MAGAZINE
N°5/ANNO 1 - MAGGIO 2019
SP EC IA LE
PULLED PORK L’EDITORIALE DI GIANFRANCO LO CASCIO
GLI ERRORI DA NON FARE SE LO VUOI PERFETTO #CHIEDIALCOACH COME CONSERVARLO IN VASETTO LO SMOKE RING ANCHE L'OCCHIO VUOLE LA SUA PARTE
MAIL CLASS LA SERIE DI EMAIL DIDATTICHE DI GIANFRANCO LO CASCIO
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EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO
UN PERFETTO
PULLED P O R K TUTTI NON DEVI
GLI ERRORI CHE
COMMET TERE
Il successo non è tutto, è l'unica cosa. Perché okay, sbagliare ti rende umano, ma perseverare ti fa sembrare un po' gonzo. E poi, onestamente, ci sta che per imparare bisogna provare, provare, provare (cit.) ma al quarto pulled pork che finisce nel bidone dell'umido un po' mi girano le vent out. A te è mai capitato? Io dico di sì. Ti sei fatto in quattro, che dico, in trentadue, per trovare il taglio giusto, sei venuto pure alle mani col macellaio, e quello mena forte. Un'ora per ricamare un trimming da incorniciare, hai anche comprato la siringa nuova, mezza giornata per macinare le spezie del rub, poco che non stai preparando il tiramisù, metti in cottura pregando un pantheon tutto tuo, rimani lì a vegliare lo smoker, nella gioia e nel dolore, eppure il bastardo sta nascondendo uno spettacolo sotto il coperchio che sono certo non ti piacerà. Il risultato di tutti i tuoi sforzi è un manufatto a metà tra un reperto etrusco e una zolla di bitume. Secco, ma proprio arido forte. Tu non ti dai per vinto, provi comunque a pullarlo. E sorpresaaa: quelli non sono sfilacci di carne, ma riccioli di betulla islandica, il tuo pork si disintegra come una mensola dell'angolo delle occasioni Ikea. Meno male che è arrivato il numero di Maggio del BBQ4All Magazine, dedicato a una delle preparazioni della Holy Trinity del Barbecue americano.
Almeno in teoria, preparare un Barbecue Pork (sarebbe più corretto chiamarlo così) in modo perfetto dovrebbe essere semplice e lineare: prendi un pezzo di spalla di maiale e lo cuoci, classicamente con il metodo low&slow, finché non diventa tenero al punto da sfaldarsi o, per dirla nel nostro gergo, da pullare. Facile, no? No. Per arrivare al punto in cui la carne perde la sua struttura tenace e diventa morbidissima, tenerissima e succosissima, sciogliendo il collagene - una delle proteine del tessuto connettivo - in gelatina, è necessaria tutta una serie di accorgimenti che ti saranno chiari solo dopo averne preparati a decine. Ma che dico a decine? Sicuramente più di 37. In questo numero troverai diversi articoli che ti spiegheranno come si prepara il pulled pork in tutte le sue fasi, da come servirlo ai tuoi ospiti al rub perfetto da usare (uno spoiler? Il nostro Tennessee è la polverina magica che ti serve), da come conservarlo per lungo tempo a come condirlo. Io, invece, voglio ragionare al contrario. Voglio dirti tutto ciò che NON devi fare, gli errori che proprio non devi commettere perché il tuo barbecue pork sia leggendario. Ti assicuro, gli sbagli che trovi in elenco qui sotto li hanno fatti tutti, prima o poi, Zio compreso (poche volte però). Quindi adesso mettiti comodo, apri una birretta e continua a leggere. MAGGIO 2019
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1° errore: scegliere il taglio sbagliato. Facciamo un esperimento di mentalismo. Alza la mano se ti è mai capitato di fare questo ragionamento: se il Pulled Pork realizzato con un taglio povero come la spalla è così buono, quanto migliore sarà se realizzato con un taglio nobile come la coscia? Ti vedo. Sei lì con la mano alzata. Lo ammetto, quando ero un pischello alle prime armi ho formulato il tuo stesso identico pensiero e ci ho provato: il risultato è stato un ammasso di sfilacci di cartone tipo imballo da cristalleria. E sai perché? Molto semplice. Nel mondo delle idee, il maiale sfilacciato si può ottenere da qualunque taglio del suino, ma nel concreto dobbiamo creare le condizioni tali per cui calore, umidità e tempo degradino l’indeformabile collagene in tenera gelatina. Il taglio che ci serve deve avere la giusta quantità di grasso, che incrementa l'umidità e conferisce sapore, e deve avere anche una notevole quantità di collagene, che una volta convertito in gelatina diventa un incameratore di moisture molto efficace. La coscia di maiale è un taglio decisamente meno gras-
so della spalla e con un contenuto di collagene inferiore. Ecco perché è un taglio poco adatto. Scegli quindi uno di questi tagli e vai sul sicuro: Boston Butt (taglio americano): è IL taglio per eccellenza. La porzione di spalla assicura il corretto apporto di collagene, mentre la coppa conferisce la giusta quantità di grasso, gusto e succosità. Il Boston Butt lavorato correttamente comprende al suo interno la scapola (“paletta”), la cui presenza garantisce un boost di sapore. Il sezionamento squadrato e la grande compattezza completano l’insieme. Pic Nic (taglio americano): la presenza di una notevole percentuale di ossa sul totale amplifica il gusto, mentre la quantità di collagene è, forse, sovrabbondante. Si tratta di un taglio più economico e dalla resa inferiore, ma ti permette di realizzare un Pulled Pork con caratteristiche abbastanza simili a quelle del Boston Butt. Coppa di maiale (taglio italiano): buona quantità di grasso e quindi sapore intenso, il suo limite risiede nella quantità di collagene non ottimale. Il risultato sarà un Pulled Pork saporito ma che tenderà a disidratarsi abbastanza in fretta, per quanto il grasso assicurerà morbidezza e aromi importanti (che non sempre è un difetto). Spalla di maiale (taglio italiano): al contrario della cop-
BOSTON BUTT
PICNIC
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pa, qui abbiamo una gran quantità di collagene su un taglio abbastanza magro. Il Pulled Pork preparato con la spalla sarà poco saporito, aiuta molto utilizzare la variante con osso. 2° errore: fare le injection a casaccio In rete si leggono cose che voi umani... Le injection sono fondamentali per la riuscita di un ottimo pulled pork. Ma è inutile, oltre che deleterio, utilizzare sbobbe fantasiose fatte con: brodo di cinghiale, liquido di governo della burrata, olio quello buono di miocuggino, peperoncino, filetti di acciughe, capperi e basilico “perché voglio dargli un sapore più italiano”. Le injection devono avere un senso. La denaturazione delle proteine può avvenire anche per via chimica. Due elementi in grado di favorire questo processo sono il sale e l’acidità. Ecco perché è molto importante “pompare”, tramite una siringa, una salamoia acidificata all’interno del pezzo di carne qualche ora prima della messa in cottura. La dose ideale è un litro d’acqua, 40g di sale e 5 cucchiai di aceto di vino bianco/rosso/succo di limone/salsa Worcestershire. Da lì in poi si possono aggiungere aromi o grassi, ricordando sempre, però, che i sapori troppo forti (come aglio, spezie particolari, peperoncino) invece di esaltare il sapore della carne, tendono a coprirlo. La quantità di injection consigliata è del 10% rispetto al peso della carne. Questo, come sempre, in teoria: sarà la
tua esperienza a guidarti di volta in volta, a seconda del pezzo di ciccia scelto. Fai attenzione: le punturine devono essere dosate e a breve distanza l'una dall’altra, in modo da evitare ristagni di liquido. Inoltre, inizia a siringare dopo aver inserito l'ago nella carne ed estrailo progressivamente durante l’iniezione, per ottenere un risultato più omogeneo. Metti un grembiule perché iniettare è peggio che fare rafting. 3°errore: non capire quando usare il water pan Il Bark (lett. “corteccia”) è la tipica crosticina superficiale che si forma sui grossi tagli di carne sottoposti alla lenta ed inesorabile disidratazione delle basse temperature. Il pulled pork ideale deve presentare degli sfilacci che abbiano come cappello un Bark perfettamente aderente, più spesso, sapido ed intenso di quello di altre preparazioni barbecue. Il giusto grado di umidità all'interno della camera di cottura, quindi, sarà fondamentale per non trasformare il rub in una pappetta che si aggrappa ferocemente ai premolari. Non dirlo, so cosa stai per chiedermi: “devo o no usare il water pan per stabilire il giusto grado di umidità?” L'ho sentito dire spesso, “io il pork lo faccio senza water pan!”, come se farne a meno fosse una cosa da vero
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maschio alfa. L'utilizzo di questo strumento non c'entra nulla con il tuo livello di testosterone, e sono due le cose fondamentali che devi ricordare: 1. quanti pezzi di carne stai cuocendo? Una camera di cottura piena di spalle sarà probabilmente saturata di umidità dalla semplice naturale evaporazione della materia prima. Al contrario, una camera di cottura molto grande con una sola spalla all’interno necessiterà dell’ausilio di un water pan; 2. su quale dispositivo stai cuocendo? Con un bullet smoker avrai probabilmente la necessità di contenere l’umidità, con un offset smoker di intensificarla un pochino. Chiaro, no? 4° errore: ignorare cosa avviene durante la cottura A prescindere dalle due grandi scuole di pensiero sulla cottura, cioè “low&slow” e “hot&fast”, quello che proprio non devi fare è saltare la fase di Rest (mantenimento). Per fartela breve: alcuni sostengono che cuocere a bassa temperatura per più tempo sia meglio, altri invece preferiscono cuocere ad alta temperatura riducendo drasticamente i tempi. Il consiglio che ti do è questo: diffida da chi si schiera in modo netto per l’una o per l’altra tecnica. Lo scioglimento del connettivo non avviene solo ad una data temperatura. La questione è che a determinate temperature questo processo si accelera in modo significativo, ovvero in un range compreso fra 70°C e 82°/85°C. A 85°C si registra il picco della velocità di scioglimento del connettivo. Questi 85°C però non fungono da “interruttore”: non è che arrivando a temperatura il connettivo si scioglie tutto per magia. Il punto è che mantenendo la carne a questa temperatura sto velocizzando il processo di scioglimento. Che comunque ci impiegherà, realisticamente, qualche ora. Ed è proprio qui che entra in gioco la fase di Rest, cioè di riposo. Maggiore è il tempo in cui lasci la carne all’interno di questo range di temperature, più completo sarà il processo di scioglimento. Ora, capisci bene che il modo in cui arrivi alla temperatura target è assolutamente ininfluente (low&slow/ hot&fast) se ti sei preoccupato di favorire la denaturazione per via chimica (injection di salamoia acidificata). Che cosa cambia, quindi, se lo fai lentamente o velocemente? Cambia l’effetto superficiale e quindi il sapore. Una cottura in low&slow, magari in foil, rende più critica la formazione e il mantenimento del bark. Una cottura in hot&fast incrementerà il sapore di “arrostito” grazie alla velocizzazione dei processi di cauterizzazione (reazione di Maillard). Ma di certo l’hot&fast non facilità né complica il processo di scioglimento del connettivo in gelatina; quello accadrà comunque, è solo una questione di tempo. Quali sono i pregi e difetti del low&slow? Gestione più semplice del processo di cottura a fronte di tempi più lunghi. Quali sono i pregi e difetti dell’hot&fast? Gestione mediamente più complessa a fronte di tempi sensibilmente più brevi e note “arrostite” più marcate. Resta inteso che senza il controllo della fase di scioglimento del connettivo, i due metodi non apportano ulteriori benefici. 5° errore: scegliere la materia prima con superficialità ıA
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Tutta questa fantastica discettazione perde ogni significato se chi la adotta non diventa prima di tutto un grande selezionatore di materia prima di qualità. L’età dell’animale, per esempio, determina il tipo di struttura del connettivo: immagina la coriaceità dei tessuti di un rinoceronte comparate a quelle di una quaglia. La degradazione enzimatica delle proteine post mortem (collagenasi, catepsine & co.) determina la solidità della struttura del connettivo di quel preciso animale che richiederà tempi di cottura sicuramente diversi rispetto a qualunque altro. Fondamentale è anche la quantità di grasso intramuscolare, che può dipendere da mille fattori: resta certo che il giusto livello di marezzatura e frollatura di una bestia faranno una differenza abissale rispetto ad un suo fratello magro e appena macellato. Soprattutto, la quantità di liquidi ritenuti nei tessuti e il pH della carne possono dare risultati completamente diversi. Devi quindi scegliere la tua materia con la consapevolezza di quello che vai a comprare. Sento dire spesso: “per il primo esperimento uso la carne peggiore, così non rischio di sciuparla”. Stampatelo bene in mente, perché ciò che ti dirò vale per il Pulled Pork come per qualsiasi altra preparazione. Se vuoi fare un primo esperimento senza rischiare di sciupare la tua preparazione gli unici accorgimenti che devi usare sono: studiare bene i procedimenti (in troppi si mettono a provare avendo letto qua e là distrattamente poche informazioni) e usare la ciccia di prima qualità. Sai perché? Perché con quella di scarsa qualità avrai
la certezza assoluta che la tua preparazione sarà un disastro. Sprecherai tempo e soldi, sarai frustrato e indispettito e soprattutto non potrai capire se quel risultato vergognoso sia dipeso da un tuo errore o solo dalla pessima qualità della carne. Facciamo quindi un breve recap. Per il Pulled Pork perfetto devi conoscere la tua materia prima, sapere quando è stata macellata, verificarne colore, odore e marezzatura. Poi devi procedere ad una preventiva denaturazione del connettivo inoculando una salamoia acidificata e lasciandola agire per alcune ore prima di andare in cottura. Quando sei pronto per cuocere, devi scegliere il tipo di bark che vuoi ottenere, seguendo l’una o l’altra scuola di pensiero, ma tenendo bene a mente che sono il mantenimento e il monitoraggio della fase di scioglimento del connettivo (cioè quella in cui la carne rimane per qualche tempo ad una temperatura minima di 85°C) che ti assicurano il risultato perfetto. Sai come si fa. Adesso sarà solo l’esperienza a fare la differenza. Provare, provare, provare. Da solo, purtroppo, ma senza paura di sbagliare: ogni errore ti avvicinerà al successo. E tu, che sei un lettore del BBQ4All Magazine, sbaglierai meglio degli altri. Braci e abbacchi Gianfranco Lo Cascio
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INDICE MAGGIO 2019 - NUMERO 5 ANNO 1
A PP RO FO N D I M E N TO
lo Smoke Ring anche l'occhio vuole la sua parte
I N T E R V I S TA Juan Manuel Lobato Palomero
selezionatore di Jamon
SPECIALE
PULLED PORK
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D U LC I S I N F U N D O
American Pie
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WINE CLASS inizia l'allenamento
accendete il naso
IL BBQ P E R P R I N C I PA N T I
Lo Accendiamo?
tutti i setup del dispositivo a carbone
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D I S POS I T I V I E ACC E SS O R I
il water pan
tutto quello che c'è da sapere
N O N S O LOCA R N E
Hamburveg
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BERE ! ABBINAMENTI CONSIGLIATI
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THE CHEMICAL GRILLERS
Brining: chapter one
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D I R E T TO R E E D I TO R I A LE
Rossella Neiadin
R E D AT T O R E C A P O
Michela Bongiorni REDAZIONE
Enio Berton, Virgilio Brunetti, Michele Chipa, Tommaso Di Gregorio, Salvatore Di Mento, Luca Gallozza, Mariangela Ibba, Gianfranco Lo Cascio, Alessandro Morichetti, Riccardo Meniconi, Emiliano Nencioni, Carlo Trono, Paolo Tucci REALIZZAZIONE GRAFICA
Carlo Trono
GLOSSARIO BBQ
magazine@bbq4all.it instagram.com/bbq4allmagazine/
E R R ATA C O R R I G E gli articoli a pagina 41 e a pagina 50 del numero di marzo 2019 sono a firma di Tommaso Di Gregorio
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NICE TO MEAT YOU - INTERVISTE a cura di PAOLO TUCCI
DIRETTAMENTE DA MADRID TUTTO QUELLO CHE AVRESTI VOLUTO CHIEDERE
AD UN SELEZIONATORE DI
J A M ON
IBERICO DE BELLOTA
Questo mese abbiamo deciso di portarvi nel cuore della penisola iberica in una piccola cittadina appena fuori Madrid. Lì da più di 40 anni il nostro amico Juan Manuel Lobato Palomero insieme alla sua famiglia seleziona i migliori prosciutti di maiale iberico di Spagna, li fa maturare nelle sue cantine per poi venderli interi e affettati. Volendo indagare il mondo del vero Jamon spagnolo pensavamo di trovarci davanti un prodotto gustoso ma relativamente semplice. Con grande sorpresa abbiamo potuto degustare un vero e proprio universo, fatto da razze, incroci, alimentazione, tecniche di allevamento, controllo della qualità e alcuni preziosi segreti: una serie infinita di variabili che compongono l’anima di questo salume eccellente. In questa intervista e in alcuni articoli di prossima pubblicazione cercheremo di condividere con voi tutti i segreti di questa vera punta di diamante della gastronomia spagnola
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Nome? Juan Manuel Lobato Palomero, Juanma per famiglia ed amici. Di dove sei? San Sebastián de los Reyes, cittadina appena fuori Madrid, Spagna. Professione? Responsabile della qualità dei negozi Jamonalia a Madrid. Non conosco Jamonalia... Dal 1976 Jamonalia si occupa di trovare i migliori salumi ed insaccati spagnoli principalmente a base di carne di maiale iberico, farli maturare e offrirli ai clienti, educandoli alla complessità di sapori del vero prosciutto spagnolo, dal cebo and cebo campo, fino ad arrivare al prosciutto di maiale iberico alimentato a ghiande. All’interno dell’azienda di cosa ti occupi? Mi occupo della selezione di prosciutti, lombate, salsicce e salumi provenienti da tutte le regioni di Spagna. Il mio lavoro è principalmenæA
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te orientato al futuro, poiché devo acquistare con due anni di anticipo i tagli di qualità migliore che andremo ad offrire ai nostri clienti, pensando a come evolveranno durante la maturazione, garantendo così che i nostri prosciutti soddisfino i parametri ottimali di qualità e gusto. Un “affineur” di prosciutti insomma! Come hai imparato il tuo lavoro? Beh, non saprei dirti dove, o come, perché i miei primi ricordi sono di quando la domenica, ancora bambino, accompagnavo mio padre nel suo lavoro di selezione dei prosciutti. Avevo 5-6 anni, e sfrecciavo fra le gambe degli operai intenti a raccogliere ed appendere i prosciutti alle corde, giocando con i carretti dove veniva trasportato il preziosissimo carico, che al tempo per me rappresentava semplicemente “la merenda”. Correvo intorno ai prosciutti che si asciugavano e mio padre, preoccupato, urlava "Attento Juanma a non scivolare sul grasso a terra !!!” - quel grasso di maiale iberico che, fondendo a bassa temperatura, goc-
ciola giù dai prosciutti quando sono lentamente asciugati negli essiccatoi naturali ed esprime con il suo aroma la promessa del gusto succulento che verrà. Jamonalia . . . storia di famiglia? Assolutamente. Mio padre è arrivato a Madrid con i suoi genitori dalla campagna che aveva 13 anni e si è messo subito a lavorare. Ha iniziato nel settore alberghiero, in un bar che serviva colazioni ai muratori che si recavano al lavoro prima dell’alba. Da adolescente sbrigava commissioni e consegnava pacchi per diversi negozi di Madrid, e così ha incontrato quello che sarebbe diventato il mio nonno materno, che aveva un piccolo alimentari (uno di quelli che vende davvero di tutto) e che gli fece conoscere per primo il mondo dei prosciutti. Fu così che iniziò a lavorare in un negozio specializzato in prosciutti e salumi, in uno dei mercati più importanti della capitale. In poco tempo mio padre divenne l'uomo di fiducia del suo capo, che iniziò a portarlo in viaggio per trovare i migliori
produttori e allevamenti della penisola iberica. È stato allora che iniziò a ispezionare migliaia e migliaia di prosciutti ogni anno, il che gli ha permesso di imparare rapidamente a individuare i pezzi migliori e rimuovere quelli che non soddisfacevano i criteri di "cala" ottimali. Da lì ad aprire il suo primo negozio, il passo è stato breve. Perdonami, cos’è la Cala? La cala è un utensile di osso di cavallo molto appuntito con un piccolo manico di legno. Lungo circa 8-10 cm, lo utilizziamo per pungere il prosciutto o la spalla e verificarne qualità e stato di conservazione all’interno. Annusando l’aroma che rimane sull’osso possiamo capire lo stato di avanzamento della stagionatura di ogni pezzo e i possibili problemi come l’eccesso o mancanza di sale e lo sviluppo di microorganismi nocivi. L'incisione dovrebbe essere fatta rapidamente (2-3 secondi), portando l'utensile al naso per annusare gli aromi. Le articolazioni sono i punti ideali per l'inserimento dell’ago, in questo modo non si alterano i processi microbiologici caratteristici della lenta stagionatura del prosciutto iberico.
Nel tuo negozio ho visto prosciutti interi ma anche buste di prosciutto e insaccati già tagliati. Come mai? È vero che il prosciutto appena tagliato è uno spettacolo sensoriale, ma in una casa moderna è difficile poter tenere diversi giorni un prosciutto intero aperto nelle condizioni idonee che evitano che si asciughi o irrancidisca. Ho tre fratelli tutti cresciuti come me a pane e jamón, ricordo che in casa nostra un prosciutto durava appena una settimana, quindi ogni fetta conservava un aroma, gusto e aspetto sempre perfetti e appetitosi. Ma ora è difficile trovare un prosciutto in queste condizioni poiché le famiglie sono più piccole, consumano meno e più lentamente, e in molti casi le cucine o i luoghi in cui riporre il prosciutto sono più piccoli e meno attrezzati. Quindi se sai come tagliare il prosciutto e lo vuoi consumare tutto insieme durante un evento o una festa a casa festa ti consiglio l'intero pezzo. Ma se vuoi gustare durante una cena speciale o un momento particolare un prosciutto Iberico dal colore, aroma e sapore perfetti ti consiglio di aprire una busta sottovuoto. Basta avere cura di servirla fra i 20°
e 25 ° C per poterti godere ogni fetta, già tagliata alla perfezione da un maestro cortador specializzato. Prosciutto Iberico o Serrano. Cosa mi consigli? Due prodotti che pur essendo entrambi buoni sono come il giorno e la notte. L’iberico è quello che rende la Spagna esclusiva nel mondo perché, come dice la stessa parola, l'iberico fa parte della nostra penisola iberica. Qui abbiamo l'ecosistema perfetto che regala al maiale iberico il nutrimento più appetitoso ovvero le ghiande che cadono dai lecci e dalle querce da sughero delle dehesas di Extremadura, Salamanca, Huelva e Valle de Pedroches. Il prosciutto Serrano deriva da altre razze più comuni e producibili in tutto il mondo, quindi smette di essere qualcosa di esclusivo come è il nostro prosciutto iberico di bellota. Il taglio senza cui non puoi vivere? Senza alcun dubbio un Jamón de Bellota anche se, quando la parte della spalla è ben tagliata, se la gioca benissimo nelle degustazioni che organizziamo nei nostri negozi. Del maiale Iberico amo però selezionare e far assaggiare non solo il Bellota ma anche il Cebo, alimen-
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tato con mangimi selezionati, sia il Cebo Campo, alimentato a ghiande e mangimi tradizionali. Sono prodotti spettacolari perché il segreto è nella razza iberica nel suo complesso. Quando parliamo di Bellota, quindi maiale Iberico alimentato esclusivamente con ghiande, tengo sempre a specificare la percentuale della razza. In che senso la razza? Il maiale Iberico può essere legalmente incrociato con la razza Duroc, e a seconda della percentuale di incrocio si ottengono risultati organolettici sempre diversi. Aumentando la percentuale di maiale iberico il colore diventa più scuro e sapore e colore si concentrano diventando più forti. Non a tutti i clienti piace un maiale Iberico 100% alimentato a ghiande, alcuni preferiscono Cebo o Cambo o dei Bellota 50%. Se a casa o ad un evento ci sono persone diverse in termini di età o di gusti e chi ospita vuole accontentare tutti consiglio sempre un prosciutto bellota con un pedigree di 50% maiale iberico, ma per chi ha mangiato
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spesso Jamon e vuole goderselo ad esempio con un buon Sherry, allora suggerisco un 75% o 100%. In alternativa al prosciutto? Per gli embutidos preferisco il lomo, principalmente di bellota, anche se quando mi imbatto in un buon chorizo di campagna, non resisto e lo devo provare. C’è un prodotto eccellente che crea un nostro artigiano, lo fa benissimo, una morcilla iberica stagionata per minimo 70 giorni con una ricetta segreta che ti consente di percepire oltre alla sapidità del maiale, aromi e sapori squisiti di affumicato, cumino e paprika. Fuori dal mondo del maiale iberico scelgo sempre una riserva di cecina di vacca vieja, stagionata in essiccatori naturali tra i 15 ei 20 mesi e affumicata solo ed esclusivamente con legno di quercia. E se volessimo aprirci una buona bottiglia? Indubbiamente vini spagnoli pieni, grassi, come una buona manzanilla o uno sherry. Con un Jamon Ibérico
100% bellota, preferisco o uno sherry palo cortado o optare su vini rossi più leggeri provenienti dalla Ribera Sacra o a base di uva Tempranillo della Ribera del Duero. Per i vini italiani...sono io che chiedo a te Paolo! Abbinamento particolare : musica e jamón. Si può fare? Assolutamente sì. Personalmente sono cresciuto con il rock di Keith Richards, Nuno Bettencourt degli Extreme, Slash dei Guns and Roses o i Tesla e i Black Crowes. Quando,nel silenzio della sera, mi siedo a mangiare un buon jamón ibérico l’abbinamento perfetto per me è ascoltare il flamenco. Tutto un altro sapore! il tuo ricordo più bello in Jamonalia I viaggi che ho fatto con mio padre, imparando a scegliere il meglio del meglio e le prime riserve di prosciutti che ho creato io stesso. Belli sono quei momenti quando condivido un tavolo con agricoltori, allevatori di porci o contadini che ti raccontano tutti i dettagli segreti delle dehesas e delle linee di sangue antiche e pre-
ziose dei loro maiali iberici vecchie di generazioni. Penso che sia qualcosa che non ha prezzo, perché nulla di quello che raccontano potrà mai essere veramente scritto in un libro. Ogni stagione, ogni dehesa, ogni animale è unico. Cosa significa Jamonalia per te? Jamonalia significa, tradizione, esperienza, eredità, famiglia e sapore. Ogni persona che entra da noi viene per una ragione diversa. Un cliente può gradire più questo o quel prodotto, ma ciò che è chiaro che non potrà rimanere indifferente, perché in Jamonalia cerchiamo di differenziarci da ciò che viene offerto nei grandi magazzini, supermercati o ipermercati. Il prosciutto è tradizione, dedizione ed è per questo che se vuoi qualcosa che ti sorprende devi andare nei negozi specializzati, perché è lì che c'è anima, passione e soprattutto criterio nella scelta dei prodotti. Noi viviamo ogni istante per creare un’esperienza gustativa unica per i nostri clienti! Fantastico. Non vedo l’ora di tornare da voi per una degustazione. A presto Juanma! MAGGIO 2019
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WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI
INIZIA L'ALLENAMENTO
AC C E N D E T E
IL NASO 8 vini e una birra incredibile da annusare come segugi (i profumi del vino, terza parte)
La teoria della degustazione è nulla senza pratica e stappo compulsivo. Costruirsi un bagaglio olfattivo è affascinante come poche altre cose anche per chi, come me, ha una memoria pessima. Indiscutibilmente, i grandi vini del mondo offrono una gamma di profumi insuperabile per fascino, complessità e dinamismo: tanti odori che evolvono nel bicchiere e si rincorrono, non necessariamente intensi ma stratificati, cangianti. Alcuni memorabili. Iniziare subito da quelli, però, sarebbe un errore. Come salire in una Ferrari appena presa la patente: non hai gli strumenti per guidarla. Così tanta potenza e così poco controllo per godere fino in fondo. Meglio avvicinarsi per gradi ai grandi miti, stimolare il naso preparandolo alla complessità, allenarsi nel riconoscimento delle famiglie di profumi e lasciarsi suggestionare da vini di tutti i generi, senza preclusioni. Ho scelto 9 bottiglie che mi sembrano perfette per iniziare, “didattiche” e molto significative. Alcuni sono vini di cui è impossibile non innamorarsi follemente, quindi fate attenzione. Si comincia! ıA
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TAV E R N E L L O R O S S O
Esattamente lui. Il brik più bevuto in Italia. Un litro di vino cooperativo da decine di milioni di pezzi a poco più di un euro. Prototipo del vino industriale per eccellenza, chiarificato, stabilizzato e filtrato per essere sempre fedele a se stesso. Lo produce Caviro in uno stabilimento visibile dall’A14 all’altezza di Forlì che, a pieno regime, lavora giornalmente 850.000 litri di vino: quanti un artigiano da 30.000 bottiglie l’anno ne produrrebbe in una vita. Terribile? Al contrario: liquido pensato e studiato per piacere a tutti stando nel mezzo, senza eccessi. Un po’ di profumini di frutta rossa ma non troppi, un po’ di corpo ma non troppo, un po’ di profondità gustativa ma di certo non troppa. Ormai 6 anni fa feci il giochino di far assaggiare il Tavernello Rosso alla cieca in una fiera dei vini naturali. Nessuno che lo riconobbe, nessuno che parlò di vino “chimico”, “industriale”, “banale”. A forza di togliere e pulire, non ci sono tanti profumi ma è un inizio perfetto. Da provare come esercizio altamente istruttivo per poi bere altro. (O da servire, alla cieca, agli amici per divertirsi un po’. Specie a chi dice di capirci).
L AM B R U SCO D I S O R BA RA RA D I C E , PA LT R I N I E R I
Il giorno in cui Dio inventò l’unto maialoso delle pork ribs bevve Lambrusco, nella Bibbia è scritto di sicuro. Quello dei Lambruschi, in realtà, è un micromondo a sé che parla emiliano. Impossibile non dividersi tra Guelfi e Ghibellini, Don Camillo e Peppone, Sorbara e Grasparossa. Siamo nel cuore mondiale del vino frizzante, di nome e di fatto. Gente allegra il ciel l’aiuta e quando nasci tra Parmigiano Reggiano, mortadella, tortellini e culatello hai già fatto bingo. Sorbara è il lato rosa/rosso pallido e acidulo del Lambrusco e Alberto Paltrinieri è un nome di riferimento: se la denominazione negli ultimi anni ha riguadagnato un valore è anche grazie a lui. Viticoltura di pianura, rese sopra i 100 quintali per ettaro (quindi alte) e vendemmia spesso meccanizzata non farebbero pensare all’alta qualità ma il mondo è bello perché vario e imprevedibile. Radice è un Lambrusco di Sorbara in purezza e profuma di lamponi non troppo maturi e pompelmo, in un mix agrumato avvincente. Vino da merenda perfetto.
F O N TA N A D E I B O S C H I E M I L I A L A M B R U S CO, V I T TO R I O G RA Z I A N O
Dopo un pranzo da fine del mondo al Ristorante Laghi di Campogalliano, tempio dei Lambruschi e dell’Emilia a tavola, saliamo in collina verso Castelvetro di Modena. Qui troviamo l’uva lambrusco grasparossa e cambia tutto: il vino si fa scuro, viola/rubino impenetrabile come i profumi che virano su frutti di bosco, visciole, fragole acerbe e qualche spezia. Vittorio Graziano è un highlander di Castelvetro e sembra uscito da un film di Federico Fellini, giacca di pelle, ciuffo bianco ed eloquio schietto. Fontana dei Boschi è un vino introvabile: non si sa mai quando esce, non si sa esattamente l’annata (solo approssimativamete intuibile leggendo il codice del lotto di produzione) e rappresenta un piccolo gioiello artigianale. L’unico consiglio sensato che si possa dare trovandone in giro è comprarlo sempre e ovunque. Vino del cuore.
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F R A N C I A C O R TA B L A N C D E B L A N C S B R U T , C AVA L L E R I
Quanto mi piace questo Metodo Classico, ormai “classico” davvero per meriti acquisiti sul campo. Dopo due frizzanti rifermentati in bottiglia e senza sboccatura, opalescenti e nervosi, arriva una signora in giallo, elegante e affabile, bottiglia trasparente e dettagli dorati. Il Blanc de Blancs di Cavalleri, 130.000 bottiglie prodotte con solo chardonnay coltivato in biodinamica, è ben distribuito e risulta una scelta azzeccata per iniziare una serata alla grande senza strafare. Il naso è avvolgente e suggestivo, immaginate profumi di pan brioche, scorza d’arancia e pesca gialla insieme: dolcezza ma non solo perché poi il sorso ha ritmo. La presa di spuma di 24 mesi, il dosaggio all’imbottigliamento di soli 2 g/l di zucchero e un livello di solforosa totale decisamente basso per gli standard sono numeri abbastanza sterili per trasmettere davvero la piacevolezza complessiva di questo Franciacorta.
V E R D I C C H I O D I M AT E L I C A , C O L L E S T E FA N O Quanti italiani saprebbero indicare il comune di Matelica sulla cartina? Lo 0,0001% ad essere fiduciosi. Peccato! Perché qui nasce uno dei vini bianchi italiani che potrebbero affascinare il mondo, purtroppo ancora nascosto come la terra che lo ospita. Nell’unica valle marchigiana disposta da nord a sud, quindi al riparo dagli influssi marini, il Verdicchio si fa montagna, diventa severo e tremendamente affascinante per un carattere asciutto e penetrante. Collestefano è stata per anni una one wine winery, un’azienda che produce un solo vino. Con riflessi verdolini e dal profumo di erba medica, finocchietto, pesca bianca, mela verde e genziana. Tenuta nel tempo garantita, spesa intorno ai 10 euro, vino da prendere a bancali.
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G I A L L O D I C O S TA , D A N I E L E R I C C I Dai colli di Tortona, provincia di Alessandria, all’alta ristorazione di Milano (Contraste, stellato consigliatissimo), finendo sulla tavola di Belen Rodriguez, il passo è breve. Se parliamo dell’uva timorasso e della sua zona d’elezione è solo grazie ad una persona: Walter Massa ci crede da trent’anni e i risultati sono importanti. Giallo di Costa è una personalissima interpretazione di Daniele Ricci, che lascia il succo delle sue uve migliori, i grappoli perfetti, per 90 giorni a contatto con le bucce. Interventismo ai minimi termini e botti di acacia fanno il resto per questo bianco aranciato che ha fatto impazzire Belen in una recente cena: “ricorda il whisky” non è affatto male come descrizione, suggerisce profumi boschivi decisamente insoliti per un vino “bianco”. Poi probabilmente troveremmo miele di castagno, pesca e albicocca disidratate, agrumi canditi.
L AC R I MA D I MO R R O D’ A L BA S U P E R I O R E , S T E FA N O A N T O N U C C I Morro d’Alba non è famosa per il vino come Radda in Chianti né per i fiori come Sanremo ma dovendo indicare una bottiglia che sembra fatta mettendo tritolo dentro a un fioraio con la passione per le rose, quel vino sarebbe fatto con un’uva che si chiama lacrima e quel fioraio sarebbe Stefano Mancinelli, vero padre putativo della denominazione. Tra le colline marchigiane si nasconde questo gioiellino il cui profumo di rose è deflagrante, quasi ossessivo. Poi ci sono anche viole, frutti di bosco, olive nere e muschio, ma è la componente floreale a togliere il respiro
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V E R D U N O P E L AV E R G A B A S A D O N E , CAST E L LO D I V E R D U N O In terra di Barolo, dove il nebbiolo regna sovrano scortato da dolcetto e barbera, è difficile emergere ma a Verduno, comune da cui solitamente provengono Barolo raffinati e leggiadri, c’è una piccola chicca che si chiama Pelaverga. Nome curioso per un vitigno-vino rubino trasparente che al naso è indimenticabile: pepe, fragola e noce moscata. Spezie a nastro e un fruttino ad ingetilire. Quello del pepe è un profumo penetrante, caratteristico degli Schioppettino in Friuli Venezia Giulia, degli Shiraz australiani e della Vernaccia di Serrapetrona nelle Marche. Quando trovate uno di questi vini, ordinatelo convintamente e, a un certo punto, esclamate: “Ahh, senti come spinge il rotundone!” (che è la molecola responsabile del profumo di pepe). Successo assicurato.
G U E UZ E , CA N T I L LO N In chiusura, per aprire le porte della percezione, la birra più sconvolgente che vi possa mai sopraggiungere sotto al naso. Un monumento dell’arte brassicola che viene dal Belgio, più precisamente dal Pajottenland, sudovest di Bruxelles, patria delle birre a fermentazione spontanea (anche dette birre acide o sour beers). Niente di lontanamente paragonabile a cosa vi sia capitato di bere fino ad oggi. Attenzione però: il primo appuntamento di solito è terrificante. Se il lambic (rigorosamente al maschile) è una birra a fermentazione spontanea, tendenzialmente piatta, una gueuze miscela lambic giovani (con maturazione inferiore ai 6 mesi) e invecchiati. Cantillon è la quintessenza dello stile ma a spiazzare sono profumi acri, inizialmente respingenti, citrini e selvaggi, combinati ad una acidità devastante. Se qualcuno coniasse il descrittore “succhi gastrici” non mi stupirei. Cantillon mette in retroetichetta una data di “scadenza” che solitamente non è inferiore ai 20 anni. Per molti, però, l’approdo è senza ritorno perché la personalità contundente di una Gueuze Cantillon è perfetta alle 5 di pomeriggio come aperitivo ma anche alle 3 di notte dopo il whisky. Il concetto spiazzante ma empiricamente indiscutibile è che non esiste assaggio di qualsiasi bevanda al mondo che possa oscurare quello di una grande birra acida. Provare per credere.
E il prossimo mese ci facciamo un bel giro in Ferrari tutti insieme. MAGGIO 2019
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DISPOSITIVI E ACCESSORI - RUBRICA a cura di MICHELE CHIPA
WAT E R PA N
TUTTO QUELLO CHE C'È DA SAPERE SUL
Molto spesso si sente parlare, nelle varie ricette bbq, di water pan. Ed ogni volta sorgono le stesse domande: “A cosa serve?”, “Hai messo solo acqua oppure hai aggiunto altri liquidi?”, “E se ci mettessi sale o sabbia?”. In questo articolo vi darò le risposte alle domande più frequenti.
Cos’è il water pan? Il water pan non è altro che un contenitore per l’acqua. Il termine identifica un componente dei bullet smoker (affumicatori verticali) ma nel gergo comune si intende esteso, seppur erroneamente, a qualsiasi altro contenitore con bordi alti (vaschette di alluminio, teglia, etc). A cosa serve? Le funzioni del water pan sono molteplici. Alcune comuni a tutti i dispositivi ed altre specifiche per un determinato strumento. Funzioni comuni → la funzione principale del water pan è quella di aiutare la stabilizzazione della temperatura. L’acqua contenuta assorbe il calore e funge da volano termico (una volta arrivata a temperatura di ebollizione continua ad assorbire calore per mantenerla). Il vapore acqueo che si crea genererà umidità in camera di cottura e andrà ad agevolare un’affumicatura omogenea dell’alimento. Se dovete rabboccare l’acqua nel water pan, ricordatevi di utilizzare quella calda per evitare bruschi cali di temperatura. Funzioni specifiche per bullet smoker (affumicatori verticali) → poiché in questi strumenti il combustibile è situato in basso, il water pan funge da schermo protettivo per le griglie innescando, quindi, la cottura indiretta. Inoltre il pan diventa un’unica superficie radiante assicurando una omogeneità di temperatura sulla griglia. Funzioni specifiche per kettle → in questi dispositivi il water pan se posizionato sulla griglia carboni accanto al combustibile raccoglie i succhi della carne (diventando a tutti gli effetti un drip pan riempito di acqua). ææABBQ4All MAGAZINE
Si può riempire con altri liquidi per aromatizzare la cottura? La risposta è NON SERVE A NIENTE. In alcune cotture si inseriscono spezie nell’acqua per aromatizzare gli alimenti come per esempio in quella al vapore. In queste tipologie di cottura l’operazione è efficace perché il volume della camera dove sono posti gli alimenti è marginale. In un kettle, magari da 57cm di diametro, o ancor peggio in un bullet smoker di pari diametro è impensabile che il vapore generato dall’acqua contenuta nel water pan possa aromatizzare l’alimento, per un duplice motivo: in primis per la grande volumetria della camera di cottura che non permette un’aromatizzazione efficace; in secondo luogo perché l’aroma della affumicatura è molto più forte rispetto a quello del vapore.Quindi, nel water pan non vanno messi aromi per il semplice fatto che non ha alcuna utilità. Si possono usare sale e/o sabbia? Sia il sale che la sabbia fungono da volano termico in quanto assorbono calore e lo rilasciano gradualmente. Quindi entrambi possono essere usati quando non c’è necessità di ulteriore umidità in camera di cottura, per esempio quando è satura di alimenti, o quando contiene alimenti molto grassi che andranno (in autonomia) ad aumentare l’umidità. La sabbia ve la sconsiglio perché potrebbe, con l’impatto della caduta dei liquidi, depositarsi sui cibi in cottura. È necessario utilizzarlo in ogni cottura low&low? La risposta è NO. Fatto salvo l’utilizzo nel bullet smoker che è sempre necessario per schermare il calore diretto, negli altri casi si può omettere, se siamo sufficientemente esperti nel gestire la stabilizzazione della temperatura e se non abbiamo necessità di incrementare l’umidità in camera di cottura.
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PER INIZIARE - IL BBQ PER I PRINCIPANTI - RUBRICA a cura di MICHELE CHIPA
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AC C E N D I A M O ? come posizionare il carbone nel tuo dispositivo: tutti i tipi di set up
Quando parliamo di set-up intendiamo la preparazione di un dispositivo per una data tipologia di cottura: per questo motivo, esistono vari tipi di set up utilizzabili a seconda di cosa andremo a grigliare. Quasi tutti possono essere applicati sia ad un bbq a carbone che ad uno a gas, seppur con accortezze differenti. Esistono tre macro categorie di set-up adatte ai tre tipi di preparazioni principali: diretta, indiretta e low&slow. All’interno di queste, esistono delle sottocategorie ancor più specifiche che vi spiegherò in questo articolo. æA
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SET-UP PER COTTURE DIRETTE Di solito, per una cottura diretta la prima cosa che ci viene in mente di fare è prendere il carbone ben acceso e riversarlo nel braciere. Ma siamo sicuri che sia il metodo più efficiente e più sicuro? Esiste un metodo alternativo per non creare fiammate non appena posizioniamo un alimento piuttosto grasso sulla griglia? La risposta alla prima domanda è NO, mentre alla seconda è SI’. Parliamo del set-up a due zone e di quello a tre zone. Nel primo caso si tratta di dividere virtualmente in due la griglia di cottura: una metà con sotto il carbone ed una metà da utilizzare come safe zone (“zona di sicurezza”). L’obiettivo di questo metodo è quello di posizionare l’alimento nella zona di sicurezza al primo accenno di fiammata e poi, chiudendo il coperchio, spegnerla definitivamente. Il set-up a tre zone è un metodo molto simile al precedente con la differenza che la griglia viene virtualmente divisa in tre parti: una ad alta temperatura, una a media temperatura ed una safe zone. La temperatura viene gestita con una maggiore o minore quantità di carbone posizionato sotto alla griglia. Questo metodo è perfetto per non carbonizzare quegli alimenti che necessitano di una cottura prolungata: si posiziona il cibo prima sulla griglia molto calda e poi si sposta sulla griglia con temperatura più moderata. La safe zone si usa esattamente come per il precedente set-up.
ZONA DI COTTURA DIRETTA
ZONA CALORE INTENSO
ZONADI SICUREZZA
ZONA CALORE MEDIO
ZONADI SICUREZZA
Nei dispositivi a gas normalmente non si ha il rischio di fiammate perché i bruciatori sono schermati dalle flavorizer bar (barre aromatizzanti), e quindi i succhi in caduta non vengono a contatto con la fiamma. Tuttavia, in caso di alimenti molto grassi, le barre non riescono a vaporizzare tutti i succhi e quindi qualche fiammata potrebbe verificarsi. In questo caso è sufficiente lasciare spento, se possibile, un bruciatore, in modo da riservarsi una safe zone anche sul dispositivo a gas.
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SET-UP PER COTTURE INDIRETTE Nella cottura indiretta l’alimento non viene irraggiato dal calore del combustibile ma si cuoce per convezione. È imprescindibile, quindi, l’utilizzo del coperchio. Ma dove dobbiamo disporre l’alimento in cottura? In questo caso il metodo più semplice è quello di utilizzare il set-up a zona di cottura laterale: per dirlo in modo molto semplificato e chiaro, carbone da una parte e ciccia dall’altra. Chiudendo il coperchio avviene la cottura. Questo è il set-up più versatile in quanto si adatta alla maggior parte delle cotture. Nei dispositivi a gas si ottiene accendendo uno o più bruciatori a seconda della temperatura da tenere e lasciandone spento almeno uno, sopra il quale posizionare l’alimento. Il set-up a zona di cottura centrale è il metodo che andiamo a utilizzare, invece, quando vogliamo esser sicuri che il calore investa il nostro alimento omogeneamente oppure quando usiamo il girarrosto che, per sua caratteristica costruttiva, viene posizionato centralmente rispetto alla griglia. In questo caso è sufficiente posizionare il carbone nei due lati del braciere e mettere l’alimento in cottura nella zona centrale della griglia, che rimane libera dal calore diretto. Usualmente in questo metodo si usano i cesti porta carbone perché assicurano una disposizione ordinata dello stesso nel braciere. In un dispositivo a gas questo set up è applicabile a seconda di come sono posizionati i bruciatori e dal loro numero. Infine, il set-up a zona di cottura circolare è un metodo che prevede la disposizione del carbone nella parte centrale della griglia carboni, posizionato nei cesti, in modo da tenerlo raggruppato mentre gli alimenti saranno messi sulla parte esterna della griglia. In questo modo è possibile mettere in cottura una maggiore quantità di alimenti a patto che di piccola misura (alette o cosce di pollo, ad esempio, ma anche gamberoni). Questo set-up è replicabile solamente in dispositivi a gas di tipologia kettle.
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SET-UP PER LOW&SLOW Nella cottura low&slow cambia solamente la disposizione del combustibile all’interno del braciere, in quanto l’alimento dovrà essere posizionato come in una cottura indiretta. L’obiettivo di questi set-up è quello di eliminare o limitare al massimo la necessità di rabbocco di combustibile, nelle cotture molto lunghe. Per quanto ovvio, sottolineo che nei dispositivi a gas non c’è questa necessità. Il metodo principale per la predisposizione di un dispositivo a carbone in caso di cottura low&slow è il Minion Method che consiste nel disporre combustibile acceso accanto a quello spento il quale, per contatto, lentamente si accenderà garantendo il mantenimento della temperatura di cottura. La disposizione del combustibile cambia a seconda del tipo di strumento utilizzato: bullet smoker (affumicatore verticale), kettle o offset smoker (affumicatore orizzontale). Bullet smoker: si riempie l’anello del braciere (charcoal ring) con carbone spento, avendo cura di lasciare una piccola parte centrale libera dove andremo a versare il carbone acceso. Quest’ultimo innescherà lentamente per contatto quello spento. Kettle: in questi dispositivi il Minion Method è chiamato snake method. Occorre creare un serpente costituito da carbone spento disponendolo lungo il bordo del braciere; poi si versa il combustibile acceso solo ed esclusivamente ad una delle due estremità della mezzaluna, dando inizio al sistema di innesco continuo. Offset smoker: normalmente questi dispositivi non richiedono l’applicazione del Minion Method perché sono alimentati a legna. Tuttavia, se si volesse utilizzarlo in un offset smoker si dovrà disporre il carbone nella firebox, creando un serpentone, aiutandosi con del materiale refrattario o comunque in grado di inibire l’accensione immediata e totale del combustibile.
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APPROFONDIMENTO a cura di CARLO TRONO
T H E LO R D O F T H E
smoke RING
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Il primo assaggio lo si dà con gli occhi: l’aspetto estetico di quello che ci portiamo alla bocca è sempre stato un fattore fondamentale, in grado di influenzare notevolmente la percezione fornita dagli altri sensi e arrivando in alcuni casi a inibire la nostra volontà di alimentarci. Le preparazioni realizzate al fuoco non fanno assolutamente eccezione, e anche chi cucina grandi pezzi di carne cerca di ottenere caratteristici risultati estetici che, pur non influenzando per nulla il gusto o l’olfatto, vengono percepiti come indicatori di un barbecue “fatto bene”. In questo articolo, che esce su un numero del BBQ4All Magazine dedicato a una delle tre preparazioni tipiche dell’American Barbecue, voglio parlarvi di uno degli aspetti più ricercati dai pitmaster di tutto il mondo, ovvero lo smoke ring.
Sapete già di cosa parlo, no? Di quella zona rosata che si posiziona subito sotto il bark, quella pellicola compatta e speziata che dovremmo essere riusciti ad ottenere nelle prime fasi della nostra preparazione. E’ una regione, larga dai 3 ai 12 millimetri, nella quale la carne presenta una colorazione dal rosa tenue al rosso intenso; il miglior risultato estetico è quello che vede la formazione di un vero e proprio “anello” sotto tutta la superficie del pezzo di carne, che compare ben in evidenza tagliando in trasversale una fetta. Per capire l’importanza che ha lo smoke ring sulla nostra percezione, osserviamo le immagini riportate nella pagina precedente, che rappresentano lo stesso taglio (il brisket) cotto con tre tecniche differenti: il primo (in basso a sinistra) è stato preparato sottovuoto in sous-vide per
36 ore a 68°C per poi finire la cottura nel kettle a 135°C per 3 ore con affumicatura data da chunk di legno (tenete a mente questo procedimento, ci ritorneremo dopo); il secondo (in basso a destra) è stato scottato sul fuoco e successivamente brasato in pentola; il terzo (nella foto grande), ha iniziato e terminato la cottura in uno smoker. Quale delle tre immagini mette in movimento le vostre ghiandole salivali, facendovi assomigliare ad un molosso? Ma soprattutto, quale delle tre vi racconta una storia fatta di cottura lenta, fumo aromatico, legna e braci? La risposta è scontata, ma voglio lo stesso rendere tutto più chiaro, anche esagerando, con la prossima immagine. Respira un attimo, prendi coraggio, e gira la pagina. MAGGIO 2019
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Orrore! Mensa da ospedale ! E’ evidente che l’assenza di smoke ring e tutto quel griglio rende questa preparazione quasi disgustosa alla vista, e la pone lontana mille miglia dalla comune concezione del barbecue. Come si forma lo smoke ring I muscoli contengono percentuali variabili di mioglobina, una proteina globulare in grado di legare in maniera reversibile una molecola di ossigeno prelevata dal sangue, rendendola disponibile, quando necessario, alla produzione dell’energia richiesta dalla contrazione delle fibre. L’ossigeno viene trattenuto dal gruppo prostetico della proteina, costituito da una porfirina contenente al centro un atomo di ferro. Quando il ferro non lega l’ossigeno, la mioglobina assume un colore rosso; legandosi all’ossigeno, diviene ossimioglobi-
na dal colore rosso brillante. Un’esposizione eccessiva all’ossigeno o ad altri agenti ossidanti, specie con apporto di calore, può far passare il ferro dallo stato di ossidazione +2 a +3; il ferro così ossidato diviene incapace di legarsi all’ossigeno e si lega ad una molecola d’acqua, dando luogo alla colorazione bruna della metmioglobina. Finché la mioglobina è nel suo stato naturale, questi processi sono in qualche modo reversibili: diventano irreversibili quando la proteina, per azione del calore apportato durante una cottura, inizia a denaturare a partire dai 60°C fino ai 70°C, temperatura alla quale tutta la mioglobina sarà ormai coagulata e avrà conferito alla carne un colore bruno-grigio. Il ferro contenuto nel gruppo EME della mioglobina, oltre all’ossigeno molecolare (O2) può legare diverse
TIPO DI CARBURANTE
NO MISURATO IN PPM = PARTI PER MILIONE
erba, corteccia e legno fresco
250 ppm
bricchetti di carbone ben accesi
100-200ppm
fuoco di legno rovente
50-200 ppm
smoker a pellet a 107.2°C (225°F)
25-50 ppm
carbone di legno a pezzi irregolari
10-70 ppm
bricchetti di carbone in low&slow (225°F)
meno di 20 ppm
propano, dispositivo a gas, fiamma alta
meno di 20 ppm
bricchetti nel kettle weber con “slower”
meno di 10 ppm
propano, dispositivo a gas, temperatura bassa meno di 2 ppm dispositivo elettrico con chips di legno æA
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meno di 2 ppm
molecole contenenti ossigeno: anidride carbonica (CO2), monossido di carbonio (CO), acqua (H2O), monossido d’azoto (NO). Che c’entra tutto questo con lo smoke ring? Ci arrivo subito. In condizioni ideali, ad esempio nei dispositivi a gas che bruciano con molta efficienza il propano, la combustione genera principalmente vapore acqueo e anidride carbonica. In un dispositivo a legna o a carbone, in genere avviene una combustione incompleta, spesso in carenza di ossigeno per mantenere controllata la temperatura. Queste condizioni generano un fumo carico di sostanze chimiche, tra le quali monossido di carbonio (CO) e, in quantità fino a cento volte inferiori, monossido d’azoto (NO). Entrambe queste molecole gassose sono in grado di penetrare per qualche millimetro nella carne, diffondendosi attraverso i succhi e legandosi alla mioglobina con una affinità superiore rispetto a quella per l’ossigeno. La carbossimioglobina e la nitrosomioglobina presentano entrambe un caratteristico colore rosso, solo che il legame del monossido di carbonio con l’EME è reversibile in abbondante presenza di ossigeno, mentre quello con monossido d’azoto è molto più stabile. Di conseguenza, uno smoke ring formato esclusivamente dal legame del monossido di carbonio con la mioglobina sbiadirà fino a scomparire dalla nostra fetta di brisket dopo appena una mezz’oretta di esposizione
all’aria, mentre quello provocato dal monossido d’azoto rimarrà evidente anche dopo giorni. In sintesi, nonostante il monossido d’azoto costituisca in media lo 0.2% dei prodotti della combustione, è il principale responsabile nella formazione di uno smoke ring. Se lo smoke ring non si forma, la causa è imputabile o ad una carenza di NO all’interno dei prodotti della combustione, oppure all’instaurarsi di condizioni che rallentano o bloccano del tutto la diffusione del gas nella carne e il legame con la mioglobina. Il dottor Greg Blonder, autore e collaboratore scientifico del celebre sito amazingribs.com, si è preso la briga di misurare la quantità di monossido di azoto presente nei fumi di combustione di diverse tipologie di carburante, ottenendo risultati molto interessanti che rivelano una serie di aspetti importanti: 1. La combustione a temperature più elevate, con i bricchetti ben accesi e soprattutto ben distanziati in modo da ricevere una adeguata quantità di ossigeno (comburente), libera una quantità di monossido di azoto molto maggiore rispetto agli stessi bricchetti stabilizzati ad una temperatura più bassa, accatastati gli uni sugli altri secondo il Minion method o all’interno di un dispositivo concepito per ridurre la superficie esposta all’ossigeno, come lo “slower” o lo “smokenetor”; 2. Il carbone, rispetto al legno dal quale deriva, ha perso una grande quantità di azoto, ed inoltre per la sua forma irregolare tende a occupare tutti gli spazi riducendo l’efficacia della combustione per carenza di ossigeno; 3. La fiamma dei dispositivi a gas, quando raggiunge una elevata potenza, è in grado di ossidare una piccolissima quantità di azoto molecolare presente nell’aria (l’azoto è l’elemento più abbondante nell’atmosfera); i dispositivi elettrici, anche in presenza di chips di legno, non riescono a raggiungere una temperatura sufficiente alla liberazione di NO nei fumi della combustione. In effetti, può capitare di ottenere uno smoke ring molto più marca-
to in una preparazione realizzata in indiretta, a temperatura più elevata, rispetto ad una preparazione low&slow portata avanti con una temperatura costante inferiore ai 110°C. A questo punto, sempre grazie agli esperimenti del dottor Blonder, possiamo evidenziare quali condizioni riducono o bloccano completamente la diffusione nella carne del monossido d’azoto, con conseguente influenza negativa sulla formazione dello smoke ring. Acidità: valori di pH bassi (quindi acidi) riducono la penetrazione del monossido di azoto nella carne, e di conseguenza rendono più difficile la formazione di smoke ring profondi; al contrario, ph alti (basici) agiscono in senso contrario. Utilizzare le marinate, spruzzare la carne con sostante acide come il succo di frutta, adoperare come “aggrappante” del rub la senape, sono pratiche che contri buiscono negativamente alla formazione dello smoke ring. Trimming: il grasso di copertura, ovvero quello esterno alle fibre muscolari e disposto in genere tra un fascio muscolare e l’altro, viene normalmente eliminato (in gergo si dice “trimmato”) prima della stesura del rub e dell’avvio della cottura. Il tessuto adiposo ovviamente NON contiene mioglobina, quindi anche se permeato da NO o CO non può assumere una colorazione rosata. Per ottenere un buon smoke ring è quindi fondamentale ripulire accuratamente la carne dal grasso di copertura, per evitare che questo faccia da barriera alla diffusione del monossido di azoto. Anche la “silver skin”, ovvero quel sottile strato di connettivo che avvolge i gruppi muscolari, rallenta la penetrazione del NO riducendo la formazione dello smoke ring, quindi questo è un ulteriore motivo per eliminarlo accuratamente. Stesso discorso per la pleura che avvolge la parte inferiore delle ribs. Umidità: la superficie umida della carne favorisce la condensazione dei fumi e la penetrazione delle molecole di gas nei tessuti sottostanti, favorendo la formazione di uno smoke ring più profondo. Per mantenere la superficie umida, è necessario saturare di vapore acqueo la camera di cottura del nostro dispositivo, utilizMAGGIO 2019
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zando un waterpan colmo di acqua calda. Oltre al waterpan, è possibile mantenere umida la superficie della carne moppandola (inumidendola) regolarmente. Se fate caso, lo smoke ring è sempre più spesso sui lati del pezzo di carne: questo accade perché i succhi che traspirano dalla parte superiore, spesso scolano dai lati, mantenendo umide queste zone per più tempo. Mantenere umida la superficie della carne, inoltre, riduce la traspirazione dei succhi dagli strati più interni verso l’esterno, specialmente quando si raggiunge una temperatura interna di 55°C: a questa temperatura le fibre di collagene iniziano a contrarsi e a strizzare fuori i succhi, quindi inizia quel processo evaporativo che pochi gradi più su provocherà il cosiddetto “stallo”. Quando i succhi fuoriescono, trasportano con se anche la mioglobina legata al monossido d’azoto, e questa si “accumula” dando forma ad uno smoke ring più sottile ma più netto e colorato. Le immagini in alto sono tratta dagli esperimenti di Blonder: lo smokering nel cerchio a sinistra è stato ottenuto in uno smoker a pellet, mentre quello a destra è ricavato dallo stesso dispositivo ma con una modifica che permette di saturare la camera di cottura con il vapore acqueo. L’umidità favorisce la diffusione del NO all’interno degli strati più profondi, dando luogo ad uno smoke-ring più sfumato. Temperatura: la mioglobina inizia a denaturare al raggiungimento dei A
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60°C ed è completamente coagulata a 70-75°C; il monossido di azoto può legarsi con la proteina solo al di sotto di queste temperature, pertanto più tempo ci mette il pezzo di carne a superare i 60-70°C, più possibilità avrà il monossido d’azoto di penetrare negli strati più profondi. Una volta avvenuta la completa denaturazione della mioglobina, quella che si sarà legata all’NO o al CO rimarrà tra il rosa e il rosso, mentre la restante diverrà marrone-grigia. Per tale motivo, cuocere un pezzo di carne ad una temperatura più bassa ci dà più tempo utile alla formazione di uno smoke ring profondo e sfumato, mentre cuocere a temperatura più alta ci farà ottenere uno smoke ring più sottile ma più marcato, anche per effetto della traspirazione dei succhi che riporta in superficie la mioglobina Vi ricordate il brisket cotto per 36 ore in sous-vide e per altre 3 ore nel kettle con presenza di fumo generato dalla combustione di chunck? Smoke ring completamente assente. A questo punto è abbastanza semplice intuirne il motivo: questo brisket è stato portato e mantenuto in 36 ore di sous-vide alla temperatura di 68°C, quindi quando è stato tirato via dal sottovuoto la mioglobina era in gran parte già denaturata, o prossima a diventarlo. La successiva fase è stata effettuata ad una temperatura più elevata (135°C) rispetto a quella normalmente utilizzata negli smoker, quindi probabilmente la quantità di
NO prodotta nel fumo era grande, ma questo non aveva più la possibilità di incontrare mioglobina disponibile a reagire per formare lo smoke ring. Come avete avuto modo di leggere, i fattori che influenzano la formazione di uno smoke ring sono molti: tipo di carburante, pH superficiale della carne, apporto di umidità durante la cottura, temperatura più o meno alta. Tutti questi aspetti e il loro variare durante un tempo di cottura più o meno lungo, lasciano una traccia nella carne così come l’alternarsi di stagioni più o meno secche modifica l’aspetto degli anelli di un albero. Quando la temperatura varia nel corso di una cottura lunga, magari perché non siamo riusciti a tenere il dispositivo perfettamente stabilizzato, si formano delle aree più scure nello smoke ring, circondate da aree più sfumate. Chiaramente, solo un occhio veramente esperto (leggasi: superimpallinato del barbecue) può riuscire a “leggere” uno smoke ring intuendo la “storia” della cottura di quel pezzo di carne, come se fosse un’impronta digitale lasciata sul luogo del delitto; al contrario, la maggioranza di noi si limita a dargli una occhiata soddisfatta e a dare via al moto compulsivo alle mascelle. Fino a pochi anni fa, lo smoke ring era un elemento di valutazione adottato dai giudici nelle gare barbecue: oggi si raccomanda di non tenerlo in considerazione, poiché si era diffusa la pratica tra i concorrenti di utilizzare sali addizionati ai nitrati
per ottenere un marcato e rossissimo strato colorato. Come ottenere un perfetto smoke ring Giunti alla fine dell’articolo, prima dell’elencone finale, è giusto ribadire un concetto fondamentale: lo smoke ring non influisce assolutamente sul sapore finale della preparazione, esso costituisce solo un risultato estetico particolarmente apprezzato dagli appassionati di cucina al barbecue. Tutti i seguenti suggerimenti contribuiscono alla formazione di un marcato smoke ring, ma alcuni di essi influiscono negativamente su altri aspetti di una preparazione al barbecue (ad esempio sulla formazione di un bark solido), e vanno in qualche modo bilanciati nella pratica. 1. Rimuovete accuratamente il grasso di copertura, la silverskin e le altre membrane di connettivo dalla superficie della vostra carne.
2. Scegliete carburanti ad alto tenore di azoto, come le bricchette di carbone compresso; potete eventualmente addizionare dei gusci di arachidi (contengono il 2-3% di azoto), delle foglie (4% di azoto), oppure dei pezzetti di legno ricavato dai rami, dotato di tutta la corteccia e non eccessivamente stagionati. Se siete avventurieri, potete provare pure con piccole quantità di erba fresca. 4. Non usate marinate acide o sostanze acide per aggrappare il rub (la senape ha un pH di 4.5, quindi mediamente acida). Se volete osare, rendete più basica la superficie con del bicarbonato. 5. Iniziate la cottura con la carne ancora fredda da frigo: questo farà condensare più fumo sulla superficie e darà più tempo al monossido di azoto di penetrare prima della denaturazione della mioglobina. 6. Usate il waterpan carico di acqua bollente. 7. Moppate o spruzzate la superficie della carne, mantenendo umidità superficiale (senza far gocciolare); que-
sto favorirà la penetrazione del NO e ridurrà la traspirazione dei succhi, rendendo lo smoke ring più profondo e sfumato. L’umidità, inoltre, raffredderà gli strati superficiali della carne allungando il tempo necessario alla denaturazione della mioglobina iniziate la cottura con una temperatura più elevata e pochi bricchetti ben accesi e ossigenati, in modo da saturare la camera di fumi ricchi di monossido di azoto, dopodiché abbassate la temperatura e prolungate il più possibile la cottura; bastano 15-30 minuti iniziali a temperatura più alta per formare una sufficiente quantità di NO. Un ultimo consiglio: aumentare la densità del fumo riempiendo di chunk il vostro smoker NON migliorerà lo smoke ring, ma sicuramente peggiorerà il sapore della vostra preparazione, che risulterà sovraffumicata. Pensate a salvare il gusto del vostro barbecue, perché alla fine è quello che conta maggiormente.
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SPECIALE PULLED PORK - IL TAGLIO a cura della REDAZIONE
I L TA G L I O
G I U S TO ! come ricavare il boston butt, il miglior taglio possibile per realizzare un perfetto pulled pork
Per capire meglio il sezionamento. Non è facile intuire il sezionamento del Boston Butt e del Pic nic, specialmente qui in Italia in cui i due tagli sono ancora poco conosciuti, sia dai clienti che dai macellai ancora legati alla tradizione del Bel Paese. Abbiamo dunque pensato che fosse utile una piccola guida fotografica che potesse aiutarvi anche visivamente a capire bene come effettuare il sezionamento. Sappiate che qualunque macellaio in Italia si presti a realizzare questi tagli dovrà farlo per forza partendo dall'intera mezzena di un suino, e tagliarla in modo del tutto diverso da come è abituato di solito, quindi potreste trovare un po' di resistenza da parte di alcuni professionisti del settore poco propensi alle novità. Se siete particolarmente intraprendenti, potreste procurarvi l'intera mezzena del maiale e provare a sezionarla da soli. Vediamo dunque come procedere: 1. La prima cosa da fare è quella di effettuare un taglio molto vicino alla testa del maiale per preservare il Money Muscle. Cos'è il Money Muscle? E' un muscolo allungato a forma di
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piccolo filetto, molto riconoscibile perché inframezzato da linee di grasso longitudinali. Viene spesso servito a parte, senza essere pullato ma affettato come il salame. Si chiama così perché secondo la leggenda pare sia il maggior responsabile di un posto sul podio nelle gare di bbq: se il money muscle è perfetto, il premio lo porti a casa. 2. Torniamo al nostro sezionamento: dopo aver effettuato il primo taglio, si procede dunque a realizzare un taglio netto fra la terza e la quarta costa. Successivamente si possono separare Boston Butt e Pic nic: a circa due dita dal punto più alto della colonna vertebrale, si effettua il taglio. A questo punto i due pezzi sono quindi ben riconoscibili: il Boston Butt è la parte superiore della spalla che comprende la scapola; il Pic Nic è la parte della zampa fino all'articolazione con la scapola. 3. Non resta quindi che togliere la cotenna, lo spesso strato di grasso sottostante e procedere al disosso. Ora non vi resta che seguire tutti i consigli per la cottura che troverete nelle prossime pagine e potrete finalmente servire il pulled pork definitvo. Buon divertimento!
foto di James Lowe, macellaio britannico, tratte dal suo profilo facebook MAGGIO 2019
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SPECIALE PULLED PORK - IL PROCEDIMENTO a cura di EMILIANO NENCIONI
pulled pork dall ' america con sapore
Nell’estate del 2012, quando ancora in molti paventavano la fine del mondo pronosticata dagli antichi Maya e propagandata da autorevolissime trasmissioni televisive, in Italia si verificò un evento ben più drammatico e sconcertante: lo switch off. D’un tratto i nostri immarcescibili Grundig e Telefunken (“del resto, il palcolor lo abbiamo inventato noi”- cit.) sarebbero diventati inservibili e inadeguati, vittime di una obsolescenza improvvisa e sancita a tavolino: era il momento della cessazione delle vecchie trasmissioni analogiche in favore del digitale terrestre. Per indorarci la pillola e rendere sopportabile il trauma ci blandirono con la promessa di centinaia di nuovi emittenti: libere, tematiche, approfondite, settoriali. La verità si rivelò subito molto meno lusinghiera: già dal 2009, assieme alle prime trasmissioni DVB-T, le emittenti “nuove e tematiche” si rivelarono una masnada di strutture improvvisate e senza palinsesto, che trasmettevano in loop docufiction sgangherate in lingua originale, al massimo sottotitolate. Nel pubblico televisivo del tempo, però, avveniva un fenomeno memorabile: queste sitcom, falsi reality e serial imbarazzanti diventavano un’alternativa più che valida agli show incravattati e paludati della tv del secolo scorso. Invece di addormentarsi dilaniati dalla noia davanti a preti in bicicletta e attrici sbiadite impegnate in un paso doble, sempre più persone sceglievano di assopirsi col sottofondo di tatuatori, carri attrezzi, esploratori ghiotti di vermi. Ci ricolleghiamo proprio adesso al nostro argomento preferito: inizialmente tradotto in “stracotto di maiale sfilacciato”, abbiamo visto per la primissima volta il pulled pork grondare proprio dalle barbe ispide dei conduttori di questi show un po’ alieni e un po’ esotici. L’idea iniziale si sintonizzava subito su “ma che americanate unte” e su un po’ di facile dileggio, ma poi…
Poi abbiamo trovato qualche food truck o siamo stati invitati da un amico per inaugurare il kettle, ed eccolo lì: il pulled pork. Il pulpòrk, il pulleppòrche, a seconda del ceppo etnico, è diventato un’ossessione. Sontuoso e palatabile, è il batterista delle cotture barbecue: trascina tutti ed è il più facile da fare.
Da fare male. Hai mai ascoltato un incapace mentre tenta di suonare la batteria? Ricordi il fastidio? Stesso supplizio e stesso tormento avrai cercando di mangiare un pulled pork arido come una stella spenta, asciutto come Pietro Mennea nel ‘79. Ma, ancora una volta, tu sei un assiduo frequentatore della Community BBQ4All, sei abbonato al BBQ4All Magazine e questi problemi non li hai. Se non altro non li hai più, perchè ho il proposito e la volontà di spiegarti come fare il pulled pork che verrà preso come paradigma da tutto il tuo entourage.
Veniamo al procedimento ideale per un pulled pork preparato e servito alla perfezione. Potresti procurarti un bel boston butt, ma ti sfido a spiegare il taglio al macellaio e a fartelo preparare. Molto più facile farsi mettere da parte una coppa. O scamerita, sempre per la solita babele italiana di denominazioni. Come facilmente potrai intuire, e come già ti ha detto il Boss nell'editoriale, il taglio ideale è quello ricco di grasso e di collagene, responsabile della ritenzione dell’umidità e quindi di un piatto umido e succoso: per questo MAGGIO 2019 Ał
motivo la carne proveniente dall’anteriore del maiale, spalla e collo, è da preferire a zone del tutto inadeguate, come la coscia. Il Trimming Metti pure a riposo le tue lame migliori, questa preparazione non ha bisogno di abilità da chirurgo estetico di Hollywood, specie per scopi casalinghi. Se ti sei procurato una coppa non c’è quasi niente da togliere, eccetto eventuali evidenti brandelli di carne lasciati lì dal sezionamento; se con azioni rocambolesche sei riuscito a mettere le mani su un boston butt e questo possiede ancora la cotenna, lasciala: usala come “base d’appoggio” del pezzo sulla griglia, ti aiuterà a conservare l’agognata moisture, la succulenza. Ti consiglio di lasciare anche l’eventuale materiale osseo presente, facilmente separabile in fase di sfilacciamento. Injection Come salvaguardarsi dalla carenza di sapore e succosità? Iniettandola dentro. La tua fida siringa potrà trasformare un potenziale piatto “bah” in un piatto “wow”. In questo caso è molto molto facile: con un pentolino sciogli sul fuoco 125 g di burro chiarificato in mezzo litro
di succo di mela (usa solo il succo chiaro, non la purea che ha molta parte solida, o l’ago si intaserà ad ogni iniezione); lo senti quel profumo di torta di mele? Vuol dire che la tua pozione è pronta. Se preferisci puoi aggiungere due cucchiai di salsa di soia, col consueto scopo di
aggiungere sapidità e umami. Aggiungi la senape, che agirà da stabilizzatore dell’emulsione, aiutandoti con una frusta o con un frullatore a immersione. Lascia raffreddare e nel frattempo corri a cercare la siringa, io non la trovo mai quando serve. In maniera non dissimile dalle altre preparazioni, immaginati un reticolo a maglie di 25mm e inizia a fare punturine: non serve un tre assi a controllo numerico, puoi benissimo andare un po’ “a occhio”. La mia regola è molto scientifica: “finché ne piglia, dagliene” (quella istituzionale è il 10% rispetto al peso della carne). Inietta sopra, sotto e di lato, fino a quando il pezzo di carne sembra far scolare via ogni aggiunta di liquido. Poi metti il tutto in frigo per qualche ora. Il rub Il rub, e la conseguente formazione del bark, ha un ruolo molto importante anche nel pulled pork, nonostante il suo destino di sfilacciamento: è proprio il bark a costituire quei piccoli “inciampi di croccantezza” durante la degustazione della massa morbida, ed è l’unico responsabile di quei sapore di paprika, cumino, peperoncino e altre spezie aromatiche. Un buon rub conquista anche il naso, e innalza con forza i livelli di
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attenzione a non far stare troppo vicino combustibile e pietanza. Dovrai mettere la carne proprio dal lato opposto allo snake. Stabilizza il dispositivo a 110°/ 120°C in camera di cottura: meglio se monitori il tutto con un termometro a due sonde.
godimento sensoriale: viceversa una mistura scadente, polverosa, non equilibrata e povera degli elementi speziati tipici di questa cottura, riuscirà inevitabilmente a mortificare ogni tuo risultato. Vivi in un periodo meraviglioso, perché BBQ4All oltre a insegnarti tutte queste accortezze ti offre anche gli strumenti necessari per un risultato ineccepibile: il BBQ4All Tennessee Rub è perfetto per questo utilizzo. “Il Tennessee”, così lo chiamiamo, ha già la grana giusta, la miscela giusta, l’odore giusto. Non diventa nero per il troppo zucchero, ha un bilanciamento esemplare e ti arriva pure in un comodissimo vasetto con tappo bucherellato per una bella doccia uniforme di granelli.
Se usi un kettle servono alcuni accorgimenti: deponi le bricchette di combustibile sulla griglia carboni lungo metà della circonferenza del kettle, e nell’altra metà piazza una leccarda usa e getta piena d’acqua; innesca lo snake con una decina di bricchette roventi; installa la griglia pietanze e posiziona il tuo pezzo di carne nella zona sovrastante la leccarda, facendo
Cottura In attesa della stabilizzazione del dispositivo indossa di nuovo un paio di guanti per scopo alimentare, appoggia la carne su un tagliere e inumidiscila leggermente con dell’olio di semi o con un velo di senape. Non un bagno: leggermente. Ci siamo capiti, sì? Inizia a deporre il rub spolverando uniformemente tutta la carne, sopra e sotto, fino a creare un velo senza buchi. Un velo. Non una doppia panatura da medaglioni di pollo. Lo so che il Tennessee ti piace, ma lo aggiungeremo ancora, dopo. Pro tip: avrai sicuramente individuato un “sopra” e un “sotto” nel tuo taglio. Inizia col rub dal lato inferiore, così quando rovescerai la carne potrai spolverare il lato superiore senza appiccicarlo al tagliere. È vero, non cambia niente, è un sopra e sotto del tutto arbitrario, ma sarà più visivamente gradevole durante la cottura e ti aiuterà a capire quando la formazione del bark sarà soddisfacente. Quando il dispositivo è stabilizzato appoggia il maiale sulla griglia pie-
Setup del dispositivo Anche stavolta hai – nella maggior parte dei casi- due alternative: uno smoker o un kettle. Se hai un bullet smoker molto probabilmente sai già cosa fare: deposita il combustibile sulla griglia carboni, innescalo con mezza ciminiera di bricchette accese, riempi il waterpan di acqua o di sale (a seconda di quanta umidità tu abbia intenzione di introdurre in camera di cottura), posiziona il pezzo (o pezzi!) di carne sulla griglia pietanza. MAGGIO 2019
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tanze, inserisci una sonda del termometro in una zona centrale della ciccia e chiudi il coperchio. Qualsiasi dispositivo tu abbia scelto, è obbligatorio affumicare: posiziona chips o chunk del tuo legno preferito (stavolta melo, ciliegio, ontano e acero sono l’ideale, anche mischiati) sulle braci o in una smoke pouch (una tasca fatta con la stagnola). Dopo un paio d’ore io consiglio sempre di sollevare il coperchio e dare un veloce controllo a tutto: carbone, posizionamento della carne, combustione del legno aromatico: sfrutta questo momento anche per stendere un ulteriore velo di rub sul maiale. Attorno ai 60 - 65°C gradi al cuore dovrai fare il secondo controllo: non appena il bark si sarà formato, infatti, ti suggerisco di compiere una delle scelte cruciali di ogni appassionato di american barbecue: andare in foil. Con questa espressione ben poco elegante, ma ormai universalmente adottata in Italia, intendiamo l’uso del foglio d’alluminio per continuare la cottura. In questa occasione quello che ti serve è un Texas Crutch. Prendi una leccarda usa e getta sufæA BBQ4All MAGAZINE
ficiente a contenere la carne, colloca all’interno il maiale e mezzo bicchiere di aceto di mele; con l’alluminio crea un bel pacchetto chiuso, che abbia solo un forellino per il cavo della sonda. Ricordati: questo avvolgimento di leccarda e pietanza deve riuscire a contenere i vapori, per cui se lasci degli spazi aperti è come non averlo mai fatto. Continua in questo modo fino ai 98°C al cuore. Con il foil dovresti superare il tipico stallo senza asciugare troppo la carne, e se come ti ho detto hai aspettato la formazione di un bel bark non avrai neanche problemi di rub molliccio attaccato ai denti. Dopo qualche ora raggiungerai i fatidici 98 gradi e arriverà la fase di rest. Metti il maiale, leccarda e tutto, dentro un forno spento o appena tiepido, o in un isobox, o in un kettle, e aspetta un’oretta o due. In questo lasso di tempo il collagene superstite, sotto l’azione del calore della carne stessa, si gelatinizzerà definitivamente facendoti trovare una carne arrendevole e madida. Sfilacciamento Aprendo il foil dovresti trovare una discreta quantità di succhi nella leccarda. Buon segno.
Con due forchette, o con gli appositi artigli se vuoi dare al tutto un taglio più supereroistico, sfilaccia con decisione la carne, avendo l’accortezza di lasciare dei pezzi leggermente più grandi (tenderanno a formarsi spontaneamente, avranno la forma di un “dente” e una bella crosta di rub all’estremità) assieme agli sfilacci più fini. Per aggiungere ulteriore gusto e succosità alla carne, scalda in un pentolino un bicchiere di salsa barbecue, due cucchiai di aceto di mele e un cucchiaio di salsa di soia. Unisci il tutto ai succhi di cottura, tieni a mollo gli sfilacci disposti uniformemente e lascia per un quarto d’ora a bagno. Gli sfilacci sono pronti per il panino più invitante del mondo, o per essere mangiati rubandoli direttamente dalla leccarda, con le mani, macchiandosi irrimediabilmente indumenti e fedina penale. Se avrai seguito alla lettera il procedimento ti accorgerai subito che quelle sfide televisive a chi ne mangiava fino a scoppiare diventeranno, in confronto alla foga dei tuoi commensali, delle candide, morigerate, sobrie, pacate degustazioni fra serafici disappetenti.
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SPECIALE PULLED PORK - RICETTA di MICHELA BONGIORNI
P I OVO N O POLPET TE
di pulled pork e jalapeños
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Se lo puoi cuocere, lo puoi grigliare. Lo diciamo da anni noi di BBQ4All. E quando lo hai grigliato? Lo puoi friggere! Ebbene sì, oggi friggiamo il pulled pork.
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Abbiamo pensato di presentare questa ricetta come aperitivo di una cena a tema, tutta a base principalmente di pulled pork. Il problema però si è presentato quasi subito, nel momento in cui le abbiamo assaggiate (eh, sì, la vita di chi fa shooting fotografici per BBQ4All è così difficile...): queste polpettine sono talmente sfiziose che c’è il rischio che i vostri ospiti ne mangino in quantità smisurate e si riempiano, dimenticandosi del resto. Immaginatevi la scena: arrivano tutti affamati e si ritrovano davanti delle pepite ripiene di pulled pork e jalapenos, fritte, da tuffare in una invitante salsa allo yogurt. Potete avere idea della carneficina che può uscirne? Quindi, siate parsimoniosi e preparatene poche. I vostri ospiti devono rimanere con la voglia, in modo da potersi godere anche il resto del pranzo. Fidatevi. In ogni caso, se alla fine del pasto ci fosse il golosone di turno che proprio ne vuole ancora, sono così veloci da preparare che lo farete felice in un attimo. Un’idea in più? Spolverizzate un po’ di rub BBQ4All Montreal Steak Seasoning sulla salsina allo yogurt: non ve ne pentirete. Procedimento 1. Tritare al coltello in modo grossolano il pulled pork e poi impastarlo con la salsa bbq. 2. Tritare finemente i peperoncini e aggiungerli al composto. 3. Dopo aver ottenuto un impasto compatto, dividerlo in tante piccole polpette della grossezza di una noce. 4. Sbattere le uova con l’aggiunta di un pizzico di sale. 5. Passare le polpette prima della farina, poi nell’uovo e poi nel pangrattato. 6. Scaldare bene l’olio in una padella larga e friggere le polpette: quando saranno dorate, saranno pronte. Lasciarle scolare su un foglio di carta assorbente. 7. Amalgamare lo yogurt con l’olio extravergine d’oliva. Mescolare il tutto di modo che l’olio non resti in superficie. 8. Una volta che i due ingredienti saranno ben amalgamati, unire il succo del limone, il sale e un po’ di rub. Mescolare molto lentamente. Servire spolverizzando un po’ di rub anche sopra. MAGGIO 2019
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SPECIALE PULLED PORK - RICETTA di MICHELA BONGIORNI
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ravioli al vapore ripieni di pulled pork (e saRCiccia!) Può succedere talvolta che il pulled pork, preparato per qualche occasione speciale in dosi massicce, avanzi. In quel caso che fare? In molti vi risponderanno che basta congelarlo, magari diviso in porzioni singole, e scongelarlo al momento del bisogno quando si ha voglia di un bel paninozzo, magari a mezzanotte al rientro dal cinema. Sì, vero. Ma ammettiamo che uno voglia trovare un modo alternativo per consumarlo? Io ho pensato di farci un ragù con cui farcire i ravioli al vapore. Avete presente i classici ravioli cinesi (jiǎozi, 饺子) cotti nella vaporiera di bambù che trovate ormai in tutti i ristoranti orientali? Ecco, siccome ci vado matta, e per matta intendo che ne sono drogata, ho pensato che farmeli in casa fosse un’ottima idea. Sì, ma che metterci dentro? Avevo del pulled pork avanzato che avevo già scongelato (e che quindi non potevo ricongelare) e ho provato a tirar fuori qualcosa di buono. Secondo me, invece, il risultato non è stato buono: è stato eccezionale. Questo ragù è delizioso, saporito e affumicato, volendo utilizzabile per condire qualsiasi altro tipo di pasta. Anche le tagliatelle di nonna Pina, per dire. Provatelo e fatemi sapere. Procedimento 1. Preparate la pasta mescolando piano piano la farina con l’acqua e un pizzico di sale. Lavorate l’impasto per qualche minuto su una spianatoia infarinata, poi foderatelo con pellicola trasparente e lasciatelo riposare per un’oretta.
2. Nel frattempo preparate il ragù: tritate finemente il sedano, la carota, la cipolla e il cavolo cinese e poi fate soffriggere il tutto con un cucchiaio d’olio. 3. Aggiungete il pulled pork che avete prima tritato finemente col coltello e una salsiccia sbriciolata. Lasciate insaporire, poi aggiungete la salsa di soia, la paprika dolce e quella piccante. Mescolate il ragù e aggiustate eventualmente di sale (usandolo con parsimonia). 4. Bagnate con mezzo cucchiaio di aceto di mele e poco dopo unite il concentrato di pomodoro diluito in mezzo bicchiere di acqua. Coprite il tegame e lasciate cuocere per un’oretta, facendo ritirare il ragù per bene. 5. Trascorso il tempo necessario, tirate la pasta con un mattarello e ricavatene dei dischi, aiutandovi con un coppapasta di diametro abbastanza grande. Tirate ancora un po’ la pasta col mattarello e poi ponete al centro di ogni disco un’abbondante dose di ragù (abbondante ma non esagerata, il raviolo deve chiudersi). 6. Richiudete il raviolo a mezza luna e poi formate dei piccoli sacchettini, aiutandovi con le dita inumidite. 7. Mettete i ravioli a cuocere nell’apposita vaporiera foderata di cavolo cinese facendo in modo che i ravioli non si tocchino fra loro. Cuocete per circa 20 minuti chiudendo il coperchio. Alla fine, potete anche saltarli in padella con un po’ di salsa di soia, facendo attenzione a non romperli perché sono molto delicati. MAGGIO 2019
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SPECIALE PULLED PORK - RICETTA di MARIANGELA IBBA
PULLED PORK SA N DW I C H carolina style
Per realizzare la ricetta del “Carolina style pulled pork bun” ci vorrà tutta la tua forza di volontà, la stessa che Ulisse dimostrò contro il canto delle sirene. Non perché sia particolarmente arduo farcire un panino con carne di maiale sfilacciata e insalata di cavolo cappuccio, ma perché sarà estremamente difficoltoso trattenerti dal mangiare tutto il pork, direttamente dalla teglia, dopo il primo assaggio. Probabilmente stai pensando che io stia esagerando, ma quelli che si sono già cimentati in questa preparazione, tipica dello stato della Carolina, possono capire cosa intendo. Appena inizierai a pullare il pork, e le forchette affonderanno nella carne, sarai investito ed avvolto da un profumo inebriante di maiale affumicato, arricchito dall’aroma delle spezie presenti nel rub, che ti farà venire l’acquolina in bocca. Che poi diventerà voglia matta di mangiare, alla vista degli splendidi sfilacci di carne morbidi e succosi. Così, non potendo più resistere, lo assaggerai, per sentire giustamente “com’è venuto”. Ma dopo il primo assaggio e dopo aver assaporato una carne tanto tenera e dal sapore esplosivo, non potrai trattenerti da farne un secondo assaggio, poi un terzo e così via. Attirati dalle tue esclamazioni estasiate, anche i tuoi amici vorranno provare il gusto eccezionale del pork. Sembrerete un po’ come un branco di leoni che banchetta con una gazzella. Ed è in questo momento che devi raccogliere tutta la tua forza di volontà, smettere di mangiare e strappare il pulled pork dalle fauci dei tuoi commensali. Secondo il mio gusto personale, il modo migliore per apprezzarlo è A
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condirlo con una salsa acetosa e piccante, poi infilarlo all’interno di un panino insieme alla coleslaw: insomma, sto parlando di una specialità tipica della cucina americana, in particolar modo del North-Carolina. La salsa acidina darà al panino quel tocco di agrodolce che esalterà ancora di più il gusto intenso della carne, mentre la coleslaw, oltre ad essere l’elemento croccante, con la sua freschezza contrasterà quel senso di pesantezza che si prova quando si mangiano cibi molto saporiti. Della coleslaw esistono molte varianti, quella che ti propongo qui è molto semplice, ma nulla vieta che tu possa variarla secondo il tuo gusto. Procedimento 1. Prepara il tuo dispositivo per una cottura diretta. 2. Affetta finemente il cavolo cappuccio e la cipolla. 3. In una ciotola molto capiente mescola bene, fino ad ottenere un composto omogeneo: la maionese, la panna liquida, lo yogurt, l’aceto di mele e lo zucchero di canna. 4. Alla salsa ottenuta unisci il cavolo e la cipolla. Aggiusta di sale e pepe. 5. In un pentolino, sul fuoco di casa, riscalda insieme dopo averli amalgamati, la salsa barbecue, l’aceto di mele e il tabasco. Lascia sobbollire per qualche minuto e poi condisci la carne. Se fredda, per farla rinvenire prima puoi inizialmente condirla con un po’ di brodo caldo e poi metterla in forno alla temperatura di 70 gradi, coperta con un po’ di alluminio. 6. Dividi in due i panini e griglia la parte interna. 7. Farcisci il panino, con uno strato abbondante di pork ricoperto di coleslaw
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RICETTA di LUCA GALLOZZA
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IN ZUCCA! Cucurbita ripiena e fumosa
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La cucurbita, ovvero la zucchina come la conosciamo nel gergo comune: importata dopo il 1500 in seguito alla scoperta dell’America, ha preso il largo da noi in breve tempo, diffondendosi in svariate specie. Ovviamente questo ha stimolato un consumo massiccio in cucina, tramite innumerevoli preparazioni. Persino il suo fiore è molto utilizzato per piatti delicati e saporiti. Noi, in questa ricettina tutta vegetariana, prepareremo delle belle zucchine tonde di Nizza, in versione ripiena. Non con il solito macinato, come si usa fare maggiormente, ma con un ripieno morbido e cremoso fatto per gran parte di zucchina stessa che poi affumicheremo in griglia con delle buone chips di whisky. È un piatto gustoso e appagante, che unisce la bontà della zucchina al gusto degli ingredienti che ne esaltano la preparazione. Questo piatto, poi, ha un gusto particolare per me, perché mi riporta all’infanzia. Un piatto che mia madre ha sempre preparato egregiamente e che io ho adattato alla griglia. Buono sia caldo che freddo. Facile da preparare e di grande piacevolezza anche per i carnivori più incalliti. Volete provarlo? Mettetevi all’opera. Procedimento 1. Lavate le zucchine. Asportate la calotta superiore e, con l’aiuto di uno scavino, svuotate la zucchina la-
sciando solo la parte esterna e ricavandone un saccottino. 2. Mettete in una pentola la parte interna, aggiungete le foglie di basilico e di menta, un filo d’olio, sale e pepe e passatela grossolanamente con un minipimer. 3. Aggiungete il concentrato di pomodoro e fate cuocere a fiamma media per 15 minuti sino ad evaporazione dei liquidi. Quindi spegnete e lasciate raffreddare. 4. Procedete con la cottura dei saccottini di zucchina, friggendoli sino a leggera doratura. 5. Nella pentola con il passato di zucchine, inserite l’uovo, il pangrattato, il formaggio e la noce moscata. Amalgamate fino ad ottenere un impasto omogeneo e consistente. 6. Riempite con l’aiuto di un cucchiaino, i saccottini di zucchina col ripieno ottenuto, sino al bordo, senza eccedere. Crescerà in cottura. Spolverate la parte superiore col formaggio grattugiato e un filo d’olio. 7. Adagiate le zucchine ripiene in una teglia che disporrete sulla griglia del vostro dispositivo. 8. Impostate per una cottura indiretta, con una temperatura in camera di 180°C, affumicando con chips di whisky. 9. Verificate la cottura dopo 20 minuti e toglietele quando si sarà formata una deliziosa crosticina superficiale. MAGGIO 2019
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DULCIS IN FUNDO - RICETTA di MARIANGELA IBBA
bye bye miss AMERICAN PIE
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BBQ4All MAGAZINE
Sulle note della canzone “American Pie”(1972) del cantautore rock statunitense Don McLean, parliamo della torta americana più famosa nel mondo. Non dirmi che non conosci l’American Pie, perché non ti credo. Anche se non hai mai avuto la fortuna di mangiarla, non puoi non sapere di cosa sto parlando. Ti do un indizio. Nei film holliwoodiani è la torta di mele sempre servita in una teglia tonda argentata, ricoperta da uno strato di pasta croccante. Ti si sono illuminati gli occhi, vero? L’american Pie è un caposaldo della tradizione americana, infatti esiste il detto: “as american as an apple pie”, “è americano quanto una torta di mele”, usato per indicare tutto ciò che è statunitense fino al midollo. In realtà, questo dolce affonda le proprie radici in Europa: fu importato dagli immigrati inglesi sbarcati nel New England e, in origine, il ripieno era fatto con ogni tipo di frutta. Solo che, nel nord degli Stati Uniti, le mele erano talmente diffuse e presenti tutto l’anno che la versione con le mele divenne l’American Pie per eccellenza, mettendo in ombra tutte le altre versioni. Conosciuta in tutto il mondo grazie anche ai fumetti della Disney, Nonna Papera ne sforna in continuazione, fu resa ancora più celebre, all’inizio del 2000, dai film della saga “American Pie”. Inoltre, se aguzzi la vista, noterai spesso questo dolce sullo sfondo della scenografia nei film o nelle serie TV, un po’ come oramai adocchi sempre la presenza di un barbecue. Lo so che lo fai. In ogni caso, la nostra versione non è con le mele, ma con le fragole. La Strawberry Pie Ma non per questo è meno buona. Anzi. L’abbiamo resa ancora più straordinaria affumicando le fragole prima di metterle all’interno della torta; il che la rende un dolce unico nel suo genere, con il quale stupire tutti. Provatela con una pallina di gelato alla vaniglia e fidatevi, il primo assaggio non si scorda mai (cit.).
Procedimento 1. In un recipiente, mescola il latte con l’aceto di mele. Copri con la pellicola alimentare e riponilo in frigo per 4 ore circa. Passato questo tempo puoi iniziare a preparare la pasta. 2. In una ciotola capiente amalgama gli elementi secchi: la farina, 30g di zucchero, 15 grammi di amido di mais e un pizzico di sale. Poi aggiungi il burro freddo tagliato a tocchetti e inizia a lavorare l’ impasto. 3. Quando il composto avrà una consistenza sabbiosa, aggiungi, poco per volta, il latte che avevi messo in frigo. Continua a lavorare l’impasto con le mani fino a quando non avrai ottenuto una bella pasta liscia ed omogenea. 4. Avvolgi la pasta nella pellicola alimentare e lasciala riposare in frigo per 30 minuti circa. 5. Prepara il tuo dispositivo per una cottura indiretta a 180 gradi. 6. Lava le fragole sotto l’acqua corrente e asciugale bene tra due canovacci. Poi tagliale grossolanamente e condiscile con il succo di limone, 15 grammi di amido di mais e 80 grammi di zucchero. 7. Poni le fragole in una teglia resistente alle alte temperature e mettile in cottura indiretta, dalla parte opposta delle braci, per un decina di minuti, affumicando con due manciate di petali di legno aromatico. Naturalmente chiudi il coperchio. 8. Dopo 10 minuti circa, togli le fragole dal dispositivo e lasciale raffreddare. 9. Dividi in due parti non uguali la pasta, perché la sfoglia per la base è sempre più grande di quella che va a chiudere la torta. Infarina il piano di lavoro e con un mattatello stendi la pasta sottilmente. 10. Fodera la teglia con la pasta, versa all’interno le fragole e ricoprile con la seconda sfoglia di pasta. 11. Rifila i bordi con un coltello e poi fai aderire bene i bordi tra di loro schiacciandoli con una forchetta. 12 Al centro della torta pratica un'incisione a forma di croce, per far uscire il vapore della frutta durante la cottura. 13. Sbatti il tuorlo con un cucchiaio di latte e spennella la superficie della torta, affinché acquisti un bell’aspetto dorato. 14. Poni la torta in cottura indiretta a 180°C per circa 30/40 minuti.
MAGGIO 2019
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NON SOLO CARNE - RICETTA VEGETARIANA di LUCA GALLOZZA
HAMBURveg il patty più "rare" che ci sia
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Non è sicuramente “vegetariano” l’aggettivo più simpatico per un griller. Nonostante questo, si possono fare delle grosse abbuffate di verdura senza nulla togliere a quell’istinto carnivoro che ci contraddistingue. Il più delle volte si tratta solamente di trovare i giusti abbinamenti e di unire gli ingredienti in modo originale. E poi bisogna pur accontentare anche chi non condivide la nostra sfrenata voglia di carne. Perché allora non preparare qualcosa che metta tutti d’accordo? Questa preparazione vi farà cambiare idea sul consumo consapevole di vegetali, e vi porterà dentro una serie di sapori sorprendenti. Inoltre siamo noi stessi, in certe circostanze, ad aver bisogno di un pasto più leggero che ci sgrassi il palato. E’ pure bello da vedere, questo hamburger veg, che oltre a riempire la pancia, riempie anche gli occhi: potete cuocerlo quanto volete, ma lui rimarrà sempre rare. Bene: direi che se vi ho convinto è giunto il momento di prepararlo. Procedimento 1. Prendete la barbabietola e grattugiatela finemente. Fate lo stesso con sedano, carota e daikon. 2. Con un minipimer, riducete a crema le lenticchie lessate. 3. Unite gli ingredienti grattugiati precedentemente alla crema di lenticchie. 4. Aggiungete la cipolla rossa cruda,
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tritata finemente, l’aglio granulare e il prezzemolo. Aggiustate di sale e pepe. 5. Mescolate tutto insieme aggiungendo poco alla volta il pangrattato e la farina di semola, sino ad ottenere una consistenza pari a quella di un impasto. 6. Formate delle palline di circa 200g e schiacciatele per formare il vostro patty. 7. Utilizzate la rimanente semola per impanare i vostri patty in modo che assorbano l’umidità in eccesso. 8. Metteteli in frigorifero e lasciateli riposare per mezz’ora in un contenitore coperto con pellicola. 9. Toglieteli dal frigo e ripassateli nella semola. 10. Settate il vostro dispositivo per una diretta sui 200° C e sistemate sopra la griglia una bella piastra in ghisa. 11. Fate cuocere il vostro patty per circa due minuti per lato, rigirando almeno ogni 30 secondi per non bruciare l’eccesso di semola. A questo punto, non vi rimane che servire. Potete realizzare un bel piatto composto con dell’insalata e delle patatine fritte, oppure come ho fatto io: riscaldate un panino con semi di sesamo, farcite con agretti, fetta di pomodoro, una fetta di Emmenthal francese, della cipolla rossa a crudo e una senape al miele.
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VINI ABBINATI a cura di ENIO BERTON
È ORA DI
BERE! abbinamenti consigliati
DUCA ENRICO
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Terre Siciliane IGT Duca Enrico 2011 - 100% Nero d'Avola Duca di Salaparuta Pulled Pork
Pulled Pork: il principe delle nostre preparazioni (il re brisket non si tocca), una ventata di profumi e di sapori più o meno mitigati dall’onnipresente insalata coleslaw (aggiungeteci una mela granny smith, non ve ne pentirete) e dalla salsa barbecue. Le variabili in gioco sono molte (che tipo di affumicatura abbiamo usato, la coleslaw più o meno acidula, la salsa barbecue tendente al dolce o anch’essa più acre) e per questo motivo ci teniamo alti, anche nel costo. Il nero d’avola per anni è stato usato come vino da taglio (utilizzato in cantina per aumentare il grado alcolico di altri vini) e solo negli ultimi decenni si è iniziato a vinificarlo in purezza. È chiamato anche Calabrese da una italianizzazione del termine locale calaulisi o calarvisi (tradotto: uve dalla città di Avola), usato fin dall’800 dai commercianti francesi per invogliare l’acquisto, i quali consideravano i vini calabresi ottimi per aumentare il tasso alcolico ed il colore dei loro vini rossi. Le origini risalgono al tempo della Magna Grecia; recentemente è stato esportato in California e Turchia. La tradizionale coltivazione ad alberello sta lasciando lo spazio ad altri sistemi di impianto, anche se, per mantenere una elevata qualità, si continua con questo sistema. La cantina Duca di Salaparuta è stata la prima, in Sicilia, che ha prodotto il nero d’avola in purezza già dal 1984. Di origini antichissime (fondata nel 1824), ha mantenuto nel corso degli anni un’elevata qualità produttiva abbinando i vitigni classici siciliani con i vitigni internazionali. Il Duca Enrico nasce dalle selezionatissime vigne presenti nella tenuta di Suor Marchesa nel comune di Butera, in provincia di Caltanissetta, ed è il capostipite dei neri d’avola dell’azienda. La raccolta a mano viene fatta solo a perfetta maturazione delle uve. Dopo la fermentazione con macerazione delle bucce per 8/10 giorni, viene posto in affinamento per 18 mesi in fusti di rovere e poi altri 18 mesi in bottiglia. Dall’aspetto rosso rubino intenso, sprigiona già all’olfatto un bouquet di sensazioni che vanno dalla frutta matura a sentori di fiori e note speziate. Al palato è imperiale, morbido e di grande struttura, persistente ma non invasivo anche nel fin di bocca. Da servire a 16/18 gradi in bicchieri ampi.
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CARMENERE PIÙ
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Carmenere Più IGT 2015 - 70% Carmenere 30% Merlot Azienda Agricola Inama Agnello arrosto
Ravioli al vapore con ripieno di pulled pork e salsiccia: bel piatto che unisce l’affumicato del pulled con la dolcezza della salsiccia e della pasta dei ravioli. Il vino non deve coprire i diversi sapori del piatto e contemporaneamente deve essere in grado di pulire il palato per invogliare ad un altro boccone. Ci serve un vino di corpo ma con un tannino aggraziato e non invasivo. Il vitigno carmenere è stato per anni considerato una varietà di provenienza cilena. In realtà proviene dalle zone dalmate e fu portato dai romani in Francia, dove entrò a far parte del blend di vini di quella regione (il famoso taglio bordolese). Per la sua bassa resa e per la difficoltà di maturazione delle sue uve, ne fu abbandonata la coltivazione dopo l’epidemia di filossera che colpì l’Europa a metà del 1800. Solo nel 1994 alcuni studi scientifici sul DNA rilevarono che il vitigno era giunto in Cile (dove era stato scambiato con il Merlot) e nel nord est Italia dove veniva chiamato Cabernet Vecchio, spesso confuso come una varietà meno pregiata del Cabernet Franc. È entrato nel registro delle varietà vinicole italiane nel 1996, dopo ulteriori studi della scuola Enologica di Conegliano Veneto. Inama lo coltiva all’interno della DOC Colli Berici, nelle zone a cavallo tra le province di Vicenza e Padova. Rappresenta il vino di entrata di questa cantina per la tipologia Carmenere, ma è un vino interessante e dai sentori decisi. Le uve vengono raccolte a mano e, dopo la diraspatura, vengono pressate e poste in fermentazione in tini di acciaio, per poi fare un passaggio di 12 mesi in barrique usate. Di colore rosso cupo, con riflessi violacei, al naso si presenta con note floreali, sentori di bacche di sottobosco, cacao e pepe nero. Al palato risulta fresco, con tannini non invadenti anche se leggermente spinti, ma ben bilanciati da una buona alcolicità e sapidità. Da servire a 10/12 gradi in bicchieri ampi.
SORÌ GALA
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Sorì Gala Moscato d’Asti 2017 - 100% Moscato Federico Ferrero American Pie
Un classico della cucina americana, l’American pie, con un classico dei vitigni per dolci, il moscato. Diverse sono le zone dove questo vitigno viene coltivato, sia in Francia che in Italia, sotto diverse denominazioni e varietà sia a bacca nera che bianca. Portato in Italia dai coloni durante il periodo della Magna Grecia, si diffuse in tutta Europa per merito dei commerci della potente Venezia nel medioevo, a quel tempo prevalentemente come vino appassito. La zona del moscato d’Asti comprende circa un centinaio di comuni a cavallo delle provincie di Asti, Alessandria e Cuneo. Proprio in provincia di Cuneo, e più precisamente a Mango (località Bongiovanni), troviamo la cantina Federico Ferrero. Nata alla fine del 1800, ha attraversato diverse vicissitudini fino ad interrompere, per un periodo, la vinificazione delle uve prodotte. Nel 2002 Federico, dopo gli studi alla scuola enologica, ha ricominciato la produzione del vino in bottiglia. L’azienda consta di circa 30 ettari di cui 14 dedicati a vigneti ed altri 10 dedicati alla coltivazione della nocciola Piemonte IGP. Il Sorì Gala nasce dai vigneti esposti a sud in zona Gala (sorì in piemontese corrisponde a zone soleggiate). La raccolta delle uve viene fatta verso la metà di settembre, il mosto viene subito portato a 0°C con un 1% di alcol svolto (questo blocca la trasformazione degli zuccheri in alcol). Dopo circa un mese il vino è pronto per la messa in autoclave, dove sviluppa il grado alcolico e la tradizionale frizzantatura. Dal colore giallo dorato intenso, sviluppa un sottile perlage persistente. Al naso si presenta floreale, pieno di frutta fresca con note di mela gialla. Al palato si esaltano le note agrumate, di buona acidità che compensa il grado zuccherino elevato. Da servire a 8/10 gradi in bicchieri tulipano. MAGGIO 2019
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BIRRE CONSIGLIATE a cura di RICCARDO MENICONI
S TA R S H I P Il Pulled pork, probabilmente la nostra prima overnight, la vera e propria sfida nel mondo del Low&Slow. Le ansie, le notti passate in bianco a leggere e rileggere le indicazioni del nostro Guru, a studiare in ogni dettaglio il set up, a bilanciare il rub, a scegliere la salsa perfetta. Dopo giorni e giorni di studio, è arrivato il momento di accendere la ciminiera e di mettere in fresco le birre. Perché si sa, nel bbq il tempo non si misura in minuti, ma in birre. Ma noi siamo pronti. Lo smoker fuma, l’ansia inizia a diminuire, le birre ad aumentare, gli amici ad arrivare. Siamo già provati, ci siamo svegliati all’alba per preparare la sontuosa cena, ci serve una birra defaticante. Rinfrescante e luppolata. Mi ricordo ancora di quella volta in cui andai fino a Montepulciano dal mio amico Moreno Ecolani del birrificio Olmaia, per recuperare qualche fusto di Starship, perché se le cose si fanno, vanno fatte bene. Due fusti, e qualche bottiglia. La Starship è la birra perfetta per queste giornate di festa con gli amici, la musica e il buon cibo. Il colore è ambrato, leggermente velato, con una schiuma persistente, compatta e cremosa soprattutto se spinata a pompa. Il naso è quello delle tipiche bitter inglesi, pieno di crosta di pane e biscotto con sentori di caramello e note erbacee. Molto coerente, in bocca ritroviamo quegli aromi con un amaro intenso, terroso ed erbaceo donato dalla luppolatura inglese. I suoi 4,5% e il corpo snello la rendono molto beverina e dissetante. Da bere a litri.
PA L E A L E D I VETRA Questo più che un vero abbinamento gastronomico è un matrimonio d’amore. Un panino con pulled pork, insalata di cavolo e salsa barbecue insieme alla Pale Ale di Vetra e si è subito catapultati nella West Coast, seduti sulla panchina di fronte ad un chioschetto a godersi il panorama dell’Oceano Pacifico. Anche se in realtà Vetra è un birrificio italianissimo, di Varese per la precisione, con questa American Pale Ale è in grado di farci viaggiare senza dover muovere un passo. Il colore è giallo dorato, limpido e brillante; la schiuma abbastanza persistente, bianca con un perlage molto fine, dalla quale si sprigionano profumi floreali e di frutta esotica ancora non troppo matura, come ananas e litchi. Si sentono note di agrumi dati dai luppoli americani usati in modo massivo. In bocca entra morbida per poi diventare quasi immediatamente aspra e secca con note amaricanti ma eleganti. Ritroviamo nel sapore tutti quei sentori di frutta e di agrurmi, con un corpo snello ed elegante che richiama la bevuta, con un colpo di coda resinoso e asciutto. Impossibile smettere. Con i suoi 5,4 gradi sicuramente ve ne serviranno almeno due per finire il panino. Da servire in una pinta Americana assolutamente fresca, e questa volta non parlo di gradi Celsius, ma di data di imbottigliamento. La temperatura di servizio è di 7°-8°C.
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COCKTAIL a cura della REDAZIONE
L I M O N C E L L O
G I N C O C K TA I L "limonoso" e rinfrescante
Siamo a Maggio. Le giornate calde cominciano a farsi sentire e con esse anche la voglia di bere qualcosa di fresco e dissetante. Inoltre, dobbiamo servire ai nostri ospiti un fantastico aperitivo con delle polpettine ripiene di pulled pork e peperoncini. Abbiamo quindi bisogno di qulcosa che sgrassi il palato e che sia rinfrescante. Niente di meglio di un cocktail a base di limoncello. Tutti conosciamo questo liquore tipico della costiera amalfitana, preparato con le scorze di limone. Il suo grado alcolico oscilla tra il 20% e il 32% vol. Dolce, dal caratteristico colore giallo, il limoncello si prepara lasciando macerare nell'alcol puro le scorze di limone con l'aggiunta di uno sciroppo a base di acqua e zucchero. Deve rimanere in bottiglia per almeno un mese prima di essere bevuto. Ed è proprio il limoncello la base del cocktail che andremo a servire ai nostri opiti, in queste calde giornate di Maggio, insieme al pulled pork fumante. E' facilissimo da preparare, ecco quello che vi serve: 50 ml di Limoncello 25 ml di Gin il succo di un limone Ghiaccio Direttamente nel bicchiere ghiacciato, preferibilmente un Tumbler Medio o Collins, mescolate il limoncello, il gin e il succo di limone insieme ad abbondante ghiaccio. Decorate con zest di limone. E' ottimo servito anche nei bicchieri più piccoli, come shottino
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THE CHEMICAL GRILLERS - RUBRICA a cura di VIRGILIO BRUNETTI
brining
chapter one Il termine italiano “Salamoia” identifica una soluzione salina per il trattamento di una vasta gamma di alimenti: prodotti caseari, ittici, carnei e non ultimo ortaggi e verdure. L’uso di una soluzione salina come conservante è uno dei mezzi più semplici per mantenere a lungo prodotti deperibili a temperatura ambiente, previa pastorizzazione o sterilizzazione. Spesso vengono definite “conserve al naturale”, dato che l’alimento mantiene la maggior parte delle caratteristiche organolettiche del prodotto fresco o cotto: colore, sapore, idratazione (più difficilmente la consistenza). Inoltre non sono aggiunte componenti acide, grasse o zuccherine che caratterizzano le conserve sott’aceto, sott’olio e in agrodolce. Abbiamo parlato molto spesso di Salamoia, più precisamente di Wet Brining e Dry Brining. Quest’ultimo è uno dei temi più hot della nostra community, insieme alla tecnica del reverse searing; tuttavia, la mia percezione è che, nonostante i nostri sforzi, ci sia ancora confusione nell’applicazione delle tecniche di brining, le quali di fatto sono la base del seasoning e si applicano spesso inconsapevolmente anche quando utilizziamo un rub o una marinatura. MAGGIO 2019
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Il termine Brining raccoglie una serie di tecniche che hanno lo scopo di applicare una quantità utile di sale, tale da esaltare la sapidità e la succosità della carne in maniera significativa. Dry Brining significa “salamoia a secco”. Sebbene per noi Italiani il concetto di concia o salagione degli alimenti quali carni, pesci e formaggi sia intuitivo, iniziamo a vacillare quando invece si tratta di salare la carne prima della cottura. Lo scopo del dry brining è quello di migliorare la qualità di base della carne in termini di sapidità, succosità e resa in cottura; inoltre il dry brining non ha lo scopo di prolungare la shelf-life. Per saperne di più vi invito ad iscrivervi alla nostra BBQ4All MAIL CLASS dove vi verranno spiegati con rigore scientifico tutti i perché del Dry Brining. Vi anticipo solo che Il Dry Brining, se applicato correttamente. è una tecnica assolutamente versatile. Le quantità di sale non sono le stesse che si usano per la salagione di un prosciutto o di una baffa di salmone, sono largamente inferiori e si posso quantificare tra lo 0,5 e 2% rispetto al peso della carne. I tempi di esposizione su una bistecca di spessore ıæA BBQ4All MAGAZINE
accettabile non superano le 48h. Un’altra variabile che genera caos nell’applicazione di queste tecniche è l’uso di sali da cucina cristallizzati in maniera particolare e di unità di misura arbitrarie come “Cup” e “Spoon”. Accettate un consiglio: scegliete il sale che preferite e ragionate sempre in grammi. Nel caso del Dry Brining, dove il sale va sparso in maniera uniforme sull’alimento, è ragionevole parlare di sali con cristalli con geometrie differenti da quelle del nostro comune sale da tavola. Il sale Maldon® o il Morton® si prestano meglio al Dry brining perché, a parità di peso, presentano una massa maggiore dovuta alla struttura dei cristalli di cloruro di sodio, per cui risulta più agevole cospargere il sale sulla superficie della carne. Fonti autorevoli dichiarano che il dry brining può essere considerata una tecnica totalmente sostitutiva rispetto alle più complicate e ingombranti procedure di Wet Brining. Il sale può essere miscelato a vostra discrezione con le spezie secche, ma forse per questo non siete ancora pronti: pare che in Italia condire una bistecca alla fiorentina con sale e aromi prima della cottura sia un reato passibile penalmente. Che ci crediate o no, il sale appli-
cato nella giusta misura sulla vostra bistecca renderà i seguenti vantaggi: • Maggiore succulenza del pezzo di carne; • Adeguata sapidità, distribuita uniformemente; • Parziale denaturazione del connettivo; Inoltre vorrei sottolineare che la denaturazione delle proteine degli strati superficiali della bistecca permette un rendimento migliore della reazione di Maillard. Quantità maggiori di sale, parliamo di oltre il 2% in peso rispetto la materia prima da trattare, hanno tre scopi: stabilizzare gli alimenti dal punto di vista microbiologico, disidratare e aumentare i tempi di conservazione. Il Dry brining in questo caso va a complementare processi di affumicatura fredda, essiccazione e stagionatura, rendendo gli alimenti conservabili anche per mesi. Il Wet Brining invece è un approccio “umido” che si effettua immergendo gli alimenti in una soluzione salina, ma esistono di fatto due varianti nell’esecuzione di questa tecnica che vale la pena distinguere almeno a livello conoscitivo. Il Wet brining rappresenta un approccio tradizionale al brining e con-
siste nell’immersione di un alimento in una soluzione ipersalata con una concentrazione di sale comune che va dal 5 al 10%. In questo caso, parliamo di Gradient Brining. Per meglio spiegare cosa significhi utilizzare una salamoia per gradiente, si può ricorrere ad un interessante parallelismo tra Brining e Cottura. Normalmente, siamo abituati a cucinare la nostra carne ad una temperatura superiore a quella target interna: prendo il mio girello di manzo di super qualità, lo aromatizzato con amore e lo metto in cottura indiretta a 140-160°C per il tempo sufficiente perché la temperatura al cuore arrivi a 48°C, resting e carry-over faranno in modo che la temperatura arrivi a 52°C. Cottura Perfetta? Se il concetto di cottura perfetta è una carne stracotta negli strati esterni e cruda al centro sappiate che esiste un livello di perfezione superiore al quale non siete ancora addestrati, a meno che non siate degli appassionati di cotture a bassa temperatura e in sous vide. Bene, il Gradient Brining agisce con la stessa identica cinetica di una
cottura a temperatura elevata: essendo il processo basato sulla diffusione e non sul principio di osmosi, l’assorbimento dei liquidi è condizionato da una lenta penetrazione del sodio a partire dagli strati più esterni verso l’interno. I tempi, come nella cottura, dipendono dalla massa, dalla geometria del pezzo di carne e dalla forza della soluzione. Il risultato sarà del tutto analogo: avremo gli strati esterni ipersalati e un gradiente di salatura disuniforme dal l’esterno verso l’interno. I vantaggi di un Wet Gradient brining sovrapponibili a quelli di un Dry Brining (maggiore succulenza, sapidità aumentata e rilassamento dei tessuti connettivi, inibizione efficacie della crescita di molti ceppi batterici) a fronte però di alcuni importanti effetti collaterali: salatura eccessiva soprattutto negli strati superficiali, denaturazione intensa delle proteine superficiali, ricorso a procedure correttive che dilatano i tempi di preparazione, correzione della sapidità mediante l’aggiunta di zuccheri. Gli effetti collaterali di un gradient brining si correggono facilmente con un bagno in acqua dolce e lasciando riposare la carne in frigo per qual-
che ora, in modo che il sale vada ad equilibrarsi all’interno della ciccia. Una salamoia al 6% è sufficientemente forte da inibire la crescita batterica, a mano che non ci siano contaminazioni a monte del processo, a mano che il gruppo muscolare da cui è costituito il taglio sia intero e a mano che non ci siano buchi o tagli effettuati con arnesi contaminati. Un gradient brining non è una tecnica che si presta bene ad alimenti delicati, soprattutto se si vogliono evitare modificazioni significative sulla texture. Esiste un’alternativa “modernist” al tradizionale gradient brining chiamato Equilibrium Brining. Questa tecnica segue la stessa cinetica d’azione delle cotture a bassa temperatura, in sous vide e del reverese searing BBQ4All style, in cui si tratta la carne (o altri alimenti) ad una temperatura uguale a quella che vogliamo raggiungere al cuore: si prende la bistecca si mette in forno a 52°C e si attende che la temperatura della carne si equilibri con quella della camera di cottura. Il tempo di searing o di cottura sarà in funzio-
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ne delle caratteristiche della carne. In un Equilibrium Brining si sceglie di utilizzare una concentrazione di sale che sia “giusta”, si fa agire la salina finché si va a stabilire un equilibrio tra sale disciolto nella soluzione e quello diffuso all’interno dell’alimento. Qual è la concentrazione di sale giusta? È molto semplice. Premetto che una soluzione di sale da cucina in acqua rimane insapore per una concentrazione inferiore a 0,009 M (circa 0,5 g/L) e viene poi percepita progressivamente sempre più dolce fino a 0,030 M (1,8 g/L). Per concentrazioni comprese tra 0,030 M e 0,040 M (1,8 -2,3 g/L) il sapore è misto dolce-salato per diventare poi salato puro sopra 0,040 M. Una salina fisiologica ha una concentrazione dello 0,9% (cioè circa 9 g/L), l’acqua di mare il 3,5% (35 g/L) in questo range si attesta la nostra percezione di poco e molto sapido. La formula per determinare la giusta quantità di sale da dissolvere è: (peso Acqua + peso Carne) x Concentrazione della soluzione in % = peso del sale da dissolvere Per una soluzione al 2% per 1 kg di carne più 2kg di acqua, saranno necessari 60 grammi di sale comune contro i 60 grammi su litro che andremo ad utilizzare per una salamoia tradizionale al 6%. Le percentuali di sale vanno aggiustate in base alla tipologia di alimento: • frutti di mare delicati 0,5-1%, • carni bianche 1,5-1,75% • carni rosse delicate fino al 2% A queste concentrazioni abbiamo un’inibizione piuttosto bassa della crescita batterica, per cui si consiglia sempre di mantenere la catena del freddo e l’igiene dei processi di preparazione. Essendo i tempi piuttosto dilatati, questa tecnica viene utilizzata maggiormente per alimenti delicati di dimensioni contenute. In alternativa, su pezzi di dimensioni più consistenti potete considerare di accelerare iniettando la soluzione con una apposita siringa, perforando/massacrando la carne con un Meat Jaccard oppure usando un introvabile Vacuum Meat Tumbler (una sorta di agitatore che muove un contenitore da vuoto). I tempi di esposizione dipendono ıA BBQ4All MAGAZINE
dallo spessore della carne; il tempo si calcola in maniera approssimativa come quadrato dello spessore: per una bistecca di 2 cm il tempo di brining dovrà essere circa 4 giorni. L’utilizzo di una Equilibrium Brine potrebbe sembrare una inutile complicazione, ma è di fatto l’unico approccio che permette di tenere sotto controllo tutte le variabili e di applicare la tecnica del brining con rigore scientifico. Esiste anche un metodo strumentale per controllare accuratamente la quantità di sale in un alimento: si chiama “salitometro con sonda ad infissione” ma ha un costo proibitivo per gli scopi di un griller comune. Nel prossimo capitolo vedremo come la nostra salamoia a base di semplice NaCl benefici dell’aggiunta di altri particolari Sali, e i relativi scopi. To be continued!
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ADVANCED TRAINING CLASSES Grill to Perfection - Smoke to Perfection
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Matteo Frosi
Giovanni Lupo
La mia recensione sui corsi “Grill to Perfection 2019” Ho partecipato al GTP Tour e ancora devo riprendermi! 2 giorni pieni di informazioni utili, che hanno consolidato le mie conoscenze pregresse e dato lo spunto per provare tecniche nuove. Investimento ripagato in pieno, già solo con la quantità di carne mangiata durante il corso. Era già da un po’ che sperimentavo le diverse tecniche (reverse, affumicature...) ma sentire le spiegazioni dei coach e vederli all’opera mi ha aperto un vero e proprio mondo. Ero titubante se frequentare il corso o meno, avevo la presunzione di avere già tutte le conoscenze a disposizioni leggendo su internet e sperimentando sul campo: nulla di
più sbagliato! I corsi sono un concentrato di nozioni che non troveresti da nessuna altra parte. Una menzione particolare va a tutti i corsisti: l’atmosfera che si crea è fantastica, tutti pronti a condividere le proprie esperienze e conoscenze. Siete stati fantastici! E poi ovviamente loro: i coach! Non ci sono parole per descrivere la loro bravura e la passione che ti trasmettono. Poco altro da dire: non frequentare questi corsi è uno degli errori più grandi che si possa fare per gli appassionati di barbecue. Un saluto a tutti e non vedo l’ora dell’arrivo del prossimo STP!
La mia recensione sui corsi “Grill to Perfection 2019” Ho partecipato al GTP che si è tenuto lo scorso weekend e vorrei condividere con voi alcune impressioni del corso organizzato dalla BBQ4ALL University. lo sono un newbie di questo fantastico mondo, ma molto allenato nella parte conclusiva, ovvero nella degustazione, e per niente nella parte pratica relativa alla cottura. Così ho deciso che solo i migliori grillmaster in circolazione potessero darmi le nozioni per lanciarmi con decisione nelle cotture con l’uso del BBQ. La mia prossima esperienza in griglia, finora svolta raramente dati i modesti risultati, sarà finalmente consapevole delle azioni da compiere. Naturalmente non è sufficiente un corso di un paio di giorni, con due coach dalla grande esperienza (si potrebbe pure dire “con du’ cosi cosi!”), per diventare infallibili, ma certo è che vedere compiere le
operazioni passo passo o farle con la loro supervisione, con spiegazioni minuziose, intrise di esperienza e scienza, mi renderà molto più semplice il ritorno alle griglie. Il GTP è un piccolo investimento che in brevissimo fa dimenticare la spesa sostenuta per l’iscrizione. Il viaggio tra le golosissime carni del Megastore, cotte alla perfezione con l’aiuto dei coach, ma anche dei tanti appassionati (e alcuni per niente alle prime armi) corsisti, vale da solo il costo sostenuto. Ma quello che ti porti a casa è il vero valore del GTP! Che dire del compendio cartaceo del corso? Spettacolo, ma non voglio spoilerare né togliervi il piacere della sorpresa. [ ... ] Grazie! A presto l’STP: non vedo l’ora!
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Gian Carlo Serra La mia recensione sui corsi “Smoke to Perfection 2019” È passato un mese dal corso e non mi ero più dedicato al bbq. Ieri pomeriggio mia sorella mi chiede se sono disponibile a cucinare per 8 per pranzo di oggi. “Dai, - dice - vieni con tua moglie, noi facciamo la spesa e tu ci fai mangiare le tue cose al bbq”. Detto fatto. Oggi ho cucinato e i commensali sono rimasti basiti. L’impressione è stata quella del film Il pranzo di Babette. Non so se lo conoscete. Un po’ pesante, ma per gli amanti di cucina è notevole. Sono rimasti senza parole. Alcuni avevano già provato le mie costine (le nostre!), il mio BBQ4All, ma oggi hanno trovato un livello diverso. Anche io mi sono sentito ad un livello diverso. Non parlo di ricette e di metodi, ma di consapevolezza, di obiettivi voluti e raggiunti.
Non che ne fossi rimasto deluso. Assolutamente, mantra in mille dettagli. E mi hanno permesso ma mi ero reso conto che, mentre ai GTP avevo di realizzare il miglior pranzo al bbq che avessi recepito 1000, ora avevo acquisito “solo” 100. mai realizzato. In apparenza. Oggi ho applicato tutto (senza aver fatto nessu- Potrei postare le foto dei piatti, della postazione na ricetta eseguita al STP) e mi sono trovato in con due bbq, del fuoco, della cenere, ma credo una dimensione nuova. che la foto che più mi rappresenti nella giornata di oggi sia quella che riprende il mio foglio delle E lo hanno notato anche a tavola. Anche mia tempistiche e degli appunti che ho stilato per moglie. Non mi ha riconosciuto in alcuni pasnon perdere di vista il pranzo. saggi e mi ha chiesto più volte se avessi fatto tutto io perché così non avevo mai cucinato.
È stato un successo incredibile: dai piatti serviti, dall’impiattamento, dai tempi di servizio, dai dettagli. Da tutto. Certo, le costine con il Montreal di Bbq4all rubato al corso hanno fatto un salto in avanti e tutti Devo dire la verità. I GTP mi erano piaciuti mol- hanno leccato anche gli ossi, ma le dritte dei coto. Molto di più di questo STP. Al momento. ach sono state perfette e sono tornate come un
Quindi grazie! Quindi provate i corsi (valgono tutto il prezzo richiesto)! Quindi studiate! Buon bbq! Buon BBQ4All!
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www.bbq4all.it/corsi/grill-to-perfection-tour MAGGIO 2019
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RUBRICA a cura della BBQ4ALL UNIVERSITY
#CHIEDIALCOACH
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BBQ4All MAGAZINE
#chiedialcoach Speciale Pulled Pork: molti utenti ci chiedono chiarimenti sulla conservazione del pulled pork in barattoli. Risponde il senior coach VIRGILIO BRUNETTI. Avere in dispensa la nostra batteria di Pulled Pork in barattolo pronto all’uso è un’idea che intriga ed entusiasma moltissimi griller e amanti della carne affumicata, ma è un prodotto che richiede una procedura di preparazione specifica che si basa gran parte sulla gestione dell’igiene, della temperatura della carne e del pH della conserva. Prima di suggeriti come fare, permettetemi di farvi qualche premessa. La rigenerazione degli avanzi del nostro barbecue è una necessità sostanzialmente diversa rispetto a quella di preparare una carne al barbecue destinata ad una lunga conservazione in un vaso ermetico. In ambito professionale esiste una serie di strategie complesse che consentono di garantire la gestione degli avanzi e la conservazione a medio termine degli alimenti preparati. Conoscere ed applicare queste strategie consente di economizzare in maniera intelligente i prodotti freschi faticosamente preparati e di riutilizzarli garantendo qualità e sicurezza. Il rendimento di queste procedure è legato strettamente all’utilizzo consapevole e programmato degli apparati tecnologici deputati alla gestione della temperatura dell’alimento e si configura in un percorso a tre passaggi: Cottura – Abbattimento – Ritorno in temperatura. A livello domestico, i livelli di allerta in termini di sicurezza e di qualità tendono a rilassarsi e sono governati dalla mentalità della singola persona e dalla sua percezione di rischio ma devono comunque mantenere degli standard accettabili al fine di evitare inutili rischi di intossicazione alimentare. Gli avanzi di un pulled pork spesso non possono essere abbattuti, perché l’uso di abbattitori a livello domestico è ancora poco diffuso; si ricorre quindi alla conservazione in frigo o in congelatore. Una carne cotta a lungo e affumicata avrà di base una carica batterica veramente molto bassa se si applicano le normali norme igieniche, ma tutto cambia se il pulled pork deve essere preparato e predisposto ad una lunga conservazione in contenitore ermetico, come un vaso in vetro. I rischi sono gli stessi di qualsiasi altra conserva casalinga: il botulismo e le tossinfezioni alimentari sono un pericolo sempre troppo grande da correre, a fronte della necessità ludica di avere una conserva auto prodotta. I nostri vecchi conoscevano benissimo questi rischi, ma un tempo mettere in conserva gli alimenti era una necessità. Quando mia nonna preparava la salsa di pomodoro, per prima cosa sterilizzava i tappi e i contenitori bollendoli in acqua. La sterilità dei contenitori è il primo passo per ottenere una conserva sicura. Gli alimenti venivano lavati accuratamente, cotti e inscatolati ancora molto caldi. Se questo non era possibile, le conserve erano sottoposte ad acidificazione e a ripetuti cicli di bollitura (pastorizzazione). Le conserve così ottenute si potevano riporre anche per un anno a temperatura ambiente (e sempre previa ispezione dello stato del barattolo: tenuta del tappo, sfiati di gas all’apertura, odori di fermentato e rancido, effervescenza, muffe e patine sono indice di una conserva che non va assolutamente MAGGIO 2019 Aıł
consumata). Il vostro pulled pork appena uscito dal vostro barbecue sarà sostanzialmente sterile (anche se la sterilità assoluta non esiste); la lunga cottura, la temperatura prossima ai 100°C, l’affumicatura, il sale, le spezie e l’acidità della salsa barbecue, vi garantiranno una carica batterica molto bassa finché non iniziate a maneggiare la carne e la temperatura non si approssima alle condizioni necessarie e sufficienti affinché i batteri possano iniziare a proliferare. Tenete conto che questi ultimi si possono categorizzare in tre principali tipologie: I batteri termofili restano vitali e proliferano e sopravvivono fino a 60°C. I batteri mesofili proliferano e sopravvivono tra i 20 e i 45°C. I batteri psicrofili proliferano e sopravvivono tra i 10 e i 20°C. Ogni microrganismo ha la capacità di proliferare in un alimento ad un ritmo esponenziale quando trova l’optimum della temperatura. Nella tabella possiamo vedere come il range di temperatura tra 10 e 60°C definisce la zona di massimo pericolo all’interno della quale quasi tutti i microrganismi proliferano alla massima velocità. Inoltre ci suggerisce come sia importante che gli alimenti permangano il meno possibile all’interno di quel range di temperatura. La preparazione del “Canned” Pulled Pork inizialmente è del tutto sovrapponibile a quella che fareste per un pulled da consumare immediatamente; le strade si dividono a partire dal maneggiamento della carne contestualmente alla fase di resting, che deve avvenire in un contenitore il più possibile pulito per evitare contaminazioni. Quando sfilacciate la carne dovete avere l’accortezza di utilizzare utensili puliti, inoltre evitate di massacrare la carne fino all’ultima fibra, cercando quando più possibile di mantenere i pezzi grossi. Un passaggio che ritengo fondamentale, come suggerito nelle linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità riguardo alla conservazione di Salse e Sughi contenenti pesci e carni, è che il preparato, per essere pastorizzato/sterilizzato, deve avere anche un pH non superiore ai 4,6 TEMPERATURA (°C)
per evitare la germinazione delle spore di Botulino e il rilascio della tossina; di conseguenza è obbligatorio acidificare la preparazione mediate uso di aceto o acido ascorbico per uso alimentare, secondo le prescrizioni della scheda tecnica del prodotto. La misura del pH è abbastanza semplice se i prodotti contengono acqua, ma più complicata nel caso di prodotti su base grassa. Il pH misura il grado di acidità in una scala che va da 0 a 14. Minore è il valore del pH, maggiore è il grado di acidità di un prodotto. Il contrario di acido è alcalino, quindi un prodotto in cui il pH ha un valore prossimo a 14 è un prodotto alcalino oppure basico. A pH 7 corrisponde il livello di neutralità. Per quanto riguarda il rischio botulismo, i prodotti sono sicuri se il loro pH è minore di 4,6. In ambito domestico il pH si può misurare con le cartine al tornasole, che sono delle striscioline di carta solitamente di colore giallo che variano il loro colore in funzione dell’acidità del prodotto. Il semplice confronto del colore ottenuto misurando il pH del prodotto con una scala colorimetrica di riferimento presente nella confezione delle cartine fornisce il valore del pH della conserva. Il vaso di vetro e il relativo coperchio devono essere sanificati; devono inoltre essere di forma e di volume adeguato al prodotto che state andando a confezionare: il volume interno del vaso determina per quanto tempo dovete trattare il contenitore nelle operazioni di pastorizzazione o sterilizzazione. Gli spazi vuoti devono essere riempiti sfruttando i liquidi di cottura del pulled pork (che avete tenuto da parte) oppure un brodo ricco di gelatina che va versato caldo nel barattolo in modo da non avere bolle d’aria. Inoltre deve essere gestito con cura il livello di riempimento del contenitore: è importate lasciare il livello d’aria corretto, perché un riempimento eccessivo genera facilmente l’estrusione di alimento che potrebbe sporcare le guarnizioni e la filettatura del vaso, compromettendo nella maggior parte dei casi la tenuta del contenitore. La conserva a questo punto va stabilizzata mediante trattamento termico, che viene scelto in base alla tipologia della conserva e che deve essere anche praticabile a livello casalingo. Non è possibile, in tutti i casi, effettuare una sterilizzazione vera e propria del prodotto: viene effettuata una pastorizzazione.
COMPARAZIONE TRA TEMPERATURA E SVILUPPO MICROBICO PSICROFILI
MESOFILI
TERMOFILI
100 80 60
INTERROTTO RALLENTATO
RALLENTATO/ INTERROTTO
MASSIMA CRESCITA
MASSIMA CRESCITA
RALLENTATO
50 30
A
10
MASSIMA CRESCITA
0
RALLENTATO
RALLENTATO
-1
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BLOCCATO
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BLOCCATO
ZONA DI MASSIMO PERICOLO
Il metodo casalingo per stabilizzare le conserve è la bollitura (a pressione ambiente) ed è un metodo sicuro solo su conserve acidificate. Vediamo come operare. I contenitori devono essere disposti nella pentola di capienza opportuna ed immersi totalmente in acqua; non devono avere contatto diretto col fondo: è utile frapporre un canovaccio tra i contenitori e il fondo. Il tempo di bollitura deve essere sufficiente affinché il calore arrivi al cuore della conserva. Non abbiamo modo di controllare con un termometro questo processo per cui dobbiamo
basarci sulle linee guida emanate dalle istituzioni, che regolamentano la sicurezza alimentare. Il Ministero della Salute indica 20 minuti tra 0 e 300 metri sul livello del mare e tra 25 e 35 per altitudini superiori. Il tempo si misura quando l’acqua inizia a bollire. Terminata la bollitura i barattoli devono essere lasciati in acqua e successivamente ispezionati, prestando attenzione alla tenuta dei tappi (sistema Click-Clack). Dopo l’apertura il vostro Pulled Pork deve essere conservato in frigo e consumato entro tre, quattro giorni.
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#CHIEDIALCOACH MAGGIO 2019
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GLOSSARIO BBQ
DO YOU speak DIZIONARIO DEL MONDO BARBECUE
BBQ
Ogni mondo ha il suo codice, i suoi acronimi ed il suo dizionario di riferimento, e il barbecue non fa certo eccezione. Se vuoi diventare un griller esperto devi espandere il tuo vocabolario, che andrà da Adobo Sauce a Zest. La filologia, ovvero la disciplina che serve (anche) a ricostruire i documenti letterari nella loro forma più originale dice che è filologicamente molto più corretto chiamare le cose coi loro nomi originali piuttosto che usare le traduzioni. Sei d’accordo, no? æA
BBQ4All MAGAZINE
Riprendiamo adesso il nostro viaggio lessicale, dopo le ettere C e D, affrontiamo la E e la F..
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Emulsione. Usatissime in cucina, e anche nella cottura bbq, le emulsioni sono miscele di una componemente grassa con una soluzione acquosa. Sottoponendo la miscela ad una forte
agitazione, le goccioline di un ingrediente (la fase dispersa) possono distribuirsi nell’altro ingrediente (la fase continua). La formazione di una emulsione viene facilitata dall'uso di emulsionanti, cioè molecole che possiedono una parte affine all’acqua e una parte affine ai grassi. Esistono molte sostanze che possono essere utilizzate come emulsionanti, che hanno lo scopo di stabilizzare l'emulsione in modo che la parte grassa non si divida velocemente da quella liquida.
Quali sono queste sostanze? Le lecitine, ad esempio, contenute largamente nel tuorlo dell'uovo, Ma anche le proteine. Ecco perché aggiungere ad esempio la maionese nell'emulsione per la marinata è un ottimo modo per stabilizzarla: la maionese contiene sia le lecitine dell'uovo che le proteine. Un altro ingrediente largamente utilizzato per stabilizzare è la senape: le particelle finemente suddivise della senape si depositano sulle goccioline all'interfase tra il grasso e la sostanza acida, stabilizzando l'emulsione. Le emulsioni sono in ogni caso strutture molto delicate e la loro stabilità può essere influenzata da molti fattori, fra i quali la temperatura. Aumentando la temperatura si favorisce la separazione, perché i grassi diventano più fluidi. Di conseguenza, un raffreddamento può stabilizzare l’emulsione. Ember roasting. Cottura a contatto diretto delle braci. È uno dei metodi più antichi di cottura. Il senso è quello di conferire una complessità aromatica al cibo che non è possibile replicare con altri metodi. Tante materie prime si prestano perfettamente alla cottura su braci, in modo particolare gli ortaggi: cipolle, zucche, carciofi, melanzane, peperoni, peperoncini, patate e rape sono perfetti per questo metodo e offrono dei risultati sempre sorprendenti. Il calore, il fumo, la cottura interna che avviene grazie agli stessi vapori sprigionati dal calore delle parti a contatto, ne trasformano completamente il sapore originale.
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Fall off the bone. Si usa questa espressione quando ci si trova davanti a delle ribs troppo cotte, che diventano molto morbide e pastose: la carne si sfilaccia e si stacca completamente dall'osso. Nonostante l'estrema tenerezza, il sapore ne risente molto. E' sempre meglio preferirie una cottura in cui l'osso si sfili facilmente, ma la carne continui a mantenere una certa compatezza. Fat cap. È uno spesso strato di grasso che si
trova tra la carne e la pelle. Se ne sente parlare in special modo quando ci si trova ad avere a che fare col Brisket. Il fat cap è quello strato di grasso compatto che ricopre tutto il flat fino all'inserimento nel point (vedi speciale Brisket per maggiori dettagli). Fat Flashing. È una procedura che nasce dalla fusione di altre due tecniche utilizzate per la cottura della carne in alcuni ristoranti e steakhouse americane . Riunisce il Basting (inumidire la superficie della carne durante la cottura condeterminati composti solitamente a base di burro fuso o fondi di cottura per aggiungere sapore ) e il Flashing ( somministrare una veloce botta di calore prima del servizio finale della bistecca). Con Fat Flashing si indica il passaggio che prevede di versare del grasso bollente (olio, burro, strutto ecc.) sulla superficie della carne cotta, quando è trascorso un lasso di tempo che può essere da qualche decina di secondi ad alcuni minuti. Non è una tecnica di cottura ma di termine di cottura. E' una tecnica molto usata per le bistecche. Firebox. È la camera di combustione, che contiene appunto il combustibile e il fuoco. Su alcuni smoker, come gli offset smoker, è separata dalla camera di cottura che contiene il cibo. Flat. È uno dei muscoli che compongono il Brisket. Esso infatti è composto dal pettorale profondo e dal pettorale superficiale: il primo è posizionato più internamente ed è appunto conosciuto come flat (il secondo invece è conosciuto come point). Ha la particolarità di essere molto meno infiltrato di grasso rispetto al point. Il Flat può essere facilmente separato dal point seguendo il setto naturale che li divide. Flat Iron Steak. È una bistecca che sorprende per tenerezza ed esplosività di sapore. Infatti, il muscolo infraspinatus dalla quale è ricavata è il secondo muscolo più tenero dell'intera carcassa dell'animale, subito dopo il filetto. Questa tenerezza è dovuta al fat-
to che un'ampia fascia di tessuto connettivo scorre attraverso il centro del muscolo. Questo fascia tendinea ha lo scopo di sostenere lo sforzo localizzato in questa area: in questo modo le due porzioni di muscolo che da essa vengono separate non sono sottoposte a grandi sforzi. Ecco spiegata la tenerazza. Il muscolo dalla quale è ricavata la Flat Iron Steak è conosciuto con diversi nomi: Topblade, Featherblade, Oyster Blade, oppure in italiano Copertina di spalla e Cappello del Prete Flip&Brush. È una tecnica per cuocere le bistecche sottili. Per le bistecche alte 25 mm o meno, il segreto è usare calore elevato e muoverle in continuazione. Si fa mettendo la carne sulla parte più calda della griglia e girandola ogni minuto, in modo da far raffreddare la superficie calda della bistecca, impedendo al calore di accumularsi troppo e scongiurando la possibilità di stracuocere l'interno. Durante l'operazione è utile spennellare la carne con una marinata. Foil. Comunemente si chiama così la tecnica di avvolgere la carne in cottura (brisket, ribs, pork) in un foglio di alluminio, in modo da generare una curva di crescita della temperatura costante, accorciando di molto i tempi di cottura e mantenendo molti più succhi all’interno. Frollatura. La frollatura della carne è il tempo di permanenza in cella frigo che intercorre tra l'abbattimento dell'animale e la sua vendita sul banco. Più lungo sarà il periodo di frollatura, più tenera e saporita sarà la carne. La maturazione in frigo rende la carne molto tenera ma soprattutto ne concentra il sapore perché essa fa perdere circa il 30/40% di peso alla carne. Questo peso perso è il prezzo da pagare per avere questo sapore concentrato.
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MA DOVE LO TROVO? La migliore carne dal mondo, dal Wagyu giapponese al Black Angus, frollata, marezzata e selezionata con cura: tutto questo solo nel
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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI
SEGUO
Il londinese John Newlands, nel 1865, ebbe una fondamentale intuizione per il mondo della chimica: notò la possibilità di classificare e ordinare gli elementi in base al loro peso atomico relativo e la curiosa tendenza di questi ad avere un pattern, uno schema di caratteristiche e proprietà ripetute ciclicamente a gruppi di sette. In maniera evidente poté notare, ad esempio, le somiglianze nei comportamenti di Litio, Sodio e Potassio, (piazzati nei posti 1, 8, 15), in quelli di Fluoro e Cloro (7 e 14), Ossigeno e Zolfo (6 e 13), e fece una scelta molto bizzarra assegnando ad ogni elemento un tasto sul pianoforte e rappresentando così visivamente, presso la seriosa comunità scientifica del tempo, la sua visionaria e rivoluzionaria Teoria delle Ottave. Fu ferocemente preso in giro. Ad ogni convegno, ad ogni discorso pubblico nelle principali università, c’era sempre il simpaticone pronto a chiedere se gli elementi potessero suonare un brano di Mozart, mentre austeri e sussiegosi professoroni si sgangheravano dal ridere mimando alle spalle di Newlands le gestualità di un virtuoso pianista. L’umiliazione non si fermò al dileggio e al bullismo più sfrenato: la Chemical Society rifiutò di pubblicare il lavoro del bistrattato John, nonostante lo scienziato avesse predetto la presenza di elementi, al tempo non ancora
scoperti, grazie alla sua osservazione di ripetitività dei comportamenti. L’idea di ordinare in base alla massa atomica era di estrema rilevanza ma passò completamente in secondo piano rispetto al rito collettivo di sfottere senza misericordia Newlands. Il malavventurato chimico avrebbe forse potuto salvare il suo geniale lavoro, ai nostri giorni, reagendo sui Social Network con un perentorio: “non mi dovete mancare di rispetto”. Ah, il rispetto e la sua sgradita mancanza. Il “non mancare di rispetto” credo sia diventato il “tana libera tutti” del nascondino perverso dei social. Esaminiamo qualche caso tipo:
L’ESPERTO PER INDUZIONE (se è vero al caso n = 0 e al caso n = 1, allora è vero anche per il caso n + 1 qualunque sia il valore di n.) “Io sono un grande esperto nel mio campo, riconosciuto in diverse sagre paesane del circondario, e non temo smentita affermando 7TefA8
” MAGGIO 2019
Ad
Niels Bohr “No, ti stai sbagliando: evidenze speri-
B8 e ha fatto 7CBfe8 , pensa, è passato da
amico, forse perché non hai amici, perché
mentali, teoria e senso comune dimostrano
7IO8e_a_B8 e poi 7A8edBOB d 6e_a-B
devi sempre puntualizzare tutto! Fatti una
chiaramente 7TefB8
fB8”
”
“Buffonate: sai quanta 7Tef A8
ho fatto
prima di te? 7TefB8
è da signorine! Quan-
do applico 7Tef A8
ricevo grandi compli-
menti, e anche mia madre ha sempre confermato la mia competenza!” “Se 7Tef A8
l’universo collasserebbe in una singolarità infinitesimale dove le leggi di natura, il tempo e il cappuccino al ginseng non avrebbero più modo di esistere. Inoltre stando a , 7Tef B8
è una verità
incontrovertibile".
“Mi sembra strano, 7IO8e_a_B8 è chiuso, 7CBfe8 sembrano più cosa faresti tu potendola passare liscia, ma soprattutto 7A8ed BOB d 6e_a-BfB8
A
è esattamente la trama
gio Cavazzano.” “Quindi sono un bugiardo, uno scorretto, un millantatore? Stai dicendo questo??” “...Non proprio, forse ti sei espresso male, ma
non mi in-
teressate perché io ho il sostegno delle sagre paesane, capito? E soprattutto non mi devi mancare di rispetto! Ho detto 7Tef A8
, tu
puoi avere la tua opinione ma rispetta la mia, intesi?”
“Tu stai mancando di rispetto a me e al mio amico! Quali problemi hai? Tu vieni qui, sul MIO profilo, dove posso dire cosa VOGLIO, e metti in discussione 7CBfe8 ?” “Ok puoi dire cosa vuoi, ma mi hai aggiunto ai contatti e il post mi è apparso in home, leggendo ho ritenuto non proprio plausibile
Lo SMASCHERATO VENDICATIVO (l’inverso dell’opposto del vendicatore mascherato)
la faccenda. Ma va bene così, non importa.”
“Una volta un mio amico è andato a 7LxB A
spetto davanti a TUTTI, davanti al mio
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Il NENCIONI (caso limite per eccezionale gravità e inadeguatezza ai rapporti con terzi): 7DfcB_f^xa-faf8 “Ehilà! :)” (questo è il Nencioni n.d.r.) “Mi ha mancato ancora una volta di rispetto! SI PRENDANO PROVVEDIMENTI!” “?”
non credo sia possibile quel fatto di 7CBfe8 a 7LxBB8 .
“Ecco è arrivato il PROFESSORE. Ascolta, tu e le tue università di 7TefB8
risata!”
di “Paperoga e il peso della gloria”, di Gior-
fosse corrispondente al vero
7Ra c b-B_aUa8
A
“Eh NO, perché ora mi hai mancato di ri-
Benissimo, è ora di parlare chiaro. Sappiamo benissimo quanto il rispetto non c’entri affatto. In questi casi di contestazioni sui social la frase più veritiera, spogliata dall’allegoria del rispetto, sarebbe: “Mi stai facendo fare una figura di melma davanti a tutta questa gente presso la quale voglio conservare un’aura di infallibilità, potresti per favore smettere di controbattere con argomenti inespugnabili, non avendo io più materiale per difendermi?”
nel profondo, qualora volesse dirimere la controversia sul nascere. Il “rispetto” è il briskettato dei rapporti interpersonali. Sappiamo non essere il termine giusto, sappiamo di voler indicare tutt’altro, ma ormai tutti usano quella formula e allora buonanotte, continuiamo ad usarla. Dmitrij Ivanovič Mendeleev, nel 1869, quattro anni dopo le angherie subite da Newlands, pubblicò la sua Tavola Periodica degli Elementi. Anche lui ordinò tutto in base alla massa atomica, anche lui poté fare predizioni sulla presenza di elementi ancora non scoperti. Niente tastiere di pianoforte, niente accostamenti immaginifici: Mendeleev era un siberiano dall’aspetto truce come una canaglia di un dramma vittoriano, con barba e capelli incolti, sopravvissuto alla tubercolosi e non particolarmente noto per essere docile o accomodante. Nessuno scherzo fu fatto. Ad oggi, con poche modifiche, puoi trovare la tavola di Mendeleev nelle aule di qualsiasi scuola superiore. Nel 1887 il mondo della chimica fece ammenda per la famosa mancanza di rispetto, e riabilitò la figura di John Newlands. John Newlands L’ho detto? L’ho detto davvero. Possiamo adesso dare per scontata la VERA lettura della manfrina del rispetto, almeno fra i lettori del magazine? Non è “rispetto” il trattamento voluto dalla gente in queste occasioni, è più un “potresti non mettermi a disagio davanti a tutti? Potresti non essere così rigoroso dimostrando il torto?” O, per esteso, “potresti non rivolgermi momentaneamente la parola?”
Maggio 2019: sono stati presi provvedimenti: sono stato sanzionato con l’obbligo di non usare mai la parola “che” in nessuna delle sue forme (aggettivo, pronome o congiunzione) negli ottomila caratteri della mia rubrica Seguo. Controllate pure. Provateci voi. Alla prossima mancanza di rispetto, mi dicono, dovrò fare a meno anche del verbo essere. Ossequi dall’indocile e riottoso Emiliano Nencioni
Dmitrij Ivanovič Mendeleev
Il rispetto, sui social network, praticamente non esiste: è una convenzione, un patto di non belligeranza del tipo “io non contraddico te e tu non contraddici me”. Affermo la summenzionata non esistenza per un motivo ben preciso: con un po’ di buon senso sembra ovvio quanto il rispetto sia presente nel non offendersi o nel non chiamare in causa la moralità delle rispettive madri, nel non utilizzare termini triviali, nel non effettuare violenti attacchi verbali basati sul nulla. Ma non è questo ad accalorare l’utente social medio: se mi offendi, se mamma è chiacchierata, se ti rivolgi a me usando i termini del famoso monologo in “Berlinguer ti voglio bene” pazienza, tutto passa ed è usanza di molti; ma se dimostri in maniera fredda e inesorabile quanto io stia dicendo panzane… allora quello rimane e l’onta è insopportabile. “Mi
devi portare acquiescenza!”
Ecco cosa andrebbe detto. “Scusa, io però a te non ho mai mancato di remissività.” Questo dovrebbe scrivere il social media user colpito
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VIA E. SACRIPANTI, SNC VIA ITALIA, 1 LARGO PORTA ROMANA, 1 P.ZA S. MARIA INTER VINEAS, 1 VIA SALARIA KM. 207,700 VIA E. MATTEI, 14 VIA MARSALA, 56 VIA V. FALCONE, SNC VIA CORSICA, 188/192 VIA MONTECARLO VIA PICENA, 80 VIA DEI CONTI RICCI, 46/48 VIA S. IPPOLITO VIA ARAPIETRA, 63/65 VIA BATTISTI, 207 VIA D’AVALOS, 213/215 VIA FABRIZI, 159 65121 VIA NAZIONALE ADRIATICA NORD, 201 VIA MONTE CERVARA, 1 VIA IV NOVEMBRE, 37 VIA MARTIRI DELLA RESISTENZA SNC PIAZZA VARISCO VIA MONTEBUONO VIALE LIEGI V. T. BOETTI VALVASSURA, 110 VIALE ERITREA VIA ROMA, 447 - VILLA ROSA S.S. ADRIATICA KM. 417,600
MAGGIO 2019
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