore.

Preparazione del cous cous 1. Si inizia con l’incucciatura, ossia la preparazione del chicco, una aggregazione di 2-3 granelli di semola. La dimensione del chicco è fondamentale: se è troppo piccolo il cous cous in cottura rischia di diventare un mappazzone, se è troppo grosso assumerà la consistenza tipica della fregola sarda. Tradizionalmente si usa lu lemme, una zuppiera di terracotta bassa e larga. In alternativa potete utilizzare un piatto molto grande, scanalato e con i bordi alti. 2. Versate tre o quattro pugni di semola nel piatto e versate POCHISSIMA acqua. È di fondamentale importanza mettere l’acqua poco alla volta, saremo sempre in tempo ad aggiungerne altra. Tenete la mano a coppo, come se steste impugnando un’arancia, con i polpastrelli a contatto con lu lemme, e massaggiate la semola in rotazione oraria. Aggiungete acqua e semola fino a ottenere chicchi di circa due millimetri di diametro. Preparate piccole quantità di cous cous per volta. 3. Una volta formati, trasferite i chicchi in un altro lemme. In assenza del lemme potete utilizzare una ciotola di terracotta. In alternativa, potete anche utilizzare uno strofinaccio da cucina pulito, correndo però il rischio che il cous cous si asciughi troppo e che non cuocia mai. Procedete incucciando tutta la Preparazione del brodo semola. Una volta terminato il processo potete passare 1. Preparate il kettle per una cottura con il wok. il cous cous al setaccio per togliere l’eventuale residuo. 2. Pulite il pesce , eviscerandolo e squamandolo. 4. Condite il cous cous con un filo di olio extravergine Nel wok versate un po’ d’olio, aggiungete la cipolla d’oliva e, con il palmo delle mani, sfregatelo in modo tritata finemente e uno spicchio d’aglio, in alternativa che, alla fine, tutti i granelli siano unti d’olio e ben potete usare l’aglio e olio scientifica (spiegata da sgranati. Aggiungete al cous cous sale, pepe e se Gianfranco Lo Cascio sulla BBQ4All Community volete cannella e curcuma. Non esagerate con gli di Facebook) come fondo per la cottura del pesce. 32 - BBQ4All MAGAZINE


3. Appena il fondo di cottura prende calore, aggiungete il pesce partendo dai più grandi fino ai più piccoli. Sfumate con un po’ di vino bianco e appena questo sarà evaporato aggiungete il pomodoro. Coprite con acqua, salate e pepate a piacere. Chiudete ll kettle e aspettate che il tutto arrivi a bollore. 4. Raggiunto il bollore del brodo aggiungete i calamari e lasciate cuocere qualche minuto. Come ultimo step aggiungete le cozze. 5. Appena il pesce è cotto, con una schiumarola togliete i tranci di pesce più grandi e adagiateli su una placca, scarnateli e deliscateli. Nel frattempo mettete nel brodo lische a carapaci per conferire ancora maggiore sapore al vostro brodo. Come ultimo passaggio filtrate a maglia molto fine il vostro brodo.

Passaggi finali e servizio: 1. Infine grigliate nel kettle in cottura diretta gli scampi, i calamari e la fetta di pesce spada, avendola prima asciugata con cura e poi ben oliata. Condite i calamari e il pesce spada con olio, limone, sale e pepe. 2. Come ultima cosa componete il piatto. Sul cous cous adagiate i tranci di pesce che avete precedentemente levato dal brodo, aggiungete le cozze e gli scampi. Decorate con del prezzemolo. Versate infine due mestoli di brodo caldo per condire un minimo il piatto. Poi unite anche il pesce grigliato. 3. Servite accompagnandolo col brodo: i commensali ne aggiungeranno la quantità che più preferiscono man mano che mangeranno questa prelibatezza assoluta. Michela Bongiorni


SPECIALE PESCE - RICETTA di MARIANGELA IBBA

Calamari grigliati in insalata di grano al pesto sfizioso:

E S TAT E !

Le insalate di riso, di pasta e di farro sono un vero classico della stagione estiva. Sono immancabili durante i pranzi e le cene con gli amici, si prestano a essere utilizzate come piatto unico, come aperitivo o come spuntino al mare al posto del solito panino. Veloci e semplici da realizzare, sono anche molto gratificanti per il palato perché, se fatte bene, sono ricche di ingredienti e di sapori. Oggi vi propongo una versione con i calamari grigliati, per soddisfare la vostra voglia di griglia. Al posto della pasta, del riso o del farro utilizzeremo inoltre il grano saraceno, un ingrediente meno conosciuto per questo tipo di preparazione. Infatti, solitamente viene utilizzato nei preparati caldi, come zuppe e minestre, e nei panificati. Detto anche “grano nero”, sembra che la sua origine sia da collocarsi in Siberia e in Cina, per poi espandersi in India, Giappone e Turchia. E fu proprio quest’ultima a diffondere questo tipo di coltivazione nel Vecchio Continente, durante il Medioevo. Solo che a causa della sua poca produttività, nel tempo è diventato un cereale di seconda classe, tornato molto in voga oggi, perché privo di glutine e per il suo basso indice glicemico. 34 - BBQ4All MAGAZINE

Il grano si sposa piacevolmente con questo tipo di ricetta: non scuoce, risulta gradevole alla masticazione e il suo sapore tipico si armonizza con gli ingredienti che utilizzeremo. Per legare insieme i calamari e il grano, condiamo il tutto con un pesto di prezzemolo, mandorle, aglio, olio, limone, sale e pepe. Provatelo e poi fatemi sapere cosa ne pensate. Per quello che mi riguarda, questa insalata di grano coi calamari grigliati è balzata al primo posto fra le preparazioni di questo tipo. Preparazione: 1. Lessate in abbondante acqua salata il grano. Una volta pronto, scolatelo e raffreddatelo sotto l’acqua corrente, per bloccarne la cottura. 2. In un mixer tritate il prezzemolo, l’aglio, le mandorle, l’olio d’oliva e il limone. Aggiustate di sale e pepe. 3. Passiamo alla pulizia dei calamari. Afferrate la testa e i tentacoli e con delicatezza tiratela, in modo che si stacchi dal resto del corpo. 4. Eliminate dalla sacca eventuali residui di interiora ed eliminate il gladio, o la penna di cartilagine. Lavate bene la sacca sotto l’acqua corrente.

5. Incidete leggermente la sacca con un coltello per eliminare la pelle spessa del calamaro e con le mani staccatela delicatamente. 6. Prendete i tentacoli, tagliate la testa sopra gli occhi ed eliminate anche il becco. Sciacquate i tentacoli sotto l’acqua corrente. 7. Mi raccomando, è fondamentale asciugare bene i calamari con della carta assorbente. 8. Preparate il dispositivo per una cottura diretta. 9. Quando la griglia sarà rovente, spennellate con un velo d’olio le sacche dei calamari e cuocetele per pochi minuti. 10. Per cuocere i tentacoli, vi consiglio di prendere della carta da forno bagnata e strizzata, di porla sopra le braci e di cuocerci sopra i tentacoli spennellati con un velo d’olio, anche questi per pochissimi minuti. 11. Quando i calamari sono pronti, tagliatetene qualcuno ad anelli, lasciandone altri interi, e tagliate i tentacoli grossolanamente. Conditeli con sale, olio e pepe. 12. Prendete il grano, che avrete versato in una ciotola capiente ed aggiungete il pesto facendo in modo che si distribuisca omogeneamente. Aggiustate di sale e poi unite i calamari conditi,


terminate con una grattugiatina della scorza di limone. 13. Riponete in frigo il recipiente coperto da pellicola alimentare, in modo che il pesto insaporisca sia il grano che i calamari. Per dare un tocco di colore in più, potreste aggiungere anche qualche pomodorino fresco. Mariangela Ibba

I N G REDIENT I P ER 4 PERSO N E · · · · · · · · ·

400g di grano saraceno 4 calamari grandezza media 50g di prezzemolo mezzo spicchio d’aglio (opzionale) 75g di mandorle pelate il succo di un limone 100ml di olio d’oliva sale q.b. pepe q.b.

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MOULES FRITES con le patate andiamo a...cozze!

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SPECIALE PESCE - RICETTA di LUCA GALLOZZA

IN GREDIEN TI

PE R 4/6 PERSO N E • 3 Kg di cozze fresche • 2 kg di patate • mezza cipolla • un porro • una costa di sedano • un rametto di prezzemolo • 50 cl di vino bianco • 50 g di burro • due limoni • due spicchi di aglio • Rub Montreal Steak Seasoning BBQ4ALL q.b. • uno spicchio d’aglio • sale q.b. • pepe o.b. • olio di semi per fritture q.b. • olio extravergine di oliva q.b.

Immagina di stare in una bella villa davanti al mare: un bel giardino con le palme, un prato verde appena rasato e il profumo di salmastro che arriva fino a te. Lì, in un angolino, un bel kettle che ti guarda pronto a mettersi a nudo. E anche se a due passi ci sono ristorantini più o meno quotati, tu preferisci comunque il magnetico richiamo di quel dispositivo. Ma è caldo, non hai voglia di metterti a cucinare ciccia per ore. Quindi, col classico abbigliamento da vacanziero e le infradito di ordinanza, corri subito dal pescivendolo. Stasera hai deciso: cucinerai le Moules Frites con gli amici sul prato, sotto il gazebo, a ridere e a scherzare in piena convivialità, davanti a quel dispositivo che ti ha rapito l’anima. Questo è un piatto di origine belga, preparato molto anche nel nord della Francia: di solito è costituito da mitili cucinati nel brodo o nella birra e poi serviti insieme a patatine fritte. Lo rivisiteremo in chiave BBQ, ovviamente, con un tocco di originalità. Ora smetti di sognare e datti una mossa, se non vuoi rimanere a pancia vuota.

4. Tagliate a fiammifero e friggete le patate. Se le volete perfette seguite le istruzioni del mensile di Giugno sulla patata perfetta. Ancora calde, salate e spolverizzate con il rub Montreal Steak Seasoning 5. Mentre aspettate che le patate siano pronte, posizionate in diretta un wok. Versate dentro il burro, il sedano, il porro e la mezza cipolla tritati finemente, insieme a uno spicchio d’aglio, che poi toglierete quando sarà imbiondito. 6. Fate soffriggere, quindi unite le cozze e il vino. Spolverate di prezzemolo e pepate. Fate sfumare e poi coprite. 7. Mescolate di tanto in tanto, finché le cozze non si saranno tutte aperte. 8. Direi che potete abbrustolire alcune fette di pane sulla griglia ancora calda, spalmandole preventivamente con un velo di burro e siete pronti a servire el Moules- frites ai vostri invitati, insieme alle fettine di limone grigliato. Luca Gallozza

Procedimento: 1. Pulite e lavate bene le cozze. Immergetele in acqua e sfregatele l’una con l’altra per eliminare le incrostazioni e il bisso, avendo cura di eliminare quelle aperte o rotte. 2. Impostate il vostro kettle con il carbone al centro, portando la griglia a temperatura di 180°C. 3. Grigliate in diretta un porro, una mezza cipolla e le fettine di due limoni per qualche minuto. Tenete da parte. ALMANACCO 2019

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Il sale è quel pezzo di mare che non è voluto tornare al cielo (...) Prima c’è la natura, in questo caso il sale, e poi l’uomo, che non può nulla per migliorarne la perfezione, può solo con umiltà cercare di usarlo bene. Tomaž Kavcic

I N G REDI EN TI P E R 4 P E RS ON E

• 1 kg di sale fino • 1 kg di sale grosso • due orate eviscerate • sei foglie di salvia • tre rametti di timo • tre rametti di rosmarino • 1 spicchio d’aglio • pepe q.b. • olio extravergine di oliva q.b.

O R ATA A F F U M I C ATA

su piastra di sale 38 - BBQ4All MAGAZINE

fai da te


SPECIALE PESCE - RICETTA di MICHELA BONGIORNI La cottura su piastra di sale è un metodo ancora poco utilizzato dai griller. Vuoi perché le piastre che si trovano in commercio costano non poco, vuoi perché in molti non si fidano del risultato – diverse persone, spesso, mi hanno confessato il timore che alla fine il cibo risulti troppo sapido- sta di fatto che questo metodo rimane ancora uno dei meno usati dalla maggior parte dei nostri amici grigliatori seriali. Onestamente, è un vero peccato: questo tipo di cottura consente di preparare pietanze deliziosamente saporite e raffinate, oltre ad essere perfetta per la cottura del pesce. Il lento rilascio delle piccole quantità di sale assicura un gusto uniforme, delicato e – per rassicurare i più scettici- sapido al punto giusto. Come ovviare però al problema del costo non bassissimo delle piastre che si trovano in commercio? Facendosela in casa. Ebbene sì, è possibile e nemmeno troppo difficile farsela da soli; oltretutto, in questo modo, si può anche aromatizzarla come si desidera affinché durante la cottura rilasci, insieme alle piccole quantità di sale di cui parlavo prima, anche gli aromi delle spezie che abbiamo scelto. Nel nostro caso, andremo a cuocere su una piastra di sale fai da te un’orata intera. Seguitemi con attenzione perché è divertente, è facile, è scenografico e consente di ottenere un risultato da urlo. Quello dei vostri commensali. Come preparare la piastra di sale fai da te L’interessante metodo nasce da un’idea del cuoco sloveno Tomaž Kavcic, chef che si è fatto conoscere in Europa per la sua cucina innovativa e creativa: si prende del sale grosso e del sale fino, si aromatizza il tutto con un infuso di erbe e si crea una piastra di sale dove cuocere il pesce (intero o a filetti). Si parte quindi dal creare l’infuso di erbe: timo, alloro, rosmarino, aglio, prezzemolo e salvia. Si porta ad ebollizione l’acqua, si attende qualche minuto poi si mettono le erbe in infusione. Trascorso un po’ di tempo, anche una notte intera, si filtra l’acqua e si ottiene quindi l’infuso. A quel punto basta prendere una teglia di alluminio dai bordi alti, farla diventare rovente e poi versarci dentro uno strato di sale fino e uno di sale grosso mescolato con erbe aromatiche a piacere: nel nostro caso timo, rosmarino, salvia e aglio. Si compatta bene il sale e poi si comincia a inumidirlo, bagnandolo poco a poco con l’infuso preparato in precedenza. Si ripete l’operazione fino ad ottenere un strato di almeno 3 cm. A quel punto

non resta che aspettare che la piastra di sale si indurisca e il gioco è fatto. Per pulire la teglia in alluminio, basta versarci dentro un po’ d’acqua e attendere che il sale si sciolga un po’. Oppure, come abbiamo fatto noi, basta rivestire la teglia con dei fogli di alluminio e poi tirare su la piastra di sale alla fine, dopo che si è raffreddata. Preparazione: 1. Accendete il dispositivo e stabilizzatelo ad una temperatura di 180/200 gradi. 2. Fate arroventare nel dispositivo una teglia di alluminio. 3. Nel frattempo, tritate grossolanamente le spezie e mescolatele bene col sale grosso. 4. Quando la teglia di alluminio sarà rovente, versate meta del sale grosso e metà del sale fino nella teglia, livellando bene il tutto. Inumidite con l’infuso che avrete preparato il giorno precendente, usando le stesse erbe che avete mescolato al sale grosso. Mettete la teglia di nuovo nel dispositivo e poi ripetete l’operazione col restante sale. 5. Quando la lastra di sale si sarà indurita e sarà caldissima, abbassate la temperatura del disposiivo a 130 gradi. 6. Oliate bene l’orata eviscerata, insaporitela all’interno con un rametto di rosmarino intero, e poi appoggiatela sulla piastra di sale, tenendo la teglia di alluminio in cottura indiretta. Affumicate con qualche chips di legno aromatico e chiudete il coperchio. 7. Trascorso circa un quarto d’ora, girate l’orata dall’altra parte. Durante la cottura vaporizzate ogni tanto il pesce con l’infuso aromatico. 8. Termometro alla mano: la vostra orata sarà pronta quando infilando la sonda nel punto più carnoso avrà raggiunto i 60 gradi. 9. Non vi resta che toglierle la pelle, deliscarla, sfilettarla e servirla. Un consiglio? Mangiatela così, in purezza, senza coprirla troppo con salse varie, per assaporare tutti gli aromi. Una spruzzatina di limone sarà sufficiente. Un’idea in più? Se avete rivestito la teglia con del foil (fogli di alluminio), potete tentare di sollevare la piastra di sale con molta attenzione, senza farla rompere. A quel punto potrete portare l’orata direttamente in tavola, appoggiata sulla piastra, e sfilettarla davanti ai vostri ospiti: il successo è assicurato. Michela Bongiorni ALMANACCO 2019

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I N GREDIENT I PER 4 PERSO N E

• 4 patate grosse • 1 polpo precotto • 250 g di maionese • 100 g di yogurt bianco intero • un limone • sale q.b. • pepe q.b. • erba cipollina q.b. • olio extravergine di oliva q.b. • burro q.b.

POLPO E PATATE una lunga storia d’amore 40 - BBQ4All MAGAZINE


SPECIALE PESCE - RICETTA di MICHELA BONGIORNI


Conoscete la Jacket Potato? La difinizione sui dizionari è “a large potato that has been baked with its skin on”: insomma, una grossa patata cotta nel forno con la buccia. Infatti, quel “jacket” nel nome, si riferisce proprio a quest’ultima, che le fa da giacchetto, ricoprendola e proteggendola. Nel Regno Unito è un tipico cibo da pub o da street food. Tradizionalmente la servono farcita all’interno con vari ingredienti, dal burro alla panna acida, dal cheddar al bacon. Tuttavia, mi sembravano tutti condimenti un po’ pesantucci vista la stagione. Ho pensato, quindi: ma se abbinassi la Jacket Potato al polpo grigliato? Polpo e patate, si sa, è un grande classico della cucina italiana, specie in estate. Una storia d’amore che dura da sempre. Detto fatto: il risultato è stato decisamente convincente. La patata viene prima cotta nella stagnola a contatto diretto con le braci, poi spennalata con burro e ripassata in griglia in cottura indiretta, in modo che la buccia diventi croccantina; poi scavata, schiacciata e insaporita con una salsa allo yogurt. Infine riempita di nuovo con questa deliziosa purea. Il polpo le viene adagiato sopra, dopo essere stato grigliato e condito. Mentre scrivo ho l’acquolina, ve lo giuro. È veramente una bomba! Come si cuoce il polpo Veniamo a uno dei problemi principali di questa ricetta: come grigliare il cefalopode senza farlo venire duro e gommoso? Il modo migliore è quello di precuocerlo prima. Ok, in che modo? Tralasciando i vari rimedi delle nonne, tappi di sughero nell’acqua di cottura compresi, il modo migliore di precuocere il polpo (e mi raccomando: non polipo!) è NON bollirlo. Intendiamoci, se lo bollite secondo le regole la carne risulterà comunque morbida. Ma potrebbe perdere molto in termini di sapore. Se invece lo portate a cottura in un tegame senza l’aggiunta di liquidi, gli umori che rilascerà saranno sufficienti a mantenerlo umido e morbido. Si procede mettendo il polpo pulito in un tegame a temperatura medio/bassa, coprendolo con il coperchio e lasciandolo cuocere fino ad una consistenza tenera delle carni, da testare con uno spiedino. Una volta cotto si lascia raffreddare all’interno del tegame chiuso, senza toccarlo.

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Successivamente il polpo va conservato fuori dalla sua acqua di cottura in frigorifero per almeno otto ore, in modo che la sua carne torni a essere tonica senza perdere morbidezza. Et voilà. Precuocendolo in questo modo, è pronto per essere grigliato e poi condito. Voi, invece, adesso siete pronti per la ricetta della jacket potato con polpo grigliato. Preparazione 1. Accendete il carbone; avvolgete ogni patata nella carta stagnola e poi adagiatele tutte sui carboni ardenti. Quando saranno morbide, testandole con uno spiedino, toglietele dalle braci, apritele, spennellate la buccia con un po’ di burro e rimettetele in cottura adagiandole sulla griglia in indiretta, stabilizzando il dispositivo a 200 gradi: la buccia si colorerà in breve tempo e loro saranno pronte. A quel punto toglietele dal fuoco e lasciatele raffreddare. 2. Nel frattempo, prendete il polpo precotto, tamponatelo bene con la carta assorbente e spennellatelo con olio; grigliatelo velocemente, in modo che formi una gustosa crosticina. Toglietelo dalla griglia quando è pronto, e tagliatelo a pezzetti abbastanza piccoli. Conditelo con olio, sale, pepe e limone. 3. Aprite le patate praticando un’incisione per lungo e cominciate a scavarle: se sono state cotte bene, la polpa verrà via facilmente e la buccia non si romperà. 4. Mescolate lo yogurt alla maionese, aggiungendo un po’ di pepe e di erba cipollina. 5. Versate un po’ di salsa all’interno di ogni patata scavata e poi unite un altro po’ di salsa alla polpa delle patate. 6. Lavorate la purea con una forchetta, aggiustando di sale di pepe. Quando sarà omogenea e liscia, usatela per farcire ogni patata. Poi, di nuovo, versateci sopra un po’ di salsa allo yogurt e guarnite con erba cipollina a pioggia. 7. Adagiate sulle patate il polpo grigliato e condito. Servite con un’abbondante macinata di pepe. Michela Bongiorni


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SPECIALE PESCE - RICETTA di EMILIANO NENCIONI

NON CI SONO PIÙ

L E I N S A L AT E

D I U N A V O LTA (… e menomale!)


INGRED I EN TI P ER 4 P E R S ON E

• 200g di misticanza • un mango maturo • una mela Granny Smith • tre cucchiai di semi di zucca, miglio, lino, sesamo • olio extravergine di oliva di ottima qualità • un cucchiaio di Worcestershire Sauce • il succo di un limone • una carota

Ti hanno svuotato un rasaerba nel piatto? Questa è la battuta di repertorio che fatico a trattenere ogni volta che qualcuno mangia un’insalata. Detesto l’insalata, è un blocco mentale infantile che non riesco a rimuovere: non ci provo neanche più. Durante la mia infanzia dickensiana ho avuto un vecchissimo pediatra, retrogrado e tradizionalista, che, per correggere la mia alimentazione, era solito tuonare: “questo bimbo deve mangiare più insalata! Mezzo cucchiaio d’olio a pasto!” L’insalata copriva quindi un ruolo di punizione, di sanzione per non aver saputo soddisfare i canoni da Deutschen Jungvolk che il medico vegliardo voleva applicare allo scontroso bimbotto dal caschetto platinato. È un piatto che non ho mai visto come un contorno, o come un cibo fresco, ma come una sostituzione mortificante di un piatto più gustoso: qualcosa da mangiare senza piacere, senza gusto, solo perché meno calorico di altre pietanze, solo perché fa bene. Il livello di odio per queste legnose e amare fogliacce arriva al punto di impormi di togliere la lattuga da qualsiasi hamburger da fast food, di detestare la rucola sopra la carne (ma seriamente piace a qualcuno? Rovina il manzo!) e di far scoppiare inutili polemiche quando un amico ordina la pizza del giardiniere, quella condita con una quantità ridicolmente eccessiva di foglie di erbacce infestanti non meglio identificate. Recentemente ho aggiornato la battuta del rasaerba svuotato nel piatto con qualcosa di più ricercato, la pizza pullula sotto un arco chiomato di caprifogli e di pruni, ALMANACCO 2019

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SPECIALE PESCE - RICETTA di EMILIANO NENCIONI riuscendo comunque a creare un discreto e indispettito malcontento. L’insalata, però, mi dicono, serve. Accompagna un piatto. È fresca, non è punitiva, esistono persone che la mangiano anche non sotto minaccia, provandoci un certo gusto. A volte serve un trauma per scacciare un altro trauma, ed è forse quello che mi è successo un anno fa. Gianfranco Lo Cascio aveva organizzato un’ambitissima cena a base di carne pregiatissima, riservata a pochi fortunati clienti: tutti i coach e gli assistenti erano stati chiamati a preparare il menù più esclusivo mai visto, e a seguire le cotture perfette che il nome del brand richiede. Complice un ingorgo e forse anche una prima colazione troppo ricca, arrivo sul posto con tre ore di ritardo, e credo proprio che, dopo un veloce ma indispettito consulto, mi abbiano messo di corvée. C’era chi si occupava di trimmare lombatelli di altissimo livello, chi aveva la responsabilità degli hamburger, chi avrebbe dovuto assicurare la perfezione di bistecche degne di una gioielleria, chi con ampi sorrisi avrebbe accompagnato gli invitati a tavola, fungendo da immagine e interfaccia di BBQ4All verso il pubblico, deliziando con amene conversazioni ogni curiosità degli avventori. Mi hanno messo ad affettare le mele. Sei cassette di mele. E poi il mango, i cetrioli, le carote. Per sei ore, in piedi, in una posizione che dava estremo fastidio al restante personale della cucina. La situazione mi ricordava molto certe storie di Giovan Battista Carpi, sul Topolino degli anni ‘70, con Paperino costretto a pelare quintali 46 - BBQ4All MAGAZINE

di patate in cambusa perché lo Zio Preparazione: Paperone aveva scelto dei biglietti 1. Taglia la carota alla julienne un po’ troppo economici per la dopo averla lavata, privata crociera in transatlantico. delle estremità e pelata con un Il ritardo in autostrada non mi aveva pelapatate; prendi la misticanza permesso di pranzare, e sicuramente e riduci in striscioline ogni foglia non avrei potuto cenare prima più grossa, facendo in modo che della fine dell’evento: mi sentivo la tipica apparenza di fogliame e spacciato, e circondato da maledetta di potatura di siepe scompaia, ma verdura. senza eccedere nello sminuzzare La fame leva il lupo dal bosco, si sa, per evitare di arrivare all’effetto e a poco a poco quella miscela di opposto, il mulching. foglie, frutta, semi e ortaggi iniziava 2. Lava il mango sotto l’acqua ad apparirmi sempre più invitante, corrente, ma non sbucciarlo sempre più appetibile, forse per adesso: come forse saprai ineluttabile. al suo interno è presente un A un certo punto succede. nocciolo allungato e piatto, saldamente attaccato alla polpa. È uno di quei momenti segnanti, Immaginandoti il nocciolo quando non puoi più dire io non all’interno del frutto tenuto in l’ho mai fatto, quando non ti puoi verticale sul tagliere, taglia una più permettere di dire ah no no, io calotta a destra e una calotta non lo farò mai, perché l’hai già fatto. a sinistra, lasciando una parte E sotto sotto sai di non poter dire centrale spessa circa 25mm, che nemmeno comunque non lo farò conterrà il nocciolo. Sdraia sul più, perché se ci pensi bene ti è tagliere la parte centrale e fai piaciuto, e lo rifarai, eccome se lo un’incisione ellittica attorno al rifarai. nocciolo, che se ne verrà quindi Avevo sotto mano gli ingredienti via pacificamente: a questo di due diverse insalate presenti nel punto puoi togliere la buccia, menù quella sera, e al riparo da occhi operazione discretamente facile indiscreti ho assemblato l’unica ma da non dimenticare, perché insalata capace di piacermi. la buccia del mango è spiacevole Buona, fresca, ricca di sapori, con durante la masticazione. Riduci una bella consistenza in bocca, anzi il mango in cubetti di lato con svariate consistenze diverse. approssimativamente 15mm. L’unica insalata che mangio. L’unico 3. Lava la mela e tagliala in quarti piatto verde che non tratto come un lungo il suo asse di simmetria che medicinale sgradevole. passa dal picciolo. Ad ogni quarto È un’insalata davvero buona, e se togli picciolo, torsolo e semi, piace a me puoi davvero fidarti. appoggialo su un tagliere e con Voglio dirti come farla, nella speranza un coltello molto affilato riduci la di offrire qualcosa di gustoso a chi mela in tante sottili fette simili a come me ha sempre visto la lattuga una C. Ti consiglio di non andare come la forma più abbietta e svilente oltre il millimetro e mezzo di di punizione culinaria. spessore: non serve una calibratrice a rullo, ma se col coltello fai attenzione ti assicuro che questo


è il compromesso ideale per una giusta sensazione di croccantezza e flessibilità tra le fauci. 4. Spremi il limone in un bicchiere, togli eventuali semi caduti e aggiungi l’olio. Sbatti con una forchetta o una piccola frusta, cercando di ottenere un’emulsione (una goccia di senape aiuta a stabilizzare), poi aggiungi la Worcestershire Sauce. In una scodella versa tutta la parte vegetale, la frutta, il mix di semi, l’emulsione e gira il tutto per uniformare. Aggiusta a tuo piacimento la quantità di olio e di sale, aggiungendo anche limone se preferisci un gusto più aspro. Il trucco, in questo caso, è di aumentare sempre la quantità di mela e mango a discapito della misticanza. Per una completa (ma non obbligatoria) Nencioni Experience dovrai arrivare a una sorta di macedonia salata arricchita con semi, con sporadiche tracce di lattuga e radicchio. Le foglie stanno bene in giardino. Emiliano Nencioni

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GHIACCIO FUMANTE sorbetti allo yogurt con melone bruciato

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SPECIALE PESCE - RICETTA di MICHELA BONGIORNI Cerco l’estate tutto l’anno, anche se odio il caldo afoso e le zanzare, le scottature e le pubblicità mendaci dei deodoranti che spingono la gente a non lavarsi, principalmente per due cose: il mare e la frutta di stagione, in special modo il melone. È fresco, succoso, gustoso. È il tuo migliore amico quando vuoi fare uno spuntino di pomeriggio e, con 45 gradi all’ombra, anche se la fame dice panino farcito con tutti i gusti più uno, lo spirito di sopravvivenza ti suggerisce melone ghiacciato. È anche il tuo salvacena ideale: arrivi a casa, apri il frigo, prendi il prosciutto crudo senza nemmeno toglierlo dal cartoccio, tagli a fette il melone, apri una bottiglia di bollicine e sei felice. Cracco te spiccia casa, in pratica. Tuttavia, noi siamo qui perché anche con 45 gradi all’ombra vogliamo a tutti i costi farti accendere il dispositivo. Non è sadismo, è che quando il carbone chiama, il vero griller risponde. È comunque vero, però, che le temperature del periodo tendono a farti desiderare qualcosa di ghiacciato e dissetante. Ghiaccio e fuoco, il re degli ossimori. Come unirli? Così: col melone cotto a contatto diretto con le braci e poi utilizzato per dei piccoli sorbetti allo yogurt. È più facile a farsi che a dirsi. La cottura in ember dona al melone una lievissima, ma non invadente, nota affumicata e caramellata, che si unisce perfettamente al

sapore più acido dello yogurt. Questi sorbetti sono perfetti a fine pasto, oppure fra una portata e l’altra, specie se hai appena mangiato l’insalata di grano col pesto ricco di aglio che ti propone Mariangela su questo stesso numero; ma anche come spuntino durante le giornata, quando la tua non è proprio fame ma più voglia di qualcosa di fresco (e buono). Insomma, fanne in grande quantità perché li vedrai sparire dal freezer alla velocità della luce. Preparazione: 1. Accendete mezza ciminiera di bricchetti e versateli nel dispositivo sulla griglia carboni. Appoggiateci sopra il melone e chiudete il coperchio. Dopo circa venti minuti giratelo dall’altro lato. Sarà pronto quando lo vedrete bruciacchiato fuori e lo sentirete cedevole al tatto. 2. Togliete il melone dalle braci, apritelo a metà facendo molta attenzione a non bruciarvi e lasciatelo raffreddare. 3. Una volta raffreddato, con un cucchiaio privatelo dei semi, poi scavate bene la polpa e mettetela nel mixer insieme allo yogurt e allo zucchero. 4. Preparatevi dei bicchierini di carta (quelli adatti per il caffè) e delle forchettine di legno per aperitivi: infilate una fragolina con le forchettine, versate il composto di yogurt e melone nei bicchierini riempendoli un po’ più di metà, e poi posizionate al centro la forchettina con la fragola. 5. Riponete i bicchierini in freezer per almeno una notte: al momento di servire lasciate che si scongelino leggermente e riuscirete facilmente a rimuovere i sorbetti dallo stampo. Michela Bongiorni

I N G RED I EN TI

P E R 8 / 10 S ORBE T T I: • un melone di grandezza media • 300 g di yogurt bianco cremoso • 100 g di zucchero • 8 fragole piccole

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SPECIALE PESCE - PROCEDIMENTO a cura di LUCA GALLOZZA

come pulire e sfilettare

il pesce

Quello del pesce e di come sfilettarlo è un problema spinoso, in tutti i sensi. Non tutti sono capaci di farlo e vanno nel panico quando hanno la necessità di preparare particolari ricette che prevedono l’uso del solo filetto. Ora vedremo con i vari passaggi come sfilettare al meglio un pesce tondo. Partiamo dal fatto che, ancor prima di sfilettarlo, tutto ciò che concerne questa operazione è legato alle operazioni di pulizia del pesce. Semplifichiamo i vari passaggi elencandoli in successione, poi andremo ad analizzarli al meglio punto per punto. Fondamentale, in queste sequenze principali, è lavorare in ambiente pulito e igienicamente sicuro, nel minor tempo possibile, trattandosi di una materia prima fresca e particolarmente delicata. Pertanto anche gli strumenti utilizzati, come coltelli e taglieri, andranno mantenuti perfettamente puliti e in piena efficienza per ottenere il miglior risultato possibile. Vediamo dunque i passaggi : Sbarbare Con questa operazione si eliminano tutte le pinne. Partiamo con il togliere le pinne dorsali, poi quelle ventrali e quelle anali, con un coltello da pesce o ancor meglio con le forbici. Fate attenzione alle spine che contengono ghiandole velenifere, che pungendo causano dolore.

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SPECIALE PESCE - PROCEDIMENTO a cura di LUCA GALLOZZA Squamare Partendo dalla coda, eliminate le squame, tramite coltello o apposito accessorio, raschiando verso la testa.

Eviscerare Con una forbice, incidete il pesce procedendo dal foro anale verso la base delle branche. A questo punto continuante eviscerando il pesce. Eliminate anche eventuali sacche di sangue centrali. Asportate le branchie sempre usando la forbice ed infine lavate abbondantemente sotto acqua corrente. Sgocciolate e asciugate bene.

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SPECIALE PESCE - PROCEDIMENTO a cura di LUCA GALLOZZA Sfilettare Effettuate un taglio con un coltello da pesce, partendo dalla parte alta della testa e scendendo sino al ventre, parallelamente alla branchia. Incidete il dorso, dalla testa sino alla coda, separando il filetto dalla lisca centrale. Ottenuto il primo filetto, rivoltate il pesce dall’altro lato ed effettuiamo le stesse operazioni per ottenere il secondo filetto. Controllate la presenza di eventuali spine, ed eliminatele con un’apposita pinzetta.

Rifilate la parte del ventre, eliminando le spine più grosse e squadrate i lati del filetto.

Il nostro lavoro di sfilettatura è terminato. A seconda della preparazione si continua eliminando la pelle e lavorando il filetto in scaloppe, in tranci, in medaglioni o facendo una dadolata. Non era poi così difficile, vero? Luca Gallozza 52 - BBQ4All MAGAZINE


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VINI ABBINATI a cura di ENIO BERTON

È ORA DI

BERE! abbinamenti consigliati

POUILLY FUMÉ BARON Vino: Cantina: Abbinamento :

Pouilly Fumé Baron de Ladoucette 2017 Baron de Ladoucette Orata su piastra di sale

L’orata è sicuramente uno dei pesci più conosciuti e mangiati in Italia, amato per la sua carne bianca, consistente e saporita. Si adatta a diversi tipi di cottura che ne esaltano, comunque, il sapore. Come non abbinare ad un piatto così popolare un altrettanto notissimo vino come il Sauvignon? È un vino internazionale coltivato con buoni risultati in tutto il mondo: oltre che in Europa, lo troviamo in Sudafrica, in Australia, in Nuova Zelanda e negli Stati Uniti. Tuttavia è la Francia la regina nell’espressione di tale vino. Originario dalla zona della Loira (per alcuni dalla zona di Bordeaux) deve il suo nome alla parola francese “sauvage” (selvaggio). La cantina, o meglio il domain Baron de Ladoucette, è nelle mani della famiglia dalla fine del 1700 con l’acquisizione dei terreni dalla figlia illegittima di Luigi XV. Attualmente possiede 165 ettari nelle zone più importanti del vino francese e viene considerato uno dei migliori produttori di Sauvignon Blanc al mondo. La sede della cantina è nel castello di Nozet a Pouilly sur Loire. Tutte le produzioni sono fatte con uve raccolte a mano e vinificate per singolo appezzamento. La produzione di Pouilly-Fumé, prodotto sotto l’Appellation Pouilly-Fumé Contròllé - la nostra DOC - possiamo definirla una base che ci permette di entrare nel mondo dei vini francesi senza spendere uno sproposito. Prodotto da uve raccolte a mano, non essendo un cru raccoglie uve da diversi vigneti che vengono lasciate fermentare sui propri lieviti dai 3 ai 6 mesi per poi proseguire l’affinamento in vasche. Dal colore giallo paglierino tenue, al naso si presenta con un bouquet ampio ma delicato di fiori bianchi con note minerali e di affumicato. Al palato risulta fresco, vivace, di buona struttura. Emergono note agrumate ed erbacee, fin di bocca persistente sapida e minerale. Da servire a 10/12 gradi in bicchieri tulipano. Uve: 100% Sauvignon blanc Zone produzione: zona di Pouilly Esposizione: sud Grado alcolico: 13,50%

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FA L A N G H I N A Vino: Cantina: Abbinamento :

Falanghina Morabianca 2018 Irpinia DOC Mastroberardino cous cous con scampi

Il cous cous richiama alla mente i sapori e profumi del Marocco, ma in questo piatto troviamo in particolare il sugo di pesce fatto anche con scampi che, oltre ad impreziosirlo, gli dona la dolcezza tipica del crostaceo. Abbiamo bisogno di un vino giovane, non invasivo, con una buona acidità che compensi la dolcezza del nostro piatto. Questa volta andiamo in Campania e più precisamente nella zona di Avellino dove la cantina Mastroberardino coltiva la Falanghina. Vitigno dalle origini incerte - se ne hanno notizie a partire dalla seconda metà del 1800 secondo alcuni deve il suo nome alla falange, palo di sostegno della vite. Ha resistito alla filossera e può essere ancora coltivato su piede franco (breve nota tecnica: l’epidemia di filossera nella seconda meta del 1800 distrusse quasi tutti i vitigni in Europa e non solo; l’insetto, intaccando le radici delle vigne, portava la pianta alla morte in pochi anni. Si scoprì che certi vitigni erano resistenti alla malattia e si iniziò ad usare la tecnica dell’innesto: su un portainnesto resistente alla filossera si innesta, appunto, il tralcio del vitigno desiderato. Piede franco significa vite senza innesto). La cantina Mastroberardino fa parte della storia della viticoltura campana, fondata nel 1878 continua a produrre i tipici vini della zona per cui, oltre alla Falanghina, troviamo Greco di Tufo, Fiano di Avellino ed Aglianico. Il Morabianca nasce nel comune di Mirabella Eclano dove verso la fine del mese di ottobre viene vendemmiato a mano e vinificato in vasche di acciaio. Dopo una breve permanenza in bottiglia (3-4 mesi), viene messo in commercio. Dal colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, al naso prevalgono le note fruttate con sentori di agrumi ed alcune note floreali. Al palato risulta fresco con una ben bilanciata acidità, fin di bocca persistente. Da servire a 8/10 gradi in bicchieri tulipano. Uve: 100% Falanghina Zone produzione: Comune di Mirabella Eclano (AV) Grado alcolico: 13,00%

PIGATO Vino: Cantina: Abbinamento :

Pigato Terre Ferme 2018 Riviera Ligure di Ponente DOC Lunae insalata di grano saraceno con calamari grigliati

Bella insalatina fresca ed estiva, complessa per l’abbinamento, nella quale troviamo grano saraceno, pesto, mandorle, agrumi e calamari grigliati. Sono presenti note dolci, acide e quel leggero sentore di griglia dei calamari. Abbiamo quindi bisogno di sapidità, acidità bilanciata ed aromi non invasivi. Ci rechiamo in Liguria: vi invito ad assaggiare questo Pigato prodotto dalla cantina Lunae. Il Pigato, assieme al Vermentino, è il vitigno a bacca bianca maggiormente prodotto in Liguria. Le prime tracce scritte del Pigato si trovano dal 1800, ma le origini sono ben più lontane anche se incerte. Il nome sembra derivare da pigau, termine dialettale locale che significa macchiato, in riferimento alle piccole macchie di color ruggine presenti nella buccia dell’acino dopo la maturazione; altri lo fanno risalire a picatum, vino aromatizzato in epoca romana. La cantina Lunae nasce nel 1966 da Paolo Bosoni che inizia ad utilizzare i possedimenti familiari per la produzione di vino nella bellissima zona dei Colli di Luni in provincia di La Spezia. Il Terre Ferme nasce da vitigni presenti a Castelnuovo Magra e Ortonovo, a sud del fiume Magra al confine con la Toscana. Le uve vengono raccolte a mano da metà settembre e la fermentazione e la successiva maturazione avvengono in vasche di acciaio inox a temperatura controllata. Dopo pochi mesi viene imbottigliato e messo in commercio. Dal colore giallo paglierino con riflessi verdi, si presenta al naso con un bouquet ampio molto floreale: profumi di fiori di albero da frutto e con note di frutta a polpa gialla. Al palato si sente la sapidità, data dalla posizione dei vigneti, con una buona freschezza che lo rende piacevole. Fin di bocca equilibrato e persistente. Da servire a 8/10 gradi in bicchieri tulipano. Uve: 100% Pigato Zone produzione: Colli di Luni Grado alcolico: 12,50% ALMANACCO 2019

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BIRRE CONSIGLIATE a cura di RICCARDO MENICONI

FIGU MORISCA Il succoso medaglione di merluzzo con salsa allo yogurt saprà di certo soddisfare la nostra voglia di un bel panino appagante ma al contempo fresco e leggero. Per accompagnare, senza sovrastare, questo fantastico piatto la scelta ricade su una blanche tutta italiana. Caratterizzata dall'uso di un tipico prodotto della Sardegna, il Birrifico di Cagliari ha creato la Figu Morisca, probabilmente la più riconoscibile blanche italiana grazie per l'appunto all' uso del fico d'india. Il piccolo brewpub, con questo capolavoro, si è guadagnato un posto in molte spine delle birrerie indipendenti di tutto il continente. Nel bicchiere si veste di un giallo paglierino opalescente con riflessi ramati, un cappello bianco, pannoso ma non troppo persistente. Il naso, fruttato, è caratterizzato naturalmente dal fico d'india, affiancato da coriandolo e scorza d'arancia tipiche delle grandi blanche belghe. La bevuta è piacevole, delicata e accattivante grazie al grande profilo aromatico: ritroviamo il fico d'india e una leggerissima acidità che rende il tutto ancora più rinfrescante. Vi consiglio di berla ad una temperatura di 8 gradi in un weisseglass o in un tulipano svasato, magari in spiaggia, ammirando le cristalline acque della Sardegna, ma anche a tavola. Tanto, in qualsiasi posto vi troviate, riuscirà a farvi sentire in vacanza.

OUDE GEUZE Tornando dalla spiaggia, dopo una calda mattinata di Luglio, abbiamo fame ma non abbiamo certo voglia di pietanze pesanti. E cosa c’è di meglio dell’abbinamento polpo e patate per saziare il nostro appetito con leggerezza? Ovviamente abbiamo anche una certa sete, e non c’è niente che possa accompagnare questa pietanza meglio di una Oude Geuze 100% Lambic Bio della tradizione belga, più specificatamente della regione del Pajottenland, famosa per la grande quantità di lieviti selvaggi autoctoni che hanno reso celebre il birrificio Cantillon. Questi stili fanno storia a parte, nel mondo delle fermentazioni, non avendo nulla a che vedere con ale o lager. La birra viene fatta fermentare in grandi vasche di rame aperte in modo da favorire lo scambio di ossigeno e lieviti presenti nell’aria. Grazie a questo particolare processo, acquisisce una naturale acidità e una spiccata personalità. In particolare questa birra è ottenuta da un blend di 3 lambic di diverse annate che donano una complessità e un’aromaticità fuori dal comune. Nel bicchiere si presenta con un magnifico color biondo dorato e leggeri riflessi arancioni, sovrastata da una tenue schiuma bianca poco persistente che lascia trapelare da subito il bouquet aromatico dominato da agrumi non ancora maturi e da note di albicocca. Al palato la caratteristica che colpisce di più è sicuramente la spiccata acidità, probabilmente non troppo apprezzabile le prime volte ma che conquista già dal secondo sorso. Ritroviamo anche le sensazioni agrumate e fruttate esaltate da una piacevole carbonatura. Vi consiglio di servirla ad una temperature di 8 gradi nel tipico tumbler. ATTENZIONE: Una volta assaggiato questo stile non si torna più indietro.

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COCKTAIL a cura di RICCARDO MENICONI

KYOTO SOUR Il vol au vent di gamberi grigliati è una pietanza sfiziosa, perfetta per la stagione estiva. Possiamo servirla come aperitivo, sulla nostra terrazza vista mare, donandogli un tocco moderno ed orientale affiancandola ad un Kyoto Sour. È un cocktail fresco e dissetante, che ci accompagnerà piacevolmente alla cena, grazie all’acidità del succo di limone. Variante dei più classici cocktails sour, ha come ingrediente principale il Sake, bevanda alcolica tradizionale giapponese ottenuta dalla fermentazione del riso. Per prepararlo mettiamo in uno shaker: • 9cl di sake • 1,5cl di succo di limone • 2,2 cl di nettare d’agave • qualche goccia di tabasco verde Riempiamo di ghiaccio e schakeriamo, con l’ausilio di uno strainer trasferiamo in un tumbler basso (rockglass) precedentemente raffreddato e colmo di ghiaccio. Decoriamo con una fetta di pompelmo e menta fresca, che donerà aromaticità al nostro cocktail.

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brining

CHAPTER THREE variazioni sul tema

In questo capitolo sulla salamoia discuteremo l’uso degli edulcoranti, le proprietà delle spezie e degli esaltatori di sapidità, ed inizieremo a comprendere qual è la linea sottile che divide una salamoia da una marinata.

sulla struttura e la conservabilità degli alimenti. Il cloruro di sodio può essere impiegato sia a secco, per aspersione, sia disciolto in salamoie. Inoltre può essere utilizzato in purezza oppure combinato con altri agenti con azione tecnologica e conservativa (nitriti, cloruro Abbiamo visto come il sale da cucina, se usato di calcio e polifosfati). Abbiamo anche discusso su correttamente, ha un effetto estremamente potente come approcciare le tecniche di Dry e Wet Brining e in 58 - BBQ4All MAGAZINE


THE CHEMICAL GRILLERS - RUBRICA a cura di VIRGILIO BRUNETTI particolare abbiamo affrontato il discorso sull’efficacia del sale in termini di intenerimento della carne, mediante la denaturazione delle proteine muscolari, e sul conseguente incremento della succulenza e della sapidità.

dissociazione in acqua del comune sale da cucina, per cui si diffondono nella carne con una velocità molto bassa e rimangono confinati agli strati superficiali dell’alimento favorendo le reazioni di imbrunimento in cottura.

Oltre all’effetto ritenzione, il sale - in particolare lo ione sodio - è un efficace inibitore della crescita batterica soprattutto se utilizzato ad elevata concentrazione; inoltre con il suo uso si abbassa un parametro, fondamentale per la crescita di numerose specie batteriche, detto attività dell’acqua (Aw), ossia quella quota di acqua utile da permettere la sopravvivenza dei batteri. Il wet brining tradizionale (gradient brining) è ormai una tecnica consolidata e i suoi vantaggi sono indubbi, ma spesso gli strati superficiali degli alimenti risultano ipersalati. Gli effetti collaterali del gradiente di sapidità può essere gestito utilizzando tempi lunghi di esposizione e una quantità di sale non superiore al 2% in peso totale (riferito al peso della carne e dell’acqua). Questa tecnica evoluta denominata equilibrium brining ha però delle criticità in termini di tempo di esposizione e sicurezza alimentare, in quanto la quota di sale aggiunto è insufficiente a gestire la proliferazione dei batteri e i tempi di salatura sono dilatati.

Tecnicamente, il bilanciamento di una salamoia può quindi avvenire con l’aggiunta di edulcoranti come: saccarosio, glucosio, fruttosio, zuccheri di canna non raffinati, melassa, sciroppi, succo d’acero, malto, miele. Ovviamente alcuni di questi dolcificanti hanno un effetto caratterizzante sulla preparazione, dovuto al loro naturale profilo aromatico. Le quantità sono variabili: per il saccarosio (zucchero da tavola) le dosi possono variare dal 2 al 20% sul peso della carne, dal 5 al 30% per fruttosio e miele, dal 5 al 30% per lo sciroppo di glucosio. I rapporti sale zucchero devono tenere conto del potere edulcorante dello specifico zucchero. Il fruttosio e relative fonti di fruttosio hanno un potere edulcorante circa doppio rispetto al saccarosio, mentre lo sciroppo di glucosio ha un potere edulcorante inferiore rispetto al saccarosio. Il rapporto sale zucchero si attesta tra 1:1 e 3:1.

Aggiunta di Edulcoranti (sweeteners) In alcuni casi, proprio per bilanciare l’eccesso di sapidità nelle salamoie tradizionali, si preferisce utilizzare una miscela di sale da cucina e zucchero semolato detta sale bilanciato. È una metodica molto in voga tra gli amanti della cottura a bassa temperatura e tra gli chef anche di un certo calibro, tuttavia se fate un giro veloce in rete troverete che l’uso dello zucchero combinato al sale non viene motivato in nessun modo. Addirittura in alcuni casi vengono attribuite proprietà al sale bilanciato che non hanno nulla a che fare con la realtà. Facciamo, dunque, un minimo di chiarezza. L’uso dei sali bilanciati nelle tecniche di seasoning, ed in particolare nel brining, ha la funzione di abbassare l’attività dell’acqua inibendo la crescita dei batteri che non tollerano condizioni di osmolarità elevata; inoltre la combinazione di salato e dolce serve a mascherare gli eccessi di sapidità dovuti a concentrazioni di sale elevate (5-10%). Lo zucchero, poi, migliora la resa della reazione di Maillard. Le molecole degli zuccheri semplici, infatti, hanno una dimensione di gran lunga maggiore rispetto agli ioni inorganici (Na+ Cl- ) che si generano dalla


Aggiunta di aromi e spezie Piante aromatiche e spezie, sia secche che fresche, costituiscono un vero e proprio arsenale a disposizione del griller; tuttavia, sebbene siano fondamentali nella formulazione di rub, marinate e salse, sono degli elementi facoltativi nelle tecniche di dry e wet brining. L’uso di spezie ed erbe officinali deve essere sempre contestualizzato alla preparazione e alle caratteristiche dell’alimento che andiamo a trattare, poiché l’uso non consapevole porta spesso a eccessi che possono generare veri e propri disastri gastronomici. L’uso di questi elementi aromatici ha la funzione primaria di valorizzare e talora correggere alcune caratteristiche degli alimenti. Vale la pena sottolineare che i principi attivi presenti in molte specie vegetali danno un aiuto considerevole nel controllo della crescita batterica e nella gestione dei fenomeni di ossidazione. Tuttavia, solo alcune sono realmente efficaci: timo, rosmarino e origano sono erbe officinali ricche di oli essenziali dalle spiccate proprietà antiossidanti. Aggiungendo circa l’1% di queste essenze sul peso della carne si ottiene un effetto antiossidante pari a quello dell’acido ascorbico. Inoltre, timo e origano esplicano una efficace azione antimicrobica. In questo contesto aglio e paprika, aggiunti in ragione del 1-3%, oltre ad avere un forte effetto antiossidante contengono fonti 60 - BBQ4All MAGAZINE

naturali di nitriti e nitrati con potenti effetti conservanti. Qualsiasi altra aggiunta aromatica non ha reale efficacia: ha valore solo nella creazione di un opportuno flavour profile. Esaltatori di sapidità (flavour enhancer) Il glutammato monosodico GMS è il sale dell’acido L- glutammico, uno dei venti amminoacidi che compongono le proteine di qualsiasi essere vivente. È uno di quelli più presenti negli alimenti, sia in forma libera che sotto forma proteica: il glutine è composto per il 25% da questo amminoacido, mentre la caseina circa per il 20-23%. Oltre ad essere implicato nella costituzione delle proteine, l’acido glutammico è uno dei più importanti neurotrasmettitori del sistema nervoso centrale, si ipotizza che sia implicato in funzioni cognitive quali l’apprendimento e la memoria. Questa sostanza presente in abbondanza in molti alimenti cari a noi italiani (Parmigiano, pomodori e funghi porcini ad esempio) ha una fama assolutamente sinistra perché creduto erroneamente responsabile della famigerata sindrome del ristorante cinese. GMS è il capostipite di una serie di sostanze responsabili della percezione del quinto gusto: l’umami. Chi ha fatto della cucina la propria passione o professione, sa che i


THE CHEMICAL GRILLERS - RUBRICA a cura di VIRGILIO BRUNETTI quattro classici sapori fondamentali interagiscono tra di loro in sinergia o in contrasto: ad esempio il sale a basse concentrazioni aumenta la percezione dolce, mentre dolce e salato in alte concentrazioni si annullano; l’aspro viene smorzato dal dolce mentre viene intensificato con il salato e con l’amaro, e così via. L’umami funziona invece come un potenziatore della percezione sensoriale di tutti gli altri sapori fondamentali. Il ruolo del GMP in purezza ha un uso limitato nelle tecniche di brining, tuttavia vale la pena citare delle variazioni sul tema, ad esempio l’utilizzo delle salse di soia come veri sostituti di una salamoia standard. Le più comuni salse di soia commerciali, a seconda dei brand, possono contenere fino al 20% di cloruro di sodio, quindi opportunamente diluite possono essere utilizzate come base per ottenere una umami brine. Ci sono altre sostanze responsabili del gusto umami, presenti in molti preparati da brodo, in particolare inositato e guanilato disodico agiscono in sinergia col GMS per aumentare la percezione del gusto umami. L’uso di questi preparati, spesso utilizzati nelle misture da injection, costituisce una manovra correttiva in caso di carni troppo fresche o di mediocre qualità, ma con l’abuso si possono generare effetti collaterali spiacevoli dal punto di vista gustativo, perché essi possono conferire alla carne il classico sapore di dado da brodo. Componenti acide?

Spesso, nelle discussioni tra griller, si consiglia di acidificare la salamoia aggiungendo componenti acide a vario titolo. Ti dico subito che questa procedura potrebbe vanificare in parte l’uso delle tecniche di wet brining. Infatti le componenti acide cuociono chimicamente la superfice degli alimenti, in particolare la carne, irrigidendo la struttura superficiale e limitando in maniera significativa la diffusione degli elettroliti presenti nella soluzione salina. Inoltre tutti i prodotti che di fatto variano il pH delle soluzioni saline, sia verso l’acido che verso il basico, sono da considerarsi a cavallo della sottile linea che distingue le tecniche di brining, in cui l’attore principale è il sale, e le marinate, che hanno utilizzi e applicazioni estremamente varie, e che possono essere distinte più ampiamente in marinate acide, alcaline, alcooliche ed enzimatiche. Ma i dettagli li vedremo nel prossimo capitolo dedicato a queste tecniche. Virgilio Brunetti


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DAL MEGASTORE ALLA BRACE - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI

non rinunciare alla ... preparati un bel

ciccia...

B A LT I M O R A PIT BEEF Il panino che mette tutti d’accordo

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DAL MEGASTORE ALLA BRACE - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI Baltimora Pit beef, un delizioso panino con fette sottili di eye round (girello) di manzo... nel numero di Luglio del Magazine BBQ4All con lo speciale pesce? Eh sì. Per l’appunto a chi tocca scriverlo? Al più riottoso e disallineato, è chiaro. Nella riunione di redazione, dove abbiamo stabilito di dedicare un numero intero al pesce, ho pensato alla mia scarsa simpatia per il cibo proveniente dai regni di Nettuno: buono, sì, quando è fatto bene, ma un po’ laborioso da pulire, discretamente puzzolente per i nasi delicatucci come il mio, e poi l’ansia persistente di conficcarsi una spina nel cavo orale, andare al pronto soccorso, codice bianco, lamentarsi della Sanità, pagare il ticket. No, ripeto, buono il pesce fatto bene, bellissime le ricette proposte sul Magazine questo mese: te lo garantisco visto che sono tutte quante risultate eccellenti al mio palato, nonostante l’antipatia di cui sopra. Ho pensato però di dover proporre anche un’alternativa proveniente dal mondo animale asciutto, quello che usa zampe e non pinne. Ciò che ti vado a spiegare è una preparazione molto importante nella carriera di un appassionato griller. Il Baltimora Pit Beef è di fatto la prima cosa che si fa, o che si dovrebbe fare, nel momento in cui si tenta il salto da grigliatore inconsapevole e brucia costine verso il griller scafato, esperto, pieno di nozioni e di metodi - che poi è quello che giocoforza diventerai, o già sei, se segui con passione le vicende di BBQ4All. È la prima cottura un po’ più lunga, ma non lunga dodici ore, un po’ più tecnica, ma non a difficoltà nightmare: un rito di passaggio, una via di mezzo ideale. Sto parlando di una cottura ibrida: un paio di ore in cottura indiretta di un pezzo di carne coperto di rub (e già qui il novizio impara i primi rudimenti sulle tecniche di rubbing e sul monitoraggio della temperatura), da passare poi in una brevissima cottura diretta per cauterizzare l’esterno, sviluppare una reazione di Maillard ed espandere i sapori delle spezie. Classicamente servito in un panino condito con salsa Tiger, ma onestamente irresistibile mangiato in purezza, preso con le mani e rubato mentre l’addetto al taglio lo riduce in fette finissime, è la classica cottura a prova di errore. Voglio dire, fare un pit beef cattivo è un campanello d’allarme: deve farti ripensare a tutte le tappe che non hai coperto, alle capacità che evidentemente non hai affinato, o al fatto che quel macellaio ti ha giocato un brutto tiro. Va da sé che prendendo un 64 - BBQ4All MAGAZINE

bell’eye round del Megastore cascherai sempre in piedi, a meno di cataclismi allucinanti e imprevedibili durante la cottura. Ma veniamo al dunque. Procedimento: 1. Ispeziona la carne e valuta la necessità di rimuovere eccessi di grasso, parti troppo sottili o la silver skin, quella pellicina grigiastra che diventa coriacea in cottura. 2. Inumidisci con un velo di senape (o d’olio) la superficie della carne, senza esagerare, aiutandoti con un pennello di silicone se vuoi fare il raffinato e non ti va di ungerti le mani.

3. Spolverizza con cura il rub che avrai precedentemente mescolato con un cucchiaio per rompere eventuali grumi: uno strato sottile è sufficiente, ma bada di non lasciare zone scoperte.

4. Accendi il tuo dispositivo: prepara mezza ciminiera di bricchette e disponile su una metà della griglia carboni del tuo kettle, in modo da avere un setup


DAL MEGASTORE ALLA BRACE - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI adeguato per la cottura indiretta; se usi un dispositivo 7. Non appena tutto l’esterno è rosolato metti al sicuro a gas riscaldalo a 130°C e in entrambi i casi utilizza la pietanza su un tagliere e lascia freddare per diversi correttamente chips o chunk di legno aromatico per minuti. avere la giusta affumicatura. Puoi anche scegliere di 8. Nel frattempo taglia a rondelle la cipolla, meglio se realizzare questa fase nel forno di casa, ma dovrai in dischi non più spessi di un millimetro, mettila necessariamente rinunciare alla nota affumicata: a bagno in acqua salata e infilala in frigorifero: decidi tu se la rinuncia bilancia la comodità. questo step è opzionale, ma grazie ai prodigi della 5. Metti la carne in cottura indiretta, vale a dire dalla chimica smorzerai i miasmi socialmente pestilenziali. parte opposta rispetto alle bricchette, o lontano dal Chiaramente, se ti piaccionoil gusto strong e la bruciatore acceso in caso di dispositivo a gas; infila solitudine, fai come se non te l’avessi mai suggerito. la sonda del termometro nel cuore della ciccia e 9. Crea una salsa mescolando maionese, rafano e chiudi il coperchio. senape: aggiusta di sapore a tuo gusto, perché la 6. Lascia in cottura fino ai 50/52°C al cuore, dopodiché percezione del rafano varia molto da palato a palato. passa immediatamente alla cottura diretta, Se già sai di dover servire a persone poco avvezze spostando il pezzo direttamente sopra la fonte di ai sapori decisi, o che non si scostano mai dai soliti calore: questa è la fase più delicata. Ricorda che aromi tradizionali, vacci piano col kren. l’aspetto della fetta dovrà essere rosato intenso, per cui non eccedere con la rosolatura: aiutandoti con una pinza gira il cilindretto di carne non appena la parte a contatto con la griglia inizierà a dorarsi e le spezie a spandere aromi intensi.

10. Hai un’affettatrice? È il momento propizio per usarla. In caso contrario affila alla perfezione il coltello migliore che hai, con una lama lunga circa 20cm, e fai del tuo meglio: le fette di carne (togliendo “il culetto”, che ti mangerai, di nascosto, tagliandolo a dadini) devono essere il più sottili e regolari possibili.

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Per sottili intendo un millimetro, massimo due: con l’affettatrice te la cavi in un minuto mentre a mano... puoi considerarlo un buon allenamento per affinare la tecnica.

11. Servi nel panino una generosa quantità di fette di carne, un cucchiaio colmo di salsa tiger, due per i più ghiotti, e qualche anello di cipolla cruda.

È tutto. Non puoi sbagliare. L’unico inconveniente che ti può capitare è quello di andare troppo avanti nella cottura e servire le fette non rosatissime, un po’ ingrigite. In ogni caso tu tieniti la risposta pronta: te l’ho fatto apposta perché so che ti piace di più medium rare. Se pronunciata con estrema convinzione e sicumera, la frase dovrebbe estinguere ogni obiezione. Emiliano Nencioni

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I N G REDI EN TI P E R 8 / 10 PA N IN I:

• Un Eye Round o girello di manzo (800 gr) • BBQ4All Tennessee Mild Dry Rub q.b. • senape q.b. • 8 kaiser roll • una cipolla bianca • Per la salsa Tiger • 100g di maionese • 30g di rafano grattugiato o cren • 30g di senape di Digione



GLOSSARIO BBQ

SPEAK

BBQ DO YOU

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DIZIONARIO DEL MONDO BARBECUE


Ogni mondo ha il suo codice, i suoi acronimi, il suo dizionario di riferimento, e il barbecue non fa certo eccezione. Se vuoi diventare un griller esperto devi espandere il tuo vocabolario, che andrà da Adobo Sauce a Zest. La filologia, ovvero la disciplina che serve (anche) a ricostruire i documenti letterari nella loro forma più originale, dice che è filologicamente molto più corretto chiamare le cose coi loro nomi originali piuttosto che usare le traduzioni. Sei d'accordo, no?

Gravy Fondo di cottura ottenuto facendo sobbollire ossa, cipolle, carote ed erbe, come un jus. È più lenta e fluida di una normale salsa.

Holy Trinity Le tre ricette più famose e tipiche del barbecue americano, ovvero Brisket, Ribs e Pulled Pork.

Grill Marks Tipiche righe di cauterizzazione impresse sulla carne dalla griglia di rosolatura

Hot’n’fast Tecnica di cottura opposta al Low&Slow, ovvero veloce e ad alte temperature, effettuata in modalità diretta o ibrida e solitamente a temperature superiori ai 350°F (177°C).

Ci eravamo lasciati alla lettera “F”, continuiamo il nostro viaggio lessicale passando per “G” e “H”.

Grilling Tecnica di cottura in cui piccoli pezzi di carne vengono cotto ad alta temperatura per breve tempo.

G

Gristle Tessuti connettivi, per lo più tendini, che tengo legati i muscoli alle ossa. Composti da una proteina chiamata elastina, e il nome dice tutto, sono difficili da masticare.

Ghee È il burro chiarificato originario dell’India. Il processo di produzione è leggermente diverso di quello del normale burro chiarificato, viene fatto generalmente sobbollire più a lungo e sviluppa un aroma più complesso. Glaze Una glassa lucida, che deve la sua brillantezza alla presenza di zuccheri, miele o sciroppo d’acero. Grain finished beef Quasi tutti i bovini mangiano erba e fieno per la maggior parte della loro vita fino a quando non vengono nutriti con cereali poco prima della macellazione, solitamente mais. Grass fed beef Un termine usato per descrivere quei bovini che non hanno mangiato altro che erba e fieno per tutta la vita, spesso impiegato deliberatamente per indurre in errore il consumatore, poiché quasi tutti i bovini vengono nutriti con erba o fieno per la maggior parte della loro esistenza. Grass finished beef La dicitura più appropriata per indicare un capo che si è nutrito di sola erba durante tutta la filiera.

Grill Master È il maestro della griglia. Un cuoco specializzato nella cucina sul fuoco.

Hot Smoking Affumicare a caldo, cioè ad una temperatura in camera di 54°C o superiore, per abbattere la carica batterica.

H

Hardwood, nutwood, and fruitwood Legno duro, legno di noce e legno da frutto. Parliamo di alberi come quercia, hickory, melo, ciliegio e molti altri. Sono senz’altro i legni aromatici migliori per affumicare. Legni teneri, come pino, cedro e altre conifere, conferiscono al cibo un sapore sgradevole e rilasciano resine potenzialmente tossiche. Hoisin Sauce Salsa di Hoisin. Chiamata salsa barbecue cinese o ketchup cinese, la salsa hoisin non assomiglia a nessuna salsa conosciuta. Dolce, marrone e lucida, è la salsa servita sui chūn bǐng quando si mangia l'anatra alla pechinese. Gli ingredienti che la compongono sono soia, aceto, riso, sale, zucchero, amido, aglio, peperoncino, semi di finocchio, anice stellato, cannella cinese e pepe di Sichuan.

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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI

SEGUO Io nel pensier mi fingo Gruppi segreti, gruppi chiusi, gruppi whatsapp, chat private: minuscole oasi di privacy, lontane dalla frenesia della condivisione compulsiva e dal voyeurismo/ esibizionismo del visibilità mondo. Un ridotto conclave dove, fra gente conosciuta e fidata, si può parlare con libertà degli assenti, una reinterpretazione in chiave social della pizzata del liceo, del calcetto, della palestra, dove essere assenti significa condannarsi ad essere oggetto di scherno e malevolo giudizio per tutta la serata. Ma nei gruppi segreti si allenta la guardia, cala la tensione, si finisce per parlare a ruota libera e qui, a volte, si generano dei piccoli disastri. Ne doveva saper qualcosa Fritz Mandl, malmostoso re delle munizioni della seconda guerra mondiale, affettuosamente noto nell’ambiente come mercante di morte. Fritz, buon per lui, si era sposato con Hedy Lamarr, nota come la donna più bella del mondo pre-Marilyn, e con tutta probabilità una delle più intelligenti e brillanti del tempo. Hedwig Kiesler, questo il vero nome di Hedy, nasce a Vienna nel 1914, da un padre banchiere che la spinge a studiare ingegneria e da una madre musicista che le 70 - BBQ4All MAGAZINE


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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI insegna a suonare il piano. A diciassette anni lascia la facoltà di ingegneria per buttarsi, molto poco vestita, nella carriera cinematografica: il suo film, Extase, è il primo nella storia del cinema ad avere scene di nudo totale, ma soprattutto a parlare di una protagonista libertina e sessualmente audace che la fa franca, senza l’allora abituale tragico finale. E’ abbastanza per scatenare le censure di mezzo mondo, far inorridire tutti e, ovviamente, finire nelle collezioni private e nascoste degli stessi inorriditi. Grazie alla fama regalatole da questa interpretazione e in teatro dal ruolo di Sissi (il ruolo successivamente ricoperto da Romy Schneider) Hedwig conosce il facoltoso e ammanicato Fritz Mandl, che la sposa. Ricco sfondato, amico di dittatori e personaggi sanguinari, sposato con la donna più bella e disinibita del mondo e probabilmente con una delle più intelligenti, Fritz commette l’errore più grosso che poteva fare: è geloso marcio e pretende di tenere la moglie segregata in casa. Compra tutte le copie rimaste di Extase perché nessuno possa vederla (salvo venderne una copia per la collezione privatissima di Mussolini), e la fa partecipare alle sue cene di capi di stato e ministri della guerra. In queste cene vengono trattati argomenti riservatissimi, su armamenti, tattiche e azioni di guerra, che giungono alle orecchie della donna più bella e più intelligente del mondo, e probabilmente la

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più vendicativa, alla quale però viene chiesto solo di sorridere e di fare la bambolina idiota. Fritz, però, accidenti, le basi, sbagli proprio sulle basi. Hedy, che ancora si chiama Hedwig, ascolta. Ascolta per bene e prende mentalmente nota. Credo che sia un po’ quello che succede nei gruppi segreti e nelle chat private. Vuoi sapere una cosa? Non passa giorno che qualcuno non mi contatti per raccontarmi qualche discorso storto, qualche doppiogioco, qualche inconfessabile retroscena venuto fuori in queste situazioni. Prendine atto: parla sempre, nelle chat, come se tu parlassi nel luogo più pubblico del mondo. Ci sarà sempre qualcuno che racconta all’amico fidato, il quale racconta all’amico, fino ad arrivare a quello che proprio tanto amico del primo amico della catena non è, e parte la delazione. Assioma Uno delle chat private di gruppo: per ogni chat di gruppo della quale fai parte esisterà almeno una diversa chat con i soliti partecipanti escluso TE. Se ne deduce facilmente che tale chat non avrà buone parole per te. Come mai le cose si vengono sempre a sapere? Perché c’è sempre qualcuno che parla, magari per dispetto o per ingraziarsi la gratitudine di qualcun altro ma anche per pura volontà di mettere zizzania. Devi tener presente che molta gente ha tanto tempo libero o ha la possibilità di passare ore e ore a trastullarsi online sul posto di lavoro. Quando si ha tutto questo tempo, probabilmente si cerca la maniera di farlo fruttare, facendo nascere casini spesso inutili. Devi particolarmente guardarti da quelli che continuano a ripetere sei una grande persona, di una passione straordinaria: per qualche motivo solitamente usano la stessa ardente convinzione per poi dire agli altri che in verità non ti sopportano, che dicevano tanto per dire. Ne ho le prove. Tante prove. Un caso particolare di chat privata sono i commenti sotto un post in un profilo privato. Tutti amici a dare manforte al tenutario del profilo, tutti schierati, compatti, grandi risate. Un attimo dopo, in altri luoghi, virtuali o reali, prorompono in queste polemiche che hanno davvero rotto, ma si sa che lui è solo un rosicone, non lo sopporto più, mi vergogno per lui. La riconoscete? Il volto di Hedy è stato usato per gli splash screen e le copertine dei CD di CorelDRAW!9 (ma anche 8) senza autorizzazione. Si parla di cinque milioni di dollari di risarcimento.


E questi erano gli amici! Gli amici con i quali farsi due risate rinfrescando la polemica della settimana. Credi di esserne immune? Ah, beh contaci. Anche gli altri credevano di esserne immuni e di essere circondati da personaggi leali e pieni di empatia e supporto: la verità è che la polemica continua e ripetitiva stufa tutti, anche i più assoggettati, e appena inizia a non essere più divertente (molto presto, se non ti inventi qualcosa di innovativo ad ogni iterazione) i tuoi presunti supporter diventano attivissimi delatori, impazienti di dissociarsi e di farti fare figure barbine. Uno screen è per sempre. Spesso, dietro a un discorso tipo gran persona, competente, piena di passione, grande amico fraterno, c’è una selva di screenshot di quando i due amici fraterni si scambiavano insulti nei rispettivi dialetti, usando parole che farebbero impallidire la più truce delle canaglie. Il continuo espandersi della capacità di immagazzinamento di immagini dei telefoni ha notevolmente aumentato la memoria storica dei social. I miei preferiti sono gli amici di tutti. Figure fantastiche che, in un mondo diviso in fazioni sui social, cercano di farsi voler bene e di essere adorabili con tutti, in un trasformismo contraddittorio continuo. Il risultato è quello di generare un traffico di delazioni e di spiate immenso, verso tutti gli schieramenti. Vengono anche, generalmente, poco stimati e considerati viscidelli. Ma, alla fine, cosa c’entra con tutto questo Hedy Lamarr? C’entra eccome, perché il bello viene ora: Hedwig, che ancora si chiama così, scappa dal tetto coniugale. Basta gelosie, dittatori, segregazione in casa, basta monogamia. Si imbarca su un transatlantico alla volta degli Stati Uniti, assieme a un noto produttore cinematografico che si dichiara infastidito e scandalizzato dalla condotta morale dell’attrice e afferma che, con il suo passato, con il ruolo di nudo scandaloso in Extase, non troverà mai nessuno disposto a offrirle una carriera cinematografica negli USA. Fatto sta che Hedwig deve aver avuto dei buoni argomenti, perché pochi giorni dopo, al termine della traversata, si ritrova con un contratto per Hollywood con la MGM e con un nuovo nome, più commercializzabile: Hedy Lamarr. Il produttore della Metro Goldwing Meyer deve aver passato una crociera davvero intensa e movimentata, ci scommetto.

Negli anni statunitensi, oltre a girare numerosi film e ad ispirare la figura di Catwoman, Hedy matura un’ossessione: i discorsi nel salotto del marito, a base di segreti militari, armi e dittatori. Come trarre vantaggio dai segreti ascoltati? Riuscirà ad avere la sua rivalsa su Fritz grazie a un pianista e ad un’idea geniale: è dall’inizio che ti ripeto che è probabilmente una delle donne più intelligenti del suo tempo, ricordi? Hedy ha una brillante intuizione: un sistema che impedisce al nemico di creare interferenze radio nel controllo remoto dei siluri anti sommergibili, e che rende inutile quella tecnica origliata quando era costretta a fare la bambolina sorridente in casa Mandl. L’idea è semplice: usare non solo una frequenza ma uno spettro di frequenze alternative in cui passare da una all’altra in maniera molto rapida in modo che, anche se qualcuno si fosse sintonizzato su una frequenza con scopi ostili di manipolazione del segnale, questa sarebbe stata abbandonata subito dopo, rendendo vano l’attacco. Si rendeva così necessario conoscere anche l’esatto ordine dei salti di frequenza per poter interferire, ma anche per poter controllare i dispositivi. L’ultima parte della sua idea, quella relativa al controllo della successione dei salti, Hedy la sviluppa assieme ad un pianista al quale si rivolge inizialmente per una consulenza sul suo seno, troppo piccolo per Hollywood. Mi rendo conto che detta così sia poco credibile. ALMANACCO 2019

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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI Il Frequency Hopping Spread Spectrum, usato ancora oggi nel WiFi, nel Bluetooth e dall’esercito USA durante il blocco di Cuba, è stato teorizzato da una diva del cinema erotico dopo un confronto con un pianista studioso di fisiologia e tecnologia. George Antheil era un compositore d’avanguardia, non apprezzato dal pubblico suo contemporaneo: si dice che ad ogni suo concerto si scatenassero risse furiose fra gli astanti (tutti studiosi, pittori, pensatori, non esattamente dei teppisti), esasperati dalla cacofonia delle sue esibizioni. La specialità di Antheil era infatti il pianismo automatico sincronizzato, in cui le sue composizioni venivano fatte suonare da sedici autopiani controllati con nastri perforati. Oltre alla musica e all’automazione però l’incompreso pianista doveva avere anche ben altri interessi, visto che pubblicò un libro intitolato Studio di criminologia ghiandolare (la cui plausibilità ben esula dagli intenti di questa rubrica già di suo vaneggiante). Hedy, frustrata dall’imposizione di reggiseni imbottiti per recitare nei film, sentendosi non all’altezza delle dive prosperose del tempo, intuisce che un esperto di ghiandole potrebbe aiutarla e... lascia il suo numero scritto col rossetto sul finestrino dell’auto di Antheil.

Quando una è una superstar evidentemente non può agire con normalità. Più che al seno di Hedy i due però si dedicano all’invenzione dell’attrice che, adottando il protocollo di controllo degli autopiani sincronizzati di Antheil, diventa finalmente realtà e viene brevettato. Non è un caso che il sistema salti rapidamente fra 88 frequenze, tante quanti i tasti del pianoforte (sette ottave e una terza minore, generalmente). Il ministero della difesa rifiuta di usare il brevetto di un’attrice bomba sexy e di un compositore di scarso successo, salvo poi adottarlo poco dopo la scadenza legale del brevetto, negli anni ‘60, durante quel problemino con Cuba. Nei social, se non puoi essere riservato, sii almeno coerente. Non c’è niente di più patetico di vedere persone adulte cambiare completamente bandiera in due settimane, o anche istantaneamente, assieme allo switch tra una finestra di chat e l’altra. Prima fai body shaming e insulti a tappeto, poi lo chiami fratello, lo apostrofi con il buon... : ma che figura ci fai? Non c’è crittografia che ti salvi, non c’è privacy, non c’è evanescenza della memoria: è tutto scritto, e ci sarà sempre l’amico rancoroso pronto a spifferare tutto a tutti. Meglio cercare di essere inattaccabili, o come ti dicevo, coerenti. Negli anni novanta, ormai anziana e con diversi problemi alla vista, Hedy riceve il premio di Pioniere della frontiera elettronica che viene assegnato annualmente ai grandi innovatori dell’informatica. Il discorso di ringraziamento di Hedy è un laconico era ora. Come si fa a non adorarla? Emiliano Nencioni

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N°8/ANNO 1 - AGOSTO 2019

MAGAZINE

N I C E T O M EAT YOU

INTERVISTA ALLO CHEF

JOHAN JURESKOG

L ’ E D I TORI A L E D I GI A N FRA N C O L O C A S C I O

AGLIO, OLIO E P E P E RONCINO

scientifica

estate sereni

LA GRIGLIATA DI FERRAGOSTO PRONTA PER VOI



INDICE A G OSTO 2 0 1 9 - N U M E RO 8 A N N O 1

RUBRICHE 7 9 . L ' E D I TO R I A LE

AGLIO, OLIO E PEPERONCINO SCIENTIFICA

8 4 . N I C E T O M E AT Y O U

Intervista a Johan Jureskog

90. WINE CLASS

Il vero incubo dell’estate: cannare clamorosamente la temperatura del vino

9 5 . D I S POS I T I V I E ACC E SS O R I

BBQ PORTATILI

RICETTE

G R I G L I ATA D I F E R RA G OS TO 96. PANZANELLA

98. Trofie con salsiccia e verdure grigliate 100. Smoked Louisville Chicken wings

102. Braciole marinate allo zenzero

104. La rosticciana fantastica e dove trovarla

107. Ribs o Rosticciana? Le differenze fra i due metodi 110. Bbq4all Steak Burger 113. Tortillas con chili

115. rivisitazione in chiave bbq del famoso Trapizzino di Callegari 120. crostata con crema di cocco ricoperta di ananas grigliato 122. Sangria

125. PICCOLA GUIDA

L'Arrosticino perfetto 128. ABBINAMENTI vino - birre- cocktail

134. THE CHEMICAL GRILLERS

Marinatura: un approccio scientifico

1 3 8 . C H I E D I LO A L COAC H

... E se uno fosse celiaco e volesse un pepper stout beef?

1 4 2 . D O YO U S P E A K B B Q e

lettera I, J K

147.

SEGUO

Ciao $Contact.name, ecco la tua ultima possibilità per approfittare dell’offerta (…)



EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO

in direzione ostinata e contraria:

AGLIO, OLIO E PEPERONCINO scientifica

Ve lo confesso, mi piace navigare in acque difficili. Da anni ormai mi sono buttato anima e corpo nella ricerca della perfezione in ogni aspetto della cucina, ho avuto delle convinzioni, sono cambiate, ho studiato, cercato e ricercato, ho viaggiato per conoscere culture gastronomiche diversa dalla nostra, ho tentato di applicarne i principi e replicarli fondendole tra di loro. Tutto questo per amor di scienza e conoscenza. Ma è inutile negarlo: provo sempre un sottile piacere di fondo quando vado a minare alla base le incrollabili certezze dei gastrotalebani, quelli che si indignano per qualsiasi cosa, dal Parmigiano nella carbonara alla panna nel tiramisù, e che hanno un colpo apoplettico se appena appena si osi mettere in discussione i metodi millenari delle loro nonne. Ogni tanto, per stanarli, lancio appositamente nella BBQ4All Community delle provocazioni di cui si accorgerebbero anche Polifemo e il suo unico occhio. Ma niente da fare, i gastrotalebani medi ci cascano sempre. Sempre.

italiana e mi sono divertito a guardare annaspare i poveretti annegati nello zabaione salato della Carbonara scientifica, quelli che sono rimasti scottati cinque minuti per lato e quindici in piedi di fronte al Revit sulla Fiorentina, e quelli che hanno urlato all'alto tradimento quando ho dichiarato che la cottura migliore del risotto è quella per assorbimento. Probabilmente a molti di voi sfugge l’entità delle lotte intellettuali che ho dovuto affrontare in questi anni. Ci ho messo un decennio a scalfire i luoghi comuni radicati nella testa delle persone per cercare di portarle ad un livello maggiore di consapevolezza. Sono stato bersagliato e apostrofato con ogni epiteto possibile: egocentrico, presuntuoso, ciarlatano e compagnia bella. Ma alla fine cosa ho fatto in tutto questo tempo? Ho semplicemente dimostrato che ognuno di noi può trarre benefici di grandissimo valore semplicemente sostituendo il giudizio al pregiudizio.

Prendete un utente avanzato della Community di Sarebbe quasi divertente se non fosse patetico. BBQ4All e convincetelo che la Chianina è SEMPRE migliore del Black Angus americano e vale i soldi che Grazie a questo mio amore per il periglio, ho affrontato costa. Provateci e preparatevi ad incassare: vi annegherà una a una molte delle incrollabili credenze popolari di evidenze che dimostrano che non è così. E parlano i culinarie, ho preso di mira i capisaldi della cucina fatti, non le opinioni. ALMANACCO 2019

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EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO A questo punto mi pareva cosa buona giusta affrontare un'altra ricetta intoccabile del panorama gastronomico italiano: la pasta aglio, olio e peperoncino. Allacciatevi le cinture perché il viaggio sarà pieno di scossoni e non esistono uscite di sicurezza. Da quanto esiste l'aglio, olio e peperoncino? Probabilmente è antica quanto le botte con il cucchiaio di legno della mamma e il fastidio dei pranzi con i suoceri. Eppure, se fate un giro su Google, il 90% delle ricette effettuate dai naviganti non sono poi così diverse fra di loro. E praticamente tutte mancano di un dettaglio fondamentale che fa tutta la differenza del mondo. Gli italiani sono ossessionati dalla pasta. E tutti, o quasi tutti, adorano che cosa? I sughi. I condimenti. Fermo restando che una pasta in bianco si mangia volentieri, lo standard è aggiungere una salsa e renderla cremosa.

Ora, l’aglio, olio e peperoncino è una pasta condita con un sugo? La risposta è no. L’aglio, olio e peperoncino è condita con un olio aromatizzato, non con una salsa. Eh, ma la mia è cremosa! Sì, ci credo. Ma è cremosa perché la vai a mantecare con l’acqua di cottura che emulsiona, gelatinizza l’amido. La base del condimento resta un olio aromatizzato, non un intingolo. Partendo dall’assunto che voglio mangiare gli spaghetti aglio, olio e peperoncino, perché non creare un sugo a base di aglio, olio e peperoncino? Bene. Facciamolo allora. AVVERTENZA NUMERO 1 Il risultato è una roba che crea dipendenza e dalla quale non si torna indietro. Sapete che quando dico questa frase non scherzo nemmeno un po’. Imparata questa, non mangerete mai più aglio e olio da nessuna parte, ristoranti compresi, per il resto della vostra vita. Come per le bistecche, avete presente? Uguale. Fatelo a vostro rischio e pericolo. State ancora leggendo? Non vi siete ancora lanciati dal finestrino col paracadute? Bene. Per voi c'è speranza. AVVERTENZA NUMERO 2 Avete presente la ricetta della vostra aglio, olio e peperoncino? Ecco, cancellatela e fate spazio per quella nuova. Rimettete in discussione ogni certezza e fidatevi di me. AVVERTENZA NUMERO 3 Siete della religione aglio ma non troppo o solo uno spicchio o in camicia e poi lo tolgo, insomma dei choosy dell’aroma aglioso? Questa ricetta non fa per voi, e non si può cambiare o modificare. Non verrebbe bene quindi evitate di continuare nella lettura. Ci siamo. Per prima cosa gli ingredienti: Serve una mezza testa d’aglio e mezzo bicchiere d’olio extravergine di oliva A PERSONA. Siamo in 2? 1 testa d’aglio e 1 bicchiere d’olio. Siamo in 4? 2 teste d’aglio e 2 bicchieri d’olio. Siamo in 6? 3 teste d’aglio e 3 bicchieri d’olio. E così via.

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EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO ADESSO PASSIAMO AL PROCEDIMENTO. Pelate tutti gli spicchi e metteteli in un tegame piccolo dai bordi alti. Esatto, non in padella. Buttate dentro l’olio e la quantità di peperoncino che vi piace. Mettete sul fornello a temperatura bassissima e lasciate che l’aglio si ammorbidisca senza mai soffriggere. Se inizia a soffriggere spegnete il fuoco. Se avete un termometro a sonda, stabilizzate l’olio a 65°C. Si va avanti finché è necessario. L’obiettivo è “sgonfiare” gli spicchi d’aglio e renderli così teneri da poter essere frullati.

Avete usato 1 bicchiere d’olio? Allora 1 cucchiaino di succo di limone. Avete usato 2 bicchiere d’olio? Allora 2 cucchiaini di succo di limone. A questo punto aggiungete un po’ di sale. Per dare un minimo di sapidità e per aiutare il processo di emulsione. Mettetelo adesso altrimenti rischiate di strappare il composto e l'emulsione non si forma. Emulsionate -aggiungendo l'acqua poco alla volta- fino ad ottenere una salsa liscia e vellutata dal colore bianco/ giallognolo. Come per la maionese, avete presente?

Mettete su la pentola con l’acqua, buttate la pasta e quando siete a metà cottura fate questa operazione: Abbiamo appena ottenuto un'emulsione stabilizzata di ponete l’aglio e l’olio nel bicchiere del mixer e aggiungete acqua e olio. La pasta d'aglio è un eccellente stabilizzante delle emulsioni. Come le lecitine dell'uovo. Solo che tanta acqua di cottura quanto olio usato all’inizio. sono in pochi a saperlo. Avete usato 1 bicchiere d’olio? Allora 1 bicchiere di acqua di cottura della pasta. Avete usato 2 bicchieri d’olio? Allora 2 bicchieri di acqua di cottura della pasta. Poi dovete fare una cosa importantissima. Occhio che questa operazione fa la differenza. Dovete aggiungere un cucchiaino di succo di limone per ogni bicchiere d’olio che avete usato.

Perché l'aglio e olio scientifica è molto più leggera e digeribile di quella tradizionale? Perché l'aglio contiene alliina, una molecola che ha dentro dello zolfo. Quando la struttura si rompe, grazie ad un enzima chiamato alliinasi, l'alliina si trasforma in allicina, un complesso sulforganico che dà all'aglio il tipico profumo pungente.

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EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO In uno spicchio integro, l'alliinasi è confinato in sacche (vacuoli) nella cellula, mentre l’alliina fluttua liberamente nel citoplasma. Frantumando e sminuzzando il bulbo di aglio, queste sostanze vengono in contatto e producono l’allicina, che ha quel distinguibile odore sferzante ed intenso. Imparato questo, vi è senz’altro chiaro il motivo per cui tagliare uno spicchio e rimuovere il germe per rendere l'aglio più digeribile è una cavolata galattica e di proporzioni bibliche, che però non ne vuole sapere di sparire dalla testa degli italiani . Eliminando “l’anima” l’avete appena venduta al demonio, avete appena dato modo a due sostanze di produrre l'enzima che fa scappare Dracula. Ci stai dicendo che tutte le mamme, le nonne e gli Chef che dicono di rimuovere il germe per rendere l'aglio più leggero e digeribile hanno sempre detto una castroneria? Sì, proprio così. Ho una buona notizia per voi, però: ad alte temperature, l'alliinasi si disattiva e non è in grado di produrre allicina. Produce invece disolfuro di allile, il composto che ha il confortante odore di "aglio cotto”, per niente aggressivo e più dolciastro. Quindi se lo Zio vi dice di cuocere l'aglio intero e di non tagliarlo per rimuovere il germe, voi fatelo. Nel frattempo avrete tritato un prato di prezzemolo, con tutti i gambi (non buttate i gambi o vi taglio le mani). Tritateli insieme alle foglie, è lì che si trova il sapore. Scolate la pasta, riservate l’acqua di cottura e saltatela in padella con la salsa di aglio e il prezzemolo. Mantecatela bene, aggiungete acqua di cottura se serve e impiattatela. Sormontate con il Parmigiano, se vi piace, direttamente nel piatto. Sarà la pasta aglio, olio e peperoncino migliore della vostra vita. Ma non saprà troppo di aglio? La risposta è NO. Sarà molto ma molto più delicata di una aglio e olio tradizionale. Questa salsa potrà diventare la base soprattutto per gli spaghetti alle vongole. Vedrete la gente impazzire e rotolare nella vostra sala da pranzo per quanto è buona. Mettete le vongole in una padella, lasciate che si aprano e sfumate con un goccio di vino bianco. Per il resto è tutto identico. Provatela. Picchierete la testa sul tavolo dalla libidine. E al diavolo (senz’anima dell’aglio) la tradizione. Gianfranco Lo Cascio 82 - BBQ4All MAGAZINE




L'INTERVISTA di ANDREA SPAGGIARI

JOHAN J U R E S KO G

@ Restaurang AG La più famosa steak-house svedese deve il suo successo a uno chef visionario, un abile imprenditore e un maniaco della qualità della carne. Non è stato facile mettere d’accordo personalità così vulcaniche, nonostante convivano tutte nella stessa persona

Quando, nel 2011, ha rilanciato Restaurang AG, Johan Jureskog aveva una sola idea in testa: diventare il punto di riferimento per la cucina di carne della città di Stoccolma. Sembra impossibile oggi, ma otto anni fa erano solo tre, in tutta la Svezia, i ristoranti a proporre manzo dry-aged, e Johan aveva intravisto l’opportunità di utilizzare questa tecnica di affinamento come elemento differenziante, unito a un processo di selezione delle materie prime a dir poco maniacale. Partita da pochi tavoli e un menù a base di carni di sola provenienza europea, AG è oggi una macchina da oltre 300 coperti a sera alla quale si affianca un tapas-bar capace di servire 150 persone contemporaneamente. Più di 50 persone (di cui 20 solo in

cucina) contribuiscono a far girare come un orologio svizzero questa steak-house che ha più di una particolarità. Partendo dalla carta, la prima cosa che si nota è l’incredibile scelta in termini di razze e zone d’origine della carne: si spazia dalle vacche da latte svedesi al Wagyu, dalla carne polacca a quella statunitense passando per Nuova Zelanda e Scozia. Impareremo di più del processo di selezione tra poco, ma vale la pena sottolineare che una tale disponibilità richiede notevoli investimenti in termini di risorse umane e finanziarie. Due dati su tutti: AG dispone con continuità di oltre 4000 kg di manzo in cella di maturazione e ha una persona dedicata – il meat master – che si occupa a tempo pieno di

movimentare, tagliare e preparare la materia prima per la cucina. Non stupirà nemmeno sapere che anche la cantina è ben fornita: lo Chef parla di un valore immobilizzato che supera gli 1,2 milioni di €, un investimento necessario per garantire a una clientela esigente un assortimento di vini all’altezza delle proposte culinarie. Smarchiamo da subito, allora, il tema del prezzo: Johan ci ha spiegato che da AG si può cenare con una portata di carne e un’ottima birra per circa 45€, una proposta adeguata alla ricercatezza delle materie prime che si posiziona in linea con i prezzi della ristorazione tradizionale nei paesi del nord Europa. Ovviamente, volendo salire di livello, sky is the limit: pur non essendo un ALMANACCO 2019

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riportiamo sulla carta: il sapore, la marezzatura e la tenerezza.

ristorante stellato, la steak-house si è costruita una clientela alto spendente che cerca carne di qualità eccezionale. A titolo di esempio Johan nomina come fiore all’occhiello una selezione di Rubia Gallega invecchiata direttamente dai produttori: una porzione per due persone, da AG, è venduta attorno ai 300€ e molto spesso viene accompagnata da una bottiglia di vino di pari prezzo. E nulla vieta di salire ancora… Un altro aspetto che va tenuto in debito conto è la notorietà dello chef: se AG è la proposta di punta, Johan ha abilmente stratificato l’offerta andando a coprire anche i posizionamenti più accessibili, costruendo un vero e proprio brand associato al suo nome. Un secondo ristorante che si occupa dei tagli meno nobili del manzo, ispirandosi per sua stessa ammissione alla filosofia dell’amico Dario Cecchini, si affianca a una catena di fast- food (2 ristoranti che diventeranno 6 entro fine anno) che propongono hamburger gourmet, verdure bio e pane artigianale. Non bastasse questo palmares, Johan vanta molte apparizioni televisive – la più famosa delle quali nella serie americana “World’s best burger” – e una presenza piuttosto attiva sui social media. Ma è tempo di ascoltare direttamente 86 - BBQ4All MAGAZINE

dalle sue parole il segreto del suo successo e i principi ispiratori del suo lavoro nel quotidiano. D: Cominciamo dalla materia prima. Quali sono i vostri criteri di selezione? R: Siamo partiti con le idee chiare: trovare la carne migliore da sottoporre al processo di dry-aging. Il criterio principale, quindi, è sempre stato la marezzatura: abbiamo cominciato con le vacche da latte svedesi, per reperire le quali avevamo allacciato una collaborazione tutt’ora in corso con il principale distributore scandinavo, capace di garantirci l’accesso agli esemplari più vecchi e marezzati che possano essere reperiti (si parla di un animale su 500 circa). Abbiamo poi allargato alla Polonia, paese dal quale compriamo i prodotti entry-level, e la Scozia. A questa gamma, sempre presente nel menù, si aggiungono le proposte del giorno che approvvigioniamo da tutto il mondo, applicando gli stessi criteri di selezione e richiedendo la completa tracciabilità. Ogni volta che riceviamo un pezzo di carne lo tagliamo, lo grigliamo, lo assaggiamo e lo valutiamo. Siamo noi a dare un voto in una scala che va da 1 (il minimo) a 12 (il massimo) ai tre parametri principali che poi

D: Non vediamo spesso vacche da latte nei menu delle steak-house, come mai questa scelta? R: Concedetemi un excursus. Al mondo ci sono tre diversi tipi di carne di manzo: - il primo è quello delle vacche da latte: la considero la carne più «sostenibile» per l’ambiente, perché l’animale non nasce con lo specifico scopo di diventare cibo. La mucca pascola, fornisce latte, e più invecchia, più la sua carne diventa saporita. È come se l’animale costituisse, nel corso della vita, una“riserva di sapore”; - il secondo è quello delle vacche da allevamento: animali nutriti con mais e cereali, hanno una crescita molto rapida e sono macellati giovani, tra i 18 e i 20 mesi circa. La carne è estremamente tenera e il livello qualitativo è alto e costante nel tempo, ma si tratta a tutti gli effetti di un’operazione puramente finanziaria per trasformare un tipo di cibo in un altro; - il terzo tipo sono le vacche allevate al pascolo: gli esemplari vivono almeno il doppio di quelli allevati a cereali, si muovono liberi, hanno quindi meno grasso e non garantiscono la stessa ripetibilità di “risultato” in termini qualitativi. Dobbiamo insegnare al mondo che, tra gli animali da allevamento, questi sono la scelta eticamente corretta e sostenibile, anche se non sono “perfetti” come quelli allevati a cereali. Fatta questa premessa, penso che gli esemplari più vecchi siano quelli che restituiscono un sapore più intenso già prima del processo di dry-aging. In genere facciamo invecchiare queste carni tra le 5 e le 7 settimane come standard, ma se incappiamo in un esemplare dalla marezzatura


eccezionale ci spingiamo oltre: togliamo l’osso e avvolgiamo la carne con il suo grasso liquefatto e successivamente solidificato – chiamato tallow – e la rimettiamo in frigorifero per altri due mesi. Il risultato è una concentrazione di sapore estrema, analoga a quella che può restituire un formaggio ultra stagionato. Solo per intenditori, e da consumarsi in piccole quantità.

D: Continuando a parlare di dry-aging, è un processo che si sposa con tutti i tipi di carne? Qual è il miglior compromesso tra durata e resa di questo procedimento? R: Con il dry-aging l’unico fattore che viene modificato è il sapore, che si concentra per effetto della disidratazione. Erroneamente si tende a credere che la carne diventi anche più tenera grazie a questa tecnica, ma non è cosi: entro due

settimane dalla macellazione del capo scompare ogni residuo di rigor mortis, il che significa che la carne non subirà alcun ulteriore intenerimento. Al contrario, la disidratazione porta a un leggero aumento di tenacità, ripagato da una maggior concentrazione del sapore. Per questo, esemplari grass-fed, che come abbiamo visto sono mediamente più magri dei grainfed, non hanno bisogno di spingersi

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oltre le 2 o 3 settimane di dry-aging. Alcune specie, poi, si prestano meglio al wet-aging, ovvero la conservazione prolungata sottovuoto: il sapore rimane più “pulito” e la carne resta più morbida. È il procedimento preferito dai produttori scozzesi e giapponesi. D: Il dry-aging richiede molte risorse in termini di spazio, tempo e denaro immobilizzato. Ne vale davvero lapena? R: Certo, la gente va assolutamente pazza del risultato finale. È una questione di scelte: alcuni ristoranti vogliono garantire un menù chilometrico, altri propongono verdure coltivate nel proprio orto; noi abbiamo scelto questa strada perché in Scandinavia la filiera della carne era così poco sviluppata che si poteva solo migliorare. Ovviamente questo ha richiesto un grosso lavoro di sensibilizzazione e educazione dei consumatori, e non si può avviare un ristorante pretendendo di avere 4000kg di manzo in magazzino. Va fatto un percorso, ma il gioco vale la candela. D: Quali tecniche di cottura utilizzate ad AG per ottenere risultati perfetti? Usate la cottura sottovuoto o il Metodo Finney? R: Io ho scelto di non utilizzare queste tecniche per un motivo semplice. Quando si rimane a temperaturesuperiori ai 55° per lunghi periodi, le proteine cominciano a denaturarsi e ci si ritrova con un solo sapore, uniforme, distribuito su tutto lo spessore del tuo taglio di carne. Io cerco diversi strati aventi gusto e consistenze diverse, capaci di offrire un’esplosione di gusto. Per questo motivo non usiamo nemmeno il forno e diamo tanta importanza alla fase di riposo. La nostra tecnica è la seguente: sale, pepe e poi in cottura fino a 88 - BBQ4All MAGAZINE

42°-45° al cuore. Segue una fase di rest di almeno 5 minuti e un altro giro veloce sulla griglia fino alla temperatura desiderata, poi taglio e servizio. Alcuni chef sostengono che la carne debba stare a temperatura ambiente per almeno due ore prima della cottura, ma non è una regola fissa: se si cuoce una fiorentina, che è molto spessa, d’accordo. Ma su tagli meno imponenti i risultati migliori si ottengono prendendo la bistecca direttamente dal frigo: la carne resiste più tempo in griglia e ne giova la reazione di Maillard. Ovviamente, proprio perché diventi calda anche al cuore, la fase di riposo è fondamentale. Per il nostro modo di lavorare, che prevede spesso di servire un assortimento di carni diverse, ci troviamo a cucinare dai 20 ai 30 tipi di manzo differenti nella stessa serata: la semplicità della procedura è quindi indispensabile. D: Si direbbe che con questi volumi le postazioni della griglia siano decisamente critiche. Come si fa a far funzionare tutto nel migliore dei modi un orologio? R: Ho lavorato in Francia per tre anni: non so se è ancora cosi, ma ai miei tempi lo Chef era sempre arrabbiato e seminava il terrore nella brigata di cucina. Io distribuisco high-five e sono sempre felice, sicché nei miei ristoranti nessuno ha paura: l’errore è ammesso ma visto che la macchina non si può fermare si continua serenamente e se ne parla a fine servizio. Inoltre, mi circondo di collaboratori fedeli: il mio vice è con me da oltre vent’anni ed è bravissimo nella logistica e l’organizzazione, settori nei quali io sono un disastro. Non importa quanto tu sia bravo, senza la squadra non vali nulla ed io ho capito questo concetto molto presto.


D: Il segreto meglio custodito di AG parrebbe essere il “tavolo dello chef”. Cosa succede di particolare in questa postazione privilegiata? R: Il tavolo dello chef non è pubblicizzato e funziona solo con il passaparola. Il motivo principale è che bisogna essere un minimo di 6 e un massimo di 9, e si cena vicini alla nostra cella di maturazione della carne, in un’ambientazione estremamente informale. Quello che viene servito a questo tavolo non ha niente a che vedere con il menù del ristorante, visto che usiamo materie prime e ricette realizzate appositamente. Come spiegato in precedenza, abbiamo chef bravissimi

ma dobbiamo fare cose semplici per garantire sempre il massimo del risultato. Per questo tavolo, invece, possiamo divertirci: troviamo dei prodotti fantastici, li lavoriamo nel modo migliore e li serviamo al centro, in modo che i commensali possano servirsi tutti direttamente dal piatto di portata. È diverso, ed è proprio per questo che si tratta di un’esperienza fantastica per i clienti.

versatile che lo usiamo per friggere le patatine nei nostri ristoranti di hamburger e lo impieghiamo, insieme al burro chiarificato, come ingrediente della salsa bernaise che viene servita con le nostre carni. Lo vendiamo addirittura in barattoli nei supermercati: è fantastico per cucinarci la carne, specialmente quella troppo magra, perché da sapore, ha un punto di fumo molto alto e aiuta a ottenere un’ottima reazione D: Un aneddoto curioso in di Maillard. Vado fiero di questa chiusura? soluzione perché non si butta nulla R: Ricordate il tallow, ovvero il e si onora fino in fondo l’animale: grasso maturato, fuso e risolidificato anche questa è sostenibilità. che usiamo per la maturazione “estrema”? È talmente buono e Andrea Spaggiari


IL VERO

ID N C U B O E L L ' E S TAT E

Poche semplici accortezze che vi salveranno la vita (e tutti gli errori da non commettere) All’inizio devo dire di aver sottovalutato la questione. Ti concentri sull’etichetta, il vitigno, il bicchiere giusto, ma a quello non ci pensi, tendi a darlo per scontato ma scontato non è affatto. Sì perché la temperatura di servizio è un fattore decisivo per bere vino come si deve. Se poi state leggendo questo articolo feralmente accaldati, con un rivolo di sudore che dilaga sulla fronte e il desiderio perenne di una bevanda rinfrescante, il discorso si fa serio. Per gli enostrippati non è una novità ma per il 99% dei comuni mortali il problema si pone: beviamo quasi sempre il vino alla temperatura sbagliata. D’estate ancor di più! Male, anzi peggio e l’errore è da matita rossa con un’aggravante: spesso, sono proprio i professionisti del settore a toppare le condizioni ottimali di servizio. Tanta ignoranza, purtroppo. Niente che qui non si sappia già. La temperatura è 90 - BBQ4All MAGAZINE

fondamentale. Nel BBQ è tutto. Nel vino è “solo” molto importante perché, al pari del calice, modifica sostanzialmente le qualità organolettiche del liquido e il relativo piacere. Non a caso, in tutti i corsi di degustazione viene presentato uno schemino delle temperature ottimali per ciascun vino e sarebbe anche una cosa buona, non fosse che lo impariamo a memoria e poi ce ne dimentichiamo. Perché la tabella non viene utilizzata? Sarà mica obsoleta? Finiamo sempre per bere bianchi troppo freddi e rossi troppo caldi, ma siamo sicuri che non ci sia un modo per uscire dal vicolo cieco? Giusto un appunto prima di proseguire: è imperante la confusione tra temperatura di servizio e temperatura di consumo. Laddove si parla di servizio, in realtà, si intende la temperatura ottimale per bere un vino, quindi quella di servizio dovrà essere inferiore, anche


sensibilmente, a seconda delle condizioni circostanti. Ve lo dico perché mi hanno appena servito un Trebbiano d’Abruzzo giovane a 10°C per accompagnare le mie chitarrine alla marinara con vista sull’Adriatico ma nello spazio di tre forchettate il vino è quasi bollente. Niente fretta, riprenderemo il discorso più avanti. Andiamo con ordine. Se siete tra quelli che aspettano inesorabile lo stallo del pulled pork per andare in foil, allora sapete già che parte tutto da lui: il termometro.

Ne avrete di ogni forma e dimensione dispersi in casa, ovviamente. Quel che non sapete, invece, è che in nessun corso di degustazione del vino si è mai usato un termometro per ragionare seriamente. Conoscere la giuste temperature è bello, peccato non saperle riconoscere! Teniamo un attimo tutti a mente lo schema classico. Grossomodo tutti i vini andrebbero bevuti tra i 4 e i 18°C, bene: ma siete proprio sicuri di saper riconoscere la temperatura del liquido che state bevendo?


WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI Domanda retorica perché la risposta è chiaramente no. Io un termometro tra i partecipanti ad una degustazione l’ho portato e vi assicuro che sbagliare la stima anche di 3/5°C pieni è la cosa più frequente del mondo. Per fortuna avete già lo strumento: il termometro a sonda o a penna andrà benissimo. Se proprio volete fare colpo sugli amici, buttatevi sul termometro ad infrarossi perché misurare la temperatura a distanza una certa scena la fa (ma in realtà non serve). Ora che abbiamo il necessario possiamo divertirci un bel po’. Anzitutto, sfatiamo un mito. Quante volte avete letto di servire un vino “a temperatura ambiente”? Bene, ormai siete abbastanza adulti per essere messi di fronte ad una realtà: la temperatura ambiente non esiste. Che siano i 35 gradi d’estate o i 22 col riscaldamento d’inverno, a meno che non abbiate una cantinetta-frigo climatizzata e con guardie svizzere di sorveglianza, è praticamente impossibile avere vini nella condizione ideale di servizio. Troppi, produttori poco accorti inclusi, usano questa espressione, ma non ha alcun senso. Reset, cancelliamola per sempre! A monte di tutto, purtroppo, il problema più grave è l’abitudine. Siamo semplicemente abituati a bere i vini bianchi troppo freddi, perdendo in espressività quando il vino è buono e guadagnando in neutralità quando invece è gramo, e soprattutto i vini rossi troppo caldi. E sui vini rossi bevuti alla cosiddetta temperatura ambiente si apre una voragine, un buco nero che trabocca pregiudizi.

Dovremmo partire ad esempio da un assunto: d’estate tutti i vini devono passare in frigorifero o nel cestello del ghiaccio. Anche i rossi, soprattutto i rossi. Ah, e non fate come chi riempie il cestello di solo ghiaccio perché è inutile. È l’acqua a condurre il freddo quindi il ghiaccio deve abbassare la temperatura dell’acqua che, a sua volta, raffredderà la bottiglia. Ho anche chiesto ad un superesperto qualche dettaglio tecnico ma prima di ascoltarlo dovremmo fare insieme un esperimento. Munitevi di termometro, versate un vino, fate misurare la temperatura a qualcuno senza dirvelo, mettete il liquido in bocca e poi stimate voi stessi a quanti gradi sia. Dobbiamo tararci e prendere coscienza di un’evidenza. Fatto? Bene! Poiché sicuramente non sarete nell’intervallo +/- 1 grado rispetto alla temperatura reale, eccovi servito il primo problema: non sapete riconoscere i 16°C, che è la temperatura a cui va bevuto circa l’80% dei vini rossi. Vale anche per me, sia chiaro. L’intervallo 14-18°C è fondamentale perché è in questo range che dovrebbero finire troppi vini ineluttabilmente proposti a temperature equatoriali. E qui entra in gioco il nostro Fresh Man, ironico fondatore del Movimento per la liberazione dei vini rossi dalla temperatura ambiente. Nando Salemme è patron dell’Osteria Abraxas di Pozzuoli e probabilmente il massimo esperto italiano di vini e temperature. Il risultato della sua esperienza parla chiaro e ho chiesto a lui come dobbiamo regolarci per portare una bottiglia alla giusta temperatura. Prendete nota: “Consideriamo il caso in cui abbiamo dei rossi più caldi del necessario: immergendo completamente una bottiglia di vino da 75 cl in ghiaccio e acqua e utilizzando un semplice timer da cucina ho stabilito quanti minuti ci vogliono per raggiungere una determinata temperatura. Se, per esempio, si parte da una temperatura di 25°C, ci vogliono 8 minuti per arrivare a 18°C. Se si parte da 23°C, in cinque minuti si arriva a 18,5°C. Se si ha una bottiglia a 18°C, in 3 minuti si arriva a 16. Dieci minuti circa servono per portare un vino da 18 a 10°C. Ho fatto l’esperimento con bottiglie di tutte le forme notando solo piccole differenze, quindi trascurabili. Aggiungendo un quantitativo prestabilito di sale, aumentiamo il potere di abbattimento della nostra soluzione. Quindi potete divertirvi a fare altre schede con un giusto quantitativo di sale e acqua e ghiaccio. Inutile dire che questo è solo un modo. Ognuno, a seconda di cosa ha a disposizione (congelatore, abbattitore, fast chiller...) può creare una personale tempistica per portare i vini alla giusta temperatura.


WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI Può capitare pure che abbiamo una bottiglia di rosso più fredda del dovuto: in questo caso possiamo prendere un contenitore con acqua calda, immergere la bottiglia e portare a temperatura il nostro vino con i metodi sopra descritti. Non abbiate paura, non è un sacrilegio: il vetro

rimane sempre un’ottima protezione. Attenti pero a non servire un vin brulé! Quindi con un timer e un termometro possiamo veramente divertirci tanto.” Postilla ai preziosi suggerimenti di Nando Salemme: esisterebbe un altro modo molto veloce e invasivo per abbattere la temperatura di un vino ma ha alcune controindicazioni. Se fasciate una bottiglia con dello Scottex, poi lo bagnate e successivamente mettete tutto in congelatore, la velocità di raffreddamento è supersonica ma poco gestibile e la carta tende a incollarsi sulla bottiglia rovinandone la presentazione. Metodo quindi potente ma sconsigliato. Come dicevamo poco sopra, inoltre, bisogna tenere conto di un altro fattore fondamentale: la dispersione termica quando il vino è nel bicchiere. Se d'inverno, per i bianchi, il problema è relativo (si perdono circa 2°C in due minuti), d'estate la situazione diventa critica e il mio vino bianco vista mare sale mediamente di 3-4°C in due minuti. Anzi, peggio! Nel momento in cui scrivo, fuori ci sono 33°C, praticamente un forno. Per verificare ulteriormente ho appena versato un Moscato d’Asti freddo di frigo stabile a 7°C nel bicchiere e ci ho infilato il termometro al volo senza attendere. Risultato? 11°C. Pazzesco. Temperatura esterna e temperatura del bicchiere incidono immediatamente e senza sconti. Niente che Salemme non abbia già approfondito e codificato sperimentalmente, con tutte le specifiche di sorta: “con temperature esterne sui 28-30 gradi un vino rosso servito a 16°C, dopo 10 minuti, arriva a 19°C; in 20 minuti arriva a 22°C. In un locale climatizzato (24-25°C),

invece, dopo 20 minuti arriva a 20°C. D'inverno, in un locale riscaldato a 23°C, una bottiglia servita a 16°C dopo circa 40 minuti arriva a 20 gradi.” Capite bene cosa questo comporti: la necessità di servire tutti i vini ad una temperatura oculatamente inferiore a quella ottimale. Ripetiamolo insieme ancora una volta: raffreddare i vini rossi non è reato, in molti casi è anzi una necessità. Stessa scena pochi giorni fa: una magnum di ottimo Barbaresco servita a bordo piscina sotto il sole. In pochi secondi il vino è diventato bollente, il naso slabbrato, dai profumi sfuggenti e poco a fuoco. In bocca, l’effetto è stato tipo bombardino a Courmayeur: tutta la piacevolezza di un grande vino ma con il meno davanti. A mali estremi, estremi rimedi: due cubetti di ghiaccio e via! Un piccolo inciso. Il mese prossimo torneremo ad approfondire l’esame gustativo quindi prendete con beneficio d’inventario quanto segue. Più avanti sarà ancor più chiaro ma intanto piazziamo un mattoncino. Riguardo alla temperatura di consumo, specie dei vini rossi, le parti dure del vino – tannini e acidità in primis – sono ben più rilevanti di corpo e struttura. Un Barolo 2016, quindi giovane e dal tannino scalpitante, non andrebbe servito al di sotto dei 18°C perché questo inasprirebbe il sorso invece che smussarne gli angoli. All’inverso, un Amarone della Valpolicella maturo, alcolico e morbido, andrebbe servito più fresco per evitare l’effetto-sciroppo e concedendosi una visione più articolata del vino a diverse temperature. A costo di prendersi qualche accidente, ma consapevoli di essere nel giusto, d’estate l’ottimo è mettere a tavola rossi freschi ma anche freddi di frigo per veder sudare la bottiglia in men che non si dica. L’abitudine malsana lo sconsiglierebbe ma chi beve coscienziosamente sa quanto ciò sia saggio. In chiusura, ricapitoliamo tutto in un bignamino da mandare a memoria: 1. monitorare la temperatura del vino è necessario (ma non lo fa quasi nessuno) 2. usare il termometro per il vino come per il BBQ 3. la temperatura ambiente non esiste 4. imparare a memoria le temperature di servizio e poi modularle 5. soprattutto d’estate, raffreddare i vini rossi 6. il gusto è sovrano: bevete sempre alla temperatura che più vi aggrada. Alessandro Morichetti

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BBQ portatili

DISPOSITIVI E ACCESSORI - BBQ PORTATILI a cura di MICHELE CHIPA

L’estate è ormai esplosa e con il bel tempo aumentano le gite fuori porta. Sempre più persone iniziano a organizzare grigliate all’aperto e a cercare spasmodicamente delle aree attrezzate per l’occasione. Nella aglio maggioranza dei casi, ci si via la manopola 1 col flessibile affida alle griglie disponibili in loco che hanno il difetto di non essere protette dalle intemperie e soggette all’uso comune di più persone. Quante volte siete partiti con la macchina carica di leccornie e poi vi siete trovati con griglie sporche o ancor peggio arrugginite? Quante volte avete dovuto lottare con il vicino di tavolo per disporre sulla griglia gli alimenti? Quante volte vi sono mancate all’appello salsicce e braciole perché casualmente finite sulla tavola di altri (nonostante aveste badato alla griglia attentamente)? La soluzione a questi problemi è portarsi il proprio dispositivo di cottura da casa. Certo, spostare un kettle da 57cm potrebbe diventare problematico, ma se non avete necessita di grosse quantità di alimenti da grigliare potreste fare affidamento sui dispositivi portatili. Questi ultimi hanno dimensioni tali da esser facilmente trasportabili ma con tutte le caratteristiche costruttive e di materiali dei “fratelli maggiori”.

Dispositivi a carbone: il carbone è il combustibile che più si associa alla grigliata fuori porta. Basta avere a disposizione una ciminiera di accensione, anche piccola, e degli accenditori per essere pronti a grigliare. Ne esistono sia di forma sferica che di forma rettangolare, con o senza coperchio. Il mio consiglio è di prenderlo con coperchio per poter affumicare anche “in trasferta”. Una delle loro caratteristiche principali è l’incredibile versatilità che mai si potrebbe pensare abbiano, viste le dimensioni ridottissime. Ma vi assicuro, ci si cuoce un po’ di tutto: una volta, su uno di questo dispositivi, ho cotto un risotto appoggiando il wok sulla griglia.

In questo modo potrete evitare di portarvi sulle spalle una scomoda bombola da 5/10kg.

Dispositivi a gas: il gas rappresenta la sintesi perfetta della semplicità di utilizzo: si collega la bombola, si gira la manopola che regola il flusso di gas e si accende il dispositivo. Fine. In 5 minuti di orologio siamo operativi. Per venire incontro alle esigenze di trasportabilità i produttori hanno lavorato non solo sulle dimensioni dei dispositivi ma soprattutto sulle dimensioni delle bombole. Sono disponibili, infatti, delle cartucce contenenti circa 500gr di gas facilmente sostituibili che assicurano una buona autonomia.

Un ultimo consiglio: qualsiasi dispositivi sceglierete di acquistare assicuratevi che sia di ottima qualità costruttiva. Questo per evitare incidenti pericolosi e per far sì che possa essere il vostro compagno di grigliata per molto tempo.

Dispositivi senza fumo: sono il trend del momento. Si tratta di dispositivi che garantiscono l’assenza di produzione di fumo sia in accensione che in utilizzo. Questo perché il carbone è acceso tramite un gel specifico e viene alimentato con aria forzata da una ventola alimentata a batteria. Inoltre hanno una struttura che inibisce il contatto fra grassi in caduta dagli alimenti e fuoco. Per avere dei buoni risultati in termini di reazione di Maillard dovrete utilizzare un carbone ad alto potere calorifero.

Michele Chipa

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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di MARIANGELA IBBA

Se gli altri vanno al mare a

Santa Marinella...

noi stiamo a fa'

LA PANZANELLA Il titolo cita una canzonetta ironica dal doppio senso non troppo velato “La panzanella”, interpretata da Nino Manfredi nel 1979. Se non la conoscete vi invito ad ascoltarla subito, perché è perfetta come colonna sonora di questa ricetta. La panzanella (o pansanella), letteralmente pane zuppo, è un piatto estivo tipico dell’Italia centrale, specie di quelle zone dove si usa mangiare il pane sciapo. La Toscana ne ha sempre rivendicato con forza la paternità, sentenziando spesso che la vera panzanella sia quella fatta solo col tipico pane senza sale. Tra le prime testimonianze storicamente rilevanti su questa pietanza troviamo “Il Decameron” del Boccaccio (Novella VII giornata VIII), in cui si parla di “pan lavato” e l’omaggio in versi, nella prima metà del ‘500, del pittore fiorentino Bronzino: “Chi vuol trapassar sopra le stelle/ en’tinga il pane e mangi a tirapelle/ un’insalata di cipolla trita/ colla porcellanetta e citriuoli/ vince ogni altro piacer di questa vita/ considerate un po’ s’aggiungessi/ bassilico e ruchetta” . Ma in fin dei conti, di cosa si tratta? È un piatto povero dell’antica 96 - BBQ4All MAGAZINE

tradizione contadina che ispirò diverse ricette (la ribollita, la zuppa pisana, la pappa al pomodoro) per mangiare il pane anche quando diventava troppo secco e impossibile da addentare. La panzanella è una sorta d’insalata realizzata con quello raffermo, ammollato nell’acqua per qualche minuto, poi strizzato, sbriciolato grossolanamente e condito con cipolla, cetriolio, basilico, olio, sale e pepe. Il pomodoro entrò a far parte di questa golosa ricetta solo dopo la scoperta dell’America. Può sembrare quasi impossibile rendere ancora più buono un piatto che, attraverso i secoli, ha allietato il palato di molti italiani. In realtà esistono due modi per rendere questa specialità una vera esplosione di gusto: aggiungere ai suoi ingredienti la saporitissima droga rossa (i famigerati pomodorini arrostiti in stile BBQ4All) ed accostarla alla tradizione pugliese, sostituendo il pane sciapo con la frisella. Quest’ultima è una ciambella realizzata con farine di grano duro e d’orzo a doppia cottura. Solitamente viene bagnata nell’acqua per pochi minuti e servita intera condita con olio, sale, pomodori, olive, carciofini

e melanzane sott’olio. Questo tipo di panificato si abbina meglio per gusto e consistenza con il sapore agrodolce della droga rossa, perché a differenza della mollica bagnata non ne assorbe completamente il sughetto evitando così che tutto il piatto si unifichi nel gusto. Inoltre, l’aroma del pomodorino arrostito si sposa alla perfezione con le note fresche e croccanti del cetriolo, della cipolla, del pachino fresco e la sua leggera affumicatura dona alla nostra versione della panzanella un sapore insolito e particolarmente gustoso. Procedimento 1. Prepara il dispositivo per una cottura indiretta a 200°C. 2. Lava una parte dei pomodorini (circa mezzo chilo) sotto l’acqua corrente mantenendo rami e peduncoli, asciugali bene tra due canovacci e sistemali in una teglia adatta alle alte temperature. Bagnali con una generosa dose di olio extravergine, condisci con sale e pepe, una spolverata di zucchero di canna, aceto di mele, poche gocce di Worcestershire sauce e di tabasco.


3. Metti la teglia in cottura dalla parte opposta delle braci, chiudendo il coperchio del dispositivo, per almeno una mezz’ora. Sono pronti quando sono letteralmente esplosi. 4. Prendi una ciotola e riempila per metà con acqua a temperatura ambiente, immergi al suo interno la frisella per pochi e poi spezzala grossolanamente in una zuppiera. Ripeti lo stesso procedimento con le altre friselle. 5. Aggiungi la cipolla tagliata ad anelli, il cetriolo sbucciato e tagliato a fette e i restatnti pomodorini freschi tagliati a metà e mischia bene gli ingredienti. 6. Aggiungi i pomodorini arrostiti e una parte del liquido di cottura e mescola delicatamente. 7. Aggiusta di olio, sale e pepe. Per arricchirla ancora di più nel sapore, al momento del servizio su ogni piatto puoi aggiungere due o tre foglie di basilico. Mariangela Ibba

I N G RED I EN TI P E R 4 P E RS ON E

• 8 friselle • 650g di pomodorini Pachino • zucchero di canna q.b • Worcestershire sauce q.b. • tabasco q.b. • 2 cucchiai di aceto di mele • una cipolla rossa • 2 cetrioli • olio extravergine di oliva q.b. • sale q.b. • pepe q.b.

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SPECIALE PESCE - RICETTA di MARIANGEL IBBA

I N G RED I EN TI P E R 4 P E RS ON E

• Mezzo chilo di trofie fresche • due zucchini • una melanzana • 4 salsicce • olio extravergine di oliva q.b. • uno spicchio d’aglio • due cucchiaini di aceto di mele • sale q.b. • pepe q.b. • un litro e mezzo di brodo vegetale


SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di MICHELA BONGIORNI

TROFIE CON SALSICCIA E V E R D U R E G R I G L I AT E

Tra la dietetica insalata e la frittata di maccheroni, scegli la via di mezzo. La scena ve la ricordate, vero? Sapore di mare, capolavoro del 1983 firmato dai fratelli Vanzina che racconta le estati degli italiani negli anni ‘60, a Forte dei Marmi. Marina Suma e Jerry Calà sono in spiaggia, si stanno conoscendo. Mentre lei vuol fare la parte della figlia di genitori ricchi e moderni, la madre da sotto l’ombrellone la chiama a gran voce perché è pronta calda calda la frittata di maccheroni. La reazione della povera Marina è un misto di rifiuto e imbarazzo. In effetti, la tradizione di portarsi pranzi pantagruelici in spiaggia o ai pic nic è durata fino a tutti gli anni ‘80. A onor del vero, nella mia famiglia abbiamo sempre optato per un banale panino, ma mi ricordo i vicini di ombrellone che, allo scoccare dell’ora di pranzo, iniziavano le operazioni di vettovagliamento, con sedie, tavoli e apparecchiature complete che Csaba dalla Zorza te spicciava casa. E poi tiravano fuori dai cestini qualunque cosa; il pranzo di Natale al confronto era una pallida imitazione. Questa tradizione, che oggi ricordiamo con cara, celeste nostalgia grazie al quel galantuomo del tempo che tutto addolcisce, allora era considerata da veri buzzurri e, dagli anni ‘90, fu fortemente contrastata dalle nuove generazioni. Nacque quindi il periodo dei pranzi leggeri e rinfrescanti: yugurt, insalata, qualche cracker. Al massimo era concesso un panino ma col prosciutto crudo, possibilmente senza grasso, ché col salame già era una volgarità. Eppure, cosa c’è di più bello del gustarsi un pranzo all’aperto con gli amici e la famiglia, mangiando bene senza doversi mortificare nel cuore e nello spirito con lo yogurt e i cracker di riso? Onde evitare l’effetto pranzo di Natale, con lasagne al ragù e parmigiana di melanzane che poi devi aspettare tre ore prima di fare il bagno, o l’effetto stantìo tipico della mensa, con paste stracotte nei thermos e fettine panate unte e flaccide, la soluzione perfetta è quella di preparare una pasta come quella che vi descrivo oggi. Ottima se fatta al momento, avendo a disposizione un wok e un kettle, ma anche perfetta da portarsi già pronta in spiaggia. È, infatti, un primo passe-partout,

facile da realizzare, gustoso e saporito, buonissimo sia caldo che a temperatura ambiente, che piace a grandi e piccoli. E sono sicura che sarebbe piaciuto anche a Marina: avrebbe invitato Jerry Calà a mangiare con lei e la loro storia sarebbe durata per sempre. Preparazione: 1. Predisponete il kettle per una cottura diretta, col carbone al centro della griglia; 2. tagliate le verdure a fette alte un centimetro, spennellatele con l’olio e grigliatele in diretta; 3. appena saranno pronte, tagliatele grossolanamente, conditele con olio, aceto sale e pepe e tenetele da parte; 4. posizionate il wok nell’apposito spazio in griglia o comunque sopra la fonte di calore; 5. spellate le salsicce e riducetele a pezzetti non troppo piccoli: quando il wok sarà ben caldo versateci dentro un cucchiaio d’olio e i pezzettoni di salsiccia. Fateli rosolare bene, poi toglieteli e teneteli da parte; 6. buttate nell'olio e nel grasso della salsiccia uno spicchio d’aglio e asciatelo imbiondire. Poi toglietelo e versate le trofie fresche, con due mestoli di brodo caldo; 7. aggiustate di sale e di pepe e poi continuante la cottura della pasta in questo modo, aggiungendo man mano il brodo, e girandola continuamente facendo attenzione che non si attacchi; 8. Verso la fine della cottura, unite di nuovo la salsiccia alla pasta, con due cucchiai abbondanti di olio extravergine d’oliva; 9. Quando sarà cotta, togliete il wok dal fuoco, unite alla pasta le verdure grigliate e mescolate bene. Aggiustate di sale e di pepe e portate il wok in tavola. Come dicevo prima, è buona sia calda che a temperatura ambiente. È bella da vedere e facile da preparare. Va bene per le grigliate di ferragosto ed è perfetta da portare al mare se preparata il giorno prima. Chiamate Marina, che è pronto! Michela Bongiorni ALMANACCO 2019

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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di LUCA GALLOZZA

SMOKED LO U I SV I L L E CHICKEN WINGS Piccola cosa, gusto enorme

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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di LUCA GALLOZZA “ Ehi papà, guarda, un pollo”. Così recitava un piccolo attore televisivo circa 30 anni fa alla presenza di un pollo, presentato sulla tavola in maniera egregia grazie agli effetti ricevuti da un dado di carne. Ma tu, dopo trent’anni, riusciresti a meravigliare allo stesso modo tuo figlio o chiunque altro si sieda alla tua tavola, presentandogli del pollo? Ti rispondo di sì, e senza utilizzare nessuno dado di carne per questa preparazione: dovrai limitarti a seguire le istruzioni che ti riporterò qui sotto per ottenere delle fantastiche ali di pollo affumicate. Grazie alla ricetta che ti sto per presentare, le tue probabilità di successo si alzeranno e son sicuro che riuscirai a meritarti anche tu l’esclamazione di gioia dei tuoi piccoli assaggiatori di fiducia. Parliamo di ali di pollo affumicate al melo, ricoperte di rub e insaporite da una gustosissima marinatura. Le alette di pollo richiedono inizialmente una pulitura dal piumaggio superficiale che va fiammeggiato con un cannello o su un fornello a fiamma viva. Successivamente, va asportata la parte finale dell’aletta, quella facente parte del metacarpo e delle falangi, che non servirà in cottura. Si procede quindi con un seasoning di spezie ed infine con una marinatura, prima di cuocerle. Vediamo nel dettaglio come farle. Procedimento: 1. Condisci in un recipiente di vetro le alette con il Tennessee Mild Dry Rub BBQ4ALL. Lasciale riposare per almeno mezz’ora. 2. Sciogli il burro in un pentolino. Aggiungi la senape, il concentrato di pomodoro, l’aglio tritato,

il succo di limone e lo zucchero di canna. Mescolando con una frusta, cuoci fino ad ottenere una salsa consistente e cremosa. 3. Aggiungi il bourbon e fai evaporare l’alcol per qualche minuto a fiamma alta. 4. Fai raffreddare la marinatura. Uniscila alle alette nel recipiente. 5. Lasciale a marinare in frigo, per almeno 4 ore o tutta la notte nel recipiente di vetro, coperte dalla pellicola. Rimescola ogni tanto. 6. Setta il tuo dispositivo per la cottura indiretta, stabilizzandolo a circa 170°C. 7. Sgocciola le alette di pollo dalla marinatura e posizionale sulla griglia in cottura indiretta, senza far caso all’eccesso di

marinatura. Aggiungi il tuo legno aromatizzato preferito e affumica lentamente per 40 minuti. 8. A fine cottura passale in diretta per rendere la pelle croccante e, a piacere, glassale con salsa barbecue. 9. Servi su un grosso piatto, spolverando con erba cipollina sminuzzata. Un piatto da leccarsi le dita e imbrattarsi le mani. Da accompagnare con patatine fritte e birra gelata. Da pucciare in tutte le salse. Da consumare sul divano davanti ad un bel film. Da realizzare in un fuoriporta con gli amici. Qualcosa che farà felice i vostri figli: vi litigherete le alette con loro! Luca Gallozza

I N G REDI EN TI P E R 4 P E RS ON E

• 1,5 Kg Ali di pollo • 80 g di Tennessee Mild Dry Rub BBQ4ALL • 175 grammi burro • 75 ml succo di limone • 1 cucchiaio di Senape di Digione • 1 spicchio d’aglio • 1,5 cucchiai zucchero di canna • 1 cucchiaio concentrato di pomodoro • 75 grammi Bourbon Whiskey • 1 ciuffo di erba cipollina

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I N G REDI EN TI P E R 4 P E RS ON E

• 4 braciole di maiale (circa 600 g l’una) • 400 ml succo d’ananas • Zenzero fresco q.b. • 80 ml Aceto di mele • 250g di burro • 1 cucchiaino di senape • pepe nero in grani q.b. • sale q.b. • Olio di semi di arachidi q.b. • un cucchiaio di zucchero di canna • una Mela Granny Smith

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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di LUCA GALLOZZA

B RAC I O LE M A R I N AT E A L LO Z E N Z E R O Com’è bello fare il maiale da Trieste in giù! Estate, mare, sole e voglia di fare barbecue. Ferragosto si avvicina e tu già stai pensando al menù adatto. Dove sarai? In spiaggia, in montagna? Seduto sul bordo di una bella piscina in un agriturismo? In ogni caso, dovunque tu sarai, non potrai fare a meno di accendere il carbone, anche se le temperature, diciamolo, non aiutano. Ma tu sei un temerario. Tra le classiche e immancabili preparazioni tipiche di queste occasioni ci sono sicuramente le braciole di maiale. Taglio più comunemente richiesto in Italia, ricavato dal carrè del suino; anatomicamente collocato al centro della lombata, tra capocollo e nodino, e contenente l’osso. La sua carne è tendenzialmente magra e approda nelle mani del griller come una vera prova del fuoco, a causa dell’ardua impresa di renderla, al cuore, sia tenera che succosa. Per questo ora andremo a vedere come si può ottenere una bistecca di maiale che ti farà sbrillucicare gli occhi e amplificare la salivazione. Il taglio? Abbandoniamo la fettina sottile e striminzita e procuriamoci una bella braciola alta più o meno tre dita. Ops, riformulo, alta almeno 4 cm. Predisponiamo il nostro dispositivo per una cottura indiretta.

Applichiamo al nostro pezzo di 7. Appena otterrete una perfetta carne, una bella marinatura saporita. reazione di Maillard, proseguite Questi tre elementi sono la base per la cottura della vostra carne in arrivare all’obiettivo: carne tenera, indiretta, chiudendo il coperchio gustosa e succulenta. del dispositivo, sino ad una temperatura al cuore di 70° C. Procedimento: 8. Togliete dalla griglia e lasciate 1. In una ciotola capiente, realizzate in rest (a riposo) per circa dieci la marinatura; inserite il burro, minuti. Il carryover (l’inerzia precedentemente fuso, il succo termica) farà il resto del lavoro, d’ananas, lo zenzero grattugiato, portando la vostra carne alla l’aceto di mele, la senape e il temperatura di riferimento di sale. Con l’ausilio di una frusta, 72°C. mescolate bene gli ingredienti sino ad ottenere un’emulsione Come possiamo capire se il nostro liscia e cremosa, ma sopratutto obiettivo è stato centrato ? Al taglio ben legata. e al morso. 2. Utilizzando un sacchetto da frigo Ma anche la vista sarà più che o un contenitore, ricoprite piacevole. Una bella bistecca di le braciole interamente con maiale, alta e umida invece che la marinatura ottenuta. una suola di scarpe rinsecchita e Aggiungete lo zenzero bianchiccia. Pronta da scaloppare grattugiato e i grani di pepe. e accompagnare con le più svariate 3. Lasciate riposare in frigo per salse. Vi consiglio di prendere una almeno 2 ore. bella mela verde Granny Smith, 4. Settate il vostro dispositivo di affettarla a rondelle da 1 cm, di per una cottura indiretta con bagnarla poi con del limoncello e temperatura in griglia sui 180°C di spolverarla con lo zucchero di 5. Dopo almeno due ore, sgocciolate canna. Gratinate le fette in diretta bene le vostre braciole dalla sino a renderle cedevoli e, con l’aiuto marinatura e asciugatele bene. di una paletta da cucina, toglietele e Cospargete un velo di olio di adagiatele sul piatto come fondo semi da ambo i lati. per servire le vostre belle braciole di 6. Sistemate le vostre braciole in maiale. griglia per una cottura diretta, sino al formarsi delle grill marks e di Luca Gallozza una cauterizzazione superficiale. ALMANACCO 2019

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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO di MICHELE CHIPA

Rosticciana

la

fantastica E DOVE TROVARLA

Tra le protagoniste indiscusse di ogni grigliata che si rispetti, spicca senza dubbio alcuno la rosticciana (o rostinciana come diciamo qui in Toscana). Il costato di maiale ha due caratteristiche fondamentali: presenza di grasso e di una grande quantità di collagene (i muscoli intercostali sono continuamente sollecitati dalla respirazione). Questo lo rende un taglio saporito e succulento, quindi perfetto da grigliare. A patto, però, di saperlo trattare come merita. Quante volte vi è capitato di ritrovarvi con un pezzo di carne 104 - BBQ4All MAGAZINE

carbonizzato fuori e crudo dentro? Quante volte avete combattuto con fiammate alte un metro per la colatura del grasso? Per non parlare poi di quei simpatici brandelli immasticabili che si incastrano sempre fra i denti con grande gioia del nostro igienista dentale. Se vi siete stancati di subire tutto questo, proseguite nella lettura dell’articolo dove vi darò dei consigli preziosi per evitare gli errori più comuni.

la carne e/o di carbonizzarla. La gestione delle costine singole è problematica: andranno girate spesso per preservare il maggior numero di succhi e per evitare bruciature. E io vi voglio proprio vedere a dover gestire in comodità 20/30 costine singole piuttosto che 2/3 costati!

Carne carbonizzata fuori e cruda dentro: “che ci vuole a grigliare un pezzo di rosticciana? È veramente semplice! Basta prenderlo e buttarlo Tagliare singolarmente le costine: sulla griglia! Più calore c’è, meglio è!” separare ogni costina equivale ad Ecco, questo è il più comune degli incrementare in progressione errori. Porta a una carne cotta male, geometrica il rischio di seccarne dura, immangiabile, a volte mezza


SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO di MICHELE CHIPA cruda dentro e dal caratteristico sapore di bruciato. Abbiamo tre strade per evitare questo problema: una cottura diretta dolce ed alta, una cottura ibrida (diretta + foil) ed una cottura completamente indiretta. Nel primo caso, dobbiamo creare uno strato di brace ben accesa e con assenza di fiamma, poi predisporre una safe zone ove spostare la carne in caso di fiammate e infine posizionare la griglia ad almeno 40 cm dalla brace. In questo modo potremo rallentare la cottura dell’esterno per evitare carbonizzazioni parziali ed arrivare ad una perfetta cottura al cuore. È la cottura che più si avvicina al concetto di grigliata tradizionale. Quella per gli irriducibili della braciata all’italiana, che ancora non hanno provato le due cotture a seguire. Il secondo metodo, infatti, una volta provato vi farà cambiare tutte le vostre convinzioni: utilizzeremo la tecnica del foil per arrivare allo scioglimento del collagene. Dobbiamo inizialmente provocare la reazione di Maillard con la cottura diretta e poi mettere in foil (doppio strato di alluminio ben chiuso) aggiungendo un po’ di liquido (aceto di mele, brodo, acqua). Nel foil avverrà la magia dello scioglimento del collagene. Accertiamoci del grado di cottura con lo stuzzicadenti o con la punta di una sonda: quando entrerà senza opporre resistenza saremo pronti. Rimettiamo la carne in diretta per asciugare la crosticina eliminando l’effetto “bollito” e serviamo. Questa tecnica ha il vantaggio di avvicinarsi al risultato di una cottura indiretta ma è fattibile anche da chi non possiede un bbq con coperchio

nonostante la temperatura più bassa, avrà molto più tempo a disposizione per avvenire. Con questa tecnica avremo lo scioglimento perfetto del collagene ed una carne estremamente morbida e succosa. Basterà condire la propria rosticciana con olio e spezie e poi posizionarla in cottura indiretta ad una temperatura abbastanza alta rispetto al normale low&slow, sui 150 gradi, e poi chiudere il coperchio del vostro dispositivo: quando sarà morbida e cedevole al tatto potrete farle un veloce passaggio in diretta. (basta posizionare il foil in cottura diretta, magari schermandolo con uno strato in più di alluminio oppure in una leccarda o ancora aumentando la distanza fra griglia e braci). Nel terzo caso ci allontaneremo completamente dal concetto di grigliata tradizionale. La cottura avverrà esclusivamente per convezione e impiegando un tempo maggiore rispetto alle due precedenti tecniche. La reazione di Maillard ci sarà comunque perché,

Fiammate alte un metro: “più la fiamma è alta e prima si cuoce! La fiamma da sapore e anche un po’ di amarognolo ci vuole! Senza fiamma non è griglia!”. Le fiammate in griglia rappresentano l’esaltazione del maschio alfa. Dominarle è un modo di affermare il proprio ruolo di grigliatore ed essere rispettato dai commensali. In realtà è il miglior modo per rilasciare sostanze chimiche tossiche e per incrementare il proprio cattivo odore per le due settimane successive. Le fiamme non servono a niente, anzi, fanno solo danni. Ricordatevelo! Non c’è nessun vantaggio nella loro presenza ma solo svantaggi. Per evitarle è necessario predisporre una safe zone dove posizionare la carne in caso si creassero, utilizzare il coperchio per sopirle o passare direttamente alla cottura indiretta (se il vostro dispositivo lo consente). Brandelli di carne immasticabili: questi pezzettini di carne malefici non sono altro che la pleura parietale. Si tratta di una membrana ALMANACCO 2019

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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO di MICHELE CHIPA adesa alla cassa toracica che offre una prima protezione agli organi respiratori. Se questa non viene rimossa, diventerà del tessuto immasticabile, estremamente tenace e che non conferirà sapore. La rimozione della pleura è una operazione relativamente semplice: si prende il costato e lo si posiziona su un tagliere con le ossa verso l’alto. Partendo da una delle estremità, inseriamo il manico di un cucchiaino o di un coltello con punta arrotondata tra l’osso e la membrana. Cerchiamo di fare leva per alzarne qualche centimetro. Tiriamo il lembo con l’aiuto di carta assorbente per staccarla completamente dal costato.

evitando la cottura diretta. Le St.Louis cut partono dalle babyback e si estendono fino al congiungimento con le cartilagini di fine osso. Questo è un taglio già più facile da ottenere e può essere utilizzato in tutte le tecniche di cottura. Sono più saporite delle precedenti ma richiedono una cottura più lunga, vista la maggior presenza di collagene. Questi primi due tagli, tuttavia, vengono utilizzati dai griller per le ribs all’americana e sono molto più difficili da trovare nelle macellerie italiane. Spesso si incontra una certa resistenza da parte del macellaio che si rifiuta di tagliare il costato in questi due modi. Scegliere un taglio a caso: “da che Le spare ribs invece sono il taglio mondo è mondo la rostinciana è un solo taglio: più grasso è meglio è! Figurati se il mio macellaio si mette a tagliarmi il costato! Che differenza ci sarà mai fra un costato intero ed uno tagliato in più parti, sempre maiale è!”. La scelta del taglio è di fondamentale importanza e questo perché il costato di maiale ha caratteristiche differenti a seconda della parte che andremo a grigliare. Il costato di maiale è caratterizzato dalla possibilità di essere sezionato in tre tagli differenti: babyback ribs, St. Louis cut ribs, spare ribs. Le baby back partono dalla spina dorsale e si estendono per circa 10/12cm. È un taglio che comprende anche un pezzo di arista (il taglio che corrisponde alla schiena del maiale) e quindi non economicamente conveniente da ricavare. Proprio per la presenza dell’arista è un taglio più tenero ma che rischia di seccarsi, e quindi va cotto con molta attenzione 106 - BBQ4All MAGAZINE

che normalmente si trova in vendita. Comprendono le St. Louis cut e le rib tips (conosciute da noi come spuntature o puntine) e corrono fino in fondo allo sterno. La carne è concentrata nella zona intercostale e quindi più saporita. Possono essere cotte come le St. Louis cut ma con tempi più lunghi. Ed è proprio questo il taglio più utilizzato per la rosticciana nostrana. Come avrete capito è sconsigliabile utilizzare il costato intero (dalla spina dorsale allo sterno) sia per le caratteristiche differenti di ogni parte, sia perché vi ritrovereste ossa da oltre 30cm da gestire. Ora non vi resta che passare da una rosticciana tragica ad una memorabile! Michele Chipa


Ribs o Rosticciana?

Le differenze fra i due metodi


SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di EMILIANO NENCIONI Quante volte ti sei trovato nell’imbarazzo di dover spiegare ai tuoi invitati la differenza fra ribs e rosticciana? Quante volte sei stato vittima dell’eterno disguido fra l’american way e la tradizione mediterranea? Mi avevi invitato promettendomi le costine ma... cos’è questa roba dolciastra e coperta di pomodoro, succosa e morbida? Io sono abituato a quel maiale bello duro, che si incastra nei denti, arido dentro e carbonizzato fuori, non mi vanno queste americanate. No, così non va bene. Devi essere chiaro con gli invitati e con te stesso, ma soprattutto devi essere in grado anche di fare bene la rosticciana, o rostinciana, o ossetti, o in qualsiasi modo il tuo ceppo etnico abbia deciso di chiamare questa preparazione. Vediamo quindi cosa rende diversa la rosticciana all’italiana dalle ribs all’americana (tralasciando il discorso sui tagli, già affrontato prima). Prima differenza: il rub e gli aromi La ricerca del rub perfetto per le ribs può essere considerata un hobby a sé. Solamente per quanto riguarda i prodotti commerciali, una semplice ricerca su internet può portarti una quantità ingestibile di risultati. Sono spesso rossi, ricchi di zucchero e con esaltatori di sapidità; gli aromi sono molteplici e molto intensi e strutturati, grazie a un gran numero di spezie. Per la rosticciana tutto questo non ha senso: si rischia l’effetto ti avevo chiesto una rosticciana e vieni fuori con questa americanata con conseguenti malumori vari. O fai le ribs, o fai la rosticciana. E se scegli di fare la seconda, come abbiamo fatto noi in questo numero dedicato alle grigliate estive italianissime, falla bene. Sulla rosticciana sono consentiti olio, sale, pepe, rosmarino. Stop. Attenzione che gli animi dei più ortodossi potrebbero scaldarsi. Seconda differenza: la cottura Dire che per fare delle ottime ribs bisogna far lavorare uno smoker in low & slow per diverse ore mentre la rosticciana va scaraventata sulle fiamme fino a quando diventa nera sarebbe troppo facile e violerebbe ogni precetto di ricerca della perfezione di BBQ4All. Per cui, se per le ribs è necessaria una cottura indiretta per molto tempo, affumicando con legno aromatico, anche per la rosticciana avrai modo di fare una cottura che ti permetta di valorizzare la carne. Per realizzare la rosticciana che vedi in queste foto, abbiamo utilizzato uno dei metodi che il buon Michele 108 - BBQ4All MAGAZINE

Chipa ti ha elencato nell’articolo a fianco. Quello che ti garantisce un risultato eccellente in relativamente poco tempo e senza particolari difficoltà. Te lo spiegherò passo passo: 1. Inizia togliendo la pleura alle costine (come spiegato nell’articolo accanto);

2. mescola tutti gli ingredienti per ottenere un condimento in polvere; 3. cospargi con un filo d’olio la rosticciana e poi spolverizzala bene con il rub ottenuto; 4. accendi il dispositivo e inizia con una cottura indiretta anche piuttosto calda e non appena la carne inizia ad essere penetrabile con uno stecchino avvolgila, assieme a qualche centilitro d’acqua, nel foglio d’alluminio (foil); 5. continua in cottura indiretta e non appena, prendendo il costato con una pinza, noterai una certa cedevolezza della carne (il ben noto bend test) togli l’alluminio e posiziona la pietanza in cottura diretta; 6. è qui che il costato diventa rosticciana. Dovrai dosare con cura l’esposizione alla fonte di calore, abbrustolendo la superficie esterna senza fare vistose bruciature, senza lasciare le fiamme libere di divampare indisturbate. Sempre aiutandoti con una pinza lunga gira spesso la carne, e se necessario spostala in una safe zone (una porzione di griglia senza brace sotto) se perdi il controllo delle fiamme; 7. anche in questo caso il tuo obiettivo è la reazione di Maillard. Il colore deve essere bruno, non nero: attento, perché non avrai l’aiuto di rub ricchi di zuccheri (e per fortuna, altrimenti brucerebbero in un attimo con la cottura diretta!) e dovrai aiutarti solo con lo sciogliersi del grasso del costato.


Terza differenza: le salse Delle belle ribs Kansas City style non possono essere omologate come tali senza una glassatura con la salsa barbecue. Anche in questo caso la ricerca della salsa perfetta, o della modifica segreta da fare alla salsa per raggiungere una glassatura hi-gloss che renda le ribs uno “specchio rosso”, può diventare un’ossessione melvilliana. Piccole aggiunte di sciroppo di glucosio a fine cottura sono spesso espedienti usati per rendere la carne una sorta di caramella luccicante e agrodolce: sicuramente non una cosa molto allineata con le consuetudini mediterranee. E per la rosticciana? Niente. O meglio, niente di tutto questo. A cottura ultimata puoi accompagnare la rosticciana con della salsa verde, con della maionese allo yogurt e erbette o con l’intramontabile cazzimperio (preparandoti allo scopo un po’ di aneddotica e mettendo in playlist il celebre La Banda del Pinzimonio di Nicola Piovani). Basta anche una spruzzatina di limone e del prezzemolo tritato finemente. In conclusione, tutte queste differenze portano a un importante punto in comune: sia che tu prepari le ribs che tu sia impegnato nella rosticciana, devi ricercare il giusto

sapore, il giusto aroma e soprattutto la giusta cottura: la carne deve essere ben cotta (il maiale crudo non piace a nessuno), il grasso morbidissimo e non stucchevole, e le bruciature... beh le bruciature lasciamole a chi fa la grigliata brutta e se ne vanta. Emiliano Nencioni

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• un costato di maiale (con costine non separate tra loro), volendo diviso in tranci • un cucchiaio di sale • un cucchiaio di pepe • un cucchiaio di aglio in polvere • un cucchiaio di rosmarino • olio d’oliva q.b. ALMANACCO 2019

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È ASSOLUTAMENTE VIETATO USARE RUCOLA E GRANA Bbq4all Steak Burger: un salvacena per fare bella figura anche con ospiti gastrofighetti


SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di EMILIANO NENCIONI C’è una sorta di dannazione personale riservata agli utenti più affezionati della Community BBQ4All: dopo qualche settimana di permanenza sul gruppo, dopo aver affinato le tecniche di cottura, ma soprattutto dopo aver cotto carne del Megastore e aver innalzato la loro consapevolezza in fatto di manzo, i nostri adorati fanatici dello strong beefy flavour non riescono più a mangiare carne al ristorante. Letteralmente. Ordinano qualcosa, scettici, chiedendo al cameriere part time con malcelata crudeltà la razza dell’animale: “Ehm... è scottona.” Parte immediatamente la rancorosa spiegazione su cosa sia in realtà una scottona, il cameriere sbuffa e se ne va, le altre persone al tavolo iniziano a lagnarsi di come non si possa più andare in pace al ristorante a mangiarsi una bella bisteccaccia dura e cotta male, senza dover assistere allo spettacolo di arte varia di un maniaco della frollatura. Ti riconosci? È successo anche a te, confessa. Al ristorante, dai suoceri, dall’amico “col manico” che si vanta di aver grigliato per anni quantità apocalittiche di ciccia. Non se ne esce, non si torna più indietro. Non hai il tasto “unDo”, non puoi caricare il gioco salvato al checkpoint precedente: ormai sei consapevole, sei addestrato, hai una certa soglia da superare per decretare l’accettabilità di un piatto di carne. Ma, a conti fatti, non puoi vivere una quotidianità di ribeye e denver steak. Servirebbe qualcosa di molto piacevole, gustoso ma economico e veloce per spezzare il ritmo fra una ran-ichi e una vegas strip. Soluzione: BBQ4All steak burger. Perfetto.

Metto subito le mani avanti e ti una bella crosticina brunita su dico nella maniera più assertiva che entrambi i lati. conosco che non devi considerarlo 6. Solo per i più funambolici: se come un grosso patty per grossi stai cuocendo su ghisa e non su hamburger. Non in questo caso. griglia prova a mettere lo Steak Consideralo come il manzo più Burger “in piedi” e a farlo ruotare buono che tu possa mangiare con su tutta la sua circonferenza una spesa ridicola, sempre pronto aiutandoti con due palette o all’uso nel suo skin pack, senza osso una pinza: in questa maniera e con il giusto bilanciamento di otterrai una bella reazione di grasso e magro ad ogni morso. Maillard uniforme e visivamente Vediamo dunque come prepararlo a d’impatto su tutto il bordo. mo’ di tagliata. Inutile che ti elenchi 7. Metti il patty su un tagliere e con gli ingredienti: basta un BBQ4All un coltello affilato taglialo a fette Steak Burger, olio extravergine di di 6 - 7mm. oliva e sale Maldon. 8. Versa un po’ dell’olio più buono extra vergine d’oliva che riesci Procedimento: a procurarti e decora con una 1. Togli il patty dalla confezione e pioggerella di cristalli di sale inizia ad asciugarlo con la carta Maldon (attenzione: usa il assorbente, fino a quando non Maldon solo per la componente riuscirà più a rendere umido croccante, non per arricchire di neanche un velo della carta. sale, perchè lo Steak Burger ha 2. Cospargilo con un velo d’olio, già la giusta sapidità). utile per veicolare il calore e Pro Tip: per esaltare il sapore di aiutare la reazione di Maillard manzo e avvicinarsi quanto più sulla superficie. possibile alla degustazione di 3. Dai massimo sfogo alla tua voglia una bistecca, spolvera un po’ di di giocare col fuoco, portando BBQ4All Rub Montreal sulle fette il tuo dispositivo alla massima ancora calde. temperatura. Puoi servire le tue fette di manzo 4. Puoi usare una griglia per ottenere in una sconfinata varietà di dei bei grillmarks, ma col tempo modi: in purezza con olio e sale, accetterai l’idea che una piastra aggiungendo una vinagrette di olio in ghisa piena, o una padella in e limone, salsando con salsa verde o ghisa, è lo strumento ideale per con guacamole, o con qualsiasi cosa ottenere una fantastica Maillard incontri il tuo gusto. su tutta la superficie della carne. E se, nonostante il divieto, vorrai Oltre a questo, una piastra evita perfino tentare un’operazione che la discreta quantità di grasso nostalgia impiattandolo con la presente nello Steak Burger nefasta rucola e scaglie di Grana, coli e produca fiammate che sappi che non riuscirai a rovinare il potrebbero investire la carne, gusto di manzo neanche con questa rendendo amara la pietanza. tremenda usanza anni ‘90, che spero 5. Con una paletta in metallo dal fortemente cada in completo disuso manico lungo gira più volte il al più presto. patty con cautela e precisione, Emiliano Nencioni senza rovinarlo, fino ad ottenere ALMANACCO 2019

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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di MICHELA BONGIORNI

Il

CHILIdei ribelli

Il piatto messicano più famoso è senza ombra di dubbio il chili. Se qualcuno di voi non l’ha mai assaggiato, vi consiglio di farlo subito: è un delizioso ragù, speziato e piccante, fatto con carne e fagioli. In realtà, è diventato così popolare perché è il re del Tex-Mex, ovvero della fusione fra la cucina messicana e quella del sud degli Stati Uniti. Il chili divenne infatti popolare nel 1800 in Texas, quando veniva venduto per strada da donne di origine messicana chiamate reinas del chili. Successivamente, nel 1893, lo stato del Texas presentò il chili durante l’Esposizione Mondiale di Chicago, facendolo quindi conoscere a tutto il mondo. Originariamente, la versione texana non conteneva fagioli e pomodori: solo carne, peperoncini e spezie. La carne inoltre doveva essere tagliata a cubetti, non macinata, e cotta per ore sui fornelli. Dopo il 1893, però, cominciarono a nascere numerose varianti di questa pietanza, alcune delle quali diventate molto più famose e apprezzate dell’originale. Tutt’oggi i veri texani grastrotalebani storcono il naso di fronte all’idea del pomodoro e dei fagioli nel chili, tuttavia, anche se probabilmente passeranno il tempo a scrivere su Facebook “non chiamatelo chili!” e a indignarsi, la versione ad oggi più popolare (e diciamolo, più buona) prevede proprio l’uso di questi due

ingredienti. Per quanto riguarda stabilizzate il dispositivo a 150 la carne, anche in questo caso il gradi e fate cuocere per un’oretta tradizionale uso dello spezzatino e mezzo. è stato via via sostituto dall’uso di 5. Trascorso il tempo necessario, carne macinata. aggiungete al ragù i fagioli Noi che siamo dei veri ribbbbbelli borlotti, che avrete cotto siamo andati oltre e il chili lo precedentemente, e lasciate abbiamo preparato con i BBQ4All andare per un’altra mezz’ora Burger. facendo attenzione che i fagioli Poi lo abbiamo infilato nelle tortillas non si disfino. e servito con uno shottino di tequila 6. Quando il ragù sarà pronto, bum bum. togliete il tegame dal fuoco e Oh mamma mia, che cosa buona! scaldate le tortillas sulla griglia Da mangiarne un bidone. del kettle, poi riempitele col chili. Non ci credete? E allora vi sfido! 7. Chiudete le tortillas con un filo Ecco la ricetta. di erba cipollina e, se volete, guarnitele con qualche rondella Preparazione: di cipolla fresca. 1. Accendete il dispositivo, 8. Servite con uno shottino (uno predisponetelo per una cottura alla volta!) di tequila bum bum. diretta col carbone al centro della griglia e poi ponete il wok o la Michela Bongiorni cocotte nell’apposito spazio in griglia. 2. Versate un cucchiaio d’olio nel tegame e poi aggiungete I N G REDI EN TI la cipolla rossa e quella bianca P E R 4 P E RS ON E : tritate finemente; appena si • Due BBQ4All steak burger. saranno appassite, aggiungete • Una cipolla bianca. il peperoncino fresco e la carne • Una cipolla rossa. macinata degli hamburger • 400 g di fagioli borlotti. • 200 g di pomodori pelati. spezzettati, poi lavoratela bene • Un cucchiaio di concentrato per farla amalgamare e per di pomodoro. rendere il macinato omogeneo. • peperoncino fresco. 3. Dopo pochi istanti, salate • Sale q.b. • Pepe q.b. e pepate, e poi aggiungete i • Olio d’oliva q.b. pomodori pelati e il concentrato • 4 tortillas di pomodoro. • erba cipollina per guarnire 4. Chiudete il coperchio, ALMANACCO 2019

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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di ALESSANDRO TREZZI

IL PEPPER STOUT BEEF? In un delizioso triangolino di focaccia: rivisitazione in chiave bbq d e l f a m o s o Tr a p i z z i n o d i C a l l e g a r i

La tradizione, in cucina, è una cosa forte. Tantissimi cuochi e altrettanti chef passano anni della loro vita a rievocare, proporre e persino a rivisitare i sapori della cucina di casa, quella romantica e storica della nonna e della domenica. Il cibo oggi si è evoluto, vive di esperienze e di emozioni e non più di sola pancia piena; per questo è fondamentale colpire il consumatore, il target della nostra cucina, trasmettendogli lo stesso amore sconfinato che proviamo per questo fantastico mondo. Uno dei modi migliori è senz’altro quello di risvegliare le medesime sensazioni che abbiamo provato da piccoli, quando osservavamo curiosi ed affascinati il pentolone della nonna colmo di polpette al sugo, lingua in salsa verde e pollo alla cacciatora, o vedendo sfrigolare in forno quelle magiche teglie di parmigiana di melanzane o lasagne. È sulla base di questo concetto che, nel 2008, Stefano Callegari ha deciso di portare la cucina di casa sulla pizza. O meglio, NELLA pizza. Nasceva così il Trapizzino, uno dei brand ad oggi più fortunati al mondo: un godurioso angolo di pizza bianca romana a forma di tramezzino, farcito seguendo le più antiche ricette romane, che ha fatto il giro del globo sbarcando (oltre a Roma) anche a Milano, Firenze e New York. Ma la cucina di casa, per noi amanti del barbecue, ha

ormai preso una decisiva svolta, altrettanto sentita e caratteristica, che ha inevitabilmente trasformato il nostro modo di vedere il cibo. E che nerd saremmo se non replicassimo questo soffice triangolo di pasta, per poi farcirlo con qualche prelibatezza appena uscita dal nostro affumicatore? Pizza o focaccia? Il Trapizzino nient’altro è che un impasto di pizza in teglia romana ottenuto miscelando della farina 00 forte con una percentuale minore di farina macinata a pietra di forza contenuta, molto idratato e innescato da una buona percentuale di lievito madre; tali caratteristiche gli consentono di subire un rinvenimento in forno successivo alla cottura, in modo tale che prima del servizio possa disperdere l’umidità eccessiva e riacquistare croccantezza in superficie. La peculiarità di questa preparazione risiede nella sua lievitazione in teglia dopo la stesura; in questa fase il Trapizzino guadagna volume, la struttura diviene più uniforme e l’alveolatura più fine e distribuita. Di fatto, per definizione stiamo parlando di focaccia più che di pizza: la pizza è un qualsivoglia prodotto lievitato che viene steso e infornato al momento, mentre la focaccia beneficia di un’ulteriore lievitazione in teglia. Dopo questo periodo di riposo, ALMANACCO 2019

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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di ALESSANDREO TREZZI vengono disegnati dei quadrati con un filo d’olio, divisi nella farina come nel malto stesso), fornisce nutrimento poi grazie a una spatola; in questo modo saranno molto continuo ai lieviti. Considerando i lunghi tempi di più semplici da dividere una volta cotti. maturazione previsti dal metodo, è fondamentale che il quantitativo di zuccheri sia sempre presente sia per mantenere attiva la lievitazione, sia per colorare e rendere Lievito madre o lievito di birra? saporito l’impasto grazie alla reazione di Maillard. Il Trapizzino di Callegari è caratterizzato da una percentuale vicina al 30% di lievito madre, un prefermento con 200 anni di vita utilizzato da 11 generazioni di panificatori, che ha ricevuto circa 15 anni fa. E tuttavia, specialmente in un ambiente non professionale, il lievito madre risulta parecchio complicato da gestire, in quanto richiede continui rinfreschi, temperature e tempi di esercizio ben precisi perché il pH rimanga su valori ottimali. I benefici di struttura, proprietà organolettiche e shelf-life restituiti dall’utilizzo di un buon lievito madre possono essere ottenuti anche mediante l’applicazione di un impasto diretto gestito in maniera impeccabile: al contrario di quanto si pensi, infatti, la digeribilità di un prodotto dell’arte bianca non è imputabile all’utilizzo di un agente lievitante ben preciso o dalle ore di maturazione, bensì da una corretta cottura e da un prodotto ben asciutto, dove gli amidi siano perfettamente gelatinizzati. Visualizziamo quindi l’obiettivo: vogliamo ottenere un triangolo di pasta croccante all’esterno, con una mollica soffice, sviluppata, dall’alveolatura uniforme e distribuita, evanescente al morso. La farina È l’ingrediente più importante di tutto il processo, ed è bene sceglierlo con cura. Il mix migliore in questo caso è costituito da una solida base di farina 00 forte (che conferisce uniformità di gusto, sviluppo e scioglievolezza, elementi imprescindibili in una focaccia), tagliata con una percentuale minore di farina di tipo 1 macinata a pietra, più debole, che spezzi la tenacità conferita dalla farina forte e accentui la croccantezza della superficie, donando anche un boost di sapore grazie alla parte cruscale. Il malto L’utilizzo del malto nella focaccia ha uno scopo ben preciso: lo zucchero prodotto continuamente dalla saccarificazione (il processo che trasforma i carboidrati in zuccheri semplici) dell’amido contenuto nella farina con l’aiuto delle amilasi e dalle diastasi (enzimi presenti 116 - BBQ4All MAGAZINE

A mano o a macchina? A causa dell’elevata idratazione, per questa preparazione è consigliabile l’uso di un’impastatrice a spirale, o almeno di una planetaria dotata di foglia e gancio; l’aspetto fondamentale infatti è inglobare molta aria nell’impasto e formare una maglia glutinica salda, al fine di ottenere un impasto morbido ma perfettamente asciutto. L’alta idratazione, se non gestita in maniera corretta, è un’arma a doppio taglio: l’acqua libera che rimane all’interno dell’impasto causa problemi sia alla struttura che alla cottura del prodotto finito. Se non avete un macchinario tra quelle citati, procedete a mano abbassando però l’idratazione dall’80% al 75% per essere sicuri che il risultato sia ben asciutto. Sarà poi fondamentale effettuare qualche giro in più di pieghe di rinforzo per incordare e per compensare la miglior ossigenazione fornita dall’impastatrice. Il forno La pizza in teglia romana classica richiede una forte spinta dal basso, che possa passare attraverso il metallo della teglia e cuocere la base a puntino. La soluzione migliore è ovviamente quella di utilizzare un forno elettrico che vi garantisca la gestione separata di platea e cielo, impostando la temperatura inferiore a 320-330 °C e quella superiore a 270-280 °C; nel caso di forni con temperatura di camera e gestione delle potenze potete, invece, impostare la camera a 320-330 °C, platea al 100% e cielo al 30%. Tale preparazione è tuttavia perfettamente replicabile anche con un forno classico da incasso; il modo migliore in questo caso consiste nel posizionare inizialmente la teglia sul pavimento per sfruttare al massimo la spinta, per poi spostarla sotto la resistenza superiore fino a cottura ultimata. L’utilizzo del forno a legna, in questi casi, è sconsigliabile in quanto una sorgente di calore puntuale (e non uniforme come nel caso di un elettrico) rende difficile la gestione di un prodotto da teglia. L’importante non è la temperatura, ma la distribuzione del calore.


SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di ALESSANDREO TREZZI La farcitura So che vi sta venendo un mezzo trilione di idee per farcire i vostri soffici triangolini di pasta, ve lo leggo negli occhi. Noi ve ne diamo comunque una, giusto per accrescere la vostra già copiosa acquolina: succosi e profumati sfilacci di Pepper Stout Beef accompagnati da una fresca coleslow con mela verde e maionese allo yogurt. Nato come rivisitazione del classico Irish Stout Beef Stew, lo stufato irlandese di spezzatino di manzo cotto nella birra scusa, il Pepper Stout Beef è un tenace ma saporito pezzo di manzo, affumicato e terminato con verdure in una pentola di ghisa fino allo sfaldamento. La freschezza e la nota piacevolmente acidula dell’insalata spezzerà la parte grassa e complessa del manzo, conferendo equilibrio e forza all’insieme

La Focaccia

La ricetta Ingredienti per 2 teglie 30x40: • 800 g di farina di grano tenero di tipo 00 (300-330 W); • 200 g di farina di grano tenero di tipo 1 (260-280 W); • 800 g di acqua; • 25 g di sale fino; • 5 g di malto diastasico; • 10 g di lievito di birra secco (4 g se secco) Impastamento Rovesciate in un recipiente ampio (o nella vasca della vostra impastatrice) tutta la farina, il 75% dell’acqua, il lievito sbriciolato e il malto diastasico; dopo una prima fase in cui gli ingredienti sono stati ben amalgamati, aggiungete l’acqua rimanente poco per volta, attendendo che la quantità precedente sia stata assorbita prima di aggiungerne dell’altra. Aumentate gradualmente la velocità per incordare e asciugare l’impasto, e verso la fine aggiungete il sale; terminate l’impastamento quando l’insieme risulterà liscio, asciutto e setoso e la maglia glutinica si sarà formata. La temperatura interna dovrà essere di almeno 24 °C per permettere ai processi fermentativi e alla maturazione di avere inizio senza particolari ritardi. Date una forma sferica all’impasto e lasciatelo 2 ore a temperatura ambiente per far partire la lievitazione; se lavorate a mano, durante questa fase

abbiate cura di dare qualche piega di rinforzo a intervalli di 15-20 minuti. Puntata In questa fase l’impasto matura e la maglia glutinica si stabilizza. Posizionate il tutto in un recipiente dai bordi alti, all’interno del quale l’impasto possa “puntare” contro le pareti e prendere forza,crescendo verticalmente. Mettete in frigorifero per 18-24 ore a una temperatura di 6°C. Staglio e appretto Circa 6 ore prima della cottura togliete dal frigorifero e dividete l’impasto in due parti uguali; formateli e riponeteli in due recipienti che ne contengano il volume per almeno tre volte. Lasciate il tutto a lievitare per circa 4 ore a una temperatura di 22-24 °C. Stesura Ribaltate un panetto per volta su una superficie piana cosparsa di semola rimacinata di grano duro; infarinate anche la parte superiore della massa e premete con l’ultima falange delle dita, spingendo l’aria che allargherà piano piano l’impasto. Allargate prima i bordi e poi la sezione centrale, fino a quando la forma non sarà indicativamente larga i 2/3 della superficie della teglia; caricate quindi la massa sull’avambraccio, scrollate la farina in eccesso e adagiatela sulla teglia precedentemente spennellata con poco olio; terminate la stesura allargando tutti i lembi e portandoli adiacenti al bordo. Terza lievitazione in teglia Completata la stesura, lasciate lievitare per circa 2 ore a 28-30 °C, in modo che la struttura aumenti di volume e divenga uniforme e vaporosa. Divisione in quadrati Usando l’olio extravergine di oliva, dividete la teglia in 6 parti uguali, e tagliate aiutandovi con un tarocco o una spatola. Prima cottura Preriscaldate il vostro dispositivo a temperatura (330 °C per un forno elettrico professionale, o al massimo in un forno a incasso tradizionale).Cuocete fino a doratura della base e della superficie, per un tempo indicativo che va dagli 8 ai 12 minuti. ALMANACCO 2019

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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di ALESSANDREO TREZZI Terminata la cottura, sfornate la focaccia e adagiatela su una griglia rialzata per farla asciugare e raffreddare, impedendo il raffermamento.

Il Pepper Stout Beef Ingredienti Per il rub: • 1 parte di sale; • 1 parte di pepe; • 1/3 di parte di aglio in polvere. Per il Pepper Stout Beef • fette da 1 kg di reale di manzo disossato vicino al collo (chuck roll); • 6 peperoni; • 3 cipolle rosse; • 1 carota;-½ tazza di salsa Worcestershire; • 1 tazza di olio di oliva; • 4 lattine di birra Guinness; • Tabasco q.b.

La Coleslow Ingredienti • 50 g di pan di zucchero; • 50 g di radicchio; • 50 g di porro; • 50 g di carote; • 50 g di mela verde; • 50g di maionese leggera; • 50 g di yogurt bianco. • succo di lime q.b.; • menta fresca q.b.

Preparazione dell’insalata 1. Tagliate a julienne le carote, e tritate finemente il pan di zucchero, il radicchio e il porro. 2. Tagliate a listarelle la mela verde, mischiate maionese e yogurt con una frusta e unite tutto in un’insalatiera. 3. La coleslow deve essere preparata al momento, perché tutti gli ingredienti mantengano la loro freschezza e la mela verde non annerisca. Potete aggiustare a Preparazione: piacimento con poco succo di lime piastrato e della 1. Con un coltello affilato rimuovete eventuali menta fresca tritata cartilagini superficiali e la parte di grasso più dura che non si scioglierebbe in cottura. Tagliate il reale Servizio a fette, miscelate gli ingredienti del rub, cospargete Riscaldate per qualche minuto i vostri tranci a 200 °C, la carne con un velo di salsa Worcestershire e fate finché la superficie non avrà riacquistato una consistenza aderire il misto di spezie. croccante, disperdendo l’umidità in eccesso assorbita 2. Stabilizzate il vostro dispositivo per una cottura dalla focaccia durante il raffreddamento. Si tratta di indiretta a 110 °C; disponete la carne sulla griglia un passaggio classico, tradizionalmente eseguito nei e affumicatela lentamente con qualche chunk di banchi di pizza romana, che consente a tale prodotto hickory, fino alla formazione del bark. di migliorare notevolmente le sue caratteristiche; 3. Tagliate a listarelle tutta la verdura e versatela nella l’idratazione elevata, se ben gestita, aiuta a mantenere pentola insieme all’olio, alla salsa Worcestershire, perfettamente la pizza anche dopo due passaggi in forno. a un pizzico di sale, di pepe e a qualche goccia di Aiutandovi con una forbice, tagliate lungo la diagonale Tabasco. e ricavate poi una tasca sezionando la mollica. Farcite 4. Una volta che il bark si sarà formato, mettete la carne quindi i triangolini con la coleslow e una generosa dose sopra alle verdure e versate la birra calda. Chiudete di profumatissimi sfilacci di Pepper Stout Beef. la pentola e mettete in cottura lenta fino a quando Sbranate, sporcatevi, godete. la carne non inizierà a sfaldarsi, raggiungendo indicativamente la temperatura interna di 98 °C. Alessandro Trezzi

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I N GREDIENT I PER 4 PERSO N E:

• 150 g di farina 00 • 125g di zucchero a velo • 75g di burro • 30 g di tuorlo (circa 2) • 500ml di latte intero • 60g di farina di cocco • 50g di amido di mais • 1 lime • 1 ananas intera • zucchero di canna q.b. • menta fresca q.b.

Un biglietto di sola andata per

Porto Rico Crostata con crema di cocco ricoperta di ananas grigliato 120 - BBQ4All MAGAZINE


SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di MARIANGELA IBBA Oltre all’immancabile tormentone musicale, l’estate porta con sé anche la passione per la frutta esotica che, con i suoi colori sgargianti, il profumo ammaliante, il sapore intenso e la peculiare succosità, è uno dei simboli delle vacanze al mare. Durante i mesi invernali, la sola fragranza ci fa desiderare che la bella stagione arrivi il più velocemente possibile; nel corso del periodo estivo, col suo gusto rinfrescante accompagnato da tonnellate di ghiaccio, è tra le poche cose che ci regala momenti di refrigerio dalle insopportabili temperature. Infatti con il cocco, il lime, il mango, la papaya e l’ananas si creano deliziosi cocktail, variegate macedonie, squisiti gelati e golose torte fredde. Nonostante il gusto della frutta esotica sia già buonissimo, se accostato al mondo del barbecue può diventare straordinario e te lo dimostro con questa ricetta: una crostata farcita con crema di cocco profumata al lime, arricchita nel sapore da fette di ananas grigliato. Una Piña Colada da mangiare, in pratica. La freschezza della crema, la cui leggera nota acida esalta la delicatezza del cocco, si abbina alla perfezione con l’aroma deciso e zuccherino dell’ananas grigliato, creando un’armonia di sapori interessante. Infatti, grazie al calore della griglia, la frutta acquista un’intonazione di gusto più marcata, perché l’elevata temperatura causa l’evaporazione parziale dell’acqua presente all’interno dell’alimento, concentrandone l’aroma e favorendo la caramellizzazione della superficie esterna e intensificandone ancora di più la dolcezza. Ti assicuro, anche questa volta stupirai gli amici dimostrando che

dalle fiamme del barbecue può nascere un dolce fresco e ottimo per le calde giornate estive.

togli il pentolino dal fuoco continuando per qualche secondo a girare la crema. 10. Quando la crema è completamente raffreddata aggiungi il succo e la scorza grattugiata di un lime e mescola bene. 11. Sforma la crostata con delicatezza e al suo interno versa la crema di cocco e riponila per 2-3 ore in frigo perché rassodi. 12. È arrivato il momento di pulire l’ananas. Con un coltello affilato taglia la parte alta, a circa un cm dal ciuffo, e la base. Sbucciala senza eliminare troppa polpa e togli gli "occhietti" del frutto con un coltellino affilato. Per rimuovere la parte centrale prendi un levatorsoli ed inseriscilo prima da un lato, poi dall’ altro, quindi sfilalo. Taglia l’ananas in fette sottili. 13. Prepara il dispositivo per una cottura diretta. 14. Spolvera le fette dell’ananas su entrambi i lati con dello zucchero di canna e ponile direttamente sulla griglia sopra le braci, qualche minuto per lato. Sono pronte quando entrambe le facce sono leggermente imbiondite. 15. Fai raffreddare totalmente l’ananas su un vassoio ricoperto di carta forno. 16. Prendi la torta e decorala secondo il tuo gusto con la frutta grigliata e tienila in frigo fino al momento del servizio.

Preparazione 1. In un recipiente versa la farina setacciata, il burro freddo tagliato a dadini, 65g di zucchero e i tuorli. Lavora l’impasto con le mani fino a quando non hai ottenuto una palla liscia e compatta. 2. Avvolgi la pasta frolla nella pellicola alimentare e mettila in frigo per almeno 30 minuti. 3. Passato questo tempo, prendi la pasta dal frigo e con un mattarello tirala sottilmente. 4. Prendi una teglia col bordo liscio non troppo alto e foderala con la pasta frolla che hai appena steso. Rifila i margini della pasta con un coltello. 5. Prepara il dispositivo per una cottura indiretta a 180°C. 6. Buca con una forchetta la base della frolla, copri con la carta forno e poni sopra delle sfere di ceramica (riso o fagioli secchi) perché durante la cottura la base rimanga omogenea. 7. Poni la tortiera in cottura sulla griglia dalla parte opposta delle braci. Dopo una decina di minuti la base sarà pronta. Toglila dal dispositivo e lasciala freddare. 8. Prepara la crema. In un pentolino versa il latte, lo zucchero, l’amido di mais e la farina di cocco. Ogni volta che aggiungi un ingrediente alla parte liquida dai una vigorosa mescolata in modo da evitare la Per aggiungere un tocco aromatico formazione di grumi. in più su ogni fetta puoi mettere 9. Poni il pentolino sul fuoco qualche fogliolina di menta fresca. medio basso, mescolando sempre il composto con la frusta Mariangela Ibba perché non si creino grumi. Appena arriva a sobbollire ALMANACCO 2019

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SANGRIA I N GREDIENT I

• vino rosso, possibilmente con un alto grado alcolico e corposo • pesche gialle; • albicocche • nespole • mela verde • ananas • 1 limone • Rhum scuro o in alternativa brandy • Zucchero • chiodi di garofano • Cannella in stecche N.B. Il quantitativo di ingredienti è variabile e suscettibile ai gusti personali, considerate comunque che la frutta dovrà essere completamente immersa nel vino.


SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di TOMMASO DI GREGORIO

"El vino tinto hace buena sangre, Le origini vaghe della bevanda hanno impedito la sangria lo hace una vera e propria codifica della ricetta e questo ha al diffondersi di una miriade di ricette diverse. espectacular” portato C’è la disputa tra chi usa il rhum e chi usa il brandy; Ricordate la disputa che divide i siciliani sulla ricetta della caponata? (a coloro con la memoria corta consiglio di andare a ripassarsi il numero di aprile) Oggi andremo a trattare un altro argomento che causa dispute familiari nei paesi iberici: la Sangria Non ne esiste una ricetta codificata e anche le sue origini non sono molto chiare. Secondo alcune teorie la bevanda è nata nell’800, nelle campagne, dove i contadini erano soliti allungare il loro vino con frutta e agrumi di stagione per alleggerirlo e renderlo più leggero. Secondo un’altra teoria, sembra che fosse apprezzata, già dalla fine del 1700, nelle Antille, soprattutto dai marinai inglesi. Il ron (o rhum, se parliamo di quello giamaicano) è l’ingrediente indispensabile. Si ipotizza che questa mistura di frutta, miele e vino sia stata ideata proprio per allungare il rhum, in modo da aggirare il divieto fatto ai marinai di berlo liscio, dato il largo consumo che ne facevano e il loro conseguente stato di ebrezza. I marinai, infatti, una volta sbarcati dopo avere sopportato con coraggio i lunghi e noiosi mesi di navigazione, volevano divertirsi e svagarsi, e la proibizione di consumare alcolici non era di loro gradimento; con lo scopo di aggirare la regola, quindi, iniziarono a camuffare il rhum diluendolo con tutto ciò che trovavano a portata di mano. Dentro le giare che contenevano la bevanda alcolica veniva quindi buttato tutto ciò che era reperibile, dal miele alle spezie, dal vino alla frutta. Inoltre mettendo a macerare quest’ultima nell’alcool se ne diminuiva la deperibilità ed era quindi possibile consumarla anche in mare allontanando lo spettro dello scorbuto, malattia letale per gli uomini di mare. Per quel vino aromatizzato con frutta, cannella e ron caraibico, nessun nome sembrava più appropriato dello spagnoleggiante sangria, che richiamava il purpureo pulsare sanguigno, passionale e focoso degli spagnoli.

c’è chi lo allunga con gassosa o aranciata; c’è chi, come i catalani, la fa con il vino bianco. L’unica cosa su cui concordano tutti però è che la sangria va preparata con almeno un giorno d’anticipo perché richiede riposo! Ma parliamo appunto del vino. Tralasciando la diatriba tra catalani e il resto della Spagna su quale sia il migliore per fare la sangria, vi consiglio di non sottovalutarne comunque la qualità. In Spagna solitamente vengono usati i vini Grenache, Garnacha o Monastrell, prodotti nella zona della Rioja. Migliore sarà la qualità del vino con cui farete la sangria, migliore sarà il risultato finale. Non fate il tipico errore di comprare un vino scadente per poi sperare di ottenere una buona sangria! Oggi vi propongo una Sangria di stagione, fatta con frutta grigliata, sperando di non indispettire nessun iberico gastro-talebano. A me è piaciuta e oserei anche scommettere che piacerà anche voi. Preparazione 1. Iniziate settando il vostro kettle per una cottura indiretta 2. Tagliate la frutta a pezzetti e mettetela nell’apposito basket per il kettle 3. Grigliate la frutta fino a quando non sarà ben dorata 4. Quando la frutta sarà cotta mettetela in un contenitore sufficientemente grande 5. Aggiungete ora un paio di cucchiaini di zucchero, un bicchiere di rhum e il succo di mezzo limone per ogni litro di vino 6. Mettete quindi le spezie a vostro gradimento 7. Coprite tutto con il vino rosso e mettete a riposare in frigo per almeno una notte 8. Servite facendo in modo che i commensali possano anche aggiungere la frutta a loro piacimento nel bicchiere. Salud! Tommaso Di Gregorio ALMANACCO 2019

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PICCOLA GUIDA

L' A R ROSTIC INO P E RF ET TO Quando sono stata contattata dalla redazione del Magazine per scrivere un articolo sull’arrosticino perfetto, da abruzzese, ho esultato. Cosa c’è di meglio del poter parlare a ruota libera del cibo che più caratterizza la propria terra? Per noi abruzzesi, infatti, l’arrosticino è un amico. Vuol dire casa, affetti, famiglia. L’unico problema è che è esattamente come noi: forte e gentile, ma testardo. Lo avrete notato: non prendiamo benissimo le varie teorie sul vero arrosticino dei non abruzzofoni. Io però prometto di lasciare da parte tutto ciò che può rendermi troppo gastrotalebana e di parlare dell’arrosticino con tranquillità. Vi fidate? Sebbene tutte le province ne rivendichino la paternità, si dice che sia nato agli inizi del ‘900 tra Villa Celiera e Civitella Casanova, secondo alcuni grazie ai pastori che facevano la transumanza, altri invece danno il merito ai pastori stanziali. La cosa della quale si è certi, però, è che tutto cominciò infilzando dei tocchetti di carne di pecora con dei “ceppi” di legno raccolti sulle rive del fiume Pescara. Non tutti gli spiedini sono arrosticini e l’arrosticino non è uno spiedino: concedetemi almeno questo!

Attualmente in Abruzzo vengono riconosciuti solo due tipi di arrosticino: di carne e di fegato. Il secondo è più facile trovarlo con fegato di vitello, intervallato da grasso ovino, cipolla e alloro (peperoncino per i più temerari, in alcune nuove interessanti rivisitazioni). Se volete davvero gustare l’arrosticino perfetto dovete tuttavia abbandonare i prodotti industriali. Certamente in commercio potrete trovare dei buoni prodotti fatti a macchina (detta cubo) di diverse pezzature (da 20 a 38 gr.) ma l’arrosticino perfetto deve essere fatto a mano. Se non siete della zona potrete tranquillamente provare a farli da soli a casa, intervallando pezzi di polpa a pezzi di grasso. Sebbene quelli di filetto siano i più pregiati, consiglio comunque tagli più gustosi e marezzati, meglio ancora se di pecora ben frollata. Non eccedete con la grandezza: devono essere pochi, intensi bocconi. Il grasso è una componente fondamentale: sciogliendosi renderà la carne meno tenace. L’unico accorgimento che mi sento di dare sulla cottura è: utilizzate la canalina (o fornacella), l’attrezzo apposito per farli venire perfetti. Evitate piastre elettriche, forni, padelle e nuovi ammennicoli tecnologici. Si sta parlando dell’arrosticino perfetto, non dell’arrosticino così così. ALMANACCO 2019

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Se ne avete una non è un problema: inventatevela! Utilizzate mattoni, lamiere, quello che la vostra fantasia vi suggerisce, ma cercate assolutamente di incanalare il calore sull’area da cucinare, evitando così spiacevoli incidenti per il ceppo (potrebbe bruciare e rompersi, compromettendo quindi la vostra esperienza). Personalmente preferisco di gran lunga la carbonella alle bricchette. Non c’è un vero e proprio perché, ma se avete la possibilità di partire con della legna d’ulivo l’esperienza diventerà mistica. Aspettate che la vostra brace venga coperta dalla cenere e “ingentilisca” il calore. Disponete quindi gli arrosticini uno di fianco all’altro (il fochista vero li gira di 5 in 5, con una mano sola, ma queste sono sottigliezze). Ricordatevi però che l’arrosticino va girato solo una volta e salato una volta terminata la cottura. Non stracuoceteli. Vi assicuro che, una volta raggiunta la Maillard su entrambi i lati, se avrete sistemato la brace a dovere, saranno cotti a puntino! Sconsiglio vivamente salamoie o dry brining: l’arrosticino è buono perché è semplice, non artefatto. Deve essere servito ben caldo, quindi se non disponete di un coccio da arrosticini, disponeteli a mazzi in un cartoccio di carta stagnola che copra solo la carne, lasciando i ceppi a vista. Non andrà mai aperto per preservare il calore all’interno: l’arrosticino andrà solo sfilato per venire gustato caldo. Unico accompagnamento possibile, e non parlo dei contorni, è una fetta di pane con olio e sale. Per i più temerari è consentito l’olio piccante. Non parlatemi di limone o verrà fuori la gastrotalebana che è in me! Il limone copre il sapore, per cui, se volete utilizzare un buon salmoriglio, siete liberissimi di farlo ma compromettereste la vostra esperienza. Negli anni in tanti hanno provato a modificare quella che rimane una preparazione semplicissima. Spesso li ho visti impanati e fritti (anatema), oppure accompagnati ad alcune salse. Non mi sento di dissociarmi completamente dal discorso salse ma ribadisco: se fatto alla perfezione deve rimanere così, semplice, perché non ha bisogno di correzioni o di spinte di sapore. Mi sento solo di riportare la variazione sul tema di Massimo Bottura del 2016. Lo chef cucinò l’arrosticino come da tradizione. Sfilò quindi la carne dal ceppo e, invece del pane, utilizzò un bun di riso cotto al vapore, condito con mostarda, balsamico e olio di oliva abruzzese. Che ne dite, lo proviamo? Raffaella Caroprese 126 - BBQ4All MAGAZINE



VINI ABBINATI a cura di ENIO BERTON

È ORA DI

BERE! abbinamenti consigliati

VALLÉE D’AOSTE CHAMBAVE Vino: Cantina: Abbinamento :

Vallée d’Aoste Chambave Moscato Passito DOC “Prieuré” 2016 La Crotta di Vegneron Crostata con crema di cocco e ananas grigliato

l nostro dessert ci richiede un vino che possa accompagnare la dolcezza degli ingredienti e che sappia sollecitare la leggera acidità dell’ananas e del lime. Il moscato di Chambave fu proposto al re di Francia Carlo VIII nel 1494, questo a testimonianza che la Valle d’Aosta ha sempre avuto una tradizione vinicola raffinatasi sempre più nel corso dei secoli. La cantina di produzione nasce nel 1980 in forma cooperativa; attualmente i soci sono circa 70. Producono le loro uve nelle due denominazioni Chambave e Nus. La filosofia della cooperativa vuole essere radicata al territorio ed alla tradizione, fatta di vitigni autoctoni e di abili viticulteur che lavorano su piccoli appezzamenti abbarbicati sulle pendici della montagna (ad altezze che vanno dai 500 agli 850 metri), dove non è sempre possibile attuare una razionale meccanizzazione delle operazioni di vigna. Il Moscato Passito viene prodotto dai grappoli migliori del moscato bianco, raccolti da metà settembre ai primi di ottobre, e messi ad appassire in appositi graticci in locali arieggiati. Dopo la vinificazione in acciaio, con varie fasi di macerazione a temperatura controllata, viene messo in vasche di acciaio, per un affinamento di 5 mesi con il vino sulla feccia di fermentazione, con frequenti batonnages (rimescolamenti del vino che riportano in superficie la feccia per facilitare il processo di autolisi. utile a favorire la cessione dei componenti aromatici) ed altri 7 mesi sempre in vasche di acciaio. Dal colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, al naso presenta profumi floreali intensi e persistenti sentori di frutta con note di erbe aromatiche di montagna. Al palato risulta dolce, caldo, rotondo con un gusto intenso e con note finali di mandorle e miele. Da servire a 10 gradi in bicchieri tulipano. Uve: 100% Moscato Bianco Zone produzione: Comuni di Chambave, Saint-Denis, Chàtillon e Verrayes Esposizione: zone collinari dai 450 ai 680 slm Grado alcolico: 13,50%

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CHENIN BLANC SAVANHA Vino: Cantina: Abbinamento :

Western Cape WO Chardonnay Savanha 2017 Spier Trofie con salsiccia e verdure grigliate

Le trofie con la salsiccia e le verdure grigliate ci richiedono un vino con una buona acidità per poter apprezzare appieno i profumi delle verdure e pulire il palato dalla nota grassa della carne. Lo Chardonnay è uno dei vitigni più coltivati al mondo. Si trova in tutte le zone del mondo e, oltre ad essere prodotto come vino fermo, è la base dei più rinomati metodi classici francesi ed italiani. Le sue origini sono poco chiare, alcuni lo fanno risalire ai tempi dei greci, ma tutti sono concordi nell’indicare la Borgogna, precisamente nell’abbazia di Pontigny, come il luogo dell’inizio della sua era moderna e della successiva veloce diffusione in tutto il mondo alla fine del XIX secolo. Proprio per le sue caratteristiche, è un vitigno che ben si adatta al Sudafrica e nella cantina Savanha dell’azienda Spier, nella zona vinicola dello Stellenbosch, viene prodotto questo Chardonnay in purezza. La cantina ha origini centenarie, fondata dai naviganti olandesi che posero in Sudafrica la base per i rifornimenti dei convogli navali lungo la via delle Indie. Lo Chardonnay viene prodotto da uve raccolte a mano e scelte accuratamente per una migliore qualità. Dopo il diraspamento, avviene la vinificazione fatta con lieviti selezionati. Il vino rimane in tini di acciaio per due mesi per poi essere imbottigliato e reso disponibile al commercio. Dal colore giallo paglierino intenso, al naso presenta sentori avvolgenti di frutta esotica, ananas in primis, con note agrumate di pompelmo rosa. Al palato risulta ampio, sapido e fresco, ritornano le note agrumate che consentono un ottimo fin di bocca. Da servire a 8/10 gradi in bicchieri tulipano. Uve: 100% Chardonnay Zone produzione: Stellenbosch (Sudafrica) Grado alcolico: 13,50%

CABERNET FRANC Vino: Cantina: Abbinamento :

Friuli Colli Orientali Cabernet Franc DOC 2016 La Roncaia Tagliata di steak burger

Restiamo in Italia e più precisamente in Friuli nella zona del Collio per scegliere il vino da abbinare alla tagliata di steak burger. Il Cabernet Franc è un vitigno originario della penisola balcanica e trapiantato successivamente nella zona di Gironda (Bordeaux). È progenitore del Cabernet Sauvignon, poiché è nato da un incrocio spontaneo nel medioevo con il Sauvignon. Assieme al Merlot creano il famoso taglio bordolese che tanto ha dato ai vini di Bordeaux. Le principali regioni italiane che producono il vino in purezza sono il Veneto, la Toscana ed il Friuli. La cantina Roncaia della famiglia Fantinel ha nel suo passato tutta la straordinaria passione per il vino ed il suo terrorio, (leggete la presentazione sul loro sito). Fondata nel 1998 nel comune di Nimis, su terreni di proprietà di circa 22 ettari, ha diversificato la produzione tra vitigni autoctoni (verduzzo, friulano, refosco dal peduncolo rosso, picolit) e internazionali (merlot, cabernet franc e cabernet sauvignon). Le uve, raccolte e selezionate a mano, subiscono una macerazione di 15 giorni in botti di rovere e, successivamente, il vino viene fatto riposare e maturare in vasche di acciaio per 10 mesi per poi essere imbottigliato e tenuto in posizione coricata per un ulteriore affinamento. Dal colore rosso rubino intenso ,con sfumature violacee, al naso presenta sentori vegetali,erbacei e terrosi; note di frutta rossa fresca appaiono in un secondo momento e successivamente lasciano spazio a note vinose e speziate. Al palato il tannino fresco viene bilanciato da una vivace freschezza su una struttura equilibrata e di corpo. Da servire a 16/18 gradi in bicchieri ampio. Uve: 100% Cabernet Franc Zone produzione: Colli Orientali del Friuli Grado alcolico: 13,00% ALMANACCO 2019

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BIRRE CONSIGLIATE a cura di RICCARDO MENICONI

O P P E R BACCO 4 . 7 La grigliata estiva rimane un grande classico anche per il pit master più esperto ed esigente. Nel centro Italia, e soprattutto in Abruzzo, il re della proteina è sicuramente l’arrosticino di pecora. Nel fantastico entroterra abruzzese possiamo trovare un birrificio storico del movimento artigianale italiano. Attivo già dal 2009, Opperbacco ci delizia con una delle sue birre tradizionali, la Golden Ale dal nome didascalico 4.7, che indica il suo grado alcolico. Il colore dorato carico e la schiuma bianco perla preannunciano già la freschezza che si sprigiona avvicinando il naso al bicchiere con sentori agrumati di pompelmo e resinosi di aghi di pino, contornati da sentori di frutta fresca e di leggere note speziate. La bevuta è scorrevole e coerente al naso, con un finale asciutto e leggermente amaro ottimo per ripulire la bocca dai primi dieci arrosticini e prepararsi ai successivi dieci. Vi consiglio di servirla ad una temperatura di 6/8 gradi in una pinta americana. Inoltre, se vi capitasse di passare in quelle zone ad agosto, il mio consiglio è quello di visitare uno dei più grandi e caratteristici festival di birra artigianale, che si svolgerà a pochi chilometri dal birrificio, nel paesino di Castellalto. Lì potrete trovare alcune delle creazioni di Opperbacco e tantissime altre birre di qualità.

C H I POT LE A LE Non tutti possono permettersi vacanze in destinazioni da sogno, ed è proprio per questo che vogliamo regalarvi un volo diretto tra le nuvole del Messico. Con la fantasia, ovviamente. Lo so, state già sognando la siesta nell’aia di una hacienda, all’ombra del vostro sombrero, pasteggiando oziosamente con tacos y chili ed una Chipotle Ale, del birrificio Rogue. Un’american amber Ale alla quale viene aggiunto del peperoncino affumicato chipotle del Cile. Al palato la capsaicina si fa sentire, accompagnata da una base morbida ed affumicata con note tostate e terrose, mentre al naso emergono note speziate, di caramello e malto. La schiuma color avorio, pannosa ma poco persistente, fa da cappello (o meglio, da sombrero) ad una birra dal colore ambrato e carico che ricorda i tramonti di Acapulco. Abbastanza strutturata da abbinare al chili di carne ma anche fresca e leggera con i suoi 5%. Vi consiglio di servirla ad una temperatura di 10 gradi in una pinta americana, anzi due. Visto il formato da 66cl è ottima da condividere con gli amici. Saludos!

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Dopo il temuto “che fai a Capodanno?” e gli infiniti programmi di Pasqua e Pasquetta, 25 Aprile e Primo Maggio, arriva anche il momento di pensare al Ferragosto. Per noi la soluzione è sempre la stessa: fuoco alla carbonella! Siamo noi, gli impavidi amici della griglia, quelli che si immolano per la sazietà e la felicità del gruppo, nonostante i sahariani 40 (e anche 43) gradi all’ombra. Non siamo tipi da cocomero e ghiaccioli, questo lo abbiamo già capito, non a caso bricchette fa rima con alette, e fuoco fa rima con... sete, tanta sete. Ok, no, non fa rima, ma ci siamo capiti lo stesso, giusto? Per i nostri eroi delle feste fuori porta ho pensato ad un’ american IPA tutta all’italiana, direttamente dalla Fabbrica della Birra Perugia, storico vanto del centro Italia fondato nel 1875: la Calibro 7, che deve il suo nome all’utilizzo di sette delle più pregiate varietà di luppolo, provenienti da tutto il mondo, dalla Nuova Zelanda al Giappone. Questa birra è una vera è propria pistola dorata dalla schiuma bianca e compatta, che spara profumi caratteristicamente estivi come pompelmo, ananas, litchi, fiori bianchi e un pizzico di foglia di pomodoro; in bocca inizia con la succosità della frutta, per poi pulire il palato e dissetare con l’amaro delle scorze. Pericolosamente beverina grazie ai suoi 5,5 gradi abv. Vi consiglio di servirla in una pinta americana, ad una temperatura di 8°. Attenzione: la prima birra va sempre a chi griglia!

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INGRE DI EN TI P ER 1 COCKTA IL

• 2 parti di vodka; • poche gocce del succo di un limone; • un pizzico di sale; • Un pizzico di pepe nero; • 1/4 di un cucchiaino di rafano; • 2 gocce di Tabasco; • 3 gocce di salsa Worcestershire; • 2 parti di succo di pomodorini drogarossa. • Un sedano; • qualche fettina di pane tostato; • uno spicchio d’aglio; • olio extravergine di oliva q.b.; • un lime.

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COCKTAIL a cura della REDAZIONE

La DrogaRossa del giorno dopo:

BLOODY MARY con i leggendari pomodorini

Il Bloody Mary è un famoso cocktail servito spesso di mattina, perché considerato una cura universale contro i postumi di una bella sbornia. Sulle sue origini ci sono diverse storie, anche se pare quasi certo che sia stato inventato dal 1939 dall’attore George Jessel, a Palm Spring. Tuttavia, sembra che sia del francese Fernand Petiot, barman al New York di Parigi frequentato da molti americani, l’idea di speziarlo e di trasformare quello che era un semplice mix di vodka e succo di pomodoro (in parti uguali) nel celeberrimo cocktail del giorno dopo che tutti conosciamo oggi. Anche sull’origine del nome la storia è incerta, ma l’ipotesi più accreditata è quella che sia stato ispirato dalla Regina Maria I Tudor d’Inghilterra, detta “Maria la sanguinaria” a causa delle violente persecuzioni perpetrate nei confronti dei suoi sudditi durante la metà del sedicesimo secolo. In ogni caso, è uno dei cocktail che più si presta a infinite varianti: ne esiste una col gin al posto della vodka e addirittura una versione giapponese col sake, il Bloody Geisha. Noi abbiamo la nostra: abbiamo sostituito il normale succo di pomodoro con i pomodorini drogarossa prima frullati e poi setacciati. Un boost di sapore che rende questo cocktail veramente irresistibile. Siete pronti quindi a questa nuova drogarossa? Ah, nel caso aveste al vostro tavolo persone che non bevono alcolici, potrete servire la versione light di questo cocktail, quello senza vodka: il Virgin Mary. Accompagnato con i consueti gambi di sedano e qualche crostino di pane, sarà un perfetto aperitivo mangia e bevi che soddisferà tutti. Preparazione: 1. Frullate i pomodorini con un frullatore a immersione e successivamente setacciateli con un colino a maglie finissime; 2. C’è chi shakera e chi preferisce mescolarlo per non far formare la schiuma e per non diluirlo troppo: noi scegliamo di non shakerare. Prendete un mixing glass, il doppio bicchierone completo di beccuccio e mettete in uno dei bicchieroni gli ingredienti, riempitelo con il ghiaccio e passate il tutto delicatamente nell’altro bicchierone. 3. Servite in bicchiere alto con ghiaccio, guarnite con due coste di sedano, due crostini di pane tostato strusciati con uno spicchio d’aglio e conditi con un filo d’olio extravergine di oliva, e infine qualche fettina di lime. La Redazione

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Marinatura UN APPROCCIO SCIENTIFICO

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THE CHEMICAL GRILLERS - RUBRICA a cura di VIRGILIO BRUNETTI La marinatura è sicuramente la tecnica più conosciuta nell’ambito del seasoning e risulta familiare anche ai griller meno esperti. Abbraccia una serie di preparazioni molto eterogenea, infatti l’uso di miscele su base acida è assolutamente comune nella preparazione di molti prodotti (che siano a base di carne, ittici o con verdure) tipici della cucina regionale italiana ed estera. La marinatura è un metodo di conservazione che ha avuto largo uso in passato prima dell’avvento della refrigerazione; aveva lo scopo primario di mantenere nel tempo e rendere anche più gradevoli alimenti deperibili. Nella cucina piemontese e lombarda, il pesce d’acqua dolce dal tipico sapore di fango, veniva preparato in carpione, cioè con una marinata cotta molto saporita a base d’aceto, proprio per rendere gradevole un prodotto che altrimenti sarebbe risultato ostico soprattutto ai palati meno rustici. Nella cucina tradizionale delle città italiane costiere, ritroviamo ancora una moltitudine di preparazioni a base di pesce marinato, anche in questo caso allo scopo di rendere edibile e conservabile il pescato più povero costituito da pesci minuti, spinosi e deperibili nell’arco di poche ore. L’eventuale cottura e l’uso di marinate a base acida sono sempre state usate per rendere stabile questa riserva preziosa di proteine nobili a buon mercato. Ancora oggi nel Salento, soprattutto a Gallipoli, viene preparata la scapece: piccoli pesci chiamati localmente pupiddhri (zerri, boghe e altra minutaglia) fritti con una leggera panatura, poi stratificati in un tino alternati con della mollica di pane imbevuta di aceto e zafferano. Questo pesce, troppo spinoso e abbondante perché possa essere consumato fresco, si conserva in questo modo per mesi ma soprattutto si insaporisce degli ingredienti di una marinata fortemente acida che ha lo scopo di rammollire le lische; l’aceto infatti decalcifica le spine del pesce rendendole più morbide ed elastiche. Anche in Giappone il funazushi viene preparato facendo fermentare per molto tempo pesci di lago particolarmente spinosi con del riso bollito. La lunga fermentazione non fa altro che decomporre il prodotto

rendendolo edibile grazie alla variazione di pH, che avviene durante la degradazione enzimatica del riso ad opera di particolari microorganismi. Nella cucina peruviana troviamo il ceviche, una preparazione a freddo a base di pesce bianco ed ortaggi, marinati con succo di lime. Si utilizzano le marinate a base di vino e aceto per correggere il gusto “selvatico” e la consistenza di alcune carni particolarmente aromatiche come coniglio, agnello e selvaggina. Quindi anche nella cucina tradizionale l’effetto della miscela acida e aromatica ha lo scopo di migliorare le caratteristiche organolettiche di base degli alimenti, aromatizzando il prodotto e contestualmente modificandone la consistenza. Tecnicamente si sfrutta la capacità degli acidi di ossidare e di denaturare le proteine, generando una sorta di cottura chimica a freddo. Una marinatura modifica strutturalmente gli alimenti mediante una vera e propria aggressione chimica, che deve essere accuratamente calibrata e controllata mediante il pH. Proprio per questo motivo, le modalità di azione e l’efficacia di questa tecnica sono per lo più sconosciuti e vengono attuati in modo assolutamente empirico; non esiste inoltre una formulazione standard perché la variabilità delle componenti dipende moltissimo dalla specifica applicazione e dagli effetti che vogliamo ottenere sugli alimenti, quindi è necessario stabilire delle linee guida generali. Una domanda che sicuramente vi siete posti è: quale differenza c’è tra una salamoia e una una marinatura? Nelle salamoie sappiamo che il principio attivo ed efficace è esclusivamente il sale, il quale di fatto è l’unica sostanza capace di modificare profondamente la struttura delle proteine muscolari generando un incremento di sapidità e un’importante ritenzione di liquidi. Nella marinatura, invece, l’effetto è la modificazione della struttura delle proteine, mediante uno stress chimico basato principalmente sul pH della componente acquosa della marinata, circoscritto alla superficie dell’alimento; tutte le altre componenti, aromi e grassi, compartecipano solo alla funzione di insaporimento ed aromatizzazione. In questo contesto solo le marinate che contengono sale apportano modificazioni sulla struttura profonda della carne con effetti sovrapponibili a quelli di una salamoia standard.


La marinatura quindi è una miscela che va ad intervenire in maniera consistente sulla qualità base di una carne, modificando la consistenza, la succosità, la resa in cottura e al taglio. Mentre sulle proteine muscolari non c’è una un particolare vantaggio nell’uso di una marinata rispetto ad una salamoia, sul tessuto connettivo possiamo avere una maggiore risposta lavorando sul pH, sempre tenendo conto che, se la marinatura viene applicata alla carne esclusivamente per immersione, il suo effetto sarà localizzato quasi esclusivamente sulla superficie dell’alimento a diretto contatto della marinatura. È ovvio che tagli anatomici interi e di grosse dimensioni beneficino ben poco degli effetti di una marinatura rispetto a porzioni di carne sezionate in piccoli pezzi. Quindi, affinché una marinata possa agire in profondità su tagli di un certo volume e spessore, è necessario forzare meccanicamente la penetrazione della miscela. Meathead Goldwyn, nel suo Amazing Ribs, ci mostra come alle marinate siano spesso attribuite proprietà del tutto inesistenti e picchia duro soprattutto sulla capacità di penetrazione delle componenti delle marinate nella carne e in altri alimenti, dimostrando come la maggior parte di questi è impermeabile e come gli effetti di denaturazione della frazione acida siano limitati alla sola superficie esposta. Proprio per 136 - BBQ4All MAGAZINE

questo, le marinate devono essere aiutate incidendo superficialmente gli alimenti per generare una maggiore superficie esposta, mentre la penetrazione in profondità può essere aumentata solo procedendo con l’iniezione della marinata. Il metodo migliore per formulare una marinatura efficace ed equilibrata secondo amazing Ribs è la regola del S.A.F. dove: • S sta per “salt“ ossia sale: è l’unico componete attivo capace di penetrare profondamente nell’alimento modificando le proteine muscolari e generando un incremento di sapidità e succosità. • A sta per “acid” ossia acido: è la frazione contenente una serie di acidi organici naturali, tra cui l’acido citrico tipico della polpa di molti frutti, l’acido acetico che è frutto della fermentazione acetica dell’alcool etilico e l’acido lattico frutto dalla fermentazione del latte e di alcuni ortaggi. Il pH della base acida può essere rilavato con una comune cartina al tornasole o pHmetro. A differenza del sale le componenti acide hanno un effetto denaturante importante anche sui connettivi, tuttavia bisogna sempre tenere in conto che le marinate per immersione non aggrediscono gli strati profondi dell’alimento e che modificano in maniera sostanziale l’aroma e il gusto della carne ma anche la consistenza.


THE CHEMICAL GRILLERS - RUBRICA a cura di VIRGILIO BRUNETTI • F sta per “flavouring“ ossia aromatizzazione: sono tutti gli elementi che vanno creare il profilo aromatico della vostra marinata. Tutte queste componenti vanno bilanciate con estrema cura in modo da non sovrastare in maniera eccessiva il gusto base dell’alimento. In questa categoria rientrano tutte le spezie e gli aromi che fanno parte dell’arsenale del griller, considerando anche ortaggi, salse (salsa di soia, Worcestershire sauce, Tabasco) e zuccheri. Una marinatura equilibrata dal punto di vista gustativo deve essere un perfetto bilanciamento tra dolce, acido, amaro, salato e umami. Le componenti grasse sono un’altra parte importante che può dare un contributo decisivo alla marinatura: devono essere finemente emulsionate e stabilizzate mediante l’uso di un tensioattivo (lecitine, senape) affinché non ci sia una separazione di fase tra la frazione acquosa e quella grassa. In definitiva una marinata tradizionale si compone da una frazione acquosa, una frazione grassa, una aromatica ed un agente emulsionante. In questo primo capitolo dedicato alle marinate andremo a concentrarci particolarmente sulla componente (bio)chimicamente attiva della marinata. La frazione acquosa della marinata è la componente efficace che interviene in maniera significativa sulle caratteristiche organolettiche dell’alimento e in particolare della carne. Di seguito una classificazione delle marinate in base alle caratteristiche della frazione attiva: 1. Marinate acide con pH pari o inferiore al 4,5. 2. Marinate alcaline con pH superiore uguale a 9. 3. Marinate enzimatiche con basi acide contenenti enzimi proteolitici di derivazione vegetale. 4. Marinate probiotiche acide contenti a alimenti fermentati contenenti batteri vivi e relativi enzimi.

5. Marinate alcooliche contenenti distillati oltre bevande alcooliche. Questa classificazione offre, secondo me, una versione più ampia utilizzando come variabile di riferimento un range di pH non limitato alle sole componenti acide. Per darvi un’idea della variabilità del pH facciamo riferimento ad una serie di sostanze di uso comune: pH 0 acido solforico concentrato pH 1 succhi gastrici pH 2 aceto di vino e succo di limone pH 3 succo d’arancia pH 4 succo di pomodoro e vino pH 5 caffè, birra e yogurt pH 6 saliva e latte vaccino pH 7 acqua pH 8 acqua di mare e salamoie pH 9 soluzione di bicarbonato di sodio pH 10 magnesia (lassativo) pH 11 antiacido gastrico pH 12 detersivi a base di ammoniaca pH 13 candeggina pH 14 soluzione concentrata a base di soda caustica Sia marinate acide che marinate alcaline sono efficaci sull’intenerimento della carne e sono attive sia sul tessuto muscolare che sui connettivi. Vedremo nel prossimo capitolo come impostare correttamente le principali tipologie di marinate e alcuni metodi per poterle rendere maggiormente efficaci. Inoltre vedremo come microorganismi ed enzimi possono essere dei validi alleati nelle tecniche di marinatura. Virgilio Brunetti


C H I E D I LO A L COAC H ... e se uno fosse celiaco, e volesse un pepper stout beef ?

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DAL MEGASTORE CHIEDILO ALLA BRACE AL COACH - RUBRICA - RUBRICA a curaadicura EMILIANO di CARLO NENCIONI TRONO

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CHIEDILO AL COACH - RUBRICA a cura di CARLO TRONO

Alessandro Jako: se uno fosse celiaco e non trovasse una stout gluten free, come potrebbe ovviare per un pepper stout beef ? Un pepper vino beef ? Un pepper acqua tonica ?

teglia sigillata accuratamente con più strati di alluminio. La carne viene posta su un letto di peperoni affettati ed eventualmente anche cipolle e carote, che renderanno il gusto della preparazione più rotondo. A questo punto la carne viene irrorata con birra Stout (birra scura ad alta fermentazione prodotta con l’aggiunta di percentuali variabili di malto d’orzo tostato e orzo tostato, tipicamente irlandese) fino ad immergerla nel liquido per poco più di metà altezza. Chiuso il coperchio, si procede con la cottura a fuoco basso. Cosa accade in questa fase? Qui avviene la magia! All’interno della pentola la carne viene sottoposta ad un calore più basso di 100°C, che viene trasferito in maniera più efficace rispetto ad un ambiente “a secco” grazie all’immersione del liquido. Questa esposizione a bassa temperatura per un tempo prolungato è l’ideale per sciogliere il connettivo del nostro pezzo di carne, sfaldando quindi le fibre e mantenendo al contempo succosa la preparazione. Il liquido utilizzato nella preparazione, ovvero la birra Stout, aromatizzerà la carne, dando quel classico gusto di malto tostato. Anche in questo frangente non guardiamo il tempo ma come si comporta il nostro pezzo di carne: quando infilando una forchetta e facendola ruotare girerà come in un piatto di spaghetti, allora avremo disciolto tutto il connettivo e saremo pronti all’ultima fase. Nella terza fase, si tira fuori dal fuoco la pentola e con l’aiuto di due forchette si procede a sfaldare completamente la carne, rimescolandola con il liquido rimasto all’interno della pentola, permettendo così alle fibre di riassorbirne una parte. La cosa importante è che la preparazione sia succosa ma non brodosa, quindi se c’è troppo liquido, possiamo rimettere nel nostro dispositivo la pentola senza coperchio stando attenti a non farla seccare troppo. A questo punto, ricapitoliamo brevemente le tre fasi evidenziando cosa accade in ognuna e gli obiettivi da raggiungere. 1. Prima fase: esposizione a calore secco, formazione del bark e affumicatura. 2. Seconda fase: immersione nel liquido, scioglimento del connettivo e caratterizzazione aromatica della preparazione. 3. Terza fase: sfaldamento della carne e finitura.

Risponde il coach Carlo Trono: Ciao Alessandro, prima di rispondere alla tua domanda, permettimi una breve premessa: durante i corsi Grill to Perfection e Smoke to Perfection della BBQ4All University, così come in tutti i materiali proposti da BBQ4All, le preparazioni riportate non sono solo delle ricette di sicuro successo, ma costituiscono degli strumenti didattici pensati per far comprendere, attraverso l’esempio pratico, tecniche e procedure finalizzate ad ottenere dei determinati obiettivi con un alimento. Questo è alla base del Metodo BBQ4All: far raggiungere ai corsisti una piena consapevolezza su cosa accade applicando delle scelte precise, permettendo quindi di ottenere sempre i risultati desiderati al variare delle condizioni. Prendiamo la preparazione al quale sei interessato, il Pepper Stout Beef, e proviamo insieme a smontarla nelle sue fasi: possiamo determinare tre passaggi in sequenza. Nella prima fase, un grande pezzo di carne ricco di connettivo viene posto all’interno del dispositivo, quest’ultimo configurato per una cottura lunga e stabilizzato ad una temperatura tra i 110° e i 130°C, in presenza di fumo aromatico. In questa prima fase, gli obiettivi sono trasformare il rub (in genere sale, pepe, aglio e cipolla) in un solido bark, nonché dare la giusta quantità di aroma affumicato alla carne. Non serve guardare l’orologio, al massimo possiamo controllare tramite un termometro a sonda il raggiungimento di una temperatura al cuore di 72°C. La cosa più importante in questa prima fare è osservare la nostra carne: quando avrà un bark solido, che non rimane sul dito quando viene toccato, allora potremo passare alla fase successiva. Nella seconda fase, il pezzo di carne viene posto all’interno di una pentola (l’ideale è la cocotte in ghisa smaltata, o un’altra pentola tipo "dutch oven", con un Ritorniamo a questo punto alla domanda iniziale: coperchio pesante che possa impedire la fuoriuscita di se non posso usare la birra Stout perché ho un vapore) oppure, in mancanza di questo utensile, in una commensale intollerante al glutine, posso cambiare 140 - BBQ4All MAGAZINE


CHIEDILO CHIEDILO AL COACH AL COACH - RUBRICA - RUBRICA a curaadicura EMILIANO di CARLO NENCIONI TRONO questo elemento? Certamente. Nel momento in cui sono consapevole dell’apporto di questo ingrediente alla preparazione, posso variarlo ricercando soluzioni che mi permettono di ottenere il risultato desiderato. La birra in questa preparazione serve come vettore del calore, come reidratante per la carne e come elemento caratterizzante dal punto di vista del gusto. Per sopperire alle prime due funzioni, è sufficiente utilizzare qualunque liquido, anche della semplice acqua, magari leggermente acidulata con aceto per rendere più efficace la degradazione proteica del connettivo. Per quanto riguarda la terza funzione, ovvero la caratterizzazione gustativa della preparazione, lì possiamo veramente sbizzarrirci in maniera creativa, andando a pescare dalle preparazioni tradizionali “a fuoco lento” di ogni parte del globo. Il Pepper Stout Beef è, di fatto, uno stracotto nel quale la fase di “rosolatura” è sostituita da una cottura al barbecue che caratterizza l’alimento grazie al bark e alla affumicatura, il resto è praticamente uguale. Possiamo benissimo utilizzare al posto della birra un vino rosso corposo come il Barolo, o come un Negramaro, come avviene nei classici brasati della tradizione italiana; in questo caso l’abbinamento anziché con i peperoni potrebbe essere con cipolle, sedano e qualche fetta di patata. Poco prima di “pullare” la carne, è consigliabile rimuoverla dalle pentola per permetterci di frullare il fondo di cottura, ottenendo una crema vellutata che poi sarà incorporata e rimescolata alla carne sfaldata. In Salento è molto diffusa una preparazione a base di carne di cavallo, che viene cotta all’interno di un tegame di terracotta a fuoco lento e immersa nel sugo: con questa preparazione condiamo la pasta fresca

oppure farciamo un panino (il famoso panino con i pezzetti che trovi in qualunque festa di paese, più diffuso degli hot-dog o degli hamburger). Utilizzando la metodica appresa con il Pepper Stouf Beef, ho realizzato una versione al barbecue di questa preparazione tipica: semplicemente ho immerso la carne, preparata prima nello smoker, nel sugo di pomodoro, e l’ho lasciata cuocere lentamente fino a sfaldatura completa. Per aumentare ulteriormente la quantità di connettivo, ho messo nella pentola in ghisa anche dei tendini, che si sono sciolti apportando sapore e texture. Il risultato è stato straordinario. Una preparazione che si presta benissimo a questa tecnica di cottura è il Boeuf à la Bourguignonne: si utilizza anche in questo caso carne di manzo (tagli sempre ricchi di connettivo, come il collo, il biancostato, le coste, il cappello del prete) ma si aumenta l’apporto di sapore facendo rosolare nella pentola un po’ di pancetta stagionata; una volta tostata, questa viene momentaneamente messa da parte per soffriggere nel grasso di maiale sedano, carota e cipolla, sul quale adageremo la carne di manzo. Come liquido caratterizzante si utilizzano vino rosso e brodo di manzo, con l’aggiunta del concentrato di pomodoro. Possiamo anche pensare di dare un tocco esotico alla preparazione incorporando nel rub del curry rosso e usando come liquido del latte di cocco. In questo caso potremmo anche utilizzare l’agnello, aggiungendo negli ultimi minuti di cottura dello yogurt neutro, del cardamomo pestato e dello zenzero fresco grattugiato. Buon divertimento!

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GLOSSARIO BBQ

SPEAK

BBQ DO YOU

DIZIONARIO DEL MONDO BARBECUE


Ogni mondo ha il suo codice, i suoi acronimi, il suo dizionario di riferimento, e il barbecue non fa certo eccezione. Se vuoi diventare un griller esperto devi espandere il tuo vocabolario, che andrà da Adobo Sauce a Zest. La filologia, ovvero la disciplina che serve (anche) a ricostruire i documenti letterari nella loro forma più originale dice che è filologicamente molto più corretto chiamare le cose coi loro nomi originali piuttosto che usare le traduzioni. Sei d'accordo, no? Ci eravamo lasciati alla lettera “H”, continuiamo il nostro viaggio lessicale passando per “I”, “J” e "K"

I

Imu Tipica delle Hawaii, è una fossa sotterranea fiancheggiata da rocce calde, in cui viene preparato il famoso Kalua pig, un maiale intero avvolto in foglie e / o in un panno bagnato, deposto sulle rocce e coperto con terra e sabbia. Injection Inoculo di una salamoia all’interno di un pezzo di carne tramite una siringa alimentare. Induzione Un metodo di trasferimento di calore. Il piano a induzione è un tipo di fornello che sfrutta il principio dell'induzione elettromagnetica per scaldare le pentole utilizzate per la cottura dei cibi.

J

Jaccard Un batticarne con aculei d’acciaio, uno di quegli attrezzi infernali che non andrebbero mai utilizzati.

Jus Una salsa o “sugo” ricavato dai succhi di una carne, ottenuto dalla sgocciolatura o dalla bollitura di muscoli e ossa.

K

Kaiser Roll Tipico pane di origine tedesca utilizzato come bun per il Baltimora Pit Beef, un panino farcito con girello di manzo tagliato a fette sottilissime e condito con anelli di cipolla cruda e salsa Tiger (a base di maionese, senape e rafano) Kamado Utilizzato come affumicatore, questo dispositivo a forma di uovo ha solitamente pareti spesse con un buon isolamento e una grande efficienza. Con poco carburante può raggiungere temperature molto elevate, a discapito di un peso specifico pari a quello dell’uranio. KCBS. Kansas City Barbeque Society. La Kansas City Barbecue Society (KCBS) è un' associazione che nasce negli Stati Uniti nel 1985, la sua missione è la celebrazione, l’insegnamento, la protezione e la promozione del barbecue americano come tecnica culinaria, sport e forma d'arte. Quale miglior modo di compierla se non creando un circuito di gare? La gara di barbecue è un evento durante il quale decine di team si sfidano a colpi di carbone durante un intero fine settimana. Il pubblico può interagire con i team in gara, rispettandone il lavoro, e assaggiando le preparazioni. Ogni team deve presentare un campione delle pietanze preparate ad un pool di giudici che le valuterà secondo le regole KCBS. I giudici ovviamente non conoscono la provenienza dell’assaggio per

garantire la massima oggettività di giudizio. Attualmente la KCBS conta più di 20.000 membri in tutto il mondo e ha a disposizione giudici per oltre 500 eventi all’anno. Le quattro categorie obbligatorie sono: chicken, ribs, pork e brisket La carne viene ispezionata prima dell’inizio della gara (meat inspection) al fine di valutarne la conformità alle direttive: solo dopo l’ispezione i team potranno iniziare a prepararla. Questa operazione viene eseguita dai REP ovvero i rappresentanti KCBS responsabili della correttezza della manifestazione. Oltre all'ispezione, i REP devono controllare il rispetto della normativa di gara, degli orari dei turn in (la consegna delle preparazioni), della regolarità dei giudizi e, infine, proclamano i vincitori di categoria e assoluti. Possono esser presenti delle categorie facoltative come chef choice, mistery box, salsa bbq ed altre che non concorrono alla definizione del vincitore finale, ma solamente del vincitore di categoria. Non è possibile utilizzare per la cottura dei dispostivi a gas o elettrici. La gara è articolata su due giorni, generalmente un fine settimana. Spesso si parte già il venerdì con la judging class, ovvero il corso finalizzato alla formazione di nuovi giudici. Il sabato mattina/primo pomeriggio è dedicato alla preparazione dei dispositivi e della postazione di lavoro e alla meat inspection. Successivamente si parte con la preparazione della carne: e qui ogni team ha una propria strategia. C'è chi va in cottura per l'intera notte (overnight), c'è chi preferisce farlo la mattina prestissimo e accorciare i tempi: in ogni caso, il campo gara non chiude mai. La domenica è il giorno della consegna delle preparazioni (turn-in) e della valutazione dei giudici. Ogni tipo di carne deve essere consegnata in un box bianco fornito dall'organizzazione che non porti segni distintivi, ma solo

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GLOSSARIO BBQ un numero, assegnato anch'esso dall'organizzazione. Si parte col pollo alle 12, le ribs alle 12,30, il pork alle 13 e il brisket alle 13, 30. Le categorie extra vengono consegnate dopo. La tolleranza per la consegna va dai cinque minuti prima ai cinque minuti dopo l'ora prestabilita. Sforare quell'orario significa essere squalificati per quella determinata categoria. Nel pomeriggio della domenica avvengono le premiazioni e la proclamazione dei vincitori. I giudici incaricati agli assaggi vengono divisi in tavoli composti da 6 membri. Ogni tavolo ha un responsabile (table captain) che controlla la regolarità dell’assaggio. Per avere il risultato più oggettivo possibile, ogni tavolo assaggia preparazioni di diverse squadre in modo da evitare che lo stesso team sia valutato sempre dal medesimo tavolo. Ogni giudice valuta l’assaggio e dà una votazione numerica da 2 a 9 di tre aspetti: appearance (aspetto), taste (gusto), tenderness (morbidezza). La somma dei voti, al netto del giudizio peggiore, moltiplicato per un coefficiente di ponderazione predefinito (gusto più importante di morbidezza, morbidezza più importante di aspetto) dà il punteggio alla preparazione. Ogni categoria obbligatoria dà un punteggio ed una classifica Dalla somma dei punteggi di ogni categoria si ottiene il vincitore (Grand Champion) e il secondo classificato (Reserve Grand Champion). Kebab o kebap ‫بابك‬, kebāb, "carne arrostita”, in turco kebap, è un piatto a base di carne tipico della cucina turca. La tipologia di kebab più famoso nel mondo è probabilmente il döner kebab, il ”kebab che gira” su uno spiedo verticale rotante nel quale la carne viene infilzata e poi fatta abbrustolire. Tra le varianti più conosciute e consumate c’è anche il dürüm kebab: mentre il döner è di solito servito in un panino, il dürüm kebab è accompagnato da una piadina. 144 - BBQ4All MAGAZINE

Conosciuto anche con il termine greco γύρος (ghiros, con lo stesso significato di döner, ruotante) o l'arabo shawarma (‫امرواش‬, shāwarmā, derivante dal turco çevirme, "movimento ruotante"). L'espressione kebab è però di origine persiana: la tradizione araba vuole che il piatto sia stato inventato nel medioevo da soldati persiani che utilizzavano le loro spade per grigliare la carne sul fuoco in campo aperto. Date le origini geografiche del piatto, il maiale è assente nella lista degli ingredienti: le carni più utilizzate sono agnello, montone, vitello, manzo, tacchino e pollo. La carne viene tagliata in striscioline ed aromatizzata con spezie ed erbe come origano, coriandolo, aneto e peperoncino, successivamente marinata per almeno 20 ore con olio e yogurt. In seguito a questa fase di insaporimento, la carne viene pressata fortemente attorno ad uno spiedo, la cui cottura avverrà verticalmente. Kettle Dispositivo di cottura a carbone di forma sferica con coperchio, inventato da George Stephen nel 1952.


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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI

SEGUO Ciao $Contact.name, ecco la tua ultima possibilità per approfittare dell’offerta (…) Hai rotto, sei pesante, tu e le tue offerte! Ma pensi solo a vendere? Questo doveva essere un gruppo di appassionati! Si è persa di vista la convivialità! Mi hai bannato e vuoi i miei soldi? Bene, è giunto il momento di spiegare bene una cosa ai miei quattro lettori: le mail di marketing o di notifica che ogni tanto trovi nella mailbox sono inoltrate in maniera automatica. Per quanto nel testo della mail possa comparire il tuo nome, e si riferisca proprio a te, non c’è un tizio volenteroso e stakanovista che scrive una lettera diversa per tutti gli utenti del database. Soprattutto, non ci si aspetta di far scaturire un botta e risposta, ma solo di informare gli utenti.

Perché ti arriva quella mai? Perché sei nel database. E chi ti ha messo nel database? Ti ci sei messo tu stesso, fornendo nome, cognome, indirizzo email e consenso a trattare i tuoi dati e a ricevere comunicazioni. Hai cambiato idea? Benissimo, c’è il link “unsubscribe” (o Ansascràib, o Voglio Cancellato, come ormai è noto a tutti i lettori della rubrica Seguo), e nessuno ti importunerà più. Toglietemi subito da questa newsletter, non vi stimo e non mi avete portato rispetto Salve gentile utente, puoi cliccare il link “Unsubscribe” e verrai rimosso EH NO. Voi mi avete bannato, voi mi avete [avvenimento lesivo della street credibility del griller online] e VOI mi togliete dalla lista! ALMANACCO 2019

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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI Ma che è? Ma come? Ma seriamente? Mi vengono in mente due cose molto attinenti, ma tanto per cambiare stavolta non inizierò a parlare di qualche matematico con un vissuto problematico o latore di un cambiamento epocale non riconosciuto dai suoi contemporanei.

Nel 1966 Joseph Weizenbaum scrive ELIZA, un programma in grado di simulare una conversazione con un interlocutore umano: per la precisione lo scopo era quello di costruire una parodia il più credibile possibile di una seduta di psicoterapia, con una strategia basata sul riformulare sotto forma di domanda introspettiva

le affermazioni dell’umano. La grande flessibilità e potenza degli algoritmi di Weizenbaum hanno fatto in modo che l’engine di ELIZA fosse trasportato, senza grosse modifiche, dentro vari giochi di ruolo o avventure testuali, portandolo ad essere utilizzato fino agli anni 90, quando fu massicciamente usato come chatbot nelle BBS di FidoNet (una rete informatica basata su nodi, gestiti in maniera amatoriale, disseminati sul territorio). ELIZA divenne Eliza e fu addestrata a trattare argomenti più pruriginosi con una certa predeterminata malizia, e le bollette telefoniche raggiunsero vette altissime. Ci collegavamo alle BBS, bullettin board system, bacheche elettroniche, tramite una chiamata telefonica (spesso interurbana, ai tempi decisamente costosa) direttamente a casa del nerd più nerd del territorio, che a spese sue gestiva il nodo FidoNet e teneva occupata per ore la linea telefonica dei genitori: qui, oltre a poter leggere interessantissime discussioni sui supereroi o sulla programmazione in assembler, potevamo chattare fra di noi in tempo reale.

Eliza diventò l’attrattiva principale, in un tempo in cui il nerd studioso e socialmente inadatto non era, come adesso, il più apprezzato e di moda del branco. Incauti liceali e universitari trascorrevano senza accorgersene fin troppi quarti d’ora a conversare con una tizia disinibita, che non giudicava, non si scandalizzava, non si annoiava ad ascoltare, qualità decisamente rare agli occhi dell’emarginatissimo hacker: questi furono i tempi in cui nacque la battuta “a casa mia la bolletta del telefono la portano col corriere”. Qualcuno, trasportato dalla tempesta ormonale, si accorgeva solo dopo diversi minuti delle limitazioni di Eliza e la cosa perdeva subito interesse, come quando qualcuno ti spiega i trucchi di un illusionista. 148 - BBQ4All MAGAZINE


SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI Qualcun altro sapeva benissimo di parlare con un programma del ‘66 ricompilato per girare sotto DOS, ma si accontentava: ore perse a conversare col chatbot, bollette di trecentomila lire come se niente fosse. Per qualche motivo, il trasporto provato era maggiore della consapevolezza della non esistenza sul piano umano della ragazza “aperta e smaliziata”. Mi vengono in mente anche i telespettatori di certe produzioni televisive: • Ma come fa una persona intelligente come il Dottor Ferri a cascare nei tranelli di Marina? Ma ti rendi conto? • Uhm... immagino che gli sceneggiatori abbiano deciso di creare una nuova linea narrativa e quindi... • Sì ma lo sposa solo per i soldi dei Cantieri Palladini! E lu i non si accorge, come è possibile? • Eh, suppongo che sia una reazione scritta nel copione, per cui... L’appassionato/a di telenovela a questo punto si indispettisce. Telenovela, sceneggiato, serial, non so più come viene chiamato questo tipo di prodotto televisivo. La costante, dai primi anni 80, è la stessa: copioni scritti maluccio, linee narrative portate avanti per troppo tempo, situazioni ai limiti del plausibile, ma un pubblico di fedelissimi oltranzisti e con un gigantesco suspension of disbelief. Ci credono, a quelle vicende: trattano i protagonisti come parenti (non è difficile da giustificare, visto che gli attori sono gli stessi da anni e anni) e hanno il bisogno irrinunciabile di prendersela a cuore, di discutere, di confrontarsi con qualcuno per decidere un piano atto ad aiutare personalmente qualcuno del cast. Io non riesco: io vedo la macchina da presa, il copione lasciato aperto su un tavolino, la stanza composta da due sole pareti in un set, il personaggio che muore o va a fare il medico in Africa solo per motivi di interruzione del contratto. Quando lo faccio notare noto però reazioni simili a quella volta, appena arrivato in seconda elementare a sei anni, in cui mi sentii in dovere di alzarmi in piedi e avvertire tutti che quella cosa di Babbo Natale era una grossa truffa ai danni dei consumatori, portando l’attenzione su come i regali venissero pagati col denaro dei nostri parenti.

Fu una brutta, deludente mattinata. L’appassionato di telenovele vuole crederci. Vuole indignarsi su twitter. Vuole mandare messaggi ovunque, per esprimere in maniera dettagliata e circostanziata il proprio disappunto o la propria delusione per le scelte di Alan Spalding o di Niko Poggi. Al griller indignato accade, secondo me, una cosa molto simile. Io penso proprio che sia a conoscenza della procedura automatica di invio di mail, ma ad ogni modo il nostro fervente attivista dal click facile non riesce a privarsi del piacere sottile di esternare l’indignazione. Scrivendo, lui crede, direttamente all’amministratore delegato. Quando ti arrivano le mail dalla profumeria, tu rispondi? Quando arrivano le notifiche degli sconti sull’abbigliamento moto, o del black friday, o sull’arrivo dei nuovi mulinelli Daiwa per la pesca d’altura rispondi con polemica? Hai mai risposto “sì grazie ma puoi verificare se ho ordinato davvero?” ad una mail di Amazon che ti notifica l’ordine andato a buon fine? Eppure. Poi quando passano a dare del Lei è la fine. Mi rimuova da questa newsletter o provvederò ad avvisare la Polizia Postale. Qualcuno deve aver fatto trapelare l’esistenza di corpi speciali che rischiano la vita pur di far fare Unsubscribe forzati a persone che si sono iscritte di loro volontà. Basta! Ho già acquistato il prodotto e mi arrivano lo stesso proposte di acquisto! Lei è un incompetente dell’automated marketing! Ciao, ti sei prenotato con sei indirizzi di posta diversi, quindi ti arrivano proposte ai cinque indirizzi che non risultano associati all’acquisto. Eh, volevo essere sicuro che arrivasse la prenotazione. Cerchi di capire la mia reazione, si metta nei miei panni. Cerco di capire. Il re indiscusso è in ogni caso l’utente che risponde ad una mail di marketing con offese gravi, personali e in alcuni casi perseguibili penalmente. Chissà cosa pensano le persone quando mettono per iscritto ALMANACCO 2019

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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI minacce e insulti: ci sarà anche qui una suspension of disbelief per quanto riguarda il diritto privato? Dovete sapere infatti che, per assicurare un servizio migliore, le comunicazioni di BBQ4All non sono legate a un comunissimo no-reply, ma ad un indirizzo specifico per ogni dipartimento del Brand. In questa maniera un cliente assennato e responsabile può rispondere all’offerta per chiedere chiarimenti, può rispondere ad una notifica di spedizione per segnalare un errore nell’indirizzo, tutte cose indubbiamente utili che vengono poi smistate dal nostro impareggiabile servizio di assistenza clienti. Ma scrivere una mail piena di offese o di rancore all’amministratore delegato non è una mossa così utile. Gentile utente, queste mail ti vengono recapitate perché sei iscritto nei nostri database e hai esplicitamente acconsentito a riceverle: qualora tu volessi cancellarti e non aderire più al servizio, è sufficiente [solita pappardella dell’Ansascràib]. Mi sembrava più opportuno sfogarmi per far capire cosa penso io. Gentile utente, questo è un servizio di assistenza clienti, non sta parlando con i dirigenti del Brand.

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Non me ne frega, in quel momento mi sentivo di fare così. Ma sei MERAVIGLIOSO, sei. Come la matricola al primo anno di Scienze dell’Informazione che passa la notte a chattare con Eliza, cercando di non pensare al tempo trascorso insieme ad un eseguibile con un nomefile di otto caratteri più tre di estensione che gira sul 386sx, col tasto Turbo sul case (!), nella cameretta di qualche appassionato di telecomunicazioni. Come la nonna moderna e connessa che twitta a ripetizione contenuti maiuscolissimi lamentandosi della discutibile moralità di Reva Shayne o di come Diego, che è sempre stato un bravo ragazzo, adesso non debba fare la parte del cattivo. Evidentemente è un bisogno basilare per alcune persone, come i profili di coppia, come briskettare uno spinacino. Come scrivere SEGUO. Anzi: Seguo (senza il punto, il punto in fondo è arrogante). Emiliano Nencioni


MAGAZINE

N°9/ANNO 1 - SETTEMBRE 2019

L’ E D I TORI A L E D I GI A N FRA N C O L O C A S C I O

NICE T O M EAT YOU

MIGLIORARE SIGNIFICA CAMBIARE ESSERE PERFETTI SIGNIFICA CAMBIARE SPESSO

SNAKE RIVER FARMS:

Vive el BBQ loco UN INCONTRO TRA ORIENTE ED OCCIDENTE

S P EC I A L E T E X M E X T U T TO I N G R I G L I A


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EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO

ilmigliorare RISOTTO significa cambiare

essere perfetti significa cambiare spesso

Cosa succede quando l'amido del riso gelatinizza a causa della somministrazione di calore legando i chicchi tra loro in un composto setoso e vellutato? Esatto, quel riso diventa risotto. Esiste un protocollo per creare il risotto perfetto e suggellare la sublimazione dell'Oryza sativa? Non ho nessun dubbio nell’affermare che sì, esiste e passa attraverso quattro variabili ben precise: 1. Scelta del Riso. 2. Tostatura del Riso. 3. Cottura del Riso. 4. Mantecatura del Riso.

cristallizare, in altre parole la indebolisce, permettendo ai liquidi di permeare i chicchi. Sembra complicato ma non lo è: due risi con basse quantità di amilosio “tengono” la cottura grazie a un modesto rilascio di amido, che tuttavia è ancora in grado di gelatinizzare. Ovviamente, comprendere quando fermare il rilascio dell’amido fissandone così la cremosità, è compito nostro, di noi che stiamo cuocendo il risotto, ecco.

TOSTATURA DEL RISO La tostatura iniziale serve a indebolire l’amilopectina permettendo all’acqua di entrare nei chicchi. ToSCELTA DEL RISO statura a secco o aiutata da qualche grasso in realtà è D’accordo, iniziamo dal riso: superfino Carnaroli e poco influente. semifino Vialone nano, due varietà che rilasciano un I grassi, che sono ottimi conduttori del calore, a parte tipo particolare di amido, ad alto contenuto di amilo- aggiungere elementi aromatici, permettono ai chicchi pectina e basso di amilosio. di riscaldarsi più in fretta. Ma cosa sono questi due polisaccaridi? Amilopectina e amilosio sono due componenti dell’a- MANTECATURA DEL RISO mido che danno risposte diverse ai liquidi e al calore. Invece la mantecatura è la creazione di un fluido, di A differenza dell’amilopectina, l’amilosio non è so- un’emulsione, ottenuta bilanciando grassi e liquido lubile in acqua ma forma una dispersione gelatinosa di cottura. quando viene a contatto con i liquidi tiepidi. Di solito si usano burro e Parmigiano Reggiano, ma Un po’ come il brodo che magicamente si addensa con vanno bene Robiola e Castelmagno per esempio; e il roux, sapete, l’addensante ottenuto mescolando fa- solo per voler citare due fra infiniti ingredienti. Sparina e burro. zio alla creatività. L’amilosio attenua la tendenza dell’amilopectina a L’emulsione si stabilizza grazie all’amido rilasciaALMANACCO 2019

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to dal riso. Non basta sciogliere il grasso nel riso per mantecare, dobbiamo generare le “piccolissime gocce” cui fanno riferimento i dizionari di cucina. Per farlo occorre rimestare in modo molto vigoroso al fine di “rompere” e separare le particelle di grasso (da qui la dicitura risotto all’onda). Più è vigoroso il movimento, più piccole saranno le particelle, maggiore l’aria catturata durante lo scuotimento. In questo modo si ottiene un’emulsione spumosa che dà cremosità al piatto. Siete arrivati fin qui? Mi seguite? Avete afferrato i segreti di una buona mantecatura? RISOTTO IDEALE Il risotto ideale è dunque ancora al dente, né troppo liquido né troppo poco, con una sgranatura dei chicchi evidente, una generosa quantità di grassi per dare nerbo e, fate attenzione, una parte acida accuratamente bilanciata. Chi ha gusti un po’ omologati tende ad azzerare la componente acida del sapore, eppure, vi assicuro che maggiore è la quantità di recettori attivati, più intensa sarà l’esperienza sensoriale. La percezione acida smorza i toni del grasso producendo una maggiore armonia. L’importante è non eccedere, proviamo a bilanciare il tono acre in modo da livellare la sensazione di unto che, se da una parte amplifica la percezione del gusto, porta con sé il difetto di una consistenza fastidiosa. Ho volutamente lasciato da parte la COTTURA del Riso e per un motivo preciso. Il Risotto scientifico diventerà uno speciale di una delle prossime uscite del vostro BBQ4All Magazine. Perché parlare del Risotto? Perché un Grill Master è PRIMA un cuoco e POI uno specialista del Grill. E proprio la cottura avrà un ruolo determinante nel computo del risultato. E no, con ogni probabilità non è ciò che vi aspettate. Tenete d’occhio la campagna di rinnovo dell'abbonamento se non volete perderlo. Tutti gli abbonati dovrebbero già saperlo, ma per sicurezza ci tengo a rammentare questa importante variazione. A partire da Gennaio 2020 il prezzo del BBQ4All Magazine salirà alla quota definitiva di €12,90 a copia per tutti; sia vecchi che nuovi abbonati. Il 2019 è stato il primo anno ed effettivamente abbiamo avuto non pochi problemi a gestirlo. 154 - BBQ4All MAGAZINE


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mi test e abbiamo capito cosa vi piace e cosa non vi piace. E sono pronto a scommettere quello che volete che la maggior parte di voi si è accorto che ogni numero superava, per valore e prestigio, quello precedente. I contenuti della vostra rivista continueranno ad essere affilati, taglienti, focalizzati al laser. Saranno la pietra su cui potrete continuare ad affilare la lama delle vostre conoscenze sul mondo della carne. Oltre a questo, grazie a tutte le criticità affrontate in questo anno di gestione, saremo impeccabili e puntuali anche nella consegna. Insomma tutta la fiducia che ci avete concesso e tutta l'esperienza che abbiamo accumulato spaccandoci la schiena su questo progetto monumentale, diventeranno le leve che ci permetteranno di alzare l'asticella ancora di più.

Alcune criticità ci hanno investito e abbiamo fatto un po' fatica a sistemarle. Una su tutte la puntualità delle spedizioni. In realtà non avevamo fatto i conti con i tempi biblici delle Poste. Non avendo alcuna esperienza precedente non potevamo sapere che una normalissima spedizione poteva impiegare anche fino a un mese prima di giungere a destinazione. Mi rendo conto che, vista dal vostro lato, è una situazione in cui è facile che si tappi la vena e venga il nervoso. Realisticamente, al posto vostro, avrei avuto le stesse sensazioni. Ad onor del vero però, e centinaia di persone possono testimoniare le mie parole, il nostro servizio assistenza si è sempre dimostrato aperto e disponibile, oltre che tempestivo, nella risoluzione di tutti i problemi. Si può fare di meglio? Certo che sì e infatti lo stiamo facendo e continueremo a farlo. La versione 2020 del Magazine sarà molto diversa da quella di adesso. Ma non dico solo nei contenuti, che già avete avuto modo di apprezzare. Sarà gestita in modo perfetto e senza sbavature. Impeccabile. E vi spiego perché. Perché durante questo anno abbiamo fatto moltissi156 - BBQ4All MAGAZINE

Sulla scorta dell'onestà che vi sto dimostrando in questo momento (come vedete vi sto parlando a cuore aperto) adesso vi invito a confermare che il prezzo del Magazine è di parecchio inferiore al suo reale valore e per l'azienda, questo primo anno, ha rappresentato un valore finanziario in forte perdita. Ma è stata una scelta voluta proprio per avvicinare quante più persone possibili e permetterci di creare questo gioiellino che avete in mano.


del vostro abbonamento, spendendo un po' meno di quello che altrimenti dovreste spendere semplicemente consigliandolo ad un paio di amici che, alla fine, vi ringrazieranno per averglielo fatto conoscere. A me non sembra così assurda come cosa. Anzi, la trovo molto pertinente e molto in linea con il senso di "Community". Ovviamente non è che vi piantiamo in asso chiedendovi di praticare "il passaparola". Ci mancherebbe. Faremo molto di più: vi forniremo un kit, una busta contenente tutto il materiale che potrete consegnare a mano ai vostri amici. All'interno troveranno tutte le istruzioni e la super offerta per attivare il loro abbonamento grazie a voi. Se anche uno di loro accetta, e arriviamo a 10.000 sottoscrizioni, il vostro abbonamento, per tutto l'anno successivo, rimane con il prezzo bloccato di €9,90. L'unico sforzo che dovrete fare sarà quello di consegnare una busta che vi forniremo noi ovviamente, alle persone che, secondo voi, potrebbero amare la nostra rivista.

Dal piano dei conti che è emerso, non possiamo più mantenere il prezzo invariato per l'anno successivo. Considerando il numero di abbonati attuale il prezzo dovrà salire fino ad arrivare ai 12,90€. Ma c'è un ma... C'è ancora un slot di abbonamenti disponibili per il 2019. Ed aprirà a settembre. Se in questo slot riusciremo ad arrivare a 10.000 abbonamenti, prometto che manterrò il prezzo attuale, cioè 9,90€ anche per tutto l'anno 2020. Potreste dirmi "eh ma noi che c'entriamo? Come potremmo mai cambiare questo dato?" Potreste eccome. E volendo potrete. Il modo è molto semplice. Basta rispondere a tre semplici domande: 1. Il Magazine vale il costo dell'abbonamento? 2. Conosco almeno due persone a cui potrebbe interessare? 3. Riesco a spiegar loro che vale la pena investire questi pochi spiccioli e che in cambio otterranno gli stessi formidabili benefici che ho ottenuto io? Se ognuno di voi abbonati rispondesse di sì e riuscisse a convincere anche solo una delle due persone, si raggiungerebbe la quota di 10.000 abbonamenti in un battere di ciglia.

Questo è tutto. Auspico che possiate raccogliere questo mio invito cristallino e trasparente. Posso contarci? Gianfranco Lo Cascio

Non so, magari potrà sembrarvi una richiesta strana ma io non ci vedo nulla di male: continuate a godere ALMANACCO 2019

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INDICE SETTEMBRE 2019 - NUMERO 9 ANNO 1

RUBRICHE

1 6 0 . N I C E T O M E AT Y O U

SNAKE RIVER FARMS intervista a Kelsea Monterotti 166. WINE CLASS

il gusto del vino parte II è oggettivo o soggettivo?

1 7 3 . I L B B Q P E R P R I N C I PA N T I

LA GRIGLIATA AFFOLLATA è il momento di sfamare tanta gente

1 7 6 . G U I DA A G L I ACC E SS O R I

E Questo a cosa serve?

quattro accessori apparentemente inutili più uno 1 8 0 . A PP RO FO N D I M E N TO

TANTO FUMO E NIENTE FUMO guida ai legni per affumicare

SPECIALE

TEX-MEX

184. TORTILLAS 191. Nachos 192. ARROZ ROJO 194. BURRITO 196. EL TACO LOCO 202. TAMALES 204. PICO DE GALLO 207. ELOTE 208. BIRRIA 210. PATATA MESSICANA 212. CHURROS 214. VINI ABBINATI 216. BIRRE CONSIGLIATE 217. IL COCKTAIL DEL MESE

APPROFONDIMENTI 218. #CHIEDIALCOACH

alimenti congelati e sicurezza alimentare

222. THE CHEMICAL GRILLER marinature, parte seconda

226. SEGUO



NICE TO MEAT YOU - INTERVISTE a cura di GIOVANNI BOLZONELLA

un incontro di culture TRA

OCCIDENTE e

oriente

Questo mese abbiamo intervistato la responsabile di uno dei marchi a noi più cari. Parliamo di Snake River Farms, una delle realtà più longeve per quanto riguarda l’American Wagyu. Abbiamo esplorato assieme a Kelsea i segreti di questa azienda a gestione familiare, sviscerando la loro filosofia e scoprendo i punti chiave di un prodotto così unico.

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Ciao Kelsea, presentati ai nostri lettori! Ciao, sono Kelsea Monterotti e sono Coordinatrice Marketing presso Snake River Farm, in cui lavoro da 2 anni! Cosa ci puoi raccontare su questa azienda? Tutto si svolge sotto l’ala della “company parent” Agre Beef, un’azienda familiare verticalmente orientata all’allevamento e trasformazione della carne bovina. Tutte le operazioni si svolgono nel Northwest, iniziando da dove produciamo il mangime con cui alleviamo i nostri animali, lungo Snake River, presso American Falls in Idaho. Quali sono i punti di forza della vostra azienda? La forza e il fatto che siamo un punto di riferimento per il mercato li dobbiamo certamente a quella che noi chiamiamo la nostra filosofia “STAR”, essa riassume perfettamente i nostri criteri di lavoro e le nostre priorità: • sostenibilità; • totale qualità; • l'animale e il suo benessere; • responsabilità. Come avviene il processo di selezione dei vostri capi? Abbiamo un processo di selezione unico nel suo genere, grazie al sistema integrato che comprende tutta la filiera. Questo ci permette di lavorare con precisione avendo il controllo completo su tutto quello che accade e di partire dalle genetiche che più favoriscono il risultato che vogliamo ottenere. Possiamo così decidere di essere selettivi sulle caratteristiche della carne che desideriamo e sulla marezzatura finale. 162 - BBQ4All MAGAZINE


Quante genetiche allevate come Snake River e che caratteristiche hanno? Alleviamo un incrocio 50/50 tra una razza Wagyu giapponese e una genetica di Angus. La razza Wagyu è celebre per la marezzatura che sviluppa nel tempo e ci permette di ottenere una carne dalla texture burrosa, tenera, ricca di sensazioni organolettiche, con la tendenza a sciogliersi in bocca. Allo stesso tempo, il taglio conserva il profumo e il sapore della carne nazionale Americana. Un incontro di culture, tra Oriente e Occidente, che genera un prodotto davvero unico!

pre rinnovata ed espansa nel tempo, mantenendo però integrità e autenticità al centro del processo innovativo. Se avremo successo in futuro lo dobbiamo a questo!

Aspetti ambientali e cambiamenti climatici come interferiscono con il vostro lavoro? Gli aspetti ambientali sono sempre fattori decisivi nell’allevamento. Non possiamo dominarli, ma con qualche accortezza riusciamo sfruttarne alcuni a nostro favore e ad adattarci di conseguenza. Le risorse ambientali vanno salvaguardate con coscienza. In cambio, la natura ci premia permettendo di Molto innovativo! Quanto c’è nutrire le nostre mandrie con un’adella “vecchia scuola” nel vostro limentazione di qualità, che rende lavoro? la carne dei nostri capi un prodotLa nostra storia è nelle fondamen- to straordinario. Ovviamente mota dell’azienda. Siamo un’attività a nitoriamo costantemente queste conduzione familiare che si è sem- condizioni, così che sia possibi-

le intervenire per salvaguardare gli animali da possibili stress. Ad esempio, durante l’inverno cambiamo l’alimentazione degli animali perché possano difendersi meglio dal freddo. Quali sono gli obiettivi e le sfide per il prossimo futuro? Noi ci sentiamo una realtà autentica, molto fedele ai propri principi. Il nostro obiettivo è offrire un servizio di qualità, grazie all’ottima carne, restando esattamente gli stessi. Sappiamo chi siamo e cosa facciamo e amiamo tutto questo e l’idea di poter condividere questa passione! Come in tutti i business la competizione è presente e sorgono spesso nuove sfide in un mercato che vede entrare nuovi concorrenti tutti i giorni. Noi restiamo autentici alla nostra storia e coerenti con

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le nostre politiche: sono queste le nostre armi segrete, ci permettono di tenere alta l’asticella e guardare la concorrenza dall’alto. Inoltre, abbiamo la più lunga esperienza con l’American Wagyu che il mercato abbia mai visto. Questa lunga esistenza sul mercato ci permette di vivere la concorrenza in maniera relativamente serena, come stimolo a migliorarsi. Come trovate il Mercato Europeo, è interessato ai vostri prodotti? Il mercato europeo ci ha sempre dato molte soddisfazioni. Purtroppo, per questioni burocratiche e fiscali, c’è molto fermento e non sappiamo cosa succederà nei prossimi anni: potrebbe crescere l’export o potremmo essere costretti a rivedere la posizione di Snake River Farms sul mercato estero. Siamo però molto incoraggiati dalla domanda degli appassionati che conoscono il nostro valore e alimentano la domanda dei nostri prodotti. Come saprai, i nostri lettori sono veri e propri cultori delle preparazioni al BBQ. Vorrei suggerissi loro i tuoi prodotti preferiti e come ti piace prepararli. Su uno smoker o sulla griglia, i nostri prodotti sono davvero una prelibatezza secondo i cultori del genere. In particolare Tri Tip e Brisket sembrano essere i prodotti più venduti per le proprie caratteristiche uniche. Voglio restare imparziale, però se devo suggerire un taglio che non è assolutamente ammissibile perdere, credo sia giusto informarvi che il Brisket di Snake River Farms è in assoluto il più premiato nel circuito delle competizioni con il BBQ! 164 - BBQ4All MAGAZINE


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WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI

il gusto del Vino

È OGGETTIVO O SOGGETTIVO?

Perché amare vini molto diversi non è reato e fa parte del gioco (parte seconda) Bastasse un articolo per rispondere a una domanda così centrale in qualsiasi esame di estetica, BBQ4All Magazine dovrebbe costare qualche centinaio di euro però state tranquilli. Non sveleremo segreti capitali per le sorti dell’umanità ma qualche piccola perla utile a godersi un vino buono uscirà fuori.

ad esiti non solo differenti ma, talvolta, opposti e praticamente inconciliabili. Possibile? Possibilissimo. Anzi, assai frequente. Per carità, la scienza enologica è viva e lotta insieme a noi: da quasi due secoli abbiamo iniziato a studiare fermentazioni, lieviti, batteri e reazioni chimiche del vino per capire i processi e monitorarli ma un conto è la bibliografia scientifica e un altro conto è la filosofia del gusto. Il parallelismo con le carni è interessante e un po’ spiazzante ma vediamo se mi seguite. Siamo diventati tutti maggiorenni con una fettina senza grasso poi qualcuno ha scoperto l’universo BBQ e si è aperto un mondo nuovo: in questo universo, un grande taglio cotto a perfezione secondo i sacri crismi è “oggettivamente” buono. La scienza su cui lo zio Gianfranco insiste è metro e misura per capire se si sta lavorando bene, poi io posso preferire le Ribs e la mia compagna un Pulled Pork ma, se eseguiti come si deve, c’è poco da discutere.

Basta partire dalla fine, perché sono sicuro che tutti vi stiate chiedendo quel che io stesso mi chiedo di fronte a una Flank Steak perfetta in salsa Teriyaki: “Piacciono a tutti le stesse carni?”. Che suona un po’ come dire: “Piacciono a tutti gli stessi vini?”. Perché ovviamente no, non a tutti – anche prendendo un manipolo di cosiddetti “esperti” – piacciono gli stessi vini ma dirò di più, e un brivido mi corre lungo la schiena: se nel mondo delle carni, e su queste pagine abbiamo centinaia di esempi, la scienza viene in aiuto per distinguere buono e cattivo, fatto bene e fatto male, giusto e sbagliato, nel mondo del vino dobbiamo rilevare un dato straniante: il relativismo gustativo regna sovrano. Mai come in questo periodo storico, la pluralità prospettive critiche su una stessa etichetta porta Ecco, nel vino – purtroppo o per fortuna – dobbiamo 166 - BBQ4All MAGAZINE


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mettere in conto una quota di anarchia e relativismo decisamente significativi. Il concetto di “vino oggettivamente buono” è un po’ franoso e cedevole, specie negli ultimi anni. Intendiamoci, ci sono alcuni nomi che mettono quasi tutti d’accordo ma, al contempo, ci sono molte più etichette famosissime, blasonate, vendute alla velocità della luce che dividono, alimentano discussioni infinite e vedono fazioni armate fronteggiarsi a colpi di dialettica. Piccolo esempio personale: uno dei vini italiani più famosi al mondo si chiama Masseto ed è anche uno dei più costosi perché viaggia serenamente oltre i 500 euro la bottiglia (!). Merlot toscano di alto livello, conteso tra i collezionisti di tutto il mondo, in teoria la bottiglia che mette tutti d’accordo. Qualche anno fa ad una degustazione verticale ho avuto la possibilità di assaggiarne ben 8 annate e furono sufficienti per capire che Masseto non è proprio il mio vino. Esplosione di frutta e materia, figlio di terreni argillosi e varietà internazionale per antonomasia, è un vino imponente che non mi scalda il cuore ma ciò non toglie

sia una icona del vino italiano riconosciuta in tutto il mondo: classico esempio, tra addetti ai lavori, di critiche private e pubbliche virtù. Tanti a decantarne le lodi poi però berrebbero altro. Capite che gran casino? Masseto a parte, qualcosa del genere è sempre accaduto durante le sessioni di assaggio di alcune importanti guide ai vini, dove le bottiglie premiate non erano poi le più bevute a tavola. Come a dire: “questo vino ha le caratteristiche giuste per un riconoscimento… ma in realtà preferisco bere altro”. Strano, vero? Non che questo meccanismo sia venuto meno ma è stato fortemente ridimensionato, per fortuna. Vi dirò di più: da almeno 10/15 anni è in corso a macchia di leopardo una nemmeno così silenziosa rivoluzione del gusto. Quando ho iniziato ad appassionarmi voracemente di vino, oltre 10 anni fa, il modello del “vinone” importante era chiaro: struttura, potenza, volume in bocca, estrazione importante, contributo del legno abbondantemente percettibile, insomma c’era tanto di tutto per impressionare. L’etichetta di punta, specie per le aziende emergenti, era immancabilmente il vino più grosso e grasso, imponente. Doveva mettere sul tavolo i muscoli e colpire, stupire, “riempire” il palato. Col senno di poi, una noia pazzesca. Un modello di gusto che resiste tutt’ora ma così poco interessante per il bevitore smaliziato. Vini impattanti che stancano dopo mezzo bicchiere, pensati per suggestionare gli assaggiatori di professione – che testano magari 100 o più vini in batteria nello spazio di mezza giornata – ma irrimediabilmente inchiavabili a tavola, noiosissimi, bloccati nell’espressività, monocordi. Quello degli assaggi alla cieca sarebbe poi un altro capitolo su cui ragionare: immaginate di avere davanti, in linea di massima, batterie dai 3 ai 6 vini omogenei per colore e di doverli degustare senza conoscerne l’etichetta per non essere influenzati dal blasone del brand. Colore, profumi, poi sorso, “masticazione” del vino per stimolare tutte le papille… poi via di espulsione nella sputacchiera. Perché il vino analizzato tecnicamente non viene deglutito. Poi se un vino è eccezionalmente buono il sorsetto ci scappa, però la tecnica d’assaggio prevede di sputare – più o meno elegantemente - il liquido, in antitesi con quello che invece è il momento determinante del consumo e cioè la deglutizione. Prevengo la domanda: non si rischia di perdere informazioni rilevanti così facendo? In qualche misura sì ma i benefici compensano la perdita. Io non

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amo sputare i vini, per nulla. Il calore alcolico che sale dopo la deglutizione, misto ai rimandi retrolfattivi, è parte integrante di un’analisi davvero completa ma è pur vero che, in certi casi, moltissimi casi, è molto meglio sputare specie se il vino non vale l’assaggio.

allenamento e confronto in dosi industriali per esplorare la propria sensorialità, attivare le sinapsi e favorire analisi ragionate a cavallo tra stimolo sensoriale, memoria, filosofia del gusto e quel tanto di affettività, o meglio emozionalità, che non guasta. “Un linguaggio diverso è una diversa visione della vita” diceva Federico I tempi cambiano. Un gusto contemporaneo predilige Fellini, un genio del cinema: così è per il vino, tanti linvini più leggeri, in cui l’articolazione gustativa pre- guaggi che parlano a persone diverse. vale sull’opulenza. L’espressione “vinino” è terribile e degradante ma sicuramente preferibile al vinone: Ma dove eravamo rimasti? Riprendiamo il filo del i grandi vini cui è lecito augurare un futuro radioso discorso perché ora viene il bello. Abbiamo giusto nascono per essere bevuti più che per ottenere rico- piazzato i paletti del campo da gioco: i gusti non sono noscimenti e, soprattutto, per essere bevuti a tavola quattro e la lingua non è divisa in fettine da una Madurante il pasto. Perché forse non tutti sanno che in son-Dixon Line. L’esame gustativo è una sommatoria, certe zone del mondo il vino viene bevuto fuori dai il calcolo complesso di tanti stimoli intrecciati su cui pasti, senza cibo, e questo ha tutta una serie di con- il cervello applica filtri e controfiltri per arrivare a un seguenze, prima fra tutte la necessità di una struttura responso. Quando il liquido entra in bocca, inizia una importante che basti a se stessa: i vini mangia-e-bevi. impercettibile danza sulla lingua. Uno spettacolo che Per noi il vino è quasi inconcepibile senza tavola e non dura il tempo di un sorso e racchiude uno o più anni a caso sul Magazine abbiniamo birre e vini alle diverse di lavoro. Quindi iniziamo con una macrodistinzione preparazioni. Altro gran bel capitolo che riprendere- utilissima per sviscerare le caratteristiche di un vino. mo più avanti. Con un po’ di fantasia, dobbiamo immaginare la cavità Prima di esplorare più a fondo le faide del gusto, però, orale come una splendida bilancia. Lì si gioca la partisarà il caso di aggiungere qualche mattoncino ai nostri ta del gusto. Morbidezze e durezze, alpha e omega del rudimenti di degustazione. Perché, a ben guardare, i vino. Da una parte sensazioni accoglienti, rotonde, concetti fondamentali per avere un’idea del vino che avvolgenti, dall’altra sensazioni più ruvide, meno imsi sta bevendo non sono così tanti: servono solo tanto mediate, ora pungenti, ora graffianti. Zuccheri, alcoli ALMANACCO 2019

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e polialcoli conferiscono morbidezza al vino. Acidità, tannini, sali minerali ed eventuale anidride carbonica danno invece durezza. Come abbiamo già visto, la temperatura influisce ex post sulla percezione: in basso indurisce, in alto ammorbidisce. Un esempio fulminante per approfondire al meglio i sensi del gusto ce lo offre una bevanda nota a tutti che col vino non c’entra niente: la Coca Cola, nono marchio più famoso al mondo. Cosa ci dice il gusto oltre il marketing? La Coca nasce ad Atlanta nel 1886 col farmacista John Stith Pemberton come rimedio contro mal di testa e stanchezza: era uno sciroppo cui bisognava aggiungere acqua gassata. La Coca Cola di oggi è un intruglio segreto, inimitabile e dolcissimo con alcune caratteristiche organolettiche fondamentali: aroma inconfondibile, dolcezza smisurata (100 grammi/litro di zucchero), acidità violenta dovuta a un pH bassissimo, anche inferiore a 3 (non siamo alla lezione di chimica quindi fidatevi, 3 è davvero il valore di confine delle bevande che sverniciano gengive: al di sotto è quasi sofferenza fisica). Gustativamente la Coca Cola è una somma di eccessi e questo la rende una droga. Ha morbidezza e durezza entrambe alle stelle e, se ci pensate bene, la beviamo con tutto nonché da sola. In pizzeria col salato o a fine cena con la torta di compleanno dei figli. Incedibile! Io, per dire, la bevo solo quando vado in bici e sono molto stanco, possibilmente molto fredda: con tutto quello zucchero che entra in circolo, risveglia le mie stanche e grasse membra da ciclista della domenica. Al contrario, il pensiero di una Coca Cola calda e sgasata è orribile: assenza di anidride carbonica e alta temperatura spostano la bilancia irrimediabilmente verso la morbidezza più sfacciata, rendendo la bevanda insopportabile. 170 - BBQ4All MAGAZINE

Saltando al vino, ci viene ora facile un parallelismo coi vini frizzanti o spumanti. Come già sapete, fondamentale è la temperatura. Poi c’è da divertirsi perché grana delle bollicine (cioè il calibro, la grandezza percepita in bocca) e residuo zuccherino,- solitamente assente nei vini fermi e presente nei frizzanti/ spumanti proprio per bilanciare la durezza indotta dall’anidride carbonica - dialogano creando un’infinita di soluzioni. Perché il Prosecco è raramente un vino da grandi appassionati? Perché la versione più diffusa nel mondo è quella Extra Dry, cioè con un residuo zuccherino tra i 12 e i 17 g/l, ben percettibile, ammiccante. Il Prosecco che trovate comunemente in giro è “dolcino” e frizzante, tanto gradevole quanto poco appagante. Mentre un Prosecco col fondo, tirato a secco quindi senza dolcezza a bilanciare le bollicine e la delicata acidità, avrà un gusto più deciso e incisivo, meno concessivo. Attenzione: non che l’uno sia buono o cattivo a prescindere, queste generalizzazioni vanno ripudiate. Diciamo che decidono di giocare campionati diversi con strumenti diversi. Niente di sorprendente: la dolcezza è una sorta di gusto primordiale. Il latte materno è grasso, calorico e dolce, sulle prime poppate si forgia il palato e ci vogliono anni per prendere confidenza con tutte le declinazioni del gusto. Pensate che io da piccolo adoravo i limoni, ne mangiavo a fette come fossero patatine: un coacervo di sensazioni dure, tra acidità spiccata e amaro della buccia. Al contrario, da adolescente, trovavo amarissima e respingente la birra: mi sono forzato a berne pensando alle pubblicità, tra virilità e belle bionde, ma la birra mi faceva proprio schifo. Niente di nuovo, le sensazioni dolci sono ammiccanti,


invogliano: non è un caso che i vini destinati alla grande distribuzione possano spesso avere un piccolo residuo zuccherino, è un artificio non così infrequente per andare incontro a un gusto meno raffinato e più diffuso. Ma attenzione! Mai assolutizzare e vedere sempre malvolentieri la dolcezza. In alcuni casi, l’enostrippato va giù di testa per acidità violente e abrasive, incalzanti e senza bilanciamento – della serie: va bene tutto purché “acido” - mentre il bevitore più rilassato e senza preparazione specifica trova più allettante un vino delicatamente morbido. Spesso fa benissimo. I gradi di separazione tra un vino letteralmente secco, quindi senza zucchero residuo, e uno stucchevole (tipo la Coca calda e sgasata, per intenderci), sono infiniti e intersecati da altri fattori, su tutti l’acidità. Ma ne parleremo in dettaglio più avanti e stavolta ci concentriamo sulle parti morbide, che accanto allo zucchero si basano sul tenore alcolico. Un vino dolce e alcolico insieme è una bomba a mano di morbidezza ma spesso anche molti vini “secchi” giocano sul filo del rasoio, spingendo sull’una o l’altra leva. L’alcol prodotto durante la fermentazione alcolica è un conservante, scalda e stimola una sensazione di pseudo-calore, perché in realtà non ha nulla a che fare con la temperatura. Basta sorseggiare una grappa pur ghiacciata per capire di che “calore” si tratti. L’alcol arrotonda, ammorbidisce e smussa ma al contempo appesantisce il liquido sbilanciandolo sul lato greve e flaccido.

lico e qualità del vino non hanno alcuna correlazione. Eppure un tempo – in realtà succede tutt’ora – si dava quasi per scontato che un vino ben dotato di alcol (“Guarda qua, addirittura 14,5% vol.!”) fosse anche più valido. Oggi, è spesso vero il contrario: non nego di vedere con favore – irragionevolmente, per certi versi – vini bianchi e rossi dal tenore alcolico calibrato, 13% o magari 11,5%, talvolta anche ottimi da 10 gradi. Meno materici, meno poderosi, più scarni e leggiadri ma con elementi d’interesse che prescindono dalla dimostratività.

Per chiudere in bellezza, però, un’eccezione che conferma la regola. Un mostro a tre teste della morbidezza, dall’alcol debordante numericamente che però Ricordo ancora una domanda di quando ero aspiran- trova la sua quadratura in una struttura poderosa che te sommelier con mille dubbi: “Ma i vini buoni sono non difetta di eccezionale e sorprendente dinamismo. quelli più alcolici?”. Una volta per tutte: tenore alco- Non un peso piuma ma un peso massimo tonico e definito, scolpito da sontuose masse muscolari. Il Gioia del Colle Primitivo 2010 Selezione Nicola Chiaromonte delle Tenute Chiaromonte di Acquaviva delle Fonti mette a referto ben 19 gradi alcolici, frutto di una “selezione di selezione” di piccoli concentratissimi acini da piante centenarie. Un tripudio semplicemente sconcertante di frutta, spezie e cioccolato che rimane impresso sul palato per ore, un esempio incredibile di potenza e controllo che lascia a bocca aperta, dimostrando che chi ha padronanza dei propri mezzi può spingersi ovunque. Ci vogliono alcune centinaia di euro per un viaggio così ma ci arriveremo per gradi. Quando avremo ben chiaro anche il ruolo fondamentale delle durezze del vino ci sarà da iniziare a divertirsi davvero. ALMANACCO 2019

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PER INIZIARE - IL BBQ PER I PRINCIPANTI - RUBRICA a cura di MICHELE CHIPA

L A G R I G L I ATA

A F FO L L ATA

Finalmente sei pronto: hai studiato lo studiabile, grigliato il grigliabile e sperimentato lo sperimentabile. Adesso puoi compiere il passo successivo, ovvero incrementare il numero di persone da sfamare! Il dispositivo ce l’hai, le tecniche le hai interiorizzate ma ti manca la parte organizzativa. Come si fa a servire tante persone? Quali sono le preparazioni che semplificano la gestione dei commensali e il costo della grigliata? In questo articolo cercherò di fornirti dei suggerimenti per gestire al meglio l’ansia da prestazione della prima grigliata numerosa.

Primo consiglio: prediligere la cena al pranzo La prima cosa da scegliere è il pasto da servire. Il pranzo ti concederà più elasticità per il servizio ma di contro avrai meno tempo per organizzare le preparazioni. La cena, invece, ti permetterà di avere più tempo per le preparazioni, potrai servire un pasto più “leggero” ma avrai meno tempo per il servizio (non potrai certo servire il secondo a mezzanotte!). Fra i due io ti consiglio la cena perché il problema principale di una grigliata a cui parteciperanno molte persone è il numero delle pietanze da servire. Meglio avere più tempo, meglio potersi organizzare prima. Secondo consiglio: prediligere la cottura indiretta e preparazioni con il miglior rapporto resa/impegno. Se devi preparare una grigliata per 30 persone è impensabile gestirla con alimenti che richiedono una grande attenzione per la cottura e soprattutto con piccole pezzature. Immaginati di dover gestire la cot-

tura diretta di sessanta cosce di pollo oppure di fettine di petto di pollo (ne vorrai servire almeno due per ogni commensale, e anche in questo modo li tieni tutti a dieta stretta). Oltre alla necessità di spazio in griglia dovrai anche tener conto della difficoltà di gestione delle fiammate e del corretto punto di cottura di ogni pezzo. Quindi buttati su cotture indirette (con minor necessità di controllo puntuale della cottura) e su alimenti di più grande pezzatura. Piuttosto che grigliare delle fette di pollo prepara dei petti interi in indiretta, con passaggio finale in diretta per creare la crosticina (cottura ibrida), così come al posto delle classiche fettine di maiale preferisci quelle di più alto spessore (con risparmio di quantità da gestire). Il top sarebbe quello di preparare dei grossi pezzi di carne in modo da ottimizzare quantità e impegno. Potresti concentrarti su degli arrosti di manzo (girello in stile Baltimora Pit Beef) oppure su una coppa/spalla di maiale (per fare un pulled pork oppure un semplice ALMANACCO 2019

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arrosto) o ancora su un bel brisket. Terzo consiglio: ottimizzare i tempi e modalità di cottura Dopo aver definito cosa e come grigliare devi per forza decidere il quando. Il tuo obiettivo deve essere quello di far mangiare tutti i commensali più o meno contemporaneamente: sarebbe brutto ritrovarsi con l’ultimo commensale servito che inizia a mangiare un'ora dopo gli altri. Per arrivare a questo risultato è imprescindibile crearsi una scaletta temporale. La programmazione delle cotture vi limiterà problemi e stress di gestione delle stesse. Parti dalle basi: decidi quando mettere in marinatura/ salamoia gli alimenti (se necessario), quando applicare il rub o altri condimenti (se necessario), quando mettere in cottura gli alimenti e quando gestirne le particolarità (eventuali passaggi in foil, innalzamenti di temperatura necessari, passaggi in diretta). Ovviamente la tempistica sarà indicativa perché ogni alimento cuoce in maniera differente dagli altri ma avere una traccia da seguire è di fondamentale importanza. Potrebbe capitarti un imprevisto, la mitica sfiga del griller, ma se hai una pianificazione corretta avrai modo di gestirla molto meglio rispetto alle cotture “a sentimento”. Quarto consiglio: anticipare le preparazioni ai giorni precedenti In caso di preparazioni low&slow non è detto che tu abbia la possibilità di procedere alla cottura nello

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stesso momento. Mi spiego meglio: se hai intenzione di preparare un brisket e nella tua scaletta ipotizzi almeno 14 ore di cottura, dovrai necessariamente partire con largo anticipo. Se non hai questo tempo ma vuoi comunque portare a termine la preparazione, potresti valutare di cucinarla con grande anticipo per poi conservarla in attesa del servizio. Una volta raffreddato l’alimento, può essere conservato in frigo per 2/3 giorni oppure surgelato per una maggiore durata. Con la giusta tecnica di rigenerazione, la perdita rispetto ad una cottura fresca è praticamente inesistente. E ti dirò, alcune preparazioni, se riposano, sono ancora più sono buone. Vedi il pepper stout beef o il baltimora pit beef. Quinto consiglio: avere il giusto numero di dispositivi e di griller Se nonostante i consigli che ti ho dato vuoi comunque preparare una grigliata per molti commensali utilizzando quasi esclusivamente la cottura diretta, allora dovrai quantificare il numero dei dispositivi e dei griller necessari. Nel set up diretto devi sempre tenere in considerazione la necessità di creare una safe zone dove “proteggere” la carne da eventuali fiammate e quindi non avrai l’intera griglia a disposizione per disporre gli alimenti. Quindi è probabile, se non matematicamente certo, che non ti basterà un unico dispositivo e per questo avrai la necessità di avere un aiuto perché gestire tanti pezzi di carne su più dispositivi da solo è difficile (ho detto difficile, non impossibile, ma di certo non sarai sereno!).


Adesso ti racconto la mia personale esperienza su una grigliata per quindici persone gestita interamente con un kettle Weber 47. Il menù prevedeva: lasagne non preparate da me (mi hanno aiutato a placare la fame dei commensali e mi hanno permesso di limitare le quantità di alimenti da grigliare), kaiser roll con baltimora pit beef, salsa tiger e cipolle caramellate, chicken lollipops e ribs con patate (già pronte). Come quantità procapite, ho calcolato un bel panino abbondante (circa 150gr di carne), due cosce di pollo e due ossa di ribs (circa 4 slab). Grigliata prevista per la cena (ore 20). La mia scaletta è stata la seguente:

potute mettere quattro slab insieme. Ore 16 circa: ribs in foil. Ore 18: ho tolto il pit beef dal frigo (era estate e quindi mi sono potuto permettere un servizio a temperatura ambiente). Ore 19:30 circa: le ribs erano pronte e le ho messe in rest in isobox. Ho affettato il Pit Beef e l'ho disposto sui vassoi. Ho fatto la salsa tiger e l'ho messa in frigo. Ho messo le cipolle caramellate nel kettle per riscaldarle.

Ore 20:00 circa: ho tolto le cipolle e le ho messe in isobox, ho messo le chicken lollipops nel kettle per riscaldarle. Ho verificato la temperatura delle ribs: erano ancora molto calde e quindi ho provveduto a glassarle di salsa Mattina del giorno della grigliata: ho preparato le bbq e a lasciarle nell’isobox. cipolle caramellate, le ho fatte freddare e le ho mes- A quel punto sono arrivati i miei ospiti affamati. Per se in frigo. Ho preparato anche le Chicken lollipops: prima cosa ho servito le lasagne calde, poi sono pastrimmate, affumicate, portate a cottura target al cuo- sato alle ribs con le cipolle caramellate, poi le chicken re, raffreddate e messe in frigo. Ho fatto una fatica lollipops con le patate ed infine il panino col baltimotremenda a metterne contemporaneamente 30 nel ra pit beef. 47 e praticamente sono diventate molto intime tra di È stata una faticaccia ma con la giusta pianificazione loro. Poi ho preparato le ribs: trimmate, leggermente rub- e le giuste preparazioni sono arrivato al risultato con poco stress e con relativa serenità. Anche se dopo mi bate e rimesse in frigo. sono comprato uno smoker. Fallo anche tu. Giorno precedente: ho cotto il Baltimora Pit Beef; erano 2,5kg di girello Eye Round di Black Angus preso dal Megastore. Una volta cotto l'ho fatto freddare e l'ho messo in frigo.

Ore 14 del giorno della grigliata: ho messo le ribs in cottura dopo averle spolverate con un altro po' di rub. Le ho messe in verticale sul rack altrimenti non avrei

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GUIDA AGLI ACCESSORI - RUBRICA a cura di MICHELE CHIPA

E QUESTO

ANCHE UN MARZIANO VORREBBE

A CHE SERVE?

Quattro accessori apparentemente s u p e r f l u i m a ch e t i farann o d ir e “ah, mai più senza!” (Il quinto è inutile sul serio) Se fate una ricerca su internet inserendo la stringa “accessori per barbecue” vi verranno restituiti migliaia di risultati. I dispositivi moderni riescono ad accontentare gran parte dell’utenza e, infatti, ognuno di noi è in grado di trovare quello più adatto alle proprie esigenze. Per questo motivo anche il mercato degli accessori si è notevolmente ampliato stante la maggior domanda da parte degli utenti. In questo articolo ne ho selezionato qualcuno di cui spesso vengono richieste spiegazioni sulla funzione. Sono quel tipo di accessori che ad una prima occhiata non sai a cosa servono, ma addirittura li classifiche sotto la voce completamente inutili. Invece no, scoprirai che hanno una loro funzione specifica e oltre: alcuni di loro entreranno di diritto nella lista dei mai più senza.

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Dosa carbone Weber È un accessorio che si trova in ogni confezione di dispositivo a carbone Weber: un cesto di plastica di colore nero la cui funzione è spiegata nel manuale di istruzioni, ma che periodicamente ci troviamo postato sulla community Facebook sempre con la stessa domanda: ma qualcuno sa a cosa serve? Spesso sono divertenti anche le risposte date dagli utenti in cerca di una giustificazione a quel secchiello di plastica nero: è un porta mestoli, serve per l'acqua del cane, mettici il ghiaccio e tieni le bibite in fresco, è un vaso da notte. In realtà si tratta di un dosa carbone. Per i griller principianti rappresenta un’unità di misura per calcolare la quantità esatta di carbone inserita nel braciere (seppur indicativa). Per i griller esperti è utile giusto per non sporcarsi le mani nel prelevare il combustibile dalla busta. C'è chi lo usa per immergere le chips in acqua (che, tuttavia, è una pratica inutile) o per mettere in ammollo le spazzole per pulire la griglia.

Supporto per cosce di pollo Questo complemento permette di appendere le cosce per una estremità tenendole sospese dalla griglia. No, non fate quelle facce come a dire dai, se ne può fare a meno dell'appendino per coscette. Questa oggetto ha l’enorme vantaggio di assicurare una cottura omogenea permettendo al calore di avvolgere completamente le cosce. Alcuni supporti hanno anche una vaschetta raccogli grassi integrata in modo da non far sporcare la griglia di cottura. E vi assicuro: il grasso della pelle del pollo è uno degli scarti più difficili da rimuovere. Non siete più così sicuri che sia inutile, vero?

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Artigli per pullare Vengono anche soprannominati Bear’s Paws in quanto ricordano le zampe degli orsi, sono composti normalmente in materiale plastico adatto alle alte temperature (ma ne esistono anche in inox) e possono essere lavati in lavastoviglie. Vengono utilizzati principalmente per sfilacciare il maiale ma possono essere d’aiuto anche nel tener fermo un arrosto durante il taglio oppure per spostare degli alimenti di grandi dimensioni. Eviterei di usarli per grattarti la schiena onde evitare escoriazioni! E poi ti danno un'aria veramente cool e puoi usarli a carnevale per travestirti da Wolverine.

Marchiatore per bistecche Più che definirlo accessorio andrebbe chiamato gadget. Si tratta di un ferro per marchiatura con la possibilità di inserire fino a due righe di testo personalizzate. Bisogna scaldarlo bene fino a renderlo rovente e poi premerlo con forza sull’alimento. In questo modo potrete lasciare la vostra firma, non solo gastronomica, sulla pietanza che andrete a servire. È assolutamente una figata. Forse un filo supponente, con un tocco di leggera immodestia e una spruzzata di megalomania, ma è decisamente una cosa che farà rimanere a bocca aperta tutti i commensali. Certo, poi la pietanza deve anche essere all'altezza, ma noi siamo qui per aiutarti anche in questo.

Forchettone per grigliata Questo è la voce fuori da coro, non è affatto un accessorio insolito, anzi: è onnipresente in ogni set da grigliata (insieme al coltello e alla spatola). Utilizzandolo hai la sensazione di dominare il fuoco! Puoi brandirlo come spada, intimorire ogni fiammata e girare qualsiasi pezzo di carne presente in griglia. Peccato che così facendo lo bucherai irrimediabilmente facendo fuoriuscire per sempre i succhi a cui tanto tieni. Se lo stai utilizzando inconsapevolmente smetti immediatamente, se invece lo stai utilizzando volutamente e con cognizione di causa prometto di cancellarti immediatamente l’abbonamento al magazine. 178 - BBQ4All MAGAZINE


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APPROFONDIMENTO a cura di EMILIANO NENCIONI

tanto fumo e

NIENTE FUMO

Ricordo in maniera stranamente vivida quando al mio primo corso BBQ4All Grill To Perfection (in qualità di studente, s’intende) un corsista, uno di quelli che in futuro avrei imparato a etichettare come fenomeno che cerca di apparire, fece la classica domanda fuori programma. Fuori dal programma del corso, fuori anche dagli intenti di quella giornata che avrebbe dovuto parlare solo di rudimenti e di grigliate dirette. Con voce stentorea proruppe in: per affumicare il brisket è preferibile il pecan o il mesquite? EH?

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Pecan? Ha detto mosquito? Il brisket è un canestro di bacon? Ma non stavamo parlando di hamburger? Che c’entra? Ero troppo, troppo inesperto per capire mezza parola: ero lì per imparare ad accendere la mia prima bricchetta. Il coach, bonario, dopo un ampio respiro concesse una parentesi completamente slegata dal contesto al curioso individuo, prodigandosi in una spiegazione che per la mia totale inesperienza risultò piuttosto oscura. Smokey flavour. Thin blue smoke. Chips, chunk. Con mia grande sorpresa venne fuori che, facendo bruciare dei pezzetti di legno, oltre alle normali bricchette, la carne poteva ricevere un gradevolissimo aroma di affumicato. Non solo: ogni essenza poteva contribuire con un odore particolare e diverso dagli altri. Questo è stato il momento preciso in cui mi sono appassionato alle cotture barbecue: avevo accesso a un sacco di legni diversi, anche insoliti, e pensandoci bene avevo sempre notato che ogni legno, scaldandosi durante la lavorazione con nastri o frese, produce un odore caratteristico, gradevole o pestilenziale che fosse. Ricordatevi, precisò il coach, non ha senso bagnare il legno: non è una spugna. Lì per lì non feci molto caso alla frase che mi sembrò senza senso. Il legno non è una spugna, certo, ci mancherebbe. Bah. Sorpresa! Da una veloce ricerca, buona parte dei griller italiani, forse incoraggiati dalle maldestre istruzioni sulle scatole dei prodotti, aveva come pratica consolidata il rito di mettere a bagno i pezzi di legno da usare per affumicare. Le usanze variavano: un’ora prima di affumicare; una notte prima di affumicare; ventiquattro ore nel vino rosso; convinzioni che spaziavano dal buffo alla superstizione più pura. Il discorso era molto semplice: ho queste scaglie di legno, ma se le butto sul fuoco bruciano in pochi secondi. Se le immergo in acqua si riempiono di liquido e riescono a fare fumo per diversi minuti prima di bruciare. Detta così poteva avere un senso. Vediamo però insieme cosa succede davvero quando vuoi affumicare la carne in camera di cottura. Quello che ti serve è del legno stagionato, ad esempio di alberi da frutto; escludi dalla tua ricerca il legno ALMANACCO 2019

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proveniente da conifere e da sempreverdi in generale, perché sono tossici, hanno un saporaccio e troppa resina. Ti raccomando il legno stagionato, anche se potrebbe sembrarti più comodo approfittare della fresca potatura di qualche ciliegio o albicocco: la presenza di molta più umidità nei legni non stagionati porta, di solito, a un aroma troppo pungente che potrebbe ricordare la muffa. Come se non bastasse, l’acqua nelle fibre assorbe energia inutilmente, prima di evaporare (ti innesca qualche pensiero questa cosa? Te ne parlerò più tardi). Per praticità dividiamo la combustione del legno in quattro fasi: - Fino a 260°C il legno rilascia vapore e diossido di carbonio, essiccandosi completamente. Non è una combustione con fiamma e non produce, quindi, calore: lo assorbe. - Tra 260 e 360°C cominciano a vedersi le fiamme, perché il legno rilascia gas infiammabili e liquidi oleosi. - Tra 360 e 500°C si ha emissione di monossido di azo182 - BBQ4All MAGAZINE

to ma soprattutto di alcuni composti come siringolo (2-idrossi-1,3-dimetossibenzene) e guaiacolo (2-metossifenolo) che sono i responsabili dell’aroma associato all’affumicato. Il guaiacolo si trova per l’appunto in commercio nei prodotti noti come fumo liquido, additivi per dare un sapore affumicato a pietanze che in realtà non lo sono. Il guaiacolo è anche un irritante delle mucose dell’apparato digerente, ecco perché sovraffumicare ha risultati così poco gradevoli nella vita di tutti i giorni. - Sopra i 500 - 550°C tutta la parte organica del legno è bruciata e rimane solo cenere o carbonio, che non interessa più ai fini dell’affumicatura. Sono proprio siringolo e guaiacolo a creare nel nostro palato quella sensazione di affumicato bene: vengono trasportati dal fumo e investono come in una sauna la pietanza in cottura. L’aroma percepito varia in maniera significativa al variare del legno usato, e chiunque in possesso di una discreta curiosità e con accesso a qualche legno un po’ esotico può divertirsi a fare esperimenti, miscele e ac-


costamenti. Solo per nominare i casi più eclatanti, il fumo ricavato dal frassino ricorda decisamente l’uovo al tegamino, mentre l’acero sa di biscotti, il mogano sa di noce e mandorla; credimi però se ti piazzo lì una notizia bomba: esistono legni che producono fumo al sapore di cocco, di vaniglia, di liquirizia. Sono legni molto esotici, molto cari, e francamente è meglio destinarli alla produzione di strumenti musicali o di oggetti d’arte. Anche se il pulled pork affumicato al bubinga dovresti proprio provarlo. Nonostante le varie promesse di carattere commerciale che puoi trovare sulle confezioni già pronte di legno aromatico, credo sia necessario che tu focalizzi l’attenzione su come produrre il fumo, più che su quale essenza scegliere. Leggiucchiando in giro fra siti, blog e gruppi avrai sicuramente sentito parlare del termine blue smoke. Thin blue smoke, per la precisione. Si ha produzione di un sottile e pallido fumo dalla tinta quasi cerulea quando le particelle contenute in sospensione sono estremamente piccole, meno di un micron. Questo contrasta con il fumo nero e grigio, che porta con sé particelle molto più grandi ma capace di arricchire solo con retrogusti che vanno dal VolksWagen Van del 74 a Volvo Polar 740TD: da evitare. Il fumo bianco, quello denso e che fa scena, è principalmente solo più ricco di vapore acqueo, e non aggiunge granché in termini di aromi. Per l’appunto, il vapore non serve al sapore. E siamo anche d’accordo sul fatto che il legno migliore per questi usi è quello stagionato, con meno acqua possibile. Poi però ovunque leggo dovete bagnare il legno prima di affumicare! Perché? Perché altrimenti le chips, quelle scaglie di legno che si trovano in commercio, prendono fuoco. Ma prendono fuoco lo stesso. Ah sì, ma circa due secondi e mezzo più tardi! E il vantaggio? Hai tempo per chiudere il coperchio! Prenditi due minuti del tuo tempo per fare una faccia basita. Questo gioverà al tuo umore. Ho letto di gente pronta a sacrificare un litro di vino per usarlo come “marinatura” per il legno aromatico.

A che pro? Il legno non assorbirà il liquido. Non lo farà. Non più in profondità di un millimetro scarso. Non lo farà, anche se ci credi fortissimamente. Anche se sei proprio proprio convinto che lo faccia. Non lo farà. Ho ripetuto questo concetto per talmente tanti anni che francamente ho un po’ perso le speranze. Prima di essere così scoraggiato e disilluso però ho avuto modo di condurre un esperimento filmato che potete ancora trovare se cercate le giuste parole chiave su Vimeo. Ho preso un pezzo di ontano, molto stagionato, adattissimo alla nostra bisogna, approssimabile a un cubo di 45mm di lato; l’ho immerso in una vasca d’acqua colorata con dell’anilina blu (per evidenziare gli effetti) e l’ho lasciato in ammollo per ventiquattro ore. Ho segato il cubetto a metà con la sega a nastro e sorpresa! Il liquido colorato era penetrato per neanche mezzo millimetro, forse un millimetro nelle “teste” del legno, per la capillarità delle fibre. Vedi bene che lasciare il legno in ammollo due ore serve solo a bagnare un oggetto che dovrai poi mettere sulle braci. Risultato? Introduci umidità, perché rapidamente il calore farà evaporare l’acqua, e sottrai calore al dispositivo. Benefici? Ah beh sì, ho il tempo di chiudere il coperchio. Altri due minuti di faccia basita, prego. Fatto? Sembra che ci sia questa avversione al far bruciare le chips di legno aromatico. La verità è che, come ti ho spiegato poco sopra, il legno deve bruciare. Durano poco? Mettine altre. Fatti furbo, magari non metterle proprio sopra le bricchette rosse incandescenti, ma più distante, su quelle meno calde. Oppure fai come quelli bravi e procurati dei pezzi di legno più grandi, i chunk, che offrendo al calore meno superficie per unità di volume riescono a durare molto di più. È abbastanza evidente che un tronco bruci molto più lentamente di un secchio di trucioli di piallatura, suppongo. Qualche mese fa, per la rubrica #chiedialcoach, mi assegnarono un quesito, da pubblicare dopo un meraviglioso mega-spiegone chimico di tre pagine di Coach Virgilio Brunetti: D: È utile bagnare il legno per l’affumicatura? R: No. Non me lo pubblicarono. ALMANACCO 2019

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SPECIALE TEX MEX APPROFONDIMENTO a cura di ALESSANDRO TREZZI

e la Tortilla fu

storia e ricetta dell'elemento principale della cucina messicana Siate sinceri, conoscete qualcosa di più rappresentativo del cibo per la cultura di un paese? E ancora, conoscete qualcosa di più godurioso di una fetta di pane basso servita assieme alle farciture più disparate? Sono almeno mille anni che gli esseri umani usano il pane basso per portare la carne alla bocca; la testimonianza più antica (o almeno, quella documentata) risale al primo secolo a.C., quando in occasione della Pasqua ebraica il rabbino Hillel “Il Vecchio” avvolse carne di agnello, rafano orientale e foglie di indivia nel matzo, il pane azzimo. Alcuni di questi pani bassi, peraltro, sono onnipresenti nella cultura odierna; sono diventati una tendenza, un simbolo di modernità, di condivisione e globalizzazione. E tuttavia, quando consumiamo un hamburger, un kebab, un pita giros o un taco, non possiamo certo renderci conto dell’enorme storia che quel particolare cibo si porta dietro. Prendete ad esempio il taco: riuscireste a immaginare l’entità simbolica racchiusa in quella tortilla di mais? Stiamo parlando di uno street food antichissimo, che ha accompagnato milioni di messicani per migliaia di anni, soprattutto nell’epoca 184 - BBQ4All MAGAZINE

del razzismo e dell’immigrazione americana. Del resto, i pani bassi furono precursori del forno stesso: i primi esemplari erano cotti su pietre calde o nell’interno concavo di fosse. La tortilla (dallo spagnolo “piccola torta”), tipica dell’America Centrale, è un prodotto di arte bianca molto simile alla nostra piadina, morbida, sottile e a base di farina di grano tenero o di granturco; viene preparata con un impasto fatto di acqua e non lievitato, pressato e cotto su una piastra. Noi uomini siamo sempre stati in grado di ricavare un pane basso con qualsiasi cereale a portata di mano. In Mesoamerica il cereale più antico è il granturco, utilizzato già dai Maya per le masa, e dal 700 a.C. i mesoamericani iniziarono a produrre tortillas, così battezzate dai coloni spagnoli del XVI secolo. Solo 400 anni dopo, questi dischi schiacciati sarebbero diventati un elemento importantissimo della cucina di quel territorio. Nel Nuovo Mondo gli spagnoli piantarono vasti campi di frumento e introdussero il bestiame, una novità che avrebbe portato successivamente ad una miriade di celebri farciture.


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È quindi scontato affermare che le tortillas a base di farina nacquero nel XVI secolo, e furono per ovvie ragioni consumate esclusivamente dai coloni europei fino al XIX secolo, quando poi furono adottate anche dalle comunità del Messico settentrionale. Preparare una tortilla è semplice, ma non tutti gli ingredienti necessari sono facilmente reperibili. L’originale messicana prevede l’utilizzo della masa harina, la farina di mais bianco, che viene sottoposta ad un trattamento denominato nixtamalizzazione: i chicchi vengono essiccati, cotti e messi in ammollo con acqua e ossido di calcio, in modo da far avvenire la decorticazione prima della macinazione e del successivo confezionamento. Tale processo rende disponibile all’assorbimento digestivo le vitamine PP e B, altrimenti non pronte per l’assimilazione.

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Si tratta di una farina completamente diversa da quella classica di mais giallo, che non consente il medesimo impastamento e non è quindi indicata per il processo. In alternativa è possibile utilizzare della farina di grano tenero di tipo 00 o 0 e forza tra i 200 e i 220 W, con la quale si ottengono le tortilla di grano. È ovviamente da precisare che gusto e consistenza cambiano considerevolmente in base alla materia prima utilizzata. Non dimentichiamoci mai che la farina è l’ingrediente principale dell’arte bianca; la farina di mais regala un gusto più marcato, dalle tipiche note tostate, e una croccantezza leggermente superiore, mentre la farina bianca restituisce un sapore più leggero, neutro ed equilibrato. Il grano tenero, peraltro, non ha il medesimo assorbimento: mentre con il mais bianco viene utilizzata 1.2 kg di acqua per kg di farina, con

il frumento la dose scende a 500g su kg. Il procedimento è, ad ogni modo, sempre lo stesso: mescolate l’acqua e 50g di sale per ogni kg di farina, fino ad ottenere una consistenza liscia ed uniforme. Dividete l’impasto in parti uguali (dai 50 ai 100g a panetto, secondo le esigenze), e lasciate riposare dai 20 minuti alle 2 ore coprendo con la pellicola; questo periodo renderà decisamente più agile l’operazione di stesura delle palline. È importante utilizzare meno farina possibile nella stesura, per evitare di avere uno sgradevole sapore in bocca dovuto ad un accumulo di polvere bianca bruciata. Un trucchetto, se non si dispone dell’apposita pressa, consiste nello stendere ogni disco con il mattarello ponendolo tra due strati di carta da forno, fino ad ottenere uno spessore di 2-3 millimetri.


Le tortilla vanno quindi cotte su una piastra rovente, 3-4 minuti per lato, e conservate in un panno da cucina perché non secchino. Il consiglio è quello di consumarle in fretta, in quanto dispongono di una shelf-life decisamente limitata. Nella cultura messicana questo pane basso viene farcito o servito in un innumerevole varietà di modi, ognuno con il suo nome specifico. Ci sono le Fajitas, tortillas cotte su piastra sulle quali viene appoggiato un condimento composto da strisce di pollo o di manzo e altri topping come peperoni, cipolle, peperoncino, paprika e origano. I Burritos sono invece delle tortillas ripiene di fagioli, salsa chili e bocconcini di manzo o pollo, che vengono arrotolate in seguito alla farcitura.

Le Quesadillas prendono il nome dal queso, il formaggio, e sono di fatto delle tortillas ripiene di oro giallo piastrate (o fritte). Esistono poi le Enchiladas (tortillas farcite con pollo e/o formaggio, fritte e immerse nella enchilada, una salsa a base di pomodori, peperoncino e spezie), le Enfrijoladas (tortillas fritte, piegate e ricoperte di salsa di fagioli), le Changa (tortillas condite e chiuse a pacchettino, fritte e servite con guacamole o panna acida) e i Nachos, che nient’altro sono che triangolini di tortillas fritti e serviti con salsa piccante.

lo in modo che, una volta freddatosi, formi una conca naturale, utile ad accogliere gli ingredienti. Di Tacos ne esiste una varietà enorme, ognuno tipico di un territorio, ognuno con la sua storia. I Tacos de Asador vengono preparati con carne alla griglia, che può essere manzo, pollo, chorizo o tripita (trippa o stomaco); la salsa abbinata è in genere la guacamole, tipica soprattutto con le interiora per smorzarne il sapore forte grazie alla freschezza dell’avocado. Nei Tacos de Cazo la carne viene cotta a fuoco molto basso e per un lungo tempo, fino a raggiungere una consistenza morbidissima, Ma l’indiscusso re della cucina tex- per poi compiere un passaggio sul mex è senza dubbio il Taco, una comal (la piastra in ceramica) in mezzaluna piastrata e farcita di modo da rendere l’esterno crocogni ben di Dio. cante e saporito; il ripieno più poLa tortilla viene abbrustolita sul polare è costituito dalla carnitas fuoco (in casa potete appoggiar- (spalla, trippa e gola), ma è posla su un fornello da cucina) e poi sibile trovare anche una versione chiusa a mezzaluna su un mattarel- con la punta di petto di manzo. ALMANACCO 2019

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Interessantissima è la preparazione della carne di pecora o di capra per i Tacos de Cazuela, cotta secondo la tecnica del barbacoa (cottura di origine caraibica dalla quale deriva anche il moderno barbecue): la carne (un misto di testa e altre parti del muso, stufato di cervella o la guancia) viene avvolta in foglie d’agave e cotta in un forno aperto ricavato da una buca del terreno. I Tacos al Pastor (anche detti Tacos de Adobada) sono tortillas ripiene di carne di maiale conservata attraverso l’adobo, una marinatura a base di aglio, origano, paprika e aceto, che viene cotta in maniera similare al gyros greco, ovvero sminuzzata e compattata in lunghi arrosti cotti verticalmente. Questi tacos vengono spesso accompagnati da ananas, cipolle e pomodori. I Tacos al Carbòn sono tipici dello stato di Sonora, vengono riempiti da carne di manzo grigliata, dal tipico aroma di brace dato dalla carbonella; sono accompagnati da cipolle verdi piastrate, cetrioli e ravanelli. I Tacos de Canasta sono praticamente impossibili da trovare fuori dal territorio messicano; vengono farciti con chorizo, patate, cotenna di maiale e fagioli. Non mancano ovviamente i tacos di pesce, originari della penisola di Baja, diffusi ormai in tutta la bassa California; il pesce può essere fritto o alla griglia, accompagnato da julienne di cavolo verde e una salsa a base di panna acida, chipotle e lime.

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Una gustosissima variante è costituita dai tacos di gamberi, preparati anch’essi fritti o alla griglia. Va da sé che senza una salsa goduriosa e saporita, un taco non sarebbe definibile come tale. Anche qui, i messicani non si sprecano: dalla Roja (peperoncini Chili essiccati e stufati con spezie) alla Guacamole (a base di avocado), dal Pico de Gallo o Salsa Casera (pomodori a cubetti, cipolle, coriandolo, peperoncino fresco, frutta e verdura di stagione), alla Salsa Verde (a base di tomatillos, un pomodoro verde, chili e coriandolo). È ovvio che, trattandosi di un contenitore adatto ad un’immensa vastità di farciture, esistano tantissime altre varianti più o meno ufficiali. Non solo: il taco, così come l’hamburger, si presta benissimo ad accogliere l’inventiva e l’estro personale, tanto che persino un celebre chef del calibro di René Redzepi ne ha realizzato una splendida versione nel suo Noma Mexico. E voi, drogati del Barbecue, vorrete mica astenervi dal proporre una personalissima alternativa. Già vi vedo, armati di smoker ed enormi tagli di manzo, pronti a farcire decine di tortilla con fumante ciccia affumicata. Del resto l’uomo non può astenersi dal divorare chili di carne avvolti in fette di pane basso, è uno storico dato di fatto.


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I N GREDIENT I PER 4 PERSONE

PER I NACHOS • 300 g di farina di mais bianca • 300 ml di acqua tiepida • un pizzico di sale • un cucchiaino di pepe macinato grossolanamente • olio di semi di arachidi q.b. PER LA SALSA QUEMADA • due pomodori ramati • un Jalapeno • uno spicchio d’aglio • un cipollotto • mezza cipolla rossa PER IL CONDIMENTO: • 200 g di Cheddar • un Jalapeno

foto di

LUCA GALLOZZA

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SPECIALE TEX MEX RICETTA a cura della REDAZIONE

che aperitivo sarebbe senza

N AC H OS ?

Se vi chiedessimo di elencare dieci frittura, ma noi li cuoceremo in piatti tipici messicani, tra questi griglia su un tappetino di silicone sicuramente ci sarebbero i Nachos. e poi li arricchiremo con un fantastico Cheddar e dei Jalapeno a La base per prepararli è la tortilla. fettine, accompagnati da una Salsa Gli ingredienti principali sono: fa- Quemada, tipica messicana, adatta rina di mais, acqua, olio , sale. ai veri griller. Una tortilla è una specie di piadina che, trattata in diverse modalità e Procedimento: varianti di ingredienti, diventa tan- 1. Riscaldate l’acqua in un pentote altre cose: taco se piegata in due lino sino a 40° C circa semicerchi, enchilada se le si dà la 2. Mescolate in un recipiente la forma di un cannolo ripieno, fajitas farina di mais , l’acqua calda e il se viene semplicemente arrotolasale, sino a formare un compota. Tanto per fare qualche esempio. sto omogeneo e compatto. Noi ora vi parleremo dei Nachos: 3. Mettete a riposare in frigo per semplici triangolini di mais realizmezz’ora. zati da una tortilla. 4. Formate delle piccole palline tutte uguali ( circa 10 ). StenSon nati nel 1943 a Piedras Negras detele con un mattarello, tra da Ignacio Anaya, detto Nacho, che due fogli 30x30 cm di carta da li preparò a dieci donne, mogli di forno, formando delle sfoglie soldati americani, mentre lavorava sottili. in un ristorante come maître. Espe- 5. Formate un cerchio con un cial Nacho, così li chiamò. Sette anello in metallo o un piatto da anni dopo, nel 1950, questa prepa10-12 cm. Dividete ogni singola razione entrò definitivamente nel tortilla in quattro quarti e poi libro della tradizione messicana e dividete ogni quarto ancora a da allora ogni anno a Piedras Nemetà sino ad ottenere dei picgras, dal 13 al 15 di Ottobre, si tiene coli triangoli tutti uguali. il concorso nazionale dei Nachos. 6. Adagiateli su un tappetino di silicone e spennellateli con l’oFragranti, saporiti e croccanti sono lio di semi. uno snack che accompagna le sera- 7. Impostate il vostro dispositivo te con amici e sono immancabili per la cottura indiretta ad una negli aperitivi. temperatura di circa 200°C. La ricetta tradizionale prevede la 8. Fate cuocere per 15 minuti . To-

glieteli quando son croccanti e dorati. 9. Preparate la salsa Quemada: in un vassoio per verdure, mettete i pomodori, lo spicchio d’aglio, un jalapeno e il cipollotto. Posizionatelo sopra le braci per una cottura diretta e fate abbrustolire per bene tutti gli ingredienti. 10. Fate una brunoise con mezza cipolla rossa. Inserite dentro un mixer tutti gli ingredienti per la salsa, già arrostiti e la brunoise di cipolla e frullateli. Mettete la salsa in una ciotola, pronta per essere servita. 11. Spargete il Cheddar ridotto a striscioline sui nachos e mettetelo a sciogliere nel dispositivo per 5 minuti. 12. Tagliate a fettine il Jalapeno e cospargiamo i nachos. Serviamo con una ciotola di salsa Quemada. I nostri nachos son pronti per essere divorati. Prima uno poi l’altro. Sino alla fine. Il profumo del mais invaderà la casa, l’aroma della salsa accrescerà la vostra salivazione, la piccantezza del jalapeno pungerà il vostro olfatto e tutti i sensi saranno coinvolti nell’assaggio di questo snack.

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SPECIALE TEX MEX RICETTA di MICHELA BONGIORNI

A R R OZ R OJ O a modo nostro

Chiamarlo riso alla messicana sarebbe scorretto o per meglio dire incompleto. Se provate, infatti, a fare una ricerca su internet, salteranno fuori miliardi di varianti: con fagioli, con verdure, con pollo, con manzo, ma anche da solo, col sughetto e basta. La verità è che questo riso, chiamato in Messico Arroz Rojo (riso rosso) e fatto rigorosamente con riso a chicchi lunghi (il Basmati è adattissimo), è una preparazione tradizionale che viene servita quasi sempre come accompagnamento di altri piatti, ma che si presta benissimo ad essere usato come base per aggiungere ingredienti a piacere. E dato che la redazione del BBQ4All Magazine, quando si riunisce per gli shooting, è particolarmente affamata, ho pensato di prendere la ricetta base e di arricchirla un po'. Un po' tanto. Ne è uscito un piatto soddisfacente e completo- piccante ovviamente- non esattamente da servire prima di una sessione in palestra, ma sicuramente gustoso e perfetto per una cena in stile texmex. Piace ai bambini (magari state un po' indietro col peperoncino, in quel caso) e piace alle nonne che lo preferiscono al brodino (e vorrei vedere). Se preparato sul bbq, poi, è anche scenografico. Il tocco vincente? È stato quello di averlo arricchito con delle polpettine fatte con gli slider BBQ4All, 192 - BBQ4All MAGAZINE

la salsiccia e un po' di spezie: priposito spazio in griglia. ma fritte, poi saltate in una salsa 5. Versate due o tre cucchiai di piccante e infine aggiunte al riso olio di oliva e poi fate soffriggepreparato a parte. La redazione re la cipolla, lo spicchio d'aglio si è contesa le polpettine come se e il peperoncino finemente trifossero le monete di Super Mario, tati. quindi il mio consiglio è: prepara- 6. A questo punto unite il riso e tene tante, perfino troppe, tanto fatelo tostare bene. non avanzeranno. 7. Fatelo insaporire, aggiustate di sale di pepe, unite il corianProcedimento: dolo, e cominciate a bagnare il 1. impastate insieme gli slider riso con un po' di brodo vegecon la salsiccia, unendo anche tale. le tutte le spezie in polvere. 8. Aggiungete i pelati e il concenFriggete in poco olio le polpettrato di pomodoro e continuatine ottenute e tenetele da parte a cuocere il riso aggiungendo te. un po' di brodo se si secca trop2. Preparate la salsa piccante: tripo. tate finemente la cipolla e il pe- 9. A cottura quasi ultimata agperoncino fresco; poi metteteli giungete al riso i fagioli e il a soffriggere in un pentolino peperone ridotto a dadini: agcon l'olio d'oliva; aggiungete la giustate di nuovo di sale e terpolpa di pomodoro, lasciatela minate la cottura. insaporire, poi aggiungete il 10. Una volta tolto dal fuoco, unilime e lo zucchero; aggiustate te al riso le polpette al sugo che di sale di pepe e lasciate andare avevate tenuto da parte. Una la salsa per una decina di mibella macinata di pepe e il gionuti. Aggiungete verso la fine co è fatto. anche le gocce di tabasco. Mescolate bene. Il riso è pronto per essere servito, 3. A questo punto fate saltare per magari con una veloce spremuta qualche minuto le polpette in finale di lime. Fate attenzione ai tre o quattro cucchiai di salsa commensali che, con la scusa di (o di più, secondo il vostro gu- andare in bagno a lavarsi le mani, sto), poi spegnete il fuoco e te- faranno un rapido passaggio in cunetele da parte, possibilmente cina per rubare le polpettine dalla in caldo. pentola. 4. Preparate il dispositivo per accogliere il wok o la coccotte in ghisa, con il carbone sotto l'ap-


I N G REDI EN TI PER SEI PERSONE

PER IL RISO: • 400 g di riso Basmati • una cipolla • uno spicchio d'aglio • un litro e mezzo di brodo vegetale • due pomodori pelati • un cucchiaio di concentrato di pomodoro. • un mazzetto di coriandolo fresco • un peperoncino Serrano • un peperone giallo o verde • 100 g di fagioli rossi • 100 g di fagioli neri • olio d'oliva q.b. • sale q.b. PER LE POLPETTINE: • 300 g di salsiccia • 300 g BBQ4All New York Slider • un cucchiaino di paprika dolce • un cucchiaino di aglio in polvere • mezzo cucchiaino di paprika piccante • pepe q.b. PER LA SALSA PICCANTE: • 400 g di polpa di pomodoro • mezza cipolla • un peperoncino fresco • il succo di uno o due lime • mezzo cucchiaino di zucchero • tre gocce di tabasco • olio d’oliva q.b. • sale q.b. • pepe q.b.

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SPECIALE TEX MEX RICETTA a cura della REDAZIONE

ehi papà , guarda! un pollo...

. . . a l l a B i r ra n e l

B U R R I TO

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Il Burrito è una classica preparazione della cucina messicana, diffusosi prima nel Nord-America, per la vicinanza geografica e culturale tra il Messico e la California (entrambi i territori avevano subito il dominio spagnolo), e poi negli anni ‘80 in tutto il resto del mondo, grazie ai film e alle serie TV hollywoodiane.

al suo mezzo di trasporto. Questa pietanza col passare del tempo si è arricchita sempre più nel numero e nella varietà degli ingredienti, trasformandosi da semplice piatto povero a una vera esplosione di gusto. Le tortilla possono essere farcite con diversi tipi di carne (agnello, vitello, maiale, pollo), di verdure (zucchine, peperoni, insalate) formaggi e salse. C’è anche chi aggiunge il riso, rendendolo un pasto completo. Perciò, visto che la tradizione non pone nessuna limitazione, rendiamo straordinario il gusto di questa squisitezza messicana, farcendo il nostro burrito con la carne sfilacciata del Beer Can Chicken. La succosità e la morbidezza della carne, data dalla lenta cottura a bassa temperatura, unite alla leggera affumicatura e al lieve aroma della birra, renderanno il gusto del burrito unico e straordinario nel suo genere. Per esaltare ancora di più il delicato sapore del pollo senza sovrastarlo, aggiungiamo la dolcezza dei fagioli rossi e il mais, la croccantezza dell’insalata iceberg e delle carote, e per dare una spinta di sapore al tutto inseriamo il cheddar e la salsa simile a quella di Big Bob Gibson che vi abbiamo già proposto nel numero di giugno.

Il termine Burrito letteralmente significa piccolo asinello: la leggenda narra che agli inizi del ‘900, durante la Rivoluzione Messicana, per combattere la dittatura del presidente-generale Porfirio Dìaz, Juan Méndez decise di avvolgere il cibo che vendeva in una tortilla, per tenerlo al caldo il più a lungo possibile. La sua idea piacque talmente tanto, che per espandere il suo commercio nelle zone limitrofe comprò un asino (burro). Quindi il goloso fagotto farcito con carne, verdure e formaggio deve il nome

Procedimento: 1. Preparate il dispositivo per una cottura indiretta a 110°120°C 2. Eliminate le eventuali piume dalla pelle del pollo con la fiamma di un cannello da cucina. 3. Preparate il rub, miscelando insieme il sale, il pepe, la paprika e l’aglio. 4. Spennellate il pollo sia sopra che sotto la pelle con un velo d’olio e poi conditelo con il rub che avete precedentemen-

I NGREDIEN T I

PER QUATTRO PERSONE • • • • • • • • • • • • •

un pollo intero eviscerato quattro tortilla due cucchiai di sale due cucchiai di pepe nero due cucchiai di paprika dolce un cucchiaio di aglio in polvere una lattina di birra olio extravergine d’oliva q.b. un cesto d’insalata iceberg 200g fagioli rossi 150g di chicchi di mais Aceto di mele q.b. 150g di formaggio Cheddar

PER LA SALSA • due tazze di maionese • una tazza di aceto di vino bianco • mezza tazza di succo di mela • due cucchiaini di rafano • due cucchiaini di pepe nero macinato • due cucchiaini di succo di limone • un cucchiaino di sale • mezzo cucchiaino di pepe di Cayenna

te preparato, sempre sia sopra che sotto la pelle. 5. Posizionate il pollo sulla lattina aperta o sull’eventuale supporto per pollo (in questo caso versate il contenuto della lattina di birra all’interno dell’apposito alloggio). Ponetelo in cottura dalla parte opposta delle braci. Affumicate con due tre manciate di petali di legno aromatico. 6. Lavate bene l’insalata e le carote sotto l’acqua corrente, affettate l’insalata sottilmente in modo da creare delle striscioline e pelate le carote tagliandole alla julienne. 7. Mettete l’insalata , le carote, i fagioli e il mais in recipiente e conditile con olio, sale e aceto di mele. 8. Preparate la salsa: mescolate tutti gli ingredienti in una ciotola larga e poi ponetela a riposare in frigorifero. 9. Quando il pollo avrà raggiunto la temperatura al cuore di 75°C, in modo graduale aumentate la temperatura del dispositivo a circa 190°C. Spennellate il pollo con olio e dopo pochi minuiti il rub avrà formato sulla superficie del pollo una croccantissima e profumata crosta. Mentre la birra, che sarà evaporata, avrà trasferito sapore ma soprattutto umidità all’interno, non permettendogli di seccarsi e diventare stopposo. 10. A questo punto riducete il pollo in straccetti o in fettine sottili; la pelle potete tritarla finemente e mescolarla agli ingredienti del burrito. 11. Scaldate le tortilla sulla griglia dalla parte delle braci. 12. Al centro della tortilla prima poggiate il pollo, poi il cheddar sbriciolato, l’insalata, un po’ di salsa e chiudete la tortilla. ALMANACCO 2019

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SPECIALE SPECIALETEX HAMBURGER MEX - RICETTA di TOMMASO DI GREGORIO RICETTE di MICHELA BONGIORNI

Perdonami madre por mi

TA C O l o c o Dovendo fare uno speciale Tex Mex, non potevano certo mancare loro: i Tacos, re indiscussi dello street food messicano. Lascio al bravo Alessandro Trezzi l'arduo compito, su questo stesso numero, di spiegarvi cosa siano i Tacos, come siano fatti e quale sia l'impasto base, e mi limito a dirvi, anche se sembra scontato, che si prestano ad essere farciti in millemila varianti differenti. Esistono versioni con carne di manzo, di maiale, di pollo, di pesce oppure esclusivamente di verdure. Insomma, sono adatti, ma che dico adatti, perfetti per essere farciti con le nostre amatissime preparazioni alla griglia.

che l'espressione echarse un taco (farsi un taco) è diventato sinonimo di mangiare un boccone; così come la frase Le echas mucha crema a tus tacos (hai aggiunto molta panna acida ai tuoi tacos) si usa per definire una persona che si dà troppe arie, che si crede migliore di ciò che è in realtà. Inventato tra 1.000 e 500 a.C., il taco è di fatto un cucchiaio commestibile che può contenere un numero infinito di cibi. E non esiste un prototipo di categoria, non c'è il taco numero uno. A Baja California li riempiono di marlin affumicato, nello stato del Querétaro servono tacos di manzo, fritti nello strutto di maiale; in Chiapas servono il pito tacos, fatto con polpettine di fiori dell'albero del corallo, impanate e fritte e poi servite nel taco con zuppa di pomodoro. Esistono anche i tacos per i più coraggiosi, quelli ripieni di cavallette, vermi bianchi e rossi, o larve di formica.

Originari di Città del Messico, sono nati come cibo povero ma sono man mano diventati una gustosa pietanza per tutti. In realtà, in Messico il taco non è solo un cibo, ma è diventato un modo di dire, uno stile di vita. Come scrivono Déborah Holtz e Juan Carlos Mena, autori di Tacopedia, i messi- Lasciando da parte gli insetti, torcani li mangiano talmente spesso niamo invece alle nostre varianti. 196 - BBQ4All MAGAZINE

Ve ne proponiamo tre, che possano accontentare un po' tutti: una con pollo, una con salsiccia e una con sole verdure. Però vi lancio una sfida: fate la vostra versione e postatela sulla community Facebook, dando libero sfogo alla fantasia, ma giustificando la vostra ricetta. Il taco più gustoso, quello che avrà preso più like, quello più convincente sarà menzionato nel prossimo numero. Promesso. Mi raccomando, però: non aggiungete troppa panna acida ai vostri tacos! Una piccola premessa, prima di darvi le tre ricette: il procedimento per i tacos è sempre lo stesso, ovvero dovete scaldare la tortilla, poi con l'aiuto di un mattarello dovete darle la forma a mezzaluna e lasciarla freddare. A quel punto avete un taco pronto per essere farcito.


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TACOS ALLE VERDURE I NGREDIEN T I

PER QUATTRO PERSONE • • • • • • • • • • • • • • •

quattro tacos un peperone rosso un peperone giallo un peperoncino rosso fresco tre zucchine due melanzane medie 100 g di fagioli neri 100 g di chicchi di mais due cucchiai di maionese un cucchiaio di yogurt bianco erba cipollina q.b. sale q.b. pepe q.b. un cucchiaio di aceto di mele olio extravergine di oliva q.b.

Preparazione: 1. Tagliate le verdure a cubetti, conditele con olio extravergine d'oliva, sale, pepe e aceto di mele. 2. Trasferite le verdure nell'apposito basket forato, oppure se state preparando il Beer Can Chicken, mettetele nell'apposito basket con supporto per il pollo; mentre cuocerà il pollo, si cuoceranno anche le verdure. 3. Preparate il kettle per una cottura indiretta, stabilizzandolo a una temperatura di circa 150 gradi, e mettete le verdure in cottura, affumicando con legno fruttato. 4. Quando le verdure avranno raggiunto la consistenza che desiderate, spostate il basket in cottura diretta (sempre se non avete il pollo a darvi fastidio, in quel caso, tenetele lì ancora per un po') e fatele rosolare. 5. Scaldate i tacos e riempiteli con le verdure grigliate, i fagioli, i chicchi di mais, la salsa fatta mescolando maionese e yogurt e un po' di erba cipollina. Condite con un po' d'olio, di sale e di pepe e servite.

TACOS CON POLLO MARINATO ALL'ARANCIA

I NGREDIEN T I

PER QUATTRO PERSONE • • • • • • • • • • • •

quattro tacos un petto di pollo intero un litro di succo d'arancia un cucchiaino di miele un cucchiaino di senape olio extravergine d'oliva q.b. sale q.b. pepe all'arancia q.b. 100 g di insalata iceberg 100 g di carotine alla julienne 100 g di chicchi di mais panna acida q.b.

• il succo di un lime

Preparazione: 1. Prendete il succo di arancia, aggiungete tre cucchiai di olio, la senape, 80 g di sale e il miele: con l'aiuto di un frullatore a immersione create l'emulsione nella quale andrete a immergere il petto di pollo intero. Tenetelo in frigo per almeno 4 ore, meglio se per una notte intera. 2. Togliete il pollo dalla marinatura e tenetelo avvolto nella carta assorbente per fare in modo che si asciughi bene in superficie: a questo punto, spennellatelo con un filo d'olio e massaggiatelo bene con il pepe all'arancia. 3. Predisponente il kettle per una cottura indiretta, stabilizzandolo alla temperatura di circa 130 gradi e ponete il pollo in cottura sulla griglia, affumicandolo con petali di legno aromatico a vostro piacere. 4. Quando il pollo avrà raggiunto la temperatura al cuore di 75 gradi, spennellatelo con olio e ponetelo in cottura diretta per qualche minuto, per rosolarlo un po'. 5. Togliete il pollo dalle braci, mettetelo in una terrina coperto con alluminio e tenetelo in rest (mantenimento) per un'oretta. Poi tagliatelo a striscioline. 6. Preparate un'insalata con l'iceberg, le carote julienne e i chicchi di mais: conditela con sale, olio e un po' di succo di lime. 7. A questo punto farcite i tacos con l'insalata, il pollo, e la panna acida.

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TACOS CON SALSICCE PICCANTI Preparazione: 1. Predisponete il kettle per una cottura indiretta e ponete le salsicce in cottura, affumicandole, per una quarantina di minuti. 2. Lavate i pomodorini e metteteli in una teglia di alluminio, aggiungendo una presa di sale e un cucchiaio di olio extravergine di oliva. 3. Mettete la teglia in cottura indiretta insieme alle salsicce. 4. Tritate grossolanamente la cipolla e mettetela a cuocere in un pentolino, insieme all'aglio intero e a due cucchiai di olio extravergine di oliva. 5. Quando i pomodori saranno cotti, metteteli in un frullatore a immersione insieme ai peperoncini e alla cipolla e all'aglio stufati. Frullate bene, poi mettete la salsa in un pentolino per farla ritirare. 6. Spezzettate grossolanamente le salsicce e fatele saltare insieme a due o tre cucchiai della salsa al peperoncino. 7. Farcite i tacos con insalata iceberg condita con olio, sale e aceto di mele, le salsicce, i fagioli borlotti e un cucchiaio di salsa al peperoncino.

Ecco qui tre farciture che avranno un sicuro successo. Ovviamente, niente vieta che possiate mescolare gli ingredienti tra loro: le verdure del primo taco insieme alle salsicce dell'ultimo, il pollo del secondo taco, insieme alla salsa allo yogurt del primo o quella piccante del terzo. Come dicevo, le varianti sono infinite e noi aspettiamo le vostre.

I N G REDI EN TI

PER QUATTRO PERSONE • quattro tacos • tre salsicce • fagioli borlotti • 100 g di insalata iceberg • 400 g di pomodorini ciliegino • mezza cipolla bianca • un peperoncino habanero • un peperoncino rosso fresco • uno spicchio d'aglio • aceto di mele q.b. • olio extravergine di oliva q.b. • sale q.b.

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SPECIALE TEX MEX RICETTA a cura della REDAZIONE

Messico e Nuvole C H E VO G L I A D I

TA M A L E S HO!

I N G RED I EN TI

PER QUATTRO PERSONE • 500g di lonza di maiale • 350g di farina di mais • una quindicina di foglie di mais di media grandezza • 150g di strutto • 10g di Chipotle o un Jalapeno fresco • 4g di lievito granulare per torte salate • 50g di BBQ4ALL Tennesee Mild Dry Rub • uno spicchio di Aglio • 500g di pomodori ramati

foto di

LUCA GALLOZZA 202 - BBQ4All MAGAZINE

• mezzo cucchiaino di cumino in polvere • una cipolla • due foglie di alloro • olio extravergine di oliva q.b. • sale q.b • pepe q.b


Il Messico: la regione dei Maya e degli Aztechi, la terra dei rivoluzionari come Pancho Villa e Zapata. E anche noi oggi faremo una rivoluzione culinaria perché andremo a rivisitare un piatto simbolo della cucina messicana. I Tamales sono involtini fatti con un impasto di mais e strutto, riempiti di carne o qualsivoglia ingrediente sia dolce che salato; vengono cotti avvolti in foglie di mais, talvolta anche di banano o di agave messicana. Il procedimento per prepararli, nella nostra versione, prevede diversi passaggi, che vanno da una prima affumicatura della carne, poi all’impasto della masa, successivamente a una seconda cottura della carne, per finire con l’assemblaggio in foglie di mais. Sono ottimi per la colazione ma anche come aperitivo o stuzzichino durante la giornata. Tradizionalmente la cucina messicana prevede per questa preparazione una cottura a vapore o bollita. Ne esistono molte varianti e son diffusi in tutta l’America Latina. Non mi dilungo in storielle, ma vado a spiegarvi bene il procedimento che è un pelino impegnativo. Vediamo di cosa abbiamo bisogno. Procedimento 1. Predisponete il vostro dispositivo per una cottura indiretta con una temperatura in camera sui 140°C. 2. Asciugate la vostra lonza, massaggiatela con un filo d’olio e cospargetela di rub. Adagiatela in griglia in cottura indiretta e affumicate con le chips del vostro legno preferito, sino a 52°C al cuore. 3. Quando la carne avrà raggiun-

to la temperatura desiderata, mettetela in una pentola e copritela d’acqua, aggiungete l’alloro, l’aglio e la cipolla. Fate cuocere sino a stufarla, verificando di tanto in tanto il livello dell’acqua che deve sempre coprire la carne. A cottura avvenuta, quando la carne sarà tenera la punto da sfaldarsi, mettetela da parte e filtrate il brodo. 4. Se avete dei peperoncini Chipotle affumicati, re-idratateli nell’acqua per circa dieci minuti, altrimenti utilizzate un Jalapeno fresco ridotto in purea. 5. Nel brodo, sbollentate i pomodori, privateli di buccia e semi. Metteteli poi dentro un frullatore insieme all’aglio e i peperoncini, e frullate per ottenere una salsa. 6. Sfilacciate la carne precedentemente cotta, aggiungete la salsa e un mestolo di brodo alla carne , e lasciate cuocere per circa dieci minuti per far rapprendere la salsa. 7. Mettete a bagno in acqua le foglie di mais coprendole per tenerle completamente immerse. 8. Preparate la masa. Utilizzate due ciotole. In una, abbastanza capiente, ammorbidite per circa 10 minuti lo strutto, con l’utilizzo di una frusta. Nell’altra invece unite farina di mais e lievito, e aggiungete un mestolo di brodo. Impastate sino ad ottenere una miscela compatta e morbida. 9. Mescolate ora il composto con lo strutto utilizzando le fruste elettriche per circa 10 minuti, sino ad ottenere un impasto gonfio e poco appiccicoso. 10. Sgocciolate le foglie di mais e asciugatele, tenendole comunque un po' umide. Dividete una

foglia in tante striscioline verticali, che utilizzerete per chiudere i Tamales. 11. Aprite bene la foglia di mais. Stendete la masa per ¾ della foglia, nella parte più larga della base, in maniera uniforme. Inserite al centro della masa una striscia di carne condita. 12. Ora chiudete i tamales, partendo da un lato e ripiegando verso l’altro. Fate così anche con l’altro lato. Ora, chiudete le estremità verso il centro e legate il tamal per tenerlo chiuso. Avrete ottenuto una sorta di saccottino. 13. Cuocete i tamales a vapore per un ora, dopodiché trasferiteli nel vostro dispositivo ad una temperatura in camera intorno ai 120°C e affumicate in indiretta per 20 minuti con chips o chunk di legno. In Mexico si usa dire el que nace para tamal del cielo le caen las hojas (chi nasce per essere tamal, dal cielo gli cadranno le foglie). Significa che se sei destinato per qualcosa, questa sicuramente accadrà. Persino Abuelita nel film d’animazione Coco, invita Miguel a mangiarne ancora, tanto son buoni. Quindi perché non provarli. Saranno un successo. E poi fidatevi di me que so un poco loco, un pochititico loco.

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SPECIALE TEX MEX RICETTA a cura della REDAZIONE

béccati il becco

PICO DE G A L LO La playa, il sol, la cerveza. Una caratteristica immagine che richiama paesaggi tipici del mondo latino. Il tutto è reso ancora più magico con qualcosa da sgranocchiare. Oggi vi proponiamo un piatto messicano molto popolare, usato sia come contorno che come farcitura per gli snack freschi: il Pico de Gallo. L’origine del nome, letteralmente traducibile in “becco di gallo”, è avvolta nel mistero ed è suscettibile a molte interpretazioni. Uno scrittore americano, tale Sharon Tyler Herbst, ha affermato che il nome derivi dal modo in cui si degusta. Infatti tipicamente questa pietanza viene mangiata con le dita e si suole scegliere i vari pezzi prendendoli con indice e pollice, ricordando appunto un gallo che razzola nell’aia. Rick Bayless, diversamente, nel suo libro “Authentic Mexican: cucina regionale del cuore del Messico”, afferma che il nome Pico de Gallo derivi dalla forma degli ingredienti, i quali tagliati a piccoli pezzi ricordano il mangime per i polli. Nella tradizione popolare, invece, le origini del nome sono più folkloristiche e si racconta che le verdure debbano essere tagliate dal becco di un gallo e il piatto debba essere piccante al punto da far spuntare un becco sulla lingua. Infine, un altro racconto avvalora l’idea che il nome derivi dalla 204 - BBQ4All MAGAZINE

forma dei peperoni Serrano, usati nella preparazione, molto simili al becco di un gallo. Un’altra peculiarità inerente il pico de gallo è la sua definizione. Infatti nonostante gli ingredienti e la preparazione ricordino un’insalata, comunemente in Messico viene definita come salsa. La ragione sta nel fatto che questa pietanza viene usata principalmente come condimento per tacos e burrito, di conseguenza concettualmente si avvicina di più a una salsa che a un’insalata. È immancabile sulle tavole texane il 4 Luglio, il giorno dell’Indipendenza, servito sia come condimento per i nachos sia come colazione, messo su delle fette di pane arrostito insieme al cheddar fuso. Preparazione 1. Lavate e tagliate a dadini i pomodori e trasferiteli in un colino a maglie strette per fare perdere un po’ di acqua di vegetazione; 2. Lavate i peperoni e privateli dei semi, tagliate anche questi a dadini 3. Tagliate anche la cipolla a dadini e tritate finemente il prezzemolo 4. Unite tutti gli ingredienti in una ciotola capiente e condite con olio, sale e il succo del lime 5. 5. Lasciate riposare in frigo almeno 4 ore prima di servire


I N G REDI EN TI

PER QUATTRO PERSONE • una cipolla rossa fresca • tre o quattro pomodori da insalata tipo Piccadilly • tre peperoni tipo Serrano o Jalapeno (in alternativa potete usare dei comuni peperoni e aggiungere un po’ di peperoncino comune fresco) • un lime • un ciuffo di coriandolo (in alternativa potete usare il prezzemolo) • olio extravergine di oliva q.b. • sale q.b.

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I N G RED I EN TI

PER QUATTRO PERSONE • 4 Pannocchie di mais • Olio extravergine di oliva (o in alternativa burro chiarificato) q.b. • due cucchiai di maionese • 100 g di Queso fresco (in alternativa potete usare la feta greca o la ricotta salata) • Peperoncino fresco (in alternativa potete usare del peperoncino in polvere come Habanero o Scotch Bonnet) q,b, • Coriandolo fresco (o in alternativa prezzemolo) q.b. • un lime

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SPECIALE TEX MEX RICETTA a cura della REDAZIONE

!Que viva

E LOT E

Lo street food è un mondo vario e vasto. In Abruzzo la fanno da padrone gli arrosticini, nei paesi del sud est asiatico il pesce grigliato, negli USA gli hot dog. E se invece di trovarci in una di queste località avessimo deciso di passare le nostre vacanze nell’assolata Cancún? Provate a immaginare: la canicola messicana vi sta lentamente sciogliendo, le dodici birre che avete bevuto vi hanno dato un senso di freschezza effimero che come unico risultato ha aumentato il vostro tasso alcolemico. È il momento di mangiare qualcosa. Sì, ma che sia buono, che riempia lo stomaco, che sia facile da trovare e comodo da mangiare mentre continuate nel vostro giro turistico.

uno stecco da passeggio, ma in alcune zone del paese si trasforma in Esquite, ovvero mais lessato in grani e poi condito con gli stessi ingredienti, da mangiare col cucchiaio. Ottima come spuntino mentre si cammina oppure da servire come accompagnamento dopo una robusta grigliata per rinfrescare la bocca a fine pasto. Noi ovviamente non l’abbiamo lessata, ma grigliata. Dobbiamo confessarvelo: ero scettico, finché non l’ho assaggiata non credevo fosse possibile che una semplice pannocchia mi causasse crisi di astinenza. Mi sono dovuto ricredere e con me anche i quattro amici a cui l’ho servita durante una festicciola privata a tema.

4. Grigliate adesso la pannocchia, finché non risulti ben dorata. 5. Cospargetela a questo punto con la maionese. 6. Adesso è il momento di cospargerla con il formaggio sbriciolato, poi col peperoncino e col coriandolo tritati. 7. Per finire irrorate il tutto con il succo del lime. Per una presentazione più comoda da mangiare in piedi, potete costruire un supporto di sostegno. Per farlo vi serviranno degli spiedini di legno lunghi, un po’ di carta d’alluminio e le foglie della pannocchia di mais.

Per preparare il supporto è sufficiente infilare lo spiedino nella base della pannocchia; fatto quePreparazione sto rinforzate lo spiedino in legno 1. Preparate il kettle per una cot- con la carta di alluminio e infine tura indiretta. coprite il tutto con le foglie del 2. Pulite le pannocchie dalle fo- mais. Fermate il tutto con po’ di glie, facendo attenzione a non spago da cucina. rovinarle. 3. Spennellate le pannocchie con l’olio o con il burro chiarificato sciolto. Ora ditemi cosa ne pensate voi.

Ecco, questo è il momento di gustarsi una pannocchia squisita condita con sale, burro, formaggio, succo di lime e maionese, chiamata Elote (aka Mexican street corn come preferiscono chiamarla i gringo). Questa pietanza a base di mais, tipica del panorama dello street food messicano, è fresca e piacevole da gustare. Normalmente è servita su

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SPECIALE TEX MEX RICETTA di MICHELA BONGIORNI

BIRRIA

andiamo a Fuoco! Si fa presto a dire spezzatino: la parola racchiude in sé un'infinità di varianti, tante quante sono le culture dalle quali arriva e le mani che lo cucinano. Non fa eccezione questo piatto messicano tradizionale, che presenta versioni molto diverse tra di loro tutte però accomunate da una cosa: la Birria è un piatto decisamente piccante, per uomini e donne che non devono chiedere mai, ma che probabilmente imploreranno una birra ghiacciata (anche se noi, per fare un po' i fighetti, abbineremo a questa preparazione un vino). Tradizionalmente preparata con carne di capra in umido (specie la Birria Jalisciense, dello stato messicano di Jalisco) si presta però ad essere rimodellata sui propri gusti personali, calibrata sulla cultura gastronomica di chi la cucina e sulle papille gustative di chi andrà a mangiarla. Quindi la prima cosa che si può fare è cambiare il tipo di carne: noi abbiamo scelto il manzo. Dato che non vogliamo entrare nel solito ginepraio di commenti e indignazioni generali, cosa che succede ogni qualvolta si abbia la pretesa di presentare un piatto della tradizione di un qualsiasi posto del mondo, noi lo dichiariamo subito e mettiamo le mani avanti: quella che leggerete è la ricetta riveduta e corretta per gli amanti del bbq e dell'affumicatura che però strizzano l'occhio ai sapori nostrani, per gli amanti del piccante ma non troppo che poi mia moglie/mio marito non digerisce, per chi vuole assaggiare piatti diversi ed esotici ma il 208 - BBQ4All MAGAZINE

ragù della nonna non si tocca. Per preparare questo piatto in stile BBQ4All, abbiamo preso un bel 3. pezzo di Top Blade del Megastore, lo abbiamo prima rubbato e affumicato fino al raggiungimento dei 65 gradi al cuore e poi lo abbiamo messo a stufare per diverse ore nel sugo di peperoncino che abbiamo 4. precedentemente preparato. Il risultato? Non ve lo dico. Lascio che siate voi a giudicarlo, dopo che lo avrete preparato e assaggiato. Tanto lo so che lo farete in tempo record. Solo a guardare le foto vi prenderà quel leggero languorino 5. che vi magnereste Ambrogio, la signora vestita di giallo, la limousine e tutti i cioccolatini solo come antipasto (e se non avete capito la citazione vuol dire che siete troppo giovani, per cui i miei sentimenti verso di voi oscillano tra l'invidia e 6. l'odio). Vabbè, tornando alla nostra Birria, ecco la ricetta. Preparazione 1. Cospargete la carne con un filo d'olio e poi rubbatela (ovvero 7. spolverizzatela di rub) senza esagerare; potete fare questa operazione anche la sera prima e lasciarla riposare in frigo per la notte. 2. Predisponete il vostro dispositivo per una cottura indiretta, stabilizzandolo alla temperatura di circa 120/130 gradi, poi ponete la carne in cottura e af- 8. fumicatela con legno di melo

fino a che non raggiungerà la temperatura al cuore di 65 gradi. Nel frattempo, fate tostare in una pentola i peperoncini (usate la qualità che più preferite scegliendola anche in base alla piccantezza) e dopo qualche minuti aggiungete il brodo. Fate sobbollire i peperoncini nel brodo per una decina di minuti, poi mettetelo da parte, prelevate i peperoncini e buttateli nel frullatore insieme ai pomodori pelati, la cipolla, l'aglio, il cumino, il timo, l'aceto di mele e due cucchiai d'olio. Frullate il tutto, poi trasferitelo in una pentola: accendete il fuoco e fate scaldare la salsa. A questo punto potete aggiungere il concentrato di pomodoro allungandolo con un po' di brodo che avevate messo da parte. Aggiustate di sale. Quando la cane avrà raggiunto la temperatura al cuore di 65 gradi, toglietela dalla griglia, fatene velocemente uno spezzatino e buttatela nella salsa che avete preparato. Aggiustate di sale e di pepe, poi coprite con un coperchio e fate cuocere per almeno due ore e mezzo, o finché la carne non sarà tenera al punto da cominciare a sfaldarsi. Durante la cottura, se lo spezzatino dovesse asciugarsi troppo, aggiungete sempre il brodo di peperoncini che avete da parte. A fine cottura fate ritirare bene il sugo e servite.


I N G REDI EN TI

PER OTTO PERSONE • 1800 g di Top Blade Rangers Valley WX Australia • quattro pomodori pelati • • • • • • • • • • • •

una cipolla bianca uno spicchio d'aglio un cucchiaino di cumino un cucchiaino di timo secco due cucchiai di aceto di mele un cucchiaio di concentrato di pomodoro tre cucchiai di Tennesee Mild Dry Rub BBQ4All pepe q.b. sale q.b. 10 peperoncini secchi un litro di brodo di manzo olio d'oliva q.b.

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I N G REDIENT I

PER QUATTRO PERSONE • 500g di patate • un cucchiaio di sale • un cucchiaio di pepe • due cucchiai di paprika dolce • mezzo cucchiaio di aglio in polvere • pangrattato q.b. • olio extravergine di oliva q.b.

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SPECIALE TEX MEX RICETTA a cura della REDAZIONE

Paese che vai

PATATA

che trovi

Fritte o arrosto, le patate sono il contorno ideale e una pietanza immancabile nelle occasioni di ritrovo. Per questo nel grande speciale Tex-Mex che vi abbiamo proposto non può mancare la ricetta, originaria della zona di Santa Fe, delle papas a la mexicana. Il ricco sapore aromatico di queste patate, morbide dentro e croccanti fuori, le rende a nostro avviso anche il contorno che ben si adatta a molte preparazioni tipiche del mondo barbecue (pulled pork, ribs, brisket etc). Ciò che le rende particolarmente gustose è l’utilizzo di un wet-rub per insaporirle, ovvero di una miscela di spezie (rub) a cui viene aggiunto un liquido (nel nostro caso olio extravergine d’oliva) per fare in modo che il condimento si aggrappi bene alla superficie dell’alimento, evitando che si stacchi durante la cottura. Si possono poi cuocere in forno o, come abbiamo fatto noi, nel kettle, affumicandole anche leggermente: vi ritroverete con le patate più gu-

stose, saporite, croccanti e piccanra, senza sovrapporle. tine mai assaggiate. Non potrete 8. Preparate il dispositivo per più farne a meno. Un consiglio in una cottura indiretta a 200 più: se non siete a dieta sostituite gradi C° l’olio con il burro. Ma non dite a 9. Ponete la teglia sulla griglia nessuno che ve l’abbiamo detto. dalla parte opposta delle braci ed affumicate con due Preparazione manciate di legno aromatico. 1. Lavate le patate sotto l’ acqua Chiudete il coperchio. corrente. 10. Dopo una trentina di minuti 2. Sbollentate le patate (con la controllate le patate. Sono buccia) in abbondante acqua pronte quando si infilzano salata. Dopo circa cinque mibene con la forchetta e sono nuti dal bollore scolatele e ladiventate ben dorate e crocsciate raffreddare. canti. 3. Una volta raffreddate, man- 11. Se ce ne fosse bisogno, aggiutenendo la buccia, tagliatele a state di sale. spicchi. 4. In una ciotola versate abbondante olio a cui aggiungerete le spezie e miscelate il tutto fino ad ottenere un composto omogeneo. 5. Immergete gli spicchi nel composto facendo in modo che il wet rub aderisca omogeneamente sulle patate. 6. Aggiungete un po’ di pangrattato per dare un tocco di croccantezza e girate bene. 7. Disponete le patate in una teglia adatta alle alte temperatuALMANACCO 2019

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I Churros sono dei golosissimi bastoncini di pasta fritti, zigrinati in superficie e spolverati con zucchero aromatizzato alla cannella. Sono dei dolcetti tipici della cultura latinoamericana, una vera gioia per il palato: basta un solo morso per rimanere stregati dalla loro morbida fragranza. Se poi vengono inzuppati in creme dolci come il cioccolato e il caramello, diventano una vera e propria delizia irresistibile a cui non si può dire no. Se sulla bontà di questo dolce non esistono dubbi, la sua origine è tutt’altro che certa. Infatti, nonostante sia considerato da tutti una prelibatezza della pasticceria spagnola, esiste una diatriba molto accesa tra il Portogallo e la Spagna sulla paternità dei Churros.

utilizzare delle forbici per stacOvviamente ogni paese ha adattacare la pasta dalla punta. Se una to questa prelibatezza alla proprie volta in pentola si arricciassero tradizioni: oggi in particolar modo stendetele con l’aiuto di una vogliamo parlarti dei Churros forchetta. messicani accompagnati dal Dul7. Preparate un piatto con della ce de leche, crema di latte di capra, carta da cucina e riempitelo chiamata anche marmellata di latte con lo zucchero aromatizzato per la sua preparazione. In pratica alla cannella. Quando i churros si fanno cuocere il latte e lo zucsono ben dorati, con l’aiuto di chero insieme fino a quando non si una schiumarola scolateli bene ottiene una bella crema al carameldall’olio e passateli nello zuclo brunita e densa. chero. Ripetete il procedimento fino a quando la pasta non è Per far acquisire a questa crema terminata. già golosissima un gusto straordinario, la prepareremo sul calore 8. Passiamo alla crema. In un pentolino versate il latte, 150g diretto delle braci, perché il fuodi zucchero, il miele e il bicarco dona sempre ai cibi quella nota bonato; ogni volta che aggiunparticolare di sapore, rendendoli gete un elemento date una viancor più gustosi e appetitosi. gorosa mescolata con la frusta. 9. Ponete il recipiente su un fuoProcedimento: co medio alto e continuate a 1. In un pentolino versate l’acqua mescolare per i primi 10 mie aggiungete il burro tagliato a nuti, abbassate leggermente la dadini. Fate sciogliere il burro fiamma e lasciate andare per nell’acqua su un fuoco medio 30 minuti circa. Mi raccomanalto, mescolando ogni tanto. do ogni tanto controllate la 2. Quando il composto inizia a crema e mescolatela. È pronta sobbollire, spegnete la fiamma quando il latte avrà acquistato ed incorporate poco per volta un bel color caramello e si sarà la farina setacciata, mescolanaddensato. do con forza fino ad ottenere un impasto liscio, omogeneo e 10. Versate la Dulce de leche in un vasetto di vetro e lasciatela compatto. raffreddare a temperatura am3. Lasciate intiepidire la pasta, biente, perché si addensi ultepoi aggiungete all’interno le riormente. uova una per volta.

Gli spagnoli affermano che questo dolce sia nato dalla creatività dei pastori nomadi che, dovendo trovare un sostituto del pane, idearono un impasto adatto alla cottura in padella. I bastoncini di pasta realizzati furono chiamati Churros, perché nella forma ricordavano le corna di una razza di pecore da loro allevate, le Navajo Churro. Al contrario, i portoghesi sostengono che la ricetta abbia origini cinesi e che fu introdotta nella penisola iberica grazie ai numerosi viaggi esplorativi tra il ‘400 e il ‘500 nella Cina della dinastia Ming. Se- 4. Inserite il composto in una sac condo la loro tesi, questi dolcetti à poche con la punta a stella. sarebbero l’evoluzione portoghese 5. Preparate il dispositivo per degli youtiao cinesi, striscioline di una cottura diretta e ponete i pasta salate e fritte servite con riso bricchetti accesi al centro. Soe tofu. stituite il centrale della griglia con la cocotte in ghisa, (mi racIn ogni caso, l’unica certezza è che comando, le braci non devono fu la grandezza dell’Impero colotoccarla) e versate nella pentoniale spagnolo ad esportare i Churla l’olio di semi. ros in Messico, in Perù, in Uruguay, 6. Quando l’olio è pronto, prenin Colombia, in Cile e in Argentina dete la sac à poche e iniziate a facendoli diventare un dolce tipico fare delle strisce di pasta lundella cultura sud-americana. ghe 15 cm circa, vi consiglio di 212 - BBQ4All MAGAZINE

Potete servire i Churros in coni di carta paglia e preparare dei piccoli contenitori con la crema uno per ogni amico che avete invitato. Si leccheranno tutti, letteralmente, le dita.


SPECIALE TEX MEX RICETTA a cura della REDAZIONE

LOS C H U R R OS ...te va a encantar!

I N G REDIEN T I

PER QUATTRO PERSONE PER I CHURROS • 250 ml di acqua • 80g di burro • 150g di farina • un pizzico di sale • 2 uova • Olio di semi q.b. • 300 g zucchero bianco semolato • cannella q.b. • olio di semi q.b. PER LA CREMA • 500ml di latte di capra o latte intero vaccino • un cucchiaio di miele • mezzo cucchiaino di bicarbonato di sodio • 150 g di zucchero

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VINI ABBINATI a cura di ENIO BERTON

È ORA DI

BERE! abbinamenti consigliati

Liquore: Cantina: Abbinamento :

Valpolicella Classico Superiore Ripasso 2016 Aldrighetti Tacos

La cucina messicana ci porta a gusti forti, piccanti se non piccantissimi: dobbiamo trovare dei vini che con un'alta gradazione o con noti dolciastre compensino la nostra ascesa della scala di Scoville. Tra i due vini proposti oggi, partiamo con un Valpolicella Ripasso che ci permette di gustare i nostri tacos dando, ad ogni sorso, una pausa al nostro palato non perdendo, però, in sapore e gusto. Il Valpolicella Ripasso nasce dagli stessi vitigni del più famoso Amarone tutti autoctoni della provincia di Verona; le uve utilizzate sono, principalmente, la Corvina, il Corvinone e la Rondinella. Il sistema di vinificazione è particolare in quanto, prima dell’affinamento finale, il vino viene fatto fermentare a contatto con le bucce pressate delle uve passite dalle quali si ricava l’Amarone. La cantina Aldrighetti ha un'estensione di 4 ettari nel cuore della Valpolicella a nord di Verona. La conduzione familiare consente di tramandare la storia e le tecniche classiche, anche se è sempre attenta a tutte le innovazioni del settore. L’uso di botti grandi permette di mantenere inalterati i sapori e i profumi senza le note eccessive di vaniglia e di legno. Il Valpolicella Ripasso Classico Superiore è la prova di tale filosofia e ci permette di immaginare la potenza olfattiva e gustativa del loro Amarone. Alla vista si presenta di colore rosso rubino intenso con note granate, che aumentano con l’invecchiamento. Al naso si sprigionano tutte le note di frutta rossa matura con sentori di sottobosco e note balsamiche. Al palato risulta morbido, con tannini molto addolciti e maturi; si ripresentano le note fruttate che piano piano fanno spazio a sentori di spezie, vaniglia e tabacco. Fin di bocca persistente e piacevole. Da servire a 18/20 gradi in calici ampi. Uve: Corvina Veronese 65% Rondinella 30% Molinara 5% Zone produzione: Valgatara (VR) a 200-300 metri s.l.m. Grado alcolico: 14,00%

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N E G R OAMA R O Vino: Cantina: Abbinamento :

Puglia IGP Negroamaro 2017 Pietra Pura Birraia

Come siamo messi con il piccante nella Birria, quel magnifico spezzatino messicano che vi abbiamo presentato in questo numero? Abbiamo esagerato o ci siamo mantenuti a livelli accettabili? Conoscendovi, immagino che un pochino abbiate esagerato, voglio suggerirvi una soluzione per placare la capsaicina che vi sta infiammando la bocca. Il Negroamaro è un vitigno a bacca nera coltivato quasi esclusivamente nella zona del Salento. Di origine antiche, deve probabilmente, il nome alla somma dei due termini che identificano il nero, in latino ed in greco. Usato negli anni passati come vino da taglio per aumentare il grado alcolico di altri vini, si è iniziato a produrlo in purezza da poco. La linea Pietra Pura nasce dalla collaborazione della cantina toscana di Rocca delle Macìe con la cantina del Salento Terre di Sava, per la produzione in purezza dei vitigni autoctoni della Puglia quali Negroamaro e Primitivo. Il vino viene prodotto con uve esclusivamente raccolte a mano, dopo la pigiatura continua la maturazione per alcuni mesi fino al momento dell’imbottigliamento. Visivamente si presenta di colore rosso porpora con riflessi violacei, profumo intenso con note di frutta fresca con sentori di ribes e frutta di sottobosco; una leggera speziatura accompagna la presenza di profumi di timo e di altre erbe aromatiche. In bocca risulta morbido con una buona sapidità; si confermano le note aromatiche di frutta a bacca rosa. Fin di bocca persistente. Da servire a 16/18 gradi in calici ad apertura media. Uve: 100% Negroamaro Zone produzione: Salento Grado alcolico: 13,50%

PO RTO Vino: Cantina: Abbinamento :

Porto Tawny 10 years old Nieeport Churros

Per parlare dettagliatamente del Porto ci vorrebbero pagine e pagine di inchiostro, stiamo parlando di un caposaldo della vinificazione del mondo, per cui passiamo subito al sodo. Prodotto da vini selezionati coltivati nella regione del Douro in Portogallo, questo Porto Tawny è il frutto dell’esperienza del Master Blender Jose Nogueira, che permette di creare questo mix con vini di annate diverse. Il termine Tawny indica un porto prodotto da uve nere invecchiate in grandi botti di rovere, per almeno 2-3 anni, per poi essere trasferito in botti più piccole che permettono una maggiore ossigenazione ed un'ossidazione che ne modifica anche la colorazione, facendolo passare ad una tonalità ambrata. Dal sentore di albicocca matura, scorze di mandarino con note di miele e caramello, al palato queste essenze si espandono dando una nota piacevole e morbida. Finale elegante e persistente. Perfetto per essere assaporato insieme ai nostri Churros. Da servire a 12/16 gradi in bicchieri da dessert. Uve: Touriga Nacional, Touriga Franca, Tinto Cão, Tinta Francisca, Tinta Amarela, Souzao, Tinta Roriz Zone produzione: Douro (Portogallo) Grado alcolico: 20,00%

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BIRRE CONSIGLIATE a cura di RICCARDO MENICONI

PLINY THE ELDER

Il burrito è una della pietanze più iconografiche della cucina Tex-Mex. In realtà molto più diffuso negli Stati Uniti che in Messico, e non è altro che una tortilla di grano arrotolata, farcita con carne arricchita da fagioli, riso, salse, formaggio e altro. Così come le tradizioni culinarie che si intrecciano, si evolvono e mutano, anche il modo di bere sta cambiando. Si abbattono i confini e il Mondo diventa tutto un unico Paese. Oggi abbiamo la fortuna di poter assaggiare birre provenienti da tutto il globo appena fuori la porta di casa. Le IPA americane sono state per molto tempo bramate da tutti gli appassionati, e anche se adesso i birrifici di casa nostra si difendono molto bene, spesso facendo meglio di tutti gli altri, il fascino delle luppolate d'oltreoceano è ancora forte. Quache anno fa, ebbi la fortuna di poter bere, grazie ad un mio amico di ritorno da Santa Rosa (California), la DoubleIPA di uno dei birrifici più conosciuti e ambiti del periodo: la Pliny the elder del birrificio Russian River, la Mecca di tutti gli appassionati. Ne ho bevuta solo un'altra da allora ma il ricordo è ancora vivido e stampato in testa. Il colore è dorato carico con riflessi ramati, la schiuma è color avorio, dal perlage grossolano, compatta e persistente. L'aroma, come un proiettile, entra nel naso e sembra non volersene più andare: aghi di pino, agrumi, resine e qualche sentore floreale, elegante ma di grande persistenza. In bocca è come ce la si aspetta: potente ma equilibrata, le note di malto sono ben presenti e smussano alla perfezione l'amaro e dei luppoli usati (Amarillo, Centennial, CTZ e Simcoe). Vira verso sentori biscottati con un finale fruttato e citrico. La carbonazione aiuta ma gli 8 gradi si fanno sentire. Adesso, non dico di trovare proprio questa birra che vi ho voluto raccontare più per il piacere di farlo che per altro. Siamo circondati da ottime DuobleIpa, americane o italiane. L'importante è che sia artigianale e il più fresca possibile. Queste birre vanno consumate in breve tempo, trattate con cura e assolutamente non invecchiate. Per poter assaggiare grandi birre americane appena infustate vi consiglio di visitare l'EurHop che si terrà a Roma da 4 al 6 Ottobre. Un occasione unica visto che spesso quelle importate non arrivano da noi prima dei 3/4 mesi.

LA SAGGIA

Dolcissimo mais, arrostito a fuco vivo e condito con peperoncino, lime, queso fresco e coriandolo. L'elote è un classico dello street food messicano che si gusta passeggiando e sorseggiando una birra ghiacciata. Probabilmente la più quotata in Messico è la Corona. Ma a noi piace la birra, vero? Uscendo dagli schemi e cercando di abbinare al meglio questi sapori, la prima cosa che mi viene in mente è una bella blanche fresca e speziata. Le blanche sono birre di frumento non maltato misto a malto d’orzo. La loro tipica aromaticità è data in buona parte dai lieviti utilizzati ma la ricetta tradizionale prevede anche una speziatura aggiuntiva data dall'uso di coriandolo e buccia d'arancia. Il frumento inoltre conferisce anche una leggera acidità. Una delle mie preferite è la Saggia del birrificio Birra dell'Eremo di Assisi, Umbria. Nel bicchiere si presenta di colore giallo paglierino, con schiuma bianca abbastanza persistente. Al naso emergono delicate note fruttate date dal lievito, che poi lasciano spazio ad intense note speziate di coriandolo, arancia e bergamotto. In bocca è molto fresca e dissetante, grazie anche alla carbonazione abbastanza importante. Il corpo è liscio, setoso e dolce con un piacevole retrogusto di malto e cereali; si ritrovano le note fruttate e speziate che rendono la bevuta molto interessante e accattivante. Mi raccomando, versatela in un bel bicchiere, possibilmente una pinta americana o, ancora meglio, nel bicchiere francese Jelly SENZA la fetta di limone. Mi raccomando.

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COCKTAIL a cura di RICCARDO MENICONI

MARGARITA Quando immagino di organizzare una cena in stile texmex mi si srotola davanti gli occhi una tavolata imbandita da mille piattini, ciotoline, tortilla, taco, nacho, guacamole, pico de gallo, fagioli e altre diavolerie. Subito esplodono in testa mille colori, la musica e il ritmo sudamericano entrano nelle orecchie e le vibrazioni positive mi fanno tremare le papille gustative. Se dovessi scegliere un distillato che possa in qualche modo racchiudere tutto ciò sarebbe sicuramente il Tequila. Partendo dal mosto di Agave blu si distilla questo superalcolico simbolo del Messico. Dopo la raccolta dell’agave, le piñas vengono tagliate e cotte in tipici forni per 1 o 2 giorni, in modo da trasformate l'inulina in fruttosio e saccarificare l’amido. Dopo di che vengono schiacciate per estrarre il succo, che viene raccolto in calderoni così che possa poi iniziare a fermentare, grazie ai lieviti naturalmente presenti o inoculati, per circa 3 giorni. Così si procede con la distillazione, ottenendo il Tequila Blanco. A questo punto può, volendo, essere invecchiata per 60 giorni in botti di legno. Ci sono poi diversi stadi di invecchiamento e affinamento in botti fino ad arrivare al Tequila Extra Anejio di 3 anni. Ci sono moltissimi cocktail a basa di tequila, sicuramente il più famoso è il Margarita. Semplicissimo da preparare a casa. Colmiamo di ghiaccio una coppa da Margarita per freddarla, nel frattempo mettiamo nello shaker: -3,5cl di tequila (la mia preferita è la Espolon) -2 cl di triple sec -1,5 cl di succo di lime Aggiungiamo ghiaccio e shakeriamo. Togliamo il ghiaccio dal bicchiere, passiamo una fetta di lime sul bordo e lo giriamo su di un piattino con del sale grosso in modo da formare una piccola corona salata intorno al bicchiere. Filtriamo il drink nella coppa e gustiamo. ALMANACCO 2019

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#CHIEDIALCOACH - RUBRICA a cura della BBQ4ALL UNIVERSITY

#C H IE DI A LCOACH UN UTENTE CI FA LA SEGUENTE DOMANDA: Delucidazione scientifica: Come penso tutti, so che la roba congelata non andrebbe ricongelata. Come suppongo molti, non so il motivo per cui sia così. È una questione igienica dovuta al fatto che non si può sapere la reale contaminazione degli alimenti dopo vari cicli di congelazione (i pescatori di solito abbattono il pesce appena pescato e quindi secondo questa teoria neanche il pesce fresco potrebbe essere congelato)? É dovuto a un deterioramento chimico degli alimenti che può portare a formazione di sostanze indigeste? Il problema è più complesso? Stavo pensando di mettere da parte resti di carne dopo vari trimming, parature e ossa ovviamente congelando e una volta raggiunta una discreta quantità preparare dadi, fondi e brodi. Ma poi mi è sorto il dubbio: congelando una pietanza cotta costituita a suo tempo da alimenti congelati, si rischia qualcosa? RISPONDE IL COACH VIRGILIO BRUNETTI: Ogni alimento fresco ha una carica batterica naturale più o meno aggressiva; d’altra parte ogni essere umano adulto e sano ha la capacità di contrastare, grazie al suo sistema immunitario e le barriere enzimatiche di bocca, stomaco ed intestino, l’aggressione di numerosi patogeni: virus, batteri, miceti, protozoi ed elminti. Le buone norme igieniche, come lavarsi le mani e pulire accuratamente gli alimenti, ci garantiscono un efficace abbattimento del rischio di una qualsiasi infezione alimentare. Per quanto riguarda la carne, soprattutto in Italia esistono inoltre norme igienico-sanitarie stringenti che standardizzano secondo legge la sicurezza degli alimenti carnei. Il mantenimento della catena del freddo sicuramente è la norma che più di tutte garantisce il mantenimento della salubrità degli alimenti carnei dal macello alla tavola. Lo stoccaggio della carne nei nostri frigoriferi di casa è uno dei passaggi più critici per la sicurezza alimentare, in quanto nello stesso spazio spesso vengono conservati alimenti che possono generare cross-contaminazione. Una buona idea per mantenere a lungo alimenti crudi o cotti è il confezionamento sotto vuoto associato alla congelazione. Nota bene che refrigerare, congelare e surgelare sono concetti molto diversi. Refrigerare significa portare gli alimenti a una temperatura fra 0°C e 10°C. Questo processo rallenta, ma non blocca, il deperimento dei cibi. Significa che i prodotti refrigerati possono essere conservati per periodi di tempo limitati: alcuni giorni, al massimo due settimane. 218 - BBQ4All MAGAZINE


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Congelare significa ricorrere all’utilizzo del freddo sottozero: può essere di tipo domestico o industriale. I cibi sono portati a temperature tra -7°C e -12°C (che per il pesce e la carne arrivano -18°C) e sono conservati a temperature tra -10°C e -30°C. Al momento della scongelazione si verifica una parziale perdita dei valori nutritivi e organolettici, in particolare negli alimenti con struttura cellulare meno resistente. Pur essendo un metodo efficace per allungare la conservazione dei cibi, la congelazione non permette di bloccare al 100% l’attività degli enzimi, con conseguente deterioramento nel tempo della qualità originaria del prodotto. Surgelare significa che i prodotti raggiungono in brevissimo tempo la temperatura di -18°C, e la rapidità di raffreddamento determina la formazione di micro-cristalli di acqua che non danneggiano la struttura biologica degli alimenti. La struttura e il sapore dei cibi, insieme alle valenze organolettiche e nutrizionali (proteine, vitamine, carboidrati ecc...), rimangono inalterati rispetto al prodotto originale. La surgelazione si presenta come il miglior sistema di conservazione, grazie allo scrupoloso rispetto della catena del freddo in tutto l’iter che l’alimento compie per arrivare, integro, sulla tavola del consumatore. Tuttavia, in casa, a meno che non si abbia un laboratorio microbiologico in cantina, all’atto del congelamento e durante la conservazione in frigo non abbiamo nessuna idea di quanto possa essere contaminato un alimento e non abbiamo nessuna evidenza affidabile per capire quanto siano cresciuti i microorganismi sulla nostra carne; 220 - BBQ4All MAGAZINE

l’unico mezzo che abbiamo è usare occhi e naso. Se un alimento diventa maleodorante e inizia a generare qualche tipo di essudato viscoso, siamo sicuramente al limite della commestibilità. Valutiamo quindi quanto sia compromesso l’alimento e eventualmente procediamo alla cottura o all’eliminazione definitiva della carne. Sappiamo inoltre che pollame e il maiale hanno maggiori problematiche di conservazione rispetto alle carni bovine in quanto presentano (statisticamente) una carica batterica iniziale più alta, quindi visto che la refrigerazione e la congelazione rallentano e bloccano la crescita batterica senza uccidere di fatto i microrganismi, ulteriori cicli di scongelamento e ricongelamento potrebbero generare una crescita batterica eccessiva, alzando il rischio di infezione alimentare. Inoltre ribadiamo che il congelamento a livello casalingo non è abbastanza rapido e non consente di mantenere inalterate le caratteristiche organolettiche originali della carne, per cui più cicli di freeze-thawing (congela-scongela) la distruggono a livello cellulare. L’unico modo per azzerare la carica batterica è cuocere l’alimento. Il calore inattiva la maggior parte dei microorganismi patogeni con rare e purtroppo pericolose eccezioni (in alcuni casi è necessario abbassare il pH dell’alimento per rendere sicure alcuni tipi di conserve). Nella maggior parte dei casi non c’è nessun problema nel ricongelare alimenti cotti che allo stato crudo sono stati correttamente congelati, perché ogni tipo di microorganismo è stato eliminato nella fase di cottura. In alcuni casi, se possibile, bisognerebbe evitare di scongelare alimenti cotti facendoli stazio-

nare in frigo così come si fa per il decongelamento di una bistecca surgelata: meglio riportarli in temperatura rapidamente mediante riscaldamento a microonde; questo è possibile perché gli alimenti cotti non subiscono deterioramento a seguito del decongelamento.


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THE CHEMICAL GRILLERS - RUBRICA a cura di VIRGILIO BRUNETTI

marinature capitolo due un approccio scientifico

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Dovrebbe essere ormai abbastanza chiaro che esiste una differenza profonda fra la composizione di una salamoia ed una marinata tradizionale: la salamoia è una soluzione salina a pH neutro o tendente al basico mentre una marinata è una miscela caratterizzata da una base acida arricchita di zuccheri, grassi, aromi, spezie. Meathead Goldwyn nel suo Amazing Ribs mette in risalto il concetto di brinerade, una tecnica ibrida, ovvero una marinata salata che esalta tutti i vantaggi di entrambe le tecniche; Meathead evidenzia sperimentalmente l’impossibilità che hanno le componenti di una marinata di penetrare profondamente negli alimenti, ad eccezione del sale. Essendo l’azione prettamente superficiale, la penetrazione della marinata deve essere forzata mediante l’uso di siringature oppure lavorando la superficie dell’alimento praticando buchi o incisioni, allo scopo di amplificare la superficie di contatto tra carne e miscela aromatica. Quello che vi suggerisco è sempre mantenere una mentalità aperta ed elastica: noi stessi abbiamo scelto di codificare alcune metodiche al fine di agevolare chi per la prima volta si approccia alle tecniche di cottura e seasoning. Le marinature, in particolare, hanno uno spettro applicativo piuttosto vasto e possono essere categorizzate in base al principio attivo responsabile delle modificazioni a carico delle proteine della carne. In tutti i casi sappiamo che la capacità di penetrazione dei costituenti della marinata, ad eccezione del sale da cucina, è molto bassa, di conseguenza l’effetto è limitato alla superficie dell’alimento. Questa limitazione in realtà è legata esclusivamente al falso mito che una marinatura possa fare un qualche genere di miracolo e che renda tenero, succoso e saporito un pezzo di carne che non avrebbe nessuna possibilità di esserlo. La strategia migliore perché una qualsiasi marinata sia veramente efficace è lavorare su tagli di pezzatura medio piccola e utilizzare curing, brining e rub sui tagli più voluminosi. La marinatura è una tecnica di seasoning che risulta efficace nella modificazione del profilo aromatico della carne, al pari di un dry rub o uno slather (wet rub). Al costo di essere ripetitivo, lo dico di nuovo: bisogna tenere ben a mente che solo il cloruro di sodio è capace di modificare profondamente le caratteristiche della carne in termini di succosità, sapidità e texture. Tutto il resto non fa altro che dare un’impronta aromatica caratteristica e superficiale che si andrà a finalizzare e

completare durante la cottura; i grassi, gli aromi e gli zuccheri assorbiti sulla superficie dell’alimento non faranno altro che arricchire la complessità della reazione di Maillard e favorire la formazione del Bark. In una visione più ampia, possiamo individuare nella componente acquosa della marinata il principio attivo caratterizzante della miscela. Il pH della fase acquosa diventa la chiave di volta per infinite variazioni, il che rende questo tipo di tecnica estremamente intrigante. Abbiamo precedentemente parlato non solo di basi acide, ma anche di basi saline ed alcaline, di basi enzimatiche ed alcoliche. Tutte queste varianti hanno l’obiettivo comune di migliorare la carne in termini di juiceness. Nota: juiceness (succosità) e succulence (succulenza) sono percezioni diverse. Juiceness indica la sensazione di umidità del cibo all’atto del morso, ossia quell’esplosione di fluidi quando mordete il boccone di carne, mentre succulence si riferisce alla sensazione di umidità che percepite durante la masticazione. L’APPROCCIO ACIDO Una marinatura tradizionale è costituita da: una fase acquosa acida + una fase grassa + un tensioattivo + erbe e spezie + zuccheri + sale Quali sono gli effetti di una marinata? In ordine decrescente di influenza, gli effetti della marinatura sono: – incremento della moisture; – aromatizzazione; – ammorbidimento. L’acidità della componente acquosa di una marinata ha proprio il compito amplificare la sensazione di succosità: l’esposizione diretta di piccoli tagli di carne o di pesce a componenti particolarmente acide genera una modificazione profonda dei tessuti muscolari e dei connettivi; un acido non fa altro che apportare ioni H + (derivati dall’acido acetico, citrico o lattico contenuti nelle basi acide). L’azione di questi ioni cambia radicalmente la conformazione delle proteine della carne, generando una denaturazione e successivamente una coagulazione molto simile a quella che avviene con il calore. Se immergete della carne e o del pesce nel succo di limone vedrete un rapido e progressivo cambio di colore che interessa tutte le proteine, comprese i pigmenti muscolari come la mioglobina che perde il suo folding e si coagula diventando di colore grigio. Le compoALMANACCO 2019

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nenti acide, anche se hanno una velocità di penetrazione bassa attraverso la carne, modificano significativamente la struttura delle proteine rendendole capaci di trattenere una maggiore quantità d’acqua durante le fasi di cottura; parallelamente abbiamo anche un'importante modificazione a livello gustativo, in quanto la percezione di acido implementa in molti casi la gradevolezza del prodotto (anche se un eccesso può generare un totale disastro gastronomico).

sino un attimo a quello che accade nel loro stomaco quando ingeriscono un boccone di bistecca. L’apparato masticatorio riduce in piccoli pezzi il cibo, l’acido cloridrico secreto dalle pareti dello stomaco coagula le proteine, mentre gli enzimi digestivi tagliano le proteine a livello molecolare arrivando quasi ai singoli costituenti. Questa strategia in vari modi può essere simulata in una marinata. LE BASI ACIDE FERMENTATE

Coloro i quali, per varie ragioni, pensano che l’azione Esistono moltissime basi fermentate, ma poche condi un acido non sia poi così efficace sulla carne pen- tengono ancora vitali e attivi i microorganismi respon224 - BBQ4All MAGAZINE


sabili del processo di fermentazione stesso. Yogurt, kefir e latticello sono sicuramente le più interessanti. L’utilizzo di questi prodotti ha origini antichissime, tanto quanto la stessa pastorizia. I fermenti lattici e altri ceppi batterici (acetobatteri), generalmente innocui o addirittura benefici per l’organismo umano. Sostanzialmente non fanno altro che inacidire o meglio fermentare il latte generandone una parziale coagulazione. Le marinate a base di questi prodotti sono ricche di fermenti lattici che competono efficacemente con le altre specie batteriche, evitando cross-contaminazioni e attuando una sorta di effetto conservante; i batteri lattici convertono efficacemente gli zuccheri del latte (il lattosio) in acido lattico abbassando il pH del prodotto. Il calcio, contenuto naturalmente in latte e nei suoi derivati, favorito da un pH moderatamente acido penetra efficacemente la carne attivando le calpaine e incrementando i'intenerimento della carne e l’effetto di ritenzione. Una delle preparazioni più conosciute che prevedono l’uso di una marinata a base di latte fermentato è il pollo Tikka Masala. Anche in questo caso il pollo viene ridotto in pezzi di dimensioni moderate proprio per dare massima efficacia alla miscela. La speziatura è super intensa, ne trovate milioni di varianti, visto che ogni famiglia indiana ha la sua miscela di spezie tramandate da madre in figlia; i costituenti base sono: cumino, peperoncino, aglio cipolla, coriandolo, cannella chiodi di garofano, zenzero, curcuma. È consigliabile utilizzare uno yogurt intero compatto ottenuto da fermentazione del latte a coagulo intero, nella proporzione di circa 250 grammi per kg di carne. I tempi di marinatura possono essere spinti anche per 12 ore. In questo caso, poi, non è necessario rimuovere la marinatura dalla carne prima della cottura perché darà un contributo importante nella formazione del bark.

possano essere gli effetti di una base sulla carne. Le basi hanno un effetto estremamente potente sulle proteine: generano infatti una forte degradazione dei tessuti e amplificano l’effetto di ritenzione di acqua. Il problema delle soluzioni alcaline è che hanno un’impronta gustativa che può risultare sgradevole, ma tale percezione cambia radicalmente in fase di cottura perché il pH elevato è un fattore fondamentale nella velocizzazione della reazione di Maillard. Sono sicuro che ognuno di voi abbia assaggiato il pollo stufato con arachidi e verdure, una delle preparazioni più comuni nei ristoranti cinesi. Questa ricetta in realtà ha una sua dignità e il segreto del pollo Gong Bao perfetto (questo il vero nome del pollo con aLachidi e veLduLe) è una marinatura alcalina. Sezionato in piccoli pezzi prima di essere saltato al wok, deve essere marinato in una miscela che contiene 1% bicarbonato di sodio per ogni kg di carne (il resto della miscela è costituita da acqua, salsa di soia chiara, fecola di patate, vino di riso). La carne rimane a contatto della marinata per circa 12 ore. Lo stesso procedimento con tempi di marinatura diversi si può utilizzare su pesce, crostacei o maiale, con lo stesso identico risultato: la rapida e violenta cottura sul wok (o altro supporto di cottura rovente) genera un imbrunimento molto rapido della carne che mantiene intatta la succosità. Il piatto viene bilanciato e arricchito dalle verdure saltate e croccanti, arachidi tostate e una speziatura piuttosto aggressiva a base di peperoncino secco e pepe di Sichuan. Assaggiare il vero pollo Gong Bao corrisponde a mordere un petardo: sapore esplosivo, succosità estrema e Maillard da paura.

Nel prossimo numero continueremo questo piccolo tour intorno al mondo per scoprire come agiscono le L’ALTERNATIVA ALCALINA L’alternativa alla base acida sono le soluzioni alcaline; marinate su base enzimatica e alcolica, inoltre chiaripossiamo considerare queste miscele alla stregua di remo il ruolo dei tensioattivi e delle marinate a base salamoie super potenziate. Parliamo di valori di pH esclusivamente grassa. che tendenzialmente devono attestarsi tra 9 e 10. I composti comunemente utilizzati per formulare una marinata alcalina sono il bicarbonato di sodio e in casi estremi la soda caustica. In commercio si trovano preparati costituiti da miscele bilanciate di bicarbonato di sodio e acetato di sodio che costituiscono un’alternativa all’uso dei polifosfati (agenti di ritenzione). Probabilmente la maggior parte di voi ignora quali ALMANACCO 2019

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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI

- Oggi è il compleanno di Contatto Fastidioso, contribuisci anche tu a rendere questa giornata speciale! Fagli sapere che lo pensi! - No.

SEGUO I social network ci hanno tolto il piacere degli auguri di compleanno. Il senso di farsi gli auguri, io credo, è sempre stato: sei una persona a me cara, ho un cassettino nella mia mente riservato a te, ricordo quando sei nato e faccio in modo di notificartelo, affinché tu sappia che non mi sono ancora completamente dimenticato di te. Faceva piacere il pensiero, faceva piacere quella presenza momentanea e il calore più o meno spontaneo della piccola massa di dediche ricevute. Per un giorno, almeno, il festeggiato aveva l’illusione di essere il protagonista assoluto della porzione di mondo comprendente familiari e amici più stretti. In fondo di questo si parla: il caro vecchio protagonismo, il responsabile del successo di Instagram, con i suoi like a pioggia notificati uno per uno per dare l’illusione di un consenso esagerato. È il tuo compleanno, ti senti contattato come un capo di stato, le persone si congratulano con te per... 226 - BBQ4All MAGAZINE


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...sostanzialmente per non essere ancora morto, sup- quotidiano. Fagli gli auguri! E fagli ‘sti auguri!, con anpongo, perché altri meriti non ne trovo; sei una picco- nessa visualizzazione del flusso inesorabile di scrittila microcelebrità di queste ventiquattro ore. ne e dediche tutte uguali sul profilo del nato del giorno. Puoi essere da meno? Puoi esimerti? Non ce la fai. Ho una teoria: il compleanno, gli auguri, sono tutti ap- Pare brutto. puntamenti che percepiamo come gratificanti e positivi perché associati a eventi gradevoli nell’infanzia. È E allora vai con le frasine precompilate! Auguri! Tanti il tuo compleanno, ti svegli e trovi il pupazzo di He- auguri! Passa un bellissimo compleanno, te lo meriti. Man nel blister della Mattel tradotto male dall’inglese. Torni da scuola e ti fanno trovare un transformer, Adesso ti rompo l’idillio, come sempre. una Porsche 935Turbo trasformabile, e ti viene quasi un ictus dalla contentezza. Stai per andare a danza e ti Non immaginarti più le facce radiose e sorridenti di fanno scartare Baby Mia, una bambola che costava ne- chi ti scrive gli auguri dietro imposizione del social: gli anni '80 quanto due pensioni del nonno, ma che ha immaginati sempre il tipico broncio stufo e amaregpiù interattività del tuo compagno di banco umano. giato di quando prendi il tuo telefono o il tuo portatile Compleanno significa oggetti agognati, compleanno e scorri, rigonfio di noia, le notifiche del tuo account. significa tutti che ti guardano soffiare candeline (per La mattina, prima del caffè. Dopo aver letto la PEC di chi non aveva lo zio simpaticissimo che ti schiacciava Equitalia. Probabilmente seduto sull’irrinunciabile la faccia nella torta rovinando la festa a tutti). trono di ceramica. Devi fare gli auguri al tizio, dice la Ma non è più così. scritta. Vabbè, facciamoli. Gli auguri di adesso sono la reazione a un continuo e Gli auguri vengono fatti per lo più con la stessa intenassillante pop-up di ogni tipo di applicazione di uso zione e lo stesso sentimento con cui si clicca “Skip

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Ad”, o si cerca la crocetta sul pop-up “Incontra single nella tua zona”. Un gesto di stizza completamente privo di partecipazione, accompagnato da qualche insulto. E a te, festeggiato, arriva questa sfilza iperfinta di paroline evidenziate in viola e fucsia, video preconfezionati che non aprirai e che hai già visto negli altri 364 giorni dell’anno negli altri profili. Controlli i mittenti e ti accorgi della presenza di: grigliatori irascibili con i quali hai litigato per una bistecca messa in forno; macellai vendicativi a cui hai provato a spiegare come ricavare le short beef ribs; la cognata della tua ex; l’immancabile amico tonto che scrive col profilo di coppia. Ma perché fai la scena dell’augurarmi buon compleanno, se abbiamo litigato in pieno stile asilo nido fino a ieri, nella chat whatsapp? Per forza. Tutti si piegano alla potenza persuasiva del pop-up. Per quale motivo ogni account social, o una piattaforma di ecommerce, o un sito di streaming, vuole sapere la tua data di nascita? In primo luogo per farti dichiarare la tua maggiore età e non incorrere in guai pesanti, sicuramente; cosa non meno importante, per sfoltire i casi di omonimia: c’è sempre l’utente che si registra due volte, con due mail diverse, e poi si lamenta che gli arrivano le mail di marketing o di notifica su entrambi gli indirizzi. Dovreste dare una controllata! Ma insomma, non lo capite che sono sempre io? - tutti casi già discussi qui nella rubrica Seguo. Certo, sei sempre tu, ma potrebbe essere un omonimo. Mettendo la data di nascita abbiamo un'ulteriore discriminante che può aiutare nella gestione delle omonimie in quell’operazione fondamentale conosciuta come igiene del database utenti. Esattamente, né più né meno della famigerata PuliZzia Kontatti!1!, ma fatta con un certo criterio e rigore.

to (si chiama proprio imbuto, funnel), conoscerne i gusti e i bisogni sono tutte pratiche costose: servono inserzioni a pagamento, serve la profilazione, servono contenuti freschi e godibili da produrre ed elargire gratuitamente in cambio dell’autorizzazione a venir contattato. Nel caso BBQ4All, pensate all’esempio della Mail Class: una miriade di email istruttive, senza fuffa, piene di informazioni ben spiegate e di regole utili già dal primo giorno. Un valore enorme, pari a un lunghissimo corso; su questo siamo tutti d’accordo, credo. Produrre articoli, video, foto, mille esperimenti per supportare un dato ha certamente un costo; se dopo qualche tempo l’utente se ne va (usando il tremendo potere dell’ANSASCRAIB come i lettori del BBQ4All Magazine ben sanno) oltre che un peccato è una sorta di perdita. Recuperare, rinfrescare, dare nuovo entusiasmo ai clienti stanchi, che non seguono o non comprano più, è più economico e più efficiente di andarne a pescare di nuovi: sono già profilati, l’azienda ne conosce gusti e necessità, e la spesa per acchiapparli è stata già sostenuta. Che c’è di meglio, per farti tornare voglia di comprare, di un bel coupon sconto per il compleanno?

Al compleanno arrivano le mance, la centomila di nonna (le nonne fanno ancora regali in lire), al compleanno sei -ci tengono a dirlo!- il protagonista della giornata, riempito di auguri e felicitazioni: quale momento migliore per comprarsi un paio di scarpe, un obiettivo Zeiss, un bilanciere olimpionico, una bici con la pedalata assistita (per farsi odiare dagli altri ciclisti in salita) o un condizionatore portatile che con l’acqua fa superfreddo? Ricordati, c’è sempre l’associazione compleanno uguale regalino costoso, ormai radicata nella testa di ognuno in maniera più o meno consapevole. Ed ecco quindi mail su mail di auguri e scontistica da Tuttavia, la data del compleanno non si limita a que- tutti gli eshop esistenti, coupon, codici sconto, memsto utilizzo. bership a tempo limitato, qualsiasi cosa. È un dato estremamente prezioso. Nell’automated marketing, espressione che con una Ma secondo me Google può ascoltarmi dal microfono. grossolana approssimazione possiamo definire la Più semplicemente la tua mania di far sapere (a chi pratica di contattare in maniera pertinente masse di poi?) cosa ti piace e non ti piace ha creato una gigantepotenziali clienti tramite algoritmi mirati, esiste una sca profilazione dei tuoi gusti. procedura fondamentale e usata praticamente in ogni E ora ti becchi gli auguri. Anche dalle persone che non contesto: il recupero del cliente allontanato. vorresti più sentire, anche quando te li fanno con la Mi spiego. faccia triste e scocciata, tanto facebook li evidenzia in Ottenere un cliente, farlo entrare nel proprio imbu- viola e fa le stelline. ALMANACCO 2019

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N°10/ANNO 1 - OTTOBRE 2019

MAGAZINE

G IA NF R ANCO L O CA SCI O

CARNE E ANTIBIOTICI COME TI SMANTELLO I PRECONCETTI

N I C E TO M E A T Y O U

MEAT HOOK

RACCONTIAMO A TUTTI COME SI FA IL MACELLAIO OGGI

A R R I VA L ' A U T U N N O

OKTOBERFEST o HALLOWEEN L'IMPORTANTE è GRIGLIARE


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EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO

Come vi smantello i preconcetti:

la c a rne t r at t at a c o n

A NTI BIOTICI e O R MO N I

non esiste

C’è un confine netto e ben marcato fra le opinioni personali e l'ignoranza distruttiva. L'opinione personale riguarda interpretazioni legittime di un fatto o di una circostanza che, a seconda dei casi, possono essere rimesse in discussione. L'ignoranza invece varca questo confine e diventa la necessità di imporre agli altri concetti distanti dalla realtà con esercizi di convincimento coatto portati allo sfinimento. È da più di un decennio che continuo la mia crociata contro le convinzioni balorde del mercato italiano della carne. Qualcosa è cambiato, ne prendo atto, ma se guardiamo la fotografia generale siamo ancora indietro di quarti di secolo rispetto a quei Paesi dove

questa cultura è prosperata in modo corretto. Troppo spesso, infatti, mi ritrovo a dover leggere nella nostra Community Facebook quesiti di questa risma:

"Ma la carne del Megastore contiene ormoni o antibiotici?" Pensavo di averne parlato in modo esaustivo e per un numero sufficiente di volte, ma a quanto pare il dubbio permane. Lo so, voi lettori del BBQ4All Magazine non vi fate abbindolare dal giornalismo fuffaro di Carbonella2000. Ma ne approfitto per tornare sull’argomento con tutte le normative del caso.

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CARNI TRATTATE CON ORMONI DELLA CRESCITA (STEROIDI)

b) Immettere sul mercato o macellare animali da azienda ai quali siano state somministrate dette sostanze; c) Immettere sul mercato le carni degli animali da azienda di cui alla lettera b); La legge si applica a tutti gli stati membri dell’UE e d) Lavorare le carni di cui alla lettera c) e immetalle importazioni. tere sul mercato prodotti a base di carni di questo tipo ovvero con le medesime.” Riporto fedelmente l’Articolo 2: Nel 1981, con la Direttiva 81/602/CEE, la Comunità Europea ha proibito l'uso di ormoni che stimolano la crescita degli animali destinati al consumo umano. Si parla di steroidi, per capirci.

“Gli stati membri provvedono a che sia vietato: a) Somministrare agli animali da azienda, con qualsiasi mezzo, sostanze ad azione tireostatica e sostanze ad azione estrogena, androgena e gestagena; 234 - BBQ4All MAGAZINE

Chiaro, no?

Lo strumento legale in forza è nella Direttiva 96/22/ CE che è stata poi emendata dalla Direttiva 2003/74/ CE. Ve la spiego in breve: le carni importate non possono contenere ormoni. Con buona pace dei com-


plottisti. Chi lo dice o mente sapendo di mentire o dice stupidaggini credendo di avere la verità in tasca. Se a dichiararlo è un macellaio, allora la faccenda è assai più grave. Ognuno poi avrà la capacità di discernere per quale motivo un professionista manipoli la verità; perché pensare che non sia informato su queste cose è anche peggio. Il punto non è consumare o non consumare carni importate. La scelta di non farlo è sacrosanta e degna di ogni rispetto. Il punto è il terrorismo infondato basato su fatti inesistenti.

Tale somministrazione deve essere effettuata da un veterinario o, nel caso di medicinali veterinari di cui al punto i), sotto sua diretta responsabilità; il trattamento deve essere registrato dal veterinario responsabile, il quale dovrà precisare almeno le informazioni di cui al punto 1.

È tuttavia vietata la detenzione da parte del titolare dell'azienda di medicinali veterinari contenenti delle sostanze β-agoniste che possono essere utilizzate per indurre la tocolisi. Fatto salvo il primo comma del punto 2 ii), il trattamento terapeutico è comunque vietato per gli La carne importata non può contenere ormoni. animali da produzione, inclusi gli animali da riÈ controllata all'ingresso. È impossibile mistificarla. È costosa e non è per tutti, questo è vero; ma dire che produzione a fine carriera.” contiene ormoni è falso. Qui un estratto della direttiva 2003/74/CE del Riporto dei passaggi salienti della Direttiva 96/22/ Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 setCE del Consiglio del 29 aprile 1996: tembre 2003

“Articolo 2 Gli Stati membri vietano l’immissione sul mercato delle sostanze di cui all’allegato II ai fini della loro somministrazione a qualsiasi animale le cui carni e i cui prodotti siano destinati al consumo umano, per scopi diversi da quelli previsti all’articolo 4, punto 2.

“Articolo 11 bis (Aggiunto) La Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio entro due anni a decorrere dal 14 ottobre 2003 una relazione sulla disponibilità dei medicinali veterinari alternativi a quelli contenenti estradiolo-17β o suoi derivati sotto forma di esteri per il trattamento di macerazione fetale o di mummificazione fetale per i bovini o per il tratAllegato II tamento della piometra dei bovini, e presenta loro Elenco A: sostanze vietate l'anno successivo le proposte necessarie intese a -tireostatici, sostituire, a tempo debito, tali sostanze. - stilbeni, derivati dello stilbene, loro sali ed esteri, Del pari, relativamente alle sostanze di cui all'al- estradiolo-17β e suoi derivati sotto forma di este- legato III, la Commissione cercherà di ottenere ri. informazioni complementari, tenendo presenti i Elenco B: sostanze vietate con deroghe dati scientifici recenti provenienti da tutte le fonti, - sostanze ß-agoniste. e riesaminerà periodicamente le misure applicate per presentare al momento opportuno al ParlaArticolo 4, punto 2 mento europeo e al Consiglio le proposte necessa2. la somministrazione a scopi terapeutici di me- rie.” dicinali veterinari autorizzati contenenti: i)trembolone allilico da somministrare per via E ancora la direttiva 2008/97/CE: orale, ovvero le sostanze β-agoniste a equidi, sempreché siano utilizzati conformemente alle indi- Articolo 11 ter (Aggiunto) “La Commissione, in collaborazione con gli Stati cazioni del fabbricante; ii)le sostanze β-agoniste, sotto forma di un'inie- membri, organizza una campagna di informazione per l'induzione della tocolisi nelle vacche al zione e sensibilizzazione sul divieto totale dell’uso momento del parto. di estradiolo-17β negli animali produttori di aliALMANACCO 2019

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menti, destinata agli agricoltori e alle organizzazioni veterinarie nell’Unione europea nonché alle organizzazioni pertinenti al di fuori dell’Unione europea che partecipano direttamente o indirettamente all’esportazione verso l’Unione europea di alimenti di origine animale che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva.” Per concludere, è notizia del 15/07/2019, dunque recente, che “l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America firmeranno fra breve un accordo di revisione del funzionamento di un accordo commerciale esistente che garantisce un contingente tariffario autonomo per le importazioni di carni bovine di alta qualità nell’UE. Grazie al nuovo accordo, il contingente esistente resterà invariato, ma del contingente tariffario totale di 45000 tonnellate, 35000 tonnellate saranno riservate agli Stati Uniti e introdotte gradualmente su un periodo di sette anni. Il contingente tariffario continuerà a coprire soltanto prodotti conformi alle rigorose norme dell'UE in materia di sicurezza degli alimenti e di sanità.” Per farla breve, aumenteranno le quote di carni importate dall’estero, ma le carni di animali trattati con ormoni non varcheranno mai i confini del nostro Paese.

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CARNI "SENZA ANTIBIOTICI”

Altra baggianata immane a cui molti danno retta per farsi spillare quattrini: la carne "senza antibiotici". C'è una confusione assurda sul significato della denominazione "privo di antibiotici”. Facciamo quindi un passo indietro e rammentiamo una cosa per chi forse non la sa. Gli antibiotici, negli allevamenti bovini, sono usati per trattare e prevenire le malattie: e questo accade in tutti i Paesi del mondo, Italia compresa. C'è da dire però che in alcuni di questi Paesi, ad esempio gli Stati Uniti, gli antibiotici vengono usati -in totale legalità- per promuovere la crescita. Il punto focale è: che si tratti di un animale da curare, o di un animale trattato con antibiotici nella fase di accrescimento -e ribadisco che avviene solo nei Paesi in cui è consentito- tutti gli allevamenti devono rispettare rigorosi periodi di sospensione successivi alla fase di somministrazione. Questo per garantire che i residui di medicinali vengano naturalmente smaltiti dall’organismo. Quindi, alla luce di ciò, tutte le carni sono sempre e comunque "prive di antibiotici". Se ho usato un antibiotico su un bovino, ho atteso il tempo necessario e faccio delle analisi, la carne di quello specifico capo trattato sì col farmaco, sarà comunque "privo di antibiotico”. Perché dovreste pagare un'etichetta per qualcosa che è scontato per legge, allora? Sono d'accordo con voi, alcuni allevatori disonesti potrebbero voler adoperare l'antibiotico per agevolare l’accrescimento dell'animale. Resta il fatto che è severamente proibito in Europa allevare o importare carni trattate in questo modo. Vale per le importazioni e vale per gli allevamenti. E in ogni caso, dopo il giusto periodo di smaltimento biologico, le tracce di antibiotico non sarebbero in ogni caso rilevabili. Ora arriviamo al punto che mi interessa: ALMANACCO 2019

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LA CARNE DEL MEGASTORE DA DOVE ARRIVA? Arriva da allevamenti selezionati con maniacalità, Ma questo perché è proibito dalla legge. dove il livello di pulizia e benessere animale è portato Lo capite che potrei inscenare una pantomima per alla frenesia. farvi pagare un sovrapprezzo? E invece no, sto qui a spiegarvi come funziona la faccenda e vi dico la verità. E li scelgo personalmente. E se trovate carne in giro che non è nel Megastore c'è Sulla questione antibiotici c'è poco da battagliare. un motivo. Soprattutto se costa meno. Io qui ci metto Chi li usa, per qualunque motivo, attende il tempo fisiologico di smaltimento cellulare e poi vi benedice la faccia, non a caso si chiama GLC Top Selection. con l’adesivo "senza antibiotici". Vi raddoppia il prezDomani, anzi oggi, potrei inventarmi un certificato zo e vi truffa. finto, dove m'impegno a garantire che la carne non Io invece mi rifornisco da allevamenti che limitano contiene ormoni e antibiotici. al minimo le infezioni batteriche e, nel caso ci siano, Posso farlo. Mi basta un bollino farlocco. Voi invece invece di infettare migliaia di capi e mandare in fallidovreste commissionare delle analisi sulla carne per mento tutta l'azienda, li isolano, li curano, evitano il dimostrare che mi sbaglio. E indovinate un po'? Non contagio e poi li reinseriscono nel circuito. potreste comprovare che il mio prodotto è “pericoloso” perché vi garantisco che non avrebbe traccia né di Riusciranno mai a comprendere che è impossibile non curare un capo infetto con antibiotico, perché steroidi né di antibiotici. si rischia di contagiare tutti capi e mandare a zampe

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all’aria l’intero allevamento? In ogni caso, quelli trattati dalle aziende che scelgo in prima persona sono una quantità minima, quei bovini vivono nel benessere più assoluto. Quand’è che la gente prenderà atto che risparmiare sulla carne vuol dire mangiare prodotti di dubbia provenienza? GLC Top Selection e Megastore vogliono dire questo: la carne migliore del mondo, dai migliori allevamenti,“senza ormoni”, "senza antibiotici”. La prova dell’onestà, in fin dei conti, è ciò che fai quando nessuno ti sta guardando. Gianfranco Lo Cascio

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INDICE OT TO B R E 2 0 1 9 - N U M E RO 1 0 A N N O 1

RUBRICHE

2 4 2 . N I C E T O M E AT Y O U

THE MEAT HOOK

come si racconta oggi il mestiere del macellaio 250. WINE CLASS

Posso diventare un esperto? è ora di sfatare quelche mito (quasi) eterno

2 5 6 . I L B B Q P E R P R I N C I PA N T I

grigliata bagnata

cosa fare quando il tempo volta al peggio

SPECIALE

WURSTEL

258. dalla germania con sapore come nasce il salsicciotto più famoso al mondo

262. crauti affumicati 264. la guida al perfetto hot dog carne, salse, ingredienti e il pane giusto

il menù di

AU T U N N O

270. risotto filante con radicchio 274. fungo farcito grigliato 276. involtini spinaci e zola 278. TRI TIP RIPIENO d'autunno 280. aspic con uva e prosecco 282. una zucca, due ricette gnocchi di zucca bruciata, torta rustica zucca, patate e feta

288. VINI ABBINATI 290. BIRRE CONSIGLIATE 292. IL COCKTAIL DEL MESE

APPROFONDIMENTI 294. GUIDA AI DISPOSITIVI

BULLET SMOKER

lo smoker per non sbagliare un colpo

299. THE CHEMICAL GRILLERS

marinature estreme l'ultimo appassionante capitolo

308.

SEGUO

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NICE TO MEAT YOU - INTERVISTA a cura di ANDREA SPAGGIARI

la voglia di raccontare a tutti

C O M E S I FA questO M E S T I E R E

La nuova generazione di macellai non nasconde i propri segreti nel retrobottega, tra libri di marketing e attrezzi ultratecnologici. Al contrario, fa di tutto per metterli in bella mostra. In questo caso, nella vetrina della Grande Mela. 242 - BBQ4All MAGAZINE


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Per chi visita New York ci sono alcune mete gastronomiche obbligate, specialmente quando si è dei buongustai, o “foodies” come dicono gli americani: “Katz” per il leggendario pastrami, una steak-house nel meatpacking district per una New-York strip a regola d’arte e almeno un hot-dog dai carrellini che si trovano a ogni angolo delle strade di Manhattan. Più difficilmente ci si ritroverà a visitare una macelleria, anche se in alcuni casi potrebbe valerne la pena. E credeteci, The Meat Hook è una di quelle. Da fuori si direbbe di essere al cospetto del classico negozio di alimentari dalle influenze hipster come tanti altri: articoli quasi esclusivamente bio e a chilometro zero, frutta e verdura disposta con cura, birra artigianale di tutti i tipi e un banco della carne ben fornito. Quindi dov’è la differenza tra The 244 - BBQ4All MAGAZINE

Meat Hook e un “Whole Food” qualsiasi? Tutto sta nella voglia di spiegare alle persone come si fa questo mestiere responsabilmente, e a raccontarlo in tutti i modi possibili. Si parte dalla filiera corta: tre fattorie situate nello stato di New York allevano animali che crescono all’aperto, liberi di pascolare. I bovini sono alimentati ad erba per tutta la durata della loro vita - inclusi gli ultimi mesi che gli esperti definiscono di “finissaggio” - così come i suini, gli ovini e il pollame vengono nutriti con prodotti rigorosamente naturali. Il parametro chiave, sottolineano i proprietari, è proprio la terra, o più precisamente il fatto che venga coltivata con tecniche di agricoltura biodinamica: se siamo quel che mangiamo, tutto parte da lì. Perché questo sia possibile, occorre che tutta

la filiera sia orientata a sostenere processi che sono incompatibili con le economie di scala e l’ottimizzazione finanziaria tipici dei grandissimi allevamenti intensivi. In soldoni, è proprio il caso di dirlo, questo si traduce nel riconoscere agli allevatori un’equa porzione del prezzo finale della carne: circa la metà, dicono Ben e Brent, operazione possibile solo quando non ci sono intermediari e distributori di mezzo. Ma è una volta che il prodotto di qualità è pronto per essere venduto che comincia il bello, perché come è facilmente intuibile la battaglia non si può, e non si deve, giocare sul prezzo. Se cercate le offerte, rassicura Ben, non serve andare lontano: basta letteralmente attraversare la strada e trovare la bottega di un “vecchio” macellaio, capace di proporvi il macinato a 0,99$ e


le fettine a 1,99$. Fate presto però, perché potrebbe non essere ancora lì per molto: i consumatori stanno cambiando più velocemente dei commercianti e la parte più dura del lavoro non si svolge dietro al bancone.

un maiale intero? Basta iscriversi ai corsi organizzati regolarmente e partecipare alle sessioni di macelleria tenute dai membri del team. A proposito, lo sapete che uno dei loro macellai più bravi è donna? Se invece non avete la fortuna di abitare oltreoceano e dovete accontentarvi di Youtube, sarete comunque serviti perché Ben e Brent son diventati delle piccole celebrità grazie alle serie Prime Time sul canale Eater. Nel corso delle puntate si sono divertiti, tra le altre cose, a mostrare curiosità di ogni genere e a compiere i test più assurdi confermandosi veri “meat geeks”, ovvero “smanettoni della carne”. E ovviamente sono degli appassionati griller.

The Meat Hook si definisce un “whole animal butcher”, ovvero compra animali interi e si pone come obiettivo quello di valorizzare al massimo ogni singolo taglio, filosofia che richiede capacità e inventiva. Le preparazioni si fanno in un laboratorio a vista non solo per fare scena ma soprattutto per mostrare che in una mezzena non esistono solo costate e diaframmi sì, la skirt steak è uno dei pezzi più richiesti negli states - e invogliare i clienti a essere curiosi e scoprire Se questo non bastasse per farvi tagli diversi dai soliti. capire quanto i ragazzi di The Meat Hook siano diversi dal macellaio di La divulgazione non finisce qui: quartiere che non ha ancora capito curiosi di sapere come si seziona come tagliarvi un brisket, chiedia-

mo a Ben Turley di raccontarci un po’ più nel dettaglio la loro attività e la loro visione del mestiere. D: Parliamo subito di affari. The Meat Hook è tante cose insieme, ma prima di tutto è una macelleria. Voi, definendo la vostra missione aziendale, mettete molta enfasi sulla carne di qualità e la sostenibilità finanziaria per gli agricoltori. Sono argomenti che i clienti capiscono e sui quali si interrogano? R: Dobbiamo far subito un distinguo. Molte persone sono solo interessate ad acquistare carne della massima qualità possibile; altri clienti, e sono un numero sempre crescente pur essendo ancora la minoranza, sono interessati anche al rispetto di un equo trattamento finanziario dei nostri agricoltori. Questi consumatori, almeno all’inizio, sono spesso scettici e mettono in discussione, come è logico,

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questa operazione una priorità, arriverà un momento in cui non avrai più nessuno che entra in negozio. È davvero tutto qui.

le nostre affermazioni. Faticano a credere che gli animali siano grassfed e grass-finished (grass-finished è un capo che ha mangiato sempre e solo erba, mentre il capo grass-fed nel corso della sua vita ha mangiato anche insilati. NdR) e ci chiedono come possiamo essere sicuri che gli animali siano felici nel corso della loro esistenza. Lasciatemelo dire, questi sono i clienti che preferisco: quelli che non credono a tutto quello che leggono e che vogliono valutare la nostra bravura sulla base di prove concrete. È con loro che è un piacere tirar fuori il mio telefono e mostrare le foto di quando visitiamo le fattorie e vediamo gli animali pascolare. Vedete, chi viene “solo” per la qualità dà in qualche modo per scontato che

facciamo le cose per bene, ma non fa molte domande; chi invece davvero tiene all’aspetto etico si informa e rispetta molto il fatto che ci prendiamo cura degli agricoltori. D: Vi abbiamo definito “la nuova generazione di macellai”. In cosa siete differenti da quelli vecchio stile? R: Noi siamo prima di tutto una macelleria, e non ci sottraiamo al confronto diretto visto che letteralmente dall’altro lato della strada c’è uno di quei negozi che si possono definire “vecchio stile” e che basa il suo business sul proporre prezzi scontati ogni giorno. Noi siamo diversi. Per noi tutto ruota intorno al prendersi cura dei clienti. Se hai un’attività e non rendi

D: Non solo spiegate in dettaglio come funziona la vostra filiera, ma organizzate addirittura corsi di macelleria. È corretto dire che educare i vostri clienti è una parte molto importante della vostra “value proposition”(proposta di valore n.d.r.) ? È questa la chiave per differenziarvi dalla massa? R: L’esempio delle classi è davvero centrato. Parlare con i consumatori è importante, ma pensiamo che il modo migliore per interagire con loro sia mostrare come facciamo le cose e stimolarli tramite l’apprendimento. In queste sessioni prendiamo per esempio un mezzo maiale, oppure un grosso pezzo di manzo, mostriamo come bisogna lavorarlo, parliamo della sua provenienza e delle sue caratteristiche. Non ci limitiamo a dire che è buono, spieghiamo soprattutto il perché. E molto spesso cuciniamo e facciamo degustare la carne con cui abbiamo lavorato. Puoi parlare finché vuoi, ma quando fai provare il risultato cambia tutto. È importante educare le persone a non limitarsi solo ad ascoltare, bensì ad affidarsi ai propri sensi: vista, odorato, gusto, persino l’udito deve essere coinvolto. Durante queste sessioni ci vengono poste tantissime domande e cerchiamo davvero di rispondere a tutti, e se non sappiamo la risposta, beh, lo ammettiamo e ci riproponiamo di approfondire. È anche per noi un’occasione per continuare ad imparare! D: Nella serie Prime Time su Youtube avete dimostrato di essere dei veri e propri “smanettoni” della carne. Qual è la scoperta

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trare persone che abbiano questo tipo di dedizione nel lavoro che fanno e che spendano così tanto tempo nell’affinare tecniche volte a ottenere risultati straordinari. Quando ci sono queste eccellenze, merita davvero uscire e andare a provare il risultato del loro lavoro, fosse anche solo per imparare a guardare le cose con un’altra prospettiva. Sperimentate e studiate, ne vale la pena.

più interessante che avete fatto? R: La sorpresa più grande, per me, è stata quando abbiamo girato l’episodio sul tema degli spiedini Yakitori con lo chef Atsushi Kono. In quell’occasione ci ha preparato 13 diversi tipi di spiedini di pollo, lavorando ogni zona anatomica del volatile in un modo diverso. Avrò mangiato, senza esagerare, quella stessa razza di pollo almeno duecento volte in vita mia, ma il modo in cui lo ha preparato e cotto lo ha reso il migliore mai provato. È stato davvero una rivelazione: stessa materia prima, stesso dispositivo di cottura, ma la tecnica di preparazione ha restituito un risultato

mai provato. L’insegnamento è che non si finisce davvero mai di imparare. Non esiste IL modo migliore di preparare una pietanza: c’è sempre almeno un modo alternativo che merita di essere capito e imparato. D: Nel corso della serie avete incontrato personaggi della ristorazione newyorkese più o meno famosi, e a volte decisamente insoliti. Il filo conduttore è stata spesso la sperimentazione e i risultati che porta. È davvero così importante confrontarsi sull’innovazione nel vostro mestiere? R: Sì, ed è davvero difficile incon-

D: Tra le altre cose siete degli esperti griller, quindi vorremmo avere un vostro parere. Nella nostra community è sempre più evidente la spaccatura tra chi fa uso massiccio di tecniche e attrezzature da cucina e i puristi del solo carbone e kettle. Chi ha ragione? R: Io sono un purista, per cuocere uso solo sale e calore. Vi spiego perché: il mio mestiere è lavorare a stretto contatto con gli allevatori e voglio sbarazzarmi di tutte quelle variabili che potrebbero “alterare” la percezione del lavoro che hanno fatto sugli animali. Voglio valutare senza filtri il risultato di un processo così lungo, sicché persino quando cucino a casa – che sia una

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bistecca o un qualsiasi altro taglio - uso solo sale e fuoco. Non uso altri condimenti né tantomeno salse perché voglio sentire in purezza il sapore della carne e dare ai miei clienti la valutazione più attendibile relativamente al prodotto che stanno acquistando. Detto questo, apprezzo tutte le prodezze rese possibili dalla tecnologia, solo non sono per me. E beninteso, se il loro utilizzo soddisfa chi sta cucinando, mi sta più che bene. Io ho maturato l’idea che si possa passare una vita intera a imparare come cuocere la carne usando solo il sale e il calore: possono volerci anni per imparare a usare correttamente il forno, per sperimentare diversi tipi di carbone e di legna… Per quanto mi riguarda, ho deciso di concentrarmi sulle basi. D: Parliamo di dry-aging, processo che sta guadagnando enormemente in popolarità in Europa negli ultimi anni. È davvero la formula magica per ottenere il massimo da un taglio bovino o ci sono altri aspetti da tenere in considerazione? R: Credo che questo processo possa fare la differenza per alcuni tagli, mentre per altri non sia necessario. E come sempre accade, il rischio viene dall’abuso. Molti tagli come il Merlot o la Chuckeye steak rendono meglio quando la materia prima non è stata sottoposta al dry-aging, sono spesso ottimi cosi. Spostandosi verso la parte centrale dell’animale credo si possano ottenere buoni risultati facendo maturare le ribs e le costate, ma non mi piace comunque spingermi oltre le 4/6 settimane. A partire dalle quattro settimane si comincia a percepire l’alterazione della texture ad opera degli aminoacidi, la disidratazione comincia ad essere significativa e la conse248 - BBQ4All MAGAZINE

più virtuose? R: Il parametro più importante è l’agricoltura rigenerativa, un aspetto che è difficile da trovare e che, da consumatori, dovremmo decisamente richiedere molto più spesso. Il principio alla base è di considerare la salute del suolo la priorità assoluta, cosicché il sottoprodotto – gli animali che vi vengono allevati – possa uscire della miglior qualità possibile. Si tratta di spostare il focus: l’obiettivo principale non è di “produrre” più animali possibili, ma di fare in modo che la terra possa massimizzare l’assorbimento del carbonio organico (invertendo quindi la tendenza dell’accumulo in atmosfera sotto forma di CO2) che verrà restituito sotto forma di nutrienti alle coltivazioni. La gestione del bestiame gioca un ruolo fondamentale nella ricerca di questo delicato equilibrio: è fondamentale, come già detto, che l’agricoltore non abbia come fine ultimo di massimizzare la produzione di carne bensì la ricchezza e longevità del terreno. È importante che i consumatori agiscano quindi coerentemente: senza un’adeguata richiesta del mercato è difficile che un agricoltore scelga spontaneamente di andare verso l’agricoltura rigenerativa, dai rendimenti più bassi e di conseguenza meno redditizia. Arrivare a questo risultato richiede il tempo di educare e rendere consapevoli sempre più consumatori, ma intanto un buon punto di partenza è privilegiare gli animali alimentati D: Etica e sostenibilità sono va- a foraggio (grass-fed e grass-finilori importanti in ogni attività, shed). E se trovate un macellaio ma sembrano essere più impor- che vi propone animali allevati in tanti che mai nei mestieri legati questo modo, chiedetegli di moal cibo e al consumo di carne in strarvi le foto di esemplari lasciati particolare. Da consumatori at- liberi al pascolo: se è fiero di queltenti quali cerchiamo di essere, a lo che vende, sarà ben contento di quali parametri dobbiamo guar- rispondere a questa e tutte le altre dare per identificare le aziende domande che potrete avere. guenza è una concentrazione del sapore - gli americani amano dire che l’aroma diventa più “beefy” (letteralmente “manzoso”) - senza però l’effetto collaterale della presenza di sentori estranei che si manifestano quando ci si spinge su maturazioni più estreme. Quindi cuocendo la bistecca in purezza, se la carne ha subito quattro settimane di maturazione a secco, sentiremo ancora esattamente il sapore originale, solo un po’ più concentrato. Se invece cucinassimo una bistecca maturata per il doppio del tempo percepiremmo distintamente aromi più particolari, tipici del processo stesso, cosa che io personalmente cerco di evitare anche se, ovviamente, molto dipende dai gusti individuali. Va considerato inoltre che alcune razze non richiedono assolutamente la maturazione mentre per altre – specialmente se alimentate a cereali – questo processo può fare la differenza. Personalmente ritengo che il dry-aging sia l’ultimo di una lunga serie di fattori da tenere in considerazione nella ricerca della bistecca perfetta: vengono prima la zona dove è cresciuto l’esemplare, l’alimentazione, la razza, l’età. Quando abbiamo scoperto la combinazione di parametri che meglio corrisponde ai nostri gusti, possiamo provare il dry-aging e decidere se conferisce, oppure no, qualcosa in più alla nostra bistecca preferita. Ma il processo da solo non garantisce il risultato cercato.


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WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI

Posso diventare un

esperto di Vino

LEGGENDO UNA RUBRIC A ? è ora di sfatare qualche mito (quasi) eterno Caro lettore del Magazine, è ora di svelarti un piccolo segreto. Wine Class nasce con un intento molto audace: instillare una (più o meno) sana e (molto) consapevole libidine alcolica in te che stai leggendo animato dal sacro fuoco delle braci. Hai tra le mani queste pagine perché con BBQ4All trovi l’approfondimento che mancava sulla carne cotta come si deve e questo rimarrà sempre il cuore della trattazione.

nozioni necessarie per scegliere al meglio in tutte le occasioni, apprezzare consapevolmente, spendere il giusto e non farsi abbindolare da chi smarchetta vini in ogni dove.

Questo significa che anche tu vuoi diventare a tutti i costi un esperto di vino? Non necessariamente. E per fortuna, aggiungerei, perché gli espertoni non sono poi così divertenti. Prima di approfondire l’argomenFin da subito, però, ci siamo resi conto che saper to, però (non temere, il prossimo mese avremo già le maneggiare carnazze e fiamme è bene ma allietare i idee più chiare sulla tecnica della degustazione con tempi di cottura e i morsi di ciccia con vini e birre che alcune nozioni assolutamente fondamentali), sarà fanno ululare di piacere è meglio. Basta bottiglie pe- il caso di chiarire un attimo i termini della questione scate a caso e tracannate distrattamente. Basta acqui- per un motivo molto semplice. sti dell’ultima ora e senza criterio al supermercato. Il fine è nobile e l’imperativo categorico: dotarsi delle Frequento gli enostrippati da un tempo sufficiente 250 - BBQ4All MAGAZINE


per dire che chi si atteggia ad esperto di vino è troppo spesso una persona insicura, confusa, a volte pedante, noiosa e boriosa quando non proprio insopportabile. Sto ancora cercando di capire perché la cosa sia così frequente ma non sono ancora arrivato a una conclusione. Ci sono tante belle eccezioni ma le considero tali perché, quando si parla di bottiglie, annate, zone, etichette e aziende, impera sovrano il celolunghismo, cioè quell’insopprimibile desiderio di saperne più degli altri, sfoggiando una conoscenza che magari, in quel momento, non interessa a nessuno. Conosco pochi, veri, grandi esperti - gente che ha assaggiato il meglio del meglio, magari assistita da una memoria di ferro – e per fortuna sanno godersi la saggezza con un bicchiere davanti senza dover annoiare gli altri, anzi magari aiutandoli a capire un vino, inclusivi e non

esclusivi. Dote rara! Gente che beve per godere e non gode nel bere solo per tediare gli altri. Definiamo allora il raggio d’azione. Chi è dunque l’esperto di vino? Anzitutto, sgombriamo un po’ il campo da tanti luoghi comuni dicendo cosa non è. Circolano troppi falsi miti sul tema, credenze fallaci quando non vere e proprie leggende. Anzitutto, l’esperto di vino non è un individuo dotato di superpoteri gusto-olfattivi, fiuto da segugio e palato da mezzofondista dell’analisi sensoriale. Degustatori non si nasce ma si diventa: un naso e una bocca funzionanti, studio meticoloso e tanto allenamento sono quel che serve per approfondire la materia. I profumi li sentiamo tutti, poi magari non li riconosciamo ma quello è un altro discorso e lo sappiamo bene. Ovvio, come in tutte le cose, se a quattro ALMANACCO 2019

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anni ti mettono una racchetta in mano o un pallone tra i piedi ci saranno più probabilità che diventi un campione sportivo invece che un musicista e lo stesso vale col vino. Secondariamente, l’esperto di vini non è quello che dimostra di conoscere tutte le annate di tutte le etichette di tutte le denominazioni di tutto il mondo: l’esperienza conta, è ovvio, ma non basta di per sé anzi talvolta può fare strani scherzi. Non ci credete? È proprio così. L’iperspecializzazione, cioè approfondire verticalmente una zona o una tipologia, talvolta porta con sé una perdita dello sguardo d’insieme. Essere esperti di Barolo aiuta poco a capire i Lambruschi; alcuni grandi conoscitori di Champagne vanno nel pallone coi vini senza bolle così come conoscere a menadito tutti i grand cru di Chablis è poco utile per distinguere il Primitivo di Gioia del Colle dal Primitivo di Manduria (impresa titanica anche per Goldrake). Intendiamoci, la tecnica d’assaggio è la stessa ma le sensibilità specifiche sono diverse. Essere esperto di musica classica è relativamente utile per apprezzare i Sepultura e un diploma di canto aiuta relativamente per apprezzare fino in fondo un assolo di Stevie Ray Vaughan: avere in mente un canone (tipo: vino rosso tannico importante da lungo invecchiamento) rende ostico l’approccio ad un genere differente (tipo: vino rosso leggero frizzante sbarazzino da consumare giovane). C’è del bello in entrambi ma in maniere diverse quindi avanti tutta e mente aperta!

Luca Gardini è un talento purissimo della degustazione

chissenefrega. Si vive benissimo e si gode come ricci anche senza migliaia di bottiglie stivate. L’accumulazione seriale di etichette è un grande classico ma devo farvi una confessione: a me le cantine strapiene di bottiglie mettono solo ansia. Godo a vedere certe etichette e vorrei subito stapparle ma mi fanno una Altro nodo: non avete una cantina fornitissima? Ma- specie di “effetto piscina”: bellissima purché a casa d’altri. Ho amici che comprano una quantità doppia o tripla rispetto alle bottiglie che riescono a bere: beati i figli, io preferisco avere poco e bere tutto.

Maurizio Paparello, sommelier da Roscioli a Roma e uno dei più grandi esperti di vino in Italia

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C’è poi un ultimo misunderstanding riguardo gli esperti di vino: il riconoscimento delle bottiglie alla cieca. Pratica eccitante e sopravvalutata: ti versano un vino senza dire cosa è e tu lo indovini diventando l’eroe del tavolo: magari centrando denominazione, produttore e anche l’annata, en plein. Il re indiscusso della categoria – con veri numeri da circo – si chiama Luca Gardini ed è un ex campione del mondo dei sommelier, comunicatore e di-


vulgatore. La sua capacità di capire la bottiglia partendo dal bicchiere in condizioni di assaggio precarie, è ormai leggendaria nell’ambiente. L’abilità nel riconoscere vitigni, zone e annate è anche una delle attitudini più allenate dai Master of Wine (riconoscimento conferito da un Istituto inglese senza pari in termini di autorevolezza: i MW sono poche centinaia in tutto il mondo e tra loro non ci sono italiani) ed è un gran talento figlio di allenamento e intuito ma attenzione: riconoscere un vino non significa capirlo. Vi ricordate Sarabanda, il programma televisivo dove i concorrenti dovevano indovinare il titolo della canzone ascoltandone solo un brevissimo frammento? Ecco, spesso chi ricoHugh Johnson, il wine writer più influente del XX secolo nosce un vino ha quel genere di intuizione mnemonica fulminante… ma non sempre sa dirti se il vino è valido o no! Giudi- definizione più rispettabile ha qualche anno sulle care ha a che fare con l’interpretazione e non col mero spalle ed è senza dubbio quella di André Simon, gourriconoscimento ma ci torneremo con calma. met mitologico, commerciante di vini e prolifico autore francese morto nel 1970 a quasi cento anni. Così La buona notizia è che siamo finalmente arrivati al disse Simon e non fatevi fregare dall’apparente semnocciolo della questione. Chi è l’esperto di vino? La plicità: “[L’esperto di vino è] Uno che sa distinguere i vini buoni da quelli cattivi, e sa apprezzare i diversi meriti dei diversi vini”. Sbambam! La chiosa di Hugh Johnson – nientedimeno che il più enciclopedico wine writer di tutto il XX secolo – è perentoria: “Molti che hanno detto di più hanno parlato troppo”.

Daniele Cernilli, decano dei degustatori di vino in Italia

Calma, niente panico! Adesso scomponiamo insieme la definizione per capirne ogni sfumatura. Primo elemento: l’esperto è un bevitore che ha maturato una propria estetica del vino. Possiede un proprio gusto e gli strumenti per analizzare criticamente una bottiglia. Esempio pratico accaduto di recente: mi versano un vino bianco grasso, opulento, appesantito in fase di vinificazione e per nulla feALMANACCO 2019

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Tre aspiranti Master Sommelier nel film Somm di Jason Wise

dele alla zona fredda da cui proviene. Magari premiatissimo, guarda un po’. Ebbene, lo trovo anacronistico e faticoso, poco invitante e molto dimostrativo: sicuramente non uno dei modelli di riferimento per quella denominazione, che in qualche modo tradisce. Alcuni degustatori erano in disaccordo ma il problema non si pone. Avere un proprio taglio critico è questa cosa qui, né più né meno: portare avanti una visione e saperla argomentare. Il secondo elemento individuato da Simon poi, non meno rilevante, ha più a che fare con la pragmatica. Non tutti i vini vanno bene in tutte le occasioni. Alcuni vini non vanno bene mai ma il mondo è grande e c’è posto per tutti. Altri, una piccola percentuale del vino prodotto nel mondo (nel 2018 sono stati prodotti circa 280 milioni di ettolitri, in Italia sui 48 milioni, poi Francia a 46 e Spagna a 40) hanno talenti diversi, vocazioni diverse. Ripeto: le etichette di cui parliamo e parleremo qui coprono un volume risicatissimo rispetto alla produzione mondiale complessiva, sono quasi trasparenti al cospetto di quantitativi di vino sfuso, brick, bag-in-box e lattine (esatto, esiste anche il vino in lattina e in America è un trend potente: nel 2018 volumi per 50 milioni di $) reperibili ai quattro angoli del pianeta.

regalare né alle serate in cui fare bella figura. La loro vocazione quotidiana, easy, cheap, li rende perfetti con quasi qualsiasi pietanza per 300 giorni l’anno ma se andate da amici meglio bollicine più sofisticate: lo stesso vino, quindi, può essere perfetto in una situazione e totalmente inadeguato nell’altra. Un Amarone della Valpolicella è fortemente sconsigliato per una cenetta veloce da pomodoro e mozzarella ma immaginatelo con un piatto finale di formaggi stagionati e sentite che musica celestiale. Adesso però ripetiamo insieme: “Uno che sa distinguere i vini buoni da quelli cattivi, e sa apprezzare i diversi meriti dei diversi vini”. Questa definizione è pazzesca, l’ho imparata a memoria perché torna utile molto più frequentemente di quanto non immaginiate. Ho conosciuto decine di sommelier diplomati che non hanno mai sviluppato un proprio gusto e ripetono come una cantilena cose dette o scritte da altri. Zero personalità, zero autonomia, sono automi e non lo sanno. Gli stessi che snobbano alcune tipologie di vino, più semplici, e si riempiono la bocca con megaetichette che non hanno mai bevuto: poveri loro, non sanno cosa si perdono e di certo non hanno mai letto Gaetano Salvemini: "La cultura è ciò che resta dopo aver dimenticato tutto ciò che si è studiato". Per il vino calza a pennello. Una grandissima verità!

I miei adoratissimi frizzanti emiliani rifermentati in bottiglia oltre ad essere in minoranza anche nel- Attenzione però. Chi dedica la propria vita a scandala terra d’elezione non vanno bene come oggetto da gliare l’enosfera palmo a palmo merita rispetto perché 254 - BBQ4All MAGAZINE


l’impresa è titanica, monumentale. Non è un caso che in questo momento, nel mondo, ci siano soltanto 249 (!!!) Master Sommelier in ben 40 anni di storia: percorso di studi assolutamente massacrante, un approfondimento vertiginoso. Cercate il docufilm Somm di Jason Wise – bellissimo - e vi renderete appena conto del livello allucinante. In questa rubrica troverete poche regole ferree e tante eccezioni, a partire dalle fondamenta. Abbiamo iniziato parlando di calici da degustazione, strumenti eccezionali che ottimizzano l’assaggio, e l’immagine del sommelier che rotea il bicchiere prima di infilarci il naso è ormai patrimonio comune. Ma noi siamo pronti a tutto e non ci stupiremo se un giorno dovessimo incontrare al bancone Fabrizio Pagliardi, un noto oste romano nonché mio punto di riferimento imprescindibile su qualsiasi bottiglia di Champagne, dalle grandi maison ai piccoli récoltant. Ecco infatti una sua celebre presa di posizione: “Quando bevo per piacere ho il vezzo volontario di impugnare il bicchiere non utilizzando lo stelo ma prendendolo per il vaso. Il motivo è polemico, e più la gente con cui sto a tavola tiene a queste cazzate inutili più lo faccio. Il vino è cultura del vino non cultura di

queste inutili formalità. La cultura del vino è un'altra cosa e se pensi che come impugnare un bicchiere sia importante e criticabile evidentemente non ti appartiene.” Ecco caro lettore di Wine Class, mi dispiace perché questa rubrica non ti aiuterà mai ad essere l’ennesimo solone tronfio e pieno di sé che straparla per fare bella figura risultando insopportabile a tutti, ostentando una conoscenza che magari non possiede. Al contrario, farà qualcosa di molto meglio: ti renderà curioso e vorace come una scimmia di fronte a qualsiasi bottiglia di qualsiasi provenienza, senza preconcetti né manicheismo di sorta. Quel che stiamo già facendo e faremo con sempre maggior intensità su queste pagine va esattamente nella direzione indicata da Pagliardi: cultura del vino sana, accessibile a tutti, tante domande e qualche risposta, un’infinità di bicchieri versati o solo raccontati, insomma la bellezza della conoscenza senza inutili formalismi. Adesso però basta altrimenti bruciate la carne, alla prossima puntata!

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PER INIZIARE - IL BBQ PER I PRINCIPANTI - RUBRICA a cura di MICHELE CHIPA

G R I G L I ATA

BA G N ATA

...grigliata fortunata?

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Via, si parte! Braci accese, proteine animali in marinatura, verdure tagliate, salse pronte, commensali in arrivo. Tutto lascia presagire ad una bella giornata a base di fuoco, fumo e risate. Ma, come tutti noi sappiamo, l’imprevisto è dietro l’angolo. Le previsioni meteo indicavano cielo velato a partire dal primo pomeriggio ma in lontananza si vedono avvicinarsi delle nubi minacciose che ricordano molto da vicino l’uragano Dorian. Nuvoloni neri sempre più neri: grigliata irrimediabilmente rovinata? La risposta è: forse no. Se è solo pioggia quella in arrivo, con i giusti accorgimenti potrete salvarla; è ovvio che in caso di fulmini e vento sarà obbligatorio trovare un riparo. Mi raccomando, però, non sotto ad un albero! Premesso che i commensali andranno messi in salvo dalle intemperie, onde evitare sommosse e ribellioni, la prima cosa che potreste fare è assoldare il più fortunato o il più temerario di loro - c’è sempre l’amico tuttofare super entusiasta che saranno mai due gocce?che vi possa riparare con un ombrello durante le operazioni di cottura. Se la pioggia non è molta, le braci non dovrebbero subire grossi danni. Se il commensale non fosse disponibile o non volesse aiutarvi, d’altronde è venuto per mangiare mica per lavorare o ancor peggio bagnarsi (ricordatevelo al prossimo invito), allora dovrete aguzzare l’ingegno: prendete uno scaletto o un qualsiasi altro appoggio autoportante, incastrateci un ombrello, fissatelo con nastro isolante o nastro adesivo e mettetelo accanto alla griglia; oppure prendete un ombrellone da mare possibilmente impermeabile, fatelo passare dentro il collo della maglia dietro la nuca ed incastrate l’estremità del bastone alla tasca posteriore dei vostri pantaloncini. In stile cappellino giapponese parasole ma di dimensioni più importanti. Ok, ho scherzato, ma l’idea di usare un ombrellone da giardino può essere valida. La terza soluzione è quella di spostate la griglia sotto ad una tettoia: fra le tre, probabilmente è la più facile da effettuare, ma dovrete avere una griglia facilmente

trasportabile e, soprattutto, una tettoia. Se non avete a disposizione un ombrello, un ombrellone o la tettoia, allora le cose si complicano in maniera esponenziale. Dovrete grigliare esposti alle intemperie pensando prima agli alimenti e solo dopo alla vostra salute. Il vero griller non si ammala, o almeno si ammala solo dopo aver finito di grigliare. Se pensate che stia scherzando, vi dico che mi è capitato di dover grigliare alle intemperie e di dover perfino portare su un vassoio le portate riparate da un ombrello, passando da un sentierino in salita che per l’occasione si era trasformato in un fiume di acqua e fango. Cosa mi ha salvato? Stivali di gomma e impermeabile, tutto a 9,90 euro di una nota marca di abbigliamento sportivo. Non mi sono neanche ammalato, a dirla tutta. E se arriva davvero la bufera? Ci saranno quei quarti d’ora in cui scomoderete qualche santo dal paradiso, specie se avrete davanti a voi la faccia divertita dell’amico scettico con l’espressione e anche stavolta le tue famose ribs ce le fai assaggiare la prossima, i figli scocciati, le suocere che scuotono la testa come se fosse colpa vostra (d’altronde è sempre colpa vostra). Penserete a soluzioni bizzarre e in qualche caso forse anche perseguibili dalla Legge. Non potrete fare altro, a un certo punto, che rassegnarvi: se fuori imperversa la bufera c’è un alto rischio che la vostra griglia diventi un perfetto parafulmine, quindi eviterei di grigliare all’aperto in tali condizioni. Non vi resterà dunque che un’unica soluzione: spegnere le braci, riporre tutta l’attrezzatura, mettere gli alimenti al fresco, caricare il bagagliaio della macchina e lasciarla in sosta nel parcheggio del ristorante! ALMANACCO 2019

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SPECIALE HOT DOG - APPROFONDIMENTO a cura di MARIANGELA IBBA

da l l a g e r m a n i a

CON SAPORE

come nasce il salsicciotto

p i ù fam o s o al m o n d o

il

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Wü r s t e l


Al grido di “O’zapft is” (è stappata!), il 21 Settembre avrà inizio a Monaco di Baviera la più grande fiera del mondo: l’Oktoberfest. Nelle tre settimane in cui si svolge (le ultime due di Settembre e la prima di Ottobre), i suoi visitatori vengono completamente avvolti da una briosa atmosfera di festa data dal grande Luna Park, la musica, la birra e il buon cibo, nell’immenso parco pubblico di Theresienwiese. Questa fiera, che arriva ad attirare circa sette milioni di turisti in un’area di quasi 42 ettari, nacque nel 1810 come una semplice corsa di cavalli, organizzata dal banchiere trentino Michele d’Armi, per celebrare il matrimonio del 2 Ottobre tra il principe ereditario Ludovico di Baviera e Teresa di Sassonia (a cui è dedicato lo spazio dove tutt’oggi si svolge la festa). L’evento riscosse un tale successo, tra tutti quelli creati per omaggiare la coppia reale, tanto da decidere di allestirlo anche l’anno successivo. Con il passare del tempo la sua popolarità crebbe a dismisura, perché i suoi organizzatori non si limitarono alla banale ripetizione della manifestazione equestre ma, per attirare sempre più pubblico, ad ogni edizione aggiungevano nuove attrazioni: le piste da bowling, la lotteria; nel 1818 venne installata anche la prima giostra. Tutto questo grande movimento finì per solleticare l’attenzione della dirigenza comunale, che nel 1819 lo regolamentò trasformandolo nella fiera ufficiale della città di Monaco di Baviera. Da quel momento la festa conobbe una crescita esponenziale, le uniche battute di arresto furono dovute ad avvenimenti bellici che coinvolsero la Germania e a due gravi epidemie di colera (1854/1873). A darle un volto molto simile a quello conosciuto oggi, fu l’ introduzione della corrente elettrica, agli inizi del ‘900; infatti, grazie alla luce, il divertimento si prolungò anche nelle ore notturne, facendo crescere di conseguenza il numero degli stand che offrivano specialità gastronomiche, birra, musica e anche le attrazioni del Luna Park. Dopo aver detto tutto ciò, definire l’Oktoberfest la festa della birra (la cui vendita fu concessa solo nel 1880, molto tempo dopo il suo esordio) può risultare limitante, perché non è solo questo. Certamente nelle edizioni moderne la birra ha un gran peso, la cerimonia d’apertura consiste nella spillatura del primo barile ad opera del sindaco, ma partecipare all’Oktoberfest significa soprattutto full immersion negli usi e ALMANACCO 2019

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costumi bavaresi, attraverso i piatti tradzionali, i balli folcloristici, le musiche popolari, mentre si addenta uno squisito Bratwurst con i crauti accompagnato da birra ghiacciata. Il bratwurst è una salsiccia di carne tritata (brat) e mescolata (wurst), noto in tutto il mondo sotto il nome più comune di würstel. Questa preparazione, nata dalla necessità di ideare un nuovo metodo di conservazione della carne del maiale dopo la macellazione, affonda le sue radici nel Basso Medioevo. I primi salsicciotti fecero la loro comparsa sulle tavole di Norimberga nel 1313. Ad attestare l’antichità della preparazione esiste un documento del 1432 redatto a Weimar, dove si imponeva che gli insaccati fossero realizzati solo con carne pura priva di scarti, pena una pesante multa pecuniaria.

di affumicatura, a cui sono sottoposti dopo il processo di insaccatura, a donare loro un carattere intenso e deciso. La conquista deI salsicciotto tedesco non si limitò alla sola Europa, ma nel XVIII secolo ha solcato l’oceano conquistando anche i futuri Stati Uniti, determinando la nascita dello street-food più conosciuto al mondo: l’HotDog. Tutto partì dallo stato del Winsconsin dove si stabilirono i primi immigrati tedeschi portando con sé le proprie tradizioni, tra cui la deliziosa salsiccia che iniziarono a commercializzare.

Nel corso dei secoli, questa autentica prelibatezza si diffuse nel resto del paese e nelle aree che ne subirono la dominazione o l’influenza, (la Svizzera, il Trentino Alto- Adige e l’Austria), dando origine a varie ricette realizzate non solo con la carne di suino, ma anche con quella di vitello e di pollo. Ma la vera differenza tra l’una e l’altra è data soprattutto dalla grana della Inizialmente veniva venmacinatura della materia prima e dalle percentuali di duta senza il classico panispezie utilizzate per insaporire. Basti pensare che del no di forma allungata, cauclassico bratwurst esistono tre versioni, quella di No- sando scottature alle dita rimberga fatta con carne di maiale tritata grossolana- dei clienti, perché veniva mente e condita con un mix di sale, pepe, maggiorana, servita bollente direttazenzero, cardamomo e uno tocco di limone; quella mente dalla piastra su un di Coburgo che, oltre ad aggiungere una piccola per- foglio di carta. La soluziocentuale di vitello all’impasto, dà sapore al tutto con ne fu trovata in Missouri sale, pepe, noce moscata e scorza di limone; e l’ultima dalla signora Anton Feutipica della zona di Kulmbach realizzata con vitello e chwanger, dedita a questo una piccola quantità di maiale, il cui gusto viene esal- commercio, che racchiuse tato da sale, pepe bianco, cumino, aglio, maggiorana e la salsiccia nel pane, incrementando anche gli affascorza di limone. ri del fratello panettiere. Sicuramente l’aggiunta del panino permetteva di mangiarla più agevolmente e di Le varianti di questo insaccato non finiscono certo accompagnarla anche con diverse salse. qui, abbiamo i Weisswurst, di un bel colore bianco, che sono preparati con carne di maiale aromatizzata Le origini del nome sono incerte ed esistono diverse con prezzemolo, limone, cipolla, cardamomo e zen- leggende. Tuttavia, a consacrarlo agli inizi del ‘900 fu zero; abbiamo i Lange Rote, che sono dei bei salsic- la famosa vignetta di Tad Dorgan, che disegnò un basciotti rossi di circa 35 cm realizzati con carne di maiale sotto allungato dentro un panino con la testa e la coda e conditi con spezie varie; infine i Meraner tipici della di fuori. Un’ironia che fu capita da pochissimi, tanto città di Merano, che sono composti da carne di suino che in molti iniziarono a credere che fosse veramene di manzo (in minor quantità) macinata a grana gros- te fatto con carne di cane, costringendo la camera di sa. Il loro irresistibile gusto è dato dalla presenza tra commercio a vietarne il nome; senza molta fortuna, i suoi ingredienti del lardo e da una piccola quota di però, visto che ad oggi continuiamo a chiamarlo così. cotenna di maiale. Tuttavia, è soprattutto il processo Ovviamente la diffusione su larga scala e il conseguen260 - BBQ4All MAGAZINE


te basso costo del prodotto hanno portato in molti casi all’abbassamento della qualità con l’utilizzo non solo di carne scadente ma anche l’aggiunta di nitriti e additivi per migliorarne il gusto. Quindi il mio consiglio è quello di acquistare sempre würstel di categoria superiore, reperibili ormai abbastanza facilmente.

Dopo la storia della nascita di questo delizioso e anche un po’ bistrattato salsicciotto, godetevi la ricetta passo passo per prepararvi l’Hot Dog perfetto, a partire dal pane, fino alla farcitura. E non dimenticatevi dei crauti, che non possono mai mancare. ALMANACCO 2019

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C R A U T I A F F U M I C AT I cavoli a merenda? perché no!

Crauti. Parliamone. Dalla definizione sul vocabolario Treccani leggiamo: prodotto alimentare, ottenuto dalle foglie del cavolo cappuccio, tagliate a listerelle sottili, disposte a strati in fusti di legno, con sale, pepe e aromi, e lasciate fermentare; si mangiano generalmente bolliti, come contorno a carne, specificatamente di maiale, a salsicce e ad altri salumi. Sono detti anche cavoli acidi, e nella Venezia Giulia, dove sono più in uso, cappucci acidi (dialettalmente, capuzi garbi).

Pare sia stato importato dai Mongoli in Europa, durante l’Alto Medioevo. Da lì poi, in Germania soprattutto, ma anche in tutte le nazioni confinanti, sono nate pietanze attorno a questo ingrediente. Ad esempio in Francia. Nel 1870, in seguito alla vittoria della Germania, l’Alsazia e la Lorena tornarono tedesche dopo qualche centinaio d’anni sotto la corona francese. Tuttavia dopo qualche tempo in molti non amarono vivere sotto il Kaiser e decisero di emigrare in Francia, aprendo birrerie dove si servivano piatti tipici della cucina Su una cosa possiamo essere d'ac- alsaziana. cordo: se l’Italia è sinonimo di pizza e mandolino, la Germania è Da lì i crauti sono entrati a far parsinonimo di würstel e crauti, basti te della tradizione culinaria tranpensare che era proprio questo il salpina, tant'è che oggi troviamo termine con cui venivano identifi- servite in molti locali diverse precati i tedeschi durante le due Guer- parazioni con questo ingrediente, re Mondiali. Un piatto che rappre- come la Choucroute garnie: grandi senta un paese intero, ma anche la vassoi di crauti serviti con stinchi storia di un popolo. di maiale e salsicce. 262 - BBQ4All MAGAZINE

In Italia l'uso dei crauti fu introdotto durante la dominazione asburgica. All'inizio furono accolti con molto scetticismo, quasi osteggiati. Poi la povera gente di montagna, di fronte alle difficoltà di reperire le verdure durante l’inverno, si accorse che nella stagione fredda i crauti costituivano un ottimo cibo di sopravvivenza insieme alle carni di maiale. Ma non sono soltanto buoni, sono anche salutari. Le vitamine C, B e K in essi contenute ne fanno un prodotto ottimo dal punto di vista organolettico, grazie anche un basso apporto di calorie. Sono ricchi di calcio, magnesio, folato, ferro, potassio, rame e manganese; oltre a favorire la flora intestinale, migliorano la digestione. Inoltre, dato il loro alto contenuto di luteina e zeaxantina, sono di supporto per il mantenimento della salute oculare.


La modalità di preparazione più conosciuta e più diffusa è quella ottenuta tramite fermentazione: i cavoli cappucci vengono lavati, privati del torsolo e delle foglie esterne, poi affettati finemente e deposti a strati in un alto contenitore, alternati col sale, semi di cumino e bacche di ginepro. In questo modo vengono poi lasciati fermentare per qualche settimana. Noi invece ne faremo una versione in griglia, che servirà a riempire un panino con degli ottimi würstel. La nostra versione sarà realizzata con un cavolo cappuccio affumicato e bruciacchiato che andrà stufato nel nostro dispositivo, con l'aggiunta di un ottimo aceto di mele e di un vino bianco secco. Il tutto speziato con semi di anice e cumino, e con il supporto del favoloso Rub Montreal Steak Seasoning della famiglia BBQ4All.

mollo per mezzora. 2. Sgocciolate a asciugate il cavolo. 3. Impostate il dispositivo con setup a cottura centrale, con temperatura in camera sui 180°C/200°C, inserendo anche un waterpan con un dito di acqua, che utilizzerete in seguito. Affumicate con chips al melo. 4. Dopo mezz’ora, passate il cavolo in diretta per qualche minuto per bruciacchiare la parte esterna. 5. Recuperate il waterpan e mettete in una tazza i liquidi con i semi di cumino, i semi di anice e il Rub BBQ4All Montreal Steak Seasoning, lasciando il tutto in infusione per 5 minuti. 6. Togliete dalla griglia il cavolo e affettatelo a listarelle. 7. Inserite tutto il cavolo in una cocotte , con aceto di mele barricato, il vino bianco e 500ml di acqua speziata, recuperata dal Preparazione: waterpan. Salare e unite due 1. Mondate le prime foglie del cafoglie d’alloro. volo cappuccio. Dividetele in 8. Fate sobbollire per 50 minuti 4 parti e lavatele, lasciandolo a circa nel dispositivo, dopodi-

ché scoperchiate per far evaporare il liquido in eccesso. I vostri crauti al BBQ son pronti. Pronti a godervi una merendina con un bel paninozzo da accompagnare con birra ghiacciata? Auf Wiedersehen. Cosa fare minuto per minuto, per servirli a cena: Ore 18:00: lavate e mondate il cavolo cappuccio. Ore 18:15: accendete il dispositivo e predisporre il setup. Ore 18:30: asciugate il cavolo, mettetelo in cottura e affumicatelo. Ore 19:00: recuperate il waterpan e mettete in infusione le spezie. Ore 19:05: mettete il cavolo in cottura diretta. Ore 19:20: togliete il cavolo cappuccio dalla griglia e affettatelo a listarelle. Ore 19:35: fate cuocere nella cocotte il cavolo a listarelle, con l’aggiunta degli altri ingredienti. Ore 20:30: servite in tavola, caldi.

I N G RED I EN TI

• 800g di cavolo cappuccio • 100ml di vino bianco fermo • 100 ml di aceto di mele • 500ml di acqua • 2 foglie di alloro • ½ cucchiaino di cumino •½ cucchiaino di semi di anice • 1 cucchiaino di Rub BBQ4All Montreal Steak Seasoning • sale q.b.

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SPECIALE HOT DOG - APPROFONDIMENTO a cura di ALESSANDRO TREZZI

La guida completa al perfetto

HOT DOG Il würstel, un insaccato il cui nome deriva proprio da forme dialettali della Germania del sud. Carni bovine, avicole o suine tritate molto finemente insieme a grasso, aromi, additivi e a un’alta percentuale di acqua o ghiaccio, insaccata in un budello e cotta in forni a vapore. Si tratta di un prodotto tipico della Germania, dell’Austria, del Belgio e anche dell’Italia stessa (specialmente nelle regioni del Trentino-Alto Adige e del Friuli-Venezia Giulia), e che purtroppo non ha mai avuto un nomea particolarmente fortunata o rilevante. A onor del vero, il würstel è uno degli insaccati che, per sua stessa natura, si presta maggiormente alle pratiche industriali, ed è quindi molto più diffuso in esemplari di qualità pessima piuttosto che in altrettanti goduriosi e gradevoli. E lasciate che ve lo dica: è un gran peccato.

cia bollita condita con una salsa a base di concentrato di pomodoro, salsa Worcestershire e curry in polvere; 10 anni dopo registrò il marchio della salsa stessa, la Chillup, e passò dal banchetto sulla strada ad un locale vero e proprio sulla Kaiser-Friedrich-Straße. E secondo voi gli Americani, popolo di mangioni inferociti, potevano sottrarsi dal proporre tonnellate di würstel in tutte le salse? Certo che no.

In America (o comunque nei paesi di lingua inglese) l’insaccato servito in un panino farcito condito con salse e verdure viene denominato Hot Dog. Mentre il würstel originale è piccolo e corto, l’Hot Dog è più spesso e allungato, in linea con le esigenze americane, dove tutto DEVE essere più grande. Del resto stiamo parlando di un paese dove ogni anno vengono effettuate sfide aperte a chiunque, dove vinStiamo parlando di uno dei simboli dello street food ce chi, allo scadere del tempo, mangia il numero più popolare, un prodotto accessibile a tutti, e che special- alto di würstel, o dove vengono preparati hot dog lunmente in Germania è possibile trovare lungo le strade ghi 60 metri (è accaduto davvero, il 2 Luglio 2003 a o le vie dei centri storici in caratteristiche bancarelle Chicago). o carrettini, serviti in un panino con salse a volontà. Ne è un esempio il famoso Currywurst, una “salsic- Sull’origine del nome “Hot Dog” (letteralmente “cane cia” grigliata, tagliata a rondelle e condita con una ge- caldo”) vi sono tre differenti versioni. nerosa dose di ketchup e curry in polvere, servita con Chi dice che fu coniato da un venditore fuori da uno pane bianco o patate fritte. stadio nel 1867, che non riuscendo a vendere i suoi Una spettacolare e gustosissima invenzione, una würstel, si inventò la storia che erano salsicce di cane manna dal cielo nei mesi freddi, nata nel 4 Settembre e incrementare così le sue vendite. 1949 quando Herta Heuwer cominciò ad offrire nel Anche la seconda diceria naviga nel mondo dello suo banchetto a Berlino-Charlottenburg, all’angolo sport: all’inizio del XX secolo, quando i New York tra Kantstraße e Kaiser-Friedrich-Straße, una salsic- Giants disputavano le loro partite di football, lo statu264 - BBQ4All MAGAZINE


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nitense Henry M. Stevens pensò di distribuire tra le folle presenti allo stadio i dachshund sausages (salsicce di bassotto); il nome hot dog venne dato a questi panini dal disegnatore di vignette sportive P.A. Dorgan, che raffigurò un panino con dentro un bassotto per chiara similitudine di forma. C’è da ricordare, tuttavia, che “Dog” è una parola in lingua inglese che significa non solo “cane”, ma anche “dente di arresto”,”briglia”, ”grappa”, intesa come la briglia di circa 15 cm usate un tempo dai ferrovieri per bloccare le rotaie alle traversine di legno, e che avevano una forma che ricordava quella dei 266 - BBQ4All MAGAZINE

würstel. In Italia (analogamente a quanto accade con il termine “hamburger”) questa locuzione si usa esclusivamente per intendere la pietanza nel suo complesso, il panino farcito, ma di fatto nei paesi anglosassoni il nome Hot Dog indicherebbe solo la salsiccia. E come si prepara realmente questa salsiccia, da noi tanto volgarizzata quanto bistrattata? La carne C’è chi usa una miscela ben composta di carne di tipo diverso, ma ne banalizza così il prodotto origi-

nale: nonostante il pollo sia un degno sostituto, il vero würstel DEVE ESSERE DI MAIALE. Un mix di carne magra e grassa (solitamente il 20% sul totale); la lavorazione avviene con carne congelata o, più spesso, fresca con aggiunta di ghiaccio, in quanto una materia prima fredda è decisamente più facile da lavorare e più difficile da surriscaldare. A questo composto vengono aggiunti sale, pepe e spezie a discrezione, fra le quali difficilmente manca la senape. La carne dell’hot dog non deve essere tritata troppo grossolanamente, in quanto rischierebbe di rovinare l’esperienza reale che si dovrebbe avere una volta addentata la salsiccia: una pellicina dura al punto giusto, che una volta rotta libera un gusto deciso e caratteristico e una consistenza morbida e cedevole, nella quale i denti riescano a sprofondare senza fatica. E qui le dimensioni contano, come già avevamo accennato. Dimenticatevi i corti würstel tedeschi: un hot dog misura solitamente 18 cm di lunghezza e 4 di circonferenza, la giusta consistenza per riempire il panino. L’impasto viene infilato nei budelli, che possibilmente dovrebbero essere naturali, di maiale o agnello; in questo caso non solo non è necessario spellarli, ma al morso è presente quell’effetto croccante di cui si parlava, indice di qualità. I würstel vengono poi stufati o affumicati, e devono quindi essere solo rigenerati prima del consumo, arrostendoli per esaltarne i profumi, bollendoli per conservare l’umidità o friggendoli per accentuarne la croccantezza. Inutile dirvi che, trattandosi di un prodotto diffuso nell’industria, la carica di additivi è decisamente lunga: nitrati di sodio (inferiori per


legge al 6 per mille) come conservanti, glutammato monosodico come esaltatore di sapidità, addensanti, gelificanti e correttori di acidità come l’acido ascorbico. Un bravo produttore dovrebbe quantomeno dosarne il contenuto con attenzione. Le salse e i condimenti Stiamo parlando di un panino, che come tale si presta a una serie innumerevole di varianti. In genere però, è bene che vengano rispettate alcune regole fondamentali: 1) Tutti gli ingredienti dovrebbero essere racchiusi da uno strato di formaggio fuso alla griglia, in modo da rimanere ancorati alla base senza sfuggire al primo morso. Per il medesimo motivo, i condimenti dovrebbero anche essere infilati il più possibile in profondità; 2) Le salse andrebbero distribuite tra la salsiccia il pane, perché evitiate di inzupparvi il naso ad ogni morso; 3) Il pane deve essere di qualità, e

MAI impregnato dai condimenti, o potreste doverlo ricomporre come un puzzle a metà esperienza. Detto ciò, le farciture in genere ammesse e concesse spaziano dal burro brasato alle cipolle bollite o al vapore, dalla pancetta ai cetrioli, dalla salsa di pomodoro ai peperoncini, senza mai dimenticarsi degli immancabili crauti (sposi perfetti per un würstel come si deve), della senape e del ketchup. Fate affidamento alla vostra inventiva, sebbene il consiglio più pratico sarebbe quello di non usarne più di due o tre alla volta, per non rovinare l’equilibrio e il bilanciamento dell’insieme. Severamente vietate, nella tradizione, sono cipolle fritte, carne trita, chorizo, maionese (esatto, vietata), panna acida, uovo, patatine, olive, chutney di mango, salsa barbecue, mais, peperoni, funghi, guacamole, mozzarella, cipolla cruda e pomodoro fresco. L’Hot Dog, per gli americani, è una cosa seria.

Fategli trovare un würstel con mango, mais e guacamole e sarà come presentare ad un italiano una fumante pizza con ananas e pollo. Il pane E veniamo al sacro contenitore di questa goduriosa salsiccia arrosto. Mentre in Austria si utilizzano mezze baguette tagliate dalla punta e leggermente scavate, negli Stati Uniti il panino è tagliato sul lato, leggermente grigliato e farcito. Sapete come la penso: il pane non è assolutamente un ingrediente trascurabile. Il suo compito è quello di racchiudere l’intera esperienza gustativa e di mantenerla sullo stesso livello per tutta la sua durata, e vale per l’hot dog, per l’hamburger e per qualsiasi altro sandwich. In America hanno una passione smodata per pan brioches dolciastri, estremamente morbidi ma con una discreta tenuta. Il pane migliore non deve ostacolare il morso, e possedere comunque

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la struttura necessaria a sostenere il peso degli ingredienti; dev’essere profumato ma non invadente, con una buona shelf-life e senza sentori di acidità. Vediamo insieme come realizzarne una splendida versione in casa, vi va? Gli ingredienti L’ingrediente fondamentale di ogni lievitato che si rispetti è la farina, senza ombra di dubbio. Perché il panino risulti leggero, ben sviluppato ed equilibrato nel gusto, la scelta migliore da fare è una tipo 00 o 0 con una forza di 280300 W e un’ottima percentuale di assorbimento minimo, compresa tra il 60 e il 65%. L’assenza di crusca permette di creare una maglia glutinica salda e senza interruzioni, con una risultato più performante ed esente da difetti in fase di lievitazione; tenete inoltre presente che tra gli ingredienti figura una quantità consistente di grassi ed elementi di peso, e una maglia glutinica salda sarà in grado di sostenerne perfettamente il carico, oltre a trattenere i gas della lievitazione e conferire struttura, solidità ma anche morbidezza. Latte e burro rendono l’impasto più estensibile, malleabile e, avvolgendo le bolle di anidride carbonica che si formano durante la lievitazione, le stabilizzano. L’alveolatura diventa così più omogenea e la struttura della mollica molto soffice; tali fattori aumentano notevolmente la shelf-life del prodotto finito. Le proteine dell’uovo hanno invece proprietà schiumogene e coagulanti nell’albume ed emulsionanti nel tuorlo.

LA RICETTA

Ingredienti per 18 panini per Hot 268 - BBQ4All MAGAZINE

N EW YO RK mostarda, crauti, salsa alla cipolla

S E AT T LE

crema di formaggio, rondelle di jalapeño, cavolo salsa sriracha

BA LT IMO RA

T I J UA NA

DO DG E R

DOYE R

bacon avvolto intorno all'hot dog peperoni grigliati, cipolle e jalapeño

MI C H I G A N

hot dog lungo nel panino lungo ketchup, mostarda, cipolle

CO LOMB IA

mortadella fritta intorno all'hot dog fritto mostarda

hot dog lungo nel panino lungo salsa al formaggio nacho rondelle di jalapeño

CO NEY

ragù di manzo, mostarda

ketchup, mostarda, maionese all'aglio, salsa all'ananas, patatine fritte, uovo di quaglia bollito

chili, cipolle affettate, una pila di cheddar finemente tritato

MEMPH IS

CA RO LINA

MO NT RE AL

hot dog avvolto nel bacon, salsa barbecue, scalogno tritato, cheddar tritato

C H I CA G O

panino ai semi di papavero, cetriolini sottaceto, sale aromatizzato al sedano, pomodori, peperoni interi sott'aceto, cipolle tritate, salsa verde, senape

chili, cipolla tritata, coleslaw

DE NV E R

cipolla rossa tritata, salsa chili verde, panna acida, jalapeño

mostarda, cipolla tritata, cavolo affettato in grande quantità

KA NSAS

pane ai semi di sesamo, crauti, formaggio svizzero fuso


Dog: • 1 kg di farina 00 di grano tenero (300 W); • 500 g di latte intero; • 170 g di burro morbido; • 1 uovo e un tuorlo (a temperatura ambiente); • 50 g di zucchero semolato; • 5 g di malto diastasico; • 25 g di sale fino; • 10 g di lievito di birra fresco (4 g se secco). Le fasi previste sono: - Impastamento; - Puntata o prima lievitazione; - Staglio e formatura dei panetti; - Appretto o seconda lievitazione; - Cottura. Impastamento Rovesciate in un recipiente ampio tutta la farina, il 75% del latte, il lievito sbriciolato, il malto diastasico, e dopo averli amalgamati bene aggiungete il latte rimanente poco alla volta, attendendo che sia ben assorbito prima di aggiungerne un’ulteriore quantità. Aggiungete quindi burro e uova (che devono necessariamente essere a temperatura ambiente) e successivamente lo zucchero poco alla volta in quanto, contribuendo ad aumentare in modo sostanziale l’umidità dell’insieme, va amalgamato lentamente per non compromettere la formazione della maglia glutinica. Aggiungete infine il sale (necessariamente lontano dal lievito, o potrebbe inibirne l’azione) e terminate l’impastamento quando l’insieme risulterà liscio, asciutto e setoso e la maglia glutinica si sarà formata. La temperatura interna dovrà essere di almeno 24 °C per permettere a tutti i processi fermentativi e alla maturazione di avere inizio

senza particolari ritardi. Lasciate riposare nella ciotola per circa 15 minuti, poi fate alcune pieghe di rinforzo per stabilizzare il glutine e di conseguenza rafforzare la struttura dell’impasto. Puntata Posizionate il tutto in un recipiente dai bordi alti ben oliato (soprattutto nella parte superiore, per evitare la formazione della pelle) e lasciate a temperatura ambiente per almeno un’ora, per dar modo alla lievitazione di partire; infine mettete in frigorifero per 18-24 ore a una temperatura di 4°C. Staglio Circa 4 ore prima della cottura, togliete dal frigorifero e dividete l’impasto in panetti da 100g l’uno. Schiacciate bene ogni panetto, poi arrotolateli su se stessi fino a formare un salsicciotto di circa 15 cm di lunghezza, uniforme in tutta la superficie. Adagiateli su una teglia con della carta forno; in una classica casalinga da 30x40 ce ne staranno 6, distanziati circa 2 cm gli uni dagli altri. Coprite con un panno umido e lasciate in appretto a una temperatura di 28-30 °C.

glio e farcire il vostro panino con un caldo e succulento würstel. Cottura Stabilizzate la temperatura del vostro forno a 230 °C e cuocete per 10-11 minuti. I panini saranno pronti la temperatura interna, misurabile con un termometro a sonda, sarà di 90 °C, e la mollica completamente asciutta. Raffreddamento, mantenimento e servizio Una volta sfornati lasciateli raffreddare su una griglia rialzata, evitando in tal modo la formazione di condensa che rovinerebbe il duro lavoro svolto finora. Se riposti in frigorifero, in un sacchetto o recipiente a chiusura ermetica, questi panini si conservano perfettamente per 2-3 giorni, ma in caso contrario è sempre meglio congelarli.

Ci siete: praticate un taglio longitudinale senza arrivare fino in fondo, e tostateli interamente in forno a 180- 200 °C per formare una crosticina croccante e saporita. Grigliate il würstel in cottura diretta fino al raggiungimento dei 50 °C interni, piastrate, se volete, una fetta spessa di Cheddar Inglese e preparate i crauti. Appretto Armatevi di un’ottima salsa di seDurante lo staglio, l’impasto viene nape, speziata, piccante e saporita, manipolato e i lieviti ridistribuiti e create un letto dove posizionare uniformemente; l’appretto (o se- la vostra salsiccia. conda lievitazione) consente al semilavorato di svilupparsi al fine di Terminate con i crauti e preparateottenere la sua forma finale. vi a godere come mai prima d’ora. Altre tre ore e mezza a 28-30 °C e i panini saranno pronti per essere infornati. Al termine di questa fase, i salsicciotti saranno arrivati a toccarsi; in cottura la parte di mezzo rimarrà bianca e morbida, e costituirà un ottimo ausilio per effettuare il taALMANACCO 2019

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ARRIVA L'AUTUNNO - RICETTA a cura di MICHELA BONGIORNI

preparate il wok!

RISOT TO FILANTE

con radicchio grigliato Pensi all'autunno e ti viene subito voglia di un primo piatto caldo e burroso, appagante e sfizioso. Qualcosa che riscaldi il cuore e che soddisfi il palato. Non so voi, ma per me il risotto racchiude in pieno tutte queste caratteristiche. Lo dichiaro subito: io l'ho fatto nel wok sul kettle, alla vecchia maniera, ma se lo farete seguendo le regole del risotto scientifico di cui avete letto nell'editoriale di Gianfranco Lo Cascio nel Magazine di Settembre, il salto mortale sulla sedia sarà quadruplo invece che triplo. Tuttavia, vi presento un buon compromesso, soprattutto per voi, irriducibili della griglia, mai spaventati dal freddo e dalla pioggia, voi che non potete rinunciare a fare un po' di cenere anche se avete poco tempo a disposizione e fuori la giornata è uggiosa.

No, non è vero. Ho detto una bugia. L'ingrediente principale è il perfetto equilibrio tra la burrosità e la sapidità dell'insieme dei formaggi utilizzati e il leggero sapore amarognolo del radicchio. Ecco, facciamo una piccola pausa soffermandoci proprio su questo ingrediente. Il radicchio è un tipo di insalata dal colore violaceo-rossastro che appartiene alla famiglie delle Camposite. Il suo gusto tipicamente amaro è dovuto all’acido cicorico di cui è ricco. Si consuma a partire da Ottobre fino alla primavera, anche se ormai si trova sempre nei supermercati, anche fuori stagione. È molto versatile: utilizzato perlopiù a crudo nelle insalate, si adatta ad essere saltato in padella, cotto al forno o, come nel nostro caso, grigliato.

di questo ortaggio è il viola-rossastro, per semplificare. In realtà la tavolozza dei colori ha molte più sfumature, dal rosso carminio, al rosa intenso; inoltre il colore e la forma della foglia fanno in modo che si possa distinguere tra radicchio rosso, variegato e bianco. A seconda di quando viene raccolto, può essere distinto tra precoce e tardivo.

Il sapore amarognolo del radicchio può essere più o meno marcato, dipende dalla varietà. Per un piatto come quello che andremo a cucinare oggi, è sicuramente sconsigliato un radicchio più amaro, come quello di Verona, ed è da preferire una varietà dal sapore più delicato come ad esempio quello di Castelfranco. Sì, quello di Treviso, il re dei radicchi, è sicuramente adatto e infatti noi abbiamo usato proprio questo, andando sul classico. In L'ingrediente principale di que- Esistono molte varietà di radicchi. ogni caso, se vorrete togliere un po' sto risotto è il radicchio grigliato. Prima ho detto che il colore tipico di amaro dal vostro radicchio, vi 270 - BBQ4All MAGAZINE


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basterà tenerlo in ammollo in ab- di ogni piatto qualche cubetto di bondate acqua per qualche ora. Fontina e poi versateci sopra il riso caldissimo: i vostri ospiti avranProcedimento: no una piacevole sorpresa filante 1. Lavate e asciugate bene il ra- quando lo gusteranno. dicchio, poi tagliatelo a metà nel senso della lunghezza e Cosa fare minuto per minuto, se massaggiatelo bene con ab- volete servirlo a pranzo. bondante olio extravergine di Il giorno prima: se non volete usaoliva; re un dado o un brodo granulare, 2. Preparate il kettle per una cot- preparate il brodo vegetale, facentura diretta, disponendo le do bollire in acqua salata sedano, braci al centro. Quando la gri- carota, cipolla, due pomodori e un glia sarà ben calda, grigliate per mazzetto di prezzemolo. qualche minuto il radicchio da Ore 8: mettete il radicchio a mollo entrambe le parti, senza farlo in acqua se volete addolcirlo un pobruciare. Toglietelo, salatelo chino. leggermente e tenetelo da par- Ore 11,30: accendete la ciminiera di te. carbone e preparate il radicchio. 3. Disponete il wok nell'apposito Ore 12: grigliate il radicchio per spazio, con le braci sotto non a qualche minuto. contatto, o appoggiatelo diret- Ore 12,15: scaldate il brodo e scaltamente sulla griglia, facendo date il wok in griglia. un mucchietto un po' più alto Ore 12,25 circa: cominciate a cuodi braci, se non avete nella vo- cere il risotto, bagnandolo di tanto stra griglia lo spazio necessario in tanto col brodo caldo. ad accoglierlo. Ore 12,45 circa: terminate la cot4. Tritate finemente la cipolla e tura del risotto, aggiungendo i forscaldate il brodo vegetale, poi maggi e il radicchio; poi mantecaversate nel wok una noce di telo col parmigiano e il burro. burro e la cipolla tritata. Infine Ore 12,50 circa: servite in tavola. versate il riso e fatelo tostare. Aggiustate di sale e di pepe e continuate la cottura versando il brodo di tanto in tanto; 5. Tagliate a cubetti la Fontina e riducete a pezzetti il Taleggio; affettate il radicchio più o meno finemente, a seconda del vostro gusto; 6. Cinque minuti prima della fine della cottura, aggiungete al riso i formaggi, tenendovi da parte dei cubetti di fontina; subito dopo aggiungete il radicchio, poi il parmigiano, un'altra noce di burro e mantecate terminando la cottura. Il vostro risotto è pronto. Al momento di servire, ponete al centro 272 - BBQ4All MAGAZINE

I N G RED I EN TI PER 4 PERSONE • • • • • • • • • •

400 g di riso Carnaroli 1 radicchio trevigiano 100 g di Taleggio 150 g di Fontina 40 g di Parmigiano grattugiato una cipolla bianca due cucchiai di olio extravergine di oliva burro q.b. un litro di brodo vegetale sale e pepe q.b.


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ARRIVA L'AUTUNNO - RICETTA a cura di EMILIANO NENCIONI

fungi da base per il ripieno?

S ì , FUNGO!

portobello farcito e grigliato Non mi considero un accumulatore seriale, ma ho sicuramente delle difficoltà a gettare via le cose inutili o parzialmente utilizzate. Quando lavoro il legno conservo ogni scarto dalla forma più bizzarra, anche quelli ragionevolmente inservibili, fino a ritrovarmi con metri cubi di materiale superfluo. Se la missione finale del legname è quella di abbandonare con onore questo piano di esistenza contribuendo ad affumicare le mie preparazioni barbecue, come è possibile valorizzare gli scarti ricavati dalla rifilatura e pulizia di grandi pezzi di carne? La trimmatura. È un neologismo, un prestito dall’inglese, che ormai usiamo tutti noi appassionati: trimmiamo un bel brisket, ad esempio, e va a finire che ci troviamo una ciotola piena di un misto di grasso e ottima carne, specie se dobbiamo rifilarlo togliendo interi pezzetti di ciccia buona per farlo entrare in un dispositivo o per dargli una forma ben precisa. Quella è carne che abbiamo pagato a peso, e che non si meriterebbe di trovare la via della pattumiera. La prima scelta in questi casi sono i baked beans: trimmature di costine, trimmature di Boston butt, trimmature di brisket o di beef ribs, va tutto bene per quel bel lussurioso piatto di fagioli. Ma se vo274 - BBQ4All MAGAZINE

lessimo cambiare un po’? Se per una volta avessimo desiderio di un piatto non così grasso, molto meno calorico, ricchissimo di proteine, fibre, acido folico, fosforo, ferro e vitamine B1 e B2?

poc’anzi e poi insaporito con il rub BBQ4All Montreal. Se volete potete chiamarlo piatto di recupero, ma non gli renderebbe giustizia. La chicca in più? Continuate a leggere la ricetta e vedrete.

Risposta scontata: entra in scena il fungo. Non vi proporrò sicuramente un piatto pre-workout da atleti in fase di definizione, no, siamo ben lungi da questo; ma rispetto alla pesantezza dei baked beans che sono abituato a fare, questa sembra una preparazione degna del piano Weight Watchers degli anni ‘80. Funghi, dicevamo: le vitamine e i minerali accennati poco sopra vengono proprio da lì; la reperibilità in questo periodo non dovrebbe rappresentare un problema, tanto più che il fungo che vi chiedo di usare si trova tranquillamente nei supermercati, evitando di dover utilizzare scarponcini, pantaloncini di velluto a coste alla tirolese e cestini di vimini. Il fungo Portobello, che utilizzeremo per questo piatto, è praticamente uno Champignon sotto steroidi, dotato di una calotta che in alcuni casi arriva a 15 centimetri di diametro: Agaricus Bisporus, per i più precisi. Lo farciremo con un prezioso macinato ottenuto dalle trimmature del brisket (ovviamente del BBQ4All Megastore), come dicevo

Procedimento: 1. Predisponete il vostro dispositivo per una cottura indiretta, cercando di stabilizzarlo a 160°C. 2. Tritate le rifilature del brisket con un tritacarne o, se avete tempo, pazienza e dedizione, con un coltello; usate sia la parte magra che il grasso, scartando eventualmente il grasso ossidato o irrancidito. 3. Sminuzzate allo stesso modo anche la mortadella e la salsiccia e unitele alla carne mescolando bene assieme a sale, pepe, rub BBQ4All Montreal, al Parmigiano e ad un uovo intero. 4. Togliete il gambo al fungo, recidendolo con un coltello appena sotto la calotta. 5. Strofinate con un panno la calotta per togliere eventuale terra e sporcizia: io ho reso le cose più sbrigative usando l’aria compressa, i più dotati nel bricolage potranno ricalcare le mie gesta prendendosi però ogni responsabilità in caso di


distruzione del fungo. 6. Inumidite con dell’olio l’interno della calotta (per interno intendo la parte concava con le lamelle), versandovi un pochino di sale, pepe, un po’ di timo e il vostro rub preferito (che è il BBQ4All Montreal, è noto). 7. Prendete una dose adeguata di impasto di carne e coprite tutta la superficie interna del fungo, fino a creare una superficie discretamente concava dello spessore di circa 15mm. 8. Mettete il fungo in cottura indiretta, con la parte convessa (sarebbe quella che non è concava) a contatto della griglia, e l’impasto di carne rivolto verso l’alto. Lasciate in cottura per un’ora circa, o comunque fino al raggiungimento dei 75 gradi

Cosa fare minuto per minuto, se volete servirli a cena. - Ore 16: controllate di avere funghi, mortadella, rub e uova a disposizione - Ore 19: stabilizzate il dispositivo a 160°C - Ore 19.30: iniziate a tritare carne e mortadella - Ore 20: pulite il fungo e unitelo alla polpetta - Ore 20.05: controllate l’effettiva concavità pronunciata della polpetta - Ore 20.10: mettete la pietanza in Potete adesso servire un piatto cottura indiretta altamente proteico e non eccessi- - Ore 21.30: depositate con cautela vamente pesante o severo con le il tuorlo nella famosa concavità vostre coronarie, espiando così i - Ore 21.31: impiattate e servite bagordi col brisket del giorno prima e donando una fine onorevole alle trimmature del suddetto. interni. 9. Negli ultimi secondi di cottura versate solo il tuorlo di un uovo al centro dell’impasto di carne: qui entra in gioco l’importanza della concavità impressa alla polpetta, visto che diversamente vi ritrovereste con il kettle pieno di tuorli fuggiaschi in ogni dove. Il tuorlo dovrà solo scaldarsi e la cottura terminerà non appena inizieranno a formarsi le prime “rughe” su di esso.

IN GREDIEN TI PER 4 PERSONE

• 4 funghi pleurotus grandi, solo le calotte • 300 g di macinato ottenuto dalle trimmature di un brisket del BBQ4All Megastore • 100 g di mortadella • 100 g di salsiccia • 50 g di Parmigiano grattugiato • cinque uova • due cucchiai di rub BBQ4All Montreal • sale q.b. • pepe q.b. • timo q.b.

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ARRIVA SPECIALE L'AUTUNNO HAMBURGER - RICETTA - RICETTA a cura di TOMMASO della REDAZIONE DI GREGORIO

Tenere lontano dalla portata di Braccio di Ferro.

I N VO LT I N I G R I G L I AT I con spinaci e gorgonzola.

Con l’approssimarsi dell’inverno e l’arrivo dei primi freddi la nostra dieta cambia. Le giornate si accorciano, i ritmi lavorativi aumentano, si riprende l’attività sportiva dopo l’ozio estivo. Sopravvissuti alla calura, torna la voglia di accendere i fornelli e di cucinare qualcosa. Dopo avere abusato di piatti freddi come la panzanella, le insalate e le macedonie, è il momento di mangiare qualcosa che di più adatto al clima e ai ritmi di vita intensi. Non è ancora il momento delle zuppe invernali e quindi bisogna trovare una via di mezzo che si sposi bene con una situazione di passaggio come quella autunnale. Le prime verdure che si possono trovare nell'orto in questo periodo sono gli spinaci. Legati indissolubilmente al loro testimonial per eccellenza, Braccio di Ferro (Popeye per i puristi), il marinaio dei cartoni animati e dei fumetti che li divorava per diventare immediatamente forte e imbattibile, gli spinaci sono creduti da molti la più importante fonte di ferro per l'organismo. In realtà, pur essendone ricchi, lo sono comunque meno di altri alimenti, su tutti la carne rossa il cui rapporto è di circa uno a dieci, rispetto agli spinaci. Tuttavia questi ultimi sono certamente ricchi di altre sostanze che fanno molto bene: potassio, magnesio, fosforo, calcio. Inoltre sono buonissimi e versatili, quindi si prestano ad essere usati 276 - BBQ4All MAGAZINE

in cucina in tante preparazioni. Se non si opta per quelli già lavati in busta o per quelli surgelati, la fase di pulitura di questo ortaggio può essere abbastanza noiosa: vanno eliminati i gambi, perché si consumano solo le foglie, che tendono a trattenere la terra e per questo devono essere risciacquate più e più volte. Una volta pronti, gli spinaci possono essere consumati in molti modi: crudi, cotti a vapore, lessati, ripassati in padella, nelle paste fresche, nei ripieni, nelle torte salate, nei risotti e in mille altri modi. Noi, oggi, li bolliremo, poi li ripasseremo in padella e infine li infileremo negli involtini fatti con fettine di lonza di maiale e gorgonzola. Gli involtini poi finiranno in griglia, ovviamente.

zatelo a una temperatura di circa 160 gradi. 5. Disponete su un tagliere una fetta di maiale. Salate e pepate la carne, poi metteteci sopra un cucchiaino di spinaci e una noce di gorgonzola. 6. Avvolgete ora la fettina a formare un involtino e chiudetelo usando uno stuzzicadenti lungo o uno spiedino. 7. Ripetete l’operazione in modo da avere 3 involtini per ogni stuzzicadenti. 8. Se volete potete proteggere le estremità degli stuzzicadenti con un po’ di alluminio per evitare l’effetto bruciato del legno. 9. Ponete gli involtini in cottura indiretta e se volete in questa fase affumicateli. Saranno pronti in circa 30-40 minuti, o comunque quando Appaganti, ricchi di sapori, godu- saranno ben dorati. riosissimi, veloci da preparare: in pratica questi involtini non hanno Cosa fare minuto per minuto, se nessun difetto. Anche Popeye li volete servirli a cena: avrebbe divorati. Tutti. Il giorno prima: pulite e lavate gli spinaci, poi strizzateli bene e diviProcedimento deteli in piccole pallette da tenere 1. Lavate gli spinaci e sbollentateli in frigorifero. in acqua bollente. Ore 18,45: saltate gli spinaci in 2. Scolateli e metteteli in una ter- padella e accendete il kettle rina con acqua e ghiaccio per fer- Ore 19: accendete il wok e premare la cottura. parate gli involtini 3. Fate saltare gli spinaci in padel- Ore 19,30: mettete gli involtini in la, con un po’ d'olio, uno spicchio cottura indiretta d'aglio e il peperoncino. Ore 20,10 circa: togliete gli invol4. Accendente il kettle e settatelo tini dalla griglia e serviteli per una cottura indiretta e stabiliz-


I N G RED I EN TI PER 4 PERSONE

• 12 fettine sottili di lonza di maiale • 1 kg di spinaci in foglia • 300 g di gorgonzola • uno spicchio d'aglio • peperoncino q.b. • Sale q.b. • Pepe q.b. • Olio q.b.

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Il Triangolo no, non l'avevo considerato Lui chi è? È il Tri Tip. Si tratta di un taglio di manzo, di forma appunto triangolare, che si trova sulla parte esterna della coscia, precisamente sotto la noce, subito al disopra della pancetta. Fa parte dei tagli di seconda categoria, ma non per questo è meno gustoso e saporito. La leggenda narra che, nei primi anni cinquanta, il Tri Tip venne così denominato come taglio a sé in una macelleria californiana, la Safeway, a Santa Maria. Quel pezzo di ciccia, che solitamente veniva utilizzato per diventare dei gustosi hamburger, finì sul girarrosto grazie a lampo di genio del responsabile del reparto, Bob Schutz, perché quel giorno la macelleria aveva macinato in esubero non venduto. Inizialmente scettici, i colleghi di Schutz non poterono fare altro che constatare l’incredibile morbidezza del pezzo rubbato con sale, pepe e aglio

in polvere e poi grigliato per circa tele con olio e con una spruzzaun’ora. Gustoso, tenero e saporito tina di vino bianco; inserite le al pari del più pregiato controfiletprugne affettate, l’uvetta ben to, nasceva così uno dei simboli del strizzata e le castagne tritate bbq californiano. grossolanamente e i pinoli. CoSorprendendo i lavoratori intenti a prite la parte superiore del vasmangiarsi con tanta soddisfazione soio con alluminio. quel pezzo di carne, il proprietario 4. Predisponete il dispositivo con chiese loro cosa diavolo fosse. È un un setup per la cottura indiretTri Tip!, risposte Schutz, ispirato ta, con una temperatura in cadalla forma triangolare del taglio. mera di 130° C. Inserite un waConosciuto in Italia come spinaterpan. Affumicate con chips di cino o tasca, è particolarmente melo o ciliegio. adatto ad essere farcito. Ed è esat- 5. Ponete il vassoio di verdure in tamente la cosa che faremo, riemcottura indiretta e lasciatelo pendolo con sapori tutti autunnali. cuocere per venti minuti circa. L’umidità, il fumo aromatico e Procedimento: la copertura con l’alluminio fa1. Lavate e asciugate la scarola. ranno il loro lavoro. 2. Tagliate a pezzetti le prugne 6. Togliete le verdure dalla griglia secche denocciolate. Mettete e tagliatele grossolanamente, in ammollo l’uvetta per dieci affettandole. Inseritele in un minuti in acqua tiepida. Spezrecipiente, e aggiungete il larzettate qualche castagna. do battuto. Conditele con un 3. Disponete su un vassoio per verdure in acciaio, adatto al dispositivo di cottura, le foglie di scarola, sovrapposte a coprire interamente il vassoio. Irrora-

TRI TIP

ripieno di autunno 278 - BBQ4All MAGAZINE


filo d’olio. 7. Aprite il Tri Tip a tasca, effettuando l’incisione nella parte alta e inserite il ripieno. Richiudete con dello spago da cucina. 8. Massaggiate il Tri Tip con un filo di olio e cospargete il pezzo di manzo con il Rub Mild Dry Tennessee; mettetelo adesso in cottura indiretta ad una temperatura di circa 130 gradi: La tasca è pronta quando la temperatura della carne è di 50°C. 9. Nel frattempo, in una casseruola, rosolate bene con un filo d’olio delle castagne e delle prugne intere, sfumandole con mezzo bicchiere di vino dolce. Aggiungete il burro e nappate la frutta. Aggiungete un mestolo di acqua e lasciate cuocere per circa 10 minuti.

10. Cauterizzate la parte esterna spostando il Tri Tip in cottura diretta per qualche minuto , rigirandolo spesso. 11. Quando è pronto, lasciatelo in rest per 10 minuti circa. 12. Scaloppate il Tri Tip e servitelo con castagne e prugne intere. …ma il triangolo io lo rifareeeeei, perché no? Lo rifareiiii! (cit.) Cosa fare minuto per minuto se volete servirlo a pranzo Ore 10.30: lavate la scarola. Preparate gli aromi da inserire nella scarola. Ore 10.45: disponete su un vassoio da griglia la verdura, le castagne, l’uvetta, i pinoli e condite come da ricetta. Ore 11.00: settate il dispositivo per una cottura indiretta.

Ore 11.15: ponete il vassoio di verdure in cottura. Ore 11.35: togliete le verdure dalla griglia, affettatele grossolanamente, aggiungete il lardo battuto e un filo d’olio. Ore 11.45: aprite il Tri Tip a tasca e inserite il ripieno. Richiudete con dello spago da cucina. Ore 11.55: rubbate il Tri Tip con il BBQ4All Rub Mild Dry Tennessee e mettetelo in cottura indiretta sino ad una temperatura della carne di 50°C. Ore 12.05: preparate le castagne e le prugne da servire come contorno Ore 12:45 circa: se il Trp Tip ha raggiunto i 50 °C prefissati, spostatelo in diretta per qualche minuto. Ore 13:00 circa: scaloppate il Tri Tip e servitelo.

I N G RED I E N T I PER 4 PERSONE

• 1,3 kg Tri Tip di Black Angus Creekstone Farms del BBQ4All Megastore • 250 g di scarola • 50 g di pinoli • 20 g di uvetta • 50 g lardo • 50g prugne secche denocciolate • 50g castagne • mezzo bicchiere di vino dolce • 30 g di burro • olio extravergine di oliva q.b. • sale e pepe q.b. • due cucchiai di Rub Dry Mild Tennessee BBQ4All

foto di

LUCA GALLOZZA

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ARRIVA L'AUTUNNO - RICETTA a cura della REDAZIONE

ASPIC D'AUTUNNO?

con uva e prosecco, naturalmente.

I N G RED I EN T I PER 4 ASPIC

• 750 ml di Prosecco di buona qualità • un grappolo d'uva bianca o rosata, senza semi • 40 g di gelatina in fogli • Cannella q.b • Zucchero q.b.

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- Ciao, cosa stai mangiando? - Carne TInsemal! Forse non tutti ricorderanno questa pubblicità nostalgica. Il bambino protagonista dello spot mangiava la celebre gelatina di carne e rendeva famosa una ricetta che, anche se poteva sembrava moderna e innovativa, in realtà ha origini molto più antiche. L’aspic, ovvero la gelatina di carne, era molto diffusa in Francia già dal Medioevo. Ma è con l’avvento di Napoleone Bonaparte che si ha la prima traccia di una ricetta scritta. Infatti Marie-Antoine Carême (1784- 1833), chef de cuisine di Napoleone Bonaparte, presentò all’imperatore lo chaud-froid (letteralmente ‘caldo-freddo’), una pietanza di carne o di pesce che veniva bagnata con una salsa calda e lasciata raffreddare. Successivamente apportò delle modifiche alla ricetta utilizzando del brodo addensato e realizzò la prima versione di aspic, allo scopo di migliorare il sapore e garantire una vita più lunga al pesce freddo e al pollame. Le origini del nome sono invece da ricerca nella parola latina aspis, vipera. Probabilmente tale nome gli fu dato per l’analogia tra la temperatura di servizio che ricordava quella dei rettili. Il piatto si è poi diffuso largamente in tutta Europa. In Russia, è noto come kholodets, preparato con pollo e frattaglie, è tipico delle festività natalizie. Altre versioni salate vengono preparate in tutto l’est Europa fino ad arrivare in Nepal dove viene fatto con la carne di Bufalo. Anche in Italia questa preparazione è largamente diffusa, ricordiamo ad esempio la versione lombarda preparata con le parti meno

nobili del vitello e del pollame che poi viene arricchita con funghi, pistacchi e tartufo. Una variante a base di pesce è invece diffusa in Sardegna, la cui protagonista è l’aragosta accompagnata da lamelle di tartufo bianco. Da annoverare anche le versioni dolci, tra cui forse la più famosa è il gelo di anguria palermitano. Quest’ultima viene preparata con il succo dell’anguria, il cioccolato fondente e i fiori di gelsomino che gli danno un profumo inconfondibile. Oggi, infatti, vi proponiamo una versione dolce e tutta autunnale, a base di uva e Prosecco. Perfetta per accompagnare i piatti che segnano l’arrivo dei primi freddi. È un dolce facile da preparare, fresco e frizzantino, che fa sempre un certo effetto sui commensali. Procedimento 1. In una ciotola mettete la gelatina a mollo in acqua fredda. 2. Sgranate l’uva e lavatela accuratamente. 3. Ponete adesso l’uva su una teglia e cospargetela con cannella e zucchero, poi accendete il vostro dispositivo e lasciatela caramellare e appassire leggermente in cottura indiretta, a circa 80 gradi. 4. In un pentolino mettete a scaldare circa la metà del prosecco a fuoco basso. Nel frattempo strizzate la gelatina e aggiungetela nel pentolino quando il prosecco si è intiepidito. 5. Aggiungete adesso il resto del prosecco e mescolate accuratamente. 6. Adagiate sul fondo di uno stampo in silicone per semifreddi o muffin (in alternativa uno per ghiaccio) l’uva e copritela con la soluzione di Prosecco e gelatina. 7. Mettete adesso gli stampi in

frigorifero per almeno 24 ore. Al momento di servire, per rimuovere la gelatina da uno stampo senza rovinarla, prendete una ciotola più grande dello stampo e riempitela con acqua calda. Successivamente posizionate lo stampo nell’acqua facendo attenzione a non sommergere la gelatina. Attendete qualche secondo e poi rimuovete la gelatina dallo stampo. Fate quest’operazione mezz’ora prima rispetto a quando volete servire il piatto così la gelatina avrà avuto modo di stemperarsi e stabilizzarsi. Cosa fare minuto per minuto, se volete servirlo a cena: Questa preparazione necessita di almeno 24 ore di anticipo rispetto all’orario di servizio per cui i tempi indicati si riferiscono al giorno precedente. Ore 18.00: mettete a mollo la gelatina. Ore 18.05: sgranate e lavate l’uva. Ore 18.10: accendete il vostro dispositivo e ponete l'uva condita con zucchero e cannella in cottura indiretta. L'uva non deve rompersi o creparsi. Ore 18,15 circa: togliete l'uva dal dispositivo mettete a scaldare il prosecco. Ore 18.25: aggiungete la gelatina. Ore 18.30: aggiungete il rimanente prosecco. Ore 18.40: riempite gli stampi e metteteli in frigorifero.

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HALLOWEEN - MINI-MENÙ con DUE RICETTE a cura di MICHELA BONGIORNI

Il mini-menù di Halloween

U N A ZU CCA due ricette

Fino a qualche anno fa, qui in Italia la zucca non era ancora legata, nell’immaginario collettivo, alla festa di Halloween. Al massimo, soprattutto per noi fanciulle romantiche cresciute coi cartoni Disney, era legata alla carrozza di Cenerentola. Poi, complici i film di Hollywood e la tv, la festa di Halloween ha cominciato a prendere piede, gli eventi a tema si sono moltiplicati a dismisura (a proposito, se passate in Toscana non perdetevi quello di Borgo a Mozzano (Lu), vicino al Ponte del Diavolo – che si chiama così indipendentemente da Halloween-) e capita sempre più spesso che il 31 Ottobre bussino alla nostra porta gruppi nutriti di bambini che ci urlano “dolcetto o scherzetto?!”. Ebbene, come dicevo prima, l’emblema di questa festa è sicuramente la zucca.

tranello, lo aveva costretto a salire su un albero e aveva inciso una croce sul tronco impedendogli così di scendere. Dopo lunghe trattative, il dispettoso Jack era riuscito ad ottenere dal Diavolo la promessa di non essere portato all’Inferno, in cambio della liberazione. Prima di farlo scendere dall’albero, però, Jack ne aveva combinate di tutti i colori, certo che il Diavolo avrebbe mantenuto la promessa. Tuttavia, una volta liberato, Lucifero non mantenne la parola data, e il povero Jack non fu perdonato. Costretto a vagare sulla terra in cerca di riposo, decise di intagliare una zucca e di metterci dentro una candela che illuminasse le notti di tenebra. Si dice che la notte di all hallows’ eve, cioè la notte di tutti gli spiriti sacri, la vigilia di Ognissanti, Jack vaghi sulla terra in cerca di rifugio: ecco perché si intaglia una zucca Molte sono le leggende e le storie mettendola sul balcone o sulla filegate alla nascita della festa di Hal- nestra con dentro una candela. loween e all’usanza di intagliare la cucurbitacea per farle assumere In ogni caso, non essendo una feespressioni più o meno mostruose. sta legata alla nostra tradizione, La più citata è sicuramente quella noi non siamo molto bravi a intadi Jack’o Lantern. Secondo la leg- gliare le zucche. Conosco persogenda, Jack, un agricoltore irlande- ne che nel tentativo di riuscirci si se avaro e particolarmente dispet- sono quasi amputate una mano. È toso, era riuscito a farla sotto al molto, ma molto meglio cucinarle. naso al Diavolo in persona. Con un Immagino che, se avete figli, possa 282 - BBQ4All MAGAZINE

capitarvi di dover organizzare una cena a tema, coi bambini mascherati. Per questo motivo abbiamo pensato a un minimenù con la zucca, che possa piacere un po’ a tutti e che vi risolva facilmente il problema di pensare a cosa mettere in tavola in questa occasione. Basterà poi aggiungere un dolce e il gioco è fatto. Dimenticatevi quegli orrendi piatti con würstel che sembrano dita mozzate di una mano o altre cose simili che farebbero passare la fame anche a Taz dei Looney Toons, e gustatevi queste due chicche: gli gnocchi e la torta salata. La base di partenza sarà per ambedue le preparazioni la zucca bruciata in ember roasting. Per chi non conoscesse ancora bene questa tecnica, si tratta di una cottura a contatto diretto con le braci. Esatto, proprio così: si prende una zucca intera e si appoggia direttamente sui carboni ardenti. È pronta quando, provando a bucarla con uno stuzzicadenti lungo, la si sente morbidissima. A quel punto si può prelevare la polpa, stando attenti a eliminare bene la parte esterna carbonizzata, e la si può usare in svariati modi.


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GNOCCHI DI ZUCCA BRUCIATA Preparazione: 1. Prendete la zucca appena cotta in ember, eliminate la buccia e i semi, dopo di che schiacciatela con una forchetta o uno schiacciapatate e lasciatela da parte. 2. Lessate le patate con tutta la buccia, in abbondante acqua salata, saranno pronte dopo circa 30/40 minuti quando riuscirete ad infilzarle con la forchetta senza nessuna difficoltà. Scolatele e lasciatele raffreddare. 3. Quando le patate sono fredde sbucciatele e schiacciale con uno schiacciapatate. 4. In una ciotola capiente unite insieme la zucca e le patate, quando i due ingredienti sono ben amalgamati, aggiungete l’uovo, il sale e mescolate. 5. Al composto ottenuto, aggiungete poco per volta la farina e impastate con le mani fino ad ottenere un panetto compatto. Lasciate riposare l’impasto per circa 15 minuti. 6. Staccate un pezzo di pasta e su una spianatoia spolverata con della farina, fatela scorrere su e giù con entrambe le mani fino ad ottenere un lungo e sottile filoncino. Con un coltello affilato suddividetelo in piccole porzioni. Mano a mano che suddividete un filoncino passate ogni tocchetto su una tavoletta “riga gnocco” o sul dorso di una forchetta. Basta fare una leggera pressione col pollice sulla pasta e farla scivolare verso il basso. Spolverate gli gnocchi ottenuti con della farina e sistemateli su un canovaccio senza sovrapporli. Ripetete il procedimento fino a che non terminate l’impasto. 7. In una pentola, mettete a bollire abbondante acqua salata. 8. Mentre aspettate che l’acqua raggiunga il bollore, in una padella antiaderente fate sciogliere a fuoco basso il burro con le foglie di salvia. 9. Quando l’acqua bolle, buttate gli gnocchi, quando vengono a galla scolateli e saltateli nel burro fuso e mantecateli col parmigiano. servite con una bella macinata di pepe e volendo qualche fogliolina di salvia fritta. 284 - BBQ4All MAGAZINE


I N G RED I EN TI PER 4 PERSONE

• 500 g di polpa di zucca bruciata • 300 g di patate • 150 g di farina 00 • 1 uovo • 100gr di burro • 5/6 foglie di salvia fresca • 50 g di parmigiano grattugiato • pepe q.b • sale q.b

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I NGREDIEN T I

PER 1 TORTA • un rotolo di pasta sfoglia tonda • 200 g di polpa di zucca bruciata • 300 g di patate • una cipolla bianca • un rametto di rosmarino • 100 g di Feta • burro q.b. • olio d’oliva q.b. • sale e pepe q.b.

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TORTA RUSTICA CON ZUCCA BRUCIATA Preparazione: 1. Sbucciate le patate e riducetele a cubetti, poi mettetele a cuocere in un pentolino con un filo d’olio, mezzo bicchiere d’acqua, il rosmarino e la cipolla tritata grossolanamente; aggiustate di sale. 2. Quando le patate saranno morbidissime toglietele dal fuoco e lasciatele raffreddare. 3. Unite alle patate la polpa di zucca di bruciata e frullate il tutto a immersione, aggiungendo un po’ d’acqua se il composto dovesse risultare troppo asciutto: la consistenza dovrà essere bella cremosa. Anche in questo caso, aggiustate di sale. 4. Srotolate la pasta sfoglia, posizionatela in una teglia di alluminio con sotto la carta forno, bucatela con una forchetta e versateci dentro il composto appena ottenuto. 5. Preparate il vostro dispositivo per una cottura indiretta e stabilizzatelo a una temperatura di circa 180 gradi. 6. Cuocete la torta salata per circa mezz’ora, facendo molta attenzione a non farla seccare troppo sopra, ma a non lasciarla nemmeno cruda nella parte inferiore. Se vedete che necessita di ulteriore tempo per cuocersi (riuscite a controllarla sollevandola con una forchetta), proteggete la parte superiore con un po’ di alluminio o carta forno. 7. Quando sarà dorata, sfornatela e lasciatela intiepidire leggermente. Sbriciolateci sopra la Feta e servitela con pepe e rosmarino.

Cosa fare minuto per minuto, se volete servirlo per la cena di Halloween: Ore 15: accendete il kettle e mettete a cuocere la zucca direttamente sulle braci. Ore 16: lessate le patate per gli gnocchi Ore 17 circa: togliete la zucca dalle braci e ricavatene la polpa. Ore 17,30: preparate gli gnocchi Ore 18: mettete a cuocere le patate per la torta salata. Ore 18,30 circa: togliete le patate dal fuoco e lasciatele raffreddare. Ore 19: frullate le patate con la zucca e mettete a cuocere la torta salata. Ore 19, 40 circa: sfornate la torta salata e tenetela in caldo. Ore 20: mettete a bollire l’acqua per gli gnocchi e cuoceteli. Ore 20,15: servite gli gnocchi e successivamente servite la torta salata con la Feta sbriciolata. Ore 21,30: siete pronti per dolcetto o scherzetto! ALMANACCO 2019

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VINI ABBINATI a cura di ENIO BERTON

È ORA DI

BERE! abbinamenti consigliati

ROGGIO DEL FILARE Vino: Cantina: Abbinamento :

Rosso Piceno Superiore DOC “Roggio del Filare” 2015 Velenosi Tri Tip ripieno d'autunno

Continuiamo il nostro viaggio lungo la dorsale adriatica e dall’Abruzzo arriviamo nelle Marche alla scoperta di un vino che esalta le caratteristiche del vitigno con cui è fatto. L’abbinamento scelto parte dalla presenza, nel ripieno del Tri Tip, di prugne; volevo associare a questa gustosa preparazione un vino con lo stesso sentore, ben bilanciato e con tannini addolciti dalla piena maturazione. La denominazione Rosso Piceno copre una vasta zona tra le provincie di Ancona, Macerata ed Ascoli Piceno; vengono escluse solo le zone della DOC Rosso Conero. La DOC è stata riconosciuta nel 1968 ma la valenza vitivinicola del territorio ha origini antiche risalenti a prima dei romani. Il poeta latino Polibio racconta che Annibale, durante una tappa nel territorio Piceno, fece curare i suoi cavalli con un vino rosso invecchiato. Il Rosso Piceno viene prodotto con percentuali variabili di Sangiovese (dal 30 al 50%) e di Montepulciano (dal 35 al 70%); sono ammessi altri vitigni a bacca rossa, ma non oltre il 15%. La cantina Velenosi inizia la produzione nel 1984 in provincia di Ascoli Piceno in località Monticelli con la guida di Ercole e Angela Velenosi, ai quali si aggiunge, nel 2005, Paolo Garbini. Attualmente la superficie dedicata alla viticoltura è di circa 200 ettari, tra vigneti di proprietà ed in affitto, sui quali spiccano sia le varietà autoctone (Montepulciano, Lacrima, Sangiovese, Passerina, Pecorino e Verdicchio) che vitigni internazionali. Il “Roggio del Filare” è il gigante buono della cantina Velenosi. Le note di Montepulciano si abbinano alla perfezione nel blend con il Sangiovese. Vino affinato in barrique nuove di rovere francese per almeno 18 mesi prima di essere messo in commercio. Il colore è rosso rubino intenso con un’unghia granata. Al naso si sprigionano note di frutta a bacca rossa matura (il sentore di prugna è evidente) per poi aprirsi verso note balsamiche da macchia mediterranea fino ad arrivare a sentori di cacao e tabacco. Al palato emergono la morbidezza e la freschezza con tannini vellutati. Buon fin di bocca persistente e sapido. Da servire a 14/16 gradi in calici tulipano. Uve: 70% Montepulciano 30% Sangiovese Zone produzione: Ascoli Piceno Grado alcolico: 14,50%

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G I OC H E R E MO CO N I F I O R I Vino Cantina: Abbinamento :

Abruzzo Pecorino DOC Giocheremo Con I Fiori 2018 Torre dei Beati Risotto filante al radicchio grigliato

Con il risotto al radicchio grigliato presente su questo numero, siamo andati a mescolare due tipicità del nord Italia: la fontina, tipico formaggio valdostano a pasta molle dal sapore deciso e dolciastro, e il radicchio, tipico ortaggio che la regione veneta produce in diverse varietà. A formare un triangolo scendiamo fino in Abruzzo, più precisamente ai piedi del Gran Sasso, per scoprire questo Pecorino DOC (mi raccomando, non confondetelo con il formaggio!). Il vitigno Pecorino ha origine antiche, ed è localizzato tra le Marche e l’Abruzzo. Il suo nome deriva dall’usanza dei pastori di portarlo con loro nelle transumanze dai colli verso il mare. Ha avuto un periodo di appannamento dovuto alla resa bassa e poco costante nel corso degli anni; tornato di moda negli anni 80 sta vivendo una seconda giovinezza. La Torre dei Beati è una cantina nata nel 1999 a Loreto Aprutino negli Abruzzi. L’intento di Adriana Galasso e di Fausto Albanesi è stato fin da subito di gestire in modo biologico sia i terreni che le produzioni vinicole. Attualmente dispone di circa 21 ettari di terreni disposti ad una altezza che varia dai 250 ai 300 metri slm. Il “Giocheremo con i Fiori” nasce su un appezzamento di circa 4 ettari a 300 metri slm piantato nel 2005 proprio per valorizzare questo vitigno. Vinificazione e maturazione rigorosamente in acciaio. Dal colore giallo paglierino intenso, si presenta al naso con sentori di fiori bianchi e frutta fresca, e con note di pera leggermente mielate. Al palato risulta morbido, di corpo, sostenuto da una buona acidità e sapidità. Ottimo il fin di bocca persistente. Da servire a 10/12 gradi in calici tulipano. Uve: 100% Pecorino Zone produzione: Ascoli Piceno Grado alcolico: 13,50%

D I S T I L L ATO Q B Cantina:

Bonaventuro Maschio

Parlare di Bonaventura Maschio è un onore per me. Come non ricordare le fantastiche quattro edizioni del “Prime Uve Invitational Barbecue Championship” organizzate da Anna e Andrea Maschio. Proprio durante questa manifestazione ho avuto modo di apprezzare la dedizione e la cura con cui Andrea gestisce le varie fasi delle lavorazioni, sia dei distillati di uve sia delle grappe. La distinzione tra le due non è banale. Il distillato d’uva parte dagli acini interi, i quali subiscono un processo di distillazione che mantiene intatti i profumi del vitigno di partenza, mentre la grappa parte dalla distillazione delle bucce degli acini che hanno già dato gran parte dei loro profumi al mosto. QB è un distillato, che nasce da un’idea di fondere il pregiato sale di Cervia con le uve in fermentazione per estrarne gli aromi e coadiuvare la trasformazione degli zuccheri. Ha un profumo delicato, con note di pesca, pera e rosa canina. Al gusto è morbido, speziato e leggermente sapido. Io lo bevo ghiacciato: lascio a voi decidere come assaggiarlo. Si adatta benissimo a terminare un pranzo tutto autunnale, quando ormai i primi freddi si fanno sentire. Grado alcolico: 39% ALMANACCO 2019

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BIRRE CONSIGLIATE a cura di RICCARDO MENICONI

P U N TO G

È ufficialmente aperta la stagione dei funghi. Crudi, trifolati, arrosto, grigliati e... ripieni. Il morbido e succulento cappello, insieme alla saporita polpetta di carne coronata dal tuorlo cremoso costituiscono una vera e propria bomba di sapore in grado di stimolare ogni papilla gustativa. È anche il mese perfetto per gustare un’ottima Bock, che, con il suo colore ambrato, ricorda tanto le foglie del castagno in Autunno. Le Bock sono birre a bassa fermentazione (Lager), tipiche del Niedersachsen (Bassa Sassonia). Prendono il nome dalla storpiatura in dialetto bavarese della città natale di Einbeck. In lingua tedesca significa caprone (ariete), che spesso viene rappresentato nelle etichette tradizionali. La Punto G del Birrone ne è un ottimo esempio tutto italiano. Il colore, come dicevamo, è di un bell’ambrato carico con riflessi ramati, sovrastato da una splendida schiuma compatta color nocciola. Al naso, note di biscotto e miele scuro accompagnano una solida base di cereale e qualche sentore erbaceo. In bocca, tornano il biscotto e il miele ben bilanciati dalla luppolatura essenziale -e non predominante- dei luppoli europei continentali. L'alcol (6,2%) si fa sentire, ma il corpo è abbastanza snello con un finale leggero e incredibilmente equilibrato tra dolce ed amaro. Vi consiglio di gustarla nel tipico mass ad una temperatura di 8°.

RAU C H L A G E R

Ripensare a würstel e crauti mi riporta alla vacanza che feci due anni fa a Bamberga. Vi ricordate? Ve ne ho giù parlato quando ho presentato la U del Birrificio Mhars nel mese di Marzo. Naturalmente non è l'unico birrificio presente a Bamberga: pensate che oggi ce ne sono ben 10 attivi, ma nel 1818 se ne potevano contare addirittura 65. Nella breve ma intensa immersione nel mondo delle birre francone ho lasciato il cuore nella locanda di Spezial Bräu. Situata a poca distanza dalla stazione, è caratterizzata dalla presenza delle lunghe tavolate comuni, in cui è praticamente impossibile non farsi trascinare dalla magia del luogo e scambiare qualche parola con i clienti abituali. Il primo boccale arriva in automatico una volta seduti e per ordinarne un altro basta solo finirlo. E se le bevute si fanno importanti, non temete: per il conto basta presentare il sottobicchiere in cui i camerieri di volta in volta segnano con un veloce tratto il numero di birre ordinate. La birra della casa è la Rauch Lager, brassata con malto affumicato in azienda. Per loro semplicemente Lager. È prodotta nel birrificio a conduzione familiare di propietà di Merz che dal 1898 continua la tradizione delle birre affumicate. L'aroma è travolgente, i netti sentori di legno di faggio si mescolano con le note di crosta di pane e cereali. Il colore è di un ambrato carico, limpidissima con una schiuma bianca e compatta, cremosa e aromatica. In bocca ritroviamo l'affumicatura, presente ma non ingombrante, perfettamente bilanciata dalle note fresche e secche dei luppoli coltivati nella regione di Hellertau. L'amaro è piacevole e grazie anche ai 4,7° la voglia di farne un altro sorso non manca mai. Vi consiglio di berla... lì. 290 - BBQ4All MAGAZINE


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Ottobre: la prima cosa a cui pensi è la zucca. E subito dopo ti viene in mente zucca il suo sapore, dolce e caratteristico, molto delicato e perfetto per essere speziato in modo deciso e con sapori ben riconoscibili. Sbirciando sul libro "La grammatica dei Sapori e delle loro infinite combinazioni" di Niki Segnit, libro che mi viene spesso in aiuto per quanto riguarda gli abbinamenti, si evince che oltre ai canonici cannella e rosmarino, la zucca è perfetta anche in compagnia di lime e zenzero. Ed io, quando penso a lime e zenzero, penso solo al Moskow Mule. Nonostante il nome, il cocktail non è affatto nato in Russia, ma in America, nel 1941 in un bar di New York, il Chatham, dove due imprenditori abbastanza disperati si ritrovarono per tentare di risollevare le proprie attività. Uno dei due, John G. Martin, non riusciva a distribuire negli Stati Uniti la vodka Sminoff, un alcolico russo ancora poco conosciuto e apprezzato. L’altro, Jack Morgan, era proprietario del Cock’n’Bull Tavern, il locale più figo di Hollywood, che stava cercando di lanciare senza successo un soft drink a base di zenzero: la Ginger Beer. Ai due venne la geniale idea di combinare insieme i due ingredienti, aggiungendo un po’ di lime. Nacque così il Moskow Mule. Il nome? Pare che sia nato perché veniva servito in mug di rame da 5 once con inciso sopra un asinello. Oggi abbineremo questo coctail alla nostra torta salata di zucca. Anzi, in questo caso specifico serviremo un Kraken Mule; in pratica, un Rum Buck, chiamato anche Barbados Buck, dove il particolarissimo Kraken Rum e la sua speciale speziatura la fanno da padrone. È un cocktail molto equilibrato: la piccantezza dello zenzero, la freschezza e l'acidità del lime si sposano perfettamente con la dolcezza e l'estrema speziatura di questo particolarissimo rum, in cui possiamo facilmente distinguere la vaniglia, i chiodi di garofano e la cannella. Abbinarlo con la zucca è praticamente un obbligo. Per prepararlo basta riempire un high ball di ghiaccio e versare: -6cl di Kraken rum -2cl di succo di lime fresco -Ginger beer a riempire -Fetta di lime a guarnire Una curiosità? Togliendo il succo di lime avrete il Dark'n'stormy (cocktail nazionale delle Bermuda). Salute! 292 - BBQ4All MAGAZINE


COCKTAIL a cura di RICCARDO MENICONI

KRAKEN MULE

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GUIDA AI DISPOSITIVI a cura di MICHELE CHIPA

BULLET

l'affumicatore per non sbagliare un colpo

SMOKER

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Vi vedo! Il vostro dispositivo attuale vi sta stretto e dovete penare per tenere stabile la temperatura di cottura. La vostra fama di griller sta crescendo ed avete sempre più persone da sfamare. È ormai giunto il momento di compiere il grande passo: acquistare un dispositivo in più. Ma non un dispositivo qualunque: uno in grado di nutrire le orde di barbari che invadono il vostro giardino il fine settimana, e soprattutto uno che vi permetta di farlo senza patemi d’animo. La risposta alle vostre esigenze non può che essere un affumicatore. Nel mercato degli affumicatori una fetta importante è ricoperta dai cosiddetti bullet smoker, ovvero quelli con struttura verticale. Come è fatto un bullet smoker e come funziona? La struttura di un bullet è semplice: nella base troviamo il braciere con le vent in necessarie a far entrare aria, subito sopra troviamo il deflettore (water pan) e ancora sopra una, due o tre griglie a seconda del modello. Completa il tutto almeno uno sportello di accesso al braciere/water pan/griglia e il coperchio con le vent out. Anche il principio di funzionamento è veramente semplice: la combustione avviene nel braciere situato in basso, il calore e il fumo salgono verso l’alto e il water pan impedisce un irraggiamento diretto all’alimento messo in griglia. Il coperchio, infine, permette la cottura per convezione. Modalità di utilizzo del bullet smoker Per gestire la temperatura di cottura bisogna agire sulle vent in (per la stabilizzazione) e vent out (per la regolazione di precisione), mentre il set up usuale per questi dispositivi è il Minion method che permette una cottura a temperatura stabile per molte ore. Il water pan normalmente viene riempito di acqua calda, in modo da stabilizzare al meglio la temperatura e a non farla salire rispetto a quella desiderata (parte del calore sarà assorbito dal liquido). La scelta di aggiungere acqua oppure un altro materiale (per esempio il sale) dipende dalla necessità di incrementare l’umidità presente in camera di cottura: se avete contemporaneamente in griglia molti pezzi di carne probabilmente non avrete bisogno di umidità accessoria e quindi potrete utilizzare altro per stabilizzare la temperatura. L’affumicatura avviene inserendo nel braciere dei pezzi di legno idonei direttamente a contatto con le braci. Il cavallo di battaglia dei bullet smoker è, quindi, la ALMANACCO 2019

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cottura in low&slow; tuttavia, sono dei dispositivi molto versatili e permettono anche cotture indirette a medio/alta temperatura (non mettendo acqua nel water pan), cotture dirette alte (eliminando il water pan e quindi grigliando a circa 40/50cm dalle braci) e cotture dirette (appoggiando la griglia direttamente sul braciere con somma felicità della vostra schiena!). Punti di forza dei bullet smoker Come primo punto di forza è da menzionare sicuramente la versatilità. Come ho detto prima, non dovete pensarlo come dispositivo esclusivamente da utilizzare nelle preparazioni low&slow: vi potrà dare delle soddisfazioni enormi anche in altri tipi di cottura. Il bullet, inoltre, permette di non preoccuparsi delle variazioni repentine di temperatura: con il giusto setup, la giusta regolazione delle vent e un elemento stabilizzante nel water pan, potrete andare avanti per ore a cuocere senza dover mettere mano al dispositivo (se non per aggiungere legno durante l'affumicatura). Infine, gli affumicatori verticali hanno anche una grande capienza. Avendo a disposizione più griglie e

potendole utilizzare per intero, riuscirete a sfamare tante persone col minimo sforzo. Punti di debolezza dei bullet smoker A causa della loro struttura verticale, questi dispositivi sono difficilmente spostabili soprattutto quando sono accesi: scordatevi la comodità delle ruote di un kettle. Anche il trasporto risulta un po’ più difficoltoso, visto il volume della camera di cottura ma, fortunatamente, sono smontabili in più parti. Il costo di acquisto non è dei più bassi: evitate di prendere dispositivi a basso costo perché la qualità e lo spessore dei materiali influiscono enormemente sulla stabilità di cottura. Infine considerate che impiegheranno molto tempo a spegnersi completamente: la grande quantità di aria presente in camera di cottura continuerà ad alimentare la combustione anche fino a 30/40 minuti dopo la chiusura delle vent, mentre la temperatura scenderà molto lentamente vista la coibentazione del dispositivo. Il che però li rende adattissimi alla fase di rest (mantenimento). ALMANACCO 2019

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THE CHEMICAL GRILLERS - RUBRICA a cura di VIRGILIO BRUNETTI

marinate

ESTREME

l'ultimo, appassionante capitolo

Continuiamo il nostro tour nel mondo delle marinate ricordandovi, per chi se lo fosse perso, che la marinatura ha effetto, principalmente, quasi esclusivamente, sulla superficie dell’alimento. Esistono due vie per ovviare questo limite: usare tagli di piccole dimensioni oppure iniettare la miscela. Inoltre, è sempre opportuno ricordare che l’elemento comune tra salamoie e marinante è il sale da cucina, l’unico molecola capace di modificare in maniera efficace gli alimenti, in particolare la carne, generando un importante effetto di ritenzione dell’acqua e modificando la texture. Lo scopo di una marinata è aromatizzare, insaporire, modificare la struttura superficiale della carne, aumentare la sapidità, la morbidezza e la succosità. Sebbene la maggior parte delle basi utilizzabili per le marinate penetri con molta lentezza e altrettanta difficoltà attraverso la struttura complessa della carne, esistono delle basi che possono aggredire la stessa struttura a livello molecolare. In questo contesto parleremo di basi enzimatiche. Inoltre vedremo lo strano caso del fungo giapponese capace di “frollare la carne” . Parleremo anche di due varianti estreme delle marinature, ossia quelle a base esclusivamente grassa e quelle costituite quasi esclusivamente da componenti saporiti e aromatici: i curry. In ultimo, a chiusura di questo ciclo dedicato all’argomento, vedremo il ruolo degli agenti emulsionanti nella stabilizzazione delle marinate.

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0 1 . BAS I E N Z I M AT I C H E V E G E TA L I L’interesse per il gambo dell’ananas in campo alimentare, dietetico e fitoterapico dipende in larga misura dal suo contenuto: la bromelina. Questo enzima, contenuto anche nei frutti e nel loro succo, è particolarmente noto per le virtù proteolitiche. La bromelina contenuta nel gambo dell’ananas non è tuttavia l’unica sostanza di origine vegetale dotata di queste proprietà, comuni anche alla ficina dei fichi e alla papaina della papaya. Tali enzimi sono ingredienti comuni a molti prodotti alimentari impiegati in cucina per rendere tenere le carni. D’altronde, l’espediente era noto già ai tempi degli Aztechi, che durante la cottura erano soliti avvolgere la carne in foglie di papaya. Affinché il rammollimento sia globale e non solo di superficie, la bromelina e gli altri enzimi proteolitici dovrebbero essere iniettati direttamente nella carne. Va però detto che questa pratica deve essere contestualizzata a specifiche preparazioni e la sua efficacia supera spesso le aspettative di chi la utilizza, poiché le marinate a base di proteasi vegetali sono capaci di devastare letteralmente la struttura originale della carne. Le proteasi vegetali vengono utilizzate ampiamente in cosmesi e in alcuni preparati medicinali ma il loro uso in campo alimentare dovrebbe essere esclusivamente professionale. Tuttavia gli estratti di ananas, fichi e papaya possono essere preparati facilmente in casa e utilizzati come basi per marinate. In questo contesto bisogna tener conto della loro spiccata aggressività e del loro contributo aromatico e gustativo. Sicuramente l’uso di marinate a base di proteasi vegetali potrebbe essere vincente su tagli freschi e ricchi di collagene; i tempi di marinatura devono essere limitati per evitare effetti troppo intensi sulla struttura della carne che alla lunga assumerebbe una texture sgradevole. L’azione delle proteasi ha un picco di attività a temperature comprese tra i 50 e i 75°C, per cui bisogna considerare che, qualora decidessimo di iniettare la miscela enzimatica, l’effetto si intensificherebbe e si protrarrebbe anche nelle prime fasi di cottura. Il pH ideale invece varia da specie a specie: la bromelina e la papaina agiscono ad un pH ottimale compreso tra 4 e 6 mentre la ficina a pH neutro. Le proteasi 300 - BBQ4All MAGAZINE


PAPAINA

BROMELINA

FICINA

vegetali sono particolarmente efficaci sulle proteine dei connettivi, in particolare sul collagene mentre, ad esclusione della papaina, bromelina e ficina hanno una minore specificità verso le miofibrille (le unità morfofunzionali proprie del tessuto muscolare). Anche altri frutti, rizomi e ortaggi contengono enzimi simili, tra cui il kiwi, lo zenzero e gli asparagi; tuttavia la più vasta fonte di enzimi attivi nei confronti delle proteine è rappresentata da numerosi microrganismi alcuni dei quali sono i principali fautori del normale processo di decomposizione degli alimenti, compresa la carne. Infatti le proteasi batteriche e fungine sono state anch’esse addomesticate dall’uomo nei processi di produzione di alimenti fermentati, e nella frollatura delle carni sia nel wet che nel dry aging.

mente ricchi di collagene. La penetrazione degli enzimi è limitata alla superficie per cui la scelta del taglio e le dimensioni suggeriscono automaticamente la strategia da seguire. Uno yakitori a base di pollo o cubi di spalla di maiale trarrà forte beneficio dall’uso di una marinata a base enzimatica, e i tempi di trattamento si velocizzeranno molto: 30 minuti saranno sufficienti per ottenere un ottimo equilibrio tra aromatizzazione e modificazione della texture, ricordando sempre che parte del processo di intenerimento si completerà nelle prime fasi di cottura. In tema squisitamente barbecue esistono specifiche miscele da injection che contengono, tra le altre cose, estratti titolati di gambo d’ananas e papaia verde, con alte concentrazioni di bromelina e papaina che in cottura andranno ad aggredire con efficacia il collagene facilitando il pulL’uso di marinate contenenti estratti non pastorizza- laggio della carne. ti di frutti come fichi e kiwi ma soprattutto papaya e ananas deve essere ristretto a tagli di carne particolar- Mi raccomando, in tutti casi non scordatevi il sale!

CARNE

ENZIMI P ROT EO L I T I C I IN SOLUZIONE N E L L A M A R I N ATA

GLI ENZIMI P ROT EO L I T I C I REAGISCONO CO N LE P ROT E I N E SUPERFICIALI DELLA CARNE

GLI ENZIMI CAMBIANO LA ST R U T T U RA D E L LE P ROT E I N E N ​​ E L L A C A R N E . L A C A R N E D I V E N TA P I Ù T E N E R A E A S S O R B E PA R T E D E L L A M A R I N ATA C H E I N F L U I S C E S U SA PO R E E CO LO R E ALMANACCO 2019

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0 2 . KOJ I

IL FUNGO CHE INTENERISCE LA CARNE Il kōji non è altro che un fungo filamentoso chiamato Aspergillus Oryzae. Il dottor Eiji Ichishima dell’Uni­ versità di Tohoku lo chiamò appunto kōji (“fungo nazionale”) nel giornale della Brewing Society of Japan, in funzione della sua importanza non solo nella produzione del sake ma anche in quella del miso, della salsa di soia e di molti altri cibi giapponesi. Esso, quindi, non è altro che una muffa “nobile”, addomesticata dalle popolazioni asiatiche che lo usano per la fermentazione di substrati come il riso e la soia per la produzione di alcool e condimenti. Ora, che ci crediate o no, se ad un microrganismo “date da mangiare” uno specifico substrato, esso attiverà il suo metabolismo affinché possa sopravvivere utilizzando quel substrato come nutrimento. Se gli date amidi produrrà enzimi come le amilasi per poterli digerire e trasformarli in energia ed alcool, se gli somministrate proteine esso produrrà proteasi, ed è proprio da qui che nasce l’idea. Abbiamo una muffa, l’unica del genere Aspergillus che non produce aflatossine altamente tossiche e cancerogene, addomesticata nei secoli dalle sapienti e pazienti mani dei popoli dell’estremo oriente, capace di produrre in opportune condizioni proteasi che possono digerire in maniera controllata le componenti della carne, generando un effetto molto simile rispetto ai processi di frollatura standard, ma in molto meno tempo. L’idea non ha preso vita dalle cucine di un rinomato ristorante asiatico ma delle menti in-

novative del Noma di Copenhagen. Per secoli il kōji è stato utilizzato per produrre sostituti della carne fermentando la soia, ora si usa per “fermentare” la carne. Qui siamo davanti ad un processo che è sbagliato definire marinatura o frollatura, ma che di fatto persegue gli scopi di entrambe le tecniche. Il riso fermentato, il miso e le salse di soia non pastorizzate contengono di base l’inoculo del microorganismo per effettuare un “trattamento” assolutamente innovativo, che darà come effetto finale una destrutturazione delle proteine della carne e un incremento positivo in termini di componenti umami. Esistono numerose preparazioni della cultura gastronomica giapponese che utilizzano il miso come base per marinare la carne, ma sono stati alcuni geniali Chef che hanno iniziato a giocare con questo fermento per avere un intenerimento accelerato della carne cospargendola di riso secco fermentato: il kōji rice. Questa idea di far ammuffire la carne probabilmente farà storcere il naso ad un sacco di gente, ma ci scommetto il mio smoker che nessuno storce il naso davanti ai formaggi erborinati, alla crosta fiorita, alla patina bianca degli insaccati o alla crosta di una lombata dopo 300 giorni di dry ageing; eppure il principio è molto simile e sembra regalarci una nuova prospettive nelle tecniche di seasoning. ALMANACCO 2019

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0 3 . L E BAS I A LCO L I C H E

L’alcool è una componente imprescindibile di alcune basi tradizionali utilizzate per marinare le carni: parliamo in particolare di vini, di birre e di liquori. L’alcool etilico è una molecola semplice che deriva dalla fermentazione alcoolica degli zuccheri. Allo stato puro, è un solvente polare miscibile con l’acqua dalle interessanti proprietà estrattive; inoltre proprio per la sua affinità con l’acqua ha un effetto disidratante e in alcune condizioni è un discreto disinfettante e conservante. Essendo una molecola energetica è una fonte naturale di calorie oltre che nutrimento per alcuni microorganismi (acetobatteri). Mi dispiace quindi darvi questa delusione: l’alcool non ha nessun effetto efficace sull’intenerimento della carne: Nessuno. Gli effetti di una marinata a base alcoolica sono in realtà correlati all’acidità propria delle basi alcoliche. Non solo: basi alcoliche con elevate percentuali di alcool hanno piuttosto un effetto controproducente sulla carne, poiché generano una disidratazione superficiale.

0 4 . M A R I N AT E A BAS E GRASSA

Molti aromi e molte spezie hanno più affinità con le componenti grasse che con quelle acquose; inoltre i grassi, in opportune condizioni, tendono ad estrarre in maniera nettamente più efficace le componenti aromatiche dei condimenti che normalmente utilizziamo sulle nostre carni. Sebbene non ortodossa, anche una marinata contenete il 100% di componente grassa risulta un’ottima soluzione per veicolare aromi e spezie. La composizione della marinata a base grassa si semplifica diventando: frazione grassa + spezie + aromi + sale. In questo caso l’unica componente attiva efficace sulla natura delle proteine della carne sarà il sale. Queste basi si possono ottenere mediante infusione a bassa temperatura (1 ora a 70° C) delle componenti aromatiche in un olio vegetale stabile, preferibilmente olio di arachide, che tende ad ossidarsi ed irrancidire con difficoltà, che ha un elevato punto di fumo e, non ultimo, che non apporta nessun elemento caratterizzante alla miscela essendo quasi totalmente insapore. Sia olio che spezie hanno forti proprietà conservanti, inoltre il processo di infusione a caldo pastorizzerà la miscela che potrete utilizzare per lungo tempo. 304 - BBQ4All MAGAZINE


0 5 . I L C U R RY

Quando sentiamo parlare di curry pensiamo automaticamente alla cucina indiana, ma la realtà è che il curry che trovate al supermarket sta alla cucina indiana come il mix per amatriciana sta a quella italiana. Quella polverina gialla a base di curcuma e altro è un’omologazione di una miscela di spezie che i britannici hanno adattato e naturalizzato al loro gusto, per ragioni commerciali e di esportazione. I curry sono stati anche il mezzo tramite il quale la marina militare britannica e poi analogamente anche la marina nipponica hanno somministrato pasti “esotici” ai loro marinai al fine di evitare ammutinamenti per una non rispettosa esecuzione dei piatti tradizionali: sapete quanto siano pignoli inglesi e giapponesi. Io credo che la versione più interessante di quello che noi identifichiamo genericamente con curry siano le fantastiche miscele di spezie tostate e preparate al momento dalle cuoche indiane, i cosiddetti masala, ma sopratutto la versione in pasta semisolida utilizzate nel sud est asiatico e in Thailandia, dove le spezie

essiccate vengono sostituite con ingredienti freschi come zenzero, peperoncino, aglio, scalogno, coriandolo, lemongrass, galangal e lime, trasformandosi così in creme supersaporite da far sciogliere nella preparazione del piatto. Nella mia visione potremmo definire questo curry in pasta una versione estrema di una marinata, in cui la componente preponderante non è né la base acida né la base grassa ma sono spezie e aromi. Il dosaggio delle spezie in tutti i casi deve essere una fine calibrazione armonica di sapori: dolce, aspro, piccante, salato, amaro e umami. Le componenti umami presenti nei curry umidi fanno da equalizzatore per tutti gli altri sapori e tradizionalmente corrispondono a prodotti come la salsa di pesce fermentato oppure la pasta di gamberetti fermentati, ossia dei preparati che contengono alte percentuali di sale. In alcune particolari formulazioni vengono aggiunti anche elementi grassi, come la pasta di anacardi o arachidi e la crema di latte di cocco, che hanno la funzione di smorzare la piccantezza. ALMANACCO 2019

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06.EMULSIONI ED EMULSIONANTI Come ci insegna il prof. Bressanini, stabilizzare sotto forma di emulsione una marinatura è fondamentale affinché tutte le componenti della stessa abbiano pieno contatto con l’alimento che andiamo a trattare. Le marinate tradizionali sono costituite da una frazione oleosa e una acquosa ; miscelando energicamente le due fasi si produrrà comunque una miscela lattescente, un’emulsione che avrà una stabilità limitata nel tempo a meno che non ci sia un agente emulsionante.

Visto che le marinature vanno eseguite per tempi generalmente lunghe ed in condizioni di bassa temperatura, è fondamentale che queste emulsioni siano stabili per tutto il tempo necessario perché la loro azione si vada a completare. Molti alimenti e altrettante preparazioni gastronomiche hanno in comune proprio il fatto di essere delle emulsioni: il burro, la maionese, la panna, la margarina, gli yogurt e la vinaigrette. Tutte contengono acqua e grassi, oltre ad una serie piuttosto variabile di altre molecole. Grassi e acqua solitamente non ne vogliono sapere di mescolarsi. Tuttavia sottoponendo la miscela ad una forte agitazione, le goccioline di un ingrediente –la fase dispersa– possono distribuirsi nell’altro ingrediente –la fase continua–. Se sono le goccioline di acqua a disperdersi nel grasso, come ad esempio nel burro o nella margarina, si parla di emulsione di tipo w/o dall’inglese “water in oil”. Viceversa, con le goccioline di olio finemente disperse nella fase acquosa, si parla di emulsione o/w, “oil in water”. La formazione di un’emulsione viene facilitata dalla presenza di emulsionanti o surfattanti, molecole che possiedono una parte affine all’acqua e una parte

affine ai grassi. Le lecitine, ad esempio, contenute nel tuorlo d’uovo e in altri alimenti, sono dei buoni emulsionanti, anche se spesso le emulsioni che formano non sono stabili a lungo (nell’industria alimentare le emulsioni devono essere stabili per mesi). Le proteine sono ottime emulsionanti, e molto utilizzate in gastronomia dato che sono commestibili. Srotolandosi durante la denaturazione, si possono disporre all’interfaccia tra le due fasi, orientando le zone idrofobiche (che “odiano” l’acqua) verso il grasso, e le zone idrofile (che “amano” l’acqua) verso l’acqua. Le caseine del latte, le proteine del siero, quelle dell’albume e quelle della soia sono emulsionanti largamente utilizzati dall’industria alimentare per produrre emulsioni stabili, ad esempio salse e dessert. Anche la gelatina, la comune “colla di pesce” è un buon emulsionante. Le proteine, oltre a separare le goccioline dalla fase continua, stabilizzano l’emulsione formando un film che mantiene impedisce la coalescenza. Anche dei polisaccaridi, come amidi o pectine, possono essere usati come emulsionanti. Ci sono poi le mucillagini presenti sui semi di senape, e quindi nella senape intesa come salsa ad uso gastronomico, che devono la loro proprietà emulsionante a una varietà di sostanze che circonda la parte esterna del seme; ricordiamo infine la gomma di Xantano: è un additivo alimentare denominato E415, un polisaccaride ad alto peso molecolare ottenuto dalla coltura di un batterio; è inoltre modificatore reologico che ha ampio uso nell’industria alimentare e cosmetica, e tra le tante proprietà è anche un agente emulsionante molto efficiente.

OLIO +EMULSIONANTE

+EMULSIONANTE

ACQ UA

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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI

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Μῆνιν ἄ ειδε θε ὰ Π η λ η ϊ άδεω Ἀ χι λ ῆ ος [ . . . ] L’ira è probabilmente l’emozione più riconoscibile: a qualunque latitudine, in qualunque lingua, in qualsiasi era, anche fra specie viventi diverse. Denti in vista, sopracciglia aggrottate, sguardo fisso e lineamenti contratti, in ogni luogo ed in ogni tempo questo è il volto della rabbia, sia per un fabbro nel Medioevo o per uno sviluppatore di App per iOS nel ventunesimo secolo. Anche un bambino ben prima di parlare sa riconoscere l’ira, così come può riuscirci un gattino, un lupo o un manzo della prefettura di Kobe. Nella vita online è tutto un po’ diverso, e per sopperire ai mille fraintendimenti della comunicazione per interposto traffico tcp/ip l’uomo contemporaneo si è adattato e si è adeguato a un nuovo set di regole sociali: non potendo vedere le narici arricciate e gli occhi iniettati di odio riscontrabili in un approccio vis- a-vis, l’ineffabile Sapiens Sapiens ha sostituito l’universalità della smorfia col MAIUSCOLO. Maiuscolo e punti esclamativi.

A: - “La tradizione non si tocca! Manchi di rispetto al mio lavoro! Sono un esperto del settore!!” B: - “Devi stare molto più calmo di così.” BUM! Se il maiuscolo è la collera, l’impulso e l’aggressività, il punto alla fine della frase è la fredda follia del sicario, l’audacia del cobra che si erge prima di uno scatto mortale. Fra parentesi quella frase del signor B vanta numerosi tentativi d’imitazione, e ormai viene impunemente usata in giro, con alterne fortune.

Nessuno dovrebbe stupirsi che la collera, la rabbia senza controllo, sia protagonista principale di tutte le comunità online: possiamo notare che tutta la nostra cultura (diciamo quella occidentale per andare sul sicuro) è fondata su grandiose narrazioni di rabbie incontenibili. La prima parola del proemio dell’Iliade, poema omerico madre della letteratura europea, è - come potete leggere voi stessi nella citazione all’inizio di questo articolo - ira, in greco menis, menin Hai il caps lock inserito, quindi la tua opi- all’accusativo. A causa dell’ira si verificano tutta quelnione sarà sicuramente espressa con for- la serie di eventi di cui avrai sentito parlare almeno za; puoi inoltre aggiungere alla potenza alle medie; non temere, non ho intenzione di farti un bruta del maiuscolo la decisione inamo- Bignami dell’Iliade secondo Monti, “il traduttor dei vibile e impertinente del punto e a capo. traduttor d’Omero”, era solo un esempio. Alcuni esempi: A: - “Ho bisogno di quel file che ti ho chiesto giorni fa” B: - “Come ti ho già detto, sono a cena dai suoceri.”

Da sempre la rabbia ricopre il ruolo di un’emozione eroica e divina, una reazione giusta alle ingiustizie altrui che dimostra animo coraggioso e si addice ai nobili d’animo e ai potenti di spirito. Non solo motore di eventi ma primo movente di grandi narrazioni che hanno messo la tara a tutto il modo di pensare degli Brrr, quanta fermezza, quanta lucida rab- ultimi secoli: due esempi banali potrebbero essere il bia nella risposta del signor B. Il punto in Libro della Genesi o L’Orlando Furioso. fondo, in una frase arrabbiata di una mail o di una chat di gruppo, è l’equivalente Si considera giusto reagire con ira ai torti subìti, come in-real-life di avvicinarsi e prendere per nelle storie che hanno abitato la nostra cultura: nel il bavero. quotidiano, allo stesso modo del poema epico, senMa al giorno d’oggi chi porta più il bave- tiamo una parte delle nostre sensazioni come subìte, ro? necessarie e violente, imposte dal corpo su di noi in Ancora un esempio, stavolta di modera- una sorta di pilota automatico sconsiderato e spesso zione “cortese ma implacabile”. autodistruttivo. ALMANACCO 2019

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“È il terzo account che mi faccio, e adesso bannerete anche questo, ma non potevo non rispondere”. Questo eroe contemporaneo probabilmente avrebbe agito con più saggezza e mantenuto la segretezza del suo account fake se non fosse stato trascinato dalla collera ad abbattersi col suo caccia Zero sulla corazzata della Community (storia vera). La rabbia è la principale conseguenza di una frustrazione: la sorte di Patroclo, il morso a una mela, le nozze di Angelica, la cancellazione di un post con la foto di quattro dita adiacenti a una bistecca o una fantomatica mancanza di rispetto. Arrabbiarsi è, oggi quanto ai tempi del Piè Veloce, un ruolo sociale transitorio, suggerito e forse imposto da una serie di norme e regole non dette ma percepite, presenti nelle piattaforme di aggregazione online esattamente come nella (poca?) vita a connessione spenta che ci rimane. L’automobilista, l’utente, lo sportivo sanzionato, hanno un chiaro punto in comune: si arrabbiano nel modo in cui gli altri si aspettano che la rabbia si manifesti e agiscono in un modo visto fare dagli altri, facendo uscire la mano munita di corna dal finestrino, urlando eccessivamente vicino alla faccia dell’arbitro, schiacciando il caps lock con impetuosità e abbondando con i punti esclamativi.

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L’utente frustrato non può proprio farne a meno: conosce le sanzioni, sa per certo che verranno applicate, è ben conscio dell’irreversibile inutilità del suo gesto, ma l’ira ha il sopravvento col suo carico di parolacce, coprolalìa, metafore abusate, luoghi comuni e in generale una grande sensazione di già sentito, già letto, di ben poca novità. Chi si arrabbia, e questa è una sensazione che tutti sicuramente hanno sperimentato diverse volte, non si sente pienamente autore o responsabile delle proprie azioni: autorizza un desiderio feroce, senza pensare troppo alle conseguenze, seguendo probabilmente una grammatica emotiva stabilita in secoli di produzioni letterarie, miti e imitazioni successive. Non è certo un mistero che anche l’espressione della collera segua le mode del momento, riproponendo frasi tipiche del politico rampante di turno, dello sportivo irascibile o dell’utente di maggior successo, che in una certa occasione ha fatto proprio bella figura litigando sotto un post. Una raccomandazione: creati, a mente fredda, un tuo personale repertorio di uscite sagaci e offese creative perché, ti assicuro, vedere persone che motteggiano appropriandosi di frasi altrui è veramente avvilente. Se una frase non ti appartiene, non ti si addice, non è congrua alla tua persona, ti avviso, si nota molto; Woody Allen non potrebbe mai recitare le punch line


La furia di Achille Dipinto di Charles-Antoine Coypel

di un giovane Dolph Lundgren, non senza effetti comici paradossali. So che è rassicurante imitare il tuo idolo social personale, confidando nello stesso successo di quella certa battuta o di quel modo di fare, ma quasi mai funziona: il rischio è quello di apparire paladini del copia-incolla, con una serialità del repertorio degna di Gianfranco D’Angelo al Drive In. Il mito delle Erinni, Furie per i romani, ricalca bene il bisogno universale di sfogare la collera per tornare a uno stato di calma e equilibrio: le tre sorelle, raffigurate nell’arte a seno nudo e con serpenti per capelli, torturavano l’irato con fruste e tizzoni ardenti per poi, una volta placate, trasformarsi nelle benevole Eumenidi. Dentro una persona rabbiosa c’è quindi sicuramente una persona tranquilla, arrabbiata per frustrazione, che reagisce per imitazione secondo un comportamento modellato dall’ambiente. È per questo che nella Community BBQ4All diamo molto peso alle reazioni, vaporizzando via ogni commento eccessivo: non vogliamo assolutamente che si instauri una spirale di imitazioni e un modello di reazioni, sproporzionate e sovrabbondanti, accettato dalla massa. È sicuramente per questo che, avendo la responsabilità della moderazione di ogni gruppo del brand, in-

sisto moltissimo con i moderatori affinché adottino un certo comportamento risoluto ma pacato: non una parola di troppo, mai indugiare nel coltivare le provocazioni, mai intervenire con la tara della rabbia. L’esercizio mentale indispensabile, in questo caso, è tener presente che la persona che ti sta rovesciando addosso la sua collera è la stessa che, incontrata di persona a un raduno o ad un evento aziendale, arriverebbe con sorrisoni, complimenti e richieste di selfie. Le passioni sono funeste, sia quando fanno da serve, sia quando comandano. Aveva un bel dire Lucio Anneo Seneca: dovremmo quindi avere una squadra di moderatori apatici e privi di emozioni? Impossibile. Tutt’altro, ti assicuro che far rimanere tranquilla, equilibrata e coesa la squadra è un bell’impegno a tempo pieno, indispensabile per rendere la nostra numerosissima community un luogo gradevole. “…adirarsi (…) è possibile in maggiore o minore misura, e in entrambi i casi non bene. Al contrario, farlo quando è il momento, per motivi convenienti, verso le persone giuste, per il fine e nel modo che si deve, questo è il mezzo e perciò l’ottimo, il che è proprio della virtù.” Aristotele- Etica Nicomachea ALMANACCO 2019

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N°11/ANNO 1 - NOVEMBRE 2019

MAGAZINE

GIA NFR A NCO LO CAS CIO

TUTTO QUELLO CHE NON HAI CAPITO DELL' ARROSTICINO ANCHE SE SEI ABRUZZESE

L O SP I E D I N O

MISTO O NON MISTO

QUESTO È IL PROBLEMA!

dai

S P EC I A LE S P I E D I N I DA L MO N D O

Souvlaki ai Corn Dog



EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO

t ut t o quello c he no n h a i a nc o r a c a p i t o

dell'ARROS T I C I N O anche se sei abruzzese

Ogni volta che provo a mettere in discussione capisaldi della gastronomia popolare, gli arrosticini in questo caso, si ripete sempre si ripete sempre la stessa scena: sfottò, fenomeni, maleducati e depositari della verità assoluta che mi tirano le uova addosso.

È l'attaccamento all'autorità. Anche se in questo caso l'autorità non è rappresentata da un singolo individuo ma è invece un concetto di grande respiro popolare, talmente radicato, talmente diffuso, talmente condiviso, talmente, come dire, “perfetto” che si è creato una specie di fortino dentro il quale nessuno è autorizzato ad entrare. Molti sarebbero pronti a combattere guerre pur di mantenere lo status quo. Ho addirittura letto un commento su Facebook di una persona che mi invitava a smettere di dire fesserie, di andare a provare gli arrosticini proprio in quel posto che diceva lui e mettermi a studiare sul serio.

Il sentimento è sempre lo stesso: io non capisco nulla perché non sono abruzzese mentre loro sanno tutto perché li preparano da anni, sono nati, sono cresciuti con l'odore dell'arrosticino nel naso. Sanno perfettamente che da tizio o da caio, in questo o in quel vicolo, l'arte dell'arrosticino ha raggiunto vette talmente alte che nessuno può minimamente essere in grado di rimetterlo in discussione. Questo è un atteggiamento sociale molto diffuso purtroppo. Ora, a me si può dir tutto meno che io sia un uomo che parla se non ha perfettamente chiaro l’argomento e una profonda conoscenza di quella specifica materia.

Eppure, la forza dell'autorità dell'arrosticino non prevede che “un ribelle” possa o debba osare fino a tanto. Beh, c'è una buona notizia e una cattiva notizia. La buona notizia è che non è necessario andare, per forza, a smontare un concetto tanto caro ad una specifica compagine sociale ma è semplicemente possibile migliorare alcune sfumature per ingegnerizzare un protocollo e fare in modo che quella specifica preparazione sia, sempre utilizzando procedure ripetibili, niente di meno che perfetta. La cattiva notizia è che per riuscirci sarà necessario rimettere in discussione l'autorità di quello specifico complesso e analizzarla con giudizio e mettendo da parte quella stupida e inutile faziosità fine a se stessa. Andiamo al sodo. ALMANACCO 2019

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Si può migliorare l'arrosticino senza crearne delle varianti? La risposta è assolutamente sì. E ve la spiegherò tra un secondo ma non prima di aver chiarito alcuni aspetti fondamentali.

Tra l'altro, di solito, è sempre l’uomo che cuoce gli arrosticini. È raro che sia una donna a mettersi a prepararli. Perché? Perché stando vicino al tipico dispositivo di cottura (canala, furnacella) il fumo tende ad impregnare i vestiti ma soprattutto i capelli. E spesso l’odore non viene via nemmeno dopo essersi lavati. Perché l'arrosticino ha così tanto successo? Questo è un dato molto importante che vi tornerà Molti sostengono che sia merito dalla convivialità nel come un boomerang tra pochissimo. mangiarlo e della facilità di cottura. Ma questo vale, se ci pensate un attimo, per tutte le preparazioni attorno Dunque ricapitoliamo, il successo dell’arrosticino a un fuoco. non è ascrivibile alla convivialità, non è legato alla La fiorentina nasce proprio come un bisteccone enor- praticità di cottura. E allora a cosa è dovuto? me da condividere a tavola. Non è mai stato pensato Ve lo dico subito: è grazie a delle percezioni fisico-chicome un piatto singolo. miche, due in particolare. Il maialino sardo, idem. Le bombette, la porchetta, lo spiedo bresciano. E sono PRIMA PERCEZIONE: MOLECOLE PRODOTTE certo che non serve andare avanti e fare altri esempi. DALLA REAZIONE DI MAILLARD. Ovvio che l'arrosticino è un pretesto per la convivialità. Ma è per questo che ha successo? Direi proprio di L'arrosticino è, nel complesso, la preparazione con no. la più alta concentrazione di superfici sottoposte a reazione di Maillard. Nessuna, dico nessun'altra preAllora sarà per la facilità di cottura? parazione ha così tanta superficie cauterizzata in così Parliamo di pezzi di carne molto piccoli, cotti su una poco volume. brace a calore mediamente elevato, sono pronti in Un uomo adulto sarebbe perfettamente in grado di fretta e non richiedono molta attenzione. Chiunque tenere in bocca e masticare in scioltezza il contenuto può cuocerli. di 4 o 5 arrosticini senza colpo ferire. Questa piccola 316 - BBQ4All MAGAZINE


quantità di carne possiede più superficie cauterizzata di qualunque altra preparazione conosciuta. SECONDA PERCEZIONE: MOLECOLE PRODOTTE DALL'AFFUMICATURA DA GRASSO OVINO. Nessuno si sofferma mai su questo particolare. Il grasso dell'arrosticino, grazie al calore, si scioglie, cade sulle braci, si vaporizza istantaneamente e crea questo fumo molto profumato e intenso che investe gli spiedini con il tipico e concentrato aroma di “grasso di pecora nebulizzato”. Ora, se è vero che il grasso di pecora può essere o non essere gradevole al morso, non c'è alcun dubbio che l'aroma di affumicato del grasso ovino sia incredibilmente conturbante per chiunque. Questo aroma è la seconda caratteristica che rafforza, in bocca, la percezione complessiva di questo apparentemente “piccolo e semplice” pezzo di carne. Dovete tenere presente, anche se non vi piace, che la vostra bocca ragiona in termini bio-chimici. E il vostro cervello non ha nulla a che fare con questo. Più sensazioni potenti si accumulano sulla vostra lingua e più coinvolgente sarà il risultato finale. A questo punto abbiamo capito e credo non ci siano

obiezioni in tal senso. Non abbiamo creato varianti, non abbiamo stravolto nulla, non siamo costretti a dover cambiare connotati al piatto. Abbiamo semplicemente fotografato, nel dettaglio, una preparazione apparentemente sempliciotta ma che abbiamo inquadrato, a livello gastronomico, come una sorta di cannone nucleare caricato a uranio arricchito. Ora facciamoci la domanda più importante. Si può migliorare l’arrosticino? La risposta è ancora sì, ma dobbiamo, prima di fare qualsiasi ragionamento, capire quali possono essere le difficoltà che si incontrano durante la preparazione. Il primo punto che amo ripetere, e che questa volta adatto al nostro concetto, è che non ci sono arrosticini buoni e arrosticini cattivi: esistono cuochi buoni e cuochi cattivi. Ma in questo caso c'è un terzo incomodo che è quello che li prepara. Potrebbero essere spiedini artigianali e fatti in casa, potrebbero essere preparati da un macellaio o comprati al supermercato. Ora ditemi, tutti gli arrosticini sono uguali? Ma neanche per sogno. Ragionate con me.

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Prendete un venditore qualunque di carne di pecora. Se si trova in una zona in cui quel tipo di carne ha un suo mercato allora può valorizzarla in tantissimi modi. Ma se invece si trova in un luogo in cui la carne di pecora la si può vendere solo ed esclusivamente sotto forma di arrosticino, state pur tranquilli che la quasi totalità di quella carcassa diventerà arrosticino: spalla, coscia, lombata, collo e tutto il resto. Non vedrete mai una coscia di pecora spolpata in bella vista su un banco carni. E vi dico mai. O resterebbe lì a stagionare come il prosciutto; almeno fuori dall'Abruzzo. Adesso si pone il problema, anzi i problemi. Qual è la provenienza di quella carcassa? È una pecora pregiata, allevata con tutti i sacri crismi? È un prodotto importato e congelato? Sono tagli di spalla o di coscia? Come possiamo esserne sicuri una volta che è stata ridotta a cubetti da 1cm di lato?

palato il nostro boccone. Perché se questo grasso non ci fosse, per quanto saporito e profumatissimo, grazie alla grande quantità di Maillard e all'aroma di fumo di grasso ovino, il boccone sarebbe asciutto e ancora vagamente tenace. Di certo poco interessante. Un arrosticino cotto poco conserverebbe succosità. In uno cotto un po' più a lungo si potrebbe sciogliere il connettivo. Ma se in quel pezzo di carne non ci fosse connettivo, otterremmo un cubetto di segatura. Direi che abbiamo individuato tutte le criticità possibili dell'arrosticino. Siamo d'accordo? Proviamo a fare un elenco dei pro e dei contro dell’arrosticino:

PRO Maggiore superficie cauterizzata che è uguale a “tanto Ve lo dice lo Zio: è impossibile. sapore”. Aroma di affumicato dato dal grasso ovino vaporizzaChi ha mangiato arrosticini lontani dalla qualità “pre- to. mium” potrà confermare ciò che vi sto dicendo: a volte sono duri anche se cotti alla perfezione, a volte sono CONTRO morbidi. A volte sono succosi, a volte sono asciutti. Significativa perdita di liquidi a causa del calore elevaSe avete seguito la Mail Class il motivo dovrebbe es- to e della dimensione minima. servi chiaro. Ma ripassiamo velocemente. Impossibilità di sapere quanto connettivo è presente Questo cubetto messo in cottura sulla canala a fuoco in uno o più cubetti. medio-alto riceve sufficiente calore per ottenere due caratteristiche di base, e cioè la cauterizzazione ester- Come risolviamo il problema? Ve lo dico subito: non si na e la disattivazione della mioglobina, perché cotto a può. O meglio… temperature certamente superiori ai 72°C. Questo cosa ci dice? Non si può risolvere nello stesso spiedino, con gli Ci dice che c'è sicuramente sufficiente calore per ot- stessi tagli e con lo stesso tempo di cottura. Ma qualtenere questi risultati, ma anche che non ci sarà ab- cosa possiamo fare. bastanza tempo e umidità per sciogliere l'eventuale Variazioni minime e split. Che vuol dire? tessuto connettivo presente in quello specifico taglio; perché potrebbe trattarsi di un pezzo di collo, di stin- Vuol dire questo. co, di punta di petto. Sottoponendo un pezzo di carne al calore elevato non Avremo due “tipi” di arrosticino. c'è alcun dubbio che la denaturazione e la coagula- Il primo tipo ci servirà per creare aroma di affumicato zione delle proteine avverrà in concomitanza ad una e crosta di cauterizzazione. massiccia contrazione delle fibre, che farà fuoriuscire Il secondo tipo ci servirà per incrementare il livello di una significativa quantità di liquidi. Avremo il tempo succosità e gradevolezza al palato. di disattivare la mioglobina cioè far cambiare il colore Nel primo arrosticino useremo dei tagli ricchi di condella carne da rosso a grigio-marrione, avremo il tem- nettivo. E solo quelli. Spalla, petto, stinco, collo. po di cauterizzarla, ma il risultato sarà un cubetto di Nel secondo arrosticino useremo altri tagli, magari carne con il connettivo ancora intatto e praticamente quelli “pregiati” che non ne contengono. E in questi nessuna presenza di liquidi all'interno. Da qui, non c'è potremo usare meno grasso rispetto ai primi. dubbio che risulterà tenace alla masticazione. Li cuoceremo in due distinti batch di cottura. Badate: saranno solo i piccoli pezzi di grasso interval- Il primo cuoce più a lungo, in modo che possa fornirlati a quelli magri a rendere morbido e gradevole al ci cauterizzazione, aroma di affumicato e una buona 318 - BBQ4All MAGAZINE


parte di connettivo che diventerà gelatina mantenendo ancora succulenza. Il secondo cuoce di meno, dev'essere appena toccato dal calore, non dobbiamo ricercare cauterizzazione ma solo una veloce coagulazione esterna e un riscaldamento interno. Basta tenerlo su per pochi minuti e girarlo di tanto in tanto. L'alchimia è che dovranno essere pronti nello stesso momento e che dovranno essere mangiati “a coppia”, insieme, affiancati l'uno all'altro. Nello stesso boccone dovrò avere sia il cubetto “croccante”, grasso e cauterizzato, sia il cubetto morbido e succoso. Questo, e posso mettervelo per iscritto firmandovi qualsiasi contratto, non andrà a raddoppiare ma probabilmente a quadruplicare la potenza e l'esperienza gustativa dei nostri arrosticini. Non abbiamo stravolto nulla. Usiamo tagli diversi e tempi di cottura diversi. Poi li uniamo nello stesso boccone. E vi garantisco che è molto più semplice a farsi che a dirsi. Ora ditemi se siete ancora convinti che l'arrosticino non si possa migliorare o che a questa versione dovremmo cambiar nome. Per quanto possa non piacervi (già vedo il Tanaka all'ultimo banco con la katana arrugginita) adesso sapete esattamente perché alcuni arrosticini sono morbidi e altri no. E sapete dove sta il problema. Magari non proverete mai questa versione, nemmeno per curiosità. Ma il mio obiettivo non era farvela provare, era un altro. E credo di averlo raggiunto. Se hai letto fino a qui non guarderai mai più gli arrosticini con gli stessi occhi di prima. Da questo momento sai cosa cercare e a chi chiedere. Per il mio metro sarà comunque una vittoria. Gianfranco Lo Cascio

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INDICE N OV E M B R E 2 0 1 9 - N U M E R O 1 1 A N N O 1

APPROFONDIMENTI 3 2 2 . PO RT FO L I O

WAGYU

il manzo dell'armonia 328. WINE CLASS

acidità è libertà

una nuova grammatica del gusto contemporaneo 333. GUIDA AI DISPOSITIVI

KAMADO

il dispositivo ad alte prestazioni

SPECIALE

SPIEDINI

336. arrosticino, ancora tu? storia e tradizioni di un classico intoccabile italiano

340. MISTO o NON MISTO? questo è il problema

342. FRIGARUI 344. PINCHOS MORUNOS 348. SHISH TAOUK 350. SOUVLAKI 354. ANTICUCHOS 356. SATAYS 358. PEANUTS SAUCE 361. KUSHIYAKI 364. CORN DOGS 367. HONEY GINGER MUSTARD 368. FICO, RICOTTA & NOCI 372. VINI ABBINATI 374. BIRRE CONSIGLIATE 376. IL COCKTAIL DEL MESE

RUBRICHE 378. LO SPEZIALE DEL BBQ 382. #CHIEDIALCOACH 386. SEGUO 390. Q-CIVERBA 320 - BBQ4All MAGAZINE


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PORTFOLIO a cura di ROBERTO DAL BOSCO

WAgyū 和牛

I L MA N ZO DELL'ARMONIA Ci sembra corretto iniziare questa rubrica scrivendo della regina della marmorizzazione, l’imperatrice dei grassi insaturi, la meravigliosa creatura che può valere persino un migliaio di euro al chilo: il wagyu.

che sta a significare il bovino. Quindi vuol dire «mucca giapponese»? Sì, ma non esattamente: esistono due razze autoctone, la Mishima e la Kuchinoshima, ma – come è avvenuto per la lingua giapponese, che prende in prestito talmente tante parole dagli stranieri che ha Così come i patiti di foie gras non possono prescinde- praticamente un alfabeto solo per quelle – la «mucca re dalle oche francesi, il carnivoro non può (non deve) giapponese» oggi è un insieme di ibridazioni con razignorare le mucche nipponiche, ottenute con decenni ze importate dall’estero per la bisogna. di sforzi genetici e allevate con una cura indefessa e sublime. Una carne che è il trionfo della volontà e del- Pare che attorno al 400 a.C. arrivarono nel Sol Levanla disciplina dell’alimentazione umana. te le prime mucche dalla Corea; con la fine dell’era feudale e l’apertura del Paese al mondo nella seconda Genericamente, vi diranno: il wagyu è un cibo sbalor- metà del XIX secolo arrivarono anche le razze bovine ditivo, una carne tenera sino all’inconcepibile, la cui europee, che rafforzarono gli incroci. materia si disfa nella cavità orale provocando sensazioni inedite. Qualcuno sostiene anche abbia un re- I progenitori della mucche wagyu che ora arrivano trogusto quasi burroso, dolce, addirittura «floreale». sulle nostre tavole furono importati dalla Corea nel La verità è che, come con ogni capolavoro, ognuno 400 a.C. Già ai primordi, il giapponese desiderava depercepisce del wagyu un mondo tutto suo. gli animali da tiro più resistenti. Ciò aveva una conseguenza che per noi è di fondamentale importanza: Innanzitutto chiariamoci: il wagyu non è esattamente queste bestie dovevano produrre molto grasso intrauna razza. muscolare, perché è grazie ad esso che trovavano le energie per il loro pesante lavoro di fatica. Nel 1864 Letteralmente la parola è composta da 和 (wa) che è il iniziò l’immissione di bovini stranieri (dagli USA, dalcarattere che sta a significare «Giappone» e 牛 (gyū) la Germania, dalla Svizzera, dal Regno Unito) e quindi 322 - BBQ4All MAGAZINE


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la ricerca degli incroci che hanno creato il wagyu moderno. La filiera oggi vuole che i bovini wagyu siano acquistati all’asta ancora vitelli. Con l’eccezione di una razza (la Tankaku Washu, che vedremo più sotto) l’allevamento avviene in stalla, dove vivono di solito in coppia. Per citare le illuminanti parole di Gianfranco Lo Cascio riguardo al Miyabi Wagyu, la più pregiata sottorazza che viene dall’antica capitale Kyoto, in queste stalle «ci sono migliaia di capi, nessun odore sgradevole e zero mosche. Vivono costantemente su un letto di trucioli di legno di hinoki perché adorano quel profumo. In pratica il Wagyu Miyabi caga sul nostro parquet». Tale parquet, che talvolta può essere anche di Sugi (cedro), viene rinnovato ogni 2 o tre giorni. Il nutrimento del wagyu prevede cereali come mais e orzo; il riso viene declinato in diverse varianti: crusca di riso, concentrato di riso, insilato di riso intero. Sopra ogni cosa, il bovino wagyu vive mangiando ad abundatiam trebbie di birre. La trebbia è formata dalla crusca dell’orzo, dagli amidi e dalle proteine non solubili che escono dalla produzione della birra. In tutto questo processo, gli antibiotici sono severamente esclusi. Nel caso del Miyabi, l’acqua servita agli animali è solo di fonte, poiché

si ritiene che il suo livello di mineralità svolga un ruolo non di poco conto nell’equilibrio finale del sapore delle carne. In più, l’acqua viene leggermente riscaldata d’inverno e resa più fresca d’estate. Avrete sentito dire che questi fortunati animali sono massaggiati costantemente dai loro allevatori: è in parte vero. Coccole, carezze, spazzolamenti vari – sempre eseguiti con estrema delicatezza – inducono la bestia a percepire un affetto solido da parte dell’allevatore e a disintegrare ogni forma di possibile stress: anche questo sa-

rebbe un fattore che favorirebbe il miracoloso ingrasso. Nel 1985 il dottor Kyoshi Namikawa, all’epoca direttore esecutivo del Registro delle Associazioni wagyu in Giappone, presentò presso un simposio sul wagyu alla Washington State University (USA) l’idea che questa cosa dell’intendere la birra e i massaggi come elementi essenziali della superiorità di questa carne altro non fosse se non «un fraintendimento». Qualcun altro è arrivato ad asserire che la nutrizione a base di birra sia solo una leggenda metropolitana perpetuatasi negli allevamenti. Vi confermiamo che è così, sono tutti elementi fittizi che servono ad abbellire la narrativa. L’età di macellazione del wagyu varia, dipendentemente dagli animali, tra i 26 e i 30 mesi. Dopodiché, le carcasse vengono esaminate da ispettori indipendenti che devono rispettare essenzialmente il criterio del «rendimento» (che significa: la quantità di carne in rapporto al peso totale) e il criterio della «qualità». La qualità ha parametri

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precisi: della carne vengono giudicati il colore, la brillantezza, la compattezza, la marmorizzazione. Anche il grasso è valutato secondo la sua quantità, il suo colore, la sua luminosità. Il sistema di voto degli ispettori è stabilito con voti che variano da 1 a 5 – dove 5 è il voto più alto assegnabile. Il rendimento è classificato da C ad A – dove A è la valutazione migliore assegnata. Ogni carcassa è giudicata quindi secondo questi criteri. Una carcassa wagyu A5 ha ottenuto il massimo punteggio possibile; una carcassa C1 ha preso il voto più basso. Secondo la principale categorizzazione, il wagyu deriva solo da quattro razze. Kuroge Washu, Mukaku Washu, Nihon Tankaku Washu, Akage Washu. Il Kuroge Washu («razza nera giapponese», in inglese conosciuta come Japanese Black), antica razza da tiro con striature di grasso bianchissime, costituisce il 90% delle razze wagyu. È allevata ovunque nell’Arcipelago. Le sue ascendenze europee si possono tracciare nelle razze Braunvieh e Simmental (Svizzera), Shorthorn e Devon e Ayrshire (Gran Bretagna) e Holstein (Germania ed Olanda) con le quali è stata scientemente incrociata. L’allevamento della «nera giapponese» si è sviluppato nel sud-ovest del Paese, nelle prefetture di Kyoto e Hyogo nella regione del Kansai, ma anche nelle aree di Hiroshima, Okayama, Shimane, Tottori e Yamaguchi nella regione del Chugoku, nonché dalle prefetture di Kagoshima e Oita sull’isola di Kyushu e di Ehime sull’isola di Shikoku. Nel 1960 la popolazione totale della razza era di oltre 1.800.000 capi, mentre nel 2008 la cifra era scesa a 707.000. Nel 1999, il nero

giapponese costituiva circa il 93% delle mandrie bovine nazionali. Quando nel 1919 si iniziò ad usare l’etichetta «bestiame giapponese migliorato», vi furono notevoli variazioni tra le popolazioni presenti nelle varie regioni. Di conseguenza, si crearono diversi ceppi della «nera giapponese». Uno di questi è il ceppo Tajima («Tajima Ushi» o «Tajima-gyu»). Solo la carne proveniente da animali di ceppo Tajima, allevato solo nella prefettura di Hyogo (dove sta, appunto, la città di Kobe), può essere approvata per la commercializzazione come manzo di Kobe. Il Kobe fu il primo wagyu che gli stranieri assaggiarono in Giappone: nel 1853 venne riaperto il porto della città dopo secoli di isolamento, e i fortunati

forestieri tornarono a casa raccontando la prelibatezza della carne giapponese. Di qui la fama, che tuttora perdura immotivatamente, del celeberrimo «manzo di Kobe» (lo sapevate che Kobe Bryant deve il nome a questa pietanza assaggiata dalla madre durante la gravidanza?), che oggettivamente è meno delicato di altri ceppi di Kuroge. Per esempio il Kyoto Miyabi, impareggiabile per tessitura dello “shimofuri” (il grasso intramuscolare) e aromaticità. L’Ohmi (potete trovarlo scritto anche senza h, o con traslitterazione Ō mi) è invece il primo allevato per la sua carne, che possiede una marezzatura sottile ed è leggermente dolce. Si narra che al tempo

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in cui la consumazione di carne di manzo era vietata (vedi sotto), si offrissero al governatore sottili fette di Ohmi marinate nel miso a mo’ di rimedio medicinale. Esistono molti altri ceppi di wagyu di qualità come lo Yonezawa, l’Iwate Shorthorn, l’Itachigyu, il Kazusa, Miyazakigyu. Un’altra delle principali quattro razze che costituiscono il wagyu, è il Mukaku Washu («razza giapponese senza corna», in inglese Japanese Polled) è un incrocio del Kuroge con l’Aberdeen Angus allevata soprattutto nella prefettura meridionale di Yamaguchi, nel Sudest dell’Honsu, cioè la principale isola dell’arcipelago giapponese. Questa razza è considerabile come la più piccola. Ambo i sessi mancano delle corna. Il suo colore è nero. La situazione del bovino mukaku è stata segnalata dalla FAO come “critica” nel 2007: si pensi che nel 1978 la popolazione totale dichiarata era di 2242 capi, mentre nel 2008 se ne contavano in tutto 132. Non sussisterebbe, tuttavia, 326 - BBQ4All MAGAZINE

un rischio di estinzione immediata. La Nihon Tankaku Washu (in inglese Japanese Shorthorn) non è molto marezzata e rappresenta solo l’1,2% degli allevamenti nazionali. Le sue influenze esterne sarebbero l’Ayrshire e la Devon. È rossa o rossiccia, ed entrambi i sessi possiedono le corna. Si nutre di pascolo e avrebbe una quantità minore di grasso infiltrato rispetto altre. L’allevamento di questa razza si è sviluppato nella parte più settentrionale di Honshu, nelle prefetture di Akita, Aomori ed Iwate. Ad Aomori e Iwate, l’unica influenza straniera proveniva dal bestiame britannico dello Shorthorn, mentre nella prefettura di Akita c’erano anche alcune miscele di Ayrshire e Devon. Gli allevamenti sono distribuiti nel nord dell’Honshu e finanche in Hokkaido, la grande isola a Nord dell’arcipelago. La FAO nel 2008 ha ritenuto questa razza «non a rischio»: nel 2008 la popolazione totale dichiarata era di circa 4500 unità.


La Akage washu («razza rossa» o anche «razza marrone», che è come la chiamano gli anglofoni, «Japanese Brown») detta anche Akaushi (letteralmente: «mucca rossa»), è considerata la seconda per qualità, possedendo un buon equilibrio tra grasso e carne. La principale influenza straniera dell’Akage proviene dalla razza coreana Hanwoo e dalla svizzera Simmental. Gli allevamenti di Akage si trovano a Sud, nella prefettura di Kochi sull’isola di Shikoku e nella prefettura di Kumamoto sull’isola di Kyushu. Le Japanese Brown nella Prefettura di Kochi sono bruno-rossastre, mentre quelle nella Prefettura di Kumamoto sono marrone chiaro. Entrambi i sessi sono cornuti. I dati raccontano che nel 1960 la popolazione totale della razza era di oltre 525.000 animali, mentre nel 1978 si parla di 72.000 e nel 2008 di soli 18.672 – la FAO tuttavia definisce la sua situazione «non a rischio». L’Akage costituisce circa il 4,8% dell’allevamento nazionale di carni bovine. Un piccolo numero fu esportato negli Stati Uniti nel 1994. Secondo l’uso culinario giapponese, il wagyu deve essere tagliato in fette molto sottili che si possano sciogliere in bocca senza alcuna masticazione. Questo tipo di taglio consente, a parità di peso, più superficie da ridurre a cubetti. Le preparazioni giapponesi del wagyu sono declinate in modo plurimo, secondo quelle tradizioni locali che oramai sono conosciute in tutto il mondo: sukiyaki (cottura in piatto di ghisa con salsa di soia shoyu, zucchero e sakè dolce mirin), shabu-shabu (le fettine sottili cuociono in un brodo leggero), gyudon (cottura in brodo con mirin, shoyu e cipolla), seiromushi (cottura al vapore di un cestino di strisce di wagyu e verdure), teppanyaki (cottura alla piastra).

La portata del wagyu, trainata dai racconti di quegli uomini d’affari occidentali sconvolti dalla carne gustata alle cene di lavoro giapponesi, si è nel tempo estesa molto al di là dell’Arcipelago. L’Australia è il più grande polo di allevamento wagyu al di fuori del Giappone. I bovini australiani wagyu vengono alimentati con cereali per gli ultimi 300-500 giorni di produzione; In USA hanno incrociato il wagyu con l’Aberdeen, ottenendo quello che chiamano American Style Kobe Beef. Come in Australia, qualche saputo allevatore americano mantiene alcune linee genetiche di wagyu puro. Se vi chiedete perché i giapponesi siano così fanatici e perfezionisti riguardo alla carne di manzo, possiamo cercare di rispondere con la storia. Tra il 1635 e il 1853 era proibito consumare cibo proveniente da animali a quattro zampe, in quanto essi dovevano servire all’agricoltura. In pratica, più di due secoli di mancanza di ciccia hanno prodotto una fame cosmica, sfociata in una cultura di devozione ed eccellenza. Quest’ultima nota spirituale ci fa tornare quindi all’etimologia. L’ideogramma wa (和) che compone wagyu ha in realtà anche un ulteriore significato, che deriva direttamente dalla lingua cinese media del VI-X secolo: esso vuol dire «armonia», «pace». E cioè, un bene preziosissimo per l’essere umano, in ispecie in Oriente. Potremmo allora essere tentati di tradurre wagyu come «manzo dell’armonia». Avremmo forse ragione, e pensiamo di aver capito meglio il perché di questo immane, secolare sforzo zootecnico per creare queste carni perfette: immettere nel corpo umano il giusto carburante per la pace interiore.

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WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI

acidità è libertà U N A N U OVA G R A M M AT I C A D E L G U S TO C O N T E M P O R A N E O

(parte terza)

Dove eravamo rimasti? Ad un mantra che ha accompagnato alcuni decenni del grande vino di qualità: “importante”, materico, opulento, pieno. Immergetevi per un attimo in quello schema mentale perché vi assicuro che uscirne non è stato un gioco da ragazzi. Una bottiglia di vino per aspirare ai vertici qualitativi doveva essere voluminosa, avere cioè un estratto secco importante, un peso specifico sul palato che era quantomeno sintomo di ambizione (e non necessariamente di classe). Ci abbiamo creduto, è stato un assunto preso per buono sic et simpliciter e oggi possiamo guardare quasi con tenerezza alle numerose bottiglie parcheggiate in cantina che nemmeno chi le comprò ha voglia di stappare. Tanti nomi grossi e importantis328 - BBQ4All MAGAZINE

simi, che è meglio non fare perché nel vino qualcuno ha la querela facile: sì, i produttori in generale sono ipersensibili alle critiche scritte, pur civili. Io una certa deriva la ricordo bene perché ne ho intercettato la coda. Le tante note di degustazione anglofone che ho vivisezionato con attenzione per apprendere il linguaggio del vino – ben più del francese, la lingua internazionale della stampa di settore che conta è l’inglese – sono state a lungo un profluvio di full body (corpo pieno) quale precondizione del vino di alta qualità. L’immaginario collettivo dei fine wines si è alimentato di tanta “ciccia” a discapito di tutte quelle peculiarità che, come vedremo oggi, stanno uscendo dal letargo per guadagnare la ribalta che meritano.


Il modello estrattivo è stato duro a morire: dovunque tu fossi a produrre vino, qualunque fosse la tipologia di riferimento, con qualsiasi uva, per entrare nell’empireo dei grandi dovevi industriarti e tirare fuori il vinone: lungo, largo e imponente. In certi ambiti poco al passo coi tempi, è ancora così. Ricorda Tiziano Gaia, fino al 2008 collaboratore di quella che era la più importante guida ai vini italiana, Vini d’Italia dell’allora tandem Gambero Rosso/Slow Food: “Era l’epoca dei rossi mangia e bevi, peciosi, strafatti di alcol, bui come una notte senza luna, quel genere di vini che sputavi e veniva via un pezzo di lingua”. Qualcosa però è cambiato. Anzi molto, e per fortuna. Sulla scena è comparsa l’eleganza, una armonia delle forme meno impattante e più rarefatta, non misurabile in senso stretto ma incomparabilmente preferibile. Il vino contemporaneo che merita attenzione persegue un equilibrio stilistico ed estetico di cui oggi, finalmente, stiamo godendo appieno. Il prototipo del vino di qualità è ben più ampio e sfaccettato, non monocorde bensì articolato e, diciamolo pure, affascinante. Prima di entrare nel dettaglio, però, vorrei dirvi due parole su un vino che ho bevuto di recente e che può solo lasciare interdetto chi si avvicina per la prima volta ai vini di quella zona. La Mosella, regione tedesca tra i fiumi Mosel, Saar e Ruwer, è internazionalmente conosciuta per i suoi Riesling che non pochi degustatori considerano i vini bianchi più importanti del mondo (prendiamo sempre con le pinze certi assoluti e utilizziamoli con beneficio d’inventario). Note to self: associare la Germania alla birra trascurando il vino sarebbe un errore semplicemente madornale. Veniamo però al bicchiere. I vini tedeschi hanno nomi

impronunciabili come Eitelsbacher Karthauserhofberg Riesling Auslese 1993, Weingut Karthauserhof. Ci vuole più tempo a scrivere il nome che a finire la bottiglia perché certi Riesling giocano davvero un campionato a sé, hanno caratteristiche non solo irreplicabili ma anche impensabili altrove. Quali? Facile a dirsi. Immaginate di avere nel calice un vino con 26 anni sulle spalle – età che sotterra il 99,9% dei vini mondiali! – giallo dorato e luminoso, dal profumo ancora fresco e nitido di albicocche mature, salvia, crostata meringata al limone, pesca gialla e ananas, il tutto sfumato da una nota di benzina: insomma un tripudio di frutta un po’ fresca, un po’ esotica, un po’ grintosamente agrumata con l’aggiunta di quel profumo magneticamente intossicante che rimane sulle mani dopo aver fatto il pieno dell’automobile. Come ben sanno gli amanti del genere, una volta memorizzata, la gamma aromatica dei grandi riesling non ve la toglierete più dalla testa. Ma se al naso siamo già comodamente collocati in una zona di comfort, è in bocca che i Mosel Riesling di questo genere strabiliano (Auslese sta ad indicare una selezione di grappoli molto maturi e un conseguente residuo zuccherino molto importante, all’incirca 100 grammi/litro): somigliano maledettamente a dei succhi di frutta, dolci e poco alcolici (pensate, solo 8% vol.) in cui un ruolo predominante è giocato da un’acidità gloriosa che tiene in equilibrio un succo sensibilmente zuccherino ma per nulla stucchevole, golosissimo e dalla bevibilità irrefrenabile perché capite bene come tenore alcolico misurato, alta acidità e dolcezza primigenia mandino fuori scala i parametri comuni. Vino dal fascino discreto che conserva una cristallina eleganza e ferma il tempo, capace di adeguarsi a tavola come solo i fuoriclasse, tra piatti agrodolci, spezie piccanti e chi più ne ha più ne metta. E una buona parte del segreto di un flacone così è proprio lei, la negletta degli anni Novanta: benvenuta acidità! Perché l’asse portante, lo scheletro di certi highlander, è proprio una acidità perfettamente integrata che è garanzia di portamento fiero e immarcescibile tenuta del tempo; questo vino bevuto alla cieca potrebbe dimostrare facilmente 15 anni in meno. Non è un caso, quindi, che per approfondire le durezze del vino partiamo proprio da un vino tecniALMANACCO 2019

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camente dolce. Non si parla mai abbastanza della capitale importanza che la gestione dell’acidità ricopra nell’intelaiatura gustativa di un vino, sia esso bianco, ambrato, rosso, dolce o spumante. L’acidità è vita, conferisce freschezza (non nel senso termico) e vivacità (non nel senso di sovrapressione) ai liquidi, è lo scheletro di un vino e merita attenzione pari se non superiore a tutte le altre componenti. Un errore da evitare, però, è valutare l’acidità di per sé, in termini assoluti: è fondamentale analizzarne gli esiti contestualizzando la trama gustativa in cui si inserisce. Una semplice metafora sportiva renderà tutto più chiaro. L’atletica corre in nostro soccorso perché Usain Bolt e Eliud Kipchoge hanno una struttura ossea e muscolare completamente diversa. Recordaman entrambi, nei 100 metri l’uno e nella maratona l’altro. Potenza ed esplosività furibonda in un caso, leggerezza e resistenza nell’altro ma il comune denominatore è un telaio perfettamente adeguato agli scopi. Che déjà-vu leggere lo stesso concetto in un libro appena uscito: “I vini del Duemila correvano rapidi come Bolt ed erano preparati per dare tutto in meno di dieci secondi. I pochi, rimasti al passo di un maratoneta etiope, erano battuti in partenza” (sempre Tiziano Gaia, Stappato, Baldini+Casoldi). Allo stesso modo, sarebbe difficile convincere un marziano che Shaquille O’Neal e John Stockton abbiano praticato la stessa disciplina ma il bello del basket NBA, come del vino, è la molteplicità di espressioni tecnico-estetiche ai massimi livelli. L’acidità è uno dei parametri di riferimento in tutti i vini: fondamentale per bianchi e spumanti, alter-ego dei tannini nei vini rossi, bilanciamento necessario per i vini dolci. Gli acidi, insieme ad acqua e alcol, sono i componenti principali del vino. Sono presenti già nell’uva (prefermentativi) e si modificano con la trasformazione (postfermentativi) ma dovete sapere che il bevitore di vino occasionale un po’ ne ha timore. L’acidità ha un ruolo fondamentale nella bevuta e contribuisce in maniera determinante ad articolare il sapore di un liquido ma vale sempre la regola che un 330 - BBQ4All MAGAZINE

sapore morbido e dolce è più “facile” di uno marcato percettibilmente da acidità, tannini e sali minerali. Angelo Di Costanzo, sommelier stellato di lungo corso, ha sintetizzato come meglio non si potrebbe la cosa: “I sapori dolci sono popolari mentre quelli acidi conservano un non so che di quasi intellettuale. Più di qualcuno la pensa così, non sempre a ragione.” Freschezza gustativa, agilità del sorso e slancio sulla lingua sono caratteristiche peculiari imputabili all’acidità di un vino – fondamentale anche per la stabilità chimico-fisica e microbiologica – e prometto di rubare il minimo spazio necessario per parlare di due concetti fondamentali: acidità totale e pH (la “forza” degli acidi). Quando ci si confronta su un vino tra appassionati sono caratteristiche che possono comparire di sfuggita quindi meglio essere preparati. I principali acidi organici dell’uva sono l’acido tartarico, l’acido malico e l’acido citrico. L’acido tartarico è il più rappresentativo dei mosti e dei vini e in natura è poco diffuso al di fuori dell’uva: è la vera spalla dell’acidità, ha un sapore duro, un po’ aspro e amaro e nei vini il suo quantitativo varia da circa 2 a 5 g/l in base a zona di produzione, annata e tipologia di suolo. L’acido malico è presente in tutti gli organismi viventi e possiamo facilmente associarlo alle mele verdi:


acerbo, tagliente fin quasi abrasivo, quindi un acido “tagliente”, scarseggia nelle annate calde e la sua concentrazione può variare da 0 a 5 g/l. L’acido citrico è presente in minime quantità (0-0,5 g/l), caratterizza il gusto acidulo e citrino degli agrumi ma nel vino è meno rilevante. Durante la vinificazione, invece, si formano altri acidi detti postfermentativi o “di neoformazione”. Due su tutti. L’acido lattico è il risultato della fermentazione malolattica (operata dai batteri e non dai lieviti come quella alcolica) partendo dall’acido malico. Scontroso e incisivo uno, morbido e rotondo l’altro. Quando un vino in bocca è affilato come una lama, la domanda di rito al produttore è “ha fatto la malolattica?” proprio per capire da dove derivi tanta aggressività: utile per alcuni vini, deleteria per altri. Ben più delicato è invece l’acido acetico, che già nel nome fa suonare alcuni campanelli. Prodotto secondario delle fermentazioni alcolica e malolattica, definisce l’acidità volatile di un vino ed è un indice di sanità delle uve, di come procede la fermentazione e dello stato di conservazione del vino. Essendo appunto volatile è percettibile al naso e quando supera la soglia di guardia è un bel casino. La legge stabilisce anche dei limiti massimi, che sono 1,08 g/l di acido acetico pari a 18 meq/l per i vini bianchi/rosati e 1,2 g/l pari a 20 meq/l per i vini rossi. A questo proposito, di grande attualità è stato il caso

di Sébastien David, piccolo viticoltore francese della Valle della Loira, condannato dal tribunale a mandare in distilleria 2078 bottiglie del suo vino Saint-Nicolas-de-Bourgueil Coëf 2016 a causa di un’acidità volatile ritenuta dal giudice non adatta per il commercio in quanto superava, anche se di poco, la soglia di 20 meq/l. Dopo questo breve approfondimento tecnico possiamo fare una sintesi riassuntiva e prendo a prestito le parole di Gerardo Vernazzaro, enologo e viticoltore a Cantine Astroni sui Campi Flegrei (Napoli). Tenetele bene a mente perché quando ci si confronta su un vino saranno un utile binario del ragionamento. “Il vino ha mediamente un ph compreso tra 3 e 4 e fa parte quindi della famiglia delle sostanze acide. Più alto è il valore di acidità, più basso è il pH (più si avvicina a 3), più l’acidità è bassa più il pH è alto (più si avvicina a 4). Si aggiunga che un vino bianco con acidità totale 6,5–7,5 g/l e pH 3,10–3,30 ha maggiore potenziale di conservazione e quindi maggiore longevità; un vino bianco invece con acidità totale pari a 4,5–5,50 g/l e pH 3,40–3,70 avrà minore potenziale di conservazione, meno longevità quindi, ma sicuramente una maggiore godibilità nell’immediato.” Adesso sì che abbiamo parecchi elementi per muoverci con cognizione nei meandri del gusto contemporaneo. Perché dovete sapere che l’acidità di un vino si può modificare! Sia in alto che in basso, è una pratica

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aborrita dai vignaioli naturali (un capitolo infinito, quello del vino naturale, che tratteremo più avanti), per i quali il vino deve essere prodotto dall’uva senza aggiunte di sorta, ma in realtà comunissima nelle cantine di tutto il mondo ma perlopiù taciuta, mai manifesta seppur legalissima. L’acidificazione, in molte zone del mondo, è prassi comune per dare vitalità a prodotti stanchi, piatti e poco invitanti. Fece parecchio discutere, qualche anno fa, un wine blogger americano che, di ritorno da un viaggio stampa in Australia, osservò come laggiù praticamente tutti i vini fossero acidificati, cioè resi più freschi aggiungendo acido tartarico o altro. Scrisse infatti Alder Yarrow sul suo noto blog Vinography, riportando le parole di un enologo incontrato durante il viaggio:

idea del vino come espressione autentica del territorio è lontana un miglio. Tutti a riempirsi la bocca di pubbliche virtù poi in privato, tra vigne dimenticate da Dio e cantine buie, di vizi privati c’è solo l’imbarazzo. L’esperienza insegna, guai a fare nomi. A drizzare le orecchie se ne sentono di tutti i colori. Vini che partono da Puglia e Romagna diretti non-si-sa-bene-dove, Champagne fatto con bianchi siciliani e chi più ne ha più ne metta. Per uno scandalo che scoppia, 10 rimangono nei cassetti. Molti percepiscono che qualcosa non fili come dovrebbe ma poi casca tutto nel dimenticatoio in men che non si dica.”

Meno diffusa, visto il riscaldamento globale di cui tanto si parla in questi mesi, è la disacidificazione, pratica volta ad abbassare l’acidità fissa di un mosto/ vino mediante carbonato di calcio o bicarbonato di potassio. Quando le uve non arrivano a maturazione, in zone o stagioni particolarmente sfigate, o magari “Un enologo autraliano che dica di non acidificare sta con varietà come la barbera in cui l’acidità è sempre mentendo. (…) Nessuno ama parlare di acidificazione in spiccata e pungente, può servire anch’essa ben più di Australia come nessuno ama parlare di irrigazione in Ca- quanto si pensi. lifornia, o di chaptalization (lo zuccheraggio dei mosti) in Borgogna”. Chiudiamo con una provocazione. Siamo partiti da anni in cui il vino che andava per la maggiore doveva Non posso che sposare in pieno le parole del mio ami- essere morbido e concentrato, ci credereste mai che co Andrea Gori, sommelier informatico e oste da invece oggi si parli sempre più spesso di deriva acidiBurde a Firenze, il cui pragmatismo è di grande inse- stica? Ebbene sì, non ci facciamo mancare nulla e la gnamento per tutti: “Nessuno ne parla, e vorrei vedere. verità sta nel mezzo. Ci mancano ancora dei pezzi e li La lista delle pratiche lecite ma ben lontane da una certa vedremo a breve.

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GUIDA AI DISPOSITIVI a cura di MICHELE CHIPA

KAMADO il dispositivo ad alte prestazioni

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Molto spesso si sente parlare dei dispositivi Kamado e delle loro caratteristiche ma, nel mare di informazioni che si possono trovare sul web, c’è sempre un po’ di confusione. Di sicuro vi starete domandando quali siano i loro punti di forza e di debolezza, quali siano i risultati delle cotture e se siano migliori o peggiori degli altri dispositivi presenti sul mercato (kettle e affumicatori). Cercherò con questo articolo di chiarirvi un po’ le idee.

Analizziamo la struttura: il braciere, disposto in basso, presenta un’unica apertura che funge da vent in ed è utilizzata anche per rimuovere eventuale cenere in eccesso. All’interno del braciere è posizionato un supporto carboni rotondo, con delle fessure che permettono la circolazione dell’aria proveniente dalla vent in. Sopra al supporto carboni si può inserire un deflettore necessario alla cottura indiretta. Completano la struttura la griglia di cottura e il coperchio incernierato con una vent out. Visto che la cottura indiretta Origine del termine avviene con l’utilizzo del deflettore, non è necessaria La parola Kamado è di origine giapponese e significa la presenza di un coperchio rimovibile con vent out letteralmente “posto per il calderone”: di fatto indica orientabile. una tradizionale stufa giapponese alimentata a legna o a carbone. Ne esiste anche una versione portatile Punti di forza che viene identificata con il termine mushikamado: si Il primo, come già accennato in precedenza, è sicutratta di una pentola di terracotta rotonda, con coper- ramente la grande stabilità di temperatura, che porchio a cupola rimovibile. ta a un notevole risparmio di combustibile rispetto Date queste caratteristiche, ovvero l’alimentazione a ad altri dispositivi: una volta settato correttamente carbone, il materiale e la forma di costruzione, è evi- il Kamado è in grado di proseguire la cottura senza dente la facilità con la quale kamado abbia assunto nel tempo, nel linguaggio comune, il significato di “dispositivo di cottura in ceramica”. Caratteristiche principali Il Kamado ha delle caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono chiaramente dagli altri dispositivi. Innanzitutto, il materiale di fabbricazione: è costruito in ceramica con rivestimento esterno resistente alle alte temperature. Questo lo rende estremamente stabile per quanto riguarda la temperatura e, di conseguenza, economico nei consumi, poiché permette di utilizzare una quantità di combustibile abbastanza ridotta, vista la coibentazione raggiunta. Inoltre, proprio per favorire la stabilizzazione della temperatura, tra coperchio e braciere vi è quasi sempre una guarnizione in velcro per eliminare qualsiasi infiltrazione di aria. Per quanto riguarda la forma, si può dire che ricorda un uovo rovesciato con la punta tagliata. Questa particolare fisionomia ottimizza sia l’uniformità che i tempi di cottura. Il calore viene trasferito agli alimenti sia per irraggiamento (in cottura diretta) che per convenzione (cottura indiretta), ma l’elevato isolamento termico ne concentra l’effetto a favore della velocità. 334 - BBQ4All MAGAZINE


to il peso non trascurabile: si parla di almeno 80 kg di dispositivo. In aggiunta, la ceramica è sì un materiale durevole ma necessita comunque di alcune accortezze nell’utilizzo onde evitare rotture, che tradotto significa: attenzione agli urti. Infine, risulta un po’ macchinoso il passare dalla cottura diretta a quella indiretta e viceversa nelle cotture ibride. Per farlo è necessario togliere la griglia per poi inserire o levare il deflettore. rilevanti variazioni di temperatura. Inoltre, vista la In ogni caso, come potete capire da soli, i “pro” sono coibentazione, il consumo di combustibile sarà vera- nettamente maggiori rispetto ai “contro”. Tutti i grilmente minimo. ler, prima o poi, sognano di avere un kamado. PortafoA fine cottura, dopo aver chiuso le vent, la temperatu- glio permettendo, è chiaro. ra scenderà molto lentamente, una transizione utilissima per l’eventuale fase di rest o per mantenere calde le pietanze prima del servizio. Il secondo punto di forza è la versatilità. Nell’utilizzo quotidiano il Kamado è assimilabile ad un kettle, quindi è in grado di cuocere direttamente, indirettamente e di affumicare ma con risultati di livello superiore e sicuramente più facili da ottenere. La struttura sopporta anche un notevole range di temperature (fino ai 350°C) a patto di raggiungerli gradualmente per evitare di stressare troppo la ceramica. Il terzo punto di forza è la robustezza dei materiali: se non strapazzata, la ceramica durerà una vita. Ultima, ma non per importanza, la facilità di accensione: la struttura del supporto carboni permette di far partire la combustione direttamente all’interno del dispositivo magari utilizzando un accenditore ad aria calda oppure posizionandovi direttamente i cubetti. Punti di debolezza Di fatto, i punti di debolezza sono strettamente legati ai punti di forza. Innanzi tutto il Kamado è un dispositivo offerto ad un prezzo non esattamente accessibile a tutte le tasche, a causa proprio della tipologia e della qualità sia dei materiali che della struttura. Inoltre, è difficilmente trasportabile perché, nonostante il supporto con il quale viene venduto sia normalmente provvisto di ruote, dovrete mettere in conALMANACCO 2019

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SPECIALE SPIEDINI - APPROFONDIMENTO a cura di ALESSANDRO TREZZI

ARROSTICINO ancora tu?

storia e tradizione di un into ccabile classico italiano L’Italia è piena di religioni, di piatti storici, di tradizioni affermate e di dogmi intoccabili. La carbonara, la focaccia genovese, l’arancina siciliana, la bistecca alla fiorentina, il ragù napoletano: tutte preparazioni nelle quali vige l’intramontabile classicismo del “si fa come dico io”, “io sono genovese, di focaccia ce n’è una”, “ci va solo il rosso” e tante altre storie. Del resto fa parte del nostro carattere, è risaputo. Avere una delle culture gastronomiche migliori del mondo ci ha portato ad essere testardi, possessivi, fieri e profondamente patriottici, anche quando magari di cucina non ne capiamo poi così tanto. Il fatto è che, di regione in regione, nel nostro piccolo ma vivace stivale il panorama gastronomico cambia completamente nel giro di qualche centinaio di chilometri, raggiungendo una varietà smisurata e praticamente impossibile da scovare altrove. Alcuni di questi piatti si sono talmente radicati nelle aree di appartenenza da esser divenuti un vero e proprio culto. Prendete l’Abruzzo ad esempio: quando nella ridente riviera pescarese si fa una grigliata, il grosso del quantitativo di ciccia consumata è composta da dei piccoli e gustosi spiedini, gli arrosticini. E anzi, spesso e volentieri si mangia solo ed esclusivamente quello, un bastoncino dietro l’altro in una gara senza esclusione di colpi. Originariamente chiamati “rustolle” o “rustelle” (arrosti piccoli), quando successivamente il prodotto giunse nella zona vestina, venne adottata la dicitura ufficiale di “arrosticini”, anche e soprattutto per scopi commerciali. 336 - BBQ4All MAGAZINE

Ma cosa sono questi fantomatici arrosticini? Dove nascono? E perché sono così rinomati ed apprezzati? Vediamolo insieme. Gli arrosticini ieri Nonostante in passato si pensasse fosse espressione della transumanza (la migrazione stagionale delle greggi), ovvero un pasto consumato dai pastori costretti a stare lontani dalle loro case per un lungo tempo, l’arrosticino in realtà era un piatto tipico della pastorizia stanziale. Un pasto antico, legato alle più arcaiche usanze umane, rapportato alla forma di allevamento forse più longeva al mondo. La carne veniva tagliata in pezzetti di piccole dimensioni, intervallata al grasso ben più morbido e saporito, e infilzata in spiedi di legno molto appuntiti ricavati con tutta probabilità dalle piante acquatiche raccolte lungo il corso dei fiumi. Per lo scopo, venivano utilizzate pecore non più produttive, difficili da mangiare in altre maniere: leggenda narra che negli anni ’30 due pastori, tra le valli e i monti del Gran Sasso, tagliarono della carne di pecora vecchia in piccoli pezzi per non sprecarla, usufruendo anche delle zone vicine alle ossa dell’animale, utilizzando come spiedo un bastoncino di legno di “vingh”, (pianta spontanea che cresce lungo le rive del fiume Pescara), per poi cuocerla alla brace. Come spesso accade per le tradizioni più radicate, diverse sono le versioni storiche riguardanti le origini degli arrosticini, spesso in contrasto fra loro, che ne attribuiscono la paternità a due differenti province


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abruzzesi: Pescara e Teramo. Secondo lo storico Francesco Avolio, il territorio d’origine sarebbe quello a cavallo fra gli attuali comuni della zona del Voltigno, ovvero Farìndola, Villa Celiera, Civitella Casanova, Civitaquana, Catignano, e ancora Pianella, tutti comuni che attualmente fanno parte della provincia di Pescara, ma un tempo appartenevano invece a quella di Teramo. Altre versioni, invece, attribuiscono l’origine alla valle del Vomano ed al lato teramano del Gran Sasso, fra i comuni di Tossicia, Montorio e Isola del Gran Sasso. In periodo più avanzato iniziò a diffondersi l’utilizzo del castrato, ovvero la pecora di età superiore ai sei mesi e inferiore ai due anni. Può trattarsi di un maschio sottoposto a castrazione, o di una femmina che non abbia partorito. Con lo stesso termine si indica di fatto anche il taglio della carne ottenuto, macellato in primavera o autunno, dal sapore molto forte, sapido e pronunciato. Ciò che caratterizzava (e che caratterizza ancora oggi) questo piatto così famoso è senz’altro la cottura: i pastori, per non bruciare la parte di legno sulla quale non era attaccata la carne, staccavano un pezzo di grondaia, la riempivano con la brace e appoggiavano gli arrosticini, girandoli di tanto in tanto fino a cottura ultimata.

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Gli arrosticini oggi Pollo, maiale e alcune volte anche manzo: con il diffondersi dell’arrosticino anche fuori dal territorio abruzzese sono tante le varianti emerse. E tuttavia, il più amato è e rimane quello di pecora, per una ragione ben precisa: il grasso ovino, in termini di sapore, è in grado di donare un’esperienza senza eguali. Come è ovvio, al crescere della domanda è nata anche la pratica industriale, una produzione in serie di arrosticini con cubetti da 1 cm per lato e infilzati in spiedi di una lunghezza massima di 20 cm. Inutile dire che il vero cultore prediligerà sempre quello fatto a mano, con carne tagliata in tocchetti irregolari e intervallata a strati di grasso. Originariamente, per preparare l’arrosticino veniva utilizzata tutta la pecora per ovvi motivi: la disponibilità di carne del pastore era limitata, tant’è che il consumo riguardava principalmente animali vecchi, non più adatti ad altri scopi. Oggi di fatto cambiano le ragioni ma, specialmente in Abruzzo, la faccenda è sempre la stessa: in una regione dove la maggior parte del consumo della pecora è destinato a soddisfare l’alta domanda per gli spiedi più famosi d’Italia, alla formazione dell’arrosticino concorrono parecchi tagli dell’animale.


E tuttavia, a determinare la qualità del piatto stesso è la professionalità del macellaio: intervallando pezzi più ricchi di collagene, come collo o spalla, a pezzi ben più pregiati come la lombata e la coscia, creando sempre l’immancabile intramezzo di grasso. Solo così si avrà l’arrosticino perfetto, in grado di reggere una cottura diretta leggermente più lunga a temperatura più bassa, garantendo un risultato saporito e dall’ottimo contrasto tra morbidezza, succulenza e aroma inconfondibile. Esiste anche una versione, nata di recente e fortemente apprezzata dagli abruzzesi, preparata con del fegato ovino intervallata con delle fette di cipolla per smorzare il gusto forte della componente animale. La cottura Nata nelle grondaie colme di brace, ancora oggi la cottura dell’arrosticino è una fase fortemente entusiasmante e caratteristica. Lo strumento utilizzato dagli abruzzesi è la fornacella, un braciere che ricorda un canale di una grondaia, larga circa 10 cm e sopra alla quale è posta una griglia a fasce trasversali molto strette, mentre al di sotto, sulla scatola porta braci, vi sono i fori per l’ingresso dell’ossigeno necessario ad alimentare la combustione. Brace uniforme e la giusta distanza garantiscono la cottura unforme per tutti gli spiedini, che a causa della presenza di tagli colmi di collagene come il collo e la spalla non devono subire una cottura troppo violenta, o risulteranno asciutti e legnosi. Niente fiamma quindi, ma un letto di brace calda, grigia e livellata, in modo che la temperatura sia uguale in tutto il canale. Dato lo spessore molto piccolo della carne, determinare la temperatura interna con un termometro al fine di capire lo stato della cottura è alquanto difficile. Di base, una volta che la reazione di Maillard ha fatto il suo corso in tutti e 4 i lati, l’arrosticino può considerarsi pronto. A intensificarne le caratteristiche e il profilo gustativo, soprattutto se fatto con criterio, è l’aroma tipico conferito dalla griglia, e dato dal saporito grasso ovino che sciogliendosi cade sulle braci, evapora e investe nuovamente la carne. Inutile dire che la cottura di uno spiedino non richiede chissà quali abilità particolari, nessun “manico” o dote secolare: stiamo parlando di pezzetti di carne

di piccole dimensioni, che devono solo rosolare per qualche minuto su una griglia. Niente di più, niente di meno. A fare la differenza è come tale spiedino viene preparato, dai tagli utilizzati dal macellaio, dalla composizione dell’arrosticino e dalla qualità della materia prima, l’unica vera discriminante per una consistenza perfetta e un sapore caratteristico. Abbinamenti e servizio Rub, salse, marinate, brining, salamoia: nessuna di queste tecniche viene utilizzata ai fini della preparazione dell’arrosticino. A conferire il sapore necessario e sufficiente è il grasso del castrato, particolarmente intenso, sapido, pieno. L’unico abbinamento ammesso in Abruzzo consiste in fette di pane abbrustolite, condite con del buon olio extravergine di oliva. Gli arrosticini vengono serviti a tavola in veri e propri mazzi, avvolti nella stagnola o nei caratteristici vasi di terracotta lunghi e leggermente inclinati, in modo da mantenerli in temperatura mentre, uno dopo l’altro, vengono azzannati dai commensali. Un buon Montepulciano, formaggio fritto e frittelle di prosciutto e via, per l’abruzzese l’ingresso ai giardini dell’Eden è assicurato. ALMANACCO 2019

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SPECIALE SPIEDINI - IL METODO a cura di MICHELE CHIPA

MISTO or

NON MISTO

that is the question! La cottura degli spiedini potrebbe sembrare la più semplice della storia, seconda solo alla preparazione della pasta in bianco. D’altronde, cosa sarà mai necessario fare di così eccezionale per buttare sulla griglia dei semplici cubetti di cibo vario disposti più o meno ordinatamente su uno stecchino di legno? Ed invece, nella maggior parte delle volte, vi ritroverete a fare i conti con quella che mi piace chiamare la maledizione dello spiedino misto: una parte ancora cruda ed una parte stracotta. E qui parte il dilemma: rischiamo con una cottura non completa di una parte ma salvandone l’altra, oppure arriviamo alla fine, con il rischio di ritrovarsi parti carbonizzate? In questo articolo cercherò di darvi qualche dritta per scongiurare i problemi più comuni. Cosa sono gli spiedini Gli spiedini non sono altro che dei cubotti di varie tipologie di alimento infilzati su uno stecchino. Quelli più comuni sono definiti “spiedini misti”, ovvero un’accozzaglia di carni di tacchino, maiale e talvolta manzo alternati a verdure, molto spesso zucchine e peperoni. Lo stecchino è normalmente in legno, per quel-

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li comprati già pronti al supermercato, ma per quelli fatti in casa è possibile utilizzarne anche in acciaio.

volete cimentarvi nella scelta del taglio né calcolare le dimensioni dei vari pezzi, allora non vi resta che cercare di rendere più umido quello che cuoce prima, per evitare che si secchi. Sempre prendendo ad esempio Come si cuociono gli spiedini Lo so, la tentazione di spennellarli con l’olio e di but- i nostri spiedini di pollo e manzo, potrete iniettare il tarli così come sono sulla griglia è forte. Ma combat- manzo di brodo oppure avvolgerlo nella pancetta. tetela! La cosa veramente difficile da ottenere è il grado di Il terzo consiglio (per chi non vuole seguirei primi cottura desiderato di ogni parte dello spiedino, quindi due) è: smontate lo spiedino e rimontatelo dopo la il primo consiglio che vi do è: non acquistate spiedini cottura. Se non volete cercare spiedini di un singolo alimento misti! Scegliendo spiedini di una singola tipologia di materia e nemmeno volete impegnarvi nel crearne uno vostro, prima, o comunque di cibi la cui cottura al cuore è la oppure state seguendo una ricetta che prevede l’uso medesima, il vostro compito sarà solamente quello di di cibi molto diversi tra loro, non vi resta che cuocere rigirarli spesso per avere una reazione di Maillard più singolarmente gli alimenti e poi infilzarli nuovamenuniforme possibile su tutta la superficie e per arrivare te dopo il passaggio in griglia. Questo è l’unico modo al giusto grado di cottura senza carbonizzarne un lato. che avrete per ottimizzare la cottura di ogni alimento Questo se avete pezzetti di cibo molto piccoli infilati e rendere l’esperienza culinaria il più corretta possisullo stecchino. Vi affiderete invece a una cottura ibri- bile. da se avrete a che fare pezzi di alimenti (facilmente carne) un po’ più grossi: prima una cottura indiretta e C’è anche un quarto consiglio: siete degli sfaticati e poi una diretta. Fine. Missione compiuta con pratica- non volete seguire le mie indicazioni? Io con voi non griglio più. Arrangiatevi (qui però ci vorrebbe la facmente zero sforzo. cina sorridente, per farvi capire che sto scherzando). Il secondo consiglio (per chi non vuole seguire il primo) che vi do è: se volete per forza servire spiedini misti allora scegliete voi che tipi di cibi infilzare, senza affidarvi al caso o alla scelta di un operatore del supermercato. In questo modo arriverete al risultato con un po’ più di fatica rispetto alla situazione precedente ma comunque con facilità. Se scegliete alimenti con cottura al cuore differente potete affrontare il problema in tre modi: 1. Scelta del taglio: prendiamo ad esempio degli spiedini misti di pollo e manzo; il primo si serve a minimo 75 gradi mentre il secondo a 55 (in caso di cottura al sangue). Questo divario di cottura non è gestibile in griglia, e se scegliamo un taglio più ricco di connettivo per il manzo (collo, punta di petto, guancia) dovremo necessariamente tenerlo un po’ più in griglia per cercare di scioglierlo. 2. Dimensioni differenti dei cubetti: se non volete sbattervi nella scelta del taglio potrete giocare sulle dimensioni. Ritornando all’esempio di prima, potete diminuire quelle del pollo o aumentare quelle del manzo. In questo modo lo spessore differente vi permetterà di avere tempi di cottura simili. Di contro vi troverete un piatto degno della Guernica di Picasso, con brandelli di forma e dimensioni diverse tra loro. 3. Rendere più umido quello che cuoce prima: se non

Particolarità nella cottura di alcuni tipi di spiedini Alcuni spiedini, in virtù delle proprie caratteristiche, necessitano di alcune accortezze nella cottura. Spiedini di sole verdure: scegliete verdure dai tempi di cottura simili. Poiché questi alimenti sono ricchi di acqua e dovrete portarli a cottura lentamente, la temperatura da raggiungere deve essere media. In questo modo eviterete la carbonizzazione esterna in attesa della cottura. Lasciate la buccia sui pezzi: proteggerà il cuore da sbalzi di calore e permetterà una cottura più graduale anche della superficie sottostante. Spiedini di pesce: anche in questo caso vale il consiglio di utilizzarne tipologie omogenee in termini di cottura al cuore. Inoltre, poiché la carne del pesce è molto delicata, dovrete posizionarli in cottura su un supporto dedicato (basket) oppure frapporre un pezzo di carta da forno bagnata. In questo modo darete il tempo alla reazione di Maillard di avvenire senza far attaccare l’alimento alla superficie di cottura. Una volta ottenuta la crosticina, potrete rimuovere la carta da forno. Un alternativa gustosa è quella di appoggiarli su una placca di cedro alimentare, in modo da affumicarli leggermente e sfruttare gli oli essenziali del legno per conferire sapore.

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SPECIALE SPIEDINI - LE RICETTE

FRIGARUI

la bistecca del ladro

“Van Helsing:[Spiegando come uccidere la vampirizzata Lucy] Solo modo è che pianta un cavicchio puntuto dentro di suo cuore! Jonathan: Oh, ma è orribile! Non esiste un altro modo? Van Helsing: Esiste! Esiste che taglia sua testa, che tappa sua bocca con aglio e che strappa orecchi! Jonathan: Mi dia il cavicchio!” Così dicevano Mel Brooks e Steven Weber nel celebre film Dracula morto e contento. I vampiri, come è noto agli appassionati, si combattono con l’aglio. Il metodo proposto da Mel Brooks nei panni del dott. Van Helsing è un po’ truce, ma dopotutto le storie che trattano di vampiri citano l’aglio come unico rimedio per difendersi. Forse è proprio per questa ragione che i rumeni sono dei grandi estimatori di questo bulbo. La pietanza risente dell’influenza della lunga dominazione ottomana. I turchi dominarono per lungo tempo quest’area, diffondendo le loro tradizioni culinarie, tra cui il famoso kebab. Negli anni il popolo rumeno ha fatto suo questo piatto, modificandolo fino ad arrivare a quello che oggi conosciamo come Frigarui. Si prepara adoperando diverse tipologie di carne, quali manzo, maiale, agnello o pollo. La versione che vi proponiamo è quella di maiale, ma potete sbiz342 - BBQ4All MAGAZINE

zarrirvi cambiando le tipologie di carne secondo il vostro gusto personale. È uno spiedino misto di carne e verdure, per cui come potete ben immaginare, lo cucineremo scomposto e poi lo comporremo successivamente prima di ripassarlo in griglia. Preparazione 1. Pulite il maiale rimuovendo gli eccessi di grasso e tagliatelo a cubetti 2. Mettete la carne in una ciotola sufficientemente capiente e aggiungete il pepe, il sale, il succo del limone, lo zucchero, lo zenzero, l’aglio, le erbe e lo yogurt. Lasciate riposare in frigo almeno 4 ore (24 è meglio) 3. Accendete il kettle e settatelo per una cottura indiretta 4. Cuocete la cipolla, i peperoni e i funghi nel basket apposito per le verdure, condendole con sale, pepe, olio d’oliva e aceto di mele. Quando saranno cotte, tenetele in caldo. 5. Componete alternando un pezzo di arista con uno di scamerita 6. Cuocete adesso lo spiedino a cottura indiretta fino a quando il maiale non avrà raggiunto una temperatura di 68°C al cuore 7. A questo punto smontate ve-

locemente gli spiedini e rimontateli aggiungendo le verdure. Finite gli spiedini in cottura diretta facendo raggiungere al maiale la temperatura di 72° al cuore. 8. In un mortaio pestate l’aglio precedentemente sbucciato con il sale e il pepe fino a raggiungere una consistenza cremosa 9. Travasate il composto ottenuto in una ciotola e aggiungete la panna acida e l’olio 10. Mescolate bene e lasciate riposare in frigo fino al momento di servire Cosa fare minuto per minuto, se volete servirli a cena 0re 18.00 del giorno precedente: mettete il maiale a marinare 0re 18.30 del giorno stesso: preparate il kettle Ore 19.00: cuocete le verdure Ore 19.30: componete lo spiedino Ore 19.35: cuocete gli spiedini Ore 19,45: preparate la salsa all’aglio Ore 20,10 circa: passate gli spiedini in cottura diretta Ore 20.20: serviteli ben caldi con la salsa


INGREDIEN TI

P ER 4/6 P ERS O N E PER GLI SPIEDINI • 500 g di scamerita di suino • 500 g di arista di suino • una cipolla rossa • due peperoni • 500 g di funghi Champignon • olio di oliva due cucchiai • aceto di mele q.b. • sale e pepe q.b. PER LA MARINATA • mezzo cucchiaino di pepe • il succo di mezzo limone • un cucchiaino di zucchero • mezzo cucchiaino di zenzero • due spicchi schiacciati aglio • 500 g di yogurt bianco • Timo, rosmarino, salvia q.b. • sale e pepe q.b. PER LA SALSA ALL’AGLIO • Un’intera testa d’aglio, sbucciata e separata in spicchi • un cucchiaino di sale • due cucchiai di olio di semi di girasole o di oliva • mezza tazza di panna acida • Pepe nero a piacere • sale q.b.

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SPECIALE SPIEDINI - LE RICETTE

PINCHOS MORUNOS

gli spiedini...de fuego La cucina spagnola è rinomata in tutto il mondo per la ricchezza di colori ed è apprezzata per i sapori intensi e decisi, dovuti alla grande utilizzo di spezie che seducono non solo la vista ma anche il palato. La ricetta che vi proponiamo, oltre a soddisfare in pieno queste due caratteristiche, è famosa a causa della sua estrema piccantezza, tanto da essere tradizionalmente servita con del té alla menta per mitigare le fiamme dell’inferno che si scatenano in bocca dopo il primo morso. Stiamo parlando dei Pinchos Morunos, spiedini realizzati con carne di pollo o di suino (alternata a volte a peperoni dolci); in pratica sono la variante spagnola del Kebab. L'aggettivo moruno di questo spiedino si riferisce alla sua origine nella tradizione culinaria dei paesi arabi. L’estremo mordente di questa pietanza deriva dalla generosa dose di paprika piccante o di peperoncino usati per insaporire la carne(noi abbiamo usato il filetto di maiale). Nel nostro caso, abbiamo opta-

to per la paprika dolce e abbiamo usato il peperoncino jalapeño per apportare la pungenza necessaria. Solitamente viene usato fresco e verde, quando la capsaicina, il composto responsabile della piccantezza, è presente in quantità minore rispetto a un jalapeño rosso e maturo. Ma per questa ricetta si usano i jalapeños essiccati che hanno raggiunto quindi la piena maturazione, rendendo il gusto degli spiedini veramente infuocato. Noi abbiamo voluto dare un tocco tutto nostro a questi deliziosi spiedini, per cui abbiamo deciso di optare per una cottura ibrida: abbiamo prima marinato e poi affumicato il filetto intero affinché mantenesse morbidezza e succosità; poi lo abbiamo porzionato creando i cubetti di carne, abbiamo creato gli spiedini alternando carne e peperoni (anch’essi preparati a parte) e infine li abbiamo posti di nuovo in cottura direttamente sul calore, in modo che risultassero cotti alla perfezione, con una bella crosticina ma ancora morbidi e gustosi.

Preparazione 1. In un recipiente capiente versate l’olio, il succo di limone e le spezie in polvere, insieme all’aglio e all’origano tritati finemente. Mescolate bene gli ingredienti tra loro e aggiungete la senape che farà da stabilizzante in modo che la parte grassa (olio) non si separi da quella acida (limone). 2. Mettete la carne nella marinata, tenendovene una piccola quantità da parte, coprite il tutto con la pellicola alimentare e riponetela in frigo per tre ore circa. 3. Lavate i peperoni sotto l’acqua corrente, tagliateli a metà, eliminate i semini al suo interno e divideteli in quadretti. 4. Preparate il dispositivo per una cottura sia diretta che indiretta, quindi mettete il carbone non al centro ma da un solo lato della griglia. Stabilizzatelo a circa 150 gradi. 5. Disponete le verdure nel basket (vassoio bucato sul fondo) e conditele con olio, sale e aceto. 6. Ponete il basket sulla griglia direttamente sulla fonte di caALMANACCO 2019

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lore avendo cura di girare i peperoni ogni tanto, sono pronti quando hanno acquistato una bella brunitura. 7. Mettete i peperoni cotti nel forno pre-riscaldato a 50° C per mantenerli caldi in attesa che la carne sia pronta per formare gli spiedini. 8. Togliete dal frigo il filetto almeno mezz’ora prima di andare in cottura, eliminate dal maiale l’eccesso del composto in cui era immerso tamponandolo con della carta da cucina e spolveratelo con un mix di sale, paprika dolce e jalapenos essiccati. 9. Adagiate il maiale sulla griglia in cottura indiretta, ovvero dalla parte opposta delle braci, affumicate con tre o quattro manciate di chips di legno aromatico (melo) e chiudete il coperchio. 10. Quando la carne arriva a 72°C togliete il filetto dalla cottura tagliatelo in piccole parti velocemente, poi iniziate a formare lo spiedino montandolo in questo modo: due pezzi di carne e uno di peperone, e così via. 11. Ungete gli spiedini utilizzando la marinata che vi siete tenuti da parte e ripassateli per qualche istante sul calore diretto per formare la deliziosa crosticina. 12. Serviteli con l’immancabile tè alla menta. Come preparare gli spiedini minuto per minuto, se volete

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servirli a cena: Ore 14,30: preparate la marinata. Ore 15,00: mettete la carne nella marinatura e riponetela in frigo. Ore18,00: preparate il dispositivo. Ore18,15: pulite e tagliate i peperoni Ore18,30: nel basket cuocete i peperoni in cottura diretta. Ore19,00: tenete in caldo i peperoni nel forno pre-riscaldato a 50°C Ore 19,15: togliete la carne dalla salamoia e spoverizzatela col rub di parika e peperoncino. Ore 19,30: mettete il filetto in cottura dalla parte opposta delle braci. Ore 20,15 circa: quando la carne ha raggiunto la giusta temperatura porzionatela e con i peperoni formate gli spiedini. Ore20,30: ripassate gli spiedini per alcuni istanti in griglia.


INGREDIENTI

P ER 4 P ERSO N E • 800g di filetto di maiale • 200ml di olio extravergine di oliva q.b. • il succo di un limone • mezzo cucchiaino di senape • due cucchiai di paprika dolce • un cucchiaio di zenzero in polvere • due spicchi d’aglio • un rametto di origano fresco • un cucchiaino di cannella • mezzo cucchiaino di chiodi di garofano in polvere • un cucchiaino di curry • un cucchiaino e mezzo di jalapeño essiccati • due peperoni rossi • Aceto di mele q.b. • Sale q.b. • quattro tazze di té alla menta

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SPECIALE SPIEDINI - RICETTA a cura di MICHELA BONGIORNI

SHISH TAOUK e quel sapor mediorientale

Nel nostro viaggio in giro per il mondo alla ricerca dello spiedino più buono che ci sia, non poteva mancare una tappa in medioriente per assaggiarne uno tradizionale, fatto con pollo marinato allo yogurt. Tipico di questi luoghi, lo Shish Taouk è largamente consumato in Turchia, in Libano, in Egitto, in Giordania, in Siria, in Palestina, in Iraq e in Israele. A seconda del Paese in cui viene preparato, lo Shish Taouk viene servito in modi diversi: ad esempio in Turchia viene generalmente consumato con una salsa allo yogurt, riso e verdure grigliate; in Israele viene mangiato insieme a una focaccia, farcita con cipolle fritte e peperoncini piccanti alla griglia, oppure con insalata e sottaceti. In Libano questi deliziosi spiedini sono solitamente serviti con hummus e tabbouleh, ed è proprio questa la versione che abbiamo rivisitato per il nostro Magazine. Lo so cosa state pensando con facce deluse, che sono solo spiedini di pollo; so quanto quel povero volatile sia considerato una roba da sfigati dai vari griller. Voglio dire, perfino Mc Donald’s nei suoi totem, quelli di nuova generazione che si usano per ordinare, differenzia i suoi panini tra carne e pollo, il che fa pensare subito che quest’ultimo sia talmente infimo da non avere il diritto di essere posto nella stessa categoria degli hambur348 - BBQ4All MAGAZINE

ger (e non è che quegli hamburger siano esattamente i migliori sul mercato). Invece no, cavolo! Io da sempre lotto per la dignità del disgraziato pennuto, tanto da averlo scelto più volte come la mia preparazione principale in gare di barbecue. Lo amo, che posso farci? Lo adoro e cerco sempre ricette che possano rendergli la giustizia che merita. In un mondo in cui tutti venerano, giustamente, il re Manzo, e al massimo si consolano col principe Maiale, io difendo anche il popolano, volgarissimo, bistrattato Pollo. Questi spiedini, insieme a quelli greci, rendono finalmente giustizia al mio adorato pollastro. La marinatura a base di yogurt e la speciale cottura ibrida, che vedremo fra poco, gli conferiscono una tenerezza e una succosità che vi faranno sgranare gli occhi. In barba al Mc Donald’s, gli Shish Taouk fatti sul bbq entrano di diritto nella categoria- ve lo dico alla toscana- è bòno esagerato. Provare per credere.

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Preparazione 1. Preparate la marinata per i pollo, con lo yogurt, l’aglio tritato, l’olio, il sale, il pepe e il succo di limone. 8. 2. Tagliate a pezzetti di media grandezza il petto di pollo e poi mettetelo a marinare per almeno 4 ore, meglio per una notte

intera. Fate lessare i ceci che avrete tenuto a mollo dal giorno prima. Tostate in una padella antiaderente il sesamo per pochi minuti, facendo attenzione che non bruci. Trasferite i semi in un frullatore, aggiungete l’olio e riducete tutto a crema. Nel bicchiere del mixer versate i ceci lessati, due cucchiai della crema di semi di sesamo, il succo del limone, lo spicchio d’aglio, l’olio e un pizzico di sale. Frullate tutto bene e poi trasferite in una ciotola: è pronto l’hummus. Preparate il dispositivo per una cottura indiretta stabilizzandolo a 150 gradi. Togliete il pollo dalla marinata e infilzatelo sugli spiedini. Poi ponetelo in cottura indiretta, chiudendo il coperchio ed eventualmente affumicando con il legno che preferite. Nel frattempo preparate il tabbouleh: sciacquate i 200 g di burghul, mettetelo in una pentola con acqua salata e cuocetelo per 5-6 minuti. Sgocciolatelo e mettetelo su un telo pulito a raffreddare. Tritate il cipollotto insieme alla menta e al prezzemolo; condite il burghul con il trito, il succo di limone, l’olio, il sale, il pepe e un pizzico di cumino.


I N G RED I EN TI

PER 4 PER SONE PER GLI SPIEDINI • un petto di pollo di medie dimensioni • Il succo di un limone • due spicchi di aglio • 100 g di yogurt bianco • Paprika dolce q.b. • due cucchiai di olio extravergine di oliva • sale e pepe q.b. PER IL TABBOULEH: • 200 g di burghul • un cipollotto • una rametto di menta • il succo di un limone • cumino q.b. • prezzemolo q.b. • olio extravergine di oliva q.b. • sale e pepe q,b. PER L’HUMMUS: • 250 g di ceci secchi • 100 g di semi di sesamo • 20 g di olio di semi di sesamo • uno spicchio d’aglio • il succo di un limone • olio d’oliva q.b. • sale e pepe q.b.

9. Quando gli spiedini avranno raggiunto la temperatura di 72 gradi al cuore, spennellateli con olio e spostateli per qualche istante in cottura diretta. 10. Serviteli caldi con hummus e tabbouleh.

Cosa fare minuto per minuto, se volete servirli a pranzo: Ore 18 del giorno precedente: mettere i ceci in ammollo e mettere il pollo in marinata. Ore 8 del giorno stesso: mettere i ceci a cuocere Ore 9,30 circa: preparare l'hummus Ore 11: accendere il dispositivo,

stabilizzandolo a circa 150 gradi e preparare gli spiedini Ore 11,30 circa: mettere a cuocere gli spiedini in cottura indiretta Ore 11,35: preparare il tabbouleh Ore 12 circa: controllare gli spiedini e, se sono pronti, spostarli in cottura diretta Ore 12,20 circa: servire gli spiedini con tabbouleh e hummus ALMANACCO 2019

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SPECIALE SPIEDINI - LE RICETTE

sulla cima dell'Olimpo

AN CH E LE DIV IN I TÀ MANGI ANO

SOUVLAKI

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I N G REDI EN TI

PER 4 PER SONE PER GLI SPIEDINI • un petto di pollo grande • 100 ml di olio extravergine di oliva • il succo di un limone • due cucchiaini di senape • un cucchiaio di BBQ4All Tennessee Mild Dry Rub • sale e pepe q.b. PER IL RISO ALLE VERDURE • 500 g di riso Basmati • tre zucchine • due peperoni • una melanzana grossa • una cipolla rossa • prezzemolo • aglio q.b. • aceto di mele q.b. • 100 g di formaggio Chili, lime & Tequila Cheddar • olio extravergine di oliva q.b. • sale e pepe q.b. PER LA SALSA TZATZIKI • un cetriolo • 350 g di yogurt greco • mezzo limone • due spicchi d’aglio • due cucchiaio di olio extravergine di oliva • un mazzetto di aneto • sale q.b.

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Classico spiedino della tradizione culinaria greca, il famoso Souvlaki può essere tranquillamente definito il re del fast food ellenico. Da quelle parti, infatti, si trova un po’ ovunque, sia nei vari baracchini per strada, sia nei ristoranti, e può essere declinato in numerose varianti: preparato con carne di agnello, di maiale, di pollo, servito con la Pita, al piatto, con il riso e le verdure, con varie salse e condimenti. La caratteristica principale è l’essere monotematico: non si mescolano più tipi di carne insieme, il che per noi è un’ottima cosa, considerando che in questo modo avremo la cottura uniforme. La nostra versione è col pollo, ma potete tranquillamente sostituirlo con il tipo di ciccia che preferite. Tradizionalmente viene buttato sul fuoco in cottura diretta e cotto in pochi minuti, ma noi useremo una cottura ibrida: prima un’indiretta e poi una velocissima passata sul fuoco per creare la reazione di Maillard. Già che ci siamo diamo anche un’affumicatina veloce. Abbiamo poi scelto di servirlo con un riso basmati condito con verdure grigliate e aromatizzate con un formaggio Cheddar al peperoncino, lime e tequila. Siamo stati più tradizionali con la salsa, scegliendo la classica tzatziki. Ne è uscito un piatto completo, gustoso, eccezionalmente saporito e appagante. Vi darà l’allegria anche senza strane polverine che sembrano talco ma non lo sono (cit.). 352 - BBQ4All MAGAZINE

Preparazione 1. Preparate la marinata mescolando olio, senape, limone e il rub BBQ4All. 2. Tagliate a pezzetti di media grandezza il petto di pollo e immergetelo nella marinata; lasciatelo in frigo per almeno 4 ore. 3. Tagliate le verdure a cubetti, mettetele nell’apposito basket per verdure e conditele con olio, aceto di mele, sale e pepe 4. Preparate il dispositivo per una cottura diretta e cuocete le verdure, lasciandole croccantine. Toglietele dal fuoco e tenetele al caldo. 5. Preparate la salsa Tzatziki: sbucciate il cetriolo e grattugiatelo grossolanamente. Mettetelo in un colino e lasciate scolare l’acqua di vegetazione per un’ora. 6. Nel frattempo tritate finemente l’aglio fino a ridurlo alla consistenza di una crema, In una terrina versate lo yogurt, unite l’aglio e il cetriolo ben strizzato. 7. Aggiungete l’olio a filo e il succo di mezzo limone; mescolare con un cucchiaio e aggiustate di sale. Insaporite con un po’ di aneto tritato. 8. Montate gli spiedini col pollo tolto dalla marinata e poneteli in cottura indiretta, stabilizzando il dispositivo a circa 150 gradi. Affumicate secondo il vostro gusto. 9. Nel frattempo, scottate il riso basmati per qualche minuto in acqua salata, poi trasferitelo nel wok (su un altro dispositivo o sul fornello di casa) insieme all’olio extravergine

di oliva e a due spicchi d’aglio tritati. 10. Fatelo insaporire, poi bagnatelo con un po’ d’acqua salata o brodo: aggiustate di sale, aggiungete le verdure e a fine cottura aggiungete il Cheddar sbriciolato e una bella macinata di pepe. 11. Dovrebbero essere pronti gli spiedini: spostateli in cottura diretta per pochi minuti e poi serviteli con il riso e la salsa tzatziki Cosa fare minuto per minuto, se volete servirli a cena: Ore 15: mettete il pollo a marinare Ore 16: preparate la salsa tzaziki e mettetela in frigo Ore 18,30: tagliate le verdure e accendere il kettle Ore 19: mettete a cuocere le verdure Ore 19,20: togliete le verdure dal fuoco, preparate gli spiedini e mettete il riso a bollire Ore 19,30: mettete a cuocere gli spiedini in cottura indiretta Ore 20: preparate il riso Ore 20,15 circa: mettete gli spiedini in cottura diretta Ore 20,30 circa: servite gli spiedini col riso e la salsa


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SPECIALE SPIEDINI - LE RICETTE

DIR ET TAME NTE DAL PE RÙ

ANTICUCHOS mettiamoci il cuore!

Immaginate di ritrovarvi a costeggiare l’Urubamba, nel bel mezzo della Valle Sacra. Mentre camminate nel sentiero Inca che porta a Machu Pichu, sentite le vostre narici sovrastate da un profumo di carne arrosto, che vi invoglia a raggiungere il punto da cui si alza la colonna di fumo. Spinti dall’acquolina, decidete di scoprire di cosa si tratta. Ormai il vostro olfatto è inebriato dall’aroma di quella carne, tant’è che raggiungere il tempio diventa persino secondario. Fin qui tutto bello e avventuroso. Chi non verrebbe essere sommerso dal buon odore di arrosto nel pieno di una passeggiata lungo un fiume, nel bel mezzo della Foresta Amazzonica? Tutti tranne voi, perché il profumo di quel buon cibo ve lo portiamo noi a casa. Questo è un piatto tipico del Perù, ed è da leccarsi i baffi. È una sorta di Ayahuasca, la droga degli sciamani, ma senza effetti purganti (per quelli allucinogeni, fateci sapere). Stiamo parlando dell’Anticucho, un piatto antico dell’epoca degli Inca, composto da uno spiedino di cuore di vitello marinato in una salsa molto gustosa. Anticamente fatto con carne di lama o di alpaca, nei secoli si è trasformato in spiedino di carne di vitello. 354 - BBQ4All MAGAZINE

Elemento principale per eseguie l’aglio schiacciato. Tenetene re il piatto è l’Aji Panca, un pepeuna piccola parte per spennelroncino peruviano che si trova in lare in cottura. commercio nei negozi alimentari 6. Versate la marinatura nella internazionali, già essicato o sotto boule e amalgamate bene il forma di salsa. tutto per insaporire la carne. Salate e pepate a piacere. L’Aji Panca essicato va trattato pri- 7. Coprite la boule con pellicola ma dell’utilizzo. Cento grammi dee lasciate marinare in frigo per vono essere idratati per una notte 4 ore. intera con una quantità di acqua 8. Trascorso il tempo di mariche va dal 30% sino al 60% rispetnatura, prendete degli spiedini to al peso della materia prima. Una di legno e iniziate ad infilzarci volta idratati, i peperoncini vanno i pezzi di cuore in verticale per aperti per la lunghezza e ripuliti al la lunghezza. Per ogni spiediloro interno. Poi vanno frullati. La no, considerate circa 4/5 pezzi loro polpa va utilizzata in questa 9. Settate il vostro dispositivo per proporzione: 30/40g per ogni 100 g una diretta tra i 180°/ 200° C . di cuore di vitello. Fate cuocere 4 minuti per lato, spennellando con la marinatuVediamo come preparare il nostro ra tenuta da parte. Anticucho. 10. Se volete servirlo in piena tradizione peruviana, è bene Preparazione che cuociate anche delle patate 1. Prendete il cuore di vitello e e delle pannocchie di mais. Le trimmatelo da tutti i grassi e i patate potete farle in ember tessuti connettivi. roasting, e la pannocchia po2. Dividetelo per il lungo e taglitete bollirla e poi passarla con atelo ricavando fettine di circa burro e sale in griglia. Otter5x 5 cm, spesse 2 cm rete un piatto fantastico dal 3. Inseritelo in uno scolapasta e sapore unico, tipico e carico di procedete col lavaggio accusapore. rato. 4. Scolatelo e asciugatelo per bene. 5. In un altra boule, versate l’aceto di vino rosso, la salsa di Aji Panca, il cumino in polvere


I N GREDIEN T I PER 3 SP I EDI NI • • • •

300 g cuore di vitello già pulito 120 g di salsa di aji panca uno spicchio d’aglio schiacciato un cucchiaio di aceto di vino rosso • un cucchiaio di cumino in polvere • sale q.b. • pepe nero q.b.

Cosa fare minuto per minuto, se volete servirli a cena: Ore 15.00: pulizia del cuore e trimmatura. Ore 15:20: scaloppate il cuore a fettine e lavate, scolate e asciugate. Ore 15:45: pesate gli ingredienti e preparate la marinatura Ore 16:00: versate il cuore a pezzetti nella marinatura e mescolate il tutto. Ore 16:05: coprite la boule con pellicola e lasciate riposare in frigo per almeno 4 ore. Ore 19:50: predisponete il vostro dispositivo per una diretta sui 200° C Ore 20:05: realizzate gli spiedini, infilzando 5 fettine di cuore per spiedino. Ore 20:15: iniziate la cottura degli spiedini, spennellando con la marinatura tenuta da parte. Ore 20,30: serviteli caldi. ALMANACCO 2019

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SPECIALE SPIEDINI - LE RICETTE

I can’t get no

SATAYSfaction Satay è una parola inglese che deriva probabilmente dal termine indonesiano sate. Questo vocabolo è stato diffuso successivamente dai venditori ambulanti originari dell’isola di Java per similitudine con i kebab indiani. L’introduzione del Satay (e di altri piatti iconici come il togseng e il guali kambing) coincise con un afflusso di commercianti e immigrati indiani e arabi a partire dal XVIII secolo, in Indonesia. Partendo dall’isola di Java, il Satay si diffuse in tutto l’arcipelago malese; successivamente, vennero sviluppate diverse varianti del piatto. Con l’avvento del XIX secolo, questa pietanza si era largamente diffusa in Thailandia e a Singapore. Tale migrazione, veicolata dai commercianti malesi, fu talmente ampia che arrivò fino in Sudafrica, dove il piatto è noto come sosatie, e in Olanda dove influenzò profondamente la cucina locale. La Thailandia è forse il paese dove questo spiedino si è diffuso maggiormente. Di solito viene servito accompagnato da un’insalata, chiamata ajaad, e da una salsa a base di arachidi. A causa della divulgazione commerciale della cucina tailandese, si è diffusa l’idea che il piatto sia originario della Thailandia invece che dell’Indonesia. Questo grande successo della ver356 - BBQ4All MAGAZINE

sione Siamese ha però permesso anche un’evoluzione del piatto, che si è diversificato in maniera radicale rispetto all’originale indonesiano. Adesso però spiedo alla mano e proviamo questa sataysfaction!

casseruola. Aggiungete lo zucchero e il sale e fate sobbollire lentamente fino a quando tutto è sciolto. Togliete quindi dal fuoco e lasciate raffreddare la miscela a temperatura ambiente. 2. Tagliate il cetriolo nel senso Preparazione degli spiedini della lunghezza in quattro, 1. Tagliate il petto di pollo a metà quindi tagliatelo molto sottile. e poi a striscioline di circa un Tritate gli scalogni per il senso cm nel senso della lunghezza. della lunghezza e successiva2. In una ciotola capiente unite mente affettateli finemente. tutti gli ingredienti conservanTritate infine il peperoncino. do solo un po’ di latte di cocco 3. Unite gli ingredienti freschi 3. Mettete il pollo nella ciotola e alla mistura agrodolce ormai fatelo marinare per almeno 4 fredda ore (24 è meglio) 4. Aggiungete adesso il coriando4. Predisponete il kettle per una lo e aggiustate di sale cottura indiretta 5. Quando il pollo sarà marina- Cosa fare minuto per minuto, to infilzatelo nello spiedino. se volete servirli a cena: Mettete una strisciolina di Ore 18 del giorno precedente: prepollo per spiedino evitando di parate il pollo e mettetelo a marincaricarlo troppo. Sulla cima are potete mettere uno spicchio di Ore 15.30 del giorno stesso: prelime per fermare il tutto parate la mistura agrodolce per 6. Cuocete gli spiedini a cottura l’insalata indiretta fino ai 70°C al cuore Ore 18.30: preparate il kettle 7. Spalmate adesso il restante Ore 19.00: preparate gli spiedini latte di cocco sugli spiedini e Ore 19.30: cuocete in indiretta gli finite la cottura in diretta per spiedini creare la crosticina Ore 19.45: preparate l’insalata Ore 20.00: finite la cottura in diPreparazione dell’insalata retta (ajaad) 1. Riscaldate l’aceto fino a farlo quasi bollire in una piccola


I N GREDIEN T I

PER 4 P ERSO NE PER LO SPIEDINO (SATAY) • 25 cl latte di cocco • due cucchiaini di salsa di soia • due cucchiai e mezzo di curry in polvere • un cucchiaio e mezzo di di curcuma • tre spicchi d’aglio • un cucchiaino di zenzero fresco grattugiato • un cucchiaino di zucchero di canna grezzo • un cucchiaino di salsa di pesce • peperoncino fresco secondo tolleranza (il tipo thai è il più caratteristico ma andrà bene anche una varietà diversa) • un lime • un petto di pollo da 600 g • Olio extravergine di oliva (l’abbiamo sostituito all’olio di canola) • Sale q.b. • Pepe q.b. PER L’INSALATA DI CETRIOLO (AJAAD) • uno scalogno • un peperoncino • due cetrioli • un mazzetto di coriandolo • aceto di vino q.b. • sale q.b. • zucchero q.b.

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la salsa perfetta per i chicken satay:

PE A NU T ( S ) SAU CE (A KA SNOOPY IS BAC K )

Non parliamo della celebre striscia comica creata Charles M. Schulz, ma il richiamo è immediato e la mente rimanda subito a Charlie Brown e ai suoi amici. La peanut sauce, però, altro non è che una salsa a base di arachidi (peanut appunto). Largamente diffusa nel sud est asiatico è l’accompagnamento ideale per il satay di pollo tailandese. E’ caratterizzata da un sentore dolce che la contraddistingue. E come dicono i thailandesi, sugar make you love more stronger (lo zucchero ti fa amare più intensamente). Mentre la maggior parte delle versioni occidentali di salsa di arachidi sono fatte con il burro di arachidi, la versione che proponiamo noi è realizzata con le arachidi tostate al naturale. E, fidatevi, la differenza è notevole sia nella consistenza che nel sapore. Questa ricetta è molto facile e veloce da realizzare, oltre ad essere davvero versatile. Oltre ad accompagnare perfettamente il satay di pollo, questa salsa è ottima anche come intingolo per le verdure o come condimento per sfiziose insalate. Voci di corridoi dicono che sia perfetta anche per grigliare il tofu. Preparazione degli spiedini 1. Accendete il kettle 2. Se preferite una salsa più setosa non lavorate le arachidi, in alternativa se preferite che la salsa abbia una consistenza un po’ più croccante passate le arachidi al mixer prima di cuocerle 3. Scaldate un pentolino e aggiungete l’olio 4. Quando l’olio è caldo aggiungete l’aglio e fatelo imbiondire 5. Aggiungete ora le arachidi e fatele tostare leggermente 6. Adesso aggiungete il resto degli ingredienti e fate cuocere per qualche minuto, regolate con acqua se la salsa vi sembra troppo densa 7. Se avete optato per l’opzione più liscia adesso frullate il composto ottenuto e lasciatelo raffreddare. Se invece avete preferito l’opzione più croccante lasciate semplicemente raffreddare la salsa 358 - BBQ4All MAGAZINE

I N G REDI EN TI • Una ciotola di arachidi tostate non salate (in alternativa, se siete davvero pigri, potete usare il burro di noccioline al naturale) • due spicchi d’aglio • mezzo cucchiaio di salsa di soia • due cucchiai di olio di sesamo • due cucchiaini di brown sugar • due cucchiaini e mezzo di salsa di pesce • due cucchiaini di succo di lime • mezzo cucchiaio di peperoncino di Cayenna • 33 cl di latte di cocco • acqua q.b.


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SPECIALE SPIEDINI - RICETTA a cura di EMILIANO NENCIONI

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Korobanu saki no tsue

(meglio usare un bastone prima di inciampare) M. E. M. E. M. E.

M. E. M.

Allora per il numero di novembre fai tu gli yakitori Benissimo! Qualche indicazione? Dovrai farli con salmone e tonno grigliato. No, aspetta, yakitori significa letteralmente “volatile grigliato”, non posso farlo col... Non importa, abbiamo già una miriade di spiedini col pollo, dovrai farlo come ti dicevo. Ma tedio i lettori dall’introvabile numero Zero di dicembre 2018 con la storia del cappello del prete briskettato, che è come dire bistecca pastasciuttata o bignè conigliato, e mi vorresti far fare una contraddizione in termini del genere? Ascolta, questo è un numero a tema “spiedini dal mondo”: ci serve qualcosa di giapponese con salmone e tonno! Mi massacreranno in ogni luogo, in ogni gruppo chiuso, in ogni screen trafugato di whatsapp... Fai del tuo meglio.

...KUSHIYAKI! Ecco, sì, kushiyaki: letteralmente, cibo grigliato e infilato in uno spiedino. Il termine definisce un ampio insieme di pietanze che sicuramente ingloba anche il ben più famoso yakitori, ma che accoglie anche gli alimenti che non sono strettamente pollo. Dillo pure al tuo amico un po’ cialtrone: “È inutile che tu ti atteggi a otaku giramondo nominando in continuazione gli yakitori, se poi mi proponi spiedini

di peperone ricoperto di pancetta, melanzana e filetto di maiale”. Esistono infatti svariati tipi di yakitori, ma tutti fatti con parti diverse del pollo: petto, coscia, fegato, ...persino la variante “solo pelle”. Giureresti di aver visto un documentario sugli yakitori, ma grigliavano il maiale? Memoria fallace, riguardalo con attenzione: erano yakiton. Ton! Attento, che con il giappone-

se è un attimo prendere fischi per lanterne e lucciole per fiaschi. In Giappone il cibo grigliato e infilzato ha un grosso successo sia come street food che come pietanza strutturata e ricercata, servita in ristoranti specializzati, gli yakitori-ya e izakaya; l’intuibile facilità di somministrazione e consumo on-the-go della pietanza ne ha fatto proliferare inarrestata la vendita nei dintorni di stazioni, distretti del business e aree di interesse tuALMANACCO 2019

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ristico, decretandone inevitabilmente la successiva esportazione fuori dal territorio dove il Kimi ga yo risuona. È pratico, facile da cucinare e da servire, economico, e con la moltitudine di varianti possibili è sempre diverso, anche se personalmente eviterei lo spiedino di cartilagine di sterno, il nankotsu, ma sono gusti. Veniamo dunque alla preparazione del nostro spiedino su base ittica: salmone, tonno e cipollotto. Va tutto grigliato e quindi, inevitabilmente, prepara la tua griglia: niente di difficile o esotico, ti basterà una normale cottura diretta, con un setup di bricchette o carbone ben caldo e arroventato con cura nel cesto accenditore; l’unico accorgimento che mi sento di raccomandarti è l’uso della carta forno, molto umida, da interporre fra pesce e griglia per evitare di ritrovarsi più materia attaccata al kettle che tra le pinze. Il pesce aderisce con troppa facilità alla griglia e, anche se asciugarlo mitiga molto questo inconveniente, sicuramente pochi centesimi di carta forno potranno risparmiarti diversi mal di testa e frustrazioni. Ricordati però di fare un breve passaggio in cottura diretta per rendere croccante e profumata la superficie esterna. Preparazione 1. Preparate la salsa, versando tutti gli ingredienti indicati in una casseruola e portando ad ebollizione, fino a ridurla alla metà. Se non vi sentite particolarmente creativi o andate di fretta, ricorrete pure a una buona salsa teriyaki reperibile in commercio e ormai diffusa in ogni supermercato. 362 - BBQ4All MAGAZINE

2. Tagliate il pesce in cubetti di 2-3 cm di lato. Lasciate il salmone e il tonno a marinare per almeno un paio d’ore nella teriyaki (non calda!), dopodichè cercate di asciugarli il più possibile con la carta assorbente. 3. Disponete la carta forno umida sulla griglia. 4. Infilzate i cubetti e i gambi di cipollotto con uno spiedino di legno, alternandoli come preferite. Girateli aiutandovi con una spatola dal manico lungo o con un paio di pinze per girare spesso il pesce. 5. Salmone e tonno non hanno bisogno di più di due minuti di cottura, con una variazione dipendente dal vostro gusto e dallo spessore del trancio. Per completezza, la temperatura al cuore del tonno non deve superare i 45°C, quella del salmone i 65°C. 6. Serviteli insieme ad una piccola ciotolina piena di salsa teriyaki in cui ogni partecipante al banchetto potrà intingere un cubetto del suo spiedino, per esaltarne a piacimento sapidità e umami. L’idea in più? Spolverizzateli con un po’ di Mount Nimba in special modo il salmone.

I N G REDI EN TI

PER 4 PER SONE • • • • •

200g di salmone (in tranci) 200g di tonno (in tranci) Sale 3 cipollotti freschi un cucchiaino di BBQ4All Mount Nimba Rub

PER LA SALSA TERIYAKI: • 100ml di salsa di soia • 100ml di mirin • 5 cucchiai di zucchero di canna


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SPECIALE SPIEDINI - LE RICETTE

EIT HE R YO U LOVE

CORN DOGS or you’re not hungry

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INGREDIENTI

P ER 3 C O RN D OG • • • • • • • • • •

tre würstel di buona qualità 75 g di farina 00 100 g di farina di mais 4 g di lievito istantaneo per salati 5 g di paprika dolce 5 g di paprika piccante due uova 50 ml di latte 5 g di sale 1 l di olio di semi

Se è vero che questo mese parliamo di cotture allo spiedo, è anche vero che tra questi non può mancare uno dei cardini dello street food americano. Parliamo del Corn Dog, un delizioso würstel da passeggio infilzato in uno stecchino di legno, avvolto da una croccante pastella e condito con un’infinità di salse. La sua nascita pare risalga agli anni ‘20 del Novecento, durante il primo dopoguerra. Furono gli emigrati tedeschi con base in Texas a idealizzare il concetto di corn dog, creando una versione del salsicciotto in pastella. Sulla sua paternità, però, le versioni sono innumerevoli. In ogni caso, l’unico che decise di brevettare questa preparazione fu Stanley S. Jenkins, più precisamente a New York nel 1927. Quel che conta veramente è averci dato la possibilità di scoprire un così godurioso würstel, da salsare in maniera laida e corrotta. Da allora, viene preparato in diverse parti del mondo e in tutte assume un nome diverso: dall’Argentina, dove viene chiamato Panchuker, al Canada dove prende il nome di Pogo Sticks, passando dall’ Australia dove è conosciuto come Pluto Pop, fino ad arrivare in Corea dove ne hanno fatto una variante con rivestimento di patatine fritte ( giusto per farsi del male ancora un po’) che si chiama Kogo. La cosa fondamentale è partire da un würstel di buona qualità: noi abbiamo utilizzato un prodotto artigianale, insaccato in un budello naturale. La versione tradizionale prevede

un'unica cottura del Corn Dog che è quella fritta. Noi invece la divideremo in due fasi: affumicheremo un po’ il salsicciotto sul nostro dispositivo, e solo successivamente lo friggeremo. Preparazione 1. Predisponete il vostro dispositivo con settaggio per una cottura indiretta con temperatura in camera a 80° C. 2. Infilzate i vostri würstel in verticale negli spiedini di legno e affumicateli per 15 minuti circa, con un blend di vostro gusto, in cottura indiretta. Lasciateli raffreddare. 3. Mescolate la farina 00 e la farina di mais in un recipiente, e unite le restanti polveri (sale, lievito e paprika). Miscelate per bene. 4. Aggiungete l’uovo e il latte e iniziate ad amalgamare il composto con una frusta sino ad ottenere una pastella non troppo densa e omogenea. 5. Versate la vostra pastella in un contenitore cilindrico stretto e alto. 6. Scaldate l’olio ad una temperatura di 180° C in una pentola che contenga gli spiedi, dai bordi alti 7. Immergete gli spiedi nella pastella per ricoprite i würstel, quindi friggete in abbondante olio. 8. Cuocete sino a doratura esterna poi lasciate asciugare qualche secondo su un foglio di carta assorbente. Un consiglio per dei Corn Dog perfetti? Utilizzate una pentola per la cottura degli asparagi, in acciaio. Riempitela d’olio e, quando ha ALMANACCO 2019

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raggiunto la giusta temperatura, immergete lo spiedino: quando è pronto sale a galla. Altro trucchetto: quando tirate su il würstel dalla pastella, fatelo scolare bene e tenetelo per qualche secondo in verticale, quindi immergetelo velocemente nell’olio ben caldo. Otterrete un prodotto esteticamente perfetto. Cosa fare minuto per minuto, se volete servirli a pranzo Ore 12: predisponete il vostro dispositivo stabilizzandolo a 80° C in griglia. Ore 12,05: iniziate la cottura, affumicando per 15 minuti i würstel Ore 12,10: mescolate le polveri, aggiungete latte e uovo e realizzate la pastella. Ore 12,20: terminate l’affumicatura e lasciate raffreddare per 10 minuti. Ore 12,25: scaldate l’olio sino a 180°C. Ore 12,30: immergete uno per volta i vostri würstel nella pastella , quindi friggete. Ore 12,45: serviteli caldi

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HONEY GINGER MUSTARD

IN GREDIEN TI • due cucchiai di maionese • due cucchiai di senape • un cucchiaio di miele millefiori • due cucchiaini di zenzero in polvere • due cucchiaini di salsa Tamari • un cucchiaino di BBQ4ALL Rub Montreal Steak

Ogni Corn Dog che si rispetti ha una bella salsa in cui deve essere tuffato. Parliamo di qualcosa che provochi l’effetto Wow. Se creiamo da soli la nostra salsa, sicuramente dobbiamo tener conto di diversi fattori per riuscire ad ottenere questo risultato. I parametri principali da tener sempre a mente per ottenere la salsa perfetta sono: grasso, portante, aroma, percezioni, sapido, dolce, amaro, acido, umami. Questa è la partenza, diciamo pure la porta del labirinto magico, dentro il quale è possibile trovare svariate uscite, tutte diverse tra loro. Quella che oggi vogliamo abbinare al nostro Corn Dog è la Honey Ginger Mustard. Nome tanto complicato da ricordare, quanto semplice è la preparazione. Infatti la nostra salsa sarà composta da pochi elementi che si trovano volendo già pronti, ma che possiamo migliorare se decidiamo di farci in casa la base: una bella maionese. La scelta delle materie prime incide e come sulle preparazioni.

Una volta che avete la base, a questa aggiungete gli ingredienti che la caratterizzano. Abbiamo toccato almeno sette parametri tra quelli descritti prima, scegliendo ed equilibrando con cura tutti gli ingredienti. E che salsa sia. Preparazione 1. Unite la maionese, la senape e amalgamate bene . 2. Inserite la salsa Tamari e, quando sarà assorbita dalla salsa, aggiungete lo zenzero in polvere. 3. Mescolate bene e unite a questo punto il miele, amalgamando il tutto. 4. In ultimo spolverate con un cucchiaino di BBQ4ALL Rub Montreal Steak e continuate a mescolare. La vostra salsa è pronta. Non sarà solo buona con i Corn Dog ma anche con le patatine. Farete a gara con i vostri figli per inzuppare dentro la ciotola il vostro spiedino preferito

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SPECIALE SPIEDINI - LE RICETTE

CHE FICO! M ET T ILO NE L DO LCE IN SI E ME A

ricotta&noci

Finalmente siamo giunti al dessert, la portata immancabile di ogni incontro culinario in compagnia. Dopo aver deliziato e stupito le papille gustative dei vostri ospiti con le piacevoli e diverse sfumature esotiche degli spiedini dal mondo, per il dolce vi proponiamo un mix di sapori tipico della tradizione pasticciera italiana: soffice Pan di Spagna farcito con una golosa crema di ricotta, il tutto esaltato dalla croccantezza delle noci e dalla dolcezza dei fichi caramellati. E per renderlo ancora più goloso aggiungiamo una leggera nota di fumo, caramellando i fichi con la cottura indiretta. In altre parole, dopo averli spolverizzati con lo zucchero vengono posizionati sulla griglia dalla parte opposta delle braci con il coperchio chiuso. Una cosa è certa: se è vero che il fico è un frutto goloso e zuccherino, buono appena colto e mangiato, quando viene caramellato in questo modo e gustato con le noci, diventa una vera leccornia. Il calore delle braci ne esalta al massimo la dolcezza, donando368 - BBQ4All MAGAZINE

gli un gusto sublime, reso ancor la farina e la fecola, un po’ alla più particolare dal lieve aroma di volta incorporatele alle uova fumo. Inoltre, questa procedura montate, sempre utilizzando porta alla lenta disidratazione dello sbattitore. la buccia rendendola un velo sotti- 4. Ungete una teglia per dolci con le e croccante che racchiude in sé il burro, senza esagerare. tutta la morbida golosità del frutto. 5. Ponete in cottura il dolce nel Dopo il primo assaggio, potrete forno già riscaldato a 170°C per percepire come i caratteri delica20 minuti circa. Passato queti del Pan di Spagna e della ricotta sto tempo, con uno stecchino zuccherata si sposino alla perfebucate il dolce al centro, se rizione con la dolcezza più decisa sulta asciutto il Pan di Spagna è del fico mitigata dalla lieve nota pronto. amarognola delle noci tostate, e 6. Sformatelo e, lasciandolo cacome in tutto ciò l’affumicatura sia povolto, in modo che la parte la cornice perfetta di questo inconsuperiore diventi piatta, fatelo tro di sapori. raffreddare completamente, per circa due ore. Preparazione degli spiedini 7. Adesso preparate la bagna. In 1. Prendete la bacca di vaniglia e un pentolino versate l’acqua, con un coltellino incidetela per il latte e 90 g di zucchero setutta la sua lunghezza e grattamolato e a fuoco basso girate il te i semini al suo interno. liquido con un cucchiaio fino a 2. In una ciotola versate le uova, quando lo zucchero è sciolto, 150g di zucchero e la vaniglia e non serve portarlo a bollore. con le fruste elettriche mesco- 8. Passiamo alla preparazione dei late gli ingredienti, per almeno fichi affumicati. Preparate il di15 minuti, fino ad ottenere un spositivo per una cottura indicomposto spumoso. retta a 180 C°. 3. Dopo aver setacciato insieme 9. Lavate 8 fichi sotto l’acqua


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I N G RED I EN TI

PER 4 PER SONE PER LO SPIEDINO (SATAY) • 25 cl latte di cocco • due cucchiaini di salsa di soia • due cucchiai e mezzo di curry in polvere • un cucchiaio e mezzo di di curcuma • tre spicchi d’aglio • un cucchiaino di zenzero fresco grattugiato • un cucchiaino di zucchero di canna grezzo • un cucchiaino di salsa di pesce • peperoncino fresco secondo tolleranza (il tipo thai è il più caratteristico ma andrà bene anche una varietà diversa) • un lime • un petto di pollo da 600 g • Olio extravergine di oliva (l’abbiamo sostituito all’olio di canola) • Sale q.b. • Pepe q.b. PER L’INSALATA DI CETRIOLO (AJAAD) • • • • • • •

I NGREDIEN T I

PE R 4 P ERSO NE • 100g di farina 00 • 50g di fecola di patate • 240g di zucchero bianco semolato • 50g di uova • una bacca di vaniglia • burro q.b. • il succo di un limone • 150g di latte • 150g di acqua • 10 fichi freschi • 150g di noci • 400g di ricotta • 150g di zucchero a velo

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uno scalogno un peperoncino due cetrioli un mazzetto di coriandolo aceto di vino q.b. sale q.b. zucchero q.b.


corrente (i due restanti servono per la decorazione finale); dopo averli asciugati passateli nello zucchero semolato e disponeteli all’interno di una teglia adatta alle alte temperature, e bagnateli col succo di un limone. 10. Mettete la teglia in cottura indiretta, dalla parte opposta delle braci, affumicate con due manciate di petali di legno aromatico e lasciateli andare fino a quando la buccia non si sarà brunita e i fichi risulteranno alla vista appassiti e morbidi al tocco. 11. Quando saranno pronti, dovranno raffreddare totalmente su un foglio di carta forno. Una volta freddi divideteli in quattro o otto parti (dipende dalla grandezza). 12. Su una teglia disponete le noci e fatele tostare nel dispositivo per 10-15 minuti a 180° C. 13. Quando tutti gli elementi preparati precedentemente avranno perso calore, setacciate la ricotta, unite lo zucchero al velo e lavorate insieme i due ingredienti fino ad ottenere una bella crema liscia, dopodiché aggiungete al suo interno le noci tostate amalgamando bene. 14. Prendete il Pan di Spagna e suddividitelo in tre dischi con un coltello lungo a lama liscia. 15. Con un coppapasta ottenete 4 piccoli dischetti da ogni disco, per creare le monoporzioni del dolce a tre livelli. 16. Prendete un dischetto di Pan di Spagna e, con un pennello alimentare, inumiditelo con la bagna al latte, mettete la crema e sopra di essa disponete il fico

tagliato in quattro parti. Coprite il tutto con un altro dischetto e, dopo averlo bagnato, ripetete lo stesso procedimento. 17. Arrivati al terzo strato, decorate il dolce con noci e fichi. Serviteli, volendo con una colata di salsa al cioccolato. Cosa fare minuto per minuto, se volete servirlo a cena: Ore 13,55: riscaldate il forno a una temperatura di 170° C. Ore 14,00: montate gli albumi con lo zucchero e la vaniglia. Ore14,15: aggiungete la farina alle uova montate. Ore14,20: imburrate la teglia, versate al suo interno il composto ed infornate per 20 minuti circa. Ore14,40: verificate che la torta sia cotta con l’aiuto di uno stecchino, se è pronta toglietela dal forno, sformatela e fatela raffreddare. Ore15,00: preparate il dispositivo per una cottura indiretta a 180°C. Ore 15,30: in una teglia ponete i fichi zuccherati e bagnati con il limone in cottura indiretta . Ore 16,00: togliete i fichi dal dispositivo e lasciateli raffreddare. Ore16,15: tostate le noci su una teglia foderata di carta forno e ponetele in cottura indiretta. Ore16,30: togliete le noci dalla cottura. Ore 16,45: preparate la bagna per il Pan di Spagna Ore17,30: preparate la crema di ricotta. Ore18,00: dividete il Pan di Spagna i tre strati, coppatelo per ottenere 12 dischetti. Ore 18,30: Iniziate a montare il dolce. Ore 19,00: conservate le mono-porzioni in frigo fino al servizio. ALMANACCO 2019

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VINI ABBINATI a cura di ENIO BERTON

È ORA DI

BERE! abbinamenti consigliati

R I S E RVA M A Z O N

Vino Cantina: Abbinamento :

Südtirol - Alto Adige DOC Pinot Nero Riserva Mazon 2016 Hofstätter Spiedini di tonno

Gli spiedini di tonno ci permettono di osare un rosso con il pesce. Abbinamento che a me piace tantissimo e che ci permette di sfruttare lo stesso vino per due tipologie di carni molto diverse tra di loro. Il Pinot nero o Pinot noir o BlauBurgunder è contemporaneamente gioia e dolore dei viticoltori di mezzo mondo, difficile da interpretare in vigna e molto delicato durante tutto il processo di maturazione del grappolo. Utilizzato nella produzione di spumanti Metodo Classico (Champagne, Franciacorta, Trento DOC ed Oltrepò Pavese metodo classico solo per citare i più famosi) o vinificato al naturale, dona struttura ed intensità aromatica sia vinificato in bianco (base per il metodo classico) sia vinificato in rosso. Il termine Pinot sembra che derivi dal francese Pin “pigna”, ed infatti il grappolo è piccolo, compatto e a forma triangolare proprio come una pigna. La cantina Hofstätter, nata nel 1907, è una realtà che coniuga storia e contemporaneità. Attualmente guidata con maestria e sapienza dalla quarta generazione da Martin Foradori, si sviluppa su 50 ettari di vigneto dai quali escono le massime espressioni della territorialità sia per i vini bianchi (dal gewürztraminer al pinot bianco) sia per i vini rossi (dal pinot nero, al lagrein fino alla schiava) dei veri e propri cru sempre citati nelle etichette delle selezioni. La riserva Mazzon porta nel nome la particella di produzione, vigneti appollaiati attorno nelle dolci colline di questa frazione del Comune di Neumarkt-Egna, situato a 25 chilometri a sud di Bolzano. L’esposizione a sud-ovest permette di ricevere il benefico influsso del sole fin alle ore tarde del pomeriggio. Raccolto a mano, subisce una leggera pigiadiraspatura con una successiva fermentazione in botte per 10 giorni a contatto con le bucce. Il vino viene poi fatto maturare in piccole botti per 12 mesi, in botti grandi per altri 6 mesi e finisce la maturazione in bottiglia per altri 12 mesi. Dal colore rosso rubino tendente al granato, portato al naso sprigiona profumi di sottobosco e di frutta rossa. Al palato le note fruttate sono ben bilanciate da un tannino rotondo, poco invadente, e da una buona sapidità. Fin di bocca piacevole e prolungato. Servire a 16/18 gradi in calici ad apertura media. Uve: 100% Pinot nero. Zone produzione: pendici della collina Mazzon Esposizione: sud , sud ovest. Grado alcolico: 13,50%

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CHABLIS Vino: Cantina: Abbinamento :

Chablis AOC 2017 Domaine Droin Jean-Paul & Benoit Spiedini con salmone

Ci spostiamo in Francia nella zona di Chablis, patria del vino che porta, come in tutte le denominazioni francesi, il nome del territorio. Chablis vuol dire la massima espressione dello chardonnay, vitigno internazionale che troviamo un po’ in tutto il mondo. La Domaine Jean-Paul e Benoît Droin possiede 25 ettari di proprietà, produce e vinifica da oltre 500 anni. Alle redini dell’azienda attualmente c’è Benoît, figlio di Jean-Paul, che rappresenta la quattordicesima generazione della famiglia. I vigneti sono dislocati attorno a Chablis, nei terreni che fanno parte delle denominazioni Petit Chablis, Chablis e nei rinomati Premier Cru e Grand Cru. La coltivazione avviene attraverso tecniche biodinamiche che pongono l’attenzione al raggiungimento del miglior risultato possibile nel prodotto finale, basti pensare che la cantina è stata ricavata ai piedi del vigneto principale per evitare ai grappoli lo stress di viaggi lunghi. La raccolta delle uve viene fatta rigorosamente a mano seguita da una leggera pressatura pneumatica, che consente di estrarre il nettare in modo graduale e controllato per poi terminare la fermentazione in vasche di acciaio. Lo Chablis AOC 2017 continua la sua vinificazione in acciaio (no legno) con i suoi lieviti per alcuni mesi, poi viene imbottigliato. Dal colore giallo paglierino con tenui riflessi verdognoli, portato al naso sprigiona delicati profumi di fiori bianchi tra cui spicca l’acacia che piano piano lascia il posto a note minerali intense che ricordano la pietra focaia. Al palato la freschezza, sostenuta da una buona acidità e dalla giusta sapidità, denota una struttura decisamente elegante. Fin di bocca raffinato, pulito e lungo. Da servire a 8/10 gradi in bicchieri tulipano. Uve: 100% Chardonnay. Zone produzione: zona di Chablis Esposizione: sud - ovest. Grado alcolico: 12,50%

D'ALESIO

Vino: Cantina: Abbinamento :

D’Alesio Aleatico Passito IGT Menhir Salento torta ricotta e fichi

Questo mese chiudiamo con una capatina in Puglia e più precisamente a Bagnolo del Salento sede dell’azienda Menhir. La torta con ricotta e fichi mi porta nella regione di maggior produzione dei fichi, soprattutto fioroni destinati al consumo fresco. L’Aleatico, vitigno semi-aromatico di origine greche, viene ritenuto una mutazione genetica del moscato a bacca nera, diffuso in Toscana (Elba Aleatico Passito DOCG), nel Lazio (Aleatico di Gradoli DOC) ed appunto in Puglia, dove risulta più corposo e dolce grazie ai benefici influssi del sole. Definirla cantina è riduttivo: la Menhir Salento è organic farm, più precisamente sia un’osteria con il giovane chef Alfredo De Luca, sia una cantina. Nata nel 2002 da un’idea dei fratelli Gaetano e Vito Angelo Marangelli, coadiuvati dal brand ambassador Mirian Daniele, ha sviluppato nel corso degli anni una sinergia con il territorio, valorizzandolo e promuovendolo. La zona di produzione di questo Aleatico si trova a San Dònaci località a 50 metri slm, viene vendemmiato alla quarta settimana di Settembre dopo un appassimento direttamente sulla pianta, e subisce un processo di macerazione e fermentazione per circa 10 giorni, per poi continuare l’invecchiamento direttamente sulle fecce per 6 mesi. Dal colore rubino intenso, rilascia al naso un intenso bouquet di lamponi, ciliegia e rosa canina. Dal gusto fresco ed equilibrato. Da servire a 14/16 gradi in bicchierini da dessert. Uve: 100% Aleatico. Zone produzione: San Dònaci (BR) Esposizione: nord sud .Grado alcolico: 13,00% ALMANACCO 2019

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BIRRE CONSIGLIATE a cura di RICCARDO MENICONI

DR CALIGARI

Tutti sappiamo cos'è uno spiedino, giusto? Beh, essenzialmente è un'asticciola su cui si infilzano pezzi di carne, di pesce o di verdure. Pensando a questa tecnica culinaria, essendo da poco passato il periodo di Halloween, non si può non pensare a colui che di spiedini sicuramente se ne intendeva, il famigerato Vlad III di Valacchia, meglio conosciuto solo come Vlad l'Impalatore, o con il suo nome più famoso: Dracula. Non a caso, la ricetta in questione è di origine rumena; probabilmente non sarebbe stata apprezzata dal conte a causa della presenza dell'aglio, ma noi non siamo vampiri...vero? Direttamente dal Mastro birraio Bruno Carilli del birrificio Toccalmatto di Parma, ho pensato per questi spiedini dal sapore piuttosto deciso alla Dr Caligari; una Berliner Weisse (anche se per via dei suoi 6,1° poco canonici per lo stile, è considerata un’Imperial Berliner Weisse) con aggiunta di una grande quantità di lamponi freschi che le donano un acidità elegante e fine. Capace di ripulire la bocca dal grasso delle carni miste e di sposarsi piacevolmente con li sapori forti dei condimenti. Già stappando la bottiglia l'aroma è prepotente, spiccano i lamponi e sentori lattici. Nel bicchiere si presenta con un fantastico color rosso opalescente che tende al rosa pallido, con una bianca schiuma rada e poco persistente. Il bocca, l'acidità aumenta la salivazione, il lampone è aspro e secco con un retrogusto leggermente dolce e una lieve nota di rabarbaro. Vi consiglio di servirla in un tumbler, ad una temperatura di 6°-8°C.

S E TA

La vostra vacanza a Santorini è un lontano ricordo, tenuto vivo solo dalle foto e dalla calamita che vi saluta dal frigorifero? C'è qualcos'altro che può riportarvi tra le vie bianche e suggestive di Fira, un piatto semplice ma evocativo e tradizionale: il Souvlaki, praticamente il fast food greco per eccellenza, declinato in molte varianti, nel nostro caso in un pratico e gustoso spiedino di pollo. Mentre siete davanti alla griglia, il solo odore che sprigiona richiama alla mente le serate d’agosto, passate a bere Ouzo e ballare il Sirtaki... ma rimaniamo coi piedi per terra! La birra che ho scelto per accompagnare questo nostalgico spiedino è la Seta, magnifica Blanche del Birrifico Rurale, direttamente dalla Lombardia. L’ho scelta principalmente per il suo penetrante profumo di fieno tagliato e di prati in fiore, che si sposa perfettamente con il mix di spezie della tradizione Greca. Nel bicchiere si veste di un tenue giallo paglierino opalescente, con una schiuma bianchissima, compatta e pannosa, ma poco persistente. Al palato ritroviamo le note di agrumi, soprattutto di buccia d’arancia, di frutta matura, come la pera, e di coriandolo. Ha un corpo reso morbido dall'aggiunta di avena ma comunque agile e dalla facile beva che va a chiudere con un finale leggermente amaro estremamente piacevole e dissetante, anche grazie ai suoi 5°. Vi consiglio di servirla in un calice a Tulipano, ad una temperatura di 6°-8°C.

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B R O O K LY N L A G E R

Negli Stati Uniti è sicuramente lo spiedino più diffuso: il Corn Dog. Viene venduto negli iconici carrettini ai bordi delle strade delle grandi metropoli. Così diffuso da essere lo sfondo di molte scene nei film d'oltreoceano. Parlando di leggende, non potevo che abbinare a questa rockstar del fastfood all'americana una stella altrettanto famosa: la Brooklyn Lager, del birrificio omonimo nato nel cuore di New York nel 1988, che si merita sicuramente un posto nella Walk of Fame delle birre del Nuovo Continente. È un’ American Amber Lager dall’intenso color ambrato con sfumature ramate; la schiuma è compatta e abbastanza omogenea di un color avorio che tende al nocciola. Spunta la luppolatura con decise note floreali, e una leggera crosta di pane e biscotto dato dal malto. Alla beva emergono la freschezza del dry-hopping (eseguita con luppoli Cascade e Hallertauer Mittelfrueh), un corpo snello e un finale secco contornano da note di cereale. È una birra diretta, molto piacevole anche grazie ai suoi 5,2°abv, da bere in compagnia magari passeggiando per Time Square o mentre guardate una partita dei New York Giants. Piccola parentesi: Il Dry hopping è una tecnica che permette al luppolo di esprimere tutto il suo potenziale aromatico, grazie ad un’infusione a freddo durante la fermentazione secondaria. Le sostanze idrosolubili ed alcool-solubili rimangono così impresse nel profilo aromatico della birra senza subire le alterazioni date dal calore. Questa procedura è usata in birre molto luppolate come Ipa, Apa, Imperial Ipa, NEIPA o Pale ale. O in una qualsiasi birra si voglia sviluppare un aroma molto pronunciato. Volendo esasperare questa caratteristica è possibile eseguire un DDH/TDH/ QDH (double, triple, quadruple).

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COCKTAIL a cura di RICCARDO MENICONI

ZOMBIE C O C K TA I L Lo Zombie Cocktail è un fantastico Tiki Drink inventato da Don Beach nel 1936. Don Beach (Ernest Raymond Beaumont Gantt) nato in Texas, si trasferì a Los Angeles intorno al 1931. Qui inizia la sua fortuna. Nel 1934, infatti, finito il proibizionismo apre il “Don’s Beachcomber Café”. Qualche anno dopo trasferisce la sede del locale in un posto vicino e approfitta dell’occasione per cambiare nome e stile. Da café si trasforma in “Don The Beachcomber bar”, un locale in stile caraibico che serve cocktail a base di rum e che diventa subito famoso soprattutto tra le star di Hollywood. Nel dopo guerra i Tiki bar crescono e il successo arriva anche per Don Beach. A seguito del divorzio con la moglie, però, perde il controllo del brand e, non avendo più molte possibilità nella città degli angeli, si trasferisce alle Hawaii. Una volta arrivato a Waikiki, Gantt riesce a rimettersi in sesto e apre un “Polynesian Village” (un centro commerciale) dove ricomincia la sua vita e dà nuovo slancio al suo successo. Nel “Dagger Bar” si dice sia nato il celebre Mai Tai, anche se la paternità del cocktail è combattuta con Victor J. Bergeron.

di una tremenda sbornia. L’effetto non fu però quello desiderato e dopo qualche giorno il cliente tornò lamentandosi che il cocktail lo aveva trasformato in uno zombie. Da qui il nome di questo bizzarro drink dal gusto morbido e fruttato, che però nasconde un forte contenuto alcolico. Ingredienti - 4,5 cl di Rum giamaicano - 4,5 cl di Rum portoricano - 3 cl di Rum overproof - 2,5 cl di succo di Lime fresco - 1,5 cl di Falernum - 1 cl di succo di Pompelmo bianco - 0,5 cl di sciroppo di cannella - 0,5 cl di Granatina - 4,5 cl di Pernod - 4,5 cl di Bitter Aromatico - Ghiaccio - Ghiaccio tritato (3/4 di bicchiere) - Foglie di menta fresca

Preparazione Se la genesi del Mai Tai è incerta, non lo è di sicuro Mettere tutti gli ingredienti tranne la menta ed il quella dello Zombie cocktail che invece è stato sicura- ghiaccio in un blender e frullare per non più di 5 semente miscelato da Don Beach. condi. Versare in un bicchiere, aggiungere i cubetti di ghiaccio e decorare con menta fresca e uno spicchio Si narra che questo cocktail fu inventato dallo stes- di lime. so Gantt per aiutare un cliente a smaltire i postumi 376 - BBQ4All MAGAZINE


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Lo speziale

DEL BARBECUE tutto sulle erbe e gli aromi

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LO SPEZIALE DEL BARBECUE RUBRICA a cura di LUCA GALLOZZA Sono ben felice di presentarvi questa nuova rubrica che vi accompagnerà per i prossimi numeri. Di cosa parlerà? Di spezie, di erbe aromatiche e di peperoncini. Non sono un biologo, né un agronomo ma semplicemente un appassionato di arte culinaria che, come molti di voi, ama approfondire i vari aspetti legati alla cucina. Al giorno d’oggi, e sopratutto nel mondo BBQ che noi conosciamo, l’utilizzo delle spezie per intensificare ed esaltare i sapori, unito alla piccantezza di un peperoncino, è la chiave importante per ottenere il kick giusto nella preparazione. Le regole fondamentali per l’utilizzo delle spezie sono: la ricerca della miglior materia prima e la tostatura antecedente all macinatura. Questa secondo passaggio, in particolare, è veramente importante poiché favorisce lo sprigionarsi degli oli essenziali contenuti nelle singole spezie, aumentando la carica aromatica. Ma perché dedicare un’intera rubrica alle spezie? Perché di frequente sono i veri e propri elementi che caratterizzano una portata. Sbagliare una spezia può significare rovinare una preparazione. Non a caso alcune pietanze prendono il nome dall’aroma utilizzato per identificarne il sapore: una salsa alla curcuma, una focaccia al rosmarino, un maialetto al mirto sono solo alcuni esempi, ma ne potremmo trovare milioni. Ma cosa c’è di veramente importante da sapere su una spezia? Intanto direi che avere delle nozioni base da cui partire non sarebbe affatto male. Per cominciare sarebbe bene capire da dove si ricava. Gli aromi che usiamo in cucina provengono, come ben noto, da diversi tipi di piante e da diverse parti delle stesse. Possiamo ricavarle dalle radici (rizomi), dalla corteccia, dalle foglie, dalle gemme, dalle bacche, dai frutti e dai semi. Per farvi alcuni esempi: il wasabi si ricava dalle radici, la cannella dalla corteccia, il dragoncello dalle foglie, il cappero dalle gemme o boccioli, il pepe e ginepro dalle bacche, la vaniglia dai frutti, la senape dai semi. È pur vero che a seconda del luogo geografico dove si consuma un determinato tipo di spezia, la sua classificazione diventa alquanto complicata. Questo perché la stessa pianta è spesso usata in modo differente. Un esempio può essere fatto con la senape, che nei paesi orientali viene consumata sia come seme che come ALMANACCO 2019

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foglia. Ciò che ci attira principalmente di una sostanza aromatica è, almeno inizialmente, il suo profumo. A livello chimico, è semplicemente una barriera che la pianta stessa attiva per proteggersi da eventuali predatori, siano essi insetti o erbivori. Gli oli essenziali e le oleoresine della pianta, combinandosi tra loro, rilasciano molecole volatili che le conferiscono una specifica combinazione di aroma e sapore. Esiste una differenza tra spezie e aromi? Diciamo pure che non c’è una vera e propria differenza, anche se molti studiosi sulla materia tendono a fare una distinzione e ad identificare come spezie quegli elementi che stimolano i sensi gustativi, e per aromi quelli che agiscono sull’apparato olfattivo. Possiamo invece riscontrare una differenza tra spezie ed erbe aromatiche. Le erbe aromatiche sono tutte quelle piante verdi a foglie fresche e non essiccate che crescono nei climi temperati. Tra queste: basilico, rosmarino, prezzemolo e simili. Le spezie invece sono le parti essiccate e ricavate, come già prima evidenziato, da piante che crescono principalmente in climi tropicali.

spezie tra i vari popoli ha portato beneficio e migliorato l’alimentazione globale. Inizialmente erano utilizzate per le proprietà benefiche che apportavano al corpo, senza però una conoscenza specifica: ci si basava sull’esperienza meramente empirica. Nel Medioevo si faceva largo uso di spezie, considerate riequilibranti naturali dell’organismo. Al giorno d’oggi, grazie alla scienza, se ne possono valutare i benefici in maniera più specifica. Le molecole biologicamente attive che sono state scoperte all’interno dei frutti o delle piante aiutano nella prevenzione delle malattie e nella cura della persona. Tra tutte, gli antiossidanti e in particolare i polifenoli che si dividono in flavonoidi e acidi fenolici. I flavonoidi (grande gruppo di sostanze classificate in altre sottocategorie: flavonoli, flavanoli, antocianidine, isoflavoni, flavanoni e flavoni) sono ottimi per garantire una buona prevenzione di malattie cardiovascolari. Inoltre hanno un effetto anti-age, per la felicità delle signore (e non solo). Questo è solo un esempio: come potete capire, l’uso di queste sostanze va ben oltre la cucina e l’effetto che possono avere sul gusto dei nostri piatti.

Qual è stato il loro processo evolutivo nella sto- Quindi si presuppone che gli antichi ne facesseria? ro un uso limitato? Fin dai tempi delle prime civiltà ad oggi, lo scambio di La storia ci insegna proprio il contrario. Abbiamo te-

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stimonianze del loro utilizzo già nel Neolitico (8000 – 5000 a.C ). Successivamente gli Egizi, nel lontano 3.500 a.C, le utilizzarono per imbalsamare i defunti e insaporire i cibi. Gli indiani, 1500 anni dopo, iniziarono l’esportazione di pepe verso il Medio Oriente e così fece pure la Cina con i chiodi di garofano. Non furono da meno gli arabi, padroni incontrastati del commercio di sostanze aromatiche, tanto da crearsi una vera e propria via delle spezie che, attraversando il fiume Indo arrivava sino a Babilonia, per poi espandersi infine sul Mediterraneo e sul resto dell’Europa. I Romani seguirono anch’essi le orme degli Egizi. Era usuale, appunto, utilizzare gli aromi durante la cremazione dei corpi degli Imperatori, per favorire la purificazione dell’anima. Quindi le spezie assunsero nel sentore comune una sorte di potere magico e occulto, sia per la loro associazione a divinità superiori, sia perché si tendeva a tenere segrete le zone geografiche di provenienza, al fine di non perdere il monopolio in campo commerciale. Nel Medioevo, nacque la figura dello Speziale. Era un personaggio fondamentale: egli infatti era il solo che poteva acquistare e vendere spezie in esclusiva.

Era quindi un imprenditore e un mercante allo stesso tempo, ma anche un cuoco e un curatore del corpo. Alla compravendita dei prodotti e delle materie prime egli affiancava lo studio e l’esperienza nella tecnica farmaceutica. Persino l’aspetto gastronomico era affidato allo speziale. Inoltre, non solo i cibi venivano comunemente miscelati con aromi ed erbe. Bevande come vino e birra senza luppolo venivano somministrati con aggiunta di chiodi di garofano e noce moscata. Nel tempo, poi, lo Speziale perse il privilegio di essere il solo a trattare e a vendere questa merce, perché diventò più redditizio e più conveniente coltivare le piante da cui si ricavavano le spezie, anche grazie al loro adattamento ai climi diversi dal loro luogo di provenienza. Ebbene, io sarò il vostro Speziale. Ogni mese vi proporrò una spezia specifica: vi racconterò l’origine geografica, vi descriverò la parte da cui viene estratta, vi parlerò del suo uso in cucina, vi suggerirò gli abbinamenti corretti e vi fornirò un piccolo vademecum su come coltivarla. Preparatevi perché ci sarà da divertirsi. ALMANACCO 2019

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RUBRICA a cura della BBQ4All UNIVERSITY

#CHIEDIALCOACH “Vorrei togliermi una curiosità: ma per il pollame come siamo messi in Italia? Se prendessi un pollastro in USA la differenza sarebbe così marcata come con la carne di bovino?”

pennuti (fonte Istat), cioè mille animali al minuto. Il 99,5% di questi sono cresciuti in allevamenti intensivi (fonte Sinab) a velocità supersonica: in una quarantina di giorni il pulcino arriva a pesare anRisponde il Senior Coach Virgilio Brunetti. È una delle carni più bistrattate e maltrattate del mon- che due chili e mezzo. do, lo mangiano tutti e parecchi tuttavia lo odiano. Molti dei nostri griller rivalutano il consumo del pollo Nel 2017 la produzione di carni avifrequentando i nostri corsi perché in poche semplici cole in Italia è stata pari a mosse è possibile nobilitare una carne che essenzial- 1.354.000 tonnellate, in dimente povera di aromi e sapidità. La cottura e il seasoning possono fare miracoli, ma sulle carni avicole della GDO rimane sempre un alone di sospetto. Qualcuno si interroga se esista qui in Italia o all’estero una carne di pollo che possa definirsi eccezionale in termini di gusto e salubrità. Sappiamo bene che esistono molti esempi di eccellenza nell’allevamento e nelle selezioni di bovini di qualità straordinaria in giro per il globo, ma dall’Europa agli Stati Uniti i disciplinari che definiscono l’eccellenza delle carni avicole sono rari e di nicchia. minuzione rispetto al 2016 (-2,5%). Una La realtà è che in tutto il mondo il nota va fatta anche per l’allevamento delpollo raramente viene allevato in maniera massiva ed estensiva per via dei costi relativi le ovaiole: infatti, per quanto concerne le alla gestione di spazi, di mangimi e di richiesta d’ac- uova, la produzione italiana è garantita da oltre qua. Sebbene in Italia esistano degli standard quali- 38 milioni e 900 mila galline, presenti in oltre tativi piuttosto elevati esso viene allevato in un unico 1.800 allevamenti a gestione professionale. modo: in maniera intensiva in gabbia o a terra. Il risul- Più della metà della produzione tato è questo: proteine a buon mercato che piacciono è concentrata nel Nord Italia: a a grandi e piccini, ma tutto ciò a quale prezzo? Faccia- guidare la classifica è il Veneto, dove viene prodotto il 26% delle mo due conti. uova italiane. Seguono la LomNel 2016, in Italia, sono stati macellati 525 milioni di bardia (25%) e l’Emilia Romagna 382 - BBQ4All MAGAZINE


(17%), mentre al Sud la regione in cui si producono più uova è la Sicilia (6%). Nel 2018 sono stati prodotte in Italia oltre 12,2 miliardi di uova, pari a circa 772 mila tonnellate di prodotto. Questi numeri possono impressionare ma sono ridicoli rispetto alla produzione e al consumo annuale di colossi come Cina e Stati Uniti. La diffusione planetaria di allevamenti intensivi pone anche molti interrogativi di ordine sanitario soprattutto per quanto riguarda la diffusione di virus influenzali di origine aviaria. Tutto questo ci dovrebbe far riflettere sulla qualità della carne e delle uova. Da un lato abbiamo una produzione a stento sufficiente a soddisfare la domanda nazionale, dall’altra la coscienza che un sistema produttivo di tali

ti che hanno ben poco a che fare con l’alimentazione naturale. Ciò vale sia per l’allevamento intensivo in gabbia e a terra. Il pollo protagonista di questa filiera produttiva viene chiamato Broiler, termine inglese riferito a un animale a rapido accrescimento. Si tratta di una vera “macchina da carne” che aumenta di peso a vista d’occhio in poche settimane a fronte di una quantità relativamente contenuta di mangime. Gli incroci utilizzati in questo caso sono in genere Ross o Cobb. La vita degli animali varia molto in relazione alla velocità di accrescimento ma soprattutto in funzione della destinazione commerciale: • quelli utilizzati nelle rosticcerie per essere venduti cotti sono macellati dopo circa 35 giorni e hanno un peso inferiore ai 2 Kg; • quelli da vendere interi vengono macellati intorno ai 40 giorni, quando raggiungono un peso intorno ai 2,8 kg; • quelli destinati ad essere porzionati e venduti (utilizzando soprattutto le cosce, il petto e le ali) sono più grossi e vivono qualche giorno in più.

Sebbene il prodotto a rapido accrescimento domini il mercato, esiste una quota per quello cosiddetto tradizionale. In molti casi si tratta di incroci commerciali a medio o lento accrescimento come il Kabir. In questa categoria troviamo anche i maschi delle galline ovaiole che non vengono soppressi il giorno dopo la nascita, i cosiddetti Golden ossia maschi delle ovaiole bionde e i Livornese ossia i maschi delle ovaiole bianche. Ci sono anche razze a crescita lenta nostrane o autoctone come il pollo Romagnolo o il Valdarnese diventati in qualche caso presidi Slow Food o marchi tutelati dalla regione di origine. Questi animali sono generalmente allevati come estensivo al coperto, e vengono macellati come minimo dopo 70 giorni, ma spesso arrivano anche a 110 giorni per raggiungere un peso accettabile. Il periodo proporzioni non può di allevamento e la velocità di crescita sono alcuni dei soddisfare criteri di fattori che incidono sul prezzo di vendita. qualità e salubrità. Per sostenere un allevamento in- Del prodotto della GDO generalmente non conosciatensivo non è possibile prescindere da mo quasi nulla, ma esistono differenze importanti che misure sanitarie tali da garantire la sa- incidono sulla qualità anche in termini di sesso e di età lute degli animali allevati. L’uso di vac- oltre che di razza e tipologia d’allevamento. cini, di antibiotici e di antiparassitari è obbligatorio in condizioni di sovraffollamento. Per sostenere una crescita veloce e lo sviluppo di masse muscolari incredibili in animali privi di spazio, è necessario intervenire con alimenti altamente nutrienALMANACCO 2019

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Si definiscono: • pulcino, maschio o femmina, da 0 a 7 giorni; • pulcinotto, maschio o femmina, da 8 a 40 giorni circa; • pollo o pollastra (maschio o femmina), da 41 giorni circa fino all’età riproduttiva solitamente non supera 1,5 Kg; • gallina, femmina, a partire dalla maturità sessuale (adulto della pollastra). È detta gallina ovaiola quando inizia a fare uova dai 6 mesi fino ai 12 mesi e poi diminuendo progressivamente. È detta chioccia, quando cova le uova fino alla schiusa con la nascita dei pulcini; • pollanca, femmina sterilizzata mediante l’asportazione dell’ovaia prima che inizi a deporre le uova; come il cappone è destinata all’ingrasso. • galletto, maschio, a partire dalla maturità sessuale fino a circa 6 mesi, è il maschio del pollo nell’età più giovane. • gallo ruspante, maschio, a partire dalla maturità sessuale fino a circa 10 mesi, è il maschio del pollo nell’età intermedia. • gallo, maschio, è il gallo ruspante, dopo i 10 mesi; • cappone, maschio castrato all’età di circa due mesi, arriva fino a circa 2,5/3 kg destinato all’ingrasso.

complicano la preparazione. Il risultato spesso è scadente perché le carni risultano asciutte e troppo consistenti, nulla a che fare quindi con ciò che comprate al supermercato, ma questo, in alcuni casi, ci dà l’illusione della qualità. Non c’è dubbio che la salubrità del pollo allevato in aia sia ottima, ma la qualità della carne dov’è? Possibile che per mangiare sano ci tocca masticare segatura? Apparentemente non esistono compromessi tra un velociraptor allevato in maniera casalinga e quello che ci propone la GDO. Tuttavia, anche per i pennuti di allevamento, genetica, sesso, alimentazione, età e modalità di macellazione sono determinanti sulla qualità e sulle caratteristiche del prodotto finito.

Tra le eccellenze assolute in termini di standard qualitativi, Il pollo di Bresse è l’unico al mondo a beneficiare, da oltre cinquant’anni, del marchio Denominazione di Origine Controllata (AOP). Il suo alto pregio deriva dalle modalità di allevamento: ogni animale dispone almeno di 10 m² di spazio erboso, ricco in vermi di terra, insetti ed erba rigogliosa che costituiscono circa 1/3 del suo sostentamento. Il complemento della sua alimentazione è costituito per l.80% da granoturco, per il 10% da grano (cereali obbligatoriamente prodotti nella zona DOC di Bresse) e per il 10% da prodotti lattiero-caseari. La sua carne è soda Sono sicuro che vi sarà capitato di mangiare un gal- ma tenera in bocca, madreperlacea, dal sapore unico e lo ruspante, quello vero allevato allo stato libero. Le ricco. Galletto ruspante e cappone di Bresse sono ovcarni sono dure, magre, la pelle è praticamente cuo- viamente il top. io, inoltre la cottura richiede tecniche dedicate che 384 - BBQ4All MAGAZINE


Pollo di Bresse

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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI

SEGUO nemo me impune lacessit

Probabilmente un buon 25% di tutto il traffico dati mondiale è dovuto al consumarsi di una vendetta. 386 - BBQ4All MAGAZINE


Di piccola o gigantesca entità, dal subthread sotto l’articolo di un misconosciuto blog fino ai tweet e retweet di politici posti in ruoli chiave per l’equilibrio politico mondiale, la vendetta è continuamente sotto gli occhi di tutti: un mondo parallelo e spesso privo di percezione della conseguenza (o del crimine) come il mondo online non può certo essere immune da un meccanismo ancestrale e radicato nella cultura umana come la vendetta. Figuriamoci se le testosteroniche e roboanti comunità del barbecue avrebbero mai potuto esimersi dall’eccellere anche in questo campo: vendette dopo un ban, vendette dopo un commento rimosso, vendette perché giudichi le mie beef ribs poco succose, vendette perchè mi hai ridicolizzato sotto un post di un tizio che considero influente. Alcuni dei più vendicativi utenti non potranno neanche leggere questa Seguo e approfondire l’argomento, visto che, manco a dirlo, la più gettonata reazione a un qualsiasi atto di moderazione è la cancellazione dell’abbonamento al Magazine, con successiva precisazione “Mi avete cancellato il commento ma volete i miei soldi, e poi la rubrica del Nencioni è fuori luogo e offensiva perché parla sempre in maniera negativa di comportamenti che mi appartengono”.

Non c’è niente da fare, non è colpa dei griller, non è colpa di internet: la vendetta è un rituale sociale comune a tutte le comunità o società umane, ed è sempre stata presente come strumento per disciplinare i conflitti all’interno dei gruppi. Dalle tribù di Sapiens agli account su Facebook il passo è breve, cambia solo la facilità di espressione e l’esposizione al pubblico.

Canzon, vattene dritto a quella donna che m’ha ferito il core e che m’invola quello ond’io ho più gola, e dàlle per lo cor d’una saetta, ché bell’onor s’acquista in far vendetta.

Giuditta che decapita Oloferne 1620 - Artemisia Gentileschi

(Dante Alighieri, «Così nel mio parlar voglio esser aspro», canzone che conclude il ciclo delle “Rime Petrose”, dove scorgiamo Dante ben lontano dalla delicatezza stilnovistica, imbufalito contro una donna, “Petra”, che molto prosaicamente ...lo rimbalza.) Che tipo di trauma porta un accalorato fan dell’ultim’ora, uno di quelli ALMANACCO 2019

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questo paio di paginette mi faccio sempre una ventina di giorni di studio su un dato argomento, ...o pensavate che sapessi davvero ogni dettaglio del rapporto fra Einstein e Bohr, nello storico numero di Aprile '19 del Magazine? Le conclusioni, da quello che ho capito, sono illuminanti.

sempre presenti e un po’ servìli, usi a coprire di lodi, cuoricini e devozione il guru in carica, a diventare un inarrestabile hater pronto ad attaccarsi ad ogni pretesto per infangare il nome dell’idolo ripudiato? Cosa ti è successo, o animo ferito, nel tempo tra i tuoi post pieni di disperata voglia di trovare qualcosa di brutto da dire e quelli di cinque minuti prima, dove non facevi altro che ripetere “ehi, ma invitare mai eh?”, tentando di inculcare subliminalmente l’idea di essere amiconi e immancabili presenze al desco del tizio socialmente più in vista, tralasciando l’immancabile distanza di 900km e il paio di catene montuose invalicabili interposte tra te, utente smanioso di riconoscimento sociale, e l’oggetto della tua temporanea ammirazione? (Pensandoci bene potrei fare una Seguo intera, o una collana di Seguo, sull’argomento “Invitare mai”. Ma non vorrei fare innervosire una parte troppo grande dei miei quattro lettori: non so, ditemi voi, la mia pagina da Coach aspetta ogni suggerimento.) Mi sono documentato un po’: lo sapete, per scrivere 388 - BBQ4All MAGAZINE

La chiave sta tutta in due fattori: Fitness e Ruminazione. • Fitness: non sto parlando di forma fisica in senso stretto. Nell’ipercalorico universo del barbecue non vi chiederò di fare dodici round di dieci piegamenti, cinque trazioni alla sbarra e quindici squat a corpo libero prendendo nota di tempo impiegato e battito cardiaco. Fitness indica la capacità di un essere vivente di accaparrarsi nutrimento e potenzialità riproduttive: nel caso social, questo termine si adatta a qualcosa di simile alla credibilità, reputazione, capacità di convincere gli altri e di essere percepito come “degno di essere letto”. • Ruminazione: pur avendo una discreta attinenza, non mi riferisco a nessun allevamento grass fed né tantomeno entra in gioco l’omaso. Mi riferisco all’unforgiveness, la tendenza a non sapere o volere perdonare: in un continuo ripensare ad un evento traumatico o negativo (nel nostro caso un commento rimosso, un silenziamento di 24 ore o una critica alla maillard su una ribeye, cose che ti segnano dentro insomma), l’individuo continua a rivivere il torto subìto, amplificando la propria frustrazione e impedendosi di far sfumare la rabbia. Se a livello ancestrale la vendetta era uno strumento prezioso per preservare la fitness biologica, nel nostro caso ristretto si configura come indispensabile per il mantenimento della reputazione e dei ruoli gerarchici. È così che si sfaldano quelle sudditanze granitiche fino al minuto prima. Reazioni spesso eccessive, rabbia imbarazzante, e ogni possibile pretesto usato per deridere l’ex beniamino: è proprio la differenza di magnitudine nelle reazioni ad essere palese in que-


sto tipo di ritorsioni, perché la vittima (la persona che vuole vendicarsi) considera il torto subito più grave di quanto percepito dagli altri, e reagisce in maniera spropositata affinché sia ben chiaro a tutti i lettori che lui, ah, lui non è certo il tipo di subìre questo tipo di angherìe senza una spietata rivalsa. In quest’ottica il vendicarsi non è mai un’azione diadica, fra due entità: c’è sempre un terzo e importantissimo attore, il pubblico. I lettori, gli utenti dello stesso gruppo, che di solito sguazzano in questo tipo di litigi (fino a quando, di schianto, si scocciano ostracizzando il comportamento), devono essere messi al corrente della pronta reazione dell’offeso, in modo che la vendetta venga riconosciuta come tale sì da chi la subisce, ma anche da chi la osserva. Ah, il pubblico, immancabile megafono di indignazioni. Il responsabile dell’abuso di concetti come “portare rispetto” (ai nuovi abbonati raccomando l’acquisto degli arretrati per una trattazione più ampia del fenomeno di nascondere una richiesta come “ti prego non contraddirmi davanti a tutti quanti anche se hai ragione” sotto la pietosa foglia di fico del “portare rispetto”, sempre qui sulle ultime pagine della vostra rivistuccia preferita). Una vendetta senza pubblico avrebbe lo stesso valore liberatorio di uno spettacolo di mimo in una stanza buia.

rici, tanto utili per fare i parallelismi con troll indignati, ex seguaci permalosi e sussiegosi individui suscettibili, possiamo tranquillamente dire che se ai loro tempi la vendetta era un iter necessario per preservare la timé (τιμή), nel microcosmo del social grilling quel che più conta è la reputazione. “A me non la si fa”, “gliela faccio vedere io”, “come si permette”, in una ruminazione continua e infinita di nemo me impune lacessit, nessuno mi attacca impunemente. Dopotutto, se Achille (ancora lui!) ha fatto tutto quel macello per la Briseide Ippodamia possiamo aspettarci che un geometra di mezza età disdica l’abbonamento per un post non approvato o che un solido gruppo di super fan si unisca al coro di hater con argomentazioni quantomeno fallaci e stiracchiate, strumentalizzando similitudini e iperboli in una ricerca incessante dell’appiglio per screditare pubblicamente chi questo gruppo seguiva ciecamente fino ad un istante prima dell’ira funesta.

Bisogna, per il rito della vendetta, reagire in maniera straordinaria per sottolineare la straordinarietà delle offese (Mi cancelli un commento? proprio a me? Sconfessi le mie convinzioni, davanti a tutti?), perché in rete come nel mondo greco classico l’inerzia viene considerata un segnale di debolezza. Tirando in ballo anche questo mese i nostri eroi ome-

generali e impersonali quindi non prendetela a male, non siate rancorosi e vendicativi, non vi arroccate attorno alla vostra Timé.

Aggiunta in extremis, poco prima di andare in stampa: Questa Seguo pare avere capacità divinatorie. Pur scrivendo uno o due mesi prima dell’arrivo delle riviste nelle case degli abbonati, immancabilmente si verifica qualcosa che sembra far riferire le mie inoffensive e nient’affatto sibilline parole a qualche accadimento di attualità al momento della lettura, generando grandi alzate di sopracciglia, malumori e imbarazzi. Non sto a dirvi di preciso come, quando, cosa si sia verificato in passato, ma per favore: dovesse esserci stata qualche vendetta importante, qualcosa che vi riguarda proprio durante la lettura, credetemi. Non l’ho fatto apposta. Non penso sempre a voi. Spesso i miei sono discorsi

A volte invece penso a voi. Emiliano Nencioni ALMANACCO 2019

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ENIGMISTICA AL BBQ a cura della REDAZIONE

Q-CIVERBA

ORIZZONTALI 3. Carne speziata, lasciata in salamoia e affumicata di origine romena 8. Il taglio ideale per un pulled pork perfetto 12. Fondo di cottura ottenuto dalla bollitura di ossa, cipolle, carote ed erbe 13. Non si bucano mai 14. Grigliare in Argentina 15. Si dice di ribs troppo cotte 16. Salatura della carne prima della cottura 17. Fa parte della Holy Trinity insieme a ribs e pulled pork 18. Petali di legno duro aromatico

LE SOLUZIONI SONO A PAGINA 398

VERTICALI 1. Inerzia termica 2. New York strip in italiano 4. Dopo il filetto, è il muscolo più tenero del bovino 5. Cottura a contatto diretto con le braci 6. Il pascolo in cui viene allevato il suino iberico de bellota 7. Sono i gradi previsti dal pre trattamento del Revit 9. Una Tomahawk steak con l'osso più corto 10. Dispositivo in ceramica a forma di uovo 11. Tempo di permanenza in cella frigo che intercorre tra l'abbattimento dell'animale e la vendita


N°12/ANNO 1 - DICEMBRE 2019

MAGAZINE

GIANFRANCO LO CASCIO

UN GAMBERO CHE CAMMINAVA IN AVANTI SICILIA

IL VERO COUS COUS ALLA TRAPANESE

il GAMBERO ROSSO DI MAZARA S P EC I A LE



EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO

un GAMBERO CHE CAMMINAVA

in AVANTI

"Vuoi vendere il p esce su Internet? ma che ti dice il cervello?" "Si, me l'avevano g ià detto per la carne, tranquillo" In realtà i gamberi non camminano all’indietro ma in avanti, usando le appendici che hanno lungo il torace. Questi crostacei, però, adottano la retromarcia come reazione istintiva quando si trovano di fronte a un pericolo improvviso. Come? Con una forte contrazione dei muscoli addominali che provoca la flessione improvvisa della coda a ventaglio, costituita dall’ultimo paio di appendici addominali, gli uropodi. Passato il pericolo, riprendono a muoversi normalmente.

37 (Mediterraneo), non si scappa. Parlo di quello che ho selezionato per voi, qualcuno l’ha già assaggiato.

Gambero rosso di Mazara, rigorosamente pescato nel Mediterraneo con tanto di certificato: Zona FAO

Il Gambero rosso di Mazara o più propriamente Aristaemorpha foliacea, appartiene alla famiglia degli

Sì perché l’80% dei gamberi rossi venduti sul mercato italiano arriva, ahimè, dal Mozambico ed è lontano anni luce dall’oro rosso della cittadina di mare trapanese per qualità delle carni, aromaticità e burrosità. Caratteristiche che derivano dall'alta percentuale di evaporazione delle acque che arricchisce il gambero di sali minerali conferendogli una carne molto iodata, Un po’ come faccio io di fronte alle difficoltà e le inco- densa, dal taglio facile e senza sfilacciamenti. gnite oscure, qualche passetto indietro per riflettere Ma se all’assaggio riusciamo a distinguere in souplese poi un grande colpo di coda per sfondare in avanti. se il prodotto, per compattezza, mineralità e dolcezza, l’esame visivo riuscirebbe ad infinocchiare anche Un uomo che ha un’idea nuova è un pazzo finché un pescatore esperto, o un mazarese di origine come quell’idea non ha successo. E tanto volte mi sono me. sentito dare del folle, del visionario, fin quando non sono riuscito ad innescare una piccola rivoluzione nel Eppure esiste un modo per distinguere un’Aristaemodo di intendere, valutare, acquistare e cuocere la morpha foliacea (Gambero Rosso di Mazara) da un carne. Adesso parliamo di pesce, però. Aristeus antennatus (Gambero viola) e da un Plesiopenaeus edwardsianus (Gambero rosso atlantico) e non IL GAMBERO ROSSO DI MAZARA DEL VALLO farsi fregare.

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Aristeidi. È una specie cosmopolita diffusa in tutti i mari ma la sua storia si intreccia indissolubilmente con quella marinara della cittadina testimone della mia infanzia, baluardo estremo dell'occidente siciliano a poco meno di duecento chilometri dalla Tunisia. Già maestosa ai tempi dei Fenici, Mazara del Vallo si fregia della marineria più grande d'Italia, la seconda in Europa. Una storia che inizia con la pesca di sussistenza, principalmente di pesce azzurro, e continua con la svolta industriale a fine Settecento, grazie alla famiglia inglese degli Hoops che avvia la conservazione delle alici destinate alla flotta britannica. Negli anni d'oro, quelli dalla fine degli anni Quaranta agli anni Novanta del secolo scorso, Mazara contava circa 1300 pescherecci dotati di tecnologia avanzata e specializzati nella pesca di altura del crostaceo rosso. Oggi, di quei pescherecci ne rimangono circa sessanta, insieme ad una trentina di stabilimenti di lavorazione e conservazione del pesce.

rio: se le femmine infatti possono raggiungere i 23 cm di lunghezza, i maschi non superano mai i 20 cm. Sul carapace notiamo una robusta spina epatica e una carena post-rostrale ben presente. Il rostro è lungo, sottile e incurvato verso l’alto nei soggetti giovani, più corto nei maschi. La colorazione va dal rosso sangue, rosso vino con riflessi violacei sulla parte dorsale del carapace. Vive principalmente a profondità comprese tra i 400 e i 1300 metri in fondali fangosi, nutrendosi perlopiù di invertebrati e krill. Impossibile acquistarlo fresco: le imbarcazioni da pesca escono in mare per più giorni e preservare le qualità organolettiche di un prodotto così delicato è praticamente inattuabile. È per questo che viene abbattuto a bordo mediante un processo di surgelazione istantanea, per evitare di cospargerlo di porcherie che hanno il compito di rallentare la degradazione del prodotto. Prima di essere congelato a bordo in cassette da 1 kg, il Gambero rosso viene suddiviso per taglia o “scelta”. A seconda delle dimensioni del crostaceo, si avranno cassette di I, Ma adesso facciamo un piccolo approfondimento di II, III e IV “scelta”, o, come viene chiamato più comubiologia marina. nemente, “gambero di prima”, “gambero di seconda” e così via. Il Gambero rosso di Mazara mostra un corpo compresso lateralmente con addome molto sviluppato, Le dimensioni delle prime 3 scelte di Gambero rosso gli adulti presentano dimorfismo sessuale seconda- si calcolano dalla lunghezza della testa. E sono le se394 - BBQ4All MAGAZINE


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guenti: I “scelta”: > 50 millimetri II “scelta”: 41-49 millimetri III “scelta”: < 40 millimetri Esistono poi delle pezzature speciali superiori alla prima, ovvero “King” e “Captain Reserve”, ma ne parleremo più avanti.

COME SCEGLIERLO Una volta rinvenuto il crostaceo, controllare che la testa sia integra, dotata di antenne, non staccata dal corpo, neanche parzialmente, e che gli occhi siano presenti, lucidi e grandi. La corazza deve essere scintillante e soda, priva di ingiallimenti sulle zampe e sulla coda. I Gamberi devono profumare di mare, di iodio. “Tutto chiaro, ma la testa nera?”

COME DISTINGUERE IL VERO GAMBERO ROSSO DI MAZARA L’Aristaeomorpha foliacea (il Gambero rosso di Mazara) viene spesso confusa con un'altra specie denominata Gambero viola (Aristeus antennatus). Il carattere che permette la distinzione delle due specie è il numero di denti nella parte superiore del rostro: 5-6 nel Gambero rosso di Mazara, 3 nel Gambero viola. Il Gambero rosso di Mazara può essere scambiato (per il colore) anche con il Gambero rosso atlantico (Plesiopenaeus edwardsianus). Un carattere che permette la distinzione, oltre al numero di denti sul rostro, è la presenza nel Plesiopenaeus edwardsianus di un'appendice del cefalotorace (massillipede), frangiata da una doppia fila di lunghi peli a formare una piuma.

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È un processo ossidativo (melanosi) dovuto ad un gruppo di enzimi presenti nella testa: le polifenolossidasi. Non pregiudica minimamente la qualità del prodotto e solo l’utilizzo di una quantità massiccia di solfiti può evitarla. Si tratta di un fattore meramente visivo e mai qualitativo. I GAMBERI CHE HO SELEZIONATO PER VOI Vi ho spiegato come distinguere, scegliere ed acquistare il vero Gambero rosso di Mazara, ora avete sostanzialmente due strade: scartabellare su Google, buttarvi su un prodotto a casaccio, piazzare un ordine di prova e sperare in Dio, oppure mettere da parte ansie e paure ed affidarvi a me. Avrete senz’altro intercettato i miei post in Community su Facebook, ma


rostro con 5-6 denti

gambero rosso di mazara Aristaeomorpha foliacea

rostro con 3 denti

gambero viola Aristeus antennatus

rostro con 3 denti

gambero rosso oceanico

massillipede frangiato

Plesiopenaeus edwardsianus

ne approfitto per ricordarvi come funziona: se non vi siete ancora iscritti al Club Megastore, scrivete una mail a club.megastore@bbq4all.it oppure collegatevi a http://clubmegastore.bbq4all.it per ricevere l’assistenza di un Coach BBQ4All. Esprimete i vostri desideri o sollevate i vostri dubbi, penserà a tutto lui in ogni caso.

Dai nostri test, dopo 48 ore di viaggio dalla Sicilia al Veneto, la temperatura interna del box registratava 32 gradi sottozero; il vostro freezer arriva a malapena alla metà.

Se di carne non ce n'è molta, di gamberi ce n'è ancora meno, per questo vi consiglio di sbrigarvi. Poi godetevi il numero di Dicembre del BBQ4All Magazine però, La spedizione dei gamberi avviene con ISOBOX ad fatevi rapire dai profumi del mare di Sicilia e preparaalta densità più ghiaccio secco chiuso in sacchetti. tevi a sapere tutto sul Gambero Rosso di Mazara. Garantisco la temperatura interna di -18°C per 72 ore: considerate che il ghiaccio secco è anidride carbonica Gianfranco Lo Cascio congelata a -78°C. ALMANACCO 2019

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INDICE DICEMBRE 2019 - NUMERO 12 ANNO 1

APPROFONDIMENTI 4 0 0 . PO RT FO L I O

L'inevitabile ascesa dell'ammaru russu 4 0 4 . R E P O R TA G E

seducente rosso

LE T EC N I C H E

414. crudo di gamberi e scampi 418. bisque: il miglior sapore in assoluto 422. aragosta: come pulirla e cucinarla 426. il vero cous cous alla trapanese 442. sarde: cosa sono e come si puliscono

RICETTE DI SICILIA

432. busiate al ragù di tonno 436. tagliolini al nero di seppia 438. l'ammaru ammuddicato 446. pasta con le sarde 451. sarde a beccafico 452. caponata di tonno 454. sua maestà il cannolo 458. la vera cassata siciliana 462. abbinamenti vino 464. cocktail: orange daiquiri

RUBRICHE 466. WINE CLASS

DIECI BOTTIGLIE DA BERE TRA NATALE E CAPODANNO 4 7 2 . LO S P E Z I A L E D E L BA R B EC U E

il finocchietto 474. SEGUO

SEGUO DA UN ANNO

S O LUZ I O N I Q - C I V E R BA ORIZZONTALI: 3.Pastrami 8.Boston Butt 12.Gravy 13.Salsicce 14.Asado 15. Fall off the bone 16.Dry Brining 17.Brisket 18.Chips VERTICALI: 1.Carryover 2.Lombata 4.Infraspinatus. 5.Ember roasting 6.Dehesa 7.cinquantadue 8.Cowboy Steak 10.Kamado 11. Frollatura

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PORTFOLIO a cura di ROBERTO DAL BOSCO

l'inevitabile e veloce ascesa

Ammaru Russu

dell'

Dal cib o p op olare ai ristoranti stellati. Ma attenti alle imitazioni

«Gambero in Technicolor! I mercanti dei mercati del pesce palermitani urlavano così. Degli artisti veri». «Alla Vuccirìa il nostro Gambero veniva promosso in virtù del colore. Il colore rosso vivo denota la freschezza. Se è bianco è fetido». È impossibile frenare la conoscenza che l’architetto Mario Tumbiolo - che gentilmente ha collaborato con noi per questo numero speciale- ha di Mazara del Vallo. «Mazar in lingua fenicia significa rocca; il vallo invece non c’entra nulla con il muro, come il Vallo di Adriano, o la valle, inteso come territorio pianeggiante: è la parola araba wālī (in arabo: ‫) ىلاو‬, che significa più o meno distretto amministrativo. Mazara era il più grande dei tre sotto il dominio musulmano». Per la storia locale questo signore è quello che in lingua yiddish si dice un maven, un accumulatore inesausto di competenza specifica.

incentrata su tre tonnare: la Tonnarella, la Tonnara di ponente, la Tonnara di levante conosciuta in antico come quella di Tre fontane e successivamente come quella di Torretta Granitola. Le fabbriche di quest’ultima sono state riadattate in tempi recenti a laboratori scientifici gestiti dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, il massimo organo scientifico nazionale, che ci ha piazzato dentro quello che ora si chiama l’Istituto per lo studio degli impatti Antropici e Sostenibilità in ambiente marino (IAS). Ma non era neppure il tonno il piatto forte della pesca mazarese. Qui l’architetto attacca un canto del Cinquecento:

Architetto, vorrei parlare del Gambero Rosso di Mazara. «Ah, ammaru russu. Una cosa recente, quindi». Ma come? Io mi immaginavo una sorta di animale totemico della città, consumato nei secoli da fenici, romani, saraceni, normanni, garibaldini… «No, la pesca è solo una delle anime della città, che in passato era nota per l’estrazione mineraria – li cantuna, i blocchi di calcarenite, con cave scavate prima a galleria e poi a cielo aperto – la pastorizia, la viticoltura. E poi la pesca non è partita con il gambero».

Legenda: bacari e bacaruni sono le brocche piccole e grandi, li sciccareddri sono gli asinelli, il curaddru (beddru, cioè bello) è il corallo, e il monte con le donne abbacinanti è Erice, dove sorgeva il Il tempio di Venere Erycina (1300 a.C. – 54 d.C.). A Mazara dunque «salavano le sarde». «Tonno, sardine: prodotti legati alla salagione e all’affumicazione. Poi, con l’introduzione nel Settecento del baccalà nei mercati del mediterraneo, questo mercato collassa». Mazara però non muore, anzi: rilancia sino a divenire la prima marina di pesca in Italia, e fors’anche del Mediterraneo.

Apprendiamo che in antichità la pesca mazarese era 400 - BBQ4All MAGAZINE

«A Sciacca bacari e bacaruni / A Mazara

salano li bedrri sardi / Marsala pi li sciccareddri / Trapani pi lu beddru curaddru / Sopra lu munti li fimmini bedrri».


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rimane edibile, ma con la testa marcia di sicuro è invendibile. Quindi, il Gambero Rosso di Mazara era consumato quasi esclusivamente dai Mazaresi. Un ingrediente di piatti popolari preparati con costanza da mamme e nonne. Per esempio, il cuscus di pesce: nel Maghreb il cuscus si fa con la carne di montone o con l’agnello, in Sicilia invece ci si mette il pesce, e l’ammaru russu appena pescato non può mancare. Un consumo quotidiano: «i pesci di facile decomposizione venivano consumati in loco per le zuppe in giornata». Insomma: un cibo popolare, un elemento che con il suo gusto dolciastro non mancava nelle miscelazioni culinarie locali.

Merito di un pescatore di uomini, anzi di un pescatore di pescatori – un sacerdote. Monsignor Giovanni Battista Quinci (1877-1956), già cappellano della Regia Marina Militare Italiana, storico ed economista, si inventa la motorizzazione dei natanti. Imbastisce una cooperativa, la Stella Maris. La crescita della pesca diviene vertiginosa, al punto che i mazaresi si spingono a gettare le reti sin oltre Gibilterra, in pieno Atlantico. «Fu un salto tecnologico a rendere fortissima la pesca di Mazara. Parimenti, il Gambero Rosso arrivò per una svolta tecnologica». Perché, fino agli anni Sessanta, non è che il Gambero non ci fosse: è che non lo si poteva vendere. Il pesce azzurro (tonno, sardine), il polpo, i molluschi li puoi salare, quindi conservare, e di conseguenza commercializzare. Il crostaceo no. Era impossibile fare arrivare fuori dal territorio degli esemplari la cui testa non si Nelle cartoline di un tempo, addirittura, Mazara era fosse già imbrunita in putrefazione. Magari la coda raffigurata dalle casse di gamberi ammassate sulla banchina del porto: «uno spettacolo», sorride l’architetto. Insomma, si trattava di una prelibatezza di cui, per le ragioni del naturale decadimento della materia biologica, potevano godere solo i locali.

La liberazione mondiale del Gambero di Mazara è avvenuta grazie al progresso della scienza alimentare: prima con i bisolfiti, conservanti oggi utilizzati con parsimonia un po’ come nel mondo del vino. Poi con l’industria del freddo, nel dopoguerra e nei decenni successivi, che ha determinato la diffusione del Gam402 - BBQ4All MAGAZINE


dei gamberi rossi sulle tavole italiane sono mozambicani). Tuttavia, la situazione del nostro Gambero siciliano è assai florida, anche da un punto di vista ecologico. Il mare dei gamberi, soprattutto nella zona di ponente, è rimasto pescosissimo, e vi sono studi CNR che comproverebbero un aumento dei crostacei dovuto alla diminuzione dei loro predatori naturali.

bero Rosso di Mazara. Oggi, con i sistemi di refrigerazione già a bordo, viene surgelato (-40°C) appena pescato. È significativo vedere come questo cibo popolare sia stato nobilitato sino a divenire un incontrovertibile impreziosimento del nutrirsi. «Un tempo il gambero crudo lo mangiava solo il marittimo a fini funzionali, per saggiarne la qualità. Oggi non si contano le declinazioni di crudité di gambero che offre la ristorazione». «Ora il Gambero di Mazara è qualità, è eccellenza globale: e spesso vengono gli ispanici in cerca del prezioso ingrediente che dia un sapore forte alla loro paella». E mica solo la Spagna: dopo essere stato recuperato tra i 200 e i 1000 metri sotto il mare, il Gambero vola verso i mercati di Singapore, Dubai, Londra, Francia e Germania. Il successo travolgente ha portato con sé gli inseguitori: ad esempio il gambero del Mozambico, venduto in Italia come Mazara (secondo alcuni l’80%

Nel frattempo, sulla terraferma, abbondano le ricette che offrono il Gambero Rosso in ogni fantasia possibile. Linguine, risotto allo scoglio, gamberi al forno, paccheri di Gragnano gamberi e pesto di pistacchi, gamberi fonduta di gorgonzola, risotto gamberi e curry, gambero grigliato con miele d’arancio e soia, gamberi crudi in infusione di Tè bianco Yi Sheng, caprese di Gambero Rosso, carpaccio di Gambero Rosso, gambero con ananas grigliato su crema di carote e zenzero… L’architetto tuttavia ha idee più minimaliste e storicamente dense. Alla domanda di come lo prediliga, lui risponde: «con il Prosecco. Semplice, favoloso. Nord e Sud insieme. L’unità d’Italia non l’ha fatta Garibaldi, l’ha fatta la gastronomia!». ALMANACCO 2019

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REPORTAGE a cura di MICHELA BONGIORNI

Seducente Rosso

quello del Gambero di Mazara Mazara del Vallo, Ottobre 2019 - Dimenticatevi i vip e i negozi grandi firme, i locali spennaturisti e le discoteche con veline e calciatori, dimenticatevi nani e ballerine, a Mazara del Vallo (anche Mazzara, per gli abitanti) il mare è ancora il protagonista assoluto. La cittadina della Sicilia occidentale, infatti, è il porto peschereccio più importante d'Italia, il secondo in Europa. Decretata recentemente capitale internazionale della Blue Economy, ogni anno Mazara ospita, nell’antico mercato arabo - luogo storico che da centinaia di anni è simbolo dell’incontro tra popoli e culture, di scambio di prodotti e di merci provenienti da tutto il Mediterraneo - il Blue Sea Land, grande evento che unisce in un unico luogo i Distretti Produttivi 404 - BBQ4All MAGAZINE

e le filiere agro-ittico-alimentari di Italia e Sicilia, dei Paesi del Mediterraneo, dell’Africa e del Medioriente, promuovendo le eccellenze gastronomiche tipiche di ogni area. Insomma, qui sul settore ittico-alimentare non scherzano per niente. Può capitarvi di finire in un ristorante, di ordinare un pesce scritto sul menù e di sentirvi rispondere: mi spiace, oggi non è stato possibile recuperarlo, le condizioni marittime non lo hanno permesso. Però abbiamo il pescato del giorno, lo provi. E quindi torniamo al discorso iniziale e al protagonista assoluto di tutta la faccenda: decide il mare, ine-


migliori prodotti ittici congelati e freschi. Fondata dai fratelli Roberto e Vito, l’azienda nasce per svolgere l’attività di commercio all’ingrosso dei prodotti della pesca del mar Mediterraneo rivolgendosi alla ristorazione, ai grossisti e ai supermercati. Nel 2004 i due fratelli decidono di aprire la pescheria. In realtà, quest’ultima è una definizione che non rende affatto l’idea di ciò che è davvero. Già il nome, La Boutique del pesce, può darvi la misura di quanto sto per descrivervi. Si tratta di un ampio locale suddiviso in due ambienti: da una parte la vendita del pesce fresco e surgelato, dall’altra la gastronomia, dove si possono trovare piatti pronti, cucinati dallo chef Nicola Indomito detto “Colalavecchia”. Al momento di entrare nel locale, la prima cosa che mi colpisce è l’odore. In nessun altro negozio del genere visitato finora ho pensato: che profumo! Questo aspetto, apparentemente di poco conto, sarà una costante che mi accompagnerà durante tutta questa esperienza: siamo in un luogo che profuma e non puzza di pesce, il che ci può far intuire facilmente quanto la freschezza della merce sia l’aspetto più importante e garantito. “La pescheria in realtà è nata nel 2000 – racconta Roberto seduto accanto a un modellino, ricco di dettagli e illuminato, di un peschereccio - prima era solo uno stabilimento di produzione. Poi, dato che la gente si fermava chiedendo di comprare il pesce, abbiamo deciso di aprire la vendita al pubblico. Nel 2004 si è trasformata ed è diventata ciò che vedi adesso. Nel 2014, dopo una ricerca di mercato, abbiamo affiancato alla vendita del prodotto fresco e congelato anche la gastronomia, con due diversi tipi di soluzioni: la gente può venire qui e comprare ciò che noi prepariamo tutti i giorni, quindi condimenti per la pasta, pesce al forno, brodo e quant’altro, oppure può venire, comprare vitabilmente. Nessuno, fra coloro che vivono di pesca ciò che preferisce in base al pescato del giorno e chiee di ristorazione, si sognerebbe mai di servire un prodere di farselo cucinare da Nicola. dotto di scarsa qualità o di dubbia provenienza pur di accontentare il turista. Qui, ripeto, garantire la freSuccessivamente, è nato lo stabilimento di produschezza del prodotto -e di conseguenza la sua tracciazione così come lo vedi adesso. Prima, ci approvvibilità- è la priorità assoluta. gionavamo da altri fornitori che però in certi periodi dell’anno non ci garantivano il prodotto, quindi per LA BOUTIQUE DEL PESCE Tutto quanto detto finora trova la sua perfetta espres- essere assolutamente certo che i miei clienti lo trosione nella figura di Roberto Giacalone. Lo incontria- vassero per 365 giorni all’anno, ho deciso di approvmo nella pescheria che gestisce insieme al fratello vigionarmi in autonomia, garantendo quindi non solo la quantità necessaria a soddisfare la richiesta Vito, una delle diverse attività di famiglia. Il nome Giacalone è sinonimo di una lunga esperien- ma anche e soprattutto la qualità. Ovviamente, a quel za nella lavorazione e nel commercio all’ingrosso dei punto, avendo aperto l’intera linea di produzione (dal ALMANACCO 2019

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mare alla tavola), non potevamo lavorare solo con la pescheria e quindi abbiamo allargato un po’ il giro, facendo il confezionamento e fornendo prodotti anche alla GDO.” Com’è nata l’attività? Il volto di Roberto si addolcisce nei ricordi: “Ero piccolo, avevo sedici anni, e quel giorno mi trovavo da Zio Pino. Mi godevo il mare e mi facevo i fatti miei.

Dato che questo signore vendeva pesce ai ristoratori, arrivò appunto il proprietario di un ristorante famoso qui a Mazara chiedendo delle cozze. Non erano pronte, quindi ci fu un piccolo battibecco tra i due, i quali però si salutarono con la promessa che la merce sarebbe arrivata quanto prima al ristorante. Cosa successe? Che mi sentii chiamare: tu, invece di stare lì a non fare nulla, prendi quelle cozze, puliscile e portale al ristorante. Fatti dare 30.000 lire. A quel tempo c’erano ancora le lire, erano gli anni ‘90. Feci quanto mi era stato richiesto, portai le cozze a destinazione, presi il denaro e lo riportai a Zio Pino. Lui mi regalò 5.000 lire. A quel punto mi scattò la molla: ma se ne vendo altre, tu mi dai altre 5.000 lire? Lui mi rispose: tu pensa a vendere. Corsi subito in un’edicola, comprai penna, taccuino e una scheda telefonica, quella per i telefoni pubblici. Cominciai a fare il giro dei ristoratori. Rompevo le scatole a tutti, ogni giorno. Inizialmente ho trovato molta diffidenza. Vedi questo signore? - indica Nicola - lui lavorava in uno dei ristoranti più famosi qui a Mazara e quando arrivai nel suo locale mi rispose che non aveva certo bisogno delle cozze, anzi che poteva vendermele lui! Pensai: prima o poi dovrai passare da me! E infatti così è stato. A un certo punto erano i ristoratori che mi cercavano, magari la domenica, per avere il pesce che faticavano a trovare da altre parti. E quando sono arrivato ad aprire i miei locali, sono andato a cercare gli chef che conoscevo e che sapevo essere i più bravi. Ora Nicola lavora per me, così come altri cuochi che prima erano i miei clienti.” Nicola ascolta tutto, annuendo e ridendo da dietro il suo bancone, mentre cuoce il polpo e prepara un brodo di pesce che inebria, tanto è il profumo che emana. Il nostro viaggio è solo all’inizio. Lasciamo un po’ a malincuore la pescheria, con la promessa di tornare l’indomani per imparare a cucinare qualche leccornia, e ci prepariamo per andare a visitare lo stabilimento di produzione, alla ricerca del re assoluto di questo viaggio nella cultura gastronomica mazarese.

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prodotto a destinazione; oggi invece si preferisce entrare nel porto più vicino per scaricare il pescato e inviarlo a chi ne ha fatto richiesta. A quel punto finisce negli stabilimenti dei prodotti ittici e da lì ai vari clienti che lo comprano, alla piccola o alla grande distribuzione, ai ristoranti, alle pescherie.” Come viene pescato? “Ci sono vari modi - racconta Gianni- ma generalmente qui lo peschiamo a strascico: questo tipo di pesca è detta anche paranza, perché sia il lato destro che il lato sinistro della rete devono essere pari. Quest’ultima viene allargata dai divergenti e ha varie sezioni, dalla maglia più grande a quella più stretta fino ad arrivare al cosiddetto pozzale, che è la sezione con le aperture più strette, tali però da consentire al pesce più piccolo di uscire fuori, in modo da salvaguardarlo.”

IL GAMBERO ROSSO DI MAZARA Arriviamo allo stabilimento insieme a Roberto, e veniamo accolti da Gianni, Fabio e Destiny in tenuta da lavoro: camice bianco, guanti e cappellino. Siamo qui per sapere tutto, da come viene pescato a come viene viene confezionato, sul rossissimo, dolcissimo e burrosissimo Gambero Rosso mazarese, uno dei crostacei fra i più pregiati in assoluto, conosciuto e apprezzato non solo in Italia, ma richiesto nei mercati di Qual è il criterio con cui viene selezionato e suddiviso tutto il mondo, da Singapore a Dubai. il Gambero Rosso? Risponde Roberto: “Generalmente si parla di pezzatuGianni comincia a parlare: “Viene pescato sui fonda- ra di prima categoria, di seconda, di terza e di quarta. li marini a circa 400 m di profondità dai pescherecci In realtà ne esiste anche una premium, diciamo così, d’altura. Alla salpata, ovvero nel momento in cui le la prima extra. Come è facilmente intuibile, a seconda reti a strascico vengono tirate su, nel più breve tem- della grandezza del gambero si scala dalla prima alla po possibile viene fatta una cernita e il gambero viene quarta. suddiviso in base alla pezzatura. A quel punto viene riposto nelle vaschette da un kg e immediatamente abbattuto a bordo, a una temperatura di - 40 gradi. Questo passaggio ci consente di evitare l’uso massiccio di solfiti che in passato venivano utilizzati in gran quantità per questo tipo di prodotto. Una volta che il gambero è stato surgelato a bordo, viene confezionato e poi messo nelle celle di mantenimento che vanno da - 18 a -20 gradi: la temperatura non può essere inferiore perché altrimenti il crostaceo rischia di bruciarsi per il troppo freddo. Un peschereccio può rimanere in mare anche 40 giorni o più, dipende molto dalle zone in cui si trova (vicino alla Grecia, in Libia o in Egitto ad esempio): la bordata può durare anche tre mesi. Ma abbiamo la possibilità di fare un trasbordo: una volta al peschereccio si affiancava un’altra imbarcazione che trasportava il 410 - BBQ4All MAGAZINE


volta che subiscono una lavorazione (dall’affettatura dei tranci di pesce spada all’arricciatura del polpo, per fare due esempi). Non escono mai dalla stessa porta da cui sono entrati, per questo motivo tutte le celle frigorifere, la cui temperatura è controllata costantemente attraverso i monitor, hanno due porte. Il pesce lavorato non viene mai a contatto con quello ancora da lavorare.” E la tracciabilità? “A parlare è l’etichetta che apponiamo sulle vaschette. Dal cartone primario, cioè da quello che ci arriva dai pescherecci, possiamo capire quando e dove il prodotto è stato pescato e da lì ricaviamo anche la data di scadenza. Qui può cambiare solo la data di confezionamento. In caso di controllo, grazie al numero di lotto si può risalire al giorno in cui abbiamo preso il prodotto e da chi lo abbiamo ricevuto, in modo molto trasparente e sicuro.” Nel gergo marinaro si parla anche di numero di pezzi al chilo: - prima: 18/24 pz per kg - seconda: 25/34 pz per kg - terza: 35/42 pz per kg - quarta: 43/60 pz per kg. Ovviamente cambiano molto anche i prezzi a seconda delle categorie. Quelli grossi e quelli extra costano, giustamente, di più.” Come vengono confezionati i gamberi? Stavolta a parlare è Fabio: “Possiamo confezionare i nostri prodotti in modi differenti, ma per il gambero usiamo il termoretraibile: la vaschetta piena di crostacei viene messa sulla base del macchinario, dopodiché viene saldata e poi attraverso un rullo finisce nel forno. A quel punto, col calore la pellicola si ritrae. Non usiamo la confezione in skin per questo tipo di prodotto, per il semplice motivo che, nel momento in cui, grazie al sottovuoto la pellicola si adagia sui gamberi, i carapaci potrebbero bucare la confezione e far entrare aria.” Il tutto avviene in un ambiente pulitissimo, come tiene a sottolineare Gianni: “Stiamo attentissimi al fatto che non ci sia mai sporco a terra: i nostri prodotti seguono un circuito obbligato, da una cella frigorifera all’altra ogni

Non solo Gambero Rosso, quindi. “No, trattiamo quasi tutto. Per esempio, un altro prodotto che non può mai mancare qui a Mazara quando vogliamo mangiare il crudo è lo scampo. Anch’esso suddiviso a seconda della pezzatura, viene congelato a bordo dei pescherecci insieme all’acqua. Questo fa sì che le chele, molto delicate, non si spezzino durante il trasporto e ci permette di offrire un prodotto che finisca sulle tavole integro e perfettamente conservato.” Salutiamo i ragazzi e li lasciamo al lavoro: devono sezionare e poi confezionare il pesce spada. Noi, insieme a Roberto, ci avviamo verso la terza e ultima tappa di questo interessante viaggio alla scoperta del Gambero Rosso. Dopo aver imparato come viene pescato, lavorato e confezionato, non rimane che fare una sola cosa: assaggiarlo. Sapete come si dice, è un duro lavoro ma qualcuno deve pur farlo.

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IL RISTORANTE ALTAVILLA Era inevitabile, nel percorso della famiglia Giacalone, partito dallo stabilimento di produzione e arrivato alla gastro-pescheria, chiudere il cerchio aprendo un ristorante. E così è stato: qualche mese fa Roberto e Vito hanno inaugurato questo delizioso e raffinato locale che si affaccia sulla Cattedrale del Santissimo Salvatore. Da un lato si vede il mare – e non potrebbe essere altrimenti- dall’altro la Cattedrale e le secolari magnolie del parco antistante, che è pieno di vasi e ceramiche dipinte a mano (ceramiche che decorano ogni strada, panchina o gradino della kasbah); dietro il locale si trova piazza della Repubblica, la più importante della città, uno spazio barocco disegnato fra '600 e '700. Mare, storia, arte, incontro di culture diverse: sono tanti i profumi che si respirano in questo luogo di cui si parla troppo poco, anche se non so decidermi se questo alla fine sia un bene o un male.

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Arriviamo al ristorante all’ora di cena. Esattamente come si fa prima di un matrimonio, siamo qui per provare i piatti del menu che dovremo fotografare e raccontare ai nostri lettori. Gli chef del ristorante, Francesco Lombardo e Angelo Ferrara, ci servono un magnifico crudo di gamberi e scampi, le busiate al ragù di tonno, i tagliolini di nero di seppia con gamberi, burrata e lime. E poi Gianfranco Lo Cascio, che qui abita e conosce ogni piatto, vuole stupirci con effetti speciali: ordina crostini con ricci di mare, aragosta e champagne, frittura di cappuccetti (minuscoli calamari), sgombro al forno e carpaccio di ricciola. Tutto condito con olio d’oliva appena franto e limone. Terminiamo il pasto con la frutta martorana e un passito di Pantelleria che fa venire le lacrime agli occhi (in senso buono). Facciamo un piccolo meeting con gli chef e decidiamo il da farsi per i giorni successivi, quando verremo qui a fare lo shooting.


Il nostro primo giorno a Mazara è terminato. La sensazione che abbiamo è che tutto sia in perfetto equilibrio tra sguardo al passato ed estrema, moderna professionalità. Ho volutamente evitato di descrivervi il sapore indimenticabile del Gambero, specie se lo gustate crudo, specie se – come è d’obbligo fare qui- ne succhiate la testa, perché non voglio rovinarvi la sorpresa. Lascio ai cuochi e alle loro ricette il compito di accompagnarvi in questo viaggio. Slacciatevi le cinture, perché alla fine sarete sazi e contenti.

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SPECIALE GAMBERI - TECNICHE DI BASE e RICETTE

la colazione del pescatore

CRUDO DI GAMBERI E SCAMPI Scampi e gamberi, i frutti del mare, sono tra le preparazioni più ambite della cucina di pesce. Noi grigliatori amiamo abbrustolirli su una griglia rovente, dopo averli marinati e insaporiti, rendendo la loro la carne succulenta e profumata. Eppure tali esemplari ben si prestano (se assolutamente sicuri) per preparare degli ottimi piatti crudi, assaporando in tal modo tutto il gusto del mare. Vediamo cosa fare per presentare due piatti a base di gamberi rossi e di scampi crudi (e occhio alla provenienza, sempre). La pulizia Lo scopo della pulizia del crostaceo è quella esporre le carni eliminando il carapace, ossia l'esoscheletro, e rimuovere l’intestino, il filamento nero che scorre lungo la schiena. Gamberi e scampi sono animali che sostano sul fondo del mare, motivo per cui il budello è spesso colmo di sabbia e risulta, se mangiato, fastidioso e leggermente amarognolo. Nella prossima pagina sono illustrate in dettaglio tre diverse tecniche di pulizia dei crostacei. Prima di continuare, diamo una risposta esaustiva a una domanda che ci sentiamo fare spesso: parlando del Gambero Rosso di Mazara, possiamo notare come, da crudo, la testa risulti alla vista molto scura, quasi nera. Vuol dire che il prodotto non è fresco? No, niente affatto: quel colore scuro che vedete sono le uova che poi, da cotte, diventano di un bellissimo e brillante color arancio. Quindi niente paura.

sterebbero per accompagnare un crudo di gamberi e scampi da panico, ma con una buona dose di fantasia si può arrivare anche più avanti: una granita al limone per un contrasto fresco, una crema di burrata e basilico per accompagnare la succulenza della carne, o ancora una riduzione di frutti rossi per evidenziare le note dolci ma saporite del gambero. L’unica accortezza da avere è accertarsi che il crostaceo sia freschissimo, in modo da non incorrere in nessun problema di salute.

L a Tartare Una delle preparazioni più classiche per gustare un prodotto crudo, di pesce come di carne. Tagliate rigorosamente al coltello il gambero a cubetti di circa un centimetro, condite con olio, sale, pepe e una spruzzata di succo di limone; prendete un coppapasta, appoggiatelo su della carta forno e adagiate la carne all’interno, premendo per compattare bene il tutto. La viscosità della carne e l’olio aiuteranno nell’operazione, ma se dovesse essere necessario, girate il coppapasta in modo da premere anche dall’altro lato e uniformare le due superfici. La dimensione della grana va a vostro gusto e piacimento, ma è bene sottolineare che con una diIl crudo C’è chi preferisce evitare di lavorare ulteriormente mensione più grossolana avrete una maggior consistenza sotto i una materia prima così perfetta, così nobile. Un filo di olio extravergine di oliva e un po’ di pepe ba- denti. 414 - BBQ4All MAGAZINE


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T ECNICA N. 1

Rimuovere l'esoscheletro dalla coda in modo da servire all’occorrenza la carne con ancora attaccata la testa e le chele, oppure eliminando anche la parte anteriore utilizzando solo la coda per altre preparazioni. • Incidere il carapace sulla pancia, più morbida e flessibile, sollevando con l’aiuto della punta di un coltello l’esoscheletro. • Eliminando le zampe posteriori si agevola l'operazione. • Aprire l'esoscheletro sulla coda rimuovendolo dalla carne. • Incidere la coda per tutta la sua lunghezza • Con l'aiuto di uno stuzzicadenti o di un altro utensile appuntito ma non tagliente, rimuovere l'intestino.

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T EC N ICA N .2

Mantenere l'esoscheletro integro eliminando solo l'intestino (scelta ideale per grigliare i crostacei) • Piegare il crostaceo, incidere tra coda e testa, sfruttare l'apertura per inserire uno stuzzicadenti e tirare fuori delicatamente l'intestino.

T EC N ICA N .3

Aprire completamente il crostaceo (scelta ideale per i gamberi ammuddicati) • Incidere il crostaceo dalla schiena per tutta la sua lunghezza, dividendolo in due parti lungo l'asse di simmetria • Pulire la polpa dal canale digerente.

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I L M IG L IOR SAPO R E IN ASSO LUTO Come preparare una perfetta bisque di Gamberi Rossi di Mazara

procedimento descritto dagli chef Angelo Ferrara e Francesco Lombardo del ristorante Altavilla Ambìto e consumato in lungo e in largo, troppo spesso del gambero si perdono le qualità più importanti e distintive. Eh sì, perché se è vero che è la coda ad essere servita cruda o cotta in uno svariato repertorio di preparazioni, è anche vero che sono testa e carapace a contenere la maggior spinta di sapori e aromi, tra i più complessi, ricchi e potenti di tutta la cucina. Con pochi e semplici passaggi è possibile preparare un estratto dalla forza inaudita, adatto a insaporire brodi, salse, sughi, primi e secondi piatti. L’Assoluto di Gamberi è, di fatto, un concentrato inestimabile di sapori, una riserva preziosissima da preparare e tenere da parte, adatta a mille scopi. Premessa: l’origine del sapore Il carapace dei crostacei è una porzione di esoscheletro che protegge il cefalotorace dell’animale, ed è composto da 4 strati ben definiti: • epicuticola: proteica e lipidica, priva di chitina; • esocuticola: formata da proteine e chitina eventualmente calcificata; • endocuticola: ricca in chitina e che può essere abbondantemente calcificata; • strato membranoso: contenente chitina non calcificata addossato all’epiderma. Un concentrato di proteine, lipidi e polisaccaridi insomma, che tostando funge da sorgente inestimabile di sapori.

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Prima parte: la Maillard Trito di sedano, carota e cipolle come base, il più classico dei soffritti, utile a garantire insieme ad un buon olio extravergine di oliva un’esplosione amplificata dei profumi estratti dal gambero. Una volta saltato il mix di verdure, spadellate tutte le rimanenze dei gamberi a fiamma alta: carapaci, teste, tutto quel che non si mangia insomma. Seconda parte: il plus di sapore Una volta che gli zuccheri del carapace sono caramellati, sfumate con del cognac per recuperare tutto il prezioso fondo; a tal proposito, se usate una padella antiaderente potete dire addio al 50% del risultato. Evaporato l’alcol, aggiungete qualche pomodoro datterino fresco o del concentrato di pomodoro, mezzo lime e abbondante ghiaccio, in modo da evitare che a fiamma viva i carapaci brucino in fretta, alterando le proprietà inestimabili per l’Assoluto perfetto. Terza parte: la riduzione Eliminate le teste e le chele, strizzando il loro contenuto all'interno della pentola, aiutandovi con una pinza. Fate ridurre, frullate con un mixer a immersione e filtrate con un colino cinese. Otterrete un concentrato molto denso, carico di sapori, utile anche in dosi minimi per generare un boost inconfondibile a qualsiasi piatto. Fidatevi, non potrete mai più vivere senza.

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L'ARAGOSTA come pulirla e come cuocerla alla perfezione

L’obiettivo è ricavare in maniera più pulita possibile, in modo da evitare sprechi, la preziosa polpa dalla coda, dal torace ed eventualmente anche dalle zampe e dalle chele. Il procedimento vale per tutti i grossi crostacei: aragoste, scampi di grossa pezzatura, astici, canocchie e cicale di mare. La particolarità di questi crostacei è che l’esoscheletro è molto duro e calcificato quindi occorrono utensili specifici, l’ideale è utilizzare delle buone forbici da cucina.

da un’aragosta: se esplorate in rete troverete molte varianti. Noi vi consigliamo di praticare delle incisioni lungo la parte ventrale e dorsale della coda, dove si trova la parte più nobile della polpa del crostaceo; l’operazione viene effettuata utilizzando una robusta forbice da cucina facendo scorre una delle lame al di sotto del carapace, al fine di ottenere due valve che vanno separate delicatamente. Si può anche lasciare la coda intera, tagliando con le forbici i lati del carapace (esattamente come si fa per gli scampi) e esponenIl primo passo per valorizzare e sfruttare al massimo do poi tutta la polpa. queste delizie del mare è lessarle correttamente (o facendole cuocere al vapore con un forno che abbia In fase di cottura potrebbe essere necessario fissaquesta funzione) in modo che i tessuti all’interno per- re la coda dell’aragosta con un supporto dritto in dano la consistenza gelatinosa traslucida e assumano modo che la contrazione dovuta al calore le impediuna corretta consistenza soda e bianca con sfumatu- sca di curvarsi, rendendo più complicata la rimozione re arancio. Ovviamente, come per la carne, l’overco- dell’esoscheletro. oking (la cottura eccessiva n.d.r.) genera una polpa meno succosa e saporita. Un indice non trascurabile Anche il torace e le zampe contengono una significatiper determinare la cottura di un crostaceo è il colore. va parte di carne edibile. Nell’aragosta le dieci zampe Molti hanno un colore rosso arancio piuttosto vivace articolate al torace (in realtà cefalotorace) possono anche allo stato crudo, invece molti altri, come gran- essere letteralmente spremute con un mattarello, fachi, astici e aragoste, hanno un colore completamente cendolo rollare su di esse, schiacciandole e spremendiverso da crudi e assumono la colorazione rosso-a- dole come se fossero un tubetto di dentifricio. rancio solo da cotti. Tuttavia esiste una temperatura ideale al cuore, seguendo la quale sappiamo con cer- Una volta pulita, l’aragosta si presta ad essere gustata tezza che l’aragosta è cotta: 56 gradi centigradi, misu- in numerose preparazioni: dal semplice olio e limone, rabili con uno dei nostri amati termometri da cucina. al sugo per la pasta (servita perfino all’interno del carapace, per un effetto scenico più impattante), dalla Non c’è un approccio specifico per ricavare la carne catalana alla griglia.

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il vero

co us co u s

alla Trapanese come prepararlo alla perfezione ricetta dello chef Nicola Indomito della gastronomia La boutique del pesce La condivisione delle culture, l’assorbimento, la nascita delle tradizioni sono la linfa vitale della cucina di tutti i tempi, anche remoti. Spesso ce lo dimentichiamo, intestardendoci sulle usanze, bloccando l’innovazione, arrabbiandoci di fronte ai cambiamenti o ancora insultando le preparazioni di altri popoli, eppure tantissimi dei nostri piatti più celebri e acclamati provengono da terre vicine e lontane. Probabilmente, non esiste testimonianza più forte dell’incontro tra culture diverse del cous cous trapanese. Un piatto che di fatto è nato più per il particolare processo di preparazione che per gli ingredienti in sé; in particolare, la cottura a vapore dei grani sul brodo di una pentola in terracotta risale probabilmente già al X secolo d.C. nell’Africa Occidentale. Ibn Battuta, uno dei più grandi viaggiatori mai esistiti, intorno al 1350 scoprì in Mali (l’odierna Mauritania) cous cous di miglio e di riso, ma è indubbio che il più diffuso e amato sia quello ricavato dalla semola di grano duro (Triticum durum). Definito ormai come piatto tradizionale dei Berberi (gli “uomini liberi”, popoli autoctoni del Nord Africa corrispondenti agli stati di Marocco, Algeria, Tunisia e Libia), conosciuto nel grande continente semplicemente con il nome arabo taʿām, che significa cibo, è oggi diffuso anche in Francia, Belgio, Israele, Giordania, Libano, Palestina, Brasile e soprattutto nella nostra cara Italia. Eh già, perché storicamente la Sicilia (e precisamente la zona di Trapani) è un territorio con frequenti legami sociali con Tunisia e Libia, specie negli ultimi due secoli. Fu probabilmente importato dai pescatori che si recavano in queste terre, motivo per cui ancora oggi il cous cous isolano è tradizionalmente preparato con un brodo di vari tipi di pesce, sia a Trapani che nelle aree limitrofe di Favignana e San Vito Lo Capo. Un’eccellenza indiscutibile, di uso quasi quotidiano, inserito tra i “Prodotti agroalimentari siciliani” riconosciuti dai Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali su proposta della Regione Siciliana. 426 - BBQ4All MAGAZINE


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Quando il grano e l’acqua si incontrano Oggi siamo ormai abituati alla vita frenetica, ai cibi pronti, a cucinare sempre meno, a privarci di tantissime soddisfazioni. E purtroppo, con il cambiamento dei ritmi quotidiani, c’è davvero poco da fare: chi cucina in casa ha sempre meno tempo, e persino l’appassionato più nerd è costretto a incastrare le preparazioni tra i vari impegni. Ma chi ha avuto la fortuna di assistere almeno una volta nella vita alla preparazione del cous cous non può negare quanto sia magico e coinvolgente. Peraltro, com’è ovvio, il risultato non è nemmeno paragonabile al precotto e inscatolato che troviamo sugli scaffali del supermercato, spesso molliccio e poco saporito. Senza contare il significato intrinseco dell’unione tra il grano e l’acqua, da sempre simboli di terra, di fertilità, di cibo e di vita. Di base il processo è piuttosto semplice: si mischia della buona semola rimacinata di grano duro a poca acqua, e lo si fa in modo da formare piccole pallottoline, grumi rotondi, sgranando e facendo asciugare a più riprese (in gergo incocciando). Per un chilo di semola servono circa 3 bicchieri di acqua tiepida; si aggiunge un cucchiaio di sale fino, poi il primo bicchiere e si mescola con le dita in una ciotola capiente, in modo da far assorbire uniformemente il poco liquido da tutta la farina. Un processo lungo e meticoloso, che si porta dietro l’ovvio rischio di scarsa omogeneità del composto, soprattutto per mani poco esperte; eppure il trucco c’è, poco adatto ai classici detrattori di metodi ben più rapidi ed efficaci, ma che ha la sua indubbia praticità; Nicola ce lo rivela: utilizzando uno sbattitore elettrico, i tempi saranno decisamente minori, e l’uniformità della grana raggiungerà un grado ben più elevato. Una volta che il composto è asciutto, si inserisce il secondo bicchiere, si mescola e si lascia nuovamente asciugare all’aria. Ripetendo il processo tre volte si raggiunge una dimensione media dei grumi, la più classica, ma è bene dire che a seconda dei gusti più o meno passaggi consentono di variare lo stile del cous cous. 428 - BBQ4All MAGAZINE

Il plus di sapore Nel mentre, viene preparata un’emulsione semplice ma efficace, utile a condire il cous cous prima della cottura. Tre bicchieri di un buon olio extravergine di oliva, leggero ed equilibrato ma presente, una cipolla bionda e tre spicchi di aglio rosso di Nubia, più morbido e dolce; il tutto viene messo in un bicchiere e ridotto a crema con un frullatore a immersione, per poi essere aggiunto ai grumi e mescolato ulteriormente a mano o tramite lo sbattitore elettrico. La cottura Tradizionalmente il cous cous veniva versato a questo punto in una pentola di terracotta con la base forata, appoggiata su un secondo recipiente contenente acqua bollente o brodo, e sigillata insieme con l’impasto del pane in modo da evitare di far fuoriuscire il prezioso vapore. Oggi esistono metodi ben più consolidati, come la couscoussiera, una doppia pentola a incastro in acciaio inox: la prima alta e la seconda più bassa, forata e con coperchio.


In ristorazione vengono utilizzati altrimenti i forni a vapore e teglie forate, in modo da distribuire i quantitativi ben piÚ elevati di cous cous e consentire a tutti i grumi una cottura omogenea. Qualsiasi sia il metodo utilizzato, per una grana media il tempo di cottura è di circa due ore.

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Il brodo, il pesce, il mare A differenza della versione originale magrebina, preparata con carne e verdure, il cous cous della nostra terra viene insaporito con un brodo di pesce denominato ghiotta; come per tutti i brodi, prodotti della cucina povera e popolare, la presenza di pesci piccoli e poco pregiati è forse l’elemento più distinguibile di tutta la preparazione. L’utilizzo di più varietà di pesce consolida la ricchezza di questo piatto apparentemente semplice, ma dal gusto inestimabile 430 - BBQ4All MAGAZINE


Immancabili gli scorfani (sia rossi che neri) e poi orate, triglie, sgombri, tracine, cernie, San Pietro, vope, gallinelle, luvari e occasionalmente anguille, saline, gamberi e scampi.

Aggiunta l’acqua, la cottura prosegue per circa tre ore, poi il brodo viene frullato e filtrato, in modo da ottenere un estratto abbastanza denso. Consiglio spassionato: prima di frullare tirate fuori dalla pentola Le dimensioni contano poco, e il qualche trancio di pesce, per pomotivo è presto detto: il pesce (un terlo utilizzare al momento del chilo ogni cinque litri di acqua) vie- servizio per la composizione del ne fatto saltare insieme ad un bat- piatto. tuto di cipolla, aglio e prezzemolo, viene aggiunto del concentrato di pomodoro, abbondante sale e pepe a piacere.

Impiattamento e servizio Fate saltare qualche pomodorino in una padella ben calda con olio e uno spicchio d’aglio, prendete brodo, il cous cous tenuto in caldo in un contenitore di terracotta e il pesce. Componete i piatti servendo il cous cous in piatti fondi o ciotole, versate mezzo mestolo di brodo, qualche trancio di pesce e i pomodorini appena saltati (e non dimenticatevi i nostri gamberi rossi di Mazara!) e godetevi il frutto del vostro instancabile lavoro ALMANACCO 2019

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BUSIATE AL RAGÙ DI TO NNO ricetta dello chef Angelo Ferrara del ristorante Altavilla Tipiche della tradizione trapanese, le busiate sono un formato di pasta fresca fatta solo con farina, acqua e un pizzico di sale. Si tratta di una sorta di maccheroni attorcigliati su se stessi, con la tipica forma a spirale cava al centro. Questo fa sì che la pasta cuocia alla perfezione e che trattenga benissimo il condimento. L’origine del nome, come spesso accade, è incerto: secondo alcuni deriva da un particolare ferro da maglia detto buso, che veniva utilizzato nel trapanese per lavorare lana e cotone, col quale si dava la forma a spirale alla pasta; secondo altri, il nome deriva dalla busa, ovvero lo stelo molto sottile dell’Ampelodesmos mauritanicus, graminacea tipica della macchia mediterranea, che veniva utilizzato sia per legare i fasci di spighe che per realizzate le busiate. In ogni caso, per preparare questi maccheroni basta avvolgere l’impasto intorno al ferro e poi dargli la forma desiderata attraverso la pressione col palmo della mano. Se non si possiede il ferro adatto, si

può utilizzare anche uno spiedino di legno. Di solito le busiate vengono condite con il pesto alla trapanese, ma oggi lo chef Angelo Ferrara ci insegna un ragù di tonno che si sposa benissimo con questi tipica pasta siciliana. Il tonno usato per questa ricetta è quello a pinne gialle, chiamato così per la caratteristica colorazione delle pinne dorsali e ventrali, la cui carne è tenera, compatta e dal colore rosa intenso. La spezia che viene usata dallo chef, che dona un sapore molto particolare al ragù, è il finocchietto: è importante ricordare che, dopo aver eliminato tutti i fili duri, va sciacquato e fatto bollire in una pentola con acqua salata. Prima di essere utilizzato, infatti, il finocchietto va sempre sbianchito. E se non riuscite a trovare le busiate o non avete tempo per prepararvele da soli? Lo chef consiglia le trofie, che si adattano benissimo a questo ragù. ALMANACCO 2019

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Preparazione 1. Riducete il tonno a pezzetti piccoli e poi, in una padella, soffriggete in olio extravergine di oliva il sedano, la carota e la cipolla tritati finemente. 2. Tritate il finocchietto e aggiungetelo al soffritto, poi fate insaporire il tonno. 3. Bagnate il tutto col vino bianco e lasciatelo evaporare. 4. Aggiungete il concentrato di pomodoro con poca acqua, aggiungete i pinoli e aggiustate di sale (senza esagerare, addirittura lo chef consiglia di non usare il sale e di regolarsi solo con quello nell’acqua della pasta); a questo punto lasciate cuocere il ragù: è importante ricordare che il tonno non ha bisogno di una cottura prolungata. 5. Cuocete la pasta in abbondante acqua salata, e poi saltatela in padella con il ragù di tonno e i pinoli, aggiungendo acqua di cottura per risottarla un po'.

I N GREDIENT I

PER 4 P ERSO NE • 300 g Tonno pinna gialla • 300 g di busiate • qualche rametto di finocchietto sbianchito in padella • un cucchiaio di sedano, carota e cipolla tritati finemente • vino bianco q.b. • mezzo cucchiaio di concentrato di pomodoro • pinoli 100 g • sale q.b. • olio extravergine di oliva q.b.

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TAGLIOLINI AL NERO DI SEPPIA

con gambero rosso, burrata e lime ricetta dello chef Angelo Ferrara del ristorante Altavilla Cos’è il nero di seppia? Chiamato comunemente inchiostro è una sostanza altamente colorante, contenuta in un organo speciale presente nei molluschi cefalopodi, di interesse gastronomico: si trova nei polpi, nei calamari e nelle seppie. Presenta colorazioni differenti a seconda della specie ma è costituito essenzialmente da muco e melanina. Il nero di seppia è contenuto in una ghiandola a forma di sacco annessa al tratto finale dell’apparato digerente del mollusco. Il suo contenuto viene espulso direttamente nella cosiddetta cavità del mantello dove alloggiano le branchie, e spruzzato tramite il sifone, cioè una struttura tubolare che serve all’animale per respirare e muoversi secondo principio della propulsione a getto tipico di questi molluschi. L’animale espelle l’inchiostro a scopi difensivi. Per ricavare facilmente una quantità di inchiostro sufficiente, le seppie devono essere di buone dimensioni e freschissime, in quanto gli organi interni di questi molluschi sono fragili e si decompongono molto rapidamente dopo la morte dell’animale. 436 - BBQ4All MAGAZINE

deve risultare morbido e non Per mantenere integra la struttura della seppia e ricavare la ghiandola appiccicoso. Se si presenta andell’inchiostro è necessario incicora pallido e grigio, aggiungedere la seppia dal dorso e rimuovere altro nero. re l’osso, in questo modo saranno 3. Quando il panetto di impasto visibili le interiora del mollusco è pronto, fatelo riposare per che devono essere rimosse deliun’ora, poi stendetelo con un catamente al fine di non rompere mattarello aiutandovi con la la ghiandola che ha un colore nefarina, poi avvolgetelo su se ro-argenteo. Il nero di seppia deve stesso e ricavate i tagliolini. essere consumato rapidamente 4. In una padella mettete l’olio, e ha un altissimo rendimento in lo spicchio d’aglio, il cucchiaio termini di colorazione. Può essere di soffritto e fate cuocere legutilizzato sia come base per congermente i gamberi sgusciati, dimenti sia come colorante per la tenendovene però quattro anpasta, classica o all'uovo. cora col guscio; sfumate con Qui è stato usato per l’impasto dei vino bianco e fate evaporare tagliolini che poi sono stati conditi l’alcool. con gambero rosso di Mazara, una 5. Scottate i tagliolini in abbonburrata rigorosamente pugliese e dante acqua salata, poi aggiundel lime. geteli al condimento facendoli saltare e risottare, continuanPreparazione do a mantecare per dare cre1. Mettete la farina in un recimosità. Non aggiungete sale al piente, setacciandola, poi inucondimento, ma solo all’acqua miditela con mezzo bicchiere di cottura. d’acqua e un pizzico di sale; 2. Diluite il nero di seppia in ac- 6. 6. Impiattate i tagliolini con burrata pugliese, una gratqua: questo procedimento aiutugiata della scorza del lime e ta la colorazione dell’impasto un gambero intero come decche deve essere di un nero asorazione. soluto; cominciate ad aggiungere il nero all’impasto, che


I N GREDIEN TI

P ER 4 P ERSO N E PER I TAGLIOLINI: • 400 grammi di semola di grano duro rimacinata • acqua q.b. • un pizzico di sale • nero di una seppia sciolto in 2 cucchiai di acqua fredda PER IL CONDIMENTO: • uno spicchio d’aglio • un cucchiaio di sedano, carota e cipolla e tritati finemente • olio extravergine di oliva q.b • sale q.b. • 200 g di burrata pugliese • mezzo bicchiere di vino bianco • una ventina di Gamberi Rossi di Mazara • un lime

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L’ ammaru ammuddicato NON UN SEMPLICE G A M B E R O G R AT I N AT O ricette dello chef Francesco Lombardo del ristorante Altavilla Il Gambero Rosso di Mazara del Vallo è un’eccellenza gastronomica siciliana. Un prodotto unico nel suo genere, pescato nelle profondità del mar Mediterraneo. Questo crostaceo vive nelle limpide acque del canale di Sicilia e, grazie all’elevata evaporazione di questo mare, è caratterizzato da una tipica nota di sapidità apprezzabile sia da cotto che da crudo. Nel suo gusto inconfondibile è inoltre possibile percepire il sapore tipico dei fondali marini di queste zone. Che gusto ha? È molto più dolce dei gamberi che siamo soliti assaggiare, ha una burrosità al palato molto accentuata e, quando si succhia la testa, si ha proprio la sensazione di assaggiare il mare. Come abbiamo già detto più volte, per preservare queste sue eccezionali caratteristiche viene congelato direttamente a bordo a una temperatura di -40°,per fare in modo che durante le lunghe battute di pesca il prodotto non deperisca.

spettacolare crostaceo non manca mai durante le festività ed è protagonista indiscusso sulle tavole dei siciliani. Oggi lo chef Francesco Lombardo ci propone una ricetta semplice e veloce che però riesce a esaltare il delicato gusto del gambero. È quello che in Sicilia viene definito ammaru ammuddicato. Per rendere comprensibile a chi non è pratico del dialetto siciliano possiamo tradurlo in gambero gratinato, ma questa definizione non gli rende giustizia.

Prima di parlare della ricetta protagonista di oggi è bene soffermarsi su un altro ingrediente che sarà presente nel piatto: la muddica atturrata. Diversamente da quello che sembra, questo ingrediente non è semplicemente del pangrattato, ma è il prodotto che si ottiene grattando la mollica dal pane di semola divenuto secco. Una volta ottenuta la muddica si fa tostare in padella con un filo d’olio, sale Nell’area del trapanese questo e pepe, fino a ottenere il prodotto 438 - BBQ4All MAGAZINE

adatto a questo tipo di preparazione. Nella versione palermitana, oltre agli ingredienti appena citati, si aggiungono prezzemolo e aglio tritati nella fase di tostatura. Anche in questo caso abbiamo pensato a chi non può proprio rinunciare alle sue amate preparazioni in griglia: la ricetta si presta benissimo ad essere preparata nel kettle.


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I N GREDIENT I

PER 4 P ERSO NE • 16 Gamberi rossi di Mazara del Vallo • 500 g di muddica alla palermitana • 100 g di Parmigiano grattugiato • Olio extravergine di oliva q.b.

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Preparazione 1. Preparate il kettle per una cottura indiretta e settatelo a 180° 2. Sciacquate i gamberoni e asciugateli 3. Con un paio di forbici da cucina apriteli dorsalmente facendo attenzione a non incidere la carne 4. Apriteli leggermente aiutandovi con le dita ed estraete il budello e la sacca che si trova nella testa 5. Una volta pulito ogni gambero, con un coltello dal cucina incidete la carne 6. Mescolate adesso la muddica alla palermitana con il parmigiano 7. Tenendo i gamberi aperti con le dita ungeteli con un po’ d’olio 8. Aggiungete adesso la panatura all’interno del gambero 9. Ungete una teglia con un filo d’olio e adagiatevi i gamberi 10. Aggiungete un ultimo filo d’olio 11. Cuocete nel kettle per 20 minuti circa.

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Chiù

sarde

pi

tutti

ricette dello chef Nicola Indomito della gastronomia La boutique del pesce No, non ci stiamo riferendo a belle e procaci donne dell’isola dei quattro mori. Oggi parliamo di un altro tipo di bellezza. Forse la più grande del mar Mediterraneo: il pesce azzurro. Prima di addentrarci nella descrizione delle ricette, è bene diradare la nebbia e fare chiarezza sulle differenze tra queste specie di pesci. Per farlo, sarà necessario rispolverare le conoscenze di biologia. Con il termine generico sarda si indicano i pesci appartenenti a due grandi famiglie: quella dei Clupeidae e quella degli Engraulidae. A queste due famiglie appartengono le sardine, le acciughe (o alici), e le aringhe. Il nome sarda (sarda sarda, Bloch, 1793) è riferito a un altro pesce, comunemente detto palamita, che però è molto più grosso rispetto agli altri. Sardine (Sardina pilchardus, Walbaum, 1792) e aringhe (Clupea harengus, Linneo, 1758) appartengono entrambe alla famiglia Clupeidae ma sono due specie diverse, mentre le acciughe (Engraulis encrasicolus, Linneo, 1758) appartengono alla famiglia Engraulidae. Questi pesci, seppure simili all’apparenza, sono molto differenti nel

gusto; per questo motivo se ne fa un diverso utilizzo in cucina. Per le ricette che seguono la protagonista è la sardina che in Sicilia viene comunemente chiamata sarda. Oggi, insieme allo chef Nicola Indomito, ci addentriamo nei meandri della tradizione culinaria siciliana con due preparazioni tipiche dell’isola: la pasta con le sarde e le sarde a beccafico. La prima, inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani redatta dal Ministero delle politiche agricole e forestali, è tipica della stagione che va da marzo a settembre, ovvero il periodo in cui è più facile reperire sarde fresche e raccogliere nei campi il finocchietto selvatico (ingrediente di cui è ricca). Secondo la leggenda, questa pasta fu inventata dal cuoco arabo di Eufemio da Messina (alcuni sostengono che questo fatto sia successo proprio a Mazara!) il quale, dovendo sfamare le truppe durante la campagna militare degli arabi in Sicilia, si trovò a dover arrangiarsi con il poco che aveva a disposizione: fu così che nacque la prima ricetta mare&monti della storia, poiché il cuoco unì un prodotto del mare, le sarde, con altri

due prodotti della terra, il finocchietto e i pinoli. Le sarde a beccafico, invece, sono nate come imitazione povera di una ricetta destinata ai nobili: i beccafichi ripieni, ovvero gli uccelli che rappresentavano il tipico bottino di caccia dell’aristocrazia siciliana. Ben presto il popolo si ingegnò: al posto degli uccelli usò le sarde, al posto delle interiora dei volatili, la mollica di pane, i pinoli e l’uvetta. Nacque questa deliziosa preparazione, oggi presente sulle tavole siciliane come antipasto o come secondo piatto durante ogni ricorrenza. Lo chef le ha preparate per noi seguendo la tradizione. Ehi, un attimo di attenzione: anche per queste due ricette si usa la muddica atturrata e non il pangrattato. Ne abbiamo già parlato in precedenza (vedi ammari ammuddicati): siete stati attenti, vero?

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Operazione preliminare per entrambe le preparazioni è la pulizia delle sarde. È abbastanza semplice, ma richiede manualità e un po’ di pratica. Prendete le sardine e ponetele in uno scolapasta, sciacquatele dunque sotto l’acqua corrente. Fatto questo staccate la testa del pesce e, aiutandovi con il pollice, aprite il pesce in due seguendo la linea ventrale. Fatto questo eliminate la lisca centrale. Se avete un po’ più di manualità potete anche unire le operazioni: staccando la testa tirate verso la coda e contemporaneamente aprite il ventre ed eliminate la lisca. Terminata la fase di pulizia rimettete le sardine nello scolapasta e passatele nuovamente sotto l’acqua corrente per eliminare gli ultimi residui di sangue.

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PASTA CO N LE

SAR DE

Preparazione 1. Tritate finemente la cipolla e il finocchietto 2. In una pentola mettete la cipolla, il finocchietto, una dose generosa di olio, i pinoli, l’uvetta e il vino. 3. Fate adesso rosolare il tutto. 4. Aggiungete la passata di pomodoro e lasciate sobbollire qualche minuto. 5. È il momento dello zafferano: aggiungetelo al sugo; in alternativa, se volete, provare la curcuma (ma non ditelo ai gastrotalebani!) 6. Lasciate sobbollire qualche minuto 7. Aggiungete infine le sarde pulite e sciacquate. 8. Aggiustate di sale e fate cuocere a fuoco dolce, aiutandovi con un poco d’acqua se il sugo vi sembra troppo asciutto 9. Nel frattempo in un’altra pentola mettete a cuocere la pasta 10. Quando la pasta è cotta conditela con il sugo di sarde 11. Impiattate adesso la pasta condita e guarnite con la muddica come se fosse parmigiano.

INGREDIENTI

P ER 4 P ER S O N E • 500 g di sarde già pulite • 500 g di bucatini n° 7 • due mazzi di finocchietto selvatico sbianchito • mezzo bicchiere di passata di pomodoro • 100 g di pinoli • uva passa q.b. • una bustina di zafferano • una cipolla bianca • un bicchiere di vino bianco • olio extravergine di oliva q.b. • 100 g di muddica atturrata

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SARDE

A B ECCAF ICO

INGR EDIE NTI

PE R 4 PE R S O N E • • • • • •

16 sarde pulite 500 g di muddica 100 g Pinoli 50 g di uva passa uno spicchio d’aglio un ciuffo di prezzemolo • farina di semola di grano duro q.b.

Preparazione 1. Tritate finemente l’aglio e il prezzemolo 2. In una padella antiaderente mettete a rosolare l’aglio, il prezzemolo e la muddica 3. Salate e pepate 4. Quando il pangrattato sarà tostato a sufficienza toglietelo dal fuoco e mescolatelo coi pinoli e l’uvetta 5. Su un tagliere disponete una sarda aperta a libro con la pelle rivolta verso il basso 6. Aggiungete adesso il pangrattato 7. Adagiateci sopra un’altra sarda con la pelle rivolta verso l’alto 8. Chiudete “l’involtino”, arrotolandogli intorno lo spago da cucina 9. Infarinate adesso le sarde e friggetele in olio extravergine di oliva.

I piatti di ceramica ritratti nelle pagine 427, 431, 446 e 450 sono opera dell'artista Rosa Signorello, la sua bottega d'arte si trova a piazza S.Veneranda, a Mazara del Vallo (TP). Ogni prodotto realizzato da Rosa è fatto con cura nei minimi dettagli, ambasciatrice silenziosa di culture sapientemente mixate, secoli di esperienza e manualità ormai in disuso nei paesi Occidentali.

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CAPONATA D I TO NNO

ricetta dello chef Nicola Indomito della gastronomia La boutique del pesce

Ricetta dal sapore agrodolce, tipica della Sicilia, la caponata ha una versione diversa tante quante sono le città e i paesini in cui la si prepara. Ufficialmente ne esistono 37 varianti, ma probabilmente sono molte di più. Originariamente, questo piatto nasceva come una preparazione di mare, riservato solo al ricco palato della nobiltà, perché realizzato con il capone ( o lampuga in altre zone d’Italia), da cui prese anche il nome. Il pregiato pesce azzurro, tipico del periodo estivo, era accompagnato da un gustoso sughetto agrodolce con capperi, olive ed altre verdure di stagione. L’intingolo, oltre ad esaltare il sapore del capone e a mitigare il carattere asciutto della carne, era (ed è) la chiave del successo della caponata. Infatti, quando la ricetta uscì dai palazzi dell’aristocrazia, per diffondersi tra la gente comune, solo il costoso pesce fu sostituito con la più economica melanzana, tuttavia la modifica non rese meno eccezionale la ricetta. Oggi la impreziosiamo di nuovo, grazie alla versione dello chef Nicola Indomito, cuoco della gastro-pescheria “La Boutique del 452 - BBQ4All MAGAZINE

lanzane sotto l’acqua e asciupesce” a Mazara del Vallo, aggiungatela tra due canovacci. gendo il tonno. Sappiamo che questo pesce, per mantenere morbi- 4. Friggetele in abbondante olio di semi: quando saranno belle dezza e succosità, ha bisogno di dorate, con l’aiuto di una schiuuna cottura breve, mentre la capomarola toglietele dalla padella nata ha bisogno di stare sul fuoco e adagiatele su un piatto ricopiù a lungo. Quindi, per non farlo perto con carta da cucina, per diventare stopposo, lo scottiamo asciugarle dall’olio in eccesso. velocemente prima sulla piastra e poi terminiamo la cottura insieme 5. In una casseruola versate un po’ di olio d’oliva extravergine alle verdure, per pochi minuti, in e mettete a rosolare la cipolla modo che tutti i sapori si sposino e il sedano tagliati grossolanatra di loro alla perfezione. Per voi mente. irrudicibili del bbq: provate a sostituire la piastra con la griglia. Il 6. Quando il sedano e la cipolla saranno imbionditi, unite le risultato sarà eccezionale. olive - denocciolate e ridotte a rondelle- e i capperi. Lasciate Preparazione insaporire per qualche minuto. 1. Lavate le melanzane sotto l’acqua corrente e mantenendo la 7. Aggiungete la passata di pomodoro, l’aceto e lo zucchero buccia tagliatele a dadini, non e mescolate bene; dopo una troppo piccoli. decina di minuti mettete anche 2. Prendete uno scolapasta, verle melanzane ed aggiustate di sate all’interno un primo strato sale (e di pepe, anche se lo chef di melanzane e salatele, poi un ne evita sempre l’uso, perché, secondo strato e salatele nuodice, tutti i suoi piatti devono vamente. Appoggiate sopra di essere consumati anche dai esse un piatto con un peso, in bambini). Lasciate cuocere il modo che possano perdere il tutto finché le melanzane non proprio liquido amaragnolo, saranno morbide. per 30 minuti circa. 3. Sciacquate la dadolata di me- 8. Mezz’ora prima di passarlo sul-


I N G REDI EN T I

PER 4 PER SO NE

la piastra, togliete il tonno dal frigo ed avvolgetelo con della carta da cucina per eliminare l’umidità in eccesso. 9. Quando le verdure saranno quasi pronte, oliate il tonno e scottatelo su entrambi i lati. 10. 10. Tagliate il pesce a cubotti e unitelo alle verdure affinché termini la cottura e si amalgami con gli altri ingredienti.

• • • • •

200 g di tonno pinnegialle due melanzane una costola di sedano una cipolla 80 g di olive verdi denocciolate • 30 g di capperi sotto sale • mezzo bicchiere di aceto di vino bianco • 100 g di passata di pomodoro • 40 g di zucchero semolato • olio d’oliva extravergine q.b. • olio di semi q.b. • sale q.b. •pepe q.b.

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DALLA SICILIA- LE RICETTE

LUN GA VI TA A

SUA MAESTÀ il

cannolo

Un’altra prelibatezza che ha reso celebre nel mondo la lussuriosa e variopinta pasticceria siciliana è il Cannolo: una cialda arrotolata e croccante, ripiena di morbida crema di ricotta con gocce di cioccolato, le cui aperture laterali sono magistralmente decorate con golosa frutta candita. Questo dolce, come la Cassata, può vantare una storia millenaria; sappiamo che è nato dall’incontro tra la cultura araba e quella siciliana ( 827 d.C. - 1072 d. C.) a “Kalt El Nissa” (la città delle donne) l’odierna Caltanisetta. Durante la dominazione saracena, gli emiri impegnati nell’espansione dell’impero Ottomano stabilirono in questo luogo gli harem personali. La leggenda narra che le concubine dedicassero molto tempo all’arte culinaria, per compiacere il proprio signore anche fuori dalle lenzuola. Tra le tante leccornie preparate era presente anche il cannolo con il quale, vista la forma fortemente allusiva, venivano lodate le grandi doti amatoriali dell’emiro. Verso il 1100 d.C., con l’arrivo dei Normanni, conquistatori di fede cristiana, gli harem furono spazzati via e sostituiti dai monasteri; tuttavia la ricetta dei cannoli non andò perduta. Secondo il pensiero di alcuni, infatti, con il nuovo dominio le concubine decisero di abbandonare le proprie vesti colorate e riccamente adornate per indossare il velo.

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Secondo un’altra leggenda, pare che la preparazione di questo dolce tipico del Carnevale, fu ispirata da una burla, da cui prese anche il nome. In dialetto siciliano con il termine o’cannulo si indicava un piccolo tubo; nei tempi passati era realizzato con canne di fiume ed era collegato a dei recipienti da cui sgorgava l’acqua. Lo scherzo, ideato forse da un prete mattacchione, si svolgeva così: il malcapitato si avvicinava al cannello per bere dell'acqua fresca, ma si ritrovava con la bocca ripiena di ricotta. Da qui l’idea di realizzare una cialda arrotolata, utilizzando una canna di fiume per fissare la forma durante la frittura, farcita con crema di formaggio fresco. Una cosa è sicura, con il fluire del tempo il cannolo è diventato sempre più buono da mangiare e più bello da guardare (grazie all’introduzione del cioccolato dopo la scoperta dell’America e all’influenza dello stile Barocco, che imponeva decorazioni fastose) rendendolo un dolce da assaporare in ogni occasione e non solo per Carnevale. Qui sotto trovate la ricetta per realizzare nelle vostre cucine degli ottimi cannoli siciliani. Quelli che vedete fotografati, sono stati realizzati per noi dalla Pasticceria DoppioZero a Mazara del Vallo.


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I N GREDIENT I

PER 6 P ERSO NE PER LA BUCCIA: • 250g di farina • 50ml di Marsala • 10ml di aceto di vino bianco • 30g di strutto • 30g di zucchero • un uovo intero • un tuorlo • la scorza di un limone • un pizzico di sale PER IL RIPIENO DI RICOTTA: • 500g di ricotta di pecora • 120g di zucchero semolato • 50 g di cedro candito • 50 g di gocce di cioccolato fondente • scorza d’arancia candita q.b. • ciliegie candite q.b. • 50g di granella di pistacchi di Bronte • olio di semi q.b.

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Preparazione 1. In una ciotola capiente versate la farina setacciata e al centro versate il Marsala, l’aceto, lo zucchero, lo strutto, l’uovo e il sale. Inizialmente mescolate con un cucchiaio tutti gli ingredienti, dopodiché continuate ad impastare con le mani fino a quando non avrete ottenuto un panetto compatto e omogeneo. Avvolgetelo nella pellicola alimentare e riponetelo in frigo per circa un’ora. 2. Su una spianatoia spolverata con della farina, con l’aiuto di un mattarello stendete la pasta fino ad ottenere una sfoglia sottile di circa 2mm 3. Se non disponete di uno stampo per cannoli, prendete un coppapasta rotondo, che sia grande in proporzione al cilindro che userete per formare i cannoli. 4. Prendete un disco tenendolo tra le due mani in modo da allungarlo, sarà il punto di chiusura del cannolo. 5. Avvolgetelo non troppo stretto intorno al cilindro, perché durante la frittura l’olio deve avere la possibilità di passare tra il tubo e la pasta. 6. Per chiuderlo usate il tuorlo d’uovo sbattuto.

7. Versate abbondante olio in una pentola alta e iniziate a friggere i cannoli per 2-3 minuti, girandoli spesso in modo che la cottura risulti omogenea 8. Scolateli bene ed asciugateli su della carta da cucina 9. Lasciateli raffreddare e poi con molta delicatezza sfilate i cilindri dall’interno dei cannoli. 10. Siamo giunti alla preparazione della crema. La sera prima, mettete la ricotta intera dentro un colino posizionato sopra una ciotola, per farle perdere il siero. 11. Il giorno dopo, setacciate la ricotta e aggiungete lo zucchero fino a che non si è amalgamato bene. A questo punto, unite prima i canditi, poi mescolate e mettete le gocce di cioccolato. 12. Riempite i cannoli utilizzando la sac à poche, prima da una parte e poi dall’altra. 13. Decorate a vostro piacimento le estremità con della frutta candita e la granella di pistacchi. Un consiglio: riempite i cannoli sempre poco prima di servirli ai vostri ospiti, perché l’umidità della ricotta ammorbidisce la cialda.

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cassata siciliana LA VE RA

L’emblema dell’opulenta ricchezza di sapori e di colori, unita alla straordinaria maestria nella decorazionetipica della pasticceria siciliana apprezzata in tutto il mondo- è la cassata. Abbiamo già parlato di questo squisito dolce nel numero di Aprile mostrando una versione che fondeva insieme la tradizione secolare con la cultura della griglia, decorandolo con frutta grigliata al posto di quella candita.

Normanna, la ricetta conobbe un’importante modifica avvicinandosi moltissimo alla versione moderna: da preparazione calda diventò fredda. La pasta frolla venne sostituita dalla deliziosa pasta reale, detta anche Martorana, realizzata con farina di mandorle.

Ideata dalle monache dell’ordine della Martorana, intorno al 1100, la pasta reale veniva utilizzata dalle consorelle per realizzare i famosi frutti, dolcetti tipici Questa volta, invece, presentiamo la cassata classica, della festività dei morti. In seguito, nel ‘600, il domirealizzata per l’occasione dalla Pasticceria DoppioZe- nio spagnolo e l’influsso barocco arricchirono la torro a Mazara del Vallo. Questa torta, così come molte ta con nuovi elementi: il cioccolato, il pan di Spagna, altre ricette tipiche del territorio, nasce dalla grande la lussureggiante decorazione con frutta candita e gli influenza saracena durante il dominio arabo (827d.C.- ornamenti simili a ricami lungo la fascia di pistacchio. 1072d.C.). La codificazione della ricetta di questa straordinaria Il nome Cassata deriva dalla parola araba quas’at (ba- e cosmopolita delizia, avvenne nel 1873 ad opera del cinella). Inizialmente, a Palermo alla corte dell’emiro, mastro pasticcere Salvatore Gulì, che aggiunse alla la sua forma era ancora molto lontana da quella che decorazione la zuccata (zucca candita) da quel mosiamo soliti vedere nelle vetrine delle pasticcerie, per- mento ornamento immancabile della cassata. ché cotta al forno e priva di decorazioni. La crema di ricotta veniva messa all’interno di un guscio di pasta- Vediamo come realizzarne una a casa, seguendo le lifrolla e infornata. Nel XII secolo, con la dominazione nee guida della Pasticceria DoppioZero.

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I N GREDIENT I

PER 6 P ERSO NE PER LA PASTA REALE • 250g di pistacchi di Bronte pelati • 250g di zucchero semolato • 125ml di acqua PER LA FRUTTA CANDITA • due arance • 250g di zucca pulita • zucchero semolato q.b. • cannella q.b. PER IL PAN DI SPAGNA • 120g di farina • quattro uova • 120g di zucchero • burro q.b. • 8 gr di lievito per dolci (circa mezza bustina) PER LA CREMA DI RICOTTA • 1kg di ricotta • 100g di gocce di cioccolato fondente • 240g di zucchero PER LA BAGNA • 250g di acqua • 125g di zucchero semolato • 35 g di rum PER LA GLASSA • 350g di zucchero fondente • 175g di acqua PER LA GHIACCIA REALE • l’albume di un uovo • 170g di zucchero a velo • un cucchiaino di succo di limone

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Preparazione 1. Partiamo dalla pasta di pistacchio. Pre-riscaldate il forno a 180° C, su una teglia ricoperta di carta forno disponete i pistacchi, dopo averli liberati dalla pellicina, e tostateli per pochi minuti. 2. Dopo averli tostati, utilizzando il mixer tritateli fino a farli diventare polvere. 3. In un pentolino, fate bollire l’acqua insieme allo zucchero: quando il fluido avrà raggiunto i 106°C toglietelo dal fuoco, versatelo in una ciotola capiente e con le fruste elettriche montatelo fino a che non assume un bel colore bianco. 4. Aggiungete la farina di pistacchio ed iniziate ad unire i due elementi prima con una spatola e poi con le mani fino ad ottenere un panetto compatto. Avvolgetelo nella pellicola alimentare e ponetelo in frigo per una notte. 5. Passiamo alla frutta candita. Sbucciate le arance mantenendo la buccia il più possibile intera e bollitela in abbondante acqua per 10 minuti. Scolate le scorze e ripetete il procedimento per altre due volte. La terza volta lasciatele nell’acqua per una notte. 6. Il mattino dopo, scolatele e suddividetele in strisce non troppo sottili, pesatele e mettetele in una casseruola con lo stesso peso in acqua e zucchero, su un fuoco medio basso. 7. Lasciatele andare fino a quando il liquido sarà quasi tutto evaporato. Togliete le bucce dallo zucchero prima che caramellino e fatele raffreddare sopra un grata. 8. Prendete la zucca, eliminate i semi e tagliatela grossolanamente mantenendo la buccia; immergetela in acqua salata per circa un’ora. Passato questo tempo scolatela e sciacquatela sotto l’acqua corrente. 9. Eliminate la buccia e tagliatela in pezzi più piccoli tenendo conto della decorazione che intendete creare. Sbollentatela in abbondante acqua per 5 minuti, per ammorbidirla. 10. Pesatela e in un tegame immergetela nella stessa quantità di zucchero ed acqua con una spolverata di cannella. Come per le scorze d’arancia la zuccata sarà pronta quando è ricoperta da uno strato di zucchero; prima che caramelli lasciatela raffreddare su una grata. 11. Quando sarà ben raffreddata, tagliatela in fette lunghe e sottili da ripiegare su se stesse per creare


i petali di un fiore, il classico abbellimento con la zuccata. 12. Preparate la bagna alcolica per il Pan di Spagna. Posizionate un pentolino sul fuoco medio basso con dentro lo zucchero e l’acqua, e mescolate con un cucchiaio fino a quando lo zucchero si è totalmente sciolto. Il liquido non deve arrivare al bollore. Spegnete la fiamma ed unite il liquore girandolo per qualche minuto. Ponete la bagna in un recipiente coperto. 13. Siamo giunti alla preparazione del Pan di Spagna. Sbattete le uova con le fruste, aggiungendo poco per volta lo zucchero, fino a quando non saranno belle spumose. 14. Incorporate poco per volta la farina setacciata, e unite delicatamente gli ingredienti, senza dimenticarvi di mettere anche mezza bustina di lievito. 15. Pre-riscaldate il forno a 160° C. 16. Imburrate la teglia, versate l’impasto all’interno ed infornate per 30 minuti 17. Prima di sfornare la torta verificate che sia cotta infilando uno stecchino nella zona centrale del Pan di Spagna, penetrando in profondità: se risulta asciutto il dolce è pronto. 18. Passiamo alla crema. La sera prima posizionate la ricotta intera all’interno di un colino sopra un contenitore per farle perdere il siero. Il giorno successivo, setacciatela per poi lavorarla con lo zucchero, fino ad ottenere una crema liscia. 19. Unite alla crema le gocce di cioccolato fondente. Copritela con la pellicola alimentare e ponetela in frigo. 20. Infarinate il piano di lavoro con dello zucchero a velo, prendete la pasta di pistacchio e lavoratelo con le mani fino a creare un lungo serpente, come quando si preparano gli gnocchi; schiacciatelo prima con il palmo delle mani e poi con in mattarello, fino ad ottenere una lunga striscia di mezzo millimetro. 21. rendete una tortiera svasata o anche un anello per dolci e rivestite il bordo con la pasta di pistacchio rifilando i bordi con un coltello. 22. Prendete il Pan di Spagna, eliminate la leggera crosta della parte inferiore e di quella superiore, e suddividetelo in tre strati. 23. Tagliate a rettangoli un disco di Pan di Spagna ed inseriteli lungo il bordo sopra la pasta di pistacchio, spingendo leggermente per farli aderire

bene. 24. Foderate la base della tortiera con il Pan di Spagna, e con un pennello alimentare inumiditelo con la bagna. 25. Farcite lo stampo con la crema, distribuendola in modo omogeneo e coprite il tutto con un altro strato di Pan di Spagna che poi renderete umido con la bagna. 26. Coprite la cassata con la pellicola alimentare e ponetela in frigo 5/6 ore perché rassodi. 27. Capovolgete la cassata aiutandovi con un sottotorta e sformatela con estrema delicatezza, perché ricordatevi che è un dolce che si compone al contrario. 28. È il momento della glassa, mettete sul fuoco medio basso lo zucchero fondente aggiungendo poco per volta l’acqua per ottenere un composto né troppo liquido, né troppo denso. Quando il composto sfiora il bollore è pronta. 29. Versate la glassa sopra il dolce, utilizzate una spatola per distribuirla in modo omogeneo, evitando che coli sui bordi. Questa operazione deve essere rapida, la glassa si rapprende velocemente. Mettete la torta in frigo, mentre preparerete la ghiaccia reale per il decoro. 30. Con le fruste elettriche sbattete l’albume con il limone, quando inizia a montare versate poco per volta lo zucchero a velo setacciato fino ad ottenere un composto denso. 31. Decorate la torta con la frutta candita precedentemente tagliata a strisce o a spicchi 32. Preparate un piccolo cono con la carta forno, inserite all’interno la ghiaccia, spuntate leggermente la cima con le forbici (il tratto deve essere sottile) e terminate la decorazione con abbellimenti barocchi sulla frutta candita e sulla fascia di pistacchio. Ricordatevi che la cassata deve riposare una notte in frigo prima di poter essere servita.

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VINI ABBINATI a cura di ENIO BERTON

È ORA DI

BERE! abbinamenti consigliati

SA N C E R R E

Vino Cantina: Abbinamento :

Sancerre AOC Les Monts Damnès 2017 Domaine Delaporte Tagliolini di nero di seppia con Gambero di Mazara, burrata e lime

Concediamoci delle chicche durante le festività natalizie. Andiamo in Francia per cercare un vino che possa bilanciare il gusto pieno e dolce dei gamberi e non faccia a pugni con il lime. La Denominazione Sancerrois vuol dire sauvignon blanc ai massimi livelli. È situata in un’area collinare, con versanti molto ripidi, estesa per 2800 ettari sulla riva destra del fiume Loira nel paese di Sancerre. La produzione è principalmente di sauvignon blanc ma ci sono anche coltivazioni di pinot noir e gamay per la produzione di vini rosati o neri. Il Domaine Delaporte si trova nel villaggio di Chavignol, famoso anche per un particolare formaggio di capra. Nato nel XVII secolo, è stato tramandato di generazione in generazione e dal 2010 alla guida c’è Matthieu Delaporte, nipote di Vincent, che ha riportato la gestione del vigneto alle origini, smettendo l’uso di diserbanti e prodotti chimici, e affidandosi solo ed esclusivamente alla vendemmia manuale. Il Sancerre Les Monts Damnès proviene dall’omonima collina nel villaggio di Chavignol, caratterizzata da un suolo ricco di argilla e fossili. La vendemmia avviene nel corso del mese di ottobre e, dopo una leggera pressatura delle uve, il mosto viene posto in botti di rovere per continuare la sua maturazione per sette mesi sui propri lieviti. Una volta in bottiglia rimane in cantina per un ulteriore periodo di affinamento. Dal colore giallo paglierino, con riflessi dorati, al naso sprigiona il meglio che il terroir gli concede, i profumi di fiori bianchi e frutta a polpa gialla matura sono in progressione, affiancati da note balsamiche di eucalipto e di resina di pino. In bocca le note odorose sono confermate e la sua complessità viene avvertita da quelle prolungate di frutta. Sapido, fresco, con un fin di bocca intenso e indimenticabile. Da servire a 8/10 gradi in bicchieri tulipano. Uve: 100% Chardonnay Zone produzione: collina di Les Monts Damnès villaggio di Chavignol Esposizione: sud - est Grado alcolico: 13,00%

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A L S AC E G R A N C R U Vino: Cantina: Abbinamento :

Alsace Grand Cru AOC Muscat Goldert 2017 Zind Humbrecht Busiate con ragù di tonno

Continuiamo ad assecondare le nostre voglie. Rimaniamo in Francia e cerchiamo di abbinare il ragù di tonno a un vino secco, equilibrato, che sappia bilanciarne il gusto deciso. L’Alsazia è una delle regioni più importanti per la produzione dei vini bianchi in Francia, situata al confine con la Germania lungo il fiume Reno ha ottenuto l’Appellation d’Origine Côntrolée (AOC) nel 1962. Nella regione sono autorizzati alla produzione solo sette tipi di vitigni (muscat, sylvaner, pinot blanc, pinot gris, pinot noir, riesling e gewürztraminer ). Le coltivazioni sono in zone collinari dai 170 ai 400 metri slm.; il clima è più caldo e secco rispetto alle zone circostanti grazie alla presenza, ad ovest, dei monti Vosgi. Tale condizione climatica, abbinata all’umidità, favorisce la formazione della Botrytis Cinerea (muffa nobile) che consente la produzione di rinomati vini passiti. Il domaine Zind Humbrecht si trova nella zona dell’alta Alsazia, vicino al paese di Turckheim; la famiglia Humbrecht si occupa di vino dal lontano 1620, ma fu l’ingresso in azienda della famiglia Zind a portare, nel 1950, la coltivazione dell’uva che Leonard Zind ha imparato durante la sua permanenza in Borgogna. La gestione attualmente è in mano a Olivier che, sui 40 ettari di possedimento, segue un rigido disciplinare data dalle certificazioni biologiche ottenute fin dal 1997. L’ Alsace Grand Cru AOC Muscat Goldert può vantare la denominazione “Grand Cru” riservata a solo 50 località di tutta l’Alsazia. Viene prodotto da vitigni impiantati nell’appezzamento Goldert, situato presso il comune di Gueberschwihr su terreni calcarei ed argillosi. La vendemmia viene fatta a mano, con selezione dei grappoli che hanno svolto completamente la maturazione fenolica; dopo la pigiatura i mosti restano sui propri lieviti per almeno sei mesi. Dal colore giallo paglierino intenso, sprigiona al naso note agrumate di pompelmo, litchi e mela. In bocca le note agrumate si riscontrano, accompagnate da un sottile ed intenso aroma di fiori bianchi. Fin di bocca persistente. Da servire a 8/10 gradi in bicchieri tulipano. Uve: 100% Muscat Zone produzione: Goldert comune di Gueberschwihr Esposizione: sud-ovest Grado alcolico: 13,00%

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COCKTAIL a cura di RICCARDO MENICONI

ORANGE DAIQUIRI 464 - BBQ4All MAGAZINE


Sicilia, terra di tesori gastronomici, di inimitabili dolci, di profumatissimi agrumi e del preziosissimo Gambero Rosso di Mazara del Vallo, che abbiamo celebrato in questo numero speciale. Di colore rosso porpora e dal gusto unico della polpa, intenso e dolce, con una carne ricca di sali minerali, densa e compatta, è chiamato da molti non a caso l'oro rosso di Sicilia. Il modo migliore per gustarlo e rendergli omaggio è, naturalmente, assaporarlo crudo. Tartare o semplicemente sgusciato per coglierne ancora meglio tutte le sfumature. Rimanendo in terra sicula, un altro prodotto straordinario sono le arance rosse, succose, dolci e leggermente acidule. Ne esistono di più varietà ma la più famosa è sicuramente la Tarocco, dalla quale si ricava una spremuta eccellente. Per unire questi due prodotti ho quindi pensato ad un Daiquiri in versione orange, o meglio, red. Si prepara così: spremete l'arancia e filtrate il succo; ripetete la stessa cosa con un limone e poi misurate: Ingredienti - 15 ml succo di limone - 30 ml succo di arancia rossa igp - 50 ml rum bianco - 5 ml sciroppo di zucchero - 2 dash di Angostura Orange Bitter Preparazione Mettete tutti gli ingredienti in un boston shaker e riempitelo di ghiaccio, schakerate vigorosamente ma per poco tempo in modo da non diluirlo troppo e filtrate il tutto in una coppa cocktail precedentemente freddata con ghiaccio o messa in freezer. Aggiungete i due dash di angostura bitter all'arancia e decorate con una fetta di arancia disidratata. ALMANACCO 2019

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WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI

10

bottiglie da

bere

T R A N ATA L E E C A P O D A N N O

Mi sono avvicinato al vino di qualità circa 15 anni fa e si vede, fegato grasso senza oca intorno e girovita parlano chiaro. All’epoca, consultavo voracemente le guide di settore per studiare i grandi vini, cercarli e poi berli, sperando di coglierne il valore. C’era però un piccolo problema, soprattutto vivendo in provincia: l’irreperibilità di certe etichette. Molte delle bottiglie segnalate erano introvabili, e non solo quelle prodotte in 10.000 pezzi. Sebbene un certo vezzo nel premiare eccellenze di supernicchia, esclusive e inaccessibili, ci fosse.

dei Tre Bicchieri, che agli albori erano proprio fisicamente tre bicchieri di vetro).

Oggi la quantità di aziende, vini e guide presenti è letteralmente esplosa ma uno studio di qualche anno fa arrivò a stimare in 150 milioni di lire il valore di un vino premiato insieme al Gotha dell’enologia italiana. Racconta Tiziano Gaia – fino al 2008 collaboratore di punta della guida – nel recente libro Stappato: “I Tre Bicchieri sono sempre stati i vini più costosi d’Italia. A parità di punteggio, tra un cru di Amarone e un ottimo «base», non c’era storia: prevaleva la selezione più leSto però dando per scontato un aspetto sostanzia- ziosa, prestigiosa e difficile da reperire sul mercato (le le che dovete assolutamente conoscere. Specie a chi famose quattro bottiglie da concorso)”. si avvicina oggi al mondo del vino, sembrerà quasi impossibile immaginare quanto recente sia la storia Chiusa la parentesi amarcord, veniamo all’oggi. Se da enologica dell’Italia, che già vari secoli prima di Cristo una parte la moltiplicazione delle fonti informative, veniva chiamata Enotria (in alcune regioni) proprio cartacee e digitali, ha annacquato il valore dei singoli per la pervasiva presenza della vite. premi, dall’altra la rivoluzione tecnologica ha totalmente ridefinito il concetto di “reperibilità”. Con una Ebbene, dovete sapere che c’è stata un’epoca, nem- connessione ad Internet è oggi possibile trovare tutti meno così lontana e durata circa un paio di decenni, o quasi i vini desiderati, sia quelli d’annata che le bota cavallo tra gli anni Novanta e Duemila, in cui fu pro- tiglie più rare, tra ecommerce e Forum specializzati, prio la guida Vini d’Italia – curata in tandem da Gam- aste online e quant’altro. Esperienza e occhio clinico bero Rosso e Slow Food - a scrivere le prime pagine aiutano sempre ma non dovrete scervellarvi troppo di una storia completamente nuova ed inesplorata; per trovare le bottiglie che vi consiglio per le feste di tenete presente che in quegli anni uscivamo a pezzi Natale e Capodanno. Li trovate nei migliori shop onlidallo scandalo del vino al metanolo, che nel marzo ne e anzi, per aiutarvi, indicherò prezzo idicativo e 1986 provocò 23 vittime. Vini d’Italia 1988 contribuì a sito di riferimento. dare nomi e volti ad una geografia enologica tutta da (Nota: tra questi, per correttezza, nessuno di quelli che costruire, partendo proprio da quei primi 1.500 vini vendo nella mia bottega digitale. Spazio alla concorrendegustati (e 32 premiati col massimo riconoscimento za). 466 - BBQ4All MAGAZINE


1) Rustico Prosecco doc Treviso, Nino Franco Compie 100 anni un’azienda che ha partecipato da protagonista alla rivoluzione del vino veneto, da bene di sussistenza a prodotto edonistico. Se sarete in compagnia di qualche enostrippato vi annoierà a morte con tutti i problemi di Proseccolandia ma voi tagliate corto: sapete benissimo che esistono i Prosecco col fondo e che ce ne sono di magnifici ma durante le feste di Natale fa assai comodo una bottiglia disimpegnata e da stappare in tutte le occasioni. Anzi, se volete fare i fighi vi lascio una dritta. Qualche anno fa, Michael Edwards – uno dei maggiori esperti mondiali di Champagne – affibbiò un punteggio decisamente astronomico di ben 19/20 a un Primo Franco 1992, versione di punta Dry, cioè dolce, della gamma aziendale con queste parole: “Tonalità dorata profonda, drammatica ma ancora brillante; nessun accenno di sensazioni ossidate agli occhi o al naso. Intensità straordinaria, ma con una struttura solida e durevole che sembra condurre attraverso una seconda o addirittura terza vita. Larghezza fantastica, ma con una lunghezza elegante e incisiva. Estremamente complesso, come un Sauternes semi-secco (30 g/l di zucchero residuo). Un'ottima bottiglia.” Parola di Michael Edwards, mica del vostro amico so-tutto-io. Rustico è senza il benché minimo dubbio uno dei migliori Prosecco nella fascia di prezzo intorno ai 10 euro. Prodotto in autoclave con Metodo Charmat, è un Brut dal residuo zuccherino non eccessivamente invadente. Servitelo ben freddo con pizzette, tartine, tramezzini, focacce, fritture, sushi e sashimi: intensità aromatica di pera e leggiadria faranno il resto. Circa un milione le bottiglie prodotte, fosse così anche il restante mezzo miliardo della denominazione saremmo a cavallo. [10,60 euro, Callmewine]

2) Franciacorta Brut, Corte Fusia Ok, terminato l’aperitivo ci vuole uno spumante che avvicini alla tavola alzando il livello della complessità. Da Valdobbiadene allora saltiamo a Coccaglio, in provincia di Brescia, e come d’incanto gli anni di storia da 100 diventano nemmeno 10. L’avventura degli ex trentenni Daniele Gentile e Gigi Nembrini, enologo ed agronomo, sul Monte Orfano – zona più a sud nell’areale del Franciacorta - è una delle più avvincenti tra i nomi nuovi delle bolle italiche. Fondata nel 2010, Corte Fusia lavora 7 ettari per un potenziale di 40.000 bottiglie e questo Brut oltre ad essere l’etichetta dalla tiratura maggiore, con circa 16.000 bottiglie, è anche l’icona aziendale, il primo vino prodotto e quello cui vengono riservate le attenzioni maggiori: 70% chardonnay, 20% pinot nero, 10% pinot bianco e presa di spuma di almeno 18 mesi. L’ultima release, con uve dell’annata 2016, è tra le più buone di sempre e il timbro franciacortino è squisito. Erbe aromatiche, pietre, fiori, cereali e menta in questo spumante che fa di una nitida grazia espressiva la propria cifra stilistica. Dosato con lo stesso vino e con un residuo zuccherino inferiore al grammo/litro, vi stupità. [22 euro, A La Cave]

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3) R de Ruinart Champagne Brut, Ruinart Una bolla d’Oltralpe però va segnalata e per le feste 2019 andiamo su un classicone senza tempo. Qui si gioca in casa di chi un ruolo fondamentale nella storia l’ha avuto. La prima Maison di Champagne nasce infatti ufficialmente l’1 settembre 1729 quando Nicolas Ruinart, commerciante di Reims, apre il primo registro contabile dedicato ai vini spumanti. R de Ruinart è il Brut non millesimato più classico della Maison ed è una fotografia inossidabile del metodo Champenois: assemblaggio di oltre 60 cru, 40% chardonnay, 49% pinot noir, 11% pinot meunier, un 20-25% di vini di riserva delle due annate precedenti, 9 g/l di zucchero quindi asciutto senza eccedere e tutti i crismi dello stile Maison. Al naso albicocca, mela, torrefazione, nocciola tostata e mandorle fresche, erbette aromatiche poi brioche e biscotto. L’attacco in bocca è deciso, il vino ha equilibrio tra rotondità e polpa con un finale in cui dosaggio ben integrato e freschezza vanno a braccetto. Non lunghissimo, molto ghiotto. A cena farete un figurone di sicuro. Bonus: se mai vi capitasse di passare in Champagne, la visita in cantina è consigliata più di qualsiasi altra, almeno pescando tra i grandi nomi. Se poi volete proprio farvi un regalo deluxe, una boccia di Dom Ruinart è quel che ci vuole. [47 euro, Glugulp!]

4) Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore Capovolto 2018, La Marca di San Michele Cupramontana – provincia di Ancona - è la culla del grande Verdicchio, bianco marchigiano dal potenziale ancora pressoché sconosciuto in tanta parte del mondo, Marche incluse. Che sia il bianco italiano più premiato è questione di poco conto, così come fuorviante è parlare di un vitigno eclettico, utile sia per produrre bollicine sia bianchi fermi e vini dolci. Todos caballeros e non si vince niente. Il Verdicchio è anzitutto e primariamente un bianco fermo di carattere e riconoscibilità, tanto delicato ai profumi quanto incisivo e severo al palato, nonché evidentemente dotato di un potenziale evolutivo fuori dal comune. Alessandro e Beatrice Bonci e Daniela Quaresima sono il cuore de La Marca di San Michele, azienda che già nel nome omaggia quella contrada San Michele baciata dagli dei del vino, valletta assolata ma rinfrescata dalle correnti adriatiche. Questo Capovolto 2018 rischia di essere il migliore mai prodotto fino ad ora e può sedersi a qualsiasi tavola mondiale. Fiorito e delicato, vegetale e salmastro al naso, ha un gusto profondo e saporito, avvolgente eppur nervoso. Con antipasti, primi e secondi di pesce senza pomodoro, è consigliatissimo un uso smodato. Luogo di consumo prediletto? La trattoria Anita in centro a Cupramontana: da Donatello e Iole, sala e cucina, papà e mamma di Daniela, vi troverete immediatamente come a casa, più che a casa. [14 euro, Enoteca Galli]

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5) Nekaj 2015, Damijan Podversic Pensate: 100% friulano, 60-90 giorni di macerazione sulle bucce, 3 anni di maturazione in grandi botti da 20-30 hl e un ulteriore anno di sosta in vetro. Damijan, allievo prediletto di Josko Gravner, come tanti suoi amici produttori friulani non è proprio uomo da mezze misure; le ormai 30 vendemmie sulle spalle certificano oltre ogni dubbio il talento di un vignaiolo meticoloso che in cantina ha la mano fatata, abilissima nel gestire lunghe macerazioni. “Il tempo è un grande autore: trova sempre il perfetto finale” è un motto che calza a pennello coi vini Podversic, citando Charlie Chaplin. Nekaj 2015 è figlio di un’annata fredda, in cui il 70% delle uve è stato attaccato da botrite. Dorato con riflessi aranciati, al naso è una meraviglia di agrumi canditi, miele, nocciole e mela cotogna. Scaldandosi esce di tutto (mi raccomando, non servitelo al di sotto dei 15 gradi!) e in bocca a stupire è l’eccezionale connubio di corpo sostenuto e bevibilità contagiosa. L’equilibrio gustativo, a questi livelli, fa miracoli e il finale gradevolmente amarognolo bilancia una bellissima dolcezza fruttata. Vino da discussioni appassionate, appagante da ogni punto di vista. Grandissimo. [35 euro, XtraWine]

6) Ottavio 2018, Cascina Tavijn Nadia Verrua è una delle persone più dolci che possiate incontrare nel mondo del vino ma non lasciatevi ingannare: ha determinazione da vendere e personalità in abbondanza. Pacata ma volitiva come i suoi vini che, talvolta, se ne sbattono altamente delle regole enologiche. Non è il caso di questo Grignolino, autoctono del Monferrato , “anarchico testabalorda” per Luigi Veronelli e da bere mischiato con lo Champagne d’estate per Gianni Agnelli. Scarico al colore ma deciso al sapore, Ottavio non avrà l’effetto di una carezza confortante adatta a tutte le occasioni perché pulsa di irruenza, è sanguigno e severo. Al naso, un mix di anguria, agrumi e ferro vi farà divertire un bel po’. Solo acciaio e cemento, lieviti indigeni e 4.000 bottiglie prodotte. Ottavio è il gagliardissimo papà di Nadia. Il luogo migliore per berlo però non è Scurzolengo, sede aziendale in provincia di Asti, ma il Ristorante Consorzio di Torino, una vera istituzione delle osterie italiane fuoriclasse. Fondata 11 anni fa da Pietro Vergano e Andrea Gherra, ha cambiato radicalmente la mappa enogastronomica della capitale sabauda. E Pietro è il compagno di Nadia. Ditegli che vi mando io. [14 euro, WineYou]

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7) RossoVigliano 2017, Paolo e Lorenzo Marchionni a Vigliano “Aver studiato filosofia mi aiuta a fare il vino, a fare agricoltura, ad avere la testa libera”. Paolo Marchionni è laureato in filosofia ma non è esattamente un agricoltore di ritorno perché qualcosa già gli frullava in mente: “La qualità nella filosofia della mente. Analisi di un caso: il sistema gusto-olfattivo” è stato il titolo della sua tesi di laurea in Filosofia Teoretica – Gnoseologia ma se pensate di trovarvi di fronte un saccente accademico siete lontanissimi dal vero. Paolo e il fratello Lorenzo Marchionni producono vino poco fuori Firenze, a Scandicci, e sono un ottimo modello di produttore che dice quello che fa e fa quello che dice. Casi rari, vi assicuro. Vi consiglio di leggere la pagina “Pensiero” sul loro sito aziendale: raramente ci si imbatte in tanto buon senso applicato al vino. Ed è proprio da quel modo di pensare, sano, che nasce questo squisito RossoVigliano 2017: un sangiovese goloso da uve raccolte in momenti differenti poi vinificate e affinate in solo cemento. Immediato, fresco, floreale e seducente ai profumi, ha tutte le doti del sangiovese scattante, godibile, dalla beva trascinante. Un best-buy per le feste da usare in qualsiasi momento. [14 euro, Tannico]

8) San Leonardo 2015, Tenuta San Leonardo Una tenuta magnifica che profuma di storia e nobiltà, qui nasce uno dei vini italiani più famosi al mondo. Pensate che il borgo di San Leonardo, ad Avio in provincia di Trento, è stato edificato in varie epoche a partire dall’anno 1000, iniziando con un una piccola cappella dedicata al culto di San Leonardo di Noblac, protettore dei prigionieri, costruita da alcuni frati inviati per civilizzare la Vallagarina. A custodirne le sorti, dal 1724, è la famiglia dei Marchesi Guerrieri Gonzaga. Cortesia e buone maniere sono il tratto caratteristico della casa e la storia moderna dell’azienda ebbe inizio quando Carlo, oggi al timone insieme al figlio quarantenne Anselmo - dopo gli studi da enologo all’Università di Losanna – lavorò come cantiniere proprio dallo zio Mario Incisa della Rocchetta, papà del Sassicaia. Non è un caso che il San Leonardo, grand vin trentino per eccellenza, venga considerato il miglior Bordeaux blend del nord Italia, un’icona di raffinatezza. Una sorta di Sassicaia del nord, insomma. Tra le montagne trentine e il tepore del lago di Garda, da uve cabernet sauvignon, carmenère e merlot, matura in barrique per 18-24 mesi e altri 18 in bottiglia prima di uscire sul mercato. Mai eccessivo, maturo, sovraestratto e caricaturale, è nel raffinato gioco di uve e legni che San Leonardo trova la propria cifra distintiva intensa e profonda. Profuma di cassis, confettura di more, menta, tabacco, goudron, cioccolato e pepe, avvolge il palato con un gusto pieno e rotondo lasciando una scia saporita e grintosa. Vinone. [60 euro, Callmewine] 470 - BBQ4All MAGAZINE


9) Moscato d’Asti La Caudrina, Romano Dogliotti Il capitolo dei vini dolci sarebbe infinito e merita un’attenzione che comunemente non ha. Ce lo ricorda Massimo Zanichelli con un libro bellissimo che, più di ogni altro, ne mappa il territorio con impareggiabile esaustività. Si chiama Il Grande libro dei vini dolci d’Italia e ve lo consiglio caldamente (Giunti Editore, 29 euro). Poco fantasiosamente, però, Natale non è Natale senza Moscato d’Asti. Abbrutito dall’industrializzazione selvaggia, il caro Moscato d’Asti col tappo raso rimane un unicum a livello mondiale: leggero, fresco, profumatissimo, quasi dissetante quando lo zucchero è bilanciato da una bella acidità (alta) e dalla temperatura (bassa). Romano Dogliotti è uno dei padri del Moscato moderno e La Caudrina è un’icona. 120.000 bottiglie che profumano di salvia, ananas, bergamotto e biancospino. Nemmeno a dirlo, perfetto per pandoro e panettone artigianali. [Il Quadrifoglio Store, 10 euro]

10) Buca delle Canne, La Stoppa Uno dei vini dolci più folgoranti d’Italia viene dal piacentino e lo produce La Stoppa. Elena Pantaleoni e il suo fedele scudiero Giulio Armani sono stati tra i pionieri del vino naturale emiliano dimostrando una spiccata sensibilità per i vini dolci. Buca delle Canne è un piccolo capolavoro da uve semillon botritizzate e potrebbe lasciarvi senza fiato. Leggenda narra che, alla cieca, sia stato più volte confuso con Chateau d’Yquem e scusate se è poco. Da una piccola vigna di mezzo ettaro con piante centenarie non escono più di 300 bottiglie da mezzo litro e se ne trovate una prendetela a (quasi) qualsiasi prezzo. Dopo la versione del 2008 il vino è un mix di annate e l’ultima uscita contiene 2009, 2010 e 2011. Color ambra/arancio, il vino ha un profumo che vi stacca il naso dalla testa: datteri, albicocche disidratate, litchi, menta, scorza d’agrumi, pesche sciroppate e Dio solo sa cos’altro. Il profumo di zafferano tipico della muffa nobile va e viene. Sorso denso, viscoso, concentrato eppur sorprendentemente dinamico. Sapore interminabile. [50 euro, Italvinus]

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LO SPEZIALE DEL BARBECUE RUBRICA a cura di LUCA GALLOZZA

finocchio selvatico

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NOME SCIENTIFICO: NOME VOLGARE: ORIGINE: PARTI UTILIZZATE:

Foeniculum Vulgare Finocchio (o finocchietto) selvatico, finocchio comune Famiglia delle Ombrellifere bulbo, stelo, foglie, semi.

Il finocchio (o finocchietto) selvatico è conosciuto da millenni: secondo antiche credenze, usarlo per sfregarsi le gambe serviva da antidoto per i morsi di serpenti e di cani. Gli egizi, durante la costruzione delle piramidi, erano soliti darlo agli schiavi e agli operai come stimolante. I romani lo apprezzavano molto e per questo e lo diffusero in tutta Europa, dove ancora oggi è utilizzato per il suo intenso potere aromatico. Nel Medioevo, invece, veniva utilizzato per allontanare gli spiriti dalle case. Oggi ve ne parlo perché, come avrete notato, è un ingrediente molto utilizzato nelle ricette di questo speciale dedicato alla cultura gastronomica siciliana. Quindi, andiamo a conoscerlo da vicino.

cone e chetone, anisico, dipinene, canfene, fellandrene, dipintene e acido metilcavicolo. L’uso principale è quello carminativo: aiuta ad eliminare i gas intestinali e contemporaneamente ne previene la formazione. Pertanto è consigliato a chi ha difficoltà digestive e aerofagia: inoltre può essere utile per ridurre la componente dolorosa della sindrome da colon irritabile. Nell’allattamento viene indicato in quanto galattoforo, ovvero stimolante della produzione del latte materno. Sono state anche riconosciute al finocchio proprietà diuretiche, antispasmodiche e toniche. A dosi molto elevate, i principi attivi possono avere effetti collaterali quali convulsioni o allergie.

Descrizione Il finocchietto selvatico è una pianta spontanea, perenne, dal fusto ramificato, alta fino a 2 m. Cresce nei luoghi aridi ed assolati, negli incolti, nelle scarpate sassose e ai margini delle strade da 0 a 1000 metri slm. Fiorisce fra Agosto e Settembre inoltrato. Le sue foglie ricordano il fieno di colore verde (da cui il nome foeniculum). In estate sbocciano le “ ombrelle “, in Salento chiamate caruselle, dei piccoli fiori gialli. Questi si trasformeranno poi in frutti (diacheni, impropriamente chiamati semi), che da verdi diventeranno grigiastri. Del finocchio selvatico si utilizzano diverse parti: i germogli, le foglie, i fiori e i frutti. La raccolta del fiore del finocchio selvatico viene eseguita appena il fiore è aperto. Questo si può usare fresco o si può essiccare, ma va protetto dai raggi diretti del sole, che farebbero evaporare gli olii essenziali. Le barbe e i teneri germogli si possono cogliere dalla primavera all’autunno inoltrato.

In cucina Viene utilizzato in svariati modi. Dallo stelo, che fresco vien utilizzato a tocchetti per le olive in salamoia, alle barbe (o foglie) utilizzate in Sicilia per la pasta con le sarde; lo si trova anche come ingrediente del mallone sciatizzo campano (rape e patate), è utile per insaporire la porchetta, per la favata sarda (piatto a base di fave lesse e salsiccia fresca) e per i taralli pugliesi. È largamente utilizzato nelle insalate e nel condimento di pesci e salse, nelle tisane e nella produzione di liquori. L’uso più comune però spetta al cosidetto “seme”. Esso viene utilizzato sia fresco che secco e nei condimenti di una miriade di pietanze. Come spezia è particolarmente efficace per insaporire insaccati, ne sono un esempio la Finocchiona e la salsiccia Luganega. Si sposa benissimo con: maiale, anatra, manzo, agnello, pesce, crostacei, formaggio, uova e legumi.

Proprietà È una pianta che viene utilizzata per le sue proprietà toniche, aperitive (cioè in grado di stimolare la secrezione gastrica con conseguente stimolo dell’appetito), digestive, depurative, antispasmodiche, carminative (ovvero in grado di lenire i dolori delle coliche). Nel ramo fitoterapico, vengono utilizzati principalmente i frutti secchi e l’olio essenziale. Contiene: anetolo (da cui dipende il suo aroma), fen-

Curiosità Questa pianta ha dato origine al detto non farsi infinocchiare, cioè non farsi raggirare. Pare che i cantinieri, un tempo, omaggiassero i compratori di vino al loro arrivo con un tozzo di finocchio. Questo, contenente sostanze fortemente aromatiche, contribuiva al miglioramento dell’assaggio del vino scadente o prossimo a diventare aceto.

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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI

SEGUO

da un anno

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guardi, non faccia complimenti Questa faccenda va avanti già da un anno. Contando anche la mite e modesta presentazione sul numero Zero di Dicembre 2018, questa è la tredicesima rubrica Seguo che mi trovo a scrivere. Non riesco a fare a meno di tirare due somme, non posso esimermi da fare un riepilogo, non mi trattengo dal guardare indietro e vedere tutta l’evoluzione fatta, un po’ come quando si tiene aperto un occhio solo e si fanno coincidere tre o quattro figure a distanze diverse, appiattendole una sull’altra come in un mirino a traguardo. Siamo realistici: questa è una rubrica che non parla di cotture, di grigliate o di fiamme dell’inferno, di frollature o allevamenti, di catepsine o di creosoto, e che neanche cerca di vendervi un gadget, una membership, di fidelizzarvi. L’empietà dei miei gesti è tale che alla fine di quanto scritto non c’è neanche una Call to Action, una spinta a fare qualcosa: al contrario, forse qualcuno si è sentito toccato nei miei discorsi attorno al Rispetto ed è rimasto pure un po’ mal disposto ad allentare i cordoni della borsa. Non sembra quindi proprio la scelta più ovvia per il mensile di un brand come BBQ4All che fa della dedizione al marketing impeccabile un vanto. In ogni caso questa sezione anomala del Magazine è ancora qua. Letta forse da pochi, molte più persone la scorrono velocemente in cerca di qualcosa per cui arrabbiarsi; mai nominata in nessun materiale promozionale o pubblicitario della rivista ma, in qualche modo, ancora superstite. Questa rubrichina fuori contesto, fuori luogo e fuori target persiste a un paio di pagine di distanza dalla copertina finale, e sono sicuro che almeno quattro o cinque lettori, me compreso chiaramente, si sono un po’ affezionati allo sproloquio di chiosa del “primo vero mensile di cottura su fiamma”. Se dopo un anno di Seguo siete ancora qui a leggere siete tra questi quattro o cinque, sicuramente. Oppure siete quelli che, come accennavo prima, scorrono il testo alla ricerca di qualche oltraggio di cui lamentarsi con qualcuno, e in tal caso vi metto qui un po’ di vocaboli utili a far scattare i vostri trigger, così potrete posare il giornale, prendere il telefono e mandare una foto scattata al volo al vostro Indignato di riferimento: rispetto, cafone, bulletti, amiconi, fiorentina nel for-

no, amatriciana pancetta e grana, glutammato, parmigiano sui funghi, rispetto, rispetto, buona vita, atteggiamento, arrosticini. Fatto? Ora siamo veramente quelli di “un anno di Seguo”. Gli altri sono su Whatsapp a litigare. Visto che siamo fra di noi non vi dispiacerà se mi dilungo in una meta-rubrica: una rubrica che parla della rubrica stessa. È un anno che seguiamo la Seguo, rendiamoci conto. Ci sono un po’ di retroscena e fattarelli che non sono mai entrati in una Seguo intera, ma che accumulandosi hanno creato un bel po’ di materiale. Sarà come in quelle puntate filler, riempitivo, di alcune serie televisive che a un certo punto, causa uno sciopero degli sceneggiatori o problemi col network, mandavano in onda il famigerato “clip show” con spezzoni di puntate precedenti.

Quella volta che morii di freddo, ma scrissi due Seguo “Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla” - sentii questa frase nel ‘98, vedendo “Novecento”, il film tratto dal libro di Baricco, ma ho rivalutato queste parole solo da quando ho iniziato a scrivere per il Magazine. Al primo posto attuale tra le mie fonti di storie e aneddotica in campo barbecue c’è sicuramente l’agghiacciante (è il caso di dirlo) trasferta redazionale al W.E.S.T. BBQ Contest di Campo Tures. Tra persone che mi indicavano da lontano, che consigliavano agli amici di non parlarmi, temperature inadatte alla vita e redattrici congelate aspettando il taxi, l’allora giovane rubrica Seguo prese a trasformarsi da “bestiario vario e aneddotica di moderazione” a uno storytelling meno legato alla gag o alla buffonata espressa dal troll di turno: iniziavo a vedere storie ovunque, e l’urgenza di raccontarle era tale che in quel numero trasformai in una Seguo-bis anche la raccolta delle mie interviste ai team stranieri, di cui avrei dovuto occuparmi in quanto anglofono designato della redazione. Il materiale fu falciato e compresso per ragioni editoALMANACCO 2019

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riali nella sola fredda cronaca. Chissà che prima o poi pare in inesattezze, essere smentito e svergognato. non lo riproponga in qualche “Almanacco di Seguo per Provai a chiedere aiuto a una celebre fisica dell’École polytechnique, italiana, brillante, autrice di best seller. lettori impavidi”. Scrissi la migliore mail della mia vita, ed ebbi anche un Quella volta che ottenni quasi un arti- primo segnale positivo, di apertura. Averla sulle pagine del Magazine sarebbe stato fantastico. colo da un illustre fisico Il pezzo non l’avete mai letto, quindi qualcosa è necessariamente andato storto nel far coincidere i rispettivi Quasi, maledizione. Vi ricordate il pezzo su Einstein impegni, ma non demordo. Non voglio neanche svein bicicletta e Bohr che derapava in moto? Di gran lun- larvi oltre, perché prima o poi riuscirò a convincerla e ga il mio preferito, lo sapete già. Per diverso tempo, non voglio rovinarvi la sorpresa. a torto o a ragione, mi sono tormentato col pensiero “non riuscirò mai più ad eguagliarmi, potrò solo fare Quella questione di grandi putàmen peggio”, neanche fossi una rockstar che dopo l’album di esordio fa un secondo album che fa il botto, e deve Nei pezzi pubblicati su queste pagine sull’Ira e sulla scriverne un terzo che deve necessariamente essere la Vendetta (avete letto? O erano troppo pretenziosi?) conferma del suo talento. Le provai tutte: espandere mi sono ritrovato a documentarmi attraverso varie gli interessi, provare con la filosofia, studiarmi i tempi fonti sui fenomeni sociologici ma anche prettamente comici dei migliori stand-up comedian americani da- fisiologici che danno luogo a queste tipiche reazioni. gli anni 70 ad oggi, ma niente: mi sentivo sempre un Ho parlato di timè, di dissonanza cognitiva e di Erinni, passo indietro a quello che avrei potuto produrre e ma per ragioni di attinenza al testo non mi sono sofconsegnare alla redazione del Magazine. fermato sul sentimento dell’odio, una cosa fisiologica L’illuminazione mi arrivò da un libro del professor quanto la paura, l’ansia o la voglia di far scoppiare il Carlo Rovelli: parlare dell’inutilità del tempo come pluriball. misurazione nell’ambito del barbecue, appoggiandosi Cosa avviene nel nostro cervello quando sperimentiaa concetti relativistici come il paradosso dei gemelli mo odio? È stata fatta una ricerca dal Wellcome (due nello spazio (googolare, please). Bello, ma difficilissi- L, non è “benvenuto”) Laboratory of Neurobiology mo. Ambizioso, ma con immense probabilità di incap- (University College, Londra). Tramite una risonanza

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magnetica è stata rilevata l’attività cerebrale di alcuni volontari intenti a osservare la foto di una persona odiata: mentre i partecipanti fissavano intensamente queste immagini, nel loro cervello si attivavano alcune parti sia della subcorteccia (tradizionalmente considerata sede delle emozioni primarie), sia della corteccia, centro del ragionamento e del pensiero. Questa ricerca ha dunque dimostrato che le aree maggiormente interessate sono quelle denominate putàmen e insula. Tanto più intenso è l’odio sperimentato, tanto più intensa risulta l’attività di queste aree. Quando un vostro collega vi manderà una mail davvero odiosa, con in copia mezzo ufficio, al solo scopo di ridicolizzarvi, invece di attivare le spirali di ira e vendetta per ristabilire lo status quo in una ridda di ritorsioni sempre più degenerate, potrete semplicemente avvertirlo di quanto il vostro putàmen sia diventato decisamente attivo, “e già che siamo in argomento tanti cari saluti alla sua adorabile mamma”.

Quella volta che nessun argomento andava bene Scegliere il topic mensile non è affare da poco: è in ballo tutto un gioco di equilibri fra audacia, sprezzo del pericolo, comprensibilità, godibilità, pesantezza delle ritorsioni e gradevolezza complessiva della rubrica. Alcune cose potrebbero essere facilmente pilotate e travisate, rendendo la fatica necessaria per chiarire il misfatto sproporzionata al gusto della libera espressione del momento. Un’ulteriore complicazione è data dalla completa inadeguatezza dei miei filtri: mi capita spesso di dire una cosa a mio avviso lapalissiana, scontata, logica, e vedere le persone sbiancare per il torto subìto o per la sfrontatezza dei miei motteggi.

Sono mio malgrado responsabile dell’abbandono stizzito di varie persone di certe chat WhatsApp che annoverano la mia presenza, e ben conosciamo l’equipollenza di “Ha abbandonato la chat” alla camminata inviperita di una sposa che abbandona l’altare sbattendo in terra il bouquet. Non si fa. Un limite del mio discernimento, innegabile. Per questo ogni cosa che scrivo, che sia il procedimento ideale per un brisket da copertina o il panino di Elvis o l’ossessione per il tuorlo perfettamente concentrico all’albume in un uovo al tegamino, viene passato allo speciale vaglio caporedattoriale. Non sono le cose antipatiche o cattive a venir epurate, ma le cose fraintendibili e che possono portare guai per sciocchezze. Insomma, se voglio tirare su un vespaio devo farlo volontariamente, e non per un festival di incomprensioni. “Ho l’argomento del mese! Hai presente il rapporto che i noti troll hanno con la rivista? Ho dedicato al fenomeno un dettagliatissimo studio basato su una logica inferenziale inattaccabile che…” “Sei matto? Vuoi che inizino a darci il tormento per causa tua?” “Questo mese parlo dei ritardi delle Poste illustrando un noto algoritmo di Ricerca Operativa, un breve excursus sullo scheduling e i cammini minimi, il branch and bound, una cosa divertentiss…” “Vuoi farci esplodere la casella email dell’Assistenza? Parla di gente che fa il tri-tip briskettato piuttosto!” “Sai di che voglio parlare? Di quella volta che andò tutto a rotoli e in gran segreto ci riunimm…” “AAAGHH! TACI!” Per rendere le cose ancora più avvincenti ho anche accettato la sfida di scrivere una Seguo senza mai utilizzare la parola “che”, successivamente a un’aspra reprimenda per il mio uso reiterato della parolina in oggetto. Sfida superata con successo nel numero di maggio, nel racconto su John Newlands e la tavola periodica degli elementi. Non ho ancora avuto il coraggio di scrivere un articolo tutto composto di parole che iniziano per B, tuttavia: difficile, ma almeno posso usare “barbecue”.

Quella spiegazione che non verrà pubblicata Avrete fatto caso che Emiliano Nencioni ALMANACCO 2019

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