N°6/ANNO 1 - GIUGNO 2019
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BRINING, VARIAZIONI SUL TEMA
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CARNE È SCIENZA
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MAIL CLASS LA SERIE DI EMAIL DIDATTICHE DI GIANFRANCO LO CASCIO
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EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO
CARNE è SCIENZA “L’aspetto più triste della vita oggigiorno è che la scienza accumula conoscenza più rapidamente di quanto la società accumuli saggezza.” ISAAC ASIMOV
(biochimico russo e padre della narrativa fantascientifica)
Aveva proprio ragione lui. E vi spiego il perché con un A queste persone non potrei mai inculcare che cucinaesempio pratico. re un pezzo di carne non è questione di esperienza ma di scienza. Non potrei mai far capire che l’abilità consi1969 ste nell’acquisire un set di informazioni di uno specifico Il 20 luglio alle 20:17:40 ora americana, Neil Armstrong argomento e non nell’accumulare una serie di procedufu il primo uomo a mettere piede sul suolo lunare. re, incontrollabili ed irripetibili, solo perché si fa così da sempre.
1989
Robert Plath, pilota della Northwest Airline, ebbe l’idea Per queste persone sei abile se cuoci tante bistecche, non di applicare le ruote ad una valigia: nasce il primo trolley. se conosci i principi che regolano la cottura. Pensate: siamo arrivati sulla luna cinquant’anni fa ma abbiamo aspettato gli anni ’90 per appiccicare delle rotelle ad un bagaglio. La scienza ci ha fatto cappotto mentre trascinavamo i borsoni delle vacanze, stanchi e sudati, da secoli. Scienza 1 Società 0.
Ma sono sicuro che nessuno di voi, miei cari lettori, ha mai sofferto della sindrome di Dunning-Kruger. Quelli che cuociono le bistecche col modulo 5-5-5 a farfalla possono mandare un'e-mail per la confessione. Assolvo tutti, pure quelli che bucano le salsicce.
La stessa società che mi trovo a combattere quando parlo di scienza della cottura della carne, che è l’argomento che Prima di parlarvi del mio metodo di cottura delle bistecvoglio trattare oggi. che, che si chiama REVIT, voglio fare una piccola introduzione sulla struttura e la chimica della carne. È imporPer ogni mamma che compra un termo- tante per capire i principi alla base del mio ragionamento.
metro digitale, ci sono dieci nonne che misurano la febbre con il bacio in fronte.
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LA COMPOSIZIONE CHIMICA DELLA CARNE
CA R BO I D RAT I 1%
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Acqua La carne è composta al 65-75% di acqua a seconda del taglio. Il 5% di quest’acqua è legata alle proteine, il resto invece si diffonde per capillarità nello spazio tra le proteine e le fibre muscolari. Quando mettiamo la nostra carne sul fuoco, le proteine riducono il loro potere di trattenere l’acqua, che viene quindi strizzata via. Che poi è il motivo per cui la carne ben cotta andrebbe bandita dal Tribunale Internazionale dell’AIA. Proteine Costituiscono il 20% circa di un pezzo di carne. Parliamo di molecole composte da molecole più piccole, gli amminoacidi, che formano delle lunghe catene legate tra loro. Molto abbondanti nei muscoli sono le proteine fibrose, come ad esempio il tropocollagene, che salda i fasci muscolari l'uno all'altro. Gli amminoacidi che la compongono formano dei fili che si avvolgono su se stessi fino a formare una tripla elica. Oltre al tropocollagene, le due proteine che possiamo rintracciare in grandi quantità nei nostri pezzi di carne sono: la miosina, che rappresenta il 50% delle proteine totali nei muscoli e l’actina, che ne costituisce il 20%. Ma quali sono le loro proprietà, e in che modo caratterizzano la carne di cui ci cibiamo?
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Idratazione Le proteine, nello specifico miosina ed actina, trattengono l’acqua all’interno della carne regolandone la succosità. Il collagene, invece, per essere attivato ed idratato, ha bisogno di una lunga cottura. Ma ne parleremo dopo. Solubilità In base al pH, la temperatura e la concentrazione di sale (cloruro di sodio), alcune proteine diventano solubili in acqua. La miosina è solubile sia in acqua pura che in acqua molto salata, mentre la solubilità diminuisce con concentrazioni di sale intermedie. Quando mettiamo del sale su una bistecca, la miosina inizia a sciogliersi, mentre l’actina è molto meno solubile. E questo tornerà a nostro vantaggio in cucina. Il collagene non è solubile in acqua, in nessun caso, ma si può solubilizzare aumentando la temperatura o modificando il pH (sia in ambiente acido che alcalino) Gelificazione La miosina, una volta sciolta in acqua, a temperatura superiori ai 45°C comincia a coagulare e a 50°-55°C forma un GIUGNO 2019
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gel che intrappola l’acqua presente. Il collagene diventa I grassi sono di due tipi, saturi e insaturi. La differenza gelatinoso solo se sottoposto a temperatura superiori ai risiede nella loro struttura e nel loro effetto sul corpo: un 65°-70°C, per tempi piuttosto lunghi. grasso saturo ha legami singoli, mentre un grasso insaturo presenta almeno un legame doppio. È questo doppio Emulsificazione legame a renderlo insaturo, poiché c’è spazio per aggiunLe proteine fungono anche da emulsionanti: riescono gere idrogeno al doppio legame e renderlo saturo, ovvero cioè a mantenere miscelati acqua e grassi, impedendogli privo di spazio per nuove aggiunte. I cibi di origine anidi separarsi. Avete presente la maionese? In quel caso l’e- male sono generalmente ricchi di acidi grassi saturi menmulsionante è la lecitina. tre i cibi a base vegetale sono in genere a basso contenuto di grassi saturi. I grassi insaturi a loro volta si suddividono in: acidi grassi monoinsaturi, se è presente un solo doppio legame C=C (ad esempio acido oleico) acidi grassi polinsaturi se sono presenti due o più doppi legami C=C (ad esempio acido linoleico, presente nell’olio di mais, soia, girasole ecc…) Carboidrati L’animale immagazzina il glucosio in eccesso sotto forma di un carboidrato chiamato glicogeno, una sorta di serbatoio di zuccheri. Dopo la macellazione, però, il glicogeno viene consumato quasi interamente. Le tracce di zuccheri superstiti sono importantissime quando si cuoce la carne a temperature molto elevate. Vitamine e minerali La carne contiene vitamine del gruppo B, è un’ottima fonte di ferro e contiene buone quantità di zinco. Grassi Le variazioni della percentuale di grassi presenti in una specie dipendono dall’alimentazione, dalla razza e dall’età dell’animale. Pensiamo al nostro adorato Wagyu giapponese: può avere un contenuto di grasso che si avvicina al 40%. I grassi sono fondamentali nella profilazione del sapore, poiché sciolgono le molecole gustose create dalla cottura e le intrappolano, servendole alle nostre papille gustative su un vassoio d'argento. Dal punto di vista gastronomico, il grasso nobile è sicuramente quello disperso tra le fibre muscolari, che determina la marezzatura o marmorizzazione della carne. Ha due funzioni importantissime: facilitare la masticazione delle fibre e del tessuto connettivo, che sciogliendosi va a lubrificare i fasci muscolari, e sciogliere, come dicevo prima, le molecole gustose insolubili in acqua, depositandole sulla nostra lingua e sul nostro palato. Poiché il grasso ha una persistenza in bocca maggiore dell’acqua, le sensazioni di piacere vengono prolungate. ıA
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OSS I M I O G LO B I N A
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la mioglobina è in grado di legare l’ossigeno in modo reversibile, ovvero può rilasciarlo quando il muscolo ne ha bisogno. Come un bancomat. La mioglobina (Mb) è una proteina composta da 153 amImmaginate un cavo elettrico molto grande, con all’in- minoacidi e da una molecola chiamata “eme” che conterno cavi più piccoli e e loro volta composti da lunghi tiene un atomo di ferro. Il ferro è in grado di legare a sé filamenti. Ad ogni livello c’è una “guaina”che li protegge l’ossigeno e altre molecole, cambiando colore. e li separa. Tutte queste membrane sono composta dalla proteina fibrosa di cui vi ho parlato prima: il tropocolla- Quando la mioglobina lega l’ossigeno, il nostro pezzo di gene. Una specie di collante biologico che tiene insieme ciccia diventa di un rosso brillante. È per questo vi raccofasci muscolari e fibre all’interno di un muscolo. mando sempre di farle prendere un po’ d’aria. Ma cosa succede quando sottoponiamo la carne ad una IL COLORE DELLA CARNE: fonte di calore?
LA STRUTTURA FISICA DEL TESSUTO MUSCOLARE
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Specialmente in ambiente acido, a basso pH, il ferro con“Non è sangue, ma mioglobina.” tenuto nella mioglobina si ossida, ottenendo la metamioglobina, di colore marrone. Questa non è più in grado di Quante volte me l’avete sentito dire? Sì perché non è il legare l’ossigeno, si lega a una molecola d’acqua e il risulsangue a determinare la colorazione della carne, bensì tato diventa irreversibile. Scaldandola ancora si denatura una proteina chiamata mioglobina. Come l’emoglobina, e diventa tristemente grigia. GIUGNO 2019
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IL CALORE: CONDUZIONE, CONVEZIONE E IRRAGGIAMENTO I cibi sono composti, come vi dicevo prima, principalmente da acqua, proteine, grassi, carboidrati, vitamine e sali minerali. La cottura, con la trasmissione dell’energia sotto forma di calore, rende il cibo sicuro, più digeribile e soprattutto più buono, migliorandone consistenza e aspetto. Quando cucinate, il calore viene trasmesso al cibo in tre modi: per conduzione, convezione e irraggiamento. Vi faccio una serie di esempi pratici… CONDUZIONE: il calore generato dal corpo della tua amata a contatto con il tuo. Conduzione è quando l’energia viene trasferita al cibo per contatto diretto, immaginate una ribeye in una padella di ghisa. Il calore del fornello investe la padella, le molecole vibrano e trasferiscono il calore alla bistecca a contatto con la superficie. Stessa cosa avviene cucinando su una griglia, il calore viene trasferito al cibo per conduzione dalle stringhe di metallo. CONVEZIONE: quando la tua amata ti soffia nell’orecchio. Convezione è quando il calore viene trasferito al cibo attraverso l’aria, l’acqua o l’olio. Se bolli un pezzo di ciccia, stai cuocendo per convezione. Se cuoci uno stinco in forno, nel quale verrà inevitabilmente circondato da aria calda, stai cuocendo per convezione. Quando cuoci in modalità indiretta, cioè mettendo la carne su un lato della griglia e lontano dalla fonte di calore, stai cuocendo per convezione: l’aria calda all’interno del dispositivo investirà la pietanza, di fatto cuocendola. IRRAGGIAMENTO: quando avverti il calore della tua amata sotto le lenzuola, senza toccarla. Irraggiamento è quando accendiamo il nostro dispositivo, ma anche la resistenza del tostapane, il metallo diventa rovente ed emette radiazione elettromagnetiche che arrivano direttamente sulla superficie del cibo. Un po’ come fa il sole, avvertiamo distintamente il calore sulla nostra pelle. Una volta riscaldata la superficie della carne, il calore si trasmette all’interno dell’alimento sempre per conduzione.
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LA TEMPERATURA DI COTTURA Vediamo nel dettaglio cosa succede ad un bistecca quando la mettiamo sul fuoco. Faccio però un’analisi al contrario: partiamo dallo scenario peggiore.
75°C
Qui è quando segnate la vostra condanna a morte culinaria. Quando trasformate la vostra bistecca in compost. Io darei l’estradizione per molto meno. Come vedete è diventata asciutta e grigia. L’unica collocazione possibile è il bidone dell’umido, a meno che non siate Trump. In quel caso potete metterci un po’ di ketchup sopra .
70°C
La mioglobina è quasi tutta denaturata e coagulata, l’acqua è stata strizzata completamente via, il colore è grigio marrone e al tatto è dura. Scappate e nascondetevi.
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Vi voglio parlare del mio metodo. Perché funziona, perché è sempre replicabile. Perché è infallibile. Perché è stato concepito come evoluzione dei metodi precedenti i cui Le proteine coagulate non riescono a trattenere l’acqua, ideatori non erano riusciti ad astrarre altri concetti collala carne è umida ma non rilascia succhi al taglio, il coloterali ma di pari importanza. re vira dal rosa al marroncino. Parliamo di una cottura media-ben cotta, che se quella di prima era da ergastolo, Prevede la suddivisione della procedura in due batch diquesta è almeno da domiciliari. stinti di cottura: interna ed esterna.
65°C
60°C
L’obiettivo della cottura interna è quello di ottenere una La mioglobina comincia a trasformarsi in metamioglobi- sfumatura omogenea nella sezione del taglio, uniforme na, il collagene comincia a contrarsi e l’acqua viene espul- dallo strato superficiale a quello sottostante, fino al grado sa, il colore è rosato. Parliamo di una cottura “media”, di cottura richiesto dal commensale. Questo ci consente di preservare succosità e tenerezza al morso. una presa di posizione diplomatica. Lo scopo della cottura esterna è quello di ottenere una crosta di cauterizzazione omogenea su entrambe le superfici; le grill marks, le righe incrociate che ci piacciono Ci avviciniamo all’obiettivo. La miosina è coagulata, la carne è molto umida, succosa, tanto, sono belle da vedere ma opzionali. La crosticina il colore è un rosso un po’ scarico. Qui il collagene non ha ambrata consente di incrementare le molecole umami ed è la chiave del potenziamento gusto-olfattivo. ancora iniziato ad arrabbiarsi e a contrarsi.
55°C
Fin qui ci siamo, giusto? Ora facciamo un piccolo ripassino e rispolveriamo la deLa miosina denatura e comincia a coagulare, la carne è finizione di “reazione di Maillard”. succulenta, di un bel colore vivo. È qui che voglio fermar- È quella reazione chimico-fisica che si manifesta quando proteine e zuccheri riducenti, in totale assenza di acqua, mi, vi spiego il perché.
52°C
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vengono esposti ad una fonte di calore. Queste molecole, grazie al calore, si riallineano e formano nuove molecole, non esistenti in natura, molto profumate e gustose, dal colore ambrato. La crosta del pane, dell’arrosto, dei bignè, dei croissant, dei biscotti, del pollo, e di tutti quegli alimenti che contengono proteine e zuccheri riducenti, si trasformano grazie alla Reazione di Maillard.
1. Totale assenza di umidità. 2. Temperatura della superficie di contatto di almeno 140°C 3. Presenza di zuccheri riducenti.
Ma la bistecca è umida, è necessario trovare un espediente per eliminare completamente l'acqua. È qui che entra in gioco la tecnica del Revit, applicandola nel modo che Adesso ragioniamo su come ottenere questo risultato e vi ho insegnato: mettete la bistecca in forno impostato quali tecniche distinte poter applicare per arrivare alla a 52°C e aspettate che calore dolce e moti di conveziometa. Cominciamo dall’esterno. ne asciughino la superficie. Sapete bene che tamponare la carne con la carta da cucina è una condizione necesCome otteniamo una perfetta crosta di cauterizzazione? saria ma non sufficiente ad eliminare ogni residuo di umidità. Vi serve una fonte di calore secco che permetta La reazione di Maillard avviene solo se si manifestano tut- ai liquidi in superficie di evaporare. Parliamo ovviamente te le seguenti condizioni contemporaneamente. di un procedimento che richiede del tempo, nell’ordine GIUGNO 2019
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di qualche ora. Il Reverse searing, quello tradizionale, è stato introdotto la prima volta da Chris Finney. L’idea di base era quella di scaldare prima la bistecca in forno a 100°C per poi passarla sul fuoco diretto. Idea che è stata ripresa e diffusa da Meathead Goldwyn (tra l’altro attribuendola a John Dawson con il termine di Redneck Sous vide e non a Chris Finney) ma di nuovo, parlando di esposizione della carne a 225°F, cioè 107°C. Dopo di lui, anche J. Kenji Lopez, chef e autore della famosa rubrica The Food Lab by Serious Eats, elabora il reverse di Meathead esponendo la carne ad una temperatura compresa fra 93° e 110°C. Che cosa non sono riusciti ad astrarre Chris Finney, Meathead, Dawson e Kenji Lopez? Degradazione della mioglobina: a 100°C il colore della carne cambia da rosso a grigio-marrone. L’obiettivo di questa procedura non è solo quello di scaldare la bistecca ma soprattutto quello di attivare gli enzimi per ottenere l’intenerimento a causa della gelificazione del collagene. Dry Brining: ovvero cospargere la superficie della carne con il sale. Questo favorisce la degradazione del connettivo per via chimica e genera una maggiore ritenzione di liquidi. Il sale, come sapete, ha diversi effetti sul cibo. Per prima cosa amplifica il gusto, perché è un naturale esaltatore di sapidità. Il cloruro di sodio è formato da reticoli cristallini, all’interno dei quali si alternano ioni di sodio e ioni di cloro. Gli ioni, caricati elettricamente, attaccano le proteine della carne in un processo che è chiamato denaturazione. Queste proteine (alterate quindi dal processo di denaturazione) avranno maggiore capacità di trattenere l'acqua. Ne consegue che la carne trattata col sale avrà maggiore umidità -e quindi maggiore succosità- anche dopo la fase di cottura. Degradazione enzimatica: il punto non è arrivare a 52°C ma mantenere la temperatura per accelerare la degradazione ad azione di calpaine e catepsine. Catalizzazione della Maillard: La reazione di Maillard avviene in assenza di umidità. La lunga permanenza al calore moderato agevola la disidratazione superficiale. Sicurezza dai patogeni: In accordo alle tabelle di pastorizzazione, la lunga permanenza a 52°C determina una diminuzione della carica batterica di 7 logaritmi. Non sono stato io ad inventare il Reverse. Non sono stato io ad inventare il dry brining. Ho semplicemente GIUGNO 2019
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astratto dei concetti e ho applicato le mie conoscenze per creare “un metodo”, un codice di procedure che portano inevitabilmente al risultato ottimale. In definitiva, quello che vi ho insegnato e che voglio insegnare NON È il metodo americano. È il mio metodo.
REVIT REV-IT, REVERSE (SEARING) ITALIANO O METODO LO CASCIO Che cos’è? È il Reverse fatto a temperature diverse e con l’inclusione del dry brining. Il risultato è una bistecca cotta in modo uniforme, senza sfumature di colore, con una bella crosta superficiale ed estremamente tenera e succosa. Il grado di cottura è ininfluente. Il mio metodo ti permette di ottenere la perfezione indipendentemente se la vuoi cruda, al sangue, media o ben cotta. Gli italiani saranno dei campioni anche nella cottura delle bistecche. I numeri uno al mondo. Oggi siamo ancora il terzo. Non il terzo posto ma il terzo mondo della carne. (Tratto dal mio intervento al Tuttofood 2019, in esclusiva per voi lettori del BBQ4All Magazine) Gianfranco Lo Cascio
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INDICE GIUGNO 2019 - NUMERO 6 ANNO 1
RUBRICHE 1 8 . N I C E T O M E AT Y O U
Galizia, non solo Rubia intervista a Matteo Marchetti 26. WINE CLASS
8 vini DAL PROFUMO ULTRATERRENO i profumi del vino, quarta parte
3 2 . I L B B Q P E R P R I N C I PA N T I
IL BELLO DELLA DIRETTA guida al setup, tecniche e precauzioni
3 4 . G U I DA A G L I ACC E SS O R I
SETTE INDISPENSABILI
una volta usati non puoi più farne a meno
SPECIALE
HAMBURGERS 38. IL BUN PERFETTO
il procedimento per realizzarlo in casa
46. L'Hamburger della redenzione bun, patty di manzo, uovo, speck, peperone, cipolla, salsa BBQ, rub BBQ4All Montreal
50. SWEET HOME ALABAMA bun, patty di manzo, salsa Big Bob Gibson, cialda di patate, cipolle sott'aceto
52. BIG BOB GIBSON's SAUCE 54. TWO is megl'che one
slider alla parmigiana di melanzane slider con acciughe, crema di mozzarella e fiori di zucchine fritti
58. IL FRUTTO PROIBITO
bun, patty di manzo, lardo di colonnata, peperincino, avocado, insalata, mela Granny Smith
60. WELLINTON BACON EXPLOSION manzo, bacon, scamorza affumicata, Tennessee Rub BBQ4All 6 2 . N O N S O LO CA R N E
Jalapeño FRITTI
panatura croccante, ripieni al formaggio fuso 6 4 . D U LC I S I N F U N D O
CIALDE GRIGLIATE DI FORESTA NERA con cioccolato fondente e amarene
è ora di BERE 66. VINI ABBINATI 68. BIRRE CONSIGLIATE 69. IL COCKTAIL DEL MESE
APPROFONDIMENTI 70. LA PATATA PERFETTA un lavoretto a quattro mani
76. THE CHEMICAL GRILLER brining chapter two: variazioni sul tema
78. CHIEDIALCOACH apertura delle confezioni sottovuoto
82. SEGUO
D I R E T TO R E E D I TO R I A LE
Rossella Neiadin
R E D AT T O R E C A P O
Michela Bongiorni REDAZIONE
Enio Berton, Giovanni Bolzonella Virgilio Brunetti, Michele Chipa, Tommaso Di Gregorio, Salvatore Di Mento, Luca Gallozza, Mariangela Ibba, Gianfranco Lo Cascio, Alessandro Morichetti, Riccardo Meniconi, Emiliano Nencioni, Alessandro Trezzi, Carlo Trono, Paolo Tucci REALIZZAZIONE GRAFICA
Carlo Trono
magazine@bbq4all.it instagram.com/bbq4allmagazine/ Tutti i loghi e marchi riportati, gli elementi grafici, le immagini e i materiali presenti nella presente pubblicazione sono soggetti alle norme vigenti sul diritto d’autore; è quindi severamente vietato riprodurre anche parzialmente ogni elemento delle pagine in questione. Nomi, marchi registrati e loghi eventualmente presenti su questa pubblicazione non possono essere utilizzati per alcuna forma di pubblicità o diversamente per indicare sponsorizzazione, patrocinio o affiliazione a prodotti o servizi senza previa autorizzazione scritta da parte della società che ne detiene i diritti. Tutto il restante materiale fotografico pubblicato è stato realizzato da BBQ4All e/o acquistato e/o licenziato allo stesso, con trasferimento dei diritti di utilizzazione economica salvo le immagini utilizzabili con licenza Creative Commons o GNU Free Documents Attribution. BBQ4All ha osservato le più ampie tutele affinchè non venisse violato il diritto d’autore altrui.
NICE TO MEAT YOU - INTERVISTE a cura di GIOVANNI BOLZONELLA
Galizia: non solo
RUBIA Uno sguardo approfondito sulla carne proveniente da questa regione spagnola con uno dei suoi marchi a noi più cari: Gutrei Galicia. In questo numero, abbiamo intervistato per voi Matteo Marchetti, export manager: una delle persone più informate in Italia sulle celebri carni Galiziane. Con lui abbiamo percorso la storia e messo in luce tanti punti di cui spesso non si accenna quando si tratta delle carni di questa regione. La Galizia è una regione magica. Per chi ha avuto la fortuna di visitarla, non è possibile non innamorarsi del suo patrimonio culturale, intriso di spiritualità e storia. O del suo territorio, costituito da scogliere a picco sull’Oceano, pascoli immensi interrotti solo da boschi, torrenti e corsi d’acqua dolce. Qui le città e i borghi sono abitati da una popolazione umile, orgogliosa, legata alla tradizione, alla lingua e ai frutti della propria terra su cui concentrano il proprio lavoro.
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Ciao, presentati ai nostri lettori. Mi chiamo Matteo Marchetti e sono Export Manager. Pur essendo laureato in ingegneria gestionale, ho iniziato la mia carriera nel settore alimentare nel 2005, in Irlanda, presso un macello che commerciava con l’Italia e l’estero. Ritornato in Italia, nel 2009, ho iniziato a collaborare con aziende del settore carne in Scozia e Irlanda, inserendo a mano a mano sempre più aziende non in diretta concorrenza nel portfolio. L’obiettivo era offrire prodotti di origine diversa ma di qualità elevata. Fino al giorno in cui sono entrato in contatto con Gutrei Galicia, che rappresentiamo in Italia e all’estero. Il nostro ufficio ha 3 dipendenti e 2 collaboratori. Quindi si è rivelata ancora una volta utile la mia vecchia laurea! æA
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Amiamo lavorare con un prodotto che per molti è considerato “il migliore al mondo”. Il nostro metodo inizia nella visita settimanale sia ai diversi allevamenti nell’area, sia ai macelli di fiducia, selezionando direttamente i lombi che riteniamo appropriati in base alle esigenze del cliente. La carne proviene da bovini da carne (vacche adulte), originari di Spagna settentrionale e nord del Portogallo. I lombi selezionati al macello vengono scelti e poi “timbrati” con il marchio prima di passare al controllo successivo nella nostra sala disosso e sezionamento, dove possono essere lasciati freschi, o in alternativa, sottoposti a un processo di maturazione a secco prima di essere preparati per la Quali sono i punti di forza del vo- spedizione al cliente. stro prodotto, da molti considera- Ci sono due passaggi importantissimi che rendono il prodotto così speciale: to di qualità superiore? Raccontaci qualcosa di questa azienda. È una sala disosso nata a Monforte de Lemos (Lugo) nel 2007. La società è stata fondata da due fratelli, José Manuel e Miguel Ángel Gutiérrez, che, dopo molteplici anni di esperienza al mattatoio, hanno deciso di unire le forze e di avviare la propria attività al fine di commercializzare carne di alta qualità. Le moderne strutture offrono il massimo controllo di qualità, mantenendo il necessario livello di umidità e addolcimento della carne per ottenere il massimo livello di conservazione. Per i proprietari, ciò che distingue la loro azienda dai proprio concorrenti è la qualità suprema della carne.
La FROLLATURA Il controllo della temperatura e dell’umidità sono due elementi fondamentali per ottenere un adeguato livello di frollatura della nostra carne. La SELEZIONE Selezioniamo manualmente ogni animale per verificarne in maniera dedicata le caratteristiche essenziali per la credibilità del nostro marchio. Ci descriveresti le caratteristiche del vostro prodotto, dei capi scelti e ciò che accade loro durante l’allevamento e lungo la filiera? Come ti dicevo selezioniamo manualmente i migliori esemplari della Galizia e del nord del Portogallo, siano essi ancora al pascolo presso i gli allevatori, oppure già negli stabilimenti di sezionamento fiduciari, in entrambi i casi eseguiamo sempre una selezione “in situ”. La caratteristica principale che devono avere i nostri lombi sono la qualità intesa come alto livello di grasso
esterno, almeno 5 cm, un grasso giallo o paglierino, un alto livello di marezzatura, un peso di almeno 30 kg, idealmente 35/40kg. Di solito un animale ha almeno 6 anni per avere queste caratteristiche, ma può capitare che ne abbia meno pur soddisfacendo i requisiti richiesti. I lombi che non soddisfano questi requisiti, vanno nella selezione di seconda scelta ma non per questo di basso profilo. Si parla sempre di un prodotto ottimo, meno grasso, più leggero, grasso più pallido, leggermente meno infiltrato. Entrambe le selezioni possono subire tranquillamente il processo di Dry age.
dato dal metodo di allevamento delle Vacche, piuttosto che dalla razza stessa. Infatti, la maggioranza dei lombi più pregiati provengono da incroci di queste razze, che come noto, sviluppano maggiormente marezzatura e grasso delle razze non ibride.
Perciò vi soffermate più sulle caratteristiche del capo che su quella della razza? La razza pura non sviluppa così fortemente queste due caratteristiche per genetica. Per noi l’importante è la selezione, non la razza o l’età, l’importante è che la vacca soddisfi i requisiti necessari a ritrovare nel prodotto finale una qualità eccelsa che si Quante tipologie di razze tratta- ritrova indiscutibilmente nel piatto. te, dove vengono allevate e quali caratteristiche hanno rispetto ad Quanto è importante la tradizione altri bovini? nella lavorazione e nella valorizzaIn Galizia e nel nord del Portogallo, zione delle vostre carni? ci sono varie razze: Frieiresa, Miran- La Galizia è caratterizzata da un sidesa, Cachena, Rubia Gallega, Friso- stema di allevamento tradizionale in na... Lo speciale sapore della carne è piccole fattorie, che hanno una lunga
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tradizione agricola e zootecnica, con molte famiglie che vivono in campagna e hanno un piccolo allevamento di pochi animali. Non sono fattorie che si dedicano all’allevamento di massa di animali, si parla di un numero che è attorno a una decina di madri negli esempi più virtuosi. Gli animali possono pascolare liberamente all’aperto durante il giorno mentre all’imbrunire, si ritirano nelle loro stalle. Gli animali stanno dunque al pascolo e si nutrono di quello che fondamentalmente trovano in terra. La dieta è inoltre completata da cereali come l’erba medica, l’orzo o il mais che gli stessi agricoltori coltivano. Infine, il clima particolare di queste regioni, ricco di piogge, insieme alla vicinanza dell’oceano Atlantico e la sua brezza conferisce ai pascoli un qualcosa di unico, tipico solo di questa regione della
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Spagna che è appunto la Galizia. È importante riflettere sull’attività di questi piccoli agricoltori, a cui non può essere richiesta un’omogeneità delle dimensioni degli animali che considerano idonei al macello, per il numero limitato di capi che hanno: di solito hanno vacche di diverse razze autoctone nella stessa fattoria ma di diversi paesi e sebbene facciamo una selezione nel macello sulla base della qualità, dobbiamo necessariamente accettare una certa irregolarità nelle dimensioni, nei pesi e nella forma degli animali. Quanto è importante il clima e il territorio nelle caratteristiche del prodotto? È un territorio che secondo voi è abbastanza valorizzato per le caratteristiche ambientali e la storia che porta con sé? Lavoriamo esclusivamente con ani-
mali di questa piccola regione e del nord del Portogallo viste le condizioni climatiche particolari di questa zona che influenzano direttamente la qualità dei pascoli dove vivono le vacche. Nonostante la Galizia e i suoi prodotti siano sempre ecccelsi (non dimentichiamoci del pesce atlantico che lungo la costa la fa da padrone) il territorio è valorizzato ma non tanto quanto si potrebbe in realtà pensare, c’è molto amore per questa terra da parte dei suoi abitanti e questo ne impedisce uno sfruttamento intensivo delle risorse. La Galizia è ben riconosciuta dal resto della Spagna e viene sempre rappresentata nel mondo “food” con almeno uno stand nelle maggiori manifestazioni fieristiche del settore. Per fortuna il territorio è rimasto in mano ai Galiziani che sono molto
radicati alla loro terra e ai loro valori. Teniamo molto a sottolineare ai nostri clienti che noi lavoriamo un prodotto autoctono al 100% e che la nostra porta della sala disosso è sempre aperta a tutti i curiosi: nessuno troverà mai al suo interno carni provenienti da nessuna altra parte. Non solo non sono ammessi carni originarie di paesi Europei, ma neanche il resto della Spagna è ammesso. Fra qualche mese sarà finita la nostra “Finca Gutrei”, una deliziosa casa di campagna tipica della Galizia, con annesso relativo podere ed allevamento dove si potrà toccare con mano quello che siamo e facciamo! Si parla mai di sostenibilità nel mondo delle carni, quali sono le vostre politiche aziendali in merito? In Galizia, sinceramente, la parola sostenibilità non è di grande utilizzo in quanto parliamo di un territorio praticamente incontaminato, naturale, non industrializzato dove si vive ancora di quello che sia ha. Sembra di tornare indietro nel tempo. In Galizia non ci sono allevamenti intensivi che influirebbero in maniera negativa nella lotta alla sostenibilità globale. Le fattorie lavoro praticamente con una filiera completa, i contadini coltivano, allevano e si nutrono appunto del frutto del loro lavoro. Così come i piccoli vitellini, “ternera” si nutrono del latte delle Vacche che sono proprio quelle che ci garantiscono l’elevata qualità del prodotto. La regione non è immensa e vive di questo, è una regione in cui non dimentichiamoci, passa e finisce il cammino di Santiago, è un paese splendido e ricco di storia che cerca di rimanere il più possibile legato alle tradizioni e per questo diventa appunto un paese sostenibile per natura.
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Raccontaci, quali sono stati i traguardi più importanti di questi anni? Abbiamo vinto la medaglia d’oro nella nostra categoria al World Steak Challege 2018 di Londra, traguardo per noi importantissimo che ci ha permesso di dare più visibilità anche a livello internazionale al nostro prodotto. Ci potete già trovare nei migliori ristoranti di Hong Kong, Parigi, Londra, ma anche in Olanda, in Svezia e chiaramente in Italia, paese che vediamo credere molto in noi e nella nostra filosofia. Abbiamo inoltre ricevuto notevole spazio nella stampa locale cosi come in quella estera essendo stata l’unica azienda in Spagna e in Galizia a macellare 10 “Buey” di qualità in una volta sola esportandoli fuori dalla Galizia. Ci hanno perciò insignito di importanti onorificenze locali, poiché siamo tra le aziende che contribuiscono a portare all’estero il buon nome della Galizia. Abbiamo tra l’altro vinto diverse competizioni all’interno di manifestazioni fieristiche come prodotto dal sapore unico e inconfondibile. Che tagli e che preparazioni consigli agli appassionati dei sapori Galiziani? Ai palati più fini ed esigenti raccomandiamo di lasciare tutto il grasso giallo esterno della bistecca, in cottura non bruciarlo ma lasciarlo al limite del cotto e masticarlo insieme alla carne che deve essere tassativamente frollata almeno 30 giorni (la frollatura corretta è essenziale). In bocca ritroverete una esplosione di sapori unici e tipici di questa terra. Un qualcosa che rappresenta un’esperienza enogastronomica inedita! Questo è quello che abbiamo in testa tutti i giorni per proporvi qualcosa di unico e irripetibile. Essendo carne di vacca vecchia, la carne anche se marezzata non potrebbe mai esprimere tutto il suo potenziale se non accompagnata dal “suo” grasso, due elementi imprescindibili per apprezzare al meglio una carne come questa. Masticando questa carne, che per natura va masticata una volta in più, insieme ai sapori sprigionati da un dry age importante, potremo godere al massimo e capire al meglio cosa intendiamo quando parliamo di “carne tra le migliori al mondo”. Saprai che ci leggono un mucchio di appassionati, molto curiosi e sempre più preparati, per questo ti chiediamo, qual è il tuo taglio preferito? Come consigliate di prepararlo per stupire chi ancora non conosce le carni del vostro territorio? In Galizia è molto apprezzato il Lomo bajo (controfiletto) che viene cotto “alla piedra”, ovvero su pietra lavica. In tanti ristoranti sono presenti tante cappe di aspirazioæA
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ne quanti sono i tavoli dei commensali e per ogni tavoli ci sono delle piastre di “pietra” come si facevano una volta, e ognuno è libero di cuocere la carne nella maniera che vuole! Vi posso anche consigliare un buon Tataki (la preparazione tradizionale prevede un lomo bajo marinato per oltre 180 giorni!). Però, non possono mancare i tagli da BBQ che con questo tipo di carni alza ulteriormente l’asticella del gusto, faccio solo due nomi: Brisket e Short ribs! Consiglio infine, una chicca più unica che rara: la nostra esclusiva Cecina di Vacca Galiziana stagionata 14 mesi. La versione di alta gamma della classica Cecina de Leon, ottenuta dai tagli della coscia dei nostri capi, che mandiamo a Leon, località con le caratteristiche climatiche e di know how, per ottenere il massimo da una Cecina. Rimane oltre 12 mesi a stagionare per poi rientrare ed essere finita e commercializzata! Quali sono le sfide nell’export? Oltre a consolidare mercati per noi importanti quali Italia, Francia e Olanda attraverso i nostri maggiori distributori, stiamo lottando per convincere i macellai a lavorare secondo i canoni Halal per poter entrare nei mercati dove una carne del genere non può mancare vista la richiesta in aumento! Stiamo infine cercando di sbloccare la situazione con il Giappone, che, impossibile ma vero, ci ha contattato per importare la nostra carne. Cosa ne pensi della nostra Community di appassionati? Ad oggi siamo onorati che il nostro prodotto venga riconosciuto dal pubblico e non per ultimo da una comunità cosi esigente e esperta che è appunto BBQ4ALL. Questo ci sprona ad andare avanti in questa direzione perché il trend è in crescita ma noi non vogliamo in nessun modo proporre un prodotto di più basso livello a fronte di una disponibilità che non può che calare vista la richiesta.
MA DOVE LA TROVO? La migliore carne dal mondo, frollata, marezzata e selezionata con cura: tutto questo solo nel
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WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI
8 vini in cui
ANCHE UN MARZIANO VORREBBE
INFILARE
IL NASO I profumi ultraterreni esistono e qui li trovate (quarta parte)
Il fascino del vino non esisterebbe senza le bottiglie mito. Talvolta feticci nelle mani di enostrippati che godono del blasone più che del liquido, spesso oggetti di contrattazione a prezzi importanti, sempre (o quasi) vini magistrali, di livello assoluto, venuti “da cielo in terra a miracol mostrare” per dirla con Dante Alighieri.
La lista delle bottiglie buone a far perdere la testa potrebbe essere lunga ma iniziamo da queste 8. Otto viaggi, otto storie, otto sogni ma soprattutto vini che vorresti inalare senza soluzione di continuità come un segugio, per cogliere ogni sfumatura e metabolizzare l’evoluzione dei profumi nel bicchiere. Alcuni sono tra i liquidi più costosi da sniffare sulla faccia della terra, irreperibili e alla portata di tasche milionarie. Sognare un po’, invece, non costa nulla æıA
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C H A M PA G N E S A L O N
Uno Champagne, un mito. Forse, IL mito. Nel 1910, Eugène-Aimé Salon gourmand e self made man della splendida Parigi d’inizio secolo - ha l’intuizione della vita: creare il miglior Champagne del mondo da una sola varietà, lo chardonnay, in un solo comune grand cru, Mesnil-sur-Oger, ed espressione di un solo millesimo. Nasce così Salon, unico vino aziendale. Prodotto appena 37 volte nel XX secolo iniziando dal 1905 e 5 volte nel XXI (2002, 2004, 2006, 2007, 2008 solo in magnum). Profuma di tante cose, tutte sussurrate, tutte squisite: pane alla griglia, pan brioche, florealità, nocciole, agrumi, menta, poi strepitosi profumi di pasticceria. Impossibile dimenticare una versione 1996 a dir poco sontuosa, cui ha fatto seguito una 1997 che farebbe innamorare anche i sassi. Di etichette che fanno sognare così ne esistono poche al mondo.
C H A B L I S C LOS G RA N D C R U , D O M A I N E F R A N C O I S R AV E N E A U
Tra Parigi e Digione, a Chablis, estremo nord della Borgogna viticola, nascono alcuni tra i vini bianchi più buoni del mondo. Chardonnay secchi, sferzanti e severi che poco o nulla concedono alle smancerie. Impossibile non subire il fascino delle due piccole cantine più pazzesche della denominazione, Dauvissat e Raveneau. Autrici di bottiglie ormai praticamente introvabili, su cui è necessario buttarsi a pesce ogni qual volta ne capiti l’occasione. Purtroppo prezzi ormai sempre meno accessibili, un classico. Nel grand cru di Chablis più grande e più raffinato, quel Les Clos che fu il primo ad essere piantato dai monaci, i fratelli Raveneau possiedono una parcella di “addirittura” 0.54 ha (sugli 8 ettari totali per circa 50.000 bottiglie prodotte) da cui evidentemente nasce uno dei bianchi più ricercati sulla faccia della terra. Da bere con almeno 10 anni sulle spalle per apprezzarne tutte le sfumature, profuma di mare, ostriche, erbe officinali, burro di montagna, miele d’acacia, zafferano e chi più ne ha più ne metta. Un concentrato di essenzialità e purezza che lascia a bocca aperta. Un diamante in bottiglia.
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T R E B B I A N O D ’ A B R U Z Z O , VA L E N T I N I
Un’icona del vino e probabilmente il primo nome che salta in mente cercando il bianco più buono d’Italia nasce in Abruzzo, a Loreto Aprutino. L’uva è il trebbiano d’Abruzzo, apparentemente assente dagli annali dei cavalli di razza, e la densità di piante per ettaro, allevate a pergola come da tradizione locale, raramente supera i 1.500 ceppi: i presunti esperti del vino di qualità suggerirebbero densità 3 o 4 volte superiori. Poi c’è il genio italico: Edoardo Valentini nel 1958 mette in bottiglia un Trebbiano d’Abruzzo (“Vino a denominazione di origine semplice”) che avrebbe cambiato la storia: complesso, ampio, longevo oltre ogni logica, specchio esatto dell’annata, agricolo quanto basta, orgogliosamente artigianale. Da sempre in cantina, nel 2006 il timone aziendale passa nelle solide mani di Francesco Paolo Valentini, figlio di Edoardo. Grazie anche alla moglie Elena e a loro figlio Gabriele avremo un Trebbiano d’Abruzzo monumentale per ancora molti anni. Di cosa profuma? Di nocciola verde, fondi di caffè, infusione di tè, cereali, agrumi, zenzero, torba, pepe verde e chissà cos’altro. Alla stappatura può essere un vino irrequieto che ha bisogno di assestarsi nel bicchiere. Nelle annate di grazia vale quanto Michael Jordan nel Nausea Game. Imprendibile.
CO RTO N - C H A R LE MA G N E G RA N D C R U , COC H E D U RY Premessa: io non l’ho mai bevuto. Attenuanti generiche: conosco una persona che ne ha bevute varie annate e più volte ciascuna. Avvertenza: trattasi di vino costosissimo, al limite dell’inavvicinabile. Il prezzo medio su Wine-Searcher, sito imprescindibile per chi commercia bottiglie importanti, è 4.408 euro. Che in un’annata come la 2005 diventano 5.569 euro. Quasi 8 ettari di chardonnay e pochissimo aligoté nel cuore della Borgogna, a Meursault, 2,5 ha di pinot nero e una produzione annua complessiva di nemmeno 50.000 bottiglie. Coche-Dury ha molte parcelle a Meursault, premier cru molto noti e poi 0.34 ettari di Corton Charlemagne, il capolavoro. Inimitabile, elegate, potente, da uve raccolte sempre un attimo prima per mantenere slancio e vibrazione che mettono i brividi. Un tripudio di nocciole, agrumi, pesca gialla, buccia di cedro, susine, cannella, pompelmo, pesca Saturnia. Immateriale, surreale, extra-corporeo. Leggenda.
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B A R O L O R I S E R VA M O N F O R T I N O , G I ACOMO CO N T E R N O Se Barolo è il vino dei Re, Monfortino è il re dei vini dei re, no doubt. Il Monfortino, creatura di Giacomo, poi Giovanni e ora Roberto Conterno, un tempo da vigne a Monforte d’Alba ma dagli anni Settanta prodotto da uve di Serralunga d’Alba, è indiscutibilmente l’icona suprema dell’intera denominazione. I rating stellari alle ultime annate hanno fatto schizzare incontrollabilmente le già altissime richieste e i prezzi, lassù tra i grandi vini da investimento del mondo, tra Bordeaux, Borgogna e compagnia. Botti enormi in vinificazione, permanenze in legno che si protraggono per molti anni a seconda del millesimo, un vino che all’uscita non è mai pronto e necessita di anni per sviluppare il suo potenziale. Bevuto in molte annate, vino devastante. Dobbiamo ad una storica verticale l’analisi più articolata dei profumi del Monfortino, redatta da Andrea Marchetti: “Molto più che la quasi inesistente anguria, il tratto che percorre ed unisce i vini del vigneto Francia è minerale di grafite e iodio, una mineralità salmastra; inoltre una balsamicità di pineta di montagna che con l’invecchiamento diventa menta in foglia e caramella. E poi la liquirizia e l’arancia: buccia d’arancia in gioventù, succo con l’invecchiamento. Con un invecchiamento di oltre 40 anni il vino si spoglia, perde il frutto in polpa croccante che ha in gioventù, perde la fragola e la prugna e si essenzializza in un bellissimo agrume, in succo e candito, in china e rabarbaro ed i tannini diventano seta.” Energia, acidità ruggente, tannini deflagranti.
C H AT E A U D ’ Y Q U E M Per distacco, è il vino dolce botritizzato più famoso del mondo, cioè prodotto da acini che vengono attaccati dalla muffa nobile Botrytis cinerea in particolari condizioni di umidità. La Botrytis provoca l’appassimento dei chicchi e un aumento degli zuccheri, donando al vino particolari profumi e un grado alcolico più alto. La raccolta avviene in fasi successive, chicco a chicco (!) dato che la muffa non si diffonde in maniera uniforme. Un lavoro certosino estenuante, non credibile. Il risultato però è un muffato dalla longevità spaventosa quasi quanto il prezzo (dai circa 300 euro per le ultime annate agli 85.000 per una bottiglia del 1811 venduta all’asta) e dai profumi che stordiscono: crostata di frutta, foglia di limone, succo di pompelmo, menta, anice, fiori macerati, datteri, nocciole, glicine, caramella mou, incenso, mandorla, tabacco biondo, mele al forno, burro. Lista di riconoscimenti prossima all’infinito ma in cima alla quale andrebbero collocati quei sentori di zafferano che fanno sempre riconoscere un vino botritizzato.
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V ECC H I O SAM P E R I Q UA RA N T E N N A L E , MA R CO D E BA RTO L I Questa è una storia che conoscono in pochi, una storia d’Italia che avrebbe potuto essere ma che non è e probabilmente non sarà mai leggendaria. Perché a Marsala, punta estrema della Sicilia occidentale, il Marsala vero non lo beve quasi nessuno. Questo vino è una storia di riscatto e resistenza. Inizia il suo percorso oltre 40 anni fa ma non si chiama Marsala in quanto non fortificato. Vecchio Samperi è un inno al territorio in cui nasce, la contrada di Samperi nell’entroterra marsalese, un grido di orgoglio e dolore figlio della visione di Marco De Bartoli, autentica forza della natura che ha illuminato il vino di Sicilia per troppo pochi anni. Il Vecchio Samperi Quarantennale, da uve grillo, è stato prodotto col metodo “perpetuo” o Solera: un 5% di vini nuovi da uve surmature viene aggiunti a botti contenenti vini già invecchiati. Di stile ossidativo, ha raggiunto negli anni una componente alcolica di 18 gradi e una tridimensionalità in bocca che rende quasi impossibile ogni abbinamento: qualsiasi cibo uscirebbe stritolato, maciullato, asfaltato. Dal bicchiere esce un profumo conturbante di fichi, frutta secca, miele di ogni sorta, caramello, prugne, spezie orientali, iodio, albicocca disidratata, datteri ed erbe aromatiche. Persistenza eterna.
ROMANÉE-CONTI GRAND CRU, DOMAINE DE LA ROMANÉE-CONTI
La vigna più famosa del mondo si trova a Vosne-Romanée, in Borgogna, e viene celebrata da oltre sei secoli. Qui nasce il vino più prestigioso, famoso e irreale della storia. 1,81 ha di proprietà di un’unica azienda che ha i piedi nella storia e la testa nella leggenda. L’uva pinot noir, coltivata in biodinamica dal 2007, in questo esatto spicchio di terra offre esiti che rendono manifesto un senso di inadeguatezza nell’usare le parole per spiegare profumo e carattere gustativo. E se a dirlo è Armando Castagno, vero fuoriclasse della divulgazione del vino in Italia, c’è da credergli. Seguendo il suo consiglio, non si può che citare alcuni dei wine writer più celebri al mondo per cercare anche solo lontanamente di immaginare che profumo possa avere un vino così mitico, il cui prezzo oscilla dai 15.000 euro la bottiglia a cifre difficili da scrivere. “Il più nobile aroma riproducibile da un grappolo d’uva, un’essenza di rosa fané delicatamente speziata”, ha scritto un vero guru del vino francese come Michel Bettane. E Richard Olney: “Velluto, seduzione e mistero: è il più proustiano dei grandi vini. Sotto il suo profumo segreto di rosa appena appassita respira la sensazione di un tempo ritrovato. Romanée-Conti è un souvenir lasciato dagli dèi su questo quadrato di terra: la meravigliosa traccia di una perfezione senza tempo”. Ma poi, servono altri descrittori per tratteggiare un sogno? Può tornare utile solo il Piccolo Principe di Antoine De Saint-Exupery per capire davvero il profumo di Romanée-Conti: “È il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante”.
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PER INIZIARE - IL BBQ PER I PRINCIPANTI - RUBRICA a cura di MICHELE CHIPA
IL BELLO
D E L L A D I R E T TA
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Come sappiamo la cottura diretta prevede di posizionare l’alimento sopra la griglia in corrispondenza delle braci, normalmente per un breve periodo di tempo. Ma quale tipologia di combustibile è preferibile utilizzare? Quali sono gli accorgimenti da mettere in pratica? Vediamo insieme cosa fare e come fare per ottenere il miglior risultato possibile.
di cottura con una safe zone dove spostare gli alimenti in caso di fiammate. Inoltre, se il nostro dispositivo ne è dotato, si potrà utilizzare il coperchio per sopire le fiammate e continuare a grigliare in sicurezza. Direttamente collegato al rischio delle fiammate c’è quello relativo alla carbonizzazione parziale dell’alimento: in presenza di fiamme è molto alta la probabilità di bruciature superficiali. Queste ultime, oltre a conferire un sapore estremamente amaro al cibo, rappresentano un rischio per la salute.
Vista l’alta temperatura, inoltre, si potrebbe verificare il fenomeno del carry over: il calore cuoce l’alimento all’esterno, mentre la temperatura interna aumenta per effetto della conduzione dalla parte esterna. Questo processo continua anche quando si rimuove l’alimento dal dispositivo di cottura, perché il calore accumulato negli strati Il combustibile Per una cottura diretta efficiente, è opportuno scegliere esterni continua a condurre calore verso l’interno per un una tipologia di combustibile in grado di esprimere il po’ di tempo. maggior rendimento in termini di calore. Questo perché l’alimento viene cotto esclusivamente per irraggiamento Il carry over è tanto intenso quanto maggiore è la diffee quindi è necessaria una temperatura tale da poter far ar- renza fra temperatura di cottura e temperatura target al rivare il calore al cuore e per generare la reazione di Mail- cuore, ma dipende anche dallo spessore dell’alimento. Per questo motivo è ottimale togliere quest’ultimo dalla cotlard (quella gustosa crosticina) sulla superficie. tura qualche grado prima rispetto alla temperatura target Il combustibile più adatto per una cottura diretta velo- che vogliamo ottenere. ce è l’hardwood lump charcoal. Non è altro che carbone frammentato in piccoli pezzi; questa sua particolarità “Temperatura infernale” o “fiamme dell’inferno” gli conferisce alto potere calorifero. Assicuratevi che sia Spesso nei vari post del gruppo Facebook di BBQ4All si prodotto utilizzando solo pregiate essenze di legno duro, legge l’espressione “fiamme dell’inferno”che sta ad indicacome quercia e noce. Non accontentatevi di un carbone re una cottura diretta ad altissima temperatura. qualsiasi, il fumo è un ingrediente alla stregua del sale, Visto quanto detto sopra in merito alla carbonizzazione non dimenticatelo mai. Se necessitiamo di calore elevato per più tempo, per gri- superficiale e il carry over, siamo sicuri che la temperatugliare un numero elevato di alimenti, allora potremo me- ra più efficiente per una cottura diretta sia quella di un scolare alla “carbonella” dei pezzi medio/grandi di carbo- altoforno? ne. La risposta è NO: le temperature estremamente elevate L’utilizzo di bricchetti risulta meno efficiente rispetto al non sono quasi mai la soluzione più efficiente. carbone perché, anche se usati nella stessa di quantità, conferiscono un minor apporto calorifero (senza dimen- La reazione di Maillard inizia ad essere più rapida a partire dai 160°C quindi non è necessario ottenere temperatuticare anche il diverso costo di acquisto). ra di fusione dello zinco (circa 420°C): ne bastano anche 200. Piuttosto, concentrate gli sforzi su come eliminare Accorgimenti Stante la vicinanza degli alimenti rispetto alla fonte di ca- l’ostacolo principale alla formazione della crosticina (ovlore e la loro posizione rispetto alla stessa, la cottura diret- vero, l’umidità) e su come veicolare al meglio il calore diretto verso la superficie dell’alimento (utilizzando un velo ta presenta dei rischi. Il rischio principale è quello delle fiammate derivanti dal- d’olio, del burro chiarificato, il grasso animale e chi più ne la caduta dei succhi sul combustibile acceso. Per ovviare ha più ne metta). a questo problema è sufficiente predisporre il dispositivo GIUGNO 2019
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GUIDA AGLI ACCESSORI - RUBRICA a cura di MICHELE CHIPA
stretto...
il ponte sullo ANCHE UN MARZIANO VORREBBE
...INDISPENSABILE! Sette accessori che ti faranno dire:
come ho potuto farne a meno? Diciamoci la verità: esistono numerosi accessori per i nostri dispositivi, alcuni dei quali indispensabili ed altri onestamente superflui. Tuttavia esiste una terza categoria, ovvero gli accessori che, a prima vista guardandoli su uno scaffale, sembrerebbero inutili -fino ad oggi abbiamo fatto sempre senza, no?- ma che invece si rivelano velocemente indispensabili per un griller che voglia attraversare quel ponte fra “sono alle prime armi” e “sono quello bravo a grigliare in famiglia, tutti si aspettano grandi cose da me”. Volete sapere quali? Ecco una piccola guida.
Supporto per coperchio
Si tratta di una barra metallica modellata in maniera tale da poter essere ancorata al bordo del braciere (oppure avvitata direttamente allo stesso), creata per sorreggere il coperchio aperto. Utilizzando questo supporto il griller avrà entrambe le mani libere per mettere o togliere gli alimenti dalla griglia, oppure per aggiungere legni aromatici e/o combustibile. È l’alternativa ideale al posizionare il coperchio in terra, su un tavolo o, ancor peggio, al tenerlo con una mano, operazione che limita molto la libertà di movimento. Inoltre, una volta sistemato nel supporto, il coperchio funge anche da frangi vento per le cotture dirette.
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Supporto di cottura per costine/arrosti
Questo accessorio ha una duplice funzione. Da un lato sorregge le costine messe in verticale sul lato lungo, dall’altro solleva l’arrosto dalla griglia di cottura e ne permette una facile rimozione o rotazione. Il vantaggio di utilizzare il supporto viene messo in luce quando abbiamo la necessità di cuocere in contemporanea più slab di costine che, per il loro numero, non entrerebbero in griglia se disposte orizzontalmente. Utilizzato con un arrosto, invece, rende estremamente facile il posizionamento sulla griglia ed aiuta a mantenere compatta la carne in cottura.
Raccogli cenere
La cenere è il residuato della combustione nei dispositivi a carbone e va eliminata alla fine di ogni cotture, ma a volte anche durante la cottura stessa. Questo perché i liquidi che colano dagli alimenti potrebbero impastare la cenere ed ostruire le vent-in del dispositivo, con conseguenze negative sulla gestione della temperatura. Molti dispositivi hanno, in corrispondenza delle vent-in, un piattino raccogli cenere che serve, appunto, a raccogliere ciò che cade dall’apertura sul braciere. L’utilizzo del piattino ha, però, dei limiti. Innanzitutto la cenere è esposta al vento e quest’ultimo potrebbe spargerla sul terreno con rischio di incendio (vi ricordo che non c’è solo materiale spento nel piattino). Inoltre la gestione delle aperture è più laboriosa in quanto non c’è un supporto dove poter “prendere appunti” per le varie posizione delle ventole. La soluzione a questi problemi è il kit raccogli cenere. Si tratta di un vero e proprio contenitore chiuso da inserire sotto alla vent-in che permette la protezione della cenere dagli agenti atmosferici e, nei dispositivi Weber per esempio, ha dei segni di riconoscimento delle posizioni delle vent-in.
Graticola da pesce
Il pesce ha una pelle molto delicata, che necessita della massima cura nello spostamento sulla griglia di cottura. Il rischio è che rimanga attaccata alla griglia oppure che venga danneggiata dalle pinze, sfaldando completamente la carne delicatissima del nostro pesce. Il metodo più efficiente per gestire questa problematica è la graticola. Si tratta di un supporto composto da due griglie di rete metallica richiudibili. Si posiziona l’alimento all’interno e si chiudono le due griglie a libro. In questo modo sarà facile spostare il pesce durante la cottura: maneggiando la graticola si eviteranno tutte le problematiche sopra esposte. GIUGNO 2019
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Cesti porta carbone
I cesti porta carbone sono dei contenitori in metallo dove posizionare il combustibile acceso. Il grande vantaggio del loro utilizzo si concretizza quando abbiamo la necessità di spostare velocemente il loro contenuto. Per esempio per passare da una cottura indiretta con carbone su due lati ad una cottura diretta: in questo caso sarà sufficiente spostare i supporti nel centro del braciere per ottenere il risultato voluto. Zero problemi di cottura, zero sporco, zero fatica.
Siringa per injection
Esistono sul mercato numerose tipologie di siringhe per uso alimentare per iniettare liquidi. La loro caratteristica è quella di essere riutilizzabili, previa accurata detersione, e soprattutto di avere un ago di diametro maggiore rispetto a quelle ad uso medico. Le siringhe utilizzate per le injection sono facilmente soggette ad occlusioni e quindi necessitano la sostituzione dell’ago molto frequentemente. Alcune hanno anche un kit di aghi di diverso diametro e con un numero maggiore di fori per una iniezione di liquidi più efficiente.
Cestello per verdure
Per evitare che le verdure tagliate a piccoli pezzi cadano dalla griglia sul combustibile acceso possiamo usare il cestello per le verdure. Si tratta di una vaschetta di metallo con dei fori nel lato inferiore e nei laterali che aiuta anche a cuocere omogeneamente il contenuto. Inoltre, i fori fanno in modo che i succhi che si creano in cottura cadano sulle braci accese e ritornino verso l’alto sotto forma di fumo aromatizzato che dona un sapore particolarmente intenso al cibo contenuto nel cestello. Le verdure vanno prima oliate in modo da evitare che si attacchino al metallo, ma vi assicuro che saranno aromatizzate e perfettamente grigliate e croccanti, senza quel brutto effetto di verdura bollita, moscia, che si disfa al solo guardarla. ıA
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SPECIALE HAMBURGER - IL BUN- PROCEDIMENTO di ALESSANDRO TREZZI
I L B U N P E R F E T TO l'hamburger è una cosa meravigliosa
Chi disaccorda, probabilmente non ha ben chiare le reali potenzialità di questo piatto ormai globale ed eterno, uno dei più celebri simboli dello street food di tutto il mondo. Un medaglione di carne succulenta e cotta a regola d’arte (si spera), abili contrasti di sapori e consistenze per mantenere alto il livello di esperienza, formaggio fuso e cremoso ed una salsa corposa e bilanciata, il tutto racchiuso da un morbido “bun”. L’hamburger-mania è letteralmente esplosa una decina di anni or sono, divenendo oggi un vero e proprio culto, subendo la trasformazione moderna di qualsiasi altro piatto e passando da “cibo povero” a oggetto di ricerca, sperimentazione per gli abbinamenti e cura dei dettagli. E il vero Nerd, l’appassionato, il cultore, che fa? Logicamente tende a trasmettere il proprio estro, un’impronta personale a tutto l’insieme, rendendolo riconoscibile tra mille. Trita i tagli di carne, crea le salse, cuoce gli ingredienti e soprattutto realizza il pane, elemento imprescindibile per un hamburger di qualità. Fare un buon burger bun non è affatto cosa semplice e scontata. Gli stessi locali specializzati nella celeberrima polpetta non sempre hanno l’accortezza di servire un supporto realmente adatto alle caratteristiche del piatto.
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Quante volte vi siete trovati davanti a del cartone imbevuto di succhi, che si è distrutto dopo un paio di morsi? E ancora, quante volte vi hanno portato del pane alto e duro, costringendovi a slogare la mascella pur di addentarlo e facendo sfilare il patty dal retro? Mettiamocelo in testa: il pane non è assolutamente un ingrediente trascurabile: ha il compito di racchiudere l’intera esperienza gustativa e di mantenerla sullo stesso livello per tutta la sua durata..
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Fare un ottimo burger bun a casa, con ingredienti e stru- sprigiona tutti i suoi equilibrati ma fantastici profumi, menti facilmente reperibili, è possibile, ve lo posso assicu- alzando l’asticella del vostro homemade hamburger. rare. Nel ripercorrere insieme gli obiettivi prefissati, risulta chiara la lista di aspetti che un contenitore ottimale Per realizzarlo nel migliore dei modi, leggere una ricettina dovrebbe avere. precompilata con dosi buttate a casaccio non è sufficiente: occorre comprendere a pieno la tipologia delle materie Cosa stiamo cercando? prime utilizzate e il loro ruolo nel costruire il risultato. Vogliamo un pane che non ostacoli il morso ma che abbia la struttura necessaria a sostenere il peso degli ingredien- La farina ti, che sia profumato ma non invadente, con una buona Inutile ricordarvi che la farina è l’ingrediente più imporshelf-life e senza sentori di acidità. tante di ogni lievitato; ogni prodotto dell’arte bianca non In parole povere: equilibrato. può prescindere da una farina selezionata consapevolmente e in maniera specifica. Gira e rigira la scelta migliore per la maggior parte degli Affinché il vostro bun risulti leggero, ben sviluppato ed abbinamenti ricade sul celebre brioche bun: se ben rea- equilibrato nel gusto, la scelta migliore ricade su un tipo lizzato, è morbido, si mantiene a lungo, sostiene gli in- 00 o 0 con una forza di 280-300W e un’ottima percengredienti, non risulta invadente e soprattutto reagisce tuale di assorbimento minimo. magnificamente alla tostatura. L’assenza di crusca permette di creare una maglia glutiniNel nostro bel paese abbiamo una marea di forme adatte ca salda e senza interruzioni, con una risultato più perfornelle dimensioni ma non nella consistenza, e che perciò mante ed esente da difetti in fase di lievitazione; di fatto, è spesso (come già affermato) impegnano troppo il morso, la medesima motivazione che rende consigliabile la farina causando la fuoriuscita degli ingredienti e disgregando raffinata nei dolci, dove lo sviluppo è altrettanto imporl’insieme. tante. Vi invito a focalizzare il risultato nella vostra testa: un Tenete inoltre presente che tra gli ingredienti figura una disco tondeggiante e dorato, dal gusto tendente al dol- quantità consistente di grassi ed elementi di peso; a tal ce, morbidissimo al tatto e che se sottoposto a pressione scopo, una maglia glutinica salda sarà in grado di sostetorna senza fatica allo stato originale. Se tostato in forno, nerne perfettamente il carico, oltre a trattenere i gas della
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lievitazione e conferire struttura, solidità ma anche mor- Il tanto amato lievito madre non è nient’altro che un parbidezza. ticolare tipo di pre-impasto. Un impasto indiretto ben eseguito può apportare alcuni Uova e grassi vantaggi, come una maggior struttura, un aumento delle Latte e burro rendono l’impasto più estensibile, malle- proprietà organolettiche (grazie agli acidi organici proabile e avvolgendo le bolle di anidride carbonica, che si dotti dalla fermentazione lattica) e shelf-life prolungata, formano durante la lievitazione, le stabilizzano. al costo tuttavia di una difficoltà di gestione più elevata L’alveolatura diventa così più omogenea e la struttura (specie in contesto casalingo), in quanto il risultato didella mollica molto soffice; tali fattori aumentano note- pende dalla costanza di temperatura e umidità dell’amvolmente la shelf-life del prodotto finito. biente scelto per la fermentazione del pre-impasto. Le proteine dell’uovo hanno invece proprietà schiumo- Inoltre i vantaggi citati (proprietà organolettiche, durabigene e coagulanti nell’albume ed emulsionanti nel tuorlo. lità e struttura) sono già garantite da farina, grassi e uova La combinazione di questi elementi è la via più semplice presenti nella ricetta; gli stessi risultati sono dunque rage utilizzata per realizzare un bun etereo, di colore ambra- giungibili con una procedura decisamente più semplice e to, sapore dolciastro e morbidezza irresistibile. standardizzabile. Non è certo l’unica strada per le nuvole, ma è sicuramente la più efficace. Malto e zucchero Vi va di smontare uno dei miti più insistenti e fastidiosi Impasto diretto o indiretto? nel mondo della panificazione? Per impasto diretto s’intende un procedimento nel quale “Lo zucchero nell’impasto serve a nutrire il lievito.” tutti gli ingredienti vengono miscelati in un’unica fase; No, nella maniera più assoluta. diversamente, l’indiretto prevede una fase di pre-impasto Le cellule del lievito si nutrono di zuccheri la cui abboncon acqua, farina e un piccolo starter, al quale verranno danza nell’impasto favorisce la fermentazione. Lo zucaggiunti gli ingredienti mancanti dopo la prima fermen- chero classico (il saccarosio) aggiunto all’impasto viene tazione. consumato immediatamente; la sua utilità (come nel GIUGNO 2019
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nostro caso) è attribuibile solo a questioni di maturazione e sapore. Ai fini della lievitazione non incide in alcun modo, è un “fuoco di paglia”.
di maturazione previsti dal metodo, è fondamentale che il quantitativo di zuccheri sia sempre presente sia per mantenere attiva la lievitazione, sia per colorare e rendere saporito il bun Diversamente, lo zucchero prodotto grazie alla reazione di Maillard. continuamente dalla saccarificazione (il processo che trasforma i carboi- Il contributo del malto è fondamendrati in zuccheri semplici) dell’amido tale in presenza di farine con bassa contenuto nella farina con l’aiuto del- attività amilasica, di solito inversale amilasi e dalle diastasi (enzimi pre- mente proporzionale alla loro forza senti nella farina come nel malto stes- e all’abburattamento (setacciatura so), fornisce nutrimento continuo ai graduale del grano macinato per otlieviti. Considerando i lunghi tempi tenere farina di diversa finezza).
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In commercio esistono diversi tipi di malto, differenti per potere diastasico e quantità di zuccheri; la soluzione migliore è l’estratto di malto concentrato in sciroppo e il malto diastasico in polvere, utilizzabili in proporzioni di 5:1. In sostanza, quando qualcuno vi dice che potete sostituire il malto con il miele o lo zucchero, giratevi dall’altra parte e datevela a gambe.
Pronti? partiamo. Le fasi previste sono: - Impastamento; - Puntata o prima lievitazione; - Staglio e formatura dei panetti; - Appretto o seconda lievitazione; - Cottura. Impastamento Rovesciate in un recipiente ampio (o nella vasca della vostra impastatrice) tutta la farina, il 75% del latte, il lievito sbriciolato e il malto diastasico; dopo averli amalgamati bene aggiungete il latte rimanente poco alla volta, attendendo che sia ben assorbito prima di aggiungerne un'ulteriore quantità. Burro e uova devono necessariamente essere a temperatura ambiente, il primo per agevolarne l’assorbimento, le altre perché l’emulsione possa avere luogo senza problemi di natura fisico-chimica; un’ottima idea è amalgamare i due ingredienti separatamente utilizzando una frusta, aggiungendo poi il composto a poco a poco nell’impasto. Aggiungete anche lo zucchero poco alla volta in quanto, contribuendo ad aumentare in modo sostanziale l’umidità dell’insieme, va amalgamato lentamente per non compromettere la formazione della maglia glutinica. Aggiungete infine il sale (necessariamente lontano dal lievito, o potrebbe inibirne l’azione) e terminate l’impastamento quando l’insieme risulterà liscio, asciutto e setoso e la maglia glutinica si sarà formata. La temperatura interna dovrà essere di almeno 24 °C per permettere a tutti i processi fermentativi e alla maturazione di avere inizio senza particolari ritardi. Lasciate riposare nella ciotola per circa 15 minuti, poi fate alcune pieghe di rinforzo per rafforzare e stabilizzare il glutine e di conseguenza la struttura dell’impasto. Puntata In questa fase l’impasto matura e la maglia glutinica si stabilizza. Posizionate il tutto in un recipiente dai bordi alti ben oliato (soprattutto nella parte superiore, per evitare la formazione della pelle) e lasciate a temperatura ambiente per almeno un’ora per dar modo alla lievitazione di partire, e infine mettete in frigorifero per 18-24 ore a una temperatura di 4 °C. GIUGNO 2019
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forno a 230 °C e cuocete per 10-11 minuti; per verificare l’avvenuta cottura dei bun è necessario un doppio controllo: la temperatura interna, misurabile con un termometro a sonda, deve essere di 90 °C, e la mollica deve risultare completamente asciutta. Raffreddamento, mantenimento e servizio Una volta sfornati i bun, lasciateli raffreddare su una griglia rialzata, evitando in tal modo la formazione di condensa che rovinerebbe il duro lavoro svolto finora. Staglio Circa 4 ore prima della cottura togliete dal frigorifero e dividete l’impasto in panetti da 100g l’uno. Operazione fondamentale, dopo aver pesato i singoli pezzi di impasto, è di schiacciare per bene facendo uscire l’aria formatasi durante la prima lievitazione, per poi arrotolare e formare una pallina ben chiusa; in tal modo, i gas sviluppatisi durante l’appretto risulteranno uniformemente distribuiti e la mollica avrà una struttura omogenea, senza bolle d’aria indesiderate e dislocate.
leggermente le mani e schiacciate i panetti lievitati per formare dei dischi di circa 2 cm di spessore; questo banale trucco impedisce di sfornare bun alti mezzo metro, con conseguente mascella slogata. In questo frangente potete dare un tocco di personalità con dei semi di sesamo, papavero, zucca, girasole, oppure delle erbe aromatiche, per rendere il vostro bun ancora più accattivante. Altre tre ore e mezza a 28-30 °C e i bun saranno pronti per essere infornati.
Adagiate su una teglia con della carta forno, ben distanziati uno dall’altro, Cottura coprite con un panno umido e lascia- Stabilizzate la temperatura del vostro te in appretto a una temperatura di 28-30 °C. Il consiglio è di non posizionare più di 6 panetti per ogni teglia 30x40, per ottenere un prodotto finito che abbia circa 10-11 cm di diametro. Appretto Durante lo staglio l’impasto viene manipolato e i lieviti ridistribuiti uniformemente; l’appretto (o seconda lievitazione) consente al semilavorato di svilupparsi al fine di ottenere la sua forma finale. Dopo circa 30 minuti, inumiditevi A
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Se riposti in frigorifero in un sacchetto o recipiente a chiusura ermetica, i brioche bun si conservano perfettamente per 2-3 giorni; in caso contrario, è sempre meglio congelarli. Prima di farcire il vostro meraviglioso hamburger, tostateli interamente in forno a 180-200 °C: si formerà una crosticina croccante e saporita in corrispondenza della parte esterna, conferendo all’insieme una piacevolissima nota croccante. Game, set, match.
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SPECIALE HAMBURGER - RICETTA di EMILIANO NENCIONI
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della redenzione Più o meno tutti gli appassionati di cottura su fiamma o in generale di cucina hanno una specialità che scatena in loro ricordi o riflessioni, un piatto protagonista di un bivio nella loro vita o testimone di un evento importante: nel mio caso, questo ruolo è coperto dall’hamburger.
Era una specie di hamburger quello che la nonna meno interessata alla buona cucina al mondo, la mia, mi cucinava nei primi anni ‘80: tanto olio di oliva, padella in teflon scortecciata rigorosamente tiepida, venti minuti buoni di cottura a fuoco bassissimo. Nei momenti di particolare slancio veniva sovrapposta anche una sottiletta, che non si è mai fusa ma che immancabilmente si tramutava in un polimero lucido, rigido e insapore. Non si chiamava neanche hamburger, si chiamava svizzera. Ricordo che alle elementari non riuscivo a togliermi dalla testa il fatto che qualcuno oltre le Alpi avesse chiamato il suo paese come una polpetta di carne: lo vedevo scritto sulla cartina geografica e mi distraeva, in classe, per la maggior parte del tempo. “Nonna, ma perché non mi fai un panino come quelli in tv? Tondo, con il formaggio fuso e la salsa di pomodoro e la polpetta di carne altissima?” “No. Senti com’è buona la svizzera, ti ci metto anche l’origano sopra.” In tempi molto più recenti la voglia di mangiarne uno come si deve mi spinse a comprare un kettle: pieno di entusiasmo pensai di inaugurare il dispositivo (ai tempi, in tutta sincerità, anch’io sbagliavo e lo chiamavo “il barbecue”) con una colossale hamburgerata, e per la prima volta io stesso mi sarei occupato di cucinare il cibo. Chiamai ben dieci parenti e invitai tutti gli amici che avevo, dal primo all’ultimo; andai al supermercato a comprare un
po’ di pancetta, tante sottilette (mi si erano impresse nella memoria), e gli hamburger più economici che riuscii a trovare. D’altronde sfamare quelle TREDICI persone, me compreso, mi sembrava un’impresa titanica e, dopo un’analisi più approfondita, un po’ troppo costosa in relazione agli invitati. Commisi quasi la totalità degli errori del principiante: kettle pieno di bricchette arroventate, tutti gli hamburger disposti sulla griglia e il coperchio chiuso. Vennero fuori le polpette più rinsecchite, dure, nere, salatissime e ingrate della storia. Tutti sentirono distintamente un’anziana borbottare “però quando gli facevo le svizzere io, da piccino, venivano un bigiù, belle morbide”. Da allora per me è stata una ricerca continua e un po’ ossessiva verso la perfezione, il bilanciamento dei sapori e l’appagamento sensoriale: il mio obiettivo diventò l’hamburger gustoso, piacevole al palato, non necessariamente eccessivo e ostentato ma ricco di particolari gratificanti. Dopo non pochi fallimenti e dopo un percorso formativo dentro BBQ4All che mi ha dato le basi per sperare di non farne più, voglio trasmetterti qualcosa che ti metta in grado di organizzare un’hamburgerata che sarà un successo totale: non voglio darti solo la ricettina del mio panino preferito, voglio renderti in grado di riuscire a prepararlo alla perfezione. GIUGNO 2019
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Parametri: I tuoi obiettivi, in questo caso, sono semplici ma sono tanti. Hai una manciata di micro obiettivi, tutti importanti.
• La carne deve essere succosa e dal sapore molto “beefy”; questo ti costringe a scegliere una materia prima molto buona e a cuocerla, tanto per cambiare, alla perfezione; il tuo brand preferito per fortuna ti viene in aiuto con gli hamburger BBQ4All, ottimi e dal bilanciamento grasso/magro impeccabile. Non voglio spudoratamente dirti di usare proprio quelli ma... per essere sicuro, usa quelli. Lo speck deve essere croccante, ma non rinseccolito: ricordati che non è
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pancetta, ha una quantità di grasso molto minore e per sua natura è già molto più “tirato”. L’uovo deve essere cotto con una precisione maniacale, perché ritrovarsi l’albume crudo in mezzo a un hamburger è spiacevole e per molti disgustoso; d’altra parte, un tuorloeccessivamente cotto e rappreso non aggiungerà la cremosità voluta al panino. Il peperone deve essere morbido, arrendevole, e tagliato a strisce strette: non è questo il caso del “peperone bello croccante”. Se vuoi il peperone duro e legnosetto fatti una ricetta tua. Il rub dovrà avere carattere e suggerire sapori complessi, ma non do-
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vrà essere preponderante o invadente: per questo ti consiglio il nostro Montreal, ma dovrai metterne solo una lieve spolverata. Non è un brisket. Il pane dovrà servirti da spugna: scegli un bun abbastanza grande e soffice, ma non tostarlo eccessivamente. Scaldarlo va bene, abbrustolirlo no. Ci sono molti elementi liquidi o cremosi che metteranno a dura prova l’alveolatura del pane, non irrigidirlo troppo.
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Procedimento: 1. Inizia con i peperoni così ti togli il pensiero. Hai due strade: puoi farli in ember o al forno. Se vuoi farli in ember deponi mezzo cesto di bric-
chette ben accese sulla griglia carboni del kettle e appoggia il peperone su di esse: chiudi il coperchio e, quando il peperone si sarà tutto afflosciato, spellalo per bene e riducilo in striscioline ben pulite. Se preferisci usare il forno metti il peperone (intero) su una leccarda, scalda a 200°C e aspetta che sia completamente floscio; anche in questo caso spella e pulisci per bene e riduci in striscioline la polpa. Metti le strisce ottenute in una pirofila con abbondante olio e un po’ d’aglio, lasciandole a bagno per un’oretta. 2. Dedicati all’uovo. Questa è la fase più maniacale ma credimi, la differenza data dalla tua precisione si sentirà e si vedrà. Separa i tuorli dagli albumi, e “lavora” gli albumi in un recipiente fino a renderli molto liquidi: non devi montarli a neve, no, basta che tu li renda liquidi e omogenei; se per te è troppo fastidio, compra gli albumi nei tetrapak per pasticceria, li trovi già liquidi. Prendi una padella o un pentolino che abbia il fondo tondo di dimensioni quasi uguali all’area del cerchio descritto dal bun o dal patty, ungilo leggermente e versa l’albume necessario per un panino (se avevi separato quattro albumi versane un quarto: ci siamo capiti?), cuocendo a fuoco molto basso, senza bucarlo o muoverlo, finchè le proteine non diventano completamente bianche. A solidificazione avvenuta togli dal fuoco e metti da parte. E’ necessario che l’albume sia perfettamente circolare, regolare, uniforme, integro. Allenatevi con discreto anticipo per perfezionare la tecnica. Il tuorlo, in tutto questo procedimento, è al sicuro e non viene preso in causa, non adesso.
tarla leggermente. Prepara mezzo cesto accenditore di bricchette, e nel frattempo copri di carta assorbente gli hamburger, per asciugarne bene la superficie. Versa le bricchette su metà della griglia carboni del kettle, in modo da lasciarti circa metà della griglia pietanze non investita dal calore diretto.
da parte il pressappochismo per qualche altra preparazione. 1. Prendi la metà inferiore del panino e versaci una cucchiaiata di salsa barbecue; 2. Appoggia un numero sufficiente di strisce di peperone precedentemente arrostito, scolando l’olio in eccesso;
4. Dai una velocissima scottata in diretta allo speck: appena il grasso diventa trasparente e la parte magra 3. Sovrapponi adesso uno - due anelinizia a incresparsi rimuovilo dal fuo- lini di cipolla, non serve esagerare co e mettilo da parte. Se vuoi, puoi con la dose; tagliarlo a striscioline. 4. Inserisci ora il patty bello caldo, a 5. Ungi leggermente i 4 patty e met- cottura appena ultimata, e spolvera tili in griglia. Fai attenzione che il leggermente con il Rub BBQ4All grasso che cola non faccia investire Montreal; di fiamme la carne, e in caso ricorri al collaudato stratagemma di chiudere 5. Con delicatezza e conservando la il coperchio per soffocare la fiamma- concentricità fra le componenti metta. Gira più volte la carne, e serviti ti l’albume precedentemente cotto della “safe zone” (la porzione di gri- sopra la carne e il tuorlo sopra l’albuglia non irradiata direttamente dalle me; braci) per mettere temporaneamente in salvo i patty che stanno prenden- 6. Appoggia la metà superiore del do troppo calore o già cotti. bun di fianco alla torre appena forPer una cottura veramente perfetta mata, lasciando il compito di chiudeperò ti consiglio una piastra, anzi- re l’opera e schiacciare il tuorlo a chi chè una griglia: non avrai problemi dovrà mangiare il panino. di fiammate, la reazione di maillard avverrà in maniera più completa rive- 7. Servi ad uno ad uno i panini apstendo la tua carne di una bella cro- pena preparati, senza farli “sostare” sticina brunita e saporita. Puoi usare troppo prima del servizio. una padella in ghisa oppure uno dei numerosi accessori in ghisa (liscia, Assumi un’aria ricca di sussiego e mi raccomando!) per il tuo kettle. supponenza, liquidando i curiosi con Con una buona padella in ghisa puoi risposte tranchant e generale senso di sfruttare anche i bruciatori del tuo fastidio verso il prossimo. dispositivo a gas, se lo possiedi. Raggiunto il grado di cottura deside- Per una completa Nencioni Experato, aiutandoti col tuo fido termo- rience accompagna il tutto con il mimetro a spillo, togli i patty dal fuoco glior Chinotto artigianale reperibile e dedicati ad un meticoloso montag- in commercio. gio.
Hamburgers, assemble! 3. Taglia un po’ di cipolla in anelli In questa fase ti è richiesta attenziomolto fini. Puoi usarla cruda o scot- ne, precisione e meticolosità. Lascia GIUGNO 2019
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SWEET HOME
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SPECIALE HAMBURGER - RICETTA di TOMMASO DI GREGORIO
...where the skies are so blue sweet home Alabama Lord, I’m coming home to you
Così cantavano i Lynyrd Skynyrd. Sarebbe curioso sapere come i componenti del famoso gruppo southern rock preferissero mangiare gli hamburger. Probabilmente questa curiosità rimarrà tale. Visto che non è dato sapere le preferenze di Ronnie Van Zant e soci, la proposta di oggi è un hamburger in stile BBA4All che richiami l’Alabama e i suoi sapori più tipici, a partire dalla famosa salsa Big Bob di cui vi parlerò dopo. È un panino che unisce la croccantezza di una cialda di patate alla nota acida delle cipolle sott’aceto e al gusto inequivocabile della salsa bianca. L’ho trovata una combinazione molto equilibrata e interessante, adatta ai succulenti e gustosi burger che conoscete tutti. Provare per credere. IN GREDIENTI P E R I L PA N I N O $Ha6bx_e_QA-B $Bx8Le_a6bx_e_ $a-fa S BBbGbfB8OOa a 8 afac ^EbE $U8a8Bcex__B db $a-e S ^EbE $PeLe^EbE P E R L A C I A L D A D I P ATAT E $æLaOaOe $O-BeO_ae_8edB-a $a-e S ^EbE $PeLe^EbE P E R LE C I PO L LE A L L / AC E TO $cLB--a_Bffa $ceOB A 8B d a8cb B $x8cxccaBdfa-e $x8cxccaBxcd ce_B
Preparazione delle cipolle sott’aceto 1. La preparazione delle cipolle è molto semplice, ma è necessario prepararle con un giorno d’anticipo rispetto a quando si vogliono consumare. Tagliate finemente le cipolle e adagiatele in una terrina. 2. Coprite con acqua bollente e lasciatele immerse per una decina di minuti. 3. Trascorso il tempo necessario, travasate le cipolle in un barattolo e aggiungete un cucchiaino di sale e uno di zucchero. 4. Riempite adesso il barattolo di aceto di vino bianco e chiudetelo ben stretto. Lasciate riposare le cipolle in frigorifero per un giorno prima di
consumarle. Preparazione della cialda di patate 1. Pelate le patate e riducetele in scagliette usando una grattugia a fori larghi. 2. Mettete adesso un filo d’olio in padella e fatele rosolare un po’ alla volta, a cucchiaiate, schiacciandole con il dorso del cucchiaio per formare delle frittelle che dovranno dorarsi su entrambi i lati. Se avete un coppa pasta usatelo per dare una forma più regolare alla cialda di patate. 3. Quando saranno ben dorate adagiatele su un foglio di carta assorbente e lasciatele scolare. Preparazione dell’hamburger 1. Settate il vostro dispositivo per una cottura diretta. 2. Tagliate in due il panino e spalmate un po’ di burro su entrambe le sezioni. Sul kettle, o in alternativa su una padella ben calda, fate adesso dorare i bun dalla parte della mollica. 3. Cuocete l’hamburger girandolo spesso fino a quando non raggiunge il grado di cottura desiderato. 4. Componete il vostro panino. Spalmate la base del pane con la salsa Big Bob Gibson, adagiate sopra la cialda di patate, poi l’hamburger, le cipolle sott’aceto e infine aggiungete ancora un po’ di salsa. 5. Richiudete ora il bun e servitelo ben caldo, magari accompagnando il tutto con la musica dei Lynyrd Skynyrd in sottofondo! GIUGNO 2019
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BIG BOB
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Pensate a quanto sarebbe bello potere viaggiare nel tempo e vedere il mondo. Si potrebbero scoprire un’infinità di cose e conoscere una moltitudine di persone interessanti. Purtroppo fino a quando non sarà possibile salire a bordo di una DeLorean e sfrecciare nel passato come nel celebre film, l’unico modo per farlo è con l’immaginazione. Nel viaggio nel tempo che vi propongo oggi, la meta sarà il sud degli USA, più precisamente l’Alabama. Facendo quindi un piccolo sforzo mentale provate a creare un’immagine dell’America a cavallo tra le due grandi guerre. Siete a Decatur, una piccola zona rurale dell’Alabama vicino al fiume Tennessee. La gente coltiva i campi e vive di quello che dà la terra. Nell’aria non c’è il pesante odore di smog che caratterizza le moderne metropoli e si può sentire un piacevole odore di affumicato. Il vento è pregno di questo buonissimo odore che proviene da un piccolo cortile dove un uomo, tanto grande quanto buono, sta affumicando maiale e pollo. Questo signore si chiama Bob Gibson, detto Big Bob a causa della sua grande mole. Bob ha la passione per il bbq e griglia per amici e parenti nel suo giardino. La sua cucina è molto apprezzata ma manca di qualcosa che la caratterizzi. Stanco dei soliti condimenti, quindi, Big Bob inizia
a sperimentare e a mescolare vari ingredienti alla sua maionese casalinga. Ed è così che nel 1925 nasce la prima versione della celebre salsa bianca che porta il nome della famiglia Gibson. La salsa piace molto ai commensali di Big Bob e la voce si sparge richiamando sempre più gente curiosa di assaggiare questo nuovo condimento. Così da piccolo barbecue casalingo, l’attività si allarga e diventa dapprima un ristorante e poi una catena famosa in tutto l’Alabama. Ancora oggi i ristoranti sono gestiti dalla famiglia Gibson che porta avanti la tradizione e il nome dell’ideatore di questo incredibile intingolo. Chi l’ha assaggiata lo sa: crea dipendenza. E quindi ho pensato: perché non provare a replicarla, facendola in casa? Il risultato è stato molto soddisfacente e per questo voglio condividerlo con voi. Procedimento In una ciotola larga unite e mescolate bene tutti gli ingredienti. Lasciate riposare la salsa un paio d’ore in frigorifero. Si sposa benissimo col pollo e con il maiale, ma io ho provato ad abbinarla anche all’hamburger che trovate nella pagina accanto. Provatela anche voi e poi ditemi se non ho ragione quando dico che dà assuefazione. GIUGNO 2019
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SPECIALE HAMBURGER - RICETTA di MARIANGELA IBBA
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L’antipasto è Il biglietto da visita di MINI HAMBURGER ogni invito che si rispetti. Spesso ti ALLA PARMIGIANA rivela se mangerai bene o se lungo la strada del ritorno ti fermerai al primo DI MELANZANE fast food disponibile per riempire lo Un piatto che è sempre andato forte stomaco vuoto. a casa mia è la parmigiana di melanÈ l’entrée del pasto fatto di piccole zane. Per questo ho deciso di renderla porzioni di cibo godurioso e stuzzi- ancora più buona trasformandola da cante, con il quale si invoglia l’appe- portata unica a farcitura di un hamtito degli ospiti. Solitamente è com- burger dal sapore esplosivo. Infatti, posto da salumi e formaggi locali il gusto speziato della salsa di pomoaccompagnati da crostini, tartine e doro, la croccantezza della melanzana fritta, il sapore del formaggio fuso, dagli immancabili vol-au-vent. unito agli slider BBQ4All, creano un Ma è finalmente giunta l’ora di rom- hamburger dal gusto deciso e corpopere questa routine. E sarai tu a far- so che ammalierà tutti i tuoi ospiti. lo, offrendolo ad amici e familiari un antipasto diverso. Mini hamburger gourmet, farciti con primizie tipiche di questo periodo: melanzane e fiori di zucchine, rigorosamente con slider firmati BBQ4All.
Procedimento 1. Metti a scaldare l’olio d’oliva in una pentola capiente e fai soffriggere da solo lo spicchio d’aglio in camicia. Una volta imbiondito, toglilo dall’olio e fai soffriggere la carota, la cipolSono due le ricette che ti propongo: la, il sedano, il prezzemolo e il pepeuno alla parmigiana di melanzane e roncino tritati finemente. Al trito l’altro ai fiori di zucchine fritti, giusto aggiungi anche i chiodi di garofano e la maggiorana, e lascia imbiondire il per rendere il tutto più leggero. dA
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tutto. 2. Sfuma con il vino. Aggiungi la passata di pomodoro, il concentrato e l’acqua. Lascia cuocere per un’ora circa a fuoco lento. 3. Lava bene la melanzana sotto l’acqua corrente e, senza sbucciarla, tagliala a fette non troppo spesse. 4. Poni le fette della melanzana all’interno di uno scolapasta con un po’ di sale, coprile con un canovaccio e metti sopra di esse un peso per farle spurgare, per circa un’oretta. 5. Sciacqua le melanzane sotto l’acqua corrente ed asciugale bene tra due canovacci. 6. Sbatti le uova con un pizzico di sale ed immergi le fette di melanzane una per volta, per poi passarle nel pangrattato a cui avrai aggiunto sale e pepe. 7. Metti una padella sul fuoco e fai scaldare l’olio di semi. Quando l’olio è caldo friggi le melanzane. Mi raccomando asciuga bene l’olio di frittura in eccesso. 8. Prepara il tuo dispositivo per una cottura diretta. Dopo aver versato i
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bricchetti accesi, chiudi il coperchio in modo che la griglia raggiunga temperature infernali. 9. Spennella la carne con un velo d’olio, salala su entrambi i lati e mettila in cottura sulla griglia rovente. In questo caso è importante lasciarli indietro di cottura, in quanto ci sarà un ultimo passaggio in griglia. 10.Dividi i panini a metà e griglia la parte interna. Adesso sei pronto per comporre gli hamburger. Prendi la base del pane, metti la salsa di pomodoro, la melanzana, lo slider, nuovamente la salsa di pomodoro e le scaglie sottilissime del Parmigiano. 11.Per far fondere leggermente il formaggio metti il panino aperto nel dispositivo fuori dalle braci per pochi istanti, con il coperchio chiuso. Ecco perché lo slider è bene che sia un po’ indietro di cottura. 12.Chiudi il panino col suo cappello e il mini hamburger alla parmigiana di melanzane è servito.
MINI HAMBURGER CON ACCIUGHE CREMA DI MOZZARELLA E FIORI DI ZUCCHINI FRITTI I fiori di zucchini fritti sono una vera leccornia, specie se ripieni di mozzarella e acciughe. Per questo ti propongo un mini hamburger che racchiude in sé tutto il sapore dei fiori di zucchino ripieni destrutturati, per dirla con un termine che è molto in voga ultimamente. Rispetto al panino con la parmigiana di melanzane, ha sicuramente un gusto più delicato, ma non meno straordinario. Infatti la morbidezza e la dolcezza della crema di mozzarella di bufala aromatizzata al timo, unita al sapore deciso dell’acciuga e al piacevole scricchiolare sotto i denti del
fiore fritto, crea un mix dal sapore paradisiaco, completato in modo impeccabile dallo slider. Procedimento 1. Taglia a pezzi piccoli la mozzarella e frullala nel mixer. Al composto ottenuto, aggiungi la panna, per ottenere una crema liscia e meno corposa, un pizzico di sale e il timo. 2. Prepara la pastella per i fiori di zucchino. In una ciotola versa la farina setacciata. Aggiungi l’acqua fredda a filo, mentre mescoli con la frusta per evitare la formazione di grumi. La pastella è pronta quando ha una consistenza liscia e fluida 3. Lava i fiori di zucchino sotto l’acqua corrente e asciugali bene. Elimina la parte finale del fiore e il pistillo. 4. Passali nella pastella e friggi nell’olio caldo. Mi raccomando asciuga l’olio in eccesso passando i fiori nella carta assorbente 5. In contemporanea, prepara il dispositivo per una cottura diretta dopo aver versato la ciminiera di bricchetti accesi, chiudi il coperchio in modo che la griglia raggiunga la temperatura desiderata. 6. Spennella con un velo d’olio gli slider e metti la carne in cottura sulla griglia rovente girandoli spesso. 7. Taglia i bun a metà e tosta l’interno 8. Adesso sei pronto per montare il mini hamburger. Prendi la base del panino, metti un po’ di crema di mozzarella e sopra adagia la carne, poi un’altra dose generosa di crema di mozzarella. Al centro della crema poni un’acciuga sottolio. Chiudi il panino e con uno stecchino infilza il fiore di zucchino fritto in cima. Ti assicuro che una volta assaggiati questi mini hamburger, non vedrai l’ora di prepararli nuovamente, ma nel formato maxi.
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SPECIALE HAMBURGER - RICETTA di MARIANGELA IBBA
F R U T TO P RO I B I TO ?
che peccato!
Per la tradizione culinaria italiana, la frutta è in tutto e per tutto un cibo dolce: ideale a colazione con yogurt e cereali o per uno spuntino sano e veloce ma sempre gustoso. In special modo, con la frutta si realizzano tantissimi tipi di dolciumi dai gusti diversi: caramelle, gelati, granite, creme per farcire torte e crostate. Insomma, è ok quando dobbiamo preparare piatti dolci, mentre in molti arricciano il naso di fronte ad ogni piatto salato che contenga frutta.
all’interno di primi, secondi e contorni come elemento che arricchisce le pietanze creando una piacevole unione di sapori.
Basti pensare allo chef stellato Carlo Cracco che, per San Valentino 2019, ha servito alcune sue creazioni basate proprio su questo tipo di giustapposizione di sapori: ostrica in crosta di cacao, albicocche secche, noci soffiate e caramello salato; ananas al forno, crescenza, riso selvatico e dragoncello; insalata di astice al vapore, crema In realtà, utilizzarla anche per tutte le di rapa e mandarino affumicato. altre portate non è proprio una novità: è abitudine in molte cucine estere. Quindi, nel nostro piccolo, anche In Germania, tanto per fare un solo noi abbiamo voluto giocare con la esempio, amano servire la carne con frutta per realizzare questo hambursalse a base di frutta (ricordo che ne- ger: il sapore burroso dell’avocado si gli anni ‘90 un ristorante a Berlino sposa alla perfezione con il delicato mi servì pollo alla griglia e fettine di gusto di latte della ricotta, e il piccanmela insieme alla maionese) ma, se te del peperoncino dona alla crema scaviamo a fondo nei recessi della no- una marcia in più. La grassezza del stra storia gastronomica, questo con- lardo arricchisce una carne dal sapore trasto di sapori non ci è totalmente già spettacolare e la mela, con la sua ignoto, basti pensare all’insalata d’a- croccantezza e con la sua nota asprirance o alla pasta con le sarde, l’uvetta gna e rinfrescante, sgrassa il palato fasultanina e i pinoli. cendoti apprezzare al meglio questo matrimonio di sapori. In questi ultimi anni, inoltre, molti chef stanno imponendo allo scetti- Procedimento co palato italiano questo mix di sa- 1. Sbuccia l’avocado, privalo del nocpori agrodolci in contrasto, eppure ciolo interno e schiaccialo con una perfettamente armonizzati tra loro. forchetta La frutta è entrata oramai di diritto 2. Unisci l’avocado alla ricotta setacdA
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ciata , aggiungi il peperoncino, un pizzico di sale, pepe e olio d’oliva e mixa gli ingredienti tra loro fino ad ottenere una crema liscia ed omogenea. 3. Lava sotto l’acqua corrente la mela e, senza sbucciarla, affettala il più sottilmente possibile. Bagna le fette della mela con il succo di limone, perché non diventino scure. Prima di metterle nel panino, ricordati di asciugarle bene, con della carta assorbente. 4. Prepara il tuo dispositivo per una cottura diretta, una volta versata la ciminiera di bricchetti accesi, chiudi il coperchio, in modo che la griglia si scaldi. 5. Spennella con un velo d’olio gli hamburger. 6. Butta gli hamburger in griglia, avendo cura di girarli spesso, fino al tipo di cottura desiderata. 7. Taglia i panini a metà e griglia l’interno. 8. Adesso sei pronto per realizzare il tuo panino. Prendi il pane, metti la crema di ricotta e avocado, un po’ di insalata pan di zucchero, poi l’hamburger, sopra la carne poni il lardo, nuovamente la crema ed infine qualche fettina di mela. Chiudi il tutto con il cappello del panino e il tuo hamburger è pronto.
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SPECIALE HAMBURGER - RICETTA di LUCA GALLOZZA
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BACO N EX P LOS I O N
Oggi voglio parlarvi di una preparazione abbastanza recente nel mondo del BBQ. Come avete letto dal titolo della ricetta, stiamo parlando del Bacon Explosion o Bacon Bomb. Una preparazione che ha origine a Roeland Park in Kansas City, nel 2008, da due amanti del barbecue come voi: Jason Day e Aaron Chronister. Furono loro ad inventarsi questa pietanza strepitosa ed ormai conosciutissima. Entrambi parte di un team di barbecue, chiamato Burnt Finger BBQ, decisero di trovare un modo per dare visibilità al loro sito, così da guadagnare qualche dollaro da investire per finanziare la loro passione. Tutto partì da una sfida lanciata sul web da un amante della pancetta, che si aspettava un utilizzo della stessa in maniera creativa, in griglia. Spendendo 20 dollari tra pancetta e salsiccia italiana, Jason e Aaron tirarono fuori questa staffilata di calorie, gusto e fantasia che la mise subito tra le preparazioni più amate e ormai più conosciute del barbecue americano. Di fatto è composto principalmente da due soli ingredienti: la macinata di carne e la pancetta; ma può essere trasformata nella preparazione più fantasiosa che possa esserci, se andiamo a modificare a piacere la farcia che la compone internamente. Io voglio proporvela in un modo assolutamente nuovo. Partendo da un
altro grande classico della cucina, vi BBQ4All, aggiungiamo un cucchiaio spiegherò come riprodurla in versio- di salsa Worcestershire, un filo d’olio, aggiustando di sale e di pepe. ne “Wellington rovesciato”. 7. Stendiamo la nostra macinata sulConoscere il filetto in crosta nella la rete di bacon, realizzando un retversione wellingtoniana? Lo andre- tangolo di 35x25 cm circa. mo ad adattare ad una versione Ba- 8. Spolverizziamo di Tennessee Rub con Explosion trasformandolo nel BBQ4All la macinata di Steak Burger Wellington Explosion Bacon, utiliz- 9. Distribuiamo abbondantemente zando oltretutto i burger BBQ4All la nostra crema di funghi su tutta la all’interno della ricetta, che vi sor- carne. prenderanno per l’incredibile versa- 10.Posizioniamo il nostro rotolo di sfoglia ripieno di scamorza sul rettilità. tangolo di macinata e arrotoliamola Procediamo quindi con la prepara- su se stessa. 11.Chiudiamo bene i lati per chiuzione. derli e facciamo aderire al meglio il bacon ai bordi. Procedimento 1. Prendiamo i funghi, inumidiamo 12.Stringiamo i lembi della pellicola un panno e puliamo il cappello e il e arrotoliamo il nostro bacon bomb gambo. Tagliamoli a pezzetti e cuo- facendolo rotolare su un piano. ciamo a fiamma bassa, aggiustando 13.Poniamolo in frigo a riposare e a rassodare per almeno due ore, poi di sale e pepe. 2. Passiamo al minipimer i funghi predisponiamo il nostro dispositivo aiutandoci con un filo d’olio extra per una cottura indiretta stabilizzandolo a circa 160 gradi; poniamo vergine di oliva. 3. Tagliamo la scamorza affumicata a il polpettone in griglia e facciamolo cuocere sino a 74 gradi al cuore, affucubetti 4. Stendiamo la pasta sfoglia, rica- micando con chip di legno aromatizviamo un rettangolo 25X10 cm circa, zato a piacere. mettiamo al centro i dadini di sca- 14.Glassiamo con salsa barbecue e lamorza e arrotoliamo per ricavarne un sciamo ancora in cottura sino ai 78°C cilindro. Chiudiamo bene e faccia- al cuore. mo cuocere nel nostro dispositivo a 15.Portiamolo a tavola su un tagliere 200°C per 25 minuti, in cottura indi- e iniziamo a tagliarlo a fette da 4/5 cm di spessore. retta. 5. Realizziamo una rete intrecciata di bacon su un foglio di pellicola abba- Dubito che ne rimanga anche un solo pezzo. stanza abbondante. 6. Smontiamo i nostri Steak Burger GIUGNO 2019
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NONSOLOCARNE - RICETTA VEGETARIANA di LUCA GALLOZZA
posso resistere a tutto tranne che agli
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FRITTI
Diretta discendenza dei Chile Relleno (piatto messicano a base di peperoni grandi e delicati, ripieni talvolta di formaggio, altre di carne macinata, poi pastellati con uova e fritti), questo gustoso jalapeño fritto fa parte di una lunga lista di varianti che riguardano i peperoncini ripieni in tutto il mondo. Si differenzia dagli Armadillo Eggs, poiché in questa versione non c’è la pancetta che lo avvolge esternamente. Niente rispetto ad una succulenta Ribeye, a due fette di brisket o a un bun ciccioso di pulled pork, direte voi. Provate a chiederlo a Joey Chesnut che detiene il record per averne mangiati ben 118 in soli 10 minuti. Certo, per i griller che amano solo mordere grosse Tomahawk, rimane pur sempre un piatto a base vegetale, ma io ne ho preparato una versione che attirerà pure i più scettici. Nella mia declinazione affumicata al whisky, ho riempito i peperoncini con una crema al formaggio fatta con ıæA
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Cheddar alla birra e semi di senape, li ho aromatizzati col rub e, prima di friggerli, li ho avvolti con una triplice panatura. Risultato? Provate a seguire le mie indicazioni e ditemi voi. Procedimento 1. Lavate e asciugate i peperoncini. Incideteli orizzontalmente sotto il calice ed effettuate un taglio verticale sino all’apice, creando una sorta di finestra. 2. Estraete accuratamente la placenta e i semi. 3. Predisponete il vostro dispositivo per una indiretta a 70°C con una manciata di bricchette e una di chips al whisky e affumicate i vostri jalapeño per un’ora circa, in cottura indiretta. Togliete dal dispositivo e lasciate raffredare. 4. Miscelate con un minipimer il Cheddar con il mascarpone e aggiungete l’olio extravergine di oliva a filo, sino ad ottenere un composto cremoso e fluido. Salate a piacere. 5. Inserite nella crema di formaggio il Tennessee Mild Dry Rub BBQ4ALL
ed emulsionate il tutto. 6. Con l’ausilio di una sac à poche, riempite i vostro jalapeño avendo cura di richiuderli bene. 7. Aggiungete la paprika nel contenitore del pangrattato e mescolate bene. 8. Immergete il vostro peperoncino ripieno nell’uovo precedentemente sbattuto, poi infarinate. 9. Immergete nuovamente nell’uovo e poi passate nel pangrattato. Eseguite questa operazione per due volte. 10.In un pentolino stretto e alto, mettete a scaldare l’olio per friggere e quando avrà raggiunto i 180°C tuffateci dentro i vostri jalapeño panati e ripieni. Fate cuocere sino a doratura e salate a piacere. I vostri meravigliosi jalapeño sono pronti per essere serviti. Se volete gustarli al meglio, non eliminate il peduncolo prima della cottura. Sarà il modo migliore per consumarli come fossero ciliegie.
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DULCISINFUNDO - RICETTA di MARIANGELA IBBA
cialde grigliate di
F O R E S TA N E R A “La Foresta Nera” è una torta golosissima di origine tedesca, dove strati di pan di spagna al cioccolato sono intervallati da panna montata e ciliegie fresche. Insomma una vera delizia per gli occhi e una goduria inimmaginabile per il palato. Questo dolce porta lo stesso nome dell’omonima regione montuosa del Sud-Ovest della Germania, ai confini con la Francia. La leggenda narra che nel 1915 il suo creatore Josef Keller, proprietario del café Agner a Bad Godesberg, utilizzò le ciliegie di cui era ricco quel luogo. Inoltre Keller, nell’ideare questo dessert, probabilmente si ispirò alle leccornie della casetta di marzapane nella favola di “Hansel e Gretel” dei Fratelli Grimm. Infatti, in molti sostengono che la Foresta Nera sia lo scenario in cui si svolgevano tutti i loro racconti. So a cosa stai pensando: è impossibile abbinare questo dolce al mondo barbecue. Ma non preoccuparti, qui ti propongo una versione notevolmente semplificata e più rapida di quella tradizionale, che al contempo ne conserva il sapore sublime. A differenza delle altre ricette non affumichiamo la frutta, ma facciamo caramellare lo zucchero di canna sopra ai dischi fatti con le brioches, all’interno del nostro dispositivo a carbone. Una volta ottenute queste golose cialde, verranno farcite con mousse al cioc-
colato e amarene sciroppate. Se hai le amarene fresche in casa, puoi anche sciropparle da solo, altrimenti usa quelle famose già pronte. Non hai già l’acquolina in bocca?
il più sottile possibile. 8. Con un coppapasta, ricavate due cerchi. Ripetete la stessa operazione con le altre brioche. 9. Preparate il dispositivo per una cottura indiretta a 180° C, mezza ciminiera sarà più che sufficiente. 10.Ponete i dischi su una teglia, ricoperta di carta forno, con la parte esterna rivolta verso l’alto. Spennellateli con un velo di burro sciolto e spolverateli con lo zucchero di canna senza esagerare. 11.Ponete la teglia in cottura indiretta, ovvero dalla parte opposta delle braci, per una decina di minuti. Le cialde sono pronte quando lo zucchero si è caramellato. 12.Quando le cialde sono pronte, tirate fuori la teglia dal dispositivo e lasciatele raffreddare completamente. 13.Prendete una cialda con la parte interna rivolta verso l’alto e, con una sac à poche, mettete una generosa dose di mousse al cioccolato e qualche amarena. Sopra mettete un altro disco, la mousse e le amarene. Chiudete con una cialda e colateci lo sciroppo di amarene.
Procedimento 1. Pulite le amarene ed eliminate i peduncoli e il nocciolo. Mescolate e con zucchero e lasciatele riposare una notte. 2. In una pentola versate le amarene ed il loro succo e fatele bollire per una ventina di minuti. 3. Quando i frutti si saranno ammorbiditi, riempite i barattoli di amarene e coprite con il liquido. Chiudete e sterilizzate per 10 minuti. 4. In un pentolino versate metà della panna e su fuoco medio basso riscaldatela senza portarla al bollore. 5. Poco prima che la panna arrivi al bollore, togliete il pentolino dal fuoco e aggiungete poco per volta la cioccolata spezzata grossolanamente, mescolando con una frusta. Terminata questa operazione lasciate raffreddare completamente il composto in frigo. 6. Montate la panna restante ed uni- Il dolce è pronto: potete servirlo con tela con delicatezza alla crema di cioc- ciuffi di panna montata e scaglie di colato. Coprite la mousse ottenuta cioccolato come decorazione. con la pellicola alimentare e riponetela in frigo per almeno mezz’ora. 7. Dividete in due la brioche e con un mattarello spianatela, rendendola
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VINI ABBINATI a cura di ENIO BERTON
È ORA DI
BERE! abbinamenti consigliati
N I VO L A
Vino: Cantina: 8aAb 6e8OBD
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Frizzante DOC “Nivola” Cleto Chiarli Mini hamburger
Un aperitivo sfizioso richiede un vino sfizioso. Bisogna stare molto attenti a parlare di Lambrusco, vino molto spesso denigrato purtroppo per la brutta abitudine di non salvaguardare le ricchezze enogastronomiche italiane. Le tre principali zone (Sorbara, Grasparossa, Salamino) si distinguono per alcune particolarità che originano vini dalle sfumature completamente diverse. Dalle origini millenarie, che ci portano alle coltivazioni etrusche nella Pianura Padana, il Lambrusco fino a pochi decenni fa era un vino “contadino” che veniva imbottigliato sur lieu (sui propri lieviti), i quali facevano ripartire la fermentazione con lo sbocciare della primavera rendendolo frizzante. Il vino che vi proponiamo appartiene alla zona di Grasparossa, prodotto da una cantina nata nella seconda metà dell’800 a Modena. Nel 1900, all’esposizione internazionale di Parigi, gli viene riconosciuto la “Mention Honorable”, che conferisce onore al Lambrusco nella patria dei vini rossi. Attualmente, l’azienda possiede un centinaio di ettari di terreni dislocati nelle varie zone del Lambrusco. La nuova cantina inaugurata nel 2003, vede alla guida la quarta generazione, con i due fratelli Anselmo e Mauro che continuano quanto iniziato dal loro bisnonno Cleto Chiarli. Il Nivola viene prodotto da uve raccolte agli inizi del mese di ottobre con una macerazione sulle bucce di 48 ore, per poi passare in autoclavi per la rifermentazione con il metodo Charmat. Dalle tonalità rosse intense, il vino presenta una spuma fitta e persistente che solletica il palato; gli aromi sono quelli di frutta fresca a bacca rossa (ribes, ciliegia e mora). I tannini ammorbidiscono il gusto fruttato dando una sensazione di freschezza e pulizia, dal finale persistente. Adattissimo per i mini burger sfiziosi, saporiti e piccantini che vi abbiamo proposto in questo numero. Da servire a 14/16 gradi in calici ad apertura media. Uve: 100% Lambrusco Grasparossa Zone produzione: Comune di Castelvetro. Grado alcolico: 10,50%
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LAGREIN
Vino: Cantina: 8aAb 6e8OBD
Alto Adige Lagrein DOC 2017 Hofstätter Bacon Bomb
Il bacon bomb: una “bomba” di sapori misti che ci impone di trovare un giusto mix di morbidezza e carattere per contrastare le varie note aromatiche. Dall’Alto Adige andiamo a stappare un vino prodotti da uno dei vitigni storici della zona. Le sue origini si fanno risalire a Lagara, colonia della Magna Grecia in corrispondenza dell’attuale Basilicata, dove si produceva un vino chiamato Lagaritanos. Le tracce in Alto Adige risalgono al XIV secolo, anche se in realtà fino al 1525 veniva citato il solo lagrein a bacca bianca. Dalle due tipologie di uve a grappolo corto e a grappolo lungo, si producono vini rosati o rossi. La cantina Hofstätter nata nel 1907 è una realtà che coniuga tradizione ed innovazione. Attualmente guidata con maestria e sapienza dalla quarta generazione da Martin Foradori Hofstätter, l’azienda ha 50 ettari di vigneto dal quale escono le massime espressioni della territorialità sia per i vini bianchi (dal gewürztraminer al pinot bianco) sia per i vini rossi (dal pinot nero, al lagrein fino alla schiava), dei veri e propri “cru” sempre citati nelle etichette delle selezioni. Il vino che proponiamo è un classico, il cui rapporto qualità/prezzo è strepitoso. Prodotto da uve provenienti dai vigneti di Termeno e Ora, viene vinificato sulle bucce a temperatura controllata per circa 10 giorni, continua la maturazione in vasche di acciaio, per poi passare in botti di rovere di Slavonia per 10 mesi ed infine almeno 6 mesi in bottiglia. Dal colore rosso rubino brillante, al naso sprigiona intensi aromi di piccoli frutti di sottobosco con note violacee e di spezie. Al palato risulta robusto, intenso, con tannini aggraziati che rendono il vino morbido e piacevole. In fin di bocca si avvertono note speziati. Da servire a 16/18 gradi in calici ad apertura media. Uve: 100% Lagrein nero Zone produzione: pendici del monte Sella nei comuni di Termeno e Ora. Grado alcolico: 13,00%
A N G H E LU R UJ U
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Alghero Rosso Liquoroso DOC “Anghelu Ruju” 2005 Sella&Mosca dolce Foresta Nera
Il cioccolato: facile trovare l’abbinamento con un liquore tipo brandy, rum o marsala, ma perché non azzardare con un vino rosso che possa compensare con sapidità e alcolicità la presenza dei tannini del cioccolato e la succulente grassezza del dolce? Provate con un sorso del lagrein suggerito con il bacon bomb e poi ci dite. Per andare sul sicuro, però, scegliamo un vino liquoroso prodotto in Sardegna dalla cantina Sella&Mosca. Fu fondata alla fine del 1800 da due piemontesi che, dopo essersi innamorati della pianura attorno ad Alghero, la bonificarono fino ad ottenere una tenuta di 540 ettari con all’interno le abitazioni dei contadini e la scuola per i loro bambini. Attualmente di proprietà della Campari, ha esteso le sue tenute in Gallura e nel Sulcis. L’Alghero Rosso Liquoroso “Anghelu Ruju” deve il suo nome ad un sito archeologico scoperto nel 1903 all’interno della tenuta. È prodotto da uve Cannonau raccolte nel mese di settembre ed appassite al sole su telai di canne sollevati dal suolo e ricoperte tutte le notti, o nel caso di maltempo, per 15/20 giorni. Dopo la fase di raspatura avviene la fermentazione a temperatura controllata, fino al raggiungimento del residuo zuccherino attorno ai 90 g/l . Nella primavera successiva alla vendemmia, avviene la fase di alcolizzazione per poi proseguire con l’affinamento in botti di rovere per almeno 5 anni. Dal colore rosso granato scuro con riflessi aranciati, al naso le estese note fruttate di more e frutti di bosco lasciano con il tempo lo spazio a sentori di tabacco, cannella e cacao. Al palato risulta pieno, rotondo, avvolgente e complesso, vengono confermate le note fruttate che si accentuano con sentori di affumicazione, lungo fin di bocca. Da servire a 14/16 gradi in bicchieri ampi. Uve: 100% Cannonau. Zone produzione: Alghero .Grado alcolico: 18,50%
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BIRRE CONSIGLIATE a cura di RICCARDO MENICONI
AMERICAN MAGUT
L’hamburger è considerato probabilmente il cibo americano per antonomasia. Con l’avvento dei fast food in Italia è ben presto spopolato ed è entrato a far parte della nostra quotidianità. È stato rielaborato, destrutturato, “italianizzato” ed entrato di diritto anche nei ristoranti più rinomati. Così come l’hamburger, anche la birra subisce trasformazioni e incroci culturali. L’american pale Lager ne è un esempio lampante: a bassa fermentazione, come da tradizione teutonica, ma dalla luppolatura totalmente americana. Questo nuovo stile ancora non trova posto all’interno del BJCP (Beer Judge Certification Program), un manuale americano che stabilisce le linee guida nelle definizioni degli stili. L’American Magut, versione luppolata della Pilsner del birrificio Lambrate (la Magut per l’appunto) è perfetta da abbinare agli hamburger più classici, ma anche a quelli più gourmet. È una birra chiara, dal colore dorato intenso con una schiuma bianca e compatta abbastanza persistente. Al naso, insieme ai classici sentori erbacei, citrici e floreali della luppolatura americana, fa capolino anche un leggera crosta di pane e cereale fresco tipico della bassa fermentazione. Molto coerente al palato con un corpo agile e snello, dai toni amaricanti che uniti all’immensa pulizia fanno sì che la birra sia molto facile da bere e, grazie ai suoi 5 gradi, piacevole anche dopo il secondo bicchiere. Vi consiglio di servirla nella pinta americana ad una temperatura di 6/8° Cheers!
AMOOR
E abbiniamo anche una birra al Bacon Bomb: succosa carne macinata ripiena di formaggio e verdure avvolta da una maglia di delizioso bacon croccante e glassato. Fame eh? Il Bacon Bomb, come suggerisce il nome, è una vera e propria “esplosione” di sapore. In questo episodio ci sposteremo a Bristol, dove troveremo uno dei più importanti birrifici del panorama “craft” mondiale: Moor Beer Co. Sediamoci al bancone ed ordiniamo una magnifica Amoor, porter classica da 4.5% vol, da gustare possibilmente spinata a pompa. Nel bicchiere si presenta di un bel nero con riflessi ramati e con un cappello di schiuma compatta tendente al beige; al naso arrivano note tostate di caffè e cioccolato, in bocca ancora caffè, con un corpo leggero e attacco dolce ma dal finale abbastanza secco e amaro. Queste caratteristiche si legheranno alla nostra “bomba” succulenta ed affumicata, regalandoci un’esperienza di sapori forti sulle note dei Massive Attack. Vi consiglio di servirla ad una temperatura di 8-10°C, in una Pinta Imperiale.
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COCKTAIL a cura di RICCARDO MELICONI
G IN FIZZ Jalapeño fritti: un classico cibo da pub, piccanti e ripieni di formaggio, con una panatura croccante e salata. Spesso li ordiniamo al bancone insieme ad una birra, ma sono fantastici anche abbinati ad un cocktail fresco e aromatico a base di Gin. Il Gin Fizz è eccezionale, dissetante e facile da preparare anche a casa. Sicuramente già lo conoscete: è uno dei cocktail più antichi della storia dei miscelati, capostipite dei Fizz (dei sour allungati con soda). È consigliabile usare un gin molto aromatico, come ad esempio il Monkey 47 dallo spiccato sapore di ginepro e sentori pepati (grazie ai 6 diversi tipi di pepe usati); oppure il G’vine Floraison, particolare gin francese composto da alcol distillato dalla fermentazione dell’uva. Nello shaker spremiamo 3cl di succo di limone filtrato, 1cl di sciroppo di zucchero, 4,5cl di gin e ghiaccio. Shakeriamo e versiamo in un highball colmo di ghiaccio, aggiungiamo la soda e decoriamo con un twist di limone.
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APPROFONDIMENTO a cura di EMILIANO NENCIONI e VIRGILIO BRUNETTI
l'ossessione per la
PATATA P E R F E T TA
Voglio giocare subito a carte scoperte, dichiarare ogni intenzione e mio attuale dubbio: parlare di patate, da quando il Maestro Siffredi è stato protagonista della nota serie di capolavori dell’advertising, è diventato proibitivo. Rischioso. Sentirsi inadeguati è ormai la norma, rischiare di sembrare volgari è la regola. Alla fine, trattare l’argomento dopo che se ne è occupato lui è un po’ come... no, nessuna similitudine sarebbe appropriata. Tutto questo articolo mi costringerà a evoluzioni linguistiche estreme per non risultare involontariamente becero, gretto o banalotto. Ad ogni buon conto, la redazione del BBQ4All Magazine ha due fieri appassionati del tubero biondo: coach Brunetti e coach Nencioni; uno è un fenomenale biologo ricercatore, l’altro... scrive cose per lo più seccanti, ma in passato ha mangiato molte patatine, criticandone aspramente la cottura. Al momento dell’assegnazione di questo articolo, il caporedattore illuminato ha deciso di affidare ad entrambi la patata bollente (appunto), per creare un pezzo a quattro mani. Rigore scientifico, metodologia accademica e, uhm, intermezzi folkloristici tipici delle sitcom anni 90. Ci sono tutte le premesse per un sicuro successo. GIUGNO 2019
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Da dove viene l’ossessione per il risultato? Dalla storia personale, dall’acqua passata sotto i ponti, dalle tante delusioni. Personalmente detesto, fortissimamente detesto le cose venute maluccio quando con un niente sarebbero potute venir fuori perfette. Divento irritabile, frustrato e polemico. Di più. Le patate fritte in gioventù mi sono state servite in cinque modi diversi: flaccide fuori e leggermente tenaci al centro bruciaticchie, unte e amare completamente intrise d’olio pallide, senza nessuna crosticina e con un leggero retrogusto rancido dorate e croccanti fuori, correttamente salate, morbide e saporite all’interno
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Quelle due volte all’anno che mi capitava nel piatto la quinta tipologia ero solito prendere la patata più lunga e più dorata della mia porzione, avvicinarmi con gli occhi spalancati e pieni di stupore a chi aveva appena æA
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fritto e sibilare: “Così. Così me le devi vano in due minuti” o “la tradiziofare. Sempre. Cosa hai fatto di diver- ne” o anche “le cose semplici sono so? Così me le devi fare.” le migliori”, perché stavolta avrete di che indignarvi. O da imparare a fare Immancabilmente arrivava il con- le patate fritte piucchepperfette, se tributo di una zia con le aspettative avrete pazienza e metodo. Passo la molto più basse in termini di perfe- parola a Virgilio. State attenti perché zione in cucina: “Sei il solito noioso, poi sarete interrogati. fattele da solo, alla fine le patatine sono buone sempre, anzi dammene Le patatine con il metodo “triple un altro piatto pieno”. cooked fries” Il metodo della tripla cottura è proIl problema era proprio nella rispo- babilmente l’unico metodo per ottesta alla mia supplica in stile Gollum: nere da zero una patatina fritta per“non ho fatto niente di diverso, le ho fetta: morbida e cremosa all’interno, fritte come sempre”. Ecco qua. Inca- croccantissima all’esterno e mai unta. pacità di saper isolare il cambiamen- Il procedimento parte dalla selezioto, impossibilità di poter replicare la ne delle patate e si completa in tre procedura seguita. passaggi di cottura. Tutta la procedura converge nell’ultimo passaggio Ma ora le cose sono diverse e si sono in olio, controllando alla perfezione fatte serie: c’è il BBQ4All Magazine, tutte le variabili che governano la requi apposta per sviscerare e spiegarvi azione di Maillard: alta temperatura, i metodi più elaborati e folli. Stavolta pH basico, presenza di zuccheri ridupreparatevi, perché per guadagnarsi centi e soprattutto totale assenza di una bella frittura di patate c’è da fa- umidità superficiale. ticare e da affannarsi per ore. Tenete pronte le “nonne che lo face- Come selezionare le patate perfette
per la frittura
conservata a lungo, ricca di amidi e fortemente disidratata. Per selezioIn cucina esiste un metodo scientifi- nare patate con questa caratteristiche co per fare qualsiasi cosa (e BBQ4All dovrete ricorrere a questo semplice da qualche anno ve ne sta fornendo metodo: le prove), persino per scegliere per la patata giusta per la frittura, per il Preparate due soluzioni saline a diffepurè, per gli gnocchi o per le patate al rente densità: forno. Ovviamente la cultivar (la parLa prima a bassa densità: 9% di ticolare varietà di una specie botani- sale (90 grammi di sale disciolti in 1 ca) ha un enorme peso nella selezione kg d’acqua) della patata “giusta”, ma non potenLa seconda ad alta densità: 12% di do scegliere è necessario basarsi sulla sale (120 grammi di sale in 1kg d’acvalutazione dello stato d’idratazione qua) del singolo tubero, misurandone la Le soluzioni, messe in due capienti densità mediante il principio di Ar- contenitori, devono avere volume chimede. Niente quadrati costruiti sufficiente al fine di valutare la spinta sull’ipotenusa stavolta: parliamo solo idrodinamica sulle singole patate. di solidi immersi in un liquido. Le patate che galleggiano nella soLa patata giusta per la frittura deve luzione a bassa densità vanno messe avere un contenuto equilibrato di da parte: sono troppo ricche d’acqua amidi e umidità: questo implica ave- e dovranno essere utilizzate per altri re una densità intermedia tra una scopi. Le patate che affondano nella patata giovane, fresca, ricca d’acqua soluzione a bassa densità vincono la di vegetazione e una patata vecchia, prima selezione, si qualificano come
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idonee e passano allo step successivo. È il momento di testare le candidate superstiti immergendole nella soluzione salina più forte: le patate che affondano anche in questa soluzione vanno scartate perché sono troppo disidratate e ricche di amido, mentre quelle che galleggiano sono quelle con il giusto equilibrio di acqua e amido e quindi perfette per la frittura. Cottura in acqua. Pelate e tagliate in stick con un profilo quadrato di un centimetro le patate qualificatesi come potenzialmente perfette. Adesso è il momento di sbollentare: badate bene, sbollentare, non lessare. Con un termometro a sonda misurate la temperatura al cuore, e raggiunti i 90°C saprete di aver raggiunto una consistenza sufficientemente soda da poter essere maneggiata. Asciugate e raffreddate le patate nel
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modo più veloce possibile. L’alternativa è la cottura in sous vide. Dopo aver tagliato le patate come spiegato precedentemente preparate una soluzione miscelando: 1kg di Acqua 15g di Sale 2.5g di zucchero semolato 2.5g di bicarbonato di sodio
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Questa soluzione vi darà una crosta superficiale incredibile alzando il pH e fornendo una dose di zuccheri riducenti che accelereranno la reazione di Maillard nelle successive fasi di frittura. Imbustate le patate in busta adatta per il sous vide, aggiungete la stessa quantità in peso di salamoia (300 grammi di patate più 300 grammi di soluzione). Sigillate la busta eliminando tutta l’aria possibile e cuocete per 15 minuti a 90°C. Successivamente abbattete o raffreddate il più rapidamente possibile, scartate la salamoia e asciugate le patate; anche in questo caso cercate di non esagerare con la cottura, le patate devono essere cotte ma non devono disfarsi. Prefrittura La prefrittura è necessaria per generare uno strato asciutto e solido sulla superficie delle patatine. Questo strato denominato “protocrust” farà da primer per l’ultima e definitiva cottura in olio. Inoltre, la prefrittura eviterà che l’olio si infiltri in profondità ed eliminerà dalla superficie quasi tutta l’umidità. Le patatine prefritte sono ora stabili sebbene ancora fragili e a questo punto potete interrompere la procedura e surgelarle. Per la prefrittura riempite per metà una pentola grande con olio adatto alla frittura, meglio se con un alto punto di fumo. Riscaldate l’olio fino a 130°C. Utilizzate olio a sufficienza per garantire che la temperatura non scenda troppo non appena si aggiungono le patatine; cuocetene sempre piccole quantità per volta e cercate di mantenerle immerse durante la frittura, aiutandovi con un mestolo forato. È necessario friggere per circa cinque minuti, o fino a quando la superficie inizia ad essere asciutta e soda al tatto. Congelare le patatine fritte Rimuovete le patatine dall’olio e stendetele su una gratella a raffreddare e asciugare. Surgelatele o meglio ancora abbattetele in negativo. Per evitare fenomeni di ossidazione ed imbrunimento, potete confezionare sottovuoto le patatine fritte dopo averle congelate, facendo attenzione a non schiacciarle. A questo punto le patatine possono A
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essere conservate per diversi mesi nel vostro surgelatore: approfittatene. Frittura finale Preparate una pentola con abbondante olio e riscaldate fino a 190°C; prendete le vostre patatine prefritte (anche surgelate) e immergetele in olio per esattamente 1 minuto e 45 secondi. Il risultato sarà sorprendente perché, se avete lavorato bene, la quantità di umidità superficiale sarà molto bassa; per questo motivo vedrete ridursi gradualmente e drasticamente le bollicine che circondano le patatine in frittura, indice che la disidratazione superficiale è completa. Vedrete, per gli stessi motivi, un rapido imbrunimento dal giallo dorato fino al bruno chiaro. Scolate le patatine su carta assorbente per eliminare qualsiasi eccesso di unto e salate a piacimento. Ecco fatto. Virgilio – fedele al suo nome – vi ha guidato nell’Inferno della patata perfetta. Facile no? Anche breve, se vi organizzate bene. Una procedura tutto sommato straight-forward. Ricordate che potrete sempre farvi una scorta di patate prefritte surgelate. Un po’ di balletto fra i fornelli è la tassa necessaria per poter avere a che fare con le patate più gratificanti che possano capitarvi. Qualcuno alle scuole medie mi disse che usando un sacchetto di carta marrone (quello del pane) a mo’ di shaker, scuotendo vigorosamente patatine e sale, più una piccolissima quantità di pepe, si poteva avere un gusto “proprio proprio da fast food”. Non so se sia effettivamente vero o se abbia il minimo senso, ma è un rito che mi piace seguire per perdermi un po’ nei ricordi, mentre ne prendo “anche tre alla volta” (cit.).
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THE CHEMICAL GRILLERS - RUBRICA a cura di VIRGILIO BRUNETTI
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chapter t w o variazioni sul tema
Il cloruro di sodio è la base di ogni salamoia ma, in alcune applicazioni, l’uso combinato di altri sali, quali cloruro di calcio e fosfati, può rafforzare l’efficacia della soluzione. Ricapitolando, sappiamo che la salamoia ha lo scopo di intenerire denaturando le proteine della carne oltre a incrementare la succulenza e la sapidità. Inoltre, va sottolineato che, sebbene lo ione sodio (Na+ ) sia il maggiore responsabile della sapidità della carne perché agisce sui ıA
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chemiocettori del gusto salato, è il cloruro (Cl- ) lo ione efficace nel processo di denaturazione a carico delle proteine della carne. Il cloruro di calcio agisce con maggiore efficacia rispetto al comune sale da cucina, perché ogni molecola di cloruro di calcio (CaCl2 ) in acqua dissocia il doppio degli ioni cloruro. C’è poi un altro potenziale beneficio rispetto al
sale da cucina: lo ione calcio (Ca++ ) è un importante cofattore per l’attivazione delle proteasi proprie del tessuto muscolare. Di fatto il calcio attiva le proteasi calcio-dipendenti quali le calpaine (ne avete probabilmente sentito parlare a proposito di Revit). Sono enzimi capaci di tagliare con efficacia le proteine muscolari. Il vantaggio di attivare le calpaine presenti nella carne mediante tecniche di brining è una strategia piuttosto interessante, soprattutto se abbinata a metodiche di frollatura di tipo wet. L’uso del cloruro di calcio non può essere sostitutivo, perché questo sale ha un sapore amaro e metallico, quindi deve essere utilizzato sempre in combinazione col cloruro di sodio. La dose minima efficace verificata sperimentalmente è 0,03%, affinché il sapore di questo sale non impatti negativamente sul cibo.
Di fatto, un uso corretto dei polifosfati azzera le perdite di succhi soprattutto nelle fasi di taglio. Quando si lavora con i polifosfati è buona norma dissolverli prima in piccola quantità a temperatura ambiente per evitare fenomeni di polimerizzazione e cristallizzazione, e per evitare quindi che diventino inefficaci ed insolubili. Devono essere aggiunti gradualmente alla soluzione salina. Possono essere combinati con esaltatori di sapidità e con conservanti, in particolare con i nitriti, ma l’aggiunta di questi ultimi deve essere sempre successiva a quella di tutti gli altri componenti della salamoia. L’uso dei polifosfati deve essere sempre contestualizzato; è intuitivo che non abbia senso trattare tutte le carni con una salamoia ai polifosfati (o iniettare preparati a base di polifosfati) se si applicano tecniche di cottura corrette su prodotti di elevata qualità. Sebbene possano costituire una manovra correttiva su punte di petto di media qualità, non sono risolutivi su tagli magri e poco frollati, dove non c’è speranza di successo.
I fosfati o meglio i polifosfati sono una classe di Sali molto diversa e hanno applicazioni industriali importanti, sia in campo chimico che in quello alimentare. Sono classificati come addensanti emulsionati e stabilizzanti. Negli alimenti sono identificati con la sigla che va da E400 a Sono invece estremamente utili su preparazioni di pastraE495. mi, fesa di tacchino affumicata, canadian bacon, prosciutto cotto classico, prosciutto di Praga e tutte le preparazioMolti griller esperti conoscono benissimo questi compo- ni che necessitano di salamoia a base di nitrito di sodio e sti, perché essi sono i maggiori trick del barbecue compe- cotture lunghe a bassa temperatura. titivo, spesso particolarmente utilizzati nella preparazione di miscele da injection. Una nota salutistica: va ricordato che nel corpo umano il metabolismo del calcio è strettamente legato a quello Qual è il loro effetto? Avete presente la differenza tra il del fosforo, quindi una dieta troppo ricca di polifosfati prosciutto cotto senza polifosfati che ha la consistenza sottrae calcio all’organismo, poiché la concentrazione tra della segatura e quello con polifosfati che invece è umido, i due elementi non viene rispettata. Le categorie più senmorbido e consistente? Ecco! Avete capito, no? sibili ovviamente sono bambini in crescita e le donne con tendenza all’osteoporosi. Ricordate, inoltre, che gli aliTecnicamente i polifosfati: menti venduti come privi di polifosfati spesso contengo1. hanno un spiccato effetto denaturante a carico della no una quantità di polisfosfati non rilevabile (polifosfati miosina quindi modificano la texture della carne; ciechi), i quali per legge possono non essere dichiarati in 2. aumentano la succosità generando un’efficace emul- etichetta: a buon intenditor poche parole. sione tra acqua e grassi, per cui i succhi della carne hanno una maggiore densità e vengono trattenuti meglio all’in- Nel prossimo capitolo discuteremo sull’uso degli edulcoterno della texture. ranti, sulle proprietà delle spezie e sugli esaltatori di sapidità; inizieremo a comprendere qual è la linea sottile che Per le salamoie hanno particolare utilità e rilevanza il divide una salamoia da una marinata. sodio trifosfato e il sodio esametafosfato. In genere, questi due sali sono mescolati insieme in un rapporto di 10:1. Aggiunti in concentrazioni pari ed inferiori allo 0,3% hanno un effetto importante sulla texture della carne; a concentrazioni molto basse, tra 0,02-00,5%, hanno già effetti importanti sulla ritenzione di acqua anche dopo lunghe cotture. GIUGNO 2019
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RUBRICA a cura della BBQ4ALL UNIVERSITY
#CHIEDIALCOACH ALESSANDRO CARLINI chiede: vedo spesso che si consiglia, quando la carne tolta dal sottovuoto emana cattivo odore, di sciacquarla o di far prendere aria. A causa di datori di lavoro un po’ maniaci dovetti fare due corsi specifici su cotture e conservazione in sottovuoto. In entrambi i corsi ci fu detto che l’esame olfattivo è quello che determina se il processo di putrefazione è già stato innescato e che sciacquare o far prendere aria sono solo una “urban legend”. A queste affermazioni non è stata data una spiegazione dettagliata. Diciamo che l’esperienza mi ha confermato questa tesi, specialmente con carni che poi vengono cotte al sangue però la mancanza di una spiegazione scientifica ovviamente mi lascia con il dubbio. Non si sa mai, potrebbe essere un argomento interessante per chi utilizza il sottovuoto in ambito casalingo e magari trascura l’importanza delle varie fasi, dal confezionamento alla conservazione. A
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Risponde il Coach VIRGILIO BRUNETTI: Una delle tecniche più utilizzate, specialmente per i tagli di carne di grossa pezzatura, è proprio il confezionamento sotto vuoto. L’accurata chiusura permette di far sviluppare all’interno della confezione un’atmosfera con CO>25% e O2<1%. Tutto ciò porta all’inibizione della crescita di Pseudomonas (batteri ambientali responsabili di pericolosi processi putrefattivi), mentre sono favoriti i lattobacilli e gli enterobatteri. L’attività antimicrobica dei lattobacilli abbinata alla bassa temperatura e al pH permettono un’estensione della shelf-life della carne confezionata sottovuoto. La piccola quantità di O2, che residua nella confezione, viene consumata dai batteri in pochi giorni. In tali condizioni, il pigmento predominante è la mioglobina in forma ridotta. L’odore tipico di maturo eè abbastanza normale su carni di manzo sottoposte a Wet Ageing. Non trascurabile è anche il contri-
buto dell’aroma del grasso, che può risultare amplificato soprattutto nelle carni di bovino adulto. Sia in ambito professionale che casalingo i fattori predominanti nell’attribuzione del livello di qualità di un alimento da parte del consumatore sono sicuramente odore e colore. Quando abbiamo a che fare con della carne sottovuoto conservata ma, l’apertura dell’involucro può generare sul consumatore un impatto olfattivo estremamente negativo. Gli odori di marcio e rancido sul nostro olfatto innescano i nostri sistemi naturali di allerta, infatti il sistema nervoso interpreta come dannoso un alimento con un odore sgradevole; si genera una naturale sensazione di disgusto che dal punto di vista scientifico non viene solamente considerata una sensazione, ma anche una reazione istintiva. Quest’ultima si manifesta in maniera immediata in presenza di determinati odori, sapori e visioni e comporta il desiderio di allontanarsi da essi. Gli organi di senso associati al gusto e all’olfatto sono caratterizzati da sensori chimici, i chemiocettori, i quali trasformano un messaggero chimico in un impulso elettrico che viene integrato a livello del sistema nervoso e che può reagire anche violentemente, generando reazioni come nausea e malessere. Una carne conservata lungamente in un ambiente privo di ossigeno non è scevra da modificazioni biochimiche di origine microbica, che vanno ad influire in maniera determinante sull’odore ma anche sul colore della carne. Esso è correlato strettamente alla mioglobina, il pigmento respiratorio del tessuto muscolare. La mioglobina è una proteina formata da un gruppo eme legata ad una proteina globulare. Il gruppo eme è formato da un anello porfirinico con un atomo centrale di Fe (ferro), con sei punti di legame. Il colore della mioglobina dipende da almeno tre fattori: 1. lo stato di ossidazione del Fe; 2. il gruppo al sesto punto di legame del Fe; 3. lo stato della globina: nativa o denaturata. In alcuni casi, sugli alimenti carnei, anche conservati in sottovuoto, possono intervenire fenomeni di discolorazione batterica dovuti ad un’eccessiva carica batterica iniziale, che per quanto riguarda i lattobacilli è generalmente innocua e tollerabile. Si può avere così un ulteriore meccanismo basato sulla competizione per l’ossigeno, responsabile della colorazione della mioglobina. Alcuni batteri infatti producono sostanze che ossidano il Fe; le più comuni sono H2S (idrogeno solforato) e H2O 2 (acqua ossigenata), che reagiscono con la mioglobina per dare solfomioglobina e coleglobina. L’H2S dà discolora-
zione verde sulle carni confezionate sotto vuoto, all’apertura la solfomioglobina si trasforma in ossisolfomioglobina, di colore rosso. Ma l’odore di uova marce permane. Anche la coleglobina può dare colorazioni verdastre, ma è tipica dei prodotti sottoposti a salagione. In definitiva l’odore, il colore e la presenza di slime (sostanza viscida dovuta all’azione proteolitica di alcuni batteri) indicano sicuramente che la carne ha subito problematiche importanti dovute al confezionamento e all’interruzione della catena del freddo. Particolare attenzione va posta alla permanenza dell’odore di decomposto nonostante un eventuale miglioramento del colore. Anche un lavaggio in questo caso non va a salvare il prodotto e l’odore permane anche nelle successive fasi di cottura. A livello casalingo sconsiglio vivamente l’utilizzo del sottovuoto allo scopo di conservare ulteriormente la carne per lunghi periodi a +4°C, mentre risulta una procedura assolutamente utile ed interessante per il congelamento e la surgelazione (qualora abbiamo a disposizione un abbattitore). Quindi, ricapitolando e per dare una risposta definitiva: il lavaggio è utile per togliere quell’odore tipico e normale della carne sottovuoto, che comunque va via senza lasciare traccia. Se l’odore resiste è un indice abbastanza certo di una contaminazione e di decomposizione. Il colore vira ma l’odore permane. Un altro elemento che lascia pochi spazi ai dubbi è la presenza di slime, che è una sostanza viscida e maleodorante. Se dopo il lavaggio dunque si ha permanenza di odore di decomposto, si ha la certezza che il prodotto si è alterato irrimediabilmente. In ogni caso, in generale, se la confezione è integra e la catena del freddo garantita, basta asciugare con carta e areare. Per questo motivo vi sconsiglio di conservare la carne del nostro Megastore per più di tre o quattro giorni in frigorifero, molto meglio tenerla in freezer, poiché il frigo non garantisce una temperatura stabile (specie se viene aperto di continuo dai vostri familiari), a meno che non disponiate di un elettrodomestico di ultima generazione con cassetto dedicato alla conservazione di carne e pesce. Il lavaggio con acqua, tuttavia, non deve essere fatto sistematicamente, specie sul manzo wet aged, poiché i problemi insorgono esclusivamente con il maiale e con il pollo.
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Giovanni Lupo
La mia recensione sui corsi “Grill to Perfection 2019” Ho partecipato al GTP Tour e ancora devo riprendermi! 2 giorni pieni di informazioni utili, che hanno consolidato le mie conoscenze pregresse e dato lo spunto per provare tecniche nuove. Investimento ripagato in pieno, già solo con la quantità di carne mangiata durante il corso. Era già da un po’ che sperimentavo le diverse tecniche (reverse, affumicature...) ma sentire le spiegazioni dei coach e vederli all’opera mi ha aperto un vero e proprio mondo. Ero titubante se frequentare il corso o meno, avevo la presunzione di avere già tutte le conoscenze a disposizioni leggendo su internet e sperimentando sul campo: nulla di
più sbagliato! I corsi sono un concentrato di nozioni che non troveresti da nessuna altra parte. Una menzione particolare va a tutti i corsisti: l’atmosfera che si crea è fantastica, tutti pronti a condividere le proprie esperienze e conoscenze. Siete stati fantastici! E poi ovviamente loro: i coach! Non ci sono parole per descrivere la loro bravura e la passione che ti trasmettono. Poco altro da dire: non frequentare questi corsi è uno degli errori più grandi che si possa fare per gli appassionati di barbecue. Un saluto a tutti e non vedo l’ora dell’arrivo del prossimo STP!
La mia recensione sui corsi “Grill to Perfection 2019” Ho partecipato al GTP che si è tenuto lo scorso weekend e vorrei condividere con voi alcune impressioni del corso organizzato dalla BBQ4ALL University. lo sono un newbie di questo fantastico mondo, ma molto allenato nella parte conclusiva, ovvero nella degustazione, e per niente nella parte pratica relativa alla cottura. Così ho deciso che solo i migliori grillmaster in circolazione potessero darmi le nozioni per lanciarmi con decisione nelle cotture con l’uso del BBQ. La mia prossima esperienza in griglia, finora svolta raramente dati i modesti risultati, sarà finalmente consapevole delle azioni da compiere. Naturalmente non è sufficiente un corso di un paio di giorni, con due coach dalla grande esperienza (si potrebbe pure dire “con du’ cosi cosi!”), per diventare infallibili, ma certo è che vedere compiere le
operazioni passo passo o farle con la loro supervisione, con spiegazioni minuziose, intrise di esperienza e scienza, mi renderà molto più semplice il ritorno alle griglie. Il GTP è un piccolo investimento che in brevissimo fa dimenticare la spesa sostenuta per l’iscrizione. Il viaggio tra le golosissime carni del Megastore, cotte alla perfezione con l’aiuto dei coach, ma anche dei tanti appassionati (e alcuni per niente alle prime armi) corsisti, vale da solo il costo sostenuto. Ma quello che ti porti a casa è il vero valore del GTP! Che dire del compendio cartaceo del corso? Spettacolo, ma non voglio spoilerare né togliervi il piacere della sorpresa. [ ... ] Grazie! A presto l’STP: non vedo l’ora!
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Gian Carlo Serra La mia recensione sui corsi “Smoke to Perfection 2019” È passato un mese dal corso e non mi ero più dedicato al bbq. Ieri pomeriggio mia sorella mi chiede se sono disponibile a cucinare per 8 per pranzo di oggi. “Dai, - dice - vieni con tua moglie, noi facciamo la spesa e tu ci fai mangiare le tue cose al bbq”. Detto fatto. Oggi ho cucinato e i commensali sono rimasti basiti. L’impressione è stata quella del film Il pranzo di Babette. Non so se lo conoscete. Un po’ pesante, ma per gli amanti di cucina è notevole. Sono rimasti senza parole. Alcuni avevano già provato le mie costine (le nostre!), il mio BBQ4All, ma oggi hanno trovato un livello diverso. Anche io mi sono sentito ad un livello diverso. Non parlo di ricette e di metodi, ma di consapevolezza, di obiettivi voluti e raggiunti.
Non che ne fossi rimasto deluso. Assolutamente, mantra in mille dettagli. E mi hanno permesso ma mi ero reso conto che, mentre ai GTP avevo di realizzare il miglior pranzo al bbq che avessi recepito 1000, ora avevo acquisito “solo” 100. mai realizzato. In apparenza. Oggi ho applicato tutto (senza aver fatto nessu- Potrei postare le foto dei piatti, della postazione na ricetta eseguita al STP) e mi sono trovato in con due bbq, del fuoco, della cenere, ma credo una dimensione nuova. che la foto che più mi rappresenti nella giornata di oggi sia quella che riprende il mio foglio delle E lo hanno notato anche a tavola. Anche mia tempistiche e degli appunti che ho stilato per moglie. Non mi ha riconosciuto in alcuni pasnon perdere di vista il pranzo. saggi e mi ha chiesto più volte se avessi fatto tutto io perché così non avevo mai cucinato.
È stato un successo incredibile: dai piatti serviti, dall’impiattamento, dai tempi di servizio, dai dettagli. Da tutto. Certo, le costine con il Montreal di Bbq4all rubato al corso hanno fatto un salto in avanti e tutti Devo dire la verità. I GTP mi erano piaciuti mol- hanno leccato anche gli ossi, ma le dritte dei coto. Molto di più di questo STP. Al momento. ach sono state perfette e sono tornate come un
Quindi grazie! Quindi provate i corsi (valgono tutto il prezzo richiesto)! Quindi studiate! Buon bbq! Buon BBQ4All!
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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI
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“Stai sbagliando, ciò che dici non avverrà per i motivi che ti ho illustrato e dimostrato poco fa” “Ah, è arrivato il professorone! Siamo tornati a scuola e mi correggi? Non pensavo questo fosse un posto per professori, credevo fosse un gruppo di appassionati!” “hahaha tutti professoroni qua dentro!”
Da quando dare del “professore” alle persone è diventato offensivo? Precisamente quando è successo che, per sfogarsi per la frustrazione che le competenze altrui portano sui loro insuccessi, certuni hanno iniziato ad apostrofare gli altri con “professore”? Ricordo bene un tempo in cui non era così, ed essere professore o maestro era un motivo di vanto. Nel 1850 nasce a Mosca una bambina, Sofia, con uno spiccato e immenso talento per la matematica e la scrittura: la storia della sua formazione è paragonabile alle classiche “origini” di un supereroe dei fumetti, o alla sceneggiatura del primo film dell’immancabile trilogia. Cresciuta in una famiglia conservatrice e capitata in una Russia decisamente misogina (cosa comune un po’ in tutto il mondo, al tempo), passò l’infanzia nella sua cameretta che, per un errore nella consegna della carta da parati, fu tappezzata di fogli di carta comune su cui erano stampate le conferenze sul calcolo differenziale del prof. Ostrogradskj (personaggio realmente esistito, non ho dato una gomitata alla tastiera). Il suo primo insegnante affermò sbigottito che ogni cosa cercasse di insegnarle risultava già precedentemente appresa dalla piccola, come se avesse in qualche modo introiettato i calcoli presenti sulla sua tappezzeria improvvisata. Per la curiosità di finire di leggere il capitolo GIUGNO 2019
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di ottica di un libro di fisica, Sofia imparò da autodidatta generale (vi risparmio la pappardella sulle derivate parziala trigonometria, ad un’età in cui le bambine imparavano li, ma se volete potete mettere al lavoro il fido Google, è a fare i fiorellini ricamati in punto croce. interessante). Talento e genialità non bastavano però per accedere all’università, preclusa alle donne in Russia. L’unica soluzione era emigrare e studiare all’estero, ma ancora una volta c’era un problema da risolvere: solo alle donne sposate era consentito viaggiare. Fu qui che Sofia prese il nome di Kovalewskaja, sposando in un matrimonio bianco (di concordata convenienza) Vladimir Kovalevskij, anch’egli in procinto di partire per i propri studi di paleontologia. Le “origini” del supereroe Sofia includono, tra le altre cose, anche l’aver partecipato alla rocambolesca evasione dal carcere parigino del cognato, al fresco in quanto attivista politico inviso al governo francese di parrucconi incipriati. Già così ci sarebbe più materiale, e più originalità, rispetto al morso di un ragno o all’iniezione col siero del supersoldato, ma non basta. Sofia all’università di Berlino finì sotto l’ala protettrice - e stimolante - di Karl Weierstraß, nome che avrà scatenato, in alcuni lettori, fragranti ricordi di biennio universitario, funzioni abeliane e serie convergenti. Il professore tedesco, senza dubbio il matematico più attivo e importante del mondo di allora, le dava lezioni private e le fece conseguire ben quattro dottorati di ricerca, portandola a dimostrare il teorema di Cauchy nel caso
Sofia diventò la prima donna al mondo con un dottorato in matematica. Questi risultati impressionanti non spostarono di una virgola le decisioni dei baroni universitari russi: una donna non avrebbe potuto insegnare in nessuna università. Nessuna eccezione, neanche per quel teoremino dimostrato, neanche per l’incredibile talento letterario, neanche per la laurea con lode sotto Karl Weierstraß. “Quei professoroni!”, sbottano gli indignati sui social italiani. Francamente mi sembra un fenomeno tutto italiano. Sembra, pensandoci bene, un certo meccanismo di raccolta di consensi tipico della politica, un discorso nel quale non mi voglio minimamente addentrare. L’iter è più o meno sempre il solito: qualcuno scrive una cosa grossolana o, nel nostro caso gastronomico, una ricetta o un procedimento un po’ troppo empirico, basato su tradizioni o sulla fantomatica “nonna che era brava” e prontamente arriva l’immancabile precisino a rimarcare le pecche, a suggerire accorgimenti, a parlare di chimica organica, di catepsine, di collagene, di termocoppie da infilzare qui e là. A quel punto inizia subito la controffensiva. Nei casi più gravi si dà inizio alla prodigiosa danza del “mancare di rispetto”, rituale sociale di cui ho parlato approfonditamente sullo scorso numero, altrimenti si parte con la mini opera demagogica. Il trucco è quello di racimolare velocemente consensi, facendo cadere in inferiorità numerica schiacciante l’avversario: “ah, non pensavo di essere di nuovo a scuola!” Agli occhi della gente il malcapitato precisetto è già passato dalla parte sbagliata della barricata, posizionandosi nella categoria più temuta dai bulletti aggressivi dei social: l’insegnante, il maestro, il professore, ma soprattutto quella figura che nella loro memoria di branco rivestiva il ruolo sadico di autorità che si ostinava a volerli interrogare quando erano impreparati (sempre), che si permetteva di sottolineare in pubblico, davanti alla classe, gli errori e le nefandezze grammaticali o matematiche compiute. È ovvio, è automatico che la massa si schieri immediatamente compatta ad osteggiare l’incarnazione delle loro paure più radicate: “Sì sì, qui tutti professori! Ma fatevi una risata!” Di solito per loro è il momento buono per scrivere
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“ahahaha”, e più sono le ripetizioni di “ah” più vuol essere arrogante e piena di sdegno la risata: credo sia un po’ come se, nella loro mente, recitassero la battuta che avrebbero nel copione se fossero i protagonisti di un film d’azione, di quelli con le punchline tipo “Commando”. Il precisino ficcanaso si è a questo punto già pentito della sua entrata a gamba tesa, ma ritirarsi senza combattere sarebbe disonorevole, e in queste occasioni siamo stranamente portati a pensare che qualcuno tenga il conto della street credibility di ognuno dopo ogni diverbio. Arriva quindi una reazione, in un’escalation di parole iperboliche, concetti ellittici e svolgimenti parabolici. Dare a qualcuno del “professore” diventa quindi una tattica utilissima, perché tremendamente efficace in termini di mind positioning. Puoi trovarlo in ogni manuale di copywriting: mettiti dallo loro parte, sfrutta le paure, fai leva sul dolore: e cosa c’è di peggio di un’interrogazione? Quante volte abbiamo sognato di dover ripetere l’esame di maturità (o di terza media) o di dover essere interrogati a filosofia (da scalare con “tabellina del sette” a seconda della scolarizzazione)? Lo studio è il Male, il corpo docente ne è l’emissario. Questa è la leva dei gradassi sui social, ma anche fuori dai social. E funziona bene in maniera preoccupante. Insomma, giunti al livello massimo di entropia del qualunquismo va a finire che dalla parte del torto è colui che fa la correzione, non colui che sbaglia. Viene fuori che il comportamento socialmente accettabile è quello di chiudere un occhio, lasciar correre, permettere che passi un’informazione sbagliata. Correggere è offensivo.
quale si era innamorata a un certo punto - e in famiglia facevano confusione a chiamarsi: questi matematici, così distratti!), riesce finalmente a ottenere una cattedra all’università di Stoccolma: prima donna al mondo professorona di matematica.
Una decina di anni dopo Sofia/Sonia muore di polmonite a 41 anni, probabilmente conseguenza del suo trasferimento nella non tiepidissima Stoccolma, unica via di avere la cattedra che aveva inseguito per tutta la sua vita. Non sono sicuro, ma credo che si configuri anche una pa- Rimarrà nota, ancor più che per i risultati raggiunlese mancanza di rispetto (uuuh, sia mai!). ti durante la laurea con Weierstraß, per “la trottola di “Aaah ma quelli sono tutti invidiosi, dai retta a me, non ti Kowalewskij”, la risoluzione di un problema di fisica lecurar di loro ma guarda e passa!” gato alla rotazione di un solido complesso, ottenuta ap“*ragioniam” plicando teorie di matematica pura fino a risolvere appli“che vuoi?” cazioni importanti di fisica “concreta”. “la citazione giusta è non ragioniam di loro etc etc” “EEEH VABBE’ che pesante sei, E’ UGUALE” Vincerà con questo il Premio Bordin nel 1888, lasciando “Fammi indovinare, dovrei farmi una risata ogni tanto ben visibile nel testo il motto di tutta la sua vita: vero?” “Stavo per scriverlo... ma come...” “Esperienza, caro lei.”
Say what you know, do what you must, come what may.
E’ emigrando in Svezia, dopo la morte suicida del marito finito in bancarotta, che Sofia, cambiato nome in Sonia Kowalewskij (perchè aveva chiamato Sofia anche la figlia - avuta dal marito, quello del matrimonio bianco, della
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VIA VERDI 1 VIA BERTI, 6 VIA SAN PIO V N. 7 VIA CORTICELLA,186/12 VIA G. DI VITTORIO 70 VIA PUNTA N. 1 VIA BETTONI 16 VIA MOLINI 57/59 VIA MARCONI 1 VIA ADIGE 250/R VIA FALCONE, 9 VIA CUNEO N. 47 VIA UGO DA CARPI N. 62 VIA VOLTURNO N. 73 VIA STATALE N.46/C VIA CIRCONVALLAZIONE,111 VIA CAVOUR,41/D VIA NOBILI 91/C VIA SAN GIOVANNI BOSCO N. 53 VIA GIARDINI 346 VIA MAGENTA, 72 VIA FALCONE E BORSELLINO 40/C VIA S.LEONARDO,348/350 VIA XXIV MAGGIO N.20 V.G.C.ROSSI ANG.V.PALLASTRELLI VIA MONTANARA N.4 LARGO RISORGIMENTO VIA DEI RIVI PIAZZALE MARCONI N. 37 VIA CADUTI SUL LAVORO, 12 VIA APPIANI 10 VIA L.DA VINCI 17/19 VIA IRENEO AFFO’ N° 6 ROTATORIA M.R. GANDOLFI 31/38 VIA GRAMSCI 9 VIA SILVIO PELLICO,5 VIA S. MORSE 14/A VIA PROVINCIALE PER PARMA,6 VIA FAENTINA 8 VIA BORRI, 2/L VIA RASORI - LOC. BARCO VIA KENNEDY N. 12 VIA ZUNA MAGNANI 1/A VIA RADICI NORD 31/T P.LE DORANDO PIETRI 1 VIA S. CONTI 70 VIA MORANDI, 3/A VIA A. FERIOLI 18 VIA COLONNA,9 VIA A.DE GASPERI,37 VIA ARMSTRONG N. 2 - LOC.FOGLIANO VIA REPUBBLICA, 27 (RIVALTA) VIA PRAMPOLINI N. 20/22 VIA A. LIGABUE, 1
SAN MARTINO IN RIO SAN POLO D’ENZA VILLA MINOZZO CAMPAGNOLA LA SPEZIA
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TIGRE
ANCONA CASTELBELLINO ASCOLI PICENO ASCOLI PICENO ASCOLI PICENO PORTO D’ASCOLI S. BENEDETTO DEL TR. AVEZZANO TERMOLI TERMOLI CHIETI VASTO ISERNIA PESCARA PESCARA PESCARA PESCARA PESCARA FOLIGNO FOLIGNO SPOLETO FONTE NUOVA ROMA ROMA ROMA ROMA MARTINSICURO ROSETO DEGLI ABRUZZI
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DELL’ARTIGIANATO RAMPOGNANA DON PASQUINO BORGHI 22 GRANDE N. 5 SARDEGNA 17/A
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VIA DELLA SCAFA, 184 VIA ALCIDE DE GASPERI, 14 VIA FEDERICO PAOLINI, 48 VIA DEI CASTELLI ROMANI, 2 VIA A. G. RESTI 19 VIA DI SANT’ALESSANDRO, 380 VIA SALISBURGO, 20/32 VIA DELLA SETA, 27 VIA DELLA TECNICA, 164/D VIA ANNA FRANCHI, 10 VIA APPIA NUOVA, 472 VIA ARNO, 1 VIA DI CASTEL DI LEVA, 273 VIA CAVOUR, 232 VIA CRISTOFORO COLOMBO, 1780 VIA DELLA FARNESINA, 251/259 VIA LAURENTINA, 980 VIA MAGNAGRECIA, 97/A VIALE DELL’OCEANO INDIANO, 180
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VIA E. SACRIPANTI, SNC VIA ITALIA, 1 LARGO PORTA ROMANA, 1 P.ZA S. MARIA INTER VINEAS, 1 VIA SALARIA KM. 207,700 VIA E. MATTEI, 14 VIA MARSALA, 56 VIA V. FALCONE, SNC VIA CORSICA, 188/192 VIA MONTECARLO VIA PICENA, 80 VIA DEI CONTI RICCI, 46/48 VIA S. IPPOLITO VIA ARAPIETRA, 63/65 VIA BATTISTI, 207 VIA D’AVALOS, 213/215 VIA FABRIZI, 159 65121 VIA NAZIONALE ADRIATICA NORD, 201 VIA MONTE CERVARA, 1 VIA IV NOVEMBRE, 37 VIA MARTIRI DELLA RESISTENZA SNC PIAZZA VARISCO VIA MONTEBUONO VIALE LIEGI V. T. BOETTI VALVASSURA, 110 VIALE ERITREA VIA ROMA, 447 - VILLA ROSA S.S. ADRIATICA KM. 417,600
GIUGNO 2019
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