N°1/ANNO 1 - GENNAIO 2019
MAGAZINE
GIANFRANCO LO CASCIO
GU I DA PE R BRI SK ET TA RI ALLO SBARA GLI O FRANK MERENDA
ROA DHO U SE, P RODOT TI DOZZ IN AL I MA TANT I CLI ENTI . P ERCHÉ ?
SPECIA LE
BRISK E T : T U T TO QUEL LO CHE D EV I SAPE RE
2 - BBQ4All MAGAZINE
EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO
PICCOLA GUIDA PER
BRISCHETTARI
ALLO SBARAGLIO
Eccoci qua, finalmente, al primo Speciale del 2019 di BBQ4All dopo quello di Dicembre, il numero Zero, che ha avuto un successo maggiore di quanto sognassi. No, non è vero: ero certo che ti sarebbe piaciuto e che ti saresti abbonato per almeno tre mesi (perché se stai leggendo questo editoriale o ti sei abbonato o ti sei fatto fare le fotocopie a colo ri, e in tal caso complimenti per lo sbattimento).
Mi sono fatto prendere dall’entusiasmo e ho deciso che lo Speciale Brisket doveva avere lo speciale dello speciale, uno speciale al quadrato, specialception: la preparazione forse più costosa, delicata, impegnativa e appagante di tutto l’american BBQ, il Brisket di wagyu (cross bred). Ho trafugato dalla cella del megastore nove chili di Brisket WX by Rangers Valley, mi sono attaccato al telefono e ho convocato chi poteva garantirmi al primo colpo un succesQuesto, per certi versi, è un ulterio so a prova di foto macro ad alta rire debutto, con tutte le emozioni soluzione. Il prezioso pezzo di ciccia del caso: sono orgoglioso di questo in questo numero diventa un articonumero, bellissimo e onestamente lo approfondito più che una ricetta, non paragonabile a nient’altro sul una riflessione motivante più che un mercato, in termini di informazioni elenco di procedure, a cura di coach elargite e di valore di contenuti. Emiliano Nencioni. Tanto per cominciare puoi leggere, senza nessun sovrapprezzo, un inter- Permettimi però, prima di inziare vento che Frank Merenda ha scritto questo bel viaggio approfondito nel appositamente per lo Speciale 2019. mondo della preparazione regina Frank Merenda, esperto di Marketing a ri sposta diretta, allievo prediletto di Al Ries (non ti spiegherò chi è), e uno dei principali artefici della metamorfosi di BBQ4All nell’ultimo anno. Visto e considerato che Frank, che non a caso chiamo spesso il mio maestro, vi catapulta addosso fatture da diverse migliaia di euro per una chiacchierata di mezz’ora, vi consiglio di conservare con cura questa copia, perché di fatto avete con voi una consulenza vera e propria, una serie di inestimabili consigli utili per vendere un prodotto o voi stessi.
dell’American barbecue, di farti un breve intruduzione. Il Brisket è in assoluto la preparazione più complessa fra le classiche dell’American barbecue. È la vera sfida del Pit Master, un punto di arrivo incredibilmente impegnativo che richiede grande cono scenza, condizione necessaria ma non sufficiente, unita ad una lunga esperienza di cotture. Arrivare al Brisket perfetto non è semplice, nemmeno per un Pit Master esperto. Ma cosa si intende per Brisket perfetto? Si intende un trionfo di sapori che solo il manzo può regalare. Manzo che in questo caso deve essere tenero, succoso, incredibilmente saporito e con una gradevole, ma non predominante, nota affumicata. Per centrare questo obiettivo, dovrai per forza capire quale sia il Flavour Profile, ovvero il quadro gustativo entro i cui confini dobbiamo far ricadere le caratteristiche del tuo Brisket, una sorta di principio di coerenza da rispettare nel caso si ricerchi il profilo della preparazione così come viene concepita nel paese di origine. Dobbiamo quindi stabilire le caratteristiche che dovrai ricercare:
Come se non bastasse, l’avrai notato, questo è un numero focalizzato sul Brisket; ti sveleremo ogni nostro segreto, parleremo approfonditamente di ogni procedura e di ogni metodo collaudato da BBQ4All: in questo modo potrai gettare via tutta la tua knowledge base appresa per sentito dire o in gruppi di dilettanti allo sbaraglio (o in rotta). A posto così? No, per niente. Esageriamo. GENNAIO 2019
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• Il gusto della carne dovrà essere pieno, molto intenso, sapido e a tratti “pungente”. • Nel momento in cui verrà affettato dovrà essere molto succoso e tenero ma non al punto da sfilacciarsi. • Dovrà avere un bark (quella deliziosa crosticina superficiale) scuro, sapido e speziato; • Dovrà essere delicatamente affumicato. Fin qui tutto chiaro, no? Benissimo. Sappi che mentre leggerai questo speciale, nel quale ti spiegheremo il taglio in modo approfondito, ti insegneremo il metodo di cottura e ti forniremo varie idee su come riutilizzare ciò che avanza, incontrerai parole che, se sei un neofita, potresti far fatica a capire: trimming, inje ction, rub, stallo, foil, smoke ring. Non è semplice poter spiegare tutto in poche righe, ma io sono qua apposta per cercare di chiarirti un po’ le idee, in modo che tu possa usufruire di questo speciale nel modo più completo possibile. Ecco per te, briskettaro allo sbaraglio, una piccola guida. Il trimming è un’operazione fondamentale che consiste nel ripulire la carne dal grasso in eccesso e da eventuali brandelli. In molti tolgono tutto il grasso e continuano a credere che sia la cosa migliore. Nel corso degli anni e dopo innumerevoli prove, sono arrivato ad una conclusione: trimmare il Brisket completamente è sbagliato, perché è fondamentale che conservi parte del grasso che poi in cottura possa sciogliersi e dare sapore, umidità e morbidezza alla carne. Una cosa fondamentale da ricordare: per effettuare qualsiasi operazione di trimming è necessario un coltello da disosso ben affilato: con molta calma incidiamo, tagliamo e rimuoviamo il grasso in eccesso. È molto importante procedere con tagli netti e decisi, per evitare di creare troppi brandelli e rovinare la superficie. Il rub è una miscela di spezie, la cui base è sempre il sale. Per il Brisket in stile texano il rub è un esaltatore naturale del manzo e non contiene spezie che possano alterare il suo gusto naturale. Molto spesso, il sale contenuto nel 4 - BBQ4All MAGAZINE
rub deve essere sufficiente a fornire la giusta sapidità a tutto il pezzo di carne. Nel caso del Brisket è impensabile che il solo condimento superficiale possa penetrare fino all’interno, pertanto la dose di sale deve essere sufficiente a dare sapi dità solo in superficie. In base alla mia esperienza, 20g di sale per chilo di Brisket sono una proporzione ideale. Nel rub per Brisket ti consiglio di non aggiungere zucchero perché i tempi di cottura lunghi ne favorirebbero senza dubbio la carbonizzazione, con una risultante di note amare fastidiosissime. Usa, invece, l’aglio in polvere. L’aglio è importante per due motivi fondamentali. Il primo è appunto questa dolcezza mista a note sulfuree che in cottura lasciano spazio ad un aroma molto gradevole. Il secondo è la presenza di moltissimi zuccheri riducenti che aiuteranno la formazione del bark. La proporzione ideale è di 5g di aglio per ogni chilo di Brisket. Gli americani amano il “Kick”, traducibile in “contraccolpo”. Il kick non
è altro che una leggera nota piccante che deve arrivare dopo il morso e la masticazione. Per ottenerlo nel caso del Brisket, dobbiamo prevedere l’uso di pepe, l’unico elemento di kick ammesso dalla scuola texana e compatibile con il manzo. Le injection sono il moto più efficace per portare sapore e sapidità all’interno del grande pezzo di carne. In pratica, si inocula ripetutamente un liquido, nel caso specifico un ottimo brodo di manzo, all’interno della carne direttamente con una siringa alimentare: devi ricreare un reticolo, distanziando di 3 o 4cm ogni punto d’ inserimento. Lo stallo è uno degli incubi peggiori di chiunque si decida a cuocere un Brisket, che sia un neofita o un griller esperto: è quella fase in cui la temperatura interna del tuo pezzo di ciccia in cottura, che fino a quel momento si alzava costantemente, si ferma. Si inchioda. Entra in stallo per quattro o più ore e a malapena si alza di una tacca. A volte scende
anche di alcuni gradi. Ebbene, per farla breve, cos’è ‘sto benedetto stallo? È un processo di raffreddamento evaporativo. È una semplice conse guenza del raffreddamento per eva porazione dell’umidità dalla carne, rilasciata lentamente nel tempo attraverso fibre e cellule. All’aumentare della temperatura della carne fredda, il tasso di evaporazione aumenta fino a quando l’effetto di raffreddamento equilibra l’input di calore. Quindi la carne resterà in stallo fino a quando l’ultima goccia di umidità disponibile sarà evaporata. Il foil è il metodo migliore e più efficace per curare lo stallo. Se avvolgerai il Brisket in foil di alluminio, in special modo in un texas crutch, la carne affronterà di potenza lo stallo, generando una curva di crescita della temperatura costante, accorciando di molto i tempi di cottura e mantenendo molti più succhi all’interno. Il Texas Crutch è la pratica di chiudere la carne in un foglio di alluminio allo scopo di evitare il raffreddamento per evaporazione. L’idea è quella
di produrre un ambiente non troppo ermetico per evitare di costringere il bark al contatto con l’alluminio, consentendo l’innalzamento della temperatura senza un’eccessiva pressione del vapore. Lo smoke ring è quella rosea aureola che si crea sotto il bark di tutte le preparazioni sottoposte ad affumicazione lenta con temperatura controllata, è un ambìto traguardo di ogni appassionato di barbecue che si rispetti. Diversi famosi Pit Master d’oltreoceano contestano l’importanza che molti di noi attribuiscono a questo folcloristico effetto collaterale della cottura. A conti fatti hanno ragione: si può fare buon BBQ in assenza di uno smoke ring marcato, così come ho assaggiato orrende nefandezze pur in presenza di un perfetto smoke ring. La verità è che lo smoke ring non è garanzia di un buon risultato, ma è solo un affascinante elemento coreografico. Ne parleremo comunque in modo più approfondito nei prossimi numeri. Bene, il meno è fatto. Sì, hai capito
bene: il meno. Il tuo viaggio è appena iniziato. Sappi che quando arriverai alla fine di questo numero ci saranno tre cose che vorrai fare: 1. Iscriverti a uno dei nostri corsi Smoke To Perfection per imparare sul campo a cuocere il Brisket perfetto; 2. Accaparrarti un Brisket sul nostro Megastore perché avrai voglia di rifarlo a casa, da solo, mettendoti alla prova; 3. Smettere di usare il termine “briskettato” (questo è uno spoiler, ma puoi andare subito a leggere l’ultima rubrica, se sei proprio curioso). Buona lettura e ci vediamo il mese prossimo. Braci e abbacchi. Gianfranco Lo Cascio P.S. Nencioni, si può dire “briskettaro”?
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INDICE GENNAIO 2019 - NUMERO 1 ANNO 1
BB4All BUSINESS
l’editoriale di Frank Merenda
B U TC H E R C LASS
La bistecca del mese: flat iron WINE CLASS
il giusto bicchiere per il vino ACC E SS O R I
La Ghisa
6 - BBQ4All MAGAZINE
8 14 18 20
24 30 60
N I C E T O M E AT Y O U
Onishi-san selezionatori di WAGYU S P EC I A LE
Brisket B B Q P E R P R I N C I PA N T I
quale dispositivo per iniziare
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ALL’INTERNO DELLO SPECIALE BRISKET 32 Scusi, mi darebbe un brisket? 36 Come preparare il brisket definitivo 40 Infografica: il re dell’American Barbecue 42 Cipolle caramellate, insalata di cetrioli e feta 43 Baked Beans 44 Panino al brisket 45 Caramella al brisket 46 Ragù di brisket 48 Brisket & Cannelloni 50 Moussaka 52 Crostatina al Lemon Curd 54 Tartufi di Zucca Bruciata 56 Abbinamenti vino 58 Abbinamenti birra 59 Abbinamenti cocktail
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GLOSSARIO BBQ #CHIEDIALCOACH SPUNTINO LETTERARIO SEGUO
D I R E T TO R E E D I TO R I A LE
Rossella Neiadin
R E D AT T O R E C A P O
Michela Bongiorni
La rubrica “BBQ4All Business” di questo mese è a cura di Frank Merenda REDAZIONE
Enio Berton, Michele Chipa, Tommaso Di Gregorio, Salvatore Di Mento, Luca Gallozza, Mariangela Ibba, Gianfranco Lo Cascio, Alessandro Morichetti, Riccardo Meniconi, Emiliano Nencioni, Carlo Trono, Paolo Tucci REALIZZAZIONE GRAFICA
Carlo Trono
C O L L A B O R AT O R I
Virgilio Brunetti, Alessandro Colusso, Dario Salbego, Filippo Vassanelli magazine@bbq4all.it instagram.com/bbq4allmagazine/
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BBQ4All BUSINESS a cura di FRANK MERENDA
se
ROADHOUSE
PERCHÉ
SOLDI e CLIENTI DI TE ?
usa prodotti dozzinali
hap i ù
“Ma il fatto che la mia carne sia la migliore, non mi fa avere automaticamente il ristorante pieno?”
No, mio giovane padawan. Non è così che funziona; forse negli anni ’70 era così, ma non oggi.
di qualcosa che ti sta particolarmente a cuore: il marketing nel mondo del food.
Oggi non puoi sbancare il lunario solo con la “qualità”. Oggi devi applicare delle precise strategie di marketing per fare il gioco del tuo mercato e avere il ristorante sempre pieno.
Un argomento piuttosto sfidante, quindi bando alle ciance, seguimi per pochi minuti e ti porterò per mano, conducendoti sulla strada per il successo nella ristorazione.
Marketing, questa parola americana che tanto spaventa i ristoratori e più in generale gli imprenditori italiani. Questo concetto che da solo permette alle aziende di restare aperte, di donare lavoro e di prosperare.
Abbi un minimo di fiducia e non te ne pentirai. Lo so, nel momento in cui ho nominato Roadhouse ho fatto vibrare i tuoi sensi da gastrofighetto.
Mi chiamo Frank Merenda e mi occupo di Marketing. Più nello specifico, sono - numeri alla mano - il più influente divulgatore europeo in ambito marketing e vendite e da poco mi sono affacciato al mercato statunitense. Ci pensi? Un italiano che va a spiegare il marketing agli americani. Pare assurdo, lo so, eppure è andata proprio così. Pensa, hai la fortuna di poter leggere un mio inserto, nella rivista del mio grande amico Gianfranco, che parla 8 - BBQ4All MAGAZINE
Certamente la qualità della loro carne non ha nulla e che vedere con quella che puoi trovare nel megastore e per quanto riguarda il come è cucinata, parliamo pur sempre di cucina omologata. Fatte le opportune premesse però, non posso fare nient’altro che riconoscere i meriti a Roadhouse in ambito marketing, motivo per cui va alla grande anche se non ha di certo carne di wagyu giapponese. Perché se sei un piccolo ristoratore, o qualcuno che un giorno sogna di aprire un proprio ristorante in cui
servire una carne da maestro, allora non puoi ignorare la legge comune che colpisce tutti gli imprenditori: il tuo prodotto può essere figo quanto ti pare, ma se la gente non lo conosce e non lo sai vendere, allora sei destinato al fallimento. Per i ristoratori lo scopo quotidiano deve essere uno e categorico: devi avere tutti i tavoli pieni, tutti i giorni e a tutte le ore. Riguardo il “a tutte le ore” apro una parentesi; il modello italiano del “sono aperto a pranzo solo in un certo orario” non si può vedere. Quando decidi di chiudere il ristorante alle 14.30 stai letteralmente lasciando dei soldi sul piatto. Le persone non mangiano quando vuoi tu; mangiano quando hanno fame e soprattutto quando hanno il tempo di farlo; se arrivano al tuo locale alle 15.00 e lo trovano chiuso ti sei perso i loro soldi. Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, sono migliaia di euro di fatturato che stai buttando via, tra l’altro andandoci in perdita; perché
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Come si ricollega tutto questo a Roadhouse e alla tua attività di ristorazione? Abbiamo detto che lo scopo è riempire il locale il più possibile e che, soprattutto se vuoi avere una cassa bella ricca a fine mese, devi cercare di marginare il più possibile rispetto a ogni vendita che fai. Naturalmente se in determinati giorni hai una clientela che potrebbe fare da cast nel film su una città fantasma, allora lo scopo cambia nel portare il fatturato da zero a qualcosa. E quindi fai come Roadhouse che il giovedì ha messo gli hamburger a metà prezzo e che la domenica ha messo le ribs all you can eat a 10 euro a persona. l’affitto del locale lo paghi eccome e quindi le ore in cui tieni chiuso sono soldi di affitto (più bollette, etc.) che stai buttando direttamente nello sciacquone del bagno. Chiusa parentesi torniamo a noi; dicevamo che lo scopo di un ristoratore è di avere tutti i tavoli pieni, il più frequentemente possibile. Ed è qui che voglio parlarti di un’ottima mossa di Roadhouse, ma prima di arrivarci porta un secondo di pazienza perché è necessario per me farti un’altra importante premessa. Immagina questa situazione: hai finito di lavorare e stai camminando verso casa; all’improvviso vedi un negozio di scarpe, ti ricordi che effettivamente hai bisogno di comprartene un paio nuovo per l’inverno e così entri. Prosegue la solita trafila tra il guardarti attorno, il commerciante che ti porta qualche paio da provare della tua misura e tu che ti ammiri davanti allo specchio. Gira che ti rigira alla fine paghi il tuo paio di scarpe, il commerciante ti chiede “serve altro?” E al tuo “no grazie” te ne esci e prosegui per la tua strada. Il commerciante in questione ha sbagliato tutto; sai cosa avrebbe do10 - BBQ4All MAGAZINE
vuto fare? Ti avrebbe dovuto offrire un secondo paio di scarpe al 50% di sconto. Magari preso dalle giacenze in magazzino. Scarpe che per lui rappresentano un “costo” più che un potenziale guadagno. All’imprenditore medio italiano viene un infarto all’idea di fare una cosa del genere. “È mio! È tutto mio! Sono mie le scarpe! È roba mia! Le paghi a prezzo pieno!” Il problema è che l’imprenditore in questione ragiona sul fatturato totale e non sul margine e quest’ultimo è l’unica cosa che conti veramente. Perché, mio caro amico, anche se avesse marginato solo 5 euro su quel paio scontato del 50%, e considerando che senza sconto non lo avresti mai preso il suddetto paio, alla fine ne risulta che saresti uscito dal negozio lasciandogli 5 euro di margine in più sullo scontrino. 5 euro in più di margine che altrimenti non avrebbe avuto. Considera un aumento di margine, per quanto piccolo su ogni vendita che fai e ti rendi conto di come a fine mese la tua cassa possa essere molto più ricca.
Ti fermo subito prima che tu possa fraintendere; queste iniziative non nascono dalla creatività di qualche direttore marketing che la mattina si è svegliato pensando “abbiamo bisogno di più clienti! Mettiamo i panini al 50% il giovedì e le ribs all you can eat la domenica! Sono un dannatissimo genio!” No; non è andata così. Lo scopo è quello di avere il ristorante sempre pieno cercando di strappare il margine maggior possibile. Detto questo, Roadhouse ha analizzato i numeri della propria attività, cosa che ogni imprenditore dovrebbe fare in quanto, come dico sempre: un imprenditore è un esperto di marketing che sa leggere un bilancio. Dall’analisi dei numeri è emerso che avevano un calo delle vendite il giovedì e la domenica. Così il giovedì ha messo gli hamburger al 50% e in questo modo piuttosto che guadagnare niente guadagna qualcosa. Anche perché alla fine sugli hamburger non ci margina niente, ma su acqua, bibite e magari anche il dolce stai sicuro che ci guadagna. Poi si sono resi conto, come dicevo, che hanno un picco negativo la do-
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menica, e quindi che hanno fatto? Hanno ragionato come prima cosa; considerando che gli adulti sono pieni dalla cena della sera prima e al massimo la domenica fanno il pranzo in casa, alla fine chi è che rimane in giro a cui poter vendere? I ragazzini. E quindi vai con le ribs all you can eat a 10 euro. Anche in questo caso piuttosto che non guadagnare niente ci guadagnano qualcosa e alla fine marginano sulle bibite. Quali sono gli insegnamenti che si possono trarre da tutto ciò: 1) Devi analizzare i numeri della tua attività ed essere ben consapevole di quando hai i picchi negativi. 2) Questi picchi negativi li devi portare in positivo attirando i clienti con delle offerte irresistibili in modo da poter fare upsell sui prodotti sui quali hai margine. 3) infine, e questo è l’insegnamento più importante che devi comprendere, non devi ragionare pensando “aspetto che i clienti entrino”. Sei tu che decidi quando devono venire a mangiare da te. Nei giorni in cui sei già pieno (tipo il sabato sera) e in cui le prenotazioni piovono da sole non devi fare niente per portarli a te naturalmente. In quei giorni invece in cui i clienti scarseggiano ti inventi una promo-
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zione per guadagnare quel qualcosa in più piuttosto che niente, in modo da avere i tavoli sempre pieni e da non pagare giornate di affitto o di stipendi per niente. Hai una carne di qualità superba? La cucini come un Dio? Bene, senza tirartela in nome del tuo ego, nei giorni di magra attiri clienti con delle promozioni cercando quindi di strappare del margine che altrimenti non avresti mai avuto. Continua ad analizzare i numeri, testare strategie e promozioni fino a trovare la tua formula perfetta, perché vedrai che seguendo questo metodo anche una churrascheria può riuscire ad avere il pienone il 24 di dicembre quando tutto il mondo cristiano dice che “si mangia solo pesce”. Se con questa piccola strategia riuscirai a ottenere dei risultati… beh, fallo pure sapere allo staff di BBQ4All che mi farà avere il messaggio e sarò felice di leggere dei tuoi successi. Naturalmente Gianfranco questi concetti e molti altri più complessi li conosce benissimo. È un mio studente avanzato e se sei abbonato a questa rivista e fai parte della community BBQ4All, dovresti saperlo piuttosto bene. E cosi come gli amici dei miei amici sono anch’essi miei amici, allo stesso tempo gli studenti dei miei studenti sono anch’essi miei studenti;
ecco perché hai trovato un mio pezzo su questo strepitoso magazine. Se però la tua fame di conoscenza non può essere placata da un singolo intervento, se sei un imprenditore desideroso di saperne di più, puoi entrare a far parte del Circolo degli Imprenditori. Un luogo in cui poter imparare tutto con i tuoi ritmi, attraverso video, audio e carta, mettendo in pratica come meglio credi quanto hai imparato. Un luogo in cui imparerai a costruire un sistema per trovare e vendere a nuovi clienti in modo da poter rea lizzare finalmente il tuo sogno e avere un’attività, un’azienda, un’impresa che funziona, che cresce e che nonostante tutte le difficoltà che comunque ci saranno là fuori, saprà darti le giuste soddisfazioni. È un qualcosa che devi assolutamente provare e in cui non hai nulla da perdere per due motivi: 1) Puoi chiedere direttamente a Gianfranco se ne vale la pena o meno. 2) Così com’è semplice farne parte, allo stesso tempo è facilissimo uscirne con un semplice click. Il Circolo degli Imprenditori è la membership dove trovi tutto quello che ti ho detto e che ricevi comodamente a casa tua, con i video e gli audio direttamente nel tuo PC.
Entro brevissimo (stiamo aspettando l’autorizzazione dalle principali piattaforme di app), potrai guardarlo comodamente da smartphone o tablet in quella che è la prima piattaforma modello Netflix per la formazione business nel mondo. Esattamente come in Netflix accedi, ti scarichi se vuoi il contenuto sul tuo dispositivo in modo da poterne usufruire anche quando sei disconnesso o in viaggio e ti godi i contenuti. Una vera e propria endovena di marketing operativo e copywriting a risposta diretta sia con strumenti online cioè sul web (con guide passo-passo a schermo solo da implementare per far partire le tue campagne) che offline, con strumenti fisici come lettere di vendita, pacchi, volantini, cartoline, ecc… Poi a casa ricevi sempre comodamente nella tua casella postale e spedito tramite corriere il dossier cartaceo in edizione da collezione in modo da poter rileggere i contenuti su carta se quello è il modo di apprendere che preferisci. Se stai pensando di studiare marketing e accrescere le tue competenze da imprenditore il Circolo degli Imprenditori è il tuo primo step. Cos’hai da perdere? Nulla. Puoi disdirlo in qualunque momento con un click, esattamente come Netflix. Quindi devi assolutamente provarlo.
Però ASPETTA prima di correre al computer ad iscriverti perché c’è dell’altro! Puoi avere due mesi di Circolo COMPLETAMENTE GRATIS. Come? A Febbraio ti invito a partecipare a un intero corso di DUE GIORNI che sia chiama MARKETING EVIL con me, Al Ries (il padre del Posizionamento di Marca che a 92 anni ha deciso di tornare in Italia apposta per i soci del Circolo degli Imprenditori) e Laura Ries. Un corso incredibile dove presenteremo in anteprima mondiale: “I 5 nuovi principi del Posizionamento per il 21esimo secolo”. Se non vuoi fare la fine di quegli imprenditori che servono tutti i clienti solo per essere ricordati per coloro i quali hanno fatto fallire l’azienda, dopo essersi ostinati a lavorare in maniera stupida nonostante anni di sangue buttato e onorata carriera, allora non puoi mancare a Marketing Evil. Quindi ricapitolando, acquistando il biglietto per partecipare al corso di due giorni Marketing Evil, ecco cosa ricevi per ben due mesi: • Video mensili del Circolo in area riservata; • Audio mensili del Circolo in area riservata (se preferisci ascoltare senza guardare monitor);
• Dossier cartacei speciali da collezione (per studiare ancora meglio su carta); • Webinar mensile dove potrai fare la tue domande (e ricevere risposta ovviamente); • 1 Biglietto GRATIS per Marketing Evil; Tutto questo quanto costa? La R-ID-I-C-O-L-A cifra di 297 euro per partecipare al corso, e in più hai due mesi gratis di Circolo degli Imprenditori. In più, visto che stai leggendo questa rivista c’è un’altra cosa che devi sapere; solo per i lettori di questa rivista, solo per i fedeli membri di BBQ4All c’è un regalo in esclusiva da parte mia per coloro che prenderanno i proverbiali due piccioni con una fava, ovvero 2 mesi del Circolo degli Imprenditori e Marketing Evil in un colpo solo. Quale regalo? Beh, questa resta una sorpresa, e lo scoprirai solo dopo che sarai andato su
www.marketingevilbbq4all.com
Il corso è a Febbraio, quindi non perdere tempo. Detto questo ti saluto caro lettore e ricorda: cerca di strappare sempre il margine maggiore possibile. Frank Merenda
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BUTCHER CLASS a cura di SAL DI MENTO e MICHELE CHIPA
FLAT IRON STEAK la bistecca del mese:
La Flat Iron Steak è una di quelle bistecche che vi soprenderanno, definita da più parti non convenzionale. Cosa si intende per non convenzionale? Se fermassimo la gente per strada, qui in Italia, e le chiedessimo se sa di cosa si tratta, ci ritroveremmo con facce smarrite e grossi punti interrogativi stampati in fronte. Questa è la dura verità: ancora per troppi italiani bistecca è sinonimo di fiorentina o al massimo di costata; molti non si fidano e guardano con scetticismo tutti coloro che osano allargare i propri orizzonti, tirando fuori nomi esotici come appunto Flat Iron Steak. Ma noi siamo qui per questo, per accompagnarvi in un vero e proprio viaggio alla scoperta di tagli di carne che non conoscete o che conoscete poco, con la certezza assoluta che alla fine di questo percorso vi dimenticherete o quasi della fiorentina. Attenzione, il nostro non vuole essere un attacco alla tradizione italiana, quanto piuttosto un modo per ampliare il vostro panorama gastronomico e culinario. Partiamo allora da un punto certo e sicuro: la Flat Iron Steak è una bistecca che sorprende per tenerezza ed esplosività di sapore. Infatti, una cosa che forse non sapete è che il muscolo infraspinatus dalla quale è ricavata è il secondo muscolo più tenero dell’intera carcassa dell’animale, subito dopo il filetto. La tenerezza è dovuta al fatto che un’ampia fascia di tessuto connettivo scorre attraverso il centro del muscolo. Questo fascia tendinea ha lo scopo di sostenere lo sforzo localizzato in questa area: in questo modo le due porzioni di muscolo che da essa vengono separate non sono sottoposte a grandi 14 - BBQ4All MAGAZINE
sforzi. Ecco spiegata la morbidezza. Il muscolo dalla quale è ricavata la Flat Iron Steak è conosciuto con diversi nomi: Top blade, Feather blade, Oyster Blade, oppure in italiano Copertina di spalla e Cappello del Prete. Ed ecco visi che si rischiarano: “ah ma sì, Cappello del Prete! Quello che uso per gli spezzatini! Ma no, se non lo fai cuocere tanto diventa duro e immangiabile!”. Infatti, in Italia il suo utilizzo canonico si limita alla prepara zione di brasati e di spezzatini, ovvero tutte cotture prolungate, in umido e a moderata temperatura, finalizzate allo scioglimento del tessuto connettivo. Tuttavia, vi assicuriamo che c’è un altro modo per rendere giustizia a questo taglio e per dargli la dignità che si merita: eliminando la vena di connettivo centrale, otteniamo due belle bistecche, le Flat Iron Steak, appunto, pronte per la griglia: una superiore ed una inferiore. Ma dobbiamo dirvi anche questo: proprio per la presenza della fascia di connettivo che lo attraversa, è uno dei tagli più difficili dal quale ottenere le bistecche. Gli enormi sforzi, però, saranno ripagati dalle tenerissime e succose Flat Iron. Vediamo come fare per ricavare le bistecche partendo dal Cappello del prete. Occorre avvisarvi subito di una cosa: partendo dal taglio appena staccato dalla spalla fino ad arrivare al risultato finale bello pulito, scarterete quasi il 50% della massa. Anche se chiamarlo scarto è comunque una parola grossa, perché può diventare il trito perfetto per un ragù strepitoso.
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Veniamo ora alla parte difficile: 1. Identificate il fascio connettivale centrale: noterete che il Cappello del prete tende ad assottigliarsi man mano che vi spostate lungo il pezzo. Il foglietto connettivale inizia nell’estremità ventrale più spessa del muscolo, quella più vicina, per intenderci, all’estremità articolare della scapola. Posizionate, quindi, il lato con il grasso di copertura verso il basso, e la parte ricoperta da una membrana argentea (silver skin) verso alto. Dall’estremità più spessa, entrate piano piano con il coltello, indivi duando il nostro tendinone. Rimanete piatti con il coltello, il più parallelamente possibile al foglietto connettivale, e seguitelo piano piano sollevando la parte di carne che a mano a mano libererete da questo legame amoroso tra ciccia e connettivo. 2. Seguite sempre il tessuto connettivo, lavorandolo ai fianchi: procedete lentamente verso la parte più sottile, sempre mantenendo la lama più piatta possibile; aiutatevi sollevando ed abbassando la porzione di muscolo libero, che terrete nella mano opposta al coltello, in modo da aiutarvi a scoprire il più possibile la membrana. Purtroppo questo foglio connettivale non è piattissimo e questo rende più complesso il seguirlo lungo il muscolo. Meglio ripeterlo un’altra volta, soprattutto per chi non è molto abituato a usare il coltello: procedete lentamente, facendo dei piccoli tagli esplorativi finché non l’avrete vinta voi. A questo punto, piano piano, riuscirete a dividere le due porzioni muscolari 3. Denude the two sides: una delle due porzioni di mu scolo che avete appena separato, quella mediale, avrà ancora la guaina ossea (quella membrana argentea), mentre l’altra, quella laterale, avrà tessuto connettivo da ambo i lati. Ovviamente, se volete ottenere un lavoro perfetto, dovete armarvi di pazienza e togliere tutto, con la lama ben affilata: mano sopra il pezzo di carne per tenerlo appiattito sul tavolo, infilate la lama tra la membrana e la ciccia e, inclinando leggermente la lama verso la membrana ma mantenendola parallela al tavolo, tagliate fino all’estremità opposta. Ripetete questa operazione sugli altri lati che necessitano della stessa attenzione. Rifilate le parti sottili squadrando il tutto. Se però siete pigri potete sempre decidere di gestire sul piatto la separazione del connettivo: una volta tolto il grasso superficiale al Cappello del Prete, porzionatelo in tante bistecchine tenendo la lama perpendicolare al tavolo. Avrete così la vena di connettivo centrale al centro di ogni fetta. La bistecca così ottenuta (Top blade Steak) sarà tenerissima lo stesso e voi potrete agilmente lasciare nel piatto il connettivo. Se non avete mai assaggiato la nostra selezione di Top blade Steak o Flat Iron cercate di accaparrarvene una appena appare sul Megastore, e poi diteci se non abbiamo ragione: vi mangerete pure il piatto.
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WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI
G I U S T O BICCHIERE PER IL VINO il
è così importante? Assolutamente si! Ecco perché
L’abito non fa il monaco però lo riveste. Per i bicchieri da vino è la stessa cosa: il giusto liquido nel bicchiere sbagliato può portare ad effetti nefasti. Ti concentri troppo sulla bottiglia giusta e trascuri il bicchiere? Male, molto male! Per fortuna non è grave, errore più comune del previsto anche tra i professionisti. Cerchiamo almeno di evitare gli errori più grossolani. Incrociando forme, dimensioni e prezzi, il campionario dei calici da vino è pressoché infinito ma individuare pochi concetti fondamentali sarà decisivo per fare la scelta giusta. Nel regno dell’edonismo ogni dettaglio è fondamentale.
Il bicchiere da vino è come un ve stito. Ogni outfit nasce per valorizzare alcune caratteristiche fisiche a discapito di altre e pochi possono permettersi qualsiasi abito. Le corporature imponenti avranno bisogno di leggerezza, i fisici scolpiti cercano aderenza, alle persone alte non servono tacchi mentre diventano un validissimo aiuto per le corporature più minute. Allo stesso modo, ogni vino ha un corredo di profumi e sapori differente. Immaginate un buon Prosecco (ne esistono eccome!) brioso e profumato, esile e poco alcolico, e poi un Barolo maturo, con dieci e più anni di storia sulle spalle, dai profumi sussurrati e infiniti che sono il preludio di un corpo impo-
nente, maestoso, elegante e com plesso. Stesso bicchiere? Naaaaa, vade retro Satana. La forma del bicchiere modifica il gusto del vino. È un dato di fatto ormai consolidato. Attenzione: non solo i profumi del vino, come viene spontaneo immaginare. A cambiare è anche il gusto tanto da dover parlare proprio di meccanica della lingua: zona di stimolazione primaria (il vino entra in punta, al centro o sul fondo?), inclinazione del sorso e velocità di ingresso del liquido portano a stimolazioni differenti come i risultati. La sensibilità nell’assaggio matura col tempo, non serve avere fretta. Il calice da degustazione ISO e il ballon sono (quasi sempre) il male. Peccato siano due delle forme di ca lice più diffuse e utilizzate. Il primo, addirittura, utilizzato per anni ai corsi da sommelier. Bicchiere “tecnico”, stretto e basso, particolarmente utile ad esaltare i difetti del vino quindi ottimo strumento di cantina ma pessimo per valorizzare bouquet e ampiezza del gusto. Come infilarsi una calzamaglia senza avere il fisico di Roberto Bolle: un disastro. Diverse le caratteristiche ma gene ralmente tremendo il risultato anche col ballon, a forma di grande sfera, rotondo e ampio. Trooooppo ampio per quasi tutti i vini, con inevitabile dispersione dei profumi, e con l’imboccatura così larga da inondare la lingua in tutte le direzioni con un inevitabile caos gustativo.
a sinistra, il calice da degustazione ISO a destra il baloon 18 - BBQ4All MAGAZINE
Calici giganti? Nella raccolta differenziata. Ho in mente due imma gini, due diversi ristoranti ambiziosi ma uno stesso errore. Puntare sulla forma appariscente a discapito della sostanza. Un qualsiasi vino, servito in bicchieri mastodontici, giganteschi, dalla capienza forse supe riore al litro, esce con le ossa rotte, stuprato, senza più una fisionomia riconoscibile, devastato da una chirurgia estetica invalidante. Bicchieri insomma da non comprare mai, non regalare, non utilizzare, non consi gliare, non toccare. Base, stelo, bevante. Sono le tre parti che compongono un calice e soprattutto le ultime due hanno un ruolo nella dinamica del sorso. Sottigliezza, elasticità ed ergonomia dello stelo determinano percezione del peso e “comodità” del bicchiere. La forma del bevante, ampio o stretto, angolato o sferico, ovaleggiante o svasato, impatta fortemente sulla percezione del vino in bocca e non secondaria è la tattilità determinata dallo spessore del vetro/cristallo. Un eterno dilemma: la flûte. Odiata dagli assaggiatori professionisti, amata dai festaioli per quel senso innato di joie de vivre, la flûte non mette tutti d’accordo. In virtù della forma allungata con imboccatura strettissima potrebbe castrare i profumi ma ricordiamoci che le bollicine di anidride carbonica, il perlage, hanno una funzione sostanziale nella diffusione delle molecole odo rose. Sul tema, gli studi del professor Gérard Liger-Belair, scienziato in forza all’Università di Reims (capitale morale della Champagne), tenderebbero a vedere benvolentieri l’utilizzo del più classico tra i bicchieri da festa, storicamente stretto e alto così da permettere ai camerieri di servirne in quantità con un unico vassoio. Nel dubbio, utilizzatela serenamente preferendo magari calici più ampi nel caso di bollicine davvero importanti.
ria della valenza originaria del vinoalimento, immancabile a tavola fino a qualche decennio fa. I tempi sono cambiati e le destinazioni d’uso anche, ma è impossibile dimenticare la celebre scena del film Sideways (consigliatissimo!), quella in cui il protagonista finisce per bere la sua bottiglia più pregiata, uno Château Cheval Blanc del 1961 (valore di mercato superiore ai 3.000 euro per bottiglia), in un bicchiere di plastica da fast food.
di temperatura e i vini rossi dopo un breve passaggio in frigo) potrà diventare impresa ardua anche solo riconoscere il colore del vino. Capitolo assai ampio e affascinante, ma questa è un’altra storia.
Esercizio: prendere uno stesso vino e versarne medesime quantità in calici differenti. Quantità e qualità dei profumi nonché percezione del liquido in bocca Il bicchiere nero. Ogni vino ha il potrebbero essere così differenti suo bicchiere d’elezione ma è imda rendere quasi irriconoscibile possibile averli tutti e sarà meglio iniziare con una forma universale il vino stesso. che possa andare più o meno bene per una pluralità di vini, dal frizzante leggero al bianco profumato al rosso importante. Se invece volete regalare e regalarvi una esperienza mistica, straniante, inconfessabilmente peccaminosa, alla forma universale aggiungete il colore nero ed avrete il perfetto strumento del delitto, capace di rimettere in discussione l’unica certezza che abbiamo di fronte ad un vino e cioè il colore: sì, perché nel bicchiere nero, giocando con le temperature (servendo cioè i vini bianchi con qualche grado in più
Consigli per gli acquisti. La linea Authentis della Spiegelau offre prodotti universali dal prezzo accessibile, resistenti e tecnicamente molto validi. La linea Veritas di Riedel è il massimo in termini di funzionalità, l’unica che nasce da studi specifici di abbinamento tra vitigno e forma del calice. Quanto ad estetica e leggerezza, i marchi di riferimento sono Zalto e Sophienwald: bicchieri aerei e delicati, dalla leggerezza sconcertante, più costosi della media ma molto validi e di sicuro fascino.
E il bicchiere da osteria? Caduto in disuso tra i professionisti per tutti gli evidenti limiti tecnici, sta tornando in auge come manifesto del vino quotidiano, bevuta spontanea, disimpegnata e senza troppe ambizioni organolettiche. Poco utile per godere davvero di un liquido, è al contempo un validissimo promemoGENNAIO 2019
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GHISA
GUIDA AGLI ACCESSORI - RUBRICA a cura di LUCA GALLOZZA
LA CINQUE ACCESSORI CHE
non ti possono m ancare
La ghisa. Ne sentiamo parlare sempre noi griller, quando si discute di accessori e strumenti per le cotture. Ma cos’è la ghisa? Lo sapete? Si tratta di una lega molto resistente di ferro e carbonio, ottenuta mediante fusione in altiforni in appositi stampi. È molto adatta alla produzione di accessori per il barbecue, soprattutto per la capacità di trattenere il calore a lungo e di resistere ad alte temperature. Ecco perché, fra gli innumerevoli accessori che un griller degno di questo nome deve avere, non possono assolutamente mancare quelli in ghisa.
01 COCOTTE Vuoi fare un Pepper stout beef affumicato con il tuo blend preferito ? Vuoi realizzare un ottimo Chili Beans o uno stufato da accompagnare con della polenta nelle fredde sere d’inverno? La soluzione per le tue cotture è la Cocotte Weber adatta a qualsiasi circostanza. Con un diametro da 33 cm e un’altezza di 21 cm, ti offre la comodità di poter cucinare grandi quantità di cibo e, tramite il coperchio, di mantenere il calore interno. Una qualità in più da non sottovalutare? Piace molto alle signore (e signorine).
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PIASTRA WEBER GOURMET Eccezionale, pratica e funzionale. La piastra Weber Gourmet in ghisa smaltata, con i suoi 30 cm, è adatta a tutte le griglie Gourmet dei dispositivi Weber, dall’Mt57 GBS a quelli a gas. I due pratici manici, permettono di afferrarla con sicurezza, la struttura garantisce una fantastica uniformità di cottura. Banale ricordare quanto sia insuperabile per cuocere le vostre bistecche, è l’ideale per un brunch a base di uova e bacon, per cuocere i vostri fantastici cookie o ancora per realizzare un crumble di frutta secca affumicata. Pensate di poter rinunciare a tutto questo ?
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GRIGLIA PER ROSOLATURA Cos’è che fa di un griller normale un vero maestro? Questa griglia. Grazie alla finitura a losanga, permette di ottenere un calore uniforme capace di realizzare quelle fantastiche grill marks che differenziano le normali bistecche da quelle fatte a regola d’arte, e anche belle da vedere. Adatta alle griglie gourmet, diventerà in poco tempo indispensabile per ogni cottura.
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GUANTI PREMIUM I guanti sono assolutamente indispensabili per ogni accessorio in ghisa. Questi sono fatti in aramide e silicone all’esterno, e cotone e poliestere all’interno: necessari per salvaguardare le vostre manine dalla ghisa rovente quando dovrete spostare velocemente gli accessori o rimuoverli dalla griglia. Sono pratici, confortevoli ed estremamente resistenti.
03 WOK Amate la cucina Giapponese? Le verdure saltate? I risotti con quel sapore affumicato unico? Le cotture a vapore? Beh, dovete sapere che grazie a questo accessorio potrete realizzare tutte queste cose e anche di più col vostro dispositivo a carbone o a gas. Scenografico, vi permette di stupire i vostri ospiti con veri e propri showcooking. Inoltre vi permette di sbizzarrirvi con la fantasia: dal ragù alla paella, dalle verdure saltate ai ravioli al vapore, avrete sempre una scusa per poterlo utilizzare. Vi avviso: vostra moglie se ne innamorerà e probabilmente ve lo ruberà. Compratene due.
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Ma adesso arriva la parte davvero interessante: Diventare Grill Master Store vi saprà sorprendere con un bonus speciale proprio sugli accessori in ghisa, riservato alla BBQ4All community. Cosa aspetti? Vai su:
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LO STO R E U F F I C I A L E D E L L A
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NICE TO MEAT YOU - INTERVISTE a cura di PAOLO TUCCI
INTERVISTA A
ONISHI SAN SELEZIONATORI DI WAGYU Per l’intervista di questo mese abbiamo preso un aereo destinazione Giappone per portarvi alla scoperta di Ginkakuji Onishi, storica macelleria di Kyoto specializzata in carni di altissima qualità. Il padre Raizo ed il giovane figlio Hideki, macellai da quattro generazioni, ci raccontano di come negli anni la famiglia Onishi si sia sempre più focalizzata nella selezione delle migliori wagyu del paese del Sol Levante. Insieme a loro ho avuto il piacere di visitare alcuni fra i migliori allevamenti della prefettura, apprendere alcuni dei segreti della macellazione del wagyu Miyabi, la selezione premium della prefettura di Kyoto, e poter cenare in un vero yakiniku giapponese, un ristorante specializzato nella cottura delle carni alla griglia. In questa intervista e nei prossimi numeri, vi sveleremo un boccone alla volta le tappe salienti del nostro tour culinario in Giappone. Itadakimasu!
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Nome? Raizo e Hideki Onishi. Professione? Macellai e selezionatori di wagyu a Kyoto. Come mai proprio Kyoto? H: Kyoto è stata per quasi un millennio la capitale del Giappone. Una città ricca di storia, arte e cultura, centro religioso del paese con i suoi oltre mille templi, ha ospitato per secoli il Tennō ( NdR “imperatore”) e la sua corte. Grazie alla presenza di una raffinata aristocrazia la nostra città è stata anche la capitale ga stronomica del Giappone per molto tempo, e quando dopo secoli di consuetudini alimentari vegeta riane il consumo di carne si è diffuso nuovamente nel paese gli abitanti di Kyoto sono stati fra i primi a fare richiesta di questa prelibatezza. Perché il vostro negozio si chiama Ginkakuji Onishi? R: In onore del tempio Ginkakuji o Padiglione d’Argento. È proprio lì di fronte che i miei antenati aprirono il nostro primo negozio. Un luogo a noi 26 - BBQ4All MAGAZINE
molto caro, dove ancora oggi trove rete mia moglie che lavora dietro alla cassa, pronta a consigliare il taglio di carne giusto o una ricetta particolare per una cena speciale.
liare e da allora la nostra macelleria si è trasformata in un’azienda con oltre 20 fra negozi, supermercati e ristoranti specializzati nella cottura delle carne, in Giappone e all’estero.
Da dove nasce la vostra passione per la carne? R: Fin da ragazzo ho sempre supportato i miei genitori nei nostri negozi, aiutando nel taglio della carne e in altri piccoli lavori. Compiuti i 25 anni, dopo la laurea in Economia all’università di Kyoto Sangyo, ho ini ziato ad accompagnare mio padre al mercato della carne wagyu di Kyoto, ed ho passato quasi una decade a selezionare e giudicare fino a 10.000 capi all’anno, privilegiando l’acquisto di carne di altissima qua lità. Fu in quegli anni che i capi di bestiame e gli allevatori di wagyu da noi selezionati iniziarono a vincere molti premi di rilevanza nazionale, trasformando Ginkakuji Onishi da piccola azienda di qualità dal profilo locale in una compagnia riconosciuta da tutti per la specializzazione in carni wagyu di qualità premium. A 35 anni mi fu affidata dai miei genitori la responsabilità dell’eredità fami
H: Dopo gli studi in Economia a 27 anni ho seguito le orme di mio padre e sono entrato in azienda. Date le mie esperienze precedenti in realtà con frequenti contatti con l’Occidente, ho imparato la lingua inglese ed in accordo con mio padre ho deciso di focalizzarmi sull’export della carne wagyu dei nostri allevamenti. È un compito che mi rende molto orgoglioso e mi consente di poter viaggiare per poter educare i nuovi clienti che si approcciano al mondo del vero wagyu premium giapponese. In che senso educare? H: Voi occidentali avete alcune credenze estremamente singolari riguardo al mondo del wagyu. Massaggi, alimentazione a base di super alcolici, musica classica, tutte cose che non appartengono alla cultura giapponese. E’ vero, prestiamo molte cure ai nostri animali e i nostri al-
levatori li coccolano come se fossero figli. Ma la vera sfida è saper sele zionare. Selezionare? Non esiste una sola razza chiamata Kobe? H: Assolutamente no. La parola Wagyu significa “manzo giapponese “che oggi viene allevato in tutto il Giappone. Kobe è solo un brand all’interno della categoria wagyu, e condivide con altre vacche wagyu la caratteristica di essere Kuroge, o razza nera giapponese, la radice comune della maggior parte delle wagyu premium. La ragione per la quale la carne wagyu viene accuratamente selezionata è che la qualità varia in base a 1) tecniche di allevamento di ogni agricoltore 2) am biente con totale assenza di stress 3) durata del periodo di allevamento 4) mangimi utilizzati e dieta personalizzata per ogni capo 5) toro da monta 6) il pedigree complessivo, le linee di sangue storiche ed altri dettagli tenuti riservati dagli allevatori. Negli anni siete riusciti a trovare una categoria di wagyu migliore
delle altre? H: Per fare sì che i nostri clienti siano sempre contenti del prodotto che offriamo, grazie al sapere accumulato attraverso le generazioni cerchiamo di scegliere l’animale migliore dall’allevatore migliore. Per questo amiamo lavorare con la selezione wagyu Miyabi di Kyoto, la massima qualità disponibile fra quelle della nostra prefettura. Di recente la nostra allevatrice di wagyu Miyabi di Kyoto ha vinto il premio come miglior selezione al Kinki Tokai Horukiku Rengo, concorso di rilevanza nazio nale che vede competere noi insieme ad altri brand famosi come Hida, Kobe, Omi, Matsuzaka, cosa che ci rende molto orgogliosi visto che è la carne che stiamo esportando proprio ora in Italia grazie al nostro partner Wagyu Company.
BBQ o forno? R: In Giappone in realtà privilegiamo altre tecniche di cottura. La mia preferita ad esempio è lo shabu shabu.
Quali sono stati i piatti tipici giapponesi con i quali siete cresciuti? R: Beh, a casa nostra si è sempre mangiata principalmente carne, in tutte le preparazioni possibili.
Vino o sake ? H: Nella nostra casa consumiamo entrambi. Durante un mio recente viaggio ho osservato che voi italiani bevete il vino a tavola ma anche da solo, senza accompagnarlo a cibi, mentre noi in Giappone principal
Taglio preferito di wagyu? R: Personalmente amo il gusto ben bilanciato del Ran’ichi, che voi ita liani identificate con il taglio Scamone. Sapore, gusto, profumo e consistenza si adattano a tante preparazioni diverse della cucina giapponese e internazionale. Un solo taglio che ha davvero tantissimi usi. H: Il Chuck Roll o Reale, specialmente la parte molto marezzata che noi chiamiamo “Haneshita”. I succhi grassi e carichi di aromi che rila scia durante la masticazione sono incredibili.
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mente beviamo il sake quasi esclusivamente in abbinamento ai pasti. Nell’ultima visita in Italia mi sono innamorato di un vino rosso che viene da una regione chiamata Valpolicella, delizioso. Carne italiana o wagyu? R: Una domanda molto difficile. Il fatto è che per noi la carne occidentale e la carne wagyu sono due categorie distinte e separate. Mangiando quasi esclusivamente wagyu durante l’infanzia e l’adolescenza il nostro gusto si è ormai abituato. Quando viaggiamo per lavoro dopo alcuni giorni passati ad esplorare le materie prime locali, sentiamo il bisogno di mangiare carne, che per noi è wagyu. Un consiglio ai nostri lettori su come cucinare al meglio la carne? H: Consiglierei di esplorare alcuni piatti tradizionali come il sukiyaki, yakiniku e shabushabu, senza dimenticare di assaggiare la carne wagyu semplicemente scottata. Le giuste salse di accompagnamento sono fondamentali per completare l’esperienza gustativa. Noi utilizziamo salsa di soia, wasabi, salsa 28 - BBQ4All MAGAZINE
sukiyaki, salsa yakiniku e salsa di sesamo. Ogni abbinamento crea un piatto e un punto di vista diverso, regalandoci ogni volta un’esperienza unica. Se volete dare un tocco in più, il caviale, ricci di mare e il tartufo si sposano benissimo con la carne wagyu appena scottata. E per un approccio più occidentale? H: A casa io e mia moglie amiamo mangiare i burger di carne wagyu Miyabi. Un po’ di salsa di soia, germogli croccanti, una punta di wasabi e il gioco è fatto. É molto divertente cucinarli e provare le diverse combinazioni possibili fra carne e toppings. BBQ4ALL: cosa ne pensate? H: Che stia facendo un lavoro estremamente utile che ci supporta e ci aiuta a lavorare meglio. Per fare sì che l’industria della carne rimanga sana, crediamo sia molto importante condividere e passare le informazioni corrette a professionisti ed appassionati. Per questo trascorro la maggior parte del mio tempo all’estero ad insegnare un estratto di quello che la mia famiglia ha impa
rato sul campo in tanti anni di lavoro. Spero di poter venire a insegnare da voi in futuro. Cosa vorresti dire ai nostri griller che iniziano a scoprire ora il mondo della wagyu? H: Essendo la wagyu giapponese un prodotto relativamente nuovo sul mercato italiano, chiunque la utilizzi è da considerarsi un vero e proprio pioniere culinario. Crediamo che sia un prodotto talmente particolare che potrà sviluppare nuovi approcci e nuovi piatti nei paesi che inizieranno ad usarlo. Speriamo di poter supportare tutti voi nel prossimo futuro ospitandovi qui a Kyoto presso la nostra macelleria, mostrandovi non solo alcune tecniche di allevamento, macellazione e cucina ma anche facendovi scoprire il mondo degli strumenti da taglio giapponesi.
どうもありがとう Dōmo arigatō Onishi san!
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SPECIALE
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IL BRISKET a cura di TOMMASO DI GREGORIO e SALVATORE DI MENTO
“Scusi mi darebbe un Brisket?” “No, guardi, i pomodori li trova in ortofrutta, il pane in forneria”. È questa la risposta che vi vorrebbe dare il macellaio quando andate a chiedere un Brisket. Magari per gentilezza non lo fa e cerca di interpretare la vostra richiesta, ma nel suo profondo pensa “Questo vuole fare una bruschetta con la carne?”. Diciamo subito una cosa: non è solo colpa del macellaio se voi non riuscite a trovare il Brisket. È bene chiarire che la macelleria in Italia (intesa come l’arte di sezionare e dividere l’animale) ha un’identità regionale fortemente radicata al territorio e che il taglio varia a seconda delle esigenze del mercato, delle consuetudini locali e dalla costituzione dell’animale. In Italia questa caratteristica è ancora più accentuata rispetto ad altri paesi e assume una connotazione ancora più forte. Basti pensare che uno stesso taglio di manzo cambia nome circa ogni 100 km lungo tutta la penisola. Ad esempio, lo scamone, che è un taglio di prima categoria, è conosciuto anche come “bicchiere” in Toscana, o come “cassa del belin” in Liguria, mentre in Sicilia viene chiamato “sottocaduta”. Districarsi dunque in questa miriade di nomi è già difficile per chi è del mestiere, figuramoci per gli avventori con richieste anglofone. Cerchiamo, dunque, di descrivere al me glio questo interessante taglio delle cultura barbecue americana per fare un po’ di chiarezza. Innanzitutto partiamo da una considerazione assolutamente necessaria: tutto quello che potete trovare nella porzione più bassa dell’anteriore è molto gustoso ma necessita di cure maniacali nella cottura. Il Brisket può essere burrosamente tenero o duro, duro, duro come una suola di uno stivale e per conoscere come trattarlo adeguatamente, anche per non rovinare il lavoro del vostro dentista, sarà bene che leggiate attentamente questo speciale
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IL BRISKET a cura di TOMMASO DI GREGORIO e SALVATORE DI MENTO
Il Brisket è anatomicamente corrispondente al petto, il cui gruppo muscolare è composto da: sterno-omerale, sterno-aponeurotico, sterno-trochiniano, intercostali. Stiamo parlando di muscoli potentissimi, che devono sorreggere il peso della testa dell’animale e l’inerzia del corpo ogni qual volta il nostro bovino si alza. Dovete sapere che, alzandosi, i bovini sollevano prima da terra il treno posteriore, gravando così completamente sugli arti anteriori, quindi sui pettorali. Inoltre, ad ogni abbassamento del capo per brucare erba, questi muscoli vengono sollecitati. Sicuramente è vero che un muscolo che lavora tanto ha anche tanto gusto, ma è altrettanto vero che tanto lavoro vuol dire fibre molto tenaci. Per questo motivo abbiamo bisogno delle tecniche di cottura molto particolari che sappiano trasformare tutto questo connettivo in burrosa gelatina Entrando ancora più nel dettaglio, possiamo dire che il Brisket è un taglio unico costituito da due muscoli: il pettorale profondo ed il pettorale superficiale. Il pettorale profondo è posizionato più internamente (medialmente) ed è conosciuto anche come flat. Il pettorale superficiale, o meglio noto come point, è posizionato esternamente (lateralmente) e normalmente è molto più infiltrato di grasso rispetto al flat. Lo vedremo dopo, ma questi due muscoli possono essere facilmente separati lungo il setto naturale che li divide. Il fat cap è il lato del petto ricoperto da uno strato di grasso ed è anche oggetto di molte discussioni fra i patiti del barbecue: lasciarlo per la cottura? Non lasciarlo? A Lo Cascio l’ardua sentenza. 34 - BBQ4All MAGAZINE
Una delle cose importanti che bisogna sottolineare è che questi due muscoli hanno l’uno con l’altro le fibre incrociate, cosa di cui dobbiamo ricordarci, soprattutto quando andremo a tagliare il nostro bel pezzo di carne affumicata. Cominciamo adesso a scomporre il nostro bovino: siamo dunque nella porzione anteriore. In Italia l’anteriore viene reciso con un taglio parallelo alle coste, più precisamente tra la quinta e sesta costa. A questo punto, si sega in due: da una parte troveremo collo e reale, dall’altra il nostro Brisket e l’arto anteriore. Ricordiamoci che l’arto anteriore in un bovino non è come negli uomini. La cintura toracica è data dalla sola scapola (per intenderci, semplificando, manca la clavicola). Sarà dunque molto semplice separare la spalla dal resto. Tolta la spalla e separato il reale dal Brisket, non ci resterà che disossarlo, iniziando seguendo con precisione la giunzione che unisce le coste allo sterno. Qui ci vuole un po’ di attenzione: bisogna appoggiarsi sempre sulle ossa se non si vuol rischiare di procurare delle incisioni profonde al brisket, che rovinerebbero poi la presentazione finale. Tolta via la parte ossea, il gioco è fatto: non resta che rifinirlo togliendo eventuali eccessi di grasso. Volendo, si può continuare l’operazione di trimming separando il pettorale profondo dal pettorale superficiale, infilando delicatamente il coltello nel naturale setto che esiste tra i due, solitamente riempito completamente di grasso. Avremo quindi separato flat e point. Chi legge questo articolo a questo punto dirà: “bene, ora
che so tutto vado al supermercato sotto casa, faccio la mia orazione e finalmente porterò a casa il mio brisket”. Ci spiace deludervi ma dobbiamo dirvelo: sapere individuare il brisket è solo il primo scoglio che affronterete.
to e senza un filo di grasso. Appunto: marezzatura completamente assente. E quindi, avete fatto tutta questa fatica per poi ritrovarvi con un pezzo di carne non adatto a quello che dovete fare?
In un supermercato è praticamente impossibile che troviate il Brisket o qual si voglia taglio che non rientri nei confini della tradizione culinaria italiana. La GDO sta abbandonando la lavorazione delle mezzene in punto vendita, svolgendo la trasformazione dei capi in centri unificati che si occupano di sezionamento, conserva zione e distribuzione. Abbandonata quindi la strada della Grande Distribuzione non ci resta che avventurarci per i vicoli del paesello e riscoprire i luoghi della memoria, alla ricerca di una macelleria che lavori ancora le mezzene come si faceva una volta. Trovato dunque il macellaio disposto a parlare, è il momento di trattare. Esatto, trattare! Perché non sarà assolutamente facile convincerlo a deturpare la sua mezzena per vendervi un Brisket. Con molta probabilità il macellaio vi venderà anche tutti i ritagli anomali prodotti per sezionare il pezzo a vostro piacimento. Tanta fatica tra giorni di studio, chilometri spesi a vagare per le vie di paesini sperduti, litigi con macellai poco cordiali, ma eccolo, finalmente: il vostro Brisket.
Purtroppo sì, e per due motivi:
Siete sicuri? Delusione parte seconda: quello che avete di fronte non è un Brisket, ma la sua versione italica ; bello, abbronza-
1. le caratteristiche proprie delle razze italiane; 2. le richieste dei consumatori. Anche se nel Bel Paese sussiste una moltitudine interes sante di razze bovine, nessuna di queste ha una spiccata attitudine alla trasformazione. La maggior parte è predisposta alla produzione di latte (reggiana, brunalpina, frisona), mentre le altre sono per lo più ad attitudine mista (carne, latte, lavoro). La richiesta del consumatore è lo scoglio più grande. In Italia siamo abituati a consumare carni molto magre (e molto dure) rispetto ai consumatori USA. Per questa ragione il mercato si è evoluto nella direzione opposta rispetto a quello d’oltreoceano, dove la marezzatura della carne è una caratteristica molto ricercata dal cliente. L’insieme di questi due fattori ha fatto sì che il mercato obbligasse i produttori a evolversi in questa direzione, portando sulle tavole degli italiani carni estremamente magre. Detto questo, per tornare al nostro Brisket, se volete cucinarne uno degno di questo nome, adesso sapete che caratteristiche specifiche deve avere. Non vi rimane che rivolgervi a chi vende il prodotto giusto, ad esempio il nostro Megastore, non potete sbagliare. GENNAIO 2019
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SPECIALE BRISKET - IL METODO a cura di EMILIANO NENCIONI
Come preparare il
BRISKET D E F I N I T I VO
Alla fine, il momento in cui ti senti pronto per il grande salto è arrivato: nel corso della tua carriera da griller hai affrontato pezzi di carne abbastanza grandi, hai acquisito padronanza nelle cotture low&slow, hai affinato il tuo palato e il tuo senso critico, e l’idea di stabilizzare il kettle o lo smoker non ti sembra più un’oscura pratica alchemica riservata a pochi iniziati. Sei diventato grande. Hai superato la fase del “tanto è buono lo stesso” e quella de “l’importante è che a tavola tutti abbiano gradito”, ora senti il bisogno di fare qualcosa di eccellente. La sfida, l’inseguimento della perfezione, fa parte del tuo processo di crescita, e da tempo ti stai allenando per raggiungere la tua Moby Dick, la tua pietra filosofale, la tua Mustang Eleanor: un brisket eccezionale, irripetibile, il brisket della vita. Probabilmente hai già in testa il post che farai su tutti i social di tua cono scenza per presentarlo al mondo, immaginando già ogni sfumatura di 36 - BBQ4All MAGAZINE
gusto e quella consistenza perfetta, succosa, cedevole. Il brisket definitivo, stanne certo, è possibile: non è una chimera, non è una fantasia o un mito tramandato oralmente; è, soprattutto, ripetibile. Immagina le conseguenze: il brisket irripetibile ripetuto ogni volta che senti ne valga la pena. La fetta inarrivabile alla quale arrivare ogni volta. Il risultato eccezionale che diventa consuetudine, perché ormai hai fatto tuo il metodo: non ci sono più incertezze o pareri discordanti da seguire, le procedure sono standar dizzate, e non si parla più di tenta-
tivi ma di reiterazioni. Ma ti ho tenuto sulle spine fin troppo, passiamo al da farsi. Cosa ti serve? Quello che ho utilizzato io: un brisket di wagyu del nostro Megastore, un litro di brodo di manzo e 250 g di rub Oakridge BBQ Black Ops Brisket rub Preparati con un po’ d’anticipo il brodo di manzo: nell’editoriale, Gianfranco Lo Cascio ti ha spiegato a cosa serve e come farlo. Adesso sta a te decidere quanto tempo e energie investire, perché puoi farti
in pochi minuti un brodo (sempre di manzo!) partendo da una base granulare, oppure puoi farti un brodo triplo, con tutti i crismi, partendo da un pezzo di manzo vero. Dopo esserti preparato un litro circa di brodo di manzo, che avrai accu ratamente filtrato per eliminare i corpuscoli che ti intaserebbero l’ago della siringa, non è una cattiva idea ritoccare la sapidità con un po’ di salsa di soia, visto che l’umami in questi casi non fa mai male. Il brodo dovrà essere robusto, sapido, carico, non un’acquetta da ospedale.
Il mio consiglio è quello di procedere al trimming del fat cap fino a ridurlo a 3-4 millimetri, 5 se proprio vogliamo stare larghi. Ripeto: mi riferisco al grasso sopra il flat. Quello sottostante, quello eventuale sopra il point e quello veramente in eccesso tra flat e point, direi di toglierlo. Occhio: la vena di grasso fra flat e point puoi ridurla un po’, ma ricordati che, scava scava, va a finire che separi del tutto le due fasce muscolari, e non è quello che vogliamo fare in questo momento.
A questo punto, appoggia il tuo brisket su un bel tagliere ampio, affila il tuo coltello preferito e prendi un respirone: stai per preparare il tuo capolavoro.
Rifila, senza crucciarti troppo, eventuali lembi di carne sottili, irregolari, ai bordi del brisket. In cottura comunque si seccherebbero, brucerebbero, e ti ritroveresti con delle fette dai contorni poco gradevoli. Lo so che si paga questa carne, ma sai che ti dico? Mica la butti via! Con le trimmature ci fai i baked beans. Oppure fai un macinato e via di hamburger (gli hamburger di brisket di wagyu sono una cosa lussuriosa, si parla dell’edonismo più sfrenato in questi casi).
Guarda bene la carne, individua point e flat (ormai sai cosa sono) prendi nota dell’andamento delle fibre muscolari, chiarisciti perfettamente l’andamento della vena di grasso fra i due fasci: hai, ci scommetto, un fat cap (cioè quello strato compatto e spesso di grasso che ricopre praticamente tutto il flat fino all’inserimento nel point) molto massiccio, e devi decidere come affrontare la questione. Questo è il primo bivio che troverai, e ti è chiesta una scelta ponderata: come ormai sai, uno strato di grasso così spesso impedisce o comunque contrasta la formazione dello smoke ring (quell’anello rosa ai bordi che tanto ti piace); sciogliendosi, inoltre, potrebbe “lavarti via” un po’ di rub. Per contraltare, sai benissimo che il grasso può donare un sacco di sapore e che una riserva di umidità e di gusto posta sopra al flat, che tende sempre a diventare secco e asciuttino, può essere una salvezza.
A questo punto dovresti trovarti un brisket ben trimmato, con un fat cap regolare abbastanza sottile e con i bordi ben definiti. Controlla di nuovo l’andamento delle fibre e cerca di non dimenticarlo.
Impugna la tua siringa da injection preferita e con tanta pazienza inietta il brodo di manzo nel brisket, immaginando una griglia di 30x30mm sulla carne, giusto per avere un’idea di dove praticare la punturina. Point, flat, sopra, sotto: cerca di fargli prendere più liquido possibile. Avrai fatto caso che non ho parlato di pozioni da necromante e esaltatori di sapidità esasperati: è una scelta precisa, dovuta principalmente al fatto che questo brisket ve lo mangerete tutto, non un morso a testa, e che il brisket di wagyu ha già un sapore definito e appagante che non merita di essere influenzato o modificato da una chimica esterna. A questo punto, manca solo il rub. Dovresti avere il brisket completamente umido a causa delle injection (figurati se non ti sei schizzato un po’ di brodo addosso!) e questo dovrebbe essere sufficiente a far aderire il rub. Se così non fosse, ungi la carne con un pochino d’olio: un goccio, non un bagno. Io ho scelto un rub commerciale per una ragione molto semplice: è buonissimo, è molto bilanciato in tutti i suoi aspetti e ha un odore fantastico. Avrei potuto fare l’ennesimo sale-pepe-aglio, ma il patto all’inizio
Pensaci bene: stai partecipando a una competizione? Devi conquistare alla vista e al primo morso? No, qui stiamo parlando di un brisket di un certo costo, che dovrà essere man giato tutto, mica solo un morsettino. Quindi ti consiglio di non pensare troppo a uno smoke ring impeccabile, definito e simmetrico: il gusto non cambia, è tutta scena; lo so che ti piace vederlo e che vuoi bullarti con le foto, ma stai sicuro che ricaverai un anello colorato più che dignitoso. GENNAIO 2019
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dell’articolo era di farti cuocere una cosa fantastica. Liberissimo comunque di usare il rub che ti piace di più: a me piace il Black Ops. Spargi il rub sul brisket in maniera da coprire tutto senza fare le sabbiature al manzo. Un velo leggero è quello che serve. Sopra e sotto, sui lati, sotto la piega del point, non lasciare nulla. Quando sei pronto per andare in cottura sii ben certo di aver settato il tuo smoker a 140-150°C in camera di cottura. È un po’ più alto del solito, ma andrà bene, dai retta a me: favorirà la formazione del bark e ti permetterà di velocizzare la cottura. Faremo, in futuro, un ampio discorso su questo argomento. Parlo di smoker perché, sebbene tu possa farlo anche nel kettle, spesso il brisket è decisamente grande e potresti avere dei grattacapi nell’impostare una cottura indiretta: peggio, potresti avere mezzo brisket adagiato nella zona della cottura diretta. Per i kettle da 47 cm di diametro non ne parliamo neppure. Consiglio un termometro a tre sonde: una sonda in ca mera di cottura, una infilata nel flat e una nel point. Prendi i chunk di legno aromatico e inizia ad affumicare; un grande classico è l’hickory, ma anche melo e ciliegio faranno un lavoro egregio: scegliere di non affumicare, invece, è un errore imperdonabile. Ti ricordo, per l’ennesima volta: per affumicare con grande gusto è necessario che il legno aromatico bruci di combustione incompleta. Lanciare un chunk in un rogo da sabba infernale ti procurerà solo un sentore amaro. Basta, chiudi il coperchio e vai a fare altro. Il dispositivo è stabilizzato e ci vorrà un bel po’ di tempo. È stabilizzato perché sei bravo, hai fatto i corsi, hai seguito la mail class e hai piena padronanza del dispositivo, ma se ti stai chiedendo cosa fare del waterpan ti dico cosa ho deciso di farne io. Di umidità in camera di cottura, con tutta quella carne, ce ne sarà già a sufficienza; invece di mettere acqua, ci ho versato un chilo di sale. Crepi l’avarizia. Il sale fa da volano termico (stabilizza le oscillazioni di temperatura) e, senza aggiungere umidità, assorbe i succhi e i grassi della carne che altrimenti, gocciolando su un caldissimo waterpan asciutto e vuoto, produrrebbero un sacco di fumo e sporcizia incrostata. Dopo un’oretta e mezzo potrebbe essere una buona idea aprire il coperchio e versare il più velocemente possibile un altro velo di rub sul brisket (anche nella parte di sotto), magari facendo gocciolare via eventuali “pozze” di grasso che si possono essere create. Questa operazione contribuirà a fornirti un bark corposo e croccantino. Il bark sarà l’indicatore per la prossima operazione delicata da fare: il foil. Io, in questo caso, ti consiglio di usare l’alluminio. Troverai chi ti consiglierà di usare la butcher paper (una carta parzialmente permeabile), chi ti dirà che il foil lessa il brisket, chi come al solito troverà una correlazione ben
precisa fra il foil e la scarsa virilità di chi lo preferisce. Continuano ad essere scelte tue, ma ecco cosa ti consiglio io: non appena il bark sarà completamente formato, quindi consistente, asciutto, non più farinoso e granuloso, togli il brisket dal dispositivo e adagialo su una leccarda di alluminio grande abbastanza da contenerlo. Rivesti il tutto con un paio di strati di foglio di alluminio, il più largo e spesso che riesci a trovare, in modo che non ci siano troppe vie di fuga per l’aria. Infila di nuovo le sonda, chiudendo attorno l’alluminio e senza indugio metti di nuovo il brisket in cottura. Attendi i 96 gradi. La sonda del flat può verosimilmente darti una lettura diversa da quella del point, quindi fai attenzione a non andare over (sovracottura) e piuttosto fermati un attimo prima. Calma, non è ancora finita. Prendi il tuo brisket, facendo molta attenzione perché la leccarda si sarà riempita di saporitissimi (e preziosi!) sughetti che non devi assolutamente rovesciare. Aiutati con un tagliere, perché la leccarda scotta, il brisket pesa, tu sei stanco, impaziente, hai fretta, non ti sei messo i guanti termici. Apri il foil, fai uscire il vapore e poi richiudilo. Nascondi il pregiato brisket in un isobox, o in un forno tiepido, e dimenticalo chiuso nella sua accogliente spelonca per almeno un paio di orette, se non tre. Al momento di servire, tira fuori il brisket con sapienti gesti pieni di teatralità, sguaina un coltello abbastanza lungo e inizia a tagliare perpendicolarmente alle fibre il flat: fai attenzione al bark, dovrebbe essere piuttosto rigido e croccante e con un coltello poco affilato potresti “strapparlo” durante il taglio, vanificando tutti gli sforzi per avere il miglior bark possibile. Ma sicuramente tu hai la scimitarra BBQ4All, no? Fai fette spesse circa 8mm. Deponi con ordine e attenzione le fette risultanti in una leccarda contenente i succhi di cottura (che puoi leggermente riscaldare), e quando sarai arrivato alla fine del flat inizia a tagliare il point, anche stavolta controfibra. Adesso che hai point e flat a bagno da diversi minuti nel succo di brisket caldo, puoi servire le fette ai fortunati invitati. Può essere utile una breve introduzione per presentare la carne ai presenti (non vorresti mai che ti chiedessero “mi ci metti una sottiletta?” o “me lo puoi servire con la panna?”), anche per metterli un po’ in soggezione e farli sentire in colpa per il costo della materia prima, e sei arrivato. Probabilmente è il miglior brisket che tu abbia mai assaggiato, il migliore mai fatto fino ad ora. Per me è stato così, non vedo perché tu non debba avere lo stesso risultato. A parità di materia prima e di precisione nell’esecuzione, s’intende.
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SPECIALE BRISKET - CONTORNO 01 - di EMILIANO NENCIONI
a Beethoven e Sinatra preferisco
L ’ I N S A L ATA La citazione è di Battiato e cade a pennello. Finalmente il momento è arrivato: dopo aver passato tutte quelle ore preparando il brisket e pregustandoti il suo sapore, puoi finalmente portarlo in tavola e servirlo ai tuoi impazienti ospiti. Già, ma cosa servire come contorno? Cosa può esaltare il sapore di quella ciccia buonissima e dal sapore esplosivo, senza sminuirla né, al contrario, sovrastarla? La risposta è facile: un’insalata. Fre sca e saporita, sgrasserà l’untuosità del brisket. Allo stesso tempo, ricercata e raffinata, sarà la degna compagna di cotanto sapore. Ecco la nostra proposta: insalata di cetrioli, feta e cipolle caramellate.
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Procedimento: 1. In una padella scalda l’olio. 2. Taglia le cipolle e falle soffriggere. 3. Aggiungi il sale, in modo da far fuoriuscire l’acqua contenuta nelle cipolle e darle la possibilità di eva porare. 4. Quando l’acqua sarà completamente evaporata, aggiungi l’aceto e lo zucchero. 5. Lascia cuocere a fiamma vivace così da far sfumare l’aceto e caramellare leggermente lo zucchero. 6. Aggiungi l’uvetta, aggiusta di sale e pepe e termina la cottura. 7. Taglia a cubetti la feta e affetta sottilmente i cetrioli. 8. Condisci i cetrioli e la feta con un pizzico di sale, un filo d’olio e mescola delicatamente. 9. Aggiungi all’insalata le cipolle caramellate e qualche fogliolina di basilico e di nuovo dai una leggera mescolata, facendo molta attenzione. 10. Servi con una macinata di pepe nero.
I N G RED I EN TI P E R 6 P E R S ON E PER LE CIPOLLE CARAMELLATE 1 kg cipolle rosse Sale q.b Pepe q.b 1/2 bicchiere di aceto di mele 3 cucchiai zucchero di canna grezzo • Olio extravergine di oliva q.b • 300 g uvetta sultanina • • • • •
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PER L’INSALATA DI CETRIOLI E FETA 500 g di cetrioli 200 g di feta a cubetti 200 g di cipolle caramellate basilico q.b. Sale Olio extravergine di oliva q.b. pepe nero macinato fresco
SPECIALE BRISKET - CONTORNO 02 - di MARIANGELA IBBA
anche gli angeli mangiano
BA K E D B E A N S IL CONTORNO PERFETTO I Baked Beans sono una delle tante pietanze che compongono la tipica e ricca colazione inglese: un piatto rustico, ma sicuramente godurioso e sostanzioso. Ormai diventati famosissimi, si trovano perfino già pronti nei barattoli di latta: basta solo scaldarli e il gioco è fatto. Li avrai visti sicuramente anche tu in qualche reparto dedicato ai prodotti internazionali del supermercato. In Italia, nell’immaginario dei trentenni e dei quarantenni di oggi, i Baked Beans sono spesso associati ai fagioli che Trinità e Bambino mangiavano col mestolo di legno direttamente nella padella, durante le pause tra un cazzotto e l’altro. Alzi la mano chi non ha mai guardato quelle scene con l’acquolina in bocca. In effetti, i Baked Beans sono veramente strepitosi, sia mangiati come piatto unico, sia come contorno per ribs, pulled pork, brisket: non solo si sposano alla perfezione coi sapori
della carne cotta e affumicata per molte ore, ma ti permettono anche di non sprecare le trimmature delle varie preparazioni. Bene, preparati perché ora ti dico come utilizzare le trimmature del brisket per dare una marcia in più ai tuoi Baked Beans. Procedimento: 1. Metti a mollo i fagioli in acqua per una notte, separati per tipo. 2. Bolli i fagioli in abbondante acqua, con mezzo cucchiaio di sale. 3. Non stracuocere i fagioli ma la sciali al dente e conserva un po’ della loro acqua di cottura. 4. Stabilizza il dispositivo per una cottura diretta. 5. Versa una mezza ciminiera di bricchetti Weber accesi al centro della griglia carbone del dispositivo. 6. Togli la parte centrale della griglia gourmet e metti al suo posto la cocotte in ghisa Weber; fai atten zione: i bricchetti non devono toc-
care la cocotte. 7. Quando la cocotte è ben calda, fai sfrigolare i cubetti di pancetta affumicata, fino a quando non sono belli dorati e croccanti. 8. Togli i cubetti di pancetta dalla cocotte e mettili da parte. 9. Versa l’olio extravergine d’oliva nella cocotte e soffriggi la cipolla, la carota e il sedano, che avrai tritato finemente. 10. Quando il soffritto è imbiondito, aggiungi le trimmature del brisket e una presa di sale; mescola bene e lascia insaporire la carne per qualche minuto. 11. Aggiungi la salsa barbecue, il concentrato di pomodoro e la paprika dolce; mescola bene e lascialo andare così per circa un’ora. 12. Passati i 60 minuti, aggiungi i fagioli con un po’ della loro acqua di cottura e lascia andare un’altra ora circa a coperchio chiuso, aggiungendo l’acqua dei fagioli al bisogno. 13. Passate le due ore, aggiungi l’aceto di mele e lo zucchero e continua la cottura a coperchio aperto 14. Quando i Baked Beans sono quasi pronti, aggiungi la pancetta che avevi sfrigolato in precedenza e poi aggiusta eventualmente di sale. Ti consiglio di servire i Baked Beans con delle fette di pane grigliato. E tanta birra.
IN GREDIENTI PE R 4 PERSO N E • • • • • • • • • • • • • • • •
mezza cipolla un gambo di sedano una carota 100 g di pancetta affumicata a dadini 200 g di trimmature di brisket 2 cucchiai di concentrato di pomodoro 250 g di salsa barbecue 2 cucchiai di paprika dolce 100 g di fagioli borlotti 100 g di fagioli cannellini 100 g di fagioli neri 100 g di fagioli rossi 100 g di aceto di mele 4 cucchiai di zucchero di canna olio extravergine d’oliva q.b. sale q.b.
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SPECIALE BRISKET - ALTRI UTILIZZI - ricetta di MICHELA BONGIORNI
I L R E D E I PA N I N I
Si fa presto a dire: ti faccio un panino. Certamente sotto questa parola è compresa una miriade di varianti, profumi e sapori. Nonostante sembri facile assemblare gli ingredienti e infilarli dentro due fette di pane, vi assicuro che non è così banale. L’accostamento dei sapori, il perfetto bilanciamento tra la parte grassa, quella acida e quella sapida, la scelta del pane e la presentazione fanno la differenza. Mettere insieme dei sapori a caso, aprire il frigo e svuotarlo possono essere soluzioni di emergenza che sfamano, ma la cosa è ben diversa quando si decide di studiare a fondo un panino che sia veramente buono da mangiare, non banale nella scelta degli ingredienti e bello da vedersi. Perché alla fine, come si dice, anche l’occhio vuole la sua parte: se un panino si presenterà bene, inevitabilmente sarà percepito come buono dai commensali anche prima del morso. E se poi al morso il panino sarà veramente buono, i commensali lo troveranno strepitoso. Inarrivabile. Oltremodo godurioso. Ed è questo il nostro obiettivo, no? Nel nostro caso, l’ingrediente princi-
pale è il brisket. Attorno a lui è stato letteralmente costruito un panino che vi farà fare il triplo salto mortale sulla sedia. Procedimento 1. Svuotate il panino, togliendo un po’ della mollica, e farcitelo con una base di rucola. 2. Aggiungete le fette di bri sket taglia te non troppo spesse, ma neanche troppo sottili: poco meno di un centimetro di spessore. 3. Preparate la salsa Tiger mesco lando insieme due cucchiai di maionese, uno di senape e mezzo di rafano. 4. Preparate le cipolle caramellate affettando una cipolla rossa sottilmente e caramellandola in un pentolino con un cucchiaio d’olio, un cucchiaino di miele, uno di zucchero di canna e mezzo bicchiere di vino rosso: sono pronte quando sono appassite e ritirate bene. 5. Finite di assemblare il panino condendolo con la salsa tiger e infine con le cipolle caramellate. Un’ultima considerazione sul pane: essendo il brisket una preparazione
bella succosa, unta e bisunta, scordatevi un panino morbido che si sfaccia al primo morso. Qui ci vuo le qualcosa che regga bene i succhi, che inevitabilmente usciranno dalle vostre fette di brisket. Noi abbiamo scelto un panino alle patate, ma voi potete sbizzarrirvi con le idee, preparandovelo anche in casa. L’importante è che abbia un bella crosta croccante e una mollica abbastanza compatta, senza però che si faccia fatica a morderlo. Buon panino a tutti.
I N G RED I EN TI P E R U N PA N IN O PER LA SALSA TIGER: •due cucchiai di maionese •un cucchiaio di senape •mezzo cucchiaio di rafano PER LE CIPOLLE CARAMELLATE: •una cipolla rossa •un cucchiaino di olio extravergine d’oliva •un cucchiaino di miele •un cucchiaino di zucchero •mezzo bicchiere di vino rosso PER ASSEMBLARE IL PANINO: • un panino alle patate • rucola q.b. • due fette di brisket alte circa un centimetro • un cucchiaio di salsa Tiger • cipolle caramellate q.b.
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SPECIALE BRISKET - ALTRI UTILIZZI - ricetta di LUCA GALLOZZA
la vuoi una
CARAMELLA? Un cocktail, un antipasto finger food e, in sottofondo, la musica country di Chris Stapleton che riscalda l’atmosfera: così prende il via la serata, in piena convivialità. Per questo voglio proporvi qualcosa di sfizioso, che si presta a pregustare il piatto forte della vostra cena: il brisket. Utilizzando un po’ di quel brisket che avete preparato con tanto amore e tanta pazienza, non solo potrete presentare un antipasto decisamente sorprendente, ma i vostri ospiti avranno anche una piccola anticipazione di ciò che troveranno nel loro piatto più avanti. L’antipasto, che precede il pasto vero e proprio come si intuisce dal nome, è tendenzialmente proposto per stuzzicare l’appetito. Spesso è sostituito con l’entrée, ed è formato da piccoli stuzzichini a base di carne, pesce o verdure serviti sotto forma di finger food o anche in stile gourmet, ma sempre di piccole porzioni. Seppur ricercato negli accostamenti di sapori, solitamente è da ritenersi poco impegnativo e di facile preparazione.
Ecco perché ho puntato sulla semplicità. Tre soli ingredienti. Ma vi garantisco un’esperienza superlativa. Pasta brisée, brisket e formaggio. Tutto qui. Li metti uno dentro l’altro, in versione matrioska, ed ecco il tuo antipastino sfizioso. Procedimento: 1. Iniziate col tritare al coltello le rimanenze del brisket al quale aggiungerete un po’ di salsa barbecue, per amalgamare il tutto. 2. Prendete il formaggio e create dei cubetti da 1x1 cm 3. Stendete la pasta brisée e realizzate dei quadrati da 8x8 cm. 4. Con un po’ di brisket, realizzate delle polpettine di circa 3cm di diametro, nelle quali inserirete al centro, un cubetto di formaggio. 5. Adagiate la sfera di brisket al centro di ogni rettangolo e avvolgete, torcendo le estremità, a mo’ di caramella. 6. Sbattete il tuorlo d’uovo, spennellate le caramelle e poi sopra di esse cospargete le spezie e i semi di vostro gusto, per renderle visivamente più appetibili e colorate. 7. Settate il kettle per una cottura
I N G REDI EN TI P E R 12 CA RAM E LLE • Una sfoglia di pasta Brisée rettangolare • 200 g di Brisket • 100 g di Formaggio Chimay a la Rouge • Salsa barbecue classica q.b. • un Tuorlo d’uovo • Semi e spezie a piacere (ad es. semi di sesamo, caffè, papavero, paprika)
indiretta e stabilizzatelo a 180°C. 8. Appoggiate le caramelle su una teglia che possa andare dentro al kettle, foderata di carta forno, e ponetela in cottura indiretta, per 30 minuti, fino a completa doratura della pasta. Ora potete servire le vostre caramelle brisée ripiene di brisket, stuzzicando l’aspettativa dei vostri ospiti. Sarà un successo assicurato e la cena non potrà che proseguire coi fuochi d’artificio. GENNAIO 2019 - 45
I N GREDIEN T I PER 4 PERSO N E PER IL RAGÙ • 500 gr di brisket • mezza cipolla • 1 spicchio d’aglio • un gambo di sedano • una carota • un cucchiaio di concentrato di pomodoro • un bicchiere di brodo (manzo, o vegetale) • olio extravergine di oliva q.b. • sale q.b.
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SPECIALE BRISKET - ALTRI UTILIZZI - ricetta di MARIANGELA IBBA
avanzi? nessun problema!
QUANDO IL DIVIENE Quando prepari il brisket per amici e parenti, per te è sempre una grande sfida fatta di: trimmature, injection, rub, overnight, ansia da prestazione, rest. Insomma, è una gran bella fatica. Per questo motivo, quando il brisket avanza, la tua più grande paura è che possa andare sprecato. Fra le varie opzioni di recupero che possono venirti in mente, e che leggerai su questo numero, avevi mai pensato al ragù? Quando diciamo ragù, la prima cosa a cui tutti pensano è la versione alla bolognese, ovvero con carne di manzo macinata (e in alcune versioni anche di maiale), a base di pomodoro. In realtà ogni regione ha la sua versione: famosissimi sia quello napoletano, che prevede l’uso di carne in pezzetti e non macinata, che quello toscano, con l’aggiunta di fegatini di pollo e il concetrato di pomodoro al posto della passata. Quindi, se ognuno ha il suo ragù, noi abbiamo il nostro, da veri griller incalliti. Ti assicuro, il connubio tra la regina della cucina italiana, la pasta, e il re del barbecue, il brisket, è perfetto. Dopo aver assaggiato questo ragù dal gusto robusto, corposo e avvolgente, con la tipica nota di affumicato, spererai sempre che un po’ di brisket avanzi.
RE RAGÙ
Procedimento: 1. Stabilizza il tuo kettle per una cottura diretta e poni la cocotte Weber al centro della griglia gourmet, con i bricchetti sotto. Fai attenzione che non siano a contatto con la cocotte, altrimenti rischi che que sta si riscaldi troppo e che il cibo si bruci. Lascia che la cocotte si riscaldi bene. 2. Prendi il brisket avanzato e tritalo abbastanza finemente al coltello. 3. Versa nella cocotte l’olio e fai un soffritto con la carota, il sedano, la cipolla e l’aglio. 4. Quando il soffritto sarà imbiondito, aggiungi il brisket precedentemente tritato e fai insaporire. 5. Aggiusta di sale e poi aggiungi il concentrato di pomodoro e il brodo. 6. Lascia cuocere il tutto a fuoco basso e a coperchio chiuso per almeno due ore e poi fallo ritirare bene. 7. Fai cuocere la pasta e condiscila col ragù di brisket. Non temere, mezza ciminiera di bricchetti ti sarà sufficiente per portare a termine la cottura del ragù senza fare rabbocchi.
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SPECIALE BRISKET - ALTRI UTILIZZI - ricetta di LUCA GALLOZZA
BRISKET & CA N N E L LO N I storia di un matrimonio felice
Chiamare questa ricetta “di recupero” è oltremodo riduttivo. Dovendo fare variazioni sul tema “brisket” per questo numero, ho pensato ad una preparazione che rivisita il brisket e unisce il piacere della carne alla sostanza di un primo piatto gustoso ed esaltante: pasta fresca, un ripie no di carne succoso e saporito, una parte cremosa e una salsa, per creare il cannellone più buono di sempre. E, soprattutto, originale. Pensate a quando inviterete la suocera a pranzo la domenica e vi vedrà sfornare una bella teglia di cannelloni dal kettle: il giorno dopo andrà dal notaio per intestarvi la casa. Di cosa avete bisogno? Di qualche 48 - BBQ4All MAGAZINE
fetta di brisket, di una buona pasta all’uovo, di un po’ di sugo di pomodoro e di una buona besciamella. Il tocco in più è dato dalle patate che farete cuocere “in ember” ovvero a contatto diretto con le braci. Aggiungete qualche aroma e il gioco è fatto. Suddividiamo le preparazioni e partiamo. Procedimento: 1. Formate una fontana di farina su uno spianatoio con un cratere al centro e versateci dentro le uova. 2. Dall’esterno verso l’interno amalgamate i due composti, fino ad ottenere un impasto liscio e omogeneo. 3. Successivamente avvolgetelo con
pellicola e mettetelo in frigo per un’oretta. 4. Passato il tempo necessario, tirate la pasta: decidete voi se a mano, in maniera più rustica, o con la sfogliatrice. L’importante è che otteniate una sfoglia piuttosto sottile, dalla quale ricavare dei rettangoli, più o meno di circa 9 cm per 15 cm. 5. Ottenuti i rettangoli, sbollentateli per un minuto in acqua salata e stendeteli ancora caldi su un vassoio coperto da un telo da cucina pulito. 6. Fate imbiondire uno spicchio d’aglio nell’olio. Toglietelo appena dorato e aggiungete la salsa di pomodoro, un po’ di origano secco, un pizzico di sale e uno di pepe nero. 7. Lasciate tirare la salsa a fiamma
ING RED I EN TI P ER 6 P E R S ON E PER LA PASTA ALL’UOVO • 450 g di farina • quattro uova PER LA SALSA DI POMODORO • 600 g di passata di pomodoro • quattro cucchiai di olio extravergine di oliva • uno spicchio di aglio • origano q.b. • Pepe nero q.b. • sale q.b. PER LA BESCIAMELLA • 500 ml di latte • • • •
50 g di farina 30 g di burro sale q.b. noce moscata q.b
PER IL RIPIENO • 600 g di Brisket • 5 Patate • due cucchiai di olio extravergine di oliva • 50 g di carote • 40 g di sedano • 50 g di cipolla
medio bassa per almeno mezz’ora, senza che si riduca troppo. 8. Nel frattempo, preparate la besciamella: fate sciogliere il burro in un tegame. Quando questo fonde, setacciate la farina all’interno del tegame, mescolando con la frusta per ottenere un roux. 9. Appena questo assumerà un color ambrato, aggiungete il latte che dovrà essere caldo, continuando a mescolare con la frusta per amalgamare gli ingredienti. Aggiungete sale, pepe e un pizzico di noce moscata. A que sto punto, sempre mescolando, continuate a far cuocere la besciamella finché avrà raggiunto la consistenza desiderata. 10. Una volta pronta, versatela in un
contenitore o in una ciotola in vetro e coprite con uno strato di pellicola da cucina, per evitare che si secchi in superficie. 11. Adesso preparate le patate in ember: accendete una mezza cimi niera di bricchetti, prendete le vo stre patate, avvolgetele nella carta d’alluminio e appoggiatele direttamente sulle braci, finché non riu scirete a penetrarle con uno spiedino senza il minimo sforzo. Ci vorranno pressappoco 40 minuti. Assumeranno un caratteristico sapore rustico, di fumo, che si può ottenere solo con questa tecnica di cottura. 12. Sbucciatele e schiacciatele, per ottenere dalla loro polpa un impasto che vi permetterà di creare consi
stenza all’interno del cannellone e di mantenere la giusta umidità. 13. Il brisket necessita di un ultimo passaggio: in un tegame, versate due cucchiai di olio extravergine, la cipolla, la carota e il sedano e fate soffriggere a fiamma bassa. 14. Appena le verdure iniziano ad appassire, inserite il brisket tritato finemente al coltello e i suoi succhi che sicuramente avrete tenuto da parte. In alternativa, brodo di manzo. 15. Rimestate velocemente. Il brisket non deve cuocere, deve soltanto insaporirsi ulteriormente. 16. Stendete i rettangoli di pasta all’uovo, riempiteli con uno strato di circa 2 mm con l’impasto di patate, per ¾ del rettangolo, lasciando un bordo di qualche centimetro per permettere la chiusura del cannellone in forma cilindrica. Sopra lo strato di patate, eseguite lo stesso procedimento con il brisket, cercando di non eccedere verso l’esterno, che andrà rabboccato una volta chiuso il tutto. Quindi arrotolate, chiudendo il cannellone. 17. Prendete una teglia, cospargete bene sul fondo una porzione abbastanza sufficiente di besciamella, che ricopra il fondo e si appoggi bene ai bordi: eviterà ai vostri cannelloni di attaccarsi. 18. Aggiungete il sugo di pomodoro che avevate preparato, cospargendo la besciamella. Adagiate i cannelloni sulla teglia, uno davanti all’altro, in una o due file affiancate. Versate sopra un’altra abbondante quantità di besciamella per ricoprirli e altrettanta salsa sopra. 19. A questo punto avete due solu zioni per terminare la cottura. Finirli in forno a 180°C per 15/20 minuti, oppure caricare il kettle di bricchetti belli roventi e mettere la vostra te glia in indiretta con circa 180°C di T alla griglia. Il primo più pratico, il secondo più appassionante, e volendo potete aromatizzare un po’ con una manciata di chips di legno aromatico. Direi che non vi resta che mettervi a programmare il prossimo brisket, perché se non vi è ancora venuta l’acquolina, evidentemente dovete far denuncia di smarrimento delle vostre papille gustative. Io fossi in voi non perderei l’occasione di fare un bel figurone la prossima dome nica a pranzo. GENNAIO 2019
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SPECIALE BRISKET - ALTRI UTILIZZI - ricetta di MARIANGELA IBBA
mille e una
MOUSSAKÀ Basta dire Moussakà e il nostro pensiero corre subito in Grecia, al suo mare azzurro, alle sue meravigliose spiagge e al suo splendore artistico ed archeologico. Questo perché la Moussakà è uno dei piatti simbolo della cucina ellenica: un piatto unico, ricco, sostanzioso, una gioia per il palato. Assomiglia un po’ alla nostra parmigiana di melanzane: è una stratificazione alternata di melanzane fritte, ragù di agnello e formaggio grattugiato, il tutto ricoperto da uno spesso strato di besciamella. In pochi sanno però che la parola Moussakà non ha origini greche, bensì arabe (mussaqq’ha, raffreddata), e che la Moussakà ellenica è la variante più famosa di un piatto freddo turco, musakka, a base di melanzane, carne e pomodori, diffusosi in Europa Orientale durante la lunga dominazione ottomana. Esistono varianti balcaniche di questo piatto, che in molti casi hanno sostituito le melanzane con le patate e la besciamella con una crema di latte e uova; così come la scelta della carne per il ragù varia da zona a zona: montone, manzo, pollo, maiale, agnello. Esistono anche varianti a cui si aggiungono le zucchine, in altre si usano melanzane e patate insieme. Le uniche cose su cui tutte concordano è la stratifica zione del piatto e la successiva gratinatura in forno. Così, viste le innumerevoli versioni della Moussakà abbiamo deciso di crearne una anche noi, (mantenendo come punto di riferimento quella greca) e usando come carne il ragù di brisket (trovate la ricetta in questo stesso numero), di fatto aggiungendo un nuovo ingrediente: una leggera nota di affumicato, che rende questo piatto, già eccezionale per la sua armonia di sapori, una vera esplosione di gusto. Procedimento: 1. Lava e asciuga le melanzane, tagliale a fette non troppo sottili e friggile in abbondante olio di arachidi. 2. Mi raccomando, asciuga bene le melanzane dall’olio in eccesso della frittura. 3. In un pentolino sciogli il burro, aggiungi la farina e mescola bene con la frusta, per evitare la formazione di grumi. 4. Quando la farina è tostata, ovvero quando ha acquistato un leggero colore dorato, aggiungi il latte tiepido, il sale e una spolverata di noce moscata, continuando a mescolare con la frusta fino a quando il composto non si sarà addensato. Aggiungi il formaggio grattugiato ed il
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tuorlo fuori dal fuoco, continuando a mescolare. A questo punto sei pronto per montare la Moussakà: 1. In una teglia imburrata, fai uno strato di melanzane, poi uno di carne e infine dai una generosa spolverata di Parmigiano. Ripeti con un secondo strato di melanzane, di carne e di Parmigiano. Infine ricopri con un ultimo strato di sole melanzane. 2. Sopra l’ultimo strato di melanzane metti un abbondante strato di besciamella e una bella spolverata di Parmigiano. 3. Stabilizza il tuo dispositivo a 180°C per una cottura indiretta, quindi a coperchio chiuso; 4. Appoggia sulla griglia la teglia con la Moussakà, in cottura indiretta, e chiudi il coperchio: quando la superficie è ben gratinata è pronta. Fai riposare la tua Moussakà affumicata e servila tiepida. Aspettati gli applausi a fine pasto.
I N G RED I EN TI P E R 4 P E RS ON E PER LA BESCIAMELLA • 500 ml latte • 40g burro • 40g farina • 50 g di formaggio stagionato grattugiato (Parmigiano Reggiano o Kefalotyri) • 1 tuorlo d’uovo • sale q.b. • noce moscata q.b. PER LA MOUSSAKÀ • 500 g di ragù di brisket • 3 melanzane • olio di arachidi q.b. • 100 g di Parmigiano Reggiano
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SPECIALE BRISKET - PER CONCLUDERE IN DOLCEZZA - ricetta di MARIANGELA IBBA
C R O S TAT I N A
CON
LEMON CURD di limoni grigliati
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Hai mai sentito parlare della lemon curd? È un crema inglese, nata tra il XIX e il XX secolo, servita per tradizione all’ora del tè spalmata su scones e bi scotti. La prima volta che l’ho assaggiata, le mie papille gustative hanno esultato: era come se un limone mi fosse esploso letteralmente in bocca, eppure l’acidità e l’asprezza dell’agrume erano mitigati dallo zucchero e dal burro presenti nella crema, che invece esaltavano il gusto pieno e rotondo del limone. Insomma, une vera bontà, limonosa e burrosa. A questo punto mi è balenata in testa un’idea: perché non unire la passione per la griglia alla passione per questa crema deliziosa, creando una lemon curd col succo di limoni grigliati nel kettle? Detto, fatto. Ti dirò un segreto: spremendo i limoni grigliati, ancora caldi, ottieni più succo; quest’ultimo, essendo concentrato, ha un sapore intenso perché una parte d’acqua è evaporata in griglia; inoltre, durante la spremitura, le molecole caramellizzate del limone finiscono nel succo rendendolo una bomba di sapore. Ti assicuro che il risultato è strabiliante: una crema dal sapore intenso e deciso con un leggero sentore di affumicato che le dà una marcia in più. Provato questo nuovo procedimento, non tornerai indietro. Per gustare al meglio la lemon curd, ho deciso di usarla per farcire delle crostatine di pasta frolla; la delicatezza della pasta frolla esalta ancora di più l’intenso sapore del limone e la nota di sottofondo dell’affumicato. Servi le crostatine con una bella spolverata di cacao amaro, il contrasto col dolce della crema enfatizzerà ancora di più il limone.
INGR EDIE NTI P ER 4 CROSTAT I N E PER LA PASTA FROLLA • 300 g di farina • 130 g di zucchero al velo • 150 g di zucchero • tre tuorli d’uovo PER LA LEMON CURD • quattro limoni grossi • 200 g di zucchero • due uova • 100 g di burro • cacao amaro in polvere q.b.
Procedimento: 1. In una ciotola versa la farina, lo zucchero, i tuorli e il burro freddo tagliato a dadini, quindi impasta fino a quando non ottieni una palla liscia e omogenea; 2. Avvolgi la pasta frolla nella pellicola e lasciala riposare in frigo per 30 minuti; 3. Stendi la frolla sottilmente con un matterello; 4. Rivesti con la pasta frolla gli stampi imburrati e bucherella la pasta frolla con una forchetta; 5. Cuoci in bianco (cioè coprendo l’interno con un foglio di alluminio riempito di riso o fagioli secchi Ndr) a 180°C, per circa 20/30 minuti. 6. Predisponi il dispositivo per una cottura diretta. 7. Taglia a metà i limoni e ponili sulla griglia, direttamente sulla fonte di calore per qualche minuto: quando la parte tagliata è leggermente brunita, sono pronti; 8. Spremi i limoni ancora caldi e lascia raffreddare il succo; 9. In un pentolino versa il succo freddo dei limoni, lo zucchero, le uova sbattute e mescola; infine aggiungi il burro freddo tagliato a dadini; 10. A fuoco basso, ti consiglio il fornello di casa, mescola lentamente fino a quando la crema non si addensa, la crema non deve raggiungere il bollore altrimenti l’uovo si straccia; 11. Versa la crema ancora calda nelle crostatine; 12. Quando la crema è fredda metti le crostatine in frigo almeno per 3 ore; 13. Servi le crostatine con una spolverata di cacao in polvere. GENNAIO 2019
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NON DI SOLA CARNE RICETTA VEGETARIANA di MARIANGELA IBBA
TARTUFI DI
ZUCCA B R U C I ATA con gazpacho e chimichurri
Diciamo la verità, spesso gli amici che non mangiano carne si sentono un po’ emarginati e si irrigidiscono quando sentono parlare di barbecue. E questa è anche un po’ colpa dell’addetto alla griglia, che è capace di stare ore a cucinare elaborate e lunghe preparazioni, ma poi presenta ai compagni vegetariani le solite verdure grigliate (male!) e servite sul pane abbrustolito. Vi siete mai chiesti se esiste un modo per cucinare sul fuoco qualcosa di vegetariano che sia sfizioso e diver tente sia per chi cucina che per chi assaggia? Beh, esiste. Per questa ricetta useremo la zucca, che si presta a una delle cotture più affascinanti e primitive che cono sciamo: l’ember roasting, ovvero la cottura del cibo a contatto diretto con le braci. Con questo tipo di cottura potete offrire ai vostri amici vegetariani dei piatti di verdure gustosi arricchiti dal sapore di affumicato. La zucca, grazie alla sua buccia dura, si presta benissimo, perché viene appoggiata intera (o a fette) con la buccia a contatto diretto con le braci e la sua polpa diventa cremosa e ben affumicata. Una volta ottenuta questa gustosa crema con sentori di fumo, potete preparare questi tartufi di zucca bruciata, ovvero delle polpette deliziose spolverizzate di rub (un misto spezie tipico delle cotture barbecue) e accompagnate da salse altrettanto deliziose, come il chimichurri e il gazapcho. Tutto ciò per trasformare la classica grigliata tra amici in un’esperienza divertente e gustosa, anche per coloro che non mangiano carne. Anzi, probabilmente anche i carnivori ne vorranno a volontà. Quindi non fatene pochi. Potete servire ai vostri ospiti i tartufi mettendoli semplicemente in un vassoio o infilzandoli su uno stecchino da spiedino.
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Procedimento: 1. Preparate il dispositivo per una cottura diretta sulle braci; 2. Appoggiate a la zucca sulle braci e chiudete il coperchio: dopo circa un’ora la zucca sarà pronta. 3. Lasciate raffreddare la zucca e con l’aiuto di un cucchiaio scavate la polpa, eliminando le parti bruciate. 4. Mentre la zucca è nel kettle, lessate le patate e fate rinvenire i funghi secchi in una tazza d’acqua calda; 5. Schiacciate bene le patate e togliete i funghi secchi dall’acqua, strizzateli e tritateli grossolanamente. 6. Aggiungete alle patate schiacciate la polpa della zucca e amalgamate bene; 7. Aggiungete la cipolla e l’aglio tritati finemente, i funghi, l’uovo, il pecorino romano, il sale: a questo punto lavorate l’impasto. 8. Per dare più consistenza, aggiungete un po’ di pangrattato, senza esagerare. 9. Formate delle palline di circa 50 grammi l’una. 10. Preparate il rub mescolando tutti gli ingredienti facendo attenzione che non si creino grumi. 11. Passate i tartufi nel rub. 12. Stabilizzate il kettle a 180° per una cottura indiretta, mettete i tartufi direttamente sulla griglia, per 15 minuti. 13. Nel frattempo versate nel mixer la polpa del pomodoro, l’aglio, la cipolla tritati grossolanamente, poi l’olio extravergine e il peperoncino; quindi frullate. 14. Ottenuto un composto omogeneo, aggiungete il succo d’arancia, la salsa di soia e il sale. Il Gazpacho è pronto. 15. Tritate finemente il prezzemolo, la cipolla, l’aglio e il peperoncino: mettete tutto in una ciotola, aggiungete l’olio, il succo del limone e il sale. Ecco la vostra Chimichurri. Potete servire questi tartufi anche tiepidi. Sono un ottimo antipasto, o un secondo piatto gustoso. Piaceranno moltissimo anche ai bambini. Insomma, metteranno tutti d’accordo.
I NGREDIENT I PER 4 PERSO N E PER I TARTUFI • una zucca • tre patate • 20 g di funghi secchi • 30 g di pecorino romano • un uovo • mezza cipolla • uno spicchio di aglio • pangrattato q.b. • sale e pepe q.b. PER IL RUB • 120 g di paprika dolce • 50 g di sale • 20 g di aglio in polvere • 15 g di cipolla in polvere • 5 g di peperoncino tritato • 5 g di pepe nero • 5 g origano in polvere • 20 g di zucchero grezzo di canna in polvere PER IL GAZPACHO • 130 g di polpa di pomodoro • uno spicchio di aglio • mezza cipolla • un cucchiaino di salsa di soia • quattro cucchiai di olio extravergine di oliva • il succo di mezza arancia • peperoncino q.b. • sale q.b. PER LA CHIMICHURRI: • un mazzetto di prezzemolo; • mezza cipolla; • tre spicchi di aglio ; • cinque cucchiai di olio extravergine di oliva; • il succo di mezzo limone; • peperoncino; • sale q.b.
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SPECIALE BRISKET - VINI ABBINATI a cura di ENIO BERTON
È ORA DI
BERE! abbinamenti consigliati
C A R A PA C E Vino: Cantina: Abbinamento :
Montefalco Sagrantino DOCG Carapace 2013 Tenute Lunelli brisket in purezza e insalata con cetrioli, feta, cipolla rossa caramellata e basilico
Questo vino è prodotto nella cantina Castelbuono della Tenuta Lunelli in Umbria. Nel 2006 iniziarono i lavori di ristrutturazione affidati all’artista di arte contemporanea Arnaldo Pomodoro; terminata nel 2012, si è presentata sul territorio come un’opera d’arte maestosa. Il termine “Carapace”, voluto dallo stesso Pomodoro, è dovuto alla caratteristica cupola in rame della struttura che simula con le sue forme un guscio di tartaruga, che ben si integra nel paesaggio collinare umbro. La produzione del Sagrantino, iniziata nel 2003, viene fatta con uve sagrantino esclusivamente selezionate a mano nai vigneti storici dell’azienda, dislocati nei comuni di Montefalco e Bevagna, nel mese di ottobre. Dopo la prima fermentazione riposano in barriques per 15/20 giorni, per poi affinare in botti di rovere per 24 mesi ed altri 12 mesi in bottiglia. Dal colore rosso rubino intenso, all’olfatto prevalgono le note di frutta rossa dove le ciliegie vengono arricchite da note di carruba e petali di rose; da evidenziare sentori balsamici e di humus. Al palato risulta cremoso, elegante e molto intenso, con tannini fini e persistenti. Le note di liquirizia e cioccolata arricchiscono ulteriormente il bicchiere, nell’attesa dei sentori di tabacco e spezie che arrivano subito dopo. Un bicchiere imperiale che ben si accosta alla maestosità del brisket. Da servire a 18/20 gradi in calici balloon
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MOREI Vino: Cantina: Abbinamento :
Teroldego Morei 2016 12,5 gradi Foradori cannelloni con ripieno di brisket, conditi con besciamella e sugo al pomodoro
Il vino che vi propongo è poco noto, ma lo scelgo perché mi permette di farvi conoscere un vitigno che è la storia della viticoltura del trentino. Il Teroldego rotaliano trae le sue origini dai vitigni lagrein, marzemino e syrah, da cui ricava le sue caratteristiche organolettiche. Le prime informazioni sul vitigno risalgono ad inizio del 1800 nella zona veronese del lago di Garda; il nome nasce da “tiradola”, il sistema di impianto della vite sostenuta da “tirelle”. La cantina Foradori nacque nel 1939 quando Vittorio Foradori acquistò l’attuale cantina di Mezzolombardo (in provincia di Trento). Attualmente le redini dell’azienda sono nelle mani della figlia Elisabetta soprannominata la “signora del Teroldego” per la sua attività di rivalutazione di questo vitigno. Completamente biologica dal 2002 e dal 2007, questa azienda fa parte del gruppo VinNatur. Il termine “Morei” significa moro (scuro) che identifica il colore già molto accentuato sin dalla fase di fermentazione. Nello specifico, dopo la vendemmia, esclusivamente manuale, il vino subisce la fermentazione ed il successivo affinamento restando a contatto delle bucce per otto mesi nelle tinajas di Villarobledo, anfore spagnole che permettono a questa varietà di esprimere e conservare il suo potenziale in termini di biodiversità. All’esame visivo si presenta di un rosso granato molto particolare per questo vitigno, generalmente di un rosso scarico poco intenso. All’olfatto prevalgono le note di frutta rossa matura con intensi profumi di mora e mirtillo che lasciano, nel tempo, predominare gli aromi speziati e minerali. Al palato risulta caldo ed avvolgente, l’aroma di frutti rossi esalta il palato e le note minerali ci permettono di contrastare l’acidità del sugo di pomodoro bilanciato dalla besciamella. Nel finire riappaiono le note speziate soprattuto di pepe che ben si abbinano all’affumicatura del brisket. La tannicità, non pronunciata, ci permette di assecondare e non coprire il gusto dei nostri cannelloni. Da servire a 18/20 gradi in calici renani.
ARAMA Liquore: Cantina: Abbinamento :
Amara Rossa crostatina con lemon curd di limoni grigliati
Quale liquore abbinare a questo dolce, una crostatina farcita con lemon curd ottenuta da limoni grigliati e poi cosparsa di cacao? La prima opzione ricadrebbe, molto banalmente, su un limoncello più o meno artigianale. Ma a me piace osare e quindi vi propongo questo liquore prodotto in Sicilia, alle pendici dell’Etna, da un infuso che ha come base le bucce di arance rosse catanesi di varietà Tarocco Gallo e Tarocco Nocellara. Il sapiente dosaggio dell’infuso di arance e di erbe aromatiche con acqua, alcool e zucchero dona un aroma ed un gusto inconfondibile. Ottimo per la chiusura pasto in naturalezza (magari con 2 cubetti di ghiaccio) o in abbinamento a cocktail raffinati. Servito a temperatura ambiente in piccoli calici da vino dolce, sarà un elegante e nobile accompagnatore del nostro dolce.
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SPECIALE BRISKET - BIRRE E COCKTAIL ABBINATI a cura di RICCARDO MENICONI
AT - D O P P E L Abbinamento :
panino al brisket
Sua maestà il Brisket: una carne dai sapori forti, decisi, pepati, grassi e “beefy”. Stavolta sarà accompagnato, in un panino, da cipolle caramellate, rucola e salsa Tiger. Andiamo ad analizzare i sapori e vediamo come abbinarli perfettamente ad una birra. La punta di petto di manzo è sapida, unta e pepata; passando per l’amaro della rucola, saltando al piccante del rafano e arrivando all’agrodolce delle cipolle caramellate, arriveremo all’apoteosi del godimento gastronomico. Abbiamo dunque bisogno di una birra in grado di risaltare tutte queste sensazioni, pensando ad equilibrare il boccone con un sorso di equivalente spessore. Andremo quindi a scegliere una birra dai toni maltati, dal grado alcolico elevato e abboccata, in sintesi una Doppelbock di livello. Grazie a queste peculiari caratteristiche, questo tipo di birra riesce a centrare in pieno il nostro obbiettivo. Il tenore alcolico ci aiuta a sostenere i sapori piccanti e pepati, la dolcezza va in contrasto sia con il sapore amaricante della rucola, sia con i toni sapidi del brisket facendo da spalla alle cipolle con le note caramellate dei malti. Per questa ricetta ho scelto in particolare la “AT-Doppel” del birrificio Altotevere (San Giustino, Umbria), uno dei giovani nomi più interessanti nella scena brassicola nazionale. Nel bicchiere si presenta leggermente velata, dal colore ramato e con una schiuma compatta e abbastanza persistente. Al naso note tostate: leggero caramello e un profumatissimo sentore di crosta di pane; infine un ricordo di fumo. In bocca esplode con un corpo pieno, dai sapori maltati e tostati. Ritroviamo anche la crosta di pane con una piacevolissima sensazione di amaro. La nota affumicata è più intensa in bocca e l’etilico si fa sentire. Una birra corposa da 7,8% e dal carattere forte, che grazie all’uso di una piccola percentuale di malti rauch si accosta perfettamente alle note affumicate della carne. Un consiglio, servitela ad una temperatura tra gli 8°C e i 10°C in un Bierkrug.
RESET Abbinamento :
tartufi di zucca
In questa ricetta ritroviamo un ortaggio con le sue note dolci, speziate e frizzanti. Ci serve una birra che possa bilanciare queste sensazioni e rendere il boccone ancora più piacevole. Sentori dolci e maltati con una parte di amaro e un finale deciso, a tratti agrumato, sono le caratteristiche che cerchiamo. Una American Amber Ale farà al caso nostro. Ho quindi scelto la Reset del birrificio Rurale di Desio (MB). Una sicurezza su tutta la linea, da anni caposaldo del movimento Artigianale italiano. Nel bicchiere si presenta di un bellissimo colore ambrato, leggermente velata, con riflessi ramati e una schiuma compatta. Al naso risaltano i profumi dei malti, con note erbacee e resinose, donate dai luppoli americani. In bocca ritroviamo tutti questi sentori, con una morbidezza e una leggera dolcezza iniziale, che virano sull’amaro e sull’agrumato con un finale asciutto. Una birra beverina, anche grazie ai suoi 5,6°abv da bere a litri. Da servire in una pinta Americana, preferibilmente ad una temperatura di 10°-12°C. Cheers!
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R O B R OY Abbinamento :
caramelle ripiene di brisket
Il Brisket si reinventa per dare nuova vita ad un banale antipasto o ad un noioso aperitivo, diventando il ri pieno di una caramella saporita e sorprendente. Ritroviamo i sapori pepati e grassi di questa spettacolare preparazione che abbineremo questa volta ad un cocktail. Come spesso si vede fare ultimamente, in ristoranti alla moda e nei cocktail bar, l’abbinamento cibo/drink è sempre più quotato. E allora perché non sperimentare un po’? Sapete cosa fa rima con manzo e barbecue? No? Ve lo dico io: Scotch Whisky. Perché il whisky? Con il suo tenore alcolico elevato è in grado di sgrassare e alleviare le note pepate del manzo, la torba sostiene perfettamente, invece, il fumo di legno duro tipico delle preparazioni barbecue. Per il cocktail di oggi ci serviranno: • 4,5cl di Scotch Whisky • 2,5cl di Vermut • 1 goccia di angostura • ciliegina o peel d’arancia per guarnire. Esatto, stiamo parlando del Rob Roy, che deriva dal Manhattan ma che si differenzia da quest’ultimo per l’uso del whisky scozzese (il Manhattan prevede il rye whisky, il whisky americano dal sapore più grezzo) che ha un gusto particolarmente raffinato. Mettiamo tutti gli ingredienti in un mixing glass colmo di ghiaccio, mescoliamo bene e con uno strainer, per non rovinare il vermut, trasferiamo in una coppa martini ben fredda. Guarniamo e gustiamo questo abbinamento esplosivo.
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PER INIZIARE - IL BBQ PER I PRINCIPANTI RUBRICA a cura di MICHELE CHIPA
quale
DISPOSITIVO INIZIARE A GRIGLIARE
A CARBONE SCEGLIERE PER
Finalmente hai deciso di affiancare alla griglia tradizionale un bbq a carbone “di quelli con il coperchio per fare le cotture lunghe”. Vuoi iniziare a fare i primi passi nel mondo della cottura indiretta e della low&slow ma non sai da che parte iniziare.
a sinistra George Stephen inventore del kettle Weber 60 - BBQ4All MAGAZINE
I bbq ormai sono venduti ovunque anche nei supermercati e nei negozi fai da te. Ne trovi di tutti i prezzi: da 50 euro in su. Hai visto su internet bbq tondi con il coperchio, altri a forma di proiettile con più griglie, disposti in verticale, e alcuni talmente grandi da poterci grigliare un maiale intero. Sicuramente ti starai domandando quale dispositivo sia adatto alle tue esigenze da principiante. Vediamo se riesco a fare un po’ di chiarezza e a darti qualche consiglio. TIPOLOGIE DI DISPOSITIVI I dispositivi a carbone si differen ziano in kettle, bullet smoker (affu micatori verticali) e offset smoker (affumicatori orizzontali). Gli ultimi due, come già intuibile dal nome, sono strumenti progettati per le affumicature ovvero cotture lunghe ed a bassa temperatura. Forse un giorno avvertirai la necessità di comprarne uno, ma adesso è prematuro. Concentriamoci sui kettle. KETTLE I kettle sono i classici bbq sferici con coperchio. La loro particolare forma permette sia la cottura diretta che quella indiretta. Hanno delle aperture sul fondo e sul coperchio per regolare la temperatura di cottura e tanti accessori abbinabili: girarrosti, griglie in ghisa, forni pizza e chi più ne ha più ne metta. Rappresentano il dispositivo più versatile. Con un kettle puoi anche affumicare e procedere a cotture lunghe, pur con qualche difficoltà in più rispetto ad uno smoker. A questo punto, avendo scelto il kettle come dispositivo da comprare, starai valutando i vari modelli. Come mai esistono differenze importanti di prezzo? Sicuramente ti starai chiedendo: siccome sono un principiante, non è meglio che compri un dispositivo economico per fare pratica per poi successivamente comprarne uno più costoso? DIFFERENZE DI PREZZO La risposta alla prima domanda è semplice: ci sono differenze di prezzo perché sono differenti i mate riali utilizzati dal produttore e tutti i servizi di post vendita inclusi nel prezzo iniziale. Prova a verificare la differenza di peso fra un dispositivo economico
ed uno di marca: già questo è un fattore discriminante. Maggior peso equivale a dire materiali di maggior spessore e quindi un mantenimento migliore della temperatura impostata. Verifica la facilità di apertura/chiusura delle bocchette poste sul fondo e sul coperchio: più questa opera zione sarà agevole e più facile sarà l’eventuale correzione di imposta zione. Chiedi al venditore della durata della garanzia: alcuni produttori si limitano alla minima legale (2 anni), altri arrivano fino a 10 anni. DISPOSITIVO ECONOMICO O PIU’ COSTOSO Per la risposta alla seconda domanda ti racconto un aneddoto. Un mio carissimo amico mi invitò a pranzo da lui e mi propose in menù le ribs in stile Kansas City (costine di maiale affumicate a bassa temperatura e glassate con salsa bbq). Aveva appena partecipato ad un corso di bbq ed era voglioso di mettere in pratica le nozioni apprese. Disponeva solamente di un kettle economico seppur di dimensioni adeguate (mi pare fosse un 57cm di diametro acquistato a 50/70 euro in un negozio di fai da te) perché era convinto che spendere 2/300 euro per iniziare a fare barbecue fossero soldi buttati. Arrivai a casa sua quando aveva già cominciato la cottura. Aveva settato il dispositivo per una cottura indiretta a bassa temperatura, circa 110 gradi, e aveva già iniziato ad affumicare. Improvvisamente si alzò un vento fortissimo, volarono via tutte le apparecchiature già pronte sul tavolo all’aperto e si rovesciò un sacco di carbone sul prato. Questo improvviso aumento di ossi geno (il vento convogliò una maggiore quantità d’aria nelle ventole inferiori e quindi sulle braci) provocò una impennata della temperatura interna portandola velocemente oltre i 150 gradi. Le lamiere sottili del dispositivo economico non riuscirono a fare da volano termico e quindi non assorbirono parte dell’incremento di temperatura. Le ventole sul fondo messe in un posto scomodissimo da raggiungere non erano di facile regolazione soprattutto a causa del materiale di cui erano composte (una lamierina che si deformava ad ogni utilizzo). Quindi fu praticamente
impossibile limitare l’accesso di aria alle braci. Morale della favola: risultato delle ribs compromesso. L’alta temperatura carbonizzò lo zucchero presente nella miscela di spezie creando un terribile sapore amaro. Oltre a que sto, la carne perse molti liquidi e quindi risultò molto secca. In pratica due slab di ribs da buttare. Se il mio amico avesse avuto un dispositivo di migliore qualità pro babilmente il risultato sarebbe stato diverso. Provate ad immaginare cosa sarebbe successo se avesse avuto a di sposizione, per esempio, un Weber Master Touch. Le lamiere del dispositivo sono abbastanza spesse da creare un buon isolamento dall’ambiente esterno e da fungere da volano termico: l’incremento di temperatura sarebbe stato inferiore. Le ventole inferiori sono comandate da un’unica leva e sono di un materiale resistente alle alte temperature e con uno spessore idoneo alla non deformazione. Il mio amico avrebbe potuto chiudere completamente le ventole inferiori soffocando le braci e riportando la temperatura al valore inizialmente impostato. Il risultato della cottura fatta con un Weber Master Touch sarebbe stato completamente diverso e non avrebbe reso immangiabili due slab di ribs. Quindi la risposta alla tua domanda “ è meglio un dispositivo economico per far pratica?” è NO. Un dispositivo ben fatto permette una più facile gestione degli imprevisti oltre a facilitare l’impostazione iniziale della cottura. Già per questo motivo la scelta dovrebbe essere chiara. Ti elenco comunque anche altre motivazioni. Materiali più resistenti permettono una riduzione del rischio di rotture e malfunzionamenti. Una garanzia più duratura evidenzia la qualità del prodotto offerto ma ti mette anche al riparo da brutte sorprese nel futuro. Il marchio del produttore, inoltre, ti infonde fiducia perché così hai la certezza che il tuo prodotto rispetta tutte le normative di sicurezza. Anche nella scelta del dispositivo vale il detto “chi più spende, meno spende”. GENNAIO 2019 - 61
NEW YORK
SLIDERS 200g (4x50g)
Un piccolo hamburger che andrà letteralmente a ruba nelle occasioni di festa. Particolarmente adatto ai bambini per le dimensioni ridotte, è perfetto per aperitivi, cene informali, serate in famiglia. Un vero e proprio boccone di puro sapore, che si presta ad essere declinato in mille versioni e abbinato a un’infinità di sapori, ma sorprendentemente gustoso e succulento anche da solo.
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ORIGINAL
BURGER 200g
Diventa il re della griglia durante le giornate in compagnia di amici e familiari grazie a questo hamburger da 200 grammi. Il perfetto bilanciamento del gusto, dato dall’equilibrio ideale di parte grassa e parte magra nella composizione del patty, lo rende un prodotto di cui non potrai più fare a meno.
BURGER
STEAK 300g
Trecento grammi di carne macinata, condita e ricompattata in una polpetta dallo spessore consistente. Questo Burger Steak unisce le due cose fondamentali che tutti cercano in cucina: qualità ottima e velocità di preparazione. In pochi minuti potrai servire un piatto ricco, bello da vedere, con un sapore esplosivo e una qualità indiscussa. Un hamburger alto, saporito, soddisfacente, che si presta a essere servito in mille modi diversi, mai asciutto e stoppaccioso.
Scalda bene la griglia prima di mettere il Burger Steak in cottura, rigiralo spesso per creare la crosticina esterna senza rischiare di bruciarlo, cuocilo per pochi minuti e servilo come una tagliata, aggiungendo il tuo Dimentica gli hamburger sottili e insapori e preparati a condimento preferito. Un sicuro successo. Un vero un’esplosione di gusto, senza rinunciare alla praticità di salva-cena di altissima qualità. un prodotto confezionato in skin.
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D OVE TROVARCI Lista aggiornata a dicembre 2018
puoi trovare la mappa interattiva di tutti i punti vendita costantemente aggiornata all’indirizzo
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ALÌ
OSTELLATO TRESIGALLO BATTAGLIA TERME BORGORICCO BUSA DI VIGONZA CADONEGHE CADONEGHE CAMPODARSEGO CASALSERUGO CITTADELLA GRANTORTO LIMENA LIMENA MASSANZAGO MONSELICE NOVENTA PADOVANA PADOVA PADOVA PADOVA PADOVA PADOVA PADOVA PADOVA PADOVA PADOVA PADOVA PADOVA PADOVA PADOVA PADOVA PADOVA PADOVA RUBANO SAN GIORGIO IN BOSCO SAN MARTINO DI LUP. TENCAROLA DI SELV. TOMBELLE DI SAONARA TOMBOLO VIGODARZERE VIGONZA PORTO TOLLE PORTO VIRO ROVIGO VILLADOSE CASIER CASTELFRANCO VEN. CONEGLIANO MASERADA MOGLIANO VENETO ONÈ DI FONTE PAESE PONTE DI PIAVE TREVISO TREVISO VEDELAGO VIDOR CAVALLINO TREPORTI CEGGIA CHIRIGNAGO VENEZIA DOLO FAVARO VENETO FAVARO VENETO
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STRADELLO DELLA CROCE 13 VIA ALDO MORO, 22 VIA GIACOMO MATTEOTTI, 10 VIA ROMA, 51/C VIA ALDO MORO, 17/B VIA VINCENZO BELLINI, 1 SOTTOPORTICO GUIDO ROSSA, 2 VIA ANTONIANA, 126/A VIA LEONINO DA ZARA 2 CONTRÀ CORTE TOSONI, 81 PIAZZA DEL BRAIO, 1S VIA ROMA, 87 VIA F.LLI CERVI 3 VIA ROMA, 31 VIA SQUERO, 14 VIA GUGLIELMO MARCONI, 9 VIA CURZOLA, 7 VIA INDUNO, 27 VIA TRE GAROFANI, 47-49-51 VIA NAZARETH, 22 VIA SIRACUSA, 18-20 VIA ANDREA VERROCCHIO, 18 VIA DEI COLLI, 60 VIA ANTONIO GRASSI, 38 SOTTO IL SALONE, 32- P. DEI FRUTTI VIA GIORGIO PULLÈ, 39 VIA ALESSANDRO PROSDOCIMI, 2 VIA DEI SALICI, 37 VIA MARTINO SANDELLI, 1/A PIAZZA METELLI, 6 VIA MONSIGNOR G.FORTIN, 47 VIA CHIESANUOVA 71 PIAZZA M.FRASSON 1 VIA VALSUGANA, 332/B VIA RIZZIERI SERATO, 84/A VIA S.ANTONIO, 2 VIA VIGONOVESE 130 VIA E.MONTALE, 5 PIAZZA UNITÀ D’ ITALIA 19 VIA PASTORE, 4 VIA ALBA 9 VIA XXV APRILE, 14-G VIALE PORTA ADIGE, 14/C VIA ZONA INDUSTRIALE 57 VIA DELLA LIBERAZIONE 68/A INT.7 VIA BORGO VICENZA, 20-26 VIA IMMACOLATA DI LOURDES, 88 VIA EUROPA, 114 VIA DELLO SCOUTISMO, 25 VIA CASTELLANA, 9/A VIA CASTELLANA 50 VIA DON LUIGI MORETTO 15 VIA DON LORENZO MILANI, 2/A VIA NICOLA DI FULVIO VIA PAPA SARTO, 14 PIAZZALE CAPITELLO, 5 VIA FAUSTA, 377 VIA XXV APRILE, 58 VIA FRATELLI CAVANIS, 42/A VIA SAN PIO X°, 5 - 7 VIA TRIESTINA, 50/1 VIA ALTINIA 168
FOSSÒ VE PIAZZA ALDO MORO, 3 MARCON VE VIA G.B. TIEPOLO 4 MESTRE VENEZIA VE PIAZZALE LUIGI CANDIANI, 14-16 MESTRE VENEZIA VE VIA PIAVE, 172 PORTOGRUARO VE BORGO SANT’AGNESE, 97 SAN DONÀ DI PIAVE VE VIA DANTE ALIGHIERI, 31 SAN DONÀ DI PIAVE VE VIA MARIO RORATO, 12 SAN DONÀ DI PIAVE VE VIA CALNOVA, 34 SAN DONÀ DI PIAVE VE VIA BRUSADE, 69 BASSANO DEL GRAPPA VI VIA BENVENUTO CELLINI, 5/A MONTEBELLO VICENTINO VI VIA LAGO DI GARDA 22 MONTECCHIO MAGGIORE VI VIA DEGLI ALBERI, 17 MONTEGALDA VI VIA 2 GIUGNO, 4 MONTICELLO CONTE OTTO VI VIA ALESSANDRO VOLTA, 3 - 5 ROSSANO VENETO VI VIA TORRICELLA, 34 - 36 SOVIZZO VI VIALE DEGLI ALPINI 40 VICENZA VI VIA GIOACCHINO ROSSINI, 71 VICENZA VI VIA PERIZ 11 VILLAFRANCA VR VIALE POSTUMIA 37
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IL GIGANTE
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CASALE MONFERRATO ASTI ASTI SAN DAMIANO D’ASTI ALBA BORGO SAN DALMAZZO CANALE CARAGLIO CEVA FOSSANO FOSSANO MONDOVÌ MORETTA SALUZZO
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S.S. 592, LOC. REGIONE POLVERATA VIA MARCONI BERGAMO VIA BONO IA PAPA GIOVANNI XXIII VIA MATTEOTTI, 129 P.ZZA G.DA VENAZZANO, 6 VIA ROVATO, 44 STRADA REGIONALE 589 VIA PAPA GIOVANNI XXIII, 57 S.S. 35 DEI GIOVI, 1/9 VIA EMILIA, 2 VIA MONTEVERDI S.S. PADANA SUPERIORE, VILLA FORNACE VIA MAGENTA ANG. VIA ROVIGO S.P. 34 ANGOLO VIA ADUA VIA PAPA GIOVANNI PAOLO II VIA ROMA, 20 VIA DE AMICIS, 2 VIA AQUILEIA, 72 VIA DELLA REPUBBLICA, 1 DORMELLETTO (MI) VIA LORENTEGGIO, 3 VIA ORNATO VIA PORTA LODI, 6 VIA NENNI 21 VIA MAGENTA ANG. VIA S.MARTINO V.LE LAZIO, 4 V.LE MARELLI, 19 VIA GRANDI, 110 VIA MONTI, 49 VIALE ITALIA VIA CARLO MAX VIA VIVALDI, LOC. CASC.CORRADA VIA T. VECELLIO, 1 VIA TORRE BIANCHI, 16 VIA GENERAL LAUGER (VERZELLOTTO) STRADA REGIONALE, 11 S.S. 32 TICINESE, 20 VIA EMILIA PAVESE (S.NICOLÒ TREBBIA) VIA JUSTUS LIEBIG 1/A/ VIA GUIDO GOZZANO 10 STRADA NIZZA S.S.20 DEL COL DI TENDA CORSO INDIPENDENZA, 74 CORSO MARCHE VIA CIGNA CORSO MORTARA VIA PERBUSTO VIA CESARE BATTISTI, 1 VIA BUSTO ARSIZIO, 152 VIA SORAGANA, 1 S.S. 593
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SANTO STEFANO BELBO SAVIGLIANO VILLANOVA MONDOVÌ CAMPOROSSO CISANO SUL NEVA SAVONA BRANDIZZO CAMBIANO CARIGNANO CHIERI COLLEGNO MONCALIERI PIANEZZA PIOSSASCO RIVOLI SETTIMO TORINESE TORINO TORINO TORINO TORINO TORINO TORINO TORINO TORINO VAIE VILLAFRANCA PIEM. CRESCENTINO
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SIMPLY
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CORSO IV NOVEMBRE 37 VIA TORINO, 250/A VIA MONDOVÌ 34 VIA OBERTO D’ORIA VIA BENESSEA VIA NIZZA 43/R VIA VOLPIANO, 68 S.P CARMAGNOLA-CHIERI 3 VIA PIER LUIGI VIGADA, 2 VIA RIVA/VIA MONTÙ CORSO FRANCIA 143 VIA PESCHIERA 17 VIA PIAVE - S.S. 24 MONGINEVRO VIA UGO FOSCOLO 2 CORSO IV NOVEMBRE 57/B VIA EMANUELE GIANTURCO 10 A VIA BOTTICELLI 114 VIA CARSO 10 VIA GAIDANO 125/A CORSO UNIONE SOVIETICA 493/14 VIA LEINÌ,42/A VIA CARSO 10 CORSO GROSSETO 303/A VIA DEMARGHERITA, 9 VIA MARTIRI DELLA LIBERTÀ 50/1 VIA BRIGATA ALPINA TAURINENSE, 1 VIA VIOTTI 1
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VIA CILEA
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VIA GIULIO PASTORE, 30 SS IESINA KM 6,166 LOC CERRETANO P.ZA CADUTI SUL LAVORO, 4 VIA PIZZARDETO, SNC VIA DEL COMMERCIO, 52 VIA PROSPERI, 42 - LOC. CAMPIGLIONE VIA SOLFERINO, 2 VIA XX SETTEMBRE, SNC SS 17 KM 42+100 - LOC. BAZZANO VIA INSORTI D’UNGHERIA, SNC VIA MADONNA DELLE GRAZIE, 53 VIA NAZIONALE ADRIATICA NORD, 1 VIA SANTO SPIRITO, 119 VIA ENRICO MATTEI, 41 LOC. BRECCE SNC CONTRADA PACE, SNC CORSO UMBERTO, 334 VIA CENTOVA, SNC VIA GALILEO GALILEI, 371 S.S. 80 VIA NAZIONALE, 621
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VIA E. SACRIPANTI, SNC VIA ITALIA, 1 LARGO PORTA ROMANA, 1 P.ZA S. MARIA INTER VINEAS, 1 VIA SALARIA KM. 207,700 VIA E. MATTEI, 14 VIA MARSALA, 56 VIA V. FALCONE, SNC VIA CORSICA, 188/192 VIA MONTECARLO VIA PICENA, 80 VIA DEI CONTI RICCI, 46/48 VIA S. IPPOLITO VIA ARAPIETRA, 63/65 VIA BATTISTI, 207 VIA D’AVALOS, 213/215 VIA FABRIZI, 159 65121 VIA NAZIONALE ADRIATICA NORD, 201 VIA MONTE CERVARA, 1 VIA IV NOVEMBRE, 37 VIA MARTIRI DELLA RESISTENZA SNC PIAZZA VARISCO VIA MONTEBUONO VIALE LIEGI V. T. BOETTI VALVASSURA, 110 VIALE ERITREA VIA ROMA, 447 - VILLA ROSA S.S. ADRIATICA KM. 417,600
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VIA RAMIRO MORCONE, 29/33 IV TRAVERSA SAN MARCO,5 VIA DE GASPERI VIA MAHATMA GANDHI, 7 S.S. SANNITICA VIA LAGO PATRIA, 214 VIA DEL MARE, 2
NAPOLI NAPOLI NAPOLI NAPOLI NAPOLI SECOND. SALERNO SALERNO SALERNO SALERNO SALERNO SALERNO SALERNO
SIGMA
ANGELI DI ROSORA BOLOGNA BOLOGNA CORTICELLA IMOLA IMOLA BORGOSATOLLO BOTTICINO MOLINETTO DI MAZ. BOMPORTO CAMPOSANTO SUL PAN. CARPI CARPI CAVEZZO MEDOLLA MIRANDOLA MODENA MODENA MODENA PAVULLO NEL FRI. SASSUOLO SORBARA DI BOM. MARINA DI MASSA BETTOLA CARPANETO CASTEL S.GIOVANNI FERRIERE GOSSOLENGO PIACENZA PIACENZA PIACENZA PIANELLO BUSSETO MEDESANO PARMA PARMA PARMA S.SECONDO RAVENNA BAGNOLO IN PIANO BIBBIANO BRESCELLO CASINA CASTELLARANO CASTELNOVO NE’ M. MONTECCHIO EMILIA QUATTRO CASTELLA REGGIO EMILIA REGGIO EMILIA REGGIO EMILIA REGGIO EMILIA REGGIO EMILIA RUBIERA SALVATERRA CASALGR. SAN MARTINO IN RIO SAN POLO D’ENZA VILLA MINOZZO CAMPAGNOLA LA SPEZIA
SUPERELITE FIUMICINO NETTUNO OSTIA POMEZIA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA
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LIETI A CAPODIMONTE GIUSEPPE BUONOCORE, 57/59 DEI CIMBRI ORAZIO, 145/G VITTORIO EMANUELE III 17/21 VOCCA, 17 PIETRO DEL PEZZO, 34 ZANOTTI BIANCO, 32/28 MADONNA DI FATIMA, 160 SAN LEONARDO, 15 LUCIO PETRONE, 37 FILIPPO SCIARAFFIA, 21
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VIA VERDI 1 VIA BERTI, 6 VIA SAN PIO V N. 7 VIA CORTICELLA,186/12 VIA G. DI VITTORIO 70 VIA PUNTA N. 1 VIA BETTONI 16 VIA MOLINI 57/59 VIA MARCONI 1 VIA ADIGE 250/R VIA FALCONE, 9 VIA CUNEO N. 47 VIA UGO DA CARPI N. 62 VIA VOLTURNO N. 73 VIA STATALE N.46/C VIA CIRCONVALLAZIONE,111 VIA CAVOUR,41/D VIA NOBILI 91/C VIA SAN GIOVANNI BOSCO N. 53 VIA GIARDINI 346 VIA MAGENTA, 72 VIA FALCONE E BORSELLINO 40/C VIA S.LEONARDO,348/350 VIA XXIV MAGGIO N.20 V.G.C.ROSSI ANG.V.PALLASTRELLI VIA MONTANARA N.4 LARGO RISORGIMENTO VIA DEI RIVI PIAZZALE MARCONI N. 37 VIA CADUTI SUL LAVORO, 12 VIA APPIANI 10 VIA L.DA VINCI 17/19 VIA IRENEO AFFO’ N° 6 ROTATORIA M.R. GANDOLFI 31/38 VIA GRAMSCI 9 VIA SILVIO PELLICO,5 VIA S. MORSE 14/A VIA PROVINCIALE PER PARMA,6 VIA FAENTINA 8 VIA BORRI, 2/L VIA RASORI - LOC. BARCO VIA KENNEDY N. 12 VIA ZUNA MAGNANI 1/A VIA RADICI NORD 31/T P.LE DORANDO PIETRI 1 VIA S. CONTI 70 VIA MORANDI, 3/A VIA A. FERIOLI 18 VIA COLONNA,9 VIA A.DE GASPERI,37 VIA ARMSTRONG N. 2 - LOC.FOGLIANO VIA REPUBBLICA, 27 (RIVALTA) VIA PRAMPOLINI N. 20/22 VIA A. LIGABUE, 1 VIA DELL’ARTIGIANATO VIA RAMPOGNANA VIA DON PASQUINO BORGHI 22 VIA GRANDE N. 5 VIA SARDEGNA 17/A
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VIA DELLA SCAFA, 184 VIA ALCIDE DE GASPERI, 14 VIA FEDERICO PAOLINI, 48 VIA DEI CASTELLI ROMANI, 2 VIA A. G. RESTI 19 VIA DI SANT’ALESSANDRO, 380 VIA SALISBURGO, 20/32 VIA DELLA SETA, 27 VIA DELLA TECNICA, 164/D VIA ANNA FRANCHI, 10 VIA APPIA NUOVA, 472 VIA ARNO, 1 VIA DI CASTEL DI LEVA, 273 VIA CAVOUR, 232 VIA CRISTOFORO COLOMBO, 1780 VIA DELLA FARNESINA, 251/259 VIA LAURENTINA, 980 VIA MAGNAGRECIA, 97/A VIALE DELL’OCEANO INDIANO, 180
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DO YOU speak DIZIONARIO DEL MONDO BARBECUE
BBQ
GLOSSARIO BBQ
Ogni mondo ha la sua parlata e se vuoi entrare in quel determinato mondo, devi imparare il suo codice, in qualsiasi lingua sia. È quello che dice la filologia, la disciplina che serve (anche) a ricostruire i documenti letterari nella loro forma più originale: è filologicamente molto più corretto chiamare le cose coi loro nomi originali piuttosto che usare le traduzioni.
pietanza cotta a bassa temperatura in presenza imprescindibile di fumo, ma anche lo strumento utilizzato per cucinarla o l’occasione in cui questa stessa pietanza viene mangiata.
Chiaro, no? L’unica cosa da fare è studiare. Se vuoi entrare nel mondo della pasticceria, userai termini come macaronage e craquelin. Se vuoi essere uno di noi, userai rub e bark. Quindi continua ad arricchire il tuo lessico del bbq, proseguendo con la lettera B.
Bear Paws Artigli appuntiti in plastica o me tallo, dotati di maniglia, utilizzati per pullare (sfilacciare) la carne.
Baby Back Ribs Negli Stati Uniti dal costato intero vengono ricavati due tagli di costine (che in inglese si chiamano ribs): Baby Backs e Spare Ribs. Partendo dall’osso spinale, dove le costole sono più piccole e incurvate, si ottiene il taglio Baby Back, che è lungo circa 12 cm. Barbacoa o Barbecoa 1) Il nome che i caraibici hanno dato ad una griglia in legno sulla quale conservavano e cucinavano le carni 2) in Messico è la preparazione che prevede la cottura della testa del bovino, o di altri animali interi (capra, maiale, agnello), all’interno di una fossa rivestita in foglie di agave e riempita di rocce calde. Oggi le carni vengono avvolte in fogli di alluminio, coperte o cotte in forno. Barbecue (anche: barbecue, barbecue, Bar-B-Q, Bar-B-Que, Bar-BCue, ‘Cue,’ Que, Barbie, Q) Nove ortografie e almeno una dozzina di definizioni. Barbecue è una 66 - BBQ4All MAGAZINE
Bark La crosta superficiale, brunita e croccante, che nasce dall’interazione tra il rub (il mix di spezie), la carne e la Reazione di Maillard.
Beer Can Chicken (BCC) Ricetta culto per gli appassionati di griglia, si tratta di un pollo cotto intero in modalità indiretta, pratica mente “seduto” su una lattina di birra, o su un supporto dedicato. Leggenda (sfatata) vuole che la birra contenuta nella lattina intenerisca le carni dall’interno. Black & Blue Carne di manzo quasi carbonizzata all’esterno e “blu” (43°-49°C) all’interno. Prende anche il nome di “Pittsburgh”. Blue Smoke Fumo rado ma costante, dai riflessi blustri, emesso dalla combustione incompleta di chips o chunk di legno aromatico Boston Butt La porzione di spalla assicura il corretto apporto di collagene, mentre la coppa apporta la giusta quantità di grasso, gusto e succosità. Il Boston Butt lavorato correttamente comprende al suo interno la scapola (“paletta”), la cui presenza assicura un buon apporto di sapore. Il sezionamento squadrato e la grande com-
pattezza completano l’insieme. Bricchetti (Briquets o Briquettes) Capsule di carbone pressato e mi scelato con additivi, che ne aumentano la resa calorica. Brine/Brining “Wet Brining” sta per salamoia, ovvero una soluzione di acqua e sale, “Dry Brining” significa cospargere la superficie dell’alimento con il sale. Nel Wet brining il sale si dissolve nell’acqua e penetra nella carne, ma non tramite osmosi, come ti sarà capitato di leggere spesso. Sia la salamoia che il brining a secco aumentano l’umidità interna della carne e la sua aromaticità. Brisket La punta di petto del manzo. E se hai letto fin qui sai già tutto quello che c’è da sapere sull’argomento. Bullet Smoker verticale a forma di pallottola (bullet), come il Weber Smokey Mountain. Bun Il panino semi dolce, soffice e tondo, utilizzato nella preparazione degli hamburger. Burnt Ends Le estremità abbrustolite e croccanti del point del brisket, spesso tagliate a cubetti e servite nel jus (sugo) del brisket o aggiunte ai baked beans (fagioli stufati). Butt over Brisket Quando un Pitmaster cucina carne di maiale e brisket insieme, posizionando il primo sul secondo. In questo modo il grasso del maiale gocciola ed insaporisce il manzo sottostante.
MAIL CLASS LA SERIE DI EMAIL DIDATTICHE DI GIANFRANCO LO CASCIO
Cercare informazioni, metterla in fila, filtrarle e poi farne un compendio presume una grande voglia di mettersi in gioco, ma soprattutto una grande disponibilità di tempo.
TEMPO CHE SPESSO, PURTROPPO, NON HAI. La buona notizia è che possiamo aiutarti. Non solo a mettere ordine alle informazioni, ma soprattutto a rendere la conoscenza semplice ed immediata attraverso una serie di mini-lezioni che ti permetteranno, già dalla prima, di cambiare totalmente il tuo approccio alla scelta e alla preparazione della carne. L’obiettivo di BBQ4All è mettere nelle tue mani lo strumento che ti permetterà di scegliere, selezionare e cuocere al meglio qualunque pezzo di carne, e meglio di chiunque altro. Tutto questo potrai ottenerlo, a partire da subito, dedicandoti per 5 minuti alla lettura di una breve mail che ti invieremo ogni giorno, gratuitamente.
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RUBRICA a cura della BBQ4All UNIVERSITY
#CHIEDIALCOACH
coach Dario “ZeroSbatti” Salbego
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DAVIDE BELLONI chiede: #chiedialcoach l’evoluzione dello snake, dalla testa alla coda. risponde DARIO SALBEGO Ti è mai capitato di dover cucinare una determinata preparazione per molte ore, magari non potendo rimanere a sorvegliare il tuo dispositivo come una guardia svizzera? Dimmi la verità, tra timer, deleghe varie a tua moglie (o compagna) e sudori freddi dovuti all’insicurezza, quanto ti sei goduto il piacere della cottura? Ricordo che durante le mie primissime cotture non mi staccavo mai dal dispositivo per più di cinque minuti, a causa della paura degli sbalzi di temperatura o addirittura per paura di non ritrovarmi pronto con il combustibile per un eventuale rabbocco. Poi ho scoperto il Sacro Graal di tutti i griller, il minion method. In breve, il minion method consiste nel disporre bricchetti di carbonella accesa accanto a bricchetti spenti, che per contatto si accenderanno lentamente. La lenta combustione va a generare quindi un ciclo virtuoso, dove i bricchetti accesi prendono il posto di quelli esauriti, garantendo una temperatura costante, senza la presenza di fiamma e quindi del fumaccio nero e puzzolente. Per i kettle, questo metodo prende il nome di snake method, o “lo snake” per gli amici. Occorre creare un serpente, costituito da bricchetti di carbone spenti, disposti lungo il bordo del braciere; procedendo all’accensione dello snake e versando i bricchetti accesi solo ed esclusivamente ad una delle due estremità, si dà inizio al sistema di innesco continuo che abbiamo visto per il minion method. A questo punto, trovo eticamente giusto informarti che esistono due grandi scuole di pensiero: la prima, ti dice di posizionare i bricchetti spenti tutti in fila, allineati come bravi soldatini, posizionando due file sotto e una sopra o tre file sotto e due sopra, ottenendo un effetto scenico spettacolare. L’altra… beh, l’altra è regolata dallo Zerosbatti, e io, che modestamente ne ho fatto uno stile di vita, tendo a buttare alla rinfusa i bricchetti. Attenzione, non vuol dire che li butto lì e me ne sbatto! Diciamo solo che li posiziono in ordine sparso, ottenendo sempre un serpentone compatto ma senza impazzire durante la sistemazione. Come dico sempre, non posso impiegare più tempo a posizionare i bricchetti che a cuocere. Ricorda: più uniforme sarà il tuo serpentone, più uniforme sarà il mantenimento della temperatura. A questo punto arriva il primo dilemma che tutti, ma proprio tutti i griller meno esperti si pongono: quanti bricchetti devo accendere? La risposta più sincera che mi sento di darti è: non lo so, dipende. Ci sono molte variabili da considerare: temperatura di esercizio, composizione del serpentone, temperatura ambientale, per dirne alcuni. Il consiglio che ti posso dare è quello di prepararne in più e posizionare sull’estremità dello snake quelli che servono, in modo da non metterne troppi o troppo pochi rispetto alla sezione del percorso. Quelli in avanzo ti serviranno nel caso in cui tu abbia sottostimato il calore prodotto, andando ad aggiungerne di volta in volta. La seconda grande domanda che solitamente viene posta è: quanto lungo deve essere questo snake? Come faccio a sapere che non si esaurirà il carbone prima della
fine della cottura? La risposta è presto detta: crea il tuo serpentone riempiendo i ¾ della circonferenza della griglia braciere e separa la testa accesa dalla coda con l’ausilio di un mattone. Indicativamente, ad una temperatura di 110 gradi il tuo kettle se ne starà bello e tranquillo per almeno 8 ore (condizioni atmosferiche escluse). Se la tua cottura dovesse concludersi prima, ti basterà solamente chiudere le bocchette di ventilazione sotto e sopra e, nel giro di 20 - 25 minuti, le tue braci saranno spente. Se invece la tua preparazione richiedesse più ore, ti basterà solamente aggiungere bricchetti spenti al posto di quelli esauriti, allungando così il tuo snake. Per assurdo, in questo modo la tua cottura potrebbe continuare all’infinito. All’interno della Premium Community potrai trovare inoltre molte altre testimonianze e stratagemmi attuati non solo da Coach esperti ma anche da altri tuoi colleghi di griglia.
MARCO GEROMETTA chiede: il fondo Bruno: si può utilizzare i sughi delle cotture Barbecue? Consigli e controindicazioni risponde ALESSANDRO COLUSSO Il fondo bruno, chiamato nella cucina francese ““Fond de veau”, fa parte di una pratica intelligente che prevede l’uso degli scarti, ossia di quello che la cucina frenetica di oggi tende più semplicemente a buttare via. Il fondo bruno non è altro che un fondo di cottura, una preparazione composta da: - elementi aromatici come carote, aglio, sedano, alloro, rosmarino ecc.. - elementi nutritivi come ossa e carcasse. Di fatto, è una salsa densa e ricca di sapore, caratterizzata da una tostatura in forno (detta anche imbrunitura) delle ossa, successivamente trasferite in pentola, sfumate con vino e fatte bollire in abbondante acqua o brodo, fino al raggiungimento di una riduzione. Di solito, sono da preferire ossa di animali giovani, perché più ricche di collagene. Cosa ha in comune il fondo bruno con i succhi di cottura barbecue? Sono entrambi fondi di cottura ma differiscono nella tecnica di preparazione (manca la tostatura) e negli ingredienti di partenza (si utilizza carne e non ossa, di conseguenza in generale i succhi risultano più grassi). Ne consegue quindi che è assolutamente possibile utilizzare i succhi di cottura delle preparazioni barbecue (proprio come facciamo anche nei corsi BBQ4All) ma non si otterrà un vero fondo bruno inteso in senso classico, quanto piuttosto un’altra salsa, certamente non meno buona. Questa tecnica di recupero dei succhi di preparazioni barbecue prevede che, una volta sgrassato il succo di cottura, si aggiungano a quest’ultimo brodo e altri elementi aromatici; successivamente si crea una riduzione che andremo a usare per arricchire di sapore l’alimento da cui ha avuto origine. Questa salsa in un certo senso potrebbe essere definita un “fondo bruno veloce”. GENNAIO 2019
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ALEX ALBERTI chiede: L&S: gestione dell’umidità in camera e dello stallo. Il foil è una soluzione o un trick for dummies che impedisce risultati top? risponde FILIPPO VASSANELLI Quando ci si approccia ad una cottura Low&Slow, sono molte le variabili da affrontare che possono far pendere l’ago della bilancia dalla parte di un glorioso successo o dalla parte di un clamoroso insuccesso. Svariate sono infatti le criticità che si affrontano quando andiamo a mettere un pezzo di carne nella nostra griglia con coperchio: dalla gestione della tempe ratura alla densità dell’affumicatura, dalla percentuale di umidità presente in camera di cottura al classico dubbio “ma foil sì o foil no?”. Le difficoltà si incontrano spesso quando ci approcciamo al L&S per le prime volte, quando magari stiamo più attenti ai dettagli e perdiamo di vista il risultato finale. Ma cos’è il risultato finale? Cosa vogliamo ottenere da una cottura a bassa temperatura di un ammasso di proteine in un dispositivo chiuso? Vogliamo ottenere un pezzo di carne che sia morbido e succoso allo stesso tempo, con una (più o meno marcata) nota affumicata che avvolga il palato, e un crosticina croccante e saporita che sfidi a duello le nostre papille gustative. Focalizzato il nostro obiettivo, come ho detto prima intervengono diversi fattori, che ai pitmaster più in erba possono sembrare disgiunti e indi pendenti, ma che in realtà appartengono allo stesso piano dimensionale. In queste righe analizzeremo la triade umidità, stallo e foil. Come sappiamo, una delle caratteristiche imprescindibili di una cottura L&S è la presenza di fumo aromatico che va a dare quel sentore caratteri stico all’alimento presente in griglia. Il fumo per sua natura è composto da una parte corpuscolata (o corpuscolare) e da una parte gassosa. La prima, ovviamente, è quella che interessa a noi in quanto formata da tutte le sostanze che danno l’aroma (e non solo) durante la cottura. Durante il L&S, il coperchio chiuso ci permette di saturare la camera di cottura con queste molecole, in modo da accelerare una reazione chimica fra queste ultime e l’alimento presente in griglia. Reazione che produrrà il 70 - BBQ4All MAGAZINE
caratteristico sapore di affumicato. Uno dei fattori che favoriscono que sta reazione è la presenza di umidità all’interno del nostro dispositivo, ottenuta solitamente posizionando un contenitore riempito con dell’acqua (water pan), possibilmente calda per velocizzare il processo di evapora zione. Il vapore acqueo in sospensione ottenuto grazie al calore fornito dalle braci favorisce il trasporto delle molecole aromatiche, velocizzando l’assorbimento delle stesse dal nostro alimento in cottura. Una camera ricca di umidità, tuttavia, sfavorisce la formazione della crosticina croccante e profumata, must immancabile di una cottura alla griglia, che prende il nome di bark. É risaputo infatti che le reazioni che creano questa crosticina (che prendono in maniera semplificata il nome unico di reazione di Maillard) sono favorite da un ambiente secco: l’umidità rallenta o addirittura inibisce il processo. L’utilizzo di un water pan poi ha il pregio di stabilizzare la temperatura intorno ai 100/110°, ma ha anche il difetto di stabilizzare la temperatura intorno ai 100/110°. No, la frase pre cedentemente scritta non è un refuso se seguite un semplice ragionamento che coinvolgerà anche il secondo protagonista della triade, lo stallo. Nel L&S per definizione vogliamo ovviamente fissare la temperatura del dispositivo in un range che si attesta fra i 100°C ed i 120°C. Un contenitore pieno d’acqua che eva pora all’interno del dispositivo stesso mi stabilizza la temperatura, il che è sicuramente un vantaggio. Ma se per caso avessi bisogno di un aumento della temperatura, magari per superare la fantomatica e temuta fase di stallo? Ma cos’è questo stallo? Spieghiamolo con un semplice esempio. Supponiamo di monitorare la temperatura di una data quantità di ghiaccio messo in una pentola e fatto scaldare lentamente fino all’ebollizione e successiva evaporazione. Il grafico che si verrà a creare avrà un punto di partenza (semplificando 0 stato solido dell’acqua) e un punto finale (semplificando 100 stato gassoso dell’acqua). La linea che congiungerà lo stato iniziale e lo stato finale non sarà retta, bensì avrà un appiattimento intorno ad alcune temperature ben precise. Queste temperature
coincidono con quelle del cambiamento di stato dell’acqua: da solido a liquido e da liquido e gassoso. Il calore assorbito è usato non più per innalzare la temperatura, ma è sfruttato per favorire il cambiamento di stato della sostanza stessa e prende il nome di calore latente. E questo stallo quindi? Semplice: provate a sostituire un pezzo di carne col ghiaccio dell’esempio pre cedente. Nel cuocerlo, l’acqua, i grassi, le proteine e tutto il resto assorbiranno calore e innalzeranno la temperatura alla ciccia, ma ad un certo punto questo stesso calore verrà usato per un cambiamento di stato dei componenti stessi: dei grassi per sciogliersi, delle proteine per denaturarsi e così via. Lo stallo quindi non è altro che quel momento in cui il nostro pezzo di carne ha bisogno del calore fornito non più per innalzare la sua temperatura interna bensì per attuare tutti i processi fisico/chimici per completare la sua trasformazione da crudo a cotto. A livello pratico, il termometro a sonda inserito nel cuore dell’alimento non monitorerà più un aumento costante della temperatura ma resterà in qualche modo bloccato ad una data temperatura, che può variare dai 56° ai 70°. Quanto può durare lo stallo? Da poche decine di minuti a diverse ore, dipende anche dalla materia prima e dal suo spessore. Si capisce bene che non sempre, sopratutto a livello casalingo, si ha il tempo di aspettare un pomeriggio intero o più per superare questa fase. Quindi come riusciamo a fare riprendere l’aumento di temperatura interna di un brisket o di un pulled pork? Beh, semplice: basta innalzare la temperatura. Aspetta un momento però: ho il water pan, una camera satura di umidità per una perfetta affumicatura ed una temperatura magicamente stabilizzata per un L&S di 110°; è un peccato rovinare una così perfetta situazione. Come posso ovviare alla cosa? Detto e fatto, si parlava di triade. Manca il terzo protagonista, compagno di umidità e stallo, aiuto e tecnica imprescindibile per un grillmaster: il foil. Il foil è un accorgimento che consiste nell’avvolgere l’alimento in variabili strati di foglio di alluminio con del liquido, in modo da creare
un ambiente ermetico e chiuso ricchissimo di umidità. Una camera di cottura nella camera di cottura del dispositivo, come una matrioska. Ok, ma perché mi fa superare lo stallo? Anche qui, semplifichiamo utilizzando un esempio di un mondo che mi è caro: quello del running. Supponiamo di andare a fare 10 km di corsa, prima in un altopiano molto secco e poi in una bella località dei Caraibi. A parità di condizioni (scarpe, vestiario, temperatura, percorso) dove vi sentireste più accaldati e perché? Indubbiamente nella loca lità dei Caraibi, che non permette tramite la sudorazione del corpo una fluida dispersione del calore dello stesso. Il clima umido ed il suo vapore acqueo infatti inibiscono que sto processo permeando la superficie della nostra pelle. Bene immaginate ora il foil come i Caraibi e la ca mera di cottura del dispositivo come l’altipiano molto secco. L’umidità estre mamente maggiore presente nel foil inibisce la dispersione di calore del pezzo di carne, favorendone di fatto l’aumento di temperatura e di conseguenza il superamento della fase di stallo. D’altro canto l’elevata umidità presente potrebbe compro-
mettere la formazione del bark attraverso la reazione di Maillard che come detto prima è favorita da un ambiente secco. Sul tavolo quindi ora abbiamo un risultato di cottura da ottenere e 3 fattori di cui conosciamo i principi di lavoro e che aiutano o meno il raggiungimento di questo risultato: 1. l’umidità favorisce l’affumicatura ma inibisce la formazione del bark 2. lo stallo è uno step che difficilmente supereremo in tempi brevi sopratutto con pezzi di carne con un dato spessore 3. la tecnica del foil ci permette di superare lo stallo ma compromette la formazione del bark Con le carte che abbiamo ora in mano non ci resta che fare il nostro gioco, secondo i nostri bisogni e se condo la preparazione che andiamo ad affrontare. Difficile non andare in foil per la preparazione di un boston butt o di un brisket data la stazza dei pezzi che stiamo cuocendo ed a causa dello stallo che con ogni probabilità sopraggiungerà. Al contrario delle slab di ribs, data la loro sezione non im-
portante, potrebbero tranquillamente superare lo stallo facendoci evitare la fase di foil. Ricordiamoci inoltre che una caratteristica imprescindibile della no stra preparazione è il bark: evitiamo di andare in foil se esso non è ben formato e magari evitiamo il water pan nel caso avessimo un dispositivo grande come uno smoker molto carico di ciccia (l’umidità che si genererà dovuta alla materia prima presente sarà sufficiente per favorire l’affumicatura). Gioco forza, un ruolo dominante è dato dall’esperienza: personalmente evito il foil con le già sopracitate costine ma lo uso per tutte le altre preparazioni L&S, non considerandola una tecnica for dummies bensì un aiuto innegabile una volta appresi i principi che si celano dietro. PS. Non mi sono dimenticato di rivelarti il metodo per riconoscere lo stallo, che risponde a questa semplice regola tramandata da grillmaster a grillmaster: se hai il dubbio di star affrontando una fase di stallo, allora sei proprio in una fase di stallo.
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GIANLUCA CASTRO chiede: X una Maillard da sballo, è possibile avere una lista di zuccheri riducenti? E questi possono essere aggiunti oltre che in superficie nelle marinature e produrre cmq gli effetti desiderati? risponde VIRGILIO BRUNETTI Per risponderti, permettimi di fare un discorso più ampio. Una bistecca bollita e una bruciata sono i risultati estremi di una cottura andata male; sono assolutamente sicuro che chiunque si sia sporcato le mani davanti ad un grill abbia ottenuto almeno una volta un fallimento del genere. Nella foga di una grigliata con tanti amici affamati ho visto cose che voi umani non potreste neanche immaginare: sette chilogrammi di salsicce, bombette e ali di pollo su una griglia di 20 centimetri poggiata su una brace ancora poco accesa, oppure 15 chilogrammi di carbone accesi a temperatura di fusione del tungsteno per 3 fettine sottili di coppa e 2 costate di vitellone (mi raccomando magre). Risultato? Una catastrofe gastronomica! Chiunque, nella ricerca di un risultato, incappa inevitabilmente in piccoli fallimenti che però devono portare
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a porci la giusta, doverosa domanda. Lo stesso dottor Maillard più di un secolo fa si angustiava vedendo i suoi esperimenti andare male. Il dottore era alla ricerca di uno dei più importati capisaldi della biochimica ossia la sintesi proteica, nel suo laboratorio giocava con le proteine, si accorgeva spesso che, invece di ottenere una sintesi pulita, nelle sue provette si andavano a formare strane melme brune dal caratteristico aroma. In realtà ciò che per Maillard costituiva una reazione chimica andata a male, non era altro che la reazione tra aminoacidi e zuccheri che costituivano una variabile non prevista dei suoi esperimenti. Nella storia della scienza le scoperte più rivoluzionarie nascono dall’attenta analisi di un errore. “Tutto inizia con una scelta, ma è la domanda che ti ha spinto fino a qui” (cit.): cos’è la Reazione di Maillard? La reazione di Maillard è l’essenza stessa della cottura, la senti quando cuoci il pane, nel caffè appena tostato, nell’aroma dei biscotti, nella carne ben arrostita, in un fondo bruno. Ti voglio dire anche un’altra verità: non è corretto parlare di reazione ma di reazioni, infatti la complessità
di questo processo chimico ha una variabilità così elevata che ancora oggi i chimici lavorano per classificare tutti i possibili prodotti a partire da una schiera relativamente bassa di molecole, ossia amminoacidi (circa venti), cioè i mattoncini che costituiscono tutte le proteine degli zuccheri. Questi devono manifestare proprietà riducenti (quindi vanno bene i cosiddetti aldosi come il glucosio, il mannosio, lo xilosio, il galattosio), mentre i chetosi non contenendo un gruppo funzionale con proprietà riducenti (come ad esempio il fruttosio) e, risultando meno attivi, danno luogo ad un mecca nismo e a prodotti di reazione ancora differenti. La reazione di Maillard richiede energia per essere attivata e alcune semplici ma necessarie condizioni. Nei nostri corsi insegniamo a ricreare queste condizioni in poche e semplici mosse. Tutto ciò stupisce la maggior parte dei no stri corsisti, che in una mattinata si ritrovano in mano le tecniche base per poter gestire la cottura al fuoco perfetta. Le condizioni e le tecniche che bisogna considerare e conoscere per una cottura corretta sono: tempera-
tura, umidità, materiali dei supporti di cottura, tipologia e qualità degli alimenti, pH e seasoning La temperatura gioca un ruolo cruciale nella cotture al fuoco. Molte reazioni chimiche stentano ad avvenire se non c’è una spinta energetica; il range ideale perché la reazione di Maillard avvenga con efficenza è 140-180 gradi Celsius. Sembra una banalità sottolinearlo ma la reazione di Maillard avviene esclusivamente sulla superficie dell’alimento: avrete sicuramente notato che le reazioni di imbrunimento avvengono esclusivamente all’esterno del cibo, salvo che non sia ridotto in singoli piccolissimi pezzi come accade nel trito di carne per un ragù o una brunoise per un soffritto; per cui il modo più efficiente per trasferire il calore è per contatto con una superficie calda oltre che per irraggiamento e convezione. In definitiva se vi trovate una bistecca bollita l’errore potrebbe essere una temperatura di cottura troppo bassa o avete sovraffollato la griglia con troppa ciccia; se invece la superficie dell’alimento è nera e amara con un bell’aroma di fuliggine,
allora la temperatura è veramente troppo alta, chimicamente è avvenuta una reazione extra Maillard detta pirolisi, una delle tante reazioni che si attivano nella cotture degli alimenti. Queste reazioni parallele non sono sempre dannose ma contribuiscono in una certa misura a dare complessità al bouquet di aromi di un cibo grigliato. La pirolisi dello zucchero semolato viene utilizzata in cucina per ottenere il caramello: il risultato è tutt’altro che spiacevole, vero?
asciugare e poi asciugare. Dopo aver asciugato, devi asciugare e poi ungere con un grasso. Noi mediterranei amiamo l’olio extravergine di oliva, ma ti dico la verità: non è la scelta migliore, dobbiamo usare un grasso più stabile alle alte temperature e che dia il minore impatto aromatico possibile. Meglio un olio d’oliva semplice di buona qualità o l’olio di arachidi. L’olio ha il compito di trasferire calore più efficientemente, dal metallo della griglia all’alimento.
L’umidità è il nemico numero uno della reazione di Maillard. Quando gli alimenti sono umidi, a contatto delle superfici calde del dispositivo di cottura fanno precipitare le temperature delle superfici stesse: è come se buttassimo dell’acqua sulla brace, generando un vapore acqueo che stabilizza la temperatura del no stro alimento a 100 gradi (temperatura dell’acqua a ebollizione) e non ci sarebbe modo di schiodarla da lì finché tutta l’acqua non è evaporata. Il risultato sarebbe una splendida cottura a vapore. Se vuoi una crosticina perfetta sulla tua carne la devi asciugare, asciugare, asciugare,
I materiali sui quali eseguiamo le cotture al fuoco sono piuttosto importanti, ovviamente parliamo di metalli o meglio delle leghe con cui sono forgiate le griglie. Acciaio, acciaio smaltato e ghisa sono quelli che prenderemo in considerazione. Questi materiali devono accumulare una quantità di calore molto alta e rilasciarla efficientemente nel tempo. Le performance migliori le otteniamo con le griglie in ghisa, un materiale che accumula tantissimo calore e lo rilascia gradualmente e lungamente nel tempo. Consideriamo esclusivamente le griglie perché l’uso di pia stre e padelle sminuisce secondo GENNAIO 2019
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me i risultati di una cottura al fuoco. Una griglia infatti permette la percolazione degli umori degli alimenti sulle superfici roventi sottostanti la griglia (carboni, pietra lavica, barre aromatizzanti in metallo o ceramica) che vaporizzano istantaneamente gene rando la complessità aromatica tipica delle cotture a fuoco diretto. Questo processo si chiama affumicatura natu rale e dona autenticità alla grigliata. Inoltre, ti sarà capitato di sentire che una griglia usata rende meglio di una nuova di pacca; questo perché la reazione di Maillard è autocatalitica ossia è facilitata se le superfici di cottura presentano tracce di prodotti di reazione di cotture precedenti (ma questo non ti autorizza a non pulire la griglia, piuttosto deve suggerirti che in alcuni casi condizionare la cottura degli alimenti con una brevissima cottura diretta può avere effetti più che inte 74 - BBQ4All MAGAZINE
ressanti, anche in cotture lunghe che richiedono temperature basse come il L&S e le cotture in sous vide). La tipologia e la qualità degli alimenti sono un altro check point. Tutti i substrati biologici commestibili, sia animali che vegetali, sono costituiti da cellule che sono essenzialmente fatte di acqua e macromolecole: ossia zuccheri, proteine, grassi, acidi nucleici. Tutte queste molecole possono partecipare a vario titolo alle reazioni di Maillard. Dal punto strettamente chimico abbiamo bisogno essenzialmente di amminoacidi e zuccheri riducenti ed una buona quantità di energia sotto forma di calore. Nota: una reazione chimica è una interazione tra molecole che vogliono combinarsi una con l’altra per dare origine ad una molecola del tutto nuova che viene chiamata prodotto
di reazione. Immaginiamo che le molecole coinvolte in una reazione chimica siano le tessere di un Domino: queste si combineranno solo se saranno libere le combinazioni tra i numeri rappresentati sui lati delle varie tessere. In questa partita a Domino, le tessere che rappresentano gli amminoacidi sono di circa 20 tipi diversi e possono combinarsi con un numero relativamente basso di zuccheri riducenti. Finché le tessere rappresentate dagli zuccheri sono singole, ossia zuccheri semplici detti monomeri, come fruttosio, galattosio e glucosio, la combinazione è relativamente facile, basta dargli il giusto calore. Il problema è che la maggior parte degli zuccheri possono essere variamente complessi ossia costituiti dall’assembramento di più tessere dove la facce che si appaiano a quelle delle tessere degli amminoacidi sono coperte. Il sacca-
rosio, il comune zucchero bianco, è un dimero di glucosio e fruttosio che non reagisce con gli amminoacidi, perché il gruppo riducente è impe gnato nel legame tra i due monomeri. Affinché il saccarosio possa diventare uno zucchero utile alla reazione di Maillard lo dobbiamo modificare facendolo diventare uno zucchero invertito, bisogna semplicemente solubilizzarlo in acqua e aggiungere qualcosa di acido ottenendo un comune sciroppo. Così possiamo truccare la partita. Allo stesso modo, zuccheri più complessi come gli amidi e l’inulina presenti in vari prodotti vegetali come aglio, cipolla, patate, topinambur possono dare ottimi risultati semplicemente trattandoli con una soluzione acidulata attuando una comune idrolisi acida. Possiamo in definitiva sfruttare una vasta schiera di alimenti che contengono zuccheri riducenti, quali sciroppi di saccarosio (Golden Syrup), succhi di frutta e i loro derivati fermentati; vini e aceti, malto di cereali e suoi derivati fermentati; le birre, il latte e i suoi derivati, il miele, il succo d’acero, il succo d’agave. Devi però sapere che nella carne di manzo, soprattutto se di elevata qualità e con una adeguata maturazione, troviamo zuccheri riducenti sufficienti perché possano avvenire le reazioni di Maillard: infatti dalla naturale degradazione delle cellule del muscolo bovino si liberano sufficiente ribosio (lo zucchero riducente presente negli acidi nucleici) e amminoacidi liberi perché la reazione possa avvenire senza particolari aggiunte; se la carne è finemente marezzata, avremo anche sufficiente grasso per poter fare una cottura perfetta senza nessun artifizio. Certo, a volte trovare una carne di tale qualità è quasi come trovare la pietra filosofale . Seasoning e pH: fatta eccezione per le carni bovine di qualità supersonica che trovate nel nostro Megastore, non
tutte le carni hanno zuccheri sufficienti perché la reazione di Maillard possa avvenire in maniera decente, spesso carni più povere come il pollo, tendono a carbonizzare nelle stesse condizioni di cottura piuttosto che formare quella magnifica cro sticina aromatica, punto di arrivo e orgoglio di ogni griller rispettabile. Le molecole brune aromatiche e saporite che vogliamo sulla superficie delle nostre preparazioni hanno bisogno di un aiutino. Ti ho già detto che ogni cibo che deve arrivare alla griglia deve essere asciutto e unto, ma se non bastasse dobbiamo prima prenderci cura di lui dandogli quel plus di zuccheri riducenti che ottimizzeranno la cottura. Il seasoning è una serie di tecniche che permette di rendere migliore quasi ogni tipologia di alimento destinato alla cottura a fuoco e non. Marinate, salamoie, salse e rub saranno i nostri alleati, semplicemente perché saranno in grado di aggiungere ciò che manca alla carne in termini di zuccheri e amminoacidi. Quando lavoriamo la carne con una marinata, la base acida e zuccherina che andiamo ad utilizzare agisce superficialmente, ma ci vorrà un tempo adeguato perché si arricchisca di tutte quelle sostanze che andranno a valorizzare la cottura. Negli articoli del Prof. Bressanini c’è una nota importante riguardante il pH. Il pH è una condizione che influisce in maniera significativa sulla reazione di Maillard, infatti, sebbene tutte le tecniche di seasoning utilizzino componenti acide, un pH basso tende a rallentare la rea zione rispetto ad una condizione di pH neutro o basico. Da una parte l’acidità rende disponibili maggiori quote di zuccheri riducenti, dall’altra la reazione tende ad essere inibita. Tuttavia l’uomo ha evoluto il suo palato a percepire come gradevoli e sicure sostanze lievemente acide e dolci (frutti maturi ad esempio) piuttosto che basiche o amare, che vengono invece percepite dai nostri recettori gustativi come disgustose e
pericolose. Di conseguenza, solo in alcune condizioni molto specifiche è possibile lavorare alzando il pH: ad esempio possiamo vederne direttamente l’efficacia su alcune tecniche di panificazione, come la cottura del pane tipo pretzel, che viene precotto in una soluzione di soda caustica che dona lo splendido colore bruno a questi lievitati, dovuto appunto ad una reazione di Maillard particolarmente intensa. Questi pochi punti di riflessione saranno la tua chiave d’accesso ad una cottura al fuoco più consapevole. Seguendo i nostri corsi si viene ca tapultati direttamente in un mondo nuovo dove bistecchine lesse, pollo bruciato e verdurine carbonizzate saranno solo un lontano ricordo. Un’ultima cosa: le aggiunte degli zuccheri sull’alimento non amplificano la connotazione dolce quando viene cotto, perché gli zuccheri vengono letteralmente consumati e trasformati in centinaia di molecole dal caratteristico colore bruno e dalle spiccate proprietà aromatiche, che possono avere un sentore tostato, nocciolato, arrostito, e che offrono un’entusiasmate varietà di combinazioni. Si può utilizzare una serie di sostanze come i moderatori di pH (bicarbonato, citrato e ascorbato), latte in polvere (che fornisce sia proteine della caseina e lattosio), proteine delle uova (famoso trucco della maionese), proteine idrolizzate da soia, frumento e uova. Queste sostanze possono essere un valido aiuto in marinate, salse di glassatura e rub ma non prescindono mai da una tecnica di cottura adeguata e dalla qualità degli alimenti che deve essere sempre elevata. Fonti Le Scienze Blog“ La scienza in cucina di Dario Bressanini http://bressanini‐ lescienze. blogautore.espresso.repubblica.it/ http://www.chimicare.org
“Vuoi entrare a far parte della Community di appassionati di barbecue e grilling più grande d’Italia? Iscriviti a
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ADVANCED TRAINING CLASSES Grill to Perfection - Smoke to Perfection EVEN TS C’è una profonda differenza che passa tra l’essere bravi e l’essere i migliori. Ed è la stessa differenza tra il cuocere bene un pezzo di carne e offrire ai tuoi commensali la bistecca più buona mai provata in vita loro.
I percorsi BBQ4All University ti aiuteranno a raggiungere questo obiettivo e se saprai applicare tutti gli insegnamenti del tuo Coach il risultato sarà scientificamente garantito.
Filippo Dubsky de Wittenau La mia recensione sui corsi “Grill to Perfection” Ieri ho avuto modo di partecipare al mio primo corso: il GTP. Esperienza davvero positiva sia per i contenuti del corso, sia per lo scambio di esperienze con coach e corsisti. Altra caratteristica fondamentale è stata l’assaggio della carne del Megastore (oltre a tutto il resto che era comunque spaziale), nello specifico delle stupende NY Strip di Black Angus USA, a mio parere Prime, davvero squisite. Se prima ero “scettico” ora so che ogni tanto un ordine vale davvero la pena di farlo. Buona ciccia a tutti!
Alberto Arshia Afshan La mia recensione sui corsi “Smoke to Perfection” Ad ogni corso imparo sempre di più, acquisisco più sicurezza nello svolgimento delle cotture, conosco sempre gente nuova che ha la mia stessa passione, si ride si scherza e alla fine si mangia bene. È un investimento che faccio su me stesso e sono pienamente soddisfatto. Ringrazio i coach per la Loro professionalità e simpatia, e se devo essere sincero mi dispiace che con lo SMOKE TO PERFECTION si concluda il ciclo di studio. Viva la ciccia e grazie ancora a tutto lo staff BBQ4All per essere sempre disponibile nella risoluzione dei nostri problemi.
Salvatore Barillari La mia recensione sui corsi “Grill to Perfection” Salve a tutti. Sabato 25 ho fatto il corso GTP2 e che dire: semplicemente straordinario e travolgente. Si continua a conscere e ad apprezzare tecniche e metodi nuovi su tutto quello che riguarda tagli di carne, preparazioni e temperature. Per non parlare del coach, gran persona, davvero preparato. Un grazie ancora al coach e a BBQ4All di averci teletrasportati in questo fantastico mondo! The show must go on.
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SPUNTINO LETTERARIO - RUBRICA a cura di PAOLO TUCCI
SPUNTINO
LET TERARIO
Il lavoro del gastronomo è senza ombra di dubbio il più difficile che ci sia. Egli infatti non è solo un vizioso amante di ristoranti stellati, trionfatore delle sagre di paese, eterno giornalista in incognito odiato da chef e maître D’, giudicante spina nel fianco di ogni amico che voglia condividere con lui “la ricetta del pollo (stracotto, NdR) di mia madre, provala non te ne pentirai!”. Il gastronomo è una persona normale alla quale è però richiesto in modo continuativo uno sforzo non banale: dimostrare di possedere un’opinione bilanciata e fine conoscenza di qualsiasi cosa l’umanità abbia ritenuto o riterrà opportuno definire cibo. Per poter sostenere questa gravosa ed eccitante responsabilità, il gastronomo saggio, fra un’indomita impresa culinaria e l’altra, di tanto in tanto e senza esagerare, ritempra le forze e affila il proprio senso critico con lo
ANTIPASTO
strumento più utile che ci sia dopo il Maalox: la lettura. Pensando di farvi cosa gradita dopo i bagordi delle feste ho pensato di imbandire per voi un gustoso spuntino letterario ad impatto calorico zero, assemblato attingendo a biblioteche gastronomiche italiane ed estere. Un antipasto della tradizione, un corposo primo piatto e un dessert con poco zucchero e molta creatività: sono questi gli spunti(ni)concreti che ho scelto per intraprendere insieme una prima spedizione nel vastissimo universo delle scienze gastronomiche. La cultura dopotutto è il vero potere, il principale ingrediente che ogni weekend ci rende supereroi capaci di trasformare un freddo ammasso di atomi in una succosa bistecca, per la gioia nostra e dei nostri commensali. Buona lettura e buon appetito!
LA SCIENZA IN CUCINA E L’ARTE DI MANGIARE BENE di PELLEGRINO ARTUSI
“ per riuscire […] basta la passione, molta attenzione e l’avvezzarsi precisi : poi scegliete sempre per materia prima roba della più fine, chè questa vi farà figurare”. P. Artusi
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Autore del primo ricettario italiano capace di raggiungere le centinaia di migliaia di copie vendute, Pellegrino Artusi, nato a Forlimpopoli nel 1820, cresce nella Romagna verace e papalina della prima metà dell’800. Figlio di un droghiere benestante, unico maschio di sette figli, grazie ai frequenti viaggi di lavoro prima al seguito del padre e poi da solo, fu esposto sin da giovane alla realtà gastronomica del nascente Regno d’Italia. Proprietario di una fiorente attività di commercio tessile da lui avviata, dedicò la sua vita di scapolo impenitente alla scoperta delle delizie gastronomiche (e non) del Bel Paese, che ebbe cura di registrare e successivamente pubblicare nel volume La Scienza in Cucina, nel 1891. Le sue non sono ricette dalla struttura scontata, riportanti pesi, grammature e (orrore) tempi di cottura, ma veri e propri racconti di viaggio che fotografano gusti, tecniche, ingredienti e profumi di un’Italia ancora artigiana in cucina, traboccante di pietanze gustose e abbinamenti indovinati, dove l’arte di arrangiarsi viene
mescolata alla creatività e ai prodotti del luogo. Il Cacimperio, gustosa fonduta di fontina mescolata a burro fuso e uovo; le Cotolette di vitella di latte alla Milanese con battuto di prosciutto, prezzemolo, parmigiano e l’odor dei tartufi; la Lingua dolceforte, il Bue garofanato, il Risotto alla Cacciatora con lardo, prezzemolo e aglio; pietanze che fanno salivare e udire sfrigolii di immaginari arrosti cotti sui carboni ardenti nel camino di un’osteria ferrarese. Gli aneddoti si mescolano a consi gli, norme igieniche, poesie e motti latini, indicazioni dietetiche, nozioni base di matematica per il calcolo di pesi e volumi; un fiume in piena che detta scienza, intesa come economia domestica, proveniente dalla vulcanica esperienza dell’Artusi e dal suo amore per la cucina. Un patrimonio gastronomico di un’altra epo ca che sarebbe prezioso riscoprire, studiare e riadattare alle tecniche e strumenti di cottura disponibili oggi. Che sia giunta finalmente l’ora di scrivere la “Scienza in Cucina : BBQ edition”?
Ricetta n° 43
R I S O A L L A C A C C I AT O R A O D E L L ’ O S T E S S A tratta da “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi
«Un negoziante di cavalli ed io, giovanotto allora, ci avviammo al lungo viaggio, per que’ tempi, di una fiera a Rovigo. Alla sera del secondo giorno, un sabato, dopo molte ore di una lunga corsa con un cavallo, il quale sotto le abilissime mani del mio compagno, divorava la via, giungemmo stanchi ed affamati alla Polesella. Com’è naturale, le prime cure furono rivolte al valoroso nostro animale; poi entrati nello stanzone terreno che in molte di simili locande serve da cucina e da sala da pranzo: - Che c’è da mangiare? - domandò il mio amico all’ostessa. - Non ci ho nulla, - rispose; poi pensandoci un poco soggiunse: - Ho tirato il collo a diversi polli per domani e potrei fare i risi. - Fate i risi e fateli subito - si rispose - che l’appetito non manca. - L’ostessa si mise all’opera ed io lì fermo ed attento a vedere come faceva a improvvisar questi risi. Spezzettò un pollo escludendone la testa e le zampe, poi lo mise in padella quando un soffritto di lardone, aglio e prezzemolo aveva preso colore. Vi aggiunse di poi un pezzo di burro, lo condí con sale e pepe, e allorché il pollo fu rosolato, lo versò in una pentola d’acqua a bollore, poi vi gettò il riso, e prima di levarlo dal fuoco gli diede sapore con un buon pugno di parmigiano. Bisognava vedere che immenso piatto di riso c’imbandí dinanzi; ma ne trovammo il fondo, poiché esso doveva servire da minestra, da principii e da companatico. Ora, per ricamo ai risi dell’ostessa di Polesella, è bene il dire che invece del lardone, se non è squisito e di quello roseo, può servire la carnesecca tritata fine, che il sugo di pomodoro, o la conserva, non ci sta male e perché il riso leghi bene col pollo, non deve essere troppo cotto, né brodoso. »
LA CICCIA
IL CIBO E LA CUCINA. SCIENZA E CULTURA DEGLI ALIMENTI di HAROLD MCGEE
FRANCO MUZZIO EDITORE, 2002 - 788 PAGINE Se per anni nel preparare un piatto, osservando la panna che monta o vedendo una bistecca mutare colore in frigo o in cottura vi siete chiesti quali siano le misteriose reazioni chimico-fisiche che governano que sti fenomeni, ecco che La Scienza e cultura degli alimenti del Prof. Harold McGee è il libro che fa per voi! Fra i primi testi ad indagare in maniera completa il rapporto fra scienza e cucina, questa bibbia di 788 pagine è da considerarsi fra i testi divulgativi fondamentali e di più facile accesso per approcciarsi alla chimica e alla fisica in cucina. Storia degli alimenti, tecniche di produzione, aneddoti, esperimenti ed analisi chimiche sono solo alcuni dei punti di vista che Harold McGee utilizza per indagare il mondo dei cibi e delle bevande. Diviso in capitoli che trattano i diversi settori merceologici come carne, pesce, uova, cereali senza escludere le bevande come vino e distillati, il libro ci rivela fra le altre cose quali
leggi della natura governino la produzione dei formaggi, come manipolare le carni per ottenere sapori, profumi e consistenze desiderate, i segreti per creare salse perfette e con una prosa garbata rende sempli ci metodi di cottura innovativi, fermentazioni ed approfondimenti sulla chimica dei cibi. Tale è la vastità dell’opera che qualsiasi sia il vostro interesse in campo gastronomico, nella Scienza e cultura degli alimenti troverete una guida sicura per iniziare ad orientarvi nel complesso e incredibilmente affascinante mondo della scienza in cucina. Libro da sfogliare con calma e da tenere a portata di mano nel weekend per sessioni hardcore di ricerca e sviluppo o in caso di dibattiti accesi fra grillers. Estremamente utile come oggetto da lancio nel caso il coinquilino gallese che abita con voi svuoti accidentalmente la vostra collezione di spezie rare da rub nel lavandino perché ha finito i barattoli da passata (true story). GENNAIO 2019
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LA GRAMMATICA DEI SAPORI E DELLE LORO INFINITE COMBINAZIONI
IL DESSERT
di NIKI SEGNIT
GRIBAUDO EDITORE, 2011 – 400 PAGINE Niki Segnit, britannica esperta di marketing e cuoca provetta, resasi conto di seguire in maniera quasi maniacale ricette che sembrano standardizzare tutto e togliere fantasia all’atto creativo del cucinare, si pone come obiettivo quello di indagare la sfera del gusto a 360°. L’autrice vuole capire come i diversi sapori lavorino insieme rimanendo libera di improvvisare ed inventare accostamenti in qualsiasi situazione e con qualsiasi prodotto, creando un proprio modo di esprimersi in cucina, un linguaggio unico, personale e flessibile. Non potendo indagare tutti gli alimenti esistenti, la Segnit sceglie arbitrariamente 99 sapori e li riunisce in gruppi quali le carni (maiale, manzo, fegato), il pesce, le spezie (noce moscata, cannella), facendoli dialogare per semplicità in coppia, regalandoci una lista composta da più di 1000 abbinamenti, alcuni vicini ai gusti del lettore italiano, altri più legati a dinamiche della cucina internazionale. Se il matrimonio fra carne di manzo e chilli piccante, tipico della cucina Tex-Mex del sud degli Stati Uniti, è ormai entrato a far parte delle nostre consuetudini alimentari, l’esplosione di gusto che si ricava accostando la ciccia di qualità e il cocco stupirà il
più nazionalista fra i nostri lettori. La Segnit non si limita solo a fornirci un’idea astratta ma la elabora attraverso i suoi viaggi e le sue esperienze a tavola, fornendo suggerimenti corredati da ampie digressioni. L’abbinamento manzo-cocco ci narra quindi di un beef rendang indonesiano, manzo stufato nel latte di cocco arricchito fra le altre cose di scalogno, aglio, zenzero o galanga, chilli e citronella. Preparatevi ad avere la casa invasa da profumi celestiali che vi faranno volare in una foresta tropicale del sud-est Asiatico, mentre lentamente tutto il liquido contenuto nella pentola evapora estraendo sapore e creando una riduzione dove la carne viene lasciata friggere negli olii essenziali del cocco; un big bang dei sensi che è solo uno dei tantissimi spunti che troverete in questo prezioso volume. La Grammatica dei sapori è un libro perfetto sia per il novizio che inizia a cucinare, sia per l’esperto che vuole rinfrescare le proprie abitudini alimentari con una lettura leggera, che non ci impone ma ci suggerisce come usare il nostro gusto e la nostra testa per dipingere nuovi orizzonti culinari. Quando sperimenterete, non dimenticate di invitarmi a cena!
IL MANZO l sapore del manzo è soprattutto salato e umami, con vaghe note dolci o agre (e amarognole se la carne è al sangue). Il suo sapore è lineare, ricorda il lievito e… la carne, con una leggera nota metallica alla fine e poco del carattere selvatico che si riscontra in agnello e maiale. Il sapore dipende dalla varietà, da come l’animale è stato allevato, dal taglio e dal metodo di cottura. Il manzo allevato al pascolo ha sapore più intenso di quello alimentato con cereali. In genere la carne bovina trae beneficio dalla frollatura, in quanto il sapore si fa più profondo e ricorda la selvaggina. È ottimo con verdure e frutti di mare, come le altre carni, ma ha un’affinità particolare con i sapori pungenti o piccanti, per esempio rafano e senape. Manzo & Aglio: l’aglio esalta il carattere virile del manzo. Servite una costata di manzo con purè di patate all’aglio o preparate una salsa per fettine sottili di manzo teriyaki sbollentando una manciata di spicchi d’aglio sbucciati 80 - BBQ4All MAGAZINE
in brodo di manzo e quindi frullandoli. Oppure praticate qualche taglio in un pezzo di carne per arrosto e infilatevi delle lamelle fini di aglio. Manzo & Bacon: persino il manzo può trarre beneficio dal sapore intenso del bacon. La carne conservata, come appunto il bacon, enfatizza il sapore del manzo e aggiunge un poco di grasso decisamente ben accetto. Del resto i tagli più magri si prestano sempre a venir lardellati, e gli arrosti già pronti sono spesso avvolti in fettine di pancetta. È più o meno lo stesso principio che si ottiene quando condite la pasta con la pancetta, o aggiungete dei lardelli al manzo alla bourguignon . In Germania, il bacon viene arrotolato tra fettine sottili di manzo, con senape e sottaceti: sono i celebri rouladen, o involtini alla tedesca. Da noi, i saltimbocca si preparano distribuendo prosciutto crudo e salvia su fette di carne magra di vitello prima di procedere alla cottura. Vedi Salvia & Prosciutto crudo.
SEGUO a cura di EMILIANO NENCIONI
SEGUO
- Scusate, voglio fare un brisket ma non ho un brisket, cosa posso chiedere al macellaio? - Fatti dare il biancostato, quello che usano per il brodo! - No, lascia perdere, non potrà mai venire bene, ti serve qualcosa di adeguato. - Cosa? Come puoi dire queste cose? Io sono macellaio, ti garantisco che... - man_eating_popcorn.gif - Io una volta ho cotto per 45 minuti un pezzo di petto di muccaccia e ti assicuro che tutti i miei commensali hanno gradito, in fondo dobbiamo pensare alla convivialità, questi scienziati hanno rotto, siete tutti professorini di me [BAN] - Un momento, un momento, ho io la soluzione. Fatti dare il “cappello del prete”. - Ciao, grazie per la risposta, però scusa, io volevo fare un brisket.
- Ah nessun problema, tu compri il cappello del prete e poi lo fai briskettato.
MOO B !
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Senti chiaramente MOOB quando qualcosa implode fragorosamente: è un’esplosione al contrario . Il primo ad aver detto “cappello del prete briskettato” deve aver scatenato proprio questo: certezze sgretolate, facce pensose, rielaborazioni dei concetti di Verità e Bellezza, pensieri laterali scaturiti in libertà. Da quel momento un pezzo di carne poteva essere, con un discreto successo, promosso a brisket: un sostantivo, che diventa participio passato, che diventa aggettivo ma che soprattutto pare infrangere una rigorosa barriera anatomica nella sottocultura delle preparazioni barbecue. Prima di proseguire, lettore, farò un po’ di chiarezza. Il cappello del prete, chiamato anche con mille altri nomi nella babele regionale delle macellerie lungo lo stivale, si ricava dal “chuck” del manzo, una zona nei dintorni della spalla. Puoi trovarlo molto spesso nel Megastore BBQ4All in tagli come Top Blade e ti vengono fuori delle bistecchine fantastiche. In questo numero ne abbiamo parlato. Il brisket, invece, è un taglio ricavato dal petto del manzo, tipicamente formato da due fasce muscolari sovrapposte (il flat, più magro, e il point, più ricco di grasso). Non si parla di bistecche, è spesso un oggettino di peso superiore ai cinque chili, da cuocere intero e da servire a fette. L’anatomia, dicevo poco fa: spalla contro petto. Non esattamente la stessa cosa. O sapore. O grandezza. Dopo l’iniziale clamore e le varie espansioni mentali dovute a questa piccola rivoluzione del briskettare, i più illuminati hanno iniziato a farsi delle domande e a trovare delle falle. All’inizio pensavamo fosse facile rintuzzare questo strano neologismo: “è brutto”, “per fare un brisket ci vuole un brisket”, furono le disorganizzate proteste: poveri illusi. “E allora il coniglio pancettato?” “E il filetto di maiale lardellato?” furono le prime resistenze. La situazione diventava complicata e il termine risultava orecchiabile e pieno di speranze per il tipico neofita che ancora non voleva arrendersi ad acquistare un brisket per fare un brisket. Servivano argomentazioni più precise, più tecniche. Che vuoi, i neologismi esistono. I prestiti da altre lingue ci sono sempre stati. La derivazione è considerata uno strumento fondamentale per l’arricchimento del lessico. Potrebbe essere un prestito di necessità, visto che nella lingua italiana non c’è un termine adeguato per l’espressione “fare un brisket”. Tutto a posto quindi? Sdoganiamo il termine e briskettiamo pezzi di manzo a caso? No, neanche per idea. Ci sono delle regole da rispettare. In due parole, non torna. É sbagliato su veramente tanti livelli. Prima di tutto, il brisket è un pezzo di carne e non un metodo di cottura. Il brisket è già brisket quando è ancora crudo, quando vi arriva in skin sigillata dentro gli isobox del Megastore. Il termine non regge, perché non è come tonnato che significa fatto col tonno, lardellato che significa arricchito con lardo e neanche come porchettato, che si riferisce 82 - BBQ4All MAGAZINE
a una preparazione e a un metodo di cottura. Non esiste la porchetta in natura. La preparate voi, con pezzi di carne specifici, e poi la cuocete in un certo modo. Quindi, porchettato ci sta: preparato a mo’ di porchetta. Il brisket invece è un pezzo di carne. Affinché la parola indichi un metodo di cottura è necessario un cambio semantico, che tuttavia non è avvenuto. Per fare un brisket ci vuole un brisket, continuavo a rispondere alla gente, con la flemma imperturbabile di Sergio Endrigo. L’obiezione non aveva mordente. - Sì va bene ma tanto ci siamo capiti - Tutti professori qua dentro? - A me piace, e poi è come la pasta risottata! - Tutti a fare gli scienziati, adesso gli amici si chiamano commensali, non si pensa alla convivialità - Comunque a me queste americanate non vanno giù, io la carne la griglio cinque minuti per lato e quindici sull’osso, e ogni volta posso percepire il mio testosterone che fluisce indisturbato. Insistere con la forza della ragione, parlando di cambio semantico e di parti anatomiche non avrebbe certo smosso di una virgola gli appassionati del tanto ci siamo capiti e quelli del vabè ma a me piace. Era il momento di sguainare il sarcasmo. Dire briskettato è come dire che hai pettopollato un coniglio. Che hai fusillato le fettuccine. Che hai conigliato un pomodoro. Purtroppo, contrastare il briskettato suonava antipatico e elitario, come voler togliere qualcosa che piaceva alle masse. Quindi, come spesso succede, scoraggiare l’uso di qualcosa ha il risultato di farne prosperare l’uso clandestino. Allo stato attuale briskettato viene usato dai neofiti che hanno fatto un po’ di ricerche su google o nei gruppi, o direttamente per sbeffeggiare i suddetti neofiti facendone una grottesca caricatura. Un po’ come i simpaticissimi che fanno delle esclamazioni palesemente caricaturali aggiungendo tanti punti esclamativi alternati al numero uno. Nessuno più farcisce volontariamente i propri (troppi) punti esclamativi con degli 1, è una cosa ormai di uso esclusivo di trollettini e di figure che aspirano ad innalzare la simpatia generale. O di persone con dei pesanti limiti nell’uso produttivo di computer e tastiere in genere. La stessa cosa avviene per il cappello del prete bri skettato. Il cappello del prete, fatto in low&slow e con rub sale-pepe-aglio è decisamente buono, specie se la materia prima è di qualità, ma usare lo stesso rub e la stessa tecnica del brisket non promuove nessuna metamorfosi. Per cui, se decidi di usare il termine ricorda che non solo fai la parte del principiante assoluto confuso da un paio di ricerche su internet, ma anche quella del te stardo che non vuol accettare una spiegazione e molto probabilmente sarai preso di mira dai trollettini che sfottono. E da me.
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