BBQ4All Magazine - numero 13 - Gennaio 2020

Page 1

N°13/ANNO 2 - GENNAIO 2020

LA RICETTA SCIENTIFICA di GIANFRANCO LO CASCIO

IL

CLUB

SANDWICH E LA SUA MAIONESE il menù per dimagrire dopo le feste ?

ma non scherziamo!

gulash, falsomagro, wagyu e polenta

per iniziare

come si affumicano i formaggi temperature al cuore

la tabella della cottura dei cibi guida

off-set: il dispositivo che non conosci

MAGAZINE



D I R E T TO R E E D I TO R I A LE

Rossella Neiadin

R E D AT T O R E C A P O

Michela Bongiorni REDAZIONE

Enio Berton, Giovanni Bolzonella Virgilio Brunetti, Michele Chipa, Roberto Dal Bosco, Tommaso Di Gregorio, Salvatore Di Mento, Luca Gallozza, Mariangela Ibba, Gianfranco Lo Cascio, Alessandro Morichetti, Riccardo Meniconi, Emiliano Nencioni, Andrea Spaggiari, Alessandro Trezzi, Carlo Trono, Paolo Tucci REALIZZAZIONE GRAFICA

Carlo Trono S TA M PA

Graphic Master s.r.l. - Perugia magazine@bbq4all.it instagram.com/bbq4allmagazine/

©2019 BBQ4All è un marchio BBQ4All Consulting s.r.l. BBQ4All Magazine è un prodotto in concessione a ©2019 NetAddiction s.r.l. Tutti i loghi e marchi riportati, gli elementi grafici, le immagini e i materiali presenti nella presente pubblicazione sono soggetti alle norme vigenti sul diritto d’autore; è quindi severamente vietato riprodurre anche parzialmente ogni elemento delle pagine in questione. Nomi, marchi registrati e loghi eventualmente presenti su questa pubblicazione non possono essere utilizzati per alcuna forma di pubblicità o diversamente per indicare sponsorizzazione, patrocinio o affiliazione a prodotti o servizi senza previa autorizzazione scritta da parte della società che ne detiene i diritti. Tutto il restante materiale fotografico pubblicato è stato realizzato da BBQ4All e/o acquistato e/o licenziato allo stesso, con trasferimento dei diritti di utilizzazione economica salvo le immagini utilizzabili con licenza Creative Commons o GNU Free Documents Attribution. BBQ4All ha osservato le più ampie tutele affinchè non venisse violato il diritto d’autore altrui.


EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO

carne sostenibile

da piccoli cambiamenti derivano

grandi cambiamenti l'hamburger vegetale non toglie i peccati del mondo

Complice la polpetta di verdura che sembra proprio carne e il movimento che soffia dal Nord Europa per lo sviluppo sostenibile, ci sentiamo ripetere, sui social come al bar, che per trionfare nella lotta contro il cambiamento climatico dobbiamo smettere di mangiare bistecche. E se da un lato la sensibilizzazione al tema e le idee per mettere ordine al caos climatico sono cosa buona e giusta, eliminare dalla dieta le proteine animali non solo non salva il pianeta, ma porta con sé un messaggio fuorviante, per una serie di motivi. Il più lampante, se teniamo conto dei dati sulle emissioni di gas serra, è che la produzione di carne, che comprende ovviamente la coltivazione del foraggio, l’allevamento e la trasformazione, è responsabile del 15-18% delle esalazioni, così come potete verificare dalle statistiche pubblicate regolarmente dalla FAO (www.fao.org/livestock-environment/en/). Di questa percentuale, il 65% è rappresentata dagli allevamenti di bovini, sia per la carne che per il latte. Seguono a ruota con il 9% gli allevamenti di suini, con l’8% i bufali, con l’8% polli e galline, e con il 6% altri animali da latte e carne come pecore e capre. Per la maggior parte, dato importante da considerare, le emissioni legate all’allevamento sono causate dalla produzione di mangimi

4 - BBQ4All MAGAZINE

e dalla loro digestione, per il 45 e il 39 per cento rispettivamente. Non si può pensare di risolvere il problema gettando la bistecca dalla finestra e ignorare l’elefante nella stanza, ovvero il settore dei trasporti e dell’energia, responsabili del restante 65-70% delle emissioni. E a dirlo non è uno che con la carne ci lavora, come il sottoscritto, ma il Professor Michael E. Mann, climatologo e professore universitario della Penn State University e uno degli autori del Climate Change Report dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), lo studio che fa il punto sui cambiamenti climatici in corso meglio di qualunque altra pubblicazione. Citando il curioso provvedimento della multinazionale americana WeWork (immobiliare specializzata nel co-working) di bandire la carne tra i propri dipendenti, Mann sottolinea quanto sia oggettivamente folle pensare di alleviare il problema dell’inquinamento in questo modo. WeWork, o per meglio dire il suo co-fondatore e CCO Miguel McKelvey, non solo ha obbligato i propri dipendenti ad accettare la disposizione e mangiare le verdure, scelta che appare più ideologica che ecosostenibile, ma ha anche dichiarato che il cambio di menù è molto più utile e determinante che guidare un’auto ibrida. Lascio a voi le dovute considerazioni.


“Non comprendo questa mania di prendere le piante e trasformarle in qualcosa che sa di carne. Ma scusate, le mucche non lo fanno da sempre questo mestiere? E mi sembra ci riescano meglio.� GENNAIO 2020

-5


ENERGIA ELETTRICA E RISCALDAMENTO

EDILIZIA

6,4%

25%

ALTRE FONTI ENERGETICHE

ALLEVAMENTO

9,6%

15-18%

AGRICOLTURA E USO DEL SUOLO

24%

TRASPORTI

14%

PRODUZIONE VEGETALI

6-9%

INDUSTRIA

21%

“I carburanti fossili vengono puntualmente lasciati fuori dalla discussione. Accettando implicitamente l'idea che le soluzioni al problema clima siano misure volontarie", spiega Mann all' NBC News: “È davvero frustrante per me sentirli predicare di mangiare meno carne". Secondo il professor Mann, che recentemente ha scritto "The Madhouse Effect", libro illustrato dal Premio Pulitzer Tom Toles contro il negazionismo dei climatologi, è molto più importante ridurre la nostra dipendenza dai combustibili fossili piuttosto che diventare vegetariani, soprattutto se ci si concentra solo sull’eliminazione di carne e salumi senza invece spazzare via quei cibi che hanno lo stesso impatto sull'ambiente, ad esempio uova e formaggi, che presumono un allevamento a monte proprio come i prodotti a base di carne. "È incredibilmente irresponsabile affermare che le auto ibride non rappresentino un passo importante nella lotta contro gli emettitori di carbonio. Altrettanto scriteriato è consigliare agli individui di non mangiare più carne, aggiungo, trascurando i danni che questo può causare alla salute, soprattutto in alcune fasce di 6 - BBQ4All MAGAZINE

età. Tutto questo facendo credere che la lotta al cambiamento climatico possa essere esente da precise scelte politiche ed economiche. Un messaggio deleterio anche perché chi lo promuove: probabilmente non conosce affatto il settore agricolo e zootecnico e quindi non sa che esistono in realtà modi ecologici e responsabili per produrre carne. Se le aziende agricole di tutto il mondo adottassero i giusti provvedimenti, la percentuale di carbonio emessa "dall'azienda agricola alla toilette" potrebbe essere ridotta dal 18% al solo 10%". Non abbastanza, se si vuole salvare l’umanità bisogna pensare al restante 82%, causato dalla produzione di elettricità e calore, dalla combustione di carbone, gas naturali o petrolio, dall’industria, dai trasporti, dal consumo di combustibili fossili per uso residenziale e commerciale. Far passare la scelta vegetale come più sostenibile sul piano ambientale, ma dimenticarsi del contributo del settore zootecnico nella conservazione di paesaggi, territori, tradizioni e culture, è uno dei messaggi più superficiali, imprecisi e irresponsabili del nostro tempo, che sembra aver fatto breccia, però, nell'immaginario comune. È quindi piacevole e


rassicurante vedere come anche gli scienziati che si occupano seriamente della difesa del clima prendano finalmente una posizione contro questa ossessione anti-carne insensata del mondo occidentale. La carne è sempre stata parte della nostra dieta, sin dalla comparsa dell’uomo sul pianeta Terra. L’Homo habilis era un cacciatore, mangiava carne oltre a vegetali e frutti che crescevano qua e là spontaneamente. Con l’evoluzione, il progressivo abbandono della caccia e della raccolta di bacche ed erbe a favore delle pratiche agricole ha gettato le basi per la nascita dell’agricoltura. Con questa metamorfosi l’uomo ha modificato sia il suo stile di vita, trasformandosi da nomade a stanziale, sia le sua dieta e il suo rapporto con l’ambiente circostante . Ha iniziato a coltivare e contemporaneamente ad allevare alcune specie di animali, selezionati e curati per rendere meno faticoso il lavoro nei campi e per le caratteristiche intrinseche delle carni, della lana e del cuoio. L’alimentazione diventa sempre più varia, un mix di cereali, frutta, verdura carne e pesce. Con il trascorrere dei secoli, prima con le influenze romano barbariche e poi nel Medioevo, si rafforza l’idea che la carne sia un alimento essenziale per un’alimentazione corretta. Le proteine animali sono da sempre un cibo prezioso, bramato, ed il consumo era parecchio variabile a seconda del periodo storico e dell’estrazione sociale. Fino al XIII° secolo l’attività agro-silvo-pastorale consente lo sviluppo di una dieta diversificata e rende la carne un bene accessibile a tutte le fasce economiche della popolazione. Successivamente si assiste alla formazione di un divario consistente tra la tavola opulenta e variegata dei nobili e quella più frugale dei poveri, che potevano permettersi lo spezzatino

solo durante i giorni di festa. È per questo che le ricette di campagna rimangono legate alle materie prime meno costose come i cereali, i legumi, le verdure, profondamente votate all’utilizzo e la trasformazione di tutte le parti commestibili dell’animale, dalle orecchie alla coda, contro ogni forma di spreco. Ed è andata così fino al XX° secolo. In Italia, è solo a partire dagli anni ’60 (con il boom economico) che il consumo di carne aumenta e diventa il simbolo della liberazione da miseria e stenti. Con l’aumento della popolazione e del consumo alimentare si dà inizio ad una intenzionale diversificazione della produzione della carne: l’industria alimentare si struttura per far fronte all’aumento della domanda, l’efficienza produttiva diventa la parola d’ordine in tutte le aziende agricole. Dagli anni ’80 a questa parte il consumo di carne si è stabilizzato, la sicurezza alimentare è diventata la base della produzione e i consumatori sono sempre più attenti alla qualità del prodotto finito, esternando una certa sensibilità su tematiche come benessere animale e impatto ambientale degli allevamenti, sia nazionali che internazionali. Il consumo attuale di carne su scala mondiale deve essere analizzato e valutato tenendo conto sia di fattori globali che di dati relativi alle diverse abitudini alimentari nei vari Paesi. La popolazione mondiale attuale conta 7,5 miliardi di individui, nel 1960 contava 3 miliardi di persone, nel 2050 saremo oltre 9 miliardi. Più siamo, più aumenta la domanda di cibo ed in particolare di proteine animali, che si aggirerà attorno ad un 60% in più. Nell’analizzare l’attuale consumo di carne non dobbiamo soffermarci però sul valore assoluto, ma dobbiamo riflettere

Far passare la scelta vegetale come più sostenibile sul piano ambientale, ma dimenticarsi del contributo del settore zootecnico nella conservazione di paesaggi, territori, tradizioni e culture, è uno dei messaggi più superficiali, imprecisi e irresponsabili del nostro tempo...

GENNAIO 2020

-7


sull’estrema differenza tra il consumo medio pro capite nelle diverse regioni del mondo, con numeri che vanno da circa 120 kg annui in Nord America a meno di 40 kg in alcune zone dell’Africa e dell’Asia. L’esigenza del mondo moderno è quella di garantire cibo a tutti, un cibo sostenibile sia dal punto di vista economico che qualitativo. È inevitabile quindi affrontare l’argomento “allevamenti intensivi”, oggetto di contesa nel dibattito sulla sostenibilità della produzione zootecnica. Ma partiamo dalla definizione: che cos’è l’allevamento intensivo? Comunemente per allevamento intensivo si intende l’accrescimento di un numero molto elevato di capi di bestiame in uno spazio vitale ridotto. Questo tipo di approccio è in realtà superato e richiede un aggiornamento. L’intensità di un allevamento, infatti, può essere definita analizzando il rapporto tra il costo diretto della manodopera e i costi totali, la cosiddetta “intensità del capitale”. Quanto è più basso questo rapporto, con una bassa incidenza del costo del lavoro rispetto al totale, tanto più l’azienda può essere considerata intensiva, cioè ad alta intensità di capitale. Contrariamente, quando il costo del lavoro diventa un fattore primario, ci troviamo di fronte ad un allevamento estensivo, solitamente portato avanti da piccole imprese a conduzione familiare. Questa analisi è quindi incoerente con la tipica equazione “molti animali che crescono in piccoli spazi equivalgono ad un’agricoltura intensiva”. Ci sono allevamenti bovini con migliaia di capi che hanno a disposizione spazi enormi, pensiamo ad esempio alle fattorie sconfinate in Australia e Irlanda, e azien-

de a conduzione familiare che allevano pochissimi animali in ambienti molto ristretti. Il giudizio sulla qualità del prodotto finale non dovrebbe basarsi dunque sul concetto di “intensivo” o “estensivo”, ma sulle caratteristiche oggettive delle tecniche di accrescimento. È più appropriato fare una distinzione tra allevamenti buoni ed allevamenti cattivi. Nel caso degli allevamenti intensivi, cioè ad alta intensità di capitale, gli allevatori hanno una maggiore disponibilità di risorse, anche economiche, che possono essere destinate al miglioramento e accrescimento del benessere animale. Per valorizzare al meglio il proprio prodotto, e i nostri allevatori di wagyu giapponese sono maestri in questo, è fondamentale preservare l’equilibrio psico-fisico dei capi, garantire quindi condizioni di vita adeguate, riducendo al minimo lo stress e garantendo un prodotto finale buono e soprattutto sicuro. Una carne di qualità superiore, che ha quindi un costo più elevato della media, è il prodotto nella maggior parte dei casi di allevamenti economicamente intensivi, gestiti da allevatori lungimiranti capaci di investire in sicurezza e qualità alimentare, in sviluppo tecnologico e rispetto della vita animale e dell’ambiente. In questo gioco anche il consumatore riveste un ruolo importantissimo: se la scelta della carne è determinata dalla ricerca spasmodica del risparmio, è molto difficile garantire una produzione più etica, pulita e onesta nei confronti di chi alleva. La sfida che il settore della carne deve vincere oggi è quella di offrire un prodotto sostenibile, frutto di una lavorazione efficiente, attenta all’ambiente, al benessere degli animali, degli allevatori e di tutti i protagonisti della filiera.

PROIEZIONE SULLA PRODUZIONE MONDIALE DI CARNE AL 2050

Proiezioni sulla produzione globale di carne, come pubblicato dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) sulla base delle proiezioni future della popolazione e degli impatti attesi delle tendenze di crescita economica regionali e nazionali sul consumo di carne. I dati del 1961-2013 si basano su stime della FAO pubblicate; dal 2013 al 2050 in base alle proiezioni della FAO.

500 milioni

Uova Ovini

400 milioni

Bovini

300 milioni Suini

200 milioni

100 milioni

1961 8 - BBQ4All MAGAZINE

Pollame

1980

2000

2020

2040

2050


SULL’HAMBURGER DI CARNE FINTA Poco tempo fa scrivevo su Facebook: “Non comprendo questa mania di prendere le piante e trasformarle in qualcosa che sa di carne. Ma scusate, le mucche non lo fanno da sempre questo mestiere? E mi sembra ci riescano meglio.” Al di là della natura ilare del post e dei commenti più o meno costruttivi, il concetto in sé esprime una grande criticità di fondo, ed è questa: è molto più semplice e redditizio inoculare miliardi di investimenti per creare un’alternativa aderente alla psicologia del consumatore piuttosto che investirli in soluzioni reali. Gli allevamenti alla base della grande distribuzione non sono più sostenibili ed è necessario riportare il consumo di carne a livelli estremamente più bassi di quelli attuali. Per riportare l’allevamento ad uno standard qualitativo accettabile è necessario rimodulare il concetto di carne come bene di lusso e non più come ingrediente giornaliero della nostra dieta. Il punto cruciale è che una corretta educazione dei consumatori affiancata da una forte presa di posizione e coscienza potrebbe, nel giro di un paio di decenni, riportare equilibri significativi nel sistema. Ma l’evidenza ci mostra che non è così. Il consumatore non vuole essere informato. Il consumatore preferisce essere assecondato nelle sue manie insostenibili che gli “ricordano” sapori e profumi a cui è abituato. Questo per dirvi che fare cultura è uno sport tremendo, che richiede tempo soprattutto persone con

un’intelligenza tale da comprendere che è dai piccoli cambiamenti che arrivano i cambiamenti grandi. È un pianeta in prestito il nostro. E non esistono iniziative di massa all’orizzonte in grado di salvarlo. Quindi il problema non è l’hamburger vegetale, che per certi versi può anche essere intrigante. Il problema è l’incomprensione di fondo, poiché l’unica soluzione consiste in una profonda riclassificazione del concetto di allevamento e consumo di carne. E purtroppo non credo avverrà nel breve termine. Ritengo che qualunque iniziativa in grado di perorare la causa sia assolutamente da perseguire. Resta che la vera svolta sta nello sforzo di sensibilizzare le persone verso una più profonda conoscenza del problema. Al netto dei palliativi, è fondamentale comprendere che le risorse del nostro pianeta non sono infinite, anzi. Sdoganare le coltivazioni scellerate in grado di supportare lo squilibrio dovuto dalla mancanza di proteine, generato dalla chiusura dei peggiori allevamenti, porterà ad altre derive da gestire. L'unica arma per fregare il sistema è studiare. Solo allora saremo in grado di fare delle scelte, che non avranno la forma di un hamburger di verdura che sembra carne.

GENNAIO 2020

-9


10 - BBQ4All MAGAZINE


INDICE GENNAIO 2020 - NUMERO 13 ANNO 2

RUBRICHE 1 2 . PO RT FO L I O

LESA MAESTà: PETER LUGER criticato sul nyt 16. LE RAZZE

cerdo iberico: il suo nome è leggenda 2 0 . D I S POS I T I V I E ACC E SS O R I

tutto sull'OFF-SET 24. PER INIZIARE

I FORMAGGI AFFUMICATI

RICETTE DI GENNAIO

28. ravioli affumicati con ricotta e cheddar 32. il perfetto panino da sandwich 36. denver steak club sandwich 38. Olive "Briskolane" 42. il nostro gulash 44. falsomagro, verogusto 46. wagyu e polenta 48. involtini di spada, melanzane e provola 50. salame al cioccolato 54. abbinamenti consigliati

APPROFONDIMENTI 5 8 . S O C I E TÀ

perché non siamo vegetariani 6 0 . C U R I O S I TÀ

vegetariani e malvagi 6 4 . LO S P E Z I A L E D E L B BQ

A TAVOLA CON IL DIAVOLO 6 8 . I N FO G RA F I CA

TABELLA TEMPERATURA DI COTTURA DEI CIBI 72. THE CHEMICAL GRILLER

SALSE, CAPITOLO UNO

N O V I TÀ 7 6 . L A R I C E T TA S C I E N T I F I C A D I G I A N F R A N C O L O C A S C I O 2020

IL CLUB SANDWICH PERFETTO

92. SEGUO

OSSESSIONI IN GRIGLIA GENNAIO 2020

- 11


PORTFOLIO a cura di ANDREA SPIAGGIARI

Lesa Maestà U n cri t i c o de l N e w Yo r k T i m e s st ro n c a l a st o r i c a ste a kh o u s e P e t e r Lug e r e c re a u n ’ o n d a l u n g a d i comm e nt i c h e a rri va f i n o a l v e c c h i o c o n t i n e n t e . Cosa si p u ò ve ra m e nt e i m p a ra re , i n q u a l i t à d i c l i e n t i, da qu e st a re c e n si o n e ? Ha fatto scalpore un pezzo uscito qualche settimana fa sul New York Times ad opera di uno dei suoi critici gastronomici di lunga data, Pete Wells. L’oggetto della recensione è la famosa steakhouse Peter Luger, maison fondata 132 anni fa a Brooklin da emigrati tedeschi e diventata da tempo uno dei ristoranti più conosciuti e frequentati della Grande Mela. Il giornalista, nel corso di un lungo articolo dai toni un po’ nostalgici, attacca descrivendo svariati aspetti che lo hanno deluso negli ultimi tempi: la lunga coda all’ingresso, lo staff sottodimensionato e dai modi algidi, l’organizzazione discutibile sia del bar che del ristorante. Fa capire, già dai primi passaggi, che questo locale è da sempre risultato un po’ “spigoloso” per alcuni aspetti. Piccoli difetti che venivano però dimenticati non appena ci si trovava al cospetto dell’agognato cibo. Ma qualcosa, o meglio tutto, sembra essere cambiato. Il critico snocciola argomentazioni oggettive per sostenere il verdetto finale che si delinea riga dopo riga: cita hamburger cotti approssimativamente, Porterhouse dal controfiletto maltrattato, patatine pallide e insipide. Perfino la sogliola e la Caesar Salad non passano l’esame. L’autore precisa a malincuore che non sa bene quando il dubbio che questa steakhouse non fosse 12 - BBQ4All MAGAZINE

più all’altezza della sua reputazione ha cominciato ad insinuarsi, ma non ha incertezze nel concludere che non resta più motivo di consigliare questo locale. A nessuno. Come è immaginabile questa critica ha avuto una lunga coda di polemiche online e ha anche meritato molti commenti sulla carta stampata. Fermo restando che, a parere di chi scrive, è impossibile costruirsi un’opinione senza un’esperienza diretta, ma si possono fare alcune considerazioni sull’origine di questa stroncatura. Cercando di mettere le cose nella giusta prospettiva e, soprattutto, rileggendo una seconda volta la recensione, viene il dubbio che poche cose siano effettivamente cambiate nel corso del tempo. Il giornalista lo dice apertamente e sottolinea diversi aspetti che, anzi, sono rimasti una costante, partendo anedotticamente dal pessimo cocktail di gamberetti e dalla poco invitante salsa utilizzata per accompagnare le bistecche. Non nega nemmeno che il conto sia sempre stato salato, e i metodi di pagamento poco al passo coi tempi. Poi viene la materia prima, la carne. Si direbbe che la bistecca servita con un’invitante crosta solo su un lato non sia davvero più accettabile e esistano molti ristoranti che riescano a fare – e questo non sorprende – mirabolanti Maillard su entrambi i lati.


Non solo: la carne servita da Peter Luger, seppur tenera e marezzata, manca di quel sapore che le migliori proposte sul mercato riescono invece a offrire. Persino la frollatura pare inefficace, perlomeno confrontando i risultati che non solo altre steakhouse, ma addirittura normali ristoranti riescono a servire. Il verdetto è che la bistecca che si mangia in questo storico locale di Brooklyn è solo una delle tante che si possono trovare in giro per NY, con buona pace di tradizione e reputazione. Viene il dubbio che il problema vero, allora, non sia un peggioramento della qualità in sé, bensì un mancato miglioramento. Sono cambiati gli standard e si è alzato il livello generale, ridefinendo di conseguenza la soglia anche per accedere all’eccellen-

za. Materie prime di prima qualità non sono più merce rara, così come i processi di affinamento non sono più un’esclusiva peculiarità di avanguardisti sperimentatori. E se l’asticella si sposta verso l’alto grazie a una democratizzazione delle tecniche di preparazione e di cottura, consentendo anche a ristoranti normali di offrire risultati una volta appannaggio dei soli specialisti, il vantaggio competitivo costruito nel tempo da alcuni attori della ristorazione rischia di assottigliarsi fino a scomparire. Che il giornalista stronchi a malincuore un locale, al quale è per sua stessa ammissione affezionato, deve fare perlomeno riflettere. Non fermatevi ai soli commenti spuntati come funghi sulla pagina di Tripadvisor dedicata alla steakhouse: ovviamente in tanti sono d’accordo con l’articolo e altrettanti dissentono

GENNAIO 2020

- 13


categoricamente con il giudizio espresso dal critico. Se ne esce solo con un gran mal di testa e più dubbi di prima. Cercate piuttosto l’articolo che, solo due giorni dopo, la stessa penna ha pubblicato per spiegare cosa lo spinge a pubblicare una recensione negativa. In risposta alle accuse di lesa maestà, il giornalista spiega che, pur non facendolo a cuor leggero, sente il dovere di mettere in allerta il suo pubblico quando, traduzione testuale, i lettori corrono il rischio di sprecare i loro soldi sulla base di una reputazione acquisita. Questa è l’essenza del messaggio da cogliere e il valore aggiunto che un pro-

14 - BBQ4All MAGAZINE


fessionista può offrire rispetto ai social media. Non si tratta di difendere una categoria, beninteso, ma di spingervi ad usare a vostro favore una fonte di informazione non più molto in voga ma non per questo meno attendibile. Si può condividere oppure no il giudizio finale espresso su questo o quel ristorante, ma il monito che sarebbe un peccato ignorare è quello di non fermarsi alla fama storica, o alla sola frequentazione, di un locale. Perché i tempi cambiano e con essi le vostre esigenze in quanto clienti, che lo vogliate o no.

Siamo tutti più educati a riconoscere la qualità, cerchiamo la soddisfazione a tutto tondo e meritiamo di essere avvertiti quando, inconsapevolmente, siamo vittime di confirmation bias. E non preoccupiamoci troppo per Peter Luger. La pubblicità che ha ricevuto da questa recensione molto negativa supera di gran lunga quella che avrebbe ricevuto da una senza infamia e senza lode. L’importante, come recita un vecchio adagio, è che se ne parli. GENNAIO 2020

- 15


LE RAZZE rubrica a cura di ROBERTO DAL BOSCO

Cerdo ib érico i l s u o n o me è leg g en da

Ne avete sentito parlare per il prosciutto, quello che arriva a 250 euro al chilogrammo: cioè verso i 2000 euro a pezzo. Il nome del suo affettato – pata negra, zampa nera in italiano – in realtà non vuol dire nulla di preciso, in quanto non tutti i capi iberici hanno l’unghia nera e al contempo l’unghia nera è una feature esclusiva di questa razza. Tuttavia questo suino è leggenda. Considerabile in tranquillità tra le razze migliori del globo terracqueo, il suino nero iberico gode di meritatissima fama, al punto tale che è possibile trovare cittadini italiani – pazzesco! – disposti ad ammettere che il prosciutto fatto in Spagna (Estremadura, Castiglia La Mancia, Salamanca, Toledo, Andalusia occidentale) e senza scordare il Portogallo (Algarve e Alentejo) è migliore di quello che si produce in Emilia o in Friuli. Sento già gli improperi: non lo diciamo noi, lo ammettono alcuni nostri connazionali coraggiosi. Prendetevela con loro. Il Cerdo ibérico (cerdo vuol dire maiale in spagnuolo) rappresenta, con l’asiatica e la celtica, una delle tre razze originarie da 16 - BBQ4All MAGAZINE

cui discendono oggi tutti i suini del pianeta. La specificità del maiale iberico è la penetrazione nelle sue carni dell’acido oleico contenuto nelle ghiande (bellotas) che rappresentano una larga porzione di ciò che mangia nei mesi freddi. L’acido oleico rende la carne del maiale nero iberico succosa e tenera. Il grasso, in particolare, è davvero saporito. Come sempre, tentiamo di dare un ragguaglio storico. Innanzitutto, sappiatelo: nessuno sa se il maiale discenda da un cinghiale addomesticato o anche solo da un maiale selvatico addomesticato. Sappiamo che le prime testimonianze sul maiale addomesticato risalgono all’Anatolia di 9000 anni fa. Dopo le migrazioni in vari continenti (Oceania compresa!), nel 1500 a.C. arriva in Europa. I primi suini europei sono di colore scuro. I romani consumavano soprattutto carne di maiale, ma è nel medioevo che l’allevamento viene spinto sino a lasciare gli animali liberi di pascolare, campanella al collo, in giro per le antiche città: la funzione, se non lo sospettate, è proprio quella di


do nel 1800 vengono introdotte le patate. Nel Novecento le razze antiche sono praticamente sparite, sostituite da una specie che cresce due o tre volte più velocemente. Fortunatamente, in qualche regione d’Europa alcuni allevatori hanno tenuto in vita le razze antiche. Dopo la sanguinosa Guerra Civile che segnò la Spagna a fine anni Trenta, fu intrapreso, specialmente nelle regioni sudoccidentali uno sforzo di rimboschimento. Si decise per un sistema che arrivava direttamente dal Medioevo, la dehesa, parola non facilmente traducibile: il significato che ne danno gli spagnoli è più o meno quello di bosco umanizzato. In pratica, terreni boschivi non coltivabili, dove l’uomo però introduce querce e quindi quelle dolci ghiande che diventano il pasto del maiale iberico.

netturbino. I maiali mangiavano la spazzatura. Il Re di Francia Luigi VI il Grosso (1081–1137) emanò un editto per porre fine alla libertà suina: suo figlio era stato sbalzato da cavallo da uno di questi maiali errabondi. In campagna la macellazione di fine autunno del maiale era già una pratica che serviva per accumulare i salumi che sarebbero poi serviti a nutrirsi nel freddo inverno. Attorno al 1400, anche le città vennero conquistate dalla carne di maiale: ecco che compaiono i charcutiers (dal francese chair, carne, e cuire, cucire), parola che oggi si traduce in salumieri. Era loro proibito di vendere la carne fresca, per cui la loro attività era, oltre alla macellazione, anche quella di cuocere le parti dell’animale. Nel 1600 il maiale europeo, che è scuro, si incrocia con l’asiatico: ecco che appare sulla scena il colore rosa, cioè quello con cui istintivamente identifichiamo oggi il suino. Le dimensioni, grazie alla miscela genetica, aumentano. Gli allevamenti subiscono un’impennata in produttività quan-

Così, durante i mesi caldi, il quadrupede non ha granché da mangiare, ma da ottobre in poi arriva la montanera – il momento in cui le bellotas cascano al suolo. Ecco che il suino fa esattamente quel che si dice per modo di dire: mangia come un maiale. E accumula per l’estate seguente tanto, pregiatissimo grasso. Ricco, come scrivevamo più sopra, di quell’acido oleico di cui sono piene le ghiande. L’acido oleico è la medesima sostanza che trovate nei frutti degli ulivi, è per questo che gli spagnoli amano definire i maiali iberici olive con le zampe. La quantità di bellotas consumate quotidianamente varia a seconda del peso del cerdo, ma ci aggiriamo intorno ai 6-10 kg al giorno, più un 3 kg d’erba e erba aromatica (timo e rosmarino). Quindi, sfatiamo per sempre questo mito disdicevole: il pata negra non si nutre di solo ghiande, perché non ve ne sono né in primavera, né in estate, né nei primi mesi d’autunno. Pensate: in estate, in mancanza di bellotas e in generale di nutrimento, arriva a pesare solo 100 kg: se pensate che il maschio arriva a 280 chilogrammi, la femmina a 180 e la carcassa pesa dai 150 ai 200, capite di che delta di peso stiamo parlando. Praticamente, siamo a livelli di carestia. Alla fine della montanera, quando i muscoli sono impregnati di acido oleico e quindi prima che possa cominciare il dimagrimento, il maiale iberico è sacrificato. La produzione del prosciutto inizia subito dopo la macellazione, quando gli arti posteriori sono messi in una cella frigorifera molto umida per 6-7 ore e portati a 6°C. La salatura dura 6-10 giorni, al termine dei quali la copertura di sale viene lavata via con acqua tiepida. Poi per uno o due mesi le zampe vengono messi in una terza cella frigorifera affinché il sale entri uniformemente nelle carni. L’essiccazione avviene in essiccatoi ad aria naturale per 6-9 mesi. Qui, oltre alla disidratazione del prosciutto, avvengono altre reazioni: gli zuccheri si concentrano, i grassi si ossidano e si sciolgono penetrando nella carne. Batteri e funghi proliferano. Non è finita: la stagionatura avviene in una cella con umidità relativa tra il 60 e l’80% ad una temperatura dai 10º e i 20ºC. Qui si sviluppano i lieviti e si creano i sapori specifici, con note di nocciola, frutta secca. La durata di permanenza in quest’ultima cella va dai 30 ai 50 mesi. Il taglio del Pata Negra prevede 5 parti: la punta, dove c’è il grasso e il sapore; la maza (il fiocco), grassa e fondente, vi sono avvertibili le note dolci e l’aroma di nocciola; il centro, più asciutto e stagionato della maza ma dove ancora si sentono le note di noce; la babilla (cosciotto) parte magra circondata da grasso saporito; l’alta maza (stinco), magra e piena di fibre, è la zona più fresca. Il Regno di Spagna ha recentemente legiferato (2014) per metGENNAIO 2020

- 17


18 - BBQ4All MAGAZINE


tere ordine in questo mondo di prelibatezze sofisticate. Le autorità di Madrid affrontarono così la cosiddetta Burbuja del jamón, la bolla del prosciutto verificatasi negli ultimi anni, data l’enorme richiesta di prodotti iberici. Sebbene sia stata approvata una legge più lassista che ha permesso l’ingresso nel mercato iberico di suino bianco, la domanda non è stata soddisfatta. Almeno il 30% dei prodotti etichettati come iberic; in realtà non lo erano. Ora può definirsi Pata Negra Bellota solo l’animale di pura razza iberica allevato in libertà con frutta in estate e bellotas in inverno. È rarissimo: rappresenta lo 0,5% dei prosciutti spagnoli. Nel 2014, anno della legge, la produzione era di 64.325. Si distingue da tutti gli altri per l’etichetta rigorosamente nera. Il prosciutto iberico Bellota deriva da un animale che ha tre quarti di sangue di razza pura. Libertà di pascolo e nutrizione come il Pata Negra Bellota. Nel 2014 se ne sono confezionati 735.276 pezzi. Etichetta rossa. Il prosciutto iberico Cebo de Campo deve sempre avere il 75% di sangue puro e aver vissuto in libertà, tuttavia può non essere alimentato con ghiande. Dato 2014: appena 26.940 prosciutti. Colore dell’etichetta: verde. Il prosciutto iberico Cebo è solo per metà di razza pura. Cresce nelle stalle, con cereali e vegetali dispensategli dall’allevatore. Cinque anni fa se ne sono venduti 4.207.151. Etichetta: bianca. Ma non di solo prosciutto vive (cioè, muore) il maiale iberico. Di recente, e a causa della domanda degli ultimi anni, anche il maiale iberico fresco ha iniziato a essere commercializzato. In particolare, le cucine di tutto il mondo hanno scoperto il Secreto Iberico, un taglio con molto grasso intramuscolare. Il Secreto è la parte interna della spalla, le costole e il lardo – da qui il nome segreto. Si presenta con forma irregolare che ricorda un ventaglio, ed è cucinato in padella, griglia, piastra. La Pluma, taglio ritenuto pregiato per la sua consistenza tenera, ha una forma che somiglia ad una piuma. Si trova nella regione anteriore del lombo vicino al collo. I ristoranti lo mettono in tegame, su griglia, su piastra. Il Lagartito è un cordone di filetto fatto in striscioline che vengono da un taglio tra il lombo e le costolette. Croccanti fuori grazie al grasso, rimangono tenerissime all’interno. Gli spagnoli lo fanno alla brace, o lo saltano in padella, e ci fanno pure lo stufato. La Carillada, la guancia venata di succose striature di grasso, è usata per fare spezzatini con vino di Jerez. E poi ancora: il Solomillo, il controfiletto, considerato il taglio più tenero. Il Chuletero (costole più lombo). La Presa, il pezzo di collo sotto la coppa. I Picos de Lomo, i Picos de Costilla, il Morro, l’Higado, l’Espinazo… il maiale iberico ha tanti tagli possibili, tutti resi deliziosi dalle caratteristiche genetiche e di allevamento degli animali. A quanto pare, una specifica letteratura riguardo al Barbecue con maiale iberico non è ancora apparsa. Non pare esserci una riflessione settoriale consistente nemmeno in Spagna, dove di fatto nemmeno lo chiamano Barbecue, ma Barbacoa. Tuttavia nel forum di BBQ4All già potete trovare dei pionieri dell’uso del fuoco su questa bestia dalla carne meravigliosamente marmorizzata. GENNAIO 2020

- 19


DISPOSITIVI E ACCESSORI rubrica a cura di MICHELE CHIPA e CARLO TRONO

il d i sp osi ti v o b ar b e c ue che no n co no s c i

OFF-SET

20 - BBQ4All MAGAZINE


Quando si sente parlare di barbecue americano, subito il nostro pensiero va ai grandi dispositivi a legna che vengono utilizzati dai più famosi BBQ Joint. Su questi dispositivi esistono notizie contrastanti: c’è chi dice che rappresentano il vero barbecue, c’è chi li ritiene più difficili da controllare rispetto ai bullet smoker e c’è chi li considera addirittura sprecati per un uso non professionale. In questo articolo vi dararemo ù delle informazioni più precise sull’affascinante mondo degli off-set.

Caratteristiche costruttive Gli off-set sono normalmente composti da due camere di diverse dimensioni poste in sequenza, disposte generalmente in orizzontale. La più piccola funge da camera di combustione (fire chamber), mentre la più grande da camera di cottura (cooking chamber), il rapporto tra i due volumi è in genere di uno a tre. Le due camere sono unite lateralmente, e il flusso fatto di calore e di fumo si trasferisce dalla prima alla seconda attraverso un foro. L'aria necessaria alla combustione entra attraverso delle feritoie poste sulla fire chamber, spesso ricavate direttamente sullo sportello; la regolazione della temperatura avviene tramite una saracinesca regolabile che occlude le feritoie (vent-in) e un "tappo" incernierato su un perno alla sommità del camino (vent-out). In alcuni modelli è presente una ulteriore saracinesca di regolazione posizionata tra le due camere e comandabile dall'esterno tramite una leva. Il materiale di costruzione è una lega di ferro con verniciatura esterna resistente alle alte temperature. L'interno non viene verniciato, ma viene rivestito con uno strato di grasso bruciato che polimerizzando crea una patina protettiva in grado di contrastare la formazione di ruggine; si tratta di un procedimento (seasoning) concettualmente simile a quello che si effettua sulle padelle di ferro o ghisa. Le griglie sono generalmente in acciaio inox, anche se è possibile trovarne anche in ferro (smaltato o sottoposto anch'esso a seasoing) o ghisa. Molto spesso gli off-set vengono autocostruiti dagli appassionati utilizzando materiale di recupero, specialmente grandi serbatoi precedentemente impiegati per carburante liquido compresso (propano), caratterizzati da un notevole spessore delle pareti e da un peso conseguentemente elevato. I modelli presenti in commercio vengono invece realizzati attraverso la calandratura (deformazione plastica di fogli metallici) di una lamiera, e per questo possono essere di diversi spessori, dimensioni, peso e, di conseguenza, costo. Apparentemente semplici, gli off-set nascondono in realtà al loro interno una accurata progettazione: i rapporti dimensionali GENNAIO 2020

- 21


presta in particolar modo agli off-set di dimensione piccola o media. Oltre ai classici off-set dalla forma cicilindrica, che riprendono l'aspetto dei classici serbatoi di propano, vengono realizzati anche dispositivi con forme più squadrate, specialmente quando si opera su grossi spessori o quando si vuole realizzare una intercapedine per includere una forma di coibentazione delle camere. Esistono anche degli off-set costruiti con la cooking chamber posizionata in verticale anziché in orizzontale, ed infine si possono trovare in commercio modelli con tre camere; in questi casi la terza camera, posizionata in verticale, può essere posta in continuità con la classica cooking chambers, oppure può essere posizionata sopra la fire chambers, sfruttuando così l'irraggiamento e la conduzione per ottenere un vano ad una temperatura adatta alle lunghe cotture o al resting (questo senza passaggio dei fumi).

tra fire chamber e cooking chamber, il diametro e la lunghezza del camino, la posizione dei fori di entrata e uscita dell'aria e persino forma e ampiezza del foro di collegamento tra le due camere sono regolati da precisi rapporti matematici, imposti ai costruttori dalle leggi fisiche della fluidodinamica (spesso applicate in maniera empirica dagli appassionati). Un off-set ben realizzato deve "respirare" correttamente e il flusso d'aria che attraversa le due camere deve essere naturale e costante, senza ristagni che, se presenti, provocano una sovraffumicatura degli alimenti e impediscono la formazione di un solido bark a causa dell'umidità rilasciata dalla legna e dalla (tanta) carne in cottura. Su internet si trovano delle applicazioni per il calcolo automatico di questi rapporti dimensionali, ma molto spesso è l'esperienza del costruttore a fare la differenza.

Gli off-set, inoltre, si dividono in due categorie: direct flow e reverse flow. La differenza è data dalla presenza all'interno della cooking chamber di un deflettore (baffle plate) tra il foro di collegamento e la griglia che sostiene gli alimenti, nonché dalla posizione del camino di uscita; le due diverse conformazioni influenzano il percorso dell'aria calda all'interno della cooking chamber, e di conseguenza anche l'omogeneità di temperatura. Negli off-set direct-flow, percorrendo la cooking chamber dal foro di collegamento verso il camino di uscita, l'aria si raffredda in maniera progressiva, pertanto gli alimenti posti più lontano dalla fire chamber saranno esposti a temperature più basse rispetto a quelli più vicini. Questo sistema è preferito dai Barbecue Joint nei loro giganteschi off-set, impiegati per cucinare contemporaneamente tagli di carne che devono essere sottoposti a temperature diverse e raggiungere contemporaneamente, allo stesso orario, il punto di cottura perfetto. Negli off-set reverse-flow, l'aria calda densa di fumo passa prima sotto un deflettore, e poi ritorna verso la fire chamber; l'irraggiamento emanato dalle pareti di confine con la fire chamber, nonché dallo stesso deflettore riscaldato dal flusso di aria incandescente sotto di esso, bilancia la perdita di temperatura dei fumi. Questo sistema presenta quindi una maggiore omogeneità di cottura in ogni punto della cooking chamber, e si 22 - BBQ4All MAGAZINE

DIRECT FLOW

cooking chamber fire chamber

REVERSE FLOW

Punti di forza L'off-set ha dalla sua parte una grande capacità della camera di cottura. Questi dispositivi sono studiati per massimizzare lo spazio interno e rendere il più efficiente possibile il consumo di combustibile. A parità di altre condizioni, un off-set ha un consumo più elevato rispetto a un kettle o ad un bullet smoker, quindi è necessario aumentare la quantità di alimenti inseriti per rendere la cottura più conveniente a livello economico. Non a caso gli off-set sono utilizzati soprattutto nei ristoranti


logs) accatastati all'interno della fire chamber. La temperatura di combustione deve essere quella subito precedente alla accensione della fiamma (pirolisi secondaria): questo è lo stadio della combustione nella quale vengono maggiormente distillati i componenti fenolici della cellulosa con alta qualità aromatica, e si evita al contempo la formazione di idrocarburi policiclici e delle altre sostanze che invece caratterizzano le cattive affumicature, amare, poco digeribili e sicuramente non salutari.

bbq, e all'interno di queste attività il lavoro è a ciclo continuo. Un altro punto a favore per l’affumicatore orizzontale è il tipo di combustibile utilizzato: in questi dispositivi si utilizza quasi esclusivamente legna. Dico quasi perché in realtà potrebbero essere alimentati anche a carbone o addirittura a bricchette. In ogni caso il legno è quello che assicura il maggior apporto calorifero e quindi permette un perfetto riscaldamento della grande camera di cottura. Il flavour profile (profilo gustativo)di una cottura in off-set alimentata a legna, inoltre, è il più completo e complesso: gli alimenti, infatti, subiscono una affumicatura continua per tutta la durata della cottura. Per ottenere la giusta composizione del fumo, si utilizzano le stesse essenze di legno utilizzate sotto forma di chips o chunks all'interno dei kettle o dei bullet smoker, ma in questo caso vengono impiegati grossi rami e pezzi di tronco (chiamati

Punti di debolezza Per garantire la stabilità di temperatura di cottura e la capacità di mantenimento di temperature basse (intorno ai 100°C) l’off-set deve essere costruito con materiali ad alto spessore. Solo in questo caso sarà tutto sommato semplice da domare. Questa sua necessità implica un peso elevato con evidenti difficoltà di trasporto (negli USA è molto facile vedere gli off-set installati su carrelli gommati trainati da autovetture). La presenza di materiali spessi fa anche incrementare notevolmente il costo: è bene evitare di acquistare dispositivi di questo tipo a poche centinaia di euro, il perché lo capite facilmente da soli: perdereste più tempo per cercare di mantenere la temperatura costante rispetto a quello che vi servirebbe per affumicare un boston butt! Un altro fattore limitante da considerare è che il peso importante unito alla grandezza della camera di cottura rende l'offset un dispositivo non economico in termini di consumo. No, non mi sto contraddicendo rispetto a quanto detto prima: non confondete lo spreco con il costo. Un dispositivo del genere conviene se avete grandi quantitativi di carne da cuocere, ma consuma moltissimo – per ovvie ragioni- e quindi il costo del combustibile è comunque elevato. Ultima nota negativa, concedetemi il termine, è l'impossibilità di una cottura diretta nella camera di cottura a meno che non si inserisca del carbone all’interno; tuttavia la distanza tra il fondo e la griglia di cottura la renderà difficoltosa. Un’alternativa è quella di utilizzare la camera di combustione, ma dovreste necessariamente procurarvi una griglia su misura. L'off-set resta, in ogni caso, un dispositivo inadatto per le cotture dirette.

GENNAIO 2020

- 23


PER INIZIARE rubrica a cura di MICHELE CHIPA

FO R MA G G I A F F U M I C AT I

dalla A alla...Provola

Quando sentiamo parlare di formaggi affumicati, subito affiorano alla nostra mente la provola, il caciocavallo e, più raramente, la ricotta. Tuttavia, sappiatelo: qualora non vi piaccia nessuno dei sopra elencati potete tranquillamente provvedere voi stessi all’affumicatura del vostro preferito. Affumicare formaggi è una procedura più semplice di quanto si possa immaginare ed in questo articolo vi dirò come farlo. Ovviamente stiamo parlando di affumicatura a caldo, quindi con temperature in camera di cottura che vanno dai 90 ai 110 gradi centigradi. Prima di iniziare, però, è d’obbligo il giuramento: prometto solennemente di non farvi trasformare il dispositivo di cottura in un contenitore da fonduta! Tipi di formaggio e tecniche di affumicatura adatte In linea teorica, tutti i formaggi sono affumicabili. Ciò che cambia sono le accortezze da utilizzare durante il processo. Vediamo nel dettaglio. I formaggi a pasta dura o semidura (scamorza, caciocavallo, pe24 - BBQ4All MAGAZINE

corino, etc) sono caratterizzati da un’ottima tenuta sulla griglia grazie alla loro capacità di fondere lentamente. Ciò significa che in cottura otterremo un cuore cremoso ma un esterno croccante: non a caso vengono anche chiamati grill cheese. In fase di affumicatura il nostro obiettivo sarà quello di mantenerli in forma senza far scivolare la loro pasta sotto alla griglia. Per questo useremo delle plank di legno (ve ne parlo più avanti) oppure in loro assenza li appoggeremo su un foglio di carta da forno precedentemente inumidito, in cottura indiretta. In questo modo otterremo un’affumicatura perfetta e senza sgradevoli colature. Se il vostro formaggio avesse una crosta non edibile potreste pensare di eliminarla in modo da veicolare gli aromi direttamente verso il cuore. I formaggi a pasta molle (tomino, brie, camembert, stracchino, crescenza, etc) sono quelli che necessitano di una maggior cautela quando finiscono in griglia. Se hanno una crosta edibile - è il caso di brie, camembert, tomino - possono essere trattati come i formaggi a pasta dura (seppur con una temperatura di esercizio un po’ più bassa). Se non c’è crosta, come nel caso di strac-


chino, crescenza, e la morbidezza della pasta non permette un trattamento a nudo, i formaggi dovranno essere quindi disposti su supporti che permettano un’affumicatura senza la colatura: potrete usare leccarde in alluminio oppure teglie adatte alle alte temperature. Per avere un risultato ancor più particolare potrete avvolgere il formaggio in fogli di legno adatti allo scopo oppure in foglie di vite. In questo modo otterrete il risultato sperato ma con una marcia in più. Planking L’utilizzo delle placche di legno merita un capitolo a parte. La placca, grazie al calore della griglia, rilascia un piacevole aroma grazie alla diffusione degli oli essenziali che contiene. Consiglio di preparare il grill per la cottura diretta mettendo in accensione il carbone o pre-riscaldando la griglia a gas o elettrica. A carbone acceso, versatelo disponendolo per la cottura diretta. A questo punto prendete il formaggio e adagiatelo sul legno che avrete messo in cottura diretta. In questa fase, è consigliabile tenere aperto il coperchio del dispositivo perché si aumenta la

presenza di ossigeno con conseguente aumento della temperatura, agevolando e velocizzando la combustione del lato inferiore della tavoletta; inoltre, c’è una maggiore dispersione di calore e questo è utile per evitare che il formaggio si scaldi troppo presto e per fare in modo che ci sia una sufficiente produzione di fumo utile all’aromatizzazione. Quando vedete fumo sufficiente, potete chiudere il coperchio per favorire l’assorbimento del calore da parte del formaggio, fino a qui protetto dalla tavoletta. Quanto tempo bisogna aspettare? Dipende dal tipo di formaggio: evitate comunque di aprire il coperchio nei primi 8/10 minuti, poi controllate il grado di affumicatura e di scioglimento. La colorazione può darvi un significativo aiuto: dobbiamo ottenere una velatura color paglierino/brunito sulla superficie chiara del formaggio. Che tipi di legno si possono usare? Gli stessi che usate per tutti gli atri tipi di alimenti: melo, pesco, cedro, ciliegio, hickory, quercia, betulla, faggio e così via. Da evitare, ovviamente, i legni resinosi come l’abete. Si possono utilizzare anche erbe aromatiche, (alloro, rosmarino, ginepro), paglia e foglie. GENNAIO 2020

- 25


26 - BBQ4All MAGAZINE


Consigli per il servizio Avendo parlato di affumicatura a caldo, vi consiglio di servire i formaggi su un piatto precedentemente riscaldato in modo da mantenerli fumanti e col cuore scioglievole. Quando sono caldi, inoltre, potete anche spolverizzarli con un trito di erbe aromatiche fresche per esaltare il loro sapore. Provate a tostare un po’ di sesamo o dei semi di papavero per dare una nota croccantina al tutto, oppure a creare una salsina dal sapore un po’ dolce per bilanciare la sapidità del vostro formaggio. Volete una ricetta veloce? Vi accontento subito. INGREDIENTI • placca di cedro 1 • formaggio Camembert 1 forma grande • confettura di albicocche q.b. • gherigli di noce q.b. • pane o crostini da tostare q.b.

PROCEDIMENTO Ponete la tavoletta in una bacinella con dell’acqua e lasciatela a mollo per 30 minuti circa. Preparare il grill per la cottura diretta mettendo in accensione il carbone o pre-riscaldando la griglia se a gas o elettrica. Prendete il camembert e distribuite sulla sua sommità una generosa dose di confettura ed i gherigli di noce a ventaglio. Una volta sistemati gli ingredienti, posizionate la forma sulla placca di legno tamponata con carta da cucina e successivamente sulla griglia in cottura diretta, dove il calore è più intenso. È preferibile mantenere il coperchio aperto durante questa fase. Attendete la comparsa delle prime nuvolette di fumo e chiudete il coperchio per accumulare calore indiretto nella parte superiore del formaggio. Per un risultato perfetto è necessario evitare di aprire il dispositivo per almeno 6 o 7 minuti. Alla prima apertura verificate la superficie dei vari ingredienti. Dobbiamo ottenere una colorazione brunita di noci e confettura con degli spot più scuri risultanti dalla reazione di Maillard, e una velatura color paglierino sulla superficie bianca del formaggio data da una buona affumicatura. Il formaggio sarà pronto quando, premendo leggermente sulla crosta, lo sentiremo cedevole. Servite il formaggio accompagnato dai crostini di pane tostato.

GENNAIO 2020

- 27


RICETTE - PRIMI PIATTI a cura della REDAZIONE

Q UA N D O I R AV I O L I FA N N O B O O M Provateli con l’esplosivo ripieno di ricotta affumicata e Cheddar al Whiskey

28 - BBQ4All MAGAZINE


La pasta fresca è un caposaldo della tradizione culinaria italiana; un ricettario della nostra cucina non può dirsi completo se non dedica un’ampia sezione a questa preparazione, dalla scelta della farina, fino alla stesura della sfoglia, da cui poi ricavare i vari formati. Nonostante tutto ciò, l’alimento che ci ha reso famosi nel mondo pare non sia stato inventato da noi. È difficile stabilire quale popolo abbia iniziato per primo a mescolare con acqua e sale una farina ottenuta macinando grossolanamente il grano. L’opinione diffusa è che le sue origini siano da ricercare nella civiltà persiana e, soprattutto, in quella greca. Il primo a parlare di pasta come alimento nel V secolo a.C. è il commediografo Aristofane, che in una delle sue commedie ne descrive una prepara-

zione simile agli attuali ravioli. Un reperto archeologico venuto alla luce nel 2000, nel corso di alcuni scavi a Lajia (Qinghai, Cina), ci racconta che i cinesi nel Neolitico erano già in grado di ricavare una farina dai chicchi di miglio, per poi ottenere una pasta da stendere grossolanamente in lunghe strisce. In ogni caso, in Italia fu l’ingegno medioe­ vale ad intuire le grandi potenzialità della pasta e ad avvicinarla moltissimo al prodotto che oggi nel mondo tutti amano mangiare, introducendo la cottura in acqua e l’essiccazione per prolungarne la durata. In questo periodo, nella Repubblica marinara di Genova, comparve sulla scena culinaria un quadrato di pasta ripieno di carne e verdure, chiamato raviolo in onore del suo ideatore, il cuoco Ravioli. Questo fagottino delizioso si

diffuse con grande rapidità lungo tutta la penisola grazie all’esportazione via mare delle navi genovesi, conquistando il palato di tutti coloro che lo assaggiarono e dando vita anche a molte varianti nella forma (quadrati o tondi, con o senza bordo), nel ripieno (carne, verdure e formaggi) e nel nome (agnolotti, cappellacci, tortelli, anolini ecc…). Per mantenere viva l’evoluzione di questa specialità, vi proponiamo la ricetta dei ravioli farciti con ricotta affumicata e spinaci, saltati nel burro aromatizzato alla salvia. Per dare un po’ più di spinta e di sapidità, abbiamo messo nel ripieno anche un Cheddar aromatizzato al whisky e zenzero. Il tutto è racchiuso in un semplice guscio di pasta all’uovo, condito con burro fuso, salvia e una spolverata di Parmigiano. GENNAIO 2020

- 29


I N G REDI EN TI

PER 6 PER SONE • 300g di farina 00 • 3 uova • una ricottina di latte vaccino intera da circa 300 g • 300g di spinaci puliti • sale q.b. • mezzo cucchiaino di cannella • pepe q.b. • 80g di burro • 4 foglioline di salvia fresca • Parmigiano Reggiano grattugiato q.b. • 100 g di Irish Whiskey & Stem Ginger Cheddar Cheese

Preparazione: 1. Su una spianatoia, create la classica fontana di farina, all’interno della quale romperete le uova e aggiungerete un pizzico di sale. 2. Inizialmente, incorporate la farina alle uova con una forchetta, poi continuate ad impastare con le mani fino ad ottenere un panetto liscio e compatto, che farete riposare per circa due ore in un recipiente coperto con un canovaccio. 3. Preparate il dispositivo per una cottura indiretta a 160° C, mezza ciminiera di bricchetti sarà sufficiente. 4. Appoggiate sulla griglia, in cottura indiretta, la ricottina intera con sotto un foglio di carta forno leggermente inumidito. Affumicate con due o tre manciate di chips di legno aromatico e chiudete il coperchio. 5. Dopo 30 minuti circa controllatela: se alla vista la superficie risulta disidratata e ha un bel colore dorato è pronta. Altrimenti, chiudete il coperchio e lasciatela 30 - BBQ4All MAGAZINE

andare per altri 10-15 minuti circa. 6. Quando il formaggio è pronto, toglietelo dal dispositivo e fatelo raffreddare. 7. Lessate in abbondante acqua salata gli spinaci, 20 minuti circa dopo il bollore scolateli. 8. Quando sono tiepidi, poco per volta, strizzateli con le mani per eliminare l’acqua in eccesso. Terminata questa operazione tritateli grossolanamente con un coltello. 9. In una ciotola capiente, schiacciate la ricotta con una forchetta e poi unite gli spinaci e il cheddar. Amalgamate bene gli ingredienti tra di loro e aggiustate di sale. 10. Prendete il panetto di pasta schiacciatelo con entrambe le mani e stendetelo, non troppo sottilmente, con il mattarello. 11. Ottenuta la sfoglia, prendete la farcia e con un cucchiaino iniziate a posizionarla, mantenendo una distanza di circa 2 cm . Il ripieno va messo a 5/6 cm dal bordo superiore.

12. Quando avete terminato la prima fila, prendete il lembo di pasta rimasto libero sopra, e coprite il ripieno. 13. Fate aderire bene la pasta alla farcia per eliminare l’aria e tagliate la pasta con la rotella dentata, formando i ravioli. 14. Proseguite fino a quando la sfoglia non è terminata. 15. Mettete a bollire l’acqua salata e, mentre aspettate che raggiunga il bollore, in una padella fate sciogliere il burro con la salvia. 16. Quando l’acqua bolle calate i ravioli e dopo circa cinque minuti scolateli e saltateli nel condimento, aggiungendo anche il Parmigiano I ravioli sono pronti. Se volete, al momento del servizio, potreste decorare i piatti con due foglioline di salvia fritta. I vostri commensali si aspetteranno i soliti ravioli ricotta e spinaci, ma avranno in realtà una piacevole e esplosiva sorpresa al primo morso.


GENNAIO 2020

- 31


RICETTA - PANINI a cura di ALESSANDRO TREZZI

Che mondo sarebbe senza

PA N I N I ?

Il panino rende tutto più buono, è la culla dove riposano gli ingredienti, dove nascono gli amori, il luogo un cui i profumi sbocciano e si intensificano, sostenendosi l’uno con l’altro. Un gioco di consistenze e di colori, tra cremosità e succulenza, sapidità e freschezza; un perfetto equilibrio tra carboidrati, fibre e proteine.

In tutto il mondo è possibile gustare celebri specialità appartenenti a questa grande e gloriosa famiglia: dall’hamburger americano al sandwich cubano, dal tramezzino torinese alla tigella emiliana. Tutti, del resto, amano infilare prelibatezze nel pane basso. Il termine Sandwich deve la sua origine a John Montagu, IV conte di Sandwich, un politico britannico del XVIII secolo che, durante le partite a carte o le gare di golf, si faceva servire al tavolo o sul campo gustosi quadrati di pane farcito per poter mangiare continuando a giocare. E proprio parlando di panini, ce n’è uno nel vasto repertorio mondiale che è ormai diventato il simbolo di bar e fast food: il Club Sandwich. L’avrete sicuramente sentito nominare, è impossibile affermare il contrario. Simbolo dell'ingordigia e dei pasti voluminosi, non per niente è americano. Nella versione tradizionale, il Clubhouse Sandwich non è nient'altro che un panino statunitense composto da pane in cassetta tostato, pollo, prosciutto, lattuga, pomodoro e maionese. Nell’immaginario collettivo (e nelle versioni più moderne), viene realizzato in doppio strato, separando le due parti ugualmente farcite da una terza fetta di pane; il sandwich viene poi tagliato in quarti o metà e tenuto insieme da appositi stecchini, per mostrare con orgoglio la propria farcitura. Sembra che tale panino sia stato inventato presso lo Union Club di New York. Il primo riferimento conosciuto è una ricetta pubblicata sull’Evening World nel 18 Novembre 1889, nella quale veniva descritto un sandwich composto da due “pezzi di pane Graham tostati, con uno 32 - BBQ4All MAGAZINE

strato di tacchino o pollo e prosciutto tra di loro”. Altre fonti, tuttavia, ne attribuiscono la nascita a un club esclusivo di gioco d’azzardo a Saratoga Springs, nel 1894. Che sia l’una o l’altra cosa, il Clubhouse cominciò a comparire nei menu americani fin dal 1899. Con il tempo vennero sviluppate versioni differenti, come il Breakfast Club contenente uova o roast beef per un maggiore apporto proteico, oppure altre varianti che presentano il bacon e/o il formaggio anziché il prosciutto, mentre le varietà vegetariane possono contenere hummus, avocado o spinaci. Ancora, sandwich di pesce possono contenere ostriche, salmone e granchio. Il panino viene comunemente servito accompagnato da una coleslow o con delle patate, sia al forno che fritte. Un inno allo spuntino degno della migliore fame, e che deve essere valorizzato con un pane fatto come si deve, non siete d’accordo? Forza allora, mettiamoci al lavoro. L’obiettivo Il miglior pane per realizzare un club sandwich con i controfiocchi è quello cosiddetto in cassetta: : un impasto lasciato lievitare in ultima fase in uno stampo rettangolare, quello che usate per il plumcake per intenderci. L’ultima lievitazione gli consente di avere la struttura necessaria e di crescere in altezza senza che siano necessari prefermenti o lievito madre. Questo semplifica notevolmente la realizzazione e consente di raggiungere un buon volume anche in assenza di strumenti professionali o di grande esperienza.

Lavorando nella maniera corretta poi, è possibile diminuire il quantitativo di farina utilizzata ottenendo tuttavia la stessa dimensione finale, per un guadagno certo in termini di leggerezza. Il classico pane in cassetta viene realizzato solitamente con un impasto che ricorda molto quello dei brioche bun per hamburger. Personalmente però, preferisco un gusto più pulito e uniforme per questa tipologia di prodotto, da abbinare a ingredienti già carichi di sapore. La farina Detto ciò, la scelta migliore per l’ingrediente principale del nostro impasto ricade su una farina di tipo 00 o 0 con una forza di 280-300W e un’ottima percentuale di assorbimento minimo. L’assenza di crusca permette di creare una maglia glutinica salda e senza interruzioni, con una risultato più performante ed esente da difetti in fase di lievitazione. Il burro I grassi rendono l’impasto più estensibile, malleabile e avvolgendo le bolle di anidride carbonica che si formano durante la lievitazione, le stabilizzano. L’alveolatura diventa così più omogenea e la struttura della mollica molto soffice; tali fattori aumentano notevolmente la shelf-life del prodotto finito. Come già anticipato, cercheremo di mantenere un gusto abbastanza pulito e uniforme; pertanto eviteremo l’uso di latte e uova, aggiungendo alla ricetta solo una parte di burro per accrescere morbidezza e conservabilità.


GENNAIO 2020

- 33


34 - BBQ4All MAGAZINE


LA RICETTA

Le fasi previste sono: - Impastamento; - Puntata o prima lievitazione; - Staglio e formatura dei panetti; - Appretto o seconda lievitazione in teglia; - Cottura.

IN GREDIENTI

P ER 2 STAM PI DA 2 4 C M • 1 kg di farina 00 di grano tenero (300 W); • 600 g di acqua; • 85 g di burro morbido a temperatura ambiente; • 5 g di malto diastasico; • 25 g di sale fino; • 10 g di lievito di birra fresco (4 g se secco)

Impastamento Rovesciate in un recipiente ampio (o nella vasca della vostra impastatrice o della planetaria) tutta la farina, il 75% dell’acqua, il lievito sbriciolato e il malto diastasico; dopo una prima fase di miscelazione, aggiungete il sale e l’acqua rimanente poco alla volta, attendendo che sia ben assorbita prima di aggiungerne un’ulteriore quantità. Terminata l’acqua, aggiungete il burro poco alla volta, poi chiudete l’impasto quando sarà liscio, asciutto e setoso, e la maglia glutinica si sarà formata. La temperatura interna dovrà essere di almeno 24 °C per permettere a tutti i processi fermentativi e alla maturazione di avere inizio senza particolari ritardi. Lasciate riposare nella ciotola per circa 15 minuti, poi fate alcune pieghe di rinforzo per irrobustire e stabilizzare il glutine (e di conseguenza la struttura dell’impasto). Puntata In questa fase, l’impasto matura e la maglia glutinica si stabilizza. Posizionate il tutto in un recipiente dai bordi alti ben oliato e lasciatelo a temperatura ambiente per almeno un’ora facendo sì che la lievitazione parta; infine mettete in frigorifero per 1824 ore a una temperatura di 6 °C. Staglio e appretto Circa 4 ore prima della cottura togliete l’impasto dal frigorifero e dividetelo in due parti uguali. Ripiegatele dando forza e formate un salsicciotto di uguale lunghezza a quella degli stampi, che nel frattempo avrete imburrato o cosparso con poco olio. Adagiate gli impasti sulle teglie, copriteli con pellicola e lasciateli in appretto a una temperatura di 28-30 °C. Cottura Stabilizzate la temperatura del vostro forno a 220 °C e cuocete per 30 minuti; per verificare l’avvenuta cottura eseguite un doppio controllo: la temperatura interna, misurabile con un termometro a sonda, deve essere di 90 °C, e la mollica deve risultare completamente asciutta. Nel caso in cui la superficie dovesse colorarsi eccessivamente, coprite con della carta alluminio. Raffreddamento, mantenimento e servizio Sfornate il pane, toglietelo dallo stampo e lasciatelo raffreddare su una griglia rialzata, in modo che il vapore non vi rovini la crosta. Anche questo prodotto si conserva benissimo se riposto in frigorifero, magari in un sacchetto o in un recipiente a chiusura ermetica. Passati 2 o 3 giorni tuttavia conviene congelarlo. Bene, è fatta: tagliate generose fette del vostro pane e tostatele in padella, prima di farcirle con ogni ben di Dio che vi venga in mente.

GENNAIO 2020

- 35


RICETTE - PANINI a cura della REDAZIONE

Va dove ti porta il

SA N DW I C H

ABBINAMENTO CONSIGLIATO TO ØL BLOSSOM

Secondo una breve ricerca condotta da Gambero Rosso nel 2019, il Clubhouse Sandwich, Club Sandwich per gli amici, è il cibo preferito dai cuochi. Eppure, al tempo stesso, uno dei più temuti. Nato a fine ‘800 in America, è un’icona del fast food (anche se la preparazione è decisamente slow) molto prima che arrivasse il Big Mac. Considerato il piatto jolly in tutti gli Hotel, richiesto a qualsiasi ora del giorno e della notte, è in grado, da solo, di intaccare la reputazione del ristorante dell’albergo. Non sono ammessi errori. Eppure, i cuochi costretti a prepararlo agli affamati ospiti lo adorano perché pare ricordi loro i tempi della gavetta, quando per espiare una colpa o per riparare a un errore venivano messi in cucina a preparare Sandwich a ripetizione. Questa preparazione conserva un’aura tutta sua: è un cibo sicuramente confortevole e veloce da consumare, ma al tempo stesso gourmand, capace di trasportarti subito con la mente ad altre epoche e a locali super raffinati frequentati da gentiluomini. Insomma, è sì un panino, ma decisamente chic. Sembrerebbe persino banale crearlo, che ci vorrà mai? Ma non è così. Lo rendono unico la qualità delle materie prime utilizzate e quella delle salse che troppo spesso, specie fuori dagli Stati Uniti, vengono sottovalutate. La versione originale presenta perfino una ferrea disposizione degli elementi che creano la stratificazione: la tradizione vuole che due fette di pane vengano tostate (solo da un lato) e spalmate di burro. Fatto questo, si procede a inserire una foglia di lattuga iceberg, una fetta di pomodoro e del bacon croccante o del pollo, interponendo tra uno stato e l’altro una porzione generosa di maionese. Pare sia nato così, a due strati, nonostante noi tutti lo conosciamo con tre fette di pane. Nel tempo ha subito delle evoluzioni – ma non esistono versioni ufficiali italiane, francesi o tedesche- mantenendo comunque la struttura degli elementi sempre integra, con piccoli variazioni del caso, come ad esempio l’aggiunta delle uova o l’uso del prosciutto al posto del bacon. La nostra versione manterrà la struttura a tre strati ma cambierà un bel po’ nel gusto. Grazie alla ricetta del nostro Alessandro Trezzi, potrete prepararvi il pane in cassetta da soli. Una volta pronto, farcitelo così.

36 - BBQ4All MAGAZINE

I N G REDI EN TI

PER UN SANDWICH • 3 fette di pane in cassetta • 50 g di rucola • 300 g di Denver Steak Australian Wagyu AACO 3/5 • 300 g di funghi champignon • 1 pomodoro • 50 g lardo • Pamigiano Reggiano 50 g • burro leggermente salato q. b • crema di rafano q.b • salsa di soia q.b • maionese q.b.

PROCEDIMENTO: 1. Pulite i funghi e tagliateli a fettine sottili. Marinatele con olio, succo di limone, sale e pepe e scaglie di Parmigiano Reggiano. 2. Condite la rucola in una ciotola con un filo d’olio, due gocce di limone, sale e pepe macinato fresco. 3. Predisponete il vostro dispositivo per una cottura diretta e cauterizzate su una piastra in ghisa la vostra Denver Steak sino a cottura desiderata. Fate un rest (riposo) di 3 minuti. 4. Nel frattempo, sciogliete il burro in un pentolino, spennellate le fette di pane da una sola parte e tostatele.


5. Spalmate sul pane ancora caldo la crema di rafano. 6. Adagiate la rucola sulla prima fetta di pane. 7. Affettate il pomodoro, salatelo e ponetelo sopra la rucola. 8. Tagliate la Denver Steak contro fibra, ricavandone rettangoli spessi almeno mezzo centimetro, appoggiateli sul pomodoro a coprire l’intera fetta di pane. Condite con un po’ di sale e di pepe. 9. Continuate a stratificare, aggiungendo i funghi marinati sulla carne. 10. Prendete la fetta di pane tostata da ambo i lati e coprite entrambe le facciate del pane in cassetta con uno strato di

lardo battuto. 11. Sovrapponete in chiusura la fetta di pane e procedete a stratificare nuovamente con gli ingredienti in maniera inversa, partendo dai funghi e così via sino ad arrivare nuovamente alla fetta di pane spennellata di burro e spalmata di crema di rafano. 12. Fate una leggera pressione sulla fetta superiore per abbassare il volume dell’intero sandwich e dividetelo in diagonale per ottenere due triangoli, tenendoli fermi con uno stecchino di legno.

perfette senza che vi sfuggano le fette o si muovano di qua e di là gli ingredienti al loro interno? Appena finite la chiusura del Club Sandwich con l’ultima fetta, avvolgetelo tutto con pellicola da cucina. Utilizzando un coltello a lama liscia, tagliate il pane insieme alla pellicola che poi asporterete. Otterrete così un taglio in sezione praticamente perfetto.

Una piccola dritta che vi permetterà di dividere al meglio il panino in due metà GENNAIO 2020

- 37


I N G REDI EN TI

PER 6 /8 PER SONE • Olive Ascolane tenere 1 kg PER IL RIPIENO • 300 g di avanzi di Brisket • 50 g di mollica di pane • una cipolla • 80 g di Parmigiano Reggiano DOP da grattugiare • la scorza di mezzo limone • una carota piccola • una costa di sedano piccola • un bicchiere di vino bianco • un uovo medio • sale fino q.b.

ABBINAMENTO CONSIGLIATO Martini Dry

PER LA PANATURA • 2 uova medie • farina 00 q.b. • pangrattato q.b. Per friggere • Olio extravergine d’oliva q.b.

38 - BBQ4All MAGAZINE


RICETTE - APERITIVI E FINGER FOOD a cura della REDAZIONE

OLIVE

ascolane? No prego,

briskolane! Le Olive all’ascolana sono un piatto celebre della cultura marchigiana e nazionale, che affonda le sue origini storiche nell’antica Roma. Il pasto quotidiano dei legionari era infatti rappresentato principalmente da olive in salamoia. Questo cibo, in virtù del suo apporto nutritivo e della facile trasportabilità, lo rese l’alimento ideale per i lunghi viaggi. La salamoia era infatti il sistema migliore per preservare e trasportare alimenti deperibili come appunto le olive. Nel corso degli anni molti autori si sono soffermati a raccontare la bontà di questo piatto, tra i quali spiccano i nomi di Catone e Petronio. Quest’ultimo, nel Satyricon, colloca le olive sulle celebri tavolate di Trimalcione, personaggio dell’opera famoso per le sue libagioni. Nel corso dei secoli, altri estimatori si sono aggiunti a declamare la bontà della specialità marchigiana. Tra i più famosi dobbiamo ricordare sicuramente Garibaldi che, dopo averle assaggiate, volle coltivare le piante di olivo a Caprera così da potere riprodurre la ricetta ascolana. Nello stesso periodo, inoltre, è da collocarsi l’origine del ripieno. I cuochi delle famiglie nobiliari di quel periodo dovevano gestire grandi quantitativi di carne provenienti dalle donazioni dei contadini. Non avendo modo di conservare la ciccia, e dovendola di conseguenza consumare tutta per non sprecarla, si pensò di inserire gli avanzi come ripieno delle olive in maniera da prolungarne la conservazione. In pieno stile ottocentesco abbiamo pensato di utilizzare gli avanzi del brisket, sì proprio quello che avete cucinato per Natale e che avete stipato in freezer - o per meglio dire che siete riusciti a far avanzare strappandolo dalle fameliche fauci di vostra suocera- per la creazione di una trascendentale oliva all’ascolana.

Preparazione 1. Tritate finemente le verdure (cipolla, sedano, carota) e fatele rosolare con 3 cucchiai d’olio extravergine d’oliva; 2. Sminuzzate il brisket e aggiungetelo quando il soffritto sarà dorato; 3. Salate, aggiungete il vino bianco e fate evaporare a fuoco dolce; 4. Togliete il composto dal fuoco e lasciatelo raffreddare, quindi successivamente macinatelo (potete utilizzare anche le lame di un mixer); 5. Versate il composto in una ciotola, aggiungete la scorza grattugiata di mezzo limone, l’uovo, il Parmigiano grattugiato, la mollica di pane ridotta in briciole, e impastate bene fino ad ottenere un composto morbido ma compatto, lasciatelo riposare per circa mezz’ora; 6. Denocciolate ora le olive: con un coltellino da cucina a lama liscia, tagliate a spirale l’oliva senza spezzarla partendo dal picciolo, in modo da ottenere una spirale di polpa liberata dal nocciolo; 7. Riempite adesso le olive con il ripieno ricreando la forma originaria all’oliva; 8. Preparate intanto dei contenitori in cui metterete: farina, uova sbattute e pangrattato; 9. Passate ogni oliva prima nella farina, poi nell’uovo sbattuto e per ultimo nel pangrattato. Ogni oliva subirà questo processo due volte in maniera da ottenere una panatura più croccante e compatta; 10. Terminata l’operazione di panatura arriva il momento della frittura. Una volta raggiunta una colorazione dorata scolate le olive in modo da eliminare l’olio in eccesso. Servitele calde.

Ecco quindi la nascita delle olive briskolane. Sperando che coach Nencioni ci passi il termine.

GENNAIO 2020

- 39


...Aspettate! Aspettate! Non abbiamo ancora f inito! Va fatta la

frittatina di avanzi! Come tradizione vuole non si butta via niente. Magari vi sono avanzati uovo, pangrattato, Parmigiano e brisket macinato? Utilizzateli in maniera creativa. Queste frittelline, o frittatine - chiamatele come volete - sono una bomba. Fate così: 1. Nell’uovo che avete usato per panare le olive aggiungete il brisket macinato e il pangrattato fino a farlo diventare un composto piuttosto denso. Attenzione: calibrate bene questo passaggio perché aggiungendo un nuovo uovo al composto il sapore si diluirà parecchio e perderà quel piglio caratteristico; 2. Dopo avere fritto le olive, friggete anche questo composto per ottenere: la frittata briscolana! Potete friggere il composto in un’unica soluzione, o magari sbizzarrirvi facendo piccole cialdine che renderanno l’aperitivo ancora più leggero e dietetico! Eheheh!

40 - BBQ4All MAGAZINE


GENNAIO 2020

- 41


RICETTE - SECONDI PIATTI a cura di MICHELA BONGIORNI

Il "nostro"

GULASH

la zuppa del griller Giornate freddissime e voglia di cose confortevoli: un maglioncino caldo, le pantofole morbide, il the? No, siamo griller, per noi il concetto di generi di conforto è diverso. Mentre gli altri guardano malinconici fuori dalla finestra seduti sul divano e riparati al calduccio delle loro casette, noi pensiamo solo a cosa poter cucinare sulle griglie del nostro dispositivo che non va mai in letargo. Ebbene, oggi prepariamo il Gulash. Sì, però a modo nostro. Tradizionalmente, si tratta di una zuppa di carne di manzo, lardo, cipolle, carote e patate, speziata principalmente con la paprika. Tipico piatto dell’Europa Centro-Orientale, in special modo dell’Ungheria, è del tutto simile allo spezzatino e come ogni preparazione tradizionale è declinata in moltissime varianti. Conosciuta anche come Gulyàsleves, zuppa del mandriano, deriva dalla cucina povera e nasce dal fatto che gli allevatori di bovini, quando attraversavano la pianura stepposa tipica del bassopiano magiaro, la puszta, avevano bisogno di un piatto che si preparasse velocemente, si conservasse con molta facilità e al tempo stesso li confortasse. Il nome, derivando quindi dalla parola gulyás (bovaro), ricorda questi viaggi dei mandriani che partendo dall’estremo est europeo arrivavano in città come Vienna, Norimberga, Venezia. Per questo motivo, la ricetta si è diffusa in tutta Europa, compreso il nord Italia. Il vero Gulash ungherese è dunque più liquido (e spesso servito con gli gnocchetti di farina). In Italia invece, nelle varianti goriziana e triestina, è più asciutto e ritirato. Il tipico colore rosso intenso è dato dalla paprika aggiunta in abbondanza, che però non è molto piccante (quindi occhio, usate quella dolce). La nostra versione, tuttavia, sarà quella di un Gulash con cottura ibrida (un po’ come si fa per il Pepper Stout Beef). Prima affumicheremo il cappello del prete (Top Blade, da cui ricaveremo due 42 - BBQ4All MAGAZINE

Flat Iron Steak, eliminando la cartilagine interna)) e poi lo porzioneremo e lo metteremo a cuocere con tante cipolle fino all’assorbimento quasi completo del brodo. Già me li immagino i talebani: e allora non chiamatelo Gulash! Vabbè, lo chiameremo Grillash, la zuppa del griller (mi scusino gli ungheresi per l’abominio linguistico, sono ovviamente ironica). È troppo buono per star lì ad arrovellarsi sul nome. Quindi forza, buttate le pantofole, accendete la ciminiera e cucinate! Preparazione: 1. Accendete il vostro dispositivo per una cottura indiretta stabilizzandolo a circa 100 gradi. 2. Spolverizzate le bistecche con il rub Montreal senza esagerare. 3. Ponetele in cottura indiretta, aggiungendo legno aromatico per affumicare, e chiudete il coperchio finché non hanno raggiunto i 60 gradi interni. 4. Nel frattempo, affettate le cipolle e mettetele a cuocere nell’olio in modo che lentamente appassiscano. 5. Quando la carne avrà raggiunto la temperatura target, toglietela dalla griglia e velocemente riducetela in grossi cubi che metterete a stufare insieme alle cipolle. 6. Aggiustate di sale e di pepe, aggiungete abbondate paprika, poi il concentrato di pomodoro, la passata di pomodoro e due o tre bicchieri di brodo di carne bollente. 7. Coprite il tegame e lasciate cuocere a fuoco dolce, aggiungete una foglia di alloro e lasciatelo andare per almeno un paio d’ore, controllando che non si asciughi troppo in fretta (in quel caso, abbassate il fuoco e aggiungete brodo caldo). 8. A fine cottura, se necessario, fate ritirare il sugo a fuoco vivace. Servitelo con fette di pane tostato, con polenta, con un buon purè di patate o con qualsiasi altra cosa vi suggerisca la fantasia. Fatecelo sapere, però, che qui siam golosi.

I N G RED I EN TI

PER 4 PER SONE • due Flat Iron Steak GLC Selection da circa 500g l’una • un kg di cipolle rosse • Montreal Steak Rub BBQ4All q.b. • Paprika dolce q.b. • Sale e pepe q.b. • una foglia di alloro • un cucchiaio di concentrato di pomodoro • mezza tazza di passata di pomodoro • un litro di brodo di carne • due cucchiai di olio extravergine di oliva


ABBINAMENTO CONSIGLIATO Merlot

GENNAIO 2020

- 43


RICETTE - SECONDI PIATTI a cura della REDAZIONE

FalsoMagro, VeroGusto siete a dieta? perfetto, questa ricetta non fa per voi!

Piatto tipico siciliano, il Falsomagro è una bella braciola ripiena di carne, salumi, uova e formaggio. Affonda le sue origini nel periodo in cui l’isola era sotto l’influenza Angioina, nel XIII secolo. La ricetta è stata tramandata nel corso degli anni e nel ‘600 i monsù che lavoravano nelle corti palermitane, gli stessi che preparavano per i nobili le sarde a beccafico di cui abbiamo parlato nel numero precedente, presero spunto dalla ricetta originale per cucinare il piatto che oggi conosciamo. Secondo quanto si legge nell’ Enciclopedia Gastronomica Italiana, monsù (anche monzù) è una traduzione dialettale napoletana e siciliana della parola francese monsieur che i nobili usavano per indicare i loro cuochi: in un’epoca in cui l’influenza dei cugini d’oltralpe la faceva da padrona, dare un titolo francesizzante, come diremmo oggi, faceva figo, anche se in realtà i cuochi non erano davvero francesi. Anche l’origine del particolare nome di questa succulenta preparazione è da ricercarsi in una fusione linguistica tra il francese e il siciliano. Una delle tante teorie attribuisce la paternità del termine alla parola farce (si pronuncia fars), che significa farcia, ripieno. In siciliano il termine farce si trasformò in farzu e successivamente in farzumagru, falsomagro in italiano, ovvero carne magra farcita. Un’altra interessante teoria ipotizza che il nome derivasse da farce maigre, farcia magra: l’idea è che in origine il piatto avesse un ripieno magro, poi arricchitosi nel corso degli anni. Secondo un’ultima ipotesi, invece, sembra che il nome derivi dal termine dialettale farzu, falso, ad indicare l’inganno: piatto all’apparenza magro che una volta tagliato rivelava l’opulenza della sua farcitura. Qualsivoglia sia l’origine del nome, questo arrosto è ciò che i siciliani amano definire di sustanza. Un piatto ricco, consistente, ideale per coccolarsi durante le lunghe serate invernali. Non a caso è presente su molte tavole durante le feste natalizie o la domenica, quando ci si concede il lusso di non invecchiare a tavola. 44 - BBQ4All MAGAZINE

Noi lo abbiamo preparato abbinandolo alla nostra adorata e immancabile griglia. Il freddo di Gennaio non ci ha spaventati, i veri griller si riconoscono proprio in questi mesi. Provateci: quella leggera nota affumicata conferisce al luculliano arrostino una marcia in più. E poi la carne del Megastore… vabbè, che ve lo diciamo a fare? Vediamo come prepararlo. Preparazione 1. Accendete il kettle e predisponetelo per una cottura indiretta 2. Lessate le uova quel poco che basta a far coagulare l’albume. 3. Tagliate adesso il caciocavallo a striscioline 4. In una ciotola unite la carne macinata, il pecorino, il pangrattato, il rub e mescolate fino a ottenere un composto uniforme. Aggiustate di sale e pepe 5. Disponete adesso l’impasto così ottenuto sulla Flank aperta a libro, avendo cura di lasciare un bordo di circa 2 cm su tutti i lati 6. Adagiate adesso la mortadella, il formaggio e le uova sode precedentemente sbucciate. 7. Arrotolate il tutto e infine legatelo con dello spago da cucina. 8. Spennellatelo con olio extravergine di oliva e aggiungete un po’ di rub in superficie, senza esagerare (non deve diventare una fettina panata!) 9. Cuocete a cottura indiretta per circa un’ora, affumicandolo anche leggermente con chips di legno aromatico. Rilevare la temperatura in questa fase sarà difficile vista la presenza di elementi cotti e crudi all’interno del nostro arrosto, per cui l’unico metro di valutazione sarà il tempo. Servitelo affettato e con una salsina da accompagnamento, come ad esempio la Salsa Gravy preparata con il brodo di carne: filtrate il brodo e scaldatelo in un pentolino senza portarlo ad ebollizione. Nel frattempo, in un secondo recipiente, fate sciogliere il burro con la farina evitando la formazione di grumi. Appena il roux inizierà a imbrunirsi aggiungete il brodo caldo e mescolate fino ad ottenere una salsa di una consistenza simile a quella della besciamella.


ABBINAMENTO CONSIGLIATO Etna Rosso DOC Cauru

INGREDIENTI

P ER 4 P ERSO N E • una Flank Strak Glc Top Selection da un chilo • 300 g di manzo macinato • 100 g di pecorino grattugiato • 50 g di pangrattato • BBQ4All Montreal rub q.b. PER IL RIPIENO • 3 uova • 100 g di Caciocavallo • 100 g di Mortadella • Sale q.b. • Pepe q.b.

GENNAIO 2020

- 45


RICETTA - SECONDI PIATTI a cura di EMILIANO NENCIONI

WA G Y Ū & P O L E N TA

una polenta un po' svelta Cosa potrebbe succedere tentando di unire uno dei piatti più poveri e più diffusi al mondo con uno dei tagli di carne più pregiati del Megastore BBQ4All? Impoverimento istantaneo di tutta la preparazione? Singolarità nel tessuto spaziotemporale? Esistono falangi armate di cultori ultraortodossi della polenta, come per la carbonara e gli arrosticini, pronti ad esternare in maiuscolo il proprio sdegno? Non lo so. Immagino che lo scopriremo presto. Faccio strategicamente a meno di farvi un gigantesco cappello introduttivo sulla polenta stessa, sulle origini, i metodi di preparazione e le varie declinazioni nelle varie regioni; regioni d’italia, certamente, ma anche del mondo. Essendo un piatto poverissimo, realizzabile facendo cuocere acqua e farina di cereali, la polenta si è infatti diffusa in tutte le zone dove è stato possibile coltivare le piante giuste, ovviamente con relative differenze e nomi dall’etimologia completamente diversa. Non si finirebbe mai quindi di fare una lista delle diverse declinazioni esistenti, di tutta l’aneddotica popolare e della presenza nella cultura e nell’arte propria dei vari ceppi etnici. Dove puoi coltivare frumento, c’è polenta. La chiave del successo di questa pietanza è sicuramente, oltre che nel bassissimo costo e nell’elevata reperibilità, situata nella grande versatilità e adattabilità dell’impasto: avendo, generalmente, un gusto molto neutro che non copre i sapori, e portando velocemente a un discreto senso di sazietà, la polenta si presta benissimo ad un ruolo di contorno. Volendo incuriosirsi ulteriormente, potrei dire che più che un contorno si tratta di un diluente: con la polenta aumento la massa e la “durata in bocca” di quell’alimento sa46 - BBQ4All MAGAZINE

porito (e relativamente più costoso) che sto mangiando, distribuendone il sapore in molti più morsi e riempiendo lo stomaco con un benefico senso di “sazietà a basso costo”. Non dobbiamo però necessariamente, in questo periodo storico, spingerci a imitare aneddoti di povertà estrema, come quello ben noto dell’intera famiglia che poteva solo strusciare il pezzo di polenta sopra un’unica aringa, necessaria per insaporire il boccone. In fondo, se state leggendo questo articolo state ricevendo un magazine in abbonamento, e avrete di che sfamare i vostri cari. Quello che voglio fare è suggerirvi di usare la polenta per accompagnare dei bocconi dal gusto esplosivo e super concentrato, al fine di passare lunghi momenti di sapore intenso che altrimenti si sarebbero estinti in un tempo brevissimo. Non voglio neanche che voi vi sobbarchiate l’onere di prepararla, questa polenta. Parliamo di un piatto che potrete veramente cucinare in un attimo, dimostrando agli invitati graditi e meno graditi che non tutte le pietanze deflagranti hanno bisogno di ore e ore di lavoro. Provate infatti a comprare la polenta già pronta, in panetti: in questo modo toglierete una variabile dall’equazione dei possibili errori (in termini di tempi, o di risultati) che potete fare. Ho intenzione di farvi preparare, facendovi perdere anche molto poco tempo, due oggettini diversi, che potrei chiamare snack, data la palatabilità e la sfiziosità: due veicoli di gusto che non vorrei chiamaste crostini o antipasti (hanno dignità di portata completa), mangiabili contemporaneamente, alternando i morsi sull’uno e sull’altro, per procurare continui shock alla vostra lingua: la polenta fritta con fettine di Ran-Ichi e quella con Cheddar al chili, lime e tequila.

ABBINAMENTO CONSIGLIATO MAC RUNA

I N G RED I EN TI

PER 4 PER SONE • Un panetto da 1kg di polenta pronta • 300g di Ran-Ichi • 200g di Cheddar al chili, lime e tequila • Un cucchiaio di Mount Nimba BBQ4All Rub


Preparazione: 1. Iniziate col tagliare il panetto in fette regolari. Asciugate bene la carne, come al solito, e nel frattempo friggete in abbondate olio di semi le fette di polenta. Dovete aspettare che il giallo diventi dorato, e non ci vorrà molto tempo; mentre fate questa operazione accendete anche il kettle e predisponetelo per una cottura diretta. 2. Il cheddar dovrà essere sbriciolato in frantumi grossi quanto un cece, credo diventi più gradevole al palato così piuttosto che usando la solita fetta liscia tagliata col coltello: in questo modo, quando riscalderete i crostini, il calore potrà fonderne le parti più sminuzzate lasciando più solide quelle più grandi, creando un bel contrasto in bocca. 3. La cottura diretta della carne durerà, come sapete, praticamente un minuto,

per cui posticipate questo momento topico fino a quando non avrete fritto tutte le fettine. Se preferite, potete anche usare una padella in ghisa, per una full Maillard molto appetitosa. Quello che dovrete ricercare nella Ran-Ichi è una bella crosticina su entrambi i lati, niente di più: 30 secondi per lato possono bastare, e 40 saranno già troppi. Ve ne accorgerete visivamente. 4. Fatto questo, togliete la carne dal fuoco e tenetela da parte su un tagliere: per adesso non tagliatela, correte subito a mettere il cheddar sulle fette di polenta non destinate alla carne (idealmente la metà del totale), metteteci sopra il formaggio e poi ponetele in griglia in cottura indiretta. Se necessario riscaldate anche quelle su cui adagerete la carne. Chiudete il coperchio per un minuto, e troverete il cheddar parzialmente fuso: resistete

all’impulso di mangiarvi di nascosto gran parte della polenta così arricchita e togliete tutto dal fuoco, mettendolo in salvo su un tagliere o un vassoio abbastanza ampio da poterci lavorare comodamente. 5. Tagliate la Ran-Ichi, buttando un occhio all’andamento delle fibre, in strisce piuttosto sottili, in maniera che sia facile e comodo addentarle senza distruggere tutto l’allestimento; mettetele sopra la polenta e cospargete la carne con il Mount Nimba BBQ4All Rub. Non dovrebbe essere necessario salare. 6. Servite a ciascun ospite una fettina con la carne e una fettina col formaggio, suggerendo di alternare i morsi, e aspettate compiaciuti l’inevitabile coro a bocca chiusa in stile Madama Butterfly che sottolineerà il successo (l’ennesimo) della vostra preparazione.

GENNAIO 2020

- 47


RICETTE - SECONDI PIATTI a cura della REDAZIONE

Ci vorrebbe il mare...anche a Gennaio!

I N VO LT I N I D I P E S C E S PA D A

con melanzane e provola affumicata Giusto per ricordare, in questo freddo Gennaio, un po’ del sole della nostra trasferta in Sicilia documentata ampiamente nel numero di Dicembre 2019 del Magazine, vi proponiamo una delle ricette che lo chef Nicola Indomito della Gastronomia “La boutique del pesce” a Mazara del Vallo ha preparato per noi in quei giorni. E quando diciamo per noi, intendiamo proprio che ha preparato questi meravigliosi involtini per rifocillarci in quelle lunghe sessioni di shooting. Vista la bontà, abbiamo pensato di condividerli anche con voi. Quello tra la Sicilia e il pesce spada è un legame d’amore. Patrimonio della cucina sicula, quello preparato alla ghiotta è un piatto tipico della parte orientale dell’isola. Ma non solo: a tranci, a fette, a filetto e persino in scatola o in barattolo, il pesce spada si presta ad una moltitudine di piatti. È un pesce che ama vivere in acque temperate, ama la profondità ma tende a stare vicino alle coste. La sua mascella superiore ha la tipica forma di spada, appiattita e tagliente: una caratteristica principale da cui prende il nome. È un pesce azzurro e pertanto, dal punto di vista nutrizionale, i componenti principali sono le proteine e i grassi polinsaturi appartenenti al gruppo OMEGA 3, i cosiddetti grassi buoni.

48 - BBQ4All MAGAZINE

Nicola ha preso per noi delle fette sottili di pesce spada, quelle confezionate dalla famiglia Giacalone nel loro stabilimento, e con pochi ingredienti ha tirato fuori un piatto gustoso e, concedetecelo, sontuoso. Vediamo come replicarlo, volendo anche in griglia. Preparazione: 1. Sbriciolate in una ciotola le 4 fette di pane bianco sino ad ottenere una mollica grossolana. 2. Sbucciate e tritate finemente l’aglio. 3. Tritate il prezzemolo. 4. Aggiungete aglio e prezzemolo nella ciotola insieme alla mollica di pane e rimestate per amalgamare i sapori 5. Prendete una fettina di pesce spada e stendete su di essa una fettina di melanzana della stessa misura. 6. Inserite al centro una manciata di mollica di pane condita e un pezzettino di provola affumicata. 7. Condite il tutto con un filo d’olio extravergine di oliva e arrotolate su se stessa la fettina di pesce spada. 8. Chiudete con uno stecchino e adagiate sopra ogni spiedino una fettina spessa di provola. Spennellate con olio evo e spolverate con formaggio gratugiato e prezzemolo fresco. 9. Mettete gli spiedini su una leccarda e poneteli in cottura indiretta nel vostro dispositivo, settato a 180°C per circa 10 minuti (oppure in forno, alla stessa temperatura).


INGR EDIE NTI

P ER 4 PE R S O N E • 8 fette sottili di pesce spada • 8 fettine di melanzana • 100 g scamorza affumicata • 100 g di Parmigiano reggiano • 4 fette di pane bianco • • • •

uno spicchio d’aglio prezzemolo q.b. sale q.b. olio extravergine di oliva q.b.

GENNAIO 2020

- 49


50 - BBQ4All MAGAZINE


RICETTA - DOLCI a cura della REDAZIONE

Dolce un po' salato, tu...

SALAME AL C I O C C O L AT O Dici cioccolato e il buontempone di turno, per rallegrare la conversazione, inizia a canticchiare sottovoce: gelato al cioccolato dolce un po’ salato... Solitamente, l’esibizione viene troncata sul nascere dalle occhiate di disapprovazione dei presenti, anche se in questo caso potrebbe strappare una risata, considerando qual è il vero significato del testo che ci è stato svelato diversi anni dopo l’uscita della canzone; diciamo anzi che il buon Pupo (o meglio Cristiano Malgioglio che è l’autore), invece di gelato avrebbe potuto benissimo parlare del dolce che oggi vi presentiamo: il salame di cioccolato. Salame al cioccolato, dolce un po’ salato… sì, decisamente più esplicito. Ma non vogliamo scadere nel porno e nella censura, quindi sorvoliamo. Questo dolce è diffuso in tutta Italia ed è una vera leccornia per tutti gli amanti della cioccolata; prende il nome dalla sua forma lunga e affusolata, simile in tutto e per tutto a quella del salame, e dal fatto che al taglio la frutta secca e i biscotti sbriciolati, racchiusi all’interno della pasta di cacao e burro, sembrano i grasselli tipici di questo salume. La finzione viene completata da una spolverata di zucchero a velo sulla superficie esterna, a simulare la stagionatura, e dallo spago che gli viene legato intorno a mo’ di insaccato. Le origini incerte di questa prelibatezza non ci permettono di dirvi chi sia stato l’ideatore o la zona di nascita, perché un po’ tutte le regioni ne rivendicano la paternità. In Romagna è un dolce delle

festività pasquali, realizzato con la cioccolata delle uova regalate ai bambini; in Toscana ai biscotti secchi si aggiungono le mandorle, ingrediente caratteristico di alcune specialità locali ( come ad esempio i cantuccini); in Piemonte, dove acquista il nome di Salame del Papa per la comune credenza che al clero fosse riservato il cibo migliore, il cioccolato viene sostituito con la gianduia e l’interno è reso ancor più croccante dalle nocciole; per i siciliani invece è il Salame dei Mori (perché scuro come la pelle degli arabi, forse amici di Malgioglio) ed è preparato con il cacao in polvere, i pistacchi o le mandorle, e il marsala. Fuori dai confini nazionali, i portoghesi sostengono che sia una loro creazione, conosciuta come il salame de chocolate. Tuttavia, potrebbe avere anche origini inglesi, poiché delizia da sempre i palati reali della famiglia Windsor, tanto da essere richiesto dal Principe William come uno dei dolci per il suo matrimonio. In Inghilterra, dove è noto col nome di Chocolate Biscuit Cake, per consuetudine gli viene data la forma classica di una torta, quadrata o rettangolare, ricoperta con glassa al cioccolato. Anche noi abbiamo fatto una versione tutta nostra, aggiungendo le noci di Macadamia tostate prima nel kettle, che si sposano benissimo con il gusto deciso del cioccolato, grazie anche alla loro consistenza tenera e burrosa.

ABBINAMENTO CONSIGLIATO Barolo Chinato

GENNAIO 2020

- 51


Preparazione: 1. Preparate il dispositivo per una cottura indiretta a 180° C, mezza ciminiera di bricchetti sarà sufficiente. 2. Disponete le noci pelate su una placca adatta alle alte temperature e foderata con la carta forno. Ponetela sulla griglia, dalla parte opposta delle braci, chiudete il coperchio e lasciate andare per circa 10 minuti, o comunque fino a che non prenderanno un bel colore tostato. Attenzione, non deve scurirsi altrimenti diventano amare. 3. Quando le noci sono pronte, toglietele dal dispositivo e lasciatele raffreddare completamente. 4. E’ il momento di fondere il cioccolato. Versate la panna fresca e lo zucchero in un pentolino e portate a bollore. Tritate grossolanamente il cioccolato con un coltello e versatelo nella panna calda. Mescolate con una frusta fino ad ottenere una crema liscia. 5. Mentre aspettate che il cioccolato si raffreddi, spezzate grossolanamente i biscotti con le mani e frantumate le noci. Vi consigliamo di mettere la frutta secca all’interno di una busta di carta e di schiacciarla con un batticarne. 6. Quando la ganache di cioccolato è a temperatura ambiente, unite prima i biscotti sbriciolati e poi le noci, facendo in modo che tutti gli ingredienti siano ben miscelati tra loro. 7. Prendete un foglio di carta forno e versate centralmente l’impasto, dandogli già la sua tipica forma allungata. 8. A questo punto, con entrambe le mani afferrate la carta forno dalle estremità più lunghe, accostandole fra di loro, poi sollevatela e, facendola oscillare leggermente su e giù, fate scivolare all’interno il composto per dargli una forma affusolata. 9. Ponete la carta forno nuovamente sul piano: con una spatola compattate l’impasto ed avvolgetelo come fosse una caramella, stringendolo bene alle estremità. 10. Riponete in frigo il salamotto per una notte intera. 11. Poco prima di servirlo spolveratelo con lo zucchero a velo, affettatelo ed offritelo ai vostri ospiti. Per stemperare il sapore del cioccolato e dare un tocco di freschezza, potreste servire le fette del salame con della panna montata ben fredda o del gelato alla crema. 52 - BBQ4All MAGAZINE

INGR EDI EN TI

PE R 6 PER SONE • 150g di cioccolato fondente al 60% • 150g di panna fresca • 15g di zucchero semolato (1 cucchiaino circa) • zucchero a velo q.b. • 100g di biscotti secchi • 100g di noci di Macadamia • 15/20 ml di rum


GENNAIO 2020

- 53


VINI ABBINATI a cura di ENIO BERTON

È ORA DI

BERE! abbinamenti consigliati

E T N A R O S S O C AU R U Vino: Etna Rosso DOC Cauru 2018 Cantina: Torre Mora Abbinamento : Falsomagro

Il Falsomagro è un piatto tipico della tradizione siciliana, pertanto rimaniamo nel territorio in una zona particolare della Sicilia attorno al suo più conosciuto vulcano, l’Etna. La denominazione Etna DOC creata nel 1968 è la prima doc della Sicilia. L’Etna Rosso Doc è prodotto principalmente con uve del vitigno Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio mentre l’Etna Bianco Doc viene prodotto con uve Carricante e Cataratto assieme a piccole percentuali di Trebbiano e Minella. Il Nerello Mascalese, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, è un vitigno autoctono siciliano prevalentemente coltivato ad alberello con piede franco sui terreni sabbiosi vulcanici. L’azienda Torre Mora si trova sulle pendici dell’Etna in località Rovittello e fa parte delle tenute della Famiglia Piccini, viticoltori toscani dal 1882. Il Cauru (caldo in siciliano) viene prodotto da uve provenienti da due diverse cru (zone): la contrada Alboretto Chiuse del Signore in comune di Linguaglossa e Rovittello, situate nel versante nord-est del vulcano. Le coltivazioni sono a cordone speronato sulle zone piane ed ad alberello sui terrazzamenti. La vendemmia avviene ai primi giorni del mese di ottobre: dopo una macerazione a freddo di 24 ore le uve sono messe a fermentare per sette giorni in vasche di acciaio. Proseguono la maturazione in grandi botti di legno per almeno 12-18 mesi. Dal colore rosso rubino brillante, al naso le note fruttate di mora e piccoli frutti di sottobosco sono accompagnate dai profumi floreali di viole e rosa con un finale ai sapori di datteri. In bocca la freschezza accompagna un tannino aggraziato e speziato, le noti di calcare e pietra focaia ci riportano alle sue origini. Fin di bocca persistente, fresco. Da servire a 16/18 gradi in calici tulipano. Uve: 85% Nerello Mascalese 15% Nerello Cappuccio. Zone produzione: Rovittello e Alboretto Chiuse del Signore. Grado alcolico: 14,00%

54 - BBQ4All MAGAZINE


M E R LOT

Vino Merlot 2017 Cantina: Subida di Monte Abbinamento : Gulasch

L’abbinamento con il Gulasch (o gulash) richiederebbe, secondo una teoria consolidata, di abbinarlo con lo stesso vino usato nel condimento. Ma noi siamo diversi e cerchiamo un abbinamento che sappia compensare la pienezza del piatto. IL vitigno merlot trova le sue origini in Francia nella zona di Bordeaux attorno al 1700, coltivato in tutto il mondo viene vinificato in purezza oppure assieme al Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc nel tradizionale taglio bordolese. Risulta essere presente nella collezione della scuola Enologica di Conegliano dal 1875. Le zone più famose di coltivazione sono in Francia, zona di Pomerol, dove sono presenti 151 produttori su un’area di 12 km quadrati, ed in Italia nelle zone di Toscana (Bolgheri) , Veneto, Trentino e Friuli. E proprio in Friuli Venezia Giulia troviamo la cantina Subida di Monte. Gestita attualmente da Andrea e Cristian Antonutti, eredi del sogno di papà Luigi che nel 1972 decise di intraprendere a tempo pieno l’attività di viticoltore. Attualmente l’azienda si sviluppa su 10 ettari in piena zona Collio Goriziano. Le attività in vigneto seguono principi naturali utilizzando solo concimi organici ed inerbimento controllato. Le uve vengono raccolte a mano nella prima decade di ottobre, diraspate e fatte fermentare sulle bucce per circa 10 giorni. Il mosto viene, poi, travasato in vasche di acciaio inox dove svolge la fermentazione malolattica. Viene imbottigliato nel corso del mese di luglio dell’anno successivo alla vendemmia. Dal colore rosso rubino intenso, al naso sprigiona profumi possenti di frutta fresca a bacca rossa quali more e ciliegie, con sentori di tabacco. Al palato tornano prepotenti le note di frutta con un tannino ancora giovane ma che promette longevità e lunga maturazione. Gradevole il fin di bocca. Da servire a 12/14 gradi in calici tulipano. Uve: 100% Merlot. Zone produzione: Zona Subida Cormons (Go). Grado alcolico: 13,50%

BA R O LO C H I N ATO Vino Barolo Chinato Cantina: Cocchi Abbinamento : Salame al cioccolato

Siamo ad un fine pasto semplice ma gustoso, delicato ed al tempo stesso pieno di sapori dolci che saziano ulteriormente le nostre papille, abbiamo bisogno di qualcosa che ci faccia digerire ma che non contrasti la dolcezza del nostro dolce. Parlando di Barolo Chinato non si può non parlare di Giulio Cocchi, che fin dal 1891 ha iniziato assieme al farmacista Giuseppe Cappellano di Serralunga d’Alba (zona di Barolo DOCG) a far macerare nel barolo la china calisaia assieme ad altre spezie tra cui rabarbaro, genziana e cardamomo. L’azienda Cocchi, iscritta dal 2012 nel registro nazionale delle Imprese Storiche d’Italia, è nata, come già detto, nel 1891 dal pasticciere fiorentino Giulio Cocchi, trasferitosi ad Asti ed innamoratosi sia delle specialità della tradizione enogastronomica piemontese, sia della figlia del titolare di un bar in centro ad Asti che per questo diventa, narrano i vecchi, il primo bar Cocchi. Aprì nel corso dei primi anni del ‘900 una serie di bar dove servivano solo i suoi prodotti. Famoso in tutto il mondo per il vermouth ed altri preparati che sono la base di cocktail tradizionali quali il Negroni, l'Americano, etc. Il Barolo Chinato viene prodotto con una ricetta che non è variata nel corso degli anni, può essere consumato come vino da dessert ma anche come vino da meditazione o, udite udite, come corroborante antiinfluenzale. Dal colore rosso bruno con sfumature granate, al naso sprigiona sentori balsamici e speziati con note di cannella, china, rabarbaro e liquirizia. Al palato il dolce e l’amaricante si alternano con una struttura vellutata e persistente. Da servire a 14/16 gradi in bicchieri da dessert. Uve: Vino Barolo. Zone produzione: Piemonte. Grado alcolico: 16,50%

GENNAIO 2020

- 55


BIRRE CONSIGLIATE a cura di RICCARDO MENICONI

TO Ø L B LO S S O M

Pane. Lattuga, pomodoro, bacon, pollo. Pane. Lattuga, pomodoro, bacon, pollo. Pane. 3 strati di uno dei piatti più americani che ci sia. Il Club sandwich, deve, a quanto pare, il suo nome all' Union Club di New York dove si crede sia stato inventato. La prima ricetta diffusa è datata 1889 e compare nell' "evening world". Solo 10 anni dopo prese piede anche in altri ristoranti americani e si radicò nella cultura nazionale. È spesso servito con patatine fritte o coleslaw come contorno e viene diviso in 4 triangoli fermati da uno stecchino per poterlo mangiare comodamente. Uno spuntino, un pranzo veloce o uno stuzzichino per la serata al pub.Ingredienti semplici, un comfort food di quelli veri, pochi fronzoli e tanta sostanza. La freschezza della lattuga, la dolcezza del pomodoro maturo, il pollo grigliato e la croccantezza del bacon, tutto racchiuso in delle fette di pane in cassetta leggermente tostato e spalmato di maionese.Ci serve una birra fresca ma decisa, luppolata ma morbida. La Blossom di To Øl fa al caso nostro, una American Wheat Ale che racchiude tutto quello che ci serve. Le Wheat Ale, come dice il nome, sono birre in cui il malto d'orzo è affiancato da quello di frumento, sono parenti alla lontana delle weissbier tedesche, ma si distinguono per il loro profilo aromatico floreale e l'assenza dei tipici sentori di banana. Nonostante sia Danese, questa birra è primaverile come un picnic a Central Park, fresca alla bevuta grazie anche alla grande varietà di fiori e foglie impiegate nella realizzazione (rosa, calendula, foglie di lamponi, fiordaliso, ibisco, rosa, biancospino...) che mitigano i suoi 6,3° alcolici; l'utilizzo di luppoli americani ne enfatizza la marcata componente aromatica, il tutto racchiuso nella morbida coperta strutturale del frumento. Alla vista si presenta dorata come il sole con schiuma bianca e abbondante. Si consiglia di infilare nel cestino della scampagnata anche un paio di Pinte, e di servirla ad una temperatura di 8°-10°.

M AC R U N A

Inverno. Niente evoca più questa magica stagione di una baita di montagna con il camino che scoppietta, mentre fuori nevica pacificamente. La tavola è apparecchiata: siete circondati da chi più amate, l'odore della polenta si sparge per la stanza, mischiandosi al profumo del Wagyu ed al caldo fumo della legna che brucia. La birra che andremo ad abbinare al nostro piatto, oggi, rievoca proprio queste sensazioni. Siamo in Piemonte, precisamente a Montegioco; in questa magica terra di mezzo sorge l'omonimo birrificio creato da Riccardo Franzosi. Il microbirrificio vanta copiose etichette e tra queste sceglieremo la MAC Runa, una Belgian Ale dal sentore affumicato. Prodotta con l’aggiunta di malto torbato, lo stesso utilizzato per gli Scotch whisky, veramente perfetta in abbinamento alla nostra polenta. Nel bicchiere si presenta di colore oro carico, caldo e velato, con una schiuma bianca e uniforme ma poco persistente. Al naso percepiamo nettamente le note di torba salmastra e speziata sotto le quali si intuiscono sentori di frutta gialla. In bocca apre con sentori mielati e caldi di biscotto e caramello, perfettamente integrati con l'affumicatura che rimane persistente anche dopo la bevuta, accompagnata da un piacevole erbaceo di luppolo; chiude poi dolcemente sulle note di susina matura e di nuovo miele e biscotto. Una bevuta lunga e complessa, da protrarre nel tempo ma piacevolissima nei suoi 7,2°. Vi consiglio di servirla in un Tulipano, ad una temperatura di 8-10°

56 - BBQ4All MAGAZINE


COCKTAIL a cura di RICCARDO MENICONI

M A R T I N I D RY L'oliva all'ascolana è simbolo di un intera regione e diffusa in tutta italia, ma è appunto ad Ascoli che trova il suo natale. Saporita, croccante e deliziosamente fritta. In origine per la preparazione veniva usata una varietà di nome "Ascolana tenera del Piceno dop", oliva dalla polpa consistente e nocciolo piccolo facilmente separabile dal resto; oggi tuttavia si prediligono olive greche per la dimensione maggiore e il prezzo sicuramente più contenuto. Il ripieno però è rimasto pressappoco invariato. Probabilmente ogni famiglia ne custodisce gelosamente la propria versione ma generalmente è composta da carne di manzo, maiale e pollo con l'aggiunta di scorza di limone e vino bianco. Le olive ascolane vengono spesso servite come antipasto o aperitivo, quindi le abbineremo ad un classico pre-dinner. Parlando di coktail e olive non può non venire in mente, erroneamente oserei dire, il Martini Dry. Erroneamente perché la famosa oliva in realtà andrebbe servita a parte e non all'interno del bicchiere, per non "sporcarlo", come invece è richiesto nella versione Dirty Martini che prevede l'aggiunta della salamoia delle olive stesse. Semplice e diretto, due ingredienti che si uniscono per dar vita ad uno dei cocktail più emblematici della storia.

Amato da grandi scrittori come Hemingway, il quale ci ha persino lasciato una sua variante conosciuta come Montgomery o Hemingway Martini, che condivide gli ingredienti e la preparazione con originale ma sbilanciato dalla parte del gin allo scopo di renderlo più secco. Pur essendo un ottimo aperitivo non è sicuramente una bevuta facile: è un cocktail adulto, che si fa amare con il tempo. Veniamo quindi alla preparazione, un vero e proprio rito per gli amanti del genere. Prima di tutto raffreddiamo una coppa Martini, poi in un mixing glass colmo di ghiaccio versiamo: • 6cl di Gin • 1cl di vermouth dry e mescoliamo velocemente, senza diluirlo troppo. Togliamo il ghiaccio dalla coppa e versiamo il cocktail filtrando il tutto. Aggiungiamo un twist di limone spruzzandone gli olii essenziali sul bordo del bicchiere facendolo poi cadere all'interno dello stesso e serviamo.

GENNAIO 2020

- 57


APPROFONDIMENTO a cura di ROBERTO DAL BOSCO

perché non siamo

VEGETARIANI I v e g e t a r i a n i s o n o p iù s a n i, p i ù b elli, più intelligenti. Viv ono a lu ngo . È pra t i c a m en te im p o s s ib il e c h e u n g iorno non v i imb attiate – m agari ad d i r i t t u ra a d u n v o s t ro s u d a tis s im o Barb ecu e! – in q u alch e v egetariano ( la ra g azza d e l l ’a m ic o , il p a re n t e « conv ertito» al monoteis mo v erdu raio, etc.) c he p ro va ad attaccare la s olfa. C o n qu e st a r u b r ic a v o gl ia m o fornirv i argomenti af f ilati per tagliare e m e t t e re s u l l a b ra c e in t ra nq u illità q u es to tipo di conv ers azione.

Due milioni di anni di amore per la ciccia Per oltre due milioni di anni siamo stati principalmente carnivori. La novità dei cereali e dei legumi è subentrata solo negli ultimi 10.000 anni, la dieta umana è cambiata con l’invenzione dell’agricoltura. C’è chi sostiene che non siamo molto adatti a questa dieta a basso contenuto di carne. Negli ultimi 10.000 anni siamo diventati più piccoli in statura (la cultura Gravettiana, sbocciata circa 50.000 anni fa, aveva uomini alti 1,77-1,87) e dimensioni del cervello. È probabile che sia una dieta fortemente a base di cereali e zucchero a ingenerare i presenti tassi di obesità, cancro, diabete e osteoporosi, problemi della pelle, malattie cardiache e infiammazioni di ogni tipo. Quindi: i nostri geni sono stati sviluppati prima della rivoluzione agricola, quando eravamo solo dei semplici, entusiastici, mangiatori di carne, e il genoma umano è cambiato meno dello 0,02% negli ultimi 40.000 anni. Sintetizza Kadya Araki, una coach israeliana di bodybuilding: «I nostri corpi sono stati programmati geneticamente per un funzionamento ottimale con una dieta che include carne e la programmazione non è cambiata».

58 - BBQ4All MAGAZINE

Il mistero dei dentini aguzzi I vegani si arrampicano in immani supercazzole per spiegare la misteriosa presenza nella dentatura umana degli incisivi per strappare la carne, nonché di molari per macinarla. E andando giù per il sistema digestivo: se dovessimo sopravvivere solo di verdure, il nostro sistema digestivo sarebbe simile a quello della mucca, con quattro stomaci e la capacità di fermentare la cellulosa per abbattere il materiale vegetale. Se fossimo erbivori, in pratica, rumineremmo. Considerate altresì che nelle società


di cacciatori/raccoglitori, il 45-65% del fabbisogno energetico derivava da fonti animali e le malattie cardiache, l’obesità e il diabete di tipo 2 – le malattie che affliggono la società di oggi – non erano un problema. La cosa è visibile ad occhio nudo con il caso dei nativi americani, gli indiani d’America: magri e fieri prima di incontrare il carboidrato occidentale (e l’alcool), sono divenuti una fetta di popolazione sulla quale il diabete mellito si abbatte in maniera disastrosa. Glicemia a posto La carne aiuta a mantenere stabili i livelli di glicemia grazie al suo alto contenuto di grassi e proteine. Lo zucchero nel sangue costante è fondamentale nella prevenzione del diabete di tipo 2, e del suo predecessore, la sindrome metabolica o insulinoresistenza (che affligge, in Europa e negli Stati Uniti d’America oltre il 35% degli ultracinquantenni) nonché di altre malattie croniche. La carne mantiene costanti i livelli di energia e crea una sensazione di sazietà tra i pasti, riducendo l’appetito per cibi malsani. Con una glicemia stabile, c’è meno possibilità di mangiare fuori pasto, quindi di ingrassare. È il segreto delle diete come l’Intermitting fasting (digiuno intermittente) e la dieta chetogenica: ridurre gli sbalzi di glicemia per diminuire i livelli di insulina, che è un ormone fortemente anabolico (=che fa crescere) per il grasso. Muscoli! Se vuoi aumentare il tuo volume muscolare (cosa buona e giusta: fa crescere il metabolismo, quindi anche la possibilità di mangiare ciò che ci piace) puoi assumere integratori proteici (aminoacidi, aminoacidi ramificati, proteine Whey, etc.), ma la migliore fonte di proteine ​​è e resterà sempre la carne. La carne contiene anche vitamine e minerali che aiutano la crescita muscolare come lo zinco, che è fondamentale nella riparazione del tessuto muscolare e il ferro, che aumenta i livelli di energia e riduce la fatica. La carne contiene anche creatina, un composto contenente azoto che migliora la sintesi proteica e fornisce energia ai muscoli, favorendo il guadagno muscolare. Se il ruolo positivo della carne nella crescita muscolare non vi basta, sveliamo anche un ulteriore segreto: la carne aiuta anche a bruciare i grassi. Essa ha infatti un alto effetto termogenico a causa del suo contenuto proteico, quindi circa il 30% delle sue calorie viene bruciato durante la sola digestione. La digestione dei carboidrati invece produce solo un aumento del 6-8% del dispendio energetico. Ad ogni modo, pensate allo sport e a quante medaglie avete visto assegnare all’India: eppure quel Paese ha più di un miliardo di cittadini, che in altri ambiti (informatica, medicina, etc.) eccellono. La dieta vegetariana, seguita da larghissima parte della popolazione indiana che trova le proteine solo in crespelle di ceci e affini (dosa etc.) non fa crescere i muscoli necessari all’agone sportivo – se state pensando ai corpi massicci dei giocatori di Cricket subcontinentali, beh, quello è un altro discorso. Il Cricket svolge la funzione di surrogato della guerra nucleare con il Pakistan, che la carne la mangia e ha quindi giocatori nerboruti. Se qualcuno si mangia del pollo, come mi è capitato di vedere, lo fa di nascosto. Senza dimenticare che in India gli anabolizzanti si trovano con facilità... Neurotrasmettitori Le persone che non mangiano carne sono particolarmente vulnerabili a squilibri dei neurotrasmettitori a causa dell’assenza di proteine d ​​ ella carne, che fornisce tutti gli aminoacidi essen-

ziali di cui il corpo umano ha bisogno. I neurotrasmettitori sono messaggeri chimici che regolano molte delle nostre funzioni, comprese le prestazioni fisiche, cognitive e mentali, nonché il nostro ciclo del sonno, il peso e gli stati emotivi. I non-carnivori sono vulnerabili a tali squilibri e possono quindi incappare in problemi come depressione, ansia e iperattività. Secondo una ricerca condotta nel 2014 presso l’Università di Graz, i vegetariani hanno da due a tre volte più probabilità rispetto ai mangiatori di carne di soffrire anche di disturbi alimentari e disturbi somatici. Si fa in genere affidamento sugli psicofarmaci prescritti per curare alcune di queste condizioni, ma la risposta potrebbe essere semplice come mangiare una bella fetta di brisket, un pulled pork, una rosticciana, un chicken wrap. Batterie a lunga durata Tutti hanno sperimentato quel crollo post-pasto, quando la caffeina è l’unica cosa che può tenerci lontani dall’abbiocco. Il corpo umano scompone i carboidrati semplici in zucchero che il nostro corpo brucia rapidamente, lasciandoci schiantati. Al contrario, i nostri corpi utilizzano le proteine ​​nelle carni per un’energia prolungata e duratura. Un altro componente critico del sentirsi energizzato è la stimolazione delle cellule dell’orexina nel cervello, che è direttamente collegata al dispendio energetico e alla veglia. Gli scienziati dell’Università di Cambridge hanno scoperto che gli aminoacidi stimolano le cellule dell’orexina più di qualsiasi altra sostanza. Pertanto, il consumo di proteine ​​della carne porta a bruciare più calorie e più energia; la ridotta attività nelle cellule di orexina è stata collegata sia all’aumento di peso che alla narcolessia. Inoltre, la carne è una delle migliori fonti di ferro. I deficit di ferro ti mettono a rischio di anemia e di bassa energia, motivo per cui l’anemia è un problema cronico per i vegetariani (sottolineatelo mentre gli flippate la Flank steak in faccia). Tema che diventa scottante quando di mezzo ci sono bambini che crescono… Avitaminosi e dogma Ci sono molti nutrienti nella carne che sono fondamentali per la salute generale. Ci sono molte fonti di proteine, ma la carne è un’ottima fonte di proteine ​​completa, contenente tutti gli aminoacidi di cui il nostro corpo ha bisogno, compresi quelli che il nostro corpo non può produrre. Tutte le vitamine del gruppo B si trovano in concentrazioni maggiori nelle carni rispetto alle fonti vegetali e la vitamina B-12 può essere trovata solo nelle fonti animali. Le vitamine del gruppo B sono fondamentali per la salute, in particolare la salute mentale. Il deficit di queste vitamine può causare confusione, sensi alterati, aggressività, insonnia, debolezza, demenza e neuropatia periferica. Come saprete, i vegani, che vivono all’ombra della grande sóla del mito della natura incontaminata, sono costretti ad assumere la vitamina B-12 prodotta industrialmente dalle case farmaceutiche e dai produttori di integratori. Ci fermiamo qua, ma potremmo andare avanti per ore. Se dopo questa raffica di realtà il vostro interlocutore ancora rompe (non ve lo nascondiamo: è probabile), andate di dogma: «mangio la carne perché è buona!». Il dogma è particolarmente efficace, sino a divenire definitivo, se pronunziato in dialetto locale.

GENNAIO 2020

- 59


APPROFONDIMENTO a cura di ROBERTO DAL BOSCO

VEGETARIANI E

malvagi Q u a nt e vo l t e l o a v e t e se n t i t o ? Colo ro c h e no n ma n g i a n o c a r n e so n o p i ù bu o n i . Pe r mo t i vi e t i c i , p e rc h é n o n u c c i d o n o u n a l t ro e sse re se n zie n t e p e r nu t ri rs i . E p e rc h é , se c o n d o u n a l e g g e n d a scie nti fi c a me t ro p o l i t a n a se n z a fo n d a m e n t o a l c u n o , l a c a rne t i re n d e re bbe p i ù a g g re ssi v o .

60 - BBQ4All MAGAZINE


I cattivi, insomma, amano la ciccia. Siccome vi capiterà sempre, in tavola o fuori, qualcuno che tirerà fuori l’argomento (i mangiatori di carne possono considerare il vegetarismo un rimprovero morale implicito, scrive uno studio pubblicato nel 2012 su Social Psychological and Personality Science) abbiamo deciso di darvi qualche contenuto per difendervi. Anzi: per attaccare. Prendiamo proprio il caso dei vegetariani-buoni. Senza perdersi nei labirinti della biochimica, basterebbe spostare la conversazione sulla Storia.

Hitler

e il futuro vegetariano del mondo È un enorme grattacapo per tutti i vegetariani del mondo il fatto che Adolf Hitler fosse uno di loro. Lo divenne nel 1932 dopo che l’amata nipote Angelika Raubal, detta «Geli», si sparò al cuore con la pistola del futuro Führer vegetariano. Geli era gelosa di Eva Braun, una giovanissima che orbitava intorno allo zio Adolf. Dopo la tragedia Hitler disse che la carne gli ricordava il cadavere di Geli, un libro degli ultimi anni, Dictator’s dinner, racconta invece che la dieta vegetariana gli fosse stata prescritta dal suo medico contro la flatulenza, assieme ad altre 28 droghe. Eva Braun, al contrario, andava pazza per la zuppa di tartaruga, e continuò a sgattaiolare via furtiva di notte per snack a base di salsicce. Hitler davvero non toccò più neanche mezzo bratwurst, tuttavia scatenò una Guerra Mondiale da decine di milioni di morti. Il dittatore ebbe a dire nel 1941: «si può rimpiangere di vivere in un periodo in cui è impossibile avere un’idea della forma che il mondo del futuro assumerà. Ma c’è una cosa che posso prevedere per i mangiatori di carne: il mondo del futuro sarà vegetariano». Pochi anni dopo, per la fortuna dei nostri palati e dei nostri stomaci, si sparò un colpo in un bunker.

Charles Manson

killer veg Charles Milles Manson (1934–2017) era, come visibile anche nel recente bel film di Quentin Tarantino Once Upon a Time in Hollywood, una persona con un’insolita capacità di dominare gli altri. Radunò attorno a sé un culto distruttivo e apocalittico che in seguito i media hanno chiamato The Family, che arrivò a contare oltre 100 persone che vivevano in una comune piazzata in un ranch usato per i film Western. Manson era un ambientalista e attivista per i diritti degli animali preoccupato per i danni all’ambiente. Il suo odio per la carne arrivò persino in tribunale. Arringando alla giuria che doveva giudicarlo (novembre 1970), rese chiaro il suo pensiero: «voi mangiate carne con i denti e uccidete cose migliori di voi, e nello stesso modo dite quanto cattivi persino assassini siano i vostri figli. Avete reso i vostri figli quello che sono. Sono solo un riflesso di ognuno di voi». Sapete per cosa fu condannato? Manipolò i suoi seguaci a fare un’orrenda strage nella quale perse la vita anche una bellissima attrice, moglie del regista Roman Polanski, cresciuta in Italia, a Vicenza: Sharon Tate, allora all'ottavo mese di gravidanza. Sul vegetarianismo di Manson ci sono varie conferme; è rilevante notare che una delle seguaci assassine di Manson era Squeaky Fromme (nel film di Tarantino è interpretata da Dakota Fanning), anch’essa vegetariana.

GENNAIO 2020

- 61


Pol Pot

il serpetariano Cambiamo continente: parliamo di Pol Pot – che è indicato da varie fonti come vegano – responsabile della morte di circa 2 milioni di cambogiani su una popolazione di circa 8 milioni: chi non periva, andava a lavorare forzatamente nelle piantagioni, dove si poteva essere giustiziati a vista, per esempio se si portavano gli occhiali (chi portava gli occhiali era una persona istrui­ta, quindi un nemico del regime degli Khmer rossi). Sulla immane tragedia cambogiana è possibile vedere il film L’urlo del silenzio, dove appaiono le fosse comuni in cui venivano talvolta seppellite vive le persone a centinaia perché, come da direttiva, «i proiettili non vanno sprecati». Ad onor del vero dobbiamo però dire che alcuni, tra cui il suo cuoco pentito, sostengono invece che nei suoi pasti luculliani, che abbondavano anche mentre il suo popolo moriva (anche) di fame, non potesse mancare lo stufato di cobra, di cui avrebbe consumato anche il sangue. Se il rettile conti effettivamente come carne non sappiamo, e chi ha provato il coccodrillo ci capisce. Esiste il pescetariano (quello che mangia solo verdura e pesce), esiste il pollotariano (si concede anche il volatile): vuoi vedere che Pol Pot era serpetariano?

Genghis Khan

macellaio buono con gli animali Sulla dieta vegetariana di Genghis Khan ci sono voci contrapposte: c’è chi dice che mangiasse solo carne, ma è vero sicuramente che il suo regno fu il primo ad emanare leggi per avere una macellazione che non facesse soffrire l’animale. Nonostante l’amore per le bestione – e succede spesso a quelli dei «diritti animali» – Temujin (questo il suo vero nome) fece ammazzare circa 40 milioni di persone, e lasciò un segno duraturo nella popolazione mondiale: lo 0,5% degli uomini sulla Terra (uno su 200, in Asia invece l’8%) porta un pezzo del suo DNA – e ci chiediamo se un lavoro del genere, in effetti, si possa fare senza mangiare bistecche. Ad ogni modo, non si contano le rosticcerie di Ulaan Bator chiamate «Genghis Khan». E nel nord dell’Hokkaido (Giappone), esiste il Jingisukan, un tipo di barbecue fatto con agnello o montone grigliato e verdure cotte su un braciere dalla forma speciale.

62 - BBQ4All MAGAZINE


Il cannibale alla frutta Idi Amin Dada, un tempo fiero dittatore dell’Uganda (la pellicola da vedere è L’Ultimo Re di Scozia), scappò in Arabia Saudita dopo che aveva dichiarato guerra alla Tanzania e, nonostante l’aiutone di Gheddafi, dovette scappare dalla capitale Kampala. Esiliato a Gedda, possiamo dire che alla fine della sua carriera arrivò, come si suol dire, alla frutta: divenne fruttariano. Significa che il guerriero mangiava solo mele, arance, pere, pesche, albicocche, che a pensarci bene in Arabia crescono ovunque. Idi Amin fu certamente un politico di spessore, che in patria aveva manovrato per cannibalizzare l’opposizione. Cioè, sul serio, mangiava gli avversari politici. Ad oggi, unico caso conosciuto di persona passata dal cannibalismo al fruttarismo. La cosa non depone a favore di nessuno dei due fenomeni. Patata furiosa ecoassassina Vegano è l’attivista animalista Volkert van der Graaf, l’assassino del politico neerlandese Pim Fortuyn, a cui sparò nel 6 maggio 2002 a Hilversum, Paesi Bassi. Egli è sospettato di aver sparato alle spalle anche a Chris van der Werken, un funzionario responsabile della politica ambientale nel Nord Veluwe (1996). Volkert era altresì membro di un gruppo chiamato «Le Patate Furiose» (De Ziedende Bintjes), che compiva azioni illegali e violente contro gli allevatori di pellicce, le società che effettuano test sugli animali, e altre realtà che consideravano dannose per l’ambiente. Mistero dell’iniquità vegetariana Infine sganciamo la bomba definitiva: anche l’Anticristo è vegetariano. Mica lo diciamo noi, è il pensiero di Vladimir Sergeevič Solov’ëv, teologo e filosofo, considerabile come uno dei pensatori più importanti dell’intera storia russa. Ne Il Racconto dell’Anticristo, scrive Solov’ëv «il nuovo padrone della terra era anzitutto un filantropo, pieno di compassione e non solo amico degli uomini, ma anche amico degli animali. Personalmente era vegetariano, proibì la vivisezione e sottopose i mattatoi a una severa sorveglianza; le società protettrici degli animali furono da lui incoraggiate in tutti i modi». Nel 1991, in occasione del centenario della morte del filosofo russo, un cardinale cattolico, Giacomo Biffi, ripetè papale papale il concetto in un convegno. I vegani sono ovviamente ancora incazzati.

BBQ4Dalai Lama

Crediamo di aver dato qualche freccia al vostro arco: se qualcuno vi dice che i vegetariani sono più buoni, brasatelo con una qualsiasi di queste storie. Tenetelo bello sul fuoco, finché non ottenete la reazione di Maillard; pressatelo sulla brace del discorso fino a che non vedete le grill marks. E se la storia (e la logica) non basta, e tirano in ballo la religione – del tipo: il rispetto per tutte le creature viventi del Buddha, e bla bla bla – ricordategli che pure il Dalai Lama mangia carne. Riporta il New York Times che egli era perfino riuscito a stare senza carne per 20 mesi filati, ma poi, sviluppato l’ittero, i suoi medici gli hanno detto di ricominciare a mangiare carne. Ora Sua Santità mangia carne due volte a settimana. Pensate quanto sarebbe bello averlo ad un corso Grill to Perfection.

GENNAIO 2020

- 63


LO SPEZIALE DEL BARBECUE rubrica a cura della REDAZIONE

A TAV O L A C O N

IL DIAVOLO Consumato da almeno un quarto della popolazione mondiale, il peperoncino si è guadagnato un posto d’onore non solo a tavola, ma anche in altri ambiti di interesse per l’uomo: medico, scaramantico, magico, erotico. Molte cose sono state dette e scritte su questo diavoletto: ha davvero proprietà benefiche e curative? Favorisce sul serio l’attività sessuale? È dannoso per l’intestino? Scaccia il malocchio? Oggi cominciamo a parlare di questo ingrediente, praticamente onnipresente sulle nostre tavole e nelle preparazioni bbq, protagonista di un mondo vasto e ricco di sorprese, di forme e di colori sorprendenti e di qualche mito da sfatare. Un po’ di storia Forse non tutti sanno che il peperoncino è una pianta millenaria; infatti, anche se gli europei lo conobbero solo dopo la scoperta dell’America nel 1492, dal 6000 a.C. fu un elemento fondamentale nella vita quotidiana delle civiltà precolombiane stanziate in Sud-America, terra che noi abbiamo conosciuto solo grazie ai viaggi esplorativi di Cristoforo Colombo. Ad attestarne l’antichità esistono alcuni ritrovamenti archeologici: in Perù, sono stati rinvenuti utensili in pietra che venivano usati per macinare e che sono risalenti al 5500 a.C.; in Messico, invece, sono tornati alla luce alcuni vasi del 2500 a.C. circa, utilizzati per contenere sia alimenti che bevande. In entrambi i casi, le analisi effettuate su questi oggetti hanno rilevato tracce di capsaicina (elemento organico responsabile della piccantezza del peperoncino), dimostrando che questi popoli ne facevano un grande uso nelle preparazioni culinarie, realizzate con farina di mais, fagioli, patate, pesce e carne, ma anche negli infusi. Tuttavia, per queste popolazioni il peperoncino era molto più di una semplice spezia, poiché gli venivano riconosciute anche proprietà mediche e afrodisiache. Veniva usato per risolvere problemi di digestione e del cavo orale (gengiviti e mal di gola) e, a causa dell’intenso calore che sprigionava in bocca, aveva favorito il diffondersi della convinzione che fosse in grado di stimolare la passione tra gli amanti. Secondo la leggenda, l’imperatore Azteco Montezuma (1502-1520 d.C.) ne consumava grandissime quantità durante i pasti, credendo in questo modo di mantenere alta la sua libido e soddisfare le sue concubine. Grazie a queste sue qualità, il peperoncino era considerato anche una pianta sacra, un dono che gli dei avevano fatto agli uomini. A testimoniare questa credenza esistono alcune opere artistiche, come l’Obelisco azteco di Tello costruito tra l’800 e il 1000 d.C. (chiamato così in onore del suo scopritore, il primo archeologo di origine indigena sud-americana). Tra i molti simboli rappresentati nel totem, c’è un serpente piumato (un drago), una divinità molto importante per la religione pre-colombiana (dio dei venti, della conoscenza e dei mestieri), dalla cui bocca penzolano quattro peperoncini, a sottolineare la provenienza divina del frutto piccante. Cristoforo Colombo conobbe la pianta e tutte le sue applicazioni nel quotidiano già duran64 - BBQ4All MAGAZINE


te il primo viaggio nell’attuale isola di Haiti, da lui all’epoca battezzata Española , ma aspettò il ritorno dal suo secondo viaggio per far conoscere ai sovrani di Spagna Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona il nuovo vegetale, presentandolo come la spezia che avrebbe scalzato il pepe importato dall’Oriente. Inizialmente, in Europa si diffuse col nome di pepe d’India, grazie alla somiglianza nel sapore; in seguito, tra la fine del ‘600 ed inizio del ‘700, ogni nazione si differenziò nell’appellativo: venne chiamato chili in Spagna ed in Germania, paprika in Ungheria, peperone in Italia (nel Bel Paese mutò successivamente in peperoncino ad inizio ‘900, viste le dimensioni ridotte). Purtroppo, a livello economico la sua importazione nel Vecchio Continente non ebbe il risultato sperato, perché fu osteggiato prima dalla Chiesa perché creduto un potente afrodisiaco (e di conseguenza demoniaco), poi dalla nobiltà a cui non piaceva quel gusto decisamente troppo piccante. Soprattutto, a determinarne il grande flop monetario fu la facilità con la quale chiunque poteva coltivarlo: dato che non servivano particolari accorgimenti, veniva definito la spezia dei poveri, il che non contribuì a renderlo pregiato e ambito. In effetti fu il grande insaporitore della cucina contadina povera di grassi ed insipida (all’epoca il sale era un ingrediente costoso, riservato a pochi). Solo nel ‘900 iniziò ad incontrare il favore dei signori. Fu in particolar modo Pellegrino Artusi a favorire questa ascesa, poiché incluse nel suo ricettario (1891) tutte le preparazioni con questo elemento piccante. Lo stesso poeta Gabriele d’Annunzio rimase talmente colpito dal rossoardente diavoletto folle al punto di citarlo in un verso nell’ Ode al Diavolicchio. Da quel momento, il piccolo peperone tutto fuoco non ha incontrato più alcun ostacolo, conquistando il palato di tutti senza più nessuna distinzione di ceto sociale. Qualche mito da sfatare Molto spesso sentiamo affermare che il massimo della piccantezza di un peperoncino risiede nei semi. In realtà, sono le ghiandole capsaiciniche le vere fonti della piccantezza: si trovano nella cosiddetta placenta, ossia nei filamenti chiari visibili all’interno del frutto. Si crede erroneamente che siano i semi i responsabili del grado di bruciore proprio perché sono attaccati alla placenta. Inoltre, non è vero che la piccantezza dipende dal colore rosso acceso: anche qui dobbiamo guardare i filamenti: se sono bianchi, il diavoletto folle non è eccessivamente piccante, mentre se il loro colore tende al giallo o a tonalità più calde allora siamo di fronte a una bomba esplosiva. In ogni caso, mangiare molto piccante fa bene o fa male al nostro organismo? La capsaicina ha sicuramente molteplici effetti benèfici: secondo recenti studi scientifici pare che il peperoncino abbia la capacità di ridurre il colesterolo cattivo e faccia bene al cuore, abbassando il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari. Gli vengono attribuite anche virtù antibatteriche e, se consumato fresco, è una ricca fonte di proprietà antiossidanti, in grado di contrastare i radicali liberi. In molti lo evitano perché temono spiacevoli conseguenze infiammatorie a livello intestinale. In realtà, già nel 1857 l'Accademia medica francese ha sancito ufficialmente la validità del peperoncino contro ogni tipo di emorroidi grazie all’azione terapeutica della vitamina K2. Inoltre nell'intestino il frutto piccante svolge un'azione antiputrefattiva e antifermentativa, impedendo che le tossine passino nel sangue. GENNAIO 2020

- 65


Affrontiamo adesso la vera domanda che tutti i maschietti si stanno facendo: è veramente un Viagra naturale? Beh, non può sostituirsi alle medicine per la disfunzione erettile, ma sicuramente ha proprietà vasodilatatorie e quindi favorisce l’apporto di sangue anche agli organi genitali. Vi consigliamo comunque di lavarvi le mani, se avete maneggiato il peperoncino, prima di procedere a qualsiasi attività di questo tipo, perché in caso contrario rischiereste di andare a fuoco nel senso negativo del termine. Curiosità e leggende Come abbiamo già scritto, i Maya mettevano in bocca dei peperoncini quando avevano le gengive infiammate. La famiglia Boccasana della nota pubblicità del colluttorio potrebbe sussultare di indignazione: in realtà, la dottoressa Millicent Goldschmidt, dell’Università di Houston, ha certificato la validità di questa pratica: la vitamina A combatteva le infiammazione e aiutava a guarire le gengive. Molte tribù indiane dell’America del Nord e del Sud consideravano il peperoncino un potente talismano capace di proteggere dal male; per questo motivo legavano ghirlande fatte con questi frutti alle loro canoe, affinché allontanassero gli spiriti cattivi dell’acqua. Pratica che ancora oggi troviamo in alcune regioni del Sud Italia, dove si ha l’abitudine di appendere corone di peperoncini alla porta di casa, per tenere lontane le persone negative. Noi ci abbiamo provato con i bannati dalla nostra Community su Facebook, ma non funziona. In tutto il mondo ci sono gare di mangiatori di peperoncini, anche in Italia: se vi capita di passare da Diamante (CS) durante il Peperoncino Festival potrete assistere alla finale del Campionato italiano mangiatori di peperoncino. I concorrenti si sfidano a suon di piattini colmi di diavoletti tagliuzzati: possono aiutarsi con pane e olio, e hanno 30 minuti a disposizione per mangiarne il più possibile. Una mezz’ora di fuoco, letteralmente. Voi ci riuscireste? Botanicamente Parlando La pianta, appartenente alla famiglia delle Solanaceae come il pomodoro e la patata, viene definita come genere capsicum, probabilmente dal latino capsa che significa scatola. Questo perché i frutti contengono all’interno i semi. Tuttavia, alcuni studiosi propendono per la versione greca del termine kapto, che significa mordere, a causa della piccantezza e della sensazione di bruciore che si ha quando si mangiano questi 66 - BBQ4All MAGAZINE

frutti. È una pianta ad arbusto. Varia la sua altezza a seconda della specie, da un minimo di 40 cm sino a 2, 5 metri di altezza, come nel caso del Capsicum Pubescens. Ha foglie verdi chiare, che anch’esse possono differire nella forma: da affusolate e piccole, ad esempio nel caso del Capsicum Annuum. a grandi e larghe, come nel caso del Capsicum Chinense. Sia i fiori che i frutti son caratterizzati da componenti comuni per tutte le specie. I frutti sono formati da una bacca che ha all’apice un peduncolo; esso serve a tenerli ben saldi alla pianta. A loro interno troviamo la placenta che tiene attaccati a sé i semi. I fiori, molto simili per forma, si differenziano fra le varie specie per colore della corolla e degli stami. Nonostante sia una pianta perenne, in Italia viene coltivata annualmente a causa delle esigenze climatiche e agronomiche. Ne esistono circa 40 specie e almeno 2000 varietà. Vista l’impollinazione incrociata, è difficoltoso riuscire a creare una classifica definitiva. Ci provò prima Linneo e poi ci riuscì in parte Armando Yheodoro Hunziker, che nel 1956 ne classificò ben 27, di cui 16 spontanee e 11 coltivate dall’uomo. Le più conosciute tuttavia sono cinque: 1. Capsicum annuum ( Peperone dolce, Jalapeno, Ancho poblano, Serrano del sol, Cayenne) 2. Capsicum baccatum (Aji Amarillo, Aji Habanero, Bishop Crown, Lemon Drop) 3. Capsicum chinense (Fatalii, Habanero, Naga Morich, Naga Viper, Schocth Bonnet, Trinidad Scorpion, Carolina Reaper) 4. Capsicum frutescens (Piri Piri, Tabasco, Thai Pepper) 5. Capsicum pubescens (Rocotò sudamericano, Manzano e Locato) La caratteristica principale, che le accomuna tutte e ne permette una classificazione precisa, è il grado di piccantezza. Esiste addirittura un’unità di misura: l’unità Scoville, misurata in S.H.U (Scoville Heats Units); prende il nome dal suo ideatore Wilbur Scoville, farmacista di Detroit che nel 1912 la mise a punto. Di questo però parleremo in un prossimo articolo, con un dettaglio approfondito sugli aspetti relativi alla scala Scoville. Intanto vi lasciamo una tabella di semplice consultazione che raggruppa le caratteristiche principali delle cinque specie sopra riportate.


CAPSICUM PUBESCENS aroma lievemente fruttato piccantezza elevata maturazione media pianta molto alta a foglie pelose e semi neri

CAPSICUM FRUTESCENS aroma lievemente fruttato piccantezza elevata maturazione media pianta arbusto a portamento eretto

CAPSICUM CHINENSE aroma fruttato piccantezza elevata maturazione lenta pianta resistente a ciclo perenne

CAPSICUM BACCATUM aroma agrumato piccantezza elevata maturazione media pianta alta e vigorosa

CAPSICUM ANNUUM aroma secco non fruttato piccantezza medio/bassa maturazione veloce pianta voluminosa e piĂš diffusa

GENNAIO 2020

- 67


LA TEMPERATURA AL CUORE - APPROFONDIMENTO a cura della REDAZIONE

68 - BBQ4All MAGAZINE


B EN COT TA? NO GRAZI E !

MEGLIO SE

COTTA

B ENE !

TAB E L LA DELLE TE MPE RATURE AL CUORE CO N S IGLIAT E P E R RI SULTATI GARANTITI BI ST ECC H E E AR ROSTI DI MANZO, AGN ELLO, CERVO. PET TO DI AN ATRA Blue

43°-49°C / 110°-120°F

viola scuro, freddo, fibroso, scivoloso

Rare

49°-54°C / 120°-130°F

da viola brillante a rosso, tenero, succoso

Medium rare   

54°-57°C / 130°-135°F

rosso brillante, tenero, molto succoso

Medium

57°-63°C / 135°-145°F

rosa intenso, cedevole, succoso

Medium Well

63°-68°C / 145°-155°F

da marrone a rosa, sodo, poco succoso

Well Done

68°C / 155°F e oltre

BI ST ECC H E E AR ROSTI DI MAIA LE

marrone, gommoso, secco

Rare

49°-54°C / 120°-130°F

rosa pallido, tenero, leggermente succoso

Medium rare

54°-57°C / 130°-135°F

rosa crema, tenero, molto succoso

Medium   

57°-63°C / 135°-145°F

dal crema al rosa, cedevole, molto succoso

Medium Well

63°-68°C / 145°-155°F

crema, fermo, poco succoso

Well Done

ALT R E CA R NI

Pork Ribs, Spalla di maiale

68°C / 155°F e oltre

crema, resistente, secco

95°C / 203°F

la migliore cottura per tagli ricchi in grasso e collagene è quella low&slow (bassa temperature per lunghi tempi)

Pollo, Tacchino

71°C / 160°C

carni bianche divenute color crema, carni scure divenute color marrone

Carne macinata, burger, salsicce (eccetto se di pollo)

71°C / 160°C

succosi se si include una percentuale di grasso dal 20% al 30% nella miscela

Prosciutto cotto, Hot Dog, Salsicce precotte

60°C / 140°F

tenero, succoso

Brisket, Beef Ribs

P E SC E E FR U T TI DI MAR E Tonno

49°-52°C / 120°-125°F

dal porpora al rosso brillante

Altri pesci

52°C-57°C / 125°-135°F

lievemente translucido, fragile, tenero, succoso

Aragosta, granchi, gamberi, gamberi, capesante Vongole, Cozze, Ostriche

57°C /135°C

opaca appena si aprono GENNAIO 2020

- 69


LA TEMPERATURA AL CUORE - INFOGRAFICHE a cura della REDAZIONE

49°-54°C

54°-57°C MEDIUM RARE

57°-63°C MEDIUM

63°-68°C MEDIUM WELL da 68°C WELL DONE

70 - BBQ4All MAGAZINE

MANZO

RARE


54°-57°C MEDIUM RARE

57°-63°C MEDIUM

63°-68°C MEDIUM WELL

MAIALE

da 68°C WELL DONE

GENNAIO 2020

- 71


THE CHEMICAL GRILLERS - RUBRICA a cura di VIRGILIO BRUNETTI

SALSE CA P I TO LO UNO

72 - BBQ4All MAGAZINE


Definire genericamente la parola salsa è piuttosto semplice: le salse sono preparazioni gastronomiche liquide o semiliquide che hanno il compito di accompagnare e perfezionare, nel gusto e nella consistenza, altri alimenti. Si possono definire salse sia tutti i fondi di cottura opportunamente addensati, legati o emulsionati, sia moltissimi altri condimenti preparati separatamente, costituiti da alimenti vegetali o animali che vengono processati mediante la combinazione di tecniche di estrazione, cottura e fermentazione. In questo contesto potremmo categorizzare le salse in tre enormi categorie: fredde, calde e fermentate. Si suppone che, già in tempi molto antichi, i liquidi saporiti scaturiti dalla cottura sul fuoco della cacciagione potessero essere utilizzati per condire altri cibi e migliorarne il consumo. Sappiamo con assoluta certezza che il termine salsa deriva dal latino salsus (salato), a testimoniare come nell’antichità il sale - o meglio ancora la semplice acqua di mare - fosse il condimento base per migliorare molti cibi. Fonti storiche riportano come anche nella Roma repubblicana fosse diffuso l’uso di salse e condimenti di origine animale e vegetale. Marco Gavio Apicio nel suo De re coquinaria (una raccolta di ricette dell’Antica Roma) descrive la presenza massiccia di spezie ed erbe aromatiche nelle ricette dei vari intingoli della cucina imperiale. Inoltre dedica molto spazio alla descrizione dei vari tipi di condimenti, sottolineando l’importanza di creare abbinamenti e gusti diversi. La cosa interessante da notare è che gli ingredienti più utilizzati, presenti praticamente in tutte le ricette descritte nei dieci libri del De Re Coquinaria, sono solo nove e sono: garum, defrutum, olio, miele, aceto, vino, pepe, cumino e ruta. Nello specifico, Apicio ci descrive le due salse onnipresenti nelle ricette da lui trascritte: 1. il Garum, salsa ottenuta dalla fermentazione in salamoia di sardine, acciughe o delle interiora di pesci più grandi che veniva utilizzata un po’ come noi oggi usiamo il sale, quindi per insaporire tutti i piatti, primi o secondi che fossero. Il nome deriva dal greco garon, ossia il pesce da cui si ricavavano le viscere e non è altro che l’antesignano della nostra colatura d’alici; 2. il Defrutum, un condimento dolce a base di mosto d’uva cotto, ottenuto dopo un lungo processo di bollitura in caldaie di rame; se il mosto veniva sottoposto ad una seconda bollitura si otteneva la sapa, un composto viscoso. L’uso degli intingoli e delle spezie si evolve lentamente nell’ultimo millennio; nel Medioevo venivano preparati sughi a base di brodo e spezie ed erbe con l’aggiunta di agresto (mosto acetificato) o aceto, spesso addensati con pane tostato grattugiato; tipiche medievali sono la salsa verde, la piperata, la camelina e la mostarda. Nel ‘300 Guillaume Tirel, nel più antico libro di cucina francese, Le Viandier, propone numerose ricette di queste preparazioni gustose. Anche i grandi cuochi rinascimentali come il Platina, il Messisbugo ne offrono un ampio panorama nei loro testi. Fu nel corso del 600, grazie all’uso più misurato delle spezie, che si cominciò ad utilizzare la farina come legante dei sughi liquidi. Queste preparazioni erano più gentili e sapevano interpretare meglio il gusto del naturale che si andava affermando alla corte di Francia. Nel XVIII secolo, poi, la svolta con la codifica dell’arte della cuGENNAIO 2020 - 73


di temperatura, umidità, osmolarità e pH, alcuni microrganismi possono prevalere su altri generando sui cibi trasformazioni sorprendenti. Vini, birre, aceti, prodotti da forno, conserve, condimenti e una miriade di altri alimenti diffusi in tutte le culture gastronomiche vengono prodotti e migliorati mediante il controllo dei processi di fermentazione. Così, già in tempi remoti in parallelo e in diverse civiltà, alcuni uomini si accorsero che da qual cibo andato a male si potevano recuperare prodotti interessanti, con un valore gastronomico anche superiore rispetto all’alimento originale. Sia in Oriente che in Occidente sono stati cercati per secoli i modi migliori di preservare i cibi, finché non si è scoperto che l’uso del sale non solo migliora il mantenimento, ma dona sapore.

cina francese e lo sviluppo di tre categorie di salse ben distinte che avrebbero portato a quelle moderne: le riduzioni di vegetali compresi i funghi, le emulsioni a caldo a base di burro e farina (i roux), da cui nacquero besciamella o Mornay, le emulsioni a freddo, di cui è tipico esempio la maionese. Nel XIX secolo, sempre in Francia, le tecniche di preparazione dei vari intingoli vennero sistematizzate soprattutto da Careme, quando si posero le basi per le salse calde e fredde, brune e bianche, madri e composte. Parallelamente, in altre culture fuori dal vecchio mondo il concetto di salsa e condimento si è sviluppato indipendentemente con un numero enorme di varianti; alcune di esse, nel corso del XX secolo, sono diventate successi planetari, e sono stati creati brand che potremmo definire inimitabili: salse di soia Kikkoman; tomato ketchup Heinz, salsa Worcestershire Lea&Amp; salsa Tabasco McIlhenny Company Perrins; senape di Digione Maille; salsa Sriracha Huy Fong Foods. La salsa di soia, la madre delle fermentate. La fermentazione spontanea di alimenti genera, nelle giuste condizioni ambientali, processi di degradazione enzimatica che trasformano zuccheri, grassi e proteine in nuove molecole. La libera degradazione dei substrati biologici in molecole più semplici viene comunemente chiamata decomposizione; gli attori di questo processo spontaneo sono i microrganismi naturalmente presenti nell’ambiente. In specifiche condizioni ambientali 74 - BBQ4All MAGAZINE

Nell’antica Cina, gli alimenti conservati e i loro condimenti erano noti come jiang, forse il predecessore di quello che noi conosciamo come salsa di soia. Inoltre quella fermentazione poteva essere in qualche modo controllata e propagata, così nel corso dei secoli il fungo Aspergillus oryzae (kōji) è stato addomesticato e geneticamente selezionato per la produzione di vino di cereali, salse di soia e altri condimenti fermentati. Diversi tipi di jiang venivano prodotti da carne, pesce, verdure e grano. Di tutti questi ingredienti, il grano era quello più facilmente disponibile e gestibile; per questo lo jiang fatto dai semi di soia e dal frumento si sviluppò più rapidamente. Il processo di produzione si diffuse poi in Giappone e negli altri Paesi limitrofi alla Cina. Dopo essere stato introdotto in Giappone, lo sviluppo e la trasformazione dello jiang subì una svolta decisiva: verso la metà del XVII secolo fu definito il processo di produzione della salsa di soia fermentata naturalmente, che iniziò poi a diffondersi in tutto il Paese. La ricerca del quinto sapore, l’umami, è una questione culturale, un elemento basilare della cucina asiatica, ma è proprio in Giappone che trova la sua massima espressione anche in termini di tecnologia produttiva, basti pensare al colosso Ajnomoto, azienda leader nella produzione di Glutammato Monosodico, ovvero del gusto umami allo stato puro e cristallino. La salsa di soia giapponese è composta da pochi e semplici ingredienti (acqua, sale, soia e frumento) ma il processo di produzione è complesso; il ruolo e la selezione degli ingredienti influenzano in maniera diretta la qualità e la tipologia di questo intingolo. Oggi, quella più conosciuta è la Kikkoman, azienda giapponese che ha reso globale questo prodotto. Secondo il disciplinare produttivo Kikkoman, ogni ingrediente ha un ruolo ben preciso; le caratteristiche uniche di questa salsa provengono in primo luogo dalle proteine contenute nei semi di soia. Essi vengono prima immersi in acqua per un periodo prolungato e poi cotti al vapore a temperature elevate; i componenti che donano alla soia il suo aroma delicato e quel tipico


T I PO LO G I E D I SA LSA D I S O I A G I A P PO N E S E

SHIRO

USUKUCHI

KOIKUCHI

SAISHIKOMI

TAMARI

tocco di dolcezza, sono i carboidrati contenuti nel frumento. 2. Usukuchi. Popolare nella prefettura Kansai, ha un sapore Quest’ultimo viene tostato ad alte temperature e poi schiaccia- più salato ed è leggermente più chiara della Koikuchi. Contiene to per facilitarne la fermentazione; Il sale viene sciolto in acqua spesso anche riso fermentato, glutine di frumento o di amazae questa soluzione controlla la propagazione batterica durante ke. il processo di fermentazione, agendo come conservante. L’a- 3. Tamari. Ha avuto origine nella regione di Chūbu, contiene zienda produttrice ha selezionato, perfezionato e protetto i mi- principalmente soia ed una piccola croorganismi responsabili dell’intero procedimento. Fin dalla percentuale di grano. sua fondazione, Kikkoman ha impiegato un ceppo selezionato 4. Saishikomi. Originaria della prefettura di Yamaguchi, si di Aspergillus oryzae (kōji). Esso è miscelato con semi di soia e ottiene dalla doppia fermentazione della Koikuchi. Di consefrumento opportunamente trattati, che vengono poi trasferiti guenza è molto più scura, meno salata ma dal sapore fortemenad un impianto che fornisce l’ambiente ottimale per la propa- te aromatico. gazione del fungo. Questo sviluppo si traduce nella produzione 5. Shiro. Prodotta originariamente nella regione di Aichi, ha dello shōyu kōji, di fatto la salsa di soia allo stato grezzo, base es- una colorazione molto leggera poiché prodottaprincipalmente senziale di quella raffinata che noi conosciamo con il grano. Lo shōyu kōji viene trasferito in tini di grande volume e miscelato con una soluzione salina. Questa miscela è chiamata moromi, La salsa di soia cinese, invece, comprende due varietà di salse: una sorta di mosto che fermenta e invecchia nei tini per diver- leggera e scura. La prima è molto liquida, ha un colore meno si mesi. Qui hanno luogo diversi processi fermentazione che marcato ed è molto salata. La varietà scura invece è più densa portano alla formazione di acido lattico, etanolo e una varietà e nerastra per l’aggiunta di melassa; di conseguenza, risulta un di acidi organici che donano al moromi un sapore ricco, oltre po’ più dolce della precedente. ad aroma e colore tipici di questo intingolo. La filtrazione del mosto invecchiato ha come prodotto una salsa dallo stato crudo La salsa di soia Indonesiana (Kecap), così come quella cinese, che viene poi pastorizzata e imbottigliata. comprende due tipologie: Asin e Manis. La prima è salata, denTuttavia, esistono molte aziende Giapponesi che lavorano con sa e con un aroma deciso. La Manis è caratterizzata invece da metodi tradizionali, manuali e non automatizzati nella convin- un sapore dolce a causa dell’aggiunta di zucchero di palma o di zione di produrre uno shōyu di qualità nettamente superiore. melassa. Un esempio è la salsa di soia Marunaka, una realtà produttiva ostinatamente leT I PO LO G I E D I SA LSA D I S O I A C I N E S E gata alla tradizione; qui i kura, le vasche di fermentazione, sono riconosciuti dal governo giapponese come veri tesori nazionali. Il prodotto di questa azienda ha lo stesso valore qualitativo di un grande vino d’annata. Esistono inoltre molte varianti nella formulazione della salsa di soia che si differenziano in base al luogo di produzione. La tipologia giapponese risulta più dolciastra e rispetto a quella cinese ha ben cinque declinazioni: 1. Koikuchi. Originaria della regione Kantō, viene ad oggi considerata la vera salsa di soia giapponese. Contiene approsSCURA LEGGERA simativamente parti uguali di soia e grano, oltre a sale e lievito. GENNAIO 2020

- 75


LA RICETTA SCIENTIFICA - LA NUOVA rubrica a cura di GIANFRANCO LO CASCIO

LA RICETTA SCIENTIFICA

CLUB SANDWICH IL

Chi ha stabilito che un g rande pane co n una g rande mortadella non siano gourmet quanto Royal Beluga e Krug? Il lusso vero è fare quello che ci piace quando ci va, fosse anche m ang iare un sandwich con p ollo e bacon che scoppia di maionese.

76 - BBQ4All MAGAZINE


GENNAIO 2020

- 77


Il Club Sandwich è uno dei miei guilty pleasure. Tre strati di carboidrati imburrati e tostati che fanno quadrato tra succulenti stracetti di pollo, bacon sfrigolato e croccante, una botta fresca di insalata verde e pomodori affettati, il tutto avvolto e benedetto da un seduttivo strato di maionese. E il naufragar m’è dolce in questo mare.

IL PANE

Il segreto di un sandwich da primo premio è basato sulla scelta della materia prima. Ingredienti scelti con cura, pollo e bacon cotti a puntino e una salsa fatta in casa sono alla base del successo. Ma per prima cosa, scegliete del pane in cassetta di qualità, molti artigiani ne producono di straordinari. Oppure preparatelo da soli seguendo la nostra ricetta. Se non lo avete ancora fatto, correte a leggere l’articolo del nostro Alessandro Trezzi, il nerd dei panificati. Troverete tutto quello che dovete sapere sul pane in cassetta, cos’è, come si prepara, come si serve. Importante: ricordate di imburrare appena il pane e tostarlo da entrambi i lati sulla piastra in ghisa prima di confezionare il sandwich. In questo modo otterrete sei strati tostati, profumati e molto saporiti. Montate il sandwich molto alto per massimizzare l’impatto visivo, ma ricordate poi di tagliarlo a triangoli o cubi da due o tre bocconi al massimo. Una preparazione molto ricca deve esaurirsi in pochissimi bocconi per non risultare stucchevole ed eccessiva. 78 - BBQ4All MAGAZINE

IL BACON

È un salume tradizionalmente prodotto nei Paesi anglosassoni: Regno Unito, Irlanda, Stati Uniti e Canada. L’abbiamo conosciuto da bambini perché protagonista della full breakfast, la colazione americana e inglese dei campioni composta da bacon, uova strapazzate, funghi saltati, frittelle di patate, salsiccette, fagioli salsati, pomodori e un piccolo toast, che troppi carboidrati fanno male. Ve lo dico subito: Il bacon non viene prodotto solo con la pancetta ma anche con altri tagli del maiale, e prende nomi diversi a seconda del taglio utilizzato e della provenienza. Bacon o "bacoun" era un termine Middle English (l’inglese parlato dal 1150 al 1500 d.C.) utilizzato per indicare la carne di maiale in generale. Deriva dal francese bako, dall'antico alto tedesco bakko e dall'antico teutonico backe, tutte parole che fanno riferimento al dorso dell’animale. Yorkshire e Tamworth sono le razze allevate per la produzione di questo delizioso salume. L'espressione "portare a casa il bacon" risale al XII secolo, quando una chiesa di Dunmow, in Inghilterra, cominciò a donare una porzione di bacon a qualsiasi uomo che potesse giurare davanti a Dio e alla congregazione di non aver combattuto o litigato con la moglie per un anno e un giorno. Chi riusciva a"portare a casa il bacon" diventava l’eroe della sua comunità.


IL BACON NELL A STORIA Epoca romana. Secondo gli storici dell'alimentazione, i Romani mangiavano un salume ricavato dalla spalla del maiale chiamato petaso, che era essenzialmente carne di maiale allevato e bollita con fichi, poi rosolata e condita con il pepe. 1600 . La pancetta, una fonte di proteine relativamente facile da produrre e soprattutto economica, diventa un alimento cardine per i contadini europei. La pancetta affumicata, al contrario, diventa cibo per ricchi. 1770. L’inglese John Harris si inventa la produzione industriale di pancetta su larga scala. Apre la sua azienda nel Wiltshire, considerato ancora oggi la capitale mondiale del bacon. 1924. Oscar Mayer introduce in America il bacon preconfezionato e preaffettato. 1990. Il bacon a fette non basta più a soddisfare i suoi estimatori. Nascono moltissimi spin-off del salume affumicato, tra cui la pancetta di pollo fritto e il Bacone (un cono di bacon fritto ripieno di uova strapazzate, patate e formaggio)

NON T UT TI SANNO CHE… hh La pancetta è uno dei tagli di carne più antichi della storia, risale al 1500 a.C. hh Ogni anno negli Stati Uniti vengono prodotti più di 2 miliardi di libbre di pancetta. hh Il 70% di tutto il bacon negli Stati Uniti viene mangiato a colazione. hh Fino alla prima guerra mondiale, il grasso di pancetta era il grasso da cucina preferito dalla maggior parte delle famiglie americane, quando il lardo di maiale preconfezionato diventa comunemente disponibile.

GENNAIO 2020

- 79


I TAGLI DEL BACON Side Bacon: si ricava dalla pancia del maiale ed è caratterizza- Jowl Bacon: guanciale di maiale stagionato e affumicato. to da lunghi strati di grasso che corrono paralleli alla cotenna. Questa è la forma di pancetta più comune negli Stati Uniti, af- Slab Bacon: con una percentuale di grasso da media a molto fumicato o "aqua" (non affumicato). La nostra pancetta tesa è il alta. Si ricava dalla pancetta, dai tagli laterali e dal dorso del maSide bacon italiano. iale. Collar Bacon: ricavato dal collo dell’animale.

Middle bacon: proviene dai fianchi dell'animale, ha un costo medio-basso e per contenuto di grasso e sapore si pone tra streaky bacon e back bacon. Back bacon (Irish bacon/Rashers o pancetta canadese negli Stati Uniti): ricavato dalla lombata al centro del dorso del maiale. Si tratta di un taglio molto magro e carnoso, con meno grasso rispetto ad altri. Ha una consistenza simile al prosciutto. La maggior parte del bacon consumata nel Regno Unito è ricavata dal lombo. Cottage Bacon: è carne magra di maiale affettata sottilmente, ricavata da un taglio di spalla che è tipicamente di forma ovale. Viene stagionata e poi tagliata in fette rotonde che vengono cotte al forno o fritte.

LA STAGIONATURA Può essere effettuata in due modi: hh A secco o dry cured: si cosparge il pezzo di carne con una miscela di sale e spezie, lasciando il tempo al sale di penetrare nella carne, disidratandola; hh In salamoia o wet cured: si immerge la carne in una miscela di acqua, sale e spezie. Il bacon può quindi seguire due strade: essere affumicato oppure no. Il bacon aqua viene stagionato per circa quindici-venti giorni e poi venduto, quello affumicato può abbracciare il fumo sia a freddo che a caldo. Dall’affumicatura a freddo si ottiene un prodotto identico a quello non affumicato, con una carne soda, da consumare solo previa cottura. Dall’affumicatura a caldo, somministrata a temperature superiori agli 80°C, nasce un bacon cotto, che lo rende consumabile tal quale, al pari di un salume tradizionale. Il bacon affumicato a caldo esiste anche da noi, è molto diffuso tra i salumifici delle zone alpine 80 - BBQ4All MAGAZINE

Hock: estratto dal garretto, dall'articolazione della caviglia del maiale. Gammon: dalla zampa posteriore, tradizionalmente “Wiltshire cured”. Picnic Bacon: è ricavato dal picnic, il taglio sotto la spalla che si utilizza nella preparazione del pulled pork. Questo taglio include la maggior parte del quarto della zampa anteriore del maiale, abbastanza magro e piuttosto duro.

BACON E PANCETTA: QUAL È LA DIFFERENZA? Innanzitutto il bacon si può ricavare da diversi tagli di carne, non solo dalla pancia: come già chiarito prima, il back bacon proviene dal lombo ed è quindi molto più magro, poiché composto da una parte magra e dal grasso della schiena (il lardo), il jowl bacon, ottenuto dalla guancia corrisponde al nostro guanciale, il cottage bacon si ricava dalla spalla, lo slab bacon, proveniente da tagli minori laterali e così via. Il bacon prodotto con la pancia prende il nome di streaky bacon, carratterizzato delle tipiche "strisce" di grasso inframmezzate al magro della pancetta. Il termine bacon, quindi, sembrerebbe indicare più un metodo di lavorazione che un taglio di carne, come siamo abituati a fare qui da noi. La pancetta "all'italiana" che più gli assomiglia è quella tesa (non arrotolata) che però non subisce nessun processo di cottura prima di essere commercializzata, a parte quella affumicata a caldo e tipica del Trentino Alto Adige. La differenza sostanziale sta nel tempo di stagionatura: mentre la nostra pancetta è pensata per il consumo a crudo, il bacon nasce per essere cotto. E ora lo Zio vi spiega come.


I METODI DI COTTURA DEL BACON Quelli più diffusi sono sette, vi descriverò pro e contro di ognuno e vi dirò come lo faccio io. 01. In padella con acqua Come si fa: disponete le fette di bacon nella padella fredda, coprite con acqua a temperatura ambiente. Cuocete a fiamma alta e portate a bollore, poi riducete la fiamma fino a completa evaporazione, quindi girate le fette e cuocete a fiamma bassa fin quando il bacon non sarà di un bel colore dorato. Risultato: cottura disomogenea con parti croccanti e frazioni gommose. Per non parlare della patina appiccicosa e pestifera che ricopre la padella, impossibile da pulire. GLC Approved: NO 02. Microonde Come si fa: rivestite il piatto con carta assorbente, poggiate le fette di bacon ben distanziate l’una dall’altra, ricoprite con un altro strato di carta e cuocete per 4-6 minuti a potenza sostenuta. Risultato: Fettine cotte in maniera uniforme, parti grasse ben rosolate e croccanti. GLC Approved: NI È il metodo per chi ha fretta e non vuole salvare il grasso disciolto del bacon. La cottura perfetta ha bisogno di un po’ di tuning, bisogna calcolare al millimetro i tempi ed entrare in sintonia col proprio forno. Pulire il piatto è una passeggiata, basta gettare la carta nel secchio dell’umido ed è fatta. 03. Padella antiaderente Come si fa: sistemate il bacon in una padella antiaderente fredda, cuocete a fuoco medio e girate le fette alla bisogna. Risultato: cottura a macchie di leopardo, con parti più rosolate di altre. Grasso disciolto che può essere filtrato/colato in un barattolo ed usato per la altre preparazioni. GLC Approved: NI È un metodo efficace, ma la cottura a spot non mi fa impazzire.

04. In forno su una gratella Come si fa: Preriscaldate il forno a 200°C. Adagiate le fettine di bacon su una gratella che andrà poggiata su una teglia rivestita di carta assorbente. Cuocete fino a doratura (20-30 minuti a seconda dello spessore delle fette) Risultato: Bacon succoso e stiracchiato, con lievissimi accenni di arricciatura. La carta serve per assorbire i grassi disciolti e limitare (ma di poco) la formazione della tipica nebbia-post-pancetta. GLC Approved: NI Cottura graduale ed armoniosa, ma che spreco quel grasso risucchiato dalla carta! Per non parlare della gratella impiastricciata da raschiare alla fine.

06. Sous Vide Come si fa: solo con il bacon tagliato a fette spesse, il bacon affettato sottile non ha nulla da intenerire. Inserite le fettine nel sacchetto e cuocete sottovuoto a 64°C per 8/24 ore. Tirate fuori la carne dall’involucro e rosolate in padella bollente per pochi secondi. Risultato: Bacon molto ciccioso, succulento e grassoccio dentro, soffiato e croccante fuori. GLC Approved: SI Tecnica laboriosa ma soddisfacente. Potete anche cuocere il bacon sottovuoto e surgelarlo, per poi saltarlo in padella (da surgelato) quando vi occorre. Si conserva in freezer fino a due mesi.

05. Friggitrice ad aria Come si fa: Mettete le fette di bacon nella friggitrice ad aria e cuocete a 200°C, scuotendo il cestello di tanto in tanto fino ad ottenere delle strisce belle croccanti. Svuotate il contenitore dei residui di grasso tra una cottura e l’altra per non fare i suffumigi di porco. Oppure andate a (farvi) friggere in terrazzo. Risultato: Cottura azzeccata e soprattutto rapida, ci vorranno circa 5/8 minuti al massimo. GLC Approved: NI Le fettine si stropicciano moltissimo, il grasso andrà tutto sprecato e pulire la friggitrice ad aria è una vera spina nel… fianco.

07.Padella in ghisa Come si fa: rivestite la padella di ghisa fredda con il bacon, girate le fette ogni tot fino a doratura. Risultato: Nastri di bacon arricciati, parecchio grassi e opulenti in alcuni punti, fragranti e scrocchiarelli in altri. GLC Approved: SI È il miglior compromesso tra le varie metodologie. La cottura è rapida, tutto sommato soddisfacente, e potete mettere da parte i preziosi grassi avanzati dalla cottura in un barattolo.

METODO GLC

Come si fa: Prendete una teglia d’acciaio o vetro temperato, rivestitela di carta forno (o se preferite un tappetino di silicone) e sistemate le fette di bacon a 2cm l’una dall’altra. Inserite la teglia nella parte centrale del forno (a freddo), impostate il termostato su 200°C in modalità statica e lasciate cuocere per circa 15 minuti. A cottura quasi ultimata spruzzate le fettine con aceto di mele, quindi cuocete per altri 5 minuti o fino al grado di doratura che preferite. Recuperate il grasso fuso, filtratelo e colatelo in un contenitore, potrete conservarlo in frigorifero per una settimana buona. Risultato: Bacon perfettamente cotto, croccante perché “fritto” nel suo stesso grasso, brillante e caramellato dall’aceto vaporizzato. Voto 10 su tutta la linea.

GENNAIO 2020

- 81


IL PETTO DI POLLO

È la farcitura portante del panino, quindi è cruciale cuocerla bene. Troppo spesso mi sono ritrovato a masticare petti pollo di gomma, alcuni li sto ancora masticando. Sono partito quindi dalla fine, ho pensato che quasi sicuramente il problema sta nella cottura, la soluzione va cercata negli effetti del calore sulla carne.

LA COTTURA IDEALE Sotto i 50°C La carne è da considerarsi cruda, sia le miofibrille (i filamenti del muscolo) che i “fasci crociati” di collagene (il tessuto connettivo) sono ancora integri. A 50°C La miosina, la parte rossa per intenderci, inizia a coagulare strizzando fuori i liquidi che vengono in parte raccolti nelle guaine di collagene (le guaine che avvolgono le fibre muscolari). A 60°C Tutte le proteine che restano coagulano spingendo ancora liquidi all’esterno, e rendono la carne opaca e turgida. A 66°C Anche le proteine della guaina (in gran parte collagene) si coagulano repentinamente e si contraggono. L’effetto è quello che si ottiene strizzando una spugna intrisa d’acqua, a questo punto i liquidi fanno ciao ciao con la manina alla carne. L’Istituto Superiore di Sanità raccomanda una temperatura di cottura di 77°C per il pollo, 82°C nel caso di un pollo intero. Un consiglio per salvaguardare la sicurezza alimentare (a quelle temperature si elimina la maggior parte dei batteri) più che strettamente gastronomico. Comunque, possiamo stabilire il primo criterio per il nostro petto di pollo alla griglia perfetto: la temperatura ideale per cuocerlo è compresa tra i 60°C e i 65°C. LA MARINATURA Esiste una differenza sostanziale fra la composizione di una salamoia ed una marinata: la salamoia è una soluzione salina a pH neutro o tendente al basico (acqua, sale e aromi) mentre una marinata è una miscela caratterizzata da una base acida arricchita di zuccheri, grassi, aromi, spezie. Ricordate che solo il cloruro di sodio, il sale in sostanza, è capace di migliorare profondamente le caratteristiche della carne in termini di succosità, sapidità e consistenza. Tutto il resto non fa altro che donare una copertura aromatica caratteristica e superficiale che si andrà a finalizzare e completare durante la cottura; i grassi, gli aromi e gli zuccheri assorbiti sulla superficie dell’alimento non faranno altro che dare una spinta alla reazione di Maillard e favorire la formazione della crosticina esterna. LA MARINATURA ACIDA Una marinatura tradizionale è costituita da: una fase acquosa acida, una fase grassa, un tensioattivo, erbe e spezie, zuccheri e sale. Quali sono gli effetti di una marinata? In ordine decrescente: – incremento dell’umidità della carne; – aromatizzazione; – ammorbidimento. 82 - BBQ4All MAGAZINE

L’acidità della componente acquosa di una marinata ha proprio il compito di magnificare la sensazione di succosità: l’esposizione diretta di piccoli tagli di carne a componenti particolarmente acide genera una trasformazione profonda dei tessuti muscolari e dei connettivi; un acido non fa altro che apportare ioni H + (derivati dall’acido acetico, citrico o lattico contenuti nelle basi acide). L’azione di questi ioni cambia radicalmente la conformazione delle proteine della carne, generando una denaturazione e successivamente una coagulazione molto simile a quella che avviene con il calore. Se immergete un pezzo di carne nel succo di limone vedrete un rapido e progressivo cambio di colore che interessa tutte le proteine, comprese i pigmenti muscolari come la mioglobina, che coagulano diventando di colore grigio. Le componenti acide, anche se hanno una velocità di penetrazione bassa attraverso la carne, modificano significativamente la struttura delle proteine rendendole capaci di trattenere una maggiore quantità d’acqua durante le fasi di cottura; parallelamente abbiamo anche un'importante metamorfosi a livello gustativo: la percezione di acido implementa in molti casi la gradevolezza del prodotto, occhio a non esagerare però. Le proporzioni tra gli ingredienti variano in base al risultato che vogliamo ottenere, ma indicativamente, il rapporto tra sostanza grassa e sostanza acida si aggira su una proporzione da 1:3 a 1:2. LE BASI ACIDE FERMENTATE Esistono moltissime basi fermentate, ma poche contengono microorganismi “vivi” responsabili del processo di fermentazione stesso. Yogurt, kefir e latticello sono sicuramente le più interessanti per quanto riguarda il profilo gustativo. L’utilizzo di questi ingredienti ha origini antichissime, tanto quanto la stessa pastorizia. I fermenti lattici e altri ceppi batterici (acetobatteri) non fanno altro che inacidire o meglio fermentare il latte generandone una parziale coagulazione. Le marinate a base di questi prodotti sono ricche di fermenti lattici che competono efficacemente con le altre specie batteriche, evitando contaminazioni crociate e conferendo una sorta di effetto conservante: i batteri lattici convertono efficacemente gli zuccheri del latte (il lattosio) in acido lattico abbassando il pH del prodotto. Il calcio, contenuto naturalmente nel latte e nei suoi derivati, favorito da un pH moderatamente acido, penetra efficacemente la carne attivando le calpaine e incrementando i'intenerimento e l’effetto di ritenzione. La cucina indiana, straordinariamente ricca per gusto e maestra nell’uso delle spezie, ha sdoganato la preparazione delle marinate a base di yogurt. Una delle preparazioni più conosciute che prevede l’uso di una marinata a base di latte fermentato è il famosissimo pollo Tikka Masala. Faremo così anche per il pollo del Club Sandwich. Tagliate il petto di pollo in strisce larghe 1,5cm e spesse 1cm, proprio per dare massima efficacia alla miscela. Per la marinata utilizzate uno yogurt intero, con una buona percentuale di grassi


GENNAIO 2020

- 83


(quello greco è ottimo) nella proporzione di circa 250 grammi per kg di pollo. I tempi di marinatura possono essere spinti anche per 12 ore, rigorosamente in frigorifero. Versate lo yogurt in una ciotola o in in sacchetto per il sottovuoto e aggiungete gli straccetti di pollo. Potete aromatizzare con le spezie che preferite, io aggiungo pepe di Timut, zenzero e scorze di agrumi (limone, arancia o lime). In questo caso non è necessario rimuovere la marinatura dalla carne prima della cottura perché darà un contributo importante nella formazione del bark. LA COTTURA L’ho detto prima, la temperatura ideale per cuocere un petto di pollo è circoscritta tra i 60°C e i 65°C. Ma sappiamo anche che le carni bianche vanno consumate solo se cotte alla perfezione,

perché potrebbero essere contaminate da batteri come la Salmonella o il Cam­pylobacter. La tabella 6.5D della Food and Drug Administration riporta i tempi necessari per rendere un alimento igenicamente sicuro alle varie temperature, ma tali tempistiche si calcolano dal momento in cui il cuore del nostro pezzo di pollo raggiunge quella determinata temperatura: dobbiamo quindi prevedere con un buon margine di sicurezza il tempo necessario affinché il calore si trasferisca dalla superficie all'interno. Per evitare di correre rischi, sia per la salute che per il nostro buon nome di cuochi, trasferiremo il nostro pollo sottovuoto in acqua e lo cuoceremo a 63°C per almeno 40 minuti. Quindi lo estrarremo dal sacchetto, elimineremo la marinatura in eccesso e lo rosoleremo sulla piastra o in una padella rovente fino ad ottenere dei bocconcini di pollo succosi e ben dorati.

TABELLA FDA 6.5D: INATTIVAZIONE SALMONELLA NEGLI ALIMENTI La tabella qui riporta le combinazioni di tempo e temperature sufficienti per eliminare il rischio di contaminazione da Salmonella nel pollame, manzo e maiale. Le temperature indicate sono riferite a quelle raggiunte nel nucleo del cibo, e il tempo viene calcolato a partire del raggiugimento di quella temperatura interna. È necessario un termometro accurato. In caso di dubbio, è sempre opportuno mantenere la temperatura scelta per un tempo superiore al tempo indicato. Le raccomandazioni di cottura della FDA per alimenti freschi si riferiscono ad una riduzione di 6,5 D (dove D sta per "decimale" o fattore 10), che corrisponde all'uccisione del 99,9997% dei patogeni presenti.

84 - BBQ4All MAGAZINE


TEMPERATURA (°C)

SPESSORE

55

56

57

58

59

60

61

62

63

64

65

66

3.33

2:41

2:00

1:30

1:08

0:51

0:40

0:31

0:25

0:20

0:17

0:14

10

3:35

2:43

2:04

1:36

1:15

1.00

0:49

0:41

0:35

0:30

0:27

0:24

15

3:46

2:55

2:16

1:48

1:28

1:13

1:02

0:53

0:47

0:42

0:38

0:35

20

4:03

3:11

2:32

2:04

1:44

1:28

1:17

1:08

1:01

0:56

0:52

0:48

25

4:17

3:25

2:46

2:18

1:57

1:41

1:30

1:21

1:13

1:08

1:03

0:59

30

4:29

3:38

3:00

2:32

2:11

1:55

1:45

1:33

1:26

1:19

1:14

1:10

35

4:45

3:53

3:15

2:46

2:25

2:09

1:56

1:46

1:38

1:31

1:26

1:21

40

4:59

4:07

3:29

3:00

2:39

2:22

2:09

1:59

1:50

1:43

1:37

1:32

45

5:21

4:29

3:50

3:22

3:00

2:42

2:29

2:17

2:08

2:00

1:53

1:48

50

5:45

4:53

4:14

3:44

3:21

3:03

2:49

2:37

2:27

2:19

2:11

2:05

55

6:10

5:18

4:39

4:08

3:45

3:26

3:11

2:58

2:47

2:38

2:30

2:23

60

6:38

5:45

5:06

4:35

4:10

3:50

3:34

3:20

3:09

2:58

2:50

2:42

65

7:07

6:15

5:34

5:02

4:36

4:15

3:58

3:20

3:09

2:58

2:50

2:42

70

7:40

6:45

6:03

5:30

5:04

4:42

4:23

4:08

3:54

3:43

3:32

3:23

(mm)

5

Spessore della carne, temperatura di cottura e temperatura al cuore: la tabella riporta il tempo necessario alle diverse temperature e a seconda dei diversi spessori per trasferire il calore al cuore dell'alimento (petto di pollo con temperatura iniziale di 5°C). Fonte: Modernist Cuisine

I POMODORI E L'INSALATA Dico, è complicato? Perché mettere un metro quadro di lattuga in un panino così com’è? L’insalata croccante, fresca, ci vuole e ci sta bene, ma non credo sia complicato lavarla, asciugarla benissimo, tagliarla a striscioline, aggiungere un goccio di olio, un po’ di pepe, un niente di sale, qualche stilla di aceto e via. Potete utilizzare la varietà che più vi piace, io vi consiglio l’Iceberg perché particolarmente croccante e fresca.

E i pomodori? Per evitare che rilascino troppi liquidi di vegetazione asciugateli bene con della carta da cucina. Le mie cultivar preferite per questa ricetta (e per i panini in generale) sono il San Marzano, il Cuore di bue, il Costoluto, il Tondo insalataro e il Camone.

GENNAIO 2020

- 85


LA MAIONESE SCIENTIFICA

La maionese è la mia salsa preferita, ci puccerei dentro anche i mattoni (e la faccia). Ho un amore morboso per questo condimento, senz’ombra di dubbio una delle più grandi invenzioni del genere umano insieme al fuoco e alla ruota. La maionese nel Club Sandwich non dovrebbe essere un optional. Se preparata con cura, è l’unico elemento di contrasto che permette di bilanciare perfettamente il gusto pieno e corposo del pollo e quello opulento del bacon: il segreto si chiama acidità. COS’È UN’EMULSIONE La maionese è un’emulsione di olio, senape e una parte acida tenuta insieme dall’uovo che fa da agente emulsionante. Olio e acqua non si mescolano, lo sanno proprio tutti. Eppure pochi sanno perché. Le molecole d'acqua sono elettricamente sbilanciate, o polari: ognuna ha una leggera carica positiva intorno all'atomo di ossigeno e cariche negative parziali intorno ai due atomi di idrogeno. Le molecole d'acqua tendono quindi a legarsi tra loro perché l'estremità negativa di una attrae l'estremità positiva di un'altra. Ma le molecole di olio, essendo apolari non interagiscono così bene con l'acqua come l'acqua si mescola con se stessa. Infatti, gli scienziati si riferiscono ai grassi come molecole idrofobe, ovvero che “temono” l'acqua. Se mescoliamo molto forte acqua e olio, questo si frammenterà in goccioline piccole piccole, che tuttavia non si scioglieranno mai veramente nell'acqua. A occhio nudo può sembrare che si mescolino perché le goccioline sospese hanno la capacità di diventare microscopiche. Le emulsioni sono meta-stabili, significa che, trascorsa una frazione di tempo, si separano negli elementi che le compongono. Ma questo non vuol dire che non si possa fare nulla per legare più a lungo queste componenti. Le goccioline d'olio o le bolle d'aria sospese in un liquido sembrano e si comportano come particelle solide. Queste particelle influenzano la capacità dell'acqua di muoversi e quindi conferiscono alla miscela proprietà distintive. In qualsiasi emulsione, sono due gli elementi imprescindibili: olio (o grasso liquido) e acqua (o qualsiasi liquido a base d'acqua). Uno di questi ele-

86 - BBQ4All MAGAZINE

menti svolge il ruolo della fase continua (detta anche fase disperdente), che è la porzione che sospende le goccioline dell'altro elemento, detta fase dispersa o discontinua. Se la fase continua è acqua e la fase dispersa è olio, questa viene chiamata emulsione olio-acqua, o emulsione O/A. Il latte, allo stato naturale, è un'emulsione O/A con particelle di grasso di latte disperse in tutta la fase acquosa continua. Anche la panna e la maionese sono emulsioni O/A. Per quanto riguarda il rovescio della medaglia, il burro è un esempio di un'emulsione acqua-in-olio, o A/O. Qui un elemento oleoso (grasso del burro) sospende uno stato disperso dell'acqua dalla panna. Una parte del grasso del burro si solidifica in minuscoli cristalli che aiutano a stabilizzare l'emulsione. E come facciamo per rendere stabile un’emulsione? ridurre le goccioline alla dimensione più piccola possibile aiuta a creare un composto relativamente stabile per sua natura. Ma per far sì che l’emulsione duri a lungo è necessario aggiungere un emulsionante, un agente che aiuti a creare o a rompere un’emulsione. Di base, le miscele di emulsionanti funzionano meglio di un emulsionante solo. Una regola generale è che il volume di un emulsionante O/A deve essere circa il 5% del volume della fase oleosa. Uno tra gli emulsionanti più potenti ce l’avete in cucina, è il tuorlo d’uovo, ricchissimo di lecitine. Ma prima di passare alla ricetta della maionese facciamo un ripassino veloce sulla composizione delle uova e come si comportano quando vengono riscaldate e unite ad un grasso.


DENATURAZIONE E COAGULAZIONE Da che cosa è composto l'uovo? Albume e tuorlo. Bianco e rosso. L'albume è prevalentemente costituito da proteine. Il tuorlo da proteine e grassi. Che cosa succede quando somministriamo calore ad un uovo? Semplice: da liquido diventa solido. Il bianco da liquido traslucido trasparente diventa solido e opaco. Il rosso, da liquido viscoso e brillante diventa un solido arancione dalla consistenza sabbiosa. E fin qui ci arriviamo tutti. Ma che cosa succede esattamente a livello delle strutture interne?Familiarizziamo con due termini che ci verranno a trovare ogni volta che ci capiterà di cuocere proteine: denaturazione e coagulazione. Per spiegare bene il concetto di denaturazione proviamo ad immaginare uno di quei cavi arrotolati a forma di elica. Avete presente le cornette del telefono degli anni '80? Immaginate che le proteine siano fatte un po' in questo modo, a spirale. La denaturazione è quel momento in cui tagliamo i legami agli estremi che obbligano l'elica a rimanere arrotolata. Una volta denaturate, le proteine possono “srotolarsi” e fare le loro cose insieme ad altri elementi. La denaturazione può avvenire per via chimica, meccanica o termica.

L'acidita del limone, per esempio “cuoce” le proteine. L'albume montato a neve è un esempio di denaturazione per azione meccanica e la cottura dell'uovo al tegamino è un esempio di denaturazione e coagulazione per via termica. Immaginiamo le proteine dell'uovo, come dei gomitoli di lana sospesi sul pelo dell'acqua. Inserendo sostanze acide, agitando l'acqua o aumentando la temperatura, alcune proteine cominciano a “srotolarsi” parzialmente: si “denaturano”. La coagulazione invece è molto più evidente della denaturazione e si ha quando le proteine denaturate si separano dagli altri elementi e solidificano. Applicare calore per un tempo più o meno lungo fa in modo che le proteine creino una struttura che intrappola l'acqua e crea un gel, un solido morbido. Avete presente le uova strapazzate? La meringa? Ecco, quella roba lì. GENNAIO 2020

- 87


Quando due proteine denaturate si incontrano nel mare in cui sono sospese, si possono legare tra loro e poco alla volta formano un reticolo tridimensionale solido, che ha intrappolato l'acqua al suo interno: questa è la coagulazione. Se questo reticolo proteico diventa troppo fitto, finisce che l'acqua intrappolata viene “strizzata” fuori e ciò che rimane è un groviglio di proteine asciutte. Ecco spiegato l'uovo troppo sodo in cui l'albume sembra silicone e il tuorlo una pappetta di sabbia collosa. Il rosso d’uovo, la parte che ci serve per preparare la maionese, è fatto dal 50% di acqua, dal 32% di grassi e dal 16% di proteine. Questi grassi e queste proteine, di solito, sono però associate e legate insieme in particelle che prendono il nome di lipoproteine. Il tuorlo è una dispersione di granuli in una massa acquosa. È già di suo, per conformazione naturale, un'emulsione, cioè una soluzione di acqua, proteine e grasso stabilizzata grazie anche all'elevato contenuto di lecitine. Queste hanno una parte idrofila che si lega all'acqua e una parte idrofoba che si lega ai grassi. In pratica fanno da collante fra tutti i diversi elementi.

tà del tuorlo. E prima di preparare la maionese, riscaldo le uova per due motivi. 1. PASTORIZZAZIONE Non amo utilizzare l’uovo crudo nelle mie ricette, il rischio di contaminazione è sempre dietro l’angolo e voglio che prepariate questo sandwich a casa in tutta sicurezza. È possibile pastorizzare le uova, anche intere, tenendole a 57°C per 2 ore; in questo modo si ottiene un risultato indistinguibile dal crudo, ma esente da rischi. 2. POTERE EMULSIONANTE Somministrare calore ai tuorli d’uovo significa amplificare il loro potere emulsionante, che stabilizzerà ulteriormente la maionese. Per questo motivo, anziché fermarci alla temperatura sufficiente per la sola pastorizzazione, sceglieremo una temperatura lievemente più alta, somministrata in un tempo più breve. Potete preparare le uova in due modi.

Del perché e percome il tuorlo d'uovo si solidifica ci importa fino a un certo punto. Ciò che è importante sapere è che le maggiori responsabili della capacità del tuorlo di diventare duro sono le lipoproteine LDL (Low Density Lipoproteins), che rappresentano all'incirca l'85% del totale delle proteine presenti nel tuorlo. Queste lipoproteine iniziano a coagulare a 65°C e finiscono di coagulare a 70°C. Questo ci dice che gli stadi intermedi aumentano, man mano che sale la temperatura, la viscosi-

88 - BBQ4All MAGAZINE

Sous Vide: separate i tuorli dagli albumi e sbatteteli con una frusta. Quindi versateli in un sacchetto per la cottura sottovuoto e sigillateli. A bagnomaria: dopo aver sbattuto i tuorli con la frusta, prendete una bastardella e mettetela in un tegame pieno d’acqua scaldata a 90 gradi. Deve sobbollire, non serve il bollore completo.


E le temperature? Io scaldo i tuorli in sous vide a 62°C per 1h. Mi raccomando, non superate mai i 62,5°C, rischiate di cuocerli. Prima di passare alle dosi, vi avverto che tornerò a parlare di maionese in maniera ancora più approfondita nei prossimi numeri. Nel frattempo fissate bene questi tre punti: Strumenti: potete utilizzare una frusta a mano, le fruste elettriche, la planetaria, un minipimer o addirittura un frullatore. Sono tutti utensili appropriati, vi anticipo solo che con la frusta a mano impiegherete più tempo. Consistenza: volete una maionese più compatta? Aggiungete olio al vostro mix. Sapore: non vi piace l’aceto? Sostituitelo con altrettanto succo di limone o altro frutto acido (lime, arancia, passion fruit). L’aroma dell’olio extravergine di oliva vi sembra troppo invasivo? Utilizzate solo olio di semi.

LA RICETTA Ingredienti (dose da 400g circa) • 60 g di tuorli (3-4 tuorli grandi) pastorizzati, ancora tiepidi • 150 ml di olio di vinaccioli/noce/ semi di girasole • 150 ml di olio extravergine delicato • 10 ml di succo di limone (fino a 20ml) • 10 ml aceto di vino bianco (fino a 15ml) • Se vi piace, io non la metto: 15 g di senape di Digione (1 cucchiaino) • 3 g di sale • 1 g di pepe di Timut

Procedimento Miscelate i due oli in un contenitore con beccuccio. Sbattete i tuorli pastorizzati ancora tiepidi (aggiungi ora la senape se ti piace) e versate a filo l’olio, continuando a sbattere con le fruste. Una volta ottenuta un composto denso, aggiungete la nota acida del limone e dell’aceto e aggiusta di sale e pepe. Utilizzate la salsa ben fredda, si conserva in frigorifero fino ad una settimana. GENNAIO 2020

- 89


IL MONTAGGIO DEL SANDWICH Il Club Sandwich è molto meno banale di quanto pensate e copre tutte o buona parte delle percezioni che la lingua è in grado di rilevare: aspro, dolce, salato e amaro per amplificare l’esperienza gustativa. Uno strato di pane imburrato e tostato, maionese, insalata, pomodoro, bacon, pollo e ancora maionese, ricordati che le fette di pane sono 3 e gli strati totali 15. Aggiungete elementi sapidi e croccanti oltre ad un minimo di pungenza per arricchire ulteriormente la salsa (wasabi, kren). Scegliete sempre gli ingredienti in funzione dell’equilibrio gustativo riproponendovi di non mischiarli a caso. Su tutto, ricordate la nota unta e lussuriosa della maionese. Non ne serve molta (forse) ma è fondamentale. Gianfranco Lo Cascio

90 - BBQ4All MAGAZINE


GENNAIO 2020

- 91


SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI

SEGUO Nell’anno 2015, in un’Italia ancora non toccata dal Revit, quando solo pochi appassionati avevano smesso di bucare le salsicce, mi capitò di trovare, incastrato in un pallet di sacchi di bricchette destinate ad un gruppo d’acquisto irraggiungibile, un manoscritto.

Vergato con una grafìa nervosa, grottesca e appassionata in quei segni marcati di sbalzi d’umore palesi, era probabilmente stato smarrito da un grigliatore fanatico, frequentatore di social e appassionato, potrei dire, di serie TV vecchio stile: quelle girate “live” in un teatro di posa in un massimo di tre set. Lo stropicciato fascicolo era infatti presumibilmente la puntata zero, l’episodio pilota a scopo valutativo di una specie di sitcom sgangherata che prende come “pretesto accentratore di eventi” il più potente generatore di convivialità del mondo conosciuto, il primo motore immobile di commensali e criticoni, il barbecue. La serie non è stata, ormai penso di poterlo affermare con sicurezza, mai presentata a nessun network, servizio di streaming o tv locale (di quelle con le sovraimpressioni CHIAMAMI ORA), forse proprio a causa dello smarrimento del manoscritto, con probabilissimo meltdown finale dell’autore, già visibilmente provato a livello emotivo. Per anni mi son rigirato tra le mani questo plico di carta, indeciso sul da farsi, rifiutando l’idea di appropriarmi del merito intellettuale di quest’opera, per quanto completamente priva di valore o commerciabilità; chissà se ai cinque lettori (ne abbiamo 92 - BBQ4All MAGAZINE

acquisito un altro a dicembre, dopo l’acquisto dell’Almanacco Magazine 2019, non siamo più solo quattro) di questa rubrica potrà interessare la lettura del materiale frutto del fortuito ritrovamento. È solo un episodio zero, per cui tutti i personaggi hanno lo spessore del foglio di carta su cui sono stati descritti, le dinamiche interpersonali sono solo abbozzate e soprattutto, ripeto soprattutto, nessuno dovrà mai, per nessun motivo, sentirsi descritto o deriso da queste vicende: sono cose scritte ormai cinque anni fa, da uno sconosciuto che non conosco e che non vi conosce. La mia unica funzione sarà quella di decifrare la brutta grafia, limare la forma zoppicante e proporvi solo quelle tre o quattro gag che può essere simpatico leggere assieme. L’opera, dopo una serie di ripensamenti e di titoli cancellati con graffi furiosi della penna biro, pare chiamarsi: VITA BRISKETTATA AMORI IN FOIL CALDI A-BRACI OTTO SOTTO UN WATERPAN CAPRIOLE DALLA SEDIA


OSSESSIONI IN GRIGLIA “Ossessioni in Griglia è registrato in presa diretta di fronte a un pubblico, le cui risate scandiranno il ritmo delle varie gag” Gianni, trentaseienne web designer freelance, sta arrivando, in compagnia della fidanzata Tosca, nei pressi del cortile della casa dei genitori di lei, dove dopo anni di totale riservatezza conoscerà l’intera famiglia acquisita. T ...E per renderti tutto ancora più facile, Gianni, ho avuto un’idea: incontrerai i miei non a un pranzo austero e serioso, ma ad un barbecue, la tua passione! G Oh… ad un barbecue. Forse volevi dire a una grigliata? T Ad un barbecue [scandisce Tosca, seccata]… accendiamo il barbecue, e facciamo il barbecue! Bistecchine di maiale, salsicce, rostinciana e i miei preferiti, gli spiedin… GIANNI?! Perché fai quella faccia? Hai già trovato qualcosa da ridire nel mio programma? G No, uh, nononono. Bellissimo, una bella grigliata brutta, voglio dire, tradizionale! Un’ottima occasione per rompere il ghiaccio, e poi con tutti i corsi che ho fatto potrò anche insegn… T Mio padre SA GIA’ TUUUTTOO. Lui griglia fin da quando ero piccola sai? Fa le costine più croccanti del vicinato, belle secche, magre, ...e non roteare gli occhi, che ti ho visto.

mio trono, ordire malversazioni a mio danno, provarti le mie calzature in cristallo? Quanto sei disneyana Tosca, disneyana anni ‘70 però, non disneyana contemporanea col politically correct e il… Oh, ma lasciatemi pure solo col mio eloquio, non mi offendo affatto, andate, andate. [Massimo, scopertosi improvvisamente a parlare da solo, si incupisce] Tosca tira via con sé Gianni, procedendo a passo svelto verso una griglia in muratura costruita malamente con bozze di calcestruzzo; Gianni cerca invano di girarsi per salutare con la mano Massimo, che rimane rabbuiato vicino al cancello. Appare un uomo di quasi sessant’anni, con una spazzola di capelli brizzolati in testa e un paio di occhiali da sole da elicotterista, eccessivamente grandi per la sua fisionomia; all’angolo della bocca una perenne cicca di sigaretta, tenuta per darsi un piglio feroce, come se fosse un sigaro cubano.

Un ragazzo di neanche vent’anni, dall’aria perennemente scocciata, spalanca il cancello del cortile, pochi istanti prima che i due suonino il campanello. M Vi sentivo dare aria alle cavità fonatorie già dall’inizio del viale, complimenti. Ne deduco banalmente che tu sei… Giovanni, il nuovo Bounty Killer della mia sorellaccia, e… G ...sarei Gianni [alzando il dito indice della mano destra] T Massimo, piantala subito di chiamarmi sorellaccia davanti alle persone! M Preferisci sorellastra? Hai forse intenzione di usurpare il

T Sono arrivata in tempo babbo? S Per la mia grigliata sei sempre in orario! Ho già versato l’alcool sul carbone, ora vado a prendere l’asciugacapelli e qualche giornale e accend… Gianni interrompe lo slancio di affetto genitoriale con malcelata saccenza: G A dire il vero con un cesto accenditore, dei cubetti starter in gel e delle bricchette riusciremmo ad avere il combustibile ben caldo in meno tempo, senza rischi, fumi neri e phon squagliati, basterebbe che… S Tu saresti? GENNAIO 2020

- 93


L’uomo si avvicina con le mani sui fianchi e un fare militaresco a Gianni, riducendo le distanze a molto meno di qualsiasi soglia di comfort.

rotto bruscamente dall’arrivo di un nuovo personaggio che si sporge maldestramente dal muretto del cortile: MR Ehi ehi Ehi! Ma voi, INVITARE MAI eh??

Aaaallora babbo, questo è Gianni, e come te è un GRANDE appassionato di barbecue! Ha fatto un sacco di corsi, ha imparato da gente molto esperta e… a dire il vero ogni volta che griglia qualcosa è un patimento, sempre a controllare temperature e tutto ma… dai, avete la stessa passione! Sergio… [si presenta e offre una stretta di mano eccessivamente stritolante] E in questi corsi vi insegnano ad accendere le bricchette nei vostri tutù immacolati e lo chignon, vero?

Il pubblico ride per svariati secondi. I personaggi esitano a continuare finché non si estingue la risata fragorosa dovuta all’entrata in scena spumeggiante e al riuscitissimo tormentone del Comic Relief della serie, un corpulento trentenne con il logo di Call of Duty tatuato sull’avambraccio destro e un tribale, ricavato dalla ricerca “best tribal tattoo” su Google immagini, sul polpaccio sinistro.

Tosca ridacchia nervosamente e saltella sul posto cercando di stemperare la tensione. Gianni si gratta una tempia cercando di respirare lontano dalla sigaretta semi spenta; Massimo, in disparte, osserva incuriosito e twitta senza sosta.

M Ed ecco che alfin giunse. [Massimo, scrollando la testa e borbottando brani de “Le Nozze di Figaro”, va ad aprire] MR OOoooh, ecco Massimo Della Pena! Secchioni ne abbiamo?? [ride]

G In questi corsi, a cui partecipano uomini e donne con abbigliamento a piacere, ci insegnano ad esempio a cuocere la bistecca perfetta, oppure… S AAH BEH. Sai qual è la bistecca perfetta? [alza la voce e si guarda intorno a cercare consensi] Quella alta almeno quattro dita!

Il pubblico scoppia a ridere. Massimo, digrignando i denti, borbotta:

T

S

M Crude furie degl’orridi abissi, aspergetemi d’atro veleno; crolli il mondo e l’sole s’eclissi, a quest’ira che spira il mio seno! MR Il tuo seno? [dà un pizzicotto al petto di Massimo, il pubblico ride fragorosamente] M Anch’io sono ben lieto di vederti, Mauro. Massimo si incupisce e si mimetizza con l’ambiente circostante fino a sparire. Tosca, sempre più in ansia, si precipita ad accogliere l’inatteso ma autonomamente invitato ospite: T Mauro, ehm, ciao, stavamo preparando un barbecue, G ...a dire il vero una grigliata [Gianni si intromette alzando l’indice della mano destra] T Ssssi, per piacere [Tosca digrigna i denti e fulmina Gianni], stavamo cucinando un po’ di carne e potresti ...unirti a noi, certo, stavo quasi per chiamarti! Questo è Gianni, il mio, sai, è il mio, voglio dire, noi [gesticola], cioè insomma non è che proprio noi, NOOO, pochin… cioè, MR Ah. Ti sei appassionata al genere “secco” quindi? [Mauro si fa ostile, indica la figura esile di Gianni, il pubblico ride] Irrompe velocemente in scena Sergio, con un forchettone in mano, tuonando con una voce tendente più al ruggito da stadio:

Gianni comincia a iperventilare, Massimo inizia a riprendere prevedendo un possibile “contenuto video”. S ...E sai perchè almeno quattro dita? G Sì, ok, ne ho sentito parlare, tuttavia uno spessore anche meno… S Sai perchè -almeno- quattro dita? [scandendo e smettendo di sorridere] G Certo… va bene dai, adesso non… S Perchè sotto le quattro dita… E’ CARPACCIO! [prorompe in una risata esagerata] L’imbarazzo generale di una battuta a cui nessuno ride è inter94 - BBQ4All MAGAZINE

S GRANDE Maurooo! Oh, figurati che questo è anche un grande esperto di barbecue, a me pare uno che toglie il grasso al prosciutto! [segue un rituale di strette di mano segrete tipo gang del Bronx] G Posso farvi notare che sono davanti a voi e vi posso sentire? [Gianni alza di nuovo l’indice della mano destra] S Ma lo vogliamo adoperare o no questo professorone della ciccia, eh? E quando ci ricapita? Fai una cosa, scèf...toh! Facci alla perfezione questa bella bisteccona di pediatrica! Sergio porge bruscamente una bistecca a Gianni, facendo ben attenzione a mostrare le sue quattro dita usate a mo’ di spessimetro. G Sarebbe Podolica. Beh io sono abituato ad altre razze, ma il


punto è… A che sei abituato? Alla scottona? [Sergio fa sfoggio della sua competenza e si aggiusta gli occhiali sul naso] G La scottona è una femmina di bovino che non ha mai partorito, di solito non più vecchia di 16 mesi, non è una razza, ma il problema è che... S

Massimo, al bordo estremo dell’inquadratura, sta riprendendo tutto col cellulare per una delle sue Stories. Commenta la scena ad alta voce, interrompendo il flusso di pensieri di Gianni: M Lo sventurato rispose! G ...il problema [Gianni riprova ad argomentare] è che è troppo tardi, per trattare decentemente un taglio di quello spessore bisognerebbe fare tre-quattro ore di dry brining, una decina di ore di reverse searing, e forse allora... Sergio e Mauro scoppiano in una risata sguaiata.

brace. [Sergio ripristina il corretto allineamento dei suoi occhiali e sistema la cicca all’angolo destro della bocca] Taglio, i cinque sono a tavola: Gianni è in un bagno di sudore, Tosca evita il suo sguardo, Massimo sta googolando qualcosa su tre dispositivi diversi mentre in cuffia ascolta un audiolibro su Max Planck e la costante acca tagliato, Mauro porta trionfante in tavola un vassoio con una quantità sconsiderata di carne grigliata in una tonalità tendente per lo più al nero: MR EEE-Oooh! [con una convinzione simile a quella di Freddie Mercury al Wembley Stadium durante il Live Aid del 1985] ...proteine NE ABBIAMO? L’azione si interrompe per i successivi minuti di risate ininterrotte del pubblico. S Alla bimba la rosticciana bella croccante, di quella bella tenace che ti rimane tra i denti tre giorni, come piace alle persone per bene [Sergio dà un’occhiataccia a Gianni e esita

MR Secco aspetta, mi vuoi dire che per mangiarmi una bistecca devo partire a cuocerla il giorno prima? Tempo da perdere NE ABBIAMO?? [Mauro si prende interminabili secondi di applauso dal pubblico] Tosca è in posizione fetale con le mani fra i capelli, Massimo è perfettamente mimetizzato col Pitosforo. G Ma no, non è una cottura, è una preparazione alla cottura. Per fartela breve, molto breve, nel reverse searing cerchiamo di ammorbidire il collagene tenendo per ore la bistecca nel forno, inoltre le catepsine… S FERMO UN PO’ In un silenzio agghiacciante tutto si ferma, solo il pubblico emette in coro un “oooh” di sdegnata disapprovazione. Sergio si avvicina con modi da sergente a Gianni, accostandogli il forchettone unto allo zigomo. S In casa mia, nessuno, dico nessuno ha mai messo una bistecca in forno. In casa mia la bistecca va cotta cinque minuti per lato e poi sette minuti in piedi sull’osso. E quando la affettiamo sai cosa deve fare? Cosa deve fare, Mauro? [sbraita senza distogliere lo sguardo da un ormai sudatissimo Gianni] MR Deve MUGGIRE signore! [Mauro batte i tacchi] Al sangue! Grondante sangue! G Sarebbe miosina [Gianni alza l’indice della mano destra] Tosca con un guizzo acrobatico trattiene la mano sinistra di Sergio, già caricata nel gesto dello schiaffo a mano aperta. S Ma questo ha la provvigione da Eni Gas & Luce? Vabbè mangiamo, che sono pronte le salsicce aperte a libro sulla

un attimo], a Mauro centoventordicinquanta salsicce [il pubblico ridacchia, Sergio scandisce di nuovo] ...centoventordicinquanta!! [il pubblico, strigliato da un assistente di produzione, ride più convinto], per me una scamerita ben cotta… e per il professorone abbiamo messo in forno la bistecca, ripassi pure fra quindici giorni! [Ride sguaiatamente, il pubblico è in delirio. Una musica swing con assolo finale di batteria sottolinea la pregevolezza della gag]. Massimo alza il capo dai suoi schermi: GENNAIO 2020

- 95


M Ehm… GenitoreUno, ci sarei anch’io. S Ah, vero, lo sai che a volte mi ubriachi con la tua simpatia e qualcosa mi sfugge… È avanzata qualche verdura da grigliare? Chiedo per un amico vegetariano eh! [Rumoroso “ooooh” del pubblico in sala] M Non - sono - mai - stato - vegetariano. Non mi piace - mai - quello che grigli. [Massimo, afflitto, si tuffa nello stream di Instagram, arroventando il touch screen con continue strusciate del pollice] MR ...E allora sei vegetariano e non hai ancora fatto coming out! Peso Massimo!! [Mauro assesta una sonora botta sulla schiena di Massimo, il pubblico ride] M Vi son uomini ch’io ho bisogno di vedere soltanto da lontano. [Massimo borbotta a testa bassa sul cellulare] Gianni, a bassa voce, avvicinandosi a Massimo:

di problemi comuni, io e te. Posso aiutarti. E tu, forse, potrai finalmente farmi mangiare la carne in maniera decente. G Dimmi solo di cosa hai bisogno. [Musica tensiva, buio] Con questo abusatissimo Cliffhanger si conclude l’episodio pilota nelle intenzioni dell’Anonimo. Francamente non capisco come possa interessare a un network, e forse non interesserà neanche ai miei lettori. Le prime righe della pagina successiva, però, mi gelano la schiena. Il titolo dell’episodio successivo è:

MAURO ESIGE RISPETTO. Emiliano Nencioni

G Foscolo? Massimo meravigliato alza il capo lentamente e scruta pensoso Gianni: M Sai, ho letto qualcosa poco fa… su quei tuoi metodi. Ha senso. Riscaldare la carne all’interno, ammorbidire il collagene, salare la carne ore prima, l’acqua che affiora in superficie, gli ioni sodio e cloruro che penetrano nella carne. Ha senso, davvero. Potremmo… potremmo risolvere un paio 96 - BBQ4All MAGAZINE


MAIL CLASS LA SERIE DI EMAIL DIDATTICHE DI GIANFRANCO LO CASCIO

Cercare informazioni, metterle in fila, filtrarle e poi farne un compendio presume una grande voglia di mettersi in gioco, ma soprattutto una grande disponibilità di tempo.

TEMPO CHE SPESSO, PURTROPPO, NON HAI. La buona notizia è che possiamo aiutarti. Non solo a mettere ordine alle informazioni, ma soprattutto a rendere la conoscenza semplice ed immediata attraverso una serie di mini-lezioni che ti permetteranno, già dalla prima, di cambiare totalmente il tuo approccio alla scelta e alla preparazione della carne. L’obiettivo di BBQ4All è mettere nelle tue mani lo strumento che ti permetterà di scegliere, selezionare e cuocere al meglio qualunque pezzo di carne, e meglio di chiunque altro. Tutto questo potrai ottenerlo, a partire da subito, dedicandoti per 5 minuti alla lettura di una breve mail che ti invieremo ogni giorno, gratuitamente.

VUOI DIVENTARE UN VERO GRILL MASTER? Iscriviti subito alla mail class, inizia da qui:

http://www.bbq4all.it/mail-class

ISCRIVITI


NEW YORK

SLIDERS 200g (4x50g)

Un piccolo hamburger che andrà letteralmente a ruba nelle occasioni di festa. Particolarmente adatto ai bambini per le dimensioni ridotte, è perfetto per aperitivi, cene informali, serate in famiglia. Un vero e proprio boccone di puro sapore, che si presta ad essere declinato in mille versioni e abbinato a un’infinità di sapori, ma sorprendentemente gustoso e succulento anche da solo.

ORIGINAL

BURGER 200g

Diventa il re della griglia durante le giornate in compagnia di amici e familiari grazie a questo hamburger da 200 grammi. Il perfetto bilanciamento del gusto, dato dall’equilibrio ideale di parte grassa e parte magra nella composizione del patty, lo rende un prodotto di cui non potrai più fare a meno. Dimentica gli hamburger sottili e insapori e preparati a un’esplosione di gusto, senza rinunciare alla praticità di un prodotto confezionato in skin.


BURGER

STEAK 300g

Trecento grammi di carne macinata, condita e ricompattata in una polpetta dallo spessore consistente. Questo Burger Steak unisce le due cose fondamentali che tutti cercano in cucina: qualità ottima e velocità di preparazione. In pochi minuti potrai servire un piatto ricco, bello da vedere, con un sapore esplosivo e una qualità indiscussa. Un hamburger alto, saporito, soddisfacente, che si presta a essere servito in mille modi diversi, mai asciutto e stoppaccioso. Scalda bene la griglia prima di mettere il Burger Steak in cottura, rigiralo spesso per creare la crosticina esterna senza rischiare di bruciarlo, cuocilo per pochi minuti e servilo come una tagliata, aggiungendo il tuo condimento preferito. Un sicuro successo. Un vero salva-cena di altissima qualità.

DOVE TROVARCI puoi trovare la mappa interattiva di tutti i punti vendita costantemente aggiornata all’indirizzo http://products.bbq4all.it/dove-trovarci/


CLUB

Dire tta m e n t e da lla com m uni ty d i maes tri d i barb ecu e p iù gran d e d ’Ita lia, na s c e i l pre st i gi oso c lub ch e ti offre la p o s s ibilità d i avere: accesso p riorita rio a l meg a store, dove pot ra i fa re ra zz i e men tre tu tti gli altri “s o no in coda”; u na p rogram mazi o ne intellig ente dei tuoi a cquisti gra z i e a l c re di to m e ns ile p rep agato (s cegli tu quan to ); u n coach priva to che ti g uiderà ne l fa r t i vi ve re l’ e sperien za p iù eccitan te d i s emp re con la pre parazio n e d ei tu oi p iatti; e molto a ltro a ncora... Av ra i tu tto que sto solo se t i i sc rivi s u bito al MEGASTO RE CLU B, l’u n ico luogo r i s e rvato a una c e rc hi a r i st re tta d i as p iran ti grill mas ter ch e d es id era no a ppre n de re pi ù ve loc e m e n te e n el modo p iù accu rato p o s s ibile, la sublime arte d el grill. Puoi di si s criverti quan do vu oi e i l tu o cred i to sa rà sempre disponibile.

collegat i a

H T T PS : / / C LU B M E G ASTO R E . B BQ 4 A L L. I T e c hi e di i nfo rmazio n i p iù d ettagliate, pr i ma c he i coac h fin is cano e le is crizio n i ch iu dano .


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.