BBQ4All Magazine numero 48 - Dicembre 2022

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N°48/ANNO 4 - DICEMBRE 2022

TREND TAGLIERI

COME COSTRUIRE QUELLO PERFETTO

ALL I WANT FOR CHRISTMAS : I MENÙ DELLE FESTE

Bubble Spritz, Pizza di scarole, Crostini con i fegatini, Agnolotti, Orecchiette alle cime di rapa, Timballo di anelletti, Baccalà fritto, Filetto alla Wellington, Insalata di rinforzo, Carciofi e cardi in pastella, Bussolà, Struffoli, Rococò, Mostaccioli

LA MAPPA DEL PANETTONE E DEL PANDORO 2022

DOVE TROVARE QUELLI MIGLIORI COME SI USA

LA FRIGGITRICE AD ARIA

L'EDITORIALE DI GIANFRANCO LO CASCIO

LOBSTER ROLL:

GUIDA E RICETTA DEL PANINO CON L’ASTICE

LA RICETTA SCIENTIFICA

PASTA ALLE VONGOLE


Direttore Editoriale Rossella Neiadin

Redattore Capo Michela Bongiorni

Redazione

Enio Berton Virgilio Brunetti Tommaso Buccafurri Nunzia Clemente Roberto Dal Bosco Salvatore Di Mento Luca Gallozza Marco Gerometta Mariangela Ibba Chiara Lo Cascio Gianfranco Lo Cascio Giancarlo Madonna Riccardo Meniconi Giovanni Minelli Emiliano Nencioni Elena Ninotti Francesca Pappacena Raffaele Persichetti Andrea Spaggiari Alessandro Trezzi Carlo Trono Paolo Tucci Alex Vasile Caterina Vianello Alberto Zonghetti Marco Zorzan

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Realizzazione Grafica Impaginazione Carlo Trono Illustrazioni di Eleonora Castagna e Ozzy Bellesi Fotografie di Rossella Neiadin, Luca Gallozza, Tommaso Buccafurri, Elisa Giuli, Emiliano Nencioni

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IN DI Editoriale

Rock & Lobster Roll - non è il solito aperitivo di Natale

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Ricette

Guida ai taglieri delle Feste

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Bubble Spritz Holiday Edition

18

Pizza di scarole

20

Crostino di fegatini di pollo

22

Insalata di rinforzo

26

Agnolotti del plin

28

Orecchiette alle cime di rapa

32

Timballo di anelletti

36

Baccalà fritto

38

Filetto alla Wellington

40

Cardi e carciofi fritti in pastella

44

Bossolà Bresciano

46

Gastronomica-mente

A scuola di pasticceria - Mostaccioli, roccocò e struffoli

50

La chimica del panettone

58

La mappa del panettone 2022

66

La mappa del pandoro 2022

78

Ostriche a Natale, come sceglierle, prepararle, mangiarle

84

Rubriche

Recensione - Joe’s American BBQ di Bastianich al Mercato Centrale Firenze

92

Accessori - Tutta la verità sulle Friggitrici ad aria

98

La ricetta scientifica - Pasta alle vongole

100

Seguo - L'importanza di lasciare andare

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ROCK &

Editoriale di Gianfranco Lo Cascio

LOBSTER ROLL

NON È IL SOLITO APERITIVO DI NATALE GUIDA AL GODURIOSO PANINO CON L’ASTICE CHE PIACERÀ ANCHE ALLA NONNA

Ho imparato che puoi capire molto di una persona dal modo in cui gestisce queste tre cose: giornate piovose, bagaglio smarrito all’aeroporto e cene di Natale ingarbugliate. Certe volte sembra quasi di impazzire. Fare la spesa, buttare giù una tabella di marcia, assicurarsi di accontentare i gusti di tutti, pure dei più esigenti, tipo la zia che a “lobster roll” pensava si trattasse di un massaggio dall’estetista. È vero, il panino con l’astice non è spuntino da tutti i giorni, ma è forse Natale un giorno qualunque? CHE COS’È IL LOBSTER ROLL

Iniziamo con una semplice definizione. Un lobster roll consiste in bocconcini di astice, lessati e teneri, appena ricoperti da un sottile strato di maionese, il tutto infilato in un panino da hot dog leggermente tostato nel burro. La versione alternativa, che ha la sua parte di estimatori, prevede una farcitura a base di insalata di astice tiepida e ricoperta di burro. Come si fa a ottenere il meglio da una creazione così semplice? Come per molte altre cose, tutto si riduce all'attenzione per i dettagli: la selezione accurata e il trattamento pensato degli ingredienti, l'equilibrio dei sapore e soprattutto la capacità di non rimuginare troppo sulla ricetta.

SCEGLIERE L’ASTICE MIGLIORE Tutti i Lobster Roll fatti bene iniziano con un buon astice, del Mediterraneo o dell’Atlantico, possibilmente vivo e vegeto. Vediamo quali sono le differenze tra le due specie.

Ma andiamo alla parte più importante: l’astice mediterraneo è senz’altro più saporito dell’astice americano. Per questo motivo costa di più, tra i 65 e i 90 euro al Kg, a seconda della stagione. L’astice americano – Homarus americanus Catturato con nasse e reti in una fetta di mare che va dagli Usa fino all’Europa del Nord, l’astice americano, il lobster della ricetta, vive in acque fredde su fondali rocciosi che possono arrivare a 500 metri di profondità. Si differenzia dall’astice europeo per il colore della corazza, che vira dal rosso acceso al blu. Può

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L’astice Mediterraneo – Homarus gammarus Diciamolo chiaramente: l’astice è un animale un po’ stronzo, attacca tutto ciò che è più piccolo di lui e

pure i suoi simili, fondamentalmente per difendere il territorio o per conquistare una femmina. Può raggiungere i 60 cm e almeno 8 kg, la taglia media è compresa tra 25 e 50 cm. In natura può vivere fino a 20 anni, in cattività anche 50. L’astice mediterraneo (chiamato anche astice europeo) è un crostaceo a dieci zampe appartenente alla specie Homarus gammarus. Di colore tendente al blu, ha due paia di antenne, 8 arti per camminare più le due chele per afferrare e stritolare le prede. Raggiunge i 45cm di lunghezza. Vive nel Mar Mediterraneo ma è presente anche nell’Oceano Atlantico, in fondali compresi tra i 30 ed i 150m.

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raggiungere i 10 kg di peso e vivere fino a 150 anni di età. Il prezzo dell’astice americano oscilla tra i 30 ai 50 euro al Kg. Nel 2012, nello stato del Maine, è stato pescato un esemplare di 12 kg lungo circa un metro: roba da film horror. Quale specie di astice acquistare Io consiglio l’astice europeo, di gran lunga più sapido e burroso, anche se l’astice americano (allevato in Francia e in Nord Europa) è un prodotto altrettanto buono da mangiare. Ah, quasi dimenticavo! La regola base per distinguere un astice da un’aragosta è che il primo ha le chele (una più grande dell’altra) e la seconda no. Lista di cose da controllare prima di acquistare un astice: Vitalità dell’animale: la caratteristica principale da ricercare. L’astice che acquistiamo deve essere molto attivo. Quando lo si afferra dal carapace, deve sbattere la coda e sollevare energicamente tutte le zampe e le chele. Una volta scelto, il malcapitato crostaceo va conservato in un sacchetto o in una borsa frigo con un po' di carta di giornale umida o di alghe, assicurandoci di fargli prendere un po' d’aria. Sopravviverà in frigorifero per almeno un giorno o poco più, ma come per tutti i prodotti ittici, prima lo cuciniamo e meglio è.

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Dimensioni: alcuni pensano che gli astici grandi siano più duri o meno saporiti di quelli piccoli, ma è un falso mito. Ciò che è vero, invece, è che sono molto più difficili da cuocere in maniera uniforme. Di base, un astice ha una resa di circa il 30-40%, teniamolo a mente quando controlliamo il peso.

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Maschio contro femmina: potete distinguere un astice maschio da una femmina grazie alla durezza dei pleopodi, la prima serie di zampette dell’animale. Nel maschio sono rigidi, mentre nella femmina sono flessibili. Vi siete persi la puntata di Super Quark sui crostacei? Niente paura, dal punto di vista culinario, entrambi gli astici sono praticamente identici.

Esoscheletro duro contro esoscheletro morbido: gli astici a “guscio” duro, cioè quelli in ritardo nel ciclo di muta annuale, costano di più. Questo perché hanno una percentuale di “carne” maggiore rispetto agli astici a guscio morbido, ovvero quelli che hanno fatto la muta di recente e che quindi non si sono ancora sviluppati completamente nel loro nuovo guscio morbido. Quali preferisco? Beh, gli astici “teneri” sono molto più facili da pulire.

UCCIDERE L’ASTICE NELLA MANIERA PIÙ UMANA Questa è la regola che mi sono dato e che rispetto ogni qual volta mi trovo a dover uccidere il mio cibo con le mani: ridurre al minimo lo stress e il dolore dell’animale. Lo sappiamo, il dibattito su come si trattano i crostacei vivi si ripropone periodicamente, senza offrire però una soluzione definitiva alla risoluzione della faccenda. Per me, il metodo più umano è anche il più difficile per chi non se la sente: infilzare la testa con la punta di un coltello direttamente nella fessura leggermente arretrata rispetto agli occhi e spaccare la testa a metà. Sebbene suoni un po’ cruenta, questa operazione distrugge praticamente all'istante i gangli nervosi principali dell’astice, così come la maggior parte dei suoi organi vitali. In pratica muore sul colpo. Sempre meglio che gettarlo vivo nell’acqua bollente, no? Curiosità: quel rumore che fanno, è davvero il pianto della creatura gettata nell'acqua bollente? Non avendo un sistema ner voso centrale né corde vocali, gli astici (e le aragoste) non urlano. Il suono che emettono, da brividi per la verità, non è altro che il fischio del vapore che fuoriesce dalla corazza.

METODI DI COTTURA A CONFRONTO 01. LESSATURA Le ricette più antiche prevedono tempi di cottura


fino a 10 minuti per 500 grammi di polpa. Roba che poi ci potete giocare a paddle. Per raggiungere una tenerezza e una consistenza perfetta, la carne dell'astice dovrebbe raggiungere una temperatura di circa 57°C al cuore, che si traduce in circa quattro o cinque minuti di bollitura per un astice medio. Come portare l'astice alla temperatura finale perfetta è un'altra questione. Curiosità: gli astici diventano rossi col calore così come le foglie cambiano colore in autunno. Il pigmento sottostante è sempre stato lì, in attesa di essere rilasciato. Nel caso degli astici (e di altri crostacei), la tonalità rossa brillante deriva da un pigmento carotenoide stabile al calore chiamato astaxantina. È questo elemento che dona alla carne dei salmoni e alle piume dei fenicotteri - animali che si nutrono molto di crostacei - quel tipico colore rosa-arancione. Se mescolati con i molti altri pigmenti presenti nel guscio dell'astice, si ottiene la consueta gamma di colori che va dal blu-viola al verde o all'arancione scuro dell'animale vivo. Quando cuociamo il crostaceo, gli altri pigmenti si scompongono, liberando solo i carotenoidi. I contro della lessatura: cuocete un astice in acqua bollente e guardate dentro al pentolone. Cosa vedete? Ve lo dico io: acqua torbida con una strana sostanza bianca che galleggia in cima. Tutto sapore e profumi che sono rimasti nel tegame. In sostanza l'enorme quantità di acqua che circola all'interno e all'esterno del corpo dell'astice può lavare molti dei composti saporiti che si trovano all'interno della carne. Non solo, per gli astici più grandi, il calore elevato dell'ebollizione può stracuocere l’esterno mentre l'interno rimane crudo (uno dei motivi per cui gli astici più grandi sembrano spesso più duri di quelli più piccoli è che cuociono più velocemente). Quindi, cuocere l’astice nell'acqua bollente non è la soluzione migliore.

I contro della cottura a vapore: sebbene offra il vantaggio di non diluire e lavar via il sapore come la bollitura, non risolve il problema della cottura veloce. Il vapore sarà pure meno denso dell’acqua, ma scotta lo stesso e anche di più. 03. COTTURA IN FORNO Questo metodo è quello che usano gli anziani del New England. Secondo loro, anziché diluire e lavare via nell’acqua bollente i composti aromatici presenti nella carne di astice, è sempre meglio cuocere nel forno. La tostatura riscalda l’astice, lo cuoce e allo stesso tempo fa evaporare l'umidità in eccesso. Il risultato è una carne dal sapore più intenso, non il contrario. Fate così: mettete il forno a 180°C e portate l’astice a una temperatura di 57°C interni. Il risultato sarà una polpa straordinariamente aromatica con un sapore molto più concentrato e dolce. I contro della cottura al forno: la carne di astice arrostita è molto più difficile da “sgusciare” rispetto a quella bollita. Questo perché le proteine del crostaceo, riscaldandosi lentamente, si legano chimicamente con l'interno dell’esoscheletro. Il riscaldamento rapido (in acqua o al vapore), invece, fa sì che le proteine si restringano troppo velocemente per poter formare questi legami. Insomma, cuocendo troppo velocemente al vapore, la carne diventa gommosa. Cuocendo troppo lentamente in forno, la carne si attacca al guscio. LA SOLUZIONE? Cuocete gli astici al vapore fino a quando la parte esterna della carne non si sarà rassodata - circa un minuto - poi toglieteli dalla vaporiera e finiteli in forno. Fatto questo avrete una carne che si sguscia agilmente, cotta in maniera uniforme e dal sapore intenso. C’è solo un ultimo ostacolo da superare: gli enzimi

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02. COTTURA A VAPORE A prima acchitto, si potrebbe pensare che quella a vapore sia una cottura più delicata rispetto alla bollitura. Eppure, a parità di temperatura (100°C) l’acqua, che è molto densa riscaldarsi più velocemente del vapore (che non è affatto denso). Più denso è il mezzo, più efficiente è il trasferimento di calore, giusto?

Giustissimo, anche se questo non tiene conto del calore latente di evaporazione dell'acqua. Per trasformare l'acqua in vapore occorre una quantità di energia termica che viene immagazzinata nelle molecole di vapore e, quando queste colpiscono il cibo da cuocere e si condensano nuovamente in acqua, l'energia immagazzinata viene rilasciata sulla superficie dell'alimento, riscaldandolo.

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che si trovano principalmente nel fegato piazzato nel carapace centrale. Questi enzimi scompongono la struttura proteica dei muscoli dell'astice, diventando molto attivi dopo la morte dell'animale, soprattutto a temperature più elevate. Se la cottura è eccessivamente lenta, gli enzimi hanno troppo tempo per agire e la carne della coda diventa quasi molliccia all'estremità. Gli unici due modi che conosco per evitare che ciò accada sono: cuocere il tutto molto rapidamente (cosa già fuori discussione) oppure rimuovere completamente la coda e le chele dal carapace (e dal fegato incriminato) prima della cottura. Quest'ultima sembra l'opzione più sensata Ci sono altri vantaggi nel cucinare le code e le chele separatamente dal carapace. Per prima cosa, vi permette di gestire il fatto che la coda è molto più spessa delle chele, e quindi necessita di un tempo di cottura maggiore. Inoltre, vi consente di conservare i carapaci intatti per utilizzarli nella maniera che preferite (io ci preparo una bisque).

UNA SOLUZIONE IBRIDA PER PULIRE VELOCEMENTE L’ASTICE Non c'è un modo gentile per dirvelo: pulire gli astici è un lavoro sporco che richiede precisione. Che sia duro o morbido, la maniera migliore per sgusciare un astice è iniziare dalla coda. Per prima cosa, schiacciatela con forza dai lati, spingendo i bordi dell’esoscheletro sotto la coda fino a percepire una serie di “crack”. In questo modo dovreste riuscire a rompere la maggior parte del materiale cartilagineo sotto la coda. Successivamente, staccate il bordo del guscio. Dovrebbe separarsi abbastanza facilmente (in caso contrario, usate delle forbici da cucina per tranciare lungo il corpo e poi provate a sgusciare di nuovo). Una volta spaccato tutto, la carne contenuta nel carapace dovrebbe fuoriuscire facilmente.

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Le chele sono un po' più ostiche da lavorare. Per iniziare, avvolgetele in un canovaccio pulito e colpitele con forza in ogni parte con il dorso di una mannaia pesante. L'obiettivo è quello di romperle come gusci d'uovo, non di ridurle in polvere.

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Una volta che sono belle spaccate, rompete le giunture (proteggete sempre le mani) e poi staccate delicatamente la pinza piccola. Con un pizzico di fortuna e di talento riuscirete a tirare via la carne della pinza in un pezzo unico. Nella peggiore delle ipotesi, ricorrete pure a uno spiedino o allo stiletto per crostacei (quel ferretto che si usa per spolpare le chele).


LA RICETTA COMPLETA

LOBSTER ROLL Per l’impasto dei New England Bun • 700 g di farina W 300 (o Manitoba) (bisogna che sia indicato sul pacchetto almeno 14 g di proteine) • 200 g di acqua • 4 uova intere + 1 tuorlo • 90 g di burro • 60 g di zucchero semolato • 15 g di burro morbido • 14 g di sale • 10 g di lievito fresco • 1 cucchiaio + 1 cucchiaino di miele di acacia o di malto in polvere Iniziate preparando un pre-impasto con l’acqua appena tiepida, 200g di farina, il cucchiaino di malto ( o miele ) ed il lievito sbriciolato. Date una mescolata fino ad ottenere una pappetta piuttosto molle, coprite la ciotola con pellicola e lasciate gonfiare per circa 40 minuti in un ambiente caldo. Recuperate la planetaria e montare la frusta a foglia (oppure impastate a mano). Versate 120 g di farina, un uovo intero e 15g di zucchero, lasciate lavorare la macchina a bassa velocità per qualche minuto e aggiungete i 15 g di burro morbido fino a completo assorbimento. Sostituite la frusta con il gancio e avviate la macchina per 10 minuti circa. Aggiungete un uovo alla volta, 1/3 dello zucchero e un po’ di farina fino ad esaurire gli ingredienti, unire per ultimi il tuorlo ed il cucchiaio di malto. Lavorate l’impasto per 10 minuti e aggiungete il burro. Aumentate la velocità della macchina e lasciate impastare per 20/30 minuti circa, terminate l’operazione aggiungendo il sale e far assorbire. Il risultato è un composto molto elastico che può essere tirato fino a formare un velo sottilissimo. Lasciate riposare comprendo la ciotola con un canovaccio per un quarto d’ora . Riprendete l’impasto e stendetelo in un rettangolo su un piano ben infarinato. Fate una “piega a tre”, portando un lembo di pasta al centro del rettangolo e sovrapponendo il lembo opposto, quindi arrotolate “a campana” (dal lato stretto). Trasferite l’impasto in un contenitore sigillato e collocatelo per 12 ore nella parte bassa del frigorifero.

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Imburrate lo stampo per New England bun, formate dei salsicciotti da 50 grammi e sistemateli all’interno. Lasciate lievitare fin quando l’impasto non raggiunge i 3/4 dello stampo. Pennellate la superficie con tuorlo d’uovo mescolato con latte o panna fresca. Cuocete a 170°C per 40 minuti, in modalità statica.

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Per il lobster roll • 450 g di astici cotti al vapore o 2 kg di astici vivi • 25 g di sedano • 60 g di maionese • 3 g di erba cipollina (1 cucchiaio) • 15 ml di succo di limone • 1 cucchiaino di scorze di limone grattugiate • 4 New England Bun o panini per hot dog • 1/4 di cucchiaino di pepe nero macinato (0.5 g) • 70 g di burro • 4 patate • Patatine in busta • Cetriolini Lavate l’astice e pulitelo dall’esoscheletro come descritto prima. Cuocete a vapore per circa un minuto e poi in forno a 180°C fino a raggiungere i 57°C al cuore; strappate la carne a pezzetti grandi e mettete da parte. Lessate le patate pelate e tagliate a cubetti di 2 cm per lato in acqua salata. In una ciotola capiente, mescolate le patate lesse e raffreddate, il sedano a cubetti, la maionese, l'erba cipollina, il succo di limone, la scorza di limone, il sale kosher e il pepe nero macinato. Assaggiate per verificare il condimento. In ricetta ho calcolato la dose di maionese giusta, ma se volete osare aumentate la percentuale, avete la mia benedizione. In una padella grande, sciogliete a fuoco medio 35 g di burro e aggiungete la polpa di astice. Saltatela per 2 minuti fino a quando non si sarà scaldata e imburrata dappertutto. Utilizzate un mestolo forato per prelevarla e far colare l’eccesso, lasciate intiepidire. Aggiungete l’astice condito alla miscela di patate e maionese e mescolate per salsarla. Eliminate il burro e i liquidi rilasciati dai crostacei nella padella e puliteta con della carta assorbente. Sciogliete il burro rimanente nella padella a fuoco medio; fate tostare i panini sui lati tagliati per circa 2 minuti (per lato) finché non saranno dorati e tostati.

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Riempite ogni panino in parti uguali con la carne di astice e guarnite con altra erba cipollina. Servite con chips di patate e cetriolini.

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Gianfranco Lo Cascio


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GUIDA AI

TAGLIERI DELLE FESTE Le festività natalizie sono quel periodo in cui ci si ferma, si tira il freno a mano e si dà la priorità alle cose che contano davvero: gli affetti e il cibo. In questa magica maratona tra trigliceridi e alcol, le giornate sembrano contare qualche ora in più, ci si sveglia tardi e si ha molto tempo a disposizione per fare le cose che ci piacciono, tipo cucinare e masticare. Perché non fare (o farsi) una coccola quindi, allestendo un tagliere che manco Renzo Piano della salamella, magari costruito in base ai diversi momenti della giornata? Vi basterà tirare giù una lista e fare un salto al supermercato, in gastronomia o in panificio.

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Date un’occhiata alle nostre tre proposte, totalmente personalizzabili, per lasciare amici e parenti a bocca aperta, letteralmente.

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SENZA ZUCCHERO NON GIOCO

il tagliere dolce a colazione

La base: croissant e pancake Alternative: brioche, waffle, pane a fette Le creme: spalmabile alla nocciola, al pistacchio, confettura di albicocca Alternative: confetture a scelta, miele, sciroppo d’acero La frutta: pere, mandarini, frutti di bosco Alternative: arance, ananas, kiwi La parte crunchy: mandorle non pelate Alternative: anacardi, noci brasiliane, nocciole, noci di macadamia, cocco disidratato Per finire: cioccolato fondente al 70% Alternative: cioccolato alle nocciole, cioccolato fondente all’80%


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02 NON HO SENTITO LA SVEGLIA il tagliere brunch

La base: pane imburrato e tostato Alternative: panini all’olio, bagel, pane ai cereali

Ingredienti portanti: salmone selvaggio affumicato, uova strapazzate, bacon, yogurt bianco Alternative: prosciutto cotto affumicato, formaggio fresco La frutta: avocado, pompelmo rosa, lime Alternative: arance, kiwi La parte crunchy: noci, anacardi, mandorle, uvetta, müsli Alternative: pistacchi, arachidi, noci di macadamia

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BERE PER RENDERE GLI ALTRI INTERESSANTI

il tagliere aperitivo

La base: tigelle, crostini Alternative: cracker, grissini, pane carasau I formaggi: Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano, robiola, camembert, roquefort Alternative: vi consigliamo di inserire 1 formaggio morbido, 1 erborinato, 1 semi-stagionato e 1 stagionato (a scelta) I salumi: prosciutto crudo di Parma, mortadella, salame Strolghino Alternative: speck, coppa, soppressata, finocchiona I sottaceti e i sottoli: cipolle borettane, olive verdi, pomodori secchi Alternative: carciofini, melanzane sott’olio, capperi, olive nere, giardiniera Le salse: pesto di basilico, miele di acacia in favo Alternative: confettura di fichi, senape al miele La frutta: uva, melagrana, alchechengi Alternative: pera, mandarini

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La parte crunchy: mandorle non pelate, noci, uvetta, albicocche secche, noci brasiliane Alternative: nocciole, pistacchi, noci di macadamia

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Conciamoci per le feste !

BUBBLE SPRITZ HOLIDAY EDITION Le festività di Natale richiamano la parola aperitivo come le api richiamano la parola miele, questo è un dato di fatto per tutte le regioni del nostro “Stivale”. Per il menù delle feste pensiamo a tutto: antipasti, primi, secondi e dolce. E dunque perché trascurare le bevande in abbinamento? Prima di sedersi a tavola e iniziare la grande danza con le fantastiche leccornie, non capita quasi mai di non fare aperitivo, magari con un cocktail creato ad hoc per le festività di Natale. In attesa di iniziare le mille conversazioni con parenti e amici, il giusto cocktail può fare la differenza nel creare l’atmosfera ideale. Per questo motivo, la nostra proposta è caduta sullo Spritz: cocktail amatissimo, facile da replicare a casa, leggermente alcolico, colorato, frizzante e - nella nostra versione - anche scoppiettante. Il suo nome proviene dalla lingua tedesca, più precisamente dal termine “spritzen” che significa "spruzzare”. Questo perché i soldati asburgici stanziati nel lombardo-veneto, in piena dominazione austriaca, iniziarono ad “annacquare” i vini per attenuarne il carattere intenso. E quindi da questa pratica di spruzzare (spritzen) acqua gassata nel vino venne fuori il nome Spritz.

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Di varianti di questo cocktail ne nascono in continuazione, visto la sua amabilità e la sua facilità di riproduzione. Ma attenzione perché non in tutte le regioni d’Italia vi serviranno quello della ricetta approvata dall’IBA, l’International Bartenders Association. Ad esempio se andate in Friuli-Venezia Giulia ci potete trovare dentro il Tocai Friulano, invece nel padovano si preferisce usare il vino bianco frizzante e in laguna perfino il vino bianco fermo.

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Entriamo nel vivo di queste festività e divertiamoci a preparare questa versione di Bubble Spritz, con finale scoppiettante. Tra gli ingredienti classici abbiamo inserito una variante: al posto della fetta di arancia abbiamo usato delle sferette alla frutta, quelle che si usano per il Bubble Tea. Arrivati all’ultimo sorso incontrerete una perlina che vi scoppia in bocca rilasciando il gusto dell’arancia, che renderà la vostra esperienza davvero divertente e appagante. Vi consigliamo di tritare il ghiaccio, così sarà più semplice per la sferetta arrivare alla vostra bocca. Provateci e fateci sapere.

Ingredienti per 1 cocktail:

ghiaccio tritato q.b / prosecco 9 cl / Aperol 6 cl / soda 3 cl / calice di vino / jigger o misurino / sferette alla frutta per bubble tea, gusto arancia, 3 cucchiai. PREPARAZIONE È importante preparare il cocktail seguendo l’ordine della ricetta: in questo modo eviterete che il prosecco si stratifichi sull’Aperol e resterà intatta la nota frizzante. Per il servizio utilizzate un calice da vino, in modo da preservare le bollicine. Inoltre grazie allo stelo, la temperatura del cocktail si manterrà più bassa e a lungo. Versate nel calice il ghiaccio tritato e a seguire, aiutandovi con uno jigger o con un misurino, il prosecco, poi l’Aperol e infine la soda. Mentre lo state preparando, tenete il calice per lo stelo, per far restare il bicchiere pulito e senza impronte. Completate la ricetta aggiungendo tre cucchiai di sferette gusto arancia, che potete acquistare online o nei negozi che vendono prodotti orientali. In sostituzione consigliamo anche quelle al gusto passion fruit!


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PIZZA DI SCAROLE

l’aperitivo della Vigilia, nelle campagne napoletane Certezza di ogni vigilia napoletana che si rispetti, la pizza di scarole è regina indiscussa dell’aperitivo delle feste; anche se, a dire la verità, ormai la si gusta tutto l’anno.

della scarola è data dalla grande abbondanza di questa verdura nelle campagne limitrofe a Napoli. Infatti, scarola e friarielli sono le verdure più diffuse sulle colline partenopee.

Originariamente questo cibo povero era fatto da un impasto di acqua e farina in cui veniva racchiuso un ripieno di erbe spontanee, vista la reperibilità a costo zero, e poi si friggeva tutto nello strutto. Con il trascorrere degli anni si è passati alla cottura in forno e sulle tavole delle persone più ricche l’impasto della pizza è stato sostituito con quello di pasta sfoglia o pasta brisé. Anche il ripieno è cambiato, la scarola ha sostituito le erbette, e si è arricchito di più ingredienti come uvetta, pinoli, acciughe, e olive. La presenza di uvetta e pinoli contribuisce a creare una nota crunchy e a spezzare la monotonia. La scelta

Solitamente, troverete questa “pizza” in versione ripiena, quindi sarebbe più opportuno chiamarla focaccia. Viene venduta quasi sempre a peso e si può acquistare in tutti i panifici della Campania. Nulla vieta di trasformare questa preparazione in una pizza aperta, distribuendo il condimento a mo’ di topping come abbiamo fatto noi, evitando di “richiuderla”. Sebbene noi vi proponiamo in foto una versione “aperta”, vi forniamo la ricetta per una pizza di scarole ben ripiena, con il condimento chiuso fra due strati di impasto, come si prepara per tradizione.

Ingredienti

8.

Aggiungere la scarola tagliata grossolanamente, i capperi dissalati, i pinoli e l’uvetta strizzata.

9.

Ripassare la scarola fin quando non sarà ben tirata, assaggiare prima di aggiungere il sale.

per 2 pizze da 26 cm : 1 kg di farina per pizza / 4 g di lievito di birra fresco / 650 g di acqua / 20 g di sale / 40 g di olio extravergine d’oliva / semola di grano duro per lo spolvero Per la farcitura (o guarnizione, se la lasciate aperta): 3 kg di scarola liscia o riccia / 3 spicchi d’aglio / 100 g di olive di Gaeta denocciolate / 50 g di pinoli / 2 cucchiai di uvetta

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PREPARAZIONE 1. In una ciotola amalgamare la farina con il lievito fresco di birra e l’acqua.

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10. Lasciar raffreddare e scolare eventuali liquidi prima di farcire la pizza. 11. Togliere l’impasto dal frigo e dividere in quattro porzioni. 12. Mettere ogni porzione in una ciotola oleata, lasciar lievitare a temperatura ambiente per 5 ore. 13. Stendere ogni porzione di impasto aiutandoci con abbondante semola.

2.

Impastare bene il tutto, poi unire il sale, continuare ad impastare e infine aggiungere l’olio.

14. Foderare due teglie con l’impasto, deve avere un bordo esterno di qualche centimetro per potere essere rincalzato.

3.

Lavorare ancora fino ad ottenere una palla liscia e omogenea.

15. Mettere sopra la scarola ripassata con gli altri ingredienti, coprire con l’altra parte di impasto.

4.

Lasciar riposare l’impasto coperto in frigorifero per 12 ore.

16. Sigillare bene i bordi.

5.

Mettere a mollo l’uvetta in acqua tiepida.

6.

Lavare la scarola e asciugare.

18. Far lievitare nuovamente in luogo tiepido per almeno un’ora.

7.

Soffriggere gli spicchi d’aglio e sciogliere i filetti di acciughe nell’olio.

17. Ungere la superficie con un goccio di olio evo.

19. Cuocere in forno, a metà altezza, a 250º C per 10 minuti, poi abbassare a 200º C e cuocere altri 20 minuti.


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IL CROSTINO NERO

quello toscano con paté di fegatini Il crostino con il paté di fegatini di pollo è un antipasto che proprio non può mancare sulle tavole toscane in tutte le occasioni di festa: battesimi, matrimoni, Natale, Capodanno, domeniche in famiglia… Insomma, sempre! È una ricetta che non passa mai di moda. Abbiamo molte testimonianze di come già nell’antichità venissero usate le frattaglie in cucina. Marco Gavio Apicio, nel De Re Coquinaria (I secolo) dedica molte ricette al consumo di visceri degli animali; il fegato, ad esempio, era un organo utilizzato dagli aruspici per interpretare gli auspici divini, ma era anche considerato un cibo abbastanza prelibato. D’altronde, l’etimologia della parola è significativa: il termine fegato infatti non proviene dall’equivalente latino iecur né dal greco epar; proviene invece da un aggettivo, ficatum, che a sua volta deriva dalla parola ficus e indica il fegato di animali ingrassati coi fichi o anche cucinato coi fichi. Una leccornia vera a propria, dunque.

In Toscana quasi ogni famiglia ha la sua ricetta: alcuni aggiungono, oltre alla cipolla, un battuto di carota, sedano e prezzemolo, conserva di pomodoro e un po’ di milza di vitella; per il vino oltre al rosso viene usato anche il vin santo, il cognac o il marsala secco; c’è chi bagna i crostini con il brodo o li lascia asciutti. Tutti però usano il pane toscano, quello senza sale. Leggenda vuole che nel 1100 la forte rivalità tra Pisa e Firenze abbia spinto i pisani a bloccare ogni rifornimento di sale per ostacolare i fiorentini. Ma gli abitanti di Firenze, invece di arrendersi, cominciarono a preparare il pane senza sale. Al di là della storiella, vera o presunta, è certo che la cucina toscana è spesso ricca di sapori forti e di intingoli molto corposi, e il pane senza sale risulta ideale per accompagnare queste pietanze proprio perché “neutro”. Oltre al paté di fegatini, pensiamo alla ribollita o alla pappa al pomodoro: serviti con un pane salato non avrebbero più lo stesso gusto. Prima di addentrarci nella ricetta vi lasciamo con una piccola curiosità: in Toscana “crostino” non si riferisce solo alla pietanza, ma anche a una persona particolarmente ostile, ruvida, con un carattere difficile. “Sei un crostino!”: ditelo pure a coloro che non hanno un buon carattere. Oggi, però, potete stare tranquilli: questo crostino con paté di fegatini è assolutamente adorabile!

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L’usanza di accompagnare il pane ai sughi e alle salse pare fosse nata già nell’antica Roma, perlopiù con l’intento di non sprecare nulla. Nel Medioevo questa usanza si consolidò soprattutto in Toscana: il pane del giorno precedente veniva scaldato e servito con varie pietanze, spesso con paté di carni. Secondo alcuni studiosi l’uso delle fette di pane derivava anche dalla necessità di avere una base solida su cui appoggiare il cibo, una sorta di piatto su cui sistemare prima la portata principale e poi le parti meno nobili degli animali, i sughi e gli intingoli vari. Nascendo dunque con l’intento di non sprecare nemmeno una briciola del cibo che si portava in tavola, questa usanza prese piede dapprima nelle classi più povere, che avevano accesso più facilmente a tagli di carne meno ricercati o alle frattaglie. Poi, come spesso accade nella storia della gastronomia, le classi più abbienti conobbero la deliziosa pietanza e questa

ricetta, che era nata dalla necessità di risparmiare, divenne un ricercato antipasto nelle residenze dei nobili toscani. La prima testimonianza scritta di una preparazione già abbastanza simile al paté di fegatini è presenta nel Liber de Coquina, diffuso ricettario del XIII secolo. Nei secoli poi ha mantenuto la sua popolarità, tanto da essere conosciuta in tutta Italia. Anche l’Artusi cita il patè di fegatini nel suo La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (1891).

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Ingredienti per 4 persone

500 grammi di fegatini di pollo / una carota / una cipolla bianca / una costa di sedano / 100 ml di vino bianco / 2 filetti di acciughe sott'olio / una foglia di alloro / 50 g di capperi sott’aceto / pane toscano senza sale / sale q.b. / pepe q.b. / due cucchiai di olio extravergine di oliva PREPARAZIONE 1. Pulite bene i fegatini togliendo la vescichetta del fiele senza romperla (a meno che non siano già puliti quando li avete comprati). 2.

Lavate e tritate finemente le verdure. Versate in una padella l'olio e subito le verdure tritate. Quando saranno dorate, aggiungete i fegatini di pollo e lasciateli rosolare per alcuni minuti.

3.

Sfumateli a questo punto col vino bianco, lasciandolo evaporare.

4.

Aggiungete la foglia di alloro, i filetti di acciuga, i capperi tritati, salate e pepate. Lasciate cuocere col coperchio il composto fino a quando i fegatini non si saranno del tutto ammorbiditi.

5.

Ogni tanto aprite il coperchio e, se vedete che il composto si sta asciugando troppo, aggiungete un po' di acqua o di brodo.

6.

Quando i fegatini saranno pronti, togliete l'alloro e passateli nel mixer: otterrete così un paté bello cremoso.

7.

Tagliate il pane a fette spesse circa mezzo centimetro e tostatelo. Spalmate il patè sul pane e condite i crostini con un filo d'olio extravergine d'oliva. Serviteli caldi.

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INSALATA DI RINFORZO

odi et amo di un cibo immancabile sulle tavole natalizie partenopee Ogni anno, come da tradizione, sulla tavola delle famiglie napoletane il giorno della vigilia di Natale e di Capodanno si presenta immancabile l’insalata di rinforzo. C’è chi la odia per il suo sapore così pungente dato dall’aceto e c’è chi la ama proprio per la sua nota acre e per la sapidità data dalle acciughe. A dirla tutta, l’insalata di rinforzo finisce poi per diventare un piatto onnipresente di quasi tutto il periodo festivo decembrino, e non solo delle vigilie. Differenti sono le versioni sul perché venga chiamata “di rinforzo”, quella più accreditata è che il suo nome derivi dal fatto che le cene del 24 e 31 dicembre, essendo a base di pesce, fossero leggere, e quindi c’era bisogno di “rafforzare” il pasto con un’insalata dal potere più saziante. Altri sostengono che si chiami così perché ogni volta che la si consuma poi debba essere rinforzata da nuovi ingredienti, per non restare mai senza. Altri ancora fanno derivare la denominazione dal fatto che l’aceto e il sale delle acciughe, essendo così incisivi "rafforzerebbero" il sapore del cavolfiore.

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A cosa prestare attenzione per comporre una buona insalata di rinforzo Per realizzare una buona insalata di rinforzo è importante bilanciare le note acide e quelle sapide in modo che restino in perfetto equilibrio tra esse. Questo è un obiettivo possibile da raggiungere prestando attenzione alle dosi e scegliendo materie prime di ottima qualità. L’ingrediente caratterizzante, quello che tutta Italia invidia alla Campania è essenzialmente uno solo: la papaccella. La papaccella o chiochiera è un ortaggio simile al peperone, ma più ridotto di dimensione e con un profumo molto intenso e dolce. È coltivata nel territorio vesuviano, in particolare nella zona dell’Agro Nolano, perché il territorio argilloso e pieno di acqua crea l’habitat ideale,. È riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (PAT) ed è anche presidio Slow Food. La papaccella si conserva sott’aceto intera, quindi, prima di usarla, è bene togliere il torsolo e i semi e poi tagliarla. Nel resto d’Italia, in assenza di papaccelle, che vengono spesso commercializzate anche in vaso, viene utilizzato un classico peperone in falde.

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Si consiglia di consumare l’insalata di rinforzo appena pronta, ma può essere conservata per un paio di giorni in un contenitore chiuso ermeticamente e riposto in frigo nel ripiano medio.

Ingredienti per 6 persone

800 g di cavolfiore (1 medio) / 100 g di peperoni sott’aceto (o papaccelle) / 100 g di olive verdi in salamoia / 100 g di olive nere / 50 g di capperi sott’aceto / 50 g di cetriolini / 60 g di acciughe (alici) sott’olio / 30 g di olio extravergine d’oliva / aceto di vino rosso q.b. PREPARAZIONE 1. Cominciate con il denocciolare le olive scolandone del liquido in eccesso. 2.

Tagliate i cetriolini in listarelle sottili.

3.

Sciacquate brevemente i peperoni sott’aceto e metteteli da parte.

4.

Procedete con la pulizia del cavolfiore, sfogliatelo, eliminate le parti più dure e sbollentate le cime ottenute in abbondante acqua salata.

5.

Una volta cotte le cime, avendo cura di lasciarle un po’ croccanti, scolatele e fatele raffreddare.

6.

Versate i cavolfiori in una ciotola capiente, aggiungete tutti gli altri ingredienti e cospargete infine con aceto. Mescolate bene e servite.


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AGNOLOTTI DEL PLIN

un pizzicotto di gusto!

Gli Agnolotti del plin, piatto simbolo della cucina piemontese delle Langhe e del Monferrato, sono pizzicotti di pasta fresca ripieni di carne. Sono cugini degli agnolotti classici ma sono di formato più piccolo (molto amato anche dalla tradizione culinaria francese tanto cara ai piemontesi) e si contraddistinguono per il caratteristico pizzicotto con il quale viene chiusa la sfoglia. Quando si comincia a parlare di pasta ripiena si entra in un vero e proprio ginepraio. Che differenza c’è tra agnolotto e raviolo? E fra agnolotto classico e plin?

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Per fortuna, è stata l’Accademia della Crusca per prima a definire la distinzione tra agnolotto e raviolo: il primo più ricco di carne, il secondo più ricco di verdure. E fin qui tutto ok. Tuttavia appare evidente che entrambe le preparazioni abbiano una base comune, vista anche la forma identica. La prima testimonianza scritta risale a un atto notarile ligure del 1182 in cui si stabiliva che un proprietario terriero di Albenga avrebbe ricevuto dal suo fittavolo ogni anno una quantità di “ravioli”. La parola “agnolotto” deriva invece dalla zona torinese e indicava un particolare tipo di raviolo piemontese che però era rotondo: etimologicamente deriverebbe dunque dal torinese anulòt, che indicava il ferro che veniva utilizzato per dare all’agnolotto la forma di anello, che si è tramutata successivamente nella versione quadrata e con la gobba. Ma c’è chi sostiene che la prima carne usata nel ripieno sia stata quella di agnello, da cui agnellotto e poi agnolotto. Nel caso degli agnolotti del plin, il riferimento è al pizzicotto (plin o pessià) con cui si chiudono. La storica ricetta prevede: uova intere e tuorli, olio extravergine di oliva e farina per la sfoglia e un misto di carni e verdure per il ripieno. Proprio questo uso di carni miste del ripieno può essere un indizio importante: probabilmente preparare i ravioli era un modo di impiegare gli avanzi. Insomma, come spesso abbiamo visto accadere nella storia delle varie ricette regionali, anche gli Agnolotti del plin sarebbero nati dalla necessità di non sprecare nulla.

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Sofisticati e molto apprezzati un po’ in tutto il Piemonte, i plin si suddividono ulteriormente in varianti locali o stagionali. Varianti che differiscono principalmente per il ripieno più che per la sfoglia, che resta sempre sottile e con l’iconico pizzicotto. Per esempio, nelle Langhe si aggiunge spesso al ripieno anche la carne di coniglio, molto usata nella cucina tradizionale piemontese. Nei mesi invernali non mancano di solito scarola o cavolo verza. D’altra parte, essendo un prodotto della tradizione contadina nato per utilizzare al meglio gli avanzi della carne, la ricetta per il ripieno non può essere unica e codificata. Vediamo dunque la nostra ricetta.


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Ingredienti per 10 persone

per la pasta: 500 g di farina / 15 tuorli d’uovo / 5 g di sale per il ripieno: 350 g di cappello del prete - top blade del Megastore / 100 g di lonza di maiale / 100 g di salsiccia / 2 tuorli d’uovo / 80 gr di Parmigiano Reggiano 12/24 mesi grattugiato / 500 g di scarola / 3 l di brodo di manzo / q.b. olio di semi di girasole. NB: potete sostituire la carne con 550 grammi di arrosto avanzato per servire: burro e salvia a piacere PREPARAZIONE 1. Salate abbondantemente i pezzi di carne e rosolateli in una padella con olio di semi di girasole a fuoco vivo, trasferire in una o più teglie da forno. Inserite nelle teglie i pezzi di carne coprendo con il brodo di manzo e sigillate bene il tutto con dell’alluminio. 2.

Preriscaldate il forno a 200°C, inserite le teglie e cuocete per 2 ore; al termine capovolgete i pezzi di carne e aggiungete se necessario il brodo. Cuocete per altre 2 ore fino a completa cottura della carne.

3.

Al termine della cottura, recuperate i succhi rimasti nelle teglie e in una casseruola fate stufare la scarola. Una volta che il tutto sarà cotto, tritate tutta la carne finemente o passate il tutto al tritacarne.

4.

Unite la scarola ben scolata e tritata, inserite i tuorli d’uovo e il Parmigiano, e amalgamate fino a creare una farcia omogenea. Se serve aggiustate di sale.

5.

In una impastatrice inserite prima i tuorli e il sale e poi la farina, azionate l’impastatrice fino a creare un impasto omogeneo. Rivestite l’impasto con della pellicola alimentare e fatelo riposare in frigorifero per almeno 1 ora.

6.

Ponete su metà della sfoglia inferiore una pallina di ripieno da circa 20 gr, lasciando uno spazio di 1-2 cm tra un mucchietto di ripieno e l’altro. Ripiegate la pasta su se stessa dal verso lungo e pizzicate con le dita i lembi di pasta ai lati delle palline di ripieno. Con una rotella tagliate la pasta nel senso della lunghezza a pochi millimetri dal ripieno. e poi separate i ravioli (devono avere una lunghezza di circa 2 cm) dando loro una forma rettangolare. Mettete i ravioli del plin su un vassoio con un canovaccio spolverizzato di farina.

7.

Se invece volete semplificare il lavoro, fate dei semplici ravioli quadrati sistemando il ripieno e sovrapponendo un’altra sfoglia. Lessate in acqua bollente.

8.

Servite gli agnolotti del plin con un emulsione di burro e fondo di vitello, ma potete anche servirli con una emulsione di burro e acqua aromatizzata con erbe aromatiche. BBQ4All Magazine 031


Dalla Puglia con amore

ORECCHIETTE ALLE CIME DI RAPA

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Afrodisiache!

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In Puglia le orecchiette vengono chiamate anche “strascinate”, poiché, per tradizione, le massaie le trascinano una alla volta sulla spianatoia utilizzando il pollice o un coltello particolare con la punta arrotondata. Tuttavia sono conosciute perlopiù come recchie o recchietelle, ma a seconda della loro dimensioni assumono anche altri nomi: chianchiarelle quando sono più piccole, pociacche quelle un po’ più grandi. Questo almeno secondo le fonti ufficiali. I membri pugliesi della redazione hanno però fatto alcune precisazioni: l'orecchietta di Bari è diversa da quella del resto della Puglia, perché nel resto della Puglia il cavatello viene risvoltato sul pollice e l'orecchietta è liscia esternamente, mentre quella classica di Bari viene resa concava senza essere risvoltata, ed è rugosa. Le strascinate (o strascinati) si fanno sempre strisciando il cubetto di pasta sul legno della spianatoia ma senza formare la cupoletta, e sono più aperti e piatti. Insomma, la differenza tra strascinati e orecchiette è piccola dentro Bari ma più evidente nel resto della Puglia. Le strascinate più allungate sono tipiche dell’area lucana. Per fare un po’ di chiarezza, suggeriscono di seguire su YouTube la massima autorità in materia: Nunzia Caputo di Via dell'Arco Basso a Bari Vecchia. Questo per dovere di cronaca (grazie Carlo Trono e Virgilio Brunetti!). In ogni caso, l’origine delle orecchiette rimane avvolta nel mistero, poiché non esistono documenti che ne attestino la nascita. Secondo alcune teorie risalgono alla cultura ebraica, secondo altre la loro forma è ispirata ai tetti dei trulli. Sappiamo però che, attorno alla fine del ‘500, negli archivi della chiesa di San Nicola di Bari fu ritrovato un documento con il quale un padre sosteneva che la cosa più importante lasciata in dote matrimoniale alla figlia era l’abilità di preparare le recchietedde. Dato che la figlia avrebbe ereditato un pastificio, tale abilità era davvero preziosa! Se sono preparate a regola d’arte il loro interno deve essere liscio mentre l’esterno ruvido e poroso (a Bari, perlomeno!). Possono essere condite nei modi più diversi, ma trovano la loro esaltazione, appunto, con le cima di rapa. Le rape appartengono alla famiglia delle brassicacee e per millenni hanno costituito una delle fonti di sopravvivenza per l'uomo, poiché grazie alla loro lunga capacità di conservazione potevano essere accumulate per affrontare i mesi invernali. Nel corso della storia, poi, ebbero notevole successo perché considerate un potente afrodisiaco: nel Quattrocento diversi autori italiani le classificavano come cibo che stimolava la libido, anche se un pò indigesto e adatto a stomaci forti. Ariosto (XV sec.) consumava grandi quantità di rape preferendole alle ricche portate di carni rinascimentali. Non ci è dato sapere se il motivo fosse questa presunta proprietà afrodisiaca…! Con il tempo però le rape passarono un po’ di moda, soprattutto perché le classi più abbienti non le vedevano molto adatte a una cena romantica “con lieto fine”. Oggi in cucina si apprezzano particolarmente i germogli provvisti delle prime foglioline: le cime di rapa. Sono ricche di minerali, come calcio, ferro e fosforo, e di vitamine, in particolare A, B2 e C. Sono inoltre piuttosto ricche di proteine e di acido folico, hanno proprietà disintossicanti e sono poco caloriche.

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Qual è la ricetta originale delle orecchiette con cime di rapa (se ne esiste una)? C’è chi ritiene i filetti di acciuga obbligatori, chi facoltativi. Chi usa peperoncino in grandi quantità, chi preferisce una piccantezza più moderata; chi indica che le cime di rapa vadano aggiunte alla pasta in fase di cottura, e chi invece dice di sbollentare le cime di rapa e poi cucinare la pasta nella stessa acqua.Su una cosa sembrano tutti concordare: la ricetta originale non contiene Parmigiano o altri formaggi, né pomodoro o altri ortaggi. Solo cime di rapa!

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Ingredienti per 4 persone

500 g di semola di grano duro / 250 ml di acqua / 500 g di cime di rapa / 2 spicchi di aglio / 4 acciughe dissalate e deliscate / 1 peperoncino / sale e pepe q.b. / olio extravergine di oliva q.b.

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PREPARAZIONE 1. Preparate le orecchiette lavorando la semola di grano duro con l’acqua. Ottenuto un panetto liscio, avvolgetelo nella pellicola e lasciatelo riposare per almeno mezz’ora.

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2.

Formate dei serpentelli, che taglierete a tocchetti. Con un coltellino, trascinate ogni tocchetto di impasto sulla spianatoia di legno, formando così le orecchiette.

3.

Per preparare il condimento, sbollentate le cime di rapa nella pentola dove cuocerete la pasta. Quando sono ben morbide, scolatele e, nella stessa acqua, mettete a cuocere le orecchiette.

4.

In padella, scaldate un bel filo d’olio con gli spicchi d’aglio tagliato a fettine. Unite le acciughe dissalate e, mescolando, lasciatele sciogliere nell’olio. Aggiungete il peperoncino e, infine, le cime di rapa sbollentate e ben scolate.

5.

Lasciate insaporire. Scolate le orecchiette e saltatele in padella con il condimento ed un mestolino di acqua di cottura della pasta.


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TIMBALLO DI ANELLETTI

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altrimenti conosciuta come pasta u furnu

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Più che timballo di anelletti, sarebbe il caso di dirvi che vi abbiamo preparato la pasta u furnu, questo perché in Sicilia la pasta al forno è per antonomasia quella fatta con gli anelletti. Immancabile piatto dei giorni di festa, non può non esserci nel periodo natalizio, dove diventa protagonista grazie alla sua imponente bellezza. Si distingue dagli altri timballi per la forma tipica della pasta, che richiama gli orecchini indossati dalle donne arabe in pieno Medioevo, dove proprio nelle zone vicino a Palermo si trovavano importanti mulini, costruiti per l’appunto dagli arabi. Se non avete mai provato questo piatto, al primo assaggio vi sembrerà di sentire tutti i profumi tipici della migliore tradizione culinaria siciliana.

Ingredienti per 6/8 persone

per il timballo : 500 g di anelletti / 700 g di macinato di manzo ricavato dal biancostato o dalla punta di petto / 800 g di besciamella (preparata con 1lt di latte, 50 g di burro e 50 g di farina debole) / 250 g di prosciutto cotto / 250 g di fior di latte / 200 g di caciocavallo grattugiato / 2 melanzane nere grandi / 4 uova sode / sedano, carote, cipolla tritati / 1 mazzetti di erbe aromatiche / 1 bicchiere di vino bianco Per la fonduta: 500 ml di latte / 30 g di amido di mais / 200 g di caciocavallo semi stagionato grattugiato / sale q.b. / pepe bianco q.b. / noce moscata q.b. / foglie di alloro q.b. PREPARAZIONE 1. Preparate il ragù soffriggendo, in un tegame, un trito di sedano, carota e cipolla insieme ad un filo d’olio. Aggiungete quindi un mazzetto di erbe aromatiche e la carne trita.

3.

Fate rosolare per bene la carne, quindi sfumate con del vino bianco che andrete a far evaporare.

4.

Coprite con il coperchio e fate cuocere dolcemente per un paio d’ore.

5.

Mettete a cuocere gli anelletti in acqua bollente e salata, lessate fino a metà cottura.

6.

Occupatevi quindi delle melanzane che andrete a tagliare a cubetti o a dischi di mezzo centimetro.

Non temete la lunghezza dei tempi di preparazione, né i passaggi numerosi, perché il risultato laido e godurioso vi ripagherà di tutto il tempo speso.

7.

Friggete in olio caldo e profondo fino a doratura, avendo poi cura di scolare il tutto su della carta assorbente.

8.

Prendete il fior di latte ed il prosciutto cotto e tagliateli a cubetti.

9.

Condite gli anelletti con il ragù ed aggiungendo caciocavallo grattugiato.

10. Procuratevi uno stampo (meglio se quello per ciambelle) e foderate le pareti con burro e pangrattato. 11. Versate all’interno 1/3 degli anelletti conditi. 12. Livellate con un cucchiaio prima di versare uno strato di besciamella, di mozzarella, di prosciutto e di uova sode tagliate a fettine. 13. Continuate facendo 3 strati di pasta totali. 14. Mettete a cuocere in forno caldo a 180°C per 35 minuti circa. 15. Nel frattempo preparate una fonduta al formaggio sciogliendo, in un bicchiere, l’amido di mais con un po’ di latte freddo. 16. Scaldate il latte rimasto mettendolo in un pentolino insieme ad una foglia di alloro. 17. Quando il latte sta per bollire, versate l’amido sciolto prima nel latte e mescolate sul fuoco fino a far addensare. 18. Aggiungete il formaggio caciocavallo grattugiato, il pepe e frullate con un mixer ad immersione servendo la fonduta sopra il timballo di anelletti.

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2.

Gli anelletti sono un formato di pasta prezioso, ma davvero poco conosciuto fuori dalla Trinacria; anche sull’isola, vengono adoperati essenzialmente per questi tipi di preparazione, cioè i timballi. Il più famoso è, sicuramente, quello che vi proponiamo in questa ricetta sontuosa, ma non mancano altre varianti, diffuse più o meno in tutte le province siciliane, con qualche variazione. Ad esempio, degno di nota è il timballo di anelletti con verdure di stagione, che si differenziano di zona in zona.

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BACCALÀ FRITTO

lo sfizioso antipasto della Vigilia di Natale! Baccalà e stoccafisso sono due modi molto antichi di conservare il merluzzo per farlo resistere alle lunghe traversate del gelido Oceano Atlantico settentrionale, dove viene pescato. I due diversi sistemi di conservazione però non vanno confusi: il baccalà viene seccato e salato in barile, mentre lo stoccafisso viene affumicato e lasciato asciugare all’aria aperta. Questo pesce fu importato per la prima volta in Italia nel periodo delle Repubbliche Marinare, grazie ai collegamenti dei nostri mercanti con quelli del nord Europa.

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Il baccalà fritto vanta schiere di ammiratori, anche famosi, in tutta la nostra penisola: Totò ne era ghiottissimo, così come Paolo Conte; Eduardo De Filippo compose in suo onore una poesia. È un piatto che affonda le radici nella tradizione regionale più antica: a Napoli iniziò a diffondersi agli inizi del 1500, nel momento in cui la Chiesa proibì il consumo di carne al Venerdì; dato che i soli prodotti ittici locali non riuscivano a soddisfare l’enorme richiesta di pesce, si cominciarono a importare grosse quantità di baccalà. Ma la delizia fritta è famosa anche in diverse altri regioni italiane, sia del nord che del sud: a Roma è un elemento imprescindibile del famoso fritto misto, a Modena già nell’800 era considerato prelibato anche dagli aristocratici e pare che, in altre regioni del nord, abbinato alla polenta fosse spesso l’ultimo desiderio dei condannati a morte! Per realizzare un ottimo baccalà fritto è fondamentale investire un po’ di tempo per fargli perdere l’eccessiva sapidità. Di solito il pesce deve essere acquistato qualche giorno prima e deve essere messo a bagno per almeno quattro giorni, cambiando regolarmente l’acqua almeno una volta al giorno. Se si comprano pezzi molto grossi, possono essere necessari anche più giorni per dissalarlo a dovere, cambiando l’acqua anche due volte al dì.

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Anche nel caso di questa ricetta, ci sono varie scuole di pensiero: c’è chi preferisce il baccalà tagliato in filetti interi e poi fritto, e chi invece lo ama sminuzzato e poi ricomposto in polpettine da impastellare e friggere. Noi abbiamo preferito la prima versione, perché il sapore del pesce rimane più presente e, a nostro avviso, più soddisfacente al morso. Abbiamo poi aggiunto il panko per dare una nota di croccantezza maggiore, ricorrendo alla doppia panatura, vero punto di forza dell’intera preparazione. Una garanzia di successo è lo shock termico che avviene quando gli ingredienti freddi entrano in contatto con l’olio caldo: per questo motivo è fondamentale il passaggio in freezer dopo la seconda panatura. Ora vediamo come fare nel dettaglio.

Ingredienti per 4 persone:

1 kg di baccalà già dissalato Per la pastella: 120 g di farina di riso / 90 g di amido di riso o di mais / 6 g di sale / 500 ml di acqua Per la panatura: 4 uova / 250 gr di panko o pangrattato / olio di arachidi per friggere q.b. PREPARAZIONE 1. Tagliate il baccalà in filetti alti 1.5 cm. 2.

Preparate la pastella mescolando tutti gli ingredienti con una frusta.

3.

Una volta preparata la pastella immergete i filetti nella pastella e poi subito nel panko.

4.

Fatta questa prima panatura rimettete il pesce in frigorifero per almeno 15 minuti, per farla aderire bene

5.

Nel frattempo sbattete 4 uova in un terrina: sfrutterete il loro potere legante e apporterete così grasso e sapore. Passate i filetti già panati nell'uovo e poi subito nel panko.

6.

Disponete i filetti su un unico strato su di un vassoio e trasferite in congelatore per venti minuti. Nel frattempo scaldate l’olio.

7.

Quando l'olio avrà raggiunto i 180°C friggete le fette in immersione, devono sprofondare completamente.

8.

Servite con una maionese profumata con zeste di limone grattugiate.


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IL FILETTO ALLA WELLINGTON DELLO ZIO

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E Gordon Ramsay muto!

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Lo Zio lo ha ripetuto più volte: i piatti della tradizione gastronomica, nove volte su dieci, sono incompleti o concepiti male. Chiariamo il concetto di “concepito male”: se uno cucina per se stesso può fare ciò che vuole, ciò che gli piace e nel modo in cui preferisce. Nel momento in cui sta preparando un piatto per altre persone, ha l’obbligo morale di preparare quel piatto nella migliore espressione possibile. Partendo da questo presupposto, quando ci troviamo davanti a una ricetta, la prima cosa che dobbiamo pensare è questa: quello tradizionale è davvero il modo migliore di cucinare un piatto? Se vi fate questa domanda guardando la ricetta del filetto alla Wellington la risposta è, senza ombra di dubbio, no. Il filetto alla Wellington nasce nel 1815 quando Arthur Wellesley ricevette il titolo di Duca di Wellington per la sconfitta di Napoleone a Waterloo. Sembra fosse un uomo dai gusti molto difficili e quei pochi cuochi che non venivano licenziati dovettero inventarsi ricette molto fantasiose. Un giorno gli fu servito proprio questo piatto, che fu intitolato a suo nome probabilmente da un cuoco che aveva capito come fare per non farsi cacciare. In realtà la carne in crosta circola nella storia gastronomica dal XIV secolo; ci sono evidenze che dimostrano come i francesi preparassero filet de boeuf en croute da svariate decine di anni. In ogni caso, analizziamo nel dettaglio il filetto alla Wellington. È uno scrigno che racchiude diversi ingredienti a strati: una crosta di pasta sfoglia, uno strato di prosciutto, la salsa Duxelles, il filetto di manzo. Si dispongono le fette di prosciutto sulla pellicola, poi si distende la salsa di funghi, si aggiunge il filetto preventivamente rosolato e si avvolge il tutto in modo molto fitto. Si ripone in frigo e quando è ben sodo si toglie la pellicola e si avvolge il bombolone di prosciutto, funghi e carne nella pasta sfoglia. Poi si cuoce in forno. L’idea è quella di ottenere una fetta in cui si distinguono la pasta sfoglia croccante, la salsa di funghi ben compatta e il filetto cotto alla perfezione.

Se ai funghi arriva calore verranno strizzati e tireranno fuori acqua. Se alla carne arriva calore, verrà strizzata e tirerà fuori l’acqua. Se funghi e carne si strizzano inevitabilmente si contraggono e resta spazio dentro lo scrigno. Se l’acqua viene fuori da qualche parte dovrà depositarsi e non c’è dubbio che finirà sul fondo rendendo impossibile la cottura della pasta sfoglia. Il risultato sarà pessimo: lo scrigno mezzo sfatto, le fette brutte, carne mezza cruda e mezza cotta, spazi interstiziali, acquitrino di mioglobina sul piatto. Ebbene, oggi siamo qui per descrivervi per filo e per segno come ottenere, invece, il risultato che voi immaginate e che avete visto in migliaia di foto instagrammate. Innanzitutto bisogna cauterizzare il filetto e cuocerlo sotto vuoto, facendo in modo che elimini già un po’ di liquidi. Poi dobbiamo preparare la salsa e raffreddarla completamente, drenando i liquidi in eccesso. A questo punto bisogna preparare il primo rotolo prosciutto, salsa di funghi, filetto. Avvolgere nella pellicola e, udite udite, non raffreddarlo ma congelarlo parzialmente per qualche centimetro sotto la superficie. Da congelato, avvolgerlo nella sfoglia e creare un primo batch di cottura in cui semplicemente rendiamo croccante la sfoglia e il calore che arriverà all’interno dovrà prima scongelare e poi cuocere. In questo modo potremo lavorare la sfoglia senza grandi problemi. Una volta ottenuto il risultato visivo si andrà a scaldare lentamente l’interno per portarlo a temperatura di servizio. Per un risultato ottimale dovremo incidere la crosta con un coltello a seghetto e poi completare il taglio con la lama liscia. Et voilà, il risultato è sicuramente instagrammabile, ma anche buono! Vorremmo potervi dire che è più facile a farsi che a dirsi, ma purtroppo diremmo una bugia. Per cui armatevi di pazienza perché il lavoro è tanto.

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Uno dei grandi portavoce di questa ricetta è sicuramente Gordon Ramsay, Chef e imprenditore dall’ego ipertrofico che la propone proprio per dimostrare quanto sia bravo a ricreare piatti complessi. Tutto molto scenografico, nulla da dire.

Ora andiamo alla verità. Sapete quante possibilità esistono per ottenere il risultato usando la procedura descritta? Zero. È una tecnica totalmente fuori controllo. Per cui, la domanda da porsi è: come si può riuscire a far diventare croccante la pasta sfoglia senza somministrare calore ai funghi e alla carne?

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Ingredienti per 4 persone:

Per l’impasto: 1500 g di farina per pane / 400 g di burro a cubetti freddo / 6 g di sale / 110 g di acqua gelata Per l’arrosto: 1 Filetto di Black Angus del Megastore (850 g) / 3 g di sale / 2 g di pepe nero Per le crêpes: 2 uova / 100 g di farina / 250 ml di latte intero / 10 g di burro fuso / 2 g di sale / 2 cucchiai di acqua Per la Duxelles: 200 g di scalogno / 600 g di funghi champignon o cremini / 10 g di spicchi d’aglio / 100 g di burro / 10 g di timo / 6 fette di prosciutto crudo Per la finitura: 1 uovo / latte o panna q.b.

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PREPARAZIONE 1. Mettete la farina, il sale e il burro freddo a cubetti nella ciotola dell’impastatrice.Trasferite tutto nel frigorifero insieme al gancio a “foglia” per impastare.

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2.

Avviate la macchina a bassa velocità fino ad ottenere un composto grossolano, aggiungete a filo l’acqua molto fredda e lasciate impastare circa un minuto.

3.

Prendete l’impasto con le mani ben infarinate, formate una palla e schiacciatela fino ad ottenere un disco spesso 4 cm. Avvolgete nella pellicola e mettete in frigorifero per almeno 4 ore.

4.

Riprendete l’impasto, stendetelo ad uno spessore di 3 mm su un foglio di carta forno e ricavate un rettangolo che taglierete in due (deve essere più largo del pezzo di carne di un paio di cm). Rimettete in frigo.

5.

Passate alle crêpes: versate in una ciotola il latte, l’acqua e l’uovo. Sbattete con una frusta e aggiungete la farina continuando a girare. Terminate col burro fuso e il sale, mescolate fino ad ottenere un composto omogeneo e fluido. Coprite con pellicola e mettete da parte.

6.

Scaldate una padella antiaderente, ungetela con il burro e versate un mestolo di impasto fino a ricoprire tutto il fondo. Cuocete la crepe a fiamma vivace e fate raffreddare.

7.

È il momento della duxelles. Passate al mixer i funghi, lo scalogno, l’aglio e il burro fuso. Tritate fin quando non si trasformano in un paté grossolano. Mettete da parte, lo cuocerete dopo.

8.

Trimmate la carne dal grasso e dalle membrane esterne. Strofinate con sale e pepe. Scaldate

un po’ d’olio in padella e rosolate l’esterno del pezzo di carne. 9.

Preparate un bagno termostatico a 55°C. Mettete la carne in un sacchetto sottovuoto e cuocete a 55°C per 90 minuti.

10. Mentre la carne cuoce, riprendete la crema di funghi e cuocetela a fiamma moderata fin quando non diventa molto densa e asciutta. A fine cottura aggiungete il timo tritato finemente. Aspettate che si raffreddi completamente prima di utilizzarla. Potete preparare la duxelles fino a 5 giorni in anticipo conservandola in un contenitore chiuso ermeticamente. 11. Bagnate il piano di lavoro e rivestitelo con della pellicola. Poggiate sopra la carne e avvolgetela fino a farla diventare una caramella. Fatela rotolare e stringete bene le estremità, fin quando non avrà preso la forma di un cilindro. Mettete in freezer per circa mezz’ora. 12. Bagnate di nuovo il piano di lavoro e rivestitelo con altra pellicola. Poggiate sopra il rettangolo di pasta e stendete le fette di prosciutto nel senso della lunghezza, sovrapponendole leggermente. Spalmate la duxelles sul prosciutto in uno strato molto sottile, di circa 3mm. Poggiate sopra le crêpes che avrete tagliato a misura e la carne (privata delle pellicola) sul lato corto del rettangolo, al centro. Arrotolate con l’aiuto della pellicola, sigillando bene i bordi. 13. Una volta ottenuto il salsicciotto, bucate la pellicola per far uscire tutta l’aria e stringete di nuovo. Prendete il secondo rettangolo, piegatelo a metà, stendetelo di nuovo e mettetelo in frigorifero per 15 minuti. 14. Tagliatelo a losanghe con il rullo da pasticceria (oppure praticate dei tagli longitudinali di 2cm). Sbattete un uovo con poco latte o panna e pennellatelo sul filetto ricoperto di pasta. Sistemate il secondo strato tagliato a losanghe sul primo e fatelo scivolare per allargare le maglie e ricreare un motivo simmetrico. 15. Preriscaldate il forno a 230°C. Sistemate la teglia sul fondo del forno e cuocere a 230°C in modalità ventilata per circa 20 minuti. Poi abbassate il forno a 80°C fin quando la carne non arriva a 43°C al cuore. 16. Sfornate e lasciate riposare per circa 10 minuti. Incidete con un coltello da pane la crosta e poi tagliate la carne con un coltello a lama liscia. Servite caldo.


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Contro il logorio della vita moderna…

CARDI E CARCIOFI FRITTI IN PASTELLA

Quella dei carciofi è una famiglia molto generosa, a cui appartiene anche il cardo. Anzi, a dirla tutta è proprio dal cardo selvatico che deriva il carciofo. In Italia fu introdotto dagli arabi, che gli dettero anche il nome. I romani lo chiamavano Cynara e ne facevano un largo uso. Il carciofo non è un frutto e neppure un fiore, ma è l’infiorescenza, ricoperta da foglie, di una pianta erbacea derivante, come dicevamo, dal cardo selvatico. In sostanza, si tratta di un bocciolo chiuso. Se non lo raccogliessimo diventerebbe un fiore azzurro, tendente al violetto.

Il classico sapore amarognolo è dato dal potassio e dai sali di ferro di cui è ricco: è una manna per il fegato, perché entrambi questi elementi favoriscono il flusso biliare. Il carciofo anche uno degli alimenti più ricchi di fibre. Le varietà in commercio, reperibili da ottobre a giugno, sono circa una novantina: tra le più famose troviamo il Romanesco (detto mammolo, senza spine), lo Spinoso (di Palermo), il Violetto di Toscana (primaverile e più piccolo) e il Catanese (usato soprattutto per le conserve sott’olio). Neruda scrisse “il carciofo dal cuore tenero si vestì da guerriero…”, perché in effetti molte varietà sono ricoperte di spine: bisogna imparare a maneggiarlo e a sfogliarlo, scoprendo infine il cuoricino tenero. Del carciofo in ogni caso si mangiano le foglie (dette brattee) e la parte bianca (detta pappo).

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Il cardo, invece, è un ortaggio invernale di forma simile al sedano, ma appartenente alla famiglia dei carciofi, di cui si mangiano però solo le coste. Non è facile da pulire (dal gambo vanno eliminati i filamenti), e ha un sapore molto particolare esaltato spesso nelle cotture in umido. Solo la varietà “Cardo gobbo” di Nizza Monferrato è adatta ad essere consumata cruda. Ricco di fibre, contiene anche sostanze antiossidanti e ovviamente sali minerali e vitamine. La grossa presenza di silibinina, inoltre, aiuta l’attività epatica, mentre il potassio facilita il mantenimento del pH sanguigno e la stabilizzazione della pressione arteriosa. Ortaggio invernale, dicevamo: per la sua commestibilità, infatti, il gelo è fondamentale; dopo una gelata, la consistenza del cardo diventa migliore e più tenera.

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In questa ricetta prepareremo carciofi e cardi fritti in pastella: occhio a mantenere sempre la pastella freddissima, perché lo shock termico che si ha nel momento in cui verrà a contatto con l’olio caldo è fondamentale per un risultato finale croccantissimo!

Ingredienti per 4 persone:

1.5 kg tra carciofi e cardi / il succo di 2 limoni / Per la pastella (500 g): 225 g di farina di riso / 45 g di amido di mais / 6.5 g di bicarbonato di soda / 225 g di acqua / 45 g di uova sbattute / Acqua gelata / olio di arachidi per friggere q.b. PREPARAZIONE 1. Mondate i carciofi e i cardi eliminando le parti spinose ed i filamenti più duri e immergeteli in acqua con il succo dei limoni per mezz’ora. 2.

Trascorso il tempo, scottate i cardi in acqua salata per circa 25 minuti quindi scolateli e fateli raffreddare.

3.

Nel frattempo che i cardi bollono, preparate la pastella. Mescolate le polveri con il bicarbonato e l’acqua freddissima in una ciotola, girate tutto con una frusta.

4.

Poggiate la ciotola in un bagnomaria di acqua e ghiaccio, così da mantenerla a temperatura molto bassa. Tamponate i cardi e i carciofi ancora umidi con carta assorbente.

5.

Se i cardi dovessero essere troppo lunghi tagliateli a metà e intingeteli interamente nella pastella, insieme ai carciofi.

6.

Versate abbondante olio di arachidi in una padella e non appena ha raggiunto i 180°C friggete i cardi e i carciofi pochi alla volta.

7.

Quando assumeranno un colore dorato, poggiateli su un vassoio con della carta assorbente per eliminare l’unto in eccesso e servite ben caldi.


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BOSSOLÀ

Il dolce di Natale bresciano che vale la pena conoscere Non sarà il dolce più semplice di sempre, ma rispetta in tutto e per tutto la tradizione dei grandi lievitati delle feste: il bossolà bresciano assomiglia ad una grossa ciambella lievitata, tanto che ha persino il buco. Diciamo pure che i pasticcieri se la sono volutamente dimenticata, questa bossolà, a favore di un più comune pandoro natalizio. Fuori dalla Lombardia, nessuno lo ricorda: ci pensano Iginio Massari, Denis Dianin e Bruno Andreoletti a proporre le loro bossolà natalizie. Altrimenti, ci tocca farlo a casa. E noi siamo qui per dirvi come fare, se vi va di cimentarvi con questo piccolo, dolce, vanigliato capolavoro. Pare che il nome “bossolà” derivi dal lombardo biss, cioè biscia: il dolce dovrebbe assomigliare ad una biscia arrotolata su se stessa. Dando crediti ad ipotesi molto più antiche, il termine deriverebbe addirittura dal gaelico bés ‘mbesolàt, che significa pressappoco la stessa cosa, cioè “serpente arrotolato”. È bene ricordare che in molte culture antiche, il serpente era un simbolo beneaugurante. Farina, uova e burro sono gli ingredienti che la fanno da padrone. Non sarà veloce ma vi darà grandi soddisfazioni: rimboccatevi le maniche, testate per bene la planetaria e preparatevi a fare un dolce lunghetto ma che non ha niente da invidiare al pandoro.

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Le dosi che vi indichiamo sono per lo stampo da 1 kg, ma potete realizzare anche pezzature minori. Userete un pratico lievito di birra, per chi non ha a disposizione il lievito madre. Di tempo ce ne vorrà un po’, perché l’impasto si divide in quattro fasi di lavorazione più la cottura. Iginio Massari, nel dare indicazioni per fare una bossolà perfetta, ci dice che occorrono ben due giorni di lavoro. Ad ogni ingrediente secco va sommato un ingrediente umido, e poi impastato. Le farine che andrete ad utilizzare sono farine di forza, adatte alle lunghe lievitazioni. Quelle che si usano per i panettoni. Il risultato finale? Dovrebbe avere una consistenza a metà tra un pandoro molto ben eseguito e una torta paradiso: un risultato impalpabile, una nuvola sul palato.

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PRIMO IMPASTO

ore 10.30 del mattino

Ingredienti: 60 g di farina W340

per panettone / 26 g acqua tiepida / 18 g zucchero / 12 g di lievito di birra Procedimento: 1. Sciogliere il lievito e lo zucchero nell’acqua, mettere la farina in una ciotolina, aggiungere l’acqua con il lievito e lo zucchero sciolti. 2.

Impastare bene, coprire e farlo lievitare a temperatura ambiente fino al raddoppio (circa un’ora e mezzo).

SECONDO IMPASTO

ore 11.30

Ingredienti: il primo impasto

/ 60 g di farina W340 per panettone / 30 g di acqua / 10 g di zucchero / 12 g di burro Procedimento: 1. Mettere nella ciotola dell’impastatrice l’acqua con lo zucchero e scioglierlo a mano con la frusta. Aggiungere la farina e l’impasto lievitato, montare il gancio e iniziare a impastare ottenendo un impasto ben amalgamato.

3.

Inserire il burro a pezzetti e impastare finché non sarà assorbito e l’impasto si staccherà dal fondo della ciotola.

4.

Trasferire l’impasto in un contenitore graduato e farlo raddoppiare, circa 2 ore a temperatura ambiente (24°C/25° C).

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2.

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TERZO IMPASTO

2.

Con il gancio iniziare a impastare, continuare a aggiungere le uova rimaste formando il nuovo impasto.

Ingredienti: il secondo impasto / 20 g di farina

3.

Aggiungere il burro in più riprese e portare a incordatura. Iniziare ad aggiungere ora l’emulsione di burro poco per volta. Aspettare sempre che sia inserita la dose di burro prima di inserire la successiva. Se serve spegnere la macchina e ribaltare l’impasto con la spatola per favorire al meglio l’inserimento del burro.

4.

Fate attenzione che l’impasto nella lavorazione non superi i 26° C, altrimenti fermare la macchina e mettere la ciotola con l’impasto in frigo per 15 minuti abbassando così la temperatura.

ore 14 circa

W340 per panettone / 36 g uova / 30 g di zucchero / 19 g di acqua / 18 g di burro

Procedimento: 1. Sciogliere acqua e zucchero nella ciotola dell’impastatrice, aggiungere l’impasto lievitato, la farina e un po’ di uova battute, inserire il gancio iniziare a impastare. 2.

Terminare di inserire le uova, aggiungere in più volte il burro.

3.

Incordare bene l’impasto (dovrà staccarsi dalla ciotola dell’impastatrice).

5.

4.

Togliere l’impasto, arrotolarlo con le mani unte di burro e metterlo in un contenitore imburrato e farlo triplicare. Ci vorranno circa 4 ore a temperatura ambiente, 24°C/25°C.

Terminate di inserire tutto il burro ottenendo un impasto ben incordato e che formi un velo se allargato con le dita.

6.

Mettete l’impasto in un contenitore, chiuderlo ermeticamente e fatelo lievitare per 4/5 ore a temperatura ambiente, durante le quali è necessario fare delle pieghe all’impasto per tre volte. Alle ore 23 circa, trasferite l’impasto in frigo per almeno 10 ore.

EMULSIONE Ingredienti: 160 g di burro / 60 g di zucchero a velo / 20 g di uova battute / vaniglia / scorza grattugiata di 1 limone o di 1 arancia

Procedimento: 1. Approfittate del tempo di lievitazione dell’impasto e preparate l’emulsione. In un ciotola capiente mettere il burro morbido, lo zucchero a velo e la vaniglia. 2.

Montarlo bene con una spatola o con la frusta, coprire con la pellicola e tenerlo in un posto fresco fino al momento dell’utilizzo. Trasferire l’impasto in un contenitore graduato e farlo raddoppiare, circa 2 ore a temperatura ambiente (24°C/25° C).

QUARTO IMPASTO

ore 18.00 circa

Ingredienti: 240 g di farina W340 per panettone

/ 90 g di uova / 60 g di zucchero a velo / 60 g di burro / 6 g di sale

Procedimento: 1. Togliete l’impasto dal frigo, ribaltatelo sul piano di lavoro, formate una palla pirlandola e trasferitela nello stampo apposito da bossolà, imburrato e infarinato (oppure spruzzato con lo staccante). Con questa quantità di ingredienti otterremo un bossolà da 1 kg. 2.

Fatelo lievitare coperto a una temperatura non superiore a 26° C per 5/6 ore.

3.

Infornate il bussolà a 175°C per 50 minuti per la pezzatura da 1 kg, 40 minuti per 750 g di impasto e 30 minuti per 500 g di impasto.

4.

Sfornate e fate raffreddare.

5.

Togliete il bussolà dallo stampo, fatelo raffreddare completamente su una gratella, spolverizzate con abbondante zucchero a velo e servite.

CONSERVAZIONE

Si conserva per circa un mese chiuso in un sacchetto di cellophane. Intiepidirlo in forno (o nel microonde) e spolverarlo di zucchero al momento del servizio.

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Procedimento: 1. Il terzo impasto sarà praticamente triplicato: inseritelo insieme alla farina, zucchero a velo e metà uova tutto nella ciotola dell’impastatrice.

FORMATURA E COTTURA

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A scuola di pasticceria

MOSTACCIOLI, ROCCOCÒ E STRUFFOLI DA FARE A CASA Un giorno con i Maestri Giuseppe e Prisco Pepe di Pepe Mastro Dolciere


Le ricette sono a cura di Giuseppe Pepe e Prisco Pepe, Maestri Pasticcieri di Pepe Mastro Dolciere a Sant’Egidio del Monte Albino (SA) Lo sappiamo: su questo numero del Magazine, c’è ampio spazio per la Mappa del Panettone e la Mappa del Pandoro. Ma, tra la miriade di dolci di Natale italiani, non esistono solo loro. L’intera penisola vanta una tradizione dolciaria natalizia da far invidia al resto del mondo, e ci piace raccontarla nel modo più completo possibile. Abbiamo deciso, quindi, di esplorare un po’ di più il territorio campàno, portando su queste pagine tre ricette che potete replicare a casa: i mostaccioli, i roccocò e gli struffoli. Intendiamoci: abbiamo scelto queste tre, che sono inequivocabilmente i “capisaldi”, ma ne esistono anche altre: quelle di raffiuoli, divino amore, susamielli. Un trionfo di naspro, zucchero, confettini colorati e miele. E per proporvi le migliori indicazioni possibili in circolazione, abbiamo scelto il meglio della pasticceria in Campania. Abbiamo trascorso una mattinata nei laboratori di Pepe Mastro Dolciere, a Sant’Egidio del Monte Albino (Salerno), pasticceria condotta da Giuseppe Pepe, Maestro lievitista e membro dell’Accademia del Lievito Madre, e Prisco Pepe, Maestro cioccolatiere. Giuseppe e Prisco sono i fratelli del compianto Alfonso Pepe, pasticciere indimenticabile che ha portato questo angolo di Sud su tutte le testate giornalistiche e le guide del settore, nazionali e internazionali. Portano avanti il suo progetto, al quale hanno sempre lavorato, continuando a dare il massimo e ad evolversi giorno dopo giorno: ormai è riduttivo parlare soltanto della “pasticceria” Pepe, visto che è anche cocktail bar, cioccolateria, gelateria.

oppure aromi singoli (come noce moscata) e glassa al cioccolato. Hanno un sapore antico: Bartolomeo Scappi, cuoco di corte, ne trascrisse la ricetta per Papa Pio V nel XVI° secolo.

ROCCOCÒ

Per i roccocò, i “dolci che spezzano i denti” come dicono i napoletani, dobbiamo addirittura tornare indietro fino al 1320: le monache del Real Convento della Maddalena ne producevano a tonnellate di questi biscotti duri, e all’epoca si usava tuffarli nel marsala per renderli “masticabili”. C’entrano qualcosa con lo stile rococò francese? Ebbene sì: entrambe le parole derivano da rocaille, cioè un elemento a mo’ di conchiglia molto diffuso nell’arte francese. E che è proprio simile a un roccocò.

STRUFFOLI

Gli struffoli napoletani hanno “parenti lontani” un po’ ovunque: declinazioni di queste palline di impasto aromatizzate, fritte e cosparse di miele le troviamo in tutte le regioni d’Italia. Il nome deriverebbe dal greco antico “stroggylos”, cioè arrotondato.

Prima di svelarvi le ricette, vi spieghiamo brevemente la storia di ogni singolo dolce.

MUSTACCIOLI, O MOSTACCIOLI

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Pare che si chiamino così perché in passato venivano preparati con il mosto dell’uva, pressato e fatto a rombi, per poi essere nasprati di cioccolato. I mostaccioli sono ad oggi uno dei dolci più preparati e diffusi in casa dei napoletani. Sono fatti con un biscotto di pasta morbida o dura, miele, eventualmente pisto (il mix di spezie gelosamente napoletano)

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MOSTACCIOLI SECONDO PEPE

Dosi per ottenere 60 mostaccioli da 40 g Ingredienti farina: 1 kg zucchero: 550 g miele: 100 g burro: 150 g ammoniaca: 10 g cannella: 10 g lievito in polvere: 10 g noce moscata: 2 g acqua: 250 g Per la glassa al cioccolato cioccolato fondente: 500 g zucchero: 500 g confettura di albicocche del Vesuvio: q.b. Realizzazione dei mostaccioli 1. Riscaldare leggermente l’acqua in un pentolino e trasferire in planetaria aggiungendo il miele, lo zucchero, la cannella, la noce moscata e l’ammoniaca. 2. Una volta che questi elementi si sono sciolti, avendo accortezza a non formare grumi, aggiungere la farina, il burro ed il lievito in polvere, impastando fino ad ottenere un composto liscio e ben amalgamato. 3. A questo punto è fondamentale che l’impasto riposi a temperatura ambiente (coperto con pellicola) per almeno 12 ore, ed è quindi preferibile prepararlo il giorno prima per il giorno successivo. 4. Il giorno seguente l’impasto sarà pronto per essere steso e tagliato nella forma tipica del Mostacciolo.

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Cottura dei mostaccioli 1. Riposti su carta da forno, i Mostaccioli così formati vengono prima spruzzati leggermente con l’acqua e poi infornati in forno già a temperatura dove cuoceranno a 180°C/190°C in forno ventilato per circa 7/8 minuti. 2. Una volta pronti sfornare e lasciarli raffreddare.

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Copertuna con la glassa 1. Sciogliere il cioccolato al microonde o su un fornellino raggiungendo una temperatura di massimo 40°C e poi unire lo zucchero. 2. Spennellare il mostacciolo nella parte inferiore avendo cura di lasciarlo asciugare per circa 2/3 ore. Nella parte superiore, invece, si spennellerà prima la confettura di albicocche del Vesuvio, ottenendo uno strato molto sottile, lasciando asciugare per qualche ora, e solo infine si completerà il dolce spennellando la parte superiore del mostacciolo.


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ROCOCÒ SECONDO PEPE

Dosi per ottenere 60 roccocò da 50 g Ingredienti farina: 1 kg zucchero: 800 g ammoniaca: 10 g cubetti di cedro: 160 g acqua: 240 g cannella: 10 g mandorle: 600 g bucce di mandarino: qualche buccia ben lavata uova intere: 200 g bacche di vaniglia del Madagascar macinate: 1g

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Realizzazione dei roccocò 1. Riscaldare leggermente l’acqua in un pentolino e trasferire in planetaria aggiungendo la cannella e lo zucchero. 2. Una volta che questi elementi si sono sciolti, aggiungere le uova, l’ammoniaca, la farina, i cubetti di cedro, le mandorle, la vaniglia e qualche buccia di mandarino, impastando fino ad ottenere un composto liscio e ben amalgamato. 3. È fondamentale che l’impasto riposi a temperatura ambiente (operto con una pellicola) per almeno 12 ore, ed è quindi preferibile prepararlo il giorno prima per il giorno successivo. 4. Il giorno successivo l’impasto sarà pronto per essere steso e tagliato nella forma tipica del Roccocò.

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Cottura dei roccocò 1. Riposti su carta da forno, i ro cco cò vengono prima spennellati leggermente con l’uovo e poi infornati in forno già a temperatura dove cuoceranno a 180°C/190°C in forno ventilato per circa 13/14 minuti. 2. Una volta pronti sfornare e lasciarli raffreddare prima del consumo


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STRUFFOLI SECONDO PEPE

Ingredienti farina: 500 g zucchero: 100 g burro: 100 g sale: 10 g liquore all’arancia: 20 g bicarbonato: 1,5 g uova intere: 200 g bucce di limone grattugiato: 1 frutto bucce di arance grattugiate: 2 frutti bacche di vaniglia del Madagascar macinate: 1g Olio di semi di girasole per friggere: q.b. Per decorare gli struffoli miele di acacia: 500 g diavolini: q.b. frutta candita: q.b. Realizzazione degli struffoli 1. Inserire tutti gli ingredienti in planetaria impastando fino ad ottenere un composto liscio e ben amalgamato. 2. L’impasto deve riposare almeno 30 minuti prima di essere nuovamente lavorato, tagliato e stesso in modo da ottenere tanti piccoli struffoli che verranno successivamente cotti in olio bollente. Cottura Gli struffoli vengono cotti olio di semi di girasole a 180°C e la loro cottura è ultimata quando raggiungono una colorazione dorata. Decorazione Una volta lasciati raffreddare ed eliminate tutte le tracce d’olio, gli Struffoli possono essere completati e ricoperti con il miele di acacia, i diavolini e la frutta candita

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e n o t t e aP n Chimica del

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debunking sul dolce natalizio più desiderato

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Il panettone artigianale, quello vero, è fatto di farina, zucchero, tuorli freschissimi, burro, uvetta, scorze di agrumi candite e lievito naturale costituito da pasta acida e sale. Però cos’è un panettone lo decide soltanto una legge dello Stato, nel senso che se lo vuoi chiamare così devi attenerti al Decreto Ministeriale del 16 Maggio 2017, che recita: “La denominazione legale “PANETTONE” è riservata al prodotto dolciario da forno a pasta morbida, ottenuto per fermentazione naturale da pasta acida, di forma a base rotonda con crosta superiore screpolata e tagliata in modo caratteristico, di struttura soffice ad alveolatura allungata e aroma tipico di lievitazione a pasta acida. I suoi ingredienti principali sono: farina di frumento; zucchero; uova di gallina di categoria “A” o tuorlo d’uovo (derivato da uova di gallina di categoria “A”), o entrambi, in quantità tali da garantire non meno del 4% in tuorlo; burro ottenuto direttamente ed esclusivamente dalle creme di latte vaccino con un apporto in materia grassa butirrica, in quantità non inferiore 16%; uvetta e scorze di agrumi canditi, in quantità non inferiore al 20%; lievito naturale costituito da pasta acida; sale (compreso il sale iodato). Sono invece ingredienti facoltativi: latte e derivati; miele; malto; burro di cacao; zuccheri; lievito (fino al limite dell’1%); aromi naturali e “natural identici” (di sintesi ma uguali a quelli naturali n.d.r); emulsionanti; conservante acido sorbico; conservante sorbato di potassio.” Panettone: anche gli speciali hanno la loro legislazione Non vi preoccupate, amanti del panettone super farcito al pistacchio dell’Anatolia, ce n’è anche per voi. Insieme alle versioni “classiche” vengono disciplinate anche le versioni “speciali e arricchite”, cioè quelle con farciture, ripieni, glassature e decorazioni, che comunque dovranno contenere almeno il 50% dell’impasto base. Tutte le variazioni dovranno essere riportate in etichetta accanto alla denominazione riservata, così chi compra può distinguere facilmente le caratteristiche del prodotto che lo differenziano dalla versione classica. “Il processo tecnologico della fabbricazione del panettone prevede le seguenti fasi di lavorazione, anche accorpabili fra loro: a) preparazione della pasta acida b) fermentazione; c) preparazione impasto con dosaggio ingredienti e aggiunta inerti (uvetta e canditi) e impastamento; d) porzionatura; e) “arrotondamento della porzione della pasta (pirlatura)”, con deposizione dell’impasto nello stampo di cottura; f) lievitazione; g) “scarpatura” (incisione a croce); h) cottura; i) raffreddamento; j) confezionamento”

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Cosa scrivere in etichetta In tema di etichettatura, l’art. 8 DM 2017 è tassativo indicare gli ingredienti obbligatori, facoltativi, e la presenza o assenza di uva passa, canditi, glassature o farciture.

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Le differenze tra panettone artigianale e panettone industriale: il grande dilemma (per i consumatori) La tradizione che abbraccia il Panettone è quella dei pani dolci popolari e dei più ricchi pan “drogati” o “speziati”. Una famiglia che vede il pandoro e il nadalin di Verona apparentati con lo strüdel e il bussolà bresciano, e ancora pan papale, pan giallo e pan nociato per limitarci ai parenti più stretti. Una tradizione artigianale migrata dal laboratorio-negozio all’industria vera nei primi del ‘900 grazie ai due giovani imprenditori lombardi Angelo Motta e Gioacchino Alemagna: siamo sicuri che ancora oggi tutti i loro discepoli, di qualunque grado, li staranno ringraziando. Distinguere un panettone artigianale da uno industriale non è affatto semplice, oramai pure sugli scaffali del supermercato sono comparsi i canditi d’autore e creme spalmabili da abbinare ad impasti più o meno buoni. Sempre più “raramente” resiste la bottega del pasticciere, perché quest’ultima ha fatto spazio a catene di montaggio da far invidia alle grandi aziende.

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Contiamo quanti panettoni vendono, vi va? Se fino a qualche anno fa ci sembrava abbastanza semplice definire i criteri (volume di vendita contenuto, originalità della ricetta, assenza di conservanti, impiego di materie prime di qualità) con gli anni dobbiamo ammettere di aver sfiorato il cortocircuito, per tutta una serie di fattori. Alcuni tra i prodotti artigianali preferiti si allontanano sensibilmente dal profumo di sold out – tipico fino a qualche anno fa - mettendo a disposizione

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il panettone praticamente sempre, spedibile a qualsiasi indirizzo italiano e internazionale. Cos’è un’impresa artigiana? Se la legge per quanto riguarda i panettoni si limita alla denominazione riportata più su, c’è invece una legislazione abbastanza precisa per definire ciò che è impresa artigiana. Per sommi capi, l’impresa si definisce artigiana quando: •

L’imprenditore artigiano si assume tutte le responsabilità e tutti i rischi non solo gestionali dell’impresa, ma anche della produzione del prodotto “in misura prevalente” (quindi deve essere costantemente, o quasi, in laboratorio) L’imprenditore artigiano può lavorare da solo oppure avvalersi di collaboratori e dipendenti, sempre entro certi numeri: con sottili distinzioni di categoria, non si possono superare in ogni caso i 40 dipendenti assunti (a condizione che ci sia un numero minimo con contratto di apprendistato); Nessuna impresa può adottare la scritta “artigianale” , né come insegna né come marchio, se non è iscritta all’apposito albo;

La legge sull’artigianato, quindi, c’è. Ma quanti la applicano davvero? Stando alla succitata legge sull’impresa artigiana, dobbiamo ammettere che ben pochi tra i nostri pasticcieri preferiti rientrano nei parametri, a partire dalla grandezza dell’azienda, passando per l’utilizzo massivo di macchinari e arrivando agli scaffali del supermercato; trovare in GDO gli stessi panettoni che si fregiano di esser “freschi e naturali”, o ancora in 3-4 punti di vendita parecchio competitivi, induce sicuramente a riflessioni. Ed ecco che si manifesta in tutta la sua potenza la crisi di identità del degustatore di panettoni artigianali: cos’è veramente artigianale? Finora abbiamo chiamato artigianale anche un prodotto che si definisce tale perché nasce da una tradizione pasticciera, da volti che utilizzano materie prime di altissima qualità ma allo stesso tempo facendo economia di scala. E sicuramente, in assenza di nuove regolamentazioni, continueremo a far così.


della ricetta quando c’è, e da un fattore che fa tutta la differenza del mondo, ovvero l’estrema freschezza del prodotto. Conclusioni parziali Un panettone artigianale è sicuramente più fresco di uno industriale, ma dura molto meno: l’ideale è consumarlo entro un massimo di dieci/quattordici dalla produzione, anche se, ben conservato, può arrivare ad un massimo di 45-60 giorni di vita. Tenendo a mente che perderà buona parte dell’umidità interna, che affiorerà inevitabilmente sulla crosta bagnando la glassa (quando c’è). Sono i rischi che dipendono dell’artigianalità del prodotto: chi acquista un panettone industriale a dicembre mette in conto di poterlo consumare fino a maggio, ma anche la probabilità che a settembre fosse già pronto. Altra differenza fondamentale tra i due contendenti lievitati è rappresentata dalla scelta delle materie prime. Un artigiano appassionato usa solo uova freschissime, la farina calibrata per l’uso e il burro francese da centrifuga. Sono i dettagli che ci aiutano a distinguere il buono dal cattivo, perché la qualità passa anche dall’uva e dai canditi di

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Riassumiamo i nostri punti fermi: 1. Il prezzo basso dei panettoni industriali dipende dalle dinamiche della grande distribuzione, dal costo inferiore del lavoro di una macchina rispetto a quello di un uomo, dalla necessità di standardizzare i processi, dalla data di scadenza più lunga. Non fate gli snob, però, quelli industriali sono tutt’altro che panettoni di serie B. La gestione di prodotti a base di lievito naturale su vasta scala è un vanto dell’industria italiana, la sappiamo fare benissimo. Molto semplicemente, panettone industriale (con mono e digliceridi, nonché altri tipi di conservanti) e panettone “artigianale” (senza conservanti, per farla breve) giocano due campionati totalmente diversi; Entrambi però incontrano i gusti di tutti, e spesso chi acquista un singolo panettone artigianale ne compra facilmente due o tre al supermercato. 2. Il prezzo alto di un panettone artigianale dipende dalla scelta degli ingredienti (tendenzialmente di qualità più alta e selezionati in base a studi e ricerche approfondite), da uno spreco inevitabilmente superiore rispetto all’industria, dal costo elevato del lavoro umano, dall’abilità tecnica e creativa del produttore, dall’esclusività

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frutta. Raramente l’industria, dovendo produrre tonnellate di impasti, investe su materie prime sofisticate, tendendo piuttosto a ridurre i costi con ingredienti non necessariamente scadenti ma di qualità media. Ultima, ma non meno importante differenza, la lievitazione. Un panettone a norma di legge è realizzato sì con lievito madre, ma un laboratorio artigianale sottoporrà il suo panettone a una lievitazione di 24, 48 o addirittura 72 ore, cosa che di rado avviene per un panettone industriale (che può fermarsi anche 30 sfruttando la tecnologia del sottovuoto). Il risultato ottenuto dall’artigiano sarà senz’altro un dolce più leggero, soffice, digeribile, sebbene in fabbrica si usi lievito naturale. Ogni panettone artigianale sarà diverso dall’altro Trattandosi di prodotto fatto a mano (o perlomeno, seguito dall’artigiano in ogni sua fase), ogni panettone ha la sua carta d’identità coi suoi segni particolari. La cupola risulta più ambrata del resto ma mai bruciata. La distribuzione di uvetta e canditi è omogenea e ricca nella superficie, ma altrettanto uniforme all’interno. L’alveolatura del panettone artigianale, la trama di piccole cavità scavate dalla laboriosità dei gas, è ben distribuita. La fetta è giallo ocra, dovuto all’utilizzo di un numero di tuorli maggiore. Può capitare, però, che l’uso di uova di galline biologiche restituisca un colore più tenue.

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Il profumo di un panettone artigianale è suadente ma non arrogante: non sa di finto e soprattutto non esce dalla scatola. Diffidate di aromi pungenti e artificiali che aggrediscono le narici anche a distanza, così come puzzette acri di lievito.

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Infine, il panettone artigianale diventa un cuscinetto sofficissimo grazie a un lievito madre gestito con cura, che permette all’impasto di mantenersi umido e morbido, ma soprattutto alla freschezza del prodotto. Mentre l’élite dei pasticcieri si concentra sulla produzione di panettoni con data di scadenza piuttosto corta, l’industria è costretta a buttar fuori

scatole e scatole, che rimarranno appollaiate sugli scaffali dei supermercati fino a 6 lunghissimi mesi. A consentire la conservazione di prodotti che devono durare così a lungo, al netto del lievito naturale, sono dei conservanti che prendono il nome di mono e digliceridi degli acidi grassi. Le suddette parole “mostruose” descrivono in realtà degli additivi alimentari fatti di olio di cocco, palma, colza, nonché di residui animali (midollo, gelatine, collagene), che occorrono agli impasti per “stabilizzarsi” e garantire una conservabilità da scaffale. Si tratta di conservanti che esistono anche in natura e consentiti dalla legge, cercateli per esempio tra gli ingredienti delle merendine, delle fette biscottate, degli snack da forno. Senza arrivare a demonizzarli, va detto con chiarezza che tra un panettone con i mono-digliceridi e un altro che deve la sua freschezza al solo fatto di essere stato preparato pochi giorni prima, le differenze al palato si sentono eccome. E si vedono.


Le dieci regole del panettone perfetto Come si riconosce un buon panettone tradizionale artigianale? Attraverso 10 punti chiave che ci aiutano a capire di più del prodotto che abbiamo davanti. Si comincia dall’esterno, ovvero dalla scatola. 01. GLI INGREDIENTI La scatola non è soltanto un bell’involucro che contiene il panettone. Possiamo ricavare alcune preziose indicazioni riguardo alla qualità effettiva del dolce leggendo con attenzione l’etichetta, in cui sono riportate le percentuali degli ingredienti presenti nel prodotto. Un buon panettone artigianale sarà sicuramente privo di conservanti, aromi di sintesi e emulsionanti. E un buon panettone non sarà troppo pasticciato. Non basta buttarci dentro ingredienti a caso per farlo strano o ricco per forza. Il panettone fatto bene è anche molto semplice: all’assaggio sarà più piacevole assaporare le sfumature e le caratteristiche di tutti gli ingredienti caratterizzanti.

03. LA FORMA Il panettone ha una base rotonda e superficie a cupola, e presenta il caratteristico taglio a croce, la “scarpatura”, che è segno della corretta produzione del dolce. Deve essere bello dritto e non deve svettare troppo dal pirottino (non deve sembrare un fungo, per intenderci). Può essere, nella variante di tipo pinerolese, con la glassa di nocciola e mandorle o di tipo milanese, senza glassa. 04. IL COLORE All’esterno il panettone ha il caratteristico colo-

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02. LA SCADENZA Deve essere breve. Un prodotto artigianale senza conservanti ha solitamente una shelf-life com-

presa tra i 45-60 giorni. È sconsigliato degustarlo appena fatto perché i canditi devono ancora rilasciare i loro aromi, meglio aspettare 2-3 giorni da quando è stato sfornato. Dopo i primi 15-20 giorni il prodotto artigianale senza adiuvanti comincia inevitabilmente a perdere umidità.

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re ambrato e dorato, mentre all’interno la pasta deve essere di un giallo intenso. Il colore più o meno giallo non indica la quantità di tuorli utilizzati, ma la loro qualità: un panettone con una pasta più gialla potrebbe sottolineare, ad esempio, che le galline sono allevate seguendo una dieta particolare. Se all’interno si presente pallido, simile al pane, significa che è scarico di burro, zucchero e uova. 05. GLI AROMI L’odore del panettone appena aperto deve sprigionarsi immediatamente, ma deve risultare naturale. Si deve sentire il profumo di uvetta, di arancia e di vaniglia. Allarme: se, appena si apre la busta, si avvertisse una zaffata di alcol o di solfiti - utilizzati per inibire la formazione di muffe - faremmo bene ad insospettirci. Se percepiamo aromi stucchevoli e vanigliati anche a distanza, vuol dire che c’è qualcosa che non va: qualche estratto concentrato di sintesi, anziché l’ingrediente naturale. 06. LA CONSISTENZA Una volta aperta la confezione bisogna prestare attenzione al taglio. Quando si taglia con un coltello seghettato a lama lunga, il panettone non deve sbriciolarsi. Un panettone ben fatto ha una mollica filata, con una tessitura sottile, soave. Non deve essere né troppo umida, né troppo asciutta. Fate una prova: strappate una porzione di panettone con le dita. La mollica deve “sfioccare”, deve filare. Se vi sembra troppo umida e compatta, se quando la schiacciate non torna più su, è il chiaro segnale che il panettone è ancora crudo.

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Sofficità: quando è naturale e quando deriva da enzimi e conservanti La sofficità deriva sopratutto da due fattori: 1 utilizzo di un buon lievito madre, i cui lattobacilli siano in grado di produrre molti “polisaccaridi”. Questi infatti formeranno nell’impasto del panettone una specie di gelatina a livello microscopico, che tratterrà l’umidità rendendo morbido il dolce a lungo (è lo stesso fenomeno che si ha nel latte quando si prepara lo yogurt) 2 aggiunta di emulsionanti, come già detto in precedenza. Il panettone da solo non dura più di un mese, salvo l’aggiunta di additivi come gli enzimi, che non devono essere indicati in etichetta (di cui parleremo dopo).

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7. GLI ALVEOLI La struttura alveolare della fetta di panettone è data dalle migliaia di bollicine di anidride carbonica che si sono formate dentro l’impasto. I “buchi”, per intenderci, devono svilupparsi in senso verticale, devono avere una forma ovaleggiante e salire verso l’alto.

E le caverne, quindi? Le caverne, quei fori grossi ed irregolari che spesso troviamo nei panettoni artigianali, possono nascere da una arrotondatura imprecisa, con della farina o una sostanza grassa lasciata in prossimità della chiusura del pezzo di pasta. Riprodurre una sfera perfetta è impossibile, per cui nella cella di lievitazione, ovvero la “stanza” dove i panettoni crescono, c’è un tasso di umidità controllato che serve a sigillare l’impasto, non importa se “pirlato” in maniera manuale o meccanica. L’impasto deve inoltre risultare omogeneo, l’impastatrice deve riuscire a mescolare tutti gli ingredienti in modo da evitare concentrazioni di alcune materie prime. Un pezzo di burro non disciolto porta facilmente alla formazione di una caverna. L’aggiunta di grandi quantità di “lievito” può portare ad una alveolatura “a nido d’ape”, ma può anche causare la formazione di crateri. 08. I CANDITI In entrambe le versioni tradizionali (piemontese e milanese) uvetta e canditi sono imprescindibili. È importante vedere quanti ce ne sono e di che qualità: i canditi devono essere saporiti anche se assaggiati da soli, della misura giusta e succosi. L’uvetta deve essere dolce e abbastanza grande (si preferisce l’australiana rispetto alla turca); il candito deve misurare dagli 8 ai 10 millimetri per lato e deve risultare molto morbido. Al palato, non dobbiamo percepire solo lo zucchero ma anche il gusto dell’arancia e del cedro, che devono essere preponderante perché sinonimo di canditura di qualità. Se il candito è artigianale (cioè preparato direttamente nei laboratori dell’artigiano), coglierete ancora di più tutte le sfumature di sapore, oltre a quelle agrumate principali. 09. L’EQUILIBRIO Ora abbiamo tutti gli elementi per capire se stiamo per assaggiare un vero panettone tradizionale artigianale. Il rispetto del disciplinare e gli ingredienti sull’etichetta, il colore ambrato all’esterno e giallo all’interno, i profumi e gli aromi avvolgenti, i canditi e gli alveoli, la mollica soffice che fila, sono tutte caratteristiche che indicano un sostanziale equilibrio del panettone. 10. IL SAPORE Arriviamo al sapore. Si devono percepire gli ingredienti caratterizzanti, il burro, le uova, lo zucchero. Deve risultare piacevole al palato. Non dobbiamo registrare retrogusto acido, sintomo di un lievito troppo forte. E poi c’è l’X Factor: il fattore determinante, quello che vi farà scegliere il vostro “panettone preferito” tra mille altri tecnicamente ben eseguiti, e che molto probabilmente sarà diverso per ognuno di noi.


La chimica odorosa: aroma del panettone

La ricetta del panettone è costituita da tre elementi principali: impasto (contenente: acqua, farina, uova, burro, lievito, zucchero e vaniglia), uvetta e scorza d’arancia candita. Grazie agli innumerevoli composti presenti all’interno di queste componenti si viene a creare il complesso ed inimitabile aroma del panettone. Qui trovate una selezione di molecole rappresentative per ogni protagonista. È possibile quindi individuare:

ESANALE un’aldeide alchilica presente naturalmente in molti estratti e utilizzata nell’industria profumiera come aroma fruttato. Questa molecola è presente nell’impasto donandogli il tipico aroma floreale, fresco e grasso

GERANIOLO un alcol terpenico alifatico naturalmente presente in molte piante, frutta ed anche nell’uvetta (o uva sultanina) a cui dona un caratteristico aroma floreale e dolce

D-LIMONENE un monoterpene ciclico naturalmente presente negli agrumi (difatti questo composto prende il nome dal limone). È ovviamente presente anche nella buccia d’arancia candita e conferisce un aroma agrumato.

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La mappa del panettone DI GASTRONOMICAMENTE 066

A cura di Nunzia Clemente, della Redazione di Gastronomicamente, dei Food Hunters e della Community


Panettone is de niu pizza e apriti cielo. Coi sudisti che si auto-proclamano “migliori”, i nordisti che si scagliano contro il Sud che ha impupacchiato (ndr “pasticciato” con le farciture) il vergine Pan de Toni, l’archetipo del panettone, snaturandolo in alcuni contesti.

e molto probabilmente non avrebbe nemmeno senso. In ogni caso, vi rimandiamo al nostro più che esaustivo articolo sulla chimica del panettone, che tocca in maniera definitiva anche questo punto. La risposta breve è che è molto ma molto difficile codificare un “panettone artigianale” strictu sensu.

Insomma, roba da avanguardia storica: cambia l’oggetto, ma sostanzialmente le critiche reciproche rimangono le stesse.

CRITERI DI SELEZIONE PER LA MAPPA DEI PANETTONI DI GASTRONOMICAMENTE 2022

Necessario parlare al passato? Mica tanto: basterebbe considerare gli ultimi otto anni (dal 2014 al 2022) come quelli della vera affermazione del panettone firmato dagli artigiani. Non che prima non ci fosse tensione, ma era più un tenero sfottò incomprensibile, per la serie il panetùn milanese che il resto d’Italia non riusciva a comprendere, con qualche pioniere di altre regioni che si affacciava di prepotenza ,e veniva puntualmente scacciato.

I più attenti tra i nostri lettori hanno ricevuto una newsletter a riguardo: le nostre conoscenze - della redazione tutta, dei Food Hunters - dovevano per forza unirsi ai suggerimenti dei nostri lettori che, da insider dei loro territori, hanno scovato le migliori perle lievitate e ce le hanno consigliate nottetempo.

Invece, fetta dopo fetta, battaglia dopo battaglia di canditi, il lievitato dolce ha fatto più che breccia negli esigenti palati degli italiani, conquistandosi non solo un posto sulla tavola del Natale ma anche un posto al sole: riuscitissimi gli esperimenti di “panettone estivo” e “panettone tutto l’anno” che ormai parecchi, sia tra il piccolo artigianato che la grande industria, propongono di anno in anno.

UN PO’ DI COSE DA DIRE SUL PANETTONE Il panettone è regolato da un disciplinare preciso, aggiornato al 2005: questo testo include gli ingredienti e le tecniche, ma non fa distinzione tra “artigianale” e “non artigianale”. Anche perché, all’interno degli stessi artigiani c’è scontro. Un laboratorio che sforna 50.000 panettoni a festa è uguale a uno che ne vende arrancando 3000? La disfida è decisamente aperta, ma diciamo che si può convenire su un punto: è panettone artigianale quello che segue il disciplinare e che viene “sorvegliato” in ogni sua fase, dal primo impasto fino all’insacchettamento. Se poi non si utilizzano emulsionanti per allungarne la shelf life e modificarne la struttura, così come aromi concentrati, di sintesi, il panettone guadagna punti (e può concorrere alla nostra selezione, yay!).

Un grazie alla Community e ai Food Hunters Questa nostra prima Mappa del Panettone l’abbiamo fatta insieme a voi, lettori del Magazine e frequentatori della nostra Community: accanto ai grandi nomi blasonati, le “panettoniche conferme”, c’è una schiera di alfieri del grande lievitato che, per una ragione o l’altra, non conoscevamo. Ma voi invece sì. Ce li avete consigliati, li abbiamo

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E quindi esiste ‘sto benedetto panettone artigianale Non basterebbe un Magazine intero, cari lettori, per sbrogliare l’impasto tra Industriale vs Artigianale,

Le nostre linee guida 1. L’utilizzo della pasta madre viva 2. In etichetta non è presente alcun emulsionante che possa allungare la shelf-life (la data di scadenza). Per quanto riguarda gli enzimi, sappiamo bene che non necessitano di obbligo in etichetta e possono essere tranquillamente utilizzati 3. Abbiamo prediletto artigiani con un proprio laboratorio/pasticceria. Abbiamo quindi messo da parte brand e nomi che comprano da contoterzisti, cioè da fornitori terzi che producono per altri. Semplicemente, giocano un altro sport. Via i panettoni dei grandi chef, ad esempio. Oppure quelli griffati coi nomi dei ristoranti stellati. Una selezione un po’ severa, ce ne rendiamo conto, che ci ha portato a fare alcuni “grandi esclusi”. Miglioreremo, e lo faremo anche grazie alle vostre segnalazioni. L’unica cosa di cui ci importa è fornirvi un’esperienza gastronomica superiore, soprattutto adatta al vostro palato 4. Abbiamo detto SÌ ad alcuni prodotti fatti da lievitisti in senso lato: primi tra tutti i panifici, qualche pizzeria, un paio di gelaterie con annessi laboratori di pasticceria

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scrutati da lontano, abbiamo delegato i nostri Food Hunters che in gran segreto ne hanno provati il più possibile. Le vostre richieste le abbiamo lette tutte, le abbiamo vagliate tutte. Ne abbiamo provate il più possibile, tra quelli che corrispondevano ai nostri criteri “di ingresso”. Ci avete mandato centinaia di segnalazioni, ne mancherà qualcuno tra i vostri beniamini? Matematicamente certo: siamo soltanto agli inizi di un progetto infinitamente più grande, che potrà soltanto migliorare anche grazie al vostro preziosissimo aiuto.

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Questo significa che “altri tipi” di panettone, quelli che non rispettano i nostri criteri, non siano buoni? Ancora una volta, no. I panettoni di produttori che fanno utilizzo di mono e digliceridi degli acidi grassi giocano un campionato a parte: quel girone dove - al netto di utilizzo indubbio di ingredienti di qualità e tecniche - la scienza viene in aiuto direttamente,

con l’utilizzo di agenti che favoriscono la morbidezza, il profumo e la durata del prodotto finale. Detto in parole povere: è più facile che un panettone mediocre diventi migliore grazie all’utilizzo di mono e digliceridi degli acidi grassi, favorendone tra le altre cose la shelf-life. Invece, in assenza di questi, un panettone “meh” può restare un dolce dimenticabile. I mono e digliceridi non sono demoni, ma noi non li preferiamo nella nostra Mappa Vi abbiamo presentato, nella nostra Chimica del Panettone, i vari ingredienti che lo compongono, sia tra quelli obbligatori che quelli facoltativi. Tra questi, giustamente ammessi dal Disciplinare del Panettone (che - ricordiamo - non fa affatto differenza tra industriale e artigianale), ci sono anche gli emulsionanti, indicati in etichetta come E471 o


ancora E472, ovvero esteri dei mono e digliceridi degli acidi grassi. Vi diciamo, una volta per tutte, cosa sono e cosa fanno questi mono e digliceridi degli acidi grassi. Semplicemente impediscono la separazione della fase grassa dalla fase acquosa; in pratica donano una consistenza più morbida al nostro lievitato, che oltre a risultare più soffice, conserva più a lungo quella consistenza. Partiamo dalla forma completa, cioè i moltopiù-famosi trigliceridi: immaginiamo un trigliceride come un pettine con tre denti, togliendone uno restano i digliceridi, sottraendone un altro restano i monogliceridi. I “mono” sono composti da un’estremità fatta di glicerolo (affine all’acqua) e di un’estremità affine ai grassi (cioè l’acido grasso): questi le gami, come abbiamo detto, impediscono alla parte grassa di separarsi dalla parte acquosa. Digliceridi e monogliceridi si formano anche naturalmente dalle reazioni chimiche che avvengono nel nostro corpo: durante la digestione, la lipasi (un enzima idrosolubile) “scinde” i grassi e si ottengono i digliceridi. Questo processo può essere replicato in via artificiale, ed è la via adottata dalle industrie. In natura, digliceribi e monodigliceridi esistono, ma in numero sensibilmente inferiore rispetto ai trigliceridi. Detto in parole poverissime, sono dei grassi “parzialmente digeriti”, che aiutano a mantenere morbido il prodotto. Possono essere estratti e ottenuti da oli e grassi vegetali, ma talvolta anche da residui animali.

Ma siamo anche dalla parte delle capacità, dello studio e della tecnica degli addetti ai lavori. Sappiamo benissimo che si possono raggiungere risultati incredibili grazie allo studio della chimica dei singoli ingredienti e delle rispettive interazioni tra di loro, con lo sviluppo di “personalità” e cifre stilistiche difficilmente replicabili. Il perfezionarsi dei processi produttivi, la tecnologia, i macchinari, permettono alla scienza della pasticceria di ottenere risultati che rasentano la perfezione anche senza utilizzare “aiuti”. Il panettone, è un esempio lampante: possiamo tranquillamente dire che è un prodotto che è la somma di tante conoscenze di pasticceria, tradotte in un unico prodotto. Tutto bello, tutto nobile, ma anche qui c’è uno scotto da pagare: il lasso di tempo in cui gustarlo al top delle sue possibilità è ridotto, c’è generalmente un utilizzo di materie prime di qualità molto più alto e, in generale, i costi aumentano a dismisura. C’è bisogno di una conoscenza profonda delle regole del proprio mercato di riferimento e della gestione di ciascun anello della catena, per permettersi di produrre un prodotto senza conservanti. Capite un po’ di più la “difficoltà” di realizzare questi prodotti, ora? Senza dimenticare che il consumatore deve essere sempre a conoscenza di cosa viene messo in un lievitato (o in qualunque altro prodotto), anche se la legge permette l’omissione in etichetta di alcune aggiunte, come gli enzimi. Spesso si utilizzano farine già addizionate di enzimi che allungano la vita, o ancora di pacchetti enzimatici da aggiungere, di frequente tra il primo e il secondo impasto. Lavorando intorno dai 60°C fino ai 70°C e degradandosi poi in cottura, possono tranquillamente non comparire in etichetta.

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Noi, che siamo dalla parte della scienza, non possiamo non prendere atto che l’utilizzo di adiuvanti ed emulsionanti semplifica la vita di lievitisti e panificatori, ma questo ha un prezzo. Un prezzo che spesso si traduce in prodotti standardizzati,

molto simili gli uni agli altri.

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MAPPA DEI PANETTONI 2022

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chi sono e dove si trovano i panettoni d’Italia da comprare quest’anno

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La cosa più importante da sapere è che non c’è un primo posto. Così non vi affannate a mandare sold-out lo shop del primo classificato. Li abbiamo divisi per comode categorie, così potrete saltare a pie’ pari quelli che non vi interessano e dedicarvi ad altro. Ciò che dovete sapere è che in questa mappa è indicato “il meglio secondo le vostre esigenze”, non il migliore in senso assoluto: una volta forniti gli strumenti di decodificazione e conoscenza, nessun palato può decidere oggettivamente quale sia il migliore. Gli stimoli che si attivano, a livello bioelettrico, sono uguali per tutti: quello che cambia sono le percezioni sensoriali, diverse - diversissime - per ognuno di noi. Quelle che si attivano se ritroviamo un gusto che ci ricorda una bella o brutta esperienza in un ristorante, che ci rimanda alla visione di un ricordo gradevole, la sensazione pungente degli agrumi a Dicembre, il tocco che aveva quando abbiamo dato una carezza a qualcuno di caro, il profumo vanigliato che aveva il nostro primo amore. Al netto delle perfezioni o imperfezioni esperibili (l’aspetto, il taglio, la consistenza, il tatto) queste percezioni sensoriali sono comunicazioni continue, sinestesie diversissime per ognuno di noi, che ci permettono di stabilire una nostra scala di valori “personale” dietro un cibo. Sono i nostri X-Factor: cose, emozioni che agiscono senza che ce ne rendiamo conto e che “lavorano” con noi per creare una gerarchia di valori. Quello che possiamo fare è proporvi una rosa

vincente, dove trovare il panettone più adatto al vostro palato, a quello dei vostri commensali, quello più giusto per le vostre esigenze, per la vostra emotività gustativa. Abbiamo individuato, di conseguenza, quattro gruppi di persone, quattro avatar di “compratori tipo”, disposti a sborsare la cifretta giusta per un panettone di livello, con esigenze differenti. GRUPPO 1 - Chi vuole il panettone del Maestro per eccellenza, di cui si fida ciecamente e non acquisterebbe altro, disposti anche al pre-ordine prima del prevedibile sold out di ogni anno. GRUPPO 2 - I fashion victim, coloro che oltre al panettone veramente buono danno più di un occhio al packaging, magari per conservarlo sulla credenza fino a Pasqua o regalarlo. GRUPPO 3 - Quelli ben felici di rinnovare il loro acquisto da artigiani ben consolidati, che hanno costruito la loro fama su prodotti lievitati di valore indubbio. Lo mangiano sempre e lo consigliano volentieri. GRUPPO 4 - Qui entrano in scena gli avanguardisti, i conoscitori profondi dei territori, quelli che amano scoprire le novità in anticipo e presentarle ad amici e famiglia. Sono loro il motore propulsore di un’intera categoria di nuovi panificatori, quelli che comprano le novità anche “meno” conosciute. Speriamo, che in tutto questo, venga fuori anche un “Vi è piaciuto? L’ho letto su Gastronomicamente!”

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Delineati gli avatar, quindi, abbiamo messo su carta le categorie. Intrecciando tutti i dati, le abbiamo riempite. Le categorie sono le seguenti.

PANETTONE CULT

PANETTONE CULT

Tiri 1957 — Il fuoriclasse dei lievitati, la chiave di volta, chiamatelo come volete: senza Vincenzo Tiri - e Tiri 1957 - avremmo avuto una storia molto diversa in tema “grandi lievitati italiani”. Con cupola color caramello, un nuvolone basso e soffice frutto della tripla lievitazione, il Tradizionale di casa Tiri è diventato un must have. Il nuovo classico dei panettoni farciti italiani è, sicuramente, il suo panettone cioccolato bianco e caffè. Il panettone tutto l’anno, poi, è una passione/ossessione che è diventata realtà alla Tiri Bakery di Potenza. Da visitare almeno una volta, ora conta in scuderia Maicol Vitellozzi, ex pastry chef al Ristorante del Cambio a Torino. Si promette un ingresso del panettone nel mondo degli astri.

I panettoni che sono status symbol, da tenere e venerare fino all’apertura ed anche dopo. Sono quei prodotti che non hanno bisogno di essere consigliati. Si presentano da soli, con gran fanfare, e ognuno di loro ha contribuito a creare lo stile del panettone italiano. Iginio Massari ne ha tracciato la linea “classica”, ma tutti vogliono essere Vincenzo Tiri, nel tentativo di replicarne i cuscinoni bassi, gonfi e setosi. Nord e Sud, in due stili diversi e complementari. E su questi si affaccia un Neoclassicismo del panettone, un altro stile che va affermandosi e che prende i lati migliori dello stile classico e dello stile “a tripla lavorazione”, qualcuno anche a “quattro fasi”.

PANETTONE GLAM

Quei panettoni che non soltanto sono buonissimi da mangiare, ma vincono anche il premio packaging, tra colori unconventional. Buoni sono buoni. Il latte, il burro, la vaniglia e i canditi. Tutto al posto giusto. Ma l’occhio vuole la sua parte, soprattutto perché il panettone è un prodotto che si regala facile, e dal costo anche sostanzioso.

PANETTONICHE CONFERME

Quei panettoni che sono praticamente buoni di anno in anno, il vostro palato fa un affare di sicuro. La madeleine di Proust, però fatta di tecnica e scienza: qui ci sono tutti i panettoni che si confermano ottime prove da parte degli artigiani, buoni anno dopo anno.

PANETTONE DISCOVERY

le scoperte della Community e dei Food Hunters Tutti quelli che non sono ancora stra-conosciuti al grande pubblico e per i quali noi e i nostri Food Hunters abbiamo speso un più che meritevole assaggio, grazie alle vostre segnalazioni.

Dicembre 2022

Questa è la sezione che cercheremo di ampliare sempre di più, ed è quella dove voi, cari lettori, potete darci una mano più di chiunque altro. Ci avete segnalato i vostri lievitati preferiti, li abbiamo scremati (non sempre - almeno in etichetta - rispettavano i nostri criteri!) E abbiamo cercato di assaggiarne il più possibile. Da tutto questo mastodontico lavoro, nasce la nostra sezione “Panettone Discovery”, cioè quei panettoni buoni per davvero e sui quali scommettiamo un futuro di successo.

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Diversi sono gli stili, che vanno intrecciandosi: glassato con mandorle o nocciole (o tutt’e due), nudo, con scarpature (il taglio in superficie) importanti oppure no, panettoni alti e panettoni bassi.

I panettoni da assaggiare almeno una volta nella vita.

Prezzo: 40€ Via del Gallitello 255/257, Potenza https://www.tiri1957.it/ Pietro Macellaro Pasticceria Agricola - Piaggine non è esattamente il centro del mondo, ma Pietro Macellaro è uno che il suo business l’ha fatto girare, da New York ad Hong Kong, nelle piazze più danarose del globo. I panettoni che propone, direttamente dalla sua pasticceria gioiello nel Cilento inoltrato, sono un vortice di agrumato e miele, uniti ad una texture invidiabile. Lo propone anche in degustazione presso la sua boutique, insieme a Panbrigante e Pandoro. Volete osare? Concedete una possibilità al suo melanzane e cioccolato, non ve ne pentirete. Prezzo: 43€ Via Madonna delle Grazie 28 Piaggine (SA) https://www.pietromacellaro.it/ Pasticceria Morandin (Mauro Morandin) - Tra i super segnalati della Community, il Maestro Mauro Morandin: il suo panettone non ha certo bisogno di presentazioni. Di generazioni di lievitisti ne sono passate dal laboratorio di Aosta. Lì si continua a sfornare un panettone filante, impreziosito dai canditi di arancia con “metodo Morandin”, richiestissimi dai fanboy del fatto in casa anche per i propri. Utilizziamo la parola “fanboy” non a caso, perché il panettone di Morandin


scatena proprio la ola da stadio. Non possiamo far altro che approvare.

Modena (MO) https://giamberlano.it/

Prezzo: 35,90€ Via Chanoux 105, Saint-Vincent (AO) http://www.mauromorandin.it/

Casa Manfredi - Bella e ingegnosa la trovata del “panettone romanese” della pastry chef Giorgia Proia, ovvero un panettone tradizionale milanese fatto nella città di Roma. Ne risulta un lievitato ingentilito, sicuramente meno zuccherino e burroso, simile ad un dolce da mangiare tutto l’anno e non soltanto a Natale. Molto glam nelle versioni di packaging proposte, tra le quali una addirittura in collaborazione con Grattoni (eccellenza del made in Italy di interni).

Saporé, Renato Bosco - Lievitista a tutto tondo: di questo ricercatore degli impasti si è detto praticamente di tutto, quindi non ci dilungheremo, se non per dirvi che è un perfetto esempio di panettone setoso, compiuto, al massimo della sua espressione. Lo sviluppo della pasta, gli alveoli verso l’alto (e tutti giusti) Sono caratteristiche che vi faranno letteralmente innamorare, oltre a darvi lo standard di “come” dovrebbe essere un panettone fatto a regola d’arte. Prezzo: 40€ Via Ponte 55 San Martino Buon Albergo (VR) https://www.boscorenato.it/ Dolcemascolo — da Frosinone, in una scatola che fa molto anni Ottanta (e quindi ricordi d’infanzia) un panettone molto soffice e gonfio, bello a vedersi nelle sue minuscole imperfezioni, che fanno gioco all’artigianalità. Morbido e cesellato di uvetta e canditi in buone quantità, gli alveoli sono piccoli per una trama fitta che vi farà divertire a strappare la pasta con le mani. Prezzo: 39€ Via Madonna della Neve 77 Frosinone https://www.pasticceriadolcemascolo. com/

PANETTONE GLAM

Panettoni che non sono solo tremendamente buoni, ma che sono anche belli da tenere come oggetto d’arredo. Fanno un po’ effetto coloniali, infanzia e bei ricordi.

Prezzo: 35€ Via Rossini 14/16 Pavullo nel Frignano

Olivieri 1882 — Svecchiato dall’aura impolverata, il panettone di Olivieri 1887 è sbarcato ovunque, diventando un oggetto ambito anche da quelli più giovani e smaliziati. Sarà il tipo di comunicazione pop, ma i panettoni Olivieri sono una sorta di “status symbol” tra gli estimatori. Ben eseguiti nella loro lievitazione, con l’arancia a far da padrona e una sfilacciatura facile da praticare. Prezzo: 39€ via Alberti 5, Arzignano (VI) https://www.olivieri1882.com/ Andrea Tortora — AT Patissier, marchio di Andrea Tortora, firma il panettone neoclassico, così ci piace definirlo: una sorta di ritorno all’austerità, però più gentile. Nella forma è preciso, la cupola sembra disegnata da Giotto per compostezza e bellezza; ne risulta un panettone alto e perfettamente strutturato, con un buon bouquet di profumi equamente distribuito. Insomma, l’equilibrio è la chiave del panettone di Andrea Tortora. Prezzo: 45€ Showroom di Milano in Via Larga n.4, Milano https://www.andreatortora.com/ De Vivo Pompei — La pasticceria, originaria della città di Pompei e presente dal 1955, ha ben travalicato l’ombra del Vesuvio e gran parte di questo risultato lo deve sicuramente al panettone. Con operazioni commerciali abbinate ad una

Prezzo: 45€ Via Roma 36, Pompei (NA) https://www.lapasticceriadevivo.it Roberto Rinaldini - Se vi piacciono le confezioni appariscenti, Roberto Rinaldini ve ne propone un bel po’, con dentro ovviamente un panettone da manuale. I nomi sono numeri, il che fa un po’ effetto Chanel: c’è il N. 1, che è un classico alto e senza glassa, fino al N. 4. Oltre al profumo mandorlato, si nota subito una fitta occhiellatura. Prezzo: 42€ Viale Amerigo Vespucci 8, Rimini https://www.rinaldinipastry.com/ Pepe Mastro Dolciere — Giuseppe e Prisco Pepe (il primo si dedica principalmente ai lievitati, il secondo al cioccolato), portano fieramente avanti le redini di una di quelle pasticcerie che è stata tra le prime del Sud a proporre un panettone identitario, quello del compianto Alfonso Pepe: un lievitato basso, caramellato e con la scarpatura importante, sofficissimo da volercisi tuffare dentro. La loro iconica scatola verde ha oltrepassato il decennio di vita e ha la capacità di riportare alla mente (con un potere di sinestesia altissimo) odore di coloniali, di zucchero, burro e vaniglia in triade inscindibile. Da provare anche il nuovissimo Pan Sacher, un lievitato con impasto e glassa cioccolato, arricchito di marmellata di albicocche pellecchielle. Prezzo: 38€ Via Nazionale 2/4 Sant'Egidio del Monte Albino (SA) https://www.pepemastrodolciere.shop/ Sal De Riso — il Sal Nazionale troneggia ovunque, dalle botteghe enogastronomiche ai supermercati più “sgamati”. Il suo Milanese, in sgargiante confezione bianca e rossa, con caratteri dorati, fa bella mostra di sé in Italia e all’estero. Anche il panettone, tolto dal packaging, risulta davvero bello senza mezzi termini,

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Pasticceria Giamberlano - Valter Tagliazucchi non ha certo bisogno di presentazioni, insieme ai suoi panettoni. Quest’anno i lievitati sono proposti in latte che raffigurano la cittadina di Pavullo, in alcune scene come la semina o l’onirico “Paese che dorme e sogna”. Il panettone all’interno, sempre di tipo alto, è lo Spaziale: succosissimi i canditi di arancio, albicocca e limone.

Prezzo: 40€ Viale Aventino 91/93, Roma (RM) https://www.casamanfredi.it/

grande qualità del prodotto proposto, vi troverete dei pop up a marchio De Vivo a Milano e Roma, nonché nelle stazioni d’Italia. Panettone in tantissime versioni, ma di sicuro spicca il Tradizionale e il Nocciolato. Le maioliche raffigurate sulla confezione lo rendono praticamente un complemento d’arredo.

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opulento a voler usare una parola forte, che si adatta benissimo sia all’aspetto che ai profumi. Per chi volesse osare, c’è proprio il panettone in versione cromata: il suo Panettone con Foglia d’oro edibile, a ben 170 euro. Siamo decisamente nel campo del “panettone glam”, deciderete poi voi se ne vale la pena (giustamente). Prezzo: 40€ Via Roma 80, Minori (SA) https://www.salderiso.it/ Infermentum — Ce lo avete detto in tantissimi: Infermentum rientra già nelle nostre conoscenze ma si merita di sicuro il “premio della Community” per il numero di segnalazioni ottenute! Sarà che la nostalgia ogni tanto colpisce anche noi, ma il panettone di Infermentum, con quell’incarto che sa di “panificio d’antan”, un posto tra i panettoni di design lo merita. E il prodotto all’interno non è da meno: giustamente alveolato, senza forzature, cupola molto caramellata dalla cottura abbastanza spinta, profumo di pane. Prezzo: 33€ Via Copernico 38, Stallavena (VR) https://www.infermentum.it/ Cremeria Capolinea — Simone De Feo, maestro gelatiere di Cremeria Capolinea, si rivela da qualche anno essere anche un ottimo lievitista. Anche qui, il panettone risulta giovane e svecchiato dall’aria natalizia e declinato in salsa urban-contemporanea. Senza dubbio, la versione da provare quest’anno è il panettone al Tiramisù, arricchito da un tocco di mascarpone nell’impasto che, praticamente, permette l’incrocio, molto riuscito, dei due dolci più famosi d’Italia. P rezzo: 40€ Viale Ettore Simonazzi 14, Reggio Emilia https://www.cremeriacapolinea.com/

PANETTONICHE CONFERME

Dicembre 2022

I panettoni incredibilmente buoni, che si confermano di anno in anno e sui quali scommettiamo godimento assoluto.

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Foorn — Il nome dietro al progetto Foorn (panificio, pizzeria e molto altro con due sedi nel napoletano) è quello di Carlo Di Cristo, poliedrico insegnante anche di una buona parte di lievitisti di nuovissima generazione. Il suo panettone è premio

ambito: stilisticamente ineccepibile, è la versione diecipuntozero di un panettone tradizionale. Le varie componenti si bilanciano, si abbracciano e contribuiscono a scrivere un “libro unico dei sapori”, dove ogni sfornata può essere diversa dall’altra. Scadenza brevissima, il consiglio è quello di provarlo entro 3 settimane dalla produzione, lasso di tempo in cui esprime sul serio il meglio di sé.

lievitista che porta avanti il concetto di lievito madre liquido oltre ad essere maestro di foltissime tribù di panificatori e “panettonificatori”. Ne risulta un dolce tecnico, molto ben eseguito e con una equa distribuzione di aromi, che lasciano la bocca non appesantita ma fresca.

Via Variante 7 Bis 22 Mariglianella (NA) https://www.foorn.it/

Opera Waiting — Da Poggibonsi, una pasticceria che si è distinta nel corso degli anni per la creazione di lievitati natalizi anche “alternativi”. La base di partenza è sempre da ingredienti biologici, anche territoriali: nasce così il panettone tradizionale bio, di tipo Milano, con la pasta setosa e carico di sapore grazie all’agrume siciliano candito. Da attenzionare anche il panettone bagnato nel Vin Santo del

Roberto Cantolacqua (Pasticceria Mimosa) — siamo in un porto sicuro per quanto riguarda le dolci ricorrenze. Roberto Cantolacqua, Maestro italiano di perfezionismo (probabilmente uno dei nomi più gettonati quando si parla di decorazione a conetto) propone i suoi lievitati in bellissime scatole blu cobalto e oro. E dentro, i panettoni sono ancor più belli: c’è solo da farsi conquistare dallo sviluppo verticale del prodotto, che sprigiona perfettamente i profumi. E, se non vi basta, prendete un Panbrillo: un impasto arricchito di cioccolato fondente e rum. Da divorare davanti al camino, o al termosifone, per chi è sprovvisto. Prezzo 38€ Via Duca degli Abruzzi angolo Corso Dalmazia Civitanova Marche (MC) Viale Vittorio Veneto 69/77 Tolentino (MC) https://www.robertocantolacqua.it/ Pasticceria Vignola — Raffaele Vignola è una garanzia, rintanato lontano dal clamore nella sua Solofra (Avellino), città decisamente lontana dai fasti milanesi dei panettoni. Se volete un prodotto che trasudi artigianalità da ogni alveolo, siete nel posto giusto: dalla scorza di arancia ottenuta pelando a mano le arance in laboratorio, passando per la gestione del lievito madre. I risultati si vedono tutti: sarà l’uvetta succosa, l’agrumato oppure l’ostinato uso del miele irpino. Tutto contribuisce ad impreziosirlo. Prezzo: 35€ Via Giuseppe Maffei 33, Solofra (AV) https://pasticceriavignola.it/ Non solo pane — Questo è il nome del progetto che fa capo ad Oscar Pagani,

Prezzo: 40€ Via Malogno, 4 Palazzolo sull'Oglio (BS) https://non-solo-pane.eatbu.com

Chianti. Prezzo: 36€ via Ombrone 2,Poggibonsi (SI) http://www.operawaiting.it/ Gino Fabbri (La Caramella) —Tra le storiche maestranze da provare almeno una volta nella vita c’è Gino Fabbri con il suo panettone: vi ritroverete, letteralmente, un pezzo di pasticceria italiana tra le mani. Il suo lievitato è suadente, ha i profumi della vaniglia e dei posti caldi, prezioso di un’uvetta molto dolce. È così buono che vi consigliamo addirittura il Panettone glassato, cioè tra quelli che tende a creare più casini: goloso e da tentazione perpetua. Prezzo: 42€ Via Cadriano 27/2, Bologna (BO) https://www.ginofabbri.com/ Pasticceria Andreoletti — Bruno Andreoletti, discepolo di Iginio Massari - con due pasticcerie all’attivo, una ad Offlaga e l’altra a Brescia - si conferma un fuoriclasse dei grandi lievitati. Il suo panettone è alto, modestamente fuori dal pirottino senza vanagloria, morbidissimo e con una glassa di mandorle e zucchero ben distribuita. Vi colpirà da subito il profumo di lievito, ma anche della vaniglia. Molto bello il celeste della scatola: fresco, elegante e per niente rigoroso. Prezzo: 40€ Via Aleardo Aleardi, 20 D, Brescia


https://www.pasticceriaandreoletti.it Pasticceria Pasquale Marigliano — il delfino napoletano di Pierre Hermé delizia con una parure di panettoni bassi, farciti in maniera golosa. Se il Tradizionale non vi basta, nella sua perfezione formale e giuste proporzioni di grassi e zuccheri (vi aspettavate altro dal più francese dei maestri del Sud?), date più di una chance a quello al cioccolato fondente, in una sola parola: laido. O ancora spendete il vostro budget dedicato al dolce natalizio per l’alcolico Panettone con crema di Limoncello. Vi assicuriamo che non ha lesinato e sarete ben preparati al brindisi di fine pasto. Dalle note: “Il più charmant tra i panettoni”.

Prezzo: 20€ Viale Mentana 91/A, Parma Via Spadari 13, Milano https://www.ciaccolab.it/ Dolciarte - Carmen Vecchione e il suo team ci ha ben abituati a nuvoloni color caramello, anno dopo anno, soffici che è difficile descriverli, burrosi ma non unti. Se vi va di andare fuori dal seminato, provate il panettone caffè e latte: una coccola mattutina, come quei cappuccini della domenica, quando il tempo fuori non è dei migliori e vi concedete una carezza al palato. Prezzo: 38€ Via Trinità 52, Avellino https://www.dolciarte.it/

Prezzo 40€ Via Fonseca 146, Nola (Na) Via G. D’Annunzio 23

Fornai Ricci - In rappresentanza del Molise, quella regione che (r)esiste, Fornai Ricci produce un panettone che è

San Gennarello di Ottaviano (Na) https://www.pasqualemarigliano.it/

un piccolo capolavoro di panificazione, sia per sviluppo che per equilibrio di aromi percepiti. In versione alta, non svetta molto oltre l’involucro e con cupola non troppo pronunciata; il profumo è caramellato, spinto a livello di cottura. Da tener d’occhio e provare anche il panettone ai marroni ed, eventualmente, il Panevo all’olio extravergine d’oliva.

Iginio Massari, Pasticceria Veneto — il panettone canonicamente inteso, l’oggetto di bramato desiderio che è reperibile davvero ovunque. Senza Massari, chissà che fine mediatica avrebbe fatto il panettone. È una versione austera, che sicuramente dice la sua ancora oggi, non troppo svettante dal pirottino e con crosta brunita. “Se ti piace il panettone classico, da provare è quello di Massari, per iniziare”. Note di redazione. Prezzo: 43€ Via Salvo D’ Acquisto 8, Brescia www.iginiomassari.it (5 sedi e 9 pop up store nelle principali città d’Italia)

Pasticceria Gabbiano — Un’altra rappresentanza del Vesuvio, con il Maestro Pasticciere Salvatore Gabbiano, grande appassionato di storia pompeiana. Il panettone proposto è un nuvolone basso e carico, con una spiccatissima nota di agrumi e la cupola ambrata. Indicato per chi preferisce un gusto “carico” di burro ed arancia, con un bel pizzicorio acidulo finale. Non certo un panettone semplice, con una sua grande complessità aromatica, che sprizza identità sudista da tutti i pori. Prezzo: 36€ Via Lepanto 153 Pompei (NA) https://gabbianopasticceria.com/ Pavé — Bella, cromaticamente attraente e “metropolitana” la confezione del panettone dei milanesi Pavè, che rivela un panettone alto e con una alveolata fitta. Assaggiato anche

Panificio Ascolese — Okay, questo panel è una esperienza condivisa con tante persone, tra Community, Food Hunters e Redazione. Su Panificio Ascolese ci abbiamo visto lungo da sette anni a questa parte. Fiorenzo è un giovanissimo panificatore fatto da sé, che non è mai sceso a compromessi e non si è fatto aiutare da uffici stampa. È cresciuto a dismisura, il suo panettone è davvero un trionfo di panificazione, profumato il giusto, uno di quei lievitati da instagrammare in tutta la sua fierezza: bello da vedere, muscoloso e alto fuori dal pirottino, la fetta non vi si sgretolerà in mano ma avrete tutto il piacere di sfilacciarla. E se proprio dobbiamo dar conto ai premi, quest’anno Fiorenzo ne ha fatto incetta. Che roba in quel di San Valentino Torio! Prezzo: 35€ Via Gian Battista Vico n° 99 San Valentino Torio (Sa) https://www.panificioascolese.it/ Pasticceria Mamma Grazia - Molto consigliati dalla nostra Community, quelli di Mamma Grazia sono oramai slegati dall’etichetta “nuova leva” dei lievitati campani e rappresentano una realtà solida ed affidabile. Il panettone di Mamma Grazia è il “sessantanove”, cioè il sottosopra del rigoroso panettone milanese: gli fa scherzosamente il verso. Al posto della severità dell’impasto, si abbandona ad un cuscino basso, gonfio e colorato; tra i profumi spiccano sontuosamente la vaniglia ed il burro. Prezzo: 38€ Via Vincenzo Russo, 136/142 Nocera Superiore (SA) https://www.pasticceriamammagrazia. com/ Italo Vezzoli - Questo brand risponde al progetto molto grande di pasticceria e bistrot In Croissanteria, sito a Carrobbio degli Angeli. Tre sole le tipologie proposte sull’e-commerce che, nel giro

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Ciacco Lab — Ci troviamo di fronte ad un altro gelatiere, Stefano Guizzetti, che conosciamo molto bene (avete letto il nostro approfondimento sulla Chimica del Gelato che lo vede protagonista?). La sua versione di panettone è “scientificamente pensata” e, ci permettiamo di dire, per palati che non hanno paura di essere sorpresi. Sarà l’uvetta di Corinto leggermente “abbrustolita” dalla cottura, sarà quella sensazione di leggerezza, ma il suo panettone ci ha convinti parecchio da qualche anno a questa parte e gli diamo il posto che merita tra le conferme.

Prezzo: 36€ Strada Statale 158 KM 37+200 Montaquila (IS) https://ilpanettone.shop/

dai Food Hunters grazie alle segnalazioni della Community, ci riferiscono un panettone non particolarmente umido ma molto gradevole. “Da passeggio”, leggo qualche nota: la fetta si tiene su senza problemi e si può mangiare anche camminando. Bella idea, la votiamo. Prezzo: 38€ Via Felice Casati 27, Milano MI https://www.pavemilano.com/

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di qualche anno, si è classificato come un habitué dei sold out. Di nostro interesse Il Milanese, molto sviluppato verso l’alto e che abbiamo trovato particolarmente carico in profumo. Prezzo: 40€ Via Variante di Cicola, 13/C Carobbio degli Angeli (BG) https://www.italovezzoli.it/ Panificio Follador - da Pordenone, propone panettone basso ,anche mandorlato. Appena aperta la busta, insistente l’idea e l’odore di pane, che si riversa interamente in una struttura interna da manuale, probabilmente complice anche l’intensa attività di panificio che caratterizza l’azienda. Tra i gusti “particolari”, degno di nota anche limone, orzo tostato e gianduia. Prezzo: 38€ Via Nuova di Corva 64, Pordenone (PN) https://www.panificiofollador.it/ Pasticceria Lorenzetti - pasticceria della provincia veronese, da decenni propongono dolci natalizi, soprattutto lievitati. E se il panettone tradizionale, con la sua uvetta succosa e lievitazione millimetrica non vi basta, concedetevi il loro ben più famoso panettone al recioto: qui, il vino viene fatto dealcolare fino a formare una glassa da aggiungere all’impasto. C’è retrogusto alcolico, senza invadere: adatto a chi non sa fare a meno della nota liquorosa. Prezzo: 40€ Viale Olimpia 6 San Giovanni Lupatoto (VR) https://www.pasticcerialorenzetti.com/

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Pasticceria Merlo - Maurizio Bonanomi è il nome dietro questo raffinatissimo lievitato: anche per lui, tantissime le segnalazioni. La pasta è fitta e va a comporre un panettone alto e davvero pieno, con il profumo di miele che è tra le prime note a sovvenire al naso, seguito poi dall’uvetta e dall’agrumeto. “Ricorda le feste d’infanzia”, dicono gli assaggiatori.

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Prezzo: 40€ Via Masaccio 4, Pioltello (MI) https://www.merlopasticceria.it/ Angelo Grippa - Nella micro-pasticceria al centro di Eboli (SA), Angelo Grippa

gestisce maniacalmente il lievito madre, i canditi autoprodotti, le uova sgusciate a mano e letteralmente tutto ciò che si può fare in poco spazio; poche centinaia di pezzi l’anno tra panettoni e pandori, che vanno letteralmente a ruba. E non vi basta il Panettone, o finisce troppo presto? C’è pur sempre il Babettone, un dolce che è sicuramente più buono che foneticamente accattivante, un babà in vasocottura buono sempre. Forse a Natale anche di più. Prezzo: 36€ Via San Berardino 21 ,Eboli (SA) https://www.angelogrippa.it/ Posillipo Dolce Officina - Spin off dolce del “mondo Posillipo” (che conta ristorante, hotel ed enoteca anche), Dolce Officina propone da anni ottimi e collaudati panettoni, molto apprezzati su tutto il versante emiliano e anche oltre. La loro proposta è un panettone alto, con cupola che non va troppo oltre il pirottino, non arrogante. Oltre il Tradizionale (sia glassato, che nudo Milanese), da provare per complessità di gusto quello al Pistacchio e amarene di Cantiano. Prezzo: 37€ Viale Maria Ceccarini 136, Riccione https://www.posillipodolceofficina.com/ Sebastiano Caridi - C’è da fare una precisazione: nessuno in redazione aveva provato il suo panettone, sebbene questo pasticciere goda di notevole fama, anche per quanto riguarda i grandi lievitati. Per fortuna esistono la nostra Community e i nostri Food Hunters. Lo abbiamo assaggiato: la pasta è filante e setosa, esente da barocchismi. Un bell’esempio di panettone neoclassico, “da divorare subito” (note di redazione). Prezzo: 40€ Palazzo Baldi Corso Saffi 48/A Faenza (RA) Palazzo Fava Via Manzoni 2, Bologna https://www.sebastianocaridi.it/

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La Community ce li ha segnalati, secondo i nostri criteri. I Food Hunters hanno cercato di assaggiarli tutti e questa mappa è soprattutto merito dei nostri lettori.

Vincenzo Faiella Pastry Chef - Vincenzo Faiella è un nome noto nell’ambito della pasticceria professionale e lo sta diventando anche al pubblico grazie alla sua nuova pasticceria. Il suo panettone è un classico esempio di panettone “del Sud”, barocco e “pieno”, con una trama fittissima ed uvetta succosa. La shelf-life indicata è brevissima, appena 30 giorni. Un consiglio spassionato: il panettone mandorle e albicocca, uno dei migliori esempi di panettone farcito in circolazione. Prezzo: 40€ Largo De Gasperi 13/14 San Marzano sul Sarno (SA) https://vincenzofaiella.it/ Marzapani - Don Peppinu . Marzapani è il ramo dedicato alla pasticceria siciliana che affianca il progetto Don Peppinu, entrambi brand di Peppe Flamingo, giovane estroverso e cultore a 360° della "materia dolce”. Da qualche anno impegnato anche nella produzione di lievitati festivi e barocchi, racchiusi in sgargianti scatole in latta dai motivi siciliani, propone cuscini gonfi che "fanno il filo”, buoni sia da mangiare in purezza, sia in abbinamento a creme e confetture autoprodotte, ovviamente con ingredienti fieramente siculi. Prezzo: 39€ Via Mola 39, Modica (RG) https://marzapani.it/ Pasticceria Nero Vaniglia - Siamo a Roma, precisamente alla Garbatella: Giorgia Grillo (apicoltrice, tra le altre cose) non è figlia di pasticcieri, ma ha creato da sé la sua piccola schiera di fan del panettone, che l’hanno caldamente consigliata. I suoi panettoni sono gonfi, strizzano l’occhio alla panificazione più che alla pasticceria, completati da bellissime scatole dal tocco dichiaratamente femminile di Giorgia. Da provare il panettone Speziato ai fichi. Circonvallazione Ostiense 201, Roma https://www.nerovaniglia.it/ Pasticceria L’Oca Golosa - dietro questo progetto friulano, con sede a Gorizia, ci sono tre giovani con la passione smodata per la pasticceria. E dire che il loro lavoro ha appena (o quasi) una decina d’anni. I grandi lievitati per le


feste proposti sono di ottimo valore e molto apprezzati per gusto complessivo e consistenza fioccata. Prezzo: 34€ Corso Italia 201, Gorizia) https://pasticceriaocagolosa.it/ Panificio Pugliese (Michele Segreto) — C’è da dire che Michele Segreto meriterebbe anche il posto nella categoria Design, grazie alle bellissime scatole di quest’anno con tema “la giostra”. Il panettone proposto dal panificatore di Toritto, in Puglia, è di tipo alto, brunito e con l’uvetta “scrocchiarella” in superficie. L’interno si presenta sfilaccioso a dovere, profumatissimo di burro. Da provare il panettone fichi e mandorle.

Panificio Tre Sorelle - Siamo in Sicilia, precisamente a Messina, punto di congiunzione con la penisola. Si tratta di uno storico panificio molto apprezzato dalla clientela, sia per i prodotti quotidiani che per quelli d’occasione come, per esempio, un vigoroso panettone dal sapore e manifattura di Sud. Prezzo: 28€ - 38€ viale Europa 112, Messina https://www.panificiotresorelle.com/

Prezzo: 30€ Via della Vittoria 12, Toritto (BA)

Dolceria Sapone - Eustachio Sapone non è certo un nome di primo pelo per quanto riguarda il mondo dei lievitati, ma Community e Food Hunters lo hanno segnalato ed assaggiato a più riprese. I suoi panettoni sono proposti in lussuose scatole nere ed oro, in formato basso. Al taglio, il lievitato è umido (merito dell’arancia semicandita?) E

https://www.facebook.com/people/ Panificio-Pugliese/100067431991183/

ben filante, con l’uvetta sei corone dolcissima.

Nelly’s Caffetteria e Pasticceria - Qui siamo a Chioggia: per questa pasticceria/caffetteria niente spedizioni, produzione ridotta all’osso o per meglio dire, a tutto ciò che si riesce a fare nei limiti dell’artigianalità. Manuele Scarpa, giovane ma già ben avviato all’attività di pasticceria, propone panettoni profumatissimi e ben bilanciati nelle sue varie componenti. Degno di nota, l’Havana: carico di cioccolato quanto basta e, nell’impasto, infuso di sigaro cubano.

Prezzo: 34€ Estramurale S. Pietro 32 Acquaviva delle Fonti (BA) https://www.dolceriasapone.it/

Borgo S. Giovanni 500, Chioggia VE https://www.instagram.com/caffe. pasticceria.nellys/

Prezzo: 23€ - 40€ Via IV Novembre, 10/12 ,Olmi (PT) https://www.pasticceriacomeunavolta. it/ Fulgaro Panificatori 1890 - Pascal Fulgaro è il maestro panificatore di questa realtà pugliese; ha lo sguardo da attore e, a dire il vero, anche i suoi panificatori meriterebbero un posto sul set. Quelli di nostro interesse sono i panettoni della serie Artù Folk, cioè fatti con burro (visto che quelli “alternativi” di stampo pugliese sono con olio extravergine d’oliva); li ritroviamo in versione classica, con canditi e uvetta, ma anche con uva Nero di Troia, tre cioccolati e frutti di bosco. Un’occasione imperdibile per farsi un giro in Puglia, dalla tavola di casa propria.

Panificio Il Buongustaio - Un panificio campano, con alla guida i fratelli Salvatore e Gianluigi Caccioppoli, giovani ma esperti lievitisti che si avventurano in gran parte delle forme che vedono acqua, farina ed altri ingredienti. I panettoni risultano essere superbi esempi di cuscini bassi, profumati di lievito di panificio, frutta secca e vaniglia. Da provare, oltre al panettone tradizionale, quello al cioccolato oppure alle albicocche pellecchielle del Vesuvio. Prezzo:36€ Via Stabia 233/237 Sant’Antonio Abate (NA) https://www.buongustaio.it/ Pasticceria I Maghi Infarinati - Siamo ad Ivrea, con un lievito madre gestito in maniera superba dal maestro lievitista Corrado Vicina Mazzaretto. Un panettone “lento” e giocoso, dove gli aromi predominanti risultano essere quello di vaniglia e agrumi. Oltre il Panettone Classico, da provare il mandorlato con pere semicandite e cioccolato. Prezzo:36€ Corso Botta 30, Ivrea (TO) https://www.maghiinfarinati.it/ Marco Aliberti Pasticceria - Marco Aliberti, un quasi quarantenne appassionato di pasticceria moderna, propone un panettone degno di nota a Montoro Superiore, nella primissima provincia di Avellino. Un lievitato ben umido e strutturato, profumatissimo di vaniglia. Gusto da non perdere è sicuramente quello alla mela e cannella: quest’ultima viene messa in infusione e contribuisce a creare un vorticoso assaggio del quale riuscirete a distrarvi con molta (ma davvero molta) difficoltà. Via Roma, 6 San Pietro, Montoro Superiore (AV) https://www.alibertipasticceria.it/ BBQ4All Magazine

Pasticceria Maciste - Siamo a ridosso dei Monti Lepini, nel Lazio. Da qualche anno, la Pasticceria Maciste propone una selezione molto artigianale di grandi lievitati al pubblico. Non tantissimi, ma sono bastati a far breccia nel cuore della Community che ci ha debitamente segnalato questa realtà, nata nel 2008 e votata alla produzione di grandi lievitati di qualità, con attenzioni ai grani locali e gli ingredienti per la farcitura. Il risultato è un panettone particolarmente identitario e profumato. Via Annunziata 85, Cori (LT)

Pasticceria Come una Volta - Da Pistoia, ci segnalano la pasticceria con a capo Beatrice Volta. Il panettone è proposto in versione alta, con una scarpatura importante e con la cupola super brunita. Il panettone al Cioccolato (Cioccoloso) e ed il Panettone Classico sono gli esempi meglio riusciti in equilibrio e struttura.

Prezzo: 32€ Piazza Oberdan, 33 San Marco in Lamis (FG) https://www.fulgaropanificatori.it/

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La mappa del pandoro DI GASTRONOMICA-MENTE 078

A cura di Nunzia Clemente, della Redazione di Gastronomicamente, dei Food Hunters e della Community


Fare un ottimo panettone è difficile, fare un buon pandoro è davvero un’impresa per pochi pasticcieri altamente qualificati. Una shelf-life solitamente ridotta, pochissimi ingredienti, l’eccessiva ricchezza dell’impasto, fanno di questo blocco di burro, farina e vaniglia un boomerang: ci sono maestranze che riescono a tirar fuori ottimi panettoni ma pessimi pandori. C’est la vie, e non è nemmeno colpa del tutto loro.

chiesto una mano e ci avete aiutato. Seguendo i nostri criteri, vi abbiamo invitati a segnalarci i vostri pandori preferiti dall’ “etichetta pulita”.

Il pandoro è insidioso: saranno la lista degli ingredienti risicata, la durata praticamente pari a circa venticinque giorni utili, la quota di grassi che si fa sentire a renderlo un eterno secondo (ma davvero?) dolce natalizio, che soltanto in anni recenti sta conquistando una fetta di pubblico fedele all’artigianale. Segnaliamo però che Chiara Ferragni ci ha messo del suo quest’anno, lanciando il suo pandoro firmato Balocco. Ci aspettiamo quindi che il pandoro finisca nei trend topic di tutte le piattaforme social.

Il Disciplinare del pandoro: cosa dice? Il disciplinare nel Pandoro - incluso nel Decreto del 22 luglio 2005, e pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 1° Agosto dello stesso anno, recita così.

Lievito madre, farina, uova, burro, tantissimo burro: alcuni si spingono fino a dosi da ottundimento delle arterie, circa il 50% del totale della farina. Poi burro di cacao, zucchero e vaniglia pregiatissima. In ordine sparso, questi sono gli ingredienti caratterizzanti del pandoro, pochi e costosissimi oltre che pericolosissimi. Le uova, che nel pandoro sono presenti intere (e non solo tuorlo, come invece nel panettone) sono la spada di Damocle sia per la shelf life che per la struttura del dolce. Al netto delle difficoltà, il pandoro sta attraversando una fase di crescita più graduale rispetto al cugino panettone. Pochi pasticcieri sembrano accingersi a proporre prodotti in pompa magna; altri ne preparano poche centinaia di unità a ridosso del 25 dicembre, puntando tutto sulla freschezza. In ultima analisi, la distribuzione Nord-Sud di maestri pasticcieri che lo confezionano è decisamente più equa: certo, i conterranei del meridione d’Italia si fanno prendere un po’ la mano come al solito, ma gli austeri pandori del Nord fanno la loro dannata figura e si impongono ancora nella nostra memoria come il canone da rispettare.

Come per la Mappa del Panettone, vi abbiamo

“La denominazione ‘pandoro’ è riservata al prodotto dolciario da forno a pasta morbida, ottenuto per fermentazione naturale da pasta acida a forma tronco di cono con sezione a stella ottagonale e con superficie esterna non crostosa, una struttura soffice e setosa ad alveolata minuta ed uniforme ed aroma caratteristico di burro e vaniglia.” Farina di frumento, zucchero, tuorli d’uovo freschissimi, burro (o materia grassa), lievito naturale a pasta acida, vaniglia (o vanillina), sale: questi sono gli ingredienti imprescindibili, cui si aggiungono quelli facoltativi (latte e derivati, malto, burro di cacao, zuccheri vari, altri tipi di lievito come quello di birra, zucchero a velo, aromi, sorbato di potassio, acido ascorbico, emulsionanti) sono facoltativi. “ Insomma, ci ritroviamo esattamente nella stessa situazione che vede Panettone Industriale e Panettone Artigianale messi a confronto. Il disciplinare è comune, sia per chi si accinge a fare pandori industriali, sia per chi concorre nella produzione artigianale. Quali sono i problemi in cui si incorre nel fare un buon pandoro artigianale? Nel pandoro, la farina si ritrova ad essere praticamente un ingrediente di minoranza: circa il 30% del totale. E questa farina deve in qualche modo “legare” gli zuccheri e la materia grassa. Fare un pandoro come si deve è, sul serio, un esercizio di matematica e scienza pasticciera. Le proporzioni e la conoscenza esatta della natura e chimica degli ingredienti contano ancora di più. Se fare un panettone barocco e carico è stata (ed è ancora) tendenza, fare un pandoro che sia soffice, giustamente burroso, dolce ma non stucchevole, si

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CRITERI DI SELEZIONE PER LA MAPPA DEL PANDORO DI GASTRONOMICAMENTE 2022

Rispetto al panettone, ci è risultata molto evidente una cosa: anche per voi, cari lettori e cara Community, è più difficile trovare un buon pandoro. Come abbiamo visto, di ottimi panettoni ne esistono molti. Di pandori buoni, molti meno.

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sta rivelando affare non facile. E francamente, molte volte, il risultato non è soddisfacente: va bene avere le dita unticce dopo averne mangiato una fetta, ma non è piacevole ritrovarsi le mani oliate come quella volta al massaggio Ayurveda. Molti artigiani, per garantirsi morbidezza, ricorrono all’uso eccessivo di materia grassa. E ancora, altri stimati pasticcieri ricorrono alla “via breve e scientifica" degli emulsionanti, di cui vi abbiamo illustrato pro e contro in questo numero del Magazine.

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Pandoro artigianale e shelf life. Se proprio vogliamo un pandoro artigianale (laddove lo si intende senza emulsionanti o enzimi), dobbiamo fare i conti con tempi di conservazione del prodotto praticamente ridotti all’osso. Dopo il fisiologico tempo di assestamento, un pandoro senza emulsionanti va mangiato il prima possibile. I primi 10 giorni di vita del lievitato garantiscono morbidezza e

gusto pieno; a mano a mano, sentiremo svanire tutte le caratteristiche positive per ritrovarci un mattone di burro avvizzito, nella peggiore delle ipotesi con qualche vago sentore di rancido. Compiuti i 25 giorni di vita, un pandoro tenderà a perdere - o avrà già perso - tutte le note positive necessarie per una degustazione ottimale. Difficile impresa e cara spesa Se fare un panettone artigianale “esente” da aiuti è difficile (per la spesa, lo stoccaggio, la vendita) fare un pandoro è davvero impresa per pochi. I costi vivi di materia prima e manodopera e, non da ultimo, il “rischio” che resti in magazzino materiale invenduto, comportano per questo prodotto una serie di complicanze mica da ridere. La shelf-life ridotta (la media è 21-25 giorni) intimorisce molto gli artigiani, che relegano la produzione del pandoro spesso al solo mese di dicembre.


MAPPA DEL PANDORO 2022 Utilizzando i medesimi criteri della Mappa del Panettone 2022, abbiamo messo insieme una lista di pandori che spiccano per gusto complessivo e tecnica. Ci sono pandori più scioglievoli e burrosi, così come pandori leggermente più “tenaci” ma che si distinguono per profumi e consistenza. Come sempre, sta a voi scegliere quello più adatto al vostro palato.

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Tiri 1957 - All’interno della Tiripedia rientra anche il Pandoro Extrasoffice, il pandoro con tripla fase di lavorazione a firma Vincenzo Tiri. Il pizzicore della vaniglia e la nota lattica del burro sono i sentori predominanti di questo pandoro, sin da quando si apre la busta e lo si annusa. Al morso si dissolve tutto e si azzera la distanza tra “è un lievitato” e “è una nuvola”. È, senza mezzi termini, un autentico colpo da Maestro della Lievitazione. Note di redazione: “Il Paradiso del Pandoro, se esiste, è qui”. Prezzo: 40€ Via del Gallitello, 255/257 Potenza https://www.tiri1957.it/ Pasticceria Vignola - Il pandoro di Raffaele Vignola è praticamente perfetto da un punto di vista formale: non troppo alto ma regolare, “il colore è miele di manuka” (dicono le note redazionali), con una scatola in verde e argento che fa subito effetto albero di Natale. Mette gioia, parecchia gioia. In bocca è un vortice di burro, zuccherato il giusto, che lascia la voglia di tagliare la seconda fetta, senza troppi sensi di colpa. Uno studio sul pandoro che dura da qualche anno e che, ad oggi, vede davvero gli sforzi ripagati da un lavoro bello e particolarmente buono per il pubblico. Prezzo: 35€ Via Giuseppe Maffei 33, Solofra (AV) https://pasticceriavignola.it/ Pietro Macellaro Pasticceria Agricola - Vi sfidiamo nel trovare un pandoro più ricco, a livello di gamma aromatica, di quello di Pietro Macellaro. L’utilizzo del burro di cacao puro (ottenuto direttamente dalle fave di cacao che lavora nel suo laboratorio) dà una spinta personale a questo grande lievitato, allontanandolo dal solo “burro e zucchero” e rendendolo un dolce pieno e piacevole, sia da gustare da solo che durante un percorso con altri dessert, non per forza sotto l’albero di Natale.

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Prezzo: 45€ Via Madonna delle Grazie 28 Piaggine (SA) https://www.pietromacellaro.it/

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AT Patissier - Accanto al Panettone, Andrea Tortora propone la sua idea (extralusso) di pandoro, racchiuso in

una raffinata box di latta. Dal colore all’aroma persistente in bocca, è tutto un caramellìo: di certo, si tratta di un pandoro non convenzionale, ma chi l’ha detto che classico è meglio? Prezzo: 45€ Showroom di Milano in Via Larga 4 , Milano https://www.andreatortora.com/ Pasticceria Pasquale Marigliano - Pasquale Marigliano poteva mai esimersi dal proporre un tourbillon di burro e vaniglia, fatto a modo suo? Giammai. Il pasticciere filo-francese sforna un pandoro di gran rispetto e gloria, pomposo e proposto in una scatola festiva. Lussuriosa questa la sua versione del lievitato, poco meno di ottocento grammi, leggermente più basso degli altri ma filante come zucchero. Il burro dà una bella spinta, con l’impasto che si scioglie letteralmente dopo qualche picosecondo in bocca. “Su, proponilo tutto l’anno”, dicono i rumors redazionali. Prezzo: 36€ Via Fonseca 146 ,Nola (Na) Via G. D’Annunzio, 23 San Gennarello di Ottaviano (Na) https://www.pasqualemarigliano.it/ Ciacco Lab - Stefano Guizzetti col pandoro si è superato: “perfezione formale”, dalle note di redazione. Una fetta sofficissima, che pare non abbia peso (abbiamo anche paura di ammaccarla), con un bel retrogusto, più vanigliato che burroso. È uno di quei casi in cui ci si sbilancia: Ciacco, col pandoro hai fatto un gran bel lavoro. Prezzo: 20€/ 500g Viale Mentana 91/A, Parma Via Spadari 13, Milano https://www.ciaccolab.it/ Pasticceria Mimosa- Oltre al panettone, Roberto Cantolacqua presenta un pandoro molto stiloso: peso 750 grammi, una vetta burrosa, con un deciso sentore di vaniglia (in questo caso, vaniglia Tahiti) e miele d’acacia. Un pandoro di quelli “fatti bene”, che sanno d’infanzia e di bei ricordi, cose che ci piacciono parecchio. La scatola è sicuramente una delle più glamour di questa raccolta.

Prezzo: 39€ Via Duca degli Abruzzi angolo Corso Dalmazia Civitanova Marche (MC) Viale Vittorio Veneto 69/77 Tolentino (MC) https://www.robertocantolacqua.it/ Pasticceria Marisa - Nel momento in cui vi sto scrivendo, potrebbe essere già stato dichiarato il sold out, ma il pandoro di Lucca Cantarin (non è un errore di battitura) merita una sentita menzione all’interno del nostro speciale. Questo lievitato fiocca letteralmente tra le mani per poi fondersi in bocca. E, se siete golosi, c’è anche il pandoro glassato al cioccolato. Prezzo: 32€ Via Roma 422 San Giorgio delle Pertiche (PD) https://pasticceriamarisa.it/ Dolcemascolo - Anche qui abbiamo un pandoro dalla shelf-life brevissima: incredibilmente soffice, racchiuso in una scatola bianca, il risultato è un pandoro decisamente equilibrato nelle sue note burrose e zuccherine, con un interno giallo intenso che fa un contrasto netto con la “crosta” color caramello scuro. Un pandoro maturo, nonostante la giovanissima età di Matteo Dolcemascolo. Prezzo: 39€ Via Madonna della Neve 77, Frosinone https://www.pasticceriadolcemascolo. com/ Pasticceria Lorenzetti - Finalmente, siamo nella terra del Pandoro: San Giovanni Lupatoto è la casa della Pasticceria Lorenzetti, in piena provincia di Verona. Questa pasticceria propone un pandoro puro, più classico dei classici non ce n’è. La nota opulenta del burro la fa da padrona ma senza rendere l’impasto un blocco. Tra gli esempi più compiuti di “tradizionale”. Prezzo: 42€ Viale Olimpia 6 San Giovanni Lupatoto (VR) https://www.pasticcerialorenzetti.com/ D&G Patisserie - Denis Dianin propone una versione magistrale del pandoro: alto, con crosta morbida biondissima, profumato di burro. Non sorprende che il pasticciere prepari anche soffici


bussolà (trovi la ricetta del bussolà in questo numero del Magazine), dolci tipici bresciani che non hanno avuto moltissima fortuna fuori dai confini regionali. E che invece spaccano se fatti a dovere. Prezzo: 36€ Via Monte Grappa, 30 35030 Selvazzano Dentro PD https://www.denisdianin.it/ Iginio Massari - Pasticceria Veneto La versione ante litteram del pandoro la propone (chissà come mai) Iginio Massari. Bello e preciso a vedersi, piacevole al taglio, compatto quanto basta ma non resistente sotto la lama, sprigiona aromi completi e golosi. Un frullio di vaniglia e burro, ricco senza scadere nell’unto. Super promosso. Prezzo: 24€ /500g - 43€ /1Kg Via Salvo D’ Acquisto 8, Brescia www.iginiomassari.it (5 sedi e 9 pop up store nelle principali città d’Italia) Olivieri 1882 - Una versione ben e s e g u i t a d i q u e s t o l i ev i t a t o . Morbido quanto basta, mantiene la sua struttura e la pasta d’arancia all’interno è una piacevole variazione. Gastronomicamente approvato. PS: il trend alcolico lo ha intercettato con un interessante Pandoro alla Grappa; per i più golosi, c’è quello al cioccolato. Votiamo grappa, in ogni caso. Prezzo: 39€ via Alberti 5, Arzignano (VI) https://www.olivieri1882.com/ Pasticceria Besuschio - Parliamo di un nome storico per quanto riguarda i grandi lievitati. Prezioso di vaniglia, con una trama fittissima, questo pandoro è un prodigio di florida e secolare maestria, arricchita negli anni dalla tecnica. Quando diciamo secolare, non è un caso: sfornano bontà dal 1845. Prezzo: 34€/750g - 45€/1kg Piazza Guglielmo Marconi, 59 Abbiategrasso (MI) https://pasticceriabesuschio.it/

Prezzo: 38€ Viale Aventino 91/93, Roma https://www.casamanfredi.it Angelo Grippa Pasticceria - Il pandoro sfogliato non sarà un pandoro “canonico”, ma ragazzi, fa figura eccome. Vorticoso e “laminato”, questo pandoro oltremodo interessante è nato a Eboli. All’assaggio si rivela un po’ tenacino, più simile ad un pezzo di viennoiserie che ad una nuvola di burro, ma ha un’identità ben delineata. E questo, tra i pandori sostanzialmente tutti buoni (ma tutti uguali), alla lunga finisce per premiare. Prezzo: 30€ Via San Berardino 21, Eboli (SA) https://www.angelogrippa.it/

Tradizione”: lavorazione veronese, con un bel colore che verte più sul dorato che sul caramello, arricchito con polpa di vaniglia (un mix tra Madagascar e Tahiti) fatta da loro, che conferisce una rotondità aromatica non da poco. Appena aperto, boom: il profumo di burro e zucchero vi invaderà la stanza, soprattutto se riscaldato vicino ad un termosifone. Prezzo: 38€ Via Nuova di Corva 64, Pordenone https://www.panificiofollador.it/ Sal De Riso - Molto barocco il pandoro di Sal De Riso, nel pieno stile del pasticciere star della Costa d’Amalfi. Svettando nella sua forma slanciata verso l’alto, il pandoro ha un color caramello ed emana un aroma di vaniglia persistente, ma non invadente. La scatola, in blu e oro, è praticamente una mise per presentarsi alla serata di Capodanno.

Pasticceria Mamma Grazia - Insolita locazione per un autentico pandoro d’autore, a ridosso dei Monti Lattari. Giuseppe Bevilacqua e suo figlio, Pasquale Bevilacqua, oltre ai panettoni riconosciuti, da qualche anno si sono dedicati alla realizzazione del pandoro con ottimi risultati. Altino, di un bel color caramello e profondamente caratterizzato dalla nota vanigliata e zuccherina, la forma si presta all’interpretazione dell’artigianalità più pura. Prezzo: 38€ Via Vincenzo Russo, 136/142 Nocera Superiore (SA) https://www.pasticceriamammagrazia. com/ Saporé - A San Martino del Buon Albergo, provincia di Verona, Renato Bosco illustra la sua idea di pandoro, come d’altronde della maggior parte dei lievitati italiani di nascita. Un po’ più strutturato, meno “sfioccato” rispetto alla media, ma che rispetta il proposito di sciogliersi in bocca, tipico del pandoro. La scatola è adatta a chi non ama gli eccessi: seriamente minimal. Prezzo: 40€ Via Ponte 55 San Martino Buon Albergo (VR) https://www.boscorenato.it/ Panificio Follador - Il panificio di Pordenone propone “Il Pandoro da

Prezzo: 40€ Via Roma 80, Minori (SA) https://www.salderiso.it/ Roberto Rinaldini - Proseguendo la “collezione” in modalità casa d’alta moda, il pandoro di Roberto Rinaldini prende il nome di N.6: dentro la scatola gialla con motivi geometrici neri, c’è un lievitato vigoroso e profumato di burro e vaniglia (così intenso che c’è scritto anche sul packaging). Al palato è burroso il giusto, con una fetta che si taglia facilmente, consistente ma leggera. Prezzo: 33€ Viale Amerigo Vespucci 8, Rimini https://www.rinaldinipastry.com/

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Casa Manfredi - La pastry chef Giorgia Proia propone un pandoro di altissimo livello, con trama serrata e burro francese, puntellato di vaniglia e con

una crosta piacevolmente cedevole. Un pandoro dove anche il packaging diventa oggetto di feticcio e design.

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OSTRICHE A NATALE

come sceglierle, prepararle, mangiarle

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Esistono ostriche di tutti i tipi, sono sostenibili, sempre più accessibili e alla portata di tutti

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L’ostrica è senza ombra di dubbio una delle regine indiscusse del menù delle festività natalizie, specialmente se siete del team “viva i crudi” (con delle eccezioni, come vedremo dopo). Ho iniziato la mia conoscenza di questi molluschi molto presto e devo dire che l’impatto è stato positivo fin da subito. Ma non sono stata di certo l’unica ad aver avuto una prima impressione così positiva: memorabile la scena della serie Ratched (la trovate su Netflix) in cui l’attrice Cynthia Nixon, durante una sessione sul come si degustano le ostriche, dice a Sarah Paulson che “mangiarne è come fare l’amore con l’oceano”. Non posso che trovarmi d’accordo. Nel raccontarvi la serie mi fermerò qui. Continuerò invece a parlarvi di tutto ciò che c’è da sapere su questo nobile mollusco bivalve e sulle ricette da poter proporre ai vostri ospiti, nel periodo delle feste e non solo.

LE OSTRICHE SONO SORPRENDENTI

Così come accade per l’uva, anche per l’ostrica il luogo di appartenenza è determinante per forma, sapore e sfumature di gusto. Anche se allevate in posti vicini, i molluschi possono sviluppare aspetto e sapore notevolmente diverso. In Europa, per farvi capire quanto è capillare la loro presenza, esistono più di duecento tipologie diverse di ostrica. Quelle più diffuse sono le concave Fine de Claire e le piatte Belon e Marenne.

OSTRICHE: QUELLE BRETONI, CHE GODURIA!

Quando si parla di ostrica, il richiamo alla Bretagna arriva veloce. Infatti, per me, quel viaggio è stato illuminante, anche grazie alla mia adorazione per i crudi di mare. Se anche voi siete interessati, dovete assolutamente visitare Cancale, porto di pesca e luogo di allevamento di ostriche, situato nel dipartimento di Ille-et-Vilaine, nell’estremità occidentale della baia di Mont-SaintMichel, sulla Costa Smeralda. Qui, in questo scenario che si apre con una spiaggia piena di gusci di ostriche vuote, potete mangiarne quante ne desiderate direttamente nei chioschetti sul porto a pochi euro. E se dico pochi euro, sono davvero pochi euro. "Più di ogni altro cibo, le ostriche hanno il sapore del luogo da cui provengono". Questo è quanto scrive Rowan Jacobsen, autore ed esperto di ostriche. E infatti le ostriche per conformazione e sapore ci raccontano perfettamente il luogo da dove nascono e la Bretagna è solo una di quelle zone.

LA FAMIGLIA DELLE OSTRICHE

Si conoscono diverse varietà di ostriche, e in quasi tutte le zone del mondo ne esistono di tipiche. Quelle più diffuse e con facilità di reperibilità sono essenzialmente tre: La Crassostrea gigas è quella più diffusa in tutto il mondo, grazie all’ostricoltura. Viene anche denominata “ostrica giapponese”. La Crassostrea angolata è molto diffusa nella cucina di un certo tipo del nostro Paese, poiché ha sapore molto forte.

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In Italia non siamo da meno: alleviamo infatti la pregiata ostrica Varuni, più specificamente nel Parco Nazionale del Gargano, in Puglia. La sua caratteristica è un frutto polposo, minerale, dolce e con sentori di frutta secca. Oltre a questa varietà, spicca anche l’ostrica di San Teodoro, altra splendida eccellenza italiana

dell’ostricoltura. Viene allevata nella laguna di San Teodoro in Sardegna a ciclo completo, ovvero partendo dal seme. La conchiglia ha una forma di goccia, il frutto è croccante, iodato ma anche dolce, con sentori vegetali e con note di frutta secca.

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L’Ostrea edulis è la più diffusa nel Mediterraneo ed è anche tra le varietà più pregiate, possedendo un gusto molto delicato.

Q&A: LE OSTRICHE RISPETTANO L'AMBIENTE?

La risposta è affermativa, perché le ostriche trovano naturalmente nel loro habitat ciò di cui hanno bisogno. Inoltre, filtrano l'azoto in eccesso e pompano acqua attraverso il loro corpo purificando l'habitat della vita marina intorno a loro.

SONO SICURE DA MANGIARE?

Quasi il 98% delle ostriche che mangiamo proviene dall'acquacoltura, che è scrupolosamente regolamentata. Quindi sì, si può stare sicuri.

POSSONO ESSERE CONSUMATE TUTTO L'ANNO?

La maggior parte delle ostriche sono ottime da consumare dal tardo autunno alla primavera, ma esistono anche ostriche triploidi, dette “quattro-stagioni”, perché si possono consumare tutto l’anno, (sono sterili e il liquido seminale non condiziona il sapore). Sono state sviluppate dai ricercatori per avere tre serie di cromosomi (triploidi) invece di due (diploidi), resistono meglio alle patologie e la loro crescita avviene in due anni anziché nei tre anni canonici.

COME ACQUISTARLE?

Segno di freschezza è il peso, devono risultare “pesanti” rispetto alle loro dimensioni. Devono tassativamente essere chiuse, o si devono chiudere appena le toccate. Acquistate la confezione chiusa, se potete, per avere la tracciabilità del prodotto e la piena garanzia del produttore. Conservate la cassetta di legno in cui vengono vendute in frigorifero, in posizione orizzontale. L’ostrica, salvo diversa indicazione del produttore, si conserva fino a 10-12 giorni dalla data riportata in etichetta. È fondamentale la corretta posizione, ovvero quella con il lato concavo rivolto verso il basso; se la trovate capovolta e poggiata sul lato piatto è probabile che abbia perso l’acqua interna e non sia più buona.

COME APRIRE LE OSTRICHE

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1.

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2.

La parte concava deve stare in basso e quella piana in alto. L’ostrica ha una parte tonda ampia e la parte opposta molto stretta a punta. Lì si trova il cardine. Inserite la lama dell’apposito coltello per le

ostriche di piatto nel guscio, dalla parte del cardine. 3. Sul tagliere poggiate l’ostrica dalla parte concava, su un canovaccio. 4. Se non avete un guanto di protezione per ostrica, allora fasciatevi la mano sinistra con un canovaccio da cucina (per i destrorsi), fate il contrario se siete mancini. 5. La mano sinistra va adagiata sull’ostrica, tenendo stretta per la parte curva e rivolgendo la parte più stretta, quella appuntita, verso la mano con il coltello. 6. La punta del coltello, che impugnate nella mano destra, va inclinato a circa 45° rispetto il tagliere o il piano di appoggio, e va inserito nel piccolo buco identificato nel cardine dell’ostrica. 7. Adesso ruotate il coltello (in senso orario e anti-orario, come per aprire e chiudere la porta di casa) in questo modo si crea una leva che permette di separare le due parti del guscio. 8. Tenendo nella mano sinistra l’ostrica con la punta rivolta al vostro corpo, fate scorrere il coltello, che avete usato per scardinarla, sul lato destro fino a recidere il muscolo che troverete circa a ore tre dell’ostrica. 9. A questo punto il guscio superiore, quello piatto, verrà via facilmente. 10. L’acqua presente nell’ostrica è preziosa per rimuovere eventuali detriti e residui di guscio che avete potuto produrre durante l’apertura e quindi usatela per eliminarli. 11. Prima del servizio ricordatevi di staccare la parte del muscolo ancora fissata al guscio inferiore, altrimenti non riuscirete a farla scivolare in bocca agevolmente. Al momento dell’apertura, verificate sempre che sia presente dell’acqua interna, questo è il segno che è stata conservata bene. Al contrario se manca acqua all’interno, potrebbe avere un odore poco gradevole e sarebbe meglio non mangiarla cruda. Non mettete l’ostrica sotto acqua corrente per ripulirla dei detriti e dai residui di guscio, potreste alterarne il gusto, ma utilizzate la prima acqua che trovate nell'ostrica, la restante acqua vi servirà, invece, per gustare l’ostrica.

COME CONSERVARE LE OSTRICHE.

La conservazione delle ostriche è bene farla a bassa temperatura, bisogna tenerle in frigo e servirle su vassoi da portata pieni di ghiaccio. Quando vengono acquistate e portate a casa bisogna consumarle


il prima possibile o secondo le indicazioni del produttore.

punto in poi più zero ci sono nel calibro e più è grande e rara l’ostrica.

SCEGLIERE IL CALIBRO.

QUANTO TEMPO PRIMA BISOGNA APRIRLE?

È bene non far passare mai più di un’ora dal momento dell’apertura, conservandole in frigorifero fino a poco prima del servizio.

COME MANGIARLE?

A differenza di quello che si può pensare, le ostriche si possono gustare in tanti modi. E se consumate crude, oltre ad essere adagiate su ghiaccio e servite con uno spicchio di limone, ci sono tante altre salse e intingoli che si possono usare per accompagnarle. Le ostriche cotte si prestano bene ad essere sia condimento di primi piatti che di secondi. Sono un ottimo antipasto e si possono declinare in vari modi: gratinate, fritte, al forno e anche sulla brace. Le proposte di preparazione delle ostriche che trovate qui sotto sono di due tipologie, per abbracciare il gusto di tutti: crude e cotte. Se siete degli irriducibili del crudo, le ricette che seguiranno vi daranno suggerimenti interessanti su come prepararle, accompagnarle e servirle, per un effetto wow assicurato.

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Come abbiamo detto e ripetuto, l'ostrica più diffusa è sicuramente quella concava. Un’altra cosa a cui dovete far attenzione è la scala del calibro, che inizia con 5 e termina con 0. Il calibro 5 è quello usato per le ostriche più piccole, dal peso di circa 30-45 grammi, definite dagli addetti ai lavori con il nome di papillon, o anche ostriche da cocktail. Il calibro più diffuso è invece il numero 3, di solito quando il calibro non è specificato è perché le ostriche sono di questa taglia. Il calibro 2 è il più amato dai cultori, il peso dell’ostrica in questo caso è di circa 86-110 grammi, è qui che viene fuori la migliore capacità espressiva del corpo del mollusco, in quanto raggiunge la massima maturazione. Il calibro 1 e 0 sono tra i più difficili da trovare e sono molto rari. A differenza dell’ostrica concava i calibri dell'ostrica piatta, tra cui la più famosa è l’ostrica Belon, funzionano in modo un po' differente. Nel senso che la scala per il frutto più piccolo è indicato con il numero 6 e ci troviamo di fronte a 20 grammi di prodotto. Poiché l’ostrica piatta non è molto carnosa, si consiglia di scegliere un calibro 0 che corrisponde più o meno ad un calibro 3 dell’ostrica concava, insomma una misura media. Da questo

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OSTRICHE A MEZZA CONCHIGLIA

CON GRANITA DI SALSA MIGNONETTE

La salsa mignonette è un condimento di solito a base di scalogno tritato, pepe schiacciato e aceto di vino rosso, in pratica è l’accoppiata classica con le ostriche. Più specificamente si tratta di una riduzione di vino e aceto e può essere condita con erbe e spezie. Il termine mignonette si riferisce al pepe spezzato e coinvolto in questa salsa. Nella versione classica si fa ridurre il vino in padella con l’aceto, ma in questa versione la salsa non verrà scaldata. Mentre erbe e spezie possono variare, i grani di pepe neri o bianchi schiacciati o il pepe macinato grossolanamente sono sempre inclusi. Un’altra variante per questa ricetta è quella di farne una deliziosa granita.

3.

Dosi per 8 persone Tempo totale: 10 minuti + 1 ora in congelatore.

Utensili • 1 coltello da ostriche. • 1 guanto protettivo o un canovaccio. • 1 piatto da portata grande.

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Ingredienti • 120 ml di aceto di vino rosso. • 45 ml di acqua. • 2 cucchiaini di scalogno finemente grattugiato. • 4 g di zucchero (3/4 di cucchiaini). • 1 cucchiaino di pepe macinato grossolanamente (circa 2 g).

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Procedimento 1. In una ciotola poco profonda, mescolate aceto, acqua, scalogno e zucchero fino ad una completa amalgama di tutti gli ingredienti. 2. Congelate il composto per almeno 1 ora o fino a 2 giorni.

4.

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Un'ora prima di servire, mettete una ciotola di servizio vuota nel congelatore. Al momento di servire, raschiate il composto congelato con una forchetta per creare dei cristalli di ghiaccio. Aggiungete il pepe. Poi trasferite insieme ai cristalli di ghiaccio della salsa nella ciotola refrigerata. Servite subito o lasciate nel congelatore fino al momento dell'uso.

A questo punto preparate le ostriche nel modo indicato, la dose è per circa tre persone. Tempo totale di preparazione: 15 minuti

Ingredienti • 1,5 kg di ghiaccio tritato. • 12 ostriche ben pulite. Procedimento. 1. Disponete il ghiaccio, in uno strato uniforme, su un piatto da portata raffreddato. Aprite le ostriche, come illustrato prima, rimuovendo completamente il guscio superiore. 2. Posizionate le ostriche sul ghiaccio, facendo attenzione a non far fuoriuscire molto liquido. 3. Servite con le salse.


CONDIMENTO DI SCALOGNI MARINATI CON LIME E SALSA DI SOIA. Oltre alla salsa mignonette, potete accompagnare le vostre ostriche crude con quest’altro condimento. Dosi per 8 persone. Tempo totale di preparazione: 20 minuti. Ingredienti • 45 ml di succo di lime (2 lime). • 2 scalogni, affettati sottili. • 15 ml di acqua. • 15 ml di salsa di soia. • 1/2 cucchiaino di zucchero (2 g). Procedimento 1. Mescolate tutti gli ingredienti. 2. Mettete in frigo per almeno 15 minuti o fino a 24 ore prima di servire..

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OSTRICHE AL FORNO

CON BURRO ALLA SENAPE

Dosi per 4/6 persone Tempo totale: 55 minuti Utensili • 1 coltello da ostriche. • 1 grande piatto da portata. • 1 rotolo di stagnola. • 1 termometro da cucina. • 1 teglia da forno.

Ingredienti • 70 g di burro non salato, ammorbidito. • 3 cucchiai di prezzemolo fresco tritato, divisi in due (12 g). • 1 cucchiaio di senape integrale (15 g). • 24 ostriche, lunghe da 6-7,5 cm, ben pulite. • Spicchi di limone q.b.

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Procedimento 1. Regolate la griglia del forno in posizione centrale e riscaldate il forno a 230°C. 2. Mescolate il burro ammorbidito, 2 cucchiai di prezzemolo e la senape in una ciotola fino a quando non sarà tutto ben amalgamato. 3. Accartocciate e preparate due pezzi di stagnola da 60 cm. 4. Posizionatene un pezzo su una teglia con bordo da 45x33 e il secondo pezzo su un grande piatto da portata; se lo desiderate, potete coprire la stagnola sul piatto di portata con un canovaccio per migliorarne la presentazione. 5. Infilate le ostriche, con il lato a coppa verso il basso, nella stagnola sulla teglia preparata e infornate fino a quando le ostriche non si aprono leggermente, per circa 5 minuti (va bene anche mangiare le ostriche che non si sono aperte completamente). 6. Lasciate riposare le ostriche finché non si raffreddano abbastanza da poterle maneggiare, circa 5 minuti. 7. Sgusciate l’ostrica e scartate il guscio superiore. 8. Riportate l'ostrica nella stagnola del forno, facendo attenzione a non far fuoriuscire molto liquido. 9. Ripetete l'operazione con le altre ostriche fino a ridisporle tutte. 10. Distribuite il burro alla senape in modo uniforme tra le ostriche, circa un cucchiaino per ostrica. 11. Cuocete fino a quando la parte più spessa dell'ostrica più grande non registra una temperatura compresa tra i 70 e i 75°C, ci vorranno dai 5 agli 8 minuti. 12. Lasciate riposare per 5 minuti. 13. Con l'aiuto di una pinza, trasferite con cura le ostriche sul piatto da portata preparato, infilandole nella stagnola o in un canovaccio per tenerle in piano. 14. Cospargete le ostriche con il restante cucchiaio di prezzemolo che non avete usato in precedenza. 15. Servite, accompagnandole con spicchi di limone.

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Lo abbiamo provato per voi!

JOE’S AMERICAN BBQ

Dicembre 2022

BASTIANICH AL MERCATO CENTRALE DI FIRENZE recensione a cura di Michela Bongiorni

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ntefatto: lo scorso Ottobre, al primo piano dello storico mercato coperto di San Lorenzo a Firenze, da dove nel 2014 è partita l’avventura di Mercato Centrale, Joe Bastianich ha deciso di portare il vero BBQ Americano. Bagno di folla per il Joe’s American BBQ di Bastianich, con tanto di titoloni sui giornali. E, puntuali come la morte, sono arrivate anche le critiche a priori. Qui serve una piccola digressione. Come alcuni di voi sanno, oltre che caporedattore del BBQ4All Magazine e di Gastronomica-Mente, sono stata per anni Coach per la Toscana per la BBQ4All University. Ho dunque tenuto i corsi di Grilling e di Barbecue in questa regione. Insomma, per anni ho dovuto dire agli autoironici e per niente permalosi grigliatori toscani che in realtà hanno sempre sbagliato a cuocere la Fiorentina, che la carne migliore non è per forza la Chianina, che la loro convinzione di saper cuocere la carne meglio di chiunque altro nel mondo era del tutto infondata.

“È meglio la trippa!” “Che schifo!” “Chissà quanto costerà questa robaccia!” “Vuoi insegnare ai fiorentini la cultura della carne? O’ bischero!” “...e sanno una se*censured* l’ameri’ani di come si mangia ammodino!” “Preferisco una bella Fiorentina di Chianina!” “Tutta quella carne grassa! Per carita!” E così via. Non c’è niente da fare. Nonostante gli sforzi che abbiamo fatto in tutti questi anni, siamo ancora fermi là, a quelle convinzioni che non riusciamo a buttar giù: la carne migliore è quella magra, nessuno al mondo mangia come in Italia, in America non sanno cucinare, non abbiamo bisogno di imparare nulla!

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Conosco molto bene, quindi, la mentalità dei miei conterranei, per cui sapevo benissimo il tenore dei commenti che avrei trovato sui vari social. E infatti non sono stata smentita. Se già nel 2021, quando Bastianich aveva aperto il primo ristorante dello

stesso genere al Mercato Centrale di Milano, erano usciti fuori i soliti gastrotalebani indignati “perché non abbiamo bisogno di queste americanate, quella italiana è la cucina più buona del mondo!”, dopo che il buon Joe è sbarcato a Firenze le cose sono peggiorate. Molto.

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Bastianich, sui Colli Orientali del Friuli e le bottiglie prodotte da La Mozza, la cantina situata nella Maremma. Arriviamo un lunedì qualsiasi di Novembre, verso mezzogiorno. Abbiamo scelto questo giorno e questo orario per evitare la folla di turisti e avventori che di solito saturano l’intera superficie del Mercato Centrale. Volevamo trovare posto, vedere bene la bottega, assaggiare con calma e fare le foto senza essere pressati dagli altri clienti. La prima cosa che notiamo? Moltissimi italiani si fermano, guardano incuriositi e passano oltre, preferendo l’hamburger di Chianina del ristorante accanto o il Trapizzino poco più in là. Si fermano invece molti turisti stranieri, diversi americani. Mangiano e sembrano soddisfatti.

Sono tutti pregiudizi, ovviamente, perché nessuno dei commentatori sopracitati ha mai assaggiato un Brisket o un Pulled Pork, ma tant’è. Ho apprezzato tantissimo, quindi, la sfrontatezza che Bastianich ha avuto nel decidere di aprire il suo Joe’s American BBQ proprio a Firenze. Per questo motivo, insieme a altri due redattori del BBQ4All Magazine, ho deciso di assaggiare alcune delle proposte del famoso imprenditore americano e di fare una recensione per questo ultimo numero del BBQ4All Magazine.

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Bastianich ha solidi legami con la Toscana. Oltre alla nuova bottega al Mercato Centrale Firenze è noto per una collaborazione con Tommaso Mazzanti dell’Antico Vinaio, con il quale condivide la proprietà di due locali a New York.

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Il Joe’s American BBQ si trova al primo piano del mercato di San Lorenzo, ed è praticamente la prima cosa che si vede arrivando dalla scala centrale. Vediamo subito che, rispetto alla bottega presente a Milano, qui a Firenze ci sono due importanti novità. La prima è la presenza- accanto ai grandi classici del BBQ come brisket, pulled pork e beef ribs – dello smash burger. La seconda è la Vineria Bastianich con i vini delle cantine di famiglia: quelli della Cantina

Ci avviciniamo e facciamo la nostra ordinazione: un Barry, un Joe Patzesco Pastrami, un Pork Cheese e Burnt Ends Supreme. Per entrare più nello specifico: il Barry è un panino con il Brisket, i cetrioli e la salsa BBQ, il Joe Patzesco Pastrami è farcito, come si può intuire, con Pastrami, cetrioli e mostarda, il Pork Cheese presenta Pulled Pork, Jalapeno, salsa bbq, cetrioli e formaggio e il Burnt Ends Supreme è farcito con salsa bbq, verdure e bocconcini di Punta di petto caramellati. Costo totale. 65 euro (senza bevande); tempo di attesa: 10 minuti (ma, come detto, c’era poca gente).

PULLED PORK

Partiamo con uno dei panini su cui abbiamo più aspettative, quello farcito con gli sfilacci di Pulled Pork. Conosciamo bene quali debbano essere le caratteristiche del Pulled Pork perfetto: bark formato e croccante, sapore di fumo non sovrastante, sfilacci morbidi e succulenti, sapore della carne che deve prevalere. Sappiamo anche quali siano le cose da evitare in un Pulled Pork degno di questo nome: sapore di maiale bollito, poca sapidità, sovraffumicatura, bark molliccio. Partiamo dunque dalle cose negative, ma vi spoilero subito che saranno le uniche: il sapore del Pulled


Pork, preso da solo, è un po’ deludente. Bark non pervenuto, ma questo può succedere: quando si preparano tanti panini non è detto che a tutti capiti il pezzo con la crosta. L’affumicatura è davvero molto delicata, al punto da essere quasi impercettibile. La sapidità è giusta, ma il sapore non ci ha convinti del tutto. È come “depotenziato”. Le cose però cambiano quando diamo il morso all’intero panino. Magicamente tutto si bilancia. La salsa ha, giustamente, un forte sapore d’aceto, sgrassante e deliziosa. I peperoncini danno il kick senza asfaltare il palato; il formaggio regala una nota burrosa e dolciastra. Il Pulled Pork è comunque molto morbido e succulento. Nota di merito per il pane: perfetto. Ha assorbito tutti i succhi senza disfarsi. Nel complesso il panino si presenta ricco, ben farcito, con gli ingredienti ben amalgamati tra loro. Peccato per quel sapore un po’ “neutro” della ciccia. Non abbiamo avuto l’esplosione di sapore in bocca, tanto per usare un’espressione che ben conoscete. Costo del panino: 15 euro. Voto complessivo: 7,5.

PASTRAMI

Questo è stato il panino più costoso. Lì per lì il prezzo può spaventare, ma sapendo tutto il lavoro che c’è dietro alla preparazione del Pastrami direi che è giustificato. Il sandwich poi è bello grande e superfarcito: volendo ci si può mangiare tranquillamente in due, specie se si decide di prendere un contorno (e se non si ha una fame da lupi, ovviamente… mi rendo conto che alcuni di voi potrebbero protestare vivamente per questa mia affermazione!). Primo boccone e boom! Stavolta l’esplosione di sapore c’è stata eccome. La carne non delude, è esattamente come te l’aspetti: super saporita, super umami, morbida. Ottimo il bilanciamento con la mostarda, fantastica la croccantezza data dai cetrioli. C’è poco da aggiungere. Pane ben tostato; anche in questo caso il panino non si è distrutto, cosa che spesso accade coi sandwich molto farciti. Non è il panino adatto a chi è poco avvezzo ai sapori complessi e forti, e magari predilige gusti

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più delicati, perché potrebbe far fatica a finirlo. Tutti gli altri lo apprezzeranno. Costo del panino: 21 euro. Voto complessivo: 8,5.

BRISKET

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Anche in questo caso assaggiamo prima il Briket in purezza, poi diamo il morso all’intero panino. La carne è buonissima: saporita, perfettamente affumicata, con un importante bark molto “peposo”. Il kick arriva esattamente quando te lo aspetti. La consistenza della ciccia ci lascia invece un po’ di perplessità: forse la cottura è andata leggermente oltre, la carne tende a disfarsi e non ha quella succulenza estrema che ci si aspetterebbe dal Brisket. Ma è l’unico difetto che riusciamo a trovare, giusto perché siamo pignoli e puntigliosi. Per il resto, anche in questo caso il panino è molto farcito; gli elementi che lo compongono si amalgamano benissimo tra di loro. Nessuno degli ingredienti complementari sovrasta il sapore della carne. Alla fine rimane un forte sapore piccante in bocca, data dalla generosa dose di pepe presente nel rub, il che forse non lo rende il panino adatto a chi non ama la piccantezza o i sapori molto invadenti. Si può far fatica a finirlo. Ma questo non è da considerarsi

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un difetto del panino, anzi; sono sapori forti, a cui ci si deve abituare man mano. Da troppo tempo siamo assuefatti ai gusti neutri, alla carne che sa di cartone, al sapore scialbo degli hamburger cotti male. Qui siamo su un altro pianeta: qui la carne è saporita, è sapida, è ben affumicata, è piccante. Costo del panino: 14,50. Voto complessivo: 8.

BURNT ENDS

Questo panino è quello che ci ha fatto esclamare: non vedo l’ora di tornare qui per mangiarne un altro! Non è una semplice esplosione di sapore in bocca, è una vera bomba atomica. La consistenza dei bocconcini di brisket caramellati è spettacolare, così come il loro sapore: morbidi, succulenti, perfettamente affumicati, sapidi, saporiti. Il panino si presenta superfarcito, ma al morso non si distrugge, non cadono pezzi di roba, non ci si sporcano mani e vestiti non sapendo come fare a tenerlo insieme. Anche in questo caso, il pane dà una grossa mano: riesce a sopportare tutto quel bendidìo rimanendo intatto fino all’ultimo morso. Si capisce che i sapori, non solo in questo panino


ma in generale anche in tutti gli altri, sono stati ben studiati per sposarsi benissimo tra di loro. Questo panino, in modo particolare, riesce davvero a essere completo e soddisfacente. Rispetto a quello col Pastrami e a quello col Brisket, questo con le Burnt Ends si riesce a finire con facilità, senza quella sensazione di troppo saporito, troppo condito, troppo invadente che invece può sopraggiungere con gli altri due. Unico difetto: non lo assaggiate per primo, perché poi tutti gli altri vi deluderanno! Costo del panino: 15 euro. Voto complessivo: 9

Cosa posso dire ancora? Se siete abituati all’American BBQ de noantri, quello fatto dai food truck che sono sorti come funghi alle varie sagre di paese, ma anche quello fatto nei vari locali che si sono improvvisati BBQ joint e poi servono il Pulled Pork bollito e il Brisket insapore, sappiate che dovete correre immediatamente da Bastianich e assaggiare tutto ciò che propone. Non rimarrete delusi. Tutti gli altri, tutti i gastrofighetti, tutti gli irriducibili della bistecca alla Fiorentina che come la facciamo noi non la fa nessuno!, comincino a tremare: il buon Joe ha fatto sapere che nei prossimi mesi farà conoscere a tutti la sua versione della Fiorentina. E noi la proveremo!

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La nostra esperienza da Bastianich si conclude qui. Non abbiamo provato le ribs, ma sicuramente ci torneremo presto. Come prima esperienza è stata molto positiva, sperando che riescano a mantenere

la stessa qualità anche quando la clientela è molto più numerosa.

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GUIDA AGLI ACCESSORI

a cura di Michela Bongiorni

NON SI FRIGGE CON L'ARIA tutta la verità sulle friggitrici ad aria

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Dalle mie parti c’è un detto, che utilizziamo quando qualcuno ci fa un complimento per una cosa ben fatta: beh, mica friggo con l’acqua!, intendendo in questo modo che, se una cosa deve essere fatta, bisogna farla bene e con tutti i crismi. Non si frigge con l’acqua, lo sanno tutti.

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Eppure da qualche tempo tutti friggono con l’aria! Eh, sì, cari lettori. Avrete notato anche voi l’improvvisa e devastante popolarità delle air fryer, comunemente chiamate in lingua nostrana friggitrici ad aria. Cos’è un nome? Si chiedeva Shakespeare. Beh, a

sentire lui un nome non era nulla, era una semplice parola che non poteva certo definire l’essenza di qualcosa. Tuttavia, se è vero che la rosa con un altro nome profumerebbe lo stesso, la friggitrice ad aria, con un altro nome, non avrebbe avuto lo stesso successo. E ne abbiamo le prove: erano i primi anni 2000 quando in tv passava incessantemente il fastidiosissimo spot della Frittolosa, frigge senza olio. Il nostro cervello, però, non era pronto alla promessa di farci mangiare cibi fritti senza olio. Quel nome non ci convinceva, sapevamo che era un bluff. Per questo motivo la povera Frittolosa cadde velocemente nel dimenticatoio.


Passati tanti anni, complice l’avvento dei social, degli influencer, del marketing spietato, siamo stati obnubilati da un nome molto più accattivante e ci siamo cascati con tutte le scarpe. Se il nome Frittolosa ricordava comunque qualcosa di unto, bisunto e pesante, la Friggitrice ad aria ci ha conquistato il cuore. Aria. Leggerezza. Freschezza. Cibi croccanti senza essere unti. Ah, che meraviglia! Tutto molto bello, ma siete sicuri di sapere cosa significhi friggere un alimento? Friggere significa immergere completamente l’alimento in un grasso bollente che ha raggiunto temperature tra i 160°C e i 190°C. Il tutto deve avvenire in pochi minuti, affinché l’esterno del cibo si disidrati e diventi croccante (ecco perché l’umidità è nemica di ogni frittura, come spesso ripetiamo) e l’interno invece rimanga morbido. Grazie alla Reazione di Maillard gli aromi tipici di un cibo tostato passano nell'olio che circonda l’alimento e per questo motivo il fritto diventa buono. Buonissimo. C’è, però, da tenere d’occhio la temperatura. Avete presente quando diciamo che non abbiamo digerito perché il fritto era troppo pesante e unto? È colpa della temperatura. Se l’olio è troppo freddo ne viene assorbito tanto, se invece è alla giusta temperatura l'acqua presente negli alimenti si trasforma subito in vapore impedendo al grasso di entrare. Quando si inserisce la pietanza nell’olio bollente, la temperatura si abbassa: meno olio c'è, maggiore è lo sbalzo termico. Se se ne mette troppo poco, allora si raffredda a tal punto da essere assorbito. Dunque per non mangiare troppi grassi, e per avere un fritto asciutto e non pesante, bisogna usare una giusta quantità d’olio. Qual è la giusta quantità? In linea generale, si parla di un litro di olio per ogni kg di alimenti. Quindi la conversione è 100 ml ogni 100 g.

Sapendo dunque che la friggitrice ad aria in realtà non sta friggendo proprio nulla, potete comunque utilizzarla come un fornetto ventilato per cuocere velocemente le vostre pietanze. Certamente, per una famiglia di 4 o 5 persone bisogna acquistarne una sufficientemente capiente, altrimenti si rischia di dover fare più turni. Rispetto ad un forno ventilato classico, sicuramente questo elettrodomestico dal nome fighissimo consuma meno, perché è più veloce nell’utilizzo non essendo necessario un preriscaldamento. La friggitrice ad aria utilizza il metodo di trasmissione del calore per convezione: in altre parole, l’aria calda circola attorno al cibo per cucinarlo. È perfetta per i cibi precotti (e soprattutto prefritti!) ma c’è chi si trova bene anche col pollo, con il pesce con le verdure e perfino coi biscotti. Il controllo della temperatura non è proprio semplicissimo, ma con un po' di pratica potrete risparmiare tempo e soldi usando questo elettrodomestico al posto del forno tradizionale. Sempre se non dovete cucinare per troppe persone, ovviamente.

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Comprendete bene, arrivati a questo punto, che, nonostante il bellissimo e furbissimo nome, la friggitrice ad aria NON frigge. Essendo composta da una resistenza e da una ventola, la friggitrice ad aria non è altro che un fornetto ventilato, figo, di design e – spesso- costosissimo, le cui dimensioni gli permettono di scaldarsi molto velocemente e consumare molta meno energia rispetto a un forno classico, riducendo anche i tempi di cottura. L’aria da

sola non può friggere. Se inseriamo nel forno degli alimenti senza grassi, non otterremo affatto una frittura croccante e leggera. Se invece irroriamo di olio gli alimenti prima di metterli nell'apparecchio non facciamo altro che far assorbire il grasso e poi scaldarlo: il risultato sarà più simile alla frittura, ma certamente non mangeremo molti meno grassi di una frittura asciutta e ben fatta.

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La ricetta scientifica a cura di Gianfranco Lo Cascio

aP stcoan le

e l o g ov n

A Natale tutte le strade portano in cucina. Non importa se siete un virtuoso del tegame o uno scongelatore pazzo di piatti pronti, durante le Feste si spignatta, possibilmente qualcosa che metta d’accordo tutti i commensali.

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E a proposito di inclusività culinaria, quante volte vi è capitato di servire quella pasta o quel secondo perché “è tradizione”, anche se poi è rimasto puntualmente nei piatti? Vostra cognata vi ha pure fatto una recensione negativa su Instagram l’anno scorso, hashtag #nonpiaceanessuno #ognisantoNatale.

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Meno male che c’è la ricetta scientifica che vi propone una versione accessoriata di un classico natalizio: la pasta alle vongole. Ma non il solito spaghetto annacquato e condito con fusti di prezzemolo e tempeste di sabbia, no no. Sto parlando di ravioli fatti a mano e ripieni di vongole e patate, serviti su una crema all’aglio delicata e aromatizzati con olio al prezzemolo e salsa al peperoncino. Ritroverete quel sapore a cui siete affezionati, in una veste che conquisterà anche i parenti più ostili.


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01: LA SCIENZADELLA PASTA FRESCA Perché fare la pasta fresca in casa, mi direte voi? Ci sono diversi validi motivi per infarinarsi le mani. Il primo è senza dubbio il divertimento. Fare la pasta è piacevole e ci permette di acquisire una nuova abilità tutta da sfoggiare. In secondo luogo, la pasta fresca ha un sapore intenso, è più morbida e leggera di quella acquistata al supermercato. Il terzo ,e probabilmente anche il vantaggio più rilevante,è che una volta fatto l’impasto, potrete utilizzarlo in maniera estremamente versatile. Con la ricetta base sarete in grado di servire tagliatelle, fettuccine, pasta ripiena, lasagne. GLI INGREDIENTI Poiché la pasta contiene solo due (forse 3 o 4) ingredienti, la scienza della pasta è piuttosto semplice. Iniziamo quindi con gli elementi imprescindibili: • Farina • Uova • (Acqua) • (Sale) Basta mischiare farina e uova per ottenere una pasta di ottima fattura. Le uova, che vengono amalgamate con la farina, contengono grassi e proteine che contribuiscono alla ricchezza dell' impasto. Data la percentuale di acqua molto bassa, fornita dai soli albumi, potrebbe volerci un po’ prima che l’impasto si formi. L'acqua deve idratare le particelle di farina (l'amido e il glutine) e l'impasto deve sviluppare il glutine. Entrambi i processi richiedono tempo e incordatura tramite il nostro “massaggio” fatto a mano (o a macchina).

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Il trucco per un impasto perfetto? Lavorarlo pazientemente fino a renderlo super liscio. Ci vuole un po' di tempo e di impegno per farlo, ma una volta sviluppata la manualità, diventerà il vostro hobby preferito. Quello che conta è che, a fine lavorazione, la pasta diventi abbastanza flessibile per poter essere stesa in una sfoglia sottile.

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QUALE TIPO DI FARINA USARE C’è chi utilizza solo farina di grano tenero 00, la più raffinata, e chi utilizza la semola

rimacinata di grano duro. Io faccio un mix in proporzione 1:1, per sfruttare la setosità della prima farina e la rusticità della seconda. A CHE SERVE LAVORARE L’IMPASTO Il diktat della preparazione della pasta è che venga impastata e stesa correttamente. Per capire il perché, dobbiamo prima concentrarci sulla farina. La farina è composta principalmente da amido e glutine (proteine). Mentre impastate state sviluppando la “maglia glutinica”, una microrete fatta di gliadina e glutenina. Aggiungendo la parte acquosa, schiacciando contro il piano di lavoro e riavvolgendo la palletta gialla, orientate le proteine del glutine, permettendo loro di organizzarsi. IMPASTARE A MACCHINA: SÌ O NO? Sì, assolutamente. Potete preparare la pasta nell’impastatrice e risparmiare tempo e fatica. Vi assicuro che, durante un assaggio alla cieca, nessuno si accorgerebbe della differenza tra un impasto fatto a mano e uno a macchina.


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PASTA FRESCA STEP-BY-STEP 1. Setacciate la farina in una ciotola capiente. Rovesciate sul piano di lavoro e formate la classica fontana. Create un buco al centro con una forchetta. 2. Versate i tuorli d’uovo nel centro, aggiungete il sale, sbattete con la forchetta e amalgamate la farina raccogliendola dai bordi. Una volta idratata la farina, prendete un tarocco/raschietto da banco e trinciate l’impasto fino ad ottenere uno sfarinato. 3. Terminate la fase di impasto, potete farlo a mano o macchina PER FINIRE L'IMPASTO A MANO: Preparatevi ad allenare bicipiti e tricipiti. Lavorate l'impasto e lasciate che la pasta inizi a formare una palla. Impastate con tutte le vostre forze fino a quando non sarà liscio e un po' elastico, ci vorranno circa 20 minuti. Se dovesse risultare troppo secco, aggiungete dell’acqua, un po’ alla volta. PER FINIRE L’IMPASTO A MACCHINA: Mettete l'impasto nella ciotola dell'impastatrice. Montate il gancio e impostate la velocità media; lasciate che l'impasto inizi a formare una palla. Se non prende forma, aggiungete un po' d’acqua a filo, poca mi raccomando, finché non si forma una bella sfera solida. A quel punto abbassate la velocità e lasciate impastare per altri 5 minuti, fin quando non diventa tutto liscio e setoso. UN MERITATO RIPOSO È fondamentale lasciare riposare l’impasto almeno 2 ore prima di stenderlo. A dirla tutta, trovo che l'impasto dia il meglio di sé quando riposa per tutta la notte, avvolto nella plastica o in un sacchetto con la chiusura a zip. L'obiettivo è quello di rilassare e sviluppare il glutine senza perdere umidità. Per farla breve, basta un po’ di attesa per scongiurare l’effetto gomma da masticare.

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CONSERVARE O CONGELARE LA PASTA FRESCA Se il vostro piano è quello di preparare la pasta fresca in anticipo per poi tornare a tirarla in un secondo momento, è il momento di fermare tutto. Una volta che l'impasto è avvolto nella pellicola, lasciatelo in frigorifero, ma sappiate che pian pianino diventerà grigiastro. Per carità, la tinta non influirà sul sapore o sulla consistenza, ma sarà sicuramente bruttino da presentare. Per guadagnare più tempo e arrivare alla Vigilia belli rilassati, infilate la palla impacchettata in un sacchetto con chiusura a zip, eliminando quanta più aria possibile, e congelatela per un massimo di tre settimane.

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Quando siete pronti, scongelatela in frigorifero finché non sarà morbida e cedevole al tatto.


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02: VONGOLE A CONFRONTO Le vongole sono molluschi bivalvi, cioè a due conchiglie, presenti da sempre nei nostri mari e nelle nostre ricette. Possono raggiungere un diametro di 5-6 centimetri e il guscio presenta delle striature in rilievo dalle tinte variegate: la colorazione cambia a seconda della specie e del fondale. Il lupino (Chamelea gallina), ovvero la vongola subtriangolare, economica ma extra sapida, e la più costosa e raffinata Vongola Verace (Ruditapes decussatus), sono senza dubbio le varietà autoctone più conosciute. Negli ultimi anni si è imposta sul mercato l’esotica Vongola Filippina (Ruditapes filippinarum). E siccome si vende bene, le norme oggi in vigore concedono la denominazione commerciale Vongola Verace anche alla Ruditapes Filippinarum; la stessa varietà che il legislatore indica come Ruditapes semidecussatus o Vongola Giapponese (Venerupis japonica). Come si distingue una vongola verace da una vongola filippina/ giapponese o semidecussatus che dir si voglia? È molto semplice. Dovete immergerla in acqua e osservare i sifoni, ovvero quei “cornini” dai quali i molluschi sputano l’acqua. Nella vongola filippina, i sifoni sono attaccati nel primo tratto e si separano all’estremità. Nella Vongola Verace (Ruditapes decussatus) quei tubicini fuoriescono completamente separati. Al momento dell’acquisto, dobbiamo assicurarci che i molluschi non siano immersi in acqua, che siano ben separati dagli altri prodotti ittici e siano a una temperatura compresa tra i 4°C e gli 8°C. Le vongole possono essere vendute in reti, vaschette, in buste sottovuoto oppure sfuse, ma devono sempre avere l’etichetta del centro di spedizione dove si svolgono i controlli veterinari. Per mantenere la catena del freddo è meglio comprare le vongole al termine della spesa e trasportarle in una borsa frigo. Una volta arrivati a casa, i molluschi vanno sistemati nel ripiano più basso e più freddo del frigo. Il consumo deve avvenire al massimo entro 24 ore dall’acquisto. COME ELIMINARE LA SABBIA Sebbene sia ormai consuetudine acquistare vongole già depurate in pescheria, per eliminare la sabbia dovete preparare una soluzione di 35 grammi di sale per litro d’acqua e lasciare le vongole immerse in una ciotola per due ore, in ambiente fresco. Dopo pochi minuti comincerete a vedere dei granelli depositati sul fondo.

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Prima di passare ai fornelli, le vongole devono essere spazzolate e risciacquate con cura per eliminare le impurità esterne, scartando i molluschi che sono già aperti. Una volta puliti potete passare alla cottura, avendo cura di buttare nella pattumiera quelli che restano chiusi (RIP).

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La ricetta scientifica

PASTA ALLE VONGOLE

INGREDIENTI PER 8 PERSONE Per la pasta fresca • 500 g di farina 00 • 500 g di semola rimacinata di grano duro • 10 uova (500 g di uova intere) • 10 g di sale Per il ripieno • 1 kg di patate a pasta bianca • 1 kg di vongole veraci • 100 g di Parmigiano Reggiano grattugiato (io ho usato un 40 mesi) • 200 g di burro di centrifuga • 2 spicchi d’aglio • Pepe nero q.b. • Prezzemolo fresco q.b. Per la crema d'aglio • 16 spicchi di aglio rosso • 300 ml di olio extravergine di oliva • 1 cucchiaio di succo di limone OLI AROMATICI Al prezzemolo • 300 ml di olio extravergine di oliva • 150 g di prezzemolo fresco • Sale q.b. Al peperoncino • 150 ml di olio extravergine di oliva • Peperoncino fresco o secco q.b.

PRIMA DI INIZIARE Il rapporto tra farina e uova è il classico, 1 uovo interno ogni 100 grammi di farina. Per chi volesse cimentarsi con un impasto più ricco, suggerisco le seguenti dosi:

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500 g di farina 00 500 g di semola rimacinata di grano duro 475 g di tuorli d’uovo (circa 28) 10 g di sale

Psst!Non abbiate paura del tuorlo d’uovo, pensate che in alcune regione si usano fino a 40 tuorli/kg di farina.


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Gianfranco Lo Cascio

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PROCEDIMENTO 1. Impastate la pasta fresca come descritto nei paragrafi iniziali. 2. Mentre la pasta riposa in frigorifero, dedicatevi alla preparazione del ripieno e della salsa all’aglio. 3. Prendete un pentolino, riempitelo d’acqua e mettetelo sul fuoco. Aggiungete gli spicchi d’aglio in camicia e lasciate sbollentare fin quando non saranno morbidissimi al tatto. 4. Nel frattempo lessate le patate con la buccia in acqua leggermente salata. Una volta cotte, schiacciatele con lo schiacciapatate e trasferitele in un tegame. Asciugate la purea di patate a fiamma bassa e aggiungete il burro e il pepe nero macinato. Spegnete il fuoco, aggiungete il Parmigiano Reggiano grattugiato e mescolate fino ad ottenere una crema, che raffreddandosi deve risultare piuttosto solida (sarà la base del nostro ripieno) 5. Sbucciate gli spicchi d’aglio spremendoli tra pollice e indice e sistemateli nel boccale del minipimer. Aggiungete un cucchiaio di succo di limone e cominciate ad emulsionare versando l’olio extravergine a filo. Dovrete ottenere una crema legate e non troppo densa (deve velare il cucchiaio). 6. Pulite le vongole, scaldate una padella a bordi alti sul fuoco e soffriggete due spicchi d’aglio interi. Quando saranno diventati biondi, metteteli via. Aggiungete le vongole e toglietele dalla padella man mano che si aprono, aiutandovi con delle pinzette. Recuperate il fondo di cottura e filtratelo con un colino. Mettete da parte il liquido, vi servirà per saltare i ravioli. Non appena le vongole si saranno intiepidite, sgusciatele, ricordandovi di tenerne un po’ nella conchiglia per la guarnizione finale. 7. Tritate le vongole sgusciate con il minipimer, aggiungendo poca acqua se serve, fino ad ottenere una crema. Unite il composto alla crema di patate, amalgamate e riempite un sac à poche monouso. Conservate in frigorifero. 8. È il momento di fare i ravioli. Tagliate l'impasto in quattro pezzi, prendetene uno e avvolgete il resto nella pellicola. Usate un mattarello per appiattire l'impasto fino a raggiungere uno spessore di almeno mezzo centimetro. Cercate di mantenere la forma e le dimensioni uniformi da un'estremità all'altra. In questo modo le operazioni successive saranno più semplici. Poi, passate alla macchina della pasta a rullo liscio. Partite con la prima tacca e ripassate il panetto 3-4 volte, piegandolo a pacchetto e infilandolo nel rullo dal lato “aperto”. Questa operazione si chiama “laminazione” e serve ad affinare e rafforzare l’impasto. Una volta ottenuta una fettuccia liscia e priva di buchi, cominciate a “tirare” la sfoglia, ripassandola due volte per ogni tacca se serve, fino ad arrivare all’ultimo numero. Se non riuscite a gestire la faccenda da soli, trovatevi un partner in crime che regga la sfoglia quando esce dal rullo. 9. Una volta preparate le sfoglie, copritele con un panno o con della pellicola. Se ce li avete, usate degli stampi da ravioli e confezionate la pasta, avendo cura di bagnare i lembi di impasto per farli aderire bene. 10. Preparate l’olio al prezzemolo passando al minipimer il prezzemolo fresco e l’olio. Lasciate sedimentare e fate lo stesso con l’olio al peperoncino (scegliete voi quanto spingere con la piccantezza). 11. Mettete su la pentola per lessare la pasta, aspettate che l’acqua bolla e calate i ravioli. Scolateli non appena vengono a galla e saltateli in padella con il fondo di cottura delle vongole filtrato e poco olio extravergine di oliva. 12. Impiattate gli elementi in quest’ordine: crema di aglio sul fondo, ravioli saltati, vongole ancora nel guscio, dripping di olio al prezzemolo e olio al peperoncino. Se vi piace, aggiungete una leggera spolverata di prezzemolo fresco tritato. E preparatevi a mangiare non una semplice pasta e vongole, ma le vostre prime “vongole in pasta”.

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L’importanza di lasciare andare

Seguo.

a cura di Emiliano Nencioni

In questi quattro anni di discorsi tra noi qui nella rubrica Seguo ci siamo occupati di bullismo, di inguaribili deficienti, di esistenzialismo, di strane sitcom sul mondo del barbecue, di filosofia fin troppo spicciola e di fisici di inizio ‘900 che si accapigliavano tra loro. Quello che non abbiamo mai trattato però, spinti da un’inguaribile voglia di successo e di rivalsa, è l’importanza di saper riconoscere il momento in cui serve smettere, voltare pagina, desistere, lasciare andare. Che sia un hobby, una passione, una persona, un’automobile iperchilometrata, un ideale o una ripicca, c’è un confine poco riconoscibile fra caparbietà, perseveranza, ardimento e la più banale cocciutaggine dell’accanimento inutile. Può essere un posto di lavoro, una posizione da solista in orchestra, una pubblicazione mensile o un’amicizia che nonostante gli sforzi è diventata un continuo “visualizza ma non risponde”, ma non sapere quando dire basta porta solo a psicosi e a manifestazioni patetiche. Buttare giù questi pensieri sulla tastiera di un portatile in cui le lettere I e C funzionano solo dopo la terza o quarta pressione darà un sapore ancora più amaro e travagliato, che mi piace pensare simile al comporre con un pianoforte scordato, in cui le note calanti vanno sempre a finire proprio sulle terze dell’accordo, rendendo tutto un po’ “minore”.

Eccoci all’inevitabile paragrafetto del “sarà capitato anche a voi”: avete una preparazione in griglia che è un po’ il vostro unicorno? Qualcosa di particolarmen-

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Adesso se pensate che io abbia abusivamente occupato le ultime pagine della rivista per parlare di cose mie o del mio portatile che andrebbe rottamato, vi sbagliate di grosso: in primo luogo perché ora vi piazzo lì un bel parallelismo sulla vita in griglia, che mi rende inattaccabile dal punto di vista redazionale e a posto con la coscienza, in secondo luogo perché, proprio come nelle primissime rubriche Seguo, vi parlerò delle vicende di un illustre scienziato che potrà portare ulteriore materiale alla nostra riflessione mensile.

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Ernico Fermi e Franco Rasetti convengo di Fisica Nucleare, Roma 1931

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te elusivo, quel punteggio di tenderness che non arriva, o semplicemente la reazione degli invitati che non è mai l’esplosione di tripudio e i lenti applausi che sentite di meritare. Eppure avete scaricato tutto il materiale gratuito, fatto i corsi, comprato tutto il materiale informativo che vi abbiamo sempre messo a disposizione. Molto semplicemente, a voi quella bistecca viene così. Oppure, sempre semplicemente, i vostri amici, le persone presenti a tavola, sono così. Ingrati? Non sono stato io a dirlo. Gusti diversi? Può darsi. Assolutamente non espansivi, anaffettivi? Potrebbe sembrare. Intenzionati a non regalare mai una soddisfazione, che sia una? Non è da escludere, ma occhio alle fantasie di persecuzione, che piombare nella paranoia è un attimo.

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Alla fine, dopo tanti sforzi, è così. Dovremmo tutti rivalutare il gesto liberatorio di alzare le spalle (“fare spallucce”). Si può andare avanti, si deve andare avanti: con altre preparazioni, con altre ricette, con orizzonti culinari completamente diversi (passare dalla mania del barbecue alla produzione continua di ciotole di riso poke può essere spiazzante), con altri amici e altri commensali più espansivi o gradevoli.

Si può capire di non essere proprio tagliati per quel determinato compito, e dirottare i propri sforzi su altro. A tale proposito vi voglio parlare di un certo Franco Rasetti, uno dei migliori fisici sperimentali che l’Italia abbia mai avuto, grande mente stimata da tutta la comunità scientifica, adorato unanimemente anche come persona e confidente, ma che tuttavia, quando sentì di “non starci più dentro” (se “teorizzare armi devastanti” si può banalizzare con quest’espressione giovanile) mollò baracca e burattini, enormi competenze e riconoscimenti, e ricominciò da zero in ambiti completamente differenti. Non ho intenzione di farvi una sinossi della sua pagina Wikipedia, che potreste consultare in autonomia qualora vi interessasse (fatelo, ha una vita avvincente): vi basti sapere che Franco era membro, assieme a Oscar D'Agostino, Emilio Segrè, Bruno Pontecorvo, Edoardo Amaldi ed Enrico Fermi, con Ettore Majorana come “jolly”, dei Ragazzi di Via Panisperna, un gruppo di scienziati capitanati da Fermi all’istituto di Fisica dell’Università di Roma. Si può pensare a loro come agli Avengers della fisica: un supergruppo di geni allu-


cinanti, casinisti, sempre a fare scherzi e disastri in dipartimento, con tanto di nickname; il Papa (Fermi), il Cardinale Vicario (Rasetti), il Basilisco (Segrè), il Grande Inquisitore (Majorana) e il Cucciolo (Pontecorvo), sotto l’egida del Padreterno (Orso Mario Corbino, il direttore dell’istituto). Amaldi era un tipo un po’ così e di soprannomi non ne volle: doveva essere quello schivo e tenebroso del gruppo. Una roba alla Winter Soldier.

I Ragazzi di Via Panisperna

Insomma questi allegri giovani fecero una cosetta da niente, la scoperta delle proprietà dei neutroni lenti, fondamentali per il loro primo esperimento di scissione nucleare. Scissione che effettuarono in una fontana - ma questa è un’altra storia da raccontare in altre occasioni. Le loro scoperte, tra le quali quelle relative al nucleare furono solo una piccola parte, ma sicuramente la più nota, ebbero ripercussioni fin troppo importanti su tutto il mondo. Senza impelagarci troppo su un infinito “What If?” del cosa sarebbe potuto succedere se gli USA non avessero lanciato le prime due bombe atomiche, è inevitabile pensare che, più di tutti, la scoperta di una tecnologia capace di armi devastanti è rimasta sul groppone per primi agli scienziati coinvolti. Una “Seguo che non è mai esistita” è proprio quella che avrebbe dovuto trattare il fantastico caso dei fisici sotto il comando del Reich, che fecero di tutto per spostare le ricerche atomiche verso una fonte di energia più che una fonte di distruzione, in opposizione al team multiculturale USA focalizzato sullo sterminio. Probabilmente mettendo tutto in parallelismo con chi fa il reverse searing e chi cuoce cinque minuti sull’osso, chissà.

Quando la superstar Fermi fu assoldata da Corbino portò in via Panisperna anche Franco e la sua “contrapposizione duale” alla propria personalità. In pochi anni gli Avengers nucleari rivoluzionarono la chimica e la fisica mondiale, svilupparono gruppi di ricerca e fecero crescere centinaia di studenti. La spinta di Franco portò a sperimentazioni sulla trasmutazione degli elementi dietro bombardamento di neutroni; scoprirono sessanta nuovi nuclei radioattivi e indussero la fissione dell’uranio con neutroni lenti. Proprio Rasetti è stato l’ultimo intestatario vivente di un brevetto su un processo di reazione a catena che ha portato allo sviluppo dei reattori nucleari.

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Per farla breve, Fermi prende armi, bagagli e moglie e si toglie da quella seccatura di leggi razziali del ventennio fascista, si allunga un attimo a ricevere il Nobel e poi si trasferisce negli Stati Uniti, per una certa cosa che avrete sentito dire: il progetto Manhattan. Pontecorvo va in Francia, Corbino muore, Majorana scompare misteriosamente nel nulla (ironicamente, pare sia finito a fare “il matto del paese” a Mazara del Vallo, località ben nota ai più affezionati sostenitori di BBQ4All, e sarebbe stato molto bello avere tempo e spazio per investigare), mentre dentro Franco Rasetti scattò qualcosa.

Franco Rasetti nacque a Pozzuolo Umbro, da un padre professore di entomologia agriculturale e da una madre artista. A diciassette anni pubblica il suo primo saggio sugli insetti di Pisa e Lucca (e pensare che non avevo mai notato nulla di strano sugli insetti di queste parti). La famiglia si trasferisce a Pisa negli anni dell’adolescenza di Franco, una mossa fondamentale per la stessa esistenza di questa rubrica Seguo (ci ritorneremo più avanti). A Pisa Franco incontra Fermi, che lo convince a intraprendere gli studi in fisica in luogo della sua originaria scelta in entomologia. Ricordando una famosissima coppia di fisici delle sitcom pomeridiane, Fermi era un fisico teorico, Rasetti un accanito fisico sperimentale, e i due si sfinivano in devastanti dispute scientifiche e dialettiche.

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Quando l’università italiana diventò insostenibile, Franco, corteggiato da molti atenei statunitensi, scelse il Canada e volò in Quebec, proprio per rimanere fuori da qualsiasi disputa belligerante. E, va detto, in quel tempo una testa come la sua valeva tutta la ricchezza del mondo. Rasetti non era un hippie, non era strettamente un pacifista, non era neppure un pavido: era fin troppo rigorosamente uno scienziato, e riteneva la guerra un atto inutile e non meritorio dei suoi sforzi, nè delle attenzioni del mondo. Non era un problema morale, “non ci stava più dentro”. La sua fisica sperimentale non era un'arma, e non doveva essere una leva per intimorire schieramenti internazionali. I suoi esperimenti erano tecnologia, non deterrenti bellici. “La guerra è una cosa idiota” è la frase di Franco che troverete in qualsiasi sua biografia. E, da massima autorità mondiale sul campo, mollò tutto, poco dopo aver reso l’università di Laval un punto di eccellenza per lo studio della fisica.

Si dette alla paleontologia, diventando in pochi anni una figura prominente della disciplina. Vinse la medaglia Charles Doolittle Walcott per la ricerca nell’ambito del pre-cambriano. A guerra finita accettò di insegnare di nuovo fisica alla John Hopkins di Baltimora, ma già che c’era faceva pure il docente di geologia, entomologia e botanica. Ebbe il coraggio di lasciar andare la fisica, di buttarsi su altro per non essere coinvolto in una cosa in cui non credeva. Risultato? Il quasi completo oblìo da ogni elenco di “fisici superstar”. Immagino infatti che abbiate sentito parlare di lui solo se avete visto il film “I ragazzi di via Panisperna” di Gianni Amelio (da vedere assolutamente) o forse ne avete letto distrattamente in “lessico famigliare” dell’amica di famiglia Natalia Ginzburg. Una scelta, poi l’oblìo accademico. Ma è vissuto fino a 100 anni tondi, felicemente.

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Perché il trasferimento a Pisa è stato così importante per la rubrica Seguo? Beh, Rasetti è il nome del ramo materno di chi scrive la rubrica. In effetti, Franco è il mio prozio. Non l’ho mai conosciuto, visto che ha passato i suoi ultimi anni in Belgio con Marie Madeleine: uno zio ingombrante, ma col quale avrei voluto parlare per ore delle neurodiversità di Majorana, del superomismo di Fermi, della scelta coraggiosa di Heisemberg, o di quella volta che Einstein e Bohr presero sette o otto volte lo stesso tram per continuare a parlare di fisica quantistica.

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Invece ne ho parlato con voi, nelle prime puntate “adulte” della rubrica Seguo, come se ne scherzassi con lo zio Franco. Che bei tempi.

Emiliano Nencioni Rasetti


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IN DI CE 2022

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L’Editoriale di Gianfranco Lo Cascio Bisonte, la cottura spiegata bene

gennaio

Se non hanno pane che mangino polpette

febbraio

Perché ho rivalutato la carne di razza Chianina

marzo

BMS, IMF, MS, USDA, GRAIN FINISHED - che significano queste sigle

aprile

Grigliate di primavera: la tua guida alla scelta del carbone

maggio

La bistecca migliore per te, come sceglierla e cuocerla

giugno

Barbecue: tutta una questione di controllo

luglio

La bufala dei 15000 litri di acqua

agosto

Scientificamente provate: che cosa è Gastronomicamente

settembre

I pretzel più buoni che abbiate mai mangiato

ottobre

Il tacchino del Ringraziamento più facile di sempre

novembre

Rock & Lobster Roll - non è il solito aperitivo di Natale

dicembre

Portfolio Steakhouse: nascita, mito e presente

gennaio

Polpettopoli, il regno del gusto e dei ricordi

febbraio

Nudi e crudi, il ritorno alla natura

marzo

Poke: si fa presto a dire ciotola di riso

aprile

L'universo delle salse- prima parte

maggio

L'universo delle salse- seconda parte

giugno

Io, il barbecue e il vicino

luglio

Il vecchio Far West, una cucina di frontiera

settembre

L'oktoberfest, l'evento che tutti aspettano

ottobre

Maria Grammatico: storia di una pasticceria

novembre

Recensione - Joe's American BBQ di Bastianich al Mercato Centrale Firenze

dicembre

Gastronomicamente Perchè il vino fatto con l'uva fragola è illegale

novembre

A scuola di pasticceria - Mostaccioli, roccocò e struffoli

dicembre

La chimica del panettone

dicembre

La mappa del panettone 2022

dicembre

La mappa del pandoro 2022

dicembre

Ostriche a Natale, come sceglierle, prepararle, mangiarle

dicembre

Lo speziale del bbq Il basilico, profumo d'estate

agosto

Dicembre 2022

Nice to Meat you

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La fai facile a dire bistecca i tagli spiegati bene

gennaio

Macinare la carne, i tagli ideali

febbraio

Tartare i tagli ideali e il taglio al coltello

marzo

Agnello, tagli e caratteristiche

aprile

Picanha la regina del churrasco

maggio

Le bistecche con l'osso

giugno


Il tenero filetto

luglio

Il tri tip

agosto

Il chuck-roll

settembre

Carvery Steak

ottobre

Antipasti Salmerino alpino affumicato

marzo

Bombette di capocollo con Roquefort bacon e peperoni in ember

marzo

Crocchette di patate con prosciutto di wagyu

marzo

Ćevapčići

giugno

Arancina con il pulled pork

luglio

Tartare con gazpacho

agosto

NY strip tacos con pico de gallo

agosto

Santa maria noodles salad

agosto

La torta del West (strati di tortillas e Burger BBQ4All)

settembre

Sloppy Popover (tortini e burger di Chianina)

settembre

Funghi champignon ripieni di pulled pork

ottobre

Guida ai taglieri delle feste

dicembre

Pizza di scarole

dicembre

Crostino di fegatini di pollo

dicembre

Primi piatti Spaghettoni con pesto e tartare di gamberi

marzo

Wagyutriciana

giugno

Insalata di pasta pepperoni & peperoni in ember

luglio

Ravioli cinesi con gamberi

agosto

Riso venere, shimofuri salami, frank wurst e drogarossa

agosto

Riso con blend di marinate di gambero rosso di Mazara del Vallo

agosto

Mac 'n' cheese

settembre

Brotsuppe e pork sausage cheddar jalapeño

ottobre

Agnolotti del plin

dicembre

Orecchiette alle cime di rapa

dicembre

Timballo di anelletti

dicembre

Secondi piatti gennaio

New York strip steak con burro al Martini

gennaio

T-bone di vaca vieja galiziana

gennaio

Tomahawk ai tre burri

gennaio

French onion steakhouse tower

gennaio

Filet steak con crema di irish whiskey

gennaio

Chuleton con salsa bernese

gennaio

Denver Steak e jacket potato

gennaio

Citrus pulled pork in cocotte

febbraio

Ossobuco affumicato alla birra con 'nduja, nocciole e pastinaca

febbraio

Guancia di manzo al sambuco con terrina di patate

febbraio

Top blade in salsa verde

febbraio

Cotoletta di wagyu

febbraio

Cassoeula con pork ribs, cotecchino, pancetta e salsiccia

febbraio

BBQ4All Magazine

Pork belly glassata all'aceto di mele, carote e ribes

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Dicembre 2022 122

Piovono polpette al ragù napoletano

febbraio

Polpette in umido con patate e piselli

febbraio

Polpette di gamberi rossi di Mazara, lime e zenzero

febbraio

Polpette di merluzzo col pesto di cavolo nero

febbraio

Polpette di pulled pork, taleggio e cipolle borettane

febbraio

Polpette ai funghi porcini

febbraio

Ceviche con scampi, mango, fragole e ribes

marzo

Tartare con crema di Parmigiano Reggiano, bacon e tuorlo fritto

marzo

Tartare di manzo con radicchio tardivo grigliato, bacon e tuorlo fritto

marzo

Pesto di basilico con tartare

marzo

Tartare di pagro con agrumi e menta

marzo

Tartare di scampi e gremolada di basilico

marzo

Ceviche con scampi, mango, fragole e ribes

marzo

Burger di Chianina teriyaki con coleslaw

marzo

Omelette con prosciutto di wagyu

marzo

Pollo in cocotte

aprile

Puff pastry chorizo pot pie

aprile

Picanha con mashed sweet potatoes e fagiolini piccanti

aprile

Polpettone con patate affumicate croccanti

aprile

Spiedini di pollo

aprile

Torta salata al pulled pork

aprile

Beef ribs finger con coleslaw e patate hasselback alla paprika

maggio

Baltimora pit beef con asparagi grigliati e bozner sauce

maggio

Straccetti di picanha con verdure saltate nel wok

maggio

Picanha e ananas

maggio

Flank in adobo

maggio

Insalata di chorizo

maggio

Poor man's burnt ends

maggio

Brisket e salsa verde

maggio

Flank, guacamole e patatine fritte

maggio

Steak salad con uovo marinato

giugno

Ribs glassate alla ratafia

giugno

Flank steak alla Moraes

giugno

Stir fry con flat iron

giugno

Chuleton con insalata di patate alla spagnola

giugno

Cubotti di Top Blade con guacamole

giugno

Cosce di pollo marinate e croccanti

luglio

NY strip e caponatina fredda

luglio

Picanha con batate

luglio

Pork kakuni

luglio

Steak sald

luglio

Sushi di carne

luglio

Tournedos con cipolle confit e zenzero

luglio

Steak salad

luglio

NY strip e caponatina fredda

luglio

Wurstel e patatate

agosto

Burger di Chianina e avocado fries

agosto

Insalata di petto di pollo con spinacini

agosto

Bacon, uova e patate

settembre


Cow-boy steak e pannocchie abbrustolite

settembre

Lo spezzatino dei pioneri con patate americane

settembre

Vaca atolada (stew)

settembre

Top blade peperonato

settembre

Per un pugno di spiedini (Stew e patate)

settembre

Chuck pot Roast (stufato di chuck roll e polenta)

settembre

Uno stinco 2 ricette

ottobre

Ribs e pasticcio di patate

ottobre

Rouladen mit spatzle

ottobre

Currywurst

ottobre

Salsicce con patate e crauti

ottobre

Filetto di vacca vieja con burro alle acciughe del Cantabrico

ottobre

Carvery steak e patate apparecchiate

ottobre

Bife ribs de chorizo con riduzione di birra e chips di patate dolci

ottobre

Alette di pollo marinate

novembre

Fusi di pollo con patate novelle

novembre

Pollo e peperoni

novembre

Nuggets di pollo

novembre

Chicken katsu

novembre

Rustichelle di pollo marinate

novembre

Insalata di pollo affumicato

novembre

Pollo porchettato

novembre

Polpette di bollito

novembre

Baccalà fritto

dicembre

Filetto alla Wellington

dicembre

Contorni e verdure Polpette di zucca

febbraio

Pesto di basilico con tartare

marzo

Zucchini ripieni con Chianina, lardo di Colonnata e Parmigiano Reggiano

maggio

Insalata di chorizo

maggio

Avocado fries e burger di Chianina

agosto

Insalata di rinforzo

dicembre

Cardi e carciofi fritti in pastella

dicembre

Panini Gennaio

Sandwich di cervo con fragole arrosto e crème fraiche affumicata

marzo

Pit beef sanwich con cipolle croccanti e salsa Thousand island

maggio

Brisket burrito

maggio

Panino con NY strip, toma, radicchio e tarassaco

maggio

Rosetta con salame piccante

giugno

Panino rustico con il salame del norcino

giugno

Sandwich con shimofuri

giugno

Tigelle e pulled pork

giugno

Hamburger al guacamole crema di pecorino e fettine di mela

luglio

Pane naan: pulled pork e yogurt greco alla menta

luglio

El tramezin con pit beef

agosto

Pit beef tapenade sandwich

agosto

BBQ4All Magazine

Jambalaya cajun nella piadina romagnola

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Pagnotta farcita

settembre

Il panino di Bud Spencer

settembre

Salse Salsa yogurt e limone

novembre

Salsa ranch

novembre

Salsa agrodolce novembre

Aperitivo Bubble Spritz Holiday Edition

dicembre

Dolci Key lime pie

gennaio

Poke dolce con latte di cocco e frutta mista

aprile

Apple pie: barocca o razionalista

giugno

Crumble di mele

luglio

Bossolà Bresciano

dicembre

Speciale crudo Salmerino alpino affumicato

marzo

Sandwich di cervo con fragola arrosto e crème fraiche affumicata

marzo

Tartare con crema di parmigiano reggiano, bacon e tuorlo fritto

marzo

Tartare di manzo con radicchio tardivo grigliato, porri fritti e aceto balsamico

marzo

Pesto di basilico con tartare

marzo

Tartare di pagro con agrumi e menta

marzo

Tartare di scampi e gremolada di basilico

marzo

Spaghettoni con pesto e tartare di gamberi

marzo

Ceviche con scampi, mango, fragole e ribes

marzo

Dicembre 2022

Speciali

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Burger di chianina teriyaki con coleslaw

marzo

Bombette di capocollo con Roquefort, bacon e peperoni in ember

marzo

Omelette con prosciutto di Wagyu

marzo

Crocchette di patate con prosciutto di Wagyu

marzo

Poke con tartare di manzo, asparagi e cipollotti grigliati

aprile

Poke con tartare di manzo, avocado grigliato, pomodorini, jalapenos

aprile

Poke con stinco pullato, coleslaw, pomodorini, salsa allo yogurt

aprile

Poke con gambero rosso, carote, avocado, jalapeno e salsa bianca

aprile

Poke con sashimi di pagro, ribes, spinacino e cipollotto grigliato

aprile

Poke con sashimi di tonno, mais, cetrioli, insalata e salsa al lime

aprile

Poke con sashimi di salmone, gari, alga nori, ribes e avocado

aprile

Poke dolce con latte di cocco e frutta mista

aprile

Le marinature

giugno

Guida ai tagli

luglio

Guida ai tagli (errata corrige)

settembre

Chi non mangia le patate ha qualcosa da nascondere

ottobre

Approfondimenti Il buffet del churrasco

maggio


I contorni da bistecca: l'insalata

agosto

Il jerky

ottobre

Arte bianca Il pane artigianale alla conquista dell'america

gennaio

Pane da scarpetta

febbraio

La pizza napoletana

marzo

La colomba di pasqua

aprile

Il bagel

maggio

Le tigelle

giugno

La pinsa

luglio

I grissini

agosto

Frybread, il pane degli indiani d'America

settembre

Il pane di segale

ottobre

Il pane carasau

novembre

Across the pond Gli americani e la carne

gennaio

Surf and turf

gennaio

Spaghetti and Meatballs

febbraio

Il crudo che si mangia in america

marzo

Poke, alcolici e happy hour

aprile

Soul food, ovvero le radici della cucina americana

maggio

Fare la spesa in USA

giugno

Le mille sfumature della frutta tropicale

luglio

L'America è il regno del ghiaccio

agosto

In USA dove c'è burro di arachidi c'è casa

settembre

From zero to hero La bistecca perfetta

gennaio

La cottura su ghisa

febbraio

Standing steak

marzo

La salamoia e la marinatura

marzo

Il bark spiegato bene

aprile

Il carry over

maggio

Il rest e l'holding

giugno

Come si mette il rub sul brisket

luglio

È tutta questione di temperatura

agosto

Ducth oven, cos'è e come si usa

settembre

Il girarrosto

ottobre

Water pan, ecco un esperimento interessante

novembre

Infografica Dove posizionare la sonda del termometro

gennaio

Guida ai legni da affumicatura

luglio

Il quinto quarto: trippa e altri stomaci

febbraio

Guida ai tagli

luglio

BBQ4All Magazine

Tagli

125


Guida ai tagli (errata corrige)

settembre

Come si fa Pollo intero tecniche di sezionamento

novembre

Come si fa La sicurezza alimentare

aprile

Conosciamo la meat glue

maggio

È tutto un fermento

luglio

La ricetta scientifica Pizzoccheri alla valtellinese

gennaio

Gnocchi di patate

febbraio

Guancia di manzo affumicata

marzo

L'elisir del bbq

aprile

Prime rib roast con chimichurri

maggio

Stir fry di manzo

giugno

Philly Cheesesteak

agosto

Tacos

settembre

Polpette al sugo

ottobre

Pollo fritto

novembre

Pasta alle vongole

dicembre

Dicembre 2022

Seguo

126

Non per informazione, ma per ispirazione

gennaio

Lo stress rende la gente stupida

febbraio

Non è colpa mia, è colpa tua. Anzi no…

marzo

La figura di sé, la figura di ME-

aprile

L'effetto Dunning Kruger, spiegato meglio

maggio

Il fenomeno della disinibizione on line

giugno

Il listone spiaggista

luglio

Capacità, resistenza, impedenza, reattanza

agosto

Rimandare sempre le riunioni con gli idioti perditempo

settembre

Di shistorm e d'altri allerta meteo

ottobre

I troll della mente bicamerale

novembre

L'importanza di lasciare andare

dicembre


CLUB

Direttam e n t e dalla commu n i ty d i ma e s t r i di barbecue pi ù grande d’Itali a, nas ce i l pres ti gi o s o club ch e t i offre la po s s i bi li tà di avere: acc e s s o p r io r ita r io a l m ega s to re, dove p ot ra i fa re ra zzi e mentre tutti gli altri “ s o no i n coda” ; u na p rogra m ma z i o n e int elligent e dei tuoi acquis t i gra zi e a l cre d i to me ns i le prepagato (s cegli tu quanto ); u n coac h pr ivato che t i guiderà n e l fa r t i vi ve re l’e s peri enza

pi ù ecci tante di s empre

co n la p re paraz i o ne dei tuoi pi atti ; e molto a lt ro a nco ra. . . Av ra i tu tto qu es to s o lo s e t i i s cr i vi s u bito al M EG ASTORE CLUB , l’uni co luogo ri s ervato a una ce rc h ia r is t re tta d i a s p i ra n t i gr i ll ma s t e r c he des i derano apprendere pi ù velocemente e nel modo p i ù accurato po s s i bi le, la s u bli me arte del gri ll . Pu oi d i s i s cri verti quando vuoi e i l tu o c re d i to s a rà s empre dis po nibile.

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H T T PS : / / C LU B M E G ASTO R E . B BQ 4 A L L. I T e ch i e d i i n fo rmaz i o ni pi ù dettagli ate, p r i ma ch e i coach fi ni s cano e le i s cri z i o ni chi udano .


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