N°40/ANNO 4 - APRILE 2022
L'EDITORIALE DI GIANFRANCO LO CASCIO BMS, IMF, MS, USDA, GRAIN FINISHED:
MA CHE SIGNIFICA?
SPECIALE POKE manzo e asparagi, tartare di Chianina con avocado e jalapeno, stinco pullato e coleslaw, gambero rosso e salsa al limone, pagro e olive, tonno e lime, salmone e ribes, dolce con latte di cocco e banane
BBQ DI PRIMAVERA
picanha e purè, pollo in cocotte, polpettone con patate affumicate, pot pie di chorizo, spiedini di pollo e salsiccia con carciofi in ember, torta salata al pulled pork
COME SI FA
la colomba pasquale
IL BARBECUE SCIENTIFICO
Polveri magiche e pozioni
Direttore Editoriale Rossella Neiadin
Redattore Capo Michela Bongiorni
Redazione
Enio Berton Virgilio Brunetti Tommaso Buccafurri Nunzia Clemente Roberto Dal Bosco Salvatore Di Mento Luca Gallozza Marco Gerometta Mariangela Ibba Gianfranco Lo Cascio Giancarlo Madonna Riccardo Meniconi Giovanni Minelli Emiliano Nencioni Elena Ninotti Francesca Pappacena Raffaele Persichetti Andrea Spaggiari Alessandro Trezzi Carlo Trono Paolo Tucci Alex Vasile Caterina Vianello Alberto Zonghetti Marco Zorzan
Realizzazione Grafica Impaginazione Carlo Trono Illustrazioni di Eleonora Castagna e Ozzy Bellesi Fotografie di Rossella Neiadin, Luca Gallozza, Tommaso Buccafurri, Elisa Giuli, Emiliano Nencioni
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IN DI Rubriche
Editoriale - Ma che significano queste sigle?
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Portfolio gastronomico - Poke: si fa presto a dire "ciotola di riso"
10
Nice to meat you - Agnello, tagli e caratteristiche
16
Speciale poke - ricette
Poke con tartare di manzo, asparigi e cipollotti grigliati
20
Poke con tartare di manzo, avogado grigliato, pomodorini, jalapenos
23
Poke con stinco pullato, coleslaw, pomodorini, salsa allo yogurt
26
Poke con gambero rosso, carote, avocado, Jalapeño e salsa bianca
30
Poke con sashimi di pagro, ribes, spinacino e cipollotto grigliato
33
Poke con sashimi di tonno, mais, cetrioli, insalata e salsa a lime
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Poke con sashimi di salmone, gari, nori, ribes e avocado
38
Poke dolce con latte di cocco e frutta mista
40
BBQ - ricette Pollo in cocotte
42
Puff pastry chorizo pot pie
45
Picanha con mashed sweet potatoes e fagiolini piccanti
48
Polpettone con patate affumicate croccanti
50
Spiedini di pollo e salsiccia con crema di carciofini in ember
54
Torta salata al pulled pork
58
Approfondimenti
Arte Bianca - La colomba di Pasqua
60
Across the pond - Poke, alcolici e Happy Hour
72
The Chemical Griller - La sicurezza alimentare
76
From Zero to Hero - Il bark spiegato bene
82
La Ricetta Scientifica - l'elisir del barbecue
86
Seguo - La Figura di Sé, La Figura di Me-.
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IMF
Editoriale di Gianfranco Lo Cascio
BMS USDA
MS
grain finished
Ma che significano queste sigle?
No, non sono formule del Necronomicon, non è nemmeno lingua nera di Mordor. Quelle che avete appena letto sono tutte sigle che dovete imparare e riconoscere per fare una cosa importantissima: scegliere la carne. Lo so che siete dei carnivori impuniti e che vi sta a cuore l’argomento, quindi prendetevi un momento per leggere questo articolo. Analizzando il quadro generale, il manzo è attualmente la terza tipologia di carne più consumata al mondo. Fino a poco tempo fa, deteneva il primato in America, dove è stata recentemente superata dal pollame. Dagli anni ‘60 agli anni ‘90 del secolo scorso, il consumo di carne nelle diverse frazioni del globo è aumentato di 5 volte, passando dai 45 milioni di tonnellate nel 1950 agli attuali 300 milioni. Questi numeri sono destinati a raddoppiare entro il 2050 (fonte: Fao). Le ragioni di questo aumento? Sono da ricercarsi nella condizione economica e sociale delle diverse regioni del mondo.
Tuttavia, è l'America a produrre il 25% della fornitura
L’USDA, il Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti d’America (United States Department of Agriculture) ha sancito che esistono otto diversi gradi di qualità di carne bovina, basati principalmente sull'età dell'animale al momento della macellazione e sulla quantità di marezzatura presente nella carne. Più marezzatura significa più grasso distribuito all’interno della fibra muscolare, che è esattamente quello che ricerchiamo in una carne di qualità. Si sa, è il grasso che racchiude in sé tutti i sapori, è fondamentale per mantenere il giusto grado di umidità e assorbe bene il sapore del fumo. Degli otto gradi, i tre principali (in ordine decrescente) sono prime, choice e select. PRIME, è la carne con la qualità più elevata e a buona ragione più costosa. Una volta veniva servita
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Il consumo di carne di uno Stato cresce in base a due fattori: il benessere economico e l’aumento della popolazione. Non stupisce quindi che i principali Paesi consumatori di carne rossa siano USA, Brasile e Cina. Segue l’Argentina, lì si sfondano davvero di ciccia e si stima un consumo di circa 39.9 kg all’anno per ogni abitante.
mondiale di carne bovina e l’allevamento di bestiame rappresenta il più grande segmento singolo dell’agricoltura statunitense. Inoltre, la cultura della carne, che sia legata all’immagine polverosa dei cowboy, dei ranch o dell’hamburger metropolitano, è una componente importante dell'identità americana.
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quasi esclusivamente negli hotel di lusso e nei ristoranti più raffinati, ora è reperibile anche nella GDO d’oltreoceano (mica da noi eh!). Secondo le linee guida dell'USDA, la carne prime, di prima scelta in pratica, deve avere una quantità "leggermente abbondante" di marmorizzazione. Il meglio, a volte chiamato high prime, ha una marmorizzazione da "moderatamente abbondante" ad “abbondante".
I due concetti (sbagliati) più diffusi sono: 1. Che è più salutare per l'animale fare una dieta a base di sola erba; 2. Che il bestiame che mangia solo bardana e margherite pratoline ha un'impronta di carbonio più bassa rispetto alla mucca che fa colazione coi cereali. Sono sciocchezze entrambe.
CHOICE è la carne di qualità intermedia. I suoi punteggi di marmorizzazione vanno da "moderata" a "modesta" a “piccola". Non è raro trovarla etichettata come "upper choice", "top choice" o "high choice". Quest’ultima è paragonabile al livello inferiore della Prime, ma di solito ha un prezzo più basso.
Tutti i bovini da carne sono allevati ad erba per l’85% della loro vita. Ma mentre quello Grass Fed magna erba fino all’ultimo giorno, il bestiame “finito” a cereali, intorno ai 120-160 giorni prima della macellazione, passa a una dieta a base di insilati. E che so’ sti insilati mo’? Sono una miscela di mais (sia la pianta che il chicco), erba medica, grano e orzo. E a che serve questo cambio di alimentazione? Per “ingrassare l’animale” e quindi aumentare la marmorizzazione intramuscolare, che a sua volta si traduce in una carne molto più tenera e saporita.
I tagli SELECT sono i più economici delle tre classi superiori di carne bovina, e presentano un livello di marmorizzazione “leggero". Sono sicuramente poco affini alla cottura barbecue, una mensola Ikea il low&slow risulterebbe più umida al morso.
GRASS FED VS GRAIN FINISHED
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Negli ultimi anni si è fatta una gran confusione sul bestiame nutrito con erba rispetto a quello allevato a cereali (chiamato anche "grain-finished") a causa della disinformazione sparpagliata dai media.
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Finire il bestiame con i cereali significa concludere il ciclo dell’allevamento in un periodo di tempo significativamente più breve, quindi il bestiame che mangia ANCHE cereali produce meno emissioni a effetto serra rispetto a quello nutrito rigorosamente con erba. E per quanto riguarda il discorso che il mais non sia salutare per l’animale: l'utilizzo dei cereali non è di per sé innaturale, richiede soltanto maggiore attenzione per il rispetto della fisiologia digestiva dei ruminanti. Un altro elemento da considerare è che la maggior parte della carne bovina americana proviene dal Midwest, che è anche conosciuto col nome di Corn Belt. Lì i coltivatori di mais riforniscono col loro prodotto i loro vicini allevatori di bestiame. E non c'è niente di più sostenibile di questa catena. Provate a chiedere a un allevatore di bestiame Grass Fed cosa mangiano i suoi animali durante l’inverno, o cosa fa quando le vacche gli hanno calpestato tutto il calpestabile e gli hanno mangiato pure i ciclamini della moglie. Tutti, nessuno escluso, integrano la dieta del bestiame con grano o mais.
Fatevene una ragione. La carne Grain Fed rappresenta la stragrande maggioranza della carne venduta negli Stati Uniti. E a buona ragione. Da un punto di vista prettamente culinario, perché è obiettivamente più buona, e da un punto di vista produttivo, poiché non c'è modo migliore per ottenere una carne marezzata a dovere.
LA CLASSIFICAZIONE DELLA MAREZZATURA NEL MONDO A tutte le latitudini, come dicevamo all’inizio, la carne bovina viene classificata all'origine in base al grado di grasso intramuscolare, cioè grasso sparso tra le fibre dei muscoli, non sopra. Queste ramificazioni di grasso, la marezzatura quindi, prendono il nome di…
In Australia si chiama MS, cioè Marble Score e va da 3 a 9. Avete presente la nostra sigla AUS 6+, 7+ o 9? Ecco, si riferisce alla marezzatura. In America Ne abbiamo parlato ampiamente. Esistono 3 gradi di classificazione, li chiamano USDA Grade e sono: Choice, Select e Prime. Poco marezzato, mediamente marezzato, molto marezzato. Prime costa di più, Choice costa di meno. In Giappone Qui vanno parecchio per il sottile: di gradi ne hanno 12, lo chiamano BMS e viene assegnato sulla base di una tabella percentuale di IMF (l’intramuscular fat di prima).
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IMF (intramuscular fat) Che è solitamente accompagnato da un numero percentuale. Ad esempio, se una carcassa ha, per stima visiva da parte di un selezionatore esperto, il 50% di grasso tra le fibre vuol dire che ha un IMF del 50%. Quantità di grasso infiltrato nelle fibre, non sopra, in mezzo.
In Italia Siamo scemi perché, di base, non capiamo niente di carne. Non esiste una classificazione, non esistono tabelle, non esistono sigle. Ci piacciono le bistecche di muccaccia, quella da giogo, che ha fatto fitness, morta da poco, ancora semovente.
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USA BMS
AUSTRALIA USDA
AUS-MEAT
JAPAN GRADE
BMS
PRIME
% IFM MINIMA
12
56,3
11
53 MOLTO ABBONDANTE
9 5+
MARBLING GRADE
A5
8
10
52,9
9
50,8
8
43,8 ABBONDANTE
7
4
CHOICE
6
A4
7
42,5
6
40,6 MODERATAMENTE ABBONDANTE
5
5
35,7
4
4
29,2
A3
3 3
MODERATO
3
21,4
SELECT 2
2
A2
2
MODESTO
12,22
1
1
A1
1
PICCOLO
5,34
0
0
0
LEGGERO
-
Detto questo, non è importante "leggere" il grado di marezzatura su una confezione. È importante imparare a riconoscere visivamente il BMS. Come si fa? Con l’esperienza. E con tabelle esplicative come quelle che vedete nella galleria qui sopra.
La GLC Top Selection, quella del Megastore che voi mangiatori di proteine di alto profilo conoscete bene, parte da BMS7, MS7, USDA Choice e arriva a BMS12, MS9+, USDA Prime. Ed è, indiscutibilmente, il meglio del meglio che potete trovare, non solo in Italia, ma in giro per il mondo.
Gianfranco Lo Cascio
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Imparate a riconoscere il grado di marmorizzazione e, se qualcuno vi dichiara il BMS e vi vende un pezzo di carne, mettetevi nella condizione di verificare il dato. Più il BMS è alto, più la ciccia è di qualità, più l’animale ha vissuto una vita felice e senza stress.
Oppure state senza pensieri e affidatevi a noi, che abbiamo selezionato solo carni “prezzemolate”, come si dice nel Belpaese.
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Poke
L
a capacità insita nel cibo (nonché quella più forte) è che ci permette di viaggiare e conoscere cose nuove restando semplicemente a casa nostra. Certo provare un cibo nel luogo in cui è nato ci consente di capirne pienamente le potenzialità e assaporarlo nella migliore versione di se stesso, ma quanto ci ha aiutato poter gustare le cucine di tutto il mondo in questo lungo periodo di pandemia? Il cibo - ma soprattutto il modo in cui esso si cucina ci ha permesso di viaggiare con la mente, di distrarci e sentirci meno soli. La cucina dei Paesi stranieri è stata l’oasi felice in cui rifugiarsi. Dopotutto, è anche questo il potere della tanto vituperata globalizzazione: le cose arrivano direttamente da noi, senza che noi muoviamo un passo. Ed è così che le definizioni di “cucina etnica” cadono inesorabilmente: esiste la cucina del mondo, che si contamina senza sosta, creando e ricreando nuovi piatti, smussando i difetti, spesso migliorando notevolmente i risultati da portare in tavola. Ed è più o meno così che, da queste parti – diciamo grossomodo nel nostro Vecchio Continente – è arrivata la poke bowl (oppure il poke), piatto che pare destinato a restare e non soltanto una moda passeggera.
"CIOTOLA DI RISO"
Tutto quello che dovreste sapere sul piatto hawaiano più famoso del momento Portfolio gastronomico a cura di Francesca Pappacena Insomma: già vi vedo, accarezzati dalla brezza marina, su spiagge sconfinate, con le consuete collane di fiori. Quindi facciamo qualche passo indietro e “assaggiamo” la cultura, la flora e la fauna ove nasce questo piatto ormai famoso in tutto il mondo. La capitale delle Hawaii è Honolulu (città che, tra le altre cose, è ambientazione di numerosi film sul surf che ci hanno fatto sognare per la bellezza dei luoghi e della gente). Chi è stato lì, riferisce che Honolulu è un posto davvero magico: un luogo in cui antico e moderno si mescolano perfettamente, dove le influenze polinesiane e quelle americane coesistono in modo felice e pacifico. Molte star di Hollywood sono legate ad Honolulu ed alle Hawaii in generale: Nicole Kidman, ad esempio, ha origini hawaiane così come Barack Obama, ex presidente degli States. Per gli appassionati di film di fantascienza e di corpi scultorei, Jason Momoa è il perfetto “polinesiano” da copertina. Vediamo con molta facilità che Honolulu è un posto ricco di contaminazioni: e queste contaminazioni non possono non rispecchiarsi anche nella loro cultura culinaria. I piatti più famosi della cucina hawaiana sono ricchi di numerose influenze, legate alle immigrazioni, vi troviamo influenze cinesi, americane, filippine, coreane, portoghesi e polinesiane, un potpourri di sapori, colori e consistenze varie. Sì, sì: ora torniamo al nostro poke. Ma fidatevi, queste informazioni sono necessarie per comprendere meglio come quella che ai più può apparire come una “banale” ciotola di riso e condimenti abbia
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POKE: DA DOVE ARRIVA? Il poke è un piatto antichissimo, la sua nascita si attesta circa nel 400 d. C. e arriva dalle Hawaii, le ben famose e bellissime isole che costituiscono un arcipelago di natura vulcanica e che sono collocate nell’Oceano Pacifico centrale: siamo vicini ai Tropici e ad equa distanza dalla California e da Tahiti.
SI FA PRESTO A DIRE
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conquistato il Nord America, l’Australia e il resto del mondo. La sua pronuncia è qualcosa di molto simile a poh-kei, che in hawaiano significa “tagliato a pezzi”. Infatti, l’ingrediente principale è il pesce locale fresco, tagliato a listarelle e successivamente unito ad altri ingredienti. Quindi, la parola poke dovrebbe significare letteralmente “pesce fresco tagliato a listarelle”. Informazioni sempre da prendere con le pinze, quando non abbiamo attestazioni scritte cui far ricorso! I pesci utilizzati nei poke tradizionali erano e sono il polpo locale e quello che viene chiamato ahi tuna, banalmente dell’ottimo tonno a pinna gialla. Successivamente, questi tocchetti di pesce venivano marinati con sale marino, alghe locali e quelle che vengono chiamate noci kukui (altresì note come noci delle Molucche). Come guarnizioni, olio di sesamo, cipolle ed altri ortaggi selvatici reperiti in giro. Questo è quanto: niente di eccessivamente elaborato, vero? Cosa? Vi aspettavate altro? Beh, c’è da capirvi: dopotutto, nelle proposte internazionali che ci ritroviamo a fronteggiare ogni giorno, negli infiniti menu da “sparare” col qr code, ci ritroviamo poke assurde, con ingredienti da ogni parte del mondo. Da quelli più “nostrani” (straccetti di manzo, oppure di pollo) a quelli dal sapore orientale, come salsa di soia ed edamame.
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Non rinneghiamo la nostra apertura di articolo: i cibi viaggiano e spesso – molto spesso, a dire il
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vero – si “migliorano”. Oppure, possiamo dire meglio, “ampliano” il loro gusto, incontrando tanti ingredienti da ogni parte del mondo. In origine, il poke – oltre ad essere gustoso, possiamo immaginare – era più che altro un modo per conservare il pesce fresco attraverso le marinature e le salamoie (che noi conosciamo molto bene!): non essendoci freezer, frigoriferi, modi di refrigerare, era il modo più “sicuro” per far durare un po’ di più il pescato e beneficiarne per qualche giorno. La storia scorre e – al giorno d’oggi – almeno una parte del mondo ha accesso alle tecnologie che ci permettono di non dover far più ricorso a questi metodi per necessità, ma soltanto per il puro piacere di farlo. E quindi, anche il nostro poke si è evoluto di conseguenza. POKE: COME LO CONOSCIAMO NOI Gamberi, crostacei, filetti di salmone, filetti di pollo, straccetti di manzo (marinato e non), mirin, salsa di soia, ceci, riso Venere, riso basmati, cereali, quinoa, bulgur, Philadelphia, feta, Parmigiano Reggiano DOP. Questa è solo una piccola selezione degli ingredienti con cui possiamo comporre, oggigiorno, la nostra poke bowl: spesso, c’è da dire, che si allontana moltissimo dall’immaginario healthy e fit cui hanno abbinato il piatto hawaiano. Il poke tradizionale hawaiano ha iniziato ad arricchirsi di ingredienti esteri grazie all’influenza giapponese esercitata sul piccolo arcipelago: infatti, le migrazioni che dal Giappone si spingevano ad Honolulu e dintorni hanno portato la conoscenza della salsa di soia, dell’edamame, del mirin e – cosa fondamentale che cambierà totalmente approccio al poke – portarono tantissimo riso, ingrediente ad oggi imprescindibile nelle poke bowl di tutto il mondo.
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Grazie alla storica del cibo Rachel Laudan, possiamo ricostruire la storia recente del poke. Secondo la Laudan, ci fu un periodo – gli anni Settanta del secolo scorso – dove essere delle Hawaii era davvero una cosa molto cool. Alla moda, insomma. E così anche il poke – che stava letteralmente “cambiando pelle”, diventando internazionale grazie anche alle sopra citate influenze – fu esportato con grandi risultati. Prima tappa: Los Angeles. Gli attori hollywoodiani ben accoglievano le novità, fu facile convincerli. Successivamente, fu la volta della Grande Mela: altra megalopoli dove le mode attecchiscono se ben proposte e, successivamente, se ne vanno in giro per il resto del mondo. Il poke proposto in questa fase era grossomodo simile a quello tradizionale, con le influenze giapponesi che si erano ormai ben sedimentate. Facendo un grande balzo in avanti, nel 2012, abbiamo la svolta del poke (che inizierà a chiamarsi poke bowl, a causa dell’impiattamento nella famosa ciotola): i ristoranti hawaiani, anche soltanto ispirati a quella cucina, negli States si moltiplicarono. Iniziarono a nascere catene espressamente dedicate al culto e alla diffusione della poke bowl che, a mano a mano, andava staccandosi dalla tradizione per assumere i contorni della cucina e della società locale che l’ospitava. A dire il vero, la poke bowl è stata (ed è ancora, a dire il vero) al centro di diverse polemiche: prima tra le quali, quella legata al massiccio utilizzo di avocado (frutto che da anni è al centro di feroci polemiche, vuoi per la deforestazione, vuoi per la notevole quantità di risorse che ci vogliono per produrne), così come quella legata alle risorse ittiche maggiormente sfruttate, come salmone e tonno (che spesso sono da allevamento, carichi di antibiotici e ben poco salutari).
Tutto ciò che abbiamo detto fino ad ora porta ad una unica conclusione: la poke bowl ad oggi è un piatto bello da vedere, estremamente versatile negli ingredienti, facile da riprodurre, altamente instagrammabile, all’occorrenza “salutare”, per altre occorrenze davvero… goloso. POKE: UN EQUILIBRIO SOTTILE TRA PROTEINE, GRASSI BUONI, CARBS E… GUSTO! In questo numero del Magazine vi lasciamo un nutrito numero di idee per poke: alcune le abbiamo create espressamente per voi con la nostra fantasia, altre le abbiamo piluccate qua e là, data la mole di informazioni in giro. Spesso, come dicevamo poco più su, la poke bowl è legata ai concetti di healthy (salutare) e fit (cioè adatto a chi pratica sport e vuole condurre una vita sana): questo ragionamento può trovare la sua parte di veridicità. Infatti, moltissime poke bowl sono ideate cercando di bilanciare i macronutrienti tra di essi. “Convenzionalmente”, la base deve essere composta da carboidrati (spesso riso bianco o nero; ancora, possibile trovare la quinoa o il bulgur); proteine (carne rossa o bianca, pesce come salmone o tonno; in misura minore, formaggi come feta greca ma anche yogurt); grassi (olio extravergine d’oliva, olio di sesamo, avocado); dressing e seasoning (salsa di soia, mirin); eventuali componenti che vanno ad aggiungere croccantezza (ad esempio, mandorle e altra frutta secca che, oltre alla nota croccante, apportano anche Omega3). E ancora, niente vi vieta di spaziare con la fantasia e gli ingredienti, trovando altre combinazioni gustose… non necessariamente light!
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NICE TO MEAT YOU
AGNELLO
TAGLI E CARATTERISTICHE Si chiama bisein in Emilia Romagna, ainùce nel Lazio, per i trentini è il tòt e in Sicilia è l’anegheddu. Per i lombardi è agnèl, agnelìn, berìn, per i vicini piemontesi è agnè, anhèl, mentre in Campania è aino. Ogni regione d’Italia gli dà un proprio nome, ma agnello è quello col quale tutti lo conosciamo. Senza ombra di dubbio è un piatto tradizionale del pranzo di Pasqua, perché nella simbologia cristiana rappresenta l’Agnus Dei (il sacrificio), ma anche perché nel periodo primaverile questa carne tornava – e torna - disponibile. Esistono un’infinità di ricette per preparare l’agnello, ogni famiglia ha la sua così come ogni regione. Solitamente i tagli prediletti in questo giorno di festa sono i più pregiati: il cosciotto e il carré. In Italia la maggior produzione di agnello avviene nelle zone dove la pastorizia riveste un ruolo importante nell’economia locale. Le maggiori produzioni sono in Sardegna, dove le pecore allevate hanno acquisito il marchio IGP Agnello di Sardegna, e nell'Italia centrale (Abruzzo, Lazio, Marche, Romagna, Toscana, Umbria) dove si produce l'Agnello del Centro Italia IGP. Inoltre, si trovano importanti allevamenti anche in Sicilia e Calabria.
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L’agnello appartiene alla famiglia degli ovini, nasce dall’accoppiamento della pecora con il montone, dopo una gestazione di 5 mesi. La macellazione avviene dopo lo svezzamento (quando l’animale inizia a brucare l’erba), tra i 4 e i 10 mesi. Solitamente prima di procedere si attende che l’animale raggiunga un peso di circa 10/12 Kg.
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Prima di andare avanti, va assolutamente chiarito un aspetto fondamentale: l’abbacchio e l’agnello non sono la stessa cosa. Anche l’abbacchio è un ovino, nato dall’accoppiamento della pecora e il montone, solo che la macellazione dell’animale avviene molto prima, durante l’allattamento (2 mesi circa). Per cui la carne dell’abbacchio risulta più tenera, ha un colore rosa e un sapore molto delicato dato dall’alimentazione a base di solo
latte, a differenza della carne dell’agnello che invece risulta più scura e più saporita. QUALI SONO I TAGLI DELL’AGNELLO? È un animale di piccole dimensioni per cui il numero di tagli ricavabili rispetto ad un animale di grande stazza (es. il bovino) è minore. Nel quarto anteriore si ricavano il collo, la spalla e il petto, mentre nella parte posteriore si ottengono il cosciotto il carré e la sella. Il collo, sembra ovvio dirlo, è la parte sottostante la testa. E’ un taglio economico ma molto saporito, ricco di tessuto connettivo. È una carne che richiede cotture lunghe e lente per rimanere morbida e succosa al morso. Perciò, si adatta benissimo alla preparazione di arrosti e brasati. Inoltre, porzionando il collo in fette sottili è possibile usarlo per la realizzazione degli involtini. La spalla si trova dopo il collo. Possiamo definirla una carne magra o semi-magra, dipende dall’esemplare. E’ tenera molto saporita e ha una consistenza soda e carnosa. Inoltre è ricca di tessuto connettivo, il quale sciogliendosi lentamente durante la cottura dona al pezzo tenerezza e un sapore ricco. La spalla è disponibile sia con l’osso (solitamente è collegata con lo stinco), ma sembra più facile trovarla disossata in quanto più richiesta. Anche questo taglio richiede cotture lunghe e lente al forno o sulla griglia affinché la carne rimanga tenera e succosa. Il carré è considerato uno dei tagli pregiato dell’agnello. Insieme al cosciotto è il taglio della festa solo che è molto più scenografico a causa delle costolette fumanti che emergono dalla carne. Il taglio si ottiene dalla parte superiore del dorso dell’animale e comprende le costolette e il filetto. È richiesta una lunga cottura in modo da mantenere la carne tenera. La marezzatura presente all’interno del taglio dona alla carne tenerezza e sapore. Se al taglio vengono tolte le costole diventa una sorta di lunga bistecca da servire a fette. Il sapore
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non cambia, ma il nome sì. Da carré diventa lombo. Le costolette si ricavano dal carré: bisogna incidere fino in fondo tra una costola e l’altra, e lo spessore deve essere almeno di un cm altrimenti la carne in cottura perderà succulenza, diventando tenace al morso. La sella comprende le ultime costole del carré e l’attaccatura del cosciotto. E’ un taglio adatto per tutte quelle preparazioni che richiedono una cottura lunga e lenta (arrosti e brasati). Inoltre questo pezzo comprende anche due filetti tenerissimi da cui ricavare dei medaglioni da cuocere sulla griglia o in padella. Il petto si trova nella parte inferiore dell’animale. E’ un taglio ricco di ossa che prima di procedere alla cottura vanno eliminate. Inoltre è un pezzo ricco di grasso dalla struttura dura, gelatinosa che richiede necessariamente una lunga cottura. Si adatta bene alla farcitura. Il cosciotto è un taglio pregiato tipico delle feste: è la parte posteriore dell’animale. Come per la spalla è carnoso, sodo e ricco di tessuto connettivo, per cui richiede una lunga cottura arrosto o in umido per ottenere una carne morbida e saporita Molto prelibati anche se non apprezzati da tutti sono la testa mangiata cotta e bollita, un tempo faceva parte dell’alimentazione dei pastori e la coratella (cuori e polmoni). CARATTERISTICHE DELLA CARNE DI AGNELLO La carne dell’agnello si presenta rossa scura e ha un sapore definito selvatico. Il colore e il sapore dipendono molto dall’alimentazione dell’animale. Infatti, più tempo l’agnello ha pascolato più la carne sarà saporita. È una carne leggera dall’alto contenuto proteico, ricca di potassio e ferro. La spalla, il cosciotto e il lombo sono carni magre e semi magre, dipende dall’esemplare macellato, mentre le costolette sono magre. La parta più grassa rimane il petto.
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PER QUANTO TEMPO SI PUÒ CONSERVARE LA CARNE DI AGNELLO? E’ una carne molto delicata per cui in frigo si può conservare al massimo due giorni, nel congelatore può arrivare a 6 mesi non di più.
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Facciamolo raffinato
POKE CON TARTARE DI MANZO ASPARAGI E CIPOLLOTTO GRIGLIATI, POMODORINI GIALLI E ACETO BALSAMICO È tempo di asparagi! Fra gli ortaggi della primavera sono senza dubbio fra quelli più amati: non solo buoni, saporiti e gustosi, ma anche sani: depurano l’organismo e contrastano il senso di fame. Originari dell’Asia, ma ormai da tempo molto diffusi anche in Europa, gli asparagi appartengono alla famiglia stessa famiglia di aglio e cipolla: le Liliaceae. Sono chiamati in gergo tecnico Asparagus Officinalis e possono essere selvatici o coltivati; principalmente di colore verde, esistono anche quelli bianchi e quelli viola, che differiscono tra loro per il sapore. Gli asparagi verdi sono i più comuni; crescono fuori dal terreno ed hanno un sapore più erbaceo e marcato poiché sono ricchi di clorofilla. Tra questi, sono noti gli asparagi verdi di Altedo IGP in Emilia Romagna. Quelli bianchi sono più carnosi, e sono talmente delicati da frantumarsi se cadono a terra. Vengono coltivati sotto il terreno e il loro colore è bianco perché sono totalmente privi di clorofilla. Quelli più celebri sono gli asparagi bianchi di Bassano DOP in Veneto. Infine, gli asparagi violetti, dal sapore più amarognolo, sono quelli bianchi i cui turioni fuoriescono parzialmente dal suolo e si colorano naturalmente di viola. Molto pregiati sono gli asparagi violetti di Albenga in Liguria che rappresentano un presidio Slow Food.
Sciacquate via il sale ed asciugate di nuovo: adesso la superficie della carne è pronta per il taglio, con un minore rischio di portarsi in giro dei patogeni indesiderati. Tagliate via eventuali pezzi di connettivo, qualora ce ne fossero. Con un coltello ben affilato iniziate a tagliare fette spesse mezzo centimetro, poi riducetele in strisce di mezzo centimetro, che a loro volta verranno ridotte a cubetti di mezzo centimetro di lato. Continuate a battere la carne al coltello finché non avrete raggiunto la grana che desiderate. Mettete la carne così triturata in una scodella fredda e aggiungete olio, aceto, sale e pepe secondo il vostro gusto; poi mettete tutto in frigo fino a che non deciderete di usare la tartare per condire il vostro Poke.
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Li avete mai provati grigliati? Sono davvero gustosi e sorprendenti. Potete appoggiarli direttamente sulla griglia o usare dei supporti che vi aiutino, come il basket forato per le verdure.
Per questa versione del Poke, che possiamo definire raffinata, li faremo proprio nel basket, e li serviremo insieme a dei cipollotti, anch’essi grigliati, e a una tartare di manzo: noi abbiamo usato la nostra nuova spettacolare tartare di Chianina, ma potete partire direttamente da un pezzo di ciccia che trovate nel Megastore, come ad esempio un ottimo Tenderloin o una Teres Major. Poi procedete così: asciugate la carne. Salate a volontà le superfici, coprite e riponete in frigo per un paio d’ore: non più di un paio d’ore, non è un dry brining quello che vogliamo fare ma più un’azione antibatterica.
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Ingredienti per 4 persone: 500 g di riso per
sushi / 4 tartare di Chianina del Megastore / 300 g di asparagi verdi o viola / due cipollotti / 250 g di pomodorini gialli / olio extravergine di oliva q.b. / aceto balsamico q.b. / un cucchiaino di aceto di mele / sale e pepe q.b. / aceto di riso q.b.
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PREPARAZIONE
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1.
Pulite gli asparagi, togliendo l’estremità finale legnosa e metteteli in una ciotola. Preparate un’emulsione con olio, sale, pepe e aceto di mele con la quale condirete gli asparagi.
2.
Predisponete il vostro dispositivo per una cottura diretta; trasferite gli aspargi nel basket forato e posizionatelo in corrispondenza delle braci. Grigliate così i vostri ortaggi lasciandoli un po’ croccantini.
3.
Cuocete il riso: dopo averlo sciacquato sotto l'acqua corrente, ponetelo in una pentola con acqua salata che sia il doppio del peso del riso. Posizionate la pentola sul fuoco ed appena avrà raggiunto il bollore coprite con un coperchio, abbassate la fiamma al minimo e lasciate cuocere per 15 minuti. Passato questo lasso di tempo spegnete e lasciate riposare almeno altri 10 minuti a coperchio chiuso. Poi conditelo con aceto di riso, sgranatelo e copritelo con un panno umido.
4.
Quando saranno pronti gli asparagi, pulite i cipollotti tagliandoli a metà e privandoli della parte verde, ungeteli con olio e grigliateli in cottura diretta. Poi toglieteli dal fuoco e conditeli con sale e pepe.
5.
Tagliate i pomodorini in due, metteteli in una ciotola e conditeli con sale, pepe, olio extravergine d’oliva e aceto di mele. Lasciateli riposare in frigo per mezz’ora.
6.
Preparate a questo punto le vostre ciotole, adagiando sul fondo il riso e poi disponendo in bella vista gli altri ingredienti: la tartare, gli asparagi, il cipollotto, i pomodorini. Condite con aceto balsamico e se volete con semi di sesamo.
Com’è bello fare il poke da Trieste in giù!
CON TARTARE DI MANZO
AVOCADO GRIGLIATO, POMODORINI, JALAPENOS E MAIONESE ALL’AGLIO A questo punto del Magazine di Aprile, sappiamo bene che il poke è il piatto del momento: oltre che bello da vedere, può essere anche di "sostanza". Adoriamo preparare il poke a casa perché è un piatto che fa discutere ma in senso buono, un po’ come la pizza. Ognuno, in famiglia, ha la sua versione preferita e ci divertiamo a creare e personalizzare in base ai gusti, al tempo ed anche, perché no, allo stato d’animo. Quali che siano gli ingredienti, però, il Poke ha una struttura ben definita formata da 4 elementi distinti e irrinunciabili: la base, la proteina, il topping e la loccagine (per chi non capisce il termine dialettale: la scicchezzuola, il divertimento un po’ sciocchino). Per questo Poke ci siamo proiettati verso il periodo più caldo scegliendo ingredienti e sapori che ci ricordano l’estate ma mantenendo comunque un piede ben piazzato nella più fresca primavera. Andiamo con ordine.
Possiamo optare ad esempio per il farro, il cuscus
LA PROTEINA Benché il pesce sia il re indiscusso di questo piatto noi, che siamo sempre stato un po’ ribelli, abbiamo scelto il manzo. Come per le più classiche tartare abbiamo bisogno di un taglio tenero ma gustoso e quindi proveniente da un capo non troppo giovane ma con una buona infiltrazione di grasso, per evitare che il sapore venga nascosto dal resto degli ingredienti. Nel megastore c’è moltissima scelta, il Teres Major si presta perfettamente, ma anche il fillet bottom o l’Eye round, sono tutte scelte azzeccatissime. Per i più pigri c’è addirittura la versione #zerosbatti, come direbbe il Coach Salbego, sotto forma di tartare di Chianina in skin monodose. IL TOPPING Come abbiamo visto per la base, nel corso della storia il piatto ha avuto evoluzioni e contaminazioni infinite. Dobbiamo ricordare però che tutti gli ingredienti devono armonizzarsi e soprattutto non devono mai mettere in ombra il nostro ingrediente principale.
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LA BASE La tradizione vorrebbe il riso cotto a vapore, possibilmente un chicco corto o medio, che rilasci una discreta quantità di amido e lo renda appiccicoso (infatti, solitamente, si utilizza riso per sushi), questo per mantenere una buona morbidezza durante il boccone ed esaltare gli ingredienti senza essere troppo invasivo. Naturalmente, la crescente disponibilità di materie prime e l’attuale varietà di cereali e pseudo cereali ha giocato un ruolo fondamentale sull’evoluzione del Poke e soprattutto sulla sua diffusione, infatti, ad oggi, il riso è solo una delle scelte possibili.
oppure il bulghur, ma anche quinoa e miglio sono alternative assolutamente valide. In queso caso siamo rimasri sul classico optando per un Originario, un riso comune derivante proprio dalla cultivar japonica con cui condivide molte proprietà. Ha una scarsa tenuta della cottura il che lo rende perfetto in tutti quei piatti che richiedono una base morbida e non invadente.
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Questo significa che se abbiamo una materia prima dal sapore delicato dovremo rispettarla scegliendo una salsa o un condimento che non siano troppo forti; di contro, se scegliamo una proteina dal sapore forte potremmo osare con condimenti che ne seguano la natura. Il manzo, anche se in questo caso si tratta di una taglio molto saporito, resta una materia delicata e quindi non abbiamo voluto esagerare scegliendo una maionese aromatizzata all’aglio che legasse tutti gli ingredienti senza sovrastarli. Come dice lo Zio la maionese è già perfetta, ma, anche se non possiamo migliorarla, possiamo sempre piegarla ai nostri scopi aromatizzandola. LA LOCCAGINE È la parte divertente del piatto. Comprende tutto quello che porta colore, croccantezza, piccantezza, sapidità, dolcezza, pungenza e chi più ne ha più ne metta. Potrete scegliere tra verdura e/o frutta fresca, noci, semi oleaginosi tritati freschi o tostati, sottaceti eccetera. Le possibilità sono praticamente infinite ma dovete comunque ricordare di mantenere un bilanciamento generale e che la materia da valorizzare, quando presente, è sempre la proteina. Per la questa bowl quasi estiva abbiamo scelto pomodori ciliegino per colore, dolcezza e sapidità, cetrioli a crudo per freschezza e croccantezza, jalapeno sott’aceto per aggiungere acidità e una nota piccante. Per chiudere cercavamo un po’ di cremosità e l’abbiamo trovata nell’avocado che abbiamo grigliato Per il passaggio in griglia l’ideale sarebbe un frutto che mantenga una polpa soda anche se ben maturo, come ad esempio la varietà Fuerte, ma anche in caso di polpa cedevole non abbiate timore, potrete procedere semplicemente togliendo la buccia dopo la cottura.
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Vediamo dunque la ricetta passo passo.
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Ingredienti per 4 persone: 500 g di Teres Major o 4 tartare di Chianina del Megastore
/ 400 g di riso Originario / un cetriolo / due avocadi maturi / succo di limone q.b. / olio extravergine di oliva q.b. / qualche pomodoro ciliegino / jalapeño sottaceto a piacere / semi di sesamo a piacere. Per la maionese all’aglio: 2 tuorli a temperatura ambiente / un cucchiaio di aceto di mele o succo di limone / sale e pepe q.b. / 220 ml di olio di semi di girasole / 2 spicchi di aglio cotto in ember. PREPARAZIONE 1.
Mettete il riso in un recipiente capiente e sciacquatelo diverse volte sfregando i chicchi con le mani, quando l’acqua rimarrà abbastanza chiara lasciatelo in ammollo una decina di minuti. Questo processo serve per eliminare l’amido superficiale ed iniziare ad idratare il chicco che resterà più morbido e sgranato.
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2. Se non usate un cuociriso, una volta scolato per bene mettete il riso in una pentola abbastanza alta ed aggiungete il doppio del peso d’acqua salata, ad esempio 100 g di riso 200 di acqua (le proporzioni variano a seconda del riso scelto).
3.
Posizionatelo sul fuoco più piccolo ed appena raggiunto il bollore coprite con un coperchio, abbassate fiamma al minimo e lasciate cuocere per 15 minuti. Passato questo lasso di tempo spegnete e lasciate riposare almeno altri 10 minuti a coperchio chiuso.
4.
Se utilizzate un dispositivo a carbone accendete mezza cesta e predisponete per una cottura diretta non troppo violenta.
5.
Nel frattempo, tagliate a fette il resto dei vegetali e i peperoncini jalapeno e riponeteli in frigo.
6.
Tagliate gli avocadi a metà per il lungo eliminando il nocciolo ma senza togliere la buccia. Questo eviterà di disfare la polpa quando andrete a maneggiarli sulla griglia con le pinze.
7.
Bagnate bene la polpa con del succo di limone per evitare l’imbrunimento, spennellatele con olio e procedete con la cottura.
8.
Appoggiate il lato della polpa sulla griglia e lasciatela fino ad ottenere le righe di cauterizzazione. Se proprio volete farvi notare, non appena ottenute le grill marks, ruotate il frutto di 90°C in modo da ottenere il tipico disegno “a rete”.
9.
Lasciate raffreddare leggermente e togliete la buccia inserendo la paletta di un cucchiaio tra la polpa e la buccia stessa facendo leva delicatamente.
10. Componete il piatto inserendo il riso ancora tiepido, la polpa di avocado tagliata a fette, le verdure, la carne che nel frattempo avrete ridotto a tartare come suggerito nel numero del Magazine di Marzo (sempre che non abbiate deciso di utilizzare la tartare già pronta) , i peperoncini Jalapeno, la maionese ed infine cospargete di semi di sesamo. Per la maionese all’aglio: Partendo dai tuorli mettete tutti gli ingredienti nel bicchiere del frullatore ad immersione.
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Iniziate a lavorare a velocità massima mantenendo il frullatore sul fondo e quando vedrete che l’emulsione sta raggiungendo i bordi, sollevate le lame, sempre senza interrompere la rotazione.
3.
Continuate a frullare con movimenti dall’alto al basso fino all’emulsione completa degli ingredienti frullati. Se volete utilizzare come base la Aglio e Olio Scientifica riducete di 20 ml l’olio di semi ed aggiungete 50 g di Aglio e Olio. Conservate in frigorifero.
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IL POKE DEL VERO GRILLER
STINCO PULLATO, COLESLAW, INSALATA DI POMODORINI E SALSA ALLO YOGURT Chi non ha mai sognato di atterrare in quel meraviglioso puntino in mezzo al nulla chiamato Hawaii ed essere accolti dai locali con la tipica collana di fiori e le allegre sonorità di un ukulele? Provate a cliccare su Google Maps o Earth e vi troverete in mezzo all’Oceano Pacifico equidistanti dall’America e dal Giappone, in un posto incantevole, suggestivo, ricco di storia e di culture secolari, mescolate spesso con quelle portate dalle numerose immigrazioni avvenute nell’Arcipelago nel corso del tempo.
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Perfetto esempio di questa mescolanza di culture è anche questa versione del poke o poké , che abbiamo arricchito contaminandolo con la nostra passione per il bbq.
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Il poké è in realtà un piatto antichissimo fatto risalire addirittura al 400 a.C., ed è legato alle abitudini degli antichi popoli polinesiani, primi abitanti del luogo, che usavano consumare il pesce catturato crudo e tagliato a cubetti. La tradizione polinesiana e hawaiana prevedeva che il pesce venisse consumato crudo, condito con il sale marino, alghe e noci Kukii, tipiche della zona, ma le contaminazioni, in primis quella Giapponese, hanno via via trasformato questa preparazione nel piatto che conosciamo oggi. L’utilizzo del Tonno Rosso, al posto del pesce bianco usato dai pescatori
polinesiani, e il successivo abbinamento con riso e soia hanno fatto assumere alla preparazione una connotazione orientale, molto diversa da quella originale. In linea di massima si può tranquillamente dire che al giorno d’oggi il piatto può essere riproposto in una seria infinita di varianti e di combinazioni, tutte però nel rispetto della di base: inserire una sola proteina nel Bowl (ciotola) aggiungendo nella base un cereale (tipicamente il riso), un contorno di verdura o frutta, un elemento croccante e come condimento una o più salse per completare il tutto. Fondamentale è l’uso di materia prima di altissima qualità per riuscire a regalare le sensazioni di leggerezza e di freschezza che questa pietanza deve sempre esprimere. In questa personalissima versione del piatto, prepareremo un poke bowl con riso bianco (useremo del riso Kome a chicco piccolo che rimane compatto in cottura), stinco affumicato e sfilacciato, insalata di Pomodorini, salsa allo yogurt, coleslaw ed aceto balsamico . Il nostro stinco sarà preparato utilizzando uno Shank Greedy's Hog DUROC del nostro Megastore che verrà cotto in un dispositivo esterno a carb one, prima affumicato e poi sfilacciato.
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Ingredienti per 4 persone
4 Shank Greedy’s Hog Duroc del nostro Megastore / 350 g di riso Kome / Sal’s Seasoning Ultimate Spog / Sal’s Seasoning Dallas Mild Rub / 170 gr Yogurt Greco / uno spicchio d’Aglio / succo limone q.b. / erba cipollina a piacere / mezzo cavolo cappuccio / 2 carote / 2 cipollotti / un cucchiaio di senape di Digione / 50 ml di aceto di mele / zucchero q.b. / 100 ml di panna acida / 125 ml di maionese / un cucchiaino di semi di cumino / una confezione di pomodorini Pachino / semi di sesamo a piacere / olio extravergine d’oliva Sicilia Riserva GLC Top Selection q.b. / aceto balsamico q.b. / sale q.b. / pepe Tellicherry macinato al momento q.b. PREPARAZIONE
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Togliete gli stinchi dalla confezione e, dopo averli sciacquati velocemente, asciugateli tamponando con carta assorbente. Provvedete a una leggera trimmatura se necessaria. Passate un leggerissimo velo d’olio Extra Vergine su tutta la superficie e successivamente passate un primo leggero velo di Sal’s Seasoning Dallas Mild Rub e poi un più generoso passaggio di Sal’s Seasoning Ultimate Spog. Settate il dispositivo esterno con un minion che vi permetta di stabilizzare la temperatura interna sui 130°C- 140°C per almeno 3 / 4 ore. Gli stinchi andranno messi in griglia distanziati regolarmente dalla fonte di calore per una cottura indiretta. Innescate il Minion versando a fianco un mezzo cesto di bricchette ben accese e ponetevi sopra un pezzo di chunk di hickory e/o ciliegio. Chiudete il coperchio e lasciate andare per almeno 2 ore. Non è fondamentale prendere la temperatura in questa fase l’ obiettivo è di arrivare ad avere la formazione di un bark bello solido e asciutto. Normalmente questo si raggiunge intorno ai
65°C/70°C (fase di stallo) ma in ogni caso l’aspetto visivo e tattile (passandoci un polpastrello sopra non deve rimanere traccia di umido) è fondamentale. 2.
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Preparate nel frattempo una leccarda che possa contenere i quattro stinchi. Lo step successivo garantirà il completo scioglimento del tenace tessuto connettivo di cui questo taglio è ricco. Toglieteli dal dispositivo appoggiandoli sulla leccarda, versate all’interno un mezzo bicchiere di liquido tiepido (birra, acqua, aceto di mele, l’importante è che si formi dell’umidità all’interno), chiudete poi velocemente in maniera ermetica con dei fogli d’alluminio e rimettete in cottura. Ora è giunto il momento di monitorare la temperatura interna con la sonda. Infilatela facendo attenzione a non posizionarla troppo vicino all’osso perché potrebbe falsare il valore e portate fino ai 95°C/98°C. Togliete il tutto e lasciatelo riposare in isobox od in alternativa in forno stabilizzato a 60°C lasciando scendere la temperatura degli stinchi fino ai 70°C. Pullate ora con facilità la carne (attenzione a non scottarvi le dita) mescolandola ai succhi e tenete da parte . Il riso va sciacquato in acqua corrente in modo da eliminare il più possibile l’amido ripetendo l’operazione fino a che l’acqua non risulterà limpida. Mettetelo in pentolino con l’acqua in rapporto 2/1 con il riso, coprite la pentola e fate andare a fuoco dolce fino al completo assorbimento del liquido. Non aprite né mescolate. Una volta pronto mettete da parte.
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Preparate la coleslaw: affettate mezzo cavolo cappuccio, le carote e i cipollotti finemente e metteteli in una ciotola capiente. Aggiungete la marinata fatta con: un cucchiaio di senape di Digione, un cucchiaio d’olio extravergine d’oliva, 50 ml di aceto di mele, un cucchiaio di sale, un cucchiaio di zucchero, mezzo cucchiaino di semi di cumino. Emulsionate bene il tutto e versate sopra le verdure tagliate mescolando bene. Lasciate in infusione per almeno 30 - 40 minuti mescolando di tanto in tanto. Preparate nel frattempo il condimento con: 100 ml di panna acida, 125 ml di maionese, sale, pepe, zucchero e mescolate bene per rendere la salsa omogenea. Le verdure intanto avranno rilasciato il loro liquido che andrà scolato per bene (strizzate con le mani per farne uscire il più possibile) questo aiuterà a rendere la preparazione meno acquosa. Tenete da parte in frigo.
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Tagliate i pomodorini a spicchi metteteli in una ciotola e conditeli leggermente con filo d’olio extravergine d’oliva, sale e pepe. Tenete da parte in frigo
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Montate ora la bowl con il Poke mettendo prima sul fondo il riso, poi su un lato la carne dello Stinco sfilacciata e dall’altra i pomodorini a spicchi. Versate un paio di generosi cucchiai di coleslaw sulla carne e poi un giro di salsa allo yogurt all’insieme. Rifinite con i semi di sesamo e con alcune gocce di aceto balsamico. BBQ4All Magazine
Versate lo yogurt in una ciotola aggiungendo la spicchio d’aglio tritato finissimamente, aggiungete a filo due cucchiai d’olio extraver-
gine, un cucchiaino di succo di limone emulsionando bene fino a raggiungere la consistenza di una crema. Tagliate l’erba cipollina con la forbice a pezzetti piccoli e uniteli alla salsa. Mettete in frigo.
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Bello e buono!
POKE CON GAMBERO ROSSO CAROTE JULIENNE, AVOCADO, JALAPENOS E SALSA BIANCA
Anche l’occhio vuole la sua parte. Luogo comune stra-abusato di cui però, sempre di più, si sta tenendo conto quando si decide di cucinare e di impiattare. Sarà che ormai, quando si parla di cucina, ricette, chef e ristoranti, è quasi più importante che un piatto sia instagrammabile che mangiabile, ma tant’è: sempre di più stiamo attenti a come una pietanza viene servita, ai colori, all’armonia dell’insieme.
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Vi siete chiesti perché? Beh, banalmente, come diceva mia nonna, mangiamo anche con gli occhi. L'aspetto e il colore di una pietanza, infatti, possono favorire il nostro appetito e invitarci all'assaggio, e possono influenzarci a tal punto da farcela percepire anche più buona di quello che è in realtà. La cosa è vera anche al contrario: una pietanza bruttina alla vista ci risulterà più facilmente sgradevole anche al gusto.
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Secondo alcuni studi, le sensazioni che ci portano a provare attrazione verso alimenti colorati e ad apprezzare maggiormente i piatti visibilmente più belli sono guidate dalla natura; d’altronde i colori che appartengono ai diversi alimenti sono spesso dovuti agli elementi che li compongono, ossia vitamine e minerali. Tali proprietà dei cibi, che ne condizionano il colore, risultano a loro volta legate alle nostre esigenze nutrizionali e psicologiche. La nostra preferenza, quindi, sarebbe spinta dal bisogno fisiologico di assumere i nutrienti di cui il nostro corpo ha bisogno in quel determinato momento. Ma c’è anche una componente psicologica: l'importanza dei colori a tavola non riguarderebbe solo la qualità e la varietà del cibo che assumiamo, ma sarebbe in grado di influenzare il nostro cervello anche sulle quantità, perché
cambierebbe il nostro senso di fame o di sazietà, spingendoci quindi a mangiare di più o di meno. È dunque per questi motivi che, spesso, chi deve fotografare un piatto che non sarà assaggiato da qualcuno (è il caso dei vari social ma anche di un Magazine come il nostro o dei vari libri di cucina) ricorre anche a trucchi per rendere il piatto molto bello ma il più delle volte non edibile. Ebbene, una cosa che ci siamo sempre ripromessi noi del BBQ4All Magazine è quella di non ingannare mai il lettore fotografando un piatto molto bello ma pieno di colle, plastiche e altre diavolerie. E, purtroppo per noi, ci siamo riusciti ad ogni shooting. Perché purtroppo? Perché siamo tutti ingrassati di dieci kg!
di riso Basmati / una confezione di Gamberi Rossi di Mazara GLC Top Selection / 2 avocadi / carote julienne a piacere / peperoncini jalapenos sottaceto a piacere / aceto di riso q.b. per la salsa bianca: 200 g di maionese / 2 cucchiaini di salsa al cren / 1 cucchiaino di senape / aglio e paprika in polvere q.b. / Ultima SPOG della linea Sal’s Seasoning q.b. / un limone biologico PREPARAZIONE 1. Pulite i gamberi togliendo le teste, i carapaci e l’intestino (che terrete da parte per una bisque che vi sarà utilissima per altre ricette!) e sciacquateli sotto acqua corrente. Teneteli da parte. 2.
Cuocete il riso per assorbimento usando una quantità d’acqua salata che sia il doppio del peso del riso. Durante la cottura non mescolatelo mai. Una volta che avrà assorbito tutta l’acqua lasciatelo riposare per una decina di minuti, poi aggiungete l’aceto di riso (senza esagerare) e sgranate il Basmati.
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Preparate la salsa mescolando con una frusta tutti gli ingredienti e poi riponetela in frigo.
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Affettate le carote a julienne, tagliate gli avocadi in fettine o a cubetti, scolate i peperoncini dall’aceto. A questo punto montate la vostra bowl: prima il riso, poi ponete tutti gli altri ingredienti sopra senza mescolarli tra di loro, spolverate il tutto con lo SPOG, e infine condite con la salsa bianca. Potete aggiungere due fettine di limone, che coi gamberi si sposa alla perfezione e rende il sapore più brillante.
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Evidentemente, abbiamo sempre azzeccato i colori e gli impiattamenti, perché non ci è mai capitato di non mangiare una delle preparazioni che abbiamo fotografato, se non per sopraggiunta indigestione. È successo anche con il poke che vi presentiamo in questa ricetta: eravamo a Mazara, e l’uso dei burrosi Gamberi Rossi GLC Top Selection è stato d’obbligo. Li abbiamo cromaticamente abbinati a un altro elemento burroso come l’Avocado, col suo verde delicato, alle carote arancioni e croccanti, ai jalapenos sottaceto verdi più scuri e a una salsa bianca e delicata. Il tutto adagiato, come vuole la tradizione, su un letto di riso. Abbiamo scelto in questo caso il Basmati, aromatico e saporito. Non vi resta che seguire la ricetta e abbuffarvi come abbiamo fatto noi.
Ingredienti per 4 persone: 600 g
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Sano? Sì, ma sfizioso! Poke con
SASHIMI DI PAGRO RIBES, SPINACINO E CIPOLLOTTO GRIGLIATO La primavera è nell’aria, i pranzi luculliani della Pasqua e della Pasquetta saranno l’inevitabile gioioso epilogo di un lungo inverno nel quale abbiamo compensato, con il comfort food,il freddo e le nostre preoccupazioni tra virus e guerre. L’estate si avvicina e con essa la prova costume, sempre più imminente e ineluttabile. Sappiamo che non basterà iscriversi in palestra all’ultimo minuto; lo sconforto ci assale al pensiero dei tanti pasti insipidi che ci accompagneranno nei mesi a seguire. Lo spettro del petto di pollo ai ferri e delle zucchine bollite aleggia nell’aria. Anche per questo motivo abbiamo deciso di dedicare il numero di Aprile del Magazine al poke: è un pasto completo, sano e leggero, che vi accompagnerà verso la prova costume senza farvi rinunciare al piacere di mangiare qualcosa di buono e sfizioso. Questa ricetta è un lungo elenco di contrasti di sapori e di percezioni che vi faranno gustare ogni colorato boccone: Il caldo del riso e il freddo del pesce in sashimi, la croccantezza dei semi di zucca e delle foglie di spinacino, il dolce delicatamente aspro del ribes, l’acido del lime, la corposità delle olive verdi, l’umami della salsa di soia, la morbida pungenza del cipollotto grigliato.
Dal momento che mangerete il pesce in sashimi, ovvero crudo, dovrete avere cura di fare tutto il necessario per poterlo mangiare in sicurezza: l’assunzione di pesce crudo infatti può essere pericolosa se non si rispettano una serie di passaggi fondamentali per eliminare i parassiti, che potrebbero aver contaminato il pesce. Nello specifico è necessario prevedere un abbattimento a -35°C con successiva conservazione a tale temperatura per almeno 15/24 ore. Se il congelamento avviene in casa, deve avvenire per almeno 96 ore a -18°C in congelatore domestico contrassegnato con tre o più stelle. Se utilizzerete il pagro faraone del Megastore di BBQ4All potrete procedere tranquillamente con il consumo a crudo. BBQ4All vi garantisce la qualità del prodotto: il pesce viene preso a rete da piccoli pescherecci del porto di Mazara, tenuto sotto ghiaccio a bordo e, entro un’ora da quando giunge in porto, eviscerato e abbattuto a -40°C in un apparato industriale; quando inizia il viaggio verso casa vostra in isobox è coperto di ghiaccio secco alla temperatura di -78°C ed è garantito che venga consegnato a una temperatura non superiore a -18°C. Nel suo viaggio da Mazara alla vostra tavola il pesce avrà fatto tutti i passaggi necessari per l’eliminazione dei parassiti. Sull’etichetta inoltre è specificata la data di congelamento. Vediamo dunque la ricetta.
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Vogliamo il massimo da questo poke: infatti per il sashimi sarà utilizzato un pagro faraone del Mediterraneo, pesce di cui abbiamo già parlato in precedenza nel numero scorso. Il riso dovrà essere all’altezza del nostro pagro, per questo è stata scelta una selezione di risi integrali che, come è noto, esprimono una corposità e una varietà di aromi più
ampia rispetto al classico riso bianco. In questa insalata si è scelto di inserire, accanto al riso originario integrale, anche il rosso integrale e il venere integrale con i loro caratteristici aromi di nocciola e di pane appena sfornato.
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Ingredienti per 4 persone: un pagro del nostro
Megastore / 400 grammi suddivisi in 1/3 di riso originario integrale, 1/3 di riso venere integrale, 1/3 di riso rosso integrale / foglie di spinacino a piacere / 4 cipollotti di piccole dimensioni / una manciata di semi di zucca (li trovate già sbucciati al supermercato); / un lime / tre cucchiai di ribes rosso / salsa di soia a piacere / sale Sal’s Seasoning Microsphere salt q.b. / olio extravergine di oliva di Nocellara del Belice GLC Top Selection q.b.
4.
Eliminate la pelle: posizionate il filetto con la pelle a contatto con il tagliere; tenendo ferma la parte finale della coda infilate la lama leggermente inclinata verso il basso e fate scorrere fino a separare la pelle. Ripetete il procedimento per l’altro filetto.
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Eliminate le parti in eccesso e rimuovete la pellicola di colore più scuro che separa il filetto dalla cavità addominale del pesce. A questo punto si può dare ai filetti la classica forma del sashimi: divideteli in due effettuando un taglio per lungo seguendo la linea mediana e quindi, tenendo la lama inclinata a 30°/45°, tagliate in fette di circa mezzo centimetro. Il taglio dovrà essere perfettamente liscio, pertanto fate scorrere il coltello facendo un movimento in uscita e tirandolo a voi.
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Posizionate il pesce in un piatto e lasciatelo in frigorifero coperto da una pellicola fino al momento di servirlo.
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Lavate con cura il cipollotto eliminando il ciuffetto di radici e tagliando la foglia verde circa un centimetro sopra il bulbo; asciugate e condite con olio extravergine di oliva, sale e pepe e lasciatelo riposare mentre predisponete il vostro dispositivo per una cottura diretta (mezza ciminiera abbondante di carbone andrà più che bene).
8.
Lavate degli spinacini; condite con olio extravegine di oliva e sale. Lavate anche il ribes e mettetelo in una ciotola.
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Preparate il kettle con un setup a due zone, versando il carbone ben acceso su un lato; aprite al massimo le ventole e posizionate il coperchio con le vent-out sopra il carbone. Attendete qualche minuto per far scaldare il barbecue e ponete i cipollotti in cottura diretta sopra il carbone. Lasciate il coperchio aperto e cercate di ottenere delle belle grill marks ma fate attenzione perché il rischio di bruciarli in questa fase è elevato. Una volta grigliata a dovere la parte esterna dei cipollotti spostateli lontano dal carbone, sulla parte opposta della griglia e lasciateli andare in cottura indiretta con il coperchio chiuso. Stabilizzate il dispositivo con una temperatura di circa 150 gradi al coperchio e dimenticateli lì finché non risulteranno morbidi quando infilzati con la forchetta.
Per il sushizo: 80 g di aceto di riso / un cucchiaino di sale / 2 cucchiaini di zucchero Per le olive verdi: una ventina di olive verdi / un ciuffo di prezzemolo / uno spicchio d’aglio / olio extravergine di oliva di Nocellara del Belice GLC Top Selection q.b. / pepe a piacere PREPARAZIONE 1.
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Qualche giorno prima della preparazione, potete condire le olive verdi. Scegliete le migliori olive verdi in salamoia già denocciolate. Lasciate per qualche ora a mollo le olive in acqua corrente per eliminare la salamoia. Preparate quindi un trito con abbondante prezzemolo, conditelo con l’olio siciliano monocultivar 100% di Nocellara del Belice del Megastore, infine con un’abbondante spolverata di pepe macinato e aglio secondo gusto. Lasciate riposare le olive in frigo per almeno mezza giornata prima di utilizzarle. Il giorno prima della preparazione togliete il pagro dal freezer e lasciatelo scongelare in frigorifero. Sfilettate il pagro con un coltello da sfiletto o un santoku di ottima qualità come quello proposto dalla linea Chef Knife di BBQ4All. Sul tagliere appoggiate il pesce su un fianco e posizionate il coltello all’interno della pinna pettorale con la lama inclinata a circa 45°, incidete fino a incontrare la lisca centrale. Girate il pesce e ripetete l’operazione sull’altro lato, stavolta recidendo anche la lisca centrale e rimuovendo la testa. Separate i filetti: posizionando una mano piatta sopra il pesce per tenerlo fermo mettete la lama sopra la pinna dorsale e incidete parallelamente alla lisca fino a rimuovere il filetto per intero; girate il pesce e separate dalla lisca anche l’altro filetto. Se necessario togliete le spine aiutandovi con una pinzetta.
10. Nel frattempo avviate la cottura del riso: ponetelo in un ampio contenitore e sciacquatelo delicatamente sotto l’acqua corrente al fine di rimuovere quanto più amido possibile; continuate finché l’acqua non diviene trasparente. Mettete sul fuoco una pentola con il volume di acqua che sia il doppio di quello del riso; nel momento in cui l’acqua comincia a bollire versate il riso e, da quando riprende il bollore, abbassate la fiamma al minimo, mettete un coperchio che chiuda bene la pentola e lasciate sobbollire per circa 15 minuti. Al termine spegnete la fiamma e lasciate coperto per altri 10 minuti per permettere l’assorbimento dell’acqua. Questi tempi potrebbero variare in base alla qualità del riso che troverete. 11. Preparate il sushizo per condire il riso unendo all’aceto di riso il sale e lo zucchero, scaldatelo mescolando fino al completo scioglimento. Travasate il riso in un ampio contenitore inerte e unitelo al sushizo facendo attenzione a non schiacciarlo mentre lo girate. Continuare a
girare finché il riso non smetterà di fumare ed assumerà un aspetto lucido. Coprite il contenitore appoggiando sul riso un canovaccio bagnato e strizzato fino al momento del suo utilizzo. 12. Il lime serve per dare una nota acida alla ricetta: dividetelo a metà, una parte ponetela in cottura diretta sulla griglia con la polpa rivolta verso la brace finché non sarà caramellata, quindi spremetelo sugli spinacini; l’altra metà tagliatela in spicchi molto fini. 13. Tutti gli ingredienti sono pronti e potete finalmente comporre le ciotole di Poke. Cominciate con il riso e disponete in bella vista tutti gli ingredienti cercando di equilibrare i colori nella ciotola; divertitevi e sfruttate la semitrasparenza delle fettine di lime tagliate finissime per creare sfumature qua e là. Una volta composto il tutto versate della soia sul pagro, cospargete i semi di zucca e una spolverata di microsfere di sale Sal’s Seasoning.
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Il re dei re! Poke con
SASHIMI DI TONNO MAIS, CETRIOLI, INSALATA E SALSA AL LIME
Si fa presto a dire prendo il tonno per fare il sashimi! Sappiamo tutti quanto i giapponesi venerino il Maguro, il tonno rosso, essendo uno degli ingredienti fondamentali della loro cucina. Così come sappiamo quanto siano pignoletti, ma preferiamo usare un termine politicamente corretto per cui li definiremo meticolosi. Proprio a causa di questa enorme passione per il tonno, in Giappone esistono delle trade corporation che monopolizzano il mercato mondiale e che riescono sempre ad accaparrarsi i pezzi migliori, che poi finiscono nei mercati ittici (avete mai sentito parlare del famoso Tsukiji Market ? Era lo storico mercato del pesce di Tokyo che adesso è stato trasferito a Toyosu) dove i tonni vengono battuti all’asta per cifre anche folli. Il Maguro è l’ ingrediente principe del sushi, sulla base del quale spesso viene giudicata la qualità di un ristorante: servire un tonno di qualità eccelsa significa avere una certificazione comprovata della bontà del ristorante. La tradizione nipponica distingue tre diversi tipi di carne di tonno da utilizzare in cucina: Akami: ovvero la sezione più magra, il filetto. Secondo alcuni è proprio dalla carne magra che si può apprezzare il vero sapore del tonno. E’ caratterizzato da un colore rosso vivo ed è adatto per essere utilizzato anche come sashimi, sebbene sia meno pregiato e più economico. Chutoro: una parte della carne del tonno situata lungo la linea della ventresca, dal contenuto di grasso pari al 40-a 50% della carne. Ha un gusto delicato e molti tendono a preferirlo, in quanto più reperibile e più facile al teglio e al sezionamento, ma ovviamente meno costoso rispetto alla ventresca pura.
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Otoro: ovvero la parte più pregiata del pesce, la ventresca. Ha una marezzatura pronunciatissima e una carne molto grassa (considerando che questa zona del corpo protegge il tonno dal freddo delle acque oceaniche). E’ di colore rosa ha di un sapore davvero unico: avvolgente, burroso, scioglievole. L’Otoro infatti si scioglie a contatto con il palato, ed è quindi la carne più adatta per la preparazione del sashimi.
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E’ proprio con un delizioso e pregiato sashimi di tonno che abbiamo deciso di proporvi questa variante del Poke, e ci scuseranno i giapponesi se siamo stati meno puristi e rispettosi, e lo abbiamo abbinato a sapori più semplici, come il cetriolo e il mais. Abbiamo osato addirittura condirlo con una salsa al lime (dicono che non dovrebbe nemmeno essere condito con la salsa di soia, per non rovinarne la struttura e il sapore). Insomma, a noi è piaciuto. Provatelo anche voi e fateci sapere.
Ingredienti per 4 persone: 400 g di riso per
sushi / 600 g di filetti di tonno per sashimi / aceto di riso q.b. / carote tagliate a julienne q.b. / un cetriolo / insalata riccia a piacere / chicchi di mais a piacere / semi di zucca a piacere / Sal’s Seasonig Microsphere Salt q.b. per la salsa al lime: 300 g di yogurt bianco / un lime biologico / sale q.b. / un cucchiaio di olio extravergine di oliva PREPARAZIONE 1. Cuocete il riso per assorbimento usando una quantità d’acqua salata che sia il doppio del peso del riso. Prima procedete a sciacquare bene il riso, poi ponetelo in cottura e coprite la pentola. Durante la cottura non mescolatelo mai e non aprite il coperchio. Una volta che avrà assorbito tutta l’acqua lasciatelo riposare per una decina di minuti, poi aggiungete l’aceto di riso (senza esagerare) e sgranatelo. Copritelo con un panno umido per non farlo seccare. 2. Mettete il tonno su un tagliere e tagliatelo posizionando la lama di un coltello ben affilato in obliquo. Non deve essere parallela al tagliere. Per una resa migliore, tenete il tonno in frigo per un po’, in modo che sia freddo quando procedete al taglio, così da facilitare l’operazione. C’è chi lo taglia ancora semicongelato. Affettate il cetriolo sottilmente, pulite l’insalata riccia e scolate i chicchi di mais dalla loro acqua di governo. Sciacquate il tutto sotto acqua corrente.
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Preparate la salsa al lime aggiungendo allo yogurt il succo dell’agrume e l’olio extravergine di oliva, insieme a un pizzico di sale. Emulsionate il tutto, poi mettete a riposare in frigo.
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Montate la vostre ciotole posizionando il riso sul fondo, poi tutti i vari ingredienti (tonno, mais, carote, cetriolo, insalata) e condite il tutto con il Sal’s Seasoning Microsphere Salt. Completate con la fresca salsa al lime e i semi di zucca per dare un elemento più croccante al palato, e servite.
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All the Poké you can eat!
SASHIMI DI SALMONE
GARI, ALGA NORI, RIBES E AVOCADO Zenzero sottaceto (chiamato anche gari) e alga Nori: se siete frequentatori assidui del giappo in stile all you can eat (che in realtà è spesso cinese ma vabbé, cerchiamo di non essere pignoli) non potete non conoscere questi due ingredienti.
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Partiamo dallo zenzero, questa pianta erbacea perenne originaria dell’Asia che da un po’ di anni a questa parte viene elogiata da dietologi e nutrizionisti in quanto panacea di tutti i mali o quasi: digestiva, depurativa, fa dimagrire, antireumatica, anticellulite, riduce la glicemia, contrasta la formazione di gas intestinali, allevia il gonfiore, protegge la mucosa gastrica e riduce la pressione sanguigna. Questo è quello che si legge in giro. Proprio grazie a tutte queste proprietà, e poi anche perché è di moda e fa figo, si moltiplicano ovunque le ricette in cui viene usato lo zenzero, col suo sapore rinfrescante e pungente. Dite la verità, quando vi capita di incontrarlo nelle vostre serate sushitime!, fresco, delizioso e piccantino, avete anche voi l’abitudine a mangiarlo insieme ai bocconcini del California Roll o al Sashimi. Quello che si trova nei ristoranti giapponesi è noto come gari, ovvero zenzero sottaceto, e avrebbe uno scopo ben preciso che non è quello di accompagnare il boccone, ma quello di pulirsi il palato tra un pezzetto di sushi e l’altro. Ovviamente ognuno lo gusta come vuole, ma la sua funzione sarebbe proprio quella.
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L’alga Nori, o se preferite semplicemente Nori, è il nome di un’alga
conosciuta e consumata il tutto il mondo, ma soprattutto in Giappone che da solo ne produce quasi undici miliardi di pezzi all’anno. Si prepara utilizzando le alghe rosse della specie Porphyra. Viene venduta secca, in confezione da circa dieci fogli quadrati che vengono chiamati Sushi Nori. Si trova però anche già tagliata a striscioline (Kizami Nori) per guarnire piatti già pronti. L'alga Nori è perfetta per la preparazione dei maki, quei graziosi rotolini con l’alga all’esterno. Viene poi aggiunta a molti onigiri, le famose polpette di riso dalla forma triangolare ripiene di pesce, carne o verdure, per fare in modo che si possano mangiare con le mani senza toccare il riso. Abbiamo quindi deciso di dare un sapore un po’ giappo al nostro Poke - giappo come lo intendiamo noi italiani, quindi molto fusion, più simile alle serate all you can eat che a una vera cena giapponese, lo diciamo per i puristi che potrebbero sussultare sulla sedia – e presentarvi una bella ciotola con riso, sashimi di salmone, zenzero sottaceto, avocado, alga nori, ribes e semi di sesamo. Il tutto condito con salsa di soia e una spolveratina di Rub della linea Sal’s Seasoning che non può mai mancare. Scegliete voi quale utilizzare, noi abbiamo scelto lo SPOG perché ha un sapore più essenziale, ma se volete sperimentare coi sapori più audaci...beh, non avete che l’imbarazzo della scelta! Sul nostro Megastore li trovate tutti. Date un’occhiata.
Ingredienti per 4 persone: 600 g di riso per Sushi / 600 g di filetto salmone per Sashimi / aceto di riso q.b. / 2 avocadi / Ultimate SPOG della linea Sal’s Seasoning q.b. / salsa di soia a piacere / semi di sesamo a piacere / ribes a piacere / zenzero sottaceto q.b. / nori a striscioline / olio extravergine di oliva q.b. / un limone
PREPARAZIONE 1. Cuocete il riso per assorbimento, utilizzando una quantità d’acqua che sia il doppio del peso del riso: salate l’acqua, portatela a bollore, poi abbassate il fuoco, coprite la pentola e lasciate che il riso assorba tutta la’cqua. Una volta cotto, lasciatelo riposare un quarto d’ora e poi conditelo con l’aceto di riso e lo Spog. Sgranatelo. Copritelo con un panno bagnato. 2.
Tagliate di filetti di salmone: procuratevi un coltello ben affilato e tagliate il pesce perpendicolarmente alle fibre con tagli netti e precisi e lo spessore deve essere di circa 5 mm.
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Tagliate i due avocadi a cubetti e conditeli con limone, un po’ di Spog e un filo d’olio extravegine di oliva.
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Preparate ora le quattro ciotole, distrubendo il riso sul fondo e poi adagiandovi sopra il sashimi di salmone con i semi di sesamo, il gari, i ribes, l’alga Nori a striscioline e i cubetti di avocado. Condite il tutto con salsa di soia a piacere.
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Facciamolo dolce! Poke con
LATTE DI COCCO E FRUTTA MISTA Tra le mille preparazioni del poke esistenti, poteva mancare la versione dolce? Ovviamente la risposta è no. Nella ricetta che andiamo a presentarvi, il riso non sarà bollito nell’acqua, ma cotto per assorbimento nel latte di cocco per ottenere una consistenza più cremosa e dal gusto esotico.
Il latte di cocco è un ingrediente culinario tipico di tutte quelle zone in cui le palme di cocco non scarseggiano (Thailandia, India, Caraibi, Malesia). In cucina è un elemento estremamente versatile perché il suo gusto si adatta benissimo sia alle preparazioni salate (zuppe,pesce, verdure) che a quelle dolci, per non parlare dei cocktail (la Piña colada). Prima di andare avanti, è necessario chiarire un punto, il latte di cocco e l’acqua di cocco sono due cose distinte, perché molto spesso si tende a confonderle. Entrambe sono bevande vegetali, dal grande potere idratante, solo che la prima si ottiene dalla spremitura della polpa bianca grattugiata (endosperma), mentre la seconda è il liquido semitrasparente biancastro contenuto all’interno della cavità del frutto. Abbiamo deciso di utilizzare il latte di cocco al posto del latte vaccino per il suo delicato sapore dolce e per donare al nostro Poke un carattere più esotico, viste le origini hawaiane della ricetta. Una volta cotto il riso lo abbiamo arricchito con un mix di frutta: la banana per potenziarne la dolcezza e i frutti di bosco (fragoline, ribes, mirtilli) per esaltare il sapore delicato del cocco grazie all’elemento acido.
acqua / 250 g di latte di cocco / 500 g di riso / 3 cucchiai di zucchero bianco / 3 banane / 200 g di fragoline / 200 g di mirtilli / 200 g di ribes / 100 ml di panna fresca / 6 cucchiai di burro di arachidi / 150 g di cioccolato fondente / Rub Mount Nimba della linea Sal’s seasoning a piacere PREPARAZIONE 1. In una pentola mettete a bollire l’acqua e il latte di cocco insieme. Quando arriva al bollore buttate il riso e lo zucchero. 2.
Mentre il riso cuoce, riscaldate la panna. Una volta calda aggiungete poco per volta il burro fino ad ottenere una crema che poi sarà il topping del nostro poke.
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Quando il riso avrà raggiunto una bella consistenza cremosa e sarà pronto versatelo nelle ciotole. Lasciate intiepidire e sistemate sopra il riso la banana (tagliata a rondelle) e i frutti di bosco.
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Decorate con la crema di arachidi e spolverate il tutto con una generosa manciata di scaglie di cioccolato. Il nostro Poke dolce deve essere servito quando il riso è ancora tiepido. Un consiglio: per assaporare appieno il gusto del dolce ogni cucchiaiata deve contenere riso, frutta, burro di arachidi e cioccolato. Vi piacciono i contrasti di sapore più forti? Provatelo col Rub Mount Nimba della linea Sal’s Seasoning che trovate sul nostro Megastore, con le sue note fruttate di vaniglia e speziate di caffè esalteranno ancora di più l’esoticità del piatto.
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Per rendere il tutto estremamente goloso abbiamo aggiunto un topping al burro di arachidi, creando così un piacevole contrasto tra dolce e salato. L’effetto crunch è stato dato da scaglie di cioccolato, ma potreste utilizzare anche dei corn flakes o della frutta secca.
Ingredienti per 6 persone: 250 g di
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POLLO IN COCOTTE
Fa figo e non impegna! Perché ci piace così tanto invitare gli amici a mangiare da noi? È un’occasione per passare qualche ora in allegria, per fare due chiacchiere e due risate in compagnia mangiando e bevendo del buon vino fresco o della birra ghiacciata. Siete sicuri che queste siano le uniche motivazioni?
Vi sarà sicuramente capitato, sull’onda dell’entusiasmo, di invitare degli amici a mangiare da voi da lì a poche ore, e che gli amici abbiano accettato senza pensarci due volte. A questo punto, un po’ pentiti, potreste trovarvi a pensare: e ora che faccio?
In realtà, dietro ad ogni invito esiste anche una sottintesa, segreta e bonaria implicazione narcisistica: mostrare agli amici le proprie abilità culinarie per ricevere dei complimenti dal vivo, non più paghi dei like sui social. Di solito, prima di procedere all’invito formale, vengono stabiliti i piatti da presentare in base alle tempistiche di cottura e alle preferenze degli invitati. Purtroppo in queste occasioni, a patto che non si disponga di personale di servizio, la dura realtà si scontra con la situazione ideale immaginata da voi: ovvero, l’addetto alla cucina non riesce mai a trascorrere molto tempo con gli amici, se non alla fine del pasto, perché troppo impegnato nella preparazione delle portate. Solitamente si siede al tavolo una decina di minuti alla volta, per assicurarsi che tutto vada bene, per poi tornare ai fornelli o alla griglia.
Ed è qui che entriamo in campo noi con una ricetta #zerosbatti: pollo in cocotte con patate e cipolle. Posizionando il tutto quasi contemporaneamente nella stessa pentola in cottura indiretta sulle braci, otterrete un piatto grandioso. Carne di pollo tenera e succosa resa ancor più gustosa dall’abbinamento con le patate e le cipolle irrorate dal liquido della ciccia.
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Questo succede quando è tutto pianificato, figuriamoci se l’invito è stato fatto all’ultimo minuto.
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Inoltre, l’uso dell’Ultimate SPOG per aromatizzare sia la carne che le verdure riuscirà ad esaltare il gusto dei singoli ingredienti, mantenendo l’armonia dei sapori. Dopo aver posizionato il tutto sul fuoco, riuscirete a passare la maggior parte del tempo con i vostri ospiti, grazie anche alla sonda del termometro infilzata nella coscia per tenere controllata la temperatura della carne. L'unica cosa da fare è correre al supermercato e prendere tutto il necessario per cucinare!
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Ingredienti per 4 persone un pollo intero (circa 1,2
Kg) / un limone biologico / 2 cipolle rosse / 5 o 6 patate grandi / 3 spicchi di aglio / 300 g di burro / olio extravergine di oliva q.b. / sale q.b. / spog q.b / un cucchiaino di rosmarino in polvere / un rametto di rosmarino / 2/3 foglie di alloro PREPARAZIONE 1. Accendete una ciminiera intera di combustibile (carbone o bricchette). Quando il combustibile è pronto disponetelo da un lato del dispositivo per una cottura indiretta ed inserite all’interno la griglia gourmet e la cocotte. Quindi chiudete il coperchio affinché la pentola in ghisa acquisisca calore. La temperatura va stabilizzata tra i 160°C/170°C. Per accelerare ulteriormente i tempi, vi consigliamo di riscaldare la cocotte in forno ventilato prima di porla all’interno del dispositivo a carbone.
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Nel frattempo sbucciate e tagliate grossolanamente le patate e le cipolle. All’interno di una ciotola capiente condite con abbondante olio di oliva extravergine, lo SPOG senza esagerare, un cucchiaino di timo, un rametto di rosmarino, le foglie di alloro e tre spicchi d’aglio interi. Prendete il pollo, ungetelo con l’olio sopra e sotto la pelle e all’interno. Per insaporirlo cospargetelo
di SPOG sempre sotto, sopra e dentro, così come avete fatto per l’olio. Infine mettete all’interno del pollo un limone tagliato in due. 4.
Iniziamo la cottura. Sciogliete 100 g di burro nella cocotte e fate rosolare la superficie del pollo direttamente sulla ghisa bollente per una decina di minuti.
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Fatto ciò sollevate il pollo dalla cocotte e versate subito all’interno tutto il contenuto della ciotola con le patate e le cipolle, ricoprendo l’intera base della pentola, aggiungete il burro rimanente tagliato a tocchetti, tre spicchi d’aglio e adagiate su tutto il pollo. Chiudete la cocotte con il suo coperchio, dopodiché chiudete anche il dispositivo.
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Inserite una sonda nella coscia del pollo (senza toccare l’osso), e aspettate che la temperatura interna raggiunga i 75°C interni.
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Raggiunta la temperatura desiderata passate il pollo sulla griglia per qualche minuto, dalla parte delle braci, per abbrustolire la pelle.
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Porzionate il pollo e servitelo con il contorno. Approfittando della griglia calda, potreste tostare qualche fetta di pane, per aggiungere alla preparazione un tocco croccante. Adesso siete pronti per un invito dell’ultimo minuto.
Il comfort food di primavera
PUFF PASTRY CHORIZO POT PIE
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Caldo e avvolgente comfort food ricoperto da uno strato di sfoglia salata: è proprio lei, la Pot Pie. Un piatto tipico britannico che è ormai usuale trovare in varie parti del mondo. Le torte salate erano molto popolari nella Gran Bretagna del XVI secolo. Carni come cervo, maiale, agnello e selvaggina, oltre ai volatili, erano utilizzate comunemente come ripieno, soprattutto sulle tavole dei nobili e delle classi più abbienti. Durante l'era elisabettiana, le torte erano spesso servite ai banchetti, e la loro decorazioni erano considerate l’elemento fondamentale per valutare il talento degli chef che le cucinavano. Versioni più semplici erano invece realizzate dal popolo, con ingredienti più facili da trovare e sicuramente meno costosi. Questa deliziosa torta conobbe grande popolarità oltreoceano grazie ai coloni che si trasferirono in America. Nel 1796 fu pubblicato il primo libro di cucina scritto in suolo americano, intitolato American Cookery, che includeva ricette per Stew Pie, Sea Pie e Chicken Pie, ovvero tutte varianti della Pot Pie. Da quel momento, ha continuato ad avere un successo sempre più grande sulle tavole degli americani. Negli anni '50 del Novecento, divenne un alimento simbolo della cucina USA, tanto che cominciò ad essere prodotta a livello industriale e ad essere venduta come prodotto surgelato.
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Recentemente ha conosciuto un nuovo successo anche nei ristoranti, da quando diversi chef, anche blasonati, hanno iniziato a creare le proprie interpretazioni della famosa torta salata.
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Anche noi vogliamo darvi una nostra versione utilizzando uno dei prodotti di punta del nostro Megastore: il chorizo affumicato, che ben si presta a diventare un ripieno davvero confortevole e saporito per una Pot Pie leggendaria. Potreste pensare che non sia una preparazione molto primaverile, ma in realtà è perfetta per essere cucinata a casa a poi portata agli amici durante le grigliate di Pasquetta, del 25 Aprile e del Primo Maggio. I vostri amici, ve lo assicuriamo, gradiranno moltissimo il pensiero e voi farete una gran figura senza spendere cifre astronomiche.
Ingredienti per una Pot Pie: 6 Smokehouse
Chorizo Casero Pork Sausage / 2 di cipolle / 6 di carote / 150 g di mais cotto / 150 g di funghi plerotus o champignon / un mazzetto d’erba cipollina / 40 ml di vino bianco / 60 ml di brodo di pollo / 4 cucchiai di farina / 3 cucchiai di senape / 350 g di panna / olio extravergine d’oliva q.b. / sale q.b. / sale Maldon q.b. / pepe a piacere / salsa di soia a piacere / 2 rotoli di pasta sfoglia tonda da 275 g / un tuorlo d’uovo PREPARAZIONE 1. Per questa ricetta utilizzate delle cocotte in ghisa monoporzione oppure un grande tegame da mettere centrotavola e preriscaldate nel vostro dispositivo per una cottura indiretta a 200°C. 2.
Nel frattempo, preparate un trito di cipolla, funghi e carote e aggiungetelo nella cocotte con un filo d’olio extravergine d’oliva. Lasciate stufare e imbiondire per qualche minuto, utilizzando un secondo dispositivo in cottura diretta, oppure sul fornello di casa.
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Aggiungete il chorizo tagliato a cubetti e insaporite con sale e pepe. Sfumate con il vino bianco e la salsa di soia e fate dealcolizzare bene.
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Inserite il mais, la farina e coprite con il brodo caldo e la panna. Lasciate addensare.
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Solo alla fine, soddisfatti del sapore, potete inserire la cipollina tritata e la senape.
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Ora sbizzarritevi con la sfoglia, potete chiudere la cocotte a mo di tappo e praticare un piccolo foro o, come nel nostro caso, creare una gabbia a mo di crostata.
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Spennellate con il tuorlo d’uovo e un pizzico di sale Maldon. Lasciate cuocere a 200° per 7/10 minuti. Servite tiepido, se volete con un buon purè di patate (anche in primavera, a volte, fa freddino e piove… il purè ci sta sempre bene!)
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Non delude mai!
PICANHA CON MASHED SWEET POTATOES E FAGIOLINI PICCANTI
Immaginate un delizioso grassetto di manzo che cola e una spada: cosa vi viene in mente? Sicuramente lei, la Picanha! Tra i tagli più amati dai griller, per servire un buona Picanha bastano pochi elementi: carne, fuoco, sale, un po’ di pepe. Però ci vogliono anche esperienza e tanta pratica. È una di quelle preparazioni sul fuoco che dà sempre tanta soddisfazione, ma produce un effetto collaterale: l’ipersalivazione. Classico elemento del Churrasco brasiliano (cioè la classica "grigliata mista" con varie tipologie di carne), ognuno ha una tecnica e una ricetta personale. Viene considerata un taglio di prestigio, anche se in Italia è ancora sottovalutata, infatti il suo prezzo è relativamente basso se consideriamo la straordinaria bontà di questo taglio.
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Esiste una serie dì accortezze e procedure per prepararla al meglio. Per esempio, nella scelta del pezzo è fondamentale che ci sia almeno 1 cm di grasso a ricoprire la parte superiore. In cottura farà tutta la differenza del mondo. In italia viene venduta come codone o copertina dello scamone. È una sezione della coscia del manzo di forma triangolare e presenta una carne tendenzialmente non marezzatissima con una spessa coltre di grasso duro.
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Per la cottura abbiamo due possibilità: quella classica prevede un ibrido tra la cottura allo spiedo (o split roasting) e la cottura diretta, e viene effettuata attraverso uno strumento chiamato spada, funzionale e scenografico. Si taglia il pezzo in modo perpendicolare alle fibre a fette di spessore di circa 10 cm. A questo punto si incurvano,
lasciando all’esterno lo strato di grasso, e si infilzano sulla spada che viene posta direttamente sopra le braci senza la griglia. È importante che queste ultime non siano troppo calde, basta una temperatura intorno ai 160°C. La spada deve rimanere a circa 30 o 40 cm dai carboni roventi. L’abilità sta nel continuare a rigirare lo spiedo e fare in modo che il grasso fondente non cada sui carboni, ma resti attaccato alla carne irrorandola di succulenza e sapore. La spada può essere comunque sostituita da uno spiedo per il girarrosto o da un set Mangal. È solitamente costituita da acciaio lamellare ripiegato a “V” che impedisce alla carne di muoversi durante gli spostamenti sul braciere. In Brasile è prassi aggiungere il sale prima della cottura. Ottima idea è condire con sale Maldon e qualche granello di pepe mignonette ( generalemente, una miscela di bacche, bianche e nere, macinate grossolanamente); si cuoce lo strato esterno con il grasso bello croccantino, si porta in tavola e si tagliano le fette direttamente dalla spada nel piatto del commensale con un buon coltello affilato. Si riporta la carne sul fuoco e si ricomincia. E se non avete lo spiedo? Un attimo e ve lo spieghiamo nella ricetta. Come accompagnamento potete spaziare dalle classiche patate al forno a una miriade di verdure croccantine e ben condite. Noi abbiamo scelto le mashed potatoes e i fagiolini freschi. Diventerà uno spettacolo da portare in tavola e sarà presto un must delle vostre grigliate in compagnia.
Ingredienti per 4 persone 1 picanha del nostro
Megastore / 2 patate dolci americane arancioni / 2 patate dolci americane viola / 1 kg di fagiolini / 1 testa d’aglio / 1 mazzo di prezzemolo / 2 lime / 1 cipollotto fresco / 2 peperoncini freschi / 1 mazzo d’erba cipollina / Ultimate SPOG Sal’s Seasoning q.b. / olio extravergine d’oliva q.b.
potete mantenere anche la buccia delle patate. 3.
Lessate i fagiolini in abbondante acqua salata, scolateli e fateli saltare in un wok già caldo con olio extravergine d’oliva, aglio, sale e peperoncino fresco tritato. Devono essere cotti ma ancora croccantini.
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Settate il dispositivo per una cottura indiretta sui 140°. Condite la picanha con uno strato generoso di Ultimate SPOG su tutti i lati. Ponetela in cottura indiretta fino ai 43°C/44°C al cuore. A questo punto passate in cottura diretta pochi minuti dal lato del grasso per farlo diventare bello croccante e lasciate riposare il pezzo nel forno spento o in un isobox. Il carry over vi permetterà dì ottenere una carne perfettamente omogenea intorno ai 54°C/55°C.
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A questo punto affettate la carne in fette spesse 4/5mm e servitele in un piatto da portata con i fagiolini e le smashed potatoes ancora caldi. Sarà una festa!
PREPARAZIONE 1.
Arrostite le patate dolci americane in forno o nel vostro dispositivo settato per una cottura indiretta a 180°C, insieme alla testa d’aglio, lasciandole intere e mantenendo la buccia, per circa 40 minuti. Devono risultare ben cotte e morbide.
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Una volta pronte, schiacciatele con una forchetta a pezzettoni e conditele con la purea ottenuta dagli spicchi d’aglio cotti insieme a loro, prezzemolo tritato, lime, cipollotto ed erba cipollina. Aggiustate di sale, pepe nero e olio extravergine di oliva. Per una versione più rustica
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Comfort food perfetto per i griller!
POLPETTONE
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CON PATATE AFFUMICATE CROCCANTI
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Me lo ricordo ancora. Era il 2014, mi ero affacciata da poco al magico mondo delle griglie e del bbq e scrissi al mio coach del tempo, un certo Gianfranco Lo Cascio, chiedendogli un consiglio per fare un polpettone. Non il Bacon Bomb, proprio un polpettone classico, cotto però nel kettle. La prima cosa che mi disse è: occhio, perché per essere buono devi rispettare tanti parametri, mica lo puoi fare così a casaccio. Il polpettone è sicuramente uno dei piatti più conosciuti e più versatili a livello mondiale. Non esiste infatti UNA ricetta di questa preparazione, ma infinite. Per realizzarlo si possono usare moltissimi ingredienti, dalla carne alle verdure, può essere più o meno speziato, riempito, bardato; può essere accompagnato da salse, intingoli, glassature e sughi di tutti i tipi. Non solo, può essere cotto in diverse maniere: facendolo bollire in pentola, avvolto da un canovaccio come facevano le nostre nonne, oppure cotto in padella, al forno e ovviamente nei nostri amati dispositivi outdoor. Se avete letto lo speciale del BBQ4All Magazine dedicato alle polpette, oppure se avete letto i post dello Zio sulla Community Facebook, sapete che abbiamo già affrontato le domande fondamentali che escono sempre quando si parla di questo tipo di preparazioni: si mette il pane? Si mette l’uovo? Si fa di carne mista? Per farvi un breve recap, la risposta a tutte queste domande è sempre “dipende”. Qualche numero fa, ad esempio, vi abbiamo dato tutte le dritte per realizzare le polpette (ma vale anche per il polpettone) di solo manzo, senza pane e senza uovo. Un piccolo riassunto? Carne macinata ricca di tessuto connettivo, 80% carne magra, 20% grasso, 18 g di sale per ogni kg di massa, tanto prezzemolo, tanto aglio o cipolla, aromi a piacere, et voilà.
Ci va messo l’uovo per legare l’impasto: in realtà esistono altri modi per legare l’impasto senza aggiungere l’uovo. Bastano due cucchiai di amido di mais per ogni kg di carne. Ma va bene anche la fecola di patate, che oltretutto vi farà ottenere una crosticina molto più croccante. Se invece volete mettere l’uovo, dovete tenere conto che state aggiungendo una variabile importante, perché la consistenza cambia in modo significativo in base alla temperatura di cottura finale. Nel caso in cui si decida di usare l’uovo, la soluzione migliore è arrivare allo stadio completo di coagulazione della conalbumina lasciando inalterate le lipoproteine del tuorlo e dell'ovalbumina. Per dirla in parole povere: non si dovrebbero superare i 65°C. Il problema è che molti non possono tollerare l’idea di avere uovo crudo nell’impasto, oppure magari hanno scelto di utilizzare carne mista, anche di maiale, che non consente di fermarsi così presto con la cottura. E come dice lo Zio: per avere un polpettone ben cotto ma anche cotto bene e che non sappia di pollaio non bisogna usare l’uovo e si deve fermare la cottura a 75°C. Come vedete dunque, le varianti da tenere in considerazione sono molte, anche se non dovete mai dimenticare la cosa fondamentale: fatelo sempre come vi piace e come preferite, basta che le vostre scelte siano consapevoli e non dettate dal “si è sempre fatto così”. In questa ricetta scegliamo di presentarvi un polpettone un po’ scientifico e un po’ “zerosbatti” di carne mista (manzo e maiale), senza uovo, saporito, speziato e godurioso. Lo serviamo con delle sfogliatine di patate affumicate e molto croccanti. Siamo sicuri che vi piacerà. Correte subito a procurarvi l’occorrente e accendete il dispositivo.
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Va messo il pane ammollato nel latte perché lo rende più morbido e mia nonna faceva così: ai tempi delle nostre nonne, le variabili erano moltissime. Le famiglie erano molto più numerose rispetto a quelle di oggi, la carne era costosa e scarseggiava. Scegliere di “allungare” il polpettone con il pane era sicuramente una scelta felice a livello nutritivo ed economico. Inoltre a quel tempo non avevano tanto la possibilità di star lì a scegliere quale taglio di carne fosse più o meno
adatto per il polpettone, e nemmeno di calcolare perfettamente le proporzioni tra magro e grasso. Magari usavano carne non di altissima qualità. Per tutti questi motivi, forse il gusto della sola carne veniva percepito troppo intenso e quindi si sceglieva di stemperarlo col pane e il latte. Oggi avete la possibilità di scegliere se metterlo, perché nonostante tutto vi piace, oppure di non metterlo ottenendo comunque un polpettone morbido. Non c’è alcuna motivazione scientifica secondo la quale il polpettone viene morbido solo se mettete il pane ammollato nel latte.
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Ingredienti per 4 persone: 3 Brick di Chianina del nostro Megastore
(300 g) / 500 g di macinato di maiale / 100 g di lardo di Colonnata /2 spicchi d’aglio / una cipolla / un generoso ciuffo di prezzemolo / 15 g di sale / pepe a piacere /tre cucchiai di fecola di patate / olio extravergine di oliva q.b. per le patate: 1 kg di patate grosse / 100 g di burro /due cucchiaini di Ultimate SPOG della linea Sal’s Seasoning /un cucchiaino di rosmarino in polvere / farina q.b. / olio di semi per friggere q.b.
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PREPARAZIONE 1. Cominciate dalle patate, che vanno preparate in parte il giorno precedente: lavatele bene e, senza togliere la buccia, tagliatele con la mandolina in fette molto sottili. Mettetele poi in una ciotola e conditele col burro fuso, con lo SPOG e con il rosmarino in polvere. Posizionatele a strati in una teglia d’ alluminio foderata di carta forno. Predisponete il vostro dispositivo per una cottura indiretta a circa 160°C, posizionate la teglia, aggiungete delle chips di legno aromatico per affumicare e chiudete il coperchio. Lasciate che le patate si ammorbidiscano bene, poi toglietele dalla griglia. Lasciandole nella loro teglia, compattatele bene e ponetele in frigo per una notte.
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2.
Preparate il polpettone; aprite i Brick e spezzettateli, aggiungete il macinato di maiale, il lardo tritato finemente, così come la cipolla, l’aglio e il prezzemolo. Unite all’impasto, a questo punto, la fecola di patate, il pepe e il sale. Avrete notato che siamo rimasti più bassi col sale, rispetto alle proporzioni indicate nell’introduzione: questo perché il macinato dei burger e il lardo sono già salati, quindi si rischierebbe di avere un prodotto finale troppo sapido. In ogni caso, assaggiate sempre l’impasto e aggiustatelo secondo il vostro gusto.
3.
Formate il vostro polpettone, ungetelo con abbondante olio extravergine di oliva e poi predisponete il vostro dispositivo per una cottura indiretta: in un primo momento, dovrete raggiungere una temperatura abbastanza elevata, circa 200°. Mettete in cottura il polpettone e lasciate che si formi una crosticina sulla superficie. Poi abbassate la temperatura di esercizio a circa 160°, inserite la sonda fino al cuore del polpettone e lasciate che cuocia a coperchio chiuso fino a che non ha raggiunto i 75° interni. Volendo potete affumicare in questa fase.
4.
Quando il polpettone sarà vicino alla temperatura target, tagliate le patate preparate in teglia in giorno precedente, in quadratini di circa 2/3 cm per lato, infarinateli e poi friggeteli in abbondate olio bollente: vedrete che i bordi si “sfoglieranno” un po’, e le patate diventeranno croccanti fuori e fondenti dentro. Scolatele su carta assorbente.
5.
Servite il polpettone (vederete che sarà morbido e succoso!) insieme alle sfogliatine di patate affumicate e godetevi il perfetto comfort food dei griller.
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Facili ma non semplici! SPIEDINI DI
POLLO E SALSICCIA CON CREMA DI CARCIOFI IN EMBER
ricetta a cura del coach Michela Bongiorni
Piccola interrogazione, oggi. Vediamo se siete dei lettori attenti. Vi ricordate che un paio di anni fa abbiamo dedicato un intero numero del Magazine agli spiedini, parlandovi di ricette molto distanti tra loro, per sapore e provenienza? Vi ricordate qual è stato il segreto di tutte quelle ricette, che fossero messicane o thai, che ci ha permesso di potervi garantire un risultato sempre perfetto e di dire addio agli spiedini tristi da grigliata brutta e cattiva a cui siete sempre stati abituati? Esatto, siete sempre i soliti secchioni: per cuocere uno spiedino che presenti elementi molto diversi tra loro, l’unica cosa da fare è separare tutti gli ingredienti, cuocerli in tempi diversi e poi rimontare lo spiedino per una veloce passata finale che lo uniformi. Succederà la stessa cosa con la ricetta che stiamo per descrivere: è una preparazione di quelle che potremmo definire minimo sforzo/massima resa. Prepareremo il pollo prima marinandolo, poi cuocendolo da solo in piccoli pezzi, e lo terremo da parte. Successivamente cuoceremo le salsicce, sempre da sole. Infine, monteremo i nostri spiedini alternando i due elementi cicciosi, facendo felici più o meno tutti. Sì, perché questo tipo di ricette di solito nascono per i bambini o per quei commensali un po’ problematici, quelli che non mangiano la carne al sangue, quelli che le troppe salse no, i sapori troppo forti no, i troppi intingoli no, le americanate no. Però poi tutti si tuffano a capofitto su questi piatti, anche coloro che poi su Facebook fanno i gastrofighetti affetti da rotacismo – che schifo il pollo! E’ veVduVa!- con la puzza sotto il naso. Un po’ come succede con le bibite senza zucchero. Ve lo posso dire con assoluta certezza, perché avendo problemi di salute che mi obbligano a non consumare alcolici, né bibite zuccherate, io sono sempre quella che, durante le grigliate, si porta da casa la sua bottiglia di Coca Zero, e la deve sempre difendere con le unghie e con i denti da coloro che poi, sui social, commentano schifati sotto alle foto dei nostri utenti oh mio Dio, ma quella birra commerciale non la berrai davvero? Io la compro solo nel birrificio di un mio amico che fa la birra nelle notti di plenilunio usando una goccia di sangue di Unicorno e le lacrime di elfo. Tornando a noi, dato che ormai è primavera e quella voglia di grigliare si è risvegliata, accompagneremo i nostri spiedini con una crema di carciofi cotti prima in emeber roasting, ovvero a contatto diretto con le braci. Chi ha già provato l’insalata di carciofi cotti in questo modo ne è diventato dipendente. La crema non sarà da meno.
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Per quanto riguarda le salsicce, c’è un’ampia scelta: in questa ricetta abbiamo usato le Thai Piment D'Espellette Brats Greedy's Hog, che sono solo leggermente piccanti e alla portata di tutti, ma fatevi un giro nel Megastore e scegliete pure quelle che più vi ispirano. Non potrete comunque sbagliare. Pronti per degli spiedini memorabili?
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Ingredienti per 4 persone: un petto di pollo da circa 600 g / 2 confezioni
di salsicce Thai Piment D'Espellette Brats Greedy's Hog (6 salsicce) / 300 g di yogurt bianco / tre cucchiai di Rub Ancho Habanero Chili Mex della linea Sal’s Seasoning / un cucchiaino di paprika affumicata / un limone biologico / 4 fette di pane casereccio / un cucchiaio di Ultima SPOG della linea Sal’s Seasoning / un cucchiaio di rosmarino in polvere / olio extravergine d’oliva q.b. per la crema di carciofi in ember: 10 carciofi / olio extravergine di oliva q.b. / sale e pepe q.b. / una cipolla / mezzo litro di brodo vegetale / un limone.
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PREPARAZIONE 1. Pulite i carciofi semplicemente tagliando la punta e lascando un pezzetto di gambo abbastanza lungo; conditeli all’interno con olio, sale e pepe. Predisponete il vostro dispositivo a carbone adagiando le braci sulla griglia carboni e poi piantate, letteralmente, i carciofi nelle bricchette (a questo serve il gambo un po’ lungo). Chiudete il coperchio del dispositivo e lasciate andare i carciofi fino a quando, penetrandoli con uno stecchino, non saranno morbidi. Toglieteli a questo punto dalle braci e teneteli da parte.
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2.
Una volta che saranno un po’ raffreddati, eliminate le foglie più esterne bruciacchiate e ricavate solo i cuori. In una pentola, versate un po’ d’olio e la cipolla affettata grossolanamente, unite i carciofi e lasciate che si insaporiscano insieme alla cipolla. Aggiustate di sale, aggiungete un po’ di brodo vegetale, coprite la pentola e lasciate che il tutto cuocia per una decina di minuti. Il risultato non deve essere troppo asciutto, ma nemmeno eccessivamente liquido. A questo punto, unite il succo di limone e frullate il tutto con un frullatore a immersione; tenete la crema ottenuta in frigo.
3.
Preparate la marinata per il pollo: unite allo yogurt la paprika affumicata e il rub, che avrete precedentemente frullato per ridurlo a una polvere più sottile. Aggiungete la scorza del limone grattugiata. Tagliate il petto di pollo a pezzetti e immergeteli nel composto ottenuto. Lasciatelo così in frigo per almeno due ore.
4.
Nel frattempo, fate rinvenire le salsicce immergendole in acqua fredda e portandole a bollore. Predisponete il vostro dispositivo per una cottura diretta e passate le salsicce in griglia. Toglietele e tenetele in caldo.
5.
Scolate il pollo dall’eccesso di marinata allo yogurt, infilatelo negli spiedini e mettetelo a cuocere in cottura indiretta nel vostro dispositivo, a una temperatura di 150°C. Occhio, mettete sotto agli spiedini una vaschetta di alluminio, a livello della griglia delle braci, se non volete sporcare troppo. Quando il pollo sarà quasi cotto, spostate gli spiedini in cottura diretta per terminare la cottura e farlo rosolare bene.
6.
Mentre aspettate che il pollo cuocia, preparate i crostini tagliando il pane a cubetti e tostandolo in padella insieme a poco olio, allo SPOG e al rosmarino.
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Quando il pollo sarà cotto, smontate e rimontate gli spiedini, alternando il pollo e la salsiccia. A questo punto potete anche ripassarli velocemente in diretta. Occhio a non esagerare o il pollo diventerà stoppaccioso.
8.
Scaldate, se volete, la crema di carciofi (ma è buona anche fredda) e servitela insieme agli spiedini e ai crostini.
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...e se ti avanza il Pulled Pork?
FAI UNA
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TORTA SALATA
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Lo abbiamo detto e ridetto più volte: vedere avanzare il Pulled Pork è un evento molto raro, a tratti quasi leggendario. Nel senso che qualcuno sostiene che gli sia successo, e noi gli crediamo anche se non lo abbiamo mai visto accadere. Per cui, ogni tanto, ci siamo ritrovati a rispondere proprio a questa domanda: cosa fare del pulled pork avanzato? La risposta più ovvia è: mettetelo da parte, magari in sacchetti monoporzione e congelatelo: in questo modo, al bisogno, quando vi prende quel certo languorino, potete tappare il buco allo stomaco con qualche etto di pulled pork, magari alle due di notte, magari con sei kg di maionese, magari accompagnandolo con una frittata di cipolle. Come fare? Se lo avete conservato per bene insieme ai suoi succhi di cottura, lo fate rinvenire nel forno a microonde. Stop. Tuttavia, può succedere che qualcuno abbia voglia di qualche ricetta un po’ più sfiziosa, elaborata, soddisfacente anche nella preparazione. E qui ci rivolgiamo soprattutto alle signore e alle signorine all’ascolto, che sicuramente non sciuperebbero mezzo kg di pulled pork mangiandolo alle due di notte in piedi davanti al bancone della cucina, ma vorrebbero divertirsi cucinando qualcosa di più strutturato (che poi non è vero, basta con questi stereotipi: anche se sei una donna, se non hai mai mangiato qualcosa alle due di notte in piedi davanti al frigo o al bancone, non hai mai vissuto davvero!).
Ingredienti per una torta salata: 300 g di pulled pork / una cipolla rossa / 10-15 pomodorini rossi / una confezione di pasta sfoglia / olio extravergine di oliva q.b. / uno spicchio d’aglio / due uova / sale e pepe q.b. / un peperoncino verde
PREPARAZIONE 1. Fate rinvenire il pulled pork nel forno a microonde insieme ai suoi succhi. In un pentolino, fate appassire nell’olio la cipolla affettata finemente. Salatela e tenetela da parte.
3.
Lavate i pomodorini e tagliateli a metà, poi fateli cuocere per pochi minuti in un pentolino dove avrete fatto appassire uno spicchio d’aglio. Anche in questo caso, salateli e teneteli da parte.
4.
In una ciotola, sbattete le uova, aggiungete il pulled pork e mescolate. Aprite la confezione di pasta sfoglia, srotolatela insieme alla carta forno in dotazione su una teglia rotonda di alluminio, bucherellatela e poi versateci dentro il pulled pork con le uova, le cipolle, infine i pomodorini insieme al loro succo. Una macinata di pepe e poi rincalzate bene i bordi della torta.
5.
P r e d i s p o n e t e i l vo s t r o dispositivo per una cottura indiretta a circa 180° e mettete la torta a cuocere, chiudendo il coperchio. Fate attenzione, quando sarà bella dorata in superficie, controllate che sia altrettanto cotta sotto, altrimenti copritela con della carta forno per proteggerla nella par te superiore e proseguite la cottura finché non sarà pronta. Servite calda o tiepida, con peperoncino verde tritato finemente a piacere.
Questa ricetta, comunque, nasce proprio con l’intento di nobilitare l’avanzo di quel delizioso maiale affumicato e sfilacciato che ci ha rubato il cuor. Una confezione di pasta sfoglia (sempre che non abbiate voglia di prepararvela da soli), una cipolla, qualche pomodorino, due uova e un peperoncino. E la torta salata è pronta e fragrante: perfetta per un pranzo veloce ma anche per un aperitivo sfizioso in occasione di qualche grigliata in famiglia, ora che arriva la bella stagione e si moltiplicano le occasioni di organizzare feste all’aperto. E’ uno di quei piatti con cui andate proprio sul sicuro, perché piace a tutti. Noi abbiamo utilizzato il pulled pork affumicato e precotto del nostro Megastore: la versione senza pensieri e senza problemi, quella che potete fare anche in forno avendo la certezza che il risultato sarà eccezionale e nessuno si accorgerà della differenza rispetto a quello cucinato partendo dal prodotto crudo, con tutto l’impegno, il tempo e lo sbattimento che ci vogliono. In ogni caso, trovate in tanti numeri passati del BBQ4All Magazine e anche sul nostro sito (e sulla nuova App! La conoscete?) il procedimento per filo e per segno che vi insegna a cucinarlo anche da zero. Oppure, se avete acquistato la Masterclass, potrete vedere il video dettagliato e completo. Insomma, avete l’imbarazzo della scelta. L’importante è che il pulled pork, alla fine, avanzi. Ma, per essere sicuri, salvatene comunque un po’ quando è appena fatto, così avrete la scusa per preparare questa torta salata spettacolare.
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L'Arte Bianca a cura di Alessandro Trezzi
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a u q s a P i d o t a t i v e i l e d n a r g il
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I
l mondo della panificazione è letteralmente enorme; che si tratti di pizza, focaccia o pane, all’interno di ogni macro-categoria milita un numero imprecisato di prodotti e varianti. Negli ultimi anni, l’area dei cosiddetti grandi lievitati è stata ricoperta di attenzioni sempre più elevate, che sia per moda o per semplice riscoperta; complice anche l’avvento di attrezzature utilizzabili in contesti domestici, tantissimi appassionati si sono avvicinati a questa mania, mantenendo il proprio sacro lievito madre dopo il periodo natalizio e cominciando sin da subito a progettare le proprie colombe pasquali. Oggi, nel nostro spazio dedicato all’arte bianca, avremo modo di analizzare proprio quest’ultimo, ennesimo capolavoro dell’artigianalità italiana, indiscusso simbolo della Pasqua al pari delle uova di cioccolato. Scopriamo insieme di cosa si tratta.
Tra forma, storia e leggenda Una cosa è certa: il riferimento lampante di questo lievitato dolce è il volatile bianco simbolo di pace, apparso nell’episodio della Genesi in cui si parla del diluvio universale; al termine di questo evento, fu proprio una colomba a tornare da Noè, portando nel becco un ramoscello d’ulivo a testimonianza dell’avvenuta riconciliazione tra Dio e il suo popolo, la fine del castigo divino e l’inizio di una nuova epoca per l’umanità.
Nella realtà, la colomba come la conosciamo oggi è una tradizione nata per esigenze industriali più che tradizionali. Nei primi del Novecento infatti, l’azienda milanese Motta decise di confezionare un prodotto simile al panettone, ma con un aspetto legato alla Pasqua; nacque quindi la colomba, un dolce con un impasto simile e che tuttavia si arricchisce con una glassa all’amaretto.
L’obiettivo Trattandosi di un prodotto molto simile al gemello Panettone, la Colomba ne condivide per la maggior parte le stesse peculiarità a livello strutturale, gustativo e olfattivo. Si tratta di un dolce lievitato con una forma allungata centrale e due estremità laterali, a ricordare le ali del volatile. Si ottiene da un impasto a base di acqua, farina, burro, tuorlo d’uovo, frutta candita (arancio e/o cedro) e uvetta, più eventuali aromi; la glassa, invece, è realizzata con mandorle, zucchero, albume e fecola di patate. Deve avere una crosta bruna ma non bruciata, morbida, ben ancorata alla pasta, profumata e dal colore uniforme, senza collassi evidenti; l’interno deve essere omogeneo, non presentare punti con pasta troppo compressa ma nemmeno grossi alveoli, sono sintomo di una lievitazione non uniforme. La pasta deve essere di colore giallo acceso per il corretto dosaggio di uova, devono emergere in crescendo i profumi dovuti dalla base aromatica, la vaniglia, le scorze di agrumi e i canditi; la mollica deve essere morbida, né umida né asciutta, deve sfilacciarsi come cotone senza sbriciolarsi inesorabilmente, sintomo di una cottura troppo violenta e di un impasto secco, ma nemmeno appallottolarsi sotto le dita, un segnale diretto di umidità ancora troppo presente. I canditi devono essere distribuiti uniformemente, essere profumati, fortemente aromatici e dalla consistenza piacevole e mai gommosa.
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Ma come nacque il dolce? La leggenda vuole che, nel 572 d.C., il sovrano dei Longobardi Re Alboino riuscì ad occupare la città di Pavia il giorno della vigilia di Pasqua, dopo un assedio di circa 3 anni. Alboino, prima di uccidere gli abitanti e incendiare il paese, ricevette dal popolo stesso molti regali in segno di sottomissione. Tra questi vi erano 12 bellissime fanciulle, destinate ad allietare le notti del re; mentre stava ancora decidendo il destino di Pavia e dei suoi abitanti, si presentò davanti a lui un vecchio artigiano con dei pani dolci, che inchinandosi davanti al trono disse: “Sire, sono venuto a porgerti queste colombe, quale tributo di pace nel giorno di Pasqua”. Il Re assaggiò i pani, che apprezzò al punto da permettere la pace e rispettare per sempre le colombe; quando poi Alboino interrogò le giovani chiedendo loro il nome, tutte risposero di chiamarsi “Colomba”; egli capì l’inganno, ma decise comunque di rispettare la promessa e le giovani a lui donate.
Altra storia è quella della Battaglia di Legnano del 1176, quando i comuni lombardi sconfissero l’invasore Federico Barbarossa. Si dice infatti che, durante la battaglia, tre colombe bianche si fossero posate sopra le insegne lombarde, e il condottiero Carroccio ritenne che proprio i tre volatili avessero portato il suo esercito alla vittoria; per tal motivo, fece creare in loro omaggio un dolce con la stessa forma.
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Infine, macchie di colore sono segni di un impastamento condotto in maniera scorretta, cottura sbilanciata o irrancidimento preventivo. La glassa, al contempo, deve essere croccante e profumata, né dura né tantomeno umida e molliccia; deve rimanere ancorata alla pasta ed essere distribuita uniformemente. In ultimo, il test finale per un corretto grande lievitato sta nella shelf-life: come per il Panettone, un’ottima colomba artigianale deve durare almeno un mese, a testimonianza di un ottimo bilanciamento tra i lieviti, le parti grasse, lo sviluppo e la cottura.
Il lievito madre
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Perché le colombe migliori sono realizzate con il lievito madre? È presto detto.
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L’acidità apportata all’impasto grazie a questo particolare prefermento è in grado di conferire al glutine le caratteristiche necessarie per sostenere la massa durante tutte le fasi, per sorreggere il peso di ingredienti “tosti” come i grassi e le cosiddette “sospensioni” (uvetta e canditi), per sviluppare una mollica filante, e per garantire infine una shelf-life adatta allo scopo per cui i grandi lievitati sono stati
pensati: essere prodotti in anticipo e consumati anche un mese dopo. Tuttavia, va precisato che il lievito madre è una coltura complessa di lieviti e batteri con un delicatissimo ecosistema vivente, che cambia in continuazione ed è direttamente influenzato dalle operazioni fatte per il mantenimento. Si tratta di fatto di un impasto di acqua e farina lasciato maturare per un tempo più o meno lungo; durante questo periodo i lieviti e i batteri presenti nell’aria e nella farina avviano il processo di fermentazione. La sua gestione richiede una pratica di rinfresco costante a intervalli regolari, ovvero il nutrimento di questo organismo con nuova acqua e farina, e quindi nuovi zuccheri per i lieviti e un ambiente stabile per le reazioni enzimatiche. Ciò è fondamentale per mantenere il pH intorno al valore di soglia, ovvero 4.5, che tradotto significa avere un lievito madre dal profumo equilibrato simile a quello dello yogurt. Principalmente ne esistono due versioni, solida (con un’idratazione del 45-50%) e liquida (con un’idratazione del 100%). La seconda è senza dubbio indicata maggiormente per il pane, in quanto l’elevata presenza di acqua accelera l’attività enzimatica, regalando una maglia
glutinica più estensibile e un sapore più pungente, a causa della presenza di acido acetico e alcol; l’acidità pronunciata aiuta inoltre a far legare le proteine dei cereali più deboli e aumenta la croccantezza della crosta. Nei grandi lievitati, al contrario, si preferisce la versione solida in quanto si necessita di una struttura salda, spinta verso l’alto e una maglia glutinica solida grazie alla prevalenza di acidi organici, mollica morbida e aromatica grazie all’acido lattico. Tuttavia, il problema principale risiede nel fatto che non basta che un lievito raddoppi in 3 ore per essere considerato pronto, è fondamentale che sia bilanciato nei profumi e senza punte di acidità evidenti. Per questo motivo è importante una pratica di rinfresco serrato nel periodo precedente alla produzione. Il lievito solido viene spesso avvolto in un panno e legato per rallentare la fermentazione, o lavato in una soluzione di acqua e zucchero per disperdere i microorganismi indesiderati che ne rallentano l’azione, ma se avete rinfrescato correttamente circa 3 volte al giorno non dovreste mai averne bisogno.
La farina Come il gemello Panettone, anche la Colomba deve necessariamente sostenere il peso di ingredienti importanti come burro, uova e sospensioni; pertanto, la maglia glutinica deve essere in grado di intrappolare diamanti grossi un centimetro quadrato ed espandersi in altezza per parecchi pollici. Dimenticatevi la pratica assurda di prendere la prima farina che capita sullo scaffale; ora più che mai, vi porterebbe inevitabilmente al disastro. Così come mischiare il tutto con farine di cereali alternativi, impauriti dal fatto che il glutine possa recare danno al vostro organismo. Avremo bisogno invece di una farina di grano tenero con un W tra i 320 e i 350 e un P/L (il rapporto tra tenacità ed estensibilità) di 0.55; se faticate a reperire una materia prima con simili caratteristiche, in genere la Manitoba è più adatta a tali prodotti, ma considerate che ad oggi la maggior parte dei mulini mette in commercio miscele specificatamente consigliate per panettoni, pandori e colombe pasquali.
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Uova e grassi La scelta migliore è più comoda per quanto riguarda le uova è quella di procurarsi dei tuorli pastorizzati in brick, con minore possibilità di contaminazione che potrebbero rovinare il lievito madre con i batteri patogeni. Preferite sempre un burro di panna centrifugata o di pasticceria e mai da affioramento, in quanto l’acidità e la scarsa stabilità di quest’ultimo, oltre alla presenza di grassi assolutamente poco qualitativi, sono caratteristiche da evitare per gli importanti obiettivi di realizzazione della mollica, profumi e shelf-life.
La strumentazione
Tradizionalmente, per sospensioni ci riferiamo a uvetta, cedro e canditi; è importante sottolineare che sono tutti sostituibili, ma il contenuto zuccherino di queste tre dona la giusta umidità alla mollica; elementi come il cioccolato invece tendono ad asciugare l’impasto che necessità quindi di un maggiore contenuto di zucchero o di un minor quantitativo sul peso riservato alle sospesioni, circa il 30% in meno. Se dovreste usarlo, evitate le gocce, tritate delle barrette fondenti e conservatele in freezer fino all’ultimo momento per evitare che amalgamandosi si sciolgano colorando l’impasto.
Purtroppo (o per fortuna) è altamente sconsigliato impastare una colomba a mano. È infatti imperativo formare una corretta maglia glutinica in grado di assorbire in tempi relativamente corti grassi, uova, zucchero ed infine elementi di “disturbo” come le sospensioni, che interrompono la maglia glutinica se non aggiunte a dovere.
Il mix aromatico e la glassa
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L’invito è unico: partite sempre dal semplice per rendervi conto di profumi e soprattutto consistenze, e poi sperimentate. Una glassa dovrà sempre rispettare le caratteristiche principali di uniformità e friabilità, e un mix dovrà essere presente e percepibile ma mai invadente. Ergo, se la copertura sarà troppo dura o il mix troppo acido, saprete di aver sbagliato qualcosa nel bilanciamento complessivo.
Le sospensioni
Se non amate il cedro (come il sottoscritto) potete sostituirne la dose con pari quantità di arancio. Infine, è importante ricordare che l’uvetta va lasciata ammollare la sera prima, poi strizzata e ripesata prima dell’inserimento.
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è raro vedere professionisti e appassionati sperimentare per conferire ai prodotti una propria identità. Per tal motivo, nella ricetta troverete le mie indicazioni di partenza, ma sentitevi liberi di sperimentare a piacimento.
Queste due preziose miscele costituiscono, senza ombra di dubbio, le firme dell’artigiano; se è vero che generalmente contengono i medesimi ingredienti, non
Un’impastatrice professionale (a spirale o braccia tuffanti) è logicamente preferibile, ma una normale planetaria va assolutamente bene. In questo caso utilizzate il gancio a spirale e mai quello a uncino, in quanto dovete lavorare per tutta la lunghezza della ciotola; in mancanza preferite sempre la foglia. Altri strumenti necessari sono: • Tarocco; • Pirottini di carta per colomba; • Ferri da calza; • Termometro a sonda; • Bilancia digitale; • Ciotola ampia o contenitore a chiusura ermetica; • Bicchiere graduato; • Busta di propilene per alimenti, necessaria per la conservazione.
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INGREDIENTI
per 1 colomba da 1 Kg Mix aromatico: 20 g di miele di acacia; 1/2 bacca di vaniglia; la scorza di 1/4 di arancia con buccia edibile Glassa all’amaretto: 8 g di mandorle amare armelline; 100 g di zucchero; 8 g di farina di mais fine; 8 g di fecola di patate; 50 g di albume d’uovo; Primo impasto: 60 grdi lievito naturale solido al terzo rinfresco (la parte restante andrà rigenerata e conservata); 200 g di farina 320-250 W; 100 g di acqua; 60 g di zucchero semolato; 60 g di tuorlo d’uovo pastorizzato; 60 g di burro di panna centrifugata; Secondo impasto: Il primo impasto; 50 g di farina 320-250 W; Il mix aromatico; 2 g di sale fino; 50 g di zucchero semolato; 60 g di tuorlo d’uovo pastorizzato; 100 g di burro di panna centrifugata; 100 g di uvetta sultanina già ammollata in acqua calda e strizzata; 75 g di arancio candito in cubetti; 25 g di cedro candito in cubetti. Copertura: Zucchero in granella q.b. (facoltativo); Zucchero a velo q.b. (facoltativo).
Preparate poi la glassa tritando le mandorle amare, lo zucchero, farina e fecola; amalgamate poco a poco l’albume e verificate la consistenza, che non deve essere né liquida né dura. Coprite con pellicola e ponetela in frigo, e il giorno successivo toglietela al mattino e lasciatela a temperatura ambiente fino al momento dell’utilizzo. Calcolate i tempi precisi per il rinfresco del lievito e per il primo impasto per non diventare matti e dover lavorare di notte; un’idea potrebbe essere quella di fare 3 rinfreschi alle 8.00, alle 12.00 e alle 16.00 a distanza di 4 ore, e realizzare il primo impasto alle 20.00 in modo da essere pronti alle 8.00 del giorno successivo con il secondo impasto. Il primo rinfresco sarà con proporzione 1:1 tra lievito e farina (ad esempio 20 gr di lievito, 20 di farina, 10 di acqua), il secondo in rapporto 1:2 (20 di lievito, 40 di farina, 20 di acqua), il terzo sempre 1:2. Qualche ora prima del primo impasto lasciate il burro a temperatura ambiente che dovrà essere morbido, oppure passatelo pochi secondi nel microonde. PRIMO IMPASTO Preparate uno sciroppo unendo acqua e zucchero, versatelo nella vasca della vostra impastatrice o nella ciotola della planetaria e unite tutta la farina, la pasta madre a pezzetti e un terzo dei tuorli emulsionati con una forchetta. Lasciate lavorare al minimo della velocità attendendo che l’impasto si formi; aggiungete poi i tuorli rimanenti, poco alla volta e solo quando la precedente quantità sarà assorbita, dopodiché fate lo stesso con il burro e terminate fino a chiusura ultimata. L’impasto deve presentarsi liscio, setoso, elastico e omogeneo, e tirandolo con le dita dovrà diventare sottile come un velo. La durata del primo impasto sarà di circa 20
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35 g di mandorle dolci grezze;
PREPARAZIONE Preparate il mix aromatico il giorno prima grattugiando la scorza di arancia, mescolate con miele e la polpa della vaniglia, coprite con pellicola e lasciate macerare in frigorifero per 24 ore. Mettete in ammollo la sera prima l’uvetta in acqua calda per mezz’ora, sciacquate bene e rimettete a bagno in acqua tiepida per almeno 5 ore, poi scolatela, strizzatela e lasciatela asciugare in un canovaccio tutta la notte.
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minuti, e dovrete fare attenzione a non superare mai i 27 °C per impedire ai lieviti di lavorare troppo velocemente intaccando la solidità della struttura. In caso fermatevi e mettete per qualche minuto il tutto in freezer o in frigorifero per far scendere la temperatura. Ribaltate la massa sul piano da lavoro, staccatene un piccolo pezzo da usare come “spia di lievitazione” e pirlatelo con le mani o con il tarocco, ricavando una palla liscia, asciutta e sostenuta. Riponete l’impasto nel contenitore a chiusura ermetica e la spia nel bicchiere graduato, segnando il livello di partenza con un elastico e coprendo il bordo del bicchiere con della pellicola. L’impasto dovrà triplicare di volume, a 28°C (va benissimo il vostro forno spento con la luce accesa) per circa 12 ore; se l’impasto tuttavia non dovesse essere pronto piuttosto aspettate, in quanto potreste ritardare lo sviluppo successivo e soprattutto avere un prodotto finito con un’alveolatura più chiusa.
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SECONDO IMPASTO Il mattino seguente, dopo che il primo impasto sarà triplicato, unite la spia e mettete tutto in frigorifero 30 minuti per abbassare la temperatura iniziale. Ricordatevi al contempo di togliere la glassa dal frigo. A questo punto inserite nella vasca dell’impastatrice o nella ciotola della planetaria il primo impasto e la farina e lavorate a velocità minima fino a completo assorbimento; dovete riuscire a formare una maglia salda e resistente, impastando per almeno 15 minuti. Aggiungete lo zucchero in tre riprese avendo cura che la parte precedente sia amalgamata prima di aggiungete la successiva.
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A questo punto unite il sale, poi i tuorli in tre riprese, poi il burro in altre tre; l’alternativa è quello di creare una crema con burro e uova in modo da velocizzare l’inserimento evitando di surriscaldare l’impasto. Aggiungete infine il mix aromatico e continuate fino ad ottenere un impasto elastico, liscio, omogeneo e dalla maglia sottile. A questo punto aggiungete tutte le sospensioni e fate girare finché la massa non avrà raccolto tutta la frutta.
PUNTATA Riponete tutto in un contenitore e lasciate riposare 30 minuti, dopodiché ribaltate sul piano e lasciate asciugare all’aria 15 minuti. Nelle colombe glassate si usa mettere sempre un 10% in meno di peso rispetto alla taglia, per compensare il peso nella glassa; dovremo quindi avere 900 g di impasto, nonostante la ricetta sia da 1 kg per evitare che, perdendovi qualcosa durante il processo, vi ritroviate con peso insufficiente.
APPRETTO Pirlate il panetto con le mani o con il tarocco, e lasciate riposare altri 15 minuti. Dividete il panetto a metà, pirlate le due porzioni e cercate di allungare e di chiudere il taglio fatto con il tarocco. Avrete sostanzialmente due filoni, lasciate riposare per 15 minuti e sistemateli poi nello stampo già messo su una teglia. Il primo dovrà coprire la parte più corta delle ali e dovrà essere leggermente piegato a U, con la curva verso una delle due estremità; il secondo dovrà invece essere incrociato sul sopra a formare la testa, il corpo e la coda.
Riponete a lievitare coprendo il bordo della carta con la pellicola, lasciando a 28 °C per 4/6 ore, fino a quando l’impasto non avrà superato la metà del bordo del pirottino. COPERTURA Pre-riscaldate il forno a 160°C in modalità statica e lasciate nel mentre la colomba all’aria senza pellicola per formare una sottile pellicina in superficie. Con una sac à poche o una spatola, create uno strato omogeneo di glassa sulla superficie, dopodiché cospargete con le mandorle grezze e, a piacimento, anche con della granella di zucchero e/o zucchero a velo. COTTURA Infornate posizionando la teglia nella parte più bassa, in quanto sviluppando c’è il rischio che la cupola tocchi la resistenza o bruci. La Colomba sarà pronta quando avrà raggiunto al cuore una temperatura di 94°C, impiegando circa 50-55 minuti per le forme da 1 kg. RAFFREDDAMENTO Sfornate, infilzate alla base con due ferri da calza, capovolgete delicatamente e lasciate in questa posizione sospeso per almeno 2 ore; in mancanza di un sostegno potete utilizzare una pentola ampia appoggiando i ferri sul bordo. Trascorso questo periodo rimuovete i ferri e attendete altre 10 ore. MANTENIMENTO Nebulizzate in una busta di propilene per alimenti dell’alcool puro a 95°, che sanificherà il tutto e ridurrà il rischio di formazione di muffe, inserite il vostro dolce e chiudete con un nastro. Un qualsiasi grande lievitato così conservato può durare anche 60 giorni, ma trascorso questo lungo periodo potrebbe non essere più soffice e fresco come un tempo. Per permettere a sapori e profumi di amalgamarsi e sprigionarsi al meglio è preferibile attendere almeno 5 giorni e non superare i 15, in modo da gustarlo senza compromessi valorizzando il lavoro fatto. BBQ4All Magazine
Forza, correte a impastare i vostri capolavori!
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Poke, alcolici e happy hour: Across the Pond a cura di Elena Ninotti
come lo fanno in America
I
mpossibile pensare al poke o poké senza associarlo all’happy hour nei bar americani. Il momento dell’aperitivo, qui in USA, in realtà è più simile al concetto spagnolo delle tapas, piuttosto che al nostro apericena; i ristoranti, infatti, sono aperti no stop dalle 12.00 pm alle 9.00 pm, ma durante l’intervallo 3.00 pm - 6.00 pm si specializzano in versione aperitivo, offrendo gli antipasti in menù a prezzi ridotti. Si finisce quindi per fare una cena leggera a base di appetizer che accompagnano variopinti cocktail o una bottiglia di vino. Tra i piatti più serviti, almeno qui in South Florida, troviamo ostriche, crude o gratinate, sushi, ciotole di poke con vari ingredienti, alette di pollo e guacamole con tortillas appena fatte. Per quanto riguarda il bere, invece, agli americani piacciono molto i cocktail a base di vodka, tequila e rum. Arrivando dall’Italia, dove c’è un rapporto con il mercato delle bevande alcoliche abbastanza equilibrato e libero, si può avere uno shock quando ci si deve rapportare ai regolamenti in fatto di alcol vigenti negli USA. Sarà capitato a tutti di vedere, in un film, un personaggio che beve una birra nascosta in un sacchetto di carta. Dopo più di tre anni qui, posso dire che il 90% di quello che si vede nei film generalmente è vero! In effetti, se compri una birra, ti viene servita in un sacchetto che ne cela il contenuto, perché non è ammesso bere alcol per la strada. In realtà le leggi sono diverse da Stato a Stato e non nego che qui in Florida le normative siano davvero blande. Terra prediletta di Spring Breaker (cioè delle vacanze scolastiche, anche da college, in primavera)) e di trafficanti di alcol in pieno proibizionismo, La Florida ammette comportamenti che non sono tollerati in quasi nessun altro Stato.
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Come dicevo, le leggi cambiano moltissimo a seconda dell’orientamento dello Stato, e vi consiglio, in caso di viaggio, di informarvi nello specifico su cosa sia ammesso/tollerato/vietato presso la vostra meta.
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Alcune cose per noi sono davvero assurde. Le Blue Laws, o Leggi della Domenica, sono leggi che regolano o proibiscono la vendita di alcolici in certi orari, generalmente da sabato notte fino alla domenica dopo pranzo. Teoricamente dovrebbero permettere di osservare il “giorno del Signore” senza essere ubriachi. In realtà, chi vuole ubriacarsi non ha bisogno di comprare alcolici in questo orario, mentre è più facile che uno, invitato a pranzo la domenica mattina, non trovi una bottiglia di vino da portare agli amici, se non si è attrezzato per tempo. Fino a pochissimi anni fa, anche qui nel South Florida non era possibile acquistare alcol la domenica. In generale,
non si fa differenza tra birra e vodka, anche se per alcuni Stati viene utilizzata una normativa diversa. Qui in Florida, tra l’altro, le Blue Laws comprendono anche i sex toys. In Texas, le auto (sic!). Anche se in uno Stato è possibile acquistare alcol abbastanza facilmente, non è detto che non ci siano alcune sue regioni (contee) che sono dry (lett. secche, dove appunto la vendita di alcolici viene vietata). Ad esempio, in Florida, ci sono ben cinque contee dry. Altri Stati, soprattutto del Sud, hanno un numero ben maggiore di contee dry (il Kentucky ne ha 69 su 120!). In Massachussetts, invece, sono vietati gli happy hours e, in genere, tutte le promozioni che prevedono sconti sull’alcol (all you can drink, 2x1 ecc.) Una volta acquistato il vostro alcol, dovete comunque fare attenzione a come lo trasportate. Se la bottiglia è sigillata, potete caricarla in macchina tranquillamente. Se la bottiglia è aperta, ad esempio una bottiglia di vino avanzata dal ristorante, deve essere trasportata rigorosamente nel bagagliaio in modo non accessibile da chi è nell’abitacolo. In caso contrario, se veniste fermati da un poliziotto, scatterebbe automaticamente la denuncia per guida in stato di ebrezza, senza neanche dover fare il palloncino (e se, come me, avete solo un visto, questo comporta anche l’espulsione dagli USA per DUI - driving under the influence). A seconda degli dagli Stati si usa DWI oppure DUI, la sostanza è simile e non guarda in faccia a nessuno, tanto che una delle ultime vittime illustri è stato Bruce Springsteen.
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Per quanto riguarda i ristoranti, contrariamente a quanto siamo abituati in Europa, non è così scontato che abbiano un buon vino o una birra per accompagnare il vostro pasto. Qui da me la licenza per gli alcolici è presente praticamente in tutti i ristoranti ma, nel resto degli USA, spesso non è così. È tuttavia possibile, quasi ovunque, indipendentemente dalla presenza della licenza o meno, portare la
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propria bottiglia di vino e utilizzarla per il pasto. Talvolta viene applicato un corkage fee (diritto di tappo) per l’uso dei bicchieri e la disponibilità del gestore, che può andare da 5 a 100 dollari, ma nessuno vi guarderà male se portate il vostro vino pregiato o lo champagne millesimato al ristorante, anche se questo è presente sul loro menù. A seconda delle normative, potreste anche dover essere obbligati a portare via l’avanzo, perché il locale non ha la licenza per conservare alcol aperto. Un’altra cosa che colpisce molto, almeno chi non è cresciuto con queste limitazioni, è che al supermercato la rivendita di liquori è divisa dall’area vendita in cui sono presenti vino e birre. Se desiderate acquistare del rum o del gin, infatti, dovrete entrare in un punto vendita adiacente al supermercato, ma da esso ben separato. In ogni caso, tenete presente che dovrete sempre presentare la vostra carta d’identità o la patente per ogni acquisto di alcolici che effettuerete, anche se è ovvio che la vostra età ha superato di gran lunga i 21 anni! E acquistare birre o vino, con il servizio “spesa a casa” vi costerà un surplus del prezzo base, sia in termini di mancia che nei costi di consegna. A dispetto di queste normative, che sembrano atte a dissuadere dal consumo e abuso di alcolici, agli americani piace bere. Sicuramente in modo molto differente da come facciamo noi. In questi anni, ho visto mamme agli allenamenti di calcio dei pargoli con lattine di prosecco, bicchieri termici pieni di bianco, farsi un aperitivo con bicchieri (da 450 ml) riempiti di rosé. Alle 5.30 pm, tutti rigorosamente in happy hour! Ho visto povere Veuve Cliquot travasate in bicchieroni termici a feste per bambini, e domeniche pomeriggio a bordo piscina a base di bottiglie di vodka da due litri e cranberry juice.
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Se avete dei figli, infine, scordatevi di poter accedere a un bar. Quelli designati come tali, infatti, in cui si beve solo e non si mangia, non ammettono l’accesso sotto i 18 anni. Poco importa se la creatura ha venti giorni ed è nella carrozzina col suo biberon di latte. Ha meno di 18 anni e quindi non potrete accedere. Quasi tutti gli Stati hanno il limite a 18 anni per il consumo e a 21 per l’acquisto. Questo significa che, dai 18 ai 21, i ragazzi hanno la possibilità di consumare alcol sotto la supervisione dei propri genitori, mentre è ovunque illegale somministrare alcol ai figli altrui.
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Tornando al cibo perfetto per l’happy hour, il poke, negli ultimi anni, la fa davvero da padrone e viene proposto in tantissime variazioni, più o meno rigorose. Questo che vi propongo ci è stato presentato a Key West, nella punta più a sud degli USA ed è davvero perfetto per un aperitivo.
WANTON NACHOS POKE Ingredienti per 4 persone
Per i Nachos: una confezione di pasta per gyoza o wonton (nei negozi specializzati in prodotti asiatici). In alternativa, sfoglie per piadine fresche o tortillas di grano sottilissime. / olio per friggere q.b. Per il poke: 450 g di sushi grade ahi tuna / 4 cucchiai di cipollotto fresco sottile, tagliato diagonalmente a pezzetti di mezzo cm / uno spicchio di aglio tritato / 60 ml di salsa di soia /2 cucchiai di olio di sesamo / un cucchiaio di semi di sesamo tostati in padella /2 cucchiai di noci macadamia o cipolla fritta /un pizzico di peperoncino in fiocchi
PREPARAZIONE: 1. Tagliate il tonno a cubetti. Mescolatelo con tutti gli altri ingredienti e lasciate da parte 2.
Friggete la pasta per wonton tagliata a triangoli (o quello che avete deciso di usare) in olio profondo. Scolate e lasciate raffreddate su carta assorbente. Servite i Nachos coperti con il Poke di tonno. E’ possibile condire in superficie con ulteriori semi di sesamo e una salsa ottenuta mescolando maionese e shiracha (o altra salsa piccante).
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La sicurezza alimentare
The Chemical Griller a cura di Virgilio Brunetti
L'
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Homo Erectus è stato, circa 1,5 milioni di anni fa, il primo griller del pianeta: intorno al fuoco e grazie al fuoco la specie umana è sopravvissuta alle glaciazioni, ai predatori e ai parassiti ed ha sviluppato cultura, linguaggio e tutte le altre tecnologie legate alla combustione. Già prima di imparare a controllare il fuoco, l’uomo ancestrale aveva capito che una carne rubata ad un grande predatore o ad un animale necrofago era nettamente più sicura e appetibile se veniva cotta: i nostri antenati non si facevano certo molti problemi a consumare una un po’ di carne frollata al sole della savana e infestata da vermi e larve, ma scoprirono i vantaggi della cottura sopravvivendo e resistendo generazione dopo generazione a malattie, infezioni e infestazioni.
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Virus, batteri, funghi, protozoi e vermi ci hanno accompagnato dalla preistoria ad oggi spesso facendoci ammalare tramite i nostri alimenti ed in particolare tramite la carne degli animali di cui ci nutriamo. Vi interesserà sapere che proprio grazie alla relazione ospite-parassita (in senso lato) molti animali hanno sviluppato un incredibile scudo biologico. Il parassitismo ha portato i mammiferi, uomo compreso, a sviluppare un sistema immunitario molto efficace in grado di difenderci da questi aggressori in una lunga e sanguinosa corsa agli armamenti. Il sistema immunitario di fatto è stato per lunghissimo tempo l’unico vero alleato contro qualsiasi infezione fino alla scoperta della penicillina.
Molti agenti eziologici aggressivi hanno flagellato l’umanità generando flessioni importanti su alcune popolazioni, alcune delle quali sono state portate all’estinzione. I conquistadores ebbero come migliori alleati proprio le malattie introdotte nei territori vergini delle Americhe dove le popolazioni non erano mai state esposte agli agenti eziologici di malattie come morbillo, influenza, tifo e peste. Tuttavia gli europei hanno guadagnato la loro immunità a loro spese sopravvivendo alle pandemie apocalittiche che hanno modificato pesantemente la storia del nostro continente. Ad esempio già Tucidide (Storie, II, 47-54) descrive la peste di Atene che colpì la città-stato durante il secondo anno della Guerra del Peloponneso (430 a.C.); da allora la peste ha flagellato a più riprese il continente europeo. Yersinia pestis, l'agente eziologico della peste nera, è una tipica zoonosi: una patologia che si trasferisce da animale a uomo. La peste
infatti è trasmessa da topi, ratti, scoiattoli, conigli, lepri, marmotte e l'infezione avviene attraverso un vettore, in questo caso le pulci, che rigurgitano il contenuto batterico al pasto successivo. Il passaggio all’uomo avveniva maggiormente in particolari condizioni climatiche dove le pulci, incapaci di digerire il sangue del loro ospite roditore, attaccano indiscriminatamente anche l’uomo, compiendo in questo modo il salto di specie. In questo contesto anche oggi le zoonosi sono la spina nel fianco della sanità mondiale; la disastrosa p andemia causata dal SARS-CoV-2 è a tutti gli effetti una zoonosi: è accertato che pipistrelli e visoni siano capaci di trasmettere il coronavirus all’uomo. Altre zoonosi note e di interesse
sanitario sono: la malattia da virus Ebola; Infezione da HIV (derivata da una popolazione di scimmie); toxoplasmosi; salmonellosi, campilobatteriosi e altre infezioni di origine alimentare; epatite A; rabbia; le infezioni da Virus Zika; MERS (Middle East Respiratory Syndrome, diffusasi a partire da cammelli nel Medioriente); SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome). La malaria è una zoonosi protozoaria che ogni anno genera fino a 700mila morti. Il terrore più grande della sanità mondiale tuttavia è rivolto verso i virus influenzali pandemici di origine aviaria; basti pensare all’influenza spagnola, una pandemia influenzale di natura virale ed insolitamente mortale, che fra il 1918 e il 1920 uccise milioni di persone nel mondo.
Adesso dovreste sentirvi abbastanza turbati, probabilmente come lo ero io dopo i miei esami di microbiologia e parassitologia, ma resistete, perché veniamo al punto dolente: proprio gli animali di interesse alimentare e gastronomico sono importanti serbatoi di alcune zoonosi. Le zoonosi veicolate da alimenti sono provocate dal consumo di cibi o acque contaminati da microrganismi patogeni. Gli agenti patogeni penetrano nell’organismo attraverso il tratto gastrointestinale, a carico del quale si manifestano di solito i primi sintomi. Molti di questi microrganismi si trovano frequentemente nell’intestino di animali sani destinati alla produzione alimentare. Il rischio di contaminazione è presente dall’azienda
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Il pesce crudo o marinato deve essere abbattuto per evitare infestazioni da Anisakis.
produttrice alla tavola e rende pertanto necessari interventi di prevenzione e controllo lungo tutta la filiera. Le più comuni malattie di origine alimentare sono causate da Campylobacter, Salmonella, Yersinia, E. coli e Listeria. Le malattie zoonotiche da alimenti rappresentano una seria e diffusa minaccia per la salute pubblica a livello mondiale. Nell’Unione europea vengono riferiti ogni anno nell’uomo oltre 320.000 casi, ma il numero effettivo è probabilmente più elevato. Per proteggere i consumatori l’Unione Europea ha adottato un approccio integrato alla sicurezza alimentare dall’azienda produttrice alla tavola, che consiste in misure di valutazione e di gestione dei rischi. L’approccio è affiancato da efficaci e tempestive attività di comunicazione del rischio.
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Ma come si contaminano gli alimenti?
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La contaminazione può avvenire in qualsiasi punto della catena: in azienda, in fase di lavorazione (ad esempio durante la macella-
zione) o durante la preparazione; Può verificarsi anche in ambiente domestico se il cibo viene maneggiato o cucinato in modo scorretto o se per esempio viene deliberatamente non cucinato e consumato crudo. Nonostante le precauzioni adottate a monte nulla può proteggerci da una tossinfezione alimentare o da una parassitosi se consumiamo alimenti non adatti al consumo crudo. I prodotti ittici come pesci, molluschi bivalvi, cefalopodi e crostacei possono essere consumati crudi solo a determinate condizioni che devono presupporre produttori virtuosi e una filiera controllata, altrimenti meglio rinunciare.
L'anisakidosi o anisakiasi è un'infezione parassitaria del tratto gastrointestinale causata dall'ingestione di pesce crudo o non sufficientemente cotto contenente le larve di parassiti (nematodi) (Anisakis, Pseudoterranova e Contracaecum). Il ciclo vitale di questo parassita potrebbe far rabbrividire i produttori della saga di Alien, ma in questo caso l’incauto essere umano è solo un componente accidentale che manda in cortocircuito il ciclo vitale del verme causando danni anche gravissimi all’intestino dell’ospite. I parassiti si mantengono nell'ambiente marino attraverso un ciclo che coinvolge i mammiferi marini (balene, foche, delfini) i quali, nel ruolo di ospiti definitivi, accolgono i parassiti adulti nel loro intestino e nello stomaco. Attraverso le feci i mammiferi marini rilasciano le uova, che dopo la schiusa vengono ingerite dai primi ospiti intermedi, piccoli crostacei che formano il cosiddetto krill, dove si sviluppa la larva di I stadio (L1). Il krill a sua volta viene mangiato da un secondo ospite
Nel Mediterraneo il parassita è estremamente diffuso e vi sono specie di pesci, quali lo sgombro e il pesce sciabola, che raggiungono il 70-100% di infestazione nel pescato. La prevenzione è sempre il metodo più efficace per evitare l’infestazione:
intermedio, che è un pesce o un mollusco, nel quale le larve passano al II e III stadio larvale (L2 e L3). Quando un pesce o mollusco infetto viene mangiato da un mammifero marino, la larva, nello stomaco e nell'intestino, diventa verme adulto e chiude il ciclo di riproduzione. Nei pesci di interesse commerciale sono quindi presenti le larve del parassita.
Le larve di anisakidi misurano da 1 ai 3 centimetri (cm) e sono visibili a occhio nudo nella cavità addominale, nell'intestino, sul fegato, sulle gonadi e nei muscoli dei pesci. Hanno una colorazione che varia dal bianco al rosato, sono sottili e tendono a essere arrotolate a spirale su se stesse. Il rischio di contrarre l'infezione è dato dall'abitudine di consumare pesce crudo o poco cotto. L'infezione infatti è molto frequente nei paesi dove il pesce viene mangiato crudo, leggermente sottaceto o sotto sale: Scandinavia (fegato di merluzzo), Giappone (consumo di sushi e sashimi), Olanda (aringhe fermentate), Bacino del Mediterraneo (alici crude o marinate) e costa Pacifica del Sud America (insalata di mare nota come ceviche).
I molluschi bivalvi di interesse gastronomico sono filtratori (mitili, ostriche, vongole, ecc) e devono essere opportunamente stabulati e trattati al fine di ridurre al minimo la carica
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L'uomo si infetta mangiando pesci o molluschi crudi o poco cotti contenenti le larve in stadio III (L3), che nel tratto gastrointestinale causano gravi disturbi e/o reazioni allergiche. Le larve che infettano l'uomo non si sviluppano diventando parassiti adulti, ma sono destinate a morire, quindi l'uomo non elimina uova alimentando il ciclo del parassita. Inoltre, non è possibile una trasmissione da uomo a uomo, in quanto l'infezione avviene solo attraverso l'ingestione di
larve vitali negli ospiti intermedi (pesci o molluschi).
Il congelamento e la cottura di pesci e molluschi sono i due metodi più efficaci per evitare l'infezione da anisakidi. Per prevenire l'anisakidosi si consiglia di: • togliere le viscere dal pesce prima possibile in modo da diminuire il rischio del passaggio delle larve dalla cavità viscerale ai muscoli (le parti che si mangiano) • assicurarsi che il pesce nella sua totalità, anche le parti più grosse, sia congelato a -18°C per almeno 96 ore (solo i congelatori industriali o quelli domestici a tre o più stelle possono raggiungere questa temperatura). Solo dopo questo trattamento si potrà consumare il pesce crudo (sushi, sashimi, carpacci, pesce affumicato a freddo, pesce marinato) o poco cotto • cuocere il pesce, tenendo conto che, per avere la certezza di aver ucciso le larve, l'interno del pesce, anche nelle parti più grosse, deve raggiungere una temperatura superiore ai 60°C per almeno 10 minuti.
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batterica accumulata. Se “non avete gli anticorpi” o non siete vaccinati e andate a fare una mangiata di crudo al porto di Bari, di Gallipoli o Taranto (le capitali pugliesi del crudo di pesce) non potete essere mai certi di non portarvi a casa un ospite indesiderato. È altrettanto reale il rischio di poter contrarre il tifo ed epatite A proprio attraverso il consumo di molluschi poco controllati. Tifo ed Epatiti ormai sono malattie curabili ma possono comunque lasciare segni indelebili sulla nostra salute. Potete contrarre allo stesso modo queste patologie consumando uova crude e pollo poco cotto.
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Un altro agente eziologico estremamente pericoloso è Vibrio vulnificus responsabile delle “Infezione da Batteri Mangia Carne” proprio perché può provocare sepsi e genere necrosi dei tessuti. Normalmente per via alimentare porta a una “normale” gastroenterite ma il se il batterio penetra attraverso la cute danneggiata provoca infezioni necrotizzanti (cellulite infettiva prima, fascite necrotizzante). Se dal
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tratto gastrointestinale o dalle superfici epiteliali traumatizzate raggiunge il circolo ematico, il Vibrio vulnificus può indurre la sepsi. Il Vibrio vulnificus si contrae soprattutto tramite l'ingestione di polpa di riccio di mare, molluschi, maggiormente ostriche e crostacei crudi o poco cotti. Attenzione! Vibrio vulnificus non sono il risultato dell'inquinamento, quindi sebbene i frutti di mare debbano sempre essere ottenuti da fonti affidabili, mangiare quelli provenienti da acque "pulite" o in ristoranti rispettabili, con un elevato turnover, non fornisce protezione dall'infezione. Neppure mangiare ostriche e cozze crude con una salsa piccante uccide i vibrioni.
Neppure bere alcolici, contrariamente alla credenza diffusa. Solo il calore può distruggere il Vibrio vulnificus. Oltre al trattamento termico, chiaramente, è utile l'adozione di buone pratiche igieniche durante la produzione e la trasformazione dei prodotti ittici. Le carni suine di norma, come retaggio dei tempi andati, vengono consumate “ben cotte”: questo è quasi obbligatorio per quanto riguarda i suini allevati allo stato brado e semibrado e il cinghiale, soprattutto da cacciagione. I nostri genitori e i nostri nonni sapevano bene che la carne suina poteva essere vettore di parassiti intestinali pericolosi, principalmente teniasi. Le tenie sono vermi piatti che vengono spesso chiamati “verme solitario” proprio perché un solo verme è capace di infestare l’intestino del suo ospite e impedire lui stesso infestazioni multiple. Le principali specie di interesse sanitario sono la Taenia saginata, Taenia solium e Diphyllobothrium latum (note rispettivamente anche come "tenia bovina", "tenia suina", "tenia dei pesci"), quindi capirete che potrete ritrovarvi un vermone nell’intestino anche nel caso di consumo di carni bovine
e pesce crudo (salmone selvaggi ad esempio). Lì dove insorgano promiscuità con allevamenti non controllati e scarsa igiene è possibile contrarre una pericolosissima cisticercosi e la neurocercosi ovvero la localizzazione delle forme incistate del verme nel tessuto cerebrale. La prevenzione delle teniasi si attua mediante controllo delle filiere, cottura o abbattimento del prodotto. La carne suina poco cotta in alcune condizioni può essere causa di trichinellosi. Anche in questo caso controllo della filiera e temperature poco superiori ai 60°C sono misure di prevenzione molto efficaci. Diversamente l'uomo può contrarre l'infezione consumando carni suine crude o malcotte infettate da Trichinella, un verme nematode che in forma di cisti può arrivare al nostro stomaco. Grazie al pH acido e agli enzimi gastrici le cisti si attivano e le larve migrano nel tratto intestinale, dove iniziano un nuovo ciclo vitale. Nell'arco di sei settimane, le femmine di Trichinella rilasciano le larve che successivamente si incistano, causando dolore, febbre e, nei casi più gravi, morte.
Per prevenire la BSE o "malattia della mucca pazza" la Comunità Europea ha adottato intensi piani di sorveglianza su tutto il territorio comunitario, per rilevare eventuali nuovi casi di malattia e prendere i provvedimenti sanitari necessari. I controlli sono affidati al Servizio veterinario di ogni Azienda USL. In caso di animali con sintomi sospetti (aggressività, digrignamento dei denti, tremori, movimenti esagerati, cadute) gli allevatori hanno l'obbligo di denuncia al Servizio veterinario dell'Ausl. Qualsiasi animale morto, abbattuto o regolarmente macellato di età superiore a 48 mesi e, in casi specifici, già dai 24 mesi, deve essere sottoposto dal servizio veterinario ad un test di laboratorio per escludere la malattia.
È bene ricordare che le carni bovine importate sono, in realtà, tanto sicure quanto quelle prodotte in Italia. E lo dimostrano anche i numeri: circa un terzo delle carni bovine consumate in Italia proviene da paesi extra-UE. La qualità delle carni bovine provenienti dai Paesi extra-UE è garantita dai numerosi controlli pre e post-importazione e dal rispetto delle norme relative a tracciabilità ed etichettatura. Per poter essere consumate in Italia, le carni bovine importate devono infatti risultare conformi a specifiche garanzie igienico-sanitarie stabilite dalla normativa comunitaria di settore. Forse è superfluo ricordarlo, ma lo faccio lo stesso: i prodotti che potete trovare nel nostro Megastore sono ovviamente tutti controllati seguendo le norme di legge e possono farvi dormire sonno tranquilli anche dopo aver letto questo articolo che, me ne rendo conto, può essere un tantino ansiogeno. Ma è proprio da questa consapevolezza che deve nascere la spinta a cercare un prodotto sempre sicuro e che non vi faccia correre nessun rischio.
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Sebbene il consumo della carne bovina cruda o poco cotta sia sostanzialmente sicuro non possiamo non ricordare che questa abitudine ci espone sempre e comunque a malattie prioniche. I prioni non sono definibili “esseri viventi” ma sono entità biologiche responsabili di alcune patologie capaci di generare sintomi gravissimi e morte anche dopo lunghissimi periodi di incubazione. I prioni maggiormente conosciuti e
temuti sono quelli che danno origine alla "Bovine Spongiform Encephalopathy" (BSE), anche detta morbo della "mucca pazza"; questi sono costituenti del tessuto nervoso e la loro modificazione strutturale determina delle lesioni "spugnose" (fori e trabecole) nel cervello dell'animale e, con altissime probabilità, anche in quello dell'uomo.
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IL BARK SPIEGATO BENE FROM ZERO TO HERO
a cura di Michela Bongiorni
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e siete da tempo incuriositi dal mondo del BBQ, anche se vi autodefinite ancora “neofiti” dal punto di vista della pratica, avete comunque fatto amicizia con una delle tante parole straniere che popolano il nostro mondo: bark. Sapete a grandi linee cosa sia, sapete soprattutto che, durante le vostre esperienze molto birrose e divertenti in griglia, il bark è uno degli obiettivi da cui non si può prescindere: solo se è presente si può cominciare a parlare di un buon risultato. Ovviamente poi ci sono diversi altri parametri da tenere in considerazione, ma è altrettanto vero che no bark, no BBQ!, per parafrasare una vecchia pubblicità. Dunque cerchiamo di fare un piccolo approfondimento su cosa sia davvero e come si formi il bark, e perché sia così fondamentale ottenerlo. Per coloro che ancora hanno bisogno di capirlo a fondo, questo articolo sarà illuminante. Per chi invece già mastica di BBQ da anni...beh, repetita iuvant.
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Cosa significa bark
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In inglese la parola ha due diversi significati, ma nel nostro caso uno di questi rende benissimo l’idea di che cosa stiamo parlando: corteccia, scorza. In effetti se ci pensate quella crosta color mogano, spessa, croccante e ruvida che si for-
ma sul vostro pulled pork o sul brisket assomiglia davvero alla corteccia di un albero. È il risultato di un’intera catena di reazioni chimiche, tra cui la ormai ben nota reazione di Maillard e la polimerizzazione delle proteine. Mi è capitato, a volte, che qualcuno ancora molto alle prime armi confondesse quella crosta buonissima con una carbonizzazione superficiale del pezzo di carne dicendo: no, ma qui ti mangi il carbone! In realtà, se ben fatta, quella corteccia croccante non è affatto carbonizzata, non è amara, non è una cosa da scartare o da grattare via: è la magia del Low&Slow, dove calore, fumo, carne e spezie lavorano insieme per arrivare al risultato. Questo cosa significa? Che se il bark è formato, ma è troppo scuro (quasi nero), odora di posacenere ed è amaro, durante la cottura qualcosa è andato storto. Non basta quindi che il bark si formi, deve anche essere fatto bene e rispettare dei parametri fondamentali: • colore: mogano, più o meno scuro, non carbonizzato. • consistenza: croccante, non gommoso o troppo duro. • sapore: delizioso, speziato, piccante, non amarognolo
Come si forma il bark Tutto ha inizio con il rub, ovvero quella miscela di spezie che andate a distribuire sul pezzo di ciccia. Alcuni ingredienti presenti in questa miscela sono solubili in acqua, mentre altri sono liposolubili. Quando la carne dentro il vostro dispositivo inizia lentamente a scaldarsi, l’umidità presente al suo interno comincia a evaporare dissolvendo gli ingredienti idrosolubili. Nel frattempo, anche il grasso presente all'interno della carne inizia a sciogliersi, fuoriuscendo attraverso la superficie dove incontra gli ingredienti liposolubili. E’ a questo punto che si forma una pasta granulosa e appiccicosa: è lo strato esterno della nostra corteccia, chiamato anche spice crust.
la maggior parte dell'umidità della carne è evaporata e la crosta inizia ad asciugarsi. Le proteine della carne si raggruppano sotto la crosticina e formano dei polimeri induriti. A questo punto, entra in gioco la Reazione di Maillard facendo dorare lentamente il bark, mentre nel frattempo le particelle di fumo si attaccano alla crosta cambiando gradualmente il suo colore, da un marrone abbastanza chiaro a un mogano profondo. Inoltre, alcuni dei gas nel fumo, come l'ossido nitrico o il monossido di carbonio, penetrano in profondità e reagiscono con la mioglobina della carne, creando il famoso Smoke Ring. Al termine di queste reazioni chimiche, se tutto è andato bene, ciò che rimane è un pezzo di di ciccia succulento con un bark esterno croccante, profumato, molto speziato e delizioso.
Qualche tempo dopo (di solito un paio d’ore o più),
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I fattori che determinano la formazione del bark sono dunque cinque: #01 RUB A seconda dei diversi ingredienti all’interno del rub- che di base contiene comunque quasi sempre sale, pepe, paprika e zucchero- il risultato cambierà in termini di gusto, consistenza e spessore. Una cosa importante che dovete sempre tenere a mente è: mai eccedere col rub! Usandone una quantità esagerata non si formerà una crosta più spessa ma, al contrario. si formerà facilmente una pappa molliccia che farà fatica ad asciugarsi. Siate sempre accorti nel distribuire il rub sulla carne. #02 FUMO Più a lungo la carne verrà lasciata ad affumicare, più scuro sarà il colore del bark. Inoltre, anche il tipo di legno influenza il colore: non tutti i legni producono lo stesso punto di mogano, che può essere più o meno intenso, più o meno scuro, più o meno rossastro. Sperimentate. #03 UMIDITÀ A un certo punto, l’evaporazione dei liquidi presenti all’interno della ciccia porterà a uno stallo. Ne abbiamo già parlato in un articolo su qualche numero fa: succede quando durante la cottura la temperatura interna della carne smette di salire, anzi in alcuni casi diminuisce di qualche grado. A questo punto si può scegliere di avvolgere la carne in foil, per superare questa spiacevole situazione. Tuttavia, se questa operazione avviene quando il bark non è ancora ben formato, potrebbe succedere il disastro. Per questo motivo, alcuni scelgono di non andare in foil, allungando il tempo di cottura a bassa temperatura. #04 GRASSO Troppo grasso superficiale è nemico del bark. Tuttavia toglierlo tutto significherebbe non avere quell’aiuto necessario a tenere succoso il pezzo di carne e a sciogliere i componenti liposolubili del rub, che sono fondamentali per la formazione di un buon bark. La soluzione dunque è quella di toglierne solo l’eccesso, tenendone la quantità necessaria che ci aiuti a raggiungere il nostro scopo.
Godetevi le vostre cotture e buon bark a tutti!
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#05 TEMPERATURA È sicuramente una delle variabili più importanti da tenere sotto controllo. Con una temperatura troppo bassa, il bark non si formerà bene, con una troppo alta il rischio è quello di bruciare tutto. Ovviamente, tutti sapete che la temperatura ideale per cuocere in Low&Slow è di 107°C-110°C. Tuttavia, non è semplice tenere per 8 ore - o più - il dispositivo incollato a quella temperatura: ci sono per forza delle oscillazioni. Diciamo dunque che finché rimanete nel range compreso tra 107°C e 125°C, potete comunque stare tranquilli. Ma siamo sicuri che voi diventerete dei maghi del BBQ e imparerete a stabilizzare il vostro dispositivo in modo impeccabile, grazie a tutti i nostri consigli.
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La ricetta scientifica a cura di Gianfranco Lo Cascio
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LA RICETTA SCIENTIFICA
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“I vostri avi la chiamavano magia e voi la chiamate scienza. Io provengo da un luogo dove sono la medesima cosa.” Ve la ricordate questa scena del famoso film Marvel, quella in cui Thor, dio del Tuono di Asgard, spiega il cosmo all’astrofisica Jane Foster? Per certi versi pure io vengo da un posto, il mondo della cucina, in cui magia dei sapori e scienza delle reazioni si sovrappongono. E il fatto che sono un patito dei film sui supereroi non c’entra niente con quello che segue eh, ve lo giuro. Il cuoco grigliatore, se ci riflettete, può essere stregone e scienziato insieme: spesso è chiamato a mischiare polveri o legare liquidi per dare vita a filtri e pozioni capaci di cambiare le sorti di un piatto; ancora, più semplicemente, è chiamato a risolvere un problema. Sarà la barba che cresce vigorosa, ma oggi mi sento tanto Albus Silente (il famoso mago) e voglio insegnarvi quattro ricette per migliorare il flavour profile, più banalmente il sapore, della vostra carne, tenere a bada le fiamme del grill e benedire ogni pietanza di umami con l’aggiunta di una semplice polverina. BBQ4All Magazine
Curiosi di iniziare con la scuola di Hogwarts?
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POZIONE #01:
Mai dire Maillard Cos’hanno in comune un pollo perfettamente dorato, una bistecca con la crosticina color mogano e un croissant appena uscito dal forno? Sono così belli, buoni e profumati grazie ad una reazione chimica che prende il nome dal medico francese Louis-Camille Maillard (si pronuncia: maiárd). Si tratta di un fenomeno meravigliosamente complesso: gli aminoacidi e alcuni zuccheri presenti negli alimenti reagiscono e formano dei sottoprodotti, che poi reagiscono tra loro, e poi ancora e ancora, fino a formare centinaia di molecole diverse. Che sono poi gli elementi che danno sapore e profumo al pollo fritto, alla braciola di maiale o al pane. COME FUNZIONA LA REAZIONE DI MAILLARD La reazione di Maillard si manifesta sensibilmente sopra i 130°C e dà il meglio di sé fino a circa 180°C. Sopra questa soglia, ci si avvicina allo stadio della pirolisi, ovvero quel fenomeno nefasto che può trasformare l’arrosto in uno scavo di Pompei. Al di sotto dei 130°C, la reazione rallenta; quello che succede in pochi minuti a 150°C richiede ore a 120°C o settimane a 60°C. PER DARE UN AIUTINO ALLA MAILLARD Potete controllare la reazione di Maillard intervenendo sulla quantità di zuccheri riducenti e la disponibilità di aminoacidi. Cosa intendo per zuccheri riducenti? Mi riferisco a glucosio, fruttosio, lattosio, maltosio e ribosio. L'aggiunta di uno di questi zuccheri sulla superficie di un pezzo di carne aumenterà la reazione e migliorerà il profilo del sapore. È possibile cambiare le sorti di una bistecca anche aumentando il pH, perché questo rende gli amminoacidi più disponibili a reagire. Un pizzico di bicarbonato di sodio quando si caramellano le cipolle vi farà risparmiare un bel po’ di tempo e svilupperà note dolci e profumate. Sapete perché i pretzel, quei pani attorcigliati tipici della Bavaria, hanno una patina marroncina e lucida? Perché vengono tuffati in un bagno di acqua e bicarbonato di sodio (molto basico) che migliora la reazione di Maillard. Elaborando questi dati, avete tutte le informazioni per preparare un’acqua di Lourdes per le vostre fiorentine. Prendete quindi il 100% di acqua in peso, aggiungete dall'uno al quattro per cento di zucchero riducente, come lo sciroppo di glucosio o di mais, e lo 0,25% di bicarbonato di sodio. Mescolate bene e spennellate un velo sottilissimo sulla carne prima di farla cuocere. Per farla breve vi occorrono:
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Ingredienti per 200 ml di pozione #1: • 200 g d’acqua • dai 2 agli 8 g (1/4 di cucchiaino o un cucchiaino) di sciroppo di glucosio/ sciroppo di malto/miele di acacia • 0,5 g di bicarbonato di sodio (un pizzico in pratica).
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Potete anche dare una prima scottata alla carne unta con olio e poi inumidirla con la pozione #1.
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POZIONE #02:
Maillard n°5 Questo intruglio può diventare un vero asso nella manica. Imbracciate un flacone spray pieno di questa magica miscela color mogano quando volete esplorare nuovi orizzonti di sapore, colore e consistenza. Si prepara con soli quattro ingredienti da dispensa e mette il turbo alla cara reazione di Maillard, aggiungendo sfumature di sapore dolce e affumicato, e intensificando i colori delle crosticine di rosolatura. È fenomenale sulle carni rosse e sulle verdure sostanziose - dai funghi, alle cosce di pollo, alle braciole di maiale, alle bistecche, alle costolette e alla punta di petto. Aggiungete una spruzzatina qui e aspergete un po’ là usatela ovunque per amplificare il gusto e aiutare i rub (i mix di spezie in polvere) ad aderire. Ingredienti per 250 ml di Maillard n°5: • 60 g melassa (potete sostituirla con lo sciroppo d’acero) • 90 g miele di acacia • 150 g di salsa Worcestershire • 35 g di fumo liquido (meglio se di hickory) Vi serviranno: 1. Bottiglia spray 2. Imbuto (opzionale) Procedimento Ci vorranno 5 minuti in tutto. Mescolate la melassa e il miele in una ciotola adatta al microonde e scaldate ad alta temperatura per 15 secondi. Questo renderà gli sciroppi più fluidi e più facili da mescolare con gli altri ingredienti. Aggiungete la salsa Worcestershire e il fumo liquido, agitate e poi trasferite in una bottiglietta spray, così risulterà più semplice spruzzare la pozione uniformemente sui cibi in griglia (o nel forno). Potete usarla anche nella cottura sottovuoto, la quantità di elisir da aggiungere al sacchetto dovrebbe essere il 2% del peso della carne. Questa quantità sarà sufficiente per insaporire le proteine scelte e penetrare più in profondità della superficie.
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Vi faccio un esempio: se avete 500 g di petto di pollo, aggiungete 10 g di pozione nel sacchetto. Spruzzatela di nuovo quando andrete a fare il searing (a creare la crosticina) sulla griglia o prima di finire la pietanza in forno.
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POZIONE #2 PERSONALIZZATA Sebbene la pozione sia davvero efficace così com'è, può diventare una base per decine di sperimentazioni. Un modo per personalizzare questo spray è quello di mettere in infusione spezie intere o peperoncini secchi nella Worcestershire, filtrandoli prima di aggiungerli alla miscela finale. Mi raccomando, mettete a bagno solo ingredienti interi o in pezzi grandi, così è più facile separarli. Vi sconsiglio di aggiungere spezie macinate, perché potrebbero intasare lo spruzzatore. Via libera agli oli essenziali, agli estratti, alle erbette come il rosmarino, il timo, la salvia o al pepe nero in grani. Usate la pozione come una salsa mop (da cospargere) sul pollo, stratificandolo per ottenere il massimo del sapore e della consistenza (Spray > rub > spray > rub). Fate attenzione però: non la spruzzate sui cibi che devono rimanere croccanti. COME SI CONSERVA LA POZIONE #2 Dato che contiene solo ingredienti da dispensa, potete conservare il flacone spray a temperatura ambiente. Se potete, procuratevi una bottiglietta di vetro scuro o ambrato per ridurre l'esposizione alla luce, che potrebbe causare reazioni fotochimiche indesiderate. Se pensate di conservare l’elisir per più di un mese, tenetelo in frigorifero e intiepiditelo prima dell’utilizzo (magari finisce prima…).
POZIONE #03:
Polisucco di mela È capitato a tutti i griller almeno una volta nella vita: ritrovarsi a domare quelle fiammate di Efesto che trasformano la bistecca perfetta in un sottobicchiere di catrame. Il mio polisucco di mela serve proprio a smorzare il sapore di bruciacchiato causato dalla carbonizzazione. Usato da solo, questo magico intruglio aggiunge note brillanti e rinfrescanti che bilanciano le sferzate affumicate e sapide dei cibi cotti in griglia. La componente acida è un’ottima alleata per rallentare la reazione di Maillard, poiché abbassa il pH sulla superficie del cibo. L'aceto di questa pozione fornisce abbastanza acidità da domare la reazione del calore radiante, "lavando" via parte del bruciacchiato dalla carne. Non serve solo a "recuperare" quelle parti carbonizzate, però. La mistura gialla è perfetta per esaltare il sapore delle proteine più magre come il petto di pollo e il pesce, o le verdure primaverili come gli asparagi.
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Ingredienti per 750 ml di polisucco di mela: • 150 g aceto di mele • 300 g succo di mela • 12 g fumo liquido • 300 g miele di acacia • 6 g scorza di limone grattugiata • 9 g timo fresco • 150 g succo di limone • 3 g pepe nero in grani
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Vi serviranno: 1. Barattolo da 500 ml 2. Setaccio a maglia fine 3. Bottiglia spray 4. Imbuto (opzionale)
Procedimento In un barattolo da 500 ml versate il miele, il fumo liquido, il succo di mela e l'aceto di mele e mescolate bene per amalgamare il tutto. Aggiungete il timo fresco, il pepe nero in grano leggermente pestato e la buccia di limone grattugiata. Lasciate in infusione a temperatura ambiente per 12 ore, per eseguire un’estrazione completa. Avete fretta? Se siete a corto di tempo potete accelerare la macerazione in questo modo: mettete tutti gli ingredienti in un pentolino e portate a ebollizione. Spegnete il fuoco, coprite con un coperchio e lasciate riposare la miscela per 15 minuti. Dopo il riposino di 12 ore, aggiungete il succo di limone e filtrate con un setaccio. Trasferite la miscela in un flacone spray, preferibilmente di vetro. POZIONE #3 PERSONALIZZATA Provate a modificare la ricetta aggiungendo i vostri alcolici preferiti. Il limoncello, per esempio, per dargli un tocco ancora più agrumato. Spruzzate il liquido sulle carni bianche, sui frutti di mare e sulle verdure appena prima di andare in griglia. Vaporizzatelo a fine cottura insistendo sulle aree che hanno preso un po’ troppo calore.
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POLVERE MAGICA
Esseri Umami Per finire vi lascio con la ricetta della polverina umami fatta in casa, ovvero un condimento a base di ingredienti ricchi in acido glutammico. Cos’è quest’acido? In sostanza si tratta di glutammato monosodico (sale sodico dell’acido glutammico) senza il sale, un additivo molto usato nella cucina orientale che serve ad esaltare il sapore di qualunque cibo. Perfetto sulle carni, nei brodi o sulle verdure, questo mix è praticamente l’upgrade del caro e vecchio sale semplice. I funghi champignon, ricchissimi di acido glutammico, sono gli eroi di questa miscela: vengono leggermente arrostiti e disidratati per concentrare i sapori e poi macinati finemente per creare un pulviscolo facile da spargere ovunque.
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Ingredienti per 250 g di polvere: • 500 g di funghi champignon • 15 g di aglio • 60 g scalogno • 15 g peperoncino verde fresco • 60 g cipollotto o erba cipollina • 20 g salsa Worcestershire • 15 g olio di riso • 2 g lievito alimentare in scaglie (potete sostituirlo con il gomasio) • 5 g di sale grosso Vi serviranno: 1. Forno o essiccatore 2. cutter Questa ricetta richiede una pre-cottura in forno, che aiuta a costruire la base di sapore innescando la reazione di Maillard, e una fase di essiccazione, che rimuove tutta l’umidità prima della macinazione. Alcuni forni multifunzionali hanno la capacità di fare entrambe le cose. Ma se non ce l’avete potete arrostite le verdure nel forno e poi trasferirle in un essiccatore.
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Non avete l’essiccatore? Abbassate la temperatura del forno a 60°C e continuate a cuocere in modalità ventilata. Ci vorranno diverse ore per disidratare completamente il tutto (fino a 12)
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Procedimento Preriscaldate il forno a 200°C e posizionate la griglia al centro. Usate della carta da cucina resistente o un panno leggermente umido per pulire la superficie dei funghi e rimuovere il terriccio. Tagliate i funghi a fette di 3-4 mm, così si asciugano prima, e trasferiteli in una ciotola. Volete alzare il volume dell’umami ancora di più? Sostituite parte degli champignon con altre varietà di funghi secchi. Iniziate mettendoli in ammollo per reidratarli. Scolateli e affettateli nel senso della lunghezza. Potete anche osare sperimentando l'aggiunta di peperoncini secchi (con o senza semi per regolare la piccantezza), alghe wakame o sale affumicato durante la fase di macinazione. Potreste dover regolare la quantità di sale alla fine, a seconda degli ingredienti extra che andrete ad aggiungere. Sbucciate gli scalogni e gli spicchi d'aglio. Rimuovete i semi dal peperoncino. Affettate tutto nel senso della lunghezza. Tagliate anche i cipollotti a listarelle, più sottili saranno le fettine e prima si essiccheranno. Aggiungete gli aromi, l’olio e la salsa Worcestershire alla ciotola dei funghi affettati. Mescolate con le mani e distribuite il composto uniformemente su una teglia foderata di carta forno. Trasferite la teglia nel forno preriscaldato con la ventola accesa. Arrostite per 15 minuti. Riducete la temperatura del forno a 60°C, te-
nendo sempre la ventola accesa. Disidratate per 12 ore o fino a completa asciugatura. Avete un essiccatore autonomo? Impostate la temperatura a 60°C e disidratate per 12 ore. I funghi sono pronti quando risultano asciutti al tatto e si spezzano se piegati. Macinate il tutto in un mixer potente e riducete in polvere fine. Aggiungete il lievito nutrizionale (o il gomasio) ed il sale grosso, tritate di nuovo. Attenzione: prima di essere macinati, i funghi devono “suonare” se agitati Lasciate raffreddare il composto a temperatura ambiente. Mettete la polvere in un macina spezie pulito e asciutto. Macinate fino a quando il mix non diventa una polvere piuttosto fine. Versate la polvere umami in un barattolo con un coperchio ermetico e conservatela in un luogo fresco e asciutto. Durerà per sempre. Potete metterla su qualsiasi cosa, sulle bistecche alla griglia, sul riso, nel brodo per realizzare un fondo istantaneo e saporito. Basta usare un cucchiaio di polvere umami per 250 ml di acqua calda, ma niente vi vieta di metterne di più, oppure di meno. I maghi siete voi.
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La Figura di Sé, La Figura di MeSeguo.
a cura di Emiliano Nencioni
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Non pensate che abbia smesso di occuparmene e di preoccuparmene: nei vari appuntamenti con la rubrica Seguo si sono avvicendati periodi di parentesi sull’adeguatezza, sulla voglia di fuga, sui meccanismi innati della paura, sull’attivazione dell’amigdala e metaesperimenti sullo scrivere un pezzo contraddicendo una per una tutte le raccomandazioni sullo “scrivere in copy”, ma il core business di queste ultime pagine rimane il solito: analizzare, sviscerare (chi ha detto ridicolizzare?) lo strano comportamento dell’Homo Faber sui social network.
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Abbiamo parlato dell’annoso problema dell’esigere il rispetto, del voler fare bella figura, ma urge adesso tornare a bomba, inquadrando in maniera più rigorosa tutto questo macello dei social network.
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Per farlo ci serviremo di diverse teorie archetipiche applicate ai social media: la presentazione di sé di Goffman, il capitale sociale di Bourdieu e il "mondo condiviso" (in tedesco MitWelt, letteralmente con-mondo, questi tedeschi si fanno sempre prendere la mano con i neologismi) di Heidegger. Non vi spaventate, la faccio facile facile: dopotutto questa è la rubrica di svago, si fa solo per fare due chiacchiere e avere argomenti per darci un tono durante le cene coi colleghi.
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1. La Community è un capitale sociale Partendo dai lavori di Bourdieu, il capitale sociale è definito come un'aggregazione di risorse che è legata al possesso di una rete duratura di relazioni di conoscenza e riconoscimento reciproci, o, in altre parole, all'appartenenza a un gruppo. Questo capitale fornisce a ciascuno dei suoi membri il supporto del capitale collettivo, una “credenziale” che dà loro diritto al credito. I profitti stessi che derivano dall'appartenenza a un gruppo sono alla
base della solidarietà. Ditemi voi se questo non rispecchia un gruppo dalle dinamiche complesse, delicate e spesso spontaneamente “gerarchiche” come una community di un social network. Il capitale sociale di un gruppo è quanto di più lontano dalla razionalità e dall’individualità, rimanendo invece coerente con l'interiorità. Infatti, Bourdieu afferma che tutte le nostre azioni sono influenzate da fattori contestuali come il nostro livello di istruzione o le nostre origini sociali, persino il giudizio di gusto (carne grassa, carne magra, sottovuoto sì o no, usa il forno, guai il forno - ormai anche gli esempi sono superflui). “La mente umana è sociale, delimitata, socialmente strutturata”. L'influenza della struttura sociale si oppone radicalmente a una razionalità separata dal mondo. “Un branco di pecoroni” “Fate paura, siete una setta” Accuse che abbiamo visto rivolgere un sacco di volte a gruppi e comunità molto grandi e coesi, nevvero? La risposta potrebbe essere che sì, è così, è la realtà, per il semplice fatto di aver costituito un gruppo di persone aventi interessi simili. La soggettività del soggetto scompare: il singolo individuo si dissolve nel gruppo, in una metafora
liquida inquietante che ricorda involontariamente Neon Genesis Evangelion. Il capitale sociale, si intuisce banalmente, può facilmente trasformarsi in capitale economico, proprio per la possibilità di plasmare gusti e necessità. La pubblicazione di contenuti sui social media diventa quindi un metodo per accumulare capitale sociale, proveniente dagli altri nella rete di relazioni e dalle metriche e dati (analytics) che compongono la rete stessa: ecco come mai non dovrebbe più stupirci considerare l’influencer un lavoro, un mestiere, un’occupazione artigiana a tutti gli effetti. 2. Il Mondo-condiviso Non volendo ripetere quanto già scritto proprio su queste pagine, vi consiglio un ripassino di “Heidegger applicato al grilling” come trattato nella rubrica Seguo del Febbraio 2020, dal titolo “L’utente è deiezione”. Per Heidegger l’Essere-nel-mondo implica il prendersi cura degli altri semplicemente perché siamo tutti esseri umani e perché l'umanità non è un “fatto” della natura ma un valore che è costruito dalle nostre opere; il mondo-con-
diviso, MitWelt in tedesco, si allontana dall’individualismo e dall’uso strumentale (leggasi: per ottenere un risultato) degli altri, premurandosi invece di “essere-con”. Per fare un esempio terra terra, un po’ la differenza tra il ridere con te e il ridere di te. Ciò consente al nostro essere, in quanto essere-nel-mondo esistente, di essere in relazione con gli esseri e di essere compreso da coloro che incontra nel mondo così come a se stesso nell'esistere. Pertanto, il "mondo condiviso" si allontana dalla razionalità e verso l'interiorità. Difficile scrivere due righe su un filosofo esistenzialista senza ripetere mille volte “essere”. Per chi non ha capito, ricevo il giovedì mattina. Questo è essenzialmente lo spirito di una community online che esiste per lo scopo di aiutare e far crescere i membri, e che trae legittimazione e esistenza stessa proprio dalla vocazione a “essere-con” gli altri. 3. La presentazione del Sé La presentazione di sé ha una funzione sociale ben precisa: trasmettere agli altri un'impressione che è conforme al proprio interesse. Avendo la possibilità di presentarsi agli altri ex-novo, appro-
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fittiamo per farlo in maniera conveniente e adeguata al nostro scopo, visto che la presentazione di sé (e non la nostra vera persona) è il modo in cui appariamo oggettivamente davanti agli altri. Gli Altri si costruiranno un’opinione su di noi attraverso la razionalità percettiva, e gli Altri sono percepiti a loro volta attraverso le loro qualità oggettive esterne. "Altri" non è la stessa cosa di "noi". É Goffman nel suo libro The Presentation of Self in Everyday Life a introdurre l’idea di presentazione del Sé e del concetto di Face come maschera, un travestimento da indossare (nel nostro caso sui social) per fare la famosa bella figura. Un utente che ci contraddice in modo plateale di fronte agli altri ci strappa la maschera di autorevolezza, e il trauma viene vissuto come mancanza di rispetto. L’identità di ognuno, la maschera, la figura, è gestita come un marchio, un brand da promuovere e supportare: fare brutta figura è dannoso tanto quanto una recensione negativa, fino al punto che un semplice parere discordante viene percepito come un attacco personale pieno di arroganza. Il mondo social si restringe quindi a un palcoscenico per l’esibizione delle numerose maschere, e perde la dimensione temporale: tutto è temporaneo, volatile, e ha luogo esattamente adesso, per lo più senza memoria storica. Quello di Goffman è un modello descrittivo in completa antitesi con il MitWelt di Heidegger, aderendo all’individualismo e alla razionalità. Alla fine di tutta questa faticosa ricerca, decisamente mai richiesta da nessuno peraltro, cosa si può concludere che possa interessare il Grigliatore Moderno Consapevole? Si conclude che l’essere “liquefatto nel mare degli altri” di un utente di una grossa community online è fondamentale: fondamentale che i gusti del singolo vengano influenzati da tutta la massa del gruppo prescelto, e che l’essere-nel-mondo degli utenti viri verso la ricerca dell’utilizzo degli Altri in maniera non strumentale, non verso un obiettivo, ma verso la premura stessa verso altri. Al di là di facili ragionamenti utopistici, la parità “liquefatta” di cui sopra serve a legittimare l’esistenza stessa di una community che rappresenta un enorme capitale sociale di conoscenze e coscienza collettiva, pronto ad essere convertito, con le semplici metriche che fondano il mondo online, in vero e proprio capitale economico, investibile nuovamente e acquistabile dai vari brand - figure - Faces che costituiscono la granularità individuale del MitWelt. Ed è per questo che una moderazione forse seccante ma ugualitaria, fastidiosamente ferrea anzichè complice, votata alla permanenza dell’essere-nel-mondo di tutti e ai rapporti non strumentali …è essenziale per la conservazione del capitale sociale. Ho pensato che, invece di affermarlo semplicemente, avrei potuto tentare di dimostrarlo.
Aprile 2022
Vi ricordate nei primi numeri del primo anno del Magazine, quando la Seguo poteva parlare solo strettamente di temi legati alla moderazione? Ah, quanta gioventù!
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Emiliano Nencioni
CLUB
Direttam e n t e dalla commu n i ty d i ma e s t r i di barbecue pi ù grande d’Itali a, nas ce i l pres ti gi o s o club ch e t i offre la po s s i bi li tà di avere: acc e s s o p r io r ita r io a l m ega s to re, dove p ot ra i fa re ra zzi e mentre tutti gli altri “ s o no i n coda” ; u na p rogra m ma z i o n e int elligent e dei tuoi acquis t i gra zi e a l cre d i to me ns i le prepagato (s cegli tu quanto ); u n coac h pr ivato che t i guiderà n e l fa r t i vi ve re l’e s peri enza
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co n la p re paraz i o ne dei tuoi pi atti ; e molto a lt ro a nco ra. . . Av ra i tu tto qu es to s o lo s e t i i s cr i vi s u bito al M EG ASTORE CLUB , l’uni co luogo ri s ervato a una ce rc h ia r is t re tta d i a s p i ra n t i gr i ll ma s t e r c he des i derano apprendere pi ù velocemente e nel modo p i ù accurato po s s i bi le, la s u bli me arte del gri ll . Pu oi d i s i s cri verti quando vuoi e i l tu o c re d i to s a rà s empre dis po nibile.
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H T T PS : / / C LU B M E G ASTO R E . B BQ 4 A L L. I T e ch i e d i i n fo rmaz i o ni pi ù dettagli ate, p r i ma ch e i coach fi ni s cano e le i s cri z i o ni chi udano .
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LA PAROLA AI NOSTRI STUDENTI
Adriano Bergamini
L’unico dubbio che ho avuto è stato sul costo del corso: si è dissipato in meno di un secondo quando ho letto dell'imperdibile offerta lancio! Dopo le prime cinque lezioni, ho già potuto godermi gli approfondimenti scientifici su argomenti fino ad ora letti in modo sbrigativo. Ho apprezzato veramente tutto ciò che ho visto e imparato. Nella Masterclass i concetti vengono spiegati in maniera meticolosa e capillare. Sono certo mi servirà in futuro il confronto coi coach attraverso i commenti sotto ai video. Consiglierei la Masterclass a tutti, perché noi italiani di cotture barbecue NON sappiamo proprio nulla!
Francesco D’Effremo
Visita: masterclass.bbq4all.it
L’unico dubbio che mi frenava dall’acquistare la Masterlcass è stato di tipo economico ma, grazie al consiglio dei coach, ho messo da parte tutte le remore che avevo e ho pensato che questa fosse un’occasione da cogliere al volo, coronando e completando tutto il percorso che ho fatto insieme a BBQ4All, cominciato nel 2019. Le prime lezioni mi stanno già aiutando a riordinare tutte le informazioni che avevo in testa e che, tuttavia, erano un po’ confuse.cI coach spiegano tutto in maniera molto meticolosa e rendono i concetti chiari e concisi. Il clima generale è molto rilassato ma molto coinolgente.
Sergio Stefanizzi
Avevo due dubbi: economico, ma ero sicuro che il percorso valesse tutti i soldi spesi e da ciò che ho visto fino ad ora è proprio così! Poi i contenuti ma, nonostante avessi già studiato molto, ho trovato molte nuove informazioni. Le prime lezioni sono teoriche e dettagliate, quindi, non vedo l’ora di passare alla parte più pratica. Non ho ancora interagito con i coach sotto i video ma ho visto altri utenti che lo hanno fatto, un plus che aiuta a togliere il più piccolo dubbio. Perchè raccomanderei questa Masterclass? Ddubito che ci sia qualcosa in giro che possa essere paragonato a questo percorso!
Emanuele Turchi
Non ho avuto nessun dubbio nell’acquistare la Masterclass perché da tempo volevo frequentare uno dei corsi BBQ4All, ma l’incompatibilità con gli impegni di lavoro me lo aveva sempre impedito, fino ad ora. Il beneficio principale che ho già riscontrato dopo la visione delle prime lezioni è quello di poterne usufruire su più piattaforme, differenziando in base alle esigenze. Tutte le parti si sono rivelate ben strutturate, di qualità ed essenziali per un approccio fondamentale anche per chi è alle prime armi. Ritengo la Masterclass un prodotto professionale di gran livello, pensato per tutti.
Giuseppe Ricci
Registrazione presso il Tribunale di Terni n°774
Ero in dubbio se acquistare la Masterclass perché temevo una ripetizione: grazie al Magazine ho già imparato tantissime cose; poi però ho voluto acquistarla ugualmente perché tutti i prodotti dello Zio e di BBQ4All sono sempre molto curati. Mi piace molto la chiarezza nell’esposizione dei coach: l’approccio a tutti i dispositivi di cottura è chiaro ed esaustivo. Non ho ancora interagito coi coach attraverso i commenti sotto ai video, però la ritengo una cosa utile, che può far la differenza rispetto ad altri corsi simili. Se vuoi avere la risposta a tutte le tue domande sul bbq la Masterclass è ciò di cui hai bisogno!