N°35/ANNO 3 - NOVEMBRE 2021
SPECIALE
RIBS
L'EDITORIALE DI GIANFRANCO LO CASCIO
Beef Ribs per principianti
LE RICETTE Beef Ribs, Ragù di pork ribs, Ribs fritte, Giant Rib Sandwich, Tacos di beef ribs, Ribs e fagioli, Ribs e zuppa di funghi
ARTE BIANCA
La ciabatta
IL QUINTO QUARTO
Le frattaglie bianche
LA RICETTA SCIENTIFICA
Frittata di patate
Direttore Editoriale Rossella Neiadin
Redattore Capo Michela Bongiorni
Redazione
Enio Berton Virgilio Brunetti Tommaso Buccafurri Nunzia Clemente Roberto Dal Bosco Salvatore Di Mento Luca Gallozza Marco Gerometta Mariangela Ibba Gianfranco Lo Cascio Riccardo Meniconi Giovanni Minelli Emiliano Nencioni Elena Ninotti Andrea Spaggiari Alessandro Trezzi Carlo Trono Paolo Tucci Alex Vasile Caterina Vianello Alberto Zonghetti
Realizzazione Grafica
Impaginazione Carlo Trono Illustrazioni di Eleonora Castagna e Ozzy Bellesi Fotografie di Rossella Neiadin, Luca Gallozza, Tommaso Buccafurri, Elisa Giuli, Emiliano Nencioni
Stampa
Grafiche Antiga Spa magazine@bbq4all.it instagram.com/bbq4allmagazine
©2021 BBQ4ALL È UN MARCHIO BBQ4ALL CONSULTING S.R.L. BBQ4ALL MAGAZINE È UN PRODOTTO IN CONCESSIONE A ©2021 NETADDICTION S.R.L. TUTTI I LOGHI E MARCHI RIPORTATI, GLI ELEMENTI GRAFICI, LE IMMAGINI E I MATERIALI PRESENTI NELLA PRESENTE PUBBLICAZIONE SONO SOGGETTI ALLE NORME VIGENTI SUL DIRITTO D’AUTORE; È QUINDI SEVERAMENTE VIETATO RIPRODURRE ANCHE PARZIALMENTE OGNI ELEMENTO DELLE PAGINE IN QUESTIONE. NOMI, MARCHI REGISTRATI E LOGHI EVENTUALMENTE PRESENTI SU QUESTA PUBBLICAZIONE NON POSSONO ESSERE UTILIZZATI PER ALCUNA FORMA DI PUBBLICITÀ O DIVERSAMENTE PER INDICARE SPONSORIZZAZIONE, PATROCINIO O AFFILIAZIONE A PRODOTTI O SERVIZI SENZA PREVIA AUTORIZZAZIONE SCRITTA DA PARTE DELLA SOCIETÀ CHE NE DETIENE I DIRITTI. TUTTO IL RESTANTE MATERIALE FOTOGRAFICO PUBBLICATO È STATO REALIZZATO DA BBQ4ALL E/O ACQUISTATO E/O
Novembre 2021
LICENZIATO ALLO STESSO, CON TRASFERIMENTO DEI DIRITTI DI UTILIZZAZIONE ECONOMICA SALVO LE IMMAGINI UTILIZZABILI CON LICENZA CREATIVE COMMONS
002
O GNU FREE DOCUMENTS ATTRIBUTION. BBQ4ALL HA OSSERVATO LE PIÙ AMPIE TUTELE AFFINCHÈ NON VENISSE VIOLATO IL DIRITTO D’AUTORE ALTRUI.
I
IN DI Rubriche
Editoriale - Back to Basic: Short ribs per principanti
05
Nice to Meat you - Beef Ribs
12
Portfolio gastronomico - Beef Ribs
18
Le ricette
Ragù di pork ribs
28
Pork ribs fried with mashed potatoes
31
Giant rib sandwich
33
Taco Beef ribs
35
Ribs alla Trinità
40
Ribs con zuppa di funghi e patate
42
Coniglio alla cacciatora
45
Tortini di zucca bruciata
48
Le caldarroste perfette al bbq
51
Cubetti di mortadella affumicata
54
Mousse alla ricotta
56
Approfondimenti Arte Bianca - La ciabatta
60
Across the pond - Strani ingredienti americani: il ketchup
66
Il quinto quarto - Le frattaglie bianche
72
Dispositivi e accessori - Il tris di coltelli che tutti dovremmo avere
76
From Zero to Hero - Il foil, questo sconosciuto
83
La Ricetta Scientifica - Frittata di patate
86
Seguo - Il mito della carverna di Platone
102
BBQ4All Magazine
003
004
Novembre 2021
Editoriale di Gianfranco Lo Cascio
Back to Basics
SHORT RIBS al FORNO e NON PER PRINCIANTI
Ci sono due cose durevoli che possiamo sperare di lasciare in eredità: le radici e le ali. E cosa affonda con le sue estremità nel mio cuore se non le preparazioni del barbecue tradizionale americano, magari per principianti? Ho iniziato anche io da lì, ed è proprio in quel posto che voglio portarvi. Alle ali, poi ci arriveremo.
Beef Short Ribs al forno Le costine di maiale alla griglia sono un classico intramontabile in ogni regione italiana. Chiamiamole puntine, costicine, rosticciana o rostinciana, il punto è esattamente lo stesso. Anatomicamente parlando si tratta delle costole di maiale, cotte intere o separate, sopra un fuoco di legna o carbone. Se volessimo fare un salto al di là dell'oceano e fare un parallelismo tra quella che è la nostra cultura italiana e quella degli stati del Sud degli USA, ci accorgeremmo che la faccenda è parecchio diversa. Lì, le costicine di manzo sono un piatto tipico, profondamente radicato all'interno di quel tipo di tradizione gastronomica. È indubbio che da noi manca la cultura del cuocere i tagli di bovino a fuoco lento utilizzando le braci. La stessa cosa non si può dire per l’Asado in America Latina. Lì questi costatoni di bovino vengono cotti su dei supporti di metallo, in piedi, ben distanti dal fuoco di legna acceso. Il fuoco poi pian piano cuoce lentamente questa carne rendendola estremamente succosa e saporita. Se ci soffermiamo sulle differenze tra le tecniche di cottura del costato di manzo e quello del maiale, si aprono degli scenari secondo me molto interessanti. Sono proprio queste criticità dovute alla tecnica che hanno impedito alla cottura del costato di manzo di prendere posto sulle nostre tavolate.
Che cosa hanno in comune le pork e le beef ribs? In realtà poco o niente. Le costine di marzo rispetto a quella di maiale sono: primo, molto più ricche di grasso, secondo, molto più ricche di tessuto connettivo e terzo molto più dure da masticare. Ma la chiave di volta è che, se cotto alla perfezione, questo mattone di fibre bovine, quasi impossibile da masticare, diventa un budino gelatinoso e succulento dal sapore di carne realmente dirompente. La tecnica di cottura al barbecue delle short ribs, per chi non è pratico di cotture lunghe, affumicatura e stabilizzazioni dispositivi per tempi prolungati, non è semplice da applicare. Per questo, miei cari lettori golosoni, ho pensato di dividere la cottura di questo pezzo di carne in due parti: nella prima cercherò di aiutare chi si cimenta per la prima volta alla cottura delle costole di manzo, semplicemente spiegando la tecnica di cottura in forno. Una volta comprese le malizie, le difficoltà di questo particolare tipo di taglio di carne, vedremo come applicare il processo al dispositivo di cottura sulla brace.
BBQ4All Magazine
Il Texas è una delle regioni più rappresentative del vero barbecue Low&Slow americano. In quei posti il costato di manzo è quasi una religione. Rispetto all’Asado sudamericano, il taglio utilizzato negli Stati Uniti, è più piccolo e più squadrato e prende
il nome di short ribs. Non perché siano corte, ma perché anatomicamente parlando prendono il nome da un taglio situato all'interno della cassa toracica del bovino chiamato appunto short plate. Il modello di cottura texano è quello che prenderemo in esame, perché secondo me molto aderente a quello che è il palato italiano. Sono quasi certo che prenderà piede nel nostro paese al pari dell'hamburger e del pulled pork. Vediamo quali sono le criticità di questo straordinario pezzo di carne, e una volta elencate individuiamo il metodo di cottura ideale per cuocerlo alla perfezione.
005
Partiamo subito col dire che le short ribs non si mangiano né al sangue, né a cottura media né ben cotte. Per ottenere il risultato perfetto dobbiamo andare molto oltre il ben cotto. Questo perché, come dicevo prima, il taglio è molto ricco di grasso intramuscolare e di tessuto connettivo. Considerate che l'eccesso di frazione grassa, se non quasi completamente sciolta, potrebbe dare la sensazione di masticare una candela della Pentecoste. Per quanto riguarda invece il tessuto connettivo, la faccenda è ancora più complicata, perché davvero si rischia di slogarsi le mascelle se non riusciamo a scioglierlo del tutto. Come si fa a trasformare il tessuto connettivo in gelatina? Serve calore moderato, tempo e tanta pazienza. Non esiste nessuno stratagemma e nessuna scorciatoia per velocizzare questa fase, serve davvero tanta tolleranza e un bel po’ di tempo.
Novembre 2021
Vediamo quindi molto brevemente come cuocere le nostre prime short ribs nel forno di casa. Mettiamo a fuoco un attimo il risultato: vogliamo una crosta esterna croccante, profumata, saporita e sapidina, mentre all'interno vogliamo che la polpa sia molto tenera, molto succosa e molto gustosa. Per arrivare a questo, il grasso intramuscolare deve liquefarsi e il tessuto connettivo deve convertirsi in gelatina. Adesso che abbiamo visualizzato qual è il risultato
006
a cui vogliamo arrivare, proviamo a capire qual è la tecnica migliore da applicare per giungere a questo traguardo. Abbiamo cinque momenti di cottura distinti da prendere in seria considerazione: primo momento, ripulitura del taglio o quello che gli americani chiamano trimming. Il taglio Short ribs è solitamente quadrato e può contenere tre o cinque ossa. Ha uno strato di grasso più o meno spesso da una parte e le ossa esposte dall’altro lato. La carne si trova sia tra un osso e l’altro, sia sopra l’osso. In mezzo allo strato di carne compreso tra lo strato di grasso e l'osso c'è una membrana chiamata silver skin, che ha l'aspetto del nastro telato che si vende in ferramenta, quello grigio per capirci. Questa silver skin in cottura non si scioglie, quindi se vogliamo evitare di avere questa pellicola fastidiosa dobbiamo avere l'accortezza di rimuovere tutto il grasso superficiale e poi, con un coltellino da disosso, rimuoverla tutta. Si tratta di una scelta personale che può variare in base a mille fattori, dal tipo di carne o anche in base al gusto di ognuno. Siete liberi di scegliere, personalmente preferisco lasciare la silver skin semplicemente perché non voglio rimuovere tutto il grasso in superficie. Per due motivi: perché è molto saporito
e perché mi aiuta a schermare il calore. Dall’altra parte, sopra l’osso, c'è solitamente uno stato di grasso abbondante e un’altra membrana, chiamata pleura, che serve a tenere insieme il tutto. Anche lì potete decidere se rimuoverla o lasciarla, io preferisco conservarla perché da quella parte, di solito, non c'è carne commestibile. Senza contare che, nel caso dovessi andare un po’ lungo con la cottura, mi consentirebbe di tenere insieme tutto il resto. Il secondo momento di cottura è il condimento. Io vi consiglio un misto di sale, pepe e aglio. Due cucchiai di sale, un cucchiaio di aglio in polvere e mezzo cucchiaio di pepe nero. Non metterei altre spezie in questa finestra temporale per evitare di farle bruciare in forno. Questo mix è quello utilizzato di base anche in Texas ed è perfetto perché dà un equilibrio di sapore ideale senza coprire il gusto della carne. Il terzo momento di cottura è il riposo del guerriero. Mettiamo la nostra carne in una terrina di vetro, spolverizziamo con il nostro mix di spezie, copriamo con pellicola e la mettiamo in frigo dalla sera prima. Questa tecnica chiamata dry brining serve ad aumentare la ritenzione idrica della carne e ci aiuterà a mantenere succulenza in cottura. Lo so, in giro è pieno di gente che dice di non salare la carne prima, perché favorisce la dispersione dei liquidi. In realtà l’applicazione della tecnica dà il risultato opposto, cioè mantiene molta più succulenta la ciccia.
Una volta arrivati alla temperatura target dobbiamo compiere un'operazione che fa tutta la differenza del mondo ed è quella che ci permette di compiere la magia. Sto parlando del nostro quinto e ultimo momento di cottura: la fase di rest, di riposo. È la parte più semplice di tutto il processo ma quella più importante. La cosa da fare è spegnere il nostro forno e dimenticarci la carne al suo interno. Per inerzia termica, la ciccia lasciata nel forno, anche spento, inizialmente tenderà a salire di un paio di gradi, dopodiché inizierà a raffreddarsi e a scendere di temperatura. Ovviamente il forno caldo rallenterà il processo. Questo è il momento in cui il tessuto connettivo pian pianino si scioglie e si trasforma in gelatina, è una fase fondamentale. Ricapitoliamo: carne pulita, condita con sale, pepe e aglio, lasciata in frigo dalla sera prima. Il giorno dopo accendiamo il forno 130°C-140°C, mettiamo dentro la carne e la lasciamo andare fino a quando raggiungiamo i 95°C al cuore. Una volta raggiunti i 95°C al cuore spegniamo il forno, ce la dimentichiamo lì dentro e facciamo abbassare la temperatura fino a raggiungere i 65°C. Poco prima di servire le short ribs, andiamo a verificare nuovamente la temperatura. Se ci accorgiamo che è scesa al di sotto dei 50°C, non facciamo altro che riaccendere il forno e scaldare le costine per riportarle alla temperatura di servizio di 50°C-60°C-65°C. Semplice, no? Un taglio di short ribs della mia selezione verrà pronto in quattro/cinque ore, ma vi assicuro che l'attesa vale veramente la pena. Provateci e vi garantisco che mangerete le migliori Short ribs (al forno) della vita.
BBQ4All Magazine
Il quarto momento della cottura delle nostre short ribs è la cottura vera e propria. Accendiamo il nostro forno di casa a 130°C-140°C, modalità statica o modalità ventilata è assolutamente la stessa cosa, e pre-riscaldiamo per bene. Quando il forno è caldo, prendiamo le nostre short ribs e le mettiamo direttamente sopra la griglia, al di sotto mettiamo una leccarda con un dito d’acqua, che servirà a raccogliere i grassi disciolti in caduta. Chiudiamo il nostro forno e le lasciamo lì, ce le dimentichiamo. Non dobbiamo fare altro che aspettare. Gli effetti che il calore ha sulla carne sono noti: nelle primissime fasi della cottura la carne inizierà a bagnarsi, quasi a sudare, e questo è un fenomeno assolutamente normale. Ad un certo punto questi liquidi spariranno e inizierà a formarsi la crosticina che desideriamo tanto. Proseguendo con la cottura questo strato esterno croccante diventerà sempre più scuro e saporito. Nel frattempo, la polpa all'interno entrerà in una
fase che è quella che ci interessa parecchio, ovvero quella dello scioglimento del tessuto connettivo. Come facciamo a sapere qual è la sfumatura di cottura perfetta? Semplicemente utilizzando un termometro a lettura istantanea. Possiamo certamente avere un'idea vaga del tempo che ci vorrà a cuocere le costine, ma individuare il punto di cottura ideale è possibile solo grazie a questo strumento. Il nostro traguardo, cioè la temperatura al cuore alla quale dobbiamo portare il nostro pezzo di carne, è 95°C. L’unica cosa che dobbiamo fare è inserire la sonda del termometro ogni tanto nella carne e verificare la temperatura. Quando arriviamo ai 95°C al cuore, quello è il momento in cui abbiamo raggiunto lo stadio di cottura ideale. Fino a quando non li abbiamo raggiunti dobbiamo semplicemente continuare a cuocere.
007
Vediamo subito come si preparano le short ribs nel kettle. Come vi dicevo, useremo il kettle solo per la prima parte della cottura. La seconda parte continueremo a effettuarla in forno. Quindi, useremo il dispositivo a carbone per ottenere i due benefici che vi accennavo prima. Una volta raggiunto il risultato, termineremo la cottura in forno, che serve a sciogliere il tessuto connettivo della carne.
Novembre 2021
Beef Short Ribs nel kettle (+forno)
008
In questa seconda parte proveremo a spostare la tecnica di cottura dal forno al dispositivo a carbone. Prenderò in esame il dispositivo di cottura più diffuso in italia che è il Master Touch 57 di Weber. Da questo momento in poi lo chiamerò kettle, pentolone. Per i pochi che non lo conoscono, il kettle è un dispositivo di cottura a carbone molto robusto e facilissimo da adoperare. Vi spiego come si usa: sul fondo si posizionano le braci, in mezzo c'è la griglia di cottura e sopra il coperchio. Sul coperchio c’è integrato un termometro che rende agevole la lettura della temperatura interna del dispositivo. Sul fondo del braciere c'è un sistema di raccolta rapida della cenere, molto comodo. Insomma il kettle è il dispositivo di cottura dei veri griller, un must have, non si può non avere. Esistono tantissimi benefici che lo testimoniano, ma in questo caso ne dico due: il primo è che possiamo affumicare le nostre costine (il metodo lo vedremo tra un attimo), il secondo è che il calore secco del dispositivo a carbone ci permetterà di ottenere una crosta molto più evidente. E più crosta uguale più sapore.
Accendiamo subito la griglia e concentriamoci sul risultato: l’idea è quella di somministrare calore dolce per non bruciare le costine, per innalzare lentamente la temperatura, e per dare questa nota affumicata molto lieve. Ricordiamoci che il nostro dispositivo a carbone non ha manopole e manovelle. Quindi per stabilizzare la temperatura, per tenere cioè il kettle a 130-140°C (proprio come il forno di prima), dovremo usare degli stratagemmi. Dobbiamo tenere il nostro pentolone con le gambe incollato su quella soglia per almeno un paio d’ore, se non tre. Ma come? Esiste un metodo molto semplice da applicare, si chiama snake. Prima di passare allo snake vi dò una dritta sul tipo
di combustibile da acquistare. Al posto della normale carbonella, possiamo utilizzare dei bricchetti di carbone. Si tratta di carbone polverizzato legato con acqua e amido, poi compresso e infine asciugato in forno. Il risultato è una pastiglia molto compatta senza aria all’interno, che consente di ottenere una temperatura costante del dispositivo per tempi molto lunghi. Maggiore la quantità di bricchetti, più alta sarà la temperatura, e viceversa. Il metodo più semplice per accendere i bricchetti è quello di utilizzare una ciminiera di accensione come questa in fotografia. È una sorta di cestino forato che viene riempito di bricchetti, si accende un cubetto di paraffina sul fondo e dopo 15-20 minuti abbiamo il nostro combustibile pronto per essere utilizzato. Quando i bricchetti saranno completamente accesi fino alla sommità, basterà versare il contenuto del cesto dentro un braciere e il gioco è fatto Torniamo allo snake, vi mostro una foto così è più semplice da capire.
Mentre posizioniamo i bricchetti per lo snake, accendiamo un cesto con una ventina di bricchetti. Questa quantità è più che sufficiente per arrivare alla temperatura che ci interessa. Anzi, probabilmente saranno anche troppi. Una volta che i bricchetti sono completamente accesi, facciamo un'operazione semplicissima: li versiamo solo su uno dei due estremi del nostro serpentello di bricchetti spenti. Questo innescherà il classico effetto domino, cioè i bricchetti accesi, pian pianino, accenderanno quelli spenti. Quelli accesi da più tempo si esauriranno e in questo modo avremo sempre la stessa quantità di bricchetti accesi nella camera di cottura, senza dover toccare nulla. A questo punto ci organizziamo per dare la nota affumicata alla carne. Una volta che abbiamo messo all'interno i brichetti accesi, prendiamo una manciata di trucioli per affumicare (chips) e li gettiamo direttamente sopra le braci accese. Sono petali di legno che vengono venduti proprio allo scopo di affumicare i cibi, li trovate un
BBQ4All Magazine
Apriamo il coperchio e togliamo la griglia di cottura, lasceremo solo la griglietta in fondo sul braciere. Sul bordo di mezzo braciere disponiamo due file di bricchetti spenti su due livelli, ripeto solo su mezzo braciere. Dalla parte opposta posizioniamo una
leccardina monouso in alluminio con due dita d'acqua dentro. Questa leccarda ci aiuta in due modi: per prima cosa evita che i liquidi in caduta sporchino il braciere e producano un fumo puzzolente, poi l'umidità prodotta ci aiuterà a stabilizzare la temperatura interna del dispositivo.
009
Novembre 2021
po’ dappertutto. Per questa fase vi do il consiglio di usare dei trucioli di melo, perché hanno una nota affumicata molto delicata e non si corre il rischio di sovraffumicare la carne.
010
Una volta acceso il kettle e posizionate le chips, rimettiamo la griglia di cottura e ci prepariamo a cuocere le short ribs trimmate e condite nello stesso identico modo che abbiamo visto nella prima parte. L’unica accortezza sarà quella di posizionare le short ribs non in corrispondenza del combustibile, ma in corrispondenza della leccarda, braci da una parte e ciccia dall’altra. Questo è quello che in gergo viene chiamato metodo di cottura indiretto. È in realtà una normalissima cottura per convezione, ma con il valore aggiunto dell’affumicatura, che è praticamente impossibile da ottenere in casa. Rimettiamo il coperchio e facciamo cuocere, questo è tutto. Dobbiamo lasciare andare la carne fino a quando non avremo ottenuto la profumatissima crosta che ci piace tanto.
In questa fase non ci occupiamo tanto della temperatura, il nostro risultato deve essere semplicemente visivo. Occhio all'errore però, potrebbe succedere che per qualche motivo la temperatura del kettle vada o troppo su o troppo giù. In quel caso si risolve così: dobbiamo prima di tutto verificare che le bocchette d'aria superiori e inferiori siano chiuse per metà. Se la temperatura dovesse essere ancora troppo alta dobbiamo fisicamente togliere bricchetti accesi, 1, 2, 3, 4, 5, quelli che servono, fino a quando la temperatura non va a posto. Chiudiamo il coperchio, aspettiamo cinque minuti e verifichiamo nuovamente la temperatura. Se è ancora alta dobbiamo continuare a togliere bricchetti, se invece è troppo bassa dobbiamo aggiungere bricchetti accesi. Il nostro obiettivo è stabilizzare il kettle ad una temperatura compresa tra 130 e 140°C, ricordate? Dobbiamo far cuocere le short ribs per almeno due ore, prima di verificare il risultato. Quando saranno trascorse, apriamo il coperchio e diamo un’occhiata. Se il risultato ci soddisfa, allora
è il momento di passare alla seconda fase. Se il risultato non ci soddisfa, richiudiamo il coperchio e le lasciamo andare. Una volta raggiunto l’obiettivo, cioè la formazione di questa crosta scura e saporita, tiriamo fuori le ribs dal kettle e le finiamo nel forno di casa, continuando a cuocere come nella prima parte. Dobbiamo arrivare, come prima, a 95°C al cuore. Mi raccomando poi il passaggio più importante, la famosa fase di rest che è quella che compie l’incantesimo, cioè far sciogliere il tessuto connettivo in gelatina. Seguite passo passo le mie istruzioni e potrete sfilare le ossa dalla mattonella di ciccia come Artù con Excalibur. Breve riepilogo: kettle, togliamo il coperchio e la griglia, componiamo lo snake su mezzo braciere, due file di bricchetti su due strati. Dall’altro lato mettiamo la leccardina monouso con due dita d’acqua. Accendiamo 15 o 20 bricchetti con il cesto accenditore e poi, una volta accesi, li versiamo solo su uno dei due estremi del nostro serpentello
di carbone. Gettiamo una manciata di chips di melo direttamente sopra le braci, riposizioniamo la griglia di cottura e le short ribs, già trimmate e condite (con lo stesso identico mix di spezie). Ricordiamoci che le short ribs vanno posizionate non in corrispondenza del combustibile, ma in corrispondenza della leccarda. Cottura indiretta, chiudiamo il coperchio, ci assicuriamo che le bocchette d'aria superiori e inferiori siano chiuse e lasciamo cuocere e affumicare fino a quando non avremo ottenuto visivamente il risultato che ci siamo prefissati, cioè quando compare la crosta scura e profumata. Contiamo almeno un paio d’ore, forse tre, una volta ottenuta la nostra crosta togliamo la carne dal kettle, infiliamo nel forno e procediamo nello stesso identico modo che abbiamo visto prima, cioè aspettiamo il raggiungimento dei 95°C al cuore. Ricordiamoci poi della fase più importante, che è quella del riposo, il momento in cui il tessuto connettivo si scioglie in gelatina . Provateci e sarete pronti a spiccare il volo.
Gianfranco Lo Cascio
BBQ4All Magazine 011
Nice to MEAT you
Novembre 2021
BEEF RIBS
012
Le beef ribs sono iconiche: le nomini, e subito è un susseguirsi di stereotipi (giusti e sbagliati) riguardo gli Stati Uniti, Paese dove hanno una considerazione così alta pari soltanto a quella che si ha nei confronti del Brisket. Anzi, vi diremo di più: molti cultori e Pit Master d’oltreoceano le preferiscono di gran lunga alla punta di petto. Le costole di manzo sono molto popolari negli USA, ma sono particolarmente difficili da reperire nelle macellerie tradizionali italiane, proprio per la caratteristica della lavorazione che individua le prime 3-5 costole del manzo tagliate trasversalmente, con i muscoli della pancia ancora attaccati. Rispetto alle ribs di suino sono incredibilmente più saporite
ed intense. Un taglio dall’aspetto a prima vista primitivo, potrebbe spaventare i meno esperti. Se trattato a dovere, però, può regalare delle emozioni ineguagliabili. Indifferentemente dalla preparazione a cui vengono sottoposte (che sia barbecue, forno o persino una pentola) le beef ribs saranno sempre fra i tagli piu goduriosi in assoluto in termini di sapore e consistenza, questo grazie al loro abbondante contenuto di collagene e grasso intramuscolare. Nomi • Beef Short ribs, Beef Back ribs , Chuck Short ribs, Plate Short ribs • Costato, pancia con osso
BBQ4All Magazine 013
Novembre 2021
DESCRIZIONE Come già accennato sopra, le Beef ribs sono le costole del bovino. Ce ne sono 13 per ogni lato dell'animale, che partono dalla colonna vertebrale e si uniscono allo sterno. Da queste, si possono ricavare principalmente due tagli: Back ribs e Short ribs.
014
Le Back ribs sono l'equivalente delle baby back del suino, cioè sono ricavate dalla la parte iniziale delle costole, vicino alla spina dorsale. Guardandole da un altro punto di vista, non sono altro che le ossa della bistecca di costa, motivo per cui i macellai preferiscono lasciare la carne sulla ribeye piuttosto che sulle Back ribs.
Le beef short ribs sono la continuità delle Back ribs fino allo sterno equivalenti alle St. Louis del maiale. Possono essere ulteriormente divise in due (Chuck short ribs e Plate short ribs), in base a come è stata divisa la carcassa, separando anteriore e posteriore con 3 e 10 costole o 5 e 8 costole. La sola dicitura Beef Short ribs di solito rappresenta le Plate Short ribs. Le Chuck Short ribs, grazie ad un contenuto maggiore di tessuto connettivo e marezzatura, possono risultare più saporite; tuttavia le pecche non mancano, di fatti si presentano più piccole, con meno carne e una superficie solitamente non uniforme .
Bisogna ricordare che nella macellerie italiane è difficile reperire le Chuck Short ribs perché il sezionamento del bovino viene fatto diversamente, e solitamente le prime 3/5 costole che rimangono attaccate alla spalla (anteriore) vengono lavorate come spezzatino o carne trita, dopo averle segate quasi a metà per separare il reale con osso. P U L I R E , TA G L I A R E E PREPARARE LE BEEF RIBS La pulizia o trimming delle Beef ribs si effettua come sempre con un coltello ben affilato dalla lama non troppo lunga, eliminando il grasso in eccesso e -in base alla ricetta sceltaa volte anche la membrana
sottostante. Girando il nostro pezzo con le ossa in su, possiamo eliminare la pleura sollevandola con un coltello a punta tonda o il manico di un cucchiaio. È consigliato sciacquarle sotto acqua corrente se presentano frammenti di ossa dovuti al taglio. Supponendo che abbiamo un pezzo bello grande e abbiamo deciso di porzionarle singolarmente, possiamo effettuare, senza troppa difficoltà, un taglio verticale in mezzo alle costole. Al contrario, se vogliamo le nostre ribs ancora piu “short” in stile “asado”o per dirlo alla coreana “galbi”, dobbiamo pensarci prima in quanto bisogna segare le ossa, cosa un po’ difficile da fare a casa. È meglio quindi decidere di acquistarle già tagliate, e per questo ci viene in aiuto il nostro Megastore. TECNICHE DI COTTURA Le Beef ribs possono essere cucinate sia intere che tagliate a pezzi più grandi, e persino piccolissimi, utilizzando molteplici tecniche di cottura come smoking o braising. Grazie al grasso in abbondanza
e alla cottura impegnativa è stato considerato per molto tempo un taglio di seconda categoria, motivo per cui è protagonista di migliaia di ricette in giro per il mondo. Consapevoli del fatto che il nostro taglio è molto tenace, dobbiamo armarci di tanta pazienza. Se vogliamo cucinare le nostre ribs intere, tipo “fall off the bone” in una cottura lenta, che sia forno o bbq, la temperatura da raggiungere sarà 98°C al cuore. Potrebbero servire anche 8 o più ore per essere perfette. In questo tipo di preparazione e consigliato il Texas Crutch (tranquilli: troverete un approfondimento nella rubrica From Zero to Hero) per poter sciogliere il più alto quantitativo di connettivo all’interno della carne, per mantenerla tenera e succosa. Indipendentemente dalla ricetta da voi scelta, che sia all’americana o con sfumature fusion, ricordatevi che un tempo prolungato vi darà il miglior risultato.
BBQ4All Magazine 015
016
Novembre 2021
BBQ4All Magazine
017
BEEF RIBS
Le mie costine son più grosse delle tue, pappappèro.
Portfolio gastronomico a cura di Emiliano Nencioni
Un tipico pomeriggio di autunno, nella redazione itinerante del BBQ4All Magazine:
Novembre 2021
“Allora questo mese l’articolo grosso lo fai tu, è sulle beef ribs.” “Perfetto, ma grosso in che senso?” “Grosso. Un sacco di roba. Devi dire tutto, più di dodicimila caratteri. Lo firmi tu, quindi puoi inserire anche considerazioni personali, aneddotica, informazioni storiche.” “Benissimo, ma quindi posso anche…” “Niente digressioni sulla tua infanzia, nessun tentativo di trovare similitudini fra il ponte di Einsten-Rosen e uno smoker verticale, non tentare di spiegare i presocratici, non servirti di complicatissime metafore per vendicarti di gente che ti ha fatto innervosire anni fa.” “Ecco.” “Parla solo di carne.” “E che problemi ci sono.” “E consegna in tempo.” “Come sempre!” “No, in tempo, non come sempre. In tempo.”
018
Beef ribs, cari lettori, beef ribs! Sedetevi sulla vostra poltrona più comoda, o su qualunque oggetto riesca a stimolarvi la voglia di informarvi e di lasciarvi pervadere da consapevolezza e conoscenza: sarà una lunga lettura, ma densa di preziose informazioni. Personalmente ricordo di essere venuto a contatto con il mio primo morso di beef ribs “in età avanzata”: partecipavo già alle gare KCBS di American barbecue, e per qualche motivo il mio interesse non si era mai soffermato su questa preparazione; dovete sapere che in queste gare una cosa che non manca mai è il tempo libero, o il tempo da perdere. Lunghissime giornate in attesa di qualcosa che avverrà “fra poco”: l’ispezione della carne, il tizio noto che passa a salutare, il brisket da mettere in
foil, la premiazione, il momento di andarsene, tutti eventi chiave che avvengono semplicemente quando vorranno avvenire. È consuetudine, per passare il tempo e per far passare -ad ogni costo!- questo concetto di convivialità e di grande amicizia, che ogni team nei tempi morti prepari qualche specialità da offrire agli altri iscritti alla tenzone. Notando che una buona parte delle squadre presenti fa anche catering, o fa capo ad un ristorante, o è a vario titolo sponsorizzata da chi vende carne, l’altruismo e la convivialità ben si sposano con una certa auto promozione. Proprio approfittando di questa gratuita e generosa manifestazione di convivialità (la ripetizione è voluta) ho accettato con piacere l’offerta di un assaggio di beef ribs, magistralmente preparate da un concorrente. Lo scetticismo iniziale - a volte si accetta solo per la mancata prontezza nell’inventarsi una scusa - si è dissolto rapidamente nelle mille stimolazioni sensoriali del primo boccone, prorompendo in una sorpresa di un sapore deflagrante che, lo ammetto, potrebbe aver costruito un ricordo più roseo di quanto in realtà potesse obiettivamente essere. Inoltre, avevo pure una fame bestia. Il sapore di manzo più complesso, equilibrato e gradevole mai sentito, secondo solo a quella volta in cui mangiai la mia prima ribeye che un certo Gianfranco Lo Cascio mi aveva appena insegnato a grigliare alla perfezione. Da allora una delle mie (tante!) ossessioni è stata quella di ricreare quel gusto, quella sorpresa e quel colpevole senso di appagamento trovato in quell’assaggio sul campo gara. Fallendo, non lo nego, il più delle volte. Una volta erano troppo dure. O poco sapide. A un certo punto iniziarono ad avere un sapore di lesso vecchio. Diverse volte erano così grasse che non si trovava la carne, e sono arrivato a bombardarle
BBQ4All Magazine
019
Novembre 2021
così tanto di glutammato per esaltarne il sapore che pareva di ciucciarsi una caramellina di Dado Star: una delizia, senza dubbio.
020
Questo perché? Perché non avevo letto il Magazine. Non avevo letto il Magazine con i consigli e gli accorgimenti che il me stesso del futuro avrebbe dato, dopo l’esperienza dei tanti fallimenti. E se non avessi fallito così sonoramente, leggendo l’articolo del me stesso del futuro, sarei mai stato in grado di scrivere, anni dopo, l’Articolo Grosso sulle beef ribs sul magazine? Questi e altri lancinanti interrogativi assillano la mente di un grigliatore con la spiccata tendenza a impelagarsi in riflessioni fuori contesto e castelli in aria. Il lettore più curioso si documenterà in autonomia googolando “Il paradosso del nonno”.
Back on topic, quindi, e andiamo più prosaicamente a parlare di:
Flavour profile: i vostri obiettivi Fosse ancora necessario ribadirlo, lo ribadiamo: ogni preparazione “tipica” ha il suo flavour profile, il suo “obbligato” in termini di esecuzione e gusto. Se siete abbastanza assennati da non servire in tavola spaghetti lessi annegati nel ketchup e polenta con la maionese comprenderete come questi piatti, radicati nella tradizione texana più sacra, dovranno avere un gusto e una filosofia di base coerente con le loro origini. Quello che dovete ricercare sarà:
•
•
•
Smoky Flavour: una lieve ma percepibile nota di affumicato, non invadente, ottenuta dalla combustione incompleta di legna aromatica. Bark: lo sapete benissimo, è la corteccia duretta e croccantina data dalla cristallizzazione delle spezie durante la lunga cottura. Ho detto corteccia, non panatura. Non intonaco. Avere un bark pallido, molle e umido è un errore micidiale, e può rovinare “sensorialmente” ogni morso, dando una sensazione tattile leggermente ripugnante. Aspetto a parte, se volete rimanere nel filologicamente corretto avete poche alternative nella sperimentazione dei rub: la tradizione comanda solo sale, pepe, aglio. Non ci sono evidenze tuttavia di sanzioni a carico di chi volesse trasgredire, per cui se nei vostri gusti rientra l’aggiunta di una punta di paprika sentitevi liberi: promettete soltanto di non esagerare e di non lanciarvi in improbabili contaminazioni etno-inclusive con cumino, coriandolo, curcuma e altri sapori sovrastanti che potrebbero portavi estremamente fuori strada. Aspetto: indovinate un po’, dovranno essere belle. Cerchiamo di codificare la soggettività del Bello ricercato in un costato di manzo stabilendo
•
che dovranno avere un colore mogano scuro uniforme, un bark privo di buchi e chiazze e, se possibile, uno smoke ring ben visibile al taglio. Dello smoke ring abbiamo parlato innumerevoli volte su queste pagine, soffermandoci ogni volta sull’inutilità pratica di questo anello rossiccio, testimone più di una reazione chimica che di un certo sapore: in questo momento però stiamo concentrandoci sulla bellezza, sull’aspetto, e lo smoke ring è un po’ come gli addominali scolpiti della carne. Poco utili funzionalmente, ma responsabili di molti abbonamenti semestrali in palestra. Consistenza: questo taglio è molto ricco di connettivo, ragion per cui nessuno si sogni di pensarlo “al sangue” o “bello duro come piace a noi che ci facciamo le foto profilo a braccia incrociate e fiorentine da 5kg in mano”. Tutto il contrario, la carne deve essere talmente morbida e il connettivo talmente gelificato che deve essere possibile morderlo solo con le labbra, senza l’aiuto dei denti. Completamente dentiera-friendly, cari eventuali lettori senior.
BBQ4All Magazine 021
Il taglio Tutti abbiamo quell’amico brillante e contrario ai poteri forti con il gusto di dare a tutti il consiglio giusto: “dai retta a me, lascia perdere quelle schifezze online impacchettate nella plastica, vai da Coso, dì che ti mando io, fatti mettere da parte un bel biancostato!” E vi ritrovate con un pezzaccio da brodo, ingrato e rancoroso, lavorato con l’attenzione che si riserva ad un prodotto di terza scelta. Buttate soldi, tempo, carbone e credibilità presso gli invitati. In questo caso ricorrere ad un prodotto commercialmente destinato per questo tipo di preparazione è cruciale, visto che le costole del manzo che ci interessano sono, tra le tredici paia disponibili per capo di bestiame, le back ribs: si ricavano partendo proprio dalla colonna vertebrale dell’animale e condividono guarda caso molta carne con il pezzo da cui si ricavano le ribeye, ragion per cui si rischia che il macellaio “generalista” abbia interesse a lasciare ben poca carne attaccata all’osso.
Il metodo: il bivio iniziale Due sono i metodi a tutt’oggi codificati e facente parte di un certo canone e di una celebrata ortodossia: wet e dry. •
Novembre 2021
•
022
Wet: “bagnato”. Prevede la costante idratazione della carne in cottura tramite spruzzate di liquidi e spennellate (con un sospetto pennellone tipo lavapavimenti in miniatura, praticamente impossibile da lavare bene) di salsa, con ricorso al cartoccio d’alluminio (texas crutch) nella parte finale della cottura. L’obiettivo è quello di rendere la carne il più idratata e saporita possibile, con il compromesso di ritrovarsi necessariamente un bark un po’ meno cristallizzato. Dry: “asciutto”. Metodo texano fino al midollo, niente spennellate e niente texas crutch: si va avanti così, piano piano, senza particolari interventi, fino a cottura ultimata. Niente foil, niente spruzzatine, tutto bello asciutto fino in fondo, per un bark clamoroso. Certamente, avere un enorme affumicatore pieno di altri pezzi di manzo che stai cuocendo per il tuo ristorante di successo aiuta, aiuta molto, in termini di “umidità in camera di cottura”.
Sono gusti, e ognuno ha il suo. In questo articolo
proseguiremo parlando del metodo che ha portato risultati migliori al sottoscritto, una minuscola variante che potrei definire abbastanza wet. Ecco la parte che stavate aspettando: prendete i vostri guantini neri che fanno tanto American barbecue, qui iniziamo a sporcarci le mani.
Trimming Osservate bene la carne a vostra disposizione e individuate eventuali brandelli o zone troppo sottili, che saranno da rimuovere. Rifilate per bene il pezzo in maniera che abbia un aspetto ben squadrato e “ordinato”. A questo punto, sono due le scuole di pensiero che si sono fatte largo: c’è chi preferisce togliere la pleura e chi invece preferisce lasciarla. Se siete fra quelli che preferiscono toglierla, fate così: facendo leva con il manico di un cucchiaio o qualcosa di stondato, alzate la pleura, quella membrana dura presente nella parte interna delle costole. Sollevate un lembo, infilate un dito, tirate, sollevate un altro lembo, dito, e così via, cercando di strappare meno volte possibile la pleura e provando per quanto possibile a fare un lavoro pulito. Scoprirete quanto questa operazione sia la versione “pro” della rimozione del coperchio dello yogurt. Impugnate il vostro coltellino preferito e procedete al trimming del grasso, entrando però in modalità conservativa: non dovete togliere tutto tutto, anzi, il grasso vi aiuterà in cottura e avrà una parte preponderante nel sapore del piatto. Togliete grumi, parti dallo spessore sproporzionato al resto, zone in eccedenza, brandelli e agglomerati anomali. Il trucco è cercare di bilanciare la presenza e il gusto del grasso con la possibilità, assolutamente non remota, che in cottura, fondendo, l’ammasso lipidico si porti via troppo del vostro agognato bark. Un fattore da tenere ben presente è che a spessori più elevati corrispondono velocità di cottura minori, con l’ovvia conseguenza di poter stracuocere le parti più sottili per portare al giusto obiettivo i punti più ricchi di carne: a voi la facoltà di giudicare quanta preziosa proteina eventualmente sacrificare sull’altare dell’omogeneità di cottura. A trimming ultimato è una buona idea dare alla carne una bella lavata sotto acqua corrente, per eliminare eventuali frammenti di osso.
Stesura del rub Per quanto il verbo “to rub” significhi letteralmente “strofinare”, io preferisco limitare l’azione massaggiante a un primo approccio con solo olio d’oliva (vi aspettavate che scrivessi olio EVO? Solo a me porta alla mente la classica ampolla di olio sintetico per motori due tempi? E poi, davvero sprechereste “l’olio buono” per questo compito meramente adesivo?), giusto per depositare uniformemente il film che farà da collante.
Cottura Supporrò che intendiate cuocere le beef ribs in un
BBQ4All Magazine
Successivamente preferisco deporre il rub, rigorosamente l’Ultimate SPOG della linea Sal’s Seasoning, provando a formare uno strato il più possibile
uniforme: evitando di frizionare con le mani la polvere in questa fase, impedirete la formazione di grumi. Credo che in ogni ricetta trovata in tre anni di Magazine abbiate letto “un velo sottile, non una panatura!” quindi, sì, anche stavolta vale la stessa raccomandazione. Coperto di rub, non affogato. Un velo, non una sabbiatura. Temete che lesinare sul rub porti a uno scarso bark? Tranquillizzatevi: questo metodo prevede una seconda fase di speziatura, nella parte iniziale della cottura. Lo vedrete poco più avanti.
023
024
Novembre 2021
bullet smoker verticale, a mio avviso il setup più efficace ed efficiente fra le soluzioni abbordabili in ambito amatoriale - casalingo. Se aveste necessità di usare un normale kettle le istruzioni non cambiano di molto, basterà adottare un setup per la cottura indiretta e fare attenzione che, essendo la pietanza relativamente grande, la parte più vicina alla fonte di calore non finisca per arrostirsi completamente ben prima che la cottura sia ultimata. In questo caso un paio di rotazioni delle beef ribs durante la cottura saranno d’aiuto.
BBQ4All Magazine
Setup del bullet smoker: 1. Seguendo il Minion Method, versate il combustibile spento, carbone o bricchette, nel braciere; versate al centro mezzo cesto accenditore di combustibile acceso e ben arroventato. Durante la cottura, il calore si propagherà e accenderà il carbone circostante, provvedendo ad una cottura lunga e stabile. 2. Nel waterpan, per agire da volano termico, provate a mettere sale grosso in luogo dell’acqua: l’umidità in camera di cottura sarà
fornita dalle ribs stesse. Tecnicamente potreste anche mettere della sabbia, ma ho constatato una cosa che nessuno sembra evidenziare: la sabbia, quando si scalda, puzza. Ma tanto. A meno che non abbiate accesso ad una qualche varietà di sabbia depurata, sterilizzata e inodore, consiglierei di evitare questa soluzione. 3. Aggiungete dei chunk di legna aromatica, o al limite fatevi bastare delle chips, quei frammentini di legno che non durano niente ma che hanno l’innegabile pregio di essere facilmente e velocemente reperibili in moltissimi supermercati in caso di emergenza. La scelta dell’essenza è prettamente personale, e francamente sostengo che la differenza maggiore si senta nella qualità dell’operazione di affumicatura piuttosto che nel legno usato. A parità di tecnica però ho sempre trovato impareggiabile, sul manzo, l’aroma dato dal mogano: vista la scarsa reperibilità commerciale di quest’ultimo e affinché nessuno si precipiti a dare alle fiamme l’armadio fin de siècle di nonna, vi consiglio l’hickory. O, in definitiva, quello che vi pare, visto che dalle
025
nostre parti è già manna se si trova qualcosa “fuori stagione”. 4. Mettete le beef ribs (se possibile non fredde, non appena tolte dal frigorifero) sulla griglia alimenti e inserite non troppo vicino all’osso una sonda per misurare la temperatura. 5. Chiudete il coperchio e stabilizzate il dispositivo, servendovi del bilanciamento fra vent in e vent out, a 120°C circa.
L’attesa Per tenervi occupati e ingannare il tempo potete adoperarvi in alcuni gloriosi propositi: • Spruzzate di tanto in tanto, con aceto di mele, le estremità delle ossa che mano a mano inizieranno a sporgere durante la cottura: eviterete che possano bruciarsi e nel contempo raffredderete minimamente il rub, in modo che disponga di più tempo per trasformarsi in crosta. • Dopo circa due ore aprite il coperchio, correggete eventuali problematiche di setup, ispezionate la carne facendo scolare via eventuali pozze di liquido formatesi in superficie e deponete altro rub sul costato di manzo, per una extra croccantezza e sapidità.
Novembre 2021
Quando la sonda del termometro indica 85°C, e comunque non prima che il bark si sia formato, preparate tutto il necessario per la cruciale fase comunemente detta “andare in foil”: con delle pinze molto robuste togliete le beef ribs dalla griglia e appoggiatele su un provvidenziale tavolino allestito nei paraggi. Qui, con abbondante quantità di foglio di alluminio costruite il Texas Crutch, un sacchettino triplo strato simile all’incarto di una caramella o di un cioccolatino ripieno. Volendo fare i salutisti, per non far stare la carne per troppo tempo a contatto dell’alluminio sottoposto a temperature effettivamente non bassissime, potete interporre un velo di carta da forno fra costato e metallo. Non dimenticatevi di infilzare di nuovo la sonda e di far passare il cavo dal Texas Crutch, e riportando la carne sulla griglia fate attenzione: le ossa potrebbero rompere l’alluminio e sarà tutto da rifare.
026
Diversamente dal brisket, le beef ribs non hanno esattamente una loro temperatura target, alla quale poter terminare la cottura così, alla cieca:
similmente alle pork ribs infatti una attenta ed esperta valutazione fisica conduce a risultati migliori. Difficile anche poter dire con sicurezza di quanto tempo avrete bisogno, perché a grandezze e soprattutto spessori diversi corrispondono tempi diversi. Mettete in conto quindi di dover eseguire più volte il “test della sonda”, in cui servendovi della sonda del termometro punzecchierete la carne in profondità: quando affonda senza sforzi e senza ostacoli, il collagene si è sciolto, la carne è morbida e la cottura può essere arrestata. Il feedback tattile e la vostra esperienza vi daranno molte indicazioni.
Il Rest Il riposo è fondamentale. Anche qui. Una volta raggiunta la morbidezza necessaria e la temperatura al cuore di almeno 95°C, lasciate il costato (in texas crutch aperto per far uscire il vapore e successivamente richiuso) in un forno tiepido o in un isobox pulito e ben chiuso per quanto più tempo potete. In questo lasso di tempo i liquidi della carne riprenderanno leggermente viscosità, il collagene residuo continuerà a gelificarsi e, in linea di massima, tutto l’aspetto tattile / palatale / gustativo ne gioverà. Se avete, in maniera molto lungimirante, lasciato la sonda termometrica inserita, la soglia dei 65°C indicherà un buon momento per interrompere il rest e procedere al servizio.
Il banchetto Ormai è fatta. Avete le vostre bellissime beef ribs da servire e un sacco di aspettative da soddisfare, probabilmente anche qualche scettico da zittire. Personalmente ritengo questo un piatto da consumare in purezza, così come esce dallo smoker, al limite solo aggiustato di sale. Tuttavia proporre anche un chimichurri preparato di fresco potrà essere un modo per rendere il vostro trionfo culinario ancora più evidente agli occhi di tutti: preparatene quindi una ciotolina pro capite, per dar modo ad ogni partecipante di inzuppare in libertà il proprio boccone senza anti-igieniche e promiscue condivisioni. Potete tagliare le ribs in fettine oppure dare generosamente “un osso a testa” per sortire l’immancabile effetto “dinosaur ribs” che farà ridere grandi e piccini, yippee-ki-yay.
Ingredienti per il Chimichurri: 60 g di
prezzemolo / 40 g di origano / 4 spicchi di aglio / 60 g di cipollotto / 1 peperoncino / 6 cl di succo di limone / 4 cl di aceto di mele / 120 g di olio extravergine d’oliva / 6 g di sale / 4 g di pepe in grani
PREPARAZIONE 1. Inserite in una ciotola il prezzemolo lavato e tritato insieme all'aglio precedentemente pulito e tritato.
3. Mescolate bene, amalgamando tutti gli ingredienti. Una volta pronto, lasciate riposare il Chimichurri in frigo fino al momento del servizio.
BBQ4All Magazine
2. Pulite il peperoncino, eliminate i semini, tagliatelo finemente e aggiungetelo alla ciotola con il cipollotto e l'origano tritati, salate e pepate, unite l'aceto di mele, il succo di limone e l'olio.
027
RAGÙ DI PORK RIBS è il nuovo nero... sta bene con tutto! Riguardo le origini del ragù si è detto di tutto: popolazioni intere se ne contendono la paternità, ma ficcarsi in faccende del genere non ci è mai piaciuto e mai ci piacerà. Con il nome ragù, sin dal Sedicesimo secolo, si identificano delle ricche preparazioni con protagonisti animelle, carne di coniglio, punta di petto di manzo, finanche ragù di uova e gamberi, con molte spezie e condimenti vari. Le descrizioni principali le ritroviamo ne Il Cuoco Galante, l’opera omnia del gastronomo napoletano Vincenzo Corrado, che racchiude bene o male buona parte della storia della cucina della penisola. Attenzione, però: con il termine ragù – italianizzato dal francese ragout, a sua volta da ragouter – non si intendeva un “condimento” delle tagliatelle o dei maccheroni, bensì una sorta di salsa d’accompagnamento, di intingolo, o ancora una salsa da utilizzare come sostanzioso ripieno: niente a che vedere con la pasta, cui l’associamo oggi, se non molto più in là nel tempo.
Novembre 2021
In un primo momento, non era prevista nemmeno l’immissione del pomodoro, da poco arrivato sulle tavole europee. Fu Francesco Leonardi, gastronomo ed autore de L’apicio moderno (pubblicato nel 1790 e altro grande compendio di storia della gastronomia della penisola italiana), ad introdurre sia la possibilità di inserimento del pomodoro, sia a considerare il ragù (codificato in questa versione) come condimento per i maccheroni.
028
Di versioni del ragù ne esistono, ovviamente, a centinaia nella sola penisola italiana: basti pensare alle sostanziali differenze tra ragù napoletano e ragù bolognese, per non parlare delle derive locali presenti ovunque con il ragù di lepre, di cinghiale o altra selvaggina, o ancora di coniglio. Viene normale, quindi, considerare il ragù come una ricetta univoca, così come si perviene facilmente alla conclusione che il ragù
autentico, non esiste. Viene fatto quotidianamente con la scelta degli ingredienti dello stesso: se tra napoletani e bolognesi la sfida si sposta sul piano del formato della carne (i napoletani tassativamente utilizzano carne in pezzi, mentre i goderecci bolognesi preferiscono carne trita), la scelta della tipologia di carne spesso non è felice. Soprattutto il popolo napoletano, ha una vera e propria venerazione per la scelta di tagli di carne poveri. Tagli che spesso, con la cottura prolungata, si rivelano del tutto inadatti ad un ragù saporito. Carne di manzo e maiale viaggiano a braccetto, nella scelta e preparazione del ragù. I napoletani preferiscono la loro colarda, conosciuto in Italia come scamone e da noi come rump steak, insaporendo poi il tutto con le tracchie di maiale, cioè le spuntature; altri aggiungono anche dei fagotti di cotica di maiale ripieni di pinoli, uvetta, prezzemolo ed impasto per le polpette. Fermiamoci un attimo. Abbiamo detto tracchie? Spuntature? Be’, a questo punto, noi del Magazine non possiamo far altro che distinguerci: perché non preparare un goloso, sostanzioso ragù aggiungendo le nostre Smoked Duroc Baby Back Ribs accuratamente selezionate dal Megastore? Le Smoked Duroc Baby Back Ribs, tuffate in un sugo di pomodoro e poi cotte lentamente ed insaporite, vi daranno un ragù eccezionale, restando deliziosamente tenere. Fedeli alla nostra italianità, ve lo abbiamo presentato con la pasta, ma fidatevi di noi quando vi diciamo che, sul serio, sta bene proprio con tutto: sui crostini, nella piadina, nei tacos, nei panini o per presentare piatti dal sapore più esotico con riso in bianco, verdure e avocado… insomma, è davvero il nuovo nero.
BBQ4All Magazine
029
Ingredienti per 4 persone: due slab di
Smoked Duroc Baby Back Ribs / una cipolla / mezza carota / un gambo di sedano / 2 spicchi d’aglio / un cucchiaino di tabasco / un cucchiaino di salsa di soia / un cucchiaino di aceto di mele / olio extravergine di oliva / vino bianco q.b. / pepe q.b. / 100 g di passata di pomodoro / un cucchiaino di concentrato di pomodoro / mezzo litro di brodo vegetale PREPARAZIONE 1. Aprite la confezione delle ribs e mettetele nel forno di casa (modalità statica) o nel vostro dispositivo ad una temperatura di circa 80°C; dopo circa mezz'ora passate a 110°C (se usate il forno di casa, andate in modalità ventilata) per far asciugare il bark. Una volta asciugato il bark, non è finita qui: avvolgete le ribs in un doppio strato di alluminio con un poco di liquido all’interno e lasciatele cuocere ancora finché non vi accorgerete che si staccano completamente dall’osso (ci vorrà circa un’ora e mezza). A quel punto potete toglierle dal forno o dal vostro dispositivo. 2. Togliete le ossa dalle slab e togliete la pleura. Spezzettate la carne delle ribs col coltello in modo grossolano. Preparate un soffritto con sedano, carota, cipolla e aglio e poi aggiungete la carne. Lasciate insaporire per qualche minuto poi sfumate con vino bianco. Non è necessario aggiungere sale, poiché le ribs sono già salate al punto giusto.
Novembre 2021
3. Aggiungete la passata di pomodoro, la salsa di soia (non esagerate), il tabasco e il concentrato di pomodoro. Aggiungete all’occorrenza mezzo bicchiere di brodo vegetale, lasciate che lo stufato prenda il bollore, poi abbassate i fuoco, coprite e lasciate andare per un paio d’ore. Se dovesse asciugarsi troppo in cottura, aggiungete ogni tanto un poco di brodo.
030
4. Quando il ragù sarà pronto, lasciatelo ritirare qualora risultasse troppo liquido e poi servitelo condendo la pasta o, come dicevamo in precedenza, nel modo in cui più vi piaccia (suggerimento: con una fetta di pane fresco direttamente dalla pentola è la morte sua!)
A tutto fritto!
FRIED PORK RIBS WITH MASHED POTATOES
Avete presenta l’hashtag #foodporn che tanto spopola sui social? Ebbene, se dobbiamo pensare a un piatto che possa rappresentare perfettamente questa categoria, sicuramente le Pork Ribs Fried - ovvero prima affumicate alla maniera classica e successivamente fritte - sono ai primi posti. Se, come dice il noto proverbio, anche una suola di scarpa è buona se viene fritta, immaginate cosa può succedere alle succulentissime ribs di maiale Duroc che ben conoscete. Esatto, succede proprio quella cosa là che state pensando: croccanti al morso, succose all’interno e con quel gusto affumicato tanto amato da tutti noi griller. State già sbavando, vero? Abbiamo scelto di servirle con un contorno che fosse alla loro altezza, sia nel gusto che nel divertimento nel prepararlo: le mashed potatoes. Parliamo di patate che, di solito, vengono lessate, poi schiacciate grossolanamente, condite con burro, sale e latte, infine insaporite con altri ingredienti, secondo il proprio gusto. Oltreoceano va forte la versione con – che strano, non ce lo saremmo mai aspettati! – cheddar e bacon. E’ un contorno molto simile al nostro purè, insomma, ma con un plus di sapore. Noi, come potete ben immaginare, aggiungiamo un ulteriore passaggio, cuocendo le patate in ember roasting. Abbiamo parlato spesso di questa tecnica. Le patate si prestano benissimo ad essere preparate in questo modo: molti di voi, anche prima di sapere cosa volesse dire cottura a contatto diretto con le braci, da bambini avranno visto i loro nonni cuocere le patate sotto la cenere del camino. Bene, noi lo faremo con il kettle, ma il risultato non cambia. Dovremo cuocere a lungo i nostri tuberi, in modo che raggiungano il punto in cui sarà facilissimo scavarle e schiacciarle senza che oppongano resistenza alla nostra forchetta. A quel punto, il gioco sarà fatto.
BBQ4All Magazine
Bando alle ciance, tuffiamoci in questa preparazione deliziosa e di sicuro effetto sui vostri ospiti. Noi vi daremo il procedimento partendo dalle ribs crude, in modo che possiate vivervi un’esperienza completa in griglia, ma se volete prendere una scorciatoia, le ribs precotte del nostro Megastore fanno al caso vostro. A voi la scelta.
031
032
Novembre 2021
Ingredienti per 4 persone: per le pork ribs: due slab di Pork Ribs di Maiale Duroc (Baby Back o St. Louis) / tre cucchiai di Ultimate SPOG della linea Sal’s Seasoning / olio extravergine di oliva q.b. / due cucchiaini di paprika / due uova / farina q.b. / panko q.b. / un litro di olio di semi di arachide per le mashed potatoes : 800 g di patate a pasta gialla / 100 g di burro / 100 ml di panna fresca / sale q.b. / a piacere del prezzemolo e un Rub della linea Sal’s Seasoning per servire PREPARAZIONE RIBS 1. Preparate il vostro dispositivo per una cottura indiretta a circa 110°C. Stabilizzatelo: se utilizzate un dispositivo a carbone, per aiutarvi potete inserire una vaschetta d’acqua al livello della griglia carboni. 2. Trimmate e ripulite le slab di ribs da eventuali accumuli di grasso. Togliete la pleura, poi spennellatele con un filo d’olio e spolverizzate il rub ottenuto mescolando lo SPOG con la paprika. Ricordate di non esagerare mai col Rub, per evitare l’effetto fettina panata. 3. Mettete in cottura le vostre ribs, affumicandole con chips di legno fruttato, e chiudete il coperchio del dispositivo. 4. Quando il bark sarà ben formato, avvolgetele in un doppio strato di alluminio con un poco di liquido (acqua, aceto di mele) e rimettetele in cottura finché non avranno raggiunto il grado di cottura che preferite (anche se in questo caso vi sconsigliamo di portarle al punto che si distacchino completamente dall’osso). Dovranno essere cedevoli ma ancora di una certa consistenza. 5. Tenetele in rest mentre preparate la pastella con uova, farina e un pizzico di sale. Tagliate le ribs e poi passatele prima nella pastella e poi nel panko. 6. Scaldate l’olio di semi e friggete le vostre ribs velocemente: appena il panko si dorerà, toglietele dall’olio e passatele su un foglio di carta assorbente. Servite le ribs con le masched potatoes. PREPARAZIONE MASHED POTATOES 1. Avvolgete le patate in un doppio strato di fogli di alluminio e appoggiatele in cottura direttamente sotto le braci. 2. Chiudete il coperchio del vostro dispositivo e attendete il tempo necessario per cui i tuberi risultino completamente cedevoli infilando uno stecchino. A quel punto togliete le patate dalle braci. 3. Lasciate che si raffreddino leggermente, poi apritele e scavatele, ricavando la polpa morbida. BBQ4All Magazine
4. Schiacciatela grossolanamente con una forchetta, poi in un pentolino sul fuoco aggiungete il burro, il sale e il latte. Lasciate che il tutto si insaporisca, poi servite le patate così preparate con un poco di prezzemolo, un cubetto di burro e uno dei Rub della linea Sal’s Seasoning che preferite.
033
GIANT RIB SANDWICH Mostruosamente buono! Gli americani, si sa, hanno la mania di fare le cose sempre più grandi del resto del mondo. Nel 2018, in Minnesota, hanno realizzato un panino da più di quattro metri di diametro: si sono serviti di una gru per spostarlo. Ma, come giustamente alcuni fanno notare, grandezza non è certo sinonimo di bontà. Anzi, spesso, andando alla ricerca del “sempre più grande”, si perdono di vista i dettagli e si finisce per realizzare qualcosa di enormemente mediocre. Ve la ricordate la geniale pubblicità del famoso pennello Cinghiale? Meglio un pennello grande o un grande pennello? Ebbene, quando abbiamo preso spunto da qualche ricetta americana per questo panino, ci siamo posti il problema: non è che, cercando di fare qualcosa di eccessivo, perderemo di vista il gusto e ci ritroveremo con una preparazione meravigliosamente instagrammabile ma allo stesso tempo immangiabile? Non sarebbe meglio proporre mille mini-panini super fighi piuttosto che uno solo ma così-così? Beh, la risposta forse può sembrare scontata, ma è l’unica possibile: meglio un panino enorme e anche superfigo. O no? Perché dovremmo scegliere tra l’una e l’altra opzione? È nato così questo Giant Rib Sandwich, un panino fatto con una ciabatta - che il buon Alessandro Trezzi ha studiato appositamente per noi - e una slab intera di pork ribs. Esatto. Intera. La ficchiamo dentro il pane così com’è (o quasi). Poi, ovviamente, avremmo potuto eccedere con salse, formaggi, contorni più o meno caramellati e piccanti, facendo sette o otto strati di ingredienti improbabili abbinati tra loro solo per il gusto di vedervi fare “wow”! E invece no. Abbiamo voluto rimanere sul sobrio e pensare davvero all’abbinamento perfetto, senza cercare di stupirvi con effetti speciali; d’altra parte, mettere una slab intera in una ciabatta è già un effetto speciale. Un fuoco d’artificio. Un colpo da maestro.
Novembre 2021
Per questo motivo abbiamo scelto di farcire il panino con soli altri due ingredienti: i cavolicelli tanto amati dallo Zio (e provenienti dalla sua riserva personale) e un formaggio fondente dal sapore non troppo invasivo, proprio per esaltare e accompagnare il gusto della ciccia, che rimane l’unica vera attrice protagonista.
034
Il risultato è quello che vedete in foto: un panino grande ma, ve lo assicuriamo, è anche un grande panino. Equilibrato dal primo all’ultimo morso, facilmente porzionabile, facilmente addentabile, bello da vedere, bello da portare in tavola per un effetto wow e da fotografare per i vari post sui social, ma anche mostruosamente buono. Provatelo e fateci sapere!
Ingredienti per 6 persone: Una slab
di Smoked Duroc Baby Backs Ribs del Megastore / una ciabatta da circa 1 kg / BBQ4All Barbecue Sauce Original q.b. / 300 g di cavolicelli già lessati / 300 g di formaggio Asiago tagliato in fette sottili / sale e pepe q.b. / tre spicchi d’aglio / 100 g di pomodori secchi sott’olio / olio extravergine di oliva q.b. PREPARAZIONE 1. Togliete le ribs dalla confezione e fatele rinvenire nel vostro dispositivo o in forno statico a 80°C circa per un’ora. Poi alzate la temperatura a 110°C per circa mezz’ora (se usate il forno, passate in modalità ventilata). Dopo che il bark sarà asciugato, chiudete la slab in un doppio strao di foil, con un po’ d’acqua all’interno, e rimettetela in cottura per un paio d’ore. 2. Nel frattempo saltate i cavolicelli in padella con l’aglio, i pomodori secchi tritati grossolanamente, sale e pepe. 3. Una volta che la carne sarà completamente cedevole e tenderà a staccarsi dalle ossa, tirate fuori la slab, privatela della pleura e togliete tutte le ossa sfilandole, ma lasciando la slab intera. Spennellatela con la salsa bbq, poi rimettetela per qualche minuto in cottura per farla asciugare. 4. Aprite la ciabatta in due e tostate le due metà. Adagiate la slab intera laccata con la salsa bbq sulla base del panino, poi appoggiate sopra la carne i cavolicelli e infine le fette di Asiago. Rimettete il panino così “scoperto” nel vostro dispositivo o in forno, in modo da far sciogliere il formaggio. Una volta che l’Asiago sarà fuso, chiudete il panino con la parte superiore della ciabatta e servitelo caldo
BBQ4All Magazine
035
TACO Tu mi hai provocato? E io ti faccio con le BEEF RIBS
Diciamo che il taco ha avuto lo stesso destino della pizza: come quest'ultima che, ovunque la si esporti, prende le connotazioni degli usi e costumi locali, diventando quasi sempre una bomba di sapore, gusto e nuove tradizioni, di quelle che ci piacciono tantissimo perché rispecchiano le abitudini di ognuno, tante tecniche di cottura differenti e anche un po’ di ingegno. I taco sono fatti di morbide tortillas di mais, ripiene di ingredienti tipici, che variano da zona a zona. In Messico, predomina sicuramente la cucina piccante con relative farciture, oltre a carne, spezie e fagioli. Il taco non è da confondere con il burrito: con quest’ultimo condivide, infatti, il guscio fatto dalla tortilla di mais. Mentre il taco viene soltanto parzialmente arrotolato, il burrito invece viene completamente arrotolato.
Novembre 2021
L’origine del taco è spesso collocata in Messico: sarebbe più opportuno pensare che, laddove era diffusa la coltivazione e l’utilizzo di mais e relativa farina, ci fosse una qualche versione della sottile sfoglia giallina farcita. Ci sono in ogni caso ampie testimonianze che le popolazioni autoctone del Messico avessero come cibo tipico dischi di pasta fatti con farina di mais e farciti con ingredienti freschi, come pesce appena pescato, oppure interiora di animali opportunamente cucinate. Il nome “taco”, in realtà, è una invenzione recente. Ne abbiamo traccia soltanto a partire dal XVIII secolo grazie alle testimonianze dei minatori. Il “taquito” era, in pratica, della carta arrotolata con della polvere da sparo all’interno, inserita nelle rocce prima delle detonazioni. Per questo motivo, è stato subito associato ad un cibo povero, adatto alla classe operaia, anche grazie alla facilità di trasporto. L’altro nome del taco è, appunto, “taco de minero”, cioè “del minatore”.
036
Come spesso abbiamo visto nella cucina del Centro-Sud America, il piccante fa da protagonista: non si esime da questa regola non scritta il taco, che era spesso farcito con ingredienti piccantissimi e sostanziosi, che inducevano anche una facile sazietà.
IL TACO NEGLI STATES Abbiamo addirittura una data per l’arrivo del taco negli Stati Uniti e, quindi, della fama che si diffonderà in tutto il mondo. Siamo nel 1905: i messicani, in cerca di lavoro, vennero impiegati nella costruzione di una nuova e potente rete ferroviaria. Questi, ovviamente, portarono con sé la tradizione dei tacos da mangiare direttamente sul posto di lavoro. La prima città statunitense ad accogliere e promuovere il business dei tacos fu Los Angeles: qui, nacquero i primi chioschi, gestiti da donne messicane che erano chiamate “chili queens”: infatti, il ripieno dei tacos all’epoca era quasi esclusivamente piccante, come da tradizione. Quindi, questo li rendeva non particolarmente apprezzati dagli americani. Dobbiamo aspettare il 1920 per intravedere la commistione di ingredienti messicani e americani per la farcitura dei tacos. Le interiora piccanti iniziarono ad essere sostituiti con ingredienti più appetibili e vicini ai palati statunitensi, come ad esempio manzo, pollo, insalata fresca, pomodori di stagione e formaggio cheddar. Insomma, una sorta di fusion taco, che è anche un po’ quello che ai giorni nostri conosciamo. Con il tempo, diverse catene sono diventate sinonimo di tacos; l’invenzione che di sicuro ha rivoluzionato il mondo e il modo di concepire questo gustoso cibo è il guscio di farina di mais precotto: senza alcun dubbio, questo è stato il boost della sua diffusione in tutto il mondo. Preso il guscio iconico, resta solo da farcirlo con gli ingredienti facilmente reperibili, nonché quelli che più incontrano i gusti dei commensali. Ad oggi, il taco è diffuso a livello mondiale: è quasi impossibile rintracciare farciture originarie, visto la sua natura così mimetica, si adatta facilmente ai gusti e ai costumi delle persone che decidono di consumarlo. Certo: i messicani sentono molto la pressione dell’”americanizzazione” del loro cibo iconico, quindi cercano di ritornare ai loro gusti primigeni, quando possibile. I tacos messicani sono
BBQ4All Magazine
037
038
Novembre 2021
spesso farciti con carni fortemente aromatizzate, coriandolo, radicchio in fette, cipolle grigliate e una discreta quantità di salse piccanti e di queso fundido (formaggio fuso). Le salse più tipiche in aggiunta sono la panna acida (chiamata crema) e il guacamole. Vi elenchiamo alcuni tipi di taco, giusto per farvi un’idea della quantità di personalizzazioni possibili su questo cibo. TACO AL PASTOR. Protagonista principale di questo taco è la carne di maiale cotta con il metodo portato dai migranti libanesi, cioè la shawarma di agnello (in altre parole, il kebap di agnello). TACO DE ASADOR. Sono i tacos alla piastra, cioè farciti e poi buttati a grigliare. TACO DE BARBACOA. Farciti con manzo, agnello oppure maiale alla griglia. TACO DE CABEZA. È il taco farcito con la carne proveniente dalla testa di un animale (solitamente maiale), preventivamente grigliata. TACO DE CAMARONES. Qui il taco è farcito con gamberi alla griglia e svariate salse. TACO DE CARNITAS. Farcito con carne di maiale cotta per lungo tempo e decisamente speziata. TACO DE LENGUA. Il guscio qui è farcito con lingua di manzo e relative salse. TACO DE PESCADO. Diffuso soprattutto in California, è un taco farcito con filetti di merluzzo freschissimo. TACO DORADO. Fritto è buono tutto. Quindi friggiamo un taco dopo averlo farcito, no? TACOS DE CANASTA. Il taco da street food per eccellenza. Ripieni di chorizo, fagioli e altro. Vengono subito avvolti nella carta dopo la cottura, venduti bollenti. TACOS MISSION. Tipici della zona di San Francisco. Sono ripieni di fagioli e formaggio.
Ingredienti per 4 persone: 4 tortillas di mais
/ 400 g di Beef Ribs gia cotte e tagliate in piccoli pezzi / due cipolle rosse / un cucchiaino di tabasco / mezzo cucchiaio di concentrato di pomodoro / un cucchiaio di aceto di mele / fettine di peperoncino Jalapeño sottaceto a piacere / 100 g di fagioli rossi / un peperone rosso / sale e pepe q.b. / olio extravergine di oliva q.b. / BBQ4All Burger Sauce Masterpiece q.b. / prezzemolo q.b. PREPARAZIONE 1. Affettate finemente le cipolle e poi mettetele a soffriggere in un tegame con l’olio. Quando saranno appassite, aggiungete la carne e lasciate insaporire. Dopo qualche minuto sfumate con l’aceto di mele e poi aggiungete il tabasco e il concentrato di pomodoro e mezzo bicchiere d’acqua. Coprite e lasciate andare lo stufato per un’oretta circa. Nel caso dovesse asciugarsi troppo, bagnatelo con del brodo. 2. Una volta pronto, togliete lo stufato dal fuoco e lasciatelo intiepidire. Affettate i peperoni e uniteli ai fagioli rossi scolati dalla loro acqua. Condite il tutto con olio, sale e, a piacere, le fettine di peperoncino. 3. Tritate finemente il prezzemolo 4. Scaldate le tortillas e poi piegatele in due dopo averle farcite con la carne, i fagioli, i peperoni e una generosa quantità di salsa; terminate col prezzemolo e servitele ancora calde.
Altamente instagrammabile, dal click facile così come la salivazione, il taco è ormai è una specialità esportata letteralmente in tutto il mondo, con le più svariate farciture: da quelle tradizionali a quelle più irriverenti e poco convenzionali, un taco si adatta facilmente alle esigenze alimentari di tutti e non si nega ad alcuno.
BBQ4All Magazine
Vista la versatilità dei tacos, per questo numero del Magazine abbiamo deciso di farcirle con un gustoso ripieno a base di Beef Ribs del nostro Megastore. Pronti a lanciare la sfida al taco definitivo?
039
Le chiamavano
RIBS ALLA TRINITÀ
Se vi diciamo Bud Spencer e Terence Hill, il cuore di voi romantici e nostalgici degli anni ‘70-’80 ha un sussulto. Lo sappiamo. Fra le tante cose che tornano alla mente dei film con i due mitici e amatissimi attori, sicuramente la scena di Lo chiamavano Trinità..., in cui Terence Hill mangia voracemente i fagioli al sugo nella padella, è fra i primi posti. Pare che per girare quella sequenza il buon Terence abbia digiunato per 24 ore (ma alcuni dicono addirittura 48): fatto sta che faceva venire una fame incredibile. Abbiamo sentito tutti l’urgenza impellente di assaggiare quei fagioli. Alcuni leccavano lo schermo della tv, in barba alla battuta del terribile Trinità: e comunque i fagioli erano uno schifo! Eh, no, caro mio! Non ci freghi. Lo sappiamo, lo abbiamo sempre saputo che erano squisiti. La pellicola, diretta da E.B. Clucher, è un western all’italiana in versione commedia, una specie di parodia dei famosi spaghetti western. Essendo la storia ambientata nel far west ed essendo i protagonisti dei buontemponi squattrinati, i piatti che venivano presentati nel film erano ovviamente poveri. Ma noi ci siamo chiesti: se avessero potuto, Trinità e Bambino (e la loro pittoresca mamma) con cosa avrebbero accompagnato quei piccanti fagioli al sugo? La risposta è ovvia e potete vederla già nelle foto. Le ribs. Voi ce lo vedete Bud Spencer a mangiarle con le mano, buttandosi le ossa dietro la schiena? Noi sì.
Novembre 2021
Abbiamo scelto di fotografare questo delizioso secondo piatto ancora nella padella proprio per evocare quelle atmosfere, e poi diciamolo chiaramente: lo stufato davvero buono, quello che ti fa venire l’acquolina mentre sta ancora sobbollendo sul fuoco va mangiato direttamente dalla pentola con una fetta di pane alta cinque dita (altrimenti è un crostino); tutto il resto sono sovrastrutture.
040
In questo caso abbiamo usato le ribs precotte del nostro Megastore, ma come detto in altre occasioni, se volte vivere un'esperienza completa di barbecue potete partire dalle ribs crude. Su questo stesso numero trovate il metodo per prepararle, in altre ricette.
Ingredienti per 4 persone: Una
slab di Smoked Duroc Baby Backs Ribs del Megastore /250 g di fagioli rossi già lessati / 250 g di fagioli borlotti già lessati / un gambo di sedano / una cipolla rossa piccola / una carota / due spicchi d’aglio / un cucchiaio di salsa di soia / mezzo cucchiaio di aceto di mele / peperoncino a piacere (molto bene se Habanero Chocolate o Jalapeño) / 200 g di passata di pomodoro / un cucchiaio di concentrato di pomodoro / sale e pepe q.b. / olio extravergine di oliva q.b. / prezzemolo a piacere PREPARAZIONE 1. Togliete le ribs dalla confezione e fatele rinvenire nel vostro dispositivo o in forno statico a 80°C circa per un’ora. Poi alzate la temperatura a 110°C per circa mezz’ora (se usate il forno, passate in modalità ventilata). Dopo che il bark sarà asciugato, tenetele in rest. 2. Preparate i fagioli, sgocciolandoli dalla loro acqua, poi fate un soffritto con sedano, carota, cipolla e aglio. 3. Aggiungete al soffritto la passata di pomodoro, la salsa di soia, il peperoncino, il concentrato di pomodoro e l’aceto di mele. Lasciate cuocere per qualche istante poi regolate di sale (senza esagerare) e di pepe.
BBQ4All Magazine
4. Aggiungete al sugo i fagioli e lasciateli insaporire per qualche istante. Poi tagliate le ribs e aggiungetele ai fagioli. Aggiungete un po’ d’acqua calda, chiudete e lasciate stufare il tutto a fuoco molto dolce per circa 45 minuti. Servite la vostra Trinità con prezzemolo tritato e tanto, tanto pane!
041
RIBS CON ZUPPA DI
FUNGHI E PATATE
ed è subito comfort food!
Ci sono abbinamenti che sono perfetti, specie in cucina: formaggio e pere, speck e fontina, pomodoro e mozzarella, mele e cannella. Potremmo continuare per ore, ma una cosa è certa: sarà anche banale, sarà anche trito e ritrito, sarà demodé, sarà tutto ciò che volete, tuttavia buttarsi sull’abbinamento perfetto quando si ha poco tempo o non si ha voglia di lanciarsi in esperimenti è una mossa vincente. Vi sarà capitato di vedere sedicenti cuochi che propongono sui social piatti tipo: tortello di zucca su base di broccolo affumicato, con copertina di caprino, noci tostate, sferificazione di pomodoro, olio al basilico, salvia fritta e un goccio di balsamico... che al mercato mio padre comprò (cit.). Ecco, per intenderci: è molto meglio una pera - intendiamo, il frutto - col gorgonzola. Ebbene, uno degli abbinamenti vincenti di cui sopra è senza ombra di dubbio quello fra funghi e patate. Tempo fa abbiamo dedicato uno speciale al comfort food: il piatto che vi presentiamo oggi ci sarebbe entrato di diritto. Cosa c’è di meglio, in una fredda serata autunnale, quando fuori piove e tira il vento, di sedersi accanto al camino con in mano una bella ciotola di zuppa con funghi e patate, accompagnarla con… pane tostato? Ma nemmeno per sogno. Pork Ribs affumicate. Essì! Banali, ok. Prevedibili, mai.
Novembre 2021
La zuppa di funghi e patate è un piatto autunnale che spopola nel nostro Paese, specie nelle zone montane del nord. Ognuno ha una sua versione, ma nasce dalla tedesca Kartoffelsuppe, un piatto tedesco originariamente fatto con le sole patate, che poi nel tempo si è arricchito e ha dato vita a numerose varianti: coi funghi, con la salsiccia, lo speck, la pancetta… La nostra variante, quindi, prevede le ribs di maiale, non solo perché siamo fissati con le griglie, ma anche perché odiamo le diete e i piatti leggeri ci mettono tristezza infinita.
042
Quali funghi usare? Beh, sempre per andare sul sicuro coi porcini non sbagliate mai, ma se volete un gusto meno invasivo potete usare gli champignon, o optare per un misto. Se non li conoscete o non li avete mai usati, provate ad aggiungere al misto anche i funghi pioppini o piopparelli. In molti li confondono coi chiodini, ma non sono affatto la stessa cosa: il pioppino, di cui solitamente viene utilizzata solo la cappella intera, è un fungo molto apprezzato in cucina, sia per il profumo che per il sapore, ma soprattutto per la consistenza carnosa e “croccante”, che tiene molto bene in cottura. Ok, siamo pronti per il comfort food a prova di griller!
BBQ4All Magazine
043
Ingredienti per 4 persone:
per le pork ribs: una slab di St Louis Pork Ribs di Maiale Duroc del nostro Megastore / 5 g di paprika affumicata o dolce / due cucchiaini di Ultimate SPOG Sal’s Seasoning / 12 g zucchero di canna / un pizzico di cumino / 5 g di senape in polvere / 100 g aceto di mele / 20 g di salsa Worcestershire / 5 g di zucchero di canna / 25 g senape gialla americana / olio di semi q.b. per la zuppa di funghi e patate : un gambo di sedano / una cipolla piccola / una carota / due spicchi d’aglio / 500 g di misto di funghi (porchini, champignon, pioppini) / 400 g di patate / un litro e mezzo di brodo vegetale / sale e pepe q.b. / mezzo cucchiaio di concentrato di pomodoro / prezzemolo q.b. / olio extravergine di oliva q.b. PREPARAZIONE 1. Preparate la salsa mop unendo tutti gli elementi in un pentolino, intiepidite fino a far sciogliere lo zucchero e una volta fredda lasciate maturare la salsa in frigo almeno 24 ore. 2. Per il rub miscelate tutte le polveri per bene fino a ottenere un condimento perfettamente omogeneo. 3. Trimmate la slab, ripulitela da brandelli e parti che potrebbero bruciare in cottura ed eliminate la membrana bianca che copre le ossa. 4. Cospargete la slab con un sottile strato di olio di semi e applicate con un setaccio a maglie fini un cucchiaio di rub per lato. 5. Stabilizzate il vostro affumicatore a 110 gradi circa (10 in più o in meno non faranno la differenza) e mettete in cottura indiretta la slab, affumicandola con chips di legno aromatico. 6. Chiudete in coperchio e dimenticatevela lì per almeno un’ora. Dopo un’ora date una generosa spennellata di salsa mop e richiudete per un’altra ora. Quando il bark sarà asciutto e di un bellissimo color mogano, avvolgere le ribs in un doppio strato di foil, rimettetele in griglia e aspettate che raggiungano il grado di cottura desiderato. Una volta pronte, tenetele in rest. 7. Mentre aspettate le ribs, preparate la zuppa di funghi e patate: pulite i funghi e tagliateli a fettine, lasciando quelli più piccoli interi; sbucciate le patate e tagliatele a dadini.
Novembre 2021
8. Preparate un soffritto con sedano, cipolla, carota e aglio, poi unite i funghi e lasciateli insaporire, così come le patate. Salate e pepate, poi aggiungete metà del brodo e i concentrato di pomodoro. Portate a ebollizione e lasciate cuocere la zuppa, aggiungendo del brodo qualora doveste vedere che si sta asciugando troppo. A noi piace che sia molto densa.
044
9. Una volta pronta, servite la zuppa con pepe nero, un filo d’olio extravergine di oliva, il prezzemolo tritato e le ribs tagliate. Se volete esagerare, tostate del pane, ma non vorremmo che poi il piatto divenisse troppo pesante… buona serata d’autunno!
Usiamo la cocotte per il
CONIGLIO ALLA CACCIATORA
Voglia di un piatto rustico in grado di riunire tutta la famiglia come si faceva una volta? Avete comprato una cocotte in ghisa, ma non sapere come usarla? Questa volta vi proponiamo il coniglio in cocotte assieme alle verdure, con immancabile affumicatura!
di coniglio? Solitamente, viene accompagnata con gentilezza dalle verdure che donano una nota di colore e rendono il tutto più appetitoso, oltre a sfumare il gusto che in alcuni casi potrebbe sembrare più forte.
Il coniglio è un animale da cortile dalle caratteristiche davvero uniche. Ci ritroviamo una carne prelibata, sicuramente molto magra ma allo stesso tempo tenera e succosa: basta utilizzare i giusti tempi e la giusta cottura. La carne di coniglio ha quasi 20 g di proteine su 100 g di materia edibile, con pochissimi grassi e quasi zero colesterolo.
La lenta cottura in cocotte permetterà al profumo intenso degli aromi mediterranei di sprigionarsi in tutta la loro potenza, così da invogliare tutti i commensali, anche i più restii alla carne di coniglio. Inoltre, la preparazione non richiede una presenza assidua ai fornelli e questo vi permetterà di trascorrere del tempo in compagnia dei vostri commensali, senza trascurarli. Anzi: c’è tutto il tempo per fare un paio di giri di Monopoli!
Cosa mettere come accompagnamento alla carne
BBQ4All Magazine 045
Ingredienti per 4/6 persone:
per la salamoia: 1,5 l di acqua / 30 g di sale grosso / 500 ml di vino bianco / rosmarino q.b. / timo q.b. / bacche di ginepro q.b. / la buccia edibile di un’arancia / chiodi di garofano q.b. / alloro q.b. Sal’s Seasoning Mount Nimba q.b per il coniglio : 1 coniglio (circa 1,5 kg) / 1 cipolla bianca / 3 scalogni / 3 carote / 3 zucchine / 3 peperoni / 3 spicchi d’aglio / 3 patate / 1 porro / 3 rametti di rosmarino fresco / Sal’s Seasoning Ultimate Spog q.b. / Sal’s Seasoning Montreal Steak rub q.b. / Sal’s Seasoning Mount Nimba q.b. / 2 bacche di ginepro / 2 foglie di alloro / 2 chiodi di garofano / 500 ml di vino bianco / 100 g di burro / olio extravergine d’oliva q.b.
PREPARAZIONE 1. Fate bollire l’acqua, aggiungete il sale le spezie i sapori e le scorze di arancia, mescolate per bene e fate raffreddare. Dopodiché, aggiungete il vino. 2. Tagliate a pezzi il coniglio e poi immergetelo del tutto nella salamoia. Fate riposare in frigo a 4°C per tutta una notte. 3. Stabilizzate il vostro dispositivo di cottura sui 150°C. 4. Tagliate le verdure a cubotti grossi. 5. Togliete il coniglio dalla salamoia; sciacquatelo velocemente, asciugatelo e massaggiare le carni con una leggera passata di Mount Nimba, Montreal Steak e Ultimate SPOG. 6. Mettete sulla griglia i pezzi di carne e affumicateli per circa 30 minuti. 7. Togliete i pezzi dalla griglia e poggiatevi invece la cocotte in ghisa. 8. All’interno della cocotte, aggiungete olio extravergine e gli spicchi d’aglio in modo da farli rosolare leggermente, poi metterle la cipolla e a seguire il resto delle verdure. 9. A questo punto disponete i pezzi di coniglio tra le verdure, le spezie, i rub, il burro e il vino.
Novembre 2021
10. Chiudete il coperchio del dispositivo e affumicate per altri 30 minuti, dopodiché mettete il coperchio alla cocotte e assicuratevi di sentire sobbollire leggermente.
046
11. Lasciate in cottura per circa tre ore, controllando di tanto in tanto con un mestolo di legno il grado di cottura, quando le ossa del coniglio si staccheranno in maniera pulita dalla carne sarà il momento di servire, magari assieme ad una buona polenta morbida.
BBQ4All Magazine
047
Che inverno sarebbe senza la
ZUCCA ...BRUCIATA? Il periodo autunnale e prenatalizio si riconosce anche dal fatto che, un po’ ovunque, si moltiplicano i piatti a base di zucca: nel risotto, nella pasta, nei dolci, nel pane, nei minestroni, nelle vellutate; stufata, fritta, frullata o arrostita, la cucurbitacea arancione è la vera protagonista della stagione corrente. Anche noi vi abbiamo proposto preparazioni a base di zucca più di una volta nel corso degli anni, in questo stesso periodo. E anche nel 2021 non vogliamo rinunciare alla tradizione e abbiamo scelto di abbinarla alle noci e ai fichi secchi: più autunnale di così non si può! Torniamo a una delle tecniche che tanto ci piacciono quando dobbiamo cucinare i vegetali e vogliamo usare il carbone a tutti i costi: l’ember roasting.
Novembre 2021
Come sapete, la zucca si presta benissimo a questa modalità di preparazione; grazie alla buccia spessa, può essere adagiata sui carboni senza il rischio che la polpa si carbonizzi. Per cuocerla all’interno ci vuole un po’ di tempo, ma il risultato è sicuramente eccezionale. Può essere appoggiata sulle braci a pezzi o intera: una volta cotta, si preleva la polpa morbida, la si frulla per ottenere una crema e, come ci insegna Gianfranco Lo Cascio, le si dà una nota acida per bilanciare la sua dolcezza e rendere più brillante il sapore. A quel punto, si può utilizzare la crema di zucca bruciata per svariate preparazioni (se cercate un po’ fra i vecchi post in community troverete tre ricettine dello Zio, di quelle da leccarsi i gomiti!).
048
In ogni caso, si fa presto a dire zucca, ma sapete che ne esistono moltissime
varietà? Prima di passare alla ricetta dei nostri tortini di pasta fillo, facciamo una piccola panoramica delle cinque zucche più diffuse in Italia: Zucca Mantovana: polpa densa, dolce e farinosa dal colore arancone brillante, buccia verde e rugosa, dalla forma a turbante. E’ perfetta per realizzare il ripieno dei tortelli e per le vellutate. Zucca Delica: parente stretta della mantovana, è diffusa molto in Veneto, in Lombardia e in Emilia Romagna. Buccia verde scuro e polpa asciutta, questa zucca si presta benissimo ad essere arrostita. Zucca Tonda padana: con striature pronunciate, la forma tondeggiante e un robusto peduncolo legnoso. I semi sono saporiti, la polpa soda è adatta a ripieni e mostarde. Zucca di Chioggia: ha una scorza bitorzoluta, che va dal verde scuro al verde ramato, e una forma tipicamente schiacciata; la polpa è molto saporita ed è adatta alla preparazione di gnocchi, ripieni e risotti. Zucca lunga di Napoli: può arrivare la metro e superare i 20 kg di peso, per questo motivo è generalmente venduta a tranci. Il colore è arancio intenso, è adatta alla preparazione di zuppe e sughi ma è altrettanto perfetta per la griglia. Detto ciò, non vi resta che scegliere dunque la varietà preferita (o disponibile) di cucurbitacea e preparatevi a cucinare questi deliziosi tortini salati con noi.
BBQ4All Magazine
049
Ingredienti per 8 tortini: una confezione di pasta fillo / un trancio di zucca da circa 500 g / 50 g di burro / il succo di un limone / 150 g di cubetti di speck / parmigiano reggiano q.b. / sale e pepe q.b. / olio extravergine di oliva q.b. / un pizzico di noce moscata / un uovo / noci a piacere / fichi secchi a piacere PREPARAZIONE 1. Accendete le braci e versatele nel vostro dispositivo togliendo le griglie: appoggiate dunque la zucca direttamente sui carboni, chiudete il coperchio e lasciatela lì per almeno un’ora, finché la pola non sarà completamente cedevole. 2. Una volta pronta, togliete la zucca dalle braci, pulitela, ricavatene la polpa morbida, mettetela nel frullatore e frullatela con olio, un pizzico di sale, un pizzico di noce moscata e un poco di succo di limone (la percentuale è: per ogni cup di zucca, 5 g di succo di limone). 3. Una volta pronta la purea di zuppa, tenetela da parte e saltate in padella i cubetti di speck.
Novembre 2021
4. Aggiungete dunque alla purea lo speck, il parmigiano reggiano a piacere, l’uovo, un poco di sale, e il pepe. Mescolate bene e mettete il tutto in frigo.
050
5. Sciogliete il burro e passatelo su ogni foglio di pasta fillo, poi tagliate dei quadrati e create dei fazzoletti di pasta sovrapponendo più strati (circa tre), che metterete negli stampini imburrati: riempite i fazzolettini con la crema di zucca che avete tenuto in frigo, poi metteteli a cuocere in forno (oppure, se preferite, nel vostro dispositivo in cottura indiretta) a circa 180°C per 30 minuti. Controllate che siano ben cotti anche sotto e se doveste vedere che si cuociono troppo sopra, copriteli con la carta forno e spostateli in modo che la parte sottostante sia più vicina alla fonte di calore. 6. Una volta cotti, servite i tortini con noci sbriciolate e fichi secchi tritati.
LE CALDARROSTE PERFETTE AL BBQ Aka: la guida per non sprecare i vostri beni autunnali così preziosi L’internet è, ormai, pieno di meme riguardante l’esorbitante costo delle castagne. Chi più, chi meno, ha letto oppure pubblicato un post riguardante il prezzo al rialzo di questi gustosi frutti autunnali. Non so voi, ma sulle nostre bacheche Facebook e tra i nostri feed di Instagram, nel periodo che va da fine settembre a dicembre sono strapieni di “Baratto un chilo di castagne con una tredicesima” oppure “Ho due chili di castagne: sono ricco” o ancora “Per otto castagne ho dato mezzo stipendio”. Questo nostro beneamato fruttino cresce in autunno: ed è proprio l’autunno, con il suo clima fresco, solitamente piovoso, con le giornate più corte, il periodo ideale per mangiarne in grosse quantità, accompagnando con un buon vino rosso strutturato. Sebbene le castagne si prestino a molteplici preparazioni, la ricetta più diffusa in territorio italico riguarda senz’ombra di dubbio le caldarroste: vale a dire, le castagne cotte lentamente su fuoco con l’ausilio di una padella bucherellata. Ma siete davvero sicuri di saper cuocere le caldarroste alla perfezione? Nel corso degli anni, nelle nostre famiglie, ne abbiamo viste di ogni: tagli asimmetrici, perforazioni inutili di castagne innocenti, padelle inadatte, fuochi alla Mangiafuoco. Altro nodo da sciogliere, la scelta delle castagne: avete mai notato la confusione tra castagne e marroni? Ma sono davvero la stessa cosa? Sono davvero interscambiabili nelle ricette? Sciogliamo un po’ di dubbi, prima di presentarvi le nostre caldarroste al bbq.
Esistono inoltre svariate altre differenze che rendono immediatamente riconoscibili, ai più avvezzi, una castagna da un marrone. • Il riccio. Un riccio di marrone contiene al massimo 3 frutti, mentre un riccio di castagna può contenerne fino a 7. • La buccia. Quella del marrone tende al rossiccio, mentre la buccia della castagna tende al colore scuro oltre ad essere più dura e resistente. • Forma e dimensioni. I marroni sono grossi e tondeggianti, quasi a forma di grosso cuore (la forma del marron glacé, presente?); le castagne risultano, di contro, decisamente “schiacciate” e piccole: poverette, si son dovute far spazio all’interno del riccio. I marroni non dovranno essere inferiori a numero 90 frutti per ogni kg di prodotto. • Sapore. La castagna è decisamente meno saporita e dolce del marrone. Viene utilizzata per consumi più “popolari”, mentre il marrone è privilegiato per un utilizzo in pasticceria. • Prezzo. Il capitolo prezzi è dolentissimo in entrambi i casi: sappiate che, in media, un chilo di castagne costa la metà di un chilo di marroni. Da questa disamina, avrete capito che preferiremo di gran lunga scegliere le castagne, sia per una questione di resa che per prezzo. Sì, ma quali?
BBQ4All Magazine
CASTAGNE VS MARRONI Appartengono alla stessa famiglia, ma sono diversi: le castagne e i marroni presentano delle sostanziali differenze tra di loro. Sono due frutti molto diversi, così tanto che il Regno d’Italia aveva addirittura un Regio decreto che ne stabiliva i criteri.
Le castagne sono i frutti selvatici: sin dall’antichità, le castagne hanno rivestito un ruolo importantissimo nell’alimentazione delle popolazioni silvestri e rurali, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “pane dei poveri”: il loro alto potere saziante, grazie alla presenza degli amidi, era letteralmente un salvavita durante i rigidi inverni. Le castagne diventavano, quindi, ingrediente per le più svariate preparazioni: zuppe di castagne oppure triturate per essere utilizzate come ripieno, oppure ridotte in polvere per altre preparazioni. I marroni, invece, provengono da una pianta coltivata, risultato di secoli e secoli di innesti tra varie piante.
051
CASTAGNE CUNEO IGP. Gli ecotipi di questa IGP sono, nella fattispecie, la Frattona e la Gabbiana. Tra la valle del fiume Tanaro e la valle del Po, le castagne trovano l’ambiente ideale per la crescita. I frutti sono molto piccoli, si stimano i 110 frutti per ogni kg di castagne di Cuneo IGP. La polpa è dolce, mediamente fruttata e croccante: queste castagne sono l’ideale per un contorno, tipo per accompagnare una maestosa faraona ripiena.
Novembre 2021
CASTAGNE DEL MONTE AMIATA IGP. Tra Siena e Grosseto, questa castagna toscana vanta una lunga coltivazione con secoli di storia. Comprende tre genotipi: la Bastarda Rossa, la Marrone e la Cecio. Ci troviamo di fronte ad una castagna grossa, con circa 80 frutti per 1 kg di prodotto. Dal sapore gradevole e delicato, sono adatte ad essere trasformate in conserve oppure in farina: da qui, la polenta di castagne, piatto tipico della Maremma.
052
CASTAGNE DI MONTELLA IGP. L’Irpinia è una zona della Campania con centinaia di varietà vegetali e animali. Una eccellenza tra queste è sicuramente rappresentata dalla castagna di Montella, IGP dal 1992. Di pezzatura media, sono praticamente adatte ad ogni scopo: croccanti, dolci e dalla polpa chiara, invogliano a mangiarne a quintalate. Lei sarebbe la castagna perfetta per le nostre caldarroste.
Ingredienti per 6 persone: 1 kg abbondante di castagne
di Montella IGP (circa 90 castagne). In alternativa 1 kg di castagne italiane comuni (circa 100 castagne) PREPARAZIONE 1. La prima cosa da fare è selezionare accuratamente le castagne: dopo un esame visivo (controllate non ci siano buchetti e/o vermi fastidiosi), controllate al tatto che non ci sia aria tra la buccia e la polpa del frutto: la sentirete facilmente al tatto e noterete come delle bolle sotto la buccia. 2. Fatta la selezione, lavate e asciugate con cura le castagne. 3. Si passa al momento del taglio, che è quello cruciale: forse più della cottura. Importantissima è l’incisione sulla castagna. Il taglio deve essere fatto rigorosamente sulla parte curva della castagna e andrà a percorrere tutto il lato, da parte a parte, in perpendicolare alle striature di colore. Fate molta attenzione: il taglio deve incidere la buccia, non intaccare la polpa. Tagli imprecisi o fatti nel posto sbagliato contribuiranno ad una riuscita maldestra delle nostre caldarroste. 4. Nel frattempo, preparate il vostro dispositivo per una cottura diretta, stabilizzando la temperatura a circa 160°C. 5. Prendete una padella forata e posizionate all’interno le castagne opportunamente intagliate. 6. A questo punto, una volta posizionata la padella forata con le castagne, chiudete il coperchio del dispositivo e lasciate sul fuoco per una decina di minuti. 7. Trascorso questo tempo, potete dare un’occhiata: le castagne dovrebbero aver iniziato ad aprirsi e colorarsi piacevolmente, oltre a diffondere il loro profumino invitante. 8. Armati di un guanto ignifugo e di una pinza lunga, provate a girare tutte le castagne: operazione rognosa, che però può garantirvi un risultato uniforme. 9. Coprite il dispositivo per un’altra decina di minuti con il coperchio.
11. Servite immediatamente, calde, magare innaffiate con un buon Lambrusco.
BBQ4All Magazine
10. Sempre stando ben attenti alle dita, prendete una castagna e provate a sbucciarla: se la buccia viene via facilmente, senza troppe rogne, il risultato è stato raggiunto. La polpa della castagna si deve presentare ben colorata, soda.
053
054
Novembre 2021
La mortazza? Affumicata!
CUBETTI DI
MORTADELLA
AFFUMICATA CON CREMA DI PISTACCHI
Alzi la mano chi non ci ha pensato nemmeno una volta, passando davanti al bancone della salumeria o del banco freschi del supermercato: l’odore della mortadella, in amicizia “mortazza”, fa venir voglia di portar via l’intera forma. Bene, con questa ricetta mettiamo a serio rischio la vostra fermezza, perché dovrete prendere qualche fetta bella spessa e… se non riuscite a resistere, non vi recrimineremo nulla! I cubetti di mortadella affumicata con crema di pistacchi rappresentano un antipasto sfizioso, facile e che richiede davvero poco tempo.
Il fatto che la mortadella venga chiamata anche Bologna è un chiaro indizio sulle origini di questo delizioso insaccato rosa. Alcuni vogliono porre la sua nascita addirittura all’età romana, ma sappiamo con cetezza che la ricetta della Mortadella è stata gelosamente custodita dall’Arte dei Salaroli, dal 1242. In ogni caso, se anche vogliamo accettare l’ipotesi della sua nascita nell’antichità, di certo durante il Medioevo la ricetta fu arricchita delle nuove spezie venute dall’Oriente quali pepe, cannella, noce moscata, cumino, chiodi di garofano. Nel 1667 un agronomo di Bologna, Vincenzo Tanara, rese pubblica la prima vera ricetta della Mortadella diffondendo indicazioni per la sua lavorazione decisamente attendibili. Intorno al 1800 la Mortadella, considerata fino ad allora un cibo nobile e di elevata qualità, cambiò completamente status e cominciò ad essere un insaccato di scarsa qualità, prodotto con carni scadenti. Oggi per fortuna, grazie al Consorzio italiano Tutela della Mortadella, la sua qualità non viene più messa in discussione. Le origine del nome sono incerte: c’è chi sostiene venga da mortarium, ad indicare la carne finemente tritata, e chi invece pensa che venga da myrtatum, ovvero mirto, un aroma utilizzato in un tipo di insaccato chiamato farcimen myrtatum.
mortadella tagliata spessa (150 g) / 50 g di pistacchi sgusciati / 40 g di olio extravergine d’oliva / 35 g di acqua / 10 foglie di basilico / 40 g di ricotta vaccina fresca / 8 g di pasta di Wasabi / il succo di un limone intero / sale e pepe q.b. / salse Barbecue o Smoke & Fire del Megastore PREPARAZIONE 1. Iniziate a preparare la vostra crema di pistacchio salata. Prendete i pistacchi sgusciati e senza pellicina (eventualmente togliete i gusci e sbollentateli in acqua per 5 minuti per eliminare facilmente la buccia) e frullateli con un po’ di succo di limone, olio extravergine d’oliva, un pizzico di sale e pepe, le foglie di basilico. Dopodiché, aggiungete la ricotta e continuate a frullare. 2. Aggiungete l’acqua fino a raggiungere una crema uniforme. A questo punto unite del wasabi un poco alla volta fino a trovare il giusto mix di umami e piccantezza, idem con il succo di limone rimanente. 3. Prendete la vostra bella fetta di mortadella spessa e tagliatela a cubetti grossolani, poi mettete i cubetti in marinatura per un’ora con succo di limone e Montreal Steak, Mount Nimba, Smoky Chipotle Chili ed un trito di polvere di rosmarino. 4. Settate il vostro dispositivo di cottura per una indiretta a 150°C. 5. Scolate i cubetti e dopo averli messi su un basket affumicateli sul dispositivo girandoli spesso, per poi aggiungere una passata di salsa Barbecue o Smoke&Fire e della granella di pistacchio tritata finemente. 6. Componete l’antipasto con i cubetti di mortadella affumicati, sopra un po’ di crema ai pistacchi a ciuffetto e guarnite con un mix di buon pepe Tellicherry oppure Sal’s Montreal o Mount Nimba.
BBQ4All Magazine
In ogni caso, è deliziosa. Ma siamo abbastanza sicuri che non l’avete mai fatta al bbq. E credeteci, sarà davvero “la morte sua”.
Ingredienti per 4 persone: 1 fetta di
055
MOUSSE ALLA RICOTTA
Un dolce che fa perdere la testa!
Novembre 2021
Spumosa, soffice, ariosa, compatta, dai molteplici sapori, farcia golosa racchiusa in scrigni di pastafrolla, tra strati di Pan di Spagna o di sfoglia caramellata croccante; o ancora goloso dolce al cucchiaio se servita in coppette adornata con sbuffi di panna, di frutta o di biscotti sbriciolati: stiamo parlando della mousse. Come ci indica il nome stesso, è un dolce di origine francese: il nome letteralmente significa schiuma o spuma e ne descrive alla perfezione la consistenza. Infatti, la mousse è una preparazione che racchiude dentro di sé delle microscopiche particelle d’aria che le permettono di avere una texture morbida e molto piacevole al palato, poiché nel momento in cui la spumosa solidità si scioglie in bocca rilascia lentamente il suo sapore. L’effetto si ottiene inserendo un elemento che ha incamerato aria (panna o albumi montatati), con gli altri ingredienti.
056
Se sulla nazionalità non vi sono dubbi, la stessa cosa non si può affermare per la paternità. Ci sono due schieramenti: alcuni sostengono che la mousse nacque (nella sua versione più famosa), nella cucina reale di Luigi XVI ad opera di Charles Fazi, cuoco svizzero che, come il suo datore di lavoro, finì per perdere la testa sul patibolo nel 1793. Dopo l’esecuzione fu diffusa la notizia che le sue ultime parole, prima che la lama gli tranciasse il collo, pare siano state: “mais j n’ai pas finis ma mousse de chocolat!” (ma non ho ancora finito la mia mousse al cioccolato). In effetti, è decisamente un dolce per cui perdere
la testa.
Altri studiosi attribuiscono la creazione della straordinaria leccornia a un tale passato alla storia come Mastro Menon. Maestro Menon. Costui è considerato uno dei più importanti cuochi francesi del XVIII secolo, che nel 1749 pubblicò La science du maître d'hôtel cuisinier (le tecniche del capo cuoco), in cui si trovano quattro tipologie di mousse: al cioccolato, alla crema, allo zafferano e al caffè. Nonostante fosse un dolce di semplice preparazione, gli ingredienti utilizzati da Maestro Menon ci fanno capire subito come inizialmente fosse riservato solo alla classe benestante, che non solo aveva la possibilità di acquistare ingredienti importati dalle Americhe e dall’Oriente, ma aveva altresì la possibilità di accedere al ghiaccio, indispensabile per il rassodamento del prelibato composto. Sicuramente la ricetta ha riscosso molto successo nel corso dei secoli, in special modo nella sua versione più famosa, ovvero quella al cioccolato; tutto ciò è testimoniato dalle numerose varianti che sono nate e continuano ad essere create, sia dolci che salate. La variante che noi vi presentiamo è alla ricotta, arricchita e decorata con scorza d’arancia caramellata, scaglie di cioccolato fondente e briciole di biscotto saltate nel burro. Utilizziamo la panna per esaltare il gusto della ricotta e per dare ariosità. La croccantezza sarà data dal biscotto, la dolcezza dalla frutta candita e l’amaro dal cioccolato.
BBQ4All Magazine
057
058
Novembre 2021
Ingredienti per 6 persone: 500 g di ricotta vaccina,
magari di un giorno o due prima, correttamente conservata / 150 ml di panna fresca per dolci / 2 cucchiai di zucchero a velo / cioccolato fondente di alta qualità q.b. / 250 g biscotti secchi tipo digestive / 125 g di burro chiarificato / la buccia di 1 arancia non trattata / zucchero q.b. PREPARAZIONE 1. Partite dalla preparazione più lunga:le arance candite. Sbucciate l’arancia cercando di non spezzattare troppo la buccia, rimanendo in superficie per non tagliare la parte bianca perché amara. Bollite il tutto in acqua per 10 minuti. Scolate le scorze e ripetete il procedimento per altre due volte. Alla terza lasciatele nell’acqua per almeno 8 ore. 2. Passato questo tempo, scolatele, asciugatele e suddividetele in strisce non troppo sottili. Pesate il tutto e mettetelo in un pentolino con lo stesso peso di acqua e di zucchero, su un fuoco medio basso. Lasciate andare fino a quando il liquido non sarà quasi del tutto evaporato. 3. Con l’aiuto di pinze da cucina, togliete le bucce dallo zucchero caldo, poi fatele raffreddare sopra una gratella. 4. Prendete i biscotti e sbriciolateli grossolanamente all’interno di una busta alimentare, aiutandovi con un mattarello. 5. Sciogliete il burro in una piccola padella, unitelo ai biscotti, mescolate bene e poi versate il tutto in un recipiente lasciando raffreddare. 6. Con un coltello tagliate il cioccolato a scaglie grossolane. 7. Setacciate la ricotta per renderla più morbida. 8. Lavoratela con lo zucchero. 9. Montate la panna ed unitela al composto con delicatezza, mescolando dall’alto verso il basso per non perdere l’aria incamerata. 10. Fate riposare la crema così ottenuta per almeno 4 ore in frigo.
12. Prima di servire vi consigliamo di mettere anche sulla superficie una bella spolverata di biscotti.
BBQ4All Magazine
11. Adesso siete arrivati alla fase di montaggio: prendete una coppetta e inserite i biscotti sbriciolati senza pressarli, mettete un bello strato di crema e decorate a vostro piacimento con scorze d’arancia e con le scaglie di cioccolato.
059
L'Arte Bianca a cura di Alessandro Trezzi
a t t a b cia Novembre 2021
Ah, se la mamma ci avesse tirato questa
060
C
redo sia difficile che non conosciate la ciabatta. Stiamo parlando di uno dei pani più diffusi e apprezzati, specialmente nel Nord Italia; la crosta è sottile e friabile, la mollica cremosa, alveolata e soffice. Un prodotto tutto italiano, nato nella città di Adria in tempi relativamente recenti; negli anni ’80 del secolo scorso il Sig. Arnaldo Cavallari, dopo una carriera nel mondo del Rally, segue le orme familiari dedicandosi a pieno al mondo della panificazione. Durante una forte crisi economica dei molini adriesi, Cavallari dedicò tutte le sue energie per salvare l’azienda di famiglia. Spinto da questo importante obiettivo, tra il 1976 e il 1977 si dedicò a girare l’Italia e l’Europa per imparare i segreti della panificazione. Il suo interesse si concentrò quindi sul Pane nero tedesco e sulla Baguette francese. Proprio durante questi viaggi scoprì, a Sesto San Giovanni in Lombardia, quella che ritenne come “la versione della baguette”: la michetta. Iniziò a cercare quindi una miscela di farina che valorizzasse al meglio questo tipo di pane. L’idea di produrre una michetta insuperabile grazie ad una farina innovativa spinse Arnaldo a fare vari tentativi ed esperimenti, creando infine la sua miscela e iniziando a girare tra i fornai d’Italia per farla conoscere. All’epoca, c’era un grande forno bolognese considerato da molti come il tempio del pane, gestito da Liciano Zanella, rinomato sostenitore della baguette. Cavallari riuscì a vendere la farina a Zanella, creando i marchi registrati “Doppio Zero SSS” e “Tre esse”. Questo importante traguardo segnò il salvataggio dal punto di vista economico del molino di Cavallari. In seguito, furono registrati altri tre marchi di pane: “Il Filone Polesano”, “La Pagnocca Polesana” e “La Stella Polesana” .
Seguì una sessione di prove, e arrivò infine la nuova miscela per il 70% di assorbimento nei molini adriesi,
Oggi, la ciabatta italiana è conosciuta e diffusa in circa 56 stati, ed è da molti considerata il pane perfetto: è un veicolo ideali per ripieni e condimenti, piattaforma suprema di panini definitivi. In formato maxi, si affetta e offre grandi superfici spalmabili; impossibile che non l’abbiate assaggiata ricolma di profumatissimi affettati e formaggi morbidi, con tanto di crunch ad ogni minimo morso. Eppure, esistono tantissime altre applicazioni per questo versatilissimo pane, che può benissimo prestarsi a farciture in linea con le preparazioni abituali di un guru del barbecue. Polpette al sugo, Beef Stew e perché no, un succulento ripieno di costine sfilacciate; l’areata mollica si occuperà di trattenere i corposi succhi di cottura, e la crosta croccante accompagnerà ogni morso senza sfaldarsi durante l’esperienza. Vogliamo vedere come si fa?
La ciabatta perfetta Nella mia zona c’è un panificio famosissimo, fondato da uno dei più grandi esperti che il nostro paese abbia avuto la fortuna di avere. Massimo Grazioli (e oggi il figlio Nicolò), anni fa diede vita a uno dei pani per me più buoni al mondo: “Il Paesano”. Si tratta, sostanzialmente, di un ciabattone a dir poco enorme, una forma lunghissima dai 3 ai 5 kg, larga 28-30 cm, alta 10-15 e lunga 1-2 metri; l’idratazione tocca l’80%, e viene usata una farina di tipo 1 macinata a pietra ad alto assorbimento. Un pane profumatissimo, dall’aspetto quasi romantico. L’idea che voglio proporvi, ovviamente in formati ridotti, trae spunto da quell’incredibile filone: una ciabattona della dimensione più grande che il vostro forno possa sostenere (circa 1 kg), e che farcirete di ogni ben di Dio. La mollica dovrà essere ariosa ma scura, grazie all’utilizzo di ottime farine di tipo 1; la crosta sarà altrettanto croccante, sfrigolante e ben staccata dalla parte interna, e dovrà mantenere tutta la sua friabilità morso dopo morso.
BBQ4All Magazine
Nel 1982, Arnaldo si trovava a pranzo con presidente nazionale dell’associazione panificatori Antonio Marioni, nella “Trattoria Toscana”; assaggiando la tipica "sciavata toscana" (cioè, un panificato a metà tra una pizza ed uno sfincione), il panificatore ebbe un’illuminazione e si pose come nuovo obiettivo la creazione di una farina che superasse la soglia dell’assorbimento del 65% di acqua, allora raggiunta solo dalla baguette francese.
madre di un iconico pane: la “ciabatta polesana”, considerata da Arnaldo il pane migliore del mondo. Il problema di questo pane era tuttavia che (come marchio e prodotto) funzionava molto bene in Italia, ma non all’estero; creò quindi la “Ciabatta Italia”, ottenuto con farine semi-integrali in grado non solo di assorbire fino al 75% di acqua, ma anche di conferire incredibili componenti aromatiche a crosta e mollica.
061
L’impasto (indiretto)
Novembre 2021
Generalmente, la ciabatta viene realizzata con la biga, un pre-impasto asciutto che conferisce una grande spinta verticale, alveoli grossi e ottimi profumi e conservabilità. La maggior parte delle versioni hanno inoltre un 100% di pre-fermento, ovvero vengono re-impastate solo con acqua e sale; in questo modo i tempi di realizzazione vengono accorciati, e la spinta sulla mollica è ancora più elevata, svuotando quasi completamente l’interno.
062
La nostra ciabatta, invece, sarà con il gemello poolish; sempre un pre-impasto, ma liquido, con pari peso di acqua e farina. I suoi pregi sono, oltre ad un profumo più pungente, il conferimento di una grande estensibilità della maglia glutinica e alveoli più fini e uniformi; questo, unito ad un rinfresco con una parte di farina, ci garantirà una struttura leggermente meno alveolata ma ugualmente ariosa, perfetta per sostenere il peso di quei ripieni più pesanti che il barbecue ci offre. Sarà comunque sempre necessaria una farina di forza, specialmente per il poolish; l’ideale è una tipo 1 da almeno 340-360 W, in modo che possa sostenere le ore necessarie per la maturazione del pre-fermento senza sviluppare acidità indesiderate. Per il rinfresco, useremo una farina più debole per spezzare la tipica tenacità degli impasti indiretti; potete usare un’altra farina di tipo 1, oppure della
semola rimacinata per ottenere un gusto più rustico e una mollica più spugnosa, perdendo tuttavia un po’ della croccantezza sulla crosta. Io vi consiglio di non abbandonare il buon vecchio grano tenero; lavorate con una tipo 1, una tipo 2 o perché no, dell’integrale, scendendo con la forza sui 260-280.
Il riposo Le fasi di riposo di una ciabatta sono molto particolari, e si suddividono in 3 fasi distinte: • Dapprima, il nostro poolish dovrà compiere il processo fermentativo e divenire maturo, pronto per essere rinfrescato; occorranno, con le nostre dosi, circa 16 ore; • Dopodiché, impasteremo con gli ingredienti rimanenti, faremo partire la lievitazione e lasceremo quindi l’impasto a temperatura ambiente per 2-3 ore, e in frigorifero per altre 2-3; ciò ci consente di lavorare l’impasto da freddo, sarà più asciutto e più manovrabile; • A questo punto, dovremo spezzare le nostre ciabatte e lasciarle riposare in un telo di lino o in un canovaccio, ripiegandolo tra un filone e l’altro come già avete visto nel caso delle baguette. Altre 2- 3 ore, e le ciabatte sono pronte per essere infornate.
La cottura Per la cottura in casa avete diverse opzioni; nel caso di forno a legna, a gas o elettrico professionale, vi basta pre-riscaldare a 240°C, portare le ciabatte sulla pala e cuocere con vapore per 16-18 minuti, poi per i rimanenti 10-12 dopo aver fatto fuoriuscire il vapore. Con un forno domestico, potete replicare lo stesso concetto disponendo di una pietra refrattaria, che riscalderete insieme al forno, e di un pentolino e/o vaporizzatore per i primi minuti. In sua mancanza, pre-riscaldate una teglia rovesciata, che fungerà da ripiano per le ciabatte. Un’ottima cottura può essere condotta anche in pentola di ghisa; in questo caso pre-riscaldate il recipiente insieme al forno a 250°C, posizionate la ciabatta, cuocete per 16-18 minuti con coperchio, togliete il coperchio e terminate per i rimanenti 10-12 abbassando la temperatura a 200°C. I tempi, ovviamente, sono indicativi, e dipendono dal peso della ciabatta; con la ricetta che vedremo a breve potrete ottenere una ciabatta grande da 1.2 kg, oppure tre ciabatte medie da 400 grammi, perfette per la cottura in pentola.
INGREDIENTI
per un ciabattone da 1.2 kg, o per tre ciabatte da 400 grammi Per il poolish 512 g di farina di grano tenero di tipo 1 (340-360 W); 512 g di acqua; 0.5 g di lievito di birra fresco per l'impasto 1.024 g di poolish pronto e maturo; 128 g di farina di grano tenero di tipo 1 o di tipo 2 (260-280 W); 32 g di acqua (fino all’85% di idratazione); 16 g di sale fino.
BBQ4All Magazine 063
PREPARAZIONE DEL POOLISH Versate tutti gli ingredienti in una ciotola (l’ordine, in questo caso, non ha importanza), e mescolate con un cucchiaio o una spatola fino a che tutta la farina non sarà stata completamente assorbita. Coprite con pellicola e lasciate riposare a 20°C-22 °C per 16 ore; il poolish è pronto quando profuma di yogurt e inizia a collassare, con crepe ben visibili sulla superficie. IMPASTAMENTO Considerata l’alta idratazione, impastatrice o planetaria sono caldamente consigliate per questi impasti. versate il poolish e la farina in vasca e cominciate ad amalgamare a bassa velocità; quando l’impasto comincerà ad incordarsi e ad asciugarsi, versate il sale e a filo, pochissimo alla volta, l’acqua rimanente. Se doveste lavorare per forza a mano, non utilizzate l’acqua rimanete e fermatevi all’80% di idratazione; lavorate energicamente l’impasto per circa 10 minuti, dopodiché unite il sale e lavorate ancora per altri 5.
Novembre 2021
Fate riposare senza coprire il tutto per 20 minuti, poi effettuate qualche piega di rinforzo; attendete altri 10 minuti, fate un’altra piega, poi l’ultima
064
dopo ulteriori 10 minuti. Chiudete l’impasto ad una temperatura di almeno 24°C-25°C, per poter dare il via alla fermentazione. PUNTATA Oliate abbondantemente un contenitore a chiusura ermetica o una ciotola, che possano contenere il triplo del volume del vostro impasto; trasferitelo al suo interno, e lasciate puntare per 2-3 ore a temperatura ambiente. Dopodiché, trasferite in frigorifero per altre 2-3 ore, fino ad un massimo di 12; in questo modo il vostro impasto si asciugherà e sarà più semplice da maneggiare. FORMATURA E APPRETTO La formatura della ciabatta è molto semplice, ma dovete prestare attenzione alle misure; si tratta infatti di un pane che non va lavorato, o rischiereste di chiudere i preziosi alveoli. Se il vostro obiettivo è fare un unico ciabattone singolo, le cose si fanno semplici: prendete un telo in lino o un canovaccio pulito, sporcatelo di abbondante farina, fate lo stesso sulla superficie dell’impasto e rovesciatelo al di sopra, per poi spolverare di farina anche il dorso.
Coprite con un altro telo e lasciate riposare per 2-3 ore. In caso dobbiate dividere, dopo aver rovesciato l’impasto sul telo e averlo cosparso di farina, con un tarocco spezzate l’impasto in 3 parti e separatelo, senza lavorarlo; create una piega con il telo tra un filone e l’altro in modo che lievitando non si uniscano nuovamente, e coprite con un altro telo, lasciando riposare per 2-3 ore.
Cuocete quindi con vapore per 18 minuti, poi togliete
Perfetto, ora siete pronti: sfornate la vostra ciabatta e lasciatela raffreddare su una griglia rialzata; una volta farcita, riportatela in forno a 200°C per 5 minuti, e gustatevela ben calda. Buon ciabappetito!
BBQ4All Magazine
COTTURA Avete scelto la modalità di cottura? Perfetto, allora non dovete fare altro che seguire i tempi indicati ed essere sicuri che il vostro ciabattone cuocia a dovere. Per la forma da 1.2 kg, è fondamentale avere una pala sufficientemente larga; il mio consiglio è quello di rivestirla sopra e sotto con uno strato di carta forno, sporcarla di farina, e rovesciare velocemente l’impasto su di essa. Aprite il forno, tirate lo strato di carta forno inferiore facendo scivolare l’impasto sulla pietra refrattaria o teglia, come se fosse un telaio professionale.
il vapore e terminate la cottura a 220°C per 12 minuti. Nel caso di ciabatte singole, infornatele tutte insieme sulla pala/telaio, e cuocete per 12-14 minuti con vapore, e 10 senza; con la pentola sarete costretti a cuocerne una alla volta, quindi fate scivolare sulla pala con carta forno un filone alzando la piega laterale, poi portate sul piatto della pentola, coprite e infornate a 250°C per 14 minuti, senza coperchio per i restanti 10. In ogni caso, affidatevi sempre a questi indicatori: • Bussando sulla base, il suono deve essere vuoto; • La crosta deve essere estremamente croccante, e premendo leggermente con le dita deve • sfrigolare; • Il colore deve essere dorato tendente al bruno; • La temperatura interna deve essere di almeno 95°C.
065
Strani ingredienti americani
il ketchup
Q
Across the Pond a cura di Elena Ninotti
uando sono venuta a conoscenza del tema del mese di Novembre, mi è subito venuto in mente che ancora non vi avevo parlato del Ketchup e del ruolo chiave che ha avuto nella istituzione di un organo importantissimo per definire la qualità di quello che compare sulle tavole americane, l'organo di controllo arcinoto come FDA (Food and Drug Administation) Il ketchup, contrariamente a ciò che si possa pensare, non è un prodotto recente: le origini di questa deliziosa salsina risalgono a migliaia di anni fa e hanno base nell'Estremo Oriente. Con i traffici commerciali del 18°secolo, gli inglesi portarono in patria una salsa conosciuta in Cina fin dal 300 a.C.: la “ge-thcup” or “koe-cheup” (trad. Salsa di pesce sottaceto), una salsa a base di soia e pasta di carne e pesce fermentati. Ovviamente non conteneva pomodori né peperoncini, questi ultimi nel Vecchio Mondo solo in seguito alla scoperta delle Americhe (e oltretutto, a lungo malvisti), ma era comunque una salsa di accompagnamento per carne e pesce. Furono gli inglesi ad innamorarsi del ketchup, al punto tale da elaborarne uno proprio, partendo dalle basi più disparate: ostriche, funghi, frutta e verdura venivano cotte a lungo per ottenere salse ricche di umami, con cui mascherare il gusto di carni non proprio freschissime: siamo dopotutto in un tempo in cui il frigorifero doveva ancora entrare nelle case.
Novembre 2021
La prima menzione al pomodoro nel ketchup si trova nel 1812, per mano di un orticoltore di Philadelphia, conosciuto ad oggi come Mr. Mease, la cui salsa conteneva pomodoro, spezie e brandy, ma a cui ancora mancavano aceto e zucchero. Un indiscusso vantaggio di questa salsa era il fatto che permetteva di conservare i pomodori prodotti in eccesso.
066
Tuttavia, il ketchup commercializzato era ricco di
batteri e muffe: non era affatto più salubre dei prodotti che andava a condire, tanto da portare alla necessità di introdurre nell’industria alimentare i conservanti. Borace, formadeide e sodio benzoato erano i conservanti ritenuti non pericolosi e permettevano di mantenere “sicuri” i prodotti di dubbia qualità, spesso adulterati con gesso, polvere, piante, e anche... farina di insetti. Non tutti però erano favorevoli agli additivi chimici per mascherare le falle dei prodotti. Un produttore di Ketchup delle Pennsylvania, Henry J. Heinz, inizio a collaborare con il dottor Harvey Washington Wiley, un paladino della lotta agli additivi nel cibo. Infatti, il dottor Wiley riteneva che per la conservazione del ketchup sarebbero state più che sufficienti buone pratiche produttive unite all’alta qualità dei prodotti. Heinz decise che avrebbe voluto essere trasparente, corretto e rispettoso del consumatore. Per sottolineare questa sua posizione, il suo ketchup, a differenza di quelli dei concorrenti, sarebbe stato - e viene ancora oggi - venduto in bottiglie trasparenti. Nel frattempo, le condizioni della carne commercializzata erano sempre peggiori, tanto da diventare protagoniste del racconto di denuncia “The Jungle” di Upton Sinclair, e tanto da rafforzare l’impegno di Wiley nella lotta ai conservanti (accusati di mascherare la putrefazione) e alla qualità scadente dei molti prodotti simili al ketchup di Heinz, venduti a prezzi irrisori. Le preoccupazioni di Wiley e di Heinz sulla qualità dei prodotti concorrenti e sulla salute pubblica andavano controcorrente alle posizioni degli altri produttori, ma questo non impedì loro di portare il problema davanti al Presidente Roosvelt e ad attivare l’attenzione dei grandi politici in tema di salute alimentare. Il prodotto di Heinz conteneva pomodori molto maturi (ricchi di pectina) e molto più aceto delle ricette precedenti, dando così origine a una salsa senza conservanti e completamente “naturale” Fu un successo. Iniziato a essere commercializzato nel 1876, già nel 1905 aveva venduto più di 5 milioni di bottiglie, forte del claim Recognized as the standard by Government pure food authorities (la dicitura formale di accettazione e controllo da parte delle autorità americane, quelle che oggi cadono sotto l'FDA). Grazie a loro, il 30 Giugno 1906 il President Roosevelt firmò il Food and Drugs Act, che prese il nome di Wiley’s Act: un evento che ha segnato l’era moderna dell’industria alimentare.
BBQ4All Magazine
Secondo questa legge, il dipartimento di Chimica doveva vigilare sulla sicurezza dei prodotti commercializzati, sulla corrispettività degli ingredienti/contenuto e sulla salubrità dei farmaci. Venivano inoltre proibiti additivi che avessero scopo di alterare la malconservazione, le adulterazioni e le false etichettatura. Alcuni ingredienti, come alcool, morfina, cocaina dovevano essere riportati in etichetta, se presenti. La personale crociata di Wiley proseguì verso la salute pubblica in campo alimentare e portò alla fondazione, nel 1907, di un proprio ente regolamentativo, il Board of food and drug Inspection (che poi
067
068
Novembre 2021
divenne il FDA) a cui si affiancò il comitato di esperti scientifici di riferimento. Il ruolo del FDA divenne presto un faro, nel XX secolo.
Per celebrare il ketchup, vi lascio una ricetta di polpette glassate in salsa BBQ, tratta dal libro Jubilee, di Toni Tipton-Martin e leggermente rivisitata.
BBQ4All Magazine
Dopo la morte di Wisley, il cui impegno era incentrato principalmente verso le sofisticazioni del cibo, il FDA si dedicò a combattere un’altra mal pratica che si stava diffondendo e di cui si era occupato troppo poco: quella dei farmaci “miracolosi”, tra cui Banbar, una cura per il diabete, totalmente inefficace; il Lash-Lure, un eye liner a base di anilina che portava a cecità le donne che lo utilizzavano; il Radithor, una miracolosa crema illuminate (sic!) a base di radio, un
metallo radioattivo, disponibile anche come tonico da bere, che portava a morte lenta e dolorosa; uno sciroppo per bambini edulcorato con glicole etilenico, un veleno molto potente. Proprio da queste battaglie condotti negli anni 50-60 si può dire che nasca la coscienza critica dei consumatori. L’attività del FDA continua anche oggi. Non male, per essere iniziato tutto con un prodotto emblema del Junk food.
069
Novembre 2021
MEATBALLS IN MOLASSES BARBEQUE SAUCE
070
Ingredienti per 6 persone:
per la Salsa Barbeque alla Melassa: 40 g di burro / uno spicchio d'aglio, sbucciato e tritato fine / 2 cucchiai di cipolla tritata (mezza cipolla media) / 125 ml di di acqua / 140 g di di ketchup / 60 g di aceto di mele / 60 g di melassa / 1 cucchiaio di Worcestershire sauce / 1 cucchiaio di succo di limone (spremuto fresco) / 2 cucchiai di zucchero di canna scuro / 2 cucchiaini di senape dolce / 1 cucchiaio di Sal’s Seasoning Tennessee / 1/4 di cucchiaino di pepe nero Per le polpette: mezzo kg di macinato di manzo / mezzo kg di macinato di maiale / 1 cipolla intera, piuttosto grossa, tritata / 2 spicchi d'aglio, sbucciati e tritati / 1 cucchiaino di Sal’s Seasoning Tennessee / 100 g di panko (o pangrattato) / 2 uova piccole, leggermente sbattute / sale q.b. Per le polpette: 2 bicchieri di Salsa BBQ alla melassa / 1 cucchiaino di miele
PREPARAZIONE: 1. Fate fondere il burro, in una pentola abbastanza capiente e fatevi soffriggere a fiamma medio bassa l'aglio e la cipolla, mescolando spesso, fino a quando la cipolla non diventerà traslucida (circa 3-4 minuti). 2. Unite tutti gli altri ingredienti, date una bella mescolata e portate a bollore, sempre a fiamma medio alta. 3. Proseguite la cottura al minimo per 20 minuti fino a che la salsa non si inspessisce e diventa densa e lucida 4. In un'ampia terrina, mescolate i due tipi di macinato con la cipolla tritata, l'aglio e le spezie. Unite poi l'uovo e tanto pangrattato quanto basta a rendere il composto facilmente malleabile. Potete fare questo impasto anche il giorno prima, lasciando poi insaporire la carne una notte in frigo. 5. Formate poi tante piccole polpette con le mani leggermente umide. 6. Per la cottura, usiamo la versione veloce: mentre preparate le polpette, accendete il forno o il vostro dispositivo per una cottura indiretta a 160°C. Disponete le polpette su una teglia rivestita di carta da forno e infornatele per 15 minuti. Sfornate ed eliminate l'eventuale liquido fuorisucito in cottura. Alzate la temperatura a 180°C. 7. Versate la salsa e un cucchiaino di miele in una pirofila o in un dutch oven e condite le polpette, in modo che siano ben coperte dalla salsa. Infornate nuovamente per altri 15 minuti o fino a quando la salsa si sarà leggermente rappresa.
9. Servite immediatamente, raccogliendo il condimento in una salsiera. servite con riso bianco di accompagnamento o corn brea
BBQ4All Magazine
8. Potete anche abbassare la temperatura a 130°C e lasciarle andare coperte per 3 ore.
071
Il quinto quarto a cura di Virgilio Brunetti
e i l g a t rfiaantche b
Novembre 2021
Le 072
C
ontinuiamo il nostro viaggio alla scoperta del quinto quarto parlando delle frattaglie bianche. Vengono definite così proprio per il loro colore pallido, biancastro, tutt’al più lievemente rosato; dal punto di vista anatomico parliamo di ghiandole, dell’apparato digerente e di alcune parti del sistema nervoso degli animali di interesse gastronomico. Per comprendere veramente quanto sia hardcore la preparazione e il consumo di questo particolare quinto quarto dobbiamo fare un salto a Napoli sui banchi e nelle vetrine dei ventraiuoli; qui troviamo ‘o pere e ‘o musso al sale e limone, ovvero un’incredibile panoramica di organi lessati di animali. Che si parli del bovino, del capretto o del maiale, a Napoli non si butta via niente e quindi si consumano normalmente trippe, piedini, zampetti, grugni, muselli e altre parti della testa ma anche mammelle, intestino retto e utero. In un cuoppo di queste gelatinose prelibatezze, condite con solo sale olio e limone, accompagnate da lupini e olive in salamoia, potremmo gustare le parti più intime della vacca. Mi domando cosa ne pensasse di questa particolare cucina partenopea il Pibe de Oro, nel suo lungo soggiorno a Napoli; alcuni riferiscono che fosse amante di sapori semplici e forti. Non so se fosse appassionato di ‘o père e ‘o musso, ma sicuramente nella sua Argentina le stesse parti molli sfrigolano sulle tradizionali griglie arroventate; la parillada di achuras è di fatto la versione alla brace di ‘o pere e ‘o musso. Troviamo infatti le mammelle, dette umbre, insieme a chinchulines (intestino tenue), molleja (animelle), creadilla (testicoli), tripa gorda (parte finale dell’intestino crasso), morcillas (sanguinaccio) e altri tipi di salsiccia.
L’aroma potente di sangue delle frattaglie rosse si contrappone a quello delicato latteo delle frattaglie bianche. Essendo per la maggior parte ghiandole ed organi ematopoietici, esse sono costituite da cellule molto ricche di enzimi e di grassi che si degradano molto rapidamente, dando spazio prima a fenomeni autodigestivi seguiti rapidamente da una inesorabile rapida putrefazione. Ne consegue che il consumo delle frattaglie, in particolare quelle bianche, deve essere immediato e molto a ridosso della mattazione degli animali. La trippa (gli stomaci del bovino) e gli stomaci di altri animali di interesse gastronomico, per ragioni di ordine anatomico, strutturale e fisiologico, giocano un campionato a sé: essendo costituiti essenzialmente da collagene richiedono trattamenti di pulizia, precottura e cottura totalmente diversi dalle altre frattaglie. Ne riparleremo in un articolo specifico. FRATTAGLIE GOURMET: LE ANIMELLE La vera animella è il timo, un organo linfatico presente nei mammiferi giovani; quella più interessante dal punto di vista culinario è di bovino. Nella cultura gastronomica regionale laziale viene attribuito il nome di animella anche ad altri organi, quali le ghiandole salivari ed il pancreas di bovino ma soprattutto di agnello. Capirete che pochi etti di tessuto estratti dalla macellazione di un vitellone fanno delle animelle un ingrediente raro e molto ambito. La chef Cristina Bowerman, forse più di altri maestri di cucina, ha saputo declinare questo ingrediente in alcune preparazioni con soluzioni a livello di food pairing veramente entusiasmanti come le sue animelle glassate ai datteri con broccoli, brodo di tuberi e cipolla bruciata e tartufo; oppure, in versione predessert, le animelle in salsa dolce di soia, torcione di foie gras, visciole di Stivali all’Armagnac. Le animelle trovano però la migliore collocazione, nelle nostre menti carnivore, nella tradizionale versione alla griglia, senza disdegnare la versione
BBQ4All Magazine
Le frattaglie bianche rappresentano quindi un capitolo piuttosto forte del quinto quarto, sebbene alcune di queste frattaglie, per rarità e prelibatezza, sono state ampiamente rivisitate nell’ambito dell’alta cucina da numerosi chef più o meno stellati. Si distinguono nettamente da quelle rosse non solo per il colore, ma soprattutto per la totale assenza del caratteristico gusto e del particolare aroma ematico, caratteristico soprattutto dei fegati, ma che ritroviamo anche in cuori, polmoni, rognoni e milze. Anche la texture delle frattaglie bianche è singolare: la consistenza è quella tipica delle viscere e, ad eccezione di stomaci vari (trippa bovina e
stomaci di maiale), risulta particolarmente fragile, morbida, grassa e vagamente gelatinosa; tuttavia come tutte le frattaglie diventano granulose e stoppose quando si eccede con la cottura.
073
schienali invece, estratti dalla lombata del bovino, raramente vengono consumati in purezza ma sono parte di alcune ricette tradizionali come la Cima alla genovese, insieme (facoltativamente) ad animelle e cervella di vitello.
fritta. In tutti i modi. l’animella freschissima deve essere sbollentata e privata delle membrane superficiali; per me la migliore espressione è la cottura alla spada tipica del fornello della Valle D’Itria, dove minuscoli bocconcini di animella di agnello avvolti con l’intestino dello stesso animale, similmente ai classici gummereddi o gnummareddi, vengono arrostiti sulla spada al calore indiretto della brace di leccio. CERVELLA, SCHIENALI E MAMMELLE: BOCCONI DA INCUBO PER ALCUNI, PRELIBATEZZE PER ALTRI Devo confessarvi che, per via paterna, ho passato il mio gene carnivoro a mia figlia che ora ha 5 anni; quest’anno non sapevo se essere orgoglioso o preoccupato quando. durante le ricorrenze pasquali, la mia piccola con una certa prepotenza ha privato me e il nonno del boccone di cervello delle nostre ambitissime testine di agnello alla griglia. Speravo mi lasciasse l’occhio ma purtroppo non è stato così.
Novembre 2021
Cervella e schienali non sono altro che il sistema nervoso centrale dell’animale, rispettivamente l’encefalo e il midollo spinale. Anche queste frattaglie devono essere estratte in fretta e consumate freschissime. Per lungo tempo sono rimaste nell’oblio per via della BSE, di conseguenza molte famiglie hanno dimenticato l’uso di questo alimento molto nutriente e dalla consistenza singolare.
074
Il cervello è ingrediente fondamentale di alcuni piatti tradizionali della cucina del nord Italia, come il fritto misto piemontese o le cervella alla milanese. Gli
La mammella di bovino è un altro tipo di frattaglia piuttosto hardcore, la troviamo in ‘o pere e ‘o musso, essendo un piatto tipico della cucina napoletana; molto più a nord troviamo il teteun, un singolare salume valdostano ottenuto dalla lavorazione delle mammelle di vacche di razze autoctone: le ghiandole vengono spurgate dai residui di siero e di latte e poi salate lungamente in una concia liquida a base di sale ed aromi. Dopo due settimane di salagione le fette di mammella vengono cotte a vapore raffreddate, poi conservate per il consumo; l’abbinamento tipico sono salse a base di aceto e frutti. GRANELLI, OVVERO I TESTICOLI Dalla castrazione del bestiame si ricavano prelibatezze denominate granelli; quelli di pollo, ovviamente più piccoli, vengono chiamati fagioli e sono parte indispensabile di un singolare e saporito intingolo toscano detto Cibreo di Rigaglie, del quale la più famosa estimatrice fu Caterina de’ Medici.
I testicoli più corpulenti di agnello e di vitello devono essere veramente molto freschi e devono essere lavorati rapidamente, privati dalle membrane esterne, sbollentati e spellati per essere destinati, come le animelle, alla griglia rovente o alla frittura con una opportuna panatura.
BBQ4All Magazine
Negli States le palle di toro a fette, panate e fritte, vengono chiamate simpaticamente ostriche delle montagne rocciose: il sapore è ricco e la consistenza un po’ elastica viene persa in cottura. Tuttavia, come quasi tutte le frattaglie di una certa consistenza, i granelli di bovino si prestano alle cotture umide. Poco tempo fa ho preso appunti e vi riporto il suggerimento dello Zio Gianfranco: uno dei modi per cucinarli è in umido nel sugo dopo averli soffritti con sedano, carota, cipolla, e varie erbe e spezie per mitigare il sapore molto intenso e selvatico. Il mio consiglio è di provare a farli almeno una volta nella vita. Ma con una piccola aggiunta: gratinateli in forno dopo la cottura nel sugo, aggiungendo un po’ di mozzarella sopra, una spolverata di origano, un giro di olio extravergine e mollica tostata. Non ho capito ancora se quando l’ha pubblicata scherzasse o meno.
IL MIDOLLO OSSEO E’ un tessuto molto speciale, particolarmente abbondante nelle ossa lunghe dei bovini; si tratta di un tessuto ematopoietico strettamente associato a tessuto adiposo giallo. Nella cucina tradizionale questo alimento è piuttosto apprezzato, tipicamente consumato negli ossibuchi, nel bollito misto di carne della cucina piemontese, oppure come ingrediente di ripieni insieme al cervello, come nella Cima alla genovese. Viene utilizzato inoltre nella ricetta originale del risotto alla milanese. Il giornalista e critico gastronomico Luca Iaccarino, in uno dei suoi articoli, scrive giustamente: “ci sono piatti che d’improvviso conquistano il mondo. Fino al giorno prima, nessuno li considerava. Poi li trovi nelle carte di tutti i ristoranti. Non c’è niente di male. È giusto: le cose buone sono contagiose. A pieno titolo rientra in questa categoria il midollo alla brace: si tratta di una tibia tagliata in due per il lungo e cotta in forno o, ancor meglio, sui carboni ardenti”. Quello che vi consiglio io è consumarlo come un lussurioso intingolo per crostini: conditelo semplicemente con olio, senape di alta qualità e poco pepe.
075
Dispositivi e accessori a cura di Daniele Faresin
I COLTELLI
che tutti dovremmo avere in casa
C
hi ci segue lo sa. Prova a tagliare qualcosa con un coltello sbagliato: nel caso della carne le fibre rischiano di rovinarsi, le verdure? Adios. Il cibo letteralmente stramazza sotto lame dozzinali, sbagliate, che non hanno il filo. Prova invece a tagliare con i coltelli giusti: la ciccia, il pesce, le verdure tenderanno a cedere amorevolmente sotto la lama, senza alterarne la struttura. Ti proponiamo dei grandi coltelli da usare tutti i giorni: li ha selezionati personalmente Gianfranco Lo Cascio dai migliori produttori. Maneggevoli, con impugnatura sicura, la giusta durezza.
tipo di lama che li renderli conoscibili. Sono simboli del potere, di capacità. Anche in cucina dopotutto. Il materiale migliore per un coltello è ovviamente l’acciaio. Un ottimo coltello in acciaio dovrà avere le seguenti caratteristiche: •
• •
• Sono quei coltelli “quotidiani”, come li chiamiamo noi, perché ogni giorno ti ritrovi a compiere operazioni molto simili e anche facili in cucina, per le quali ti saranno di indispensabile aiuto.
LE CARATTERISTICHE DI UN OTTIMO COLTELLO
Novembre 2021
I coltelli sono tra gli utensili più antichi mai creati dall’umanità. Lo scopo, lo puoi immaginare da solo: procacciarsi il cibo, poterlo tagliuzzare per meglio strappare coi denti, o ancora conservare e trasportare più agevolmente. Meglio tagliare parti grandi di carne in pezzi più piccoli anziché caricarsi un montone addosso, non trovi?
076
I primi coltelli erano in pietra. Selce o ossidiana, che erano le più facili da reperire per l’homo habilis ma anche le più semplici da modellare. La scoperta dei vari metalli ha permesso all’uomo di creare dei capolavori di coltelleria. Pensaci: tutti i popoli del mondo hanno avuto oppure hanno ancora un qualche
Essere resistente quanto basta all’erosione e all’ossidazione a contatto con i cibi più acidi; Mantenere il filo della lama quanto più a lungo possibile; Avere una impugnatura agevole e soprattutto sicura: la sicurezza della persona viene prima di ogni altra cosa in cucina; Essere facilmente lavabile in ogni sua parte.
Il coltello che ho selezionato per te ha tutte queste caratteristiche. Più qualcuna in più, che ti sto per svelare. Non esistono solo i coltelli da bistecca. Tutti i cibi hanno il diritto di essere trattati a dovere. I coltelli da cucina, ad esempio, sono i coltelli che tutti dovremmo avere per casa. Ci impediscono di maltrattare la nostra materia prima, cosa fondamentale. Sei perfettamente a conoscenza di quanto sia importante il taglio fatto in un certo modo, per permettere l’adeguata cottura. Questi coltelli sono adatti per tagliare salumi, per sfilettare il pesce, spezzare ossa. Possono essere di varia foggia: alcuni sono piccoli e maneggevoli, piacevoli anche a guardarsi; altri, sono con lame lunghe e sottili adatte per affettare ed altri ancora sono adatti per i grossi pezzi.
1
Trinciante o chef
Il trinciante è il classico coltello da cuoco, infatti l’altro suo nome fa proprio riferimento a questa mansione. Si tratta del coltello più classico che ci sia e le sue mansioni sono le più disparate. Lo puoi usare per sezionare alcuni tipi di carne. Le verdure. Un trinciante classico deve avere delle caratteristiche ben precise. Ricorda che lo devi usare quotidianamente. Quindi oltre la resistenza deve essere sicuro. Un buon trinciante ha una lama rigida e appuntita, un tallone pronunciato che ti permette un’impugnatura comoda e sicura, affilatura precisa. Il trinciante non si dovrà flettere in alcun modo: il suo obiettivo è quello di darti fette o porzioni precise, di uguale spessore, dall’inizio alla fine. Un Trinciante ti permette di sminuzzare, tritare, tagliare, formare, prelevare. Ecco il COLTELLO TRINCIANTE, o CHEF, selezionato personalmente da Gianfranco Lo Cascio. Il Trinciante che ti proponiamo ha una lama lunga 22 cm: una misura intermedia, adatta sia a chi ha conoscenze e praticità avanzate che a chi si approccia per la prima volta.
Il Coach della GLC Academy utilizza il trinciante/Chef per le lavorazioni principali
BBQ4All Magazine 077
2
Santoku Come puoi ben immaginare, ha origini giapponesi. Ma è diffuso ormai nelle cucine di tutto il mondo. Il suo nome significa “tre utilizzi”, adesso ti spiego perché. Un coltello santoku ha una lama generalmente molto larga. Viene utilizzato per sminuzzare, disossare e sfilettare: tre operazioni molto comuni nella cucina giapponese, non trovi? Il pesce presenta insidie
diverse dalla carne: grazie allo spessore della sua lama, un coltello santoku permette al pesce di non attaccarsi, di sfilettare con facilità anche pezzi complicati. Un santoku deve essere comodo da impugnare, di ottima qualità e che duri nel tempo.
Novembre 2021
Il Santoku della nostra selezione ha una lunghezza della lama pari a 180 mm. Anche in questo caso, ci collochiamo ad una lunghezza intermedia, adatta a chiunque voglia fare un salto di qualità nella gestione quotidiana della propria cucinapraticità avanzate che a chi si approccia per la prima volta.
078
Il Coach della GLC Academy utilizza il Santoku per sminuzzare con precisione
3
Utility A completare il tris c’è il fantastico Utility. Se non hai mai incontrato e usato un coltello Utility, fidati di noi: da ora in poi non potrai farne a meno. Come l’amico che non pensavi di avere e che una volta scoperto ti sarà insostituibile. Un coltello utility è indispensabile per il trattamento di pezzi di piccole dimensioni. Pomodorini, cipolle, mondare con precisione la verdura e la frutta. Serve per la rifilatura del cibo, per l’affilatura e la cubettatura. È uno dei coltelli più versatili che potrai trovare in circolazione, senza ombra di dubbio. Il coltello Utility che ti proponiamo ha una lama 124 mm, sempre adatto a chi sta iniziando una nuova esperienza in cucina e ai più navigati.
Il Coach della GLC Academy utilizza l'Utility per rifilare la carne senza sbavature
BBQ4All Magazine 079
PERCHÈ QUESTO TRIS È MIGLIORE? Esistono ovviamente centomila Trincianti, Santoku ed Utility in giro. Di ogni prezzo. Davvero per ogni esigenza. Solo che dopo qualche settimana iniziano immancabilmente a deluderti. PERCHÉ QUELLI CHE TI PROPONIAMO NOI SONO MIGLIORI DEGLI ALTRI? La tipologia di acciaio, Acciaio Böhler N690 specifico per coltelleria, in combinazione allo speciale trattamento termico extra duro HRC 60, rendono i coltelli di questo tris praticamente eterni. Ma la resistenza senza la flessibilità è praticamente inutile. Te ne accorgerai appena tirati fuori dalla confezione, toccandoli, grazie anche alle impugnature ergonomiche in tecnopolimero grigio con codolo interamente passante fissato con tre rivetti in acciaio inox. E continuerai a rendertene conto anche anni dopo. La flessibilità dei coltelli di questo tris impedirà alla lama di perdere il filo, nonché ti eviteranno quelle noiose microfratture nell’acciaio che praticamente tutti i coltelli in circolazione hanno. Un set di coltelli tuttofare, da poter usare ogni giorno senza il timore che si rovini il filo, che puoi mostrare per fare bella figura.
Ehi, guarda quello! Utilizza un gran coltello anche per le cose di tutti i giorni.
Novembre 2021
Coach Vincenzo Santoro della GLC Academy utilizza i coltelli del " The ultimate GLC Chef’s knives set" durante le riprese del percorso MASTERCLASS
080
BBQ4All Magazine
081
Dalla Community BBQ4All Mi sono regalato il singolo coltello Chef. Finalmente è arrivato, puntuale come promesso!! Ha un bel peso e un’ottima maneggevolezza, con la giusta proporzione tra manico e lama. E poi esteticamente è veramente bello!!!
Antonio Amodio
Arriva il set dei tre coltelli e che fai non li provi? Denver Steak, sempre del Megastore, e la piccola dose di manzo giornaliera l’abbiamo assunta. Oh i coltelli tagliano di brutto!
+ GARANZIA totale GLC Top Selection
Fino a 46
€ DI RISPARMIO
Copia il CODICE PROMO e
scansiona il QR CODE
RI
TO
MB
TT
ORSA
I
TI
ON
D SO
TI
G LC
Ottieni i tuoi BONUS immediati: + fino a 28 € di sconto sul prezzo + spedizione di 18 € in omaggio
AN A R D I SFA Z I
A
G
Francesco Montone
P SELEC
Con il Magazine tagli il prezzo!
Finalmente i coltelli selezionati direttamente da Gianfranco Lo Cascio potranno essere tuoi, con una PROMO ESCLUSIVA. SOLO per 7 giorni, dopo la ricezione di questo BBQ4All Magazine, puoi approfittare della PROMO.
Risparmia subito fino a 28 € ottenendo il tuo sconto immediato del -10%
E la spedizione di 18 € la paghiamo noi! SOLO se copi il CODICE PROMO qui sotto e lo incolli nel campo che trovi al CHECK-OUT
nel passaggio di acquisto dopo i dati sulla spedizione
Novembre 2021
CHFK8P4
082
Vai alla pagina dei coltelli scansionando il QR CODE oppure visitando la pagina del sito qui sotto.
Oppure digita
megastore.bbq4all.it/collections/coltelli/chef_knife
BBQ4All: FROM ZERO TO HERO
IL FOIL
questo sconosciuto FACCIAMO CHIAREZZA a cura di Emiliano Nencioni
Vi sarà capitato di imbattervi in qualche discussione sui vari gruppi a tema bbq, in cui ci si chiedeva se la fase di foil fosse davvero necessaria al fine di ottenere un risultato eccezionale per le vostre cotture indirette. Probabilmente alcuni di voi non sanno nemmeno cosa sia la fase di foil, o comunque non hanno ben chiara la sua funzione. Facciamo dunque un po’ di luce sull’argomento, in modo da districarci nella marea di informazioni che si trovano in rete. COSA È IL FOIL? La parola deriva da aluminium foil ed indica la pratica di avvolgere la carne, a un certo punto della cottura in griglia, in uno o più strati di alluminio - aggiungendo prima una componente liquida- in modo da creare un ambiente caldo e molto umido con lo scopo di intenerire i tagli più grandi e in generale più tenaci. Si può avvolgere la carne senza nessun altro supporto, oppure utilizzare una vaschetta realizzando quello che in gergo tecnico si chiama Texas Crutch: ovviamente nata in Texas, questa tecnica è stata resa famosa dal circolo delle competizioni BBQ. A COSA SERVE? Usando il foil o più specificatamente il Texas Crutch si previene il raffreddamento per evaporazione sulla superficie della carne, che a sua volta riduce il tempo di cottura totale pur mantenendo l'umidità. Pezzi di carne abbastanza grandi e con molto tessuto connettivo (brisket, beef ribs, pork ribs, pork butt) hanno bisogno di tanto tempo per cuocersi. In questo lungo tempo di cottura, spesso attraversano una fase chiamata stallo. Grande nemico dei pitmaster di tutto il mondo, lo stallo allunga tantissimo i tempi di cottura e fa impazzire i commensali che aspettano ansiosi. BBQ4All Magazine
COSA È LO STALLO? Cerchiamo di spiegarvelo in modo semplice: quando mettete la carne nel vostro smoker, inizialmente è fredda e umida. L'aria calda e il fumo riscaldano lentamen-
083
084
Novembre 2021
te l'esterno della ciccia e si fanno strada fino al cuore. Questo spiega perché la carne all'inizio aumenta di temperatura. Ad un certo punto, l'umidità al cuore cerca di uscire attraverso la superficie. In tal modo, incontra il calore che sta cercando di entrare. Parte dell'umidità fuoriesce e si trasforma in vapore, raffreddando l'esterno della carne, mentre parte del calore continua a penetrare lentamente più in profondità. Ma dato che nessuno dei due vuole “cedere il passo” umidità e calore si incontrano nel mezzo e rimangono così per molto tempo. Ecco perché lo stallo può andare avanti per 4 ore o più. Se lasciate andare avanti la cosa senza intervenire, tutta l'umidità alla fine fuoriesce, il calore prende il sopravvento e la temperatura interna della carne riprende a salire. Ma con tutta l'umidità ormai fuoriuscita, la carne diventa secca. È qui che entra in gioco la fase di foil: avvolgendo la carne dopo averla affumicata per alcune ore, intrappolate tutto il calore e l'umidità all'interno del cartoccio. Ciò a sua volta aiuta la carne a superare lo stallo e a rimanere umida e succosa.
pericoloso se viene usato per cucinare cibi acidi e che il consumo eccessivo di cibi cotti con fogli di alluminio può comportare un rischio per la salute. Ovviamente la parola chiave è appunto “eccessivo”: come spesso accade, è la quantità a fare la differenza. Tuttavia, la soluzione - soprattutto per chi è più ansioso- c’è e si chiama Butcher Paper. COSA È LA BUTCHER PAPER Come il nome suggerisce, si tratta della carta con cui tradizionalmente, negli USA, i macellai impacchettano la carne. La sua funzione è esattamente la stessa del foglio di alluminio ma, essendo molto più porosa, ovviamente presenta delle differenze in termini di risultato e tempi di cottura. Innanzitutto, è traspirante quindi la carne continua a prendere fumo anche in fase di foil; in secondo luogo, la butcher paper può assorbire buona parte dei succhi di cottura, ungendo in modo uniforme la carne mentre si cuoce, mentre con l’alluminio il pezzo di ciccia si ritrova in una pozza di liquido. Il bark, in questo caso, ringrazia. I tempi di cottura però si allungano rispetto al classico foil.
Non possiamo poi non affrontare l’annosa questione: quanto è rischioso per la salute l’utilizzo dell’alluminio in cucina? Sono stati fatti numerosi studi in merito, che dimostrano, per dirla in modo molto sintetico, che la migrazione dell'alluminio sugli alimenti dipende da diversi fattori, quali ad es. la durata della cottura, la temperatura di esercizio, il pH degli alimenti e la presenza di eventuali altre spezie o sostanze. Sappiamo con assoluta certezza che l’alluminio è più
A tal proposito, qualche anno fa usare il foil era diventato, in Italia, sinonimo di debolezza: per i detrattori, usarlo significava utilizzare una scorciatoia e di conseguenza secondo loro non eri degno di essere chiamato pitmaster. Per fortuna questa idea ormai è ampiamente superata. La verità è che il foil può essere davvero un grande alleato, specie se si sanno sfruttare le sue potenzialità e non si incappa in errori grossolani.
BBQ4All Magazine
PRO E CONTRO Sono ovviamente numerosi i pro di questa tecnica: oltre a velocizzare il tempo di cottura e a rendere la ciccia più succosa, usare il foil aiuta a proteggere la carne dalle temperature più alte e a risparmiare il combustibile (per ovvie ragioni, se si accorciano i tempi di cottura, si risparmia sul carbone). E’ però assolutamente necessario che, prima di andare in foil, il bark (la crosticina saporita che tanto vi piace) sia ben formato, altrimenti si corre il serio rischio di trovarsi a mangiare una “pappetta” umida e appiccicosa.
FOIL SÌ O FOIL NO? Nessuno riuscirà a darvi una risposta definitiva. La verità è che ogni pitmaster deve trovare il suo proprio metodo, quello col quale si trova meglio, e per farlo deve necessariamente provare tutte le tecniche. Ci sono quelli che usano il foil solo per i grandi pezzi di carne, come il brisket, ma preferiscono non usarlo per altre preparazioni come le ribs. Ci sono quelli che per accorciare i tempi di cottura lo usano sempre, quelli che preferiscono la butcher paper (è il caso, ad esempio del famoso Aaron Frankling, proprietario del famigerato Frankling BBQ) e quelli che sono fedeli all’alluminio. C’è chi proprio si rifiuta di usarlo.
085
La ricetta scientifica a cura di Gianfranco Lo Cascio
Novembre 2021
a t a iFdri tt tate pa 086
Frittata s. f. [der. di fritto]. – 1. Pietanza a base di uova frullate o sbattute, gettate in padella con olio o burro bollente finché acquistano una determinata consistenza: frittata semplice (a un foglio), ripiegata (a due fogli), arrotolata o avvolta (omelette), ripiena; spesso mescolata, prima o durante la cottura, con verdure o altri ingredienti: frittata con i carciofi; frittata di spinaci, di asparagi, di zucchine; frittata verde, in genere, a base di erbe tritate; frittata col prosciutto, col formaggio. (fonte: www.treccani.it ) Con le patate. Quante volte l’avete mangiata ancora bollente, magari in un bel panozzo, davanti alla tv? Scommetto che la mia versione non l’avete mai provata, però. Ma prima di passare alla ricetta, aggiungiamo ancora qualche tassello su uno dei miei ingredienti preferiti: l’uovo.
BBQ4All Magazine 087
Il sapore delle uova: una questione di chimica Le uova fresche hanno un sapore molto delicato, oggettivamente difficile da decifrare. Quello che sappiamo per certo è che l’albume conferisce la tipica nota sulfurea, mentre il tuorlo quella dolce e burrosa. L'aroma prodotto da un uovo appena deposto è debole, e diventa più forte quanto più a lungo viene conservato prima della cottura. In generale, l'età delle uova e le condizioni di conservazione hanno un impatto sul sapore maggiore rispetto alla dieta della gallina e alla sua libertà di movimento. Tuttavia, sia la dieta che la razza dell’animale possono fare la differenza. Le razze che producono uova di colore marrone non sono in grado di metabolizzare un componente inodore delle farine di colza e soia (colina o vitamina J), e i loro batteri intestinali lo trasformano in una molecola dal sapore sgradevole di pesce (trietilamina) che finisce nelle uova. I mangimi a base di farina di pesce e alcuni pesticidi possono causare lo sviluppo di sapori sgradevoli. La dieta imprevedibile delle galline veramente ruspanti produrrà uova stravaganti, mai costanti.
Novembre 2021
Nell'aroma delle uova cotte sono stati identificati qualcosa come 200 composti. Il più caratteristico è il solfuro di idrogeno, H2S. In grandi dosi - ad esempio in un uovo avariato o in alcuni scarti industriali - l'H2S è molto sgradevole. Si forma prevalentemente nell'albume, quando le proteine cominciano a dispiegarsi e a liberare i loro atomi di zolfo per reagire con altre molecole, a temperature superiori a 60°C. Più a lungo l'albume rimane a queste temperature, più forte sarà l'aroma di zolfo. E più invecchia e più ne produce.
088
Poiché l'idrogeno solforato è volatile, può fuoriescire dalle uova cotte durante la conservazione, che in questo modo perdono quella “puzzetta” tipica. Durante la cottura poi, si sviluppano anche piccole quantità di ammoniaca, che danno un contributo subliminale al sapore delle uova.
La struttura interna dell'uovo MEMBRANA VITELLINA Questa membrana contiene e protegge il tuorlo e si indebolisce man mano che l'uovo invecchia. Questo è il motivo per cui le uova fresche sono più facili da separare rispetto a quelle vecchie. TUORLO La maggior parte delle vitamine e dei minerali dell'uovo, così come tutti i grassi e metà delle proteine, si trovano nel tuorlo. Contiene anche la lecitina, un potente emulsionante. Il tuorlo è più sodo quando è freddo, ricordatevelo quando dovete separarlo dall’albume. CAMERA D'ARIA Il vuoto all'estremità larga dell'uovo è il risultato della contrazione dovuta al raffreddamento dell'interno dopo la deposizione dell'uovo. Questo spazio aumenta di dimensioni man mano che l'uovo invecchia e l'umidità all'interno dell'uovo evapora attraverso il guscio. CHALAZA Questi cordoni biancastri si estendono da ogni estremità del polo e centrano il tuorlo. Man mano che un uovo invecchia, i chalazae si indeboliscono e il tuorlo può diventare fuori centro. Spesso filtriamo le salse e le creme (come la Crème Brûlée) in modo che i chalazae non ne rovinino la consistenza e l'aspetto. GUSCIO Il guscio e la membrana interna mantengono il contenuto al suo posto e tengono fuori i batteri. Il guscio è permeabile e col tempo il contenuto di un uovo può evaporare. Non usare mai un uovo con il guscio rotto o spaccato.
BBQ4All Magazine
ALBUME DENSO INTERNO E ALBUME LIQUIDO ESTERNO Il bianco, chiamato anche albumina, è fatto di proteine e acqua ed è diviso in strati spessi e sottili, con lo strato più spesso più vicino al tuorlo. Una leggera torbidezza indica un'estrema freschezza. Con l'invecchiamento delle uova, il bianco diventa più sottile e chiaro.
089
Etichettatura e qualità delle uova Sull’etichetta delle uova devono essere riportate per legge: 1. Data di consumo preferibile (per le uova fresche è considerata superata il ventottesimo giorno dalla deposizione, ma devono essere ritirate dal commercio sette giorni prima della scadenza). 2. Categoria di qualità e peso. 3. Numero di uova confezionate. 4. Nome e ragione sociale, oppure il marchio commerciale del centro di imballaggio. 5. Raccomandazioni per una corretta modalità di conservazione. Sull’etichetta possiamo trovare: data di deposizione, indicazione del miglior uso dell'uovo (ad esempio uova per pasta gialla), sistema di allevamento (a terra, con metodo biologico ecc.) ed alimentazione della gallina (dieta esclusivamente vegetale ecc.).
Novembre 2021
CATEGORIE DI QUALITÀ Categoria A. Uova fresche, non lavate, né refrigerate o sottoposte a trattamenti di conservazione,
090
camera d'aria di altezza inferiore ai 6 mm, meno di 28 giorni dall’imballaggio. Uova extra fresche, come le precedenti, ma con camera d'aria inferiore ai 4 mm e meno di 7 giorni dall'imballaggio o di 9 dalla deposizione. Categoria B. Uova di seconda qualità o conservate. Sono refrigerate a temperatura inferiore a 5°C o conservate in miscela diversa da quella atmosferica. Camera d'aria inferiore ai 9 mm. Categoria C. Uova declassate destinate all'industria alimentare; non possiedono i requisiti delle uova di categoria A e B. CATEGORIE DI PESO (solo per uova di categoria A) XL L M S
grandissime, da 73 grammi e più grandi, da 63 a 73 grammi medie, da 53 a 63 grammi piccole, meno di 53 grammi
La conservazione delle uova CODICE ALFANUMERICO Come si interpreta il codice alfanumerico ad undici caratteri impresso sul guscio? È molto semplice. All'inizio del codice è presente un numero che indica il sistema di allevamento delle galline ovaiole: 0 1 2 3
per l'allevamento biologico per l'allevamento all'aperto per quello a terra per quello in gabbia (o batteria)
Segue una sigla che specifica il Paese di produzione (IT per l'Italia, SP per la spagna, FR per la Francia e così via). Un altro numero di tre cifre segnala il comune di provenienza; viene inoltre riportata la sigla della provincia di allevamento (MI per Milano, BO per Bologna, NA per Napoli ecc.). Le ultime tre cifre identificano l'allevamento dal quale provengono le galline, tramite una sequenza numerica che viene assegnata dalle autorità sanitarie locali dopo i controlli sull'idoneità dell'azienda.
IN FRIGORIFERO Se il vostro frigorifero ha il classico vassoietto per le uova sullo sportello, buttatelo. Le uova dovrebbero essere conservate sul ripiano, dove la temperatura è inferiore ai 4°C. Le uova si conservano più a lungo nella loro scatola protettiva; quando vengono scartate possono assorbire gli odori di altri alimenti. Il cartone aiuta anche a mantenere l’umidità corretta, idealmente intorno al 70-80%, rallentando l'evaporazione del contenuto delle uova. IN FREEZER Gli albumi, che avanzano sempre, possono essere congelati, tenendo presente però che perdono le loro proprietà lievitanti. I bianchi congelati sono perfetti per lucidare i prodotti da forno o in ricette in cui non serve montarli. I tuorli, tuttavia, non possono essere congelati così come sono; l'acqua forma dei cristalli di ghiaccio che stracciano la rete proteica. Possiamo aggiungere però dello sciroppo di zucchero (2 parti di zucchero per 1 parte di acqua), mescolando un ¼ di cucchiaino di sciroppo per tuorlo prima di mettere il composto in freezer.
BBQ4All Magazine 091
Le patate nella frittata si friggono due volte La patata fritta perfetta? È tutta una questione di temperatura dell'olio. Quando friggiamo il cibo, generalmente lo facciamo in olio tenuto tra i 160°C e i 190°C gradi. Mettiamo le patate nella padella e la loro umidità superficiale si trasforma immediatamente in vapore. (Avete presente le bolle che spiccano non appena immergiamo il cibo nel grasso caldo? L’olio non sta bollendo, è l'umidità che fuoriesce).
Novembre 2021
Anche se sembra controintuitivo, la frittura è un metodo di cottura a calore secco. Mentre il vapore scappa via dal cibo che frigge, lasciando piccoli crepe nella sua scia, una piccola quantità di olio si muove per prendere il suo posto. E mentre il cibo cuoce, il suo rivestimento esterno di amido (perché generalmente friggiamo cibo amidaceo, o cibo non amidaceo pastellato nell'amido) si asciuga, diventando poroso e croccante, con un sacco di olio che aderisce alla crosta appena formata.
092
L'alta temperatura è fondamentale: se l'olio non è abbastanza caldo, l'umidità non si trasformerà in vapore, la superficie esterna non si asciugherà e la caratteristica crosticina dorata e crunchy non si formerà. Dopo tutto, le reazioni che producono sapore, come la caramellizzazione e la reazione di Maillard, non avvengono rapidamente fino a quando non si raggiungono certe temperature. E se la crosta croccante non si materializza, non c'è nulla che impedisce all'umidità del cibo fritto di migrare verso i bordi esterni. Il risultato? Fritto molle e unto. Questo è il motivo per cui spesso friggiamo un po’ alla volta. Calare tre kg di patate nell'olio caldo abbassa significativamente la temperatura dell'olio e ci restituisce patatine fritte mollicce. Una crosta croccante non è solo più saporita, ma anche più asciutta. Che ci crediate o no, la temperatura dell'olio durante la frittura è solo una parte del motivo per cui il cibo può risultare unto. Infatti, più caldo è l'olio, maggiore è la perdita di umidità e la quantità di olio assorbita.
La maggior parte dei cibi fritti assorbono il grasso DOPO la cottura, quando l'olio in superficie riesce a penetrare nella crosta. Una bella crosta croccante non vieta a una patata di assorbire olio, ma le impedisce di diventare flaccida e grassoccia. Occhio anche a non esagerare con il calore. Quando la temperatura dell'olio sale oltre i 205°C gradi, l'esterno del cibo può bruciare prima che l'interno sia cotto. E anche se l'interno si cuoce, il calore violento può causare un'eccessiva perdita di umidità, che indurisce la nostra pietanza.
BBQ4All Magazine
Anche se i termini sono spesso usati in modo intercambiabile, per definizione, un grasso è solido a temperatura ambiente mentre un olio è liquido. L'olio fresco per friggere è composto da più del 98% di trigliceridi, che sono composti da tre acidi grassi legati chimicamente a una molecola di glicerolo. I trigliceridi che sono ricchi di acidi
grassi saturi, come quelli della carne, sono solidi a temperatura ambiente, mentre quelli che sono ricchi di acidi grassi insaturi, come quelli dei vegetali, sono liquidi. Quando i grassi e gli oli vengono riscaldati e poi messi a contatto con il cibo, possono succedere due cose: I trigliceridi possono reagire con l'acqua del cibo per formare altri acidi grassi liberi e glicerolo e gli acidi grassi insaturi possono essere ossidati dall'aria. Entrambe queste reazioni limitano la vita utile dell’olio, facendolo fumare ad una temperatura sempre più bassa. Questo punto di fumo, o la temperatura alla quale l'olio inizia ad emettere fumo sgradevole, cambia da olio a olio, a seconda di quanto velocemente si scompone in acidi grassi liberi. La quantità di questi acidi grassi liberi nell'olio è un'indicazione dell'idoneità alla frittura ad alta temperatura. Ogni olio alla fine inizierà a fumare, e più lo usi, più il punto di fumo diventa basso.
093
Per fare il fritto ci vuole l'olio PUNTI DI FUMO DI GRASSI E OLI Olio di cocco 195°C Olio di vinaccioli 200°C Olio extravergine d’oliva* 210°C Olio di sesamo 210°C Olio di arachidi 220°C Olio di mais 230°C Olio di semi di girasole 230°C Olio di canola 2 0 5 240°C Grasso di anatra Sego bovino Strutto di maiale
190°C 230°C 240°C
* Il punto di fumo degli oli d'oliva filtrati può essere più alto, anche se tutti variano ampiamente in base alla fonte.. E COSA SUCCEDE QUANDO UNA PATATA TOCCA L'OLIO CALDO? A crudo - Prima di toccare l'olio, la patata trattiene l'umidità in modo uniforme al suo interno. Durante la frittura - Mentre frigge nell'olio caldo, l'umidità si trasforma in vapore ed esce, lasciando dei “buchi” sulla sua scia.
Novembre 2021
Dopo la frittura - I crateri sulla superficie delle patate si riempiono di olio, aiutando la formazione della crosticina croccante e ambrata. La quantità di olio assorbita è direttamente proporzionale alla quantità di acqua persa.
094
La temperatura dell'olio fa una grande differenza. Ho fatto un esperimento cuocendo tre porzioni di patatine a 200°C, 135°C e 170°C. Le patatine fritte cotte a 200°C si sono dorate troppo velocemente, rasentando la bruciatura prima che l'interno della patata potesse cuocersi del tutto. Le patatine fritte cotte a 135 gradi, invece, si sono cotte completamente,
ma non si è mai formata una crosta e sono diventate mollicce e flosce. La temperatura magica è 170°C: Il calore è abbastanza alto da trasformare immediatamente l'acqua nella patata in vapore, da asciugare lo strato esterno e formare una crosticina marrone e croccante, il tutto mentre il cuore del tubero rimane umido e cremoso. MA L’OLIO SI PUÒ RIUTILIZZARE? In parte sì. Conservate una tazza di olio usato e unitela all'olio fresco prima di friggere. Il cibo fritto diventerà più croccante e svilupperà una doratura più uniforme. Perché? L'olio “nuovo” non riesce a penetrare la barriera di umidità che circonda il cibo mentre frigge. Nel tempo, man mano che l'olio continua a rimanere esposto al calore, si scinde, producendo composti scivolosi e simili al sapone che possono penetrare la barriera d'acqua. Questo maggiore contatto tra olio e cibo favorisce la doratura e la croccantezza. (Durante il “riciclo”, il livello di acido grasso libero aumenta da circa lo 0,03-0,05% nell’olio “fresco” all’8-10% nell’olio “usato”). Quindi conservate un bicchiere o due di olio usato da mescolare con quello fresco la prossima volta che friggete (il rapporto ideale è di 1 parte di olio usato per 5 parti di olio fresco). Una volta che l'olio si è raffreddato, filtratelo attraverso un colino foderato con carta assorbente e mettetelo in frigorifero, in un contenitore ermetico. Conservato in questo modo, l'olio dovrebbe durare per due o tre usi. Ricordate però che l'olio di frittura può trasferire sapori da cibo a cibo. Di regola, buttate via l'olio in cui è stato fritto il pesce
BBQ4All Magazine
095
SPECIAL TRICK
GRATTATE LA SUPERFICIE PER PATATINE PIÙ CROCCANTI
Strofinare le patate, rigarle con una forchetta o creare una superficie irregolare, favorisce l'evaporazione dell'umidità e la formazione di una crosticina più croccante e consistente. La spiegazione? È tutta una questione di texture. La rosolatura o la croccantezza non può svilupparsi prima che l'umidità superficiale evapori. I pezzi di patata “raspata” hanno più superficie esposta rispetto a fette o pezzi crudi e lisci (e quindi più vie di fuga per l’umidità).
Novembre 2021
Mi sono spiegato male?
096
Immaginate allora 100 km² della regione montuosa del Trentino Alto Adige. Avranno molta più superficie esposta rispetto a 100 km² della Pianura Padana, giusto?
BBQ4All Magazine
097
098
Novembre 2021
FRITTATA DI PATATE
LA RICETTA SCIENTIFICA
Ingredienti per 6 persone: 6 uova grandi / 30 g di burro non salato / 350 g di patate / 1 rametto di rosmarino / olio di arachidi per la frittura / 2 g di sale/ pepe q.b.
Procedimento Incidete le patate con la buccia, dividendole in pezzi irregolari (non devono essere lisci o precisi). Sciacquatele brevemente in acqua fredda e asciugatele con cura, questo passaggio servirà a scaricare l’amido in eccesso. Versate l’olio di arachidi in una padella ampia o nella friggitrice, aggiungete il rametto di rosmarino e friggete le patate a 170°C-180°C, fin quando non si forma una crosticina sottile. Scolate le patate e schiacciatele col dorso di un cucchiaio, per formare una superficie ruvida e irregolare. Friggete di nuovo fin quando non diventano ambrate e croccanti. Fate raffreddare e salatele. Ora dedicatevi alla preparazione delle uova. Tagliate il pezzo di burro a metà e tagliate una metà in piccoli pezzi, come per le omelette. Nel frattempo, scaldate l'olio in una padella antiaderente (26 cm di diametro) a fuoco basso, per 10 minuti. Deve essere una padella con manico in ferro o acciaio, perché dovrete ripassare la frittata in forno. Rompete 4 uova in una ciotola media e aggiungete due tuorli. Aggiungete 2 grammi di sale e due pizzichi di pepe. Mescolate con una frusta fin quando tuorli e albumi non saranno perfettamente miscelati. Unite i cubetti di burro freddo e le patate fritte ormai raffreddate. Quando la padella è completamente riscaldata, usate della carta assorbente per pulire l'olio, lasciando un sottile strato sul fondo e sui lati. Aggiungete circa 10 grammi di burro nella padella e scaldatelo fino a quando non si scioglie. Spargete il burro con cura, aggiungete il composto di uova e patate e cuocete a calore a medio-alto.
Gianfranco Lo Cascio
BBQ4All Magazine
Trasferite la frittata in forno preriscaldato a 180°C, azionando solo le resistenze superiori. Lasciate cuocere lo strato superficiale della frittata fin quando il cuore non avrà raggiunto i 70-75°C. Servite ancora calda.
099
100
Novembre 2021
BBQ4All Magazine
101
Il mito della caverna di Platone Seguo
Novembre 2021
a cura di Emiliano Nencioni
102
Poche settimane fa, grazie ai miei soliti canali privilegiati, sono riuscito a far cadere nelle mie grinfie una copia del libro “Codice Lo Cascio”, uno degli ultimi prodotti editoriali made in GLC, un bel tomo voluminoso, un librozzo di tutto rispetto con copertina rigida, contenente una succosa raccolta di ricette scientifiche frutto di mesi e mesi di continua ricerca e curiosità di Gianfranco, coadiuvato strettamente da Rossella. Li chiamo per nome, non potrei fare diversamente. Anche per voi, lettori cari, saranno ben familiari: chi legge queste ultime pagine è sicuramente un lettore affezionato. Insomma dicevamo, mi arriva questo bel libro, e la prima cosa a cui ho pensato è stata di farne dono a una persona a me vicina, sia come gesto cortese, sia con lo scarsamente dissimulato proposito di affinare le prodezze culinarie del destinatario del regalìno. Chi dovrà cimentarsi nella lettura dell’incunabolo in questione è, facendo due rapidi conti, una specie di destinatario ideale per questo libro: curioso, incurante della “ortodossia della tradizione”, buona forchetta e, non ultimo, sempre lieto di ricevere qualche complimento per le pietanze prodotte. Un po’ casinista, va detto. Forse appena una tacca sopra un po’. Non esattamente uno rispettoso delle raccomandazioni stechiometriche, pensavo, ma che potrà gradire l’approccio scientifico, metodico, non “magico” o piovuto dal cielo. La nostra regola non scritta è di lasciare l’oggetto da recapitare direttamente sulla poltrona preferita del destinatario, in assenza del medesimo: mai “ti ho preso questo, ti piace?”, ma un più silenzioso, sottinteso, poco cerimoniale e sicuramente emotivamente blindato “toh”.
BBQ4All Magazine
Grande è stata la mia sorpresa quando già dal pranzo del giorno successivo mi ritrovo nel piatto il frutto della prima sperimentazione di una ricetta scientifica: nel più comune linguaggio verbale di persone consuete, potrebbe essere una cosa riconducibile a “grazie, lo provo subito”.
103
Novembre 2021
La cucina, un disastro. Uno sconvolgimento sicuramente assai maggiore alla apparente deflagrazione quotidiana: teste d’aglio, quattro tipi di mixer a immersione sfoderati e ancora attaccati ad una prolunga che attraversava in diagonale la stanza, tutti i pensili aperti (perché nella trance agonistica è fuori discussione fermarsi a chiudere uno sportello basculante), una chiave a tubo da tredici millimetri e una trousse di punte da trapano sulla tovaglia, intenso odore d’aglio tipo esalazioni sulfuree di dantesca memoria, una Alaskan Malamute di quarantacinque chili che, per smaltire lo stress accumulato in febbricitanti quarti d’ora di tribolazioni fra le stoviglie, si stava ciucciando un rotolo intero di carta assorbente da cucina.
104
“Ti ho fatto la aglio e olio scientifica!”, mi fa. “Ma sa di pasta lessa col limone, che ti sei inventato?” “Oh, ci ho messo una testa d’aglio, ma poi… ma davvero un bicchiere intero d’olio bisogna usare? La cremina… era venuta una cremina ma poi, lo vedi, si è sfatta tutta.” “Ma hai fatto esattamente come nel libro, o non hai resistito a introdurre qualche variante personale, qualche tocco originale, qualche reinterpretazione?” “Via, dai, una testa d’aglio intera? Ho provato con mezza. Ma poi, ma davvero deve essere tutto così complicato?” “Beh vedi, quelle sono ricette scientifiche: devono essere complicate perché sono anche un po’ didattiche, tirano in ballo la chimica, le reazioni che avvengono, la degradazione delle proteine. Devi vederle come esercizi di stile.” “Sì ma a voi chi ve lo ha detto che è così? Che prove fate? Quelli che fanno in maniera diversa cosa sono, scemi?” “Le ricette sono frutto di robusta e costante ricerca: probabilmente cose simili si possono fare in maniera diversa, questo è solo un modo di procedere che arriva all’obiettivo passando da una metodologia giustificata e ripetibile, tendente se possibile al miglior risultato ottenibile” “Però la aglio e olio che ho sempre fatto era più buona, sii onesto!” “Perché questa l’hai sbagliata, e l’hai sbagliata basandoti sullo scetticismo o sulla voglia di tirar via.” “D’altronde, non mi convinceva.”
È a questo punto che mi si è attivato il processo sempre latente in background “trova un argomento per la Seguo del mese prossimo”: la conoscenza attraverso le ombre del mito della Caverna di Platone! Spiego brevemente per chi non dovesse ricordare molto lucidamente “La Repubblica” di Platone (un testo fondamentale per tutto lo sviluppo successivo del pensiero occidentale, niente di serio insomma!). Per questa profondissima allegoria, Platone (non metterò data di nascita e di morte, non spiegherò chi sia, ma Google è gratis) chiedeva di immaginare una caverna all’interno della quale si trovassero delle persone, incatenate dalla nascita, disposte in modo da poter soltan-
Raffaello -La scuola di Atene (particolare)
“Io una cosa sola vorrei sape’...”
to guardare le pareti della spelonca; la percezione degli eventi del mondo esterno è, per i prigionieri, limitata all’osservazione delle ombre proiettate sull’unica parete raggiungibile con lo sguardo, e all’ascolto dell’eco delle voci esterne che rimbalza sulle mura interne. Per gli ignari reclusi le voci provengono dalle ombre, e ogni manifestazione di realtà si appiattisce su una silhouette monocromatica proiettata sulla roccia; sarebbe per loro follia l’idea della presenza di una vita esterna, più profonda e più definita delle ombre.
Qui arriva la vera fregatura: l’ex detenuto, ormai “illuminato” e abituato alla luce, potrà voler convincere i suoi vecchi compagni di tenebra a compiere il suo stesso percorso, ma si troverà dapprima ostacolato e disagiato dal buio perenne
BBQ4All Magazine
Il riferimento, logicamente, è alla verità e alla conoscenza. Mettiamo il caso, si accanisce Platone, di voler liberare parzialmente un prigioniero, consentendogli di guardare fuori dall’ingresso della grotta, verso il mondo esterno: inizialmente accecato
dalla luce proverebbe solo dolore e fastidio, e la scarsa familiarità con le forme e con la verità aliena alla grotta lo porterebbero a non comprendere nessuna delle rappresentazioni degli oggetti visti direttamente. Solo gradualmente, dapprima attendendo la penombra, poi passando dalle ombre ai riflessi sull’acqua prima di rivolgersi alle cose e alla verità vera, il dolore e il fastidio della luce viva potrà essere sopportato, e la manifestazione del mondo compresa e associata al sottinsieme grossolano ma precedentemente conosciuto delle ombre.
105
a cui il suo occhio non è più abituato, mal riuscendo a comunicare e a comportarsi normalmente nella grotta; dopodichè dovrà anche scontrarsi con la disapprovazione degli individui ancora incatenati, che non riterranno opportuno dover intraprendere un percorso lungo e doloroso solo per vedere delle cose che non sono come si è sempre pensato, per poi ritrovarsi oltretutto incapacitati a vivere normalmente nella più rassicurante oscurità. Non viene anche a voi immediato pensare a tutte le volte in cui vi siete ritrovati invischiati fra i commenti delle Pagine Facebook acchiappaclick dove in migliaia sfottono “quello che mette la bistecca in forno” o chi adopera felicemente tecniche sous vide invece di “fuoco, fiamme e birra in mano” dei gradassucci alpha-male-overthe-network? Voglio dire, Platone questa cosa l’aveva pensata tra le altre cose per parlare del processo di Socrate, che dopo aver trovato la Verità (o quello che poteva essere un pensiero illuminato al tempo) fu ucciso per aver tentato di farla conoscere agli uomini “incatenati” suoi contemporanei, d’accordo, ma cerchiamo di abbassare un attimo il livello e le aspettative.
Novembre 2021
Quando abbiamo visto i primi post che parlavano della possibilità di una bistecca perfetta, di una carbonara perfetta, di risultati ripetibili e motivati chimicamente, ci siamo staccati dalla nostra prima catena, e abbiamo volto lo sguardo dalle ombre verso la luce esterna; dolorosamente abbiamo dovuto accettare che togliere l’anima dell’aglio non ha nessun senso, che scaldare una bistecca prima di grigliarla non influisce sul corretto funzionamento della prostata, abbiamo imparato che la carne infiltrata di grasso, ogni tanto, è più buona della fettina magra magra e che se al ristorante ci rispondono che è di “razza scottona” è buona norma ripiegare su una frittura di pesce.
106
Con qualche sacrificio e un sacco di fiducia abbiamo mosso i primi passi, abbiamo verificato i benefici del dry brining e abbiamo smesso di costellare di buchetti il bu-
dello di una salsiccia in cottura, ma i nostri “pari” di un tempo son rimasti spesso lì, al palo, come prima, a bruciare le bistecche o a mangiarle ghiacce marmate di frigo nel nome della cottura maschia, a fare la carbonara con gli straccetti di frittata ma, mi raccomando, col guanciale, e altre ingenuità che ricordiamo con imbarazzo nel nostro stesso passato. Abbiamo provato, a vario titolo, chi diventando coach, chi cercando di aiutare amici e conoscenti, a spiegare, a chiarire, a illuminare, e abbiamo trovato ostilità. Ostilità, ma anche scetticismo, dileggio, qualche derisione, nei casi peggiori veri e propri attacchi di branco. Ma chi ce lo fa fare di tirarli fuori dalla grotta in fretta e furia? “Oh, guarda che di là c’è luce. Ou, ti muovi?” E poi faranno con i loro tempi. Non c’è molto da fare il tiro alla fune per poi sentirli solo lamentarsi del dolore agli occhi abbagliati, poi va a finire che ci tocca trangugiare la cicuta digitale dei mille commenti cattivi e pieni di becera, inutile, dozzinale, ripetitiva banalità. Chi di voi non prova ormai lancinante imbarazzo per chi crede di fare la gag dell’anno scrivendo “sotto quattro dita è carpaccio”? Buttatela lì. Suggerite, non forzate. Indicate con sobrietà un’altra via. Prendete un libro di ricette scientifiche e appoggiatelo sulla poltrona preferita del destinatario, senza dire una parola. Se succede, succede. Personalmente, proprio oggi a pranzo ho ricevuto con stupore una carbonara fatta alla perfezione. Coi suoi tempi, dopo averla fatta una volta con una purea di piselli e una volta con un frullato di funghi, così, quasi per protesta, per non voler accettare il cambiamento. Ma che il mio minuscolo regalo del libro era stato letto e finalmente applicato è ormai innegabile. A ognuno i suoi tempi. Io, per esempio, sono sempre in ritardo.
Emiliano Nencioni
Giambattista Tiepolo - La Verità svelata dal Tempo
BBQ4All Magazine 107
CLUB
Diretta m e n t e da lla co m m u n i ty di ma e s t ri d i ba rbecue pi ù grande d’I tali a, nasce i l prest i gi oso club c h e ti offre la possi bi li tà di avere: a ccesso p ri or i tar i o al meg astore, dove pot ra i fa re ra zzi e m ent re tutt i gli a lt ri “ sono i n coda ” ; u na p rogra m ma zi o n e i n telli g en te dei tu oi acq u i sti gra zi e a l c re di to m e nsi le prepa gato (scegli tu quanto); u n coa c h pr i vato c h e ti g u i derà n e l fa rt i vi ve re l’ e s p eri enza
pi ù ecci tant e di sem pre
co n la pre p arazi one dei tuoi pi att i ; e molto altro an cora. . . Av ra i tu tto qu es to s o lo s e ti i s c r i vi s u bito a l MEG ASTOR E CLUB, l’uni co luogo ri servato a u na c e rc hia r i s t re tta d i a s pi ra n t i gri ll ma s t e r c he desi dera no a pprendere pi ù velocement e e nel modo p iù accurato possi bi le, la s ubli m e a rt e del gri ll. Pu oi di si scri vert i quando vuoi e i l tu o c red i to sarà sempre di s pon i bi le.
collegat i a
H T T PS : / / C LU B M E G ASTO R E . B BQ 4 A L L. I T e c h i e di i n formazi oni pi ù detta gli at e, pr i ma c h e i coac h fi ni sca no e le i scri zi oni chi uda no.