N°43/ANNO 4 - LUGLIO 2022
L'EDITORIALE DI GIANFRANCO LO CASCIO
BARBECUE: TUTTA UNA QUESTIONE DI CONTROLLO
RICETTE
Arancine e pulled pork, cosce di pollo marinate, hamburger bardato con guanciale, New York strip e caponatina, pane naan e pulled pork, picanha e patate dolci, steak salad, sushi di carne, tournedos cipolle e zenzero COME SI FA
LA PINSA ROMANA
SPECIALE
GUIDA AI TAGLI
Direttore Editoriale Rossella Neiadin
Redattore Capo Michela Bongiorni
Redazione
Enio Berton Virgilio Brunetti Tommaso Buccafurri Nunzia Clemente Roberto Dal Bosco Salvatore Di Mento Luca Gallozza Marco Gerometta Mariangela Ibba Chiara Lo Cascio Gianfranco Lo Cascio Giancarlo Madonna Riccardo Meniconi Giovanni Minelli Emiliano Nencioni Elena Ninotti Francesca Pappacena Raffaele Persichetti Andrea Spaggiari Alessandro Trezzi Carlo Trono Paolo Tucci Alex Vasile Caterina Vianello Alberto Zonghetti Marco Zorzan
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Realizzazione Grafica Impaginazione Carlo Trono Illustrazioni di Eleonora Castagna e Ozzy Bellesi Fotografie di Rossella Neiadin, Luca Gallozza, Tommaso Buccafurri, Elisa Giuli, Emiliano Nencioni
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IN DI Rubriche
Editoriale - Barbecue: tutta una questione di controllo
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Portfolio gastronomico - Io, il barbecue e il vicino
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Nice to meat you - Il tenero filetto
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Ricette
Arancina con il pulled pork
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Cosce di pollo marinate e croccanti
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Crumble di mele al bbq
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Hamburger al guanciale, crema di pecorino e fettine di mela
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Insalata di pasta pepperoni & peperoni in ember
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NY Strip e caponatina fredda
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Ne ho facoltà - Pane naan, pulled pork e yogurt greco alla menta
44
Picanha con batate
48
Pork kakuni
52
Steak salad
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Sushi di carne in tre varianti
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Tournedos con cipolle confit e zenzero
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Approfondimenti Arte Bianca - La pinsa
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Across the pond - Le mille sfumature della frutta tropicale
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From Zero to Hero - Come si mette il rub sul brisket
74
Infografica - Guida ai legni da affumicatura
78
The Chemical's Griller - È tutto un fermento!
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Speciale - Guida ai tagli
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Seguo - Il listone spiaggista
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Barbecue:
Editoriale di Gianfranco Lo Cascio
tutta una questione di
controllo
La carne su brace è il piatto “primitivo” per eccellenza.
L’essere umano ha imparato a prepararlo prima di ogni altro, ma nonostante l’esperienza indirettamente ed evolutivamente accumulata da noi bipedi dal pollice opponibile, per ottenere un barbecue che si rispetti è necessario mantenere un controllo accurato di tutti i fattori che influenzano la cottura. È solo da poco più di un centinaio di anni che usiamo fonti di energia alternative al fuoco di legna per cucinare, ma resta che il fuoco, di fatto, è l’elemento che non solo ha accompagnato la nostra crescita, ma l’ha soprattutto permessa. C’è una forte connessione tra il genere umano e il fuoco. Tutti sanno distinguere l’odore di una bistecca cotta in padella da una cotta sulla griglia, ma è altrettanto vero che non tutti sanno fare una grigliata decente. Niente paura però, imparare a gestire i fattori che influiscono sul cibo, dalla temperatura alla combustione della legna, migliorerà notevolmente le vostre performance in griglia.
Per controllare la temperatura della fossa o della camera del barbecue, che è fondamentale, dovete monitorare la combustione della legna. I neofiti spesso caricano il braciere con una quantità di legna tale da fondere i metalli, alimentando una combustione eccessiva e fumosa. Questo approccio genera immancabilmente un fuoco sovraccarico che produce più calore di quanto sia necessario. Per smorzare questo calore, siamo tentati di soffocare il fuoco chiudendo le valvole, limitando così l'afflusso di aria nuova. In questo modo, però, non facciamo altro che alimentare un fumo acre e carico di pulviscolo, che ci restituirà una carne che sa di posacenere. Un pitmaster esperto valuta la quantità di calore necessaria per mantenere una temperatura di affumicatura costante, tenendo conto di 3 cose: 1. Il carico di cottura, ovvero la massa totale di cibo 2. La temperatura estemporanea del cibo 3. L’umidità della camera di cottura
Una grande quantità di carne fredda in una camera di cottura relativamente secca avrà bisogno di più
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Un altro modo per amplificare il coefficiente di piacere? Provate a combinare l'affumicatura con la cottura sous vide. Una volta che avrete provato, scoprirete un mondo tutto nuovo e potrete pure fare ciao ciao alle notti insonne davanti all'affumicatore.
CONTROLLARE LA COMBUSTIONE
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calore all'inizio, ma proporzionalmente meno quando la carne si scalderà e si avvicinerà alla temperatura di cottura in low&slow (cottura lenta e a bassa temperatura ). Per tutti i modelli di grill o smoker, tranne quelli più grandi, una piccola quantità di legna o una manciata di trucioli bastano a sviluppare tutto il fumo di cui si ha bisogno. Attenzione però, per lavorare con una dose così ridotta di legna è necessario prevedere l'evoluzione delle condizioni di cottura nell'affumicatore e gestire il braciere di conseguenza.
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CONTROLLARE L'UMIDITÀ
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I cibi affumicati con successo hanno un colore vibrante e un sapore intenso e affumicato. Per ottenere questo risultato è necessario il giusto equilibrio tra le condizioni dello strato superficiale del cibo durante tutto il processo di affumicatura. Se lo strato esterno della carne è troppo umido, la nostra carne non sarà né bella e né buona.
Anche una superficie troppo asciutta può causare qualche problemino. L'umidità superficiale deve essere sufficiente a rendere il cibo appiccicoso, ma non fradicio. La buona notizia è che con un po' di attenzione è facile preservare certi equilibri. All’inizio del processo di affumicatura, quando il cibo inizia a scaldarsi, l'umidità all'interno dell'affumicatore è bassa. Questo aiuta ad asciugare la superficie della carne fino a quando il fumo inizierà effettivamente ad "attaccarsi". A quel punto, possiamo intervenire per evitare che la superficie diventi troppo secca, bagnandola con una salsa fluida, detta anche “salsa mop”o “da mopping”. I grandi barbecue joint aggiungono continuamente carne fredda e umida ai loro smoker nel momento in cui tirano fuori la carne pronta e la servono. In questo modo riescono a mantenere un costante apporto di umidità che preserva gli equilibri ideali. Come si può imitare questa tecnica a casa? Semplice: riempite un vassoio con molto ghiaccio e mettetelo nel vostro smoker. In questo modo avrete due benifici:
1. Il ghiaccio, sciogliendosi e poi evaporando, manterrà l'umidità sufficientemente elevata da permettere alla superficie della carne di rimanere umida quanto basta per far aderire il fumo. 2. Il ghiaccio agirà come un potente dissipatore di calore, evitando alla temperatura dell'affumicatore di diventare troppo alta, cosa che può verificarsi facilmente quando la brace è più calda di diverse centinaia di gradi rispetto alla temperatura di cottura adeguata.
CONTROLLARE LA COTTURA Sebbene il calore sia un parametro importante, è possibile ottenere risultati eccezionali in un ampio spettro di temperature. Affumicatura a caldo, affumicatura a temperatura media, affumicatura a freddo: ognuna di queste può produrre cibi con un sapore di fumo eccezionale. Ma un fumo di scarsa qualità, dovuto a una cattiva gestione del fuoco o a un alimento con una superficie troppo secca o troppo umida, darà sempre come risultato un barbecue da dimenticare. La temperatura più importante da misurare, quindi, è quella della parte superficiale dell'alimento, non quella del cuore. Se state affumicando per più di qualche ora, la temperatura al cuore raggiungerà sempre quella della superficie e, poiché gli alimenti umidi trasudano durante la cottura, la superficie della carne avrà una temperatura più bassa rispetto all'aria circostante. Proprio per questo motivo dovete inserire la sonda del termometro appena sotto la superficie dell'alimento e utilizzare questa lettura per regolare la temperatura dello smoker adattando la velocità di combustione della legna. Per i tagli duri, ciò che conta non è il grado di cottura preciso (come per i tagli teneri) ma quanto a lungo mantenete l'alimento alla sua temperatura target, poiché un tempo di cottura più lungo permette al collagene tenace di trasformarsi in morbida gelatina. Se riuscite a mantenere la carne alla temperatura desiderata più a lungo, con il passare del tempo cucinerete ciccia sempre più morbida.
masochismo. I puristi adorano sudare vicino al pit, ma noi griller moderni apprezziamo di panza e di cuore la comodità della cottura sous vide. La precisione e la praticità senza pari di un circolatore a immersione lo rendono uno strumento straordinario che però "divide et impera". Testandolo vi accorgerete che basta somministrare il fumo caldo solo per poche ore per sviluppare pienamente l'aspetto e il sapore affumicato. La cottura sous vide, in aggiunta, permette di rendere teneri anche i tagli più duri, controllando al millimetro la temperatura.
È MEGLIO AFFUMICARE IL CIBO PRIMA O DOPO AVERLO COTTO? L'affumicatura prima della cottura sous vide a bassa temperatura ha il vantaggio di permettere al sapore e al colore della carne di continuare a maturare. I composti del fumo reagiscono con i componenti del cibo in modo simile alla reazione di Maillard: si tratta della reazione tra aminoacidi e zuccheri che avviene quando gli alimenti ricchi di proteine vengono riscaldati a determinate temperature. Le molecole continuano a reagire tra loro in modi sempre più complessi, contribuendo allo sviluppo di aromi ricchi e di un colore marrone intenso. Una volta iniziate, queste reazioni continueranno ad evolversi
SOUS VIDE + AFFUMICATURA = MAGIA
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Ok, seguite bene questo passaggio. La carne affumicata è fantastica, su questo siamo tutti d'accordo. Ma gestire la temperatura di uno smoker è noioso, e gestirla durante una notte magari umida - e fino al giorno successivo - rasenta il
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diventando essenzialmente una glassa". Per questo motivo occorre controllare la quantità di rub per determinare la consistenza finale della carne. Per consuetudine si utilizza circa il 3% del peso delle costine per ottenere un bark (crosta esterna) e un sapore perfetti. Se non avete mai fatto delle ribs o un Brisket prima d'ora, iniziate con il 3% e regolatevi in base alle vostre preferenze. Una volta trovato il giusto equilibrio, continuate per quella strada.
man mano che la cottura prosegue all'interno del sacchetto sigillato. Ciò significa che la patina di fumo si scurirà, la crosta diventerà più gommosa e il sapore di fumo si attenuerà. Se preferite un sapore più vibrante e classico di affumicatura, vi consiglio di affumicare dopo la fase di cottura in sous vide. Alcuni esperti di barbecue sostengono che non è possibile ottenere il giusto sapore di affumicato dopo che il cibo è stato cotto, ma questo è palesemente falso: provate e mi direte. Anzi, provate entrambi i modi di abbinare il sous vide all'affumicatura per scoprire quale vi piace di più. Qualunque sia la vostra preferenza, una volta sperimentata la straordinaria consistenza del cibo sous vide unita alla comodità di dover gestire uno smoker solo per poche ore, sono sicuro che vi convertirete all'instante.
CONTROLLO DEL SAPORE
MA LE CHIPS O I CHUNK SI BAGNANO OPPURE NO? Per finire, la domanda delle domande. La risposta? È chiaramente NO! Non mettete mai e poi mai la legna a mollo nell'acqua o in qualsiasi altro liquido. La legna bagnata apparentemente produce più fumo, ma in realtà quello che si vede è solo vapore. Di fatto, la legna bagnata brucia a una temperatura bassa che impedisce lo sviluppo dei sapori affumicati migliori, detti fenoli. Al contrario, favorisce la formazione di grandi quantità di acido acetico e acido formico. L'acido acetico è il composto principale dell'aceto, mentre l'acido formico è presente naturalmente nel veleno delle formiche. Entrambi, come si può facilmente immaginare, possono trasformare la vostra ciccia in bocconi sgradevoli e aspri.
Gianfranco Lo Cascio
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Dosate il rub: per ottenere la giusta consistenza, l'unica soluzione è quella di distribuire una quantità misurata di rub sulle vostre ribs o il vostro pulled pork. Il veterano del barbecue Meathead Goldwyn spiega che: "Alcuni ingredienti di un rub si sciolgono in acqua, altri si sciolgono solo nel grasso. Mentre la carne arrostisce lentamente, ad esempio a 107 °C, l'umidità della carne e il vapore acqueo del fumo sciolgono i composti idrosolubili del rub, come il sale e lo zucchero, trasformando il rub in un pastone granuloso. I grassi si gonfiano all'interno, si mescolano con il rub e sciolgono alcune delle spezie che sono solubili nei grassi. Il sale penetra in profondità nella carne grazie a reazioni elettrochimiche con l'acqua, ma le molecole della maggior parte degli altri componenti del rub sono troppo grandi per andare oltre la superficie e quindi rimangono lì,
Puntate ad ottenere il “thin blue smoke” (fumo blu): Il fumo è un aerosol composto da una nuvola di goccioline disperse in un fiotto di vapori invisibili. E sono proprio questi vapori a fare la maggior parte del lavoro dello smoker. Gli sbuffi di fumo blu tenue sono un chiaro segno che abbiamo centrato l’obiettivo. Quello che proprio non vogliamo è una nebbia densa e grigia, che segnala la presenza di particelle di catrame, creosoto e fuliggine acre. Bruciare legna asciutta e stagionata e farle prendere molta aria fresca vi aiuterà a evitare questo fumo sgradevole. Usate il legno migliore in assoluto: tipi di legno diversi conferiscono sapori e colori differenti. Date un'occhiata alla grafica che troverete all’interno di questo numero di Luglio del BBQ4All Magazine.
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IO, IL BARBECUE E IL VICINO
Portfolio gastronomico a cura di Alberto Zonghetti
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Il triangolo no, non lo avevo considerato, d'accordo ci proverò, grigliare un po' non è un reato, invitiamo anche lui per questo barbecue un po' articolato? Sennò io rischierei di litigare per anni e mesi, sai! Ma il triangolo non lo rifarei!
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E
state, barbecue, vicinato. Un triangolo indesiderato e potenzialmente esplosivo, capace di rovinare il nostro entusiasmo per la bella stagione e il nostro hobby preferito. Che fare? Renato Zero, inizialmente riluttante nei confronti del triangolo, si butta e alla fine esclama “perché no?” Il nostro caso è molto più difficile e sono pochissimi i fortunati che hanno tratto beneficio da una situazione del genere. Però di vicende divertenti da raccontare ce ne sono, quindi con il sorriso sulle labbra, mentre affiorano alla mente frammenti di episodi vissuti, inizio a digitare sul motore di ricerca per cercare cosa mi dice la cronaca. L’entusiasmo ben presto si spegne quando i titoli degli articoli recitano: “Lite per il barbecue finisce in tragedia” “Anziano accoltella il vicino per i troppi fumi” “Condomini si sparano a vicenda durante la grigliata”. Non entro nei dettagli, visto che rovinerei il vostro buonumore, per condurvi verso una strada più vicina ad uno studio criminologico, a metà tra Gomorra e Criminal Minds. Non è la direzione giusta e non la percorreremo. Iniziamo pertanto con un assunto, sul quale siamo tutti d’accordo. La via maestra per utilizzare il barbecue senza avere problemi con il vicinato è possedere una casa in campagna. Una villa è meglio. Ma non tutti sono così fortunati, neanche io.
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Però non posso lamentarmi: la mia modesta ma dignitosa casetta a schiera, situata vicino al centro (e al mare) della mia città, è dotata di un mini giardino. Per mini intendo sedici, dico sedici metri quadrati. Giusto lo spazio per il capanno degli attrezzi, un kettle da 57 cm, un tavolo per 10 persone con sedie e ombrellone. Un vero lusso, soprattutto in lockdown. Trattandosi di un ambiente quadrato, confino con ben tre vicini. Un lato è costituito dal muro della casa accanto, con un fantastico finestrotto del bagno che si affaccia sulla mia proprietà. Il barbecue è li vicino: è evidente che durante l’utilizzo del mio dispositivo i fumi possano invadere l’ambiente del vicino. Il quale, puntualmente, chiude con decisione l’apertura sbattendola tra malcelate imprecazioni a bassa voce. Ho però la certezza che lui non mi creerà problemi: la finestra che si affaccia sul mio giardino è palesemente abusiva. Vi immaginate il vicino che chiama i vigili perché gli affumico il bagno e finisce lui nei guai per la sua apertura illegale? Il lato opposto a questo mostra un fantastico capanno in muratura, con ben due finestre che si affacciano sul mio giardino e dal quale vedo l’interno, pieno zeppo di ciarpame. Anche queste aperture sono abusive, per cui anche con l’altra famiglia sto in una botte di ferro. Il terzo confine, che mi separa dal cortile asfaltato di un piccolo condominio, è una sorta di Muro di Berlino, eretto a mia insaputa una mattina di novembre, eliminando la vecchia rete divisoria. Avrei potuto fare battaglia, ma ho preferito tenere un profilo basso per evitare futuri problemi. Mi sembra un buon compromesso per attivare il mio fidato Weber. A volte infatti, dall’altra parte, giungono fumi in modalità centrale geotermica, evidente segno della grigliata vecchia maniera, preceduto dall’immancabile aroma di cherosene che si spande sublime nell’aria, evocando poetiche immagini di pozzi petroliferi e suggestive raffinerie. Ho provato, un giorno, ad affacciarmi oltre il muro per suggerire metodi di accensione meno invasivi e nocivi: ma la vista di quattro energumeni a torso nudo, con tatuaggi inquietanti, bottiglia di birra da discount in mano, sguardo accigliato e linguaggio dell’Est Europa, mi ha suggerito di non proseguire nel mio lodevole tentativo di catechizzare i “barbari” grigliatori.
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Quindi accendiamo la modalità “compromesso”: è la parola chiave per assicurarsi un utilizzo frequente del nostro amato barbecue, unito al buon senso. Sappiamo però che la fauna umana è molto variegata, così come molteplici sono le situazioni che si creano all’interno del nostro famoso triangolo. Vi propongo quindi alcune tipologie di vicini nelle quali, credo, potrete rivivere almeno in parte le vostre esperienze.
LA FEMME FATALE Stai cucinando il barbecue per i suoceri e il tuo aspetto è al limite della decenza, tua moglie è appena uscita un attimo per andare a comprare una cosetta, i bambini scorrazzano per casa senza freni. Suonano, tu apri credendo che sia la consorte di ritorno, invece…è la nuova vicina, quarantenne divorziata e ora single, in canottierina semi trasparente, shorts (molto short), tacchi da lap dancer. Cerchi di coprire le numerose e multicolori macchie di grasso sulla maglia (che pare un quadro di Kandinskij), balbetti qualcosa mentre i cuccioli si affacciano dalla stanza giochi e chiedono a gran voce chi sia quella ragazza in mutande. Preghi che la moglie non torni proprio ora, con imbarazzo cerchi di mascherare la voce virile (ma il risultato tremendo è una tonalità da suora anziana) e chiedi in cosa puoi essere utile (in realtà un’idea ce l’avresti ma è censurata dal super- io). Con voce suadente, alla Jessica Rabbit, mentre giocherella con la spallina ti fa presente che i fumi arrivano al suo terrazzo, impregnando di odori sgradevoli la sua lingerie messa a stendere proprio sotto al tuo barbecue.
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Ti riprendi, ci vuole ben altro per intaccare anni di onorato matrimonio; mentre cerchi di trovare le parola per una replica, ti sembra proprio di essere stato proiettato dentro una commedia scollacciata degli anni’70/’80, tanto che il volto della vicina assume fattezze ibride tra la Fenech e Gloria Guida. Ti aspetti da un momento all’altro Alvaro Vitali e Bombolo comparire di nascosto dalle scale per spiare il lato B della tua ospite. Biascichi qualcosa – di cui non hai memoria - all’avvenente donzella e la scenetta termina.
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Poi la moglie torna, non capisce perché hai spento il fuoco dato che aspettavi da mesi questo momento; ti ricorda che hai millantato davanti al suocero
conoscenze sovrannaturali relativamente alla carne, e non puoi per nessun motivo tirarti indietro a due ore dal pranzo; le risulta ignoto perché i bambini facciano riferimento ad una bionda seminuda. Guardi in alto e i perizomi di pizzo stesi al piano superiore ti ricordano con vergogna le fragilità maschili. (Ci rendiamo conto che questa eventualità rientra più che altro nelle fantasie alla “te piacerebbe” che nella categoria “fatti realmente accaduti”, ma guardiamo con benevolenza alla fragilità maschile sopra descritta n.d.r.)
IL POLITICANTE Lui ti sembra il vicino ideale: alla prima accensione ti guarda bonario dalla finestra con espressione di approvazione. Le prime salsicce affumicate sono sue, e le accoglie con enfatico stupore. Gli chiedi se è stato infastidito da qualche cosa relativo al barbecue, ma ti rassicura che è tutto a posto. Tiri un sospiro di sollievo e pensi alla lunga stagione da Grill Master che ti attende. Ma dal giorno dopo alcuni indizi non tornano: incontri la moglie in cortile e ti aspetti ringraziamenti e commenti positivi sul tuo suino che gli hai offerto, ma nulla. Il saluto è freddo e compassato. Il secondo indizio lo scopri più tardi, quando vai a gettare i rifiuti organici nel cassonetto comune e scorgi, nell’ombra, le tue salsicce, frutto di due ore di sapiente cottura in low&slow, gettate tra il pattume. Poi arriva, inesorabile, il cartello anonimo sul portone che invita a non produrre fumi e odori molesti, pena l’intervento dei vigili urbani. Se è vero che il terzo indizio costituisce una prova, ti avventi da lui, con la rabbia propria di chi è stato raggirato (o perculato, verrebbe da dire). Ma lui, con la faccia tosta del miglior (o peggiore direi) politico, si duole per lo scritto dissociandosi da quanto avvenuto; ti si avvicina ti rivela in confidenza che qualcuno (evitando riferimenti palesi) pare essersi lamentato del tuo barbecue. A lui no, non dà affatto fastidio, ci mancherebbe, ma sai, siamo in un condominio è una specie di comunità, con diritti e doveri, delle regole civili da rispettare, per il quieto vivere è bene venirsi incontro etc… E poi ti ricorda la proposta che tu hai avanzato durante l’ultima riunione condominiale, quella per cui ti sei speso tanto e che risolverebbe i tuoi problemi di parcheggio, e che dovrà essere votata la prossima
settimana. Sarebbe un vero peccato – continua sorridendo – litigare con qualcuno proprio quando ha saputo, così per caso, che i contrari e i favorevoli alla tua mozione sembrano in parità… Sconcertato, la notte fatichi a prendere sonno, e ti sovviene che molti dei tuoi condomini pensano di proporre proprio lui, il politicante viscido e corruttore, come nuovo amministratore per l’anno prossimo: ruolo per il quale formalmente non si è mai candidato, ma evidentemente il suo agire in modalità KGB ha dato i suoi frutti.
all’umanità. La costina di maiale carbonizzata all’esterno e ben cruda all’osso è brandita e addentata con la fierezza di un Neanderthal. Eppure ha da ridire sui fumi e sugli odori che produci, che gli entrano in casa, infastidiscono la moglie, sono pericolosi e tossici per i nipotini. Ma sono solo balle. In verità, tutto nasce da quella fatidica sera, nella quale, in vena di gentilezze, gli hai offerto una birra e gli hai parlato con fierezza delle tue competenze da pit
Ora è tutto chiaro: non solo realizzi che unicamente un buon trasloco potrà restituirti il barbecue. Ma comprendi anche perché la nostra penisola versa in tale degrado civile e politico.
IL VEGANO Qui le strade sono poche: se hai grande pazienza lo ascolti durante i suoi deliri ideologici e sul perché noi, mangiatori di animali morti, siamo la rovina del pianeta. Poi lo inviti alla grigliata di verdure e bruschette, ostentando rispetto per la sua fede. Infine, conquistata la sua fiducia, continui a grigliare come prima, replicando che stai cuocendo hamburger vegetali, salsicce di soia, costine di fibre. Sono la nuova frontiera della nutrizione ed incredibilmente hanno lo stesso profumo delle carni defunte. Amen.
L’ANZIANO
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Lui ha iniziato a grigliare da prima della Seconda G u e r r a Mondiale. Alle feste di quartiere ha bruciato e bucato tonnellate di salsicce per decenni, con la consapevolezza di a ve r e r e s o un servigio
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LO PSICOPATICO Non ti parla, ma è presente ogni volta che accendi il fuoco. La sua presenza è palpabile, aleggia nell’aria. Ti spia; dalla serranda non del tutto abbassata, dalla tenda che ha strani movimenti, da sotto la ringhiera del terrazzo. Ti inquieta: sta preparando un attentato, registrando con una telecamera quanto stai facendo, o semplicemente non sa come passare il tempo? Se lo incontri nel condominio è sfuggente, ma non accenna alla questione.
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Il suo comportamento è sospetto e logorante. Poi inizia la paranoia. La bici si è bucata il giorno successivo alla grigliata; lo striscio sulla macchina è comparso dopo la salsicciata con gli amici. Al lavoro il capo ti ha dato una strigliata ingiustamente. Se non stai attento rischi di uscire di senno. Ti ci vuole una vacanza per riprenderti, ma devi fare presto; altrimenti te lo ritrovi anche in villeggiatura, sempre che tu non voglia trascorrere un periodo di relax con lui al centro di Igiene Mentale.
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master. Lo turbano i discorsi che hai fatto sul kettle, la cottura indiretta, le temperature e le sonde, la carne straniera! Non sopporta tutto questo, lui rude grigliatore all’antica. La novità lo infastidisce e lo urta, sgretolando le certezze di una vita. Hai solo una possibilità contro di lui: recitare. Abiurare la tua fede in Lo Cascio, fare pubblica ammenda dei tuoi errori. E poi il gran finale: il sacrificio di alcune costine del discount cotta a modo suo ed esposte come una sacra ostensione, segno del tuo ripensamento. Non sarà tutto risolto, ma con un profilo basso, i termometri nascosti, l’odore di Diavolina liquida sapientemente diffuso ogni tanto, potrai nuovamente dedicarti all’arte del barbecue.
LA LEGISLAZIONE Passiamo a concretizzare alcune domande che ci chiediamo spesso. Come dovrebbe essere posizionato il nostro barbecue all’esterno ed all’interno delle nostre case? Con quali normative ci dobbiamo confrontare per il suo posizionamento? Di cosa dobbiamo tenere conto quando installiamo un barbecue nel nostro condominio? La giurisprudenza non è proprio il mio forte, quindi mi appoggerò prevalentemente a quanto già scritto
dal nostro megadirettore editoriale Rossella Neiadin in un articolo all’interno del blog di BBQ4All. Partiamo dall’articolo 844, I comma del codice civile, che recita: “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi”. È chiaro: la normativa in materia di utilizzo del barbecue verte sulla legittimità delle immissioni di fumo conseguenti all’accensione o alla cottura, che non possono essere impedite dal vicino di casa o dagli altri condomini, se non superano i limiti della normale tollerabilità.
Oltre all’art.844, possono sussistere ulteriori norme contenute nei regolamenti comunali e condominiali,
Facciamo un ripasso delle sentenze: Cassazione Civile, Sezione VI, sentenza del 18 gennaio 2011, n. 1064, “le previsioni negoziali contenute nel regolamento condominiale, avente origine contrattuale, sono costitutive, per tutti i condomini, di un vincolo di natura reale assimilabile ad una servitù reciproca” Cassazione, sentenza del 4 febbraio 1992 n. 1195, “i condomini, con il regolamento di condominio, possono disciplinare i loro rapporti reciproci, in materia di immissioni di fumo, anche con norma più rigorosa di quella dettata dall’art. 844 del codice civile”. Cassazione, sentenza del 7 gennaio 2004, n. 23, “sono legittime le restrizioni alle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva del singolo condomino contenute nel regolamento di condominio di natura contrattuale, purché formulate in modo espresso o comunque non equivoco – sì da non lasciare alcun margine d’incertezza sul contenuto e la portata delle relative disposizioni – le norme regolamentari possono imporre limitazioni al godimento degli immobili di proprietà esclusiva secondo criteri anche più rigorosi di quelli stabiliti, in tema di immissioni lecite, dall’art. 844 c.c. Ne consegue che in tal caso la liceità o meno dell’immissione deve essere determinata non sulla base della norma civilistica generale ma alla stregua del criterio di valutazione fissato dal regolamento”.
IN SINTESI Leggendo anche altre le sentenze, molti problemi derivano dai barbecue/forni in muratura, fissi. Se potete, cercate di prediligere dispositivi mobili con coperchio: è un ottimo punto di partenza. Detto questo, se da una parte il codice civile dichiara che i petulanti vicini non possono impedirmi a priori di produrre fumo, dall’altra mi obbliga a non esagerare, per non arrecare fastidio alcuno. Da un lato è sedimentata la validità di regolamenti comunali o condominiali, più limitativi della legge stessa, dall’altro le immissioni di fumo non possono essere circoscritti entro soglie universalmente rico-
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Eppure esistono sentenze estremamente differenti, quasi antitetiche, come ad esempio: Giudice di pace di Torino Sez. II, con sentenza del 10/06/2010 dove i fumi vengono considerati un disagio e pertanto da ostracizzare: l’art. 844 del codice civile, in origine soprattutto orientato a tutelare le esigenze della produzione poste su un livello di importanza prevalente rispetto alla qualità della vita del privato, è progressivamente stato interpretato dalla giurisprudenza, anche della Suprema Corte, in senso contrario all’impostazione originaria che ne è risultata ribaltata privilegiando l’interesse della qualità della vita privata. I fumi e gli odori provenienti dal barbecue, vista la vicinanza e le immissioni che la cottura è in grado di sviluppare, sono in grado di provocare un “sensibile disturbo e disagio in un’abitazione privata e contribuiscono a deprimervi la qualità della vita”, rendendo quindi applicabile la fattispecie di cui all’art. 844 del codice civile. La Cassazione, con sentenza del 18 marzo 1992, n. 3204 dove si consiglia di adottare quei meccanismi che consentono di mantenere i segnali di fumo nella soglia di tollerabilità: “in tema di emissione di gas, vapori, fumi atti ad offendere, molestare o imbrattare i vicini, tali immissioni possono essere autorizzate soltanto entro i limiti della tollerabilità normale, e quindi previa adozione delle misure necessarie ad evitare il superamento ditali limiti o di quelli imposti da specifiche normative (regolamento condominiale)”.
che hanno una maggiore specificità rispetto al codice civile (si applicano al singolo Comune ovvero al singolo condominio) e possono disciplinare i rapporti tra vicini, anche in modo più coerente rispetto alla normativa dei codici. Tutto inoppugnabile e assolutamente legittimo.
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nosciute. È un terreno minato, poiché non esistono misurazioni quantificabili per il fumo, come i decibel per il rumore; manca un limite preciso, verificabile, possibile da provare.
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Tutto dipende dalla valutazione discrezionale del giudice di pace: abbiamo quindi un limite di tollerabilità al fumo definito dal volere del giudice. Per sottolineare il concetto, la cassazione ha anche stabilito che non è nemmeno obbligatorio da parte del giudice ricorrere a perizie di sorta.
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Cass. n.5215 del 09/05/95 e Cass. n. 739 del 21 /01/98, “l’attitudine, rispettivamente, dei rumori a disturbare le occupazioni o il riposo delle persone e delle emissioni di gas, vapori o fumi a molestare persone non deve necessariamente essere accertata mediante perizia, ben potendo, al contrario, il giudice, secondo le regole generali, fondare il proprio convincimento al riguardo su elementi probatori di diversa natura quali, in particolare, le dichiarazioni testimoniali di coloro che siano in grado riferire caratteristiche ed effetti dei rumori e delle emissioni
summenzionati, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o di giudizi di natura tecnica, ma si limitino a riferire quanto oggettivamente percepito dai dichiaranti medesimi” …e che non è necessario aver provocato direttamente un danno, poiché basta l’attitudine della natura dei gas ad essere molesti: Cass. pen., sez. VI, 11 aprile 1990, n. 5312,“Nell’ipotesi di emissione di gas, di vapori o fumi, non è necessario che l’emissione stessa provochi un effettivo nocumento, essendo invece sufficiente l’attitudine del gas, del vapore o del fumo, emesso ad offendere, imbrattare, molestare le persone”.
I NOSTRI CONSIGLI Magari quelle che seguono saranno per voi banali indicazioni, ma ci sentiamo ugualmente di darvi questi consigli “genitoriali” : I DISPOSITIVI MOBILI CON COPERCHIO. Sembra un’ovvietà’, ma questi strumenti consentono, oltre
alle diverse tipologie di cottura che conosciamo, una versatilità e una comodità senza pari. Velocità di accensione, limitazione dei fumi e delle fiammate IL DISPOSITIVO A GAS: in questo caso è un vantaggio rispetto alle versioni “carbonare”, dato che per portarlo a temperatura non si produce fumo. È bene prediligere le cotture indirette, dato che sprigionano una minore quantità di miasmi. LA POSIZIONE DEL BARBECUE: sistemate il vostro dispositivo in una zona del terrazzo/giardino che non consenta ai fumi di entrare nelle abitazioni dei vicini. Riscoprite lo scout che è in voi e iniziate a tenere conto anche del vento, affinché trasporti lontano aromi ed effluvi. IL CESTO ACCENDITORE: se per voi il carbone è imprescindibile, per la brace rinunciate almeno alle fascine di legna che ardono per ore. Un buon cesto accenditore limita decisamente i tempi le emissioni di fumo. Esistono anche dispositivi d avanguardia con accenditore elettrici che potrebbero fare al caso vostro. LA FREQUENZA: se per ogni cibo da cuocere volete accendere il barbecue è ovvio che il vicinato possa non solo lamentarsi, ma mandarvi un’intera pattuglia
di vigili urbani! Evitate di preparare un brisket in overnight sul terrazzo sotto le finestre dei vicini, che al risveglio rischierebbero di essere fiutati da tutti i randagi nel raggio di un paio di chilometri… Usate moderazione nelle tempistiche di organizzazione delle vostre feste affumicate. LA COTTURA INDIRETTA: qui c’è poco da dire, sappiamo già tutto circa i vantaggi in termini di emissioni e odori. Fate valere la vostra sapienza di gestione del barbecue. Pe concludere: evitate come la peste questioni legali, il “triangolo” di Renato Zero diventerebbe un ben peggiore “quadrilatero”, con tempistiche lunghissime e logoranti per finire tra le mani di un giudice che, applicando la legge con discrezionalità, potrebbe rovinarvi per sempre la vostra passione. Piuttosto esercitatevi nella diplomazia, alimentate sempre il buon senso; siate gentili e rispettosi con i vicini, disponibili al dialogo e sorridenti, generosi nell’offrire birre fresche e succose salsicce non bucate. Anche se non li sopportate, e nei vostri sogni più proibiti vi è capitato di preparare un kebab con succosi condòmini petulanti, fatelo almeno per creare le condizioni sufficienti ad esercitare il vostro hobby favorito.
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Il TENERO FILETTO NICE TO MEAT YOU
CONOSCIAMOLO MEGLIO Ci avete sentito ripetere spesso che il filetto non è l’unico taglio morbido che potrete mangiare nella vostra vita, che esistono molti altri tagli considerati meno nobili ma che vi possono dare grandissime soddisfazioni. Ciò non toglie che il filetto resti comunque uno dei tagli preferiti di molti di voi, e non è giusto neanche togliergli la fama che di diritto si è guadagnato in anni e anni di onorata carriera in pentola e sulla griglia. Per cui dedichiamogli questo piccolo spazio, in modo da conoscerlo meglio. Questo taglio, dalla tipica forma conica, è situato nella sezione lombo- sacrale. Costituito dal muscolo Psoas di forma allungata, parte con una sezione più piccola che aumenta via via che ci si avvicina alla parte estrema del Loin. Questo muscolo appartenente al quarto posteriore ed è situato nella parte più centrale e protetta dell’animale, precisamente nella zona della mezzena chiamata “Short Loin” che, come abbiamo già visto, viene considerata come vera Lombata nel disciplinare della macellazione Americana.
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Durante l’intera la vita dell'animale, questa pregiata zona “di mezzo” non viene quasi mai sollecitata nella deambulazione e nella corsa. Con la sua carne magra con una trascurabile presenza di infiltrazione di grasso avvertibile solo in esemplari di razza Wagyū e del tutto priva di tessuto connettivo, risulta essere la parte più tenera del dorsale; una tenerezza che però diminuisce via via che ci si sposta verso l’esterno del quarto.
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Sviluppandosi anatomicamente in maniera
non lineare, viene di norma suddiviso in tre parti. La prima, con la sezione più piccola, è la più pregiata e prende il nome di Filet Mignon, quella di mezzo, con dimensione maggiore, prende il nome di Tournedos e la parte finale, la sezione più grande, prende il nome di Chateaubriand. Il filetto sottoposto a calore ha tendenza ad asciugarsi rapidamente perdendo la succosità interna: si consiglia quindi di prevedere sempre un taglio di spessore non inferiore ai 4-5 cm. In cottura, per preservare la sua morbidezza, nel caso si decida di cucinarlo sotto forma di medaglioni, si dovrà procedere con una cottura diretta ad alte temperature e con assoluta velocità. C’è però un altro modo per preservare la sua succosità, ovvero attraverso la bardatura: ricoprendo la superficie con un alimento grasso oppure avvolgendo l’intero filetto con una copertura esterna, come previsto ad esempio nel famoso "Filetto alla Wellington" riusciremo a trattenere meglio i succhi all’interno della nostra ciccia e a gustarci un piatto davvero morbido e appagante. Altre ricette famose della tradizione con il filetto sono senza dubbio quello al pepe verde, grande classico della cucina anni ‘80 che prevede l’utilizzo della tanto vituperata panna da cucina, il Tournedos alla Rossini, con foie gras, burro e tartufo, il Filetto alla Borbonica, con mozzarella e acciuga e il Filetto alla Wornoff, con panna fresca, Worcestershire sauce, senape e tabasco.
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L'ARANCINA? PROVALA CON IL PULLED PORK!
Ogni volta che trattiamo questo argomento, inevitabilmente ci ritroviamo davanti all’annosa questione, che porta poi a lotte campanilistiche e a prese di posizione da guerriglia urbana: si dice arancino con la o o arancina con la a? Volendo scherzare, ma nemmeno troppo, il dilagare del politicamente corretto degli ultimi anni parrebbe suggerirci la soluzione ideale: arancin* o arancinə. Lasciando invece da parte questa piccola provocazione, che comunque porterebbe a polemiche infinie in ogni caso e non sarebbe risolutiva, sappiamo che la questione divide da sempre la Sicilia, in particolare le città di Catania e di Palermo. Nella prima, quella deliziosa polpetta di riso viene chiamata Arancino, nella seconda cambia sesso e diventa Arancina. Non pensate di poter chiedere ai siciliani di risolvere il dilemma: ognuno vi dirà che il modo giusto di chiamare la polpetta è quello che usano nella sua città o nella sua famiglia. In realtà sappiamo già da qualche anno, grazie all’intervento di numerosi linguisti, che le due forme sono entrambe corrette; in linea puramente teorica, sarebbe più giusto - in italiano standard- usare la forma al femminile: d’altronde la polpetta di riso ricorda una piccola arancia, da qui arancina; tuttavia in diverse regioni italiane - non solo in Sicilia ma anche ad esempio in Toscana- spesso si usa la forma al maschile per intendere non solo l’albero, ma anche il frutto: da qui arancino. Sintetizzando molto, dunque (se vi interessa trovate una spiegazione dettagliata nel numero di Ottobre 2020 del BBQ4All Magazine) si può tranquillamente affermare che nessuno ha torto e tutti hanno ragione: arancina o arancino, va bene lo stesso. L’importante è che siano buon*. Ehehe!
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Se la ricetta tradizionale vuole che l’arancina (noi usiamo la forma al femminile anche per non essere disconosciuti dallo Zio) abbia un ripieno a base di ragù, è altrettanto vero che nel tempo sono nate numerose varianti di questa deliziosa, unta e goduriosa polpetta di riso: esistono versioni con mozzarella e prosciutto, col pesce, al nero di seppia, coi gamberi… di fatto è una preparazione che si presta bene ad essere farcita con molti ingredienti. Fedeli al nostro essere provocatori, abbiamo pensato di proporvene una versione con il Pulled Pork e per l’occasione abbiamo utilizzato quello in busta già pullato del nostro Megastore: si presta benissimo perché vi dà la possibilità di toglierlo dal frigo, di suddividerlo da freddo in piccoli quadratini e di manipolarlo più facilmente per assemblare la vostra arancina: tanto, come ben sapete, è già perfetto così come è, non c’è nessun bisogno di aggiungere ingredienti e ulteriore sapore.
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Vediamo dunque come fare nel dettaglio
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Ingredienti per 6/8 persone
1 kg di riso arborio / 2,5 l di brodo vegetale filtrato / 80 g di burro / sale e pepe q.b. / tre buste di Pulled Pork già pronto del nostro Megastore / 500 g di farina / 500 g di pangrattato / olio di semi di arachidi per friggere PREPARAZIONE Sciacquate il riso con acqua fredda, poi cuocetelo per assorbimento nel brodo in cui avrete sciolto il burro. Non mescolatelo, aspettate che abbia assorbito tutto il liquido. Una volta pronto, mescolatelo, aggiustatelo di sale e di pepe, poi stendetelo su una teglia aspettando che si raffreddi lentamente a temperatura ambiente e che si indurisca. Ci vorrà una notte intera.
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Lasciate scongelare il pulled pork nelle bustine, senza aprirle e senza scaldarlo. Una volta pronto, potete aprire la busta e lavorare il pulled pork porzionandolo da freddo. Formate delle palline grosse più o meno come una noce.
3.
Ungetevi le mani, prendete il riso e stendetelo sul palmo della mano non dominante. Formate un incavo e riempitelo con una pallina di pulled pork. A queso punto richiudete il riso come a formare una coppetta. Una volta formata la palla, aggiungete altro riso, chiudete bene l’arancina. Se lo possedete potete aiutarvi in questa operazione con un arancinotto, in modo che le vostre arancine abbiano una forma conica regolare.
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Mettete le arancine così formate a riposare nel frigo per un paio d’ore.
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Preparate nel frattempo una pastella con acqua, sale e farina. Dovra essere liscia, cremosa e senza grumi. Passate le arancine nella pastella e poi nel pangrattato. Ricopritele bene, poi riponetele di nuovo in frigorifero per una mezz’ora.
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A questo punto friggete le arancine in abbondate olio, a una temperatura di circa 170°C. Scolatele bene e mangiatele calde!
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CHE COSCE! MARINATE E CON LA PELLE CROCCANTE Lo sappiamo, il problema di quando si vuole cucinare il pollo (intero o come nel nostro caso solo il quarto posteriore) è solo uno: far venire una pelle croccante e saporita, che faccia crunch. Il rischio di trovarsi con un ammasso gommoso e bolliticcio, disgustoso alla vista e al palato, è sempre dietro l’angolo. Chiariamolo subito: il pollo va cotto con la pelle, in modo da preservare morbidezza e succosità. Togliere le pelle per evitare il problema è la cosa più sbagliata da fare! Al massimo, potete farlo dopo se, dopo tutti i consigli che vi daremo, non riuscirete ad ottenere la croccantezza desiderata. Ma siamo sicuri che questa evenienza sia remota. Come si fanno le cosce di pollo perfette, dunque? Il primo segreto è quello di marinarle. Come spesso abbiamo ripetuto, la marinatura ha lo scopo di aromatizzare e di modificare la consistenza superficiale dell’alimento su cui viene usata; a differenza della salamoia, che invece interviene più in profondità, è consigliabile per pezzi di carne piccoli, come appunto le cosce di pollo. Questa emulsione è di base composta da una sostanza acida, per esempio il limone, da una sostanza grassa, per esempio l’olio, da spezie e da una piccolissima percentuale di sostanza stabilizzante, per esempio la senape. A cosa serve lo stabilizzante? A fare in modo che le due sostanze (quella acida e quella grassa) non si separino. Ora, è vero che potreste farvi la marinata in casa, ma come sempre lo Zio ha pensato proprio a tutto, ed è per questo che da qualche mese sono disponibili sul nostro Megastore le nuove marinate di BBQ4All. Noi, per questa ricetta, abbiamo ovviamente utilizzato quella adatta ai volatili, la Fowl In Love: acida al punto giusto, dolce al punto giusto, con la sua struttura a base di senape. Il secondo segreto per avere cosce di pollo perfette è quello di disidratare lentamente la pelle, per far sì che quell’ammasso molliccio si trasformi in una crosticina profumata e croccante. L’umidità è la vostra peggior nemica se volete raggiungere il risultato sperato, per questo motivo disidratare superficialmente le tue cosce di pollo, con una cottura a temperatura media e per un tempo abbastanza lungo, vi garantirà un risultato eccezionale.
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Essendo Estate, abbiamo deciso di rimanere sul semplice con una ricetta abbastanza veloce, perché nessuno ha voglia, in questa stagione, di perdere ore e ore a cucinare: dato che è un reato servire le cosce di pollo senza un contorno, abbiamo spolverato la nostra Wok Weber e ci abbiamo cotto le verdure saltandole velocemente con la salsa di soia e uno dei nostri rub per dare un po’ di piccantezza.
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Et voilà, il pranzo è servito.
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Ingredienti per 4 persone: 4 quarti posteriori del pollo / 6 cucchiaini di Ultimate SPOG della linea Sal’s Seasoning / due bicchieri di Fowl in love diluita in un bicchiere d’acqua / tre zucchine / una melanzana / due peperoni / due cipollotti / due cucchiai di salsa di soia / olio extravergine di Oliva Sicilia GLC Top Selection q.b. / sale (se serve) / pepe a piacere / un cucchiaino di Ancho Habanero Chili Mex della linea Sal’s seasoning.
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PREPARAZIONE 1. Immergete i quarti di pollo nella marinata che avete diluito con acqua (o altro liquido non grasso) e poi trasferite tutto in frigorifero per almeno 4 ore.
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2.
Predisponete il vostro dispositivo per una cottura indiretta a circa 150°C; togliete le cosce dalla marinata, asciugatele bene con la carta assorbente, poi cospargete lo spog sulla pelle e sotto la pelle. Ponete le cosce in cottura “pelle in su” e chiudete il coperchio; In questa fare potete anche affumicare con chips di legno nell’essenza che preferite. Dovete aspettare che la pelle si disidrati.
3.
Nel frattempo, su un altro dispositivo o sul fornello di casa, riscaldate la wok per bene, tagliate tutte le verdure grossolanamente e saltatele nel wok con un filo d’olio, il pepe, il rub e la salsa di soia. Assaggiate e aggiustate di sale, se serve. Quando le verdure saranno pronte, spegnete il fuoco: non importa che le teniate in caldo, sono buone anche a temperatura ambiente.
4.
Quando vedrete che la pelle delle cosce sarà disidratata, spennellatele con olio extravergine di oliva e alzate la temperatura del dispositivo a 200°C per pochi minuti. Fate attenzione o si brucerà tutto!
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Una volta pronte (la pelle dovrà essere croccante e saporita) servitele con le verdure saltate.
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CRUMBLE DI MELE SUL BBQ È MEGLIO! Il crumble di mele è un classico dolce inglese le cui origini vengono fatte risalire alla seconda Guerra Mondiale, periodo nel quale, a causa della scarsità e del razionamento dei viveri, si è avuta ampia diffusione di questa ricetta priva di uova e latte. È una preparazione che si presta molto bene a essere cucinata in una skillet di ghisa nel barbecue. Non necessita di lunghi tempi di cottura o di temperature elevate, potete assemblarla in anticipo e metterla in cottura durante il pasto utilizzando, magari, il carbone avanzato dalla cottura delle pietanze principali. In Italia non siamo abituati alla cottura di dolci nel barbecue e l’effetto WOW sugli ospiti nel momento in cui la tirerete fuori e la servirete a tavola è garantito! La ricetta presentata è una base che utilizza l’ingrediente principale classico: mele condite con la cannella. Vuole essere il primo passo di un percorso che vi invitiamo a seguire mettendoci del vostro, è personalizzabile e facilmente modificabile per avvicinarla ai vostri gusti, abbinandola al meglio con le altre portate del pasto. Potete ampliarla, ad esempio, aggiungendo pinoli e uvetta o frutti di bosco alla farcitura di mele. Può anche essere farcita con frutti diversi: possibili variazioni possono essere con l’ananas al posto delle mele se volete darle un gusto esotico e una nota più acida dopo un pasto ricco di grassi; o la banana, se volete qualcosa di più corposo. La cannella si sposerà alla perfezione con entrambi i frutti appena citati. Frutti estivi come pere, pesche e albicocche possono essere abbinati invece con l’amaretto. Una volta consolidata la ricetta base, le variazioni applicabili sono tantissime.
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Per giocare sul contrasto caldo/freddo si abbinerà al crumble una crema. La tradizione inglese prevede l’uso di una crema pasticciera chiamata “Custard” da versarsi sul crumble; in questa versione è presentata una versione più leggera, perché priva di farina, che ben si presta al periodo estivo. Anche per la crema è valido l’invito a sperimentare e a declinare secondo i vostri gusti e le portate del vostro pasto: potete sostituirla con della panna, con del gelato o - perché no - con uno zabaione o con una crema aromatizzata con altri liquori.
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Gli ingredienti che seguono sono giusti per una skillet di ghisa da 26 cm; sono indicate le percentuali sul peso delle mele per permettervi di calcolare con facilità le dosi nel caso il vostro contenitore fosse di dimensioni diverse. La ricetta dell’impasto si ispira a quella classica inglese ma è stata modificata prendendo spunto dalla celebre ricetta della frolla del maestro Iginio Massari: parte dello zucchero è stata sostituita con del miele di acacia. Questa scelta, oltre che dare una maggiore complessità aromatica all’impasto, vi aggiunge zuccheri riducenti utili per la eazione di Maillard e quindi una migliore doratura dell’impasto.
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Ingredienti per 6 persone:
Per la farcitura: 800 g di mele / succo e scorza di un limone non trattato / 80 g di zucchero di canna (10% sul peso delle mele) / 40 g di burro fuso (5% sul peso delle mele) / un cucchiaio abbondante di cannella in polvere. Per l'impasto: 200 g di farina / 80 g di zucchero di canna (40% del peso della farina) / 20 g di miele di acacia (10% del peso della farina) / 120 g di burro (60% del peso della farina) / un pizzico di sale / una bustina di estratto di vaniglia o la scorza di un limone. Per la crema: 500 ml di latte parzialmente scremato freddo / due rossi d'uovo / 4 cucchiai di maizena / 70 g di zucchero / un cucchiaino di aroma di vaniglia PREPARAZIONE 1.
Cominciate dall’impasto: scaldate il burro fino a renderlo morbido, unite zucchero, miele, sale, l'estratto della bacca di vaniglia e amalgamate il tutto.
2.
Aggiungete la farina setacciata e impastate. Fermatevi non appena il burro la avrà assorbita tutta e l’impasto risulterà omogeneo. Non dilungatevi nell’impastamento, non c’è bisogno di formare la maglia glutinica.
3.
Avvolgete l’impasto nella pellicola e lasciatelo in frigo per almeno un paio d’ore, nel frattempo potete dedicarvi alla preparazione della crema.
4.
Amalgamate a freddo gli ingredienti, sciogliete tutti i grumi della maizena prima di porla sul fuoco, fateli scaldare a fiamma bassa girando con una frusta fino ad ottenere una crema non troppo densa, fate raffreddare e riponete in frigo all’interno di una brocca con beccuccio.
5.
Una volta dato l’adeguato riposo all’impasto potrete dedicarvi alla farcitura: sbucciate e affettate le mele e mettetele in una grossa boule di acciaio.
6.
Unite e amalgamate tra loro lo zucchero e la cannella, distribuiteli uniformemente sulle mele, poi girate il tutto aiutandovi con una spatola o fate “saltare” le mele nella bull.
7.
Aggiungete il burro fuso.
8.
Passate la farcitura nella skillet di ghisa che avrete precedentemente unto di burro.
9.
Sbriciolate l’impasto sopra la farcitura, fate in modo di coprire il tutto con uno strato di pezzettoni di dimensione e spessore eguali. A questo punto potete coprire la vostra skillet con della pellicola e riporla in frigo fino al momento della cottura.
10. Predisponete il vostro barbecue per una cottura indiretta ad almeno 140°C. 11. Fate i primi minuti di cottura in diretta per dare una bella spinta alla farcitura.
13. Portate in tavola direttamente dentro la skillet e servite le varie porzioni di crumble coprendole con la crema fredda.
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12. Quando vedete che la farcitura comincia a caramellarsi spostate la skillet in cottura indiretta e lasciatela andare finché la superfice non è diventata ben dorata.
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CALDO, NON TI TEMO!
HAMBURGER
GUANCIALE, CREMA DI PECORINO E FETTINE DI MELA
Diciamoci la verità: non importa che sia estate, che ci siano 40°C all’ombra e che si sudi solo respirando, mentre siamo tartassati dai servizi dei telegiornali che ci ricordano di non uscire nelle ore più calde e di bere tanta acqua. Quando qualcuno ci propone una bella cena a base di hamburger, però, non possiamo tirarci indietro. Dunque, ci siamo sacrificati per voi e, sfidando le temperature roventi di un maggio super caldo (sì, mentre state leggendo è ormai estate inoltrata, ma quando abbiamo fatto lo shooting era appunto la fine di maggio), abbiamo deciso di presentarvi un’ennesima versione dell’hamburger. Partiamo dal patty: abbiamo scelto i nostri burger di Chianina e li abbiamo bardati con il guanciale. Occhio, con il guanciale, non con la pancetta: come ben sapete fra le due preparazioni ci sono sostanziali differenze. La pancetta è ricavata dalla pancia del suino, che poi viene salata, speziata e stagionata (arrotolata o steccata) per un periodo di tempo che va dai 50 ai 120 giorni. Il guanciale, come si intuisce dalla parola stessa, si ricava dalla guancia e dalla gola dell’animale: viene poi salato e condito con sapori simili a quelli della pancetta, e viene lasciato stagionare per circa due mesi. I due risultati sono abbastanza diversi: se la pancetta ha un sapore più morbido e più grasso, il guanciale è senza dubbio più equilibrato. Entrambi i salumi hanno la versione affumicata. Insomma, per tornare ai nostri burger, dopo aver bardato i patty con il guanciale, li abbiamo cotti e poi serviti nel panino insieme a delle fettine di mela e a una crema di pecorino. Probabilmente vi starete chiedendo come si cuoce un hamburger bardato: cottura diretta oppure cottura indiretta? Direttamente sulla griglia, aiutandovi con una piastra? In realtà la risposta è: tutti i metodi vanno bene, bisogna solo usare un po’ di accortezza.
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Potete tranquillamente cuocerlo in indiretta a circa 150°C-160°C, aspettando che l’interno abbia raggiunto i 50°C e poi spostarlo in diretta in modo che il guanciale fuori diventi croccante e all’interno il patty rimanga rosato. Oppure potete usare una piastra, in indiretta a fuoco moderato, facendo cuocere il vostro burger lentamente, in modo che si cuocia all’interno senza che il guanciale esterno si bruci. Solo in un secondo momento potete alzare un po’ la potenza del fuoco per far croccantizzare il guanciale. In entrambi i casi, il termometro sarà il vostro alleato per tenere monitorata la temperatura al cuore del vostro patty che, ricordiamolo, non deve superare i 60°C per rimanere ancora abbastanza succoso, sebbene completamente cotto. Fermatevi qualche grado prima se vi piace rosato all’interno, tenendo sempre conto del carry over, ovvero di quel fenomeno per cui la carne continua a cuocere per qualche minuto anche dopo essere stata tolta dal fuoco.
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Vediamo dunque la ricetta passo per passo.
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Ingredienti per 4 persone
4 burger di Chianina del nostro Megastore / 4 bun per hamburger / 200 g di guanciale affettato spesso / una mela / un limone / insalata mista q.b. per la crema di Pecorino: 150 g di pecorino romano grattugiato / 25 g di burro / 25 g di farina / 250 ml di latte / pepe a piacere. PREPARAZIONE 1. Stendete il guanciale a raggiera e bardate i burger richiudendolo bene sopra questi ultimi. Non importa che lo fermiate con uno stecchino. I burger sono piatti, per cui il guanciale non si staccherà. Affettate la mela sottilmente senza sbucciarla e mettetela a bagno in acqua acidulata col succo di limone.
3.
Preparate la crema di Pecorino: in un pentolino, scaldate il burro e poi formate un roux con la farina, esattamente come fate quando preparate la besciamella. Aggiungete a questo punto il latte a filo e mescolate bene con la frusta, in modo che non si formino grumi. Continuate la cottura per qualche minuto, poi aggiungete il Pecorino. Fate restringere la salsa, aggiungete il pepe a piacere e tenetela da parte.
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Cuocete i vostri burger bardati nel modo in cui preferite (abbiamo descritto i due metodi nell’introduzione): noi abbiamo scelto una piastra appoggiata sulla griglia del nostro Weber a carbone. Tenete sempre una piccola scorta di bricchette accese, in modo che, una volta raggiunto il grado di cottura desiderato del patty, possiate aumentare un po’ la temperatura, se c’è bisogno, per far croccantizzare il guanciale.
5.
Aprite i bun in due e fateli tostare un po’, poi procedete così per montare ogni panino: una generosa dose di crema di pecorino, insalata, il burger bardato, ancora crema di pecorino e le fettine di mela. Non vi resta che addentare il vostro hamburger e gustarvelo all’ombra, con una bella birra ghiacciata vicino!
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Le farfalle nello stomaco? Sì, con
PEPPERONI & PEPERONI IN EMBER ROASTING
Estate: è tempo delle insalate di pasta. E su questo non si discute. L’insalata di pasta ha indubbiamente molti lati positivi: si può preparare con largo anticipo, si può portare comodamente in spiaggia (ed è sempre meglio della parmigiana con le fettine panate), si può condire in tutti i modi, anche con ingredienti crudi, è nutriente e golosa. Ci sono però delle regole auree da rispettare per servire un’insalata di pasta perfetta. Non seguirle, significa andare incontro a un sicuro insuccesso. Innanzitutto, bisogna scegliere il formato di pasta che meglio si adatta. Tendenzialmente, anche se qualche chef più audace ha provato (e con risultati anche eccellenti) a servire pasta fredda lunga, per le insalate di pasta si tende a scegliere sempre un formato corto. Questo perché la gestione di tutto il piatto e il risultato finale sono più veloci e pratici. Una delle paure più grosse che si può avere quando si affronta questo tipo di preparazione è quella di trovarsi nel piatto la pasta scotta. Oppure, al contrario, mezza cruda. In entrambi i casi significa che si è sbagliato in modo grossolano, perché non si è tenuto conto dei tempi di cottura. La pasta va lasciata un po’ al dente, questo è certo, ma non è necessario toglierla mezza cruda per paura che continui a cuocersi. Se raffreddata nel modo corretto, non ci ritroveremo nel piatto un ammasso colloso e dalla consistenza disgustosa. Veniamo dunque al grande dubbio: la pasta va raffreddata sotto l’acqua corrente? Teniamo subito a precisare che, se lo fate per una questione di indice glicemico, raffreddare la pasta sotto acqua corrente può aiutare, ma per ridurlo sensibilmente dovreste innescare il processo di retrogradazione degli amidi, quindi raffreddarla fino a una temperatura di circa 4°C per un tempo abbastanza lungo, e poi riscaldarla di nuovo. Se vi limitate a togliere via solo l’amido in superficie, il beneficio sarà davvero irrisorio. Se invece lo fate per fermare la cottura, beh... ci sono metodi più efficaci che evitano di lavare via l’amido, che poi risulta tanto prezioso invece per “legare meglio” il condimento. Per esempio, potreste disporre la pasta su una teglia ampia e poi raffreddarla velocemente soffiandoci sopra (avete presente il ventilatore? Il nostro coach Virgilio Brunetti suggerisce questo metodo casalingo ma di sicura efficacia).
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Per quanto riguarda il condimento... che dire? La pasta fredda si presta a infinite varianti. Noi per esempio abbiamo voluto donarle una nota affumicata utilizzando i peperoni cotti a contatto diretto con le braci e una nota piccante utilizzando i nostro salame piccante, quello buonino buonino che trovate sul Megastore. Abbiamo poi concluso coi pomodorini, leggermente scaldati in padella. Ma se vi sentite audaci, provate con la Drogarossa, i mitici pomodorini arrostiti dello Zio (trovate la ricetta in diversi numeri passati del BBQ4All Magazine e anche nella nostra Masterclass!).
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Quindi, dai, mettete l’acqua sul fuoco e accendete i carboni. Si parte!
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Ingredienti per4 persone: 500 g di di
pasta formato farfalle, integrali / tre peperoni / 200 g di pomodorini ciliegino / 200 g di salame piccante del nostro Megastore / olio extravergine di oliva Sicilia GLC Top Selection / sale e pepe q.b. / due limoni / prezzemolo a piacere PREPARAZIONE 1. Lessate le farfalle e tenetele al dente, poi scolatele, disponetele su una teglia larga e raffreddatele velocemente aiutandovi con un ventilatore. Oppure potete condirle leggermente con un po’ d’olio per evitare che si attacchino e metterle in un recipiente a contatto con il ghiaccio. 2.
Accendete una ciminiera di bricchette e poi disponetele sulla griglia. Appoggiate i peperoni a contatto diretto con le braci e lasciate che si anneriscano su tutti i lati. Toglieteli dalle braci, spellateli, tagliateli a filetti e conditeli con sale, olio, succo di limone e pepe. Teneteli da parte.
3.
In una padella fate saltare il salame tagliato a listarelle o a dadini. Poi tenetelo da parte.
4.
In un’altra padella, scaldate leggermente i pomodorini, in modo che rilascino un po’ di sughetto, poi spegnete il fuoco e aggiungete il sale.
5.
In un recipiente capiente, aggiungete tutti gli ingredienti alla pasta, mescolate velocemente, aggiustate eventualmente di sale, infine terminate il tutto con un po’ di succo di limone, una macinata di pepe e una manciata di prezzemolo tritato.
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NY STRIP
& CAPONATINA FREDDA
questo matrimonio s’ha da fare!
Quello che da noi viene comunemente chiamato controfiletto, Oltreoceano prende il nome di NY Strip. Si tratta di un taglio ricavato dalla lombata che porta il nome della famosa città americana; negli USA è conosciuto anche come Strip Steak e Delmonico Steak, in onore del famoso ristorante di New York, il “ Delmonico’s” che, per primo durante la metà del XIX secolo, iniziò ad offrire questa bistecca (un controfiletto disossato) ai clienti della zona. Il taglio venne ricavato dividendo la parte del controfiletto dal filetto della Porterhouse, al tempo la bistecca di manzo più in voga e servita, molto apprezzata ad esempio da Charles Dickens nei suoi numerosi viaggi da cronista in America. Bistecca tenera e succosa con un leggero quantitativo di grasso, risulta perfetta per la griglia. Per questa ricetta fresca ed estiva useremo l’ottima NY Strip della Farm Blue Ox Black Angus, dal gusto dolce e rotondo; ma sul Megastore BBQ4All che vi invito a visitare potrete sempre trovare una formidabile selezione di numerosi tagli di manzo definiti NY provenienti dalle più prestigiose farm Usa, australiane, spagnole, irlandesi, argentine e giapponesi . Ci avvarremo del dispositivo esterno a carbone o a gas con piastra Gourmet BBQ System Weber, un accessorio perfetto per cuocere all’aperto in velocità sia la carne che le verdure. Ah sì, le verdure: accompagneremo infatti questa stupenda bistecca con una caponatina fredda. Vi stupirete: ma come, fredda? Vi diciamo: provare per credere. Lo sapete che la temperatura del cibo influisce moltissimo su come percepiamo il suo sapore? Ebbene, un cibo caldo ha per noi un sapore tendenzialmente più “ovattato”, perché tutta la nostra attenzione in quel momento si concentra sul pericolo di scottarsi la lingua; al contrario, un cibo consumato a temperatura ambiente o freddo ci consente spesso di assaporare meglio tutti i gusti che lo compongono, perché i nostri sensi non sono più impegnati a difendere il nostro corpo dal calore percepito e potenzialmente pericoloso.
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Per questo motivo la caponatina fredda sarà un condimento ideale per la NY: non potrete più farne a meno!
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Ingredienti per4 persone: 2 NY Strip Usa - Blue Ox Prime / 1 melanzana lunga / 2 cipollotti / 300 g di pomodori tipo Pachino / una costa di sedano / una dozzina olive nere / 100 g di uvetta sultanina / una manciata di capperi dissalati di Pantelleria / un cucchiaio di zucchero di canna / 50 ml di aceto di mele / sale e pepe Tellicherry macinato al momento q.b. /olio extravergine d’oliva Sicilia Riserva GLC Top Selection q.b.
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PREPARAZIONE 1. Tagliate a tocchetti la melanzana ricavando dei cubetti regolari (usarne una del tipo lungo vi aiuterà). Tagliate a rondelle il cipollotto (usando anche parte del gambo), i pomodori Pachino in spicchi da quattro (ricavando dei filetti ) ed infine il sedano a rondelle.
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2.
Stabilizzate il dispositivo per una cottura diretta. Versate sulla piastra un buon giro d'olio e dopo averlo lasciato riscaldare tuffate i tocchetti di melanzana rigirando spesso per rosolare bene, salate e pepate e tenete da parte . Aggiungete altro olio e rosolate i cipollotti , poi aggiungete i pomodorini, il sedano , le olive, i capperi , lo zucchero di canna e l’aceto di mele. Lasciate insaporire per alcuni minuti mescolando e aggiungete le melanzane tenute da parte. Una volta pronta, la caponatina si mette in frigo a raffreddare e maturare.
3.
Pulite con panno carta la piastra e aggiungete del carbone nel dispositivo o aumentate la temperatura nel dispositivo a gas.
4.
Togliete la NY Strip dalla Skin tamponando con carta e asciugandola bene. Ma proprio bene bene
5.
Appena la piastra avrà preso calore, dopo aver spennellato la carne con un velo d’olio, mettete in cottura la bistecca. Lasciate fino a che non si staccherà da sola e ripetete con l’altro lato. La reazione di Maillard dovrebbe risultare in tempo brevissimo ed il consiglio è comunque di non spingersi mai oltre il medium rare.
6.
Togliete dal dispositivo e lasciate riposare per alcuni minuti coperta da un semplice foglio di alluminio appoggiato sopra.
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Scaloppate la bistecca con taglio controfibra mettendo le fettine sul piatto con una generosa dose di caponatina sopra.
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Ne ho facoltà – a cura di Chiara Lo Cascio
PANE NAAN PULLED PORK E YOGURT GRECO ALLA MENTA questo sì che è uno scambio culturale!
L’estate è ufficialmente arrivata. All’alba dei quaranta gradi all’ombra sin dalle prime ore del mattino, qui in Sicilia – sono rientrata in famiglia come ogni studentessa che si rispetti per passare le vacanze coi miei - le persone hanno comunque deciso all’unanimità di non sottomettersi solo alla sovranità delle insalatone e delle paste fredde. Sì, perché è ben da notarsi che la curva della fame siciliana è inversamente proporzionale a quella del resto del mondo: se nel mondo “si resta leggeri” e si mangia meno, qui il commercio della rosticceria cresce esponenzialmente. Si mangia più di gusto e più volentieri: sempre in compagnia e molto spesso fuori casa, oppure ordinando qualcosa di già pronto. Ognuno però ha la propria copertina di Linus, quel comfort food che sa di estate e a cui non può rinunciare in nessun caso. Quel cibo che in casa non manca mai. Il mio “mai più senza” è lo yogurt greco: dà leggerezza e freschezza, è versatile, lo si può mettere un po’ su tutto. Lo condisco con aromi e spezie differenti, a seconda del piatto a cui lo abbino. Nei pranzi zerosbatti utilizzo tantissimo il pulled pork, che per me è un cibo super confortevole. Volevo trovare un compromesso per utilizzarlo nonostante le alte temperature, senza restare vincolata al classico panino. Nei vari social si vedono tantissime ricette veloci o alternative per fare in casa la pita, un pane leggermente lievitato che si usa in Grecia come accompagnamento alle pietanze. È concettualmente molto simile al Naan, il pane indiano condito con aglio o formaggio che si usa per raccogliere i condimenti dei piatti principali, in particolare per le ricette con un intingolo cremoso, come il curry. Mi ha stregata quando l’ho mangiato al ristorante indiano che ho provato a Covent Garden, a Londra. In quel caso era accompagnato da una salsa di yogurt greco con zenzero e menta ed altri condimenti come lenticchie, patate, curry e chutney. 2 + 2 = BOMBA ATOMICA BBQ4All Magazine
Un cibo confortante, fresco, che ricorda lo street food: un po’ americano, un po’ indiano, un po’ greco. Un po’ tutto. Vi svelo la ricetta!
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Ingredienti per 4 persone: 2 bustine di Pulled pork già pullato del Megastore Per il pane naan: 560 g farina 00 / 160 g yogurt greco / 14 g lievito / 240 ml di acqua calda / 2 cucchiaini di sale / 2 cucchiaini di zucchero Per la salsa d’aglio: 2 teste d’aglio / olio / acqua /tabasco / sriracha / limone / sale / menta Per lo yogurt: un vasetto di yogurt greco / uno spicchio d’aglio / menta / sale / olio / pepe / zenzero / scorza di limone PREPARAZIONE 1. Sciogliete nell’acqua il lievito. Preparate le polveri: farina, sale e zucchero. Versate lo yogurt, mescolate ed unite l’acqua poco alla volta, continuando a mescolare finché il composto non diventa omogeneo. Attendete 10 minuti per fare un giro di pieghe per rinforzare l’impasto. Lasciate lievitare per almeno 2 ore. 2.
Nel frattempo, si può preparare lo yogurt: schiacciate uno spicchio d’aglio e tritatelo finemente. Grattugiate lo zenzero e il limone, aggiustando le dosi a piacimento. Tritate quindi la menta per poi unire tutti gli ingredienti in una ciotola. Condite con olio, sale e pepe per poi conservare in frigo.
3.
Si può procedere quindi con la salsa d’aglio: prendete due teste d’aglio e ponetelo direttamente in microonde, senza sbucciarle, per 5 minuti. A questo punto sarà praticamente tostato. Recuperate tutti gli spicchi per poi schiacciarli e tritarli finemente. Ponete il trito in una ciotola coprendolo di olio ed unendo l’acqua in egual dose: portate sul fuoco e toglietelo poco prima del bollore. Inseritelo in un contenitore alto dove si potrà emulsionare il composto con il frullatore ad immersione. Aggiungete limone, tabasco, sriracha e sale finché il sapore non verrà regolato a proprio gusto.
4.
Ottenuta la salsa, che avrà quindi una componente dolce data dalla sriracha, una piccante data dal tabasco, una salata, una amara data dall’aglio tostato ed una acidula del limone, si potrà aggiungere infine la menta. Questo composto andrà poi spennellato sul pane naan.
5.
Terminata la lievitazione del composto andrà porzionato in palline dal diametro di circa 4 cm. Vanno stese col mattarello ottenendo uno spessore di massimo 2 mm: deve essere molto sottile perché in assenza del tandoor andranno cotte in padella, e se troppo spesse rischieranno di restare crude all’interno.
6.
Oliate una padella e attendete che diventi rovente: ponete quindi il disco di pasta ed attendete che si formino al di sopra delle bolle. A quel punto dovete girare il disco. Ripetete più volte quest’operazione finché l’esterno non sarà completamente dorato. Procedete con tutte le altre porzioni e spennellare infine con la salsa d’aglio.
7.
Ponete il pulled pork ancora in busta in un pentolino con dell’acqua, sul fuoco: attendete che raggounga il bollore e che si rigeneri completamente. Una volta scaldato e quindi pronto per il consumo porre i singoli ingredienti nelle loro ciotole.
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Il mio consiglio è di raccogliere gli ingredienti direttamente col pane senza l’uso delle posate. Oppure potete farcire il pane e chiuderlo in quattro parti per addentarlo meglio!
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Una padella, cento sapori
PICANHA CON BATATE
Diteci la verità, anche voi sei fra quelle persone che in cucina sono brave brave in modo assurdo ma che hanno quell’innata capacità di sporcare una quantità di pentole, padelle ed accessori tale da far impallidire la cucina una corte reale rinascimentale, durante un banchetto ufficiale, semplicemente preparando una minestrina in brodo? Se fate parte di quella schiera, con questa ricetta, vi offriamo la possibilità di redimervi e lasciare di stucco i vostri commensali sporcando solo una padella e qualche accessorio. Negli Stati Uniti lo chiamano One Pan Method ma in italiano lo potremmo tradurre come “sono le otto di sera, sono appena tornato a casa e mi sono dimenticato di fare la spesa, inoltre non ho voglia di cucinare e non ho dimenticato di far partire la lavastoviglie. Fortuna che in forno ho la padella in ghisa lasciata ad asciugare dall’ultima grigliata così adesso apro il frigo e vedo che esce fuori”… più o meno.
Il metodo consiste nel preparare una portata completa utilizzando una sola padella (che viene anche chiamata skillet), solitamente in ghisa, in ferro o comunque adatta ad una cottura ibrida brace/forno. Può sembrare una tecnica di ripiego ma in realtà, se usata per preparazioni degne di questo Magazine, è più impegnativa di quanto sembri. Infatti, oltre ad avere già chiaro cosa volete mettere nel piatto, dovrete tenere conto dei diversi tempi di cottura degli ingredienti, della loro temperatura al momento di metterli in padella, delle spezie che utilizzate ma anche le quantità finali per evitare di utilizzare una padella troppo piccola e ritrovarvi nella spiacevole situazione di dover recuperare i vari ingredienti dalle braci.
Nel nostri caso abbiamo scelto fare buon uso di una Tapa de Cuadril di Vaca Vieja Gallega, naturalmente GLC Top Selection; parliamo di un codone di manzo, meglio conosciuto come picanha, già porzionato in bistecche stramarezzate, strasaporite, stracomode e strapronte per finire dritte dritte in un bagnetto di Red Flesh Crash Marinade. E per contorno, patatas? No, a questo giro scegliamo le Batatas! La batata o patata americana è una radice tuberificata di una piata erbacea perenne chiamata ipomea batatas. Nonostante il nome quindi è molto più simile allo zenzero o alla barbabietola che alla classica patata, ha delle ottime proprietà nutrizionali, un basso indice glicemico e può essere mangiata anche cruda (e con la buccia). In base alla quantità di betacarotene il suo colore può variare dal bianco al giallo-arancio fino ad arrivare al rosso e viola. In cucina è estremamente versatile, la sua particolarità è il sapore dolciastro che, a seconda della tipologia, può ricordare la castagna o la zucca, per questo viene molto utilizzata, oltreoceano, per la preparazione di dolci. Uno di questi è la sweet potatoes pie, preparata in occasione della festa del Ringraziamento si presta particolarmente per una cottura, guarda caso, in skillet nel barbecue. Tornando al nostro contorno, cercheremo di dargli forza, sostanza ed una decisa spinta agrodolce, che tanto bene si sposa con la il grasso dolce e profumato della Vaca vieja, utilizzando fagioli neri, sciroppo d’acero, lime ed il solito bosco di prezzemolo.
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Certo, potete comunque utilizzarla per una cena veloce ma non dovete mai dimenticare che gli ingredienti vanno sempre rispettati, che mangiare male è una scelta e che avete
a disposizione sempre un Coach che può risolvervi la serata; quindi, va bene aprire gli armadietti con aria confusa sbuffando come una caffettiera ma una volta presa la decisione dovete sempre usare la testa.
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Ingredienti per 4 persone
500 g di Picanha GLC Top Selection / olio extravergine d'oliva oppure sego di Wagyū q.b. / Red Flesh Crash marinade / birra Pilsner / 1 cipolla dorata / 500 g di patate dolci / prezzemolo q.b./ 400g di fagioli neri già lessati / 2-4 peperincini Jalapeño (la quantità può variare in base alla sensibilità al piccante) / 50ml di sciroppo d’acero / 1-2 lime / sale Q.B. / Ultimate SPOG q.b.
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PREPARAZIONE 1. Preparate la marinata con birra, Red Flesh Crash Marinade in parti uguali ed un pizzico di sale. 2. Tagliate la picanha a fette spesse circa 3 centimetri seguendo il lato delle fibre, mettetela in un recipiente, aggiungete la marinata e lasciate riposare coperta in luogo fresco per circa un’oretta o due. 3. Preparate il dispositivo per una cottura diretta a due zone e mettete la padella a scaldare nella zona ad alta temperatura. 4. Nel frattempo preparate verdure e spezie. 5. Tagliate le patate dolci grossolanamente, conditele con olio di oliva, Ultimate SPOG e lasciatele un attimo da parte. 6. Tritate il prezzemolo (compresi i gambi) e la cipolla, e tagliate peperoncini jalapeño a rondelle. 7. Prendete le bistecche, eliminate la marinata in eccesso, asciugate bene ungete entrambi i lati con olio di semi. 8. Procedete con una cottura flip&brush nella padella fino ad arrivare ad una temperatura di 50°C-52°C al cuore prima di mettere in rest. 9. Spostate la padella in zona di sicurezza per abbassarne leggermente la temperatura e, nel caso ce ne fosse bisogno, aggiungete olio o, per una botta di gusto da calcio sui denti, del sego di Wagyu GLC Top Selection. 10. Versate le cipolle ed inziate a caramellarle sfumando con un po’ della stessa birra utilizzata per la marinata. 11. Quando saranno appassite aggiungete le patate dolci e spadellate fino a quando non inizieranno diventare soffici ed a mostrare segni di Maillard (ci vorranno 8-10 minuti). 12. Aggiungete i fagioli neri lessati, lo sciroppo d’acero, metà del prezzemolo e quasi tutti i peperoncini jalapeño tagliati a rondelle portando il tutto a cottura (altri 5 minuti al massimo). 13. Tagliate le bistecche a fette facendo attenzione a tagliarle controfibra, posizionatele sul contorno e fatele rinvenire non più di un minuto in indiretta a coperchio chiuso buttando una manciatina di chips da affumicatura sulle braci. 14. Al momento di servire spremete un lime direttamente in pentola ed aggiungete il resto del prezzemolo e dei peperoncini.
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PORK KAKUNI
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Che pancia!
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Lo sappiamo a cosa state pensando: pancia di maiale brasata a Luglio? Eh beh... ci sono preparazioni che non hanno stagionalità e sfidano meteo e pregiudizi come gli anolini in brodo tipici del ferragosto piacentino o l’immancabile parmigiana di melanzane da spiaggia qualche parallelo più a sud: non importa la temperatura percepita, il kakuni ci sta sempre! A questo dobbaimo aggiungere un fattore romantico, infatti il Buta no kakuni o Pork kakuni (non è un’imprecazione) per i meno giappofonici è la preparazione che per molti ha segnato la definitiva svolta ad oriente del loro percorso gastronomico-culinario. Questo, grazie soprattutto alla sua consistenza: la carne deve essere talmente tenera da rendere quasi impossibile afferrarla con le bacchette, quasi gelatinosa ma incredibilmente gustoso e mai stucchevole, nonostante la presenza del grasso, grazie anche ai condimenti che conferiscono la necessaria croccantezza, oltre a una nota balsamica ed umami ad ogni boccone.
Gli ingredienti etnici che non possono
In realtà, le uniche cose che hanno in comune sake e mirin sono il riso e il lievito utilizzato come starter, il koji, la fermentazione che si sviluppa successivamente crea sapori ed aromaticità uniche ed estremamente differenti tra loro. Seguendo quindi i consigli reperiti sul web, riguardo alla sua sostituzione con vari intrugli più o meno alcolici, non solo ci allontaniamo dal sapore più tradizionale ma ne alteriamo anche l’equilibrio che nella cucina orientale è fondamentale. Il fulcro della ricetta è rappresentato dalla pancia di maiale che dovrà avere un buon equilibrio tra parte grassa e magra e un sapore abbastanza intenso visto che andremo ad utilizzare ingredienti molto saporiti. Fortunatamente, sul Megastore, è sempre presente la pork belly Duroc Greedy’s Hog che non solo è estremamente equilibrata e con un sapore esplosivo ma è anche, cosa che non guasta, delle dimensioni perfette per 4-6 persone. Ultima considerazione per il dispositivo Con questo tipo di cotture ibride è estremamente comodo disporre di un sistema che permetta facilmente il cambio di setup tra la fase di affumicatura e quella di finitura; il sistema GBSTM in questo caso ci dà una grandissima mano.
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Piccola premessa. Nella cucina giapponese, ma potremmo dire lo stesso di tutte quelle del mondo, esistono alcuni sapori che, per essere riprodotti, necessitano di ingredienti precisi e, almeno qui in Italia, di non immediato reperimento; inoltre, come già accennato prima, le consistenze ricercate in oriente differiscono non poco rispetto a quelle a cui siamo abituati. Per questo cercheremo di trovare un compromesso che permetta a chiunque abbia accesso ad un supermercato, mediamente fornito, di completare questa ricetta mantenendo lo stile giapponese ma aggiungendo una nota in puro stile Barbecue.
mancare, oltre alla salsa di soia, sono il sake (quello classico da bere) e la sua versione dolce mirin, entrambi facilmente reperibili nell’espositore dedicato al cibo etnico. Nel malaugurato caso non troviate il mirin, o un suo surrogato analcolico, evitate di cercare alternative online: piuttosto aggiungete altro brodo. Infatti la definizione di “sake da cucina dolce” ha contribuito a diffondere l’idea (sbagliata) che, per sostituirlo, basti aggiungere zucchero o utilizzare un vino aromatico dolce.
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Ingredienti per 4 persone: Pork belly Duroc Greedy’s Hog del Megastore da 1kg circa / Black Diamond Marinade della Meat Booster Series / 2 tazze e mezzo di Brodo di pollo / 3-4 cm di zenzero / 1 porro medio-piccolo (anche il verde) / 4 cucchiai di sake / 3 cucchiai di mirin / 4 cucchiai di zucchero / 4 cucchiai salsa di soia / honey mustard a piacere / sale e pepe q.b. / peperoncino a piacere / 4 uova sode dal cuore morbido (cottura 6-7 min.) lasciate a marinare in salsa di soia almeno un paio d’ore. PREPARAZIONE 1. Iniziate col tagliare la pancetta in cubotti di circa 5 cm per lato. 2.
Preparate una marinata molto semplice mescolando due cucchiai di Black Diamond Marinade, due cucchiai di brodo o acqua non clorata, un cucchiaio di vino bianco, metà dello zenzero tagliato a fette ed un pizzico di sale.
3.
Massaggiate la Pork belly con la marinatura, mettete tutto in un recipiente o in un sacchetto sottovuoto, e lasciate riposare in frigo per qualche ora.
4.
Preparate il dispositivo per una cottura indiretta a temperatura medio-bassa.
5.
Prendete la carne, eliminate la marinata in eccesso e cospargete e mettete in cottura affumicando con un blend di chips per maiale.
6.
Nel frattempo eliminante le radici del porro, dividete la parte verde da quella bianca e tagliate quest’ultima in “tronchetti” di circa 10 cm.
7.
Incideteli per tutta la lunghezza “srotolando” gli strati in modo da appiattirli.
8.
Tagliateli a strisce sottilissime e metteteli a bagno in acqua fredda per almeno 10 minuti.
9.
Una volta scolati ed asciugati potrete riporli in frigo in contenitore ermetico e conservarli per 2-3 giorni.
10. Quando il bark sarà ben formato togliete la carne e predisponete il dispositivo per una cottura in cocotte sfruttando la griglia centrale del sistema GBS. 11. Versate in cocotte 600 ml di brodo, 60 ml di salsa di soia, 60 ml di Sake, 50 ml di mirin, quattro cucchiai rasi di zucchero, il resto dello zenzero tagliato a rondelle e il verde dei cipollotti. 12. Inserite i pezzi di pancetta ed assicuratevi che siano coperti dal liquido. 13. A questo punto è dovuta una piccola precisazione: nella preparazione tradizionale solitamente viene utilizzato un accessorio chiamato otoshibuta, una sorta di coperchio in legno o acciaio che ha la duplice funzionalità di limitare l’evaporazione e mantenere immersa la preparazione in modo che tutti i sapori del brodo possano essere assorbiti dalla carne. Se proprio ne siete sprovvisti potrete ovviare a questa mancanza utilizzando un foglio di carta forno tagliato a misura dell’apertura della pentola e sul quale dovrete praticare qualche foro in modo da far passare il vapore in eccesso. 14. Lasciate sobbollire per almeno un paio d’ore o comunque fino a quando il maiale non avrà raggiunto una consistenza quasi “budinosa”, verificando sempre che il liquido non evapori eccessivamente ed aggiungendo brodo se necessario. 16. Servite accompagnando con l’uovo sodo, il porro e la salsa Honey Mustard della linea Sal’s Seasoning di BBQ4All. Servite il contorno su ciotole dove i commensali possano servirsi per accompagnare la carne.
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15. Aggiungete le uova e lasciate riposare 10 minuti.
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STEAK SALAD
L’estate porta con sé, inevitabilmente, la voglia di mangiare cose fresche e veloci. Purtroppo, nell’immaginario dell’italiano medio, fresco e veloce fanno spesso coppia con banale: ed ecco allora il fiorire di cene a base di prosciutto e melone, insalata caprese, e quando ci si sente proprio arditi, un bel riso freddo con i preparati in barattolo.
ribeye del nostro Megastore / 200 g di insalata mista con carote julienne / 50 g di olive denocciolate / una mela / 4 fette di pane raffermo / Ultimate Spog della linea Sal’s Seasoning q.b. / olio extravergine di oliva Sicilia GLC Top Selection q.b. / il succo di due limoni / Pick a Pepper della linea Sal’s Seasoning a piacere / sale q.b.
Ma noi siamo amanti della ciccia e delle grigliate, quindi ci siamo detti: perché non proporre un piatto freddo, fatto con la carne, che non sia banale ma che rispetti quel “fresco e veloce” ripetuto come un mantra dai commensali accaldati? La soluzione esiste e si chiama Steak Salad, ovvero un'insalata fatta con una bistecca cotta. mangiata a temperatura ambiente
PREPARAZIONE 1. Togliete le bistecche dalla loro confezione e tenetele avvolte nella carta assorbente a tempertura ambiente in un luogo fresco per un paio d’ore. 2.
Se è vero che le temperature di servizio dei nostri cibi sono importantissime, e che nessuno mai si sognerebbe di servire brodo freddo o una pizza ghiacciata, è anche vero che, secondo diversi studi fatti in merito, la temperatura ideale per gustare un cibo si aggira intorno ai 35°C. È vero, la pizza fumante ci attira di più, ma per la scienza qualsiasi temperatura superiore ai 35°C innesca nel nostro corpo un meccanismo di difesa: la nostra attenzione si sposta, non siamo più così attenti al sapore del cibo che stiamo gustando, quanto piuttosto cerchiamo di evitare il “pericolo” di ustionarci la lingua. Ebbene, questo processo fa sì che i sapori dei cibi caldi vengano percepiti come ovattati, meno brillanti. Ecco perché bisogna abbattare certe sovrastrutture mentali e apriici all’idea che gustare una bistecca a temperatura ambiente, in estate, diciamo attorno ai 30°C, è una scelta più che felice. Scottare una bistecca in modo perfetto, anche molte ore prima, affettarla molto sottile e mangiarla in mezzo all'insalata è un'esperienza meravigliosa.
Predisponete il vostro dispositivo per una cottura diretta ad alta temperatura, ungete bene la carne con un filo d’olio (se è davvero molto marezzata, questo passaggio non è necessario) e cuocetela in cottura diretta, utilizzando una padella in ghisa.
3.
L’importante è rispettare alcune regole di base: usare sempre degli elementi croccanti nell'insalata, usare sempre un dressing acido o della frutta acidula- serve a contrastare le note grasse della ciccia e a creare molto più equilibrio tra i sapori- e ricordatevi di aggiungere un elemento pungente, che spinga un po’ sul sapore. Et voilà, il gioco è fatto.
Una volta raggiunto il grado di cottura desiderato, togliete la carne dal fuoco e lasciatela raffreddare a temperatura ambiente su un tagliere di legno. Nella stessa padella in cui avete cotto la carne, tostate il pane ridotto a dadini e condito con un po’ di Spog. Affettate la male e mettetela a bagno in acqua acidulata con limone.
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Preparate l’insalata e aggiungete a vostro gusto le olive, le fettine di mela, i dadini di pane tostato, il sale; affettate la carne, conditela con un po’ di pick a pepper, poi mettetela insieme all’insalata, condite il tutto con olio extravergine di oliva e succo di limone. Servite in tavola a temperatura ambiente.
Come servire la bistecca fredda senza sentirsi in colpa
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Altre due regole auree da rispettare sono: usare una carne con una buona marezzatura, che a temperatura ambiente “suderà” rendendo il boccone ancora più gustoso, e condire l’insalata all’ultimo minuto prima di servirla.
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Ingredienti per 4 persone: 3
Quindi, non ci resta che vedere nel dettaglio come fare per servire un piatto freddo, “fresco e veloce” ma mai banale!
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SUSHI?
Si, ma di carne! Quante volte, nell’organizzare la vostra cena barbecue di mezza estate che vi ha reso celebri con tutti i vostri amici, i colleghi e i parenti vicini e lontani, vi siete fatti cogliere dall'ansia da prestazione? Quante volte, cedendo all’immotivata paura che il cibo non fosse sufficientemente abbondante e vario, avete fatto la spesa e cucinato per un esercito? Come avete gestito gli avanzi di cibo già grigliato o che avevate scongelato e non più cucinato, che vi guardavano dal frigo il giorno successivo all’abbuffata, quando la temperatura all’ombra viaggiava intorno ai 30 gradi e l’unico vostro desiderio era una spremuta di limone, del riso bianco e un’insalatina? Come avete replicato al silenzioso sguardo di rimprovero o al “te l’avevo detto” e “ora chi se li mangia” della vostra dolce metà? Congelato il congelabile, avete fatto buon viso a cattivo gioco e, pur di non darla vinta, vi siete lanciati sugli avanzi con lo sguardo fiero di chi non si arrende. Ecco a voi la soluzione per trasformare gli avanzi del giorno prima in una leggera, piacevole e curata esperienza gastronomica: il sushi di carne! Vi presentiamo tre tipi di sushi che potrete realizzare con avanzi di pollo grigliato, di Baltimora pit beef e di carne di manzo cruda. Queste preparazioni sono scelte per proporvi un metodo, darvi una traccia e indicarvi una direzione per un viaggio che sarete voi a decidere dove si ferma: potrete limitarvi a replicare le ricette presentate o immaginarne di nuove in base alla vostra creatività e alle “risorse” (non chiamateli avanzi!) a vostra disposizione.
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In tutte le ricette è presente il riso preparato alla maniera del sushi, una preparazione ampiamente trattata nel numero sul sushi del BBQ4All Magazine di Febbraio 2020 e in quello sul poke di Maggio 2022 ai quali potete fare riferimento per gli approfondimenti. Il riso da utilizzare è la varietà Originario che dovrete prima sciacquare in acqua fredda per eliminare l’amido in eccesso, poi cuocere per assorbimento e infine condire con aceto di riso, sale e zucchero o con uno specifico condimento per sushi facilmente reperibile. Trattandosi di preparazioni fatte con carne già cotta, non sarà necessario accendere il barbecue il giorno della preparazione; per non dare nulla per scontato è riportato anche come cuocerla.
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Per chi ha poca dimestichezza con il sushi è bene ricordare l’importanza di avere le mani bagnate quando si maneggia il riso per evitare che vi si appiccichi e che mettere della pellicola da cucina sopra il makisu (la stuoia di bambù che si usa per fare il sushi) può essere di grande aiuto nella preparazione del roll.
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ROLL DI BALTIMORA PIT BEEF E PEPERONE IN EMBER ROASTING Ingredienti
per il Pit Beef: un Eye Round di Black Angus del Megastore / paprika / pepe / sale / aglio in polvere / olio / due peperoni rossi / Sal's Seasoning - Ultimate SPOG per la salsa: i succhi del Baltimora Pit Beef / burro, brandy / maizena. Preparazione 1. Il giorno prima del vostro evento, dovete preparare il Baltimora Pit Beef. Le ricette di questa preparazione le trovate anche sul sito www.bbq4all. it , oppure su molti dei numeri vecchi del nostro Magazine. Per questa ricetta avrete solo bisogno di qualche fettina tagliata finissima e dei succhi raccolti durante il rest e il taglio della carne. 2.
Preparazione della salsa: recuperate tutti i succhi persi dalla carne nelle fasi di rest e taglio, filtrateli e fateli ridurre in un pentolino a fiamma bassa insieme a un paio di noci di burro e 3 cucchiai di brandy. Quando il tutto si sarà ritirato a un terzo della quantità originale addensate la salsa utilizzando la maizena: riempite mezzo bicchiere di acqua fredda e scioglietevi due cucchiai di maizena, versatene la metà nel pentolino, girate in continuazione; quando la preparazione raggiungerà i 70°C l’amido di mais comincerà a gelatinizzare e la salsa si addenserà. L’obiettivo è una salsa bella densa, se necessario aggiungete altra maizena.
3.
Adesso è il momento dei peperoni in ember roasting: posizionate i peperoni direttamente sopra le braci ben accese o le flavorizer bars del vostro dispositivo a gas, girateli man mano che la pelle del peperone a contatto con il calore diventa nera. Quando saranno completamente neri metteteli in un sacchetto di plastica per alimenti ben sigillato e lasciateli riposare 10 minuti: l’umidità trattenuta dal sacchetto farà in modo che la pelle del peperone si stacchi con estrema facilità. Spellateli, separateli dai semi, tagliateli a listarelle e condite con olio e Sal's Seasoning - Ultimate SPOG.
4.
Preparazione del roll: disponete le fettine di Baltimora pit beef sul makisu, copritele con uno strato di riso di pochi millimetri, posizionate le listarelle di peperone, arrotolate il tutto.
5.
Affettatelo e servitelo coperto dalla salsa.
OSHI SUSHI DI TARTARE
L’Oshi sushi è una variante di sushi ottenuta pressandone gli ingredienti in una formina di legno detta oshibako, potete reperirla facilmente online o al suo posto usare un coppapasta o una forma per tortelli del diametro di 3 centimetri.
Ingredienti
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un Teres Major del Megastore / un avocado / sale / succo di limone / Sal's Seasoning - Steak Boosters Tris Combo / Sal's Seasoning Montreal Steak Rub, / Sal's Seasoning - Ultimate SPOG / salsa di soia.
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Preparazione 1. Eliminate eventuali pezzi di grasso, riducete il filetto di spalla in tartare
e dividetelo in 4 parti uguali, conditene una con sale e Montreal Steak Rub e le altre 3 parti con i 3 Steak Boosters. Avrete così quattro sapori diversi con cui fare i vari oshi sushi. 2.
Tritate finemente un avocado, conditelo con Sal's Seasoning - Ultimate SPOG e succo di limone
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È giunto il momento di assemblare l’oshi sushi, prendete l’oshibako o il coppapasta, inserite prima la carne, poi l’avocado, infine il riso. Pressate bene, girate e sformate.
4.
Servite accanto a una ciotola con salsa di soia.
MAKI E URAMAKI DI POLLO E VERDURE
Il pollo cotto al barbecue riscaldato il giorno dopo non è proprio il massimo; questa ricetta, grazie a un equilibrio di ingredienti e alla Alabama White Premium Sauce lo trasformerà in una fresca e piacevole sorpresa. Questo roll prevede l’utilizzo della alga nori, potrete crearne due combinazioni diverse mettendo l’alga all’interno o all’esterno.
Ingredienti
Due sovracosce oppure due fette spesse di petto di pollo / Fowl In Love Marinade / 8 g di sale per ogni kg di pollo / vino bianco / carote / cetrioli / insalata lattuga / Alabama White Premium Sauce / fogli di alga nori. Opzionali: semi di sesamo a piacere. Preparazione 1. Disossate e marinate in frigo per qualche ora il pollo con il sale, una parte di Fowl In Love Marinade e una parte di vino bianco. Predisponete il vostro dispositivo per una cottura indiretta a 180 gradi, mettete la carne in cottura indiretta fino ai 70 gradi al cuore, quindi spennellatela con olio e datele una veloce passata in cottura diretta per avere una bella reazione di Maillard.
3.
Tagliate il pollo in strisce larghe un paio di centimetri, le carote e i cetrioli in strisce di circa un centimetro.
4.
Variante con alga nori all’esterno (maki): mettete mezza foglia di alga nori sul makisu e copritela con un leggero strato di riso, mettete nella parte più vicina a voi una striscia di pollo, una di carota, una di cetriolo, conditeli con un filo di Alabama White Premium Sauce e coprite con una foglia di insalata. Arrotolate il roll, affettatelo e servitelo coperto con una guarnizione di Alabama White Premium Sauce.
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Variante con alga nori all’interno (uramaki): mettete mezza foglia di alga nori sul makisu e copritela con un leggero strato di riso, girate sottosopra l’alga e il riso facendo in modo che il riso sia a contatto con il makisu e l’alga rivolta verso di voi, condite come nel punto precedente. Una volta arrotolato potrete migliorarne l’estetica cospargendolo di semi di sesamo bianchi e neri; affettatelo e servitelo coperto con una guarnizione di Alabama White Premium Sauce.
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Anche a Rossini sarebbe piaciuto
TOURNEDOS CON CIPOLLE CONFIT E ZENZERO
Non conosco un’occupazione migliore del mangiare, cioè, del mangiare veramente. L’appetito è per lo stomaco quello che l’amore è per il cuore. Lo stomaco è il direttore che dirige la grande orchestra delle nostre passioni. Gioacchino Rossini
Nelle giornate frenetiche di lavoro può capitare di arrivare a casa stanchi e con poca voglia di mettersi in griglia. Molto spesso si rinuncia, nell'errata convinzione che il gusto gourmet si possa cogliere solo nelle ricette super collaudate, difficili, magari adocchiate nel blog di qualche Chef rinomato. Sono invece dell’idea che, anche nella semplicità di una ricetta veloce, si possano cogliere degli ottimi sapori. Basta avere l’accortezza di affidarsi sempre ad una materia prima eccellente e, con poche mosse mirate, anche avendo pochi minuti a disposizione, potrete creare un buonissimo piatto gourmet. Approfittando di queste belle serate luminos,e che ci invitano a rimanere all’aperto, cucineremo questa ricetta nel dispositivo esterno a carbone o a Gas, con l’accessorio piastra Gourmet BBQ System Weber.
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Probabilmente tutti conoscerete il famigerato Tounedos alla Rossini: il piatto nato dalla leggenda secondo cui il celebre compositore, grande amante del cibo, avrebbe risposto a un cuoco francese, che gli aveva negato una variazione al tartufo per il suo filetto, “alors, tournez la dos!” ovvero “giratevi, voltatevi e andate via”. Da questo episodio, si dice che il filetto cucinato con burro, foie gras e tartufo prenda appunto il nome Tournedos. Alla Rossini, poi, per ovvie ragioni. Noi ci siamo ispirati a quella famosa ricetta ma, non ce ne voglia Rossini, l’abbiamo alleggerita un po’, senza per questo renderla meno gourmet dell’originale.
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Per realizzare la nostra preparazione useremo un Filetto Black Angus Crimson Crest 3+ del Megastore BBQ4All dalla morbidezza impagabile, se la serviremo con una Confit di cipolla rossa di Tropea, esaltata dallo Zenzero con il suo aroma fresco e piccante.
Ingredienti per 4 persone: 2 confezioni di Filetto Black Angus Crimson Crest 3+ del Megastore BBQ4All / 2 cipolle rosse di Tropea / Burro q.b. / Aceto di vino rosso / 2 spicchi d’aglio / zenzero fresco / sale q.b. / pepe Tellicherry macinato al momento q.b. / acqua q.b. PREPARAZIONE 1. Sbucciate e tagliate a fette le cipolle. Stabilizzate il dispositivo esterno per una cottura diretta. Lasciate scaldare la piastra e fate sciogliere una generosa dose di burro. Tuffate la cipolla e mescolate bene per lasciare insaporire regolate di sale e pepe, aggiungete un filo d’acqua e lasciate stufare fino a che la cipolla non inizierà a diventare traslucida. Aggiungete uno o due cucchiai di aceto di vino rosso e lasciate restringere. Togliete e tenete da parte. 2.
Aprite le confezioni del Filetto e, tamponando con carta, asciugate molto bene i medaglioni.
3.
Pulite con un panno carta la piastra e scioglietevi un altro po’ di burro. Aggiungete gli spicchi d’aglio leggermente schiacciati e mettete a cottura il filetto. Aiutandovi con un cucchiaio nappate ripetutamente i medaglioni con il burro sciolto aromatizzato all’aglio. Ci vorrà pochissimo, appena raggiunta la Maillard in entrambi i lati, toglieteli subito dalla piastra.
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Servite su piatto con la composta di cipolle sul fondo, poi il medaglione di filetto con un giro di fondo di cottura sopra ed infine una generosa dose di zenzero grattugiato al momento
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L'Arte Bianca a cura di Alessandro Trezzi
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Il mondo dell’arte bianca è fatto di prodotti, di profumi e di storie, ma tante volte anche di mode e di confusione. Negli ultimi anni (per grazia o per sfortuna) è letteralmente esplosa la mania della Pinsa, che ha spopolato nelle case, nei ristoranti e persino nei supermercati, con basi da farcire o impasti ispiratori.
La crosta sarà molto friabile e l’interno leggero, con una masticazione praticamente assente. L’impasto è profumato, con note “pizzicate” dovute alla presenza di soia e tostate grazie al riso, che aumenta anche la shelf life di buona misura.
A detta di molti, la Pinsa sembrerebbe essere un disco di pasta ovale, ad alta idratazione e lunga maturazione, cotto su pietra refrattaria. Il risultato è un impasto croccante e leggero, non eccessivamente alveolato e dal colore pallido a causa dello scarico volontario di zuccheri. Il termine deriverebbe dal latino “pinsere”, ovvero “schiacciare”.
Per ovvie ragioni, la miscela originale della Pinsa risulta segreta; sappiamo tuttavia che è composta da grano tenero, da soia e riso, che donano le caratteristiche sopra descritte. La base di grano tenero contribuisce a dare leggerezza, struttura e garantisce una lunga maturazione, fondamentale per un prodotto che conservi la giusta capacità di espansione in forno; poiché dovrà assorbire molta acqua e sarà tagliato con cereali senza glutine avremo bisogno di una base forte, tra il 340 e il 360 W.
In realtà la Pinsa è molto di più: si tratta di un prodotto registrato nel 2001 da Corrado Di Marco, tecnico pizzaiolo che ha fondato una delle aziende più importanti del settore, creando semilavorati e basi pronte per oltre 5.000 pizzaioli in tutto il mondo. Il mix originale è costituito da grano tenero, riso e soia, che insieme conferiscono sapore e una particolare “pungenza” alla mollica. Di fatto, per fare la vera Pinsa dovreste utilizzare la farina a marchio, per il quale esiste addirittura un’Associazione Originale Pinsa Romana con statuto e regolamento. Non è chiaro perché Di Marco abbia permesso la diffusione di così tante copie, o del perché si sia lasciato sfuggire una situazione così caotica, nella quale il suo prodotto di punta viene ormai tranquillamente confuso con centinaia imitazioni, con delle semplici lingue di pizza alla pala o peggio, del perché ormai non viene più nemmeno associato al suo nome. In questa sede ci interessa poco, ma vogliamo essere rispettosi verso l’inventore originale; per tal motivo, chiariamo subito che ciò che leggerete è un prodotto ispirato, realizzato ipotizzando dosi e tempi di realizzazione, ma soprattutto ricostruendo a ritroso il metodo a partire dal risultato finale atteso. Siete pronti a mettere le mani in pasta?
L'obiettivo
Con le giuste fondamenta di un buon 80% di grano tenero, potremo permetterci di spaziare per il restante 20% tra riso e soia, le migliori farine che riusciate a trovare. La maggior parte (un 15%) sarà destinata al riso, più facilmente lavorabile, che assorbendo l’umidità in eccesso aiuterà a mantenere l’impasto liscio, asciutto e uniforme; il rimanente 5% sarà destinato alla soia, una piccola dose necessaria per quella spigolosità tanto amata nella Pinsa.
I tempi di riposo La Pinsa è un prodotto particolare, che generalmente poco rispetta i dogmi della buona panificazione; in linea di massima è infatti consigliabile equilibrare i tempi di riposo, senza eccedere nella maturazione, in modo da preservare un giusto quantitativo di zuccheri semplici che consenta la reazione di Maillard in cottura e doni colore e sapore. Nella Pinsa invece, per scelta di stile, si predilige una maturazione quasi esasperata, che scarichi volutamente l’impasto per renderlo sì pallido e meno espansivo, ma molto più scioglievole in bocca; dovete di fatto trovare il limite ultimo di maturazione del vostro mix, che vi consenta di lavorare comunque in tranquillità senza arrivare ad un collasso. Tale esasperazione si traduce in una sorta di “rottura” della struttura del vostro impasto, che risulta meno scenografico in sezione ma non presenta praticamente resistenza al vostro morso.
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Il prodotto da realizzare è ormai entrato a far parte dell’immaginario comune, e non è così difficile da immaginare. Ciò che vogliamo ottenere è una lingua di pizza ovale, lunga circa 30 cm e larga 15-18, di colore dorato e dalla struttura vaporosa.
Le farine
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La cottura La Pinsa è figlia della celebre pala romana, e si cuoce generalmente in forni appositi su pietra refrattaria, asciugando tra i 300°C e i 320°C in modo da ottenere una consistenza molto friabile e asciutta. Se non doveste disporre di un forno elettrico semi-professionale, potete adattare il vostro domestico in due modi: • Con una pietra refrattaria, pre-riscaldata al massimo della temperatura insieme al forno (250°C-270°C); • Con una teglia rovesciata, sempre pre-riscaldata con il forno al massimo. • In ogni caso dotatevi di una pala per infornare, meglio se in legno.
IMPASTAMENTO In una ciotola o nella vasca della vostra impastatrice o planetaria inserite tutte le farine e mescolatele con un cucchiaio; aggiungete poi il lievito sbriciolato e 650 g di acqua e iniziate a impastare. Quando avrete raggiunto una forma liscia e il glutine si sarà formato, aggiungete il sale e a filo l’acqua rimanente; terminate quando l’impasto sarà uniforme e la temperatura di almeno 24°C. PUNTATA Oliate un contenitore che possa contenere l’impasto per almeno il triplo del volume, trasferitelo dentro e chiudete ermeticamente. Lasciate riposare per 1-2 ore a temperatura ambiente, poi tra le 36 e le 48 ore in frigorifero a 4°C. STAGLIO E FORMATURA Circa 4 ore prima di cuocere riprendete l’impasto e tagliate in panetti di circa 250 g; date loro qualche piega per conferire forza, chiudeteli bene sull’apertura e trasferite in contenitori o in una cassetta da lievitazione, non prima di averli spolverati con semola da entrambi i lati. Cercate di dar loro una forma ovoidale e non tonda, in modo da essere già predisposti alla stesura. Per la Pinsa, in sostituzione alla semola, potete anche utilizzare della farina di riso, che tostando ben si abbina ai profumi dell’impasto. APPRETTO Lasciate lievitare 4 ore a temperatura ambiente, o comunque fino a che i panetti non saranno triplicati di volume.
INGREDIENTI per circa 7 pinse
800 g di farina di grano tenero di tipo 00 o 0 da 340-360 W; 150 g di farina di riso; 50 g di farina di soia; 800 ml di acqua; 6 g di lievito di birra fresco;
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20 g di sale fino.
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STESURA Spolverate il piano da lavoro con abbondante semola e/o farina di riso, e rovesciate il primo panetto; stendetelo delicatamente con i polpastrelli a mano aperta, partendo prima dal bordo e andando poi al centro; dovrà essere lungo circa 30 cm e largo 15-18, ma non allargatelo completamente sul piano in quanto durante il trasporto su pala si estenderà ancora. Arrivati alla dimensione desiderata portatevelo sull’avambraccio, scrollate dalla farina in eccesso e posizionatelo sulla pala in legno precedentemente spolverata di semola e/o riso. FARCITURA La Pinsa si presta a tantissime farciture, persino ad essere pre-cotta bianca e rigenerata con qualsiasi cosa vi aggradi. Noi la tratteremo come una semplice margherita, ma lasciate galoppare la fantasia! Oliate la superficie e spargete l’olio in eccesso con le dita, dopodiché distribuite sempre con le mani del pomodoro pelato frantumato a mano. Fate attenzione a non farlo colare sulla pala in legno o si potrebbe attaccare all’impasto, ma evitate anche di lasciare 3 cm di bordo; la Pinsa è un prodotto da banco e di condivisione, e ogni spicchio dovrà avere la sua dose equilibrata di farcitura. Cercate di arrivare a circa 1 cm dal bordo, non di meno.
COTTURA Pre-riscaldate il forno con il supporto scelto a 250°C270°C; in caso di forno elettrico da pizza, potete lavorare a 300°C con l’80% di potenza dalla platea ed il 30% cielo. Assicuratevi che l’impasto non si sia attaccato alla pala muovendola leggermente, date un’ultima aggiustata e infornate nella parte destra della vostra pietra o teglia; in un supporto 30x40 cm ci staranno tranquillamente due Pinse disposte perpendicolarmente al lato lungo, quindi preparatene subito un’altra da infornare insieme. Cuocete per circa 8-10 minuti, finché il fondo non sarà ben brunito e i bordi cominceranno a colorare;
dopodiché sfornate, aggiungete della mozzarella tagliata a listarelle e lasciate fondere per altri 2-3 minuti. Togliete dalla bocca di fuoco, posizionate su griglia rialzata e completate con un giro d’olio e abbondante basilico. Il modo più scenografico per servire una Pinsa è quello di portarla a tavola su un tagliere e dividerla con un coltello davanti agli ospiti, per evidenziare la grande croccantezza raggiunta; fate un taglio longitudinale e poi quattro sul lato corto, dividendo in 8 spicchi e incentivando la condivisione.
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Le mille sfumature della
Frutta tropicale
Across the Pond a cura di Elena Ninotti
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artiamo da un (triste) presupposto. In Florida non esistono le stagioni. No, non parlo delle mezze, che ormai, signora mia, non esistono da nessuna parte. Parlo proprio di quelle classiche. Qui l’anno si divide in due periodi: stagione secca e stagione umida. Come, in questa suddivisione, le piante riescano a capire quando fare fiori, frutti e bacche è per me un mistero. Eppure un pochino ci provano. Non è così nel resto degli USA, dove hanno anche inverni siberiani, oppure estati asciutte e torride: insomma, una varietà di climi davvero impressionante.
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In questo panorama, la Florida, nonostante le sue ampie zone umide e il clima sempre caldo, è il secondo produttore di vegetali degli Stati Uniti, dopo la California. Primo su tutti, le arance, che sono il frutto simbolo del Sunshine State. Ma le stesse arance possono davvero chiamarsi native? E cosa significa native di un posto? Raymond Sokolov, un giornalista che si occupa di cibo, scrisse: “Prima delle spedizioni di Colombo, non c’erano arance in Florida, né banane in Equador, né paprika in Ungheria, né pomodori in Italia, né patate in Irlanda, né caffè in Colombia, né ananas alle Hawaii, né alberi della gomma in Africa, né mucche in Texas, né asini in Messico, né peperoncino in Thailandia o in India, e neppure cioccolata in Svizzera.” Non serve quindi scomodare le origini ancestrali di un prodotto: in fondo si può considerare autoctono quello che di fatto ha influenzato la cultura e la storia del paese, e sembra che davvero le arance qui siano particolarmente interessanti. L’altro produttore di arance statunitense, la California, non entra in competizione con la Florida, poiché ognuno si è specializzato in una varietà diversa: da spremuta per la Florida, da tavola per la California.
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Arance a parte, i primi tempi del nostro trasferimento, devo ammetterlo, sono stati duri. Tra i pre-concetti che avevo prima di trasferirmi ai tropici, c’era che la frutta avrebbe dovuto essere M-E-R-A-V-I-G-LI-O-S-A! E, per frutta, intendevo pesche, albicocche, ciliegie...proprio a esagerare contavo anche l’ananas. Quindi, massima delusione quando, ai primi acquisti, la frutta l’ho trovata decisamente infelice. Ma il mio problema era nel concetto di base. Se la vita ti dà dei meravigliosi manghi, è inutile continuare a cercare le albicocche. Così ho impiegato parecchi mesi, e tante sperimentazioni, per imparare cosa apprezzare qui e cosa lasciare da parte per i miei viaggi in Italia. In realtà gli Stati Uniti sono davvero tali, per cui la circolazione delle merci è assolutamente interscambiabile. Mirtilli del New Jersey,
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arance e pesche della California, mele dello stato di Washington... è stato presto chiaro che per approcciarmi al Km zero e per mangiare frutta saporita avrei dovuto modificare un po’ le mie richieste e uscire dalla comfort zone.
poi il corrispettivo all’uscita. Nei primi anni del ‘900, nel South Florida vigevano le “Strawberry Holiday”: una settimana di sospensione scolastica, a marzo, affinché i bambini potessero lavorare nella fattoria dei genitori raccogliendo le fragole.
Da quel momento in poi mi sono riappacificata con la frutta americana, imparando a valorizzare le eccellenze. Se capitate da queste parti vi consiglio di mangiare l’uva, dolcissima e, soprattutto, senza semi. Pratica e veloce come snack, ne consumiamo tantissima. Sulla nostra tavola (e nelle mie macedonie) trovano posto frutti di bosco, melone verde, ananas, mango e fragole. Sono davvero locali, invece, fragole, avocado e manghi.
Gli avocadi della Florida maturano in inverno, su grossi alberi, e sono diversi dagli Hass, quelli che siamo abituati a trovare al supermercato italiano. Sono più grossi, con la buccia lucida e chiara e hanno un sapore molto “annacquato”; sebbene siano un orgoglio locale, continuo a preferire i messicani Hass, molto più burrosi.
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La raccolta delle fragole inizia dai primi di febbraio fino a fine marzo: è possibile andare nei Farmer market e raccogliere le proprie fragole, pagando
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Anche i manghi crescono su alberi, enormi, più alti delle case e qui in South Florida sono praticamente ovunque. Non è strano fermarsi lungo la strada e raccoglierli dai rami penzolanti, o vedere qualcuno con una bancarella in giardino che li vende, 2 per
un dollaro. Sono qualcosa di favoloso, succosi, estremamente profumati, completamente diversi dal gusto resinoso di quelli che arrivano sulle tavole italiane. Tra l’altro il mango è uno di quei frutti che può essere consumato sia acerbo (nei piatti salati) che maturo. Nei centri commerciali ci sono spesso chioschi che vendono mango spiralizzato e condito con sale e polvere di peperoncino. Personalmente ci ho provato una volta e... mai più! Anche la papaya, sebbene non rientri tra i miei frutti preferiti, ha un gusto di gran lunga migliore di quella che arriva in Europa. Tra l’altro, ho scoperto che anche qui ce ne sono di migliori e di peggiori: quella brasiliana, più piccola, è molto più buona rispetto a quella molto grossa che si trova più comunemente al supermercato.
Si possono trovare anche i litchi, da raccogliere direttamente dall’albero, e altri frutti di cui noi ignoriamo proprio l’esistenza, come la mamey sapote, che ha l’aspetto e la consistenza di una patata dolce ed è molto apprezzata negli smoothie. Quella che vi propongo, invece, è una ricetta tipica brasiliana. Ho molti amici che vengono dal Sud America, conosciuti alla scuola di inglese per stranieri che frequento. È una mousse velocissima e fresca, che in origine è fatta con la maracujia, ma si può usare con qualsiasi tipo di frutta: fragole, pesche, mango. Non fatela con ananas e kiwi, perché contengono enzimi che degradano la gelatina e vi trovereste con una crema liquida.
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Se capitate dalle parti di Miami, prendete in considerazione di aggiungere un tour al Fruit and Spice Park alle cose da fare. Il parco è costituito da un enorme giardino con tanti alberi da frutta. È possibile assaggiare tutti i frutti che si trovano in terra o che
vengono offerti durante il giro col trenino elettrico (incluso nel biglietto). Ve lo consiglio perché è uno dei modi più sicuri per assaggiare frutta che mai più avrete occasione di mangiare. Ad esempio una bacca buonissima, prodotta dalla Jaboticaba o Plinia Cauliflora, che cresce direttamente sul tronco dell’arbusto.
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MOUSSE AL MANGO
Ingredienti per 4 persone
450 g di polpa di mango frullata, fresca o scongelata / una lattina da 397g di latte condensato / panna liquida da montare (la quantità che sta dentro la lattina del latte) / una bustina di gelatina PREPARAZIONE: 1. In un pentolino mettete un paio di cucchiai di polpa di frutta e una tazzina d’acqua, portate a bollore e versate sulla gelatina; mescolate e lasciate riposare 5 minuti. 2.
Versate la panna in una ciotola capiente e iniziate a montare con le fruste. Aggiungete il latte condensato a filo e la frutta. Aggiungete la gelatina e continuate a montare finché la mousse non si inspessisce e si gonfia.
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Versate in un contenitore da due litri e mettete in frigo a rassodare, almeno un paio di ore o tutta la notte. Decorare con frutta fresca. Aspettate che la mousse sia ben sostenuta prima di decorarla con la frutta scelta.
Importante: la mousse a montare impiega circa 8-10 minuti, non abbiate fretta
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Se avete negozi etnici vicini potete vedere se hanno le piastrine di frutta esotica congelata. Sono molto pratiche, la dose è quella giusta, la frutta al grado di maturazione perfetto e potete avere frutta tropicale senza impazzire. Inoltre, una piastrina in freezer vi salva quando dovete preparare il dolce “all’ultimo minuto” per un invito inaspettato
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FROM ZERO TO HERO COME SI METTE IL
RUB SUL
BRISKET
a cura di Michela Bongiorni
Una della domande che ci sentiamo fare in modo ricorrente riguarda il rub. In molti, quando si affacciano al mondo del BBQ e soprattutto dell’American BBQ, si trovano a che fare con questa parolina di tre lettere che inizialmente è guardata con sospetto. Ci vuole sempre un po’ di tempo affinché tutti comprendano appieno il significato di tale parola e la sua fondamentale importanza, non solo nel mondo BBQ ma nella cucina in generale. Dopodiché, una volta digerita e archiviata la questione “parola straniera che sta a indicare ingredienti di dubbia provenienza per preparare le americanate!”, una volta che si è davvero capito e accettato l’importanza del rub, ci si trova di fronte all’eterno dilemma: come metterlo e quanto metterne? In questo articolo proviamo a fare un po’ di chiarezza in merito, facendo qualche esempio pratico e prendendo in esame il re indiscusso dell’American BBQ: il Brisket.
COS’È IL RUB E A COSA SERVE?
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La parola (si pronuncia rab) può spaventare, ma molto semplicemente il rub è un qualsiasi mix di aromi secchi che deve essere distribuito, o come suggerisce la parola stessa strofinato, sugli alimenti da cuocere. Grazie all’effetto del calore, il rub poi si fissa per formare la classica crosticina saporita e speziata.
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Avete presente quando dite “io sulle costine metto solo sale, pepe e rosmarino perché mi piaccio i i sapori mediterranei”? Ebbene, quel misto di sale, pepe e rosmarino, che massaggiate sulla vostra rosticciana, è un rub.
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Ovviamente, più un rub è complesso e più riesce a stimolare e a migliorare l’esperienza gustativa. È sempre fondamentale ricordare che un rub deve essere equilibrato in modo da non sovrastare mai il sapore dell’ingrediente principale. Ogni mix è adatto a specifiche preparazioni, a tagli e soprattutto a metodi di cottura.
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Per quello che riguarda il Brisket, ad esempio, i veri puristi del BBQ in stile texano (patria del Brisket) vorrebbero che si usassse solo sale e pepe; al netto di questi gastrotalebani del Brisket, in molti usano rub appena più complessi in cui troviamo sale, una selezione di pepi molto aromatici, una piccola percentuale di cipolla e aglio in polvere, come ad esempio nel nostro BBQ4All Ultimate SPOG. Altri rub sono più complessi e in molti contengono zucchero. che aiuta la caramellizzazione superficiale ma al quale dobbiamo stare molto attenti perché rischia di bruciarsi in cottura, e spezie aromatiche come la senape, il cumino, l’anice, la paprika e via dicendo. Mix con elementi aromatizzanti come questi sono molto indicati per tagli di maiale, così come per il pollo, da cuocere per tempi lunghi e a temperature molto basse.
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Certo, volendo uno può crearsi il rub che vuole ac-
quistando gli elementi singoli in polvere (o addirittura essiccando le erbe e le spezie e poi riducendole in polvere) ma tendenzialmente, sia per una questione pratica che per un mero risparmio economico, si cerca sempre di utilizzare miscele già costruite, al limite aggiungendo elementi singoli o addirittura mixando vari rub tra loro alla ricerca del sapore particolare che vogliamo ottenere. I rub già pronti sono già perfettamente bilanciati, ci danno la certezza di non sprecare ingredienti (comprare le polveri singole solo per utilizzarne uno o due cucchiaini e lasciare poi che prendano umidità in dispensa non è mai la scelta migliore) e ci garantiscono un’estrema praticità.
COME COSPARGERE IL RUB SUL BRISKET Ci sono varie scuole di pensiero: c’è chi dice che è meglio farlo poco prima di andare in cottura, c’è invece chi preferisce farlo molto prima, in modo da dare al rub il tempo di insaporire bene il pezzo di ciccia. In effetti, si può benissimo rubbare il Brisket e poi tenerlo per una notte in frigorifero avvolto nella pellicola trasparente. C’è chi preferisce tenerlo addirittura per 24 ore. Ognuno deve sperimentare e scegliere il metodo che preferisce. Ci
sono però due cose da tenere bene a mente: mai esagerare e ritoccare. Per “mai esagerare” si intende una cosa molto semplice: bisogna evitare di utilizzare una quantità di rub eccessiva, perché non è affatto vero che a una maggiore quantità di rub corriponda una crosta più spessa. Alcuni pit master esperti suggeriscono questo metodo: cospargere un primo strato di rub e massaggiarlo bene. Attendere per qualche minuto finché le goccioline di umidità non affiorano sulla carne grazie all’effetto del sale, e poi procedere a una seconda passata di rub, stavolta senza strofinare. Con “ritoccare” si intende invece una cosa ancora più semplice: qualora si decida di cospargere il rub 24 ore prima, inevitabilmente, avvolgendo il Brisket nella pellicola e poi maneggiandolo per metterlo in cottura, il rub si intaccherà e alcune parti potrebbero venire via. A quel punto basterà ritoccare leggermente le zone in cui il rub si è sciupato e il gioco è fatto. C’è chi lo fa anche durante la cottura, nel caso in cui l’eccessiva umidità e il ristagno dei liquidi (tipo avvallamenti in cui si deposita il grasso) dovessero lavare via un po’ di strato di spezie. Proprio per evitare di lavare via il rub, qualora si
decidesse di procedere alle injection (ovvero a siringare la carne con un liquido per aumentare l’umidità e il sapore ove sia necessario) è sempre bene mettere il rub dopo aver compiuto questa operazione e non prima.
WET RUB E DRY RUB Parlando in linea più generale, possiamo dire che il rub si suddivide in due tipologie principali: • dry rub che utilizzano principalmente spezie essiccate, macinate o comunque ridotte grossolanamente; • wet rub, cioè la controparte umida o pastosa, a base acquosa o grassa. Nel momento in cui si va inumidire la carne con una base acquosa o grassa (senape, aceto di mele, salsa Worcestershire, olio) il rub applicato successivamente inizierà a bagnarsi e a mescolarsi con la parte acquosa o grassa; questo farà in modo che gli oli essenziali contenuti nelle spezie del rub amplifichino il loro sapore. Torneremo comunque a parlare di wet rub nei prossimi numeri. E parleremo anche di un’altra categoria di rub molto importante, che in pochi conoscono e che in molti sottovalutano: i rub di finitura.
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Guida ai
LEGNI DA AFFUMICATURA
Perché l'hickory conferisce un sapore deciso e una colorazione ricca e marcata alla carne rossa, mentre il cedro è ideale per il salmone? Tutti i tipi di legno sono costituiti dagli stessi componenti fondamentali: la cellulosa, una molecola a catena lunga, l'emicellulosa, composta da diversi carboidrati e zuccheri, e la lignina, un altro polimero complesso proveniente dalle pareti cellulari. La lignina, un composto resistente che rappresenta tra un quinto e un terzo del peso del legno, è ciò che lo rende un materiale così resistente. Ma ogni albero o arbusto contiene proprietà secondarie uniche, che spiegano, tra l'altro, i seducenti aromi esotici dell'alloro canforato (usato per cucinare l'anatra affumicata in Cina) e l'intensa affumicatura della mesquite (l'unico legno in grado di produrre i sapori audaci e pungenti della barbacoa Tex-Mex).
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Ogni tradizione culinaria è diversa e la scelta migliore dipende da cosa state cucinando e come lo state cucinando. In linea di massima, però, i legni duri producono i risultati migliori, con colori più ricchi e aromi più intensi. Di seguito vi elenchiamo virtù e insidie dei diversi tipi di legno.
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TIPO DI LEGNO
AROMA E COLORE Leggero aroma affumicato, colorazione giallo-dorata
Alloro Canforato
Aromi esotici e pungenti caratteristici dell'anatra affumicata in Cina. Sfumature marrone chiaro
Cedro
Gusto agrumato e fresco. Patina che vira dal giallo al color miele intenso
Ciliegio
Sapore audace e terroso caratteristico di molti legni da frutto. Spesso viene miscelato con altri legni duri. Ricca sfumatura rossastra-ambrata
Erica
Una fragranza molto particolare che è meglio utilizzare con i frutti di mare, anche se con parsimonia. Tonalità giallo pallido
Ginepro
Un sapore deciso e resinoso che deve essere usato con cautela. Sviluppa una colorazione marrone chiara o media
Hickory
Un sapore robusto e molto caratteristico. È il legno più richiesto da molti puristi del barbecue. Dona una ricca colorazione marrone.
Mesquite
Profumo molto particolare, pungente e inconfondibile. Sviluppa una colorazione da marrone chiaro a marrone dorato. È il legno preferito per la barbacoa.
Melo
Sapore di fumo dolce e asprigno; sviluppa una patina di colori gialli e bruni vivaci
Noce
Conferisce un sapore affumicato molto intenso e pesante, che può diventare amaro se si esagera. Sviluppa rapidamente una colorazione marrone scuro, questa caratteristica lo rende un buon legno da miscelazione.
Ontano
Un sapore di fumo più leggero che non sovrasta i frutti di mare o le verdure; conferisce sfumature giallo-dorate
Paglia
Un aroma di affumicatura leggero e delicato che sviluppa sfumature di colore giallo brillante. Tradizionalmente utilizzato in Francia col pesce, in Italia con i formaggi
Pannocchie di mais
Aromi terrosi pronunciati, ma colorano delicatamente i cibi
Pecan
Molto simile all'hickory, con una qualità di affumicatura simile
Quercia
Sapore audace e classico di affumicato; colorazione giallo-dorata e marrone intenso. È il classico legno dello stile Texas Meat Market
Vite
Un fumo più leggero che conferisce una ricca colorazione marrone-dorata
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Acero
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È TUTTO UN FERMENTO! Salsa di soia, Miso, Natto, Tempeh: cosa sono e come si utilizzano.
The Chemical's Griller a cura di Virgilio Brunetti
In passato abbiamo già accennato alla possibilità di utilizzare prodotti fermentati soprattutto nel seasoning; in particolare abbiamo parlato di salamoie e di marinate. I prodotti a base di soia fermentata sono tradizionali e ubiquitari nella cultura gastronomica del sud est asiatico e sappiamo bene come in queste culture la ricerca e la presenza dell’Umami sia quasi maniacale. In questo contesto parleremo dei principali prodotti basati sulla fermentazione della soia che come sapete, altro non è che un legume particolarmente ricco di grassi e proteine. I microrganismi che attecchiscono e trasformano la soia sono capaci di modificare enzimaticamente i grassi e le proteine del legume, dando origine a fenomeni di decomposizione che, se controllati, possono generare nuovi alimenti dalle caratteristiche veramente interessanti. Mi piacerebbe studiare (e molti Chef o capitani d’azienda già lo fanno) e sfruttare la potenza di questi microrganismi per creare prodotti nuovi usando basi fermentabili diverse: avete mai assaggiato la salsa di lenticchie di Norcia o il tempeh di fagioli zolfini? Avete mai sentito parlare dei Garum prodotti nelle cucine del Noma? Già da tempo si è visto come Aspergillus oryzae (kōji) sia capace di fermentare le proteine della carne e come venga utilizzato come microrganismo starter per una sorta di frollatura che risulta rapida, efficace e profonda con effetti sovrapponibili a quelli di un dry aging. Tuttavia per costruire nuovi prodotti e nuovi metodi bisogna prima conoscere le basi e ovviamente non possiamo non parlare del più importate prodotto derivato dalla soia fermentata, ovvero la salsa di soia, senza trascurare altri prodotti altrettanto interessanti quali il miso, il tempeh e il natto.
SALSA DI SOIA
Sia in Oriente che in Occidente, gli uomini hanno cercato per secoli modi migliori per conservare i cibi, scoprendo che l’uso del sale non solo migliora la conservazione ma dona sapore. Nell’antica Cina, i cibi conservati e i loro condimenti erano noti come jiang, forse il predecessore di quello che noi conosciamo come salsa di soia. Inoltre quella fermentazione poteva essere in qualche modo controllata e propagata, così nel corso dei secoli il fungo Aspergillus oryzae (kōji) è stato addomesticato e geneticamente selezionato per la produzione di vino di cereali e salse di soia e altri condimenti fermentati. Diversi tipi di jiang venivano prodotti da carne, pesce, verdure e grano. Di tutti questi ingredienti, il grano era quello più facilmente disponibile e gestibile; per questo lo jiang fatto dai semi di soia e dal frumento si sviluppò più rapidamente. Il processo di produzione dello jiang dal grano si diffuse poi in Giappone e negli altri Paesi
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La fermentazione spontanea di alimenti genera nelle giuste condizioni ambientali processi di degradazione enzimatica che trasformano zuccheri grassi e proteine in nuove molecole. La libera degradazione dei substrati biologici in molecole più semplici viene comunemente chiamata decomposizione; gli attori di questo processo spontaneo sono i microrganismi naturalmente presenti nell’ambiente. In specifiche condizioni ambientali di temperatura, umidità, osmolarità, pH alcuni micror-
ganismi possono prevalere su altri generando sui cibi trasformazioni sorprendenti. Vini, birre, aceti, prodotti da forno, conserve, condimenti, salse e una miriade di altri alimenti diffusi in tutte le culture gastronomiche vengono prodotti e migliorati mediante controllo dei processi di fermentazione. Così, già in tempi remoti, in parallelo e in diverse civiltà, alcuni uomini si accorsero che da alcuni alimenti andati a male, fermentati spontaneamente, si potevano recuperare prodotti interessanti con un valore gastronomico anche superiore rispetto all’alimento originale.
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temperature elevate; i carboidrati contenuti nel frumento sono i componenti che donano alla soia il suo aroma delicato e quel tocco di dolcezza tipico della salsa. Il frumento viene tostato ad alte temperature e poi schiacciato per facilitarne la fermentazione; il sale viene sciolto in acqua e questa soluzione controlla la propagazione batterica durante il processo di fermentazione e agisce come conservante.
circostanti alla Cina. La salsa di soia odierna si pensa provenga da questo condimento.
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Dopo essere stato introdotto in Giappone, lo sviluppo e la trasformazione dello jiang subì una svolta distintiva: verso la metà del XVII secolo fu definito il processo di produzione della salsa di soia fermentata naturalmente, che iniziò poi a diffondersi in tutto il Paese. La ricerca del quinto sapore, l’Umami, è una questione culturale: si tratta di un elemento basilare della cucina Asiatica ma è proprio in Giappone che trova la sua massima espressione ,anche in termini di tecnologia produttiva. Basti pensare al colosso Ajinomoto, azienda leader nella produzione di glutammato monosodico, ovvero il gusto Umami allo stato puro e cristallino.
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La salsa di soia giapponese è composta da pochi ingredienti semplici: acqua, sale, soia e frumento; ma il processo di produzione è complesso, il ruolo e la selezione degli ingredienti influenza in maniera diretta la qualità e la tipologia della salsa di soia. Oggi la salsa di soia più conosciuta è la Kikkoman, l’azienda giapponese che ha reso globale questo prodotto. Secondo il disciplinare produttivo Kikkoman, ogni ingrediente ha un ruolo ben preciso; le caratteristiche uniche della salsa di soia provengono in primo luogo dalle proteine contenute nei semi di soia. Questi vengono prima immersi in acqua per un periodo prolungato e poi cotti al vapore a
L’ a z i e n d a K i k k o m a n h a selezionato, perfezionato e protetto i microorganismi responsabili del processo di fermentazione degli ingredienti che costituiscono la salsa di soia da loro prodotta. Fin dalla sua fondazione, Kikkoman ha impiegato il suo originale Kikkoman Aspergillus, un ceppo selezionato di Aspergillus oryzae (kōji). L’Aspergillus Kikkoman è miscelato con semi di soia e frumento, opportunamente trattati, che vengono poi trasferiti ad un impianto che fornisce l’ambiente ottimale per la propagazione fungo. Questo processo si traduce nella produzione dello shōyu kōji, di fatto la salsa di soia allo stato grezzo, base essenziale della salsa di soia raffinata commercializzata da Kikkoman. Lo shōyu kōji viene trasferito in tini di grande volume e miscelato con una soluzione salina. Questa miscela è chiamata moromi, una sorta di mosto che fermenta e invecchia nei tini per diversi mesi. Qui hanno luogo diversi processi fermentazione che portano alla formazione di acido lattico, etanolo e una varietà
di acidi organici, che donano al moromi un sapore ricco e l’aroma e il colore tipici della salsa di soia.
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La filtrazione di questo mosto invecchiato ha come prodotto la salsa di soia allo stato crudo, che viene poi pastorizzata e imbottigliata. Lo standard produttivi Kikkoman garantiscono una salsa di buona qualità adatta a tutti i palati, ma la realtà è che esistono molte aziende giapponesi lavorano con metodi tradizionali e manuali non automatizzati, nella convinzione di produrre uno shōyu di qualità nettamente superiore.
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Un esempio è la salsa di soia Marunaka, una realtà produttiva ostinatamente legata alla tradizione: qui i Kura, le vasche di fermentazione, sono riconosciuti dal governo giapponese come veri tesori nazionali. La salsa di soia Marukara ha lo stesso valore qualitativo di un grande vino d’annata.
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La salsa di soia Cinese comprende due varietà di salse: leggera e scura. La prima è molto liquida, ha un colore meno marcato ed è molto salata. La varietà scura invece è più densa e nerastra per l’aggiunta di melassa; di conseguenza, risulta un po’ più dolce della precedente. La salsa di soia Indonesiana (Kecap), così come quella cinese, comprende due tipologie: Asin e Manis. La prima è salata, densa e con un aroma deciso. La Manis è caratterizzata invece da un sapore dolce a causa dell’aggiunta di zucchero di palma o melassa.
IL MISO Il miso è una sorta di pasta di colore generalmente marrone e di consistenza piuttosto singolare, molto simile nell’aspetto e nell’uso al dado vegetale che si usa in Occidente. I semi di soia gialla vengono messi a lungo in ammollo in acqua e sale. In seguito vengono cotti in grandi contenitori e in questa fase
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Esistono inoltre molte varianti nella formulazione della salsa di soia che si differenziano in base al luogo di produzione. La tipologia giapponese risulta più dolciastra e rispetto a quella cinese ha ben cinque varianti: • Koikuchi. Originaria della regione Kantō, viene ad oggi considerata la tipica salsa di soia giapponese. Contiene approssimativamente parti uguali di soia e grano, oltre a sale e lievito. • Usukuchi. Popolare nella prefettura Kansai, ha un sapore più salato ed è leggermente più chiara • della Koikuchi. Questo tipo di salsa contiene spesso anche riso fermentato, glutine di frumento o di amazake.
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Tamari. Ha avuto origine nella regione di Chūbu, contiene principalmente soia ed una piccola percentuale di grano. Saishikomi. Originaria della prefettura di Yamaguchi, si ottiene dalla doppia fermentazione della Koikuchi. Di conseguenza è molto più scura, meno salata ma dal sapore fortemente aromatico. Shiro. Prodotta originariamente nella regione di Aichi, ha una colorazione molto leggera poiché prodotta principalmente con il grano.
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in pasta, secco, dal gusto forte o delicato, con l’aggiunta di alghe, di tofu, di altri cereali. In genere è più facile trovarlo in barattoli di vetro e si presenta come una crema densa e piuttosto solida.
possono essere aggiunti cereali come orzo e riso, per ottenere prodotti con caratteristiche diverse e sapori più delicati. Il composto ottenuto viene poi inserito in tini di legno e inoculato con l’Aspergillus oryzae; l’aggiunta di questo fungo serve per scomporre gli amidi dell’orzo e del riso rendendoli così più facilmente digeribili. Viene poi pressato il tutto e fatto fermentare a lungo. La fermentazione del miso non è mai inferiore ai dodici mesi, in alcuni casi può anche durare due anni.
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Il miso classico tradizionale viene ottenuto mediante procedimenti lunghi e manuali. Si utilizzano tini molto grandi e realizzati in legno di cedro, viene pressato il composto con appositi pesi e lasciato fermentare in acqua e sale dai dodici ai ventiquattro mesi. Il miso industriale differisce da quello tradizionale classico per i tempi di fermentazione che possono durare anche solo poche ore. In questo caso è necessaria la pastorizzazione e l’eventuale aggiunta di additivi per aiutare nella stabilizzazione del composto ottenuto.
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Il miso si utilizza come insaporite in cucina. È un ingrediente immancabile nella cucina giapponese, asiatica e macrobiotica. Oggi è una valida fonte proteica vegetale, utile anche nelle ricette vegane e vegetariane. È un prodotto ben distribuito oggi in tutta Europa grazie alla diffusione dei ristoranti giapponesi e asiatici e ad una maggior sensibilità verso la scelta di alimenti sani e ricchi di proprietà. Si può acquistare il miso nei negozi di prodotti bio ed etnici o in alcuni supermercati della grande distribuzione nel reparto prodotti biologici. Si può trovare in diverse forme:
Ci sono in vendita diversi tipi di miso a seconda del tempo di fermentazione, dell’aggiunta o meno di altri cereali o del colore. Si possono distinguere per colore (similmente alle birre): Shiromiso, miso bianco; Akamiso, miso rosso; Awasemiso, miso misto scuro. Oppure in base agli ingredienti e alla fermentazione: Hatcho miso è il miso di sola soia gialla, con almeno due anni di fermentazione; il gusto è molto forte e salato. Il Kome miso è a base di riso con una fermentazione che varia dai dodici ai diciotto mesi; il gusto è dolce e morbido; Il Mugi miso, a base di orzo con una fermentazione che varia dai diciotto ai ventiquattro mesi, presenta un gusto deciso e intenso. Infine, il Genmai miso (misto), con riso e orzo. Come scegliere quindi il miso? Il migliore è quello sottoposto a processo di fermentazione più lungo. Meglio come sempre scegliere un prodotto certificato biologico, con la provenienza indicata in etichetta. Prestare attenzione che il prodotto non sia stato sottoposto a pastorizzazione.
IL TEMPEH Il tempeh è un alimento estremamente proteico che si ottiene tradizionalmente dalla fermentazione della soia gialla ma che si presta anche alla fermentazione di altri legumi. Ha una consistenza compatta e un sapore deciso, che molte persone associano a quello dei funghi, delle noci o delle nocciole. La fermentazione avviene a opera delle spore del fungo Rhizopus oligosporus o del fungo Rhizopus oryzae, che tradizionalmente si possono trovare nelle foglie di un particolare tipo di Hibiscus in cui il tempeh viene avvolto. Le spore si trovano però facilmente anche in Europa, vengono chiamate “starter” e sono facilmente reperibili nei negozi biologici e online, proprio perché utilizzate per la preparazione del tempeh.
significa appiccicoso, viscido e filamentoso. In realtà il natto ha origini cinesi, ma è poi in Giappone e in Corea che ha trovato maggiore diffusione.
Le sue origini sono da ricercare probabilmente nell’isola di Giava, nell’odierna Indonesia, in cui è tutt’ora un piatto tradizionale. Le prime attestazioni scritte risalgono al XIX secolo, anche se viene prodotto con grande probabilità fin dal XVII secolo. Viene ampiamente utilizzato in tutto la sud-est asiatico e si pensa sia arrivato in Europa per mano degli Olandesi, dopo la colonizzazione. Di certo è il prodotto è stato apprezzato, perché la sua produzione commerciale iniziata in Europa e in America a metà del Novecento ha presto subito una crescita esponenziale che lo ha reso un prodotto ormai ampiamente diffuso e consumato in tutto il mondo tranne che in Italia, dove viene utilizzato come sostituto vegetale della carne. Sarebbe molto interessante studiare come le muffe del genere Rhizopus siano capaci di modificare le proteine animali e con quali vantaggi, similmente al kōji già molto apprezzato per l’affinamento di carni e garum.
Anticamente veniva prodotto avvolgendo la soia bollita nella paglia di riso che, già di natura, presenta in superficie i batteri del genere Bacillus subtilis. Differenti sono invece i metodi di produzione più moderni. A inizio Novecento, i batteri B. subtilis sono stati identificati ed isolati dai ricercatori, portando così alla modernizzazione di questo metodo di preparazione. Oggi, al posto della paglia di riso si utilizzano scatole sterili di polistirolo, in cui i Bacillus subtilis vengono inoculati direttamente sul substrato di soia bollita per iniziare il processo di fermentazione rendendo così il processo, stabile sicuro e ripetibile. I giapponesi sono molto golosi di natto, e lo consumano maggiormente a colazione arricchito con salsa di soia e cipollotti tritati e Karashi (senape), accompagnato con il riso bollito. È improbabile che il bacillo del Natto sia utile nel miglioramento dei prodotti carnei ma sicuramente è un microorganismo candidato alla produzione di fonti proteiche vegetali alternative simili alla soia; infatti in rete si leggono di ottimi risultati su natto a base di lenticchie.
IL NATTO
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Si tratta di un alimento giapponese preparato con la soia gialla (daizu) che viene cotta e fermentata grazie all’azione del Bacillus subtilis, un batterio del suolo, conosciuto anche come Bacillus natto o natto-kin. È un cibo nutriente che non richiede cottura, tuttavia è uno di quegli alimenti che o si ama o si odia perché ha un aroma e un gusto estremamente forte, acre e pungente e una texture che i giapponesi definiscono Neba Neba, una parola giapponese che
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Speciale
GUIDA AI TAGLI
Che noi italiani abbiamo tanto da imparare dai cugini d’oltreoceano sulla carne è un dato oggettivo.
La prova è il numero sorprendente di tagli per le sole bistecche di manzo made in USA: T-Bone, Porterhouse, New York Strip, Denver Steak, Ribeye. Questi sono solo alcuni delle decine di nomi diversi da pronunciare per ordinare una bistecca, contrariamente alle abitudini del suolo tricolore, dove al di là di fiorentina, tagliata e filetto c’è ben poco – e vi risparmio il pippone sul fatto che i primi due non siano tagli di carne, ma modi di cuocere e servire una bistecca – e che col tempo lo sono diventati in nome della “semplicità”. Non stupisce, quindi, che gran parte dei novizi che si affacciano al mondo del barbecue all’americana rimangano spaesati e scoraggiati per il forte uso di termini anglosassoni all’interno delle Community a tema. Pensateci, avete appena scoperto BBQ4All, grazie alla quale realizzate che quello che avete sempre chiamato barbecue in realtà è una grigliata, e che il barbecue – quello vero – è una cosa completamente diversa. Correte a spolliciare su Facebook pieni di entusiasmo e voglia di imparare, e dopo un oretta passata a scorrere i post vi viene il mal di testa a forza di leggere cose come “foil”, “ribs”, “minion method”, “brisket”. E dovete fare ricorso a tutta la vostra pazienza per non mollare tutto e tornare a buttare le salsicce sulla griglia come avete sempre fatto, perché tanto “gli ospiti fanno sempre i complimenti“. Per le tecniche di cottura più importanti siete già a posto, ne abbiamo parlato tante volte sul BBQ4All Magazine. Ma per i tagli di carne? Ecco a cosa servirà questo articolo: per capire cos’è una slab di ribs alla St. Louis, o cosa acquistare se avete voglia di cucinare un brisket. L’obiettivo di questa piccola guida è fornirvi alcune nozioni di base e fare finalmente il punto tra nomenclatura regionale e corrispondenze dei tagli tra Italia e Stati Uniti.
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Tutto chiaro, no?
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I tagli del bovino negli Stati Uniti
Sempre più spesso la confusione regna sovrana fra i griller quando entrano in macelleria, soprattutto nel momento in cui cercano di far capire al proprio macellaio quali tagli di carne italiani corrispondano a quelli americani. Consapevoli che in Italia non esiste una nomenclatura univoca dei tagli del bovino, per cui lo stesso identico taglio è conosciuto con nomi diversi in ogni singola regione (spesso all’interno della stessa provincia basta spostarsi di pochi km e trovare nomi completamente differenti per lo stesso pezzo di carne), ho cercato di fare un po’ di chiarezza, scrivendo un piccola guida c h e spiega a quali tagli italiani corrispondono quelli statunitensi, o almeno da quale parte della bestia vengano ricavati. Non è ancora la guida definitiva, torneremo senz’altro sull’argomento, ma siamo sulla buona strada.
Il Chuck è il collo del bovino, da noi corrisponde indicativamente a due tagli: il reale e il cappello del prete, (o copertina di spalla). È un taglio di seconda categoria, ricco di tessuto connettivo e grasso, ottimo per il bollito, per i piatti in umido e per la carne macinata. La cucina americana si spinge oltre e dal chuck ricava bistecche saporite, tenere ed economiche, le tre chuck steak: 1.
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La denver steak è una bistecca ricavata da un gruppo muscolare molto tenero del sottospalla, estremamente difficile da ricavare senza rovinare l’intero collo. La sua ricca infiltrazione di grasso dona alla carne sapore e morbidezza. La top blade steak si ricava dal cappello del prete; è un taglio abbastanza tenero, diviso in due per lunghezza da una spessa linea di cartilagine, eliminandola si ricavano due filetti chiamati flat iron steak, che di fatto sono bistecche a fibra lunga che vengono servite
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scaloppandole contro fibra per agevolare la masticazione; dall’inizio del ventunesimo secolo stanno avendo un buon riscontro nei ristoranti americani perché costano la metà di un filetto. La 7 bone steak è una bistecca molto saporita e ricca di collagene; si chiama così perché il suo osso ha la forma di un sette e perché è ricavata dalla parte del collo composta da sette fasci muscolari. In Italia questo taglio è completamente sconosciuto perché considerato estremamente tenace, buono solo per i brasati, per la carne macinata e per gli spezzatini.
L a vegas strip steak è una bistecca giovane, introdotta dallo scienziato Antonio Mata nel 2011; anch’essa ricavata dalla zona sotto-scapolare del bovino, ha una buona infiltrazione di grasso che dona tenerezza e un sapore deciso alla carne. Le ribeye steak sono bistecche prelevate
dal costato del bovino, hanno generalmente uno spessore tra i 2/3 cm e peso variabile. La carne tra le costole è ricca di grasso, per cui le ribeye sono molto marezzate, saporite e tenere. Sono le bistecche entry-level, piacciono praticamente a tutti. ll brisket è la punta del petto del bovino, in Italia è semplicemente “il petto”. È un taglio di seconda categoria dalla carne dura e stopposa, e per questo trasformato nelle lunghe cotture (bollito, stracotto) o in carne macinata. Negli USA è iconico e cucinato al barbecue in low&slow, la tecnica che rende questa carne tenera e con un buon gusto di affumicato. Il brisket è composto da due gruppi muscolari: il point e il flat, uniti tra di loro da uno spesso strato di grasso. Il flat è la parte più magra, vicina al costato del bovino. Il point è la parte esterna del petto, ricoperta da uno strato chiamato fat cap.
Le beef ribs corrispondono in Italia
Il cuberoll è ricavato dal costato del bovino, più precisamente dalla sesta alla decima vertebra e corrisponde alla nostra costata senza osso (negli USA dalla sesta alla dodicesima costa). Ha una buona marezzatura ed è perfetto per ricavare delle ottime bistecche. Il roast beef è un taglio molto amato dalla cucina inglese. Corrisponde alla nostra lombata e viene ricavato tra la sesta e la nona vertebra, dove la carne è più ricca di grasso. Il tenderloin e il sirloin sono il filetto e il controfiletto. Appartengono entrambi alla prima categoria dei tagli del bovino. La t-bone e la porterhouse sono due classici delle steakhouse americane, in Italia corrispondono entrambe alla fiorentina. Sono entrambe ricavate dalla lombata fino alla dodicesima vertebra, ma non si può dire che siano identiche: la portehouse ha il filetto più grande del controfiletto, la t-bone ( si chiama così perché il suo osso ricorda una “t”) ha il controfiletto più grande del filetto. La New York strip steak è un altro classico delle steakhouse statunitensi; è una bistecca di controfiletto, ha poco tessuto connettivo ed è morbida e saporita. Il trip tip corrisponde a quello che noi chiamiamo spinacino (o la tasca del manzo), usata per preparare arrosti ripieni. È un taglio di forma triangolare, poco spesso e magro. Adatto a cotture veloci, si può anche marinare per rendere la carne più morbida e interessante. Il taglio hanging tender per noi è il lombatello; è un
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Lo shank e l‘hind shank sono il geretto anteriore e il geretto posteriore (lo stinco del bovino, privo del polpaccio). Il geretto è un taglio poco pregiato perché povero di carne ma ricco di tessuto connettivo e di tessuto osseo; rimane un taglio molto appetibile per gli amanti del midollo osseo.
al biancostato e per i nostri macellai rappresentano un taglio misterioso perché considerato tenace e buono solo per il lesso o per gli spezzatini . Tra le altre sue caratteristiche, questo taglio ha una buona infiltrazione di grasso tra le fibre della carne. Anche gli americani si sono accorti che è carne dura, ma con una lunga cottura barbecue di circa 8 ore, a bassa temperatura e di circa 110 centigradi, la consistenza si trasforma.
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pezzo sottile, povero di grasso, che vuole una cottura veloce, al sangue. Da questo taglio del costato gli americani ricavano la hanger steak, incredibilmente tenera sia cotta in velocità che “media”. La flank steak è la pancia del bovino, conosciuta da noi con il nome di bavetta. È un taglio sottile, dalle fibre lunghe, povero di grasso ma ricco di tessuto connettivo che lo renderebbe immasticabile se non trattato nella maniera opportuna. È consigliabile infatti marinare per qualche ora la flank steak (ad esempio con salsa teriyaki) e poi cuocerla velocemente in diretta con il metodo flip&brush (gira e spennella), ricordandosi poi di tagliarla a fettine sottili e contro-fibra. La skirt steak corrisponde ai lombetti, sottili pezzi di carne collegati al diaframma. È un taglio di carne sottile e tenace che la cucina italiana snobba alla grande, mentre negli USA in Messico e nell’America Latina è molto apprezzato per il suo sapore intenso.
Viene grigliato e servito a fettine, ed è ottimo con la salsa chimichurri (salsa a base di prezzemolo/ coriandolo, aglio e peperoncino). La picanha è un taglio tipicamente brasiliano. Diventato molto popolare anche da noi in Italia, corrisponde al codone o copertina dello scamone. Nella picanha è fondamentale che la copertina di grasso di 2/3 cm che la ricopre non venga tolta durante la cottura, perché il grasso, sciogliendosi, andrà a ungere e insaporire la carne magra. Il rump (scamone), è il gluteo del bovino, ha una percentuale di grasso molto bassa, ma rimane una carne morbida e saporita. Gli americani dal rump ricavano la rump steak. Il taglio “round” in Italia corrisponde alla coscia i cui tagli principali sono: 1. knuckle (noce) un taglio di prima categoria, privo di osso, molto magro ma comunque tenero. La cucina italiana lo destina a cotture veloci sotto forma di bistecche e carne macinata di elevata qualità. 2. t o p r o u n d ( f e s a ) , corrisponde alla parte interna della coscia del bovino, è un taglio a fibre lunghe, magro come tutti i tagli che compongono la coscia. In Italia si trasforma in fettine deputate a diventare scaloppine, involtini, cotolette. 3. bottom round (sottofesa) un taglio di prima categoria, magro, povero di tessuto connettivo ma tenero e ricco di sapore. “Da noi” diventa bistecche, carne macinata di alta qualità e arrosti.
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Anche gli americani lo trasformano in round steak, bistecche magre con poche infiltrazioni di grasso.
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I tagli del bovino in Italia
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Cosa succede ai bovini quando vengono macellati? E come vengono sezionati nello stile della macelleria italiana?
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MEZZENA Dopo l’abbattimento, al corpo dell’animale vengono rimosse la testa, la coda, la pelle, le estremità delle zampe e nelle femmine anche le mammelle: ciò che rimane è la carcassa. Questa viene poi tagliata lungo la linea dorsale e si ottiene la mezzena, ovvero ciascuna delle due parti che formavano la carcassa. È durante questa operazione che si estrae il midollo spinale dalla colonna vertebrale. La mezzena è costituita da tredici costole e viene suddivisa in quarti.
QUARTO ANTERIORE La mezzena viene quindi ulteriormente sezionata in quarto anteriore: generalmente viene tagliato a cinque coste con pancia e i primi tagli – che a loro volta verranno sezionati in parti più piccole – sono spalla, sottospalla, collo, punta di petto e pancia. SPALLA Con “spalla” si indica la zampa anteriore dell’animale. Ha una discreta marezzatura e una volta disossata può essere sezionata in vari pezzi. Tutti questi tagli si prestano a vari tipi di cottura. Trento Ancona Venezia Genova Perugia Roma L’Aquila Potenza Reggio Calabria
festone di spalla gioietta zogia / muscolo di spalla gallinetta dado pulcio lu pesciatt’ colardella spasciatura
BRIONE È un taglio dell’anteriore, in particolare della spalla. Non ha una forma ben definita. Torino Roma Bari Bologna Catania
nocetta di spalla pulcio gamboncello polpa di spalla / passerotto ovo di spalla
polpa di spalla spalla spallone
FESONE DI SPALLA È un taglio dell’anteriore, situato nella spalla. Ha forma rettangolare e la carne è grassa e fibrosa. Milano Venezia Genova Firenze Bologna L’Aquila Macerata Parma Napoli Palermo
fesone scapìn sopra paletta cotonetto o ciangolino polpa di spalla nosetto di spalla magro di spalla o gioietta polpone spalla piano di spalla
FUSELLO È un taglio dell’anteriore. Ha forma affusolata ed è molto magro. La carne risulta saporita e lievemente gommosa. Belluno Bologna Macerata Napoli Calabria Bari e Foggia Palermo Roma Catania
girellino di spalla polpa di spalla magro di spalla lacertiello spadda o ovu lacertino di spalla sfacciatura sbordone osso di spalla
TAGLIO REALE Il taglio reale è ricavato dai muscoli delle prime 5 vertebre dorsali anteriori (muscoli intercostali e gran dorsale). La carne è abbastanza magra. In Italia diventa quasi sempre bollito, stracotto e arrosto. Milano e Vicenza Bari e Foggia Venezia Napoli Trento Bologna Treviso Palermo Reggio Calabria Messina
biancostato appiccatura bongiolo corazza costamozza costata fracosta gabbia gabbia piatto di costa
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CAPPELLO DEL PRETE Chiamato anche ala di spalla, copertina di spalla o “paletta”. Si tratta fondamentalmente dei muscoli della spalla. Ha forma lunga e stretta ed è ricco di grasso, che varia dal 4% al 7%.
Bologna, Roma Napoli Messina
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Genova Firenze Macerata Padova
ossette o scaramella restringitura scadinata scorzadura
BRACIOLA REALE La braciola è il taglio ricavato dalla parte anteriore del dorso del bovino tra il collo e la lombata. Si presta a cotture al forno come arrosti e brasati e si addice per la realizzazione di spezzatini e cotolette. Macerata Padova Belluno Treviso Parma e Verona Roma Perugia Napoli Messina e Palermo Rovigo Bari e Foggia Potenza Mantova Genova e Torino Bologna Firenze Milano r Venezia s Reggio Calabria
bistecca di costa braciola di costa braciola di sottospalla braciola reale braciole costa costa fibrosa costale o coverta costata costata costate rigate costato di quarto coste doppie costola fallata di lombo polso roast beef schiena scorcia di spadda
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SOTTOSPALLA È un taglio del quarto anteriore (la continuazione della lombata), per questo ha caratteristiche molto simili. Il suo prezzo tuttavia rimane più basso. Di forma rettangolare, può pesare fino a 10-12 kg. È un taglio pieno di ciccia, ma bisogna distinguere tra le due parti principali: una costituita da muscoli teneri (precisamente il prosieguo della costata), che si trasforma solitamente in bistecche e arrosti; l’altra costituita da muscoli duri (quelli verso il collo), che in Italia si usa per fettine e scaloppine.
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Aosta Vicenza Genova Firenze Macerata Roma Bari Reggio Calabria
coi sottocoperta matamà polso collo fracosta rosciale lattughello
PANCIA È un taglio poco pregiato e dal costo contenuto. Se l’animale è di stazza grossa, la sola pancia può arrivare a pesare 40 kg. I suoi muscoli vanno dall’obliquo interno dell’addome, che è tenero, ad altri più duri. Accanto alla pancia si trova il diaframma (detto anche “cartella”), muscolo respiratorio che diventa eccezionale per fare il ragù. La percentuale di grasso in questo taglio è alta per i più (per me no): va dal 7% al 10%. L’unica parte veramente magra è il “vuoto di pancia”, che si può cuocere in griglia o su piastra, per preparare una bistecca tenera e succosissima. Genova Bologna Bari Palermo
ossette doppione pancettone bruschetto
BAVETTA Si ottiene eseguendo un taglio triangolare sulla pancia del bovino, esattamente nella parte superiore in corrispondenza del filetto. È un taglio non particolarmente pregiato ma tenero, grasso e gustoso. È davvero popolare in Francia. PUNTA DI PETTO È propriamente una parte dell’anteriore. Consiste nel finale della spalla e l’inizio del sottospalla. La carne è dura e stopposa, ricoperta di grasso (che varia dal 4% all’8%). I due muscoli che lo compongono sono i pettorali profondi e i pettorali superficiali. Treviso Firenze Roma Ancona Reggio Calabria Cagliari Palermo
fiocco forcella petto grosso petto punta di pettu polpa di petto brischetto
GERETTO ANTERIORE Il geretto è lo stinco del bovino. Quello anteriore, costituito da una parte ossea, è la terminazione della spalla. I suoi muscoli sono flessori ed estensori delle falangi – questi ultimi simili a quelli delle dita, del carpo e del radiale. Si tratta quindi di un taglio caratterizzato dalla presenza di ossa e tessuti connettivi. All’interno del tessuto osseo troviamo il midollo (grasso e saporito). I geretti interi vengono usati
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per fare l’ossobuco (ed essere poi porzionati) oppure disossati per fare i bolliti. Milano, Padova Trento Bologna L’Aquila Roma Bari Catanzaro Palermo
ossobuco stinco o ossobuco anterna lacerto muscolo gamboncello pisciuni piscione
QUARTO POSTERIORE La mezzena viene quindi ulteriormente sezionata nel quarto posteriore: viene tagliato a otto coste, che vengono poi sezionate in tre tagli principali, cioè coscia, lombo e pancia, successivamente tagliati in parti più piccole. SCAMONE È un taglio pregiato della coscia, magro (presenza di grasso fra il 3% e il 4%), tenero e di forma allungata. Posto nella parte posteriore della coscia vicino alla lombata, è formato da grandi masse muscolari. Caratteristica la sua tenerezza, in Italia si taglia sotto forma di bistecche. Trento Aosta Bologna L’Aquila Campobasso
straculo sottofiletto controfiletto scannello colarda
NOCE Questo taglio è situato vicino allo scamone, ma nella parte posteriore della coscia. È composto da quattro muscoli e ha una forma rotondeggiante. È anche magro, con una percentuale di grasso che varia dall’1% al 4% a seconda della provenienza dell’animale.
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Torino Roma Bari, Potenza Catania Catanzaro
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boccia grande rosa pezza a cannella vausa brusa
SPINACINO Detto anche piccione, è un taglio della coscia, situato sotto la noce e attaccato allo scamone. Presenta
una forma triangolare. Generalmente sul suo italico ha due utilizzi: se proviene da carni di scottona viene trasformato in fettine di seconda scelta, mentre se è di vitellone si utilizza per fare lo spezzatino o il macinato. Genova Ancona Molise
fiocco fianchetto il dito
FESA È uno dei tagli più pregiati. Si trova nella parte interna della coscia, ha forma triangolare e grandi dimensioni. È formato da cinque muscoli tendenzialmente teneri, perciò viene usato per fare roast-beef e bistecche. Con una percentuale di grasso che varia dall’1% al 4%, rientra nei tagli magri. Bologna Roma Napoli Catania
scannello noce o scannello natica sfasciatura
SOTTOFESA È uno dei tagli più grandi e lunghi della coscia e mediamente pesa 7-8 kg; ha forma rettangolare. Occupa la parte esterna e inferiore della coscia. Il suo muscolo principale è il bicipite femorale, abbastanza duro. È un taglio magro: il contenuto di grasso varia dal 4% al 7%. Dalla parte finale lunga si ottiene la punta di sottofesa, detta anche picanha, tipico taglio cucinato nei paesi sudamericani. Milano Bologna Napoli Bari Reggio Calabria
nervetto mozzicone pescione piscione pisciuni
CODONE È un taglio della coscia e consiste nella parte finale della sottofesa (la picanha in pratica). In Italia si usa prevalentemente per stracotti o alla griglia. Verona Bologna Messina Torino Genova
fesa culatta contro lacerto coscia in fuori lacerto
MAGATELLO Il girello o magatello è un taglio di prima scelta. È formato da un solo muscolo ed è situato nella coscia, vicino alla fesa e alla sottofesa. Parliamo di un taglio poco grasso (dall’1% al 4%), con un peso variabile da 2 a 4 kg. Aosta Trieste Milano Torino Genova Bologna, Ancona Roma, L’Aquila Bari,Napoli Catania, Palermo
tondeun tajo bianco magatello coscia rotonda rotondino girello girello lacierto lacierto
CAMPANELLO È un taglio della coscia, situato per la precisione dietro la tibia: è il polpaccio dell’animale insomma. Di forma affusolata, contiene il tendine d’Achille e i flessori delle falangi. È un taglio magro con una percentuale di grasso fra l’1% e il 3%. Torino Firenze Bari Palermo
bocca piccola callo del campanello piscione imperatore
LOMBATA La schiena è composta da 13 costole. Nei tagli moderni si distingue tra le prime cinque costole, dalle quali si ottiene la lombata con osso, e le restanti otto, dalle quali si ottiene il lombo. Quest’ultimo, a sua volta, viene suddiviso in due parti: dalle cinque costole finali si ricava la fiorentina senza filetto, mentre dalle tre costole anteriori la fiorentina con filetto.
filetto. È un taglio molto saporito e viene generalmente grigliato. FILETTO È il taglio più pregiato e più costoso dell’animale. Essendo situato sotto la zona lombare, che consiste in un fascio di muscoli praticamente inattivi, la carne è molto tenera. Il suo peso varia a seconda dell’animale: si va dalla vacca a fine carriera (1 kg) fino al vitellone (5 kg). Si può staccare intero o lasciarne la parte lunga nella sede naturale, unita alle lombate. In questo caso si otterrà la fiorentina con filetto. La parte restante – più propriamente detta testa del filetto – è la più grossa e viene venduta separatamente. In cucina è l’ideale per arrosti e tagliate. La denominazione in Italia è la stessa in tutte le regioni. GERETTO POSTERIORE Il geretto è lo stinco del bovino. Quello posteriore è invece lo stinco stesso, che comprende la tibia. I suoi muscoli estensori sono quelli che permettono il movimento delle falangi e quelli flessori il movimento delle zampe. Si tratta quindi di un taglio caratterizzato dalla presenza di ossa e tessuti connettivi. All’interno del tessuto osseo troviamo il midollo (grasso e saporito). I geretti interi vengono usati per fare l’ossobuco (ed essere poi porzionati) oppure disossati per fare i bolliti. Trento Venezia Bologna L’Aquila Roma Bari Catanzaro Palermo
stinco geretto lanterna lacerto muscolo posteriore gamboncello pisciuni piscione
CUBEROL Il cuberol è un taglio grasso (dal 6% a un massimo di 11%), è formato da nove muscoli e confina con il filetto vero e proprio. È uno dei tagli più grandi dell’animale, nonché il più pregiato in assoluto dopo il filetto. Può anche essere disossato per ottenere il controfiletto (che costituisce la parte centrale del lombo). BBQ4All Magazine
ENTRECÔTE Detto anche costata, si ottiene dalla parte finale della lombata, cioè dalle tre costole separate dal
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USA
ITALIA
PIEMONTE
LOMBARDIA
Denver steak
Coperta di reale
Fondo del fermo di spalla
Sottospalla, parte anteriore della fesa di spalla
Top Blade
Cappello del prete
Arrosto della vena
Cappello del prete
Vegas Strip
Aletta di spalla
Aletta di spalla
Aletta di spalla
Brisket
Punta di petto
Punta di petto
Punta di petto
EMILIA ROMAGNA
Esterno del reale
Sottospalla
Cappello del prete
Ala di spalla
Copertina di sotto della spalla Punta di petto
Punta di petto senza osso
Scaramella in Costina con osso osso
Ossette
Costa da bollitto (3-6ª costa)
Ribeye
Reale con osso
Parte del controfiletto
Costigêua senza cuiga (copertina)
Costata scalzata
Cube roll
Sottofiletto spesso
Parte anteriore della lombata
Costigêua intera senza cuiga (copertina)
Parte del roastbeef
Lombata carrè
Parte del roastbeef
Lombata
Teres major
Parte del sotLombata tofiletto Falso filetto
Filetto dell'ebreo
Filetto dell'ebreo
Sezione della copertina di sotto
Punta di petto
Lombata lombo
Chuck roll
Reale
Tenerone
Reale
Matamà
Cuore del reale
Reale
Rump
Scamone
Primo taglio
Scamone
Cascia
Sottofiletto
Scanello
New York strip
Controfiletto
Parte del sot- Parte del tofiletto controfiletto
Lonza nel controfiletto
Controfiletto
Lombata
Trip Tip
Spinacino
Fiocco
Spinacino
Sottopesce
Spinacino
Piccione
Costello
Lombo
Lombatello
Lombatello
Bavetta
Sabrina
Vuoto di pancia
Bavetta o Tabarin
Codone
Sottocoscia - punta du belín
Punta di sottofesa
Traculo
Magatello
Rotondino di cascia
Girello di coscia
Girello
Diaframma
Cadea
Diaframma
Hanger steak Lombatello
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Sottopaletta
VENETO
Beef Ribs
Roastbeef
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LIGURIA
Flank steak
Bavetta
Picanha
Codone
Eye round
Girello
Skirt
Diaframma
Spider steak
Tasca
Rotonda
Scheneletto
TOSCANA
MARCHE
Copertina
LAZIO
MOLISE
CAMPANIA
PUGLIA
SICILIA
Copertina
Copertina di reale
Copertina di reale
Copertina di reale
Farfa superiore
Sorra
Gioietta o pietrata
Armone
Paletta
Palettina
Paletta
Cannolo di spalla
Sottopaletta
Sottopaletta
Filetto del povero
Coperta di spalla
Pettola di spalla
Copertina di spalla
Pala di spalla
Punta di petto senza osso
Punta di petto con fiocchetto
Punta di petto
Punta di petto
Soprapetto
Punta di petto
Sottospalla
Costole
Scalinata con Stecche osso
Copertella con osso
Corazza
Barraccone
Bollito
Bistecca nella costola o costata
Bistecca senz'osso
Filatura di arrosto
Prima costa
Bistecca nella costata senza osso Lombata disossata
Lombo
Lombo
Lombata
Lombata
Lombo
Costata con osso
Pescetto
Filetto del povero
Coperta di spalla
Pettola di spalla
Copertina di spalla
Filetto di spalla
Collo disossato
Reale
Arrosto disossato
Costata senza osso
Costata di collo
Bistecca di collo Culaccio
Culatta
Pezza
Scamone
Colardella
Colarda
Tenero di codata
Controfiletto
Lombo
Lombatina
Pezzo a cannella
Scorzetta
Scorzetta
Trinca
Tasca
Dado
Piccione di rosa
Fiocco
Primo taglio
Fiocco
Judisco
Lombatello
Pannicolo
Luntuorno
Cadduzzo
Testa di filetto
Diaframma Tasca
Tasca
Fianchetto
Fianchetto
Tasca
Panza/ falce lunga
Punta del lucertolo
Punta della finta
Attaccata allo scamone
Coperchio di scamone
Punta di dietrocoscia
Triangolo
Pala di codata
Girello
Girello
Girelllo
Girello
Lacierto
Girello
Lacierto
Pannicolo
Diaframma
Striscia di luntuorno
Pennela
Diletta
Diaframma Ragno
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Bavetta
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I tagli del suino in Italia
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Come si suol dire, “del maiale non si butta nulla”, non troverete scarto dalla macellazione del porcello. In effetti, tanto nella cucina italiana quanto in quella internazionale, il maiale viene cucinato in tutte le sue parti, persino orecchie e coda. La carne di maiale è buona fresca, lavorata o stagionata, l’importante è che siano cotta nella maniera corretta. Nella nostra penisola il taglio più conosciuto del maiale è sicuramente il prosciutto, che stagionato è un vanto dell’industria tricolore.
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SPALLA La spalla ha la forma di una racchetta da tennis. È un muscolo che lavora molto e quindi ricco di tendini e nervi. La spalla è l’alternativa al prosciutto cotto, viene utilizzata per preparati e macinati come la salsiccia e gli arrosti. COPPA È il prosieguo del lombo verso la testa, detta anche “capocollo”. Può essere utilizzata per la stagionatura. PANCETTA Si trova sotto la pancia dell’animale e ha un’alternanza di grasso e di magro. Può essere affumicata o stagionata. PUNTINE Le nostre “ribs”. Comprendono la parte terminale del carré e arrivano fino alla pancia. PETTO Si tratta di una delle parti meno pregiate ed è il terminale della pancia verso la testa dell’animale. Taglio molto grasso. GERETTO ANTERIORE Dal geretto, detto anche stinco, si ottiene l’ossobuco, che è una delle pietanze tipiche dei paesi un po’ più a nord. È la parte superiore della zampa che si trova sopra il piedino a contatto con la spalla. PROSCIUTTO È la coscia del suino. Una volta tolto lo zampetto e rifilato il pezzo, la parte grassa viene destinata alla stagionatura, mentre il prosciutto magro è utilizzato per fare lo speck.
SOTTOFESA Taglio della coscia, di forma allungata è un taglio pregiato tendenzialmente magro. LOMBO Detto anche carré (o arista), non è altro che la sezione schienale che va dalla settima costola fino alla coda. All’interno troviamo il filetto. Il carré con osso tagliato a fette è la braciola, che viene apprezzata molto nelle grigliate, ma si può fare anche arrosto. Dal carré disossato si ottiene la lonza. FILETTO Di forma triangolare, sottile e allungata (circa 10 cm), viene usato intero o tagliato a fette per fare medaglioni. GERETTO POSTERIORE Dal geretto, detto anche stinco, si ottiene l’ossobuco, che cotto al forno è una delle pietanze più tipiche dei paesi germanici. TESTA Della testa non si butta via nulla. Troviamo la lingua, muscoli, orecchie e guance. ZAMPE Sono le parti terminali delle gambe. Sono corte e muscolose e sono dotati di due zoccoli centrali e speroni laterali, con una cotenna spessa. E ci fermiamo qui, per poi tornare a bomba sull’argomento, e in modo ancora più specifico. Voi sbrigatevi, che il weekend si avvicina e la carne finisce.
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SCAMONE È un taglio della coscia tendenzialmente magro. Di forma rotonda ha poche venature muscolose.
NOCE Taglio della coscia. Si trova tra lo scamone e la sottofesa. È un taglio magro.
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Il Listone Spiaggista Seguo.
a cura di Emiliano Nencioni
Canicola, afa, gelati che si squagliano colando fino alla punta del gomito, hit estive sincopate di reggaeton e creme solari cocco e burro di karitè mal si conciliano con introspezioni profonde, parallelismi arguti e approfondimenti sulla corrente surrealista o riflessioni sul coraggio antinuclearista di Werner Heisenberg: si configurerebbe proprio uni incitamento alla sudorazione. Questo porta naturalmente a una difficile fruizione estiva della Rubrica Seguo, la rubrica più autoreferenziale, boriosa e fuori contesto di tutto il microverso della cottura su fiamma. Ma possiamo rinunciare a due paginette di elucubrazioni irrilevanti? Non direi.
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Deludere i lettori non è ammissibile, ma soprattutto poi si incasina tutta l’impaginazione del mensile e vi ritrovate foto a tutta pagina di faccioni ammiccanti intenti a grigliare pannocchie, messi lì per riempire il buco.
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É per questo che vi propongo lo Speciale Seguo Fresh, o Seguo Sprint, o Seguo Zero - non sono mai stato un asso nel naming - , una parentesi a-culturale facile facile, senza velleità formative, senza risvolti introspettivi, piena di facile e sbrigativa ironia da godersi con le facoltà mentali ridotte tipiche dei periodi anticiclonici. Niente è di più facile fruizione di una bella “lista di”, e si fa pure prestino a scriverla:
10 COSE DA NON FARE PER NON SEMBRARE COMPLETAMENTE IDIOTA SUI SOCIAL NETWORK
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(ricchi premi a chi saprà cogliere il riferimento “ogni parola una lettera maiuscola”)
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IL PROFILO DI COPPIA Seriamente? Ancora? Dopo tutti questi anni di stigma sociale e vergogna? Il profilo di coppia nacque, nell’infanzia di Facebook datata 20072008, sotto la spinta di entusiasti nipotini che volevano i nonni o gli zii rintracciabili nel loro social network preferito: Famiglia Sicofanti, Paglianti Nonno&Nonna e altre variazioni sul tema erano dei teneri tentativi di stare vicino ad una famiglia ormai digitalmente avanzata e non più avvezza alle troppe telefonate. Successivamente subentrò il momento dell’imbarazzo, quando giovani coppie decisero (non si sa quanto spontaneamente) di usare un unico account per le comunicazioni rivolte ad entrambi, visto che “non abbiamo nien-
te da nascondere”. Gli account Mario Giovanna Esposito Bruseghin fanno parte di questa razza. Scrivi a Mario, lo legge Giovanna; rispondi in un thread, e ti tagga “Mario Giovanna”. A entrambi la cosa ha iniziato a dare fastidio dopo tre giorni, ma nessuno dei due ha il coraggio di chiedere all’altro la pietosa terminazione dell’account, per non sentirsi incolpato di voler fare le cose di nascosto dalla controparte.. L’inevitabile corollario è che entrambi hanno un altro account segreto sotto falso nome, che non controllano da applicazione ma da finestra in incognito del browser. Chi pensa “oh, che simpatico, tuttavia il nostro profilo di coppia è un’eccezione, siamo contenti di averlo e non abbiamo account segreti” si sbaglia. Chi continuasse a pensare “proprio sagace, in realtà noi siamo realmente un’eccezione” è davvero senza speranza. SCIMMIOTTARE IL GURU O IL “CAMPIONCINO” DEL GRUPPO Ogni gruppo online ha qualche persona più letta, più apprezzata, più ascoltata, più autorevole degli altri. Di solito è una personalità in qualche modo interessante per come si esprime o per il modo di fare, e quindi facilmente riconoscibile fra gli altri. Alcuni inguaribili ottimisti sono portati a pensare che quel piccolo successo mediatico, quella facilità nell’essere ascoltati o nel far percepire valore alle proprie parole sia dato proprio da certe caratteristiche nel linguaggio: catastroficamente iniziano ad imitare, sfociando poi in patetiche e grottesche caricature. In maniera impietosa tutti si possono accorgere dell’uso ossessivo delle stesse battute, delle stesse espressioni e anche un certo riciclo della stessa “stage persona” dell’idolo in questione. Mi viene sempre in mente un vecchissimo cartone animato Hanna&Barbera con il cagnolino minuscolo e scodinzolante tutto agitato che cercava di imitare il fiero e possente pitbull: niente riscatto nel lieto fine tuttavia per questi scimmiottatori
perenni. Bonus: nessuno ha mai l’ardire di dirlo chiaramente, ma il guru di turno non si pregia affatto di questi vostri tentativi, tutt’altro. Date proprio fastidio già dopo la terza - quarta imitazione. COMMENTARE IN DIALETTO SOTTO POST INTERNAZIONALI Per carità, bella la varietà linguistica, belle le tradizioni e le musicalità dialettali. Preserviamole e coltiviamole. Sentitevi liberi di farlo commentando un post di “Sei Di Chioggia Se…” o “Campocatino Today”, ma francamente che senso può avere rispondere a Lady Gaga in sardo? Stiamo argomentando su un qualsiasi argomento in un post a visibilità nazionale o internazionale, per quale motivo rispondere con un motteggio tipico di Vagli di Sotto, che già perde significato a Vagli di Sopra? (località realmente esistente) Il motivo spesso è che all’autore del commento la cosa sembra estremamente divertente e arguta: senti come ti rispondo con la saggezza millenaria del mio popolo! Il problema è che diverte solo l’autore. USARE DIALETTI E VERNACOLI CHE NON TI APPARTENGONO Corollario del precedente. A partire da “la hoha hola hon la hannucca horta” (maledetti) a tutte le volte che usate le D al posto delle T e le G al posto delle C per impersonare lo stereotipo della persona ignorante, siete inevitabilmente offensivi, irritanti, beceri, inutili, scontati. Usate il vostro dialetto o vernacolo e non cercate di ridicolizzare le tradizioni altrui. Dà solo molto fastidio e non ci fate una bella figura.
COMMENTARE GLI ARTICOLI DEI QUOTIDIANI ONLINE …a prescindere da cosa decidiate di scrivere. Scrivete cose irrilevanti, che non cambieranno le cose e che non porteranno nessuna bella discussione. Al massimo potete aspettarvi offese e contraddittorio da altri personaggini un po’ anziani e un po’ ridicoli che hanno in massima parte l’esigenza di passare il tempo quando sono assisi sul loro trono in ceramica. Bonus: i vostri commenti porteranno in evidenza il post del quotidiano online, col vostro commento in primo piano, nei feed dei vostri contatti. Questi stessi vostri contatti, ogni volta, pensano “ma ancora ‘sto beota che perde tempo a commentare ‘sto schifo di giornale”: diverrete sempre più detestabili, con incrementi di fastidio in una precipitevole progressione geometrica.
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RIVOLGERSI ALLE PERSONE MENZIONATE NEGLI ARTICOLI COME SE LEGGESSERO Questa non me la spiego. A meno che non siate ottuagenari e abbiate completamente frainteso lo scopo e la visibilità di un articolo, non ha assolutamente senso. Mi riferisco all’usanza di posizionarsi nei commenti di un articolo su, ad esempio, la carriera di una star di Hollywood, e mettersi a battibeccare come se stessimo mandando una raccomanda-
ta a casa dell’attore. “Eh Robert mi piacevi tanto quando facevi quei bei film drammatici ma da quando fai i cosi dei supereroi col mantello e le fiamme dalle mani non ti guardo più, dovresti smettere”. E Robert ti ascolta sai? “Dovresti concentrarti più sulla tua bella voce, non stare sempre con tuttecose di fuori, ti preferivo quando eri timida e con gli occhiali”. Bonus: contrariamente a quanto le varie call to action possano farti credere, la tua opinione non conta niente. E nessuno ti legge, a parte i tuoi colleghi e altri tuoi contatti che penseranno “ma che rintronato, parla alle celebrità nei commenti delle webzine”.
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COMMENTARE TAGGANDO QUALCUNO Esiste l’opzione “Condividi”, e potete inviare il post o la conversazione in vari modi. Trovarsi centocinquanta commenti “Franco - Sandra - Gigi - Immacolata - Bepi” è seccante oltremisura. É quasi come scrivere “Seguo”, ma più altruista.
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ESPRIMERE GIUDIZI DA VECCHI/IE BAVOSI/E (Specie se lo siete davvero) Onestamente, a nessuno interessa sapere “cosa gli faresti” o quali sarebbero state le reazioni “ai tuoi tempi”. Certi profili sono gestiti da persone che sanno già di essere provocanti, belli, belle, sensuali, etc.Il vostro commento non influirà in alcun modo sulle probabilità di un incontro o su una possibilità di provare in modo inequivocabile il vostro valore. Bonus: molto facilmente il commento finirà evidenziato nel feed del vostro nipotino o della giovane stagista in ditta, che non potrà far più a meno di guardavi con un occhio molto diverso e molto imbarazzato, specie se avete puntato tutto sulla figura di quello integro e di sani princìpi. Consiglio, in mancanza di sfoghi alternativi, il classico profilo fake.
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FARE UN MILIONE DI POST SU QUANTO SIETE ATTACCATI A VOSTRA MOGLIE/MARITO/ COMPAGNO Sapete cosa è bello? Dirlo a voce, anche in privato magari. Agli altri non interessa.Se vi mettono il
like è per consolarvi. Siete grati di qualcosa? Dimostratelo. É il vostro anniversario? Suggerisco una bella cenetta. Non scrivetelo sui social, tutti vogliono bene a qualcuno, non siete affatto speciali, non siete assolutamente una coppia unica, e non crediate che nessuno si accorga di quanto siete pieni di menate. AUGURI! Fatela finita. Non riuscite a esser presenti nemmeno per le persone più vicine, poi una notifica vi obbliga a fare gli auguri e allora impestate di frasi inutili bacheche, feed, chat di gruppo, ripetendo per almeno tre righe la solita emoticon. “Grazie per gli auguri siete stati tantissimi non so se riuscirò a ringraziarvi uno per uno”. Ma ci credi sul serio? Ti rendi conto che è tutto frutto di una notifica facilmente cliccabile? Ti sei sentito “volutobbène”? Ricordati di quella chat di gruppo dove ci sono tutti gli altri e tu no. Cari lettori, avete gradito la versione mononeuronica della rubrica? La volete anche per Agosto? In tal caso scrivete “ Voglio la Seguo Sprint” (o Zero, o Cool, o Sunny, mettete cosa vi pare che renda l’idea) in un posto dove possa leggerlo. O dove dia fastidio, tipo nei commenti di un quotidiano online o in quelli di una seriosissima call to action aziendale.
Emiliano Nencioni
CLUB
Direttam e n t e dalla commu n i ty d i ma e s t r i di barbecue pi ù grande d’Itali a, nas ce i l pres ti gi o s o club ch e t i offre la po s s i bi li tà di avere: acc e s s o p r io r ita r io a l m ega s to re, dove p ot ra i fa re ra zzi e mentre tutti gli altri “ s o no i n coda” ; u na p rogra m ma z i o n e int elligent e dei tuoi acquis t i gra zi e a l cre d i to me ns i le prepagato (s cegli tu quanto ); u n coac h pr ivato che t i guiderà n e l fa r t i vi ve re l’e s peri enza
pi ù ecci tante di s empre
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