N°42/ANNO 4 - GIUGNO 2022
L'EDITORIALE DI GIANFRANCO LO CASCIO
GUIDA ALLA SCELTA DELLA BISTECCA RICETTE
Steak salad, Ribs glassate con Ratafia, Flank Steak alla moraes, Ćevapčići, Chuleton, Spiedini di top blade, Flat Iron con verdure, Wagyūtriciana
COSA C'È DI MEGLIO DI UN PANINO?
TRE PANINI
COME SI FANNO
LE TIGELLE LA RICETTA SCIENTIFICA
STIR FRY
Direttore Editoriale Rossella Neiadin
Redattore Capo Michela Bongiorni
Redazione
Enio Berton Virgilio Brunetti Tommaso Buccafurri Nunzia Clemente Roberto Dal Bosco Salvatore Di Mento Luca Gallozza Marco Gerometta Mariangela Ibba Chiara Lo Cascio Gianfranco Lo Cascio Giancarlo Madonna Riccardo Meniconi Giovanni Minelli Emiliano Nencioni Elena Ninotti Francesca Pappacena Raffaele Persichetti Andrea Spaggiari Alessandro Trezzi Carlo Trono Paolo Tucci Alex Vasile Caterina Vianello Alberto Zonghetti Marco Zorzan
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Realizzazione Grafica Impaginazione Carlo Trono Illustrazioni di Eleonora Castagna e Ozzy Bellesi Fotografie di Rossella Neiadin, Luca Gallozza, Tommaso Buccafurri, Elisa Giuli, Emiliano Nencioni
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IN DI Rubriche
Editoriale - La bistecca migliore per te, come sceglierla e cuocerla
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Portfolio gastronomico - L'universo delle salse - seconda parte
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Nice to meat you - Le bistecche con l'osso
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Ricette
Cosa c'è di meglio di un panino col salame? Tre panini
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Tigelle e pulled pork
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Steak salad con uovo marinato
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Ribs glassate alla Ratafia
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Flank Steak alla Moraes
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Ćevapčići
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Stir Fry con Flat Iron
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Chuleton con insalata di patate alla spagnola
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Cubotti di Top Blade con guacamole
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Ne ho facoltà - Wagyūtriciana
52
L'Apple Pie: barocca o razionalista
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Approfondimenti Arte Bianca - Le tigelle
60
Across the pond - Fare la spesa in USA
66
Speciale - Le marinature
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From Zero to Hero - Il rest e l'Holding
78
La Ricetta Scientifica - Stir fry di manzo
82
Seguo - Il fenomeno della disinibizione online
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La
bistecca
Editoriale di Gianfranco Lo Cascio
migliore per te
la scegli (e la cuoci) così
“La perfezione dei mezzi e la confusione dei fini sembrano essere le caratteristiche della nostra epoca.” È una riflessione incontrovertibile (attribuita ad Einstein) che possiamo applicare anche ad una operazione quotidiana come l’acquisto di carne, in macelleria o online. Comprare un filetto e una t-bone (una fiorentina) è molto semplice, basta chiedere al banco o cliccare su un pulsante, si aggiungono al carrello virtuale e si aspettano quei due giorni per ricevere il tutto. È un meccanismo perfettamente funzionante e rodato, chi ha mai acquistato prodotti freschi da un e-commerce lo sa. Eppure, una volta ricevuto il pacco, cominciano a farsi stradi i dubbi. Avrò scelto bene? E mo’ che faccio? Ho sicuramente preso un bel pezzo di carne, non mi è costata poco. Ma se poi combino un disastro e la rovino?
Proviamo a fare un po’ di chiarezza dividendo un grande insieme che è quello delle bistecche in gruppi,
Cominciamo.
FACILI DA FARE E BUONE DA MORIRE Gusto: 4 Livello di difficoltà: 2
Ribeye/costata senza osso: la più manzosa delle bistecche di questa lista, sostanziosa, grassoccia e appagante. Mette tutti d’accordo, come una cena a scrocco. Ney York Strip/bistecca di controfiletto: è un taglio equilibrato, grasso il giusto e pure tenero. La bistecca zen. T-bone/fiorentina: è il connubio tra filetto e controfiletto, la bistecca delle grandi occasioni. Quella che può incoronarvi l’Efesto del circondario o il fesso di casa. Tenderloin steak/bistecca di filetto: morbidissima,
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Il percorso del carnivoro comincia generalmente con la scelta del taglio. Premettiamo che la materia prima varia da allevamento ad allevamento, da razza a razza, da dieta a dieta, e le sue caratteristiche dipendono anche da quello che succede dopo la vita dell'animale - gli addetti ai lavori lo sanno bene.
accomunati da una serie di caratteristiche. Per ogni categoria esprimeremo due parametri: gusto e livello di difficoltà, in una scala da 1 a 5. Per gusto intendiamo la “manzosità”, ovvero l’intensità del sapore di carne, mentre il livello di difficoltà dipende da quanto lavoro bisogna fare per cuocere il singolo taglio. Ha bisogno di essere trimmato (ripulito)? È pronto per essere grigliato o ha bisogno di un passaggio in sous vide?
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soave, succosa. È la ciccia entry-level, tipo Nirvana, è la Nevermind delle bistecche. Ha il suo costo (giustificato) ma zero scarti.
come la Chuck Steak. È generosamente marezzata, succosa e tenera, molto saporita e versatile.
SCONOSCIUTE MA EPICHE
Gusto: 5 Livello di difficoltà: 3-4
Gusto: 3 Livello di difficoltà: 3-4
Beef Chuck Steak/bistecca di Reale: ha bisogno di un piccolo passaggio sottovuoto per dare il meglio, ma dà tanta soddisfazione. Teres Major/filettino di spalla: si ricava dalla polpa della spalla, tenerissimo, al pari del filetto, e poco conosciuto. Attenzione, non è il Sindaco Teresa, major con la “j”.
LE PIÙ SAPORITE
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Gusto: 5 Livello di difficoltà: 3-4
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Hanger Steak/Lombatello: scura, ricchissima di mioglobina, dal sapore di manzo esplosivo. Occhio a cuocerla e a tagliarla nel verso giusto o la masticate fino a Natale. Kalbi/bistecche di costato: sono short ribs tagliate in orizzontale, tipiche del barbecue coreano. Per cuocerle bene bisogna conoscere le tecniche di cottura appropriate. E io che ci sto a fare? Denver Steak: gli italiani ne sanno così tanto di carne che non le hanno dato un nome. Si ricava dal reale,
BISTECCHE PER DUE PERSONE
Porterhouse: è una t-bone col filetto più grosso, da ogni mezzena se ne ricavano pochissime. Potremmo dire che tutte le porterhouse sono t-bone, ma non tutte le t-bone sono porterhouse. Tomahawk: mette insieme alcune delle parti più buone del manzo, e poi ha quell’osso che le dà un fascino primordiale inarrivabile. Wiiilmaaa, dammi la clava! Cowboy Steak: è lo step successivo della ribeye senza osso, che aggiunge sapore e texture per via del tessuto connettivo. Anche lei ha l’osso prensile, magari vi torna comoda da lanciare.
LE PREFERITE DAGLI INTENDITORI Gusto: 5 Livello di difficoltà: 4-5
Hanger intera: basta eliminare il tessuto connettivo centrale per avere tra le mani il pezzo di carne più buono che ci sia. Accompagnatela con il chimichurri e regalate sorrisi, pure a quella zia che al compleanno vi regala lo stesso maglione da trent’anni. Chuleton/Ribeye con osso: i carnivori più esigenti
vanno a caccia della copertina della ribeye, ovvero il famigerato spinalis dorsi. Roba che se potessero lo aggiungerebbero al curriculum. Avete le idee un po’ più chiare ora? Ora vi spiego come ottenere la crosticina dorata e saporita su ogni bistecca, a prescindere dal taglio, dopo averla pre-trattata in forno (a 52°C) o in sous vide. Esistono cinque modi.
5 Modi per cuocere una bistecca Da una semplice scottatura a una frittura epica in immersione, esistono cinque opzioni per nobilitare una bistecca cotta in sous vide o in forno. #01. ROSOLATELA IN PADELLA Asciugate maniacalmente la carne con la carta assorbente, condite generosamente la bistecca con sale e pepe. Scaldate una padella (in ferro o in ghisa) sul fornello finché non vi compare Lucifero in
cucina. Ungete la carne o versate abbondante olio o burro chiarificato. Piazzate la bistecca nella padella e giratela con una pinza o una spatola. Rosolate finché la bistecca non sviluppa una crosta dorata, girate e ripetete sull'altro lato. Fate attenzione a non superare i 52°C-58°C. Trasferite su un piatto caldo o su un tagliere per affettare e servire. Pro: È veloce, facile e vengono fuori delle bistecche da urlo. Contro: “affumica” tutta casa e troverete schizzi di grasso un po’ dappertutto. #02. RIPASSATELA IN FORNO Asciugate maniacalmente la carne con la carta assorbente, condite generosamente la bistecca con sale e pepe. Impostate il forno a 260°C. Poggiate la bistecca su una griglia o in una teglia e sistematela sulla griglia superiore. Dopo tre o quattro minuti (non superate i 52°C-58°C), trasferite su un piatto caldo e servite. Pro: disordine e sporco ridotti ai minimi termini Contro: se non avete un forno preciso, rischiate di cuocere troppo la carne prima che sia ben rosolata.
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#03. INFARINATELA E ROSOLATELA Asciugate maniacalmente la carne con la carta assorbente, condite generosamente la bistecca con sale e pepe. Infarinate tutti i lati della bistecca con farina di grano tenero (potreste osare con la farina di mais). Scaldate una padella sul fornello a temperatura
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infernale, aggiungete abbondante burro chiarificato o olio. Piazzate la bistecca nella padella e giratela con una spatola. Rosolate finché la bistecca non sviluppa una crosta dorata, ci vorranno circa due minuti. Girate e ripetete sull'altro lato. Trasferite su un piatto caldo e servite. Ammirate la magnificenza tostata e croccante! Pro: crosticina dorata e scrocchiarella. Meno schizzi d'olio. Contro: non è senza glutine! #04. GRIGLIATELA Asciugate maniacalmente la carne con la carta assorbente, condite generosamente la bistecca con sale e pepe. Scaldate la griglia, deve diventare rovente, poggiate la bistecca e lasciate sfrigolare per circa un minuto. Girate, poi grigliate per un altro minuto. Trasferite su un piatto caldo e servite. Pro: I classici segni della griglia, le grill marks! Più il tradizionale sapore di grigliato. Contro: accendere la griglia richiede tempo e un giardino #05. FRIGGETELA (L’ho scritto davvero!) Regola numero 1: non condite mai la carne prima di friggerla, altrimenti le spezie bruceranno e diventeranno amare. Scaldate una padella a bordi alti di olio di arachidi a 200°C. Immergete la bistecca e friggete fino a quando non sviluppa una crosta marroncina, ci vorranno circa due minuti. Trasferite su un piatto caldo, condite e servite. Suggerimento: All'ultimo secondo, aggiungete delle erbe fresche all'olio caldo tipo salvia o rosmarino - e poggiate queste erbe croccanti e fritte in cima alla bistecca.
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Pro: cottura perfetta e uniforme su tutti i lati. Sapore pieno e godurioso. (E no, non saprà di unto). Contro: siete sicuri di voler riscaldare una piscina d’olio proprio prima di servire la cena? Forse no, ma se lo fate avete tutta la mia approvazione.
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Gianfranco Lo Cascio
BBQ4All Magazine
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L'UNIVERSO DELLE SALSE Seconda parte
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Portfolio gastronomico a cura di Alberto Zonghetti
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ll’inizio dello scorso numero del nostro Magazine (il n.41, Maggio 2022) abbiamo iniziato il ripasso del “cosmo infinito” delle salse: l’etimologia, la storia nei secoli, la genesi della salsa barbecue. Ora entreremo nel vivo dell’argomento presentando le più famose e importanti salse per griglia e barbecue: viaggeremo attraverso il mondo soffermandoci soprattutto, ovviamente, negli States, per terminare il nostro percorso in Italia; vi anticipo infatti che alcune menti geniali hanno creato qualcosa di nuovo ed esclusivo da accompagnare ai nostri piatti “fumosi”!
STATI UNITI Esistono libri enciclopedici che raccontano la genesi delle salse per il barbecue e descrivono i numerosi stili regionali. Io mi sono avventurato nella lettura di qualche capitolo (ovviamente in lingua originale) e devo ammettere di essere rimasto molto colpito. Non solo dalle questioni prettamente culinarie; ma dalla ricchezza di storie, intrecci di personaggi comuni e celebri, aneddoti che a volte mutano in leggenda. Si entra direttamente nelle intricate ed affascinanti vicende coloniali degli Stati Uniti che mettono a nudo le caratteristiche di questa nazione: terra di grandi opportunità, mescolanza di culture, inevitabili contraddizioni. Tornando a noi, le varianti regionali sono numerosissime, ma per semplificare le cose possiamo suddividerle in tre grandi categorie: le salse a base d'aceto, quelle a base di pomodoro e quelle a base di senape. Cercherò ora di presentarvi in maniera sintetica quelle più celebri ed interessanti. (Ciò che segue è frutto di una rielaborazione di alcuni testi tratti dal sito www.amazingribs.com di Meathead Goldwyn, di un articolo del nostro Alessandro Trezzi, nonché di vari scritti del vasto universo di BBQ4All).
NORTH CAROLINA SAUCE Addentrarsi all’interno delle questioni che regolano le salse nella Carolina è più che arduo, ma a noi interessa solo avere qualche nozione di base. In primo luogo, il significato di barbecue in questa regione è ridotto all'osso: maiale + fuoco = cena. La filosofia è: "Io mi faccio un maiale intero, voi tenetevi la vostra senape per gli hot dog e le patatine". Nel Nord-est la salsa di accompagnamento è realizzata con niente di più che aceto di sidro, peperoncino, sale, pepe e un pizzico di zucchero per smussare gli spigoli. Questa acre e liquida salsa, che si staglia in bocca attraverso i ricchi strati di grasso di maiale cotto lentamente, consente di ripulire il palato e prepararlo per un nuovo boccone: pensatela come il migliore detergente del palato. Per la variante nord-occidentale potremmo dire che è simile a quella orientale ma solo con aggiunta di ketchup. In realtà è molto di più: c'è zucchero di canna ed è leggermente più spessa e più dolce rispetto alla sua sorella orientale. EAST CAROLINA MOP SAUCE La salsa mop di questa regione deriva da quelle semplici a base di aceto e pepe nero degli schiavi. Ma facciamo un passo indietro…il termine mop indica intingoli creati appositamente per condire la carne durante la cottura incrementandone il profilo gustativo finale, evitando inoltre la preventiva asciugatura del prodotto e mantenendone quindi la preziosa succosità interna. Sono quelle, per
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KANSAS CITY RED SAUCE L’origine di questa meraviglia ha un nome: Arthur Bryant, storico ristoratore il cui locale è diventato luogo di culto e di pellegrinaggio, attirando famosi attori e presidenti statunitensi. La distintiva salsa barbecue agrodolce, che è poi diventata uno standard in tutta gli Stati Uniti, reca il suo nome. Il tempo e le discussioni spese capire esattamente
cosa ci sia all’interno della salsa è stupefacente: cercate su un motore di ricerca "Arthur Bryant sauce recipe” se non mi credete. Sono i semi di sedano a dare alla salsa questa sua tipica consistenza granulosa? La paprika è dolce o forte? Liquido dei sottaceti o aceto di sidro? Sembra che dalla sua invenzione la formula sia rimasta identica fino al 2005, momento in cui si è reso necessario aumentare i tempi di conservazione. La base prevede concentrato di pomodoro o ketchup, il sapore è dolciastro per via dello zucchero di canna o della melassa. Numerosi altri sapori derivano da tanti altri elementi: miele e cipolla caramellata per la dolcezza, aceto e succo di limone per l’acidità, peperoncino, pepe nero e tabasco per la piccantezza e tanto altro ancora, in particolare senape, aglio e salsa Worcestershire. La salsa offre al palato un’esperienza emozionante e sfaccettata, esaltando al meglio la carne di maiale; imprescindibile per laccare le vostre costine.
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intenderci, utilizzate con una specie di mocio che forse abbiamo visto in qualche programma televisivo. Sono generalmente più liquide a causa del loro particolare scopo: si spalmano sul maiale nudo (senza rub!) durante la sua affumicatura, ma si usano anche come di finitura a tavola. Sono per la maggior parte costituite da un composto a base di aceto, pepe e peperoncino, senza zucchero: base completamente acida, quindi. Nel West e North Carolina troviamo il Lexington Mop: una rivisitazione della salsa dell'Est Carolina con l'aggiunta di un pizzico di salsa di pomodoro o ketchup, che le conferisce un colore più rossiccio. Ottima con la spalla di maiale sfilacciata, la componente del pomodoro bilancia il sapore acido dell'aceto, e l'aggiunta di un po' più di zucchero la rende più dolciastra.
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SOUTH CAROLINA MUSTARD SAUCE Se ci spostiamo a Sud le cose cambiano, difatti compare il colore giallo negli intingoli da barbecue. Sicché il nostro encefalo elabora il seguente ragionamento: Salsa+giallo=senape=Germania I tedeschi accompagnano la carne di maiale con la senape, questo lo sanno tutti. Ma che ci fanno i crucchi a Charleston? È un’eredità, come abbiamo
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visto poco fa, dello scambio di culture che iniziò con la colonizzazione delle Americhe. Il risultato è che il pulled pork è servito con una distintiva salsa barbecue gialla, a base di senape, un’idea di concentrato di pomodoro, aceto di sidro e altri ingredienti come elementi piccanti, aglio e cipolla in polvere, zucchero di canna, sale e pepe. Il profilo aromatico è agrodolce, per certi versi simile a quello della salsa rossa convenzionale, ma più pungente. ALABAMA WHITE SAUCE La celebre “White Sauce”, nacque nel 1925 grazie al mitico, Big Bob Gibson, uno dei Barbecue Joint più famosi d’America con sede a Decatur. Si differenzia per il fatto di non essere a base di ketchup o aceto, ma di maionese: si presenta bianca, abbastanza liquida, leggermente acetata e fruttata a cause del consueto e sapiente uso di aceto e succo di mele, ma con una spiccata personalità data dalla presenza del pepe o di alcune varianti come rafano, aglio, peperoncino di cayenna. Non è quindi affatto dolce, ma tendenzialmente agra e pepata Il risultato è straordinario, tanto da essere nominata “La salsa migliore del pianeta” all’American Royal Open di Kansas City. Si accompagna alla perfezione con tutte le carni bianche, soprattutto con il pollo, tanto che questo
ingente di pollo per il suo gruppo di contadini, marinando la carne con la sua versione della classica Teriyaki e spennellandola durante la cottura. Durante l’evento, era solito nappare il pollo uno a uno con la salsa chiedendo all’assistente di girare la carne urlando “Huli!”, che in hawaiiano significa “gira!”. Sapida, potente, incredibilmente aromatica, in grado di sfumare in modo spettacolare il pollame mantenendolo inoltre morbido e succoso.
abbinamento è ormai diventato un vero classico della cucina del Sud. Ma è da provare anche con il coniglio o il tacchino del giorno del Ringraziamento; oppure come condimento per la Coleslaw.
HAWAIIAN HULI-HULI SAUCE Nel 1955 Ernest Morgado cucinò un quantitativo
In Tennessee si fa il Jack Daniel's, e quindi la salsa barbecue è fondamentalmente a base di whiskey, con un kick leggermente più marcato; ottima con le Smoked Ribs. In Florida il barbecue deriva dal barbacoa degli indigeni americani. Avendo a disposizione tante risorse ittiche, esso si compone principalmente di piatti a base di pesce. Lo Smoked Mullet, ovvero il cefalo affumicato, è un pesce che di per sè non sarebbe molto saporito, ma con l'affumicatura e la salsa tartara tipica della Florida assume dei connotati splendidi. In Texas, terra degli enormi pezzi di manzo e regno incontrastato del brisket, troviamo composti dal profilo aromatico privo di zucchero: peperoncino in polvere, salsa piccante, cumino, birra, cipolla, grasso liquido di manzo, brodo e spesso e volentieri anche caffè macinato, uno degli elementi in grado di conferire una complessità notevole alla carne bovina.
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KENTUCKY BLACK SAUCE Il Kentucky è la regione degli allevamenti ovini, e il montone affumicato (Smoked Mutton) è uno dei piatti principali che cucinano in questa regione della zona centrale degli States; per confrontarsi con questa carne dal sapore molto particolare ci vuole una salsa barbecue che ne sia all'altezza. In una piccola area ad ovest del Kentucky intorno a Owensboro e Louisville esiste una salsa affascinante, la più scura di tutte, nata da un blend di aceto e Worcestershire, che viene usata sia come mop durante l'affumicatura del montone o dell'agnello e poi servita insieme alla carne a condirla e a completarne il sapore Una salsa fine, acida, in grado di penetrare sulla carne asciutta dell’agnello rendendola ancora più piacevole.
ULTERIORI VARIANTI REGIONALI In Louisiana mettono nei barbecue tutto quello che si muove, addirittura le nutrie (non oso neanche immaginare la scena, figuriamoci il gusto…). Questo Stato fu colonia francese ma è anche la patria del Tabasco: la salsa barbecue regionale è allo stesso tempo molto burrosa e piccante, e sta bene con i gamberi. È servita tradizionalmente con un sandwich che si chiama Po-boy, ma sta bene anche con altre pietanze sia di mare che di terra.
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OLTRE GLI U.S.A: IL RESTO DEL MONDO
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CHIMICHURRI Considerato l’oro verde degli asadores, l’arma segreta di ogni grigliatore argentino. Una miscela di olio, aglio, prezzemolo, origano fresco e/o secco, peperoncino e sale (più qualche segreta variazione “eretica”). Una salsa stupenda creata a freddo, incredibile, mirabolante per condire manzo, vitello e maiale, fortemente balsamica.
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SALSA TERIYAKI Si tratta di una specialità di origini giapponesi, liquida, a base di soia, mirin (un sakè dolce da cucina) e zucchero; la dolcezza degli ingredienti aggiuntivi è in grado di equilibrare la sapidità preponderante della salsa di soia, incrementando le potenzialità della miscela e raggiungendo livelli di godimento a dir poco stupendi. Lo zucchero semplice, caramellando, agevola la reazione di Maillard e la formazione di una crosticina profumata sul vostro pezzo di carne o pesce. Provatela per marinare del manzo o per sfumare la carne di pollo e maiale ma anche di tonno, salmone e crostacei.
SALSA TARTARA Diffusissima nel Regno unito per accompagnare l’iconico Fish&Chips, intramontabile in Florida e in Francia, ormai diffusa in Italia. È a base di maionese e preparata con un trito di cetrioli, capperi, cipolla, erba cipollina e succo di limone o aceto bianco. Fantastica anche per qualsiasi preparazione di pesce alla griglia SALSA VERDE (BAGNÈT VERD) Erede della tradizione medievale e oggi orgoglio piemontese; prevede olio, aceto, capperi, aglio, pane raffermo, uova sode e soprattutto prezzemolo e acciughe. Nata per accompagnare il bollito misto ma facilmente declinabile anche per manzo e maiale cotti al barbecue, per un abbinamento parallelo a quello del chimichurri. SALSA BURGER Ne abbiamo diverse versioni, anche se la associamo soprattutto alle catene di fast food. Rimane però un caposaldo della gastronomia statunitense: ketchup, maionese e senape e con aggiunta di verdure tritate in salamoia, come cetrioli e capperi. Una bomba all’interno di un godurioso Cheese Burger ben fatto. TZATZIKI Io amo follemente la Grecia e la sua cucina, come
non citare l’emblematica Tzatziki? Yogurt greco di pecora e capra, olio, aglio, cetrioli, gusto fresco, acidulo, dolciastro e avvolgente, abbinabile a numerosissimi cibi. Ma la sua morte è abbinata ai Souvlaki o al Gyros, imperdibile. CHILI La salsa “Tex-Mex” per eccellenza, a base di cipolle, strutto, pomodoro, peperoncino, fagioli; ideale per farcire le vostre tortillas insieme a carne grigliata, fagioli neri spadellati, cipolla bianca, peperoncino fresco e pomodoro a cubetti.
LE SALSE DEL MEGASTORE: STILE AMERICANO, CARATTERE ITALIANO Prima regola: la salsa per il barbecue non deve coprire il sapore carne e va usata con parsimonia. Se avete trascorso tante ore ad accudire una punta di petto o una spalla di maiale su un affumicatore, la visione di un ospite a cena che annega quel grasso, carnoso, affumicato pezzo di carne cotto alla perfezione con un’appiccicosa e stucchevole salsa barbecue fa male, molto male. I pit masters della domenica tendono a usare la salsa per nascondere ogni sorta di abominio della loro carne, ma in un vero, grande barbecue, la salsa è secondaria e deve essere un condimento da usare con parsimonia per contrastare la ricchezza della carne affumicata. Poteva il nostro staff non accogliere questa sfida? Dopo tanto lavoro, il nostro team è riuscito finalmente ad andare in produzione con le nuove salse Premium Sal's Seasoning in esclusiva per GLC Top Selection.
ALABAMA WHITE Chi non conosce la White Sauce di Big Bob Gibson? L’abbiamo celebrata proprio poco fa. La nostra, però, è una salsa a base di maionese che non è proprio bianca come l'originale, tende più al giallognolo per via della senape, ma anche qui abbiamo voluto estrarne l'essenza e adeguarla al nostro mondo. Pucciare una coscia di pollo alla griglia in questa salsa vi manderà in visibilio, credetemi. Qui domina la senape con la sua pungenza unita quella dell’aceto, subito temperata dalla morbidezza della maionese. Con il pollo alla griglia è straordinaria, è capace di catturare la carne, completarne il gusto esaltandola senza mortificarla. Ho iniziato con timidezza versandola accanto al volatile, intingendo ad ogni boccone. Dopo poco ho direttamente irrorato il pollo, me lo richiedeva il palato stesso, allo stesso modo di come lo spezzatino richiama il sugo: pensavo di mangiare delle sovracosce alla griglia accompagnata dalla salsa; invece ho
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CAROLINA RED È la salsa perfetta per il Pulled Pork nel pieno stile del North Carolina. Quanti Pulled Pork abbiamo preparato in vita nostra? Quanti ne abbiamo assaggiati? Quante salse di quanti barbecue Joint del North Carolina abbiamo provato? Più di tantissime. Questa nasce proprio dal progetto di mettere a punto una delle salse apparentemente più semplici ma incredibilmente complesse
da realizzare se si vuole raggiungere l'equilibrio perfetto per un palato italiano. Questa forse non sarà perfetta ma è qualcosa che si avvicina molto. L’approccio è diretto ed esaltante, si percepisce subito il piccante e sprigiona con immediatezza la complessità aromatica, poi arrivano l’aceto e il pomodoro che “afferrano” il morso e la accompagnano preparando il palato al boccone successivo. Io l’ho provata anche con delle semplici salsicce affumicate e succose. Memorabile. Già me le immagino dentro un panino con cipolle e peperoni cucinati nel basket forato, oppure dentro un fantastico hot dog: tutto innaffiato di Carolina Red, ovviamente!
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visto nascere un piatto nuovo davanti a me, un matrimonio inscindibile. Ma la sua grande versatilità vi consentirà di sostituire la maionese in qualunque cosa siate abituati a metterla. Io ho pensato subito alla Kartoffeln salat tedesca…
tamente non abituato a tutto quello zucchero e a tutto quel pepe. Ma alla fine è proprio quella salsa che lascia le ribs così brillanti, quasi a specchio, che sembrano dipinte con la resina.
KC GLOSSY La salsa barbecue di Kansas City forse è ancora più vecchia di Arthur Bryants che la portò al successo, con il potere di lucidare le costine meglio di un paio di mani di flatting. Questa versione è differente, prende spunto dalla Blues Hog ma, ovviamente, è stata ingentilita. Ne è stato migliorato l'equilibrio per adattarla perfettamente ad un palato più italiano, assolu-
L’assaggio rimanda proprio al tipico sapore statunitense: potente, agrodolce, affumicata. I sentori di spezie sono vigorosi ed appaganti, la sua persistenza è lunga, perfetta per l’opulenza delle costine suine e per affrontarne i bocconi grassi e saporiti, intrisi di rub e fumo. Il nostro gusto la accoglie senza indugio, restando lontano da qualsivoglia sensazione di stucchevolezza.
Qualcuno potrebbe dire: “Ah ma quindi avete copiato tutte le salse!!!”
Queste salse saranno in vendita esclusiva nel Megastore, vendute nella loro bottiglia in vetro dentro a una scatola rigida, al pari di un profumo, e sono destinate ad un target di cultori del gusto perché fatte con ingredienti di assoluto pregio.
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Il grande pittore spagnolo Pablo Picasso, capace di non legarsi ad un unico stile ma di spaziare con insuperato eclettismo all’interno di differenti percorsi artistici, diceva: “I mediocri imitano, i geni copiano”. Abbiamo preso spunto, sì, e non esitiamo a raccontarvelo. È con genialità, passione, scienza e competenza che ci siamo mossi, con l’idea che tutto in questo mondo può essere perfettibile. Siamo partiti da quelle salse originali tanto care agli americane ma troppo spinte per noi, a volte troppo simili a marmellate o a glasse tanto scenografiche quanto invasive. Le abbiamo “tradotte” in
italiano, componendo una struttura gastronomica più aderente al nostro concetto ma senza snaturare la loro essenza. Abbiamo investito nel ragionamento che porta a migliorare qualcosa che esiste. Ed è ciò che abbiamo provato a fare citando gli autori. Così come dovrebbe essere.
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NICE TO MEAT YOU
QUANTO CI PIACCIONO LE
BISTECCHE CON L'OSSO I tagli del bovino da bistecca, come avete imparato a conoscere, si distinguono in quelli definiti “ricchi” e quelli chiamati “poveri”, una differenza che viene sempre determinata dalla sezione dell’animale più o meno "nobile” da vengono ricavati. Un‘ulteriore significativa distinzione viene dettata dalla presenza o meno dell’osso. Lo stesso taglio può infatti assumere nomi differenti: se l’osso è presente diviene, come dicono oltreoceano, da “bone off” (senza osso) a “bone in”(con osso), e cambia non solo nella forma ma anche e soprattutto nella sostanza. Si dice che la carne attorno all’osso sia sempre la più buona e questa non è una leggenda metropolitana, poiché vi è una precisa spiegazione scientifica. In quella parte dell’animale risiedono
i tendini che fissano la carne all’osso e, durante la cottura, il collagene di cui sono composti si scioglie insaporendo la carne. Più elevata è la concentrazione di grasso presente in quella particolare zona, più il sapore ne gioverà in carattere. Dunque possiamo affermare che i tagli da bistecca con l’osso, tutti presenti nelle prestigiose selezioni del Megastore BBQ4All, oltre ad essere più belli dal punto di vista scenografico, sono anche più pregiati a livello gustativo. Le sezioni coinvolte nei tagli in esame (tranne rare eccezioni che vedremo alla fine) provengono tutte dal quarto anteriore dell’animale e sono dunque situate nella parte più nobile del bovino, quella del gruppo dorsale, dove sono comprese sia la parte di costata che la parte di lombata.
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Sono parti anatomiche ben diverse tra loro che la macellazione americana, a differenza di quella italiana, suddivide in maniera molto rigida e precisa, codificando perfettamente ciò che deve essere definito Loin (lombata), quello che viene considerato Ribs (costata), quello che è considerato Chuck (collo) a quello che viene definito Round ( posteriore).
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In Italia si tende invece a generalizzare, confondendo molto spesso le diverse sezioni ed estendendo una sola definizione anche a parti ben diverse tra loro.
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si ottengono delle NY Strip Bone-In, mentre con la presenza di entrambi si otterranno prima una serie di T-Bone (l'italianissima Fiorentina) e poi a seguire delle Porterhouse con la parte finale del filetto più grande. Il Filetto non termina al finire dello Short Loin (la vera e propria lombata per gli americani), ma prosegue anche nella parte finale del Sirloin, dove si ricavano non più delle Porterhouse, ma un taglio che prende il nome di Pin Steak, che contiene una sezione dell’osso del bacino. Dal tronco dietro alle costole, a partire dalla sesta fino alla decima (fino alla dodicesima per gli americani), si ricavano le famose Ribeye che, se lasciate con l’osso, prendono il nome di Ribeye Bone-in. In questo specifico taglio la presenza dell’osso può fare la differenza, aiutando la coesione dei numerosi muscoli che lo compongono e che altrimenti in cottura rischiano spesso di sfaldarsi. A seconda della lunghezza dell’osso che l’accompagna, il taglio può chiamarsi Cowboy Steak se con osso corto o Tomahawk Steak se l’appendice è stata lasciata lunga. Nella versione iberica il taglio prende il nome di Chuleton: qui spiccano lo Spinalis Dorsi (con la copertina di grasso giallo intenso) e l’evidente Multifidus Dorsi.
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La parte seguente della mezzena è lo Short Loin da cui si ricavano le T-Bone e la Porterhouse con il classico osso a forma di T che divide la parte di controfiletto dalla parte di filetto.
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Se durante la macellazione viene lasciata solo la parte di controfiletto, asportando del tutto la parte di filetto,
Quando si parla di tagli con osso, menzione a parte va rigorosamente fatta per il taglio chiamato 7 Bone Steak che proviene dal quarto anteriore (quello che è chiamato Chuck, dagli americani). Questo, in effetti, andrebbe annoverato tra i tagli “poveri” a cui generalmente ci si approccia con una cottura brasata o in umido, ma se applicata la giusta tecnica, anche in griglia potrà stupire per il gusto esplosivo.
Cosa c'è di meglio di un panino con il salame?
TRE PANINI
CON IL SALAME
ricette a cura di Michela Bongiorni
In una famosa pubblicità di qualche anno fa (diversi anni fa in verità) si vedevano due ragazze, presumibilmente modelle, che si stavano preparando probabilmente per una sfilata. Una delle due stava mangiando (e già da qui era evidente la finzione scenica, quando mai le modelle mangiano?) un panino. E l’altra, disgustata, le chiedeva: “cosa fai?! Mangi il salame?!” Sulla faccia della modella mangiona compariva un naso da maialino (!) e partiva la canzoncina “non han mai fatto male tre fette di salame...” Tralascio tutto ciò che penso di questa terribile pubblicità (evviva gli stereotipi, signore e signori!) e mi
concentro sull’unica cosa vera di quello spot: un panino col salame non fa male. E non mi riferisco al conteggio delle calorie, all’apporto di grassi, al colesterolo, alla rava e alla fava (che comunque affroneremo più avanti). Mi riferisco al fatto che, quando si ha fame, non c’è niente di meglio di un panino fragrante con il salame. Fa bene alla salute perché mette di buonumore, perché è sinonimo di cibo veloce, semplice, nutriente e soddisfacente. Toglietemi tutto, ma non il panino col salame.
Il panino imbottito: le origini L’abitudine di farcire il pane con diversi ingredienti pare venga da molto lontano. Secondi alcuni storici già i Romani erano soliti farcire focacce e pane con carne e verdure. Pare che Via Panisperna, via famosissima della nostra Capitale, si chiami così perché il suo nome deriverebbe dalla locuzione latina “panis ac perna”, utilizzata per indicare una specie di panino al mosto, con prosciutto cotto e fichi che veniva servito soprattutto in quella zona della città. Secondo altre teorie, si deve a Leonardo Da Vinci l’invenzione del panino, perché era solito farcire il pane con diversi ingredienti. Tuttavia, se le origini sono incerte e si perdono nella
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leggenda, sappiamo che nel Rinascimento il panino fa la sua comparsa nel testo “La singolar Dottrina” di Domenico Romoli nel quale spicca la ricetta di un gustosissimo panino cinquecentesco, preparato con strisce di lardo adagiate su fette di pane poste prima sotto la selvaggina che cuoceva allo spiedo, così da far insaporire con i succhi di cottura della carne.
E se negli ‘80 abbiamo cominciato a considerare il panino sinonimo di fast food all’americana, poco salutare e di scarsa qualità, da qualche anno c’è stata una riscoperta del pane farcito con ingredienti molto pregiati: è diventato un cibo non più solo da gita fuori porta come negli anni ‘60 o da fast food come negli anni ‘80-’90, ma anche gourmet e ricercato, da servire anche al ristorante.
Facendo un salto temporale abbastanza importante, una svolta fondamentale nella storia del pane imbottito è avvenuta nel 1700 grazie a John Montagu, il conte di Sandwich, nella Contea di Kent a sud-est di Londra. John Montagu, il quarto della dinastia dei conti di Sandwich, era un uomo molto impegnato ma sopratutto era appassionato di gioco d’azzardo. Poteva passare intere nottate intorno al tavolo da gioco e, scommettendo grosse somme di denaro (motivo per il quale poi fu accusato di corruzione e di sperpero), non poteva permettersi di interrompere il gioco nemmeno per un attimo. Nemmeno per mangiare. Narra la leggenda che un giorno, durante una partita che stava durando da 24 ore, il povero conte in preda ai morsi della fame chiese a un cameriere di portargli due fette di pane con dentro del roast-beef freddo. Gli amici seduti al tavolo con lui chiesero a gran voce di avere “lo stesso di Sandwich”. Da lì nacque il famoso panino.
La verità, vi prego, sul salame
Sempre in Inghilterra, nel 1800, si diffuse la moda di servire col tè delle cinque dei piccoli tramezzini farciti.
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Non voglio dilungarmi troppo in questo breve excursus storico sulla nascita del panino farcito, ma non possiamo dimenticare una tappa fondamentale: la nascita del Club Sandwich, che fece la sua comparsa nei circoli privati degli Stati Uniti dell'Ottocento e si diffuse soprattutto negli scompartimenti ferroviari dei treni che percorrevano l'East Coast, dove i viaggiatori molto affamati fecero in modo che la versione originale dello spuntino britannico si arricchisse di molti altri ingredienti, crescendo in altezza.
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E in Italia? È stato dagli anni Sessanta del secolo scorso, ai tempi della Cinquecento e delle prime gite domenicali, mentre il Bel Paese stava cambiando profondamente, che il panino è diventato un simbolo, l’emblema del pranzo al sacco, da portare anche in spiaggia, farcito perfino con ingredienti non proprio leggerissimi come la frittata di cipolle o la cotoletta.
Sappiamo tutti cosa sia un salame: un insaccato fatto con carne perlopiù di suino (ma non solo) tritata più o meno finemente, condita con spezie poi fatta stagionare. Questo salume squisito si porta dietro da sempre una fama terribile, ovvero quella di essere molto dannoso per la salute, di far ingrassare e di far venire i brufoli. Beh, buttiamo giù queste convinzioni. Innanzitutto, la qualità della materia prima deve essere altissima: in questo caso, non corriamo il rischio di trovarci in tavola prodotti fatti con carne di pessima qualità, magari speziata troppo per coprire sapori sgradevoli e addizionata di sostanze pericolose per la salute. Per quanto riguarda la dose di colesterolo, 50 g di salame ne contengono circa 45 mg, che è molto al di sotto della dose giornaliera di colesterolo che si può assumere in tranquillità. In termini di kcal, 50 g di salame contengono meno calorie della stessa dose di patatine fritte (ma poi ditemi chi mangia solo 50 g di patatine!?), di noci o di grissini. Sulla convinzione che il salame faccia venire i brufoli c’è poco da dire: non è vero. Diversi studi scientifici hanno dimostrato che non c’è nessuna correlazione tra il consumo di salumi e l’acne, nemmeno quello giovanile. Certo, non si deve esagerare: una ricerca scientifica coordinata dall’Università di Zurigo e pubblicata su una prestigiosa rivista medica, condotta su circa 500.000 persone in dieci paesi europei ha accertato “una moderata correlazione” tra il consumo di insaccati e malattie cardiovascolari, ma nella ricerca viene specificato che la dose oltre la quale il rischio possa aumentare sia superiore a 150 grammi al giorno. Cosa significa questo? Che ci si può concedere un panino al salame senza grandi pensieri, scegliendo un prodotto di alta qualità, buono, sicuro e gustoso. Noi vi proponiamo tre ricette con altrettanti tre diversi tipi di salame, tutti provenienti dal nostro Megastore. Vediamole nel dettaglio.
ROSETTA CON SALAME PICCANTE UOVA STRAPAZZATE, FONTINA E ASPARAGI GRIGLIATI Iniziamo con il più hot della famiglia, quello che si merita davvero una foto su Instagram con l’hashtag #foodporn: lo Smoked Pepperoni Salami. È morbido, speziato, piccante ma non invasivo, leggermente affumicato con gradevoli note di ciliegio. Si presta benissimo ad essere cotto (sulla pizza è commovente) e per questo motivo prima di metterlo nel panino lo
facciamo saltare in padella come se fosse pancetta. Poi, ovviamente, lo abbineremo alle uova strapazzate con fontina e asparagi grigliati per dare un elemento leggermente amarognolo. Insomma, facciamo prima a farlo che a descriverlo. Seguite la ricetta.
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Ingredienti per 1 panino
una rosetta / 100 g di Smoked Pepperoni Salami / 2 uova / 30 g di fontina / olio extravergine di Oliva Sicilia Riserva GLC / sale e pepe q.b. / 4 asparagi
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PREPARAZIONE
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1.
Preparate il dispositivo per una cottura diretta, poi pulite gli asparagi tenendoli interi, spennellateli con olio extravergine di oliva e grigliateli fino al grado di cottura desiderato. Tagliate la rosetta in due e tostatela un po’ sulla griglia.
2.
Affettate il salame in fettine di circa mezzo centimetro e poi tagliatele a striscioline. In una padella antiaderente saltate il salame e fatelo sfrigolare. Toglietelo e tenetelo da parte.
3.
Nella stessa padella, aggiungete un filo d’olio poi aggiungete le uova rompendole con la forchetta e cominciando a mescolarle. Aggiungete a questo punto la fontina tagliata a dadini, un pizzico di sale, e continuate a mescolare. Lasciate che il formaggio si sciolga un po’ e tenete le uova molto morbide.
4.
Montate a questo punto il panino: asparagi grigliati conditi con un pizzico di sale e di pepe, uova strapazzate con fontina, di nuovo una spolverata di pepe e Pepperoni saltato in padella; infine chiudete il panino e servite subito.
PANINO RUSTICO CON SALAME DEL NORCINO CARCIOFI IN EMBER, LIMONE E RICOTTA SALATA Il Salame del Norcino del nostro Megastore è quello un po’ retrò della famiglia, elegante e ricercato: un salame tutto fatto a mano, completamente a punta di coltello. La polpa magra è prevalentemente prosciutto, la parte grassa è invece quella della gola. È magro con grandi occhi di grasso tagliati al coltello, gradevolmente sapido e leggermente speziato, ha una lieve nota affumicata con essenze di ciliegio e noce. Lo abbiniamo a fette di pane rustico tostato sulla griglia, ai carciofi cotti a diretto contatto con le braci, in modo da rafforzare la nota affumicata, a fettine di limone sottilissime che vadano a donare una nota acida e a una grattugiata di ricotta salata, per una spinta in più.
Ingredienti per 1 panino
Due fette di pane ai cereali / 100 g di Salame del Norcino affettato / due carciofi / un limone biologico / 50 g di ricotta salata grattugiata / sale e pepe q.b. / olio extravergine di oliva Sicilia Riserva GLC PREPARAZIONE 1.
Predisponete il dispositivo per una cottura a contatto diretto con le braci; tagliate il gambo dei carciofi lasciandone tre o quattro cm e tagliate la punta, senza togliere altre foglie. Mettete i carciofi sui carboni, chiudete il coperchio e lasciateli cuocere finché non saranno penetrabili da uno stecchino. Toglieteli e teneteli da parte per farli raffreddare.
2.
Nel frattempo tostate le fette di pane ambo i lati, poi pulite i carciofi, tagliateli a spicchi e conditeli con sale, pepe, olio extravergine di oliva e un po’ di succo di limone.
3.
Montate adesso il panino: mettete sulla base le fette di salame, poi una fettina sottilissima di limone, i carciofi e completate il tutto con la ricotta salata. Chiudete il panino e servite
Ecco la ricetta.
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SANDWICH CON SHIMOFURI MANGO GRIGLIATO, MAIONESE AL WASABI E LATTUGA
Lo Shimofuri è il salame più fighetto del nostro Megastore, quello che un po’ se la tira, e ne ha tutte le ragioni: si tratta di un salame stagionato di carne di Wagyū giapponese della selezione Shimofuri GLC Top Selection. Dà il meglio di sé dopo essere stato affettato e lasciato stemperare a temperatura ambiente, per fare in modo che il grasso in esso contenuto di sciolga, regalando sensazioni piacevoli al palato, oltre che a una notevole complessità aromatica. Noi lo affetteremo freddo e, sempre ghiacciato, lo metteremo nel sandwich che faremo poi scaldare in griglia, in modo da ottenere quella lacrima di grasso fondente che è la sua vera forza.
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Abbinato a una maionese al wasabi, piccante e balsamica, darà il meglio di sé. Il mango grigliato sarà l’elemento sorpresa: acido e leggermente caramellato, sarà un piacevole boccone che sgrassa e apporta sapore. Infine metteremo un po' di lattuga per dare un elemento fresco e croccante, e il nostro panino lunga qualsiasi altro sandwich possiate aver mangiato nella vostra vita.
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Ingredienti per 1 panino
100 g di Shimofuri Salami / tre fette di pane in cassetta / un mango / sale e pepe q.b. / olio extravergine di oliva Sicilia Riserva GLC / due foglie di lattuga / 50 g di maionese / un pizzico di pasta di wasabi PREPARAZIONE 1.
Tostate bene le fette di pane e tenetele da parte.
2.
Tagliate il mango a spicchi, predisponete il vostro dispositivo per una cottura diretta, poi mettete il mango condito con un filo d’olio sulla griglia: cuocetelo finché non avrà le classiche grill marks, poi tenetelo da parte.
3.
Mescolate il wasabi alla maionese: se volete fare presto, comprate una maionese già pronta, altrimenti fatela in casa seguendo le istruzioni che trovate sul Codice Lo Cascio (spulciate la ricetta del Club Sandwich!).
4.
Affettate il salame ancora molto freddo e montate adesso il vostro sandwich: una fetta di pane tostato, un po’ di maionese al wasabi, una fetta di lattuga, il mango grigliato, qualche fettina di salame; mettete una fetta di pane nel mezzo e ripetete la sequenza. Coprite infine con l’ultima fetta, infilate uno stecchino per tenere il sandwich fermo e ponetelo qualche istante in griglia (in cottura indiretta, chiudendo il coperchio) per far scaldare bene il tutto. Toglietelo dalla griglia e mangiatelo tiepido.
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TIGELLE E PULLED PORK
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l’aperitivo perfetto per un serial griller
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Tigella bolognese, crescentina modenese? Non vogliamo addentrarci in questioni puramente campaniliste, anche perché lasciamo al nostro Alessandro Trezzi l’arduo compito di spiegarci cosa siano questi piccoli dischi di pane, prima scaldati (tradizionalmente nei dischi di terracotta tenuti caldi nel caminetto) e poi farciti con tanti ingredienti diversi. Se siete fra quelli legati ai soli ingredienti del territorio, quelli che non uscirebbero mai dalla loro comfort zone, forse questo articolo vi farà indignare. Tuttavia, se siete abbonati al nostro Magazine significa che siete probabilmente tra coloro che vogliono aprire la mente ed espandere i loro orizzonti. Quindi di fronte alle nostre tigelle farcite con Pulled Pork farete “wow!”. Vero? Beh, sul Pulled Pork abbiamo già scritto di tutto: vi abbiamo detto come farlo alla perfezione (a proposito, conoscete la nostra Masterclass? È il video corso più completo sulle cotture grilling e berbecue, che potete vedere e rivedere quante volte volete), vi abbiamo descritto per filo e per segno tutti i passaggi per realizzarlo anche nel forno, nel caso non aveste un dispositivo; poi siamo andati oltre e vi abbiamo proposto il nostro Pulled Pork già pronto in due versioni: uno da pullare, per fare una bella figura con amici e parenti: va solo rigenerato, portato a una certa temperatura e poi pullato. Nessuno si accorge che non lo avete fatto voi! L’altro già pullato, diviso in sacchetti monodose per la versione più “zerosbatti” di tutte: va solo scaldato e mangiato. Per realizzare queste tigelle, noi abbiamo usato proprio quest’ultima versione, anche perché la fame era tanta e il tempo davvero poco. Dovevamo continuare il nostro shooting per il Magazine e abbiamo pensato a un pranzetto veloce: l’idea ci è piaciuta talmente tanto che abbiamo deciso di proporlo anche a voi. Insieme al Pulled Pork, dentro i deliziosi dischetti andranno tre diversi tipi di verdure: un’insalata di carote julienne, le zucchine grigliate e i pomodorini confit (attenzione, non li confondete con la Drogarossa!). Ad accompagnare il tutto, le nostre nuove salse.
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L’Alabama White, a base di maionese, fresca e acidula, andrà con Pulled Pork e carote julienne; La Carolina Red (che nasce proprio per accompagnare il Pulled Pork) andrà nella versione coi pomodorini confit; infine la KC Glossy, dolce e dal sapore complesso, finirà nella tigella con Pulled Pork e zucchine grigliate, proprio perché le zucchine rimangono più neutre come sapore e hanno bisogno di una spintarella in più.
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Pochi ingredienti per un antipasto stratosferico, ma anche per una pausa pranzo veloce ma di grande effetto. Vediamo insieme la ricetta (per preparare tigelle da urlo, su questo stesso numero trovate la ricetta di Alessandro Trezzi!).
Ingredienti per 4 persone:
12 tigelle / due buste di Pulled Pork in busta del Megastore / due zucchine / due carote tagliate alla julienne / il succo di mezzo limone / olio extravergine d’oliva Sicilia Riserva GLC / due cucchiai di Alabama White / due cucchiai di Carolina Red / due cucchiai di KC Glossy / sale e pepe q.b. per i pomodorini confit: 400 g di pomodorini Pachino / la scorza di un limone biologico / un cucchiaio di Ultimate SPOG / due cucchiai di zucchero di canna / tre cucchiai di olio extravergine di oliva Sicilia Riserva GLC PREPARAZIONE 1.
Scaldate il Pulled Pork ancora chiuso nella sua busta, ponendolo in una pentola d’acqua fredda: una volta giunto a ebollizione, è pronto per essere usato.
2.
Preparate il vsotro dispositivo per una cottura diretta e grigliate le zucchine; poi trasferite le braci solo da una parte, chiudete il coperchio e stabilizzate la temperatura a 110°C.
3.
Tagliate i pomodorini in due, poi conditeli con l’olio, lo SPOG, la scorza del limone grattugiata e lo zucchero. Mescolate bene, poi trasferiteli in una teglia foderata di carta forno e metteteli in cottura indiretta finché non saranno appassiti. La bassa temperatura farà in modo che lo zucchero non si bruci. Una volta pronti, teneteli da parte.
4.
A questo punto prendete le carote julienne e conditele con sale, pepe, olio e succo di limone.
5.
Non vi resta che scaldare le tigelle in una padella antiadrente e poi farcirle con il Pulled Pork, le verdure e le salse: PP, zucchine grigliate e KC Glossy; PP Alabama White e insalata di carote julienne; PP, pomodorini confit e Carolina Red. Buon aperitivo!
Pause pranzo da re
STEAK SALAD CON UOVO MARINATO
Anche a voi dà fastidio quando, dopo aver sgobbato tutta la domenica sulla griglia per organizzare un crescendo di bistecche per gli amici, avanzi l’ultima ribeye costringendovi, contro ogni vostra volontà, a mangiarla solo perché da fredda “la bistecca non ha senso”? Probabilmente risponderete che non vi è mai successo. MA! Nel remoto caso dovesse capitarvi non disperate, quella povera e sola bistecchina potrà diventare la Star della preparazione del lunedì, perfetta per la pausa pranzo e cura definitiva per la sindrome da rientro a lavoro. In realtà, se vogliamo dirla tutta, la bistecca di cui sopra, non avanza certo a caso, piuttosto e anzichenò! Nell'Editoriale del Magazine di Settembre 2020, Gianfranco Lo Cascio ci spiega come creare un’insalata perfetta e come rendere quello che per molti è solo un inutile piatto, che di solita occupa solo spazio sul tavolo, un piatto gourmet da cappottarsi sulla sedia. Noi che sono una brave personcine e seguiamo sempre i suoi consigli, abbiamo rivoluzionato il nostro menù estivo in modo da non perdere l’occasione di preparare, spesso e volentieri, una steak salad fatta con tutti i crismi.
In questo caso non ci soffermeremo sulla cottura, anche perché ormai, dopo 42 numeri e tre anni e mezzo, qualcosa dovreste averlo pur imparato, ma vedremo una delle tante alternative per godersi una bistecca praticamente ovunque, mantenendo quell’effetto WOW a cui siete ormai abituati.
In realtà il processo scientifico alla base è il medesimo ma la quantità di sale e zucchero è tale da assorbire molta più acqua rispetto a quanta ne serva alle proteine per la denaturazione. La disidratazione, quindi, avverrà partendo dallo strato a contatto con la miscela e progredirà verso il cuore: saremo noi a decidere come e quando interrompere questo processo a seconda del risultato che vogliamo ottenere. Ad esempio, potremmo cercare una consistenza cremosa per aggiungere umami ad una tartare oppure un tuorlo solido da poter grattugiare su un crostino al burro e tartufo bianco. Per calcolare il tempo necessario ad ottenere la consistenza desiderata, viste le variabili in gioco, dovremo utilizzare una tabella basata su un metodo empirico ma abbastanza affidabile: 1-2 h esterno gelatinoso / interno liquido 4-5 h esterno solido / interno cremoso 10-12 h completamente solido ma consistenza quasi gommosa (simile alla bottarga). 10-14 gg completamente solido, consistenza simile ad un formaggio stagionato, perfetto per essere grattugiato.
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La ricetta che vi proponiamo è liberamente ispirata alla Cesar Salad ma, naturalmente, è stata riveduta e corretta per adattarsi al manzo ed alla sua opulenza. Il dressing è una crema al Parmigiano Reggiano acidulato con vino bianco, crostini aromatizzati all’Ultimate SPOG e, al posto dell’uovo, un tuorlo marinato.
Per chi non lo sapesse il tuorlo marinato è una preparazione che deve la sua fama allo chef Carlo Cracco: consiste nel lasciare riposare un tuorlo in un composto di sale e zucchero in parti uguali. Questi due elementi, essendo altamente igroscopici, iniziano ad assorbire acqua attivando il processo di denaturazione delle proteine ma, a differenza di quanto accade con il dry brining applicato alle bistecche, non avremo una maggiore succosità dovuta alla ritenzione idrica ma una progressiva disidratazione.
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Ingredienti per 4 persone
Per l’uovo marinato: 2 tuorli freschissimi / 120 g di sale / 120 g di zucchero / 2 cucchiai abbondanti di Montreal Steak Rub della linea Sal’s Seasoning. Per la salsa al Parmigiano: 200 g di parmigiano 40 mesi GLC Top Selection / 150 ml di vino bianco / 1 cucchiaino di succo di limone / 1 cucchiaio raso di amido di mais. Per l’insalata: 400 g di bistecca di media marezzatura cotta bene / 150 g di lattuga / 100 g di pane raffermo / olio extravergine di oliva di Nocellara D.O.C. / Ultimate SPOG Rub della linea Sal’s seasoning / (facoltativo) un cucchiaio di erbe di Provenza o altre erbe aromatiche essiccate. PREPARAZIONE 1. Pestate il rub in modo da liberare gli oli essenziali. Unite il rub al sale ed allo zucchero miscelando bene. 2.
In un recipiente aperto create una base con metà del composto, con un cucchiaio o altro oggetto create un concavo per ogni tuorlo ed adagiateli, senza romperli, al loro interno. Ricoprite i tuorli con il resto del sale, coprite con un tovagliolo o carta assorbente e lasciate riposare per il tempo necessario.
3.
Preparate la salsa. Versate il vino in un pentolino e portate a bollore.
4.
Nel frattempo grattugiate finemente il formaggio ed aggiungete l’amido di mais amalgamando bene a secco. Quando il vino si sarà ridotto a 1/3 abbassate la fiamma al minimo, aggiungete il limone e versate il composto di formaggio una manciata alla volta mescolando con una frusta fino a quando non otterrete una salsa densa e liscia. Se la salsa dovesse risultare troppo “forte” per il vostro palato potrete smorzarne il sapore aggiungendo della panna.
5.
Preparate i crostini tagliando a cubetti il pane. In una ciotola conditelo con abbondante olio, l’Ultimate SPOG e, se gradite, le erbe aromatiche essiccate. Non lesinate con l’olio, dovranno risultare belli croccanti. Posizionateli su una teglia ed infornate a 200°C rimestandoli ogni tanto fino a quando non saranno ben dorati su tutti i lati. Lasciate raffreddare su carta assorbente per eliminare l’eventuale olio in eccesso.
6.
Nel frattempo che i crostini sono nel forno lavate l’insalata, asciugatela, tagliatela a listarelle e conditela con olio e sale.
7.
Prendete il recipiente che utilizzerete per il servizio e stratificate gli ingredienti in questo ordine: l’insalata, la bistecca tagliata a fette sottili (e sempre controfibra), i crostini, la salsa di parmigiano ed infine l’uovo marinato.
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Note: Se decidete di prepararla in anticipo, per mangiarla, ad esempio, durante la pausa pranzo, condite l’insalata solo con olio ed unite sale e salsa solo all’ultimo momento per evitare che i crostini e l’insalata perdano la loro croccantezza.
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RIBS GLASSATE ALLA RATAFIA
l’antico liquore della pace
La Ratafia è un antico liquore italiano ottenuto mediante la macerazione di ciliegie in vino rosso. Molto diffuso in tutto l’arco alpino e nel centro Italia, è particolarmente apprezzato in Abruzzo, dove viene preparato utilizzando il Montepulciano d’Abruzzo, e in Ciociaria, dove è realizzato con il locale vino Cesanese del Piglio DOCG o il Cabernet DOC di Atina. In virtù della semplicità della ricetta, che viene tramandata da generazioni, questo liquore è divenuto una preparazione tradizionale molto diffusa. La tradizione vuole che il nome provenga dalle parole latine “pax rata fiat” (la pace è fatta), in riferimento all’usanza di ambasciatori e regnanti di brindare con questo liquore a suggello di accordi commerciali o di contratti chiusi durante un buon pasto. L’enciclopedia Treccani ci dice che il termine potrebbe essere una alterazione della parola francese “rectifie”, rettificato, facendo riferimento alla rettificazione, un processo della distillazione; il che potrebbe ricondurre al fatto che la Ratafia fosse in origine una preparazione realizzata da alchimisti-speziali considerata, oltre che un corroborante digestivo, un medicamento, cosa possibile dal momento che le ciliegie sono ricche di antocianine, un antiossidante e antinfiammatorio naturale. Abbiamo traccia della preparazione di questa ricetta già nel diciassettesimo secolo da parte dei monaci cistercensi dell’abbazia di S. Maria della Sala di Adorno in provincia di Biella. Il sapore speziato e carnoso tipico di questo liquore dolcemente tanninico lo rende ottimo per preparare una glassa con cui rifinire le pork ribs affumicate. È una ricetta che richiede pazienza, perché per la preparazione della Ratafia servono almeno due mesi. Il risultato però è speciale.
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Per questa ricetta si utilizzerà la variante abruzzese il cui ingrediente irrinunciabile è il vino Montepulciano d’Abruzzo DOC, che si caratterizza per il colore rubino, l’intenso profumo di frutti rossi e spezie, infine il sapore asciutto e morbido, non acido. Per quanto riguarda la varietà di ciliegia da utilizzare, potete scegliere quella che preferite o che trovate più facilmente: c’è chi lo fa con le amarene, chi con le ciliegie, chi con le cerase (o cerasoli, ciliegie selvatiche piccole e squisitamente asprigne) e chi addirittura usa le sole foglie. Potete provate più varianti per capire quale viene più incontro ai vostri gusti.
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Se volete evitare l’impresa, e soprattutto l’attesa, di fare in casa la Ratafia, potete reperirne con facilità una bottiglia in qualunque supermercato, ce ne sono alcune di ottima qualità. Oppure potete seguire la ricetta qui riportata.
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Ingredienti per 4 persone: due slab di pork ribs
di maiale Duroc del Megastore / 2 cucchiai di Sal’s Seasoning – Tennessee Mild Dry Rub. / 1 cucchiaio di Sal’s Seasoning SPOG / aceto di mele in uno spruzzino / olio di semi q.b. Per la Ratafia: 800 g di ciliegie o amarene / 1 L di buon vino rosso Montepulciano d’Abruzzo / 500 g di zucchero extrafino / 300 ml di alcool alimentare al’90% / 1 stecca di cannella / 1 baccello di vaniglia. Per la glassa: 150 g di Ratafia / 100 g di zucchero / 45 grammi di aceto di mele / 1 cucchiaino di paprika dolce / mezzo cucchiaino di pepe nero appena macinato / 1 cucchiaino di sale / 1 cucchiaino di peperoncino macinato / 1 cucchiaino di aglio in polvere / ½ cucchiaino di cannella / 1 cucchiaio di triplo concentrato di pomodoro.
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PREPARAZIONE DELLA RATAFIA 1. Lavate con cura e denocciolate le ciliegie, mettetele in infuso insieme a cannella, vaniglia e vino all’interno di un contenitore di acciaio inox con coperchio. Non riempite il contenitore fino all’orlo: durante la macerazione il prodotto fermenterà e avrà bisogno di spazio, lasciate almeno 15 centimetri. Se avete a disposizione tappetini riscaldanti per piante o celle di lievitazione tenetelo a una temperatura tra i 20°C e i 35°C per almeno 30 giorni; in alternativa mettete il contenitore in un luogo soleggiato per almeno 40 giorni. Se non avete un contenitore in acciaio inox potete usare un barattolo di vetro per conserve da almeno 3 litri, in questo caso tenetelo al buio e non chiudetelo ermeticamente: infatti, qualora fosse chiuso in maniera ermetica, c'è rischio di scoppio!
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2.
Mescolate di tanto in tanto. Al termine di questo periodo filtrate il tutto utilizzando filtri di carta per uso enologico, spremete o centrifugate le ciliegie per recuperare quanti più liquidi possibili.
3.
Aggiungete lo zucchero e l’alcool e lasciate al buio per almeno altri 15 giorni. Dopo questo periodo è pronto, ma diviene più buono se lasciato ulteriormente riposare.
PREPARAZIONE DELLE RIBS 1. Predisponete il vostro dispositivo per una lunga affumicatura, se usate un kettle preparate uno snake e mettete in accensione una quindicina
di bricchette. Stabilizzatelo a 110°C. 2.
Mentre il barbecue si stabilizza preparate le ribs, rimuovete la pleura, eliminate le parti di grasso in eccesso ed eventuali appendici che potrebbero carbonizzarsi durante la cottura
3.
Passate un velo di olio sulle ribs e conditele con il Tennesse Dry Rub e lo SPOG.
4.
Mettetele in cottura, affumicandole con chips o chunk di ciliegio; lasciatele andare così piano piano finché non saranno adeguatamente affumicate e non si sarà formato un bel bark asciutto color mogano e la carne non avrà cominciato a perdere tenacità.
5.
Approfittate del momento per fare la glassa: mettete tutti gli ingredienti in un pentolino e fate restringere a fiamma bassissima mentre girate in continuazione con una frusta, continuate fino a ridurre il liquido a circa un terzo, attenzione a non esagerare o lo zucchero si caramellerà facendole perdere il bel colore rosso, dovrà risultare liscio e omogeneo.
6.
Se volete velocizzare la cottura, una volta formatosi il bark, potete metterle in “foil” all’interno di un doppio foglio di alluminio con un goccio di aceto di mele, altrimenti continuate la cottura vaporizzando di tanto in tanto dell’aceto di mele sulla superfice per evitare che il bark si carbonizzi.
7.
Occasionalmente verificate il grado di cottura raggiunto dalla carne, potete usare un termometro sapendo che a 88°C avrete una cottura “al morso” e che a 93°C avrete il classico effetto dell’osso che si stacca dalla carne. Nel caso la carne fosse nel foil, potete capire il livello di cottura vedendo quanto si piega la slab quando sollevata, prendendola su un lato o al centro.
8.
Regolandovi con un adeguato anticipo rispetto al raggiungimento della cottura desiderata al fine di evitare di andare troppo oltre, alzate la temperatura del dispositivo a 170°C e spennellate di glassa le ribs. Date il tempo alla glassa di legarsi alla carne e toglietele dalla cottura.
9.
Potete lasciarle nel forno di casa impostato a 60°C fino al momento di servirle.
10. Servitele accompagnate da un buon vino Montepulciano d’Abruzzo e ricordatevi di offrire ai vostri ospiti un bicchiere di Ratafia a fine pasto!
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FLANK STEAK ALLA MORAES
che mondo sarebbe senza l’aglio?
Questa ricetta è un adattamento per i palati italiani del filé do Moraes, un piatto nato nella città di São e divenuto famoso in tutto lo Stato. Il filé do Moraes veniva servito nel 1914 nel ristorante Esplanadinha, un locale aperto 24 ore su 24 frequentato da clienti di tutte le classi sociali. Il nome del piatto viene dall’addetto alla piastra, il signor Moraes, che cuoceva la carne su una piastra alimentata a legna; pare che i clienti abituali, che erano soliti farsi servire al bancone, usassero gridare: «solta um filé, Moraes», ossia «butta (sulla piastra) un filetto, Moraes», per ordinare il piatto tipico del ristorante. Nel 1929 il ristorante fu trasferito in una delle piazze del centro della città e con l’occasione prese il nome del suo iconico grigliatore: Restaurante Moraes; dal 1960 cambiò nome in O Rei do Filé (il re del filetto). Oggi è gestito dagli eredi dei suoi fondatori, ha aperto una seconda sede nella città di São Paulo ed è ancora famosissimo. La ricetta originale del filé do Moraes, conosciuta anche come filé ao alho e óleo (filetto aglio e olio), prevede l’utilizzo di un filetto di 500 grammi, cotto su piastra, condito con sale e pepe e servito cosparso di aglio fritto e dell’olio usato per friggere l’aglio. In questa declinazione della ricetta di Moraes si utilizzerà la griglia invece della piastra e la flank steak al posto del filetto. La flank steak è un taglio proveniente dalla pancia del bovino che si caratterizza per l’ottimo sapore, un ridotto spessore e la presenza di fibre molto grandi e consistenti; i brasiliani, che amano molto questo taglio, lo chiamano fraldinha. Per garantire un’adeguata reazione di Maillard senza stracuocere l’interno, la tecnica migliore è cuocere la flank steak in flip&brush, ossia in cottura diretta, girandola in continuazione ogni pochi secondi e spennellandola ogni volta con un grasso come olio o, come nel caso di questa ricetta, con burro fuso.
Giugno 2022
La ciccia sarà accompagnata con delle cime di rapa ripassate, un crostino alla crema di aglio e aglio fritto. I brasiliani hanno un rapporto molto disinvolto con l’aglio, come potete intuire; in questa ricetta, per adattare il piatto al palato italiano, si avrà cura di trattare questo ingrediente come nella ricetta della pasta aglio e olio scientifica di Gianfranco Lo Cascio: denaturando gli enzimi colpevoli dello sgradevole sapore sulfureo mediante una lunga esposizione degli spicchi a un calore elevato.
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Dal momento che la preparazione dell’aglio è quella che richiede più tempo, è possibile prepararlo anche qualche giorno prima, e conservarlo in un barattolo chiuso ermeticamente in frigo fino al momento dell’utilizzo. Vediamo la ricetta.
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Ingredienti per 2 persone: due flank steak del Megastore / due
teste di aglio / 150 g di burro / sale e pepe q.b. / 300 g di cime di rapa / peperoncino a piacere / due cucchiai di formaggio pecorino grattugiato / un filoncino di pane di grano duro / olio di semi di arachidi per friggere q.b. PREPARAZIONE 1. Pelate gli spicchi di una delle teste d’aglio facendo attenzione a non schiacciarli o intaccarli con il coltello. Mettete in cottura a bagnomaria insieme al burro, a un pizzico abbondante di sale e una buona quantità di pepe appena macinato; prolungate la cottura per non meno di tre ore, finché gli spicchi non saranno “sgonfi”. Quando pronto, separate il burro e l’aglio in due contenitori diversi. Per l’aglio fritto, separate tra loro gli spicchi dell’altra testa d’aglio e metteteli con tutta la buccia in una pentola con acqua fredda, portate lentamente l’acqua a ebollizione e lasciatela bollire per una decina di minuti, quindi scolate gli spicchi, spellateli, ed asciugateli con cura. Tagliateli in pezzi di circa un centimetro e mezzo e friggeteli in olio ben caldo fino a farli diventare ben dorati e croccanti. Quando pronti, tamponateli con della carta assorbente e fateli raffreddare sopra della carta assorbente prima di salarli. Teneteli da parte fino al momento di impiattare.
3.
Mettete in accensione una ciminiera riempita per ¾ di bricchette e, nel frattempo, dedicatevi alla preparazione delle verdure e dei crostini. Pulite le cime di rapa e cuocetele non più di 4/5 minuti in una pentola di acqua salata che avrete precedentemente portato a ebollizione, quindi gettatele in acqua e giaccio. Asciugatele con cura e ripassatele in padella con abbondante olio bollente, un paio di quegli spicchi d’aglio che avete precedentemente cotto nel burro, peperoncino, sale e pepe quanto basta. Non fatele stracuocere, lasciatele croccanti.
4.
Per i crostini: tagliate il pane in fette alte circa un centimetro, frullate il rimanente aglio con il pecorino e parte del burro fino a ottenere una crema, spalmatela sul pane e condite con un po’ di pepe. Settate il dispositivo per una cottura a due zone e mettete i crostini in cottura indiretta avendo cura di posizionare le vent-out sopra il pane per favorire la convezione del calore. Fateli cuocere con tutte le bocchette aperte finché non saranno ben dorati.
5.
Una volta cotti i crostini, potrete togliere il coperchio e dedicarvi alla cottura delle flank steak con la tecnica del flip&brush utilizzando il burro fuso nel quale abbiamo cotto in precedenza l’aglio: pulite le bistecche da eventuali pellicole e cartilagini portando a vista le fibre, asciugatele, utilizzando un pennello per alimenti spennellatele di burro e mettetele in cottura diretta sopra il carbone, lasciatele pochi secondi per lato avendo cura di spennellarle di burro ogni volta prima di girarle; andate avanti così fino al raggiungimento del grado di cottura desiderato.
6.
Fate riposare la carne qualche minuto prima di affettarla contro fibra. Servitela nel piatto insieme alle cime di rapa, ai crostini e all’aglio fritto.
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2.
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ĆEVAPČIĆI
si innamorano dei funghi e il cuore si fonde
Un vero Grill Master non teme nulla: ad ogni grigliata vorrebbe portare in tavola un mix di carni il più vario possibile. E infatti, eccovi accontentati: con questa ricetta oltre ai funghi ricchi di Umami, avremo agnello, manzo e maiale! Manca qualcosa? Ah, certo, cipolla e aglio ovviamente. Insomma, una ricetta proprio leggera. L’idea è partita dai Ćevapčići, che sono il “cibo da strada” per eccellenza della cucina balcanica, ma vengono preparati anche in buona parte del nord-est Italia, nelle province di Trieste e Gorizia; li troviamo anche in Slovenia, in Austria e in Romania. Stiamo parlando di una specialità che molti di voi probabilmente avranno avuto occasione di assaggiare, magari durante una vacanza in Croazia! La denominazione deriva dal termine kebab (carne arrostita), insieme al diminutivo tipico delle lingue slave -čići. I Čevapćiči sono una ricetta originaria della Turchia e sono arrivati in Bosnia con l'occupazione ottomana dei Balcani, nel XIV sec d.C. Si narra che vennero serviti per la prima volta a Belgrado, intorno al 1860 nella trattoria "Da Tanasko Rajić". Il proprietario della trattoria, il padrone Živko si era arricchito proprio con questa pietanza e con i guadagni riuscì a costruire una chiesa nella sua regione d'origine. Ma cosa sono di fatto? Delle polpette di carne dalla forma cilindrica, ma si possono trovare anche tondeggianti, caratterizzate da un sapore particolarmente speziato e deciso, dovuto alla presenza di abbondante cipolla, aglio e paprika. Sono composte da carne tritata finemente di manzo e agnello o montone, ma anche di maiale. Vengono servite cotti al barbeque, alla griglia o alla piastra.
Giugno 2022
Possono essere un secondo, un piatto unico e volendo un contorno (!), ma noi li trasformeremo in un antipasto pazzesco! Una ricetta per palati forti: insomma, vedrete che vi faranno innamorare al primo morso.
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Ingredienti per 4 persone: 1 confezione di funghi
champignon / 12 fette di pancetta / 200 g di macinato di agnello / 150 g di macinato di manzo / 150 g di macinato di maiale / una cipolla bianca / un cipollotto / un ciuffetto di erba cipollina / un ciuffetto di prezzemolo / 2 spicchi di aglio / ½ cucchiaino di Paprika dolce / Sal’s Seasoning Rub Mount Nimba q.b. / 200 g di formaggio tipo Pecorino di media stagionatura / Sal’s Seasoning Rub Montreal q.b. / Sale e pepe q.b. PREPARAZIONE 1. Per prima cosa, mondate e tritate finemente, la cipolla, il cipollotto, l’aglio, il prezzemolo e l’erba cipollina. 2.
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Pulite i funghi con un panno bagnato, staccate i gambi dalla testa con un movimento rotatorio, partendo dal bordo inferiore della cappella, sollevate la pellicola che ricopre il fungo con l'aiuto di un coltellino. Tiratela verso la parte centrale della testa: vedrete che si staccherà molto facilmente. A questo punto prendete i gambi, eliminate la parte terrosa e raschiate via quella rimasta. Man mano che avrete completato questa operazione, immergete i funghi champignon puliti in una ciotola con abbondante acqua molto fredda e acidulata con succo e fettine di limone: il primo ingrediente serve a mantenere il fungo croccante, mentre il secondo gli impedisce di annerirsi e ossidarsi. Dopodiché aiutandovi con un cucchiaino, scavate leggermente ogni cappella in modo da farci alloggiare più macinato possibile.
4.
Tritate i gambi e il raschiato dalle cappelle. Poi versate i tre tipi differenti di carne macinata in una ciotola capiente, unite tutto il trito, la paprika e il Rub Mount Nimba, infine impastate con le mani per ottenere un composto omogeneo, regolate di sale e pepe e impastate ancora.
5.
Coprite la ciotola con pellicola e lasciate in frigorifero per almeno 2 ore, per permettere agli ingredienti di amalgamarsi e di insaporirsi per bene.
6.
Tagliate a dadini il pecorino di circa un cm per lato.
7.
Trascorso il tempo necessario, riprendete il composto e formate delle polpettine con i palmi delle mani, le dimensioni varieranno a seconda della grandezza del fungo, ma non vi preoccupate, potrete tranquillamente aggiungere o togliere impasto; la cosa più importante è tenere conto del fatto che dovrete mettere al centro un pezzo di formaggio.
8.
Togliete le cappelle dal liquido di conservazione e asciugatele, poi riempite le teste di champignon con l’impasto aiutandovi con un cucchiaino e dopo avervi inserito al centro il formaggio, ricoprite con altro composto, infine avvolgere la pancetta attorno al fungo.
9.
Posizionate i funghi sulla griglia di cottura con la farcitura verso l’alto, in indiretta, dopo aver settato il dispositivo per una temperatura di 180ºC per circa 20/25 minuti, affumicando con chips di legno di ciliegio.
10. Prima di servirli posizionate un pizzico di Rub Montreal su ogni funghetto e decorate il piatto con un rametto di prezzemolo fresco!
Spadelliamo?
STIR FRY CON FLAT IRON E VERDURE CROCCANTI
Sicuramente, voi che vi dilettate tra fornelli e griglie avrete, tra le vostre tecniche preferite, lo stir fry: quello spadellamento violento a temperature solari con conseguenti sfiammate dealcolizzanti che tanto gonfiano il nostro petto di soddisfazione, quanto di improperi la bocca di chi dovrà pulire la cappa. Saper gestire un wok caldo mantenendo il controllo del piccolo Calcifer che vive nel nostro Ego è cosa non comune, ma vi siete mai chiesti cosa significhi e dove sia nata questa tecnica? Il termine stir fry deriva dai verbi To stir, che significa agitare, mescolare, scuotere e Fry che invece significa (ma guarda un po’) friggere. Maccheronicamente si potrebbe tradurre in “friggere mescolando” o “scuotendo”. Si tratta, come già accennato, di una tecnica di cottura orientale che prevede il saltare in padella laqualunque per brevi periodi ad altissima temperatura, in presenza di un grasso che veicoli il calore. Il termine sembra che nasca negli Stati Uniti per differenziare il pan fry (soffriggere in padella) dalla tecnica utilizzata dai primi immigrati cinesi (Chǎo - 炒), successivamente utilizzata anche per preparazioni non asiatiche. Non ci sono dubbi quindi sulla paternità di questa tecnica, visto che è stata descritta già nel 544 dC in quello che, ad oggi, viene definito come uno dei più importanti trattati di agronomia nonché il più antico testo “agronomico-culturale” cinese, il Qi Min Yaoshu. Veniamo alla pratica. Per lo stir fry, tradizionalmente, viene utilizzato il wok, un tegame semisferico abbastanza profondo, pesante e solitamente forgiato in ferro o in ghisa, anche se ormai si trova in ogni materiale e con varie forme e dimensioni. La particolarità di questo tipo di pentola è la sua versatilità; infatti permette di utilizzare praticamente ogni tipo di tecnica, dalla cottura al vapore alla frittura, tanto che in molte famiglie dei paesi rurali della Cina e del sudest asiatico è ancora l’unico recipiente da cottura in metallo presente nelle case. La particolare forma della pentola, inoltre, fa sì che il calore sia concentrato solo sul fondo lasciando alla sensibilità dell’utilizzatore la gestione delle temperature su tutta la superficie del dispositivo. In molti dispositivi poi l’utilizzo del wok è agevolata grazie al sistema di griglie concentriche, adottato ormai da molti produttori, che ne rendono più agevole l’utilizzo.
A tal proposito, abbiamo ampia scelta, praticamente non c’è taglio che non sia adatto. Quelli a fibra lunga sono perfetti, grazie anche alla loro attitudine nell’assorbire le marinate, ma anche tagli di pancia come il galbi, molto usato in Corea proprio per questo tipo di preparazione, sono assolutamente adatti al nostro scopo. Abbiamo scelto una Flat Iron Steak SRF 9+ GLC Top Selection. La Flat Iron è un taglio snobbato dai più in Italia, relegato a carne da brodo o, nel migliore dei casi, da sugo, ostico da ricavare ma dal sapore esplosivo e dalla tenerezza imbarazzante. Nel nostro caso sono arrivate porzionate in skin da circa 400 g e già pronte per essere tagliate e marinate. Hanno il brutto vizio di sparire dal Megastore in un amen ma, se non le trovate, potreste sempre chiedere al vostro coach di riservarvene qualcuna per il prossimo giro, sempre che siate iscritti al Club. Se invece volete divertirvi a ricavare le flat iron direttamente dal “cappello del prete” vi consigliamo di recuperare il Magazine di gennaio 2019 (si, proprio il nr. 1) dove troverete una #Butcher Class dedicata proprio a questo taglio.
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Per diventare dei ninja di stir fry dobbiamo abbandonare la ricerca ossessiva della maillard per dedicarci alla succosità ed alla stratificazione dei sapori visto che andremo a tagliare la carne a striscioline
o a pezzetti della grandezza di un boccone e non vogliamo certo che diventino dure dure dure (cit.). Quindi fate largo all’uso di marinate, di verdure e di salse per rendere il vostro piatto ricco, colorato e sempre diverso; senza mai dimenticare che chi comanda la baracca è sempre la carne.
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Ingredienti per 4 persone
2 Flat Iron steak srf 9+ del Megastore o una Top Blade intera Rangers Valley Black Onix / 100 g carote / 100 g zucchine / 100 g di broccolo romanesco / amido di mais / 100 g cipollotti / peperoncino q.b (se piace) / 2 spicchi d’aglio / 2 cm di zenzero / olio extravergine di oliva Sicilia Riserva GLC q.b. Per la marinata: 25 ml di marinata Red Flesh Crash della linea Meat Booster / 25 ml di salsa di soia / 1 cucchiaino raso di pepe / 1 cucchiaino di zenzero tritato / 25 ml di acqua PREPARAZIONE 1. Iniziate con il preparare le flat iron steak eliminando, se presenti, le silver skin; tagliatele a fettine o a listarelle di circa 1,5 - 2 cm di spessore e mettetela a marinare per un’oretta o 2 al massimo. 2.
Se usate un kettle a carbone, preparate un setup diretto ad alta temperatura con zona calda centrale e, se presente, rimuovete la piccola griglia del sistema GBS o similare.
3.
Iniziate a pulire le verdure di riempimento (per i cipollotti solo la parte bianca) e tagliatele a julienne, rondelle, diagonali, losanghe o come preferite, l’importante è che siano abbastanza sottili da cuocere senza però perdere la loro croccantezza.
4.
Tagliate le puntarelle a julienne sottile e mettetela a riposare una mezzoretta in acqua e giaccio. La temperatura dell’acqua farà sì che queste si arriccino mantenendo la loro croccantezza e il loro sapore caratteristico.
5.
Posizionate il wok sopra le braci e fatelo scaldare bene, dovrà essere caldissimo.
6.
Inserite l’olio o il grasso che preferite ma senza esagerare ché non state facendo una frittura.
7.
Fate soffriggere rapidamente le verdure aromatiche (aglio, peperoncino, zenzero) senza farle bruciare.
8.
Buttate in padella la carne e fatela saltare velocemente senza, come già detto, ostinarvi nella ricerca della Maillard.
9.
Appena prende colore fate sfumare con il vino, aggiungete le verdure e i liquidi e continuate a cuocere per pochi minuti spadellando o girando spesso. Fate attenzione a non stracuocere sia le verdure che la carne, le prime dovranno restare croccanti e la seconda tenera e succosa.
11. Servite il tutto ancora caldissimo.
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10. Aggiungete le puntarelle e qualche cucchiaio di maizena sciolta in acqua fredda e fate saltare giusto il tempo di far addensare il fondo.
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Buona fino all’osso!
CHULETON CON INSALATA DI PATATE ALLA SPAGNOLA
A volte basta un profumo, un colore particolare, e i ricordi della nostra infanzia tornano vividi, quasi reali nella mente, riportandoci magicamente indietro nel tempo. A me succede sempre quando ho la fortuna di trovarmi a passeggiare vicino ad un campo con l’erba tagliata da giorni. Il profumo inconfondibile del fieno mi riporta bambino, alle domeniche di primavera, quando nel patio, sopra le braci del camino acceso, si cuoceva la carne. Nell’immaginario di bambino, quella sprigionata dal fuoco era pura magia, rendeva tutto così saporito e bruciacchiato (ah, cara e sconosciuta Maillard!) e il premio più ambito rimaneva sempre l’osso da sgranocchiare alla fine. Oggi con un po’ d’anni e di conoscenza in più, quando voglio ritrovare le sensazioni di un tempo, la mia scelta non può che cadere sulla mia bistecca preferita: la Ribeye Bone-in. Con l’osso lungo oppure appena accennato, in quell'incontro delizioso di muscoli che la compongono, a mio parere è la regina dei pezzi da grigliare. Nella ricetta presa in esame oggi metteremo in griglia la versione spagnola della Costata, per la più completa e complessa esperienza gustativa con questo tipo di taglio. È chiamato Chuleton e si distingue grazie all’inconfondibile dolce cappotto di grasso biondo (Rubia) e per il “ labbro” pronunciato, caratteristiche che la rendono diversa da tutte le altre.
Giugno 2022
Useremo per la ricetta un Chuleton España Vaca Vieja Gallega del Megastore BBQ4All che verrà preventivamente trattato per far esaltare poi in cottura tutte le sfumature di cui è ricco. Il taglio verrà dunque servito assieme a una preparazione tipica spagnola, semplice quanto gustosa: un’insalata di patate.
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Ingredienti per 4 persone: Chuleton España Vaca Vieja Gallega del Megastore BBQ4All / 700 g di patate / 1 mela varietà Granny Smith / 1 cipolla Rossa di Tropea / 2 spicchi d’aglio / 50 ml di olio extravergine d’oliva Sicilia Riserva GLC Top Selection q.b. / pepe Tellicherry macinato al momento q.b. / sale q.b. / un cucchiaino di senape di Digione.
PREPARAZIONE 1. Accendete una ciminiera di bricchette: quando presenteranno una leggera patina bianca in superficie, versatele sulla griglia inferiore del dispositivo a carbone, appoggiatevi sopra direttamente le patate, chiudete il coperchio e lasciate andare. Saranno pronte quando, infilando uno stecchino, esso entrerà senza trovare resistenza. Togliete, pelate e lasciate raffreddare. Tagliate le patate nel senso della lunghezza ricavando tanti bastoncini di 2 cm. Fate lo stesso con la cipolla e mettete il tutto in una teglia capiente. Preparate una marinata unendo l’aceto, l’olio, il sale, il pepe e la senape. Emulsionate per bene e versate sugli ortaggi mescolando per insaporire bene. Coprite e mettete in frigo.
3.
Togliete il Chuleton dalla confezione tamponando bene per asciugare in modo maniacale la superficie. Essendo normalmente di spessore notevole, per garantire una cottura omogenea si dovrà procedere con un trattamento preventivo in grado di portare la temperatura interna il più possibile vicina a quella di servizio. Potremo muoverci indifferentemente usando uno strumento che ci garantisca una cottura a bassa temperatura per un tempo stabilito, a cui far seguire necessariamente un passaggio nel forno ventilato, per asciugare la superficie che inevitabilmente dopo la prima cottura si presenterà bagnata, oppure solamente usando quest’ultimo. L’uso dello strumento in CBT garantirà per questa tipologia di carne leggermente tenace (è una vacca vecchia in definitiva), il miglior risultato, avviando quella degradazione enzimatica che favorirà poi una maggiore tenerezza a fine cottura. Scegliete il supporto di cottura che preferite, l’importante è che sia rovente.
4.
Se optate per un dispositivo a carbone non lesinate in combustibile (è una cottura diretta), preparate il dispositivo con set up a tre zone ( in modo da avere zone con temperature diverse) prevedendo sempre una safe zone per riparare dalle inevitabili dannose fiammate. Portate la carne alla temperatura di massimo 50°C interni al cuore. La presenza dell’osso fa preferire l’adozione della griglia per evitare di non avere uniformità di contatto nella conduzione del calore.
5.
Togliete il Chuleton dal supporto di cottura e lasciate riposare per alcuni minuti coperto con foglio d’alluminio appoggiato sopra per dare in modo ai grassi contenuti di aumentare la loro viscosità.
6.
Pulite la mela togliendo il torsolo, tritate finemente la polpa e aggiungete alla teglia con patate e cipolla mescolando bene.
7.
Preparate un supporto caldo a centro tavola dove adagiare le fettine di Chuleton cercando di effettuare un taglio della fettina che comprenda tutti i diversi muscoli (dal Lungissimus al Costarum, passando per lo Spinalis e il Multifidus) che compongono questo meraviglioso pezzo di carne.
8.
Servite il contorno su ciotole dove i commensali possano servirsi per accompagnare la carne.
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2.
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Gli spiedini non sono mai stati così buoni!
CUBOTTI DI TOP BLADE
Giugno 2022
CON GUACAMOLE
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Il taglio di carne con cui abbiamo realizzato questo strepitosi spiedini è da sempre considerato “povero", è ricavato da una zona del quarto anteriore del bovino e viene spesso destinato alle lunghe cotture bollite o brasate.
Ingredienti per 4 persone: 4 bistecche di Top Blade del
Stiamo parlando del Top Blade, da noi conosciuto con il nome di Copertina di Spalla o Cappello del Prete. Se trattato con la giusta tecnica, questo taglio risulta perfetto anche per la cottura in griglia, rivelandosi per quello che in effetti è: uno dei tagli più versatili che possiamo trovare. Rimuovendo con cura la tipica vena di connettivo centrale, si ottengono delle bistecche morbide e ricche di gusto che non hanno nulla da invidiare ad altri tagli considerati più prestigiosi.
PREPARAZIONE 1. Aprite le confezioni di Top Blade, tamponate bene la carne con carta ed asciugate con cura. Rifilate bene con coltello per rendere le fette regolari e poi tagliate ricavando tanti cubotti. Mettete in una ciotola
Per questa veloce ricetta in vero stile “Stay Simple”, le bistecche verranno tagliate a cubotti, i quali verranno prima marinati e poi assemblati in gustosi spiedini da grigliare e gustare accompagnati da guacamole, la famosa salsa fresca di origine messicana a base di avocado. Una salsa sontuosa e delicata, che già gli Atzechi preparavano aggiungendo all’avocado anche il pomodoro, pestandoli insieme in una specie di mortaio fino a ottenere una crema da loro chiamata “āhuacamolli”, ovvero letteralmente “salsa di avocado”. Per la marinatura useremo come base la Black Diamond Marinade che fa parte della Meat Booster Series del Megastore. Si tratta di una marinata già pronta, perfetta per questo tipo di carne, che verrà diluita con della birra scura. Vediamo dunque questa ricetta semplicissima ma estremamente soddisfacente.
Megastore BBQ4All / una confezione di Black Diamond Marinade BBQ4All / 150 ml di birra scura / 2 Avocadi Hass maturi / 1⁄2 peperoncino jalapeño / un cipollotto fresco / un lime / un mazzetto di coriandolo / insalata riccia / sale q.b / pepe Tellycelly macinato al momento q.b.
Diluite la Black Diamond Marinate aggiungendo la stessa quantità di Birra (dunque un mix 50/50) ed un cucchiaino di sale per aiutare l’attivazione, favorendo poi la penetrazione della marinata all’interno delle fibre.
3.
Inserite in un sacchetto per alimenti da sottovuoto i cubotti di carne e versate a filo la marinata, massaggiando in modo che aderisca uniformemente. A meno che non abbiate uno strumento per il sottovuoto a campana, molto utile in questo caso, cercate di far uscire con le mani l’aria contenuta il più possibile, sigillate il sacchetto e riponete in frigo per un minimo di 2-3 ore. Se avete il tempo e volete un risultato ancora più gustoso, potete lasciare in marinatura anche tutta la notte.
4.
Per preparare la salsa Guacamole aprite i due avocadi tagliandoli a metà con un coltello affilato. Togliete il nocciolo (operazione semplice se, come indicato, ne avrete scelti di maturi ) e, aiutandovi con un cucchiaio, scavate la polpa mettendola in una ciotola. Schiacciatela poi con i rebbi di una forchetta, riducendola in purea. Tagliate finemente il cipollotto, il peperoncino e il coriandolo e spremete il succo del lime. Aggiungeteli alla polpa mescolando accuratamente. Aggiustate di sale e pepe. Mettete in frigo.
5.
Settate il dispositivo esterno per una cottura indiretta stabilizzato sui 150°C.
6.
Togliete la carne dalla marinata (quest’ultima gettatela pure) tamponando l’eccesso e infilate i cubi in stecchini lunghi formando gli spiedini (se usate quelli di legno bagnateli prima).
7.
Non mettete gli spiedini a diretto contatto con la griglia, ma sollevati usando uno dei numerosi supporti specifici che potete trovare in commercio, per evitare l’eccessivo calore per conduzione. Chiudete il coperchio e lasciate andare avendo l’accortezza di girarli ogni 5 minuti. Controllate con il termometro la temperatura che non dovrà superare i 50°C52°C. Per valorizzare la Maillard potete passarli velocemente in cottura diretta, facendo comunque attenzione.
8.
Servite gli spiedini con una ciotolina di Guacamole per ogni ospite.
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Ne ho facoltà – a cura di Chiara Lo Cascio
TU CHIAMALA, SE VUOI
WAGYŪTRICIANA
Torniamo seri: alla base della cucina italiana ci sono, in ordine sparso, il pane, la pasta e la pizza. I primi piatti sono il tassello immancabile del puzzle gastronomico che ci contraddistingue, ma rappresentano anche un argomento su cui siamo particolarmente suscettibili e spesso campanilisti. Sono quasi sempre piatti protetti e conservati dalla tradizione: ogni famiglia possiede una propria variante, di cui custodisce religiosamente i segreti. Per me la tradizione ha un concetto più ampio: non riguarda solo la tecnica di esecuzione della ricetta di famiglia, che si fa da generazioni secondo il metodo della bisnonna, ma è soprattutto legata alle sensazioni che si provano nei confronti di quel sapore, e dei ricordi che evoca; vista in questo modo, ogni variante di quella ricetta è assolutamente accettabile, perché comunque evocativo. E se, cambiando la ricetta, il piatto non fosse buono? Nella stragrande maggioranza dei casi, gli ingredienti buoni usati nel modo giusto difficilmente creano gusti cattivi. È sufficiente pensare ai sapori che ci piacciono e pensare a come abbinarli tra loro per creare qualcosa di innovativo e sensazionale, per divertirsi o per stupire i propri amici a cena, magari dopo un esame particolarmente ostico.
La vera Amatriciana non trova la sua origine in tempi molto distanti da noi: ci sono diverse storie legate a questo piatto, che risalgono comunque agli ultimi anni del diciannovesimo secolo, in Lazio. In alcune ricette c’è il peperoncino, in altre il pepe, in altre ancora si usa la cipolla per il soffritto, ingrediente che col passare del tempo diventa sempre meno rilevante. L’Amatriciana viene presto ribattezzata come il piatto dalle “5 p”: pasta, pancetta (che originariamente e tradizionalmente è sostituito dal guanciale), pomodoro, pecorino e peperoncino (o pepe). La base la conosciamo: la Gricia, combinazione perfetta nata in grembo alla cucina romana, a base di pecorino e pancetta, che ci insegna la proprietà magica della cucina: cambiando gli ingredienti, il risultato cambia e forse migliora! Aggiungendo il pomodoro diventa Amatriciana, togliendo il guanciale diventa Cacio e Pepe, aggiungendo l’uovo diventa Carbonara. Una base, infinite varianti. Ammetto che questa è una variante insolita, ma prometto che: 1. Ne varrà la pena; 2. Non smetterò di trovare altre varianti fuori dal comune.
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Nasce quindi da un esperimento in casa mia una variante dell’Amatriciana che sostituisce il guanciale croccante con lo Shimofuri Salami, che in dispensa da me non manca mai: è un salame fatto con carne di Wagyū, dal sapore inconfondibile e potente. Rimestando ancora un po’ nella
dispensa, ormai colma di qualsiasi variante di conserva, trovo dei pomodorini datterini gialli precotti e, lì vicino, un barattolo di salsa. Sempre di datterini gialli. Eh, mi piacciono, che vi devo dire? Vi faccio vedere come tutto ciò possa diventare un’Amatriciana da triplo salto sulla sedia (dove l’ho già sentita questa espressione?).
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Ingredienti per 4 persone: 400 g di salame Shimofuri
del Magastore / 300 g di pomodorini datterini gialli (in conserva al naturale oppure freschi) / un barattolo di salsa di datterini gialli / un cipollotto / 400 g di bucatini / tre cucchiai d’olio extravergine di oliva / Pecorino romano grattugiato a piacere / sale e pepe q.b. PREPARAZIONE 1. Preparate un soffritto con olio e cipollotto tritato. Raggiunta la doratura del cipollotto, aggiungere la salsa di pomodoro con un pizzico di sale e lasciare restringere. Spegnete e lasciate da parte. 2.
Tagliate i datterini a metà e fateli leggermente appassire in una padella con un filo d’olio, in modo che esca un po’ del loro sughetto. Spegnete, salate e tenete da parte.
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Riempire una pentola d’acqua da portare a bollore con la pasta alla mano.
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Affettate e tagliate a listarelle il salame, poi lasciatelo rosolare in una padella e quando avrà attorno la sua crosticina e avrà rilasciato il suo grasso, rimuovetelo dalla padella e unite il grasso al sugo.
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Una volta cotti i bucatini, uniteli al sugo nella padella, saltateli e infine aggiungete i datterini e il salame Shimofuri croccante.
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Aggiungete una bella spolverizzata di Pecorino e impiattate.
Prego e buon appetito, amici miei!
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L'APPLE PIE
barocca o razionalista? L’Apple Pie è una ricetta di origine inglese, giunta sul suolo nord americano insieme ai primi coloni. Nonostante questo iconico dessert sia indubbiamente il dolce tipico degli USA, l’Apple Pie non ha mai avuto una ricetta ben definita, tanto è vero che già nel primo libro di ricette americane “American Cookery”, pubblicato nel lontano 1796 da Amelia Simmons, vi sono ben due ricette per l’Apple Pie. Gli americani, che sono notoriamente meno esigenti degli italiani in cucina, vivono questa mancanza di una ricetta standard con serenità e non si accapigliano, come accade nel nostro Paese, per rivendicare la conoscenza dell’unica vera ricetta originale. Trasformare differenze in risorse è un pregio tipico degli abitanti degli Stati Uniti che, dopo aver dato una patria dell’Apple Pie, hanno dato i natali anche al marketing e unito il tutto nell’American Pie Council, un'associazione che si pone l’obiettivo di “preservare l’eredità delle torte americane e promuovere la storia d’amore americana per le torte”. L’American Pie Council, con il tipico stile lobbistico americano, mette insieme appassionati, professionisti e operatori del mercato delle torte e organizza sin dal 1995 i campionati americani di Apple Pie, pubblicando sul proprio sito web e mettendo a disposizione di tutti le ricette degli autorevoli vincitori degli ultimi anni. Sebbene manchi una ricetta originale troviamo dei fattori comuni alla maggior parte delle ricette: la presenza delle mele come sapore portante, l’aroma di cannella, un impasto a base di sola farina e burro. A questi fattori di base si possono aggiungere ulteriori ingredienti per costruire una ricetta più ricca di stimoli per chi andrà a gustarla. Vi presentiamo dunque due declinazioni della Apple Pie e per farlo ci ispiriamo all’architettura, dandovi due varianti della ricetta, una “razionalista” e una “barocca”. La ricetta razionalista segue il motto “less is more”, “il meno è più” (ossia meno è meglio), coniato dall’architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe, padre del razionalismo, stile architettonico che si caratterizza per la ricerca della semplificazione e chiarezza. È una preparazione che riduce la ricetta all’essenziale, e nella sua essenzialità restituisce il cuore della ricetta permettendo di gustarne “in purezza” l’essenza. La versione barocca, invece è arricchita di spezie e altri sapori con l’obiettivo di raggiungere una maggiore complessità aromatica e viene qui presentata per dare uno stimolo alla personalizzazione. Potete prenderla come spunto e aggiungere o togliere ingredienti per avvicinarla ai vostri gusti. declinata
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La ricetta prevede l’utilizzo di una skillet di ghisa perché sarà cotta nel barbecue. L’impasto di base è lo stesso per entrambe le preparazioni: il 60% di grassi sul peso della farina, diviso in parti uguali tra burro e margarina per non avere un sapore troppo invasivo di burro, più il 10% di acqua sul peso della farina per favorire la creazione di una maglia glutinica che ci aiuterà ad avere un impasto più elastico e facile da stendere.
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Il sapore portante è dato ovviamente dalle mele: sono consigliate le mele renette, dal caratteristico gusto asprigno che ben si presta per questa preparazione, ma potete optare per varietà diverse secondo i vostri gusti.
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Ingredienti per una skillet (o una teglia) da
porzione più abbondante per la base: mettetela tra due fogli di pellicola per fare in modo che non si attacchi al tavolo e stendetela aiutandovi con un mattarello. Per forma e dimensioni regolatevi rispetto a quelle della vostra skillet o teglia, dovrà essere sufficientemente grande per coprire fondo, bordo laterale e lasciare un’adeguata porzione di impasto all’esterno da utilizzarsi per successiva chiusura. Aiutandovi con la pellicola sulla quale l’avete stesa, disponetela nella teglia precedentemente imburrata e bucherellatela con una forchetta.
26 cm per la base: 400 g di farina / 120 g di burro / 120 g di margarina / 40 g di acqua / un pizzico di sale. elemento portante: 800 g di mele affettate accompagnamento: il miglior gelato alla vaniglia che riuscite a trovare Per la farcitura razionalista : 200 g di zucchero bianco / 4 cucchiaini di cannella / 40 g di burro.
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PREPARAZIONE 1. In una ciotola di acciaio unite la farina con il burro a temperatura ambiente e la margarina; schiacciateli fino a inglobare tutta la farina, aggiungete quindi l’acqua fredda e il sale e continuate a impastare finché non diviene liscio e omogeneo. Avvolgete nella pellicola da cucina e riponete in frigo per almeno mezz’ora, l’impasto può essere conservato così anche qualche giorno; volendo potete avvantaggiarvi la preparazione il giorno prima o farne una quantità maggiore per fare più torte in giorni diversi.
Farcitura: disponete gli spicchi di mela precedentemente conditi sull’impasto cercando di non lasciare spazi vuoti; un buon modo per farlo è quello di disporli tutti con il medesimo orientamento leggermente sovrapposti. Per la farcitura razionalista sciogliete il burro e versatelo sulle mele. Con l’aiuto del mattarello e della pellicola stendete il resto dell’impasto, posizionatelo sopra la farcitura e sigillate la torta unendo i due impasti sui bordi.
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Per avere una superficie ben dorata e croccante, spennellate la parte superiore della torta con del burro fuso e cospargetelo di zucchero di canna. Incidete la parte superiore della torta con un coltello praticando dei tagli dal centro verso l’esterno: questa operazione serve a non far gonfiare la torta e inoltre è un occasione per creare delle simmetrie esteticamente gradevoli, utili per delineare le fette che taglierete una volta cotta la Apple Pie.
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Cuocete nel dispositivo settato a 150°C, un paio di minuti in cottura diretta per far salire la temperatura della skillet di ghisa e poi almeno altri 30/40 minuti in cottura indiretta, finché la superfice non sarà adeguatamente dorata e croccante e l’impasto non avrà raggiunto almeno i 94°C.
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Per un sicuro effetto scenico vi suggeriamo di allestire la torta in anticipo e metterla in cottura nel barbecue mentre siete a tavola con gli ospiti, al momento del dessert portatela in tavola con tutta la skillet incandescente e servitela ancora calda accompagnata dal gelato. “God Bless America”!
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2. Sbucciate e affettate le mele, cercando di fare spicchi tutti della stessa dimensione non più alti di mezzo centimetro
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Farcitura razionalista: condite le mele con lo zucchero e la cannella, tenendo da parte il burro che servirà in un secondo momento.
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Farcitura barocca: unite l’amido alle mele, sciogliete il burro in un tegame antiaderente e unite tutti gli altri ingredienti eccetto le mele; quando saranno ben amalgamati aggiungete le mele e fatele cuocere un paio di minuti mescolando delicatamente. Le mele perderanno un po’ di succhi che si amalgameranno in virtù dell’amido messo in precedenza. Lasciate raffreddare.
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È giunto il momento di comporre la torta, dividete l’impasto in due parti che siano l’una il doppio dell’altra e utilizzate la
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Per la farcitura barocca: 200 g di zucchero moscovado / 4 cucchiaini di cannella / 20 g di burro / 2 cucchiaini di noce moscata / un pizzico di sale / ½ cucchiaino di zenzero grattugiato / la buccia di un limone / un cucchiaio di succo di limone / 2 cucchiai di bourbon / 30 g di noci tritate finemente, un cucchiaio di amido di mais.
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L'Arte Bianca a cura di Alessandro Trezzi
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on serve certo essere modenesi o emiliani per conoscerle: grazie alla loro estrema versatilità, le goliardiche tigelle hanno ormai spopolato in tutta la penisola. Tonde, alte più o meno 2 centimetri e di larghezza tipicamente di 10-12, sono un must soprattutto aperte in due e farcite di formaggi e salumi. Vediamo insieme come nascono, quali sono i loro segreti e come si realizzano.
Storia e origine del nome
riconoscibile poi su ogni disco di pasta pronto per essere farcito. Di fatto, la “tigella” è lo strumento che è necessario per preparare le “crescenti” (o crescentine), il nome storico delle tigelle. Con il passare degli anni, c’è stato uno slittamento semantico che ha fatto sì che venisse accettato il fatto che si va a chiamare l’alimento con il nome dello strumento utilizzato per prepararlo (un discorso simile a ciò che avviene per la paella spagnola).
Questo prodotto tipico emiliano è stato l’alimento base delle famiglie contadine del Frignano, che le mangiavano anche al mattino prima di andare a lavorare nei campi. Ma c’è differenza tra crescentina e tigella?
Tradizionalmente le crescentine venivano farcite con la “cunza”, ovvero un trito di lardo di maiale, rosmarino e aglio direttamente nell’impasto; a questa versione si sono aggiunte numerose farciture a base di formaggi, verdura, salse, salumi e addirittura dolci.
Se volessimo semplificare la questione potremmo dire che a Bologna possiamo scegliere tra mangiare una tigella oppure una crescentina fritta, mentre a Modena la scelta è tra crescentina e gnocco fritto. Nel primo caso, intenderemmo mangiare un tipo di pane dalla tipica forma a disco preparata al forno o nel “tigelliere”, mentre nel secondo una pasta fritta. In entrambi i casi, si tratta di prodotti farciti con salumi e formaggi tipici della zona.
Le materie prime
Si tratta, tuttavia, di una questione più profonda e controversa che si spiega anche in virtù del fatto che l’identità linguistica e gastronomica di entrambe le città è molto forte. Di conseguenza, non c’è una forma lessicale che sia prevalsa in maniera inequivocabile e, tutt’oggi, nelle due città troviamo entrambe le forme – tigella e crescentina – per definire la stessa preparazione.
Ciò che dobbiamo ottenere sono dei dischi di pasta lievitata del diametro di 10-12 cm, alti 1,5 cm circa, ben dorati da entrambi i lati, friabili e fragranti, dall’interno morbido e che non deve assolutamente sbriciolarsi. Secondo la ricetta originale, quando le crescentine venivano cotte nel camino con le tigelle, gli ingredienti erano solo farina 00, acqua e sale. Con il passare del tempo, per aumentare leggerezza e caratteristiche tecniche, gli emiliani hanno iniziato ad aggiungere lievito, latte e persino strutto o olio nelle versioni più recenti e ricche.
Tali dischi in terracotta si caratterizzano ancora oggi per un "fregio" inciso artigianalmente, utile a lasciare sul prodotto un simbolo; il più comune era quello della stella-fiore (meglio conosciuto come fiore della vita), sinonimo di prosperità e fecondità,
La parte di latte prevista, ma soprattutto lo strutto, aiutano a stabilizzare la lievitazione e a rendere l’impasto più malleabile. Lo strutto inoltre è uno dei grassi che più di tutti aumenta enormemente la friabilità del prodotto, che non dovrà mai risultare
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Per capire come mai ci troviamo di fronte a questa confusione è necessario partire dall’etimologia. Tigella, infatti, deriva dalla parola “tegella” che, a sua volta, deriva dal latino “tegula”, ovvero coperchio. Si chiamava così la copertura che serviva per la cottura delle tigelle: tradizionalmente, infatti, i dischi di pasta venivano impilati e, tra l’uno e l’altro, venivano posti dei dischi di terracotta arroventati e delle foglie di castagno per evitare che si attaccassero.
In realtà ognuno di questi ingredienti assolve ad una funzione ben precisa, e li utilizzeremo tutti per la nostra ricetta tecnica. Per quanto riguarda la farina, ci serve una materia prima che possa rimanere estremamente friabile al morso, supportando l’idratazione e la manipolazione necessaria; punteremo quindi su una 00 o 0 di W 240-260, non di più. Lavorare con semi-integrali o integrali in questo caso ha poco senso per due motivi: non ci interessa particolarmente il sapore, che verrebbe comunque sovrastato dalla farcitura, e non avremmo la potenza di espansione desiderata.
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asciutto o biscottato, bensì con una crosta quasi sfogliata.
La cottura La preparazione tradizionale richiede l’utilizzo di questi dischi di circa 15 cm di diametro e 1,5 cm di spessore realizzati in terra di castagneto triturata e modellata in uno stampo di legno con delle incisioni in bassorilievo, essiccati e cotti. Oggi esistono delle piastre apposite, chiamate tigelliere, con uno stampo che può contenere fino ad un massimo di 7 tigelle/crescentine alla volta; le preparazioni casalinghe prevedono inoltre anche una cottura in padella antiaderente. Di fatto, lo scopo principale da raggiungere è duplice: • Uniformare la doratura da entrambi i lati, permettendo inoltre la perfetta cottura della mollica interna; • Impedire la formazione di bolle da uno dei due lati.
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Se non siete modenesi, emiliani o appassionati invasati, difficilmente avrete in casa una tigelliera o una doppia piastra in ceramica. Il metodo alternativo prevede quindi la cottura in una piastra o padella (preferibilmente in ghisa, ma in mancanza anche antiaderente); nel caso in cui dobbiate rigirarla fate attenzione che la formazione di bolle dal lato non a contatto vi impedisca di cuocere uniformemente. Potete nel caso praticare qualche foro con una forchetta per agevolare il processo.
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Una soluzione potrebbe essere inoltre quella di scaldare una seconda padella e appoggiarla sopra le tigelle, in modo da impedire che si alzino, e permettendo inoltre una doratura uniforme.
INGREDIENTI per circa 12 tigelle
500 g di farina di grano tenero di tipo 00 o 0 (240-260 W); 200 g di acqua; 125 g di latte; 40 g di strutto (morbido, a temperatura ambiente); 10 g di sale fino; 8 g di lievito di birra fresco.
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IMPASTAMENTO In una ciotola o nella vasca della vostra impastatrice inserite tutta la farina, il lievito sbriciolato, tutta l’acqua e metà del latte. Cominciate a impastare e attendete di avere una forma liscia; a questo punto inserite tutto il sale e il latte rimanente a filo. Chiudete quando l’impasto sarà uniforme e a una temperatura di almeno 24°C-25 °C. PUNTATA Riponete la massa in un contenitore chiuso ermeticamente, e lasciate lievitare a temperatura ambiente per circa 3 ore (fino a che non avrà triplicato di volume) o 12 ore in frigorifero. STAGLIO E FORMATURA Portate l’impasto sul piano e stendetelo con il mattarello, fino ad ottenere un lenzuolo di circa 1,5 cm di spessore. A questo punto ricavate con un coppa pasta dei dischi di 10-12 cm di diametro, e posizionateli a lievitare su una teglia coperta da carta forno. Il mio consiglio è quello di ritagliare poi la carta in modo da poter sollevare singolarmente i panetti senza fatica. APPRETTO Nel caso in cui abbiate gestito la puntata a temperatura ambiente, lasciate riposare i dischi per 20-30 minuti; se invece avete lasciato l’impasto in frigorifero attendetene 45-60 minuti, fino al raddoppio. COTTURA Scaldate la vostra tigelliera o le due padelle, e mettete a cuocere le crescentine per 4-5 minuti per lato, verificando tuttavia che abbiano preso colore esternamente. La temperatura deve essere docile, per assicurarsi di ottenere una corretta cottura interna.
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MANTENIMENTO E SERVIZIO Potete conservare le tigelle nel forno pre-riscaldato a 50°C e poi spento, avvolte in un canovaccio, in un contenitore di terracotta, o ancora potete congelarle in un sacchetto per alimenti per necessità future.
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Prima del servizio, date loro una riscaldata in padella o in forno per farle tornare fragranti e friabili, poi apritele a metà con un coltello (senza arrivare alla fine, lasciate l’ultimo lembo ancora attaccato) e farcitele con qualsiasi ben di Dio vi venga in mente: salumi, formaggi, creme di verdure o perché no, del golosissimo pulled pork.
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Fare la spesa in USA tra km 0 e desert food Across the Pond a cura di Elena Ninotti
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na delle domande che mi viene fatta più spesso, quando rientro in Italia, riguarda come sia fare la spesa negli Stati Uniti. In realtà, io la faccio in South Florida, che è davvero ben diverso che farla in Texas, in Montana o anche a Manhattan. Seguendo la banale regola della domanda-offerta, qui in Miami Area si trova davvero tutto. Dal negozio polacco a quello russo, dalla bottega italiana a quella francese, per non parlare del continente asiatico: praticamente ogni etnia è ben rappresentata. Ovviamente questo significa pagare uno stracchino 12 dollari, ma è sempre meno di un volo aereo per rientrare in Italia. Tuttavia, quello che vi voglio raccontare questo mese non è come si reperiscano organi di scorta per poter acquistare i nostri prodotti tipici, ma, piuttosto, come ci si confronti con la spesa locale. Inizio subito con fare una dovuta puntualizzazione. Io vivo in un’isola felice. Non tanto perché, come ho scritto sopra, ho accesso a supermercati multiculturali, ma proprio perché ho accesso a tanti supermercati. Nella mia zona, diciamo nel raggio di 15 km, posso scegliere tra punti vendita di tutte le GDO presenti in Florida; la maggior parte di essi sono a meno di 5 km, cosa, come vedremo, per niente scontata nel territorio americano. I negozi di alimentari americani tendono ad avere un loro target di riferimento in modo più esclusivo di quanto succeda da noi in Italia: si parte dal negozio di quartiere, che ha tutte le marche più o meno commerciali, tanto cibo pronto tipo gastronomia e poco spazio alle novità, fino al negozio chic, dove è possibile acquistare cibi particolari magari importati, verdure sceltissime e conservate in grosse tinozze di legno con ghiaccio tritato, accompagnati da musica classica, luci soffuse e un campione di caffè fresco sempre disponibile. In mezzo a questi due poli ci sono tante varianti, compreso il famoso (o famigerato) Walmart.
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È considerato un’icona degli USA, soprattutto oltreoceano. Si tratta di enormi magazzini, tipo Carrefour per intenderci, dove puoi trovare di tutto, dalla bicicletta alle carote biologiche. I prezzi sono concorrenziali, ma il servizio lascia a desiderare. Non tutti i Walmart sono
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uguali, ma nei due che ho vicino casa non posso dire di avere un buon supporto durante la spesa, né di trovare sempre tutto quello che cerco. Fino a prima del lockdown, i supercenter erano aperti H24, il che li rendeva tappa obbligata per gli italiani in vacanza, che trovavano affascinante andare di notte a fare gli acquisti. Personalmente, non mi è mai venuto in mente di farlo. Prima di tutto, la notte dormo, secondariamente i parcheggi di Walmart, la notte, sono tutto tranne che aree safe (almeno qui in South Florida; so di gente che, altrove, ci va tranquillamente). Diciamo che ho letto di parecchie sparatorie avvenute nei parcheggi da farmi passare completamente la voglia di andarci in giro in orari notturni.
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Come dicevo, i prezzi sono davvero buoni, ma la qualità e la certificazione non sempre lo sono. Anche lì, dipende dai negozi che avete vicino. I miei non
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hanno prodotti di gran qualità, ma altri più verso Miami sono nettamente superiori. In ogni caso, tutti i Walmart si trovano in zone popolari. Vicino a casa ho anche un Walmart neighborhood che si trova in una zona residenziale ed ha prodotti di fascia superiore rispetto ai cugini grossi delle zone più povere. In generale, i prodotti che si possono trovare da Walmart sono strettamente americani o, al massimo, legati alle principali etnie presenti: per dire, c’è una intera corsia enorme di salse bbq, rispetto a uno scaffalino di cibi biologici confezionati, con una referenza per tipologia di prodotto, oppure due corsie di prodotti latini contro circa 1,5 m di prodotti asiatici.
Publix e Winn Dixie Il supermercato di riferimento per i floridiani è Publix. Si trova ad ogni angolo di quartiere e
diventa la scelta obbligata per la spesa quotidiana. Ha i principali brand americani, con poco spazio per prodotti di nicchia. I prezzi sono leggermente maggiori di Walmart, ma ha la comodità della vicinanza e il suo punto di forza è la buona qualità di carne e verdura. Il vero signature dish di Publix è il Sub, cioè il panino farcito, preparato espresso nel reparto salumi. Quando capita in offerta, inizia il tamtam sui social già dalla settimana precedente e la fila al banco diventa infinita. Si tratta di uno sfilatino morbido di circa 40 cm, farcito con salumi, formaggi, oppure pollo fritto e insalata, sottaceti, salse. Praticamente il fabbisogno calorico di una giornata, per un costo di circa 7 dollari (+tax) a prezzo pieno.
Una cosa molto frequente, in questi supermercati, è trovare prodotti scaduti. Diciamo che, per mia esperienza, non c’è la stessa attenzione al cliente a cui siamo abituati in Italia. Soprattutto quando sono in offerta settimanale, è facile che siano prossimi alla scadenza o addirittura scaduti. L’ultima brutta esperienza il 28 aprile: stavo comprando una mozzarella a panetto e ho guardato per caso la scadenza, 21 Gennaio 2022. Tutto lo scaffale era così. L’ho segnalato all’addetto, che ha prontamente rimosso tutto, ma non è la prima volta che mi capita, in entrambe le catene.
Fresh market e Whole food Chi ricerca la qualità, il prodotto di nicchia, i cracker salati con sale del mar morto raccolto da vergini tibetane, va a fare la spesa in queste due catene. Qui la pulizia, la cortesia e l’assortimento si pagano, ma è un piacere fare la spesa. Mi dicono che Whole food si sia ridimensionato dopo essere stato acquistato
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Il principale concorrente di Publix è Winn Dixie, catena del sud nata proprio a Miami, che ha referenze simili, ma un buon assortimento di gastronomia pronta, con ottimi cibi BBQ, come brisket, burnt ribs, costine e tipici contorni. Tenetelo presente se venite in zona e volete fermarvi a mangiare qualcosa al volo: con 5 dollari a libbra potete preparare il vostro meal scegliendo tra proteine e un paio di contorni south style. Molto spessp è una ottima
opzione per un lunch durante una gita, se non si vuole fermarsi al ristorante, ma neanche si vuole andare al Fast Food.
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un modo da far invidia a quella di un resort di lusso.
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dal gruppo Amazon. Di sicuro con l’abbonamento Prime hai diritto a scontistiche particolarmente buone e con la carta di credito di Amazon anche a un cash back di 5% sulla spesa, che non è male: il problema è che c’è talmente assortimento che alla fine, entri per una scatola di lamponi in offerta ed esci con 30 dollari di extra. Però carne e pesce sono decisamente superiori rispetto a tutte le altre catene. Da Whole food è possibile trovare anche il pesce intero (se si riesce a convincere il commesso a non sezionarlo) e, comunque, ha un assortimento più vasto di quello che si può trovare localmente.
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Assieme a Fresh Market, hanno anche una varietà incredibile di prodotti dal mondo. Harissa, salsa di fagioli neri, confetture inglesi, pasta di Gragnano, qualunque ingrediente atipico qui si trova con facilità. I prezzi? Sulle stesse referenze, anche 2-3 dollari più di Walmart, che su un prodotto da 2,90 dollari di base non è poco. Ma si paga l’ambiente (musica classica, grossi tini di legno per le verdure, gentilezza e assortimento) e la qualità. Da Whole Food è presente anche un angolo buffet, con ampissima varietà, dove si può acquistare cibo pronto e mangiarlo nell’area esterna alle casse. Si può scegliere tra cucina asiatica, americana, italoamericana, casalinga, vegetariana, pollo fritto, sushi, tutto tenuto in caldo nelle vasche in aggiunta a quello del banco gastronomia, che completa l’offerta davvero in
Se volete portare un dolce a casa di qualcuno, o acquistare delle “paste” per una ricorrenza, le pasticcerie di WF e FM sono sicuramente la scelta più valida e più simile ai nostri gusti. In generale, se siete in giro e volete mangiare, un pranzo da Whole Food non vi farà rimpiangere il ristorante. Al contrario, trovo che l’offerta di cibo pronto di Fresh Market sia in assoluto la peggiore del panorama locale. Cibi strettamente americani, pieni di salse cremose e pasta stracotta, selezione di carni arrosto secche e poco invitanti che non sono per nulla validi per un pasto al volo. In compenso, da Fresh Market è presente un kit cena molto interessante. Ogni settimana offrono un pasto da assemblare e cuocere per solo 25$. Ad esempio, possono esserci le fajitas, con una scelta di carne, le verdure pretagliate, tortilla, salsa e dessert. Oppure la Jambalaya, una specie di paella con riso, salsicce, verdure, proteine, spezie e macedonia. Insomma, è un modo carino per variare il menù in modo sano risparmiando tempo e denaro.
Costco Costco incarna il sogno americano. Enormi magazzini con confezioni famiglia dei prodotti più utilizzati. Per accedere è necessario essere soci della catena, ma una volta pagata la tassa iniziale, il risparmio ripaga dell’investimento. Si trovano prodotti uguali a quelli
della grande distribuzione a quasi lo stesso prezzo, ma con confezione doppia o tripla. Non c’è assortimento di marche, nel senso che per ogni referenza c’è un solo brand, ma di solito è il più apprezzato o diffuso. Per noi italiani è un punto di riferimento per il Parmigiano Reggiano, il prosciutto crudo Citterio, il prosciutto cotto Principe, il panettone prodotto dalla Maina ed altro ancora. Per gli americani invece è il negozio dedicato all’acquisto delle scorte di carne, del loro famoso pollo arrosto a 5 dollari e dei cibi nei vassoi, pronti per i party. Un suo punto di forza è la Food court, dove è possibile acquistare un hot dog con Coca Cola a 1,5 dollari o un grosso trancio di pizza per meno di un paio di dollari. Oltre a questi, che sono i più diffusi in questa zona, ci sono anche altri supermercati. Alcuni hanno una connotazione prettamente etnica, e servono la parte di popolazione di origine latinoamericana, come i Presidente, Asiatica, K-Mart; altri sono specializzati in un particolare settore, ad esempio vendendo solo carni surgelate e vi si può trovare praticamente di tutto, dal coniglio allo struzzo, dal maiale intero all’agnello, oltre a una scelta infinita di beef, pork e pollo. Da quello che ho scritto finora, sembrerebbe proprio che io viva in un’oasi felice, esattamente quello che ci aspetta nell’immaginario collettivo, quando si pensa alla disponibilità alimentare in USA, dove, dopo un primo smarrimento iniziale, dovuto forse all’eccesso di offerta, diventa abbastanza semplice
districarsi tra qualità e offerte. Purtroppo non è così ovunque. A fare da contraltare, ci sono i Food Desert: aree urbane o rurali in cui non è per niente scontata la disponibilità di cibo fresco e sano. Aree che hanno accesso solo a convenient store (una specie dei nostri autogrill, su piccola scala), gas station e fast food. In questi posti acquistare verdura o frutta fresca è praticamente impossibile e, se si trovano, si tratta giusto di mele e banane. In generale si definisce food desert una zona in cui non c’è accesso a supermercati con cibo sano nel raggio di 2 km, per quanto riguarda le aree urbane e di 18 km per quanto riguarda le aree rurali. Il grosso problema è che queste zone sono generalmente abitate da persone con un reddito veramente basso, se non nullo, e non hanno spesso disponibilità di un trasporto autonomo con cui recarsi a fare la spesa. Questo instaura un circolo vizioso per cui le persone si abituano a mangiare male e, anche quando si trovano ad avere accesso a cibo sano, non riescono ad apprezzarlo. Nei gruppi di espatriati in USA, a volte si parla di dove reperire certi ingredienti. Capita spesso che, chi vive nelle zone centrali, magari nei deserti al confine tra Texas e California, o anche in zone più interne, possa contare solo su un Walmart a 45 minuti e su una stazione di servizio per le emergenze. E allora, davvero, riuscire ad avere una alimentazione sana e equilibrata diventa la vera sfida.
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OREO CHEESECAKE Restiamo in America, che più in America non si può, con le Oreo Cheesecake. Massima resa, minima spesa, visto che in 5 minuti di frullatore sono pronte da mettere in forno. Ma visto che si parlava di Junk food, ci stanno tutte. Da una ricetta di Martha Stewart, vediamo le nostre Oreo Cheescake.
Ingredienti per 4 persone
9 biscotti Oreo interi / 4 biscotti Oreo sbriciolati / 250 g di Philadelphia in panetto / un uovo intero / 90 g di zucchero semolato / poco estratto di vaniglia / un pizzico di sale / 60 g di panna acida
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PREPARAZIONE: 1. Accendete il forno a 300F/ 150°C in modalità statica o 130°C in modalità ventilata (se proprio non potete escluderlo). Foderate degli stampini da muffins con i pirottini e mettete un biscotto intero dentro ogni pirottino.
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2.
Nel bicchiere del frullatore inserite tutti gli ingredienti, esclusi i biscotti sbriciolati. Potete usare anche le fruste elettriche o un minipimer
3.
Aggiungete quindi i biscotti spezzettati, mescolando con un cucchiaio.
4.
Utilizzando un dosatore da gelato, riempite i pirottini fino quasi al bordo
5.
Cuo cete p er 30 minuti. Verificate che siano abbastanza solidificati prima di toglierli dal forno
6.
Lasciate raffreddare un’ora prima di metterli in frigo per almeno 3 ore o tutta la notte.
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Che BBQ sarebbe senza la
marinata ?
Approfondimento a cura di Mariangela Ibba
T
ra le grandi paure primordiali dell’uomo c’è la fame. Oggi, nell’epoca dell’abbondanza, delle gare a chi mangia più pizza o più hot dog, dello spreco, del delivery e dei supermercati ogni cento metri, sembra impossibile che in noi sia presente il timore di rimanere senza cibo, ma è un dato di fatto. A dimostrazione di ciò, ci sono le immagini degli assalti ai supermercati durante la Pandemia.
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Il nostro primo grande istinto, dalla nascita fino alla morte, è sopravvivere, istinto legato a doppio filo al bisogno di mangiare. Perché il cibo è la nostra benzina, se non mangiamo deperiamo fino ad arrivare alla conseguenza più drammatica: la morte. Perciò i morsi della fame e la morte sono le più grandi paure primordiali dell’uomo, dopodiché seguono tutte le altre. La classifica è soggettiva, dipende dall’inclinazione personale.
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A dir la verità, questa preoccupazione è condivisa da tutti gli esseri viventi: pensate alle formiche che trascorrono la vita ad accantonare provviste, alle specie che vanno in letargo, che passano la bella stagione ad accumulare scorte alimentari per l’inverno, agli uccelli migratori che inseguono il caldo per non rimanere senza nutrimento. Però solo l’uomo
con il suo processo evolutivo è l’unico che si è impegnato a combattere la paura della fame e della mancanza di scorte, attraverso le coltivazioni, gli allevamenti, le innovazioni scientifiche (lasciando da parte le guerre). Una volta ottenuta la capacità di procacciarsi il sostentamento attraverso la caccia e alle prime forme di coltivazioni, si presentò un nuovo dilemma: la conservazione del cibo. La storia della preservazione degli alimenti è antica quanto quella dell’uomo e i molti metodi di mantenimento creati ne sono la prova: essicazione, salatura, refrigerazione, affumicatura e fermentazione. Tecniche realizzate ancora oggi a livello casalingo ed industriale. Fin dalla Preistoria, una cosa è stata subito chiara agli uomini,
gli alimenti non sono presenti tutto l’anno, in special modo nei mesi invernali. Quindi il problema era come conservarli per lunghi periodi di tempo, bloccandone il processo naturale di deterioramento, preservandone al contempo la genuinità. Le risposte arrivarono dall’osservazione del mondo circostante. L’ essicazione della frutta e dei cereali arrivò dalla scoperta che i frutti seccati sulla pianta erano commestibili. Così come la salatura e la refrigerazione nascono dalla scoperta di animali morti nelle saline e sotto la neve. Lo stato di mantenimento dei corpi feceall’uomo capire che il sale e il ghiaccio bloccavano il processo di deperimento delle carni, prolungandone la commestibilità. L’affumicatura è nata dalla semplice deduzione che la carne della cacciagione e del pesce messa ad essiccare all’interno delle caverne, esposta al fumo del fuoco si conservava per più tempo. Poi dalle civiltà più evolute (egizi, greci e romani), nacquero altre tecniche basate sull’idea di bloccare il deterioramento degli alimenti inibendo la proliferazione batterica, isolando il cibo dall’aria: ovvero immergere gli alimenti all’interno di miele, aceto
ed olio. Da questo principio è nata la tecnica della marinatura. La marinatura in cucina ha conosciuto un’evoluzione, grazie all’avvento del frigorifero, in ogni cucina negli anni '60 del secolo scorso con il boom economico, diventando da tecnica di preservazione del cibo a tecnica preparatoria dell’alimento pre-cottura, affinché acquisisca sapore, morbidezza e succosità. È estremamente consigliata per piccoli tagli di carne magri che durante la cottura tendono a diventare stopposi, (maiale, pollo, tacchino, cacciagione e pesce). La marinatura arriva in Italia nel Rinascimento nelle città portuali, come tecnica di preservazione del cibo importata dal popolo cinese, che la utilizzava già da almeno duemila anni, anche se qualcuno discorda da questa teoria, affermando che fosse una tecnica della cucina araba diffusasi in Spagna per arrivare da noi attraverso il porto genovese. Anche sull’etimologia del termine non c’è molto accordo: c’è chi sostiene che derivi dalla parola mare, perché per conservare gli alimenti i pescatori erano soliti immergerli nell’acqua marina in mancanza di altri metodi di refrigerazione, ma c’è anche chi sostiene
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aromatizzando il prodotto e contestualmente modificandone la consistenza superficiale.
che provenga dalla parola latina mùria ovvero salamoia. L’unica cosa su cui tutti sembrano concordare è che questa procedura si è diffusa prima di tutto dalle zone marittime. Infatti, in principio, la marinatura veniva utilizzata per la conservazione del pescato per i momenti di carestia, ma anche per preparare i pasti che i marinai e i pescatori avrebbero consumato durante i lunghi periodi passati in mare. Il pesce veniva cotto e immerso in grossi barili dopo essere stato conciato con aromi e aceto. In questo modo si riusciva a preservare i cibi dalla proliferazione batterica.
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Viste dunque le potenzialità della marinatura, essa si diffuse poi rapidamente in tutto il territorio (prova ne sono diversi piatti della tradizione italiana e europea) e utilizzata non solo per il pesce, ma anche per la carne e le verdure.
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Nel senso pratico, che cosa è la marinatura? E’ un’emulsione composta da una sostanza acida (limone, aceto vino, yogurt), una sostanza grassa (burro, olio ecc), spezie e aromi e da una
piccola percentuale di sostanza le gante o stabilizzante (maionese, senape, lecitina di soia). Il rapporto tra la sostanza grassa e acida deve essere di 1:2 o 1:3. Per legare insieme le due sostanze è necessario fare un’emulsione, sbattendo il tutto con una frusta. Per evitare la successiva separazione dei due elementi, nel composto è presente una piccola percentuale di stabilizzante che ha il compito di mantenere la parte acida e grassa in equilibrio. Oggi, lo scopo principale della marinatura è quello di migliorare le caratteristiche organolettiche di base degli alimenti,
Una marinatura modifica strutturalmente gli alimenti mediante una vera e propria aggressione chimica sulla superficie dell’alimento. Perciò, oltre ad agire sul sapore e sulla consistenza della carne può portare ad una vera e propria cottura. Un esempio sono le alici marinate che, immerse da crude nel composto, vengono completamente cotte dalla componente acida, visto il loro sottilissimo spessore. Sicuramente, è una procedura molto diffusa in ambito domestico, realizzata più o meno sempre con gli stessi ingredienti, tipici della nostra cucina: olio extravergine di oliva per la parte grassa, per la parte acida variamo con vino, con succo di limone o di arancia, oppure usiamo lo yogurt se ci sentiamo fantasiosi. Anche le erbe aromatiche rimangono sempre più o meno le stesse (rosmarino, prezzemolo, alloro, timo, aglio e così via). Per sfuggire alla monotonia, il nostro Megastore propone tre
diversi tipi di marinate ideate per tipologie specifiche di carni.
con pesce azzurro, salmone e anguilla.
Red Flesh Crash, letteralmente significa “schianto di carne rossa”. Con il suo carattere smoky e un substrato a base di paprika, molto umami, ha una ponderata acidità ed è perfetta per le carni rosse e la selvaggina.
U t i l i z z a r l e è ve r a m e n t e semplice. Abbiamo realizzato volutamente un composto molto concentrato, così da permettervi di aggiungere il vostro tocco. Dovrete diluire la quantità che reputerete necessaria con l’acqua o un liquido non grasso a vostra scelta, e attivarla con un pizzico di sale.
La Black Diamond è la strong della famiglia. Molto potente, saporita, smoky, ricorda vagamente la struttura della Teriyaki. Va bene per le carni rosse e per il maiale. Perfetta per il quinto quarto e per gli spiedini.
Una volta aperta la confezione, riponetela in frigo per la preparazione successiva. Se avete un sifone e volete marinare piccoli pezzi, per fare ad esempio degli spiedini, inserite la carne già tagliata all’interno del sifone. Attenzione
Per recuperare la carne, vi consigliamo di scaricare al sifone all’interno di un ciotola nel lavandino per non creare il caos in cucina. Se vi abbiamo incuriosito, troverete le Marinate nella sezione Seasonig e salse del nostro Megastore. Provatele e lasciatevi andare alla fantasia, poi fateci sapere come le avrete usate. Fidatevi di noi: non si può fare una buona grigliata senza una buona marinata; con queste andrete proprio sul sicuro.
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Fowl in love, lo spiega il nome stesso. È la marinata perfetta per i volatili: pollo, tacchino, piccione o qualsiasi altro tipo di volatile prenderanno una bella marcia in più. Acida al punto giusto, dolce al punto giusto, la struttura è base di senape. E’ però sorprendente anche
Immergete l’alimento all’interno della marinata per qualche ora. Più la lasciate lì e più diventerà saporito.
a non riempirne più della meta. Aggiungete due cariche e mescolate come se non ci fosse un domani. Mettete in frigo e lasciate lì, mescolando di tanto in tanto. L'alta pressione all'interno spingerà la marinatura maggiormente in profondità.
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IL
FROM ZERO TO HERO
REST
COS’È E A COSA SERVE
a cura di Michela Bongiorni
Il mondo del Grilling e del Barbecue, un po’ come succede in qualsiasi campo, è costellato da teorie e da contro-teorie. Parli del foil e troverai gente favorevole e gente sfavorevole. Quelli che diranno “serve sempre!” e quelli che “per carità!”. La stessa cosa succede con il water pan. C’è chi lo mette sempre e chi lo vede come il male da evitare. Non fa eccezione il rest, ovvero la fase di riposo della carne dopo la cottura. C’è chi sostiene che sia assolutamente necessaria, chi invece la ritiene superflua. Dove sta la verità? Facciamo un po’ di chiarezza.
Resting e Holding
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Per quanto riguarda le bistecche, si è discusso a lungo (e ancora si discute) se sia o meno necessario lasciarle riposare dopo la cottura prima di mangiarle. Un tempo si diceva, almeno qui in Italia, che era necessario il riposo “per far ridistribuire i succhi”. Oltreoceano, dove – e mi dispiace per gli irriducibile della Fiorentina - di bistecche se ne intendono comunque più di noi, non si parla di ridistribuzione dei succhi, quanto piuttosto di un riacquisto di densità dei succhi in questione, in modo che al taglio non rimangano tutti nel piatto.
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Eppure anche in questo caso non sono tutti concordi nel dire che serva. C’è che sostiene sia inutile, che in realtà la quantità di succhi persi non sia così rilevante, che tenendo in rest una bistecca si rovini la crosticina e si lasci raffreddare troppo la carne. Al contrario, altri hanno condotto esperimenti per dimostrare che invece tenere in rest una bistecca fa in modo che i succhi acquistino la densità
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Noi non siamo così pignoli e, anche per semplificarvi la vita, abbiamo deciso di utilizzare rest in entrambi i casi.
L’importanza del rest nel BBQ
necessaria per mantenere più succosa la carne e per non avere il lago nel piatto: sono state prese sette bistecche uguali, sono state cotte tutte nello stesso momento e poi sono state affettate a distanza di due minuti l’una dall’altra. Ebbene, l’ultima non ha lasciato succhi nel piatto, mentre la prima sì, in modo significativo. Pare dunque ovvio affermare che lasciar riposare una bistecca dopo la cottura (senza aspettare troppo, ovviamente) sia una buona idea. D’altronde possiamo leggere anche su Modernist Cuisine: “le proteine degradate e disciolte addensano leggermente i succhi mentre si raffreddano durante il rest. Il liquido addensato fuoriesce poi più lentamente quando la carne viene affettata”
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Se sulle bistecche e sui piccoli pezzi di carne c’è comunque questa incertezza, nessuno ha dei dubbi quando si tratta di Brisket, di Pulled Pork, di Beef Ribs. Lì il rest è assolutamente necessario.
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Tuttavia, dobbiamo fare una piccola precisazione: i professionisti in America preferiscono parlare di resting (cioè della fase riposo propriamente detto) solo quando si tratta di grilling e di bistecche, mentre parlano di holding (cioè più giustamente tenere, mantenere) quando si tratta di barbecue. Questo perché, a voler essere pignoli, il resting si dovrebbe fare all’aperto, mentre l’holding è fatto dentro al dispositivo o in forno a una temperatura controllata, così come in un isobox: insomma dentro a qualcosa che mantenga la carne al caldo.
Fra gli errori più gravi che si possono commettere quando si sta cuocendo un Brisket, uno di questi è sicuramente quello di toglierlo dal dispositivo non appena si è arrivati alla temperatura target e affettarlo subito. In casi simili entra il gioco il ruolo del collagene, che è il principale responsabile della tenacità di un pezzo di carne: parliamo di un composto proteico molto complesso che presenta una struttura a tripla elica, nella quale gli amminoacidi presenti tendono a collegarsi tra di loro creando una rete che, di fatto, “tiene insieme” i tessuti muscolari.
Un taglio derivato da un gruppo muscolare molto sviluppato tende ad avere una struttura del tessuto connettivo importante. È il caso appunto del nostro Brisket (solo per fare l’esempio più scontato). Come ben sapete, in un ambiente umido, ad una temperatura bassa e costante, nel moemnto in cui si superano i 60°C le eliche del tessuto connettivo iniziano a “srotolarsi”, indebolendo la fitta rete che contiene le fibre. Quando si raggiungono le temperature comprese tra gli 85°C e i 100°C il tessuto connettivo perde definitivamente la sua struttura, e con essa la capacità di tenere insieme i filamenti di miosina: si degrada in una sostanza colloidale liquida e altamente viscosa. È a questo punto che entra in gioco il resting (o se volete fare i pignoli, l’holding). L’abbassamento della temperatura porterà a un tentativo di ricostruzione dei legami, in una struttura però altamente instabile che tenderà a trattenere le molecole d’acqua liberatesi durante la cottura, formando la famosa gelatina. Si tratta di un processo molto lento, dovuto proprio all’instabilità
della nuova struttura. Il raffreddamento graduale e lentissimo, quindi non all’aperto (perché in quel caso sarebbe troppo veloce), permetterà la formazione di un maggior numero di legami, e farà in modo che la ciccia trattenga più umidità, conservando morbidezza e succulenza. È dunque consigliabile affettare un Brisket o silacciare il Pulled Pork sempre dopo la fase di rest, proprio per i motivi sopra elencati. Ma quanto deve durare? Un’ora, due? Quattro? Di fatto è impossibile stabilire a priori il tempo matematicamente corretto che serve affinché la fase di mantenimento consenta di raggiungere un risultato perfetto. Sono troppe le variabili: quantità di tessuto connettivo, differenza tra i vari tagli e qualità della materia prima. Diciamo che rimanere in un periodo di tempo compreso tra le due e le tre ore può essere un buon compromesso. Ci sono alcuni casi in cui si può anche andare oltre, ma per avere la certezza di non sbagliare è bene rimanere su queste tempistiche. Anche per non far aspettare troppo i commensali affamati, che potrebbero perdere la pazienza.
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r i tSfry o z am n
La ricetta scientifica a cura di Gianfranco Lo Cascio
LA RICETTA SCIENTIFICA
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Se ci pensate un attimo, il salto è l’unica tra le nostre attività motorie che si avvicina di più al volo. Chissà se pensavano proprio a questo i cinesi quando si sono inventati una nuova, straordinaria, tecnica di cottura che consiste nel far “saltare” a temperatura sostenuta gli ingredienti in un wok, la padellona tipica col sederotto tondo o piatto.
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La parola chǎo (炒), che in cinese mandarino vuol dire proprio friggere facendo saltare gli ingredienti, compare per la prima volta nel VI secolo d.C. in una ricetta di uova strapazzate. Siccome per soffriggere c’era bisogno di una piccola quantità di olio, certamente costoso all’epoca, questa modalità di cuocere i cibi era appannaggio di pochi eletti.
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I VANTAGGI DELLO STIR FRY Come per tutte le cotture ad alta temperatura, lo stir fry è una tecnica che serve a potenziare al massimo il gusto degli ingredienti. Come ci riesce? Innescando delle poderose reazioni di Maillard. In cosa consistono le reazioni di Maillard? Ve lo riassumo. Scaldandosi, gli zuccheri detti riducenti e gli amminoacidi contenuti nella carne si legano e creano centinaia di nuove molecole, perdono acqua e producono immine (il gruppo aldeidico o chetonico dello zucchero e il gruppo amminico dell'amminoacido formano un ponte tra i due composti organici, dando luogo quindi a nuovi composti). Continuando a scaldarsi, il legame fra zuccheri e amminoacidi degenera, la perdita d’acqua accelera e l’insieme forma altri nuovi composti. Detto con parole più semplici? Le reazioni di Maillard si traducono nei profumini della bistecca dorata, del pollo arrosto e della crosticina croccante del pane. Cosa succede quando il calore aumenta? Le reazioni si moltiplicano: la temperatura aumenta di 10°C? Le reazioni si moltiplicano per 100. Passando dai 20°C della temperatura ambiente ai 130°C dell’esterno della bistecca, il numero di reazioni si moltiplica di 10 trilioni. Incredibile, vero? Quando la carne si è un po’ asciugata e la temperatura esterna supera i 130°C, le reazioni avvengono molto velocemente. A 180°C (mi riferisco alla temperatura della carne e non della padella o del forno) queste reazioni lasciano il posto alla pirolisi. La carne, in sostanza, si brucia.
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Cosa succede quando si adagia un pezzo di carne di manzo si adagia in un wok o su una piastra rovente, come nel caso dello stir fry?
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Con il calore, zuccheri e amminoacidi si legano: ma la reazione è invisibile a occhio nudo. Il legame a quel punto inizia a perdere acqua, ve ne accorgete quando inizia a risalire quel leggero pennacchio di fumo bianco. Con l’aumentare della temperatura, l’acqua continua ad evaporare e il fumo bianco aumenta. I profumi cominciano a pervadere la cucina. Il lato della carne a contatto con la piastra comincia a cambiare colore, da rosso ad ambrato. Col tempo, l’esterno si fa più scuro e marroncino.
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FOCUS
REAZIONI DI MAILLARD
COSA BISOGNA FARE PER FAVORIRLE #01. CALORE Innanzitutto, serve calore, molto calore: per innescare rapidamente le prime reazioni servono una padella, un wok, una piastra o un grill ad almeno 180°C. #02. GRASSO Servono zuccheri, amminoacidi e acqua, tutti già presenti nella carne. Ma se si aggiunge un elemento grasso, si aumenta la trasmissione di calore e quindi la rapidità delle reazioni. È per questo motivo che una carne unta si rosola molto meglio, più velocemente e in modo molto più uniforme rispetto a una carne non unta. #03. ASCIUGARE, ASCIUGARE, ASCIUGARE! La carne contiene fra il 70% e l’80% d’acqua mentre le reazioni di Maillard si producono in modo più efficace quando l’acqua contenuta nella carne è fra il 30% e il 60%. Perciò, ecco due cose importanti da fare: asciugare la carne con della carta assorbente prima di cuocerla oppure togliere la carne dal frigorifero con largo anticipo e asciugarla in forno.
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IL METODO
STIR FRY
DIVIDERE LA COTTURA IN TRE FASI Un cuoco orientale munito di wok farebbe questo: scalderebbe il padellone a temperature illegali in 195 Stati sovrani, aggiungerebbe dell’olio vegetale, friggerebbe la carne tagliata a striscioline facendo quegli ipnotici movimenti ondulatori, metterebbe da parte, aggiungerebbe la parte vegetale e quella aromatica, quindi di nuovo la carne, e servirebbe ancora fumante. Tecnica ineccepibile che io adoro e applico molto spesso, poiché riesce a massimizzare i sapori e lascia la parte vegetale fresca e croccante. Cosa possiamo fare però per potenziare al massimo uno stir fry di manzo, rendendolo un piatto ancora più saporito? 1.
2. 3.
Piastrando la carne a parte in stile orientale su una teppan, la piastra d’acciaio tipica giapponese, o in un dispositivo a carbone/ gas munito di piastra in ghisa Aggiungendo un soffritto saporito a base di aglio, cipolla e zenzero Arricchendo con una demi-glace relativamente veloce
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Partiamo proprio dalla demi-glace, che è la fase che ci porterà via più tempo.
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LA DEMI-GLACE VELOCE
Senza perdere il sonno dietro alla ricetta francese, non ce ne vogliano i puristi perché abbiamo una padellata di stir fry da cucinare. Ingredienti • 2 kg di Top Blade (cappello del prete) o di Chuck Roll (reale) GLC Top Selection Blue Ox Prime (vanno bene anche biancostato e punta di petto) • 1 carota • 1 cipolla • 1 costa di sedano • 1/2 testa di aglio • 50 g di burro • 1 bicchiere di vino rosso • 2 L di brodo di carne (o vegetale) • 2 rametti di rosmarino • 1 chiodo di garofano • sale q.b. Per arricchire la demi glace con una buona quota di gustosa gelatina possiamo utilizzare: •
•
• •
Top Blade, Feather blade, Oyster Blade, oppure in italiano Copertina di spalla e Cappello del Prete. In base alla nomenclatura italiana è il muscolo della spalla, quindi proveniente dalla mezzena anteriore dell’animale. È il taglio perfetto per le cotture prolungate poiché contiene un sacco di tessuto connettivo; Chuck Roll, o Reale, comprende i muscoli del collo dell'animale fino alla quinta vertebra. È un taglio incredibilmente saporito, una parte del manzo ricchissima di tessuto connettivo e grasso. Biancostato, situato nella parte bassa delle coste e particolarmente carico di collagene; Punta di petto, il muscolo della parete addominale farcito di tessuto adiposo e del collagene delle costole;
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Scegliete tra uno di questi quattro tagli e non potete sbagliare.
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Ma come si fa ad estrarre questa gelatina dalla ciccia e trasferirla direttamente nella demi glace? Semplicissimo, basterà portare la carne ad una temperatura superiore a 68°C. È proprio in quel momento che il collagene si scioglie e si trasforma in un gel saporito. Dobbiamo dunque fare una salsa, bella densa ma comunque fluida. E che sappia di manzo, ma di brutto. Quindi l'obiettivo fondamentale è quello di estrarre sapore dalla ciccia e infilarlo nella salsa.
Per fare questo ci concentriamo sue due processi: generiamo quanto più sapore possibile e poi lo estraiamo. PRIMO STEP: TOSTATURA DELLA CARNE IN FORNO Tagliate la carne a cubotti, mettete la placca nel forno, sotto al grill e tostatela ferocemente. Ben brunita, Maillard a cannone.Vi resteranno dei liquidi e grassi disciolti nella teglia. Recuperate fino all'ultima goccia perché ci servirà dopo. Stessa identica cosa farete con i cubetti di verdura: sedano, carota, cipolla, più l’aglio a spicchi interi. Mescolate la verdura con dell'olio e poi tostate bene in forno. Abbiamo creato tantissima superficie aromatica sia grazie alla reazione di Maillard che alla caramellizzazione. Queste reazioni, come sappiamo, creano molecole profumate e gustose che non esistono in natura. Molecole che, in buona parte, passeranno alla fase liquida successiva. Abbiamo ottenuto ciò che avevamo in testa: generare sapore. SECONDO STEP: ESTRAZIONE Adesso possiamo passare alla fase successiva che sarà quella dell'estrazione. Fiamma sostenuta, poco burro nel tegame, si buttano dentro le verdure rosolate e la carne tostata con i suoi liquidi. TERZO STEP: LA FASE LIQUIDA Prima bagniamo con un bel bicchierone di vino rosso di buona struttura. Lasciamo che l'alcol evapori e poi allunghiamo con il brodo di manzo preparato in precedenza. Potete sostituirlo con del brodo vegetale, di pollo, come vi pare, l’importante è non salarlo. Se non ce l'avete usate l’acqua. Aggiungete il rosmarino e i chiodi di garofano, se volete potete utilizzare una garza e assemblare un bouquet garni (un mazzetto di erbe aromatiche che preferite). Fate prendere il bollore sempre a fuoco feroce, abbassate la fiamma e lasciate cuocere con il coperchio, fin quando la carne non si sarà disfatta. Fate ridurre della metà, date una schiumatina se occorre (potrebbero affiorare delle impurità) e poi filtrate il tutto. Vi serve solamente la parte fluida. Con la carne e le verdure ormai strizzatissime potete fare due polpette da friggere. Ci rompete un uovo dentro, pane ammollato, un po' di Parmigiano e via di stuzzichino.
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A questo punto abbiamo un fondo bruno super carico di sapore. Non resta altro da fare che trasformarlo in demi-glace, facendolo ridurre in un pentolino. Una volta ottenuta una salsa spessa, aggiungete il sale (non salatelo prima e aggiungetene poco), trasferite in un boccale e immergete il contenitore in acqua fredda. Emulsionate con un minipimer fin quando non avrete ottenuto una crema areata, simile ad una maionese. Trasferite in frigorifero, una volta freddo acquisirà la consistenza di un paté.
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Il wok è uno dei padelloni più versatili esistenti in cucina. C'è chi preferisce alla padella cinese quella antiaderente, per alcuni risulta più adatta a soffriggere, specie che su un fornello occidentale, con i suoi bruciatori piatti e dal rendimento relativamente basso. Alcuni esperti si sono persino lanciati disegnando dei grafici fantasiosi per testimoniare come una padella raggiunga una temperatura più elevata e mantenga meglio il calore.
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Approfondimento: il WOK
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Detto tra noi, è fuffa. Tutti i diagrammi del pianeta non potranno dirci nulla di più di quello che ci insegna il palato, e cioè è che i soffritti sono più buoni se preparati in un wok, perché un buon soffritto non si misura semplicemente in base alla temperatura raggiunta dal metallo. Dipende invece dal corretto mescolamento e dall’”aerosolizzazione" dei grassi e dei succhi che salgono oltre i bordi del wok e vengono toccati dalla fiamma del bruciatore. Si tratta della capacità di riscaldare e raffreddare rapidamente un pezzo di cibo girandolo in continuazione spostandolo sulle diverse zone di calore create dalla padella (così come rigirare frequentemente un hamburger ne migliora la cottura). Si tratta del wok “hei”, letteralmente il “respiro” del wok, ovvero quel sapore leggermente affumicato, carbonizzato e metallico che si ottiene solo da una padella in ghisa o in acciaio al carbonio riscaldata a temperature elevate. Ovviamente, i wok sono la scelta migliore per saltare gli ingredienti, ma sono anche il recipiente ideale per friggere, cuocere al vapore e affumicare al chiuso. Come per tutte le cose, però, non tutti i wok sono uguali. Sono disponibili in una serie infinita di dimensioni, forme, metalli e manici. Ecco alcuni aspetti da considerare quando ne acquistate uno. 01. MATERIALI I wok in acciaio inossidabile sono uno spreco di denaro. Non solo sono estremamente pesanti e difficili da manovrare, ma
hanno bisogno anche di molto tempo per riscaldarsi e raffreddarsi - un difetto letale per un'operazione che richiede aggiustamenti rapidi e al volo del calore. Inoltre, il cibo (soprattutto le proteine) tendono ad appiccicarsi all'acciaio. La ghisa è una scelta sicuramente migliore, anche se richiede un tempo relativamente lungo per riscaldarsi e raffreddarsi. Offre un’ottima superficie antiaderente. Bisogna solo assicurarsi che sia dello spessore giusto: se troppo sottile, può risultare estremamente fragile, se troppo spesso diventa pesantissimo e poco maneggevole. L'acciaio al carbonio è veramente il top di gamma. Si riscalda rapidamente e in modo uniforme, è molto sensibile agli input del bruciatore, è resistente e poco costoso e, se curato in modo appropriato, garantisce una superficie praticamente antiaderente. Cercate wok in acciaio al carbonio con uno spessore minimo di 14 mm (circa 2 mm). Fate attenzione a questo particolare: non devono cedere quando si preme sui lati. 02. COME SI FABBRICA UN WOK I wok vengono realizzati in tre modi: I wok tradizionali martellati a mano sono una vera chicca. Le leggere rientranze lasciate dalla martellatura vi permettono di spingere il cibo cotto ai lati della padella e di aggiungere gli ingredienti crudi al centro senza che scivolino. Inoltre, i wok martellati a mano sono poco costosi. L'unico problema è che può essere difficile se non impossibile trovarne uno con il fondo piatto. I wok stampati sono realizzati tagliando un pezzo circolare di acciaio al carbonio sottile e pressandolo a macchina in uno stampo. Sono estremamente economici ma completamente lisci, il che rende difficile saltare il cibo. Inoltre, sono sempre realizzati in acciaio a basso spessore e tendono a creare punti caldi e freddi, oltre a sembrare fragili. I wok filati sono prodotti al tornio e presentano un motivo distinto di cerchi con-
centrici. Questo pattern offre gli stessi vantaggi di un wok martellato a mano, consentendo di mantenere facilmente il cibo in posizione contro i lati della pentola. I wok filati possono avere anche uno spessore considerevole, con fondo piatto e con manici facili da manovrare. Sono poco costosi.
Per quanto riguarda i manici, avete due possibilità. 1.
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il wok in stile cantonese, che ha due manici piccoli su entrambi i lati il wok in stile “pechinese”, che ha un manico lungo e di solito un manico ausiliario più piccolo sul lato opposto.
Il wok del Nord della Cina è sicuramente il migliore. Il manico lungo facilita la manovra per saltare e friggere, mentre il manico corto lo rende facile da sollevare. Ah, mi raccomando: evitate come la peste i wok antiaderenti. La maggior parte dei rivestimenti antiaderenti non è in grado di sopportare il calore elevato necessario per una frittura corretta. Iniziano a rilasciare fumi nocivi molto prima di raggiungere la temperatura target. In più è praticamente impossibile far aderire il cibo ai lati del wok quando volete far spazio e tenere libero il centro. 04. CURA E MANUTENZIONE Proprio come una buona padella in ghisa, le prestazioni
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03. LA FORMA E I MANICI I wok tradizionali hanno una struttura convessa, progettata per essere inserita in un'apertura circolare direttamente sul fuoco. A meno che tu non abbiate un fornello alla “cinese” è meglio evitare i wok a fondo tondo. Non funzionano, anche con uno di quegli anelli per wok. D'altra parte, i wok con il fondo troppo piatto vanificano lo scopo della padella, poiché non ci permettono di
mescolare correttamente gli alimenti e spostarli nella zona a calore spinto. I wok perfetti sono quelli con fondo largo da 10 a 13 cm e i lati leggermente inclinati alti tra i 30 e i 36 cm. Con un wok di questo tipo si ha a disposizione una zona a calore forte molto ampia per scottare carni e verdure sul fondo e loo spazio necessario per rigirare tutto.
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di un wok in acciaio al carbonio migliorano con l'uso. La maggior parte di queste padelle viene venduta con una pellicola protettiva di olio per evitare che si arrugginisca o si appanni in negozio. È importante rimuovere questo strato prima di utilizzare il wok per la prima volta. Pulitelo con acqua calda e sapone, asciugatelo con cura e mettetelo su un fornello al massimo del calore finché non inizia a fumare. Ruotate con attenzione la padella in modo che ogni sua parte, compresi i bordi, sia esposta a questo calore altissimo. Quindi strofinate la padella con l'olio di semi (mais, arachidi o lino), usando un tovagliolo di carta tenuto con un paio di pinze, e siete pronti a partire. Dopo l'uso, evitate di strofinare il wok se non strettamente necessario. Di solito basta un risciacquo e una passata con una spugna morbida. I puristi potrebbero sconsigliarvi di usare il sapone, io no. Dopo averlo sciacquato, asciugate il wok con un panno da cucina o con della carta assorbente e strofinate un po' di olio vegetale sulla superficie per proteggerlo dalla ruggine. Con l'uso ripetuto, l'olio che riscaldate nel wok si scompone in polimeri che riempiono i pori microscopici della superficie del metallo, rendendo il materiale completamente antiaderente. Man mano che si utilizza il wok, il materiale cambia colore: gradualmente dall'argento al marrone e, infine, a un nero intenso. Con la giusta cura, il vostro wok non solo durerà per tutta la vita, ma migliorerà anche con l’età.
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05. NOZIONI DI BASE SUL WOK La frittura è la tecnica per eccellenza del wok. Ma è anche lo strumento ideale per friggere,
cuocere al vapore e affumicare i cibi in casa. Ecco come fare: Friggere in un wok è molto più comodo che farlo in un tegame. Grazie ai bordi alti, l'olio che schizza colpisce i lati e ricade al centro. Inoltre, la forma del wok rende molto più facile gestire il cibo, ottenendo risultati più croccanti e uniformi. In sostanza l’ampiezza e l’inclinazione permette alle bollicine di olio di espandersi e di non fuoriuscire dai bordi. Infine, è molto più facile filtrare i residui dai lati inclinati di un wok. Cuocere a vapore in un wok è molto più facile che in un altro recipiente. Potete utilizzare un inserto per la cottura a vapore standard, basta appoggiarlo direttamente sul fondo del wok sull'acqua bollente e utilizzare il coperchio. Il vantaggio, ovviamente, è che in un wok largo avete una camera di cottura molto ampia. Questo vantaggio può essere ulteriormente potenziato se vi procurate un paio di vaporiere in bambù, che sono progettate per essere inserite direttamente nel wok e sono impilabili. Anche affumicare è facile in un wok. Dovete soltanto foderare il fondo con un strato di allumionio che si estenda oltre i bordi per almeno tre quarti della larghezza totale del wok, quindi poggiare sul fondo i trucioli di legno (o foglie di tè) e posizionare il cibo su una griglia o una vaporiera. Accendete il fuoco e tenete la fiamma alta finché il legno non inizia a bruciare, quindi ripiegate i bordi del foglio di alluminio e arricciateli per formare una sacca, intrappolando il fumo all'interno.
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LA RICETTA SCIENTIFICA
STIR FRY DI MANZO INGREDIENTI 2 kg tra questi tagli a scelta (potete utilizzarne anche più di uno): • Zabuton • New York • Denver • Flap Meat • Hanger steak • Tri Tip • Skirt steak
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Olio extravegine di oliva 1 radice di zenzero fresco 1 cipolla rossa grande 3 Cipollotti freschi Demi-glace q.b. Amido di mais Salsa di soia q.b. Acqua Sesamo tostato q.b.
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Per prima cosa asciugate con estrema cura la carne. Asciugate, asciugate, asciugate. Scaldate ben bene la piastra, io ho usato una teppan di acciaio, e piastrate le bistecche intere fin quando non presentano una bella crosta esterna, facendo attenzione a non superare i 50°C interni. Spostate la carne su un tagliere e aspettate la classica mezz’oretta per permettere ai liquidi interni di ridistribuirsi. Intanto tagliate a julienne lo zenzero fresco e la cipolla a cubettini, versate l’olio nel wok e fatelo scaldare per bene. Aggiungete zenzero e cipolle e fate soffriggere. Lasciate raffreddare.
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Tagliate le bistecche a listarelle e mettete da parte. Riaccendete il fuoco e aggiungete la demi glace al soffritto. Quando si sarà sciolta, aggiungete la carne, agitate e aggiungete del cipollotto fresco tagliato a rondelle e della salsa di soia a filo (assaggiate prima di aggiungerla per regolarvi col sale).
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Mescolate e amalgamate bene. Se il fondo vi sembra poco cremoso preparate una miscela di acqua e amido di mais, a saturazione. In parole povere prendete un bicchiere d’acqua fredda e aggiungete l’amido, agitate e continuate ad aggiungere la polvere fin quando non si deposita sul fondo. Aggiungete la miscela nel tegame, un cucchiaio alla volta, aspettate che raggiunga i 75°C: a quel punto comincerà a gelatinizzare e ad addensare la salsa. Spegnete quando il sughino avrà raggiunto la consistenza che vi piace. Spolverate con dei semi di sesamo tostati (potete saltarti in una padellina fin quando non diventano marroncini) e servite con delle fette spesse di pane tostato o con una porzione di riso bianco. Pronti a fare il salto di qualità?
Gianfranco Lo Cascio
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Il fenomeno della disinibizione online Seguo.
a cura di Emiliano Nencioni
Sulle pagine della rubrica Seguo lo abbiamo pensato, asserito ed esaminato più volte: ci sono certe cose, certi comportamenti imbarazzanti, certe nefandezze sbandierate online che nessuno mai oserebbe rendere pubbliche nella vita a modem spenti, nella vita “davvero”. Eppure sappiamo bene che ogni nostro profilo social è legato alla nostra rappresentazione tangibile e biologica, in una ragnatela di relazioni voyeuristiche tessute per essere più digitalmente rilevanti, e che comprendono colleghi di lavoro, nipotini, genitori, amici delle associazioni di beneficenza, superiori, sottoposti, compagni della palestra o del circolo di cucito, tutte persone insomma verso cui principalmente ci preoccupiamo di fare la ben nota “bella figura”. BBQ4All Magazine
Tutta gente che poi legge.
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Nipotini che leggono il nonno rubizzo e buontempone fare degli apprezzamenti molto anni ‘40 a un’attrice un po’ procace, con un linguaggio da sempre ritenuto impresentabile in famiglia; signore irreprensibili conosciute al club esclusivo e filantropo augurare disgrazie, morte e miseria alla vicina di casa amante della cucina etnica - solo che l’etnìa non è quella giusta, ha troppe spezie e impesta irrimediabilmente il vano scale; affermati, irreprensibili, stimatissimi, celebratissimi businessman che al terzo pregiatissimo bicchierino descrivono nei dettagli dinamiche coniugali riuscendo a mettere a disagio anche il più incallito dei voyeur. Succede. Nonostante le conseguenze, nonostante l’assordante “facciamo finta di nulla” che ne consegue, tutto questo succede regolarmente. La chiave di tutto è la disinibizione. C’è la disibinizione benigna, quella che porta ad aprirsi, ad uscire da un guscio e a rivelare un potenziale e alcune abilità che una certa eccessiva introversione ha sempre soverchiato nella vita di tutti i giorni, quella che può portare a valorizzarsi o a conoscere nuove persone, nuovi amici e nuovi affetti; c’è anche quella che sta iniziando ad essere catalogata come disinibizione tossica, che comporta l’uso di un linguaggio rude e insolitamente volgare, l’espressione di rabbia e violenza, di odio e minacce, l’ignorare le più scontate conseguenze a favore di una catarsi cieca, di uno sfogo esplosivo. Cercando di essere meno giudicanti possibile, anche questo potrebbe essere il sintomo e la manifestazione di un bisogno pressante e specifico: non possiamo essere tutti (o insomma la maggior parte) idioti senza lungimiranza, no? Ci sarà un motivo. Ne abbiamo già parlato, sempre qui nella Seguo: amigdala, putàmen, senso di appartenenza all’ingroup, l’innesco della modalità hater è stato sviscerato dal punto di vista biologico e filosofico più volte, il che non è poi malissimo per una rubrica sulle ultime pagine di un mensile di cottura su fiamma, direi.
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Questo mese l’approccio sarà diverso. Più antropologico.
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Anche perché in caso contrario mi immagino le puntuali lamentele “Scusate ma la Seguo di Giugno 2022 è palesemente un riciclone di quella di
Settembre 2019, se il redattore non ha più tempo o vena creativa se ne assuma un altro, c’è mio cognato che col Geymonat in mano fa miracoli”. L’effetto di disinibizione online è un fenomeno che viene discusso tramite una frammentazione in alcuni punti chiave che provo a raccontarvi: ANONIMATO DISSOCIATIVO Online basta un nickname o un nome finto per scollegarsi dalla propria identità: se questo non bastasse, fa la sua parte il pensiero che, anche con nome e cognome, commentare sotto un enorme account seguito da mezzo mondo non è esattamente come offendere qualcuno al circolo ARCI di paese frequentato dalle solite 12 persone. L’anonimato fa miracoli sulla disinibizione, perché separa le azioni dall’identità, disconnette parole e azioni dal resto della “vita tranquilla”, e lo stesso hater può essere portato a pensare “questo in realtà non sono davvero io, io sono una personcina per benino, cortese, stimata e che saluta sempre”. Questa, cari miei, è dissociazione. Roba che in analisi ti vanno via tanti di quei soldi in sedute che fai prima a fingere di non averla. Materiale su cui hanno scritto libri, film e serie televisive di grande successo. E non serve essere pazzi furiosi, basta un nickname e un po’ di rabbia da sfogare per entrare nel tunnel. INVISIBILITÀ L’invisibilità è diversa dall’anonimato: non si tratta di identità, ma di visione, sguardi, contatto visivo. Quando vai a spulciare tutte le foto dell’ex o dell’influencer o del collega antipatico nessuno ti vede. Quando fai login in una chat room piena di tizi loschi e psicopatici assortiti nessuno ti scorge, di fatto, come invece succederebbe mentre apri la porta di un localaccio in un vicolo. L’opportunità di non essere visto aumenta l’effetto disinibitivo: non sorge il problema di apparire all’altezza delle proprie affermazioni, di avere un aspetto autorevole, un eloquio sicuro, o quantomeno di non essere seduti sul water poco dopo il caffè. La cosa è bidirezionale: chi esterna opinioni e odio assortito non può vedere la reazione degli altri, e anche solo uno sbadiglio, un rotear d’occhi, potrebbe tagliare le gambe anche al più veemente dei polemici. Avete provato a raccontare un aneddoto per voi divertentissimo e vedere l’interlocutore che alla quarta parola si assenta, cambia espressione, fa guizzare lo sguardo sulle notifiche
del cellulare? É terribile, vero? Beh lo fate anche voi. Si, voi: pensateci la prossima volta che vi raccontano qualcosa. O almeno, la prossima volta che io vi racconto qualcosa. ASINCRONICITÀ Per quanto i tempi di reazione si stiano enormemente abbassando, la comunicazione è asincrona: si impiegano minuti, a volte ore, a volte giorni per una risposta, a seconda che si tratti di una chat, di un commento pubblico, di una mail o di un retweet al politico polemico. Non avere a che fare con la reazione immediata dell’interlocutore è disinibitivo: al contrario, avere a che fare con il feedback istantaneo e immediato di una conversazione faccia a faccia inibisce e modifica molto il flusso di emozioni e parole. Molte incomprensioni e incidenti diplomatici dovuti a uno scambio di email avrebbero potuto essere evitate con una telefonata o una video chiamata, che almeno ha il pregio della sincronicità dell’interazione. Nella comunicazione asincrona si tende a tornare all’attacco “nel pieno delle forze”, con la risposta (antipatica, ovviamente) pronta, al contrario nella sincronicità si deve contare sull’improvvisazione, sulla risposta pronta e sull’elasticità mentale (che a molti manca, si sa). INTROIEZIONE SOLIPSISTICA L’assenza di interazione faccia a faccia genera un fenomeno interessante e particolare: non udendo, e spesso neanche conoscendo, la voce dell’interlocutore, durante la lettura diamo alla controparte la nostra voce che parla nella nostra testa, spesso attribuendo arbitrariamente un tono, una certa dose di aggressività, e non ultima una mimica facciale. Per quanto tutto sia frutto di una rancorosa immaginazione, questo diventa l’avatar dell’altra persona, con tutti i problemi pregiudiziali che potete sicuramente immaginare. La realtà è la propria immaginazione. Anche questa astrazione immaginifica contribuisce a disinibire, ritenendo l’odioso avatar appena creato meritorio di ogni insulto e di ogni mancanza di garbo.
RIDUZIONE DELLA PERCEZIONE DELL’AUTORITÀ Penso che a pochi verrebbe in mente di insultare una rockstar alla fine di un concerto, o di prendere a parolacce l’amministratore delegato della Barilla, o dire a un genio visionario che è un cretino e altre lepidezze simili. Eppure adesso, online, succede costantemente. La percezione è appiattita, costantemente paritaria: per quanto possa sembrare una caratteristica positiva del web, e di sicuro lo è, c’è da pensare alle situazioni in cui questo non è applicabile: se il tuo campo è la panificazione ha poco senso contestare un cardiochirurgo, se sei un geometra lascia al tuo carrozziere la scelta del trasparente per il tuo parafango. Davanti a una figura autorevole le persone sono riluttanti ad esprimere la propria idea “da profani”, per paura della disapprovazione o di una punizione in caso di figure di potere: online questo freno manca, e si è visto benissimo in molti casi. Tutti virologi, tutti allenatori, tutti esperti di politica estera, e via discorrendo. Non se ne può fare a meno. VARIABILI DI PERSONALITÀ Come una gemma dell’infinito, l’effetto disinibitivo esacerberà certi lati già presenti nella personalità di ognuno: un ironico diventerà facilmente caustico, un risoluto apparirà sgarbato e impulsivo, in funzione dei meccanismi di difesa e delle tendenze all’inibizione o all’espressione. VERO SÈ (O FORSE NO) In vino veritas? Siamo sicuri? E anche fosse, ne sareste contenti? Si può pensare che una grossa disinibizione possa portare a rivelare il “vero Sè” di una persona, abbandonando costrizioni, regole, timidezze, paure. In realtà la cosa sarebbe estremamente semplicistica e banalizzata, anche contando i vari secoli di filosofia e psicologia spesi ad analizzare le complessità dell’essere e dell’essere-nel-mondo (ma non parlerò di nuovo di Heidegger, tranquilli).
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IMMAGINAZIONE DISSOCIATIVA Tutto sembra un gioco, tutto sembra ambientato su un piano di esistenza diverso da quello usuale: i personaggi creati come descritto prima con l’introiezione solipsistica abitano, assieme alla propria rappresentazione di sè dovuta all’anonimato dissociativo, in una dimensione fittizia. Chiusa la
finestra, spento il computer, tutto questo sembra sparire come in una gigantesca RAM, assieme, attenzione, alla percezione di reato. Tutto diventa non molto diverso da un gioco di ruolo, solo che invece di un elfo si interpreta un polemista. Se fino ad adesso vi sembra tutto molto schizofrenogeno, siete sulla buona strada: lo è.
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Il Sè comprende anche le inibizioni, le paure, i freni e le regole. Così non fosse, le nostre personalità autentiche sarebbero tutte assimilabili a degli ubriaconi perennemente carburati a Spritz, litigiosi, menefreghisti e succubi dei sensi. La disinibizione porta, sicuramente, a un diverso Sè, scollato, disunito, dissociato e per lo più costruito a tavolino. Nessuna rappresentazione è più vera dell’altra, ma sono vere entrambi nel loro specifico contesto situazionale. In pratica, non litighiamo fra di “noi”: litighiamo fra personaggi del gioco di ruolo più popolato del mondo, con giocatori leggermente deliranti e temporaneamente dissociati. Non ci sarebbe da prendersela molto per un insulto di un “personaggio non giocante nella nostra vita”. Tuttavia, forse neanche voi sapevate esistesse, nelle mie ricerche mi sono imbattuto in un decalogo della “comunicazione non ostile”, che vi riporto pedissequamente: 1.
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Virtuale è reale: dico o scrivo in rete solo cose che ho il coraggio di dire di persona. Si è ciò che si comunica: le parole che scelgo raccontano la persona che sono: mi rappresentano. Le parole danno forma al pensiero:
mi prendo tutto il tempo necessario a esprimere al meglio quel che penso. 4. Prima di parlare bisogna ascoltare: nessuno ha sempre ragione, neanche io. Ascolto con onestà e apertura. 5. Le parole sono un ponte: scelgo le parole per comprendere, farmi capire, avvicinarmi agli altri. 6. Le parole hanno conseguenze: so che ogni mia parola può avere conseguenze, piccole o grandi. 7. Condividere è una responsabilità: condivido testi e immagini solo dopo averli letti, valutati, compresi. 8. Le idee si possono discutere. Le persone si devono rispettare: non trasformo chi sostiene opinioni che non condivido in un nemico da annientare. 9. Gli insulti non sono argomenti: non accetto insulti e aggressività, nemmeno a favore della mia tesi. 10. Anche il silenzio comunica: quando la scelta migliore è tacere, taccio” …da questo decalogo si evince che chi ha provato a scriverlo non ha assolutamente il polso della situazione, è un inguaribile ottimista, sopravvaluta il suo pubblico o, in definitiva, si è limitato a buttare giù dieci considerazioni utopistiche, giusto perché “dieci” dava un’idea di completezza.
Emiliano Nencioni
CLUB
Direttam e n t e dalla commu n i ty d i ma e s t r i di barbecue pi ù grande d’Itali a, nas ce i l pres ti gi o s o club ch e t i offre la po s s i bi li tà di avere: acc e s s o p r io r ita r io a l m ega s to re, dove p ot ra i fa re ra zzi e mentre tutti gli altri “ s o no i n coda” ; u na p rogra m ma z i o n e int elligent e dei tuoi acquis t i gra zi e a l cre d i to me ns i le prepagato (s cegli tu quanto ); u n coac h pr ivato che t i guiderà n e l fa r t i vi ve re l’e s peri enza
pi ù ecci tante di s empre
co n la p re paraz i o ne dei tuoi pi atti ; e molto a lt ro a nco ra. . . Av ra i tu tto qu es to s o lo s e t i i s cr i vi s u bito al M EG ASTORE CLUB , l’uni co luogo ri s ervato a una ce rc h ia r is t re tta d i a s p i ra n t i gr i ll ma s t e r c he des i derano apprendere pi ù velocemente e nel modo p i ù accurato po s s i bi le, la s u bli me arte del gri ll . Pu oi d i s i s cri verti quando vuoi e i l tu o c re d i to s a rà s empre dis po nibile.
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