N°8/ANNO 1 - AGOSTO 2019
MAGAZINE
N I C E T O M EAT YOU
INTERVISTA ALLO CHEF
JOHAN JURESKOG
L ’ E D I TORI A L E D I GI A N FRA N C O L O C A S C I O
AGLIO, OLIO E P E P E RONCINO
scientifica
estate sereni
LA GRIGLIATA DI FERRAGOSTO PRONTA PER VOI
D I R E T TO R E E D I TO R I A LE
Rossella Neiadin
R E D AT T O R E C A P O
Michela Bongiorni REDAZIONE
Enio Berton, Giovanni Bolzonella Virgilio Brunetti, Michele Chipa, Tommaso Di Gregorio, Salvatore Di Mento, Luca Gallozza, Mariangela Ibba, Gianfranco Lo Cascio, Alessandro Morichetti, Riccardo Meniconi, Emiliano Nencioni, Andrea Spaggiari, Alessandro Trezzi, Carlo Trono, Paolo Tucci. REALIZZAZIONE GRAFICA
Andrea Turrini
magazine@bbq4all.it instagram.com/bbq4allmagazine/ S TA M P A
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INDICE A G OSTO 2 0 1 9 - N U M E RO 8 A N N O 1
RUBRICHE 0 5 . L ' E D I TO R I A LE
AGLIO, OLIO E PEPERONCINO SCIENTIFICA
1 1 . N I C E T O M E AT Y O U
Intervista a Johan Jureskog
16. WINE CLASS
Il vero incubo dell’estate: cannare clamorosamente la temperatura del vino
2 1 . D I S POS I T I V I E ACC E SS O R I
BBQ PORTATILI
RICETTE
G R I G L I ATA D I F E R RA G OS TO 22. PANZANELLA
24. Trofie con salsiccia e verdure grigliate 26. Smoked Louisville Chicken wings
28. Braciole marinate allo zenzero
30. La rosticciana fantastica e dove trovarla
34. Ribs o Rosticciana? Le differenze fra i due metodi 38. Bbq4all Steak Burger 40. Tortillas con chili
42. rivisitazione in chiave bbq del famoso Trapizzino di Callegari 48. crostata con crema di cocco ricoperta di ananas grigliato 50. Sangria
52. PICCOLA GUIDA
L'Arrosticino perfetto 56. ABBINAMENTI vino - birre- cocktail
62. THE CHEMICAL GRILLERS
Marinatura: un approccio scientifico
6 6 . C H I E D I LO A L COAC H
... E se uno fosse celiaco e volesse un pepper stout beef?
7 0 . D O YO U S P E A K B B Q e
lettera I, J K
74.
SEGUO
Ciao $Contact.name, ecco la tua ultima possibilità per approfittare dell’offerta (…)
MAIL CLASS LA SERIE DI EMAIL DIDATTICHE DI GIANFRANCO LO CASCIO
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EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO
in direzione ostinata e contraria:
AGLIO, OLIO E PEPERONCINO scientifica
Ve lo confesso, mi piace navigare in acque difficili. Da anni ormai mi sono buttato anima e corpo nella ricerca della perfezione in ogni aspetto della cucina, ho avuto delle convinzioni, sono cambiate, ho studiato, cercato e ricercato, ho viaggiato per conoscere culture gastronomiche diversa dalla nostra, ho tentato di applicarne i principi e replicarli fondendole tra di loro. Tutto questo per amor di scienza e conoscenza. Ma è inutile negarlo: provo sempre un sottile piacere di fondo quando vado a minare alla base le incrollabili certezze dei gastrotalebani, quelli che si indignano per qualsiasi cosa, dal Parmigiano nella carbonara alla panna nel tiramisù, e che hanno un colpo apoplettico se appena appena si osi mettere in discussione i metodi millenari delle loro nonne. Ogni tanto, per stanarli, lancio appositamente nella BBQ4All Community delle provocazioni di cui si accorgerebbero anche Polifemo e il suo unico occhio. Ma niente da fare, i gastrotalebani medi ci cascano sempre. Sempre.
italiana e mi sono divertito a guardare annaspare i poveretti annegati nello zabaione salato della Carbonara scientifica, quelli che sono rimasti scottati cinque minuti per lato e quindici in piedi di fronte al Revit sulla Fiorentina, e quelli che hanno urlato all'alto tradimento quando ho dichiarato che la cottura migliore del risotto è quella per assorbimento. Probabilmente a molti di voi sfugge l’entità delle lotte intellettuali che ho dovuto affrontare in questi anni. Ci ho messo un decennio a scalfire i luoghi comuni radicati nella testa delle persone per cercare di portarle ad un livello maggiore di consapevolezza. Sono stato bersagliato e apostrofato con ogni epiteto possibile: egocentrico, presuntuoso, ciarlatano e compagnia bella. Ma alla fine cosa ho fatto in tutto questo tempo? Ho semplicemente dimostrato che ognuno di noi può trarre benefici di grandissimo valore semplicemente sostituendo il giudizio al pregiudizio.
Prendete un utente avanzato della Community di Sarebbe quasi divertente se non fosse patetico. BBQ4All e convincetelo che la Chianina è SEMPRE migliore del Black Angus americano e vale i soldi che Grazie a questo mio amore per il periglio, ho affrontato costa. Provateci e preparatevi ad incassare: vi annegherà una a una molte delle incrollabili credenze popolari di evidenze che dimostrano che non è così. E parlano i culinarie, ho preso di mira i capisaldi della cucina fatti, non le opinioni. AGOSTO 2019
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EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO A questo punto mi pareva cosa buona giusta affrontare un'altra ricetta intoccabile del panorama gastronomico italiano: la pasta aglio, olio e peperoncino. Allacciatevi le cinture perché il viaggio sarà pieno di scossoni e non esistono uscite di sicurezza. Da quanto esiste l'aglio, olio e peperoncino? Probabilmente è antica quanto le botte con il cucchiaio di legno della mamma e il fastidio dei pranzi con i suoceri. Eppure, se fate un giro su Google, il 90% delle ricette effettuate dai naviganti non sono poi così diverse fra di loro. E praticamente tutte mancano di un dettaglio fondamentale che fa tutta la differenza del mondo. Gli italiani sono ossessionati dalla pasta. E tutti, o quasi tutti, adorano che cosa? I sughi. I condimenti. Fermo restando che una pasta in bianco si mangia volentieri, lo standard è aggiungere una salsa e renderla cremosa.
Ora, l’aglio, olio e peperoncino è una pasta condita con un sugo? La risposta è no. L’aglio, olio e peperoncino è condita con un olio aromatizzato, non con una salsa. Eh, ma la mia è cremosa! Sì, ci credo. Ma è cremosa perché la vai a mantecare con l’acqua di cottura che emulsiona, gelatinizza l’amido. La base del condimento resta un olio aromatizzato, non un intingolo. Partendo dall’assunto che voglio mangiare gli spaghetti aglio, olio e peperoncino, perché non creare un sugo a base di aglio, olio e peperoncino? Bene. Facciamolo allora. AVVERTENZA NUMERO 1 Il risultato è una roba che crea dipendenza e dalla quale non si torna indietro. Sapete che quando dico questa frase non scherzo nemmeno un po’. Imparata questa, non mangerete mai più aglio e olio da nessuna parte, ristoranti compresi, per il resto della vostra vita. Come per le bistecche, avete presente? Uguale. Fatelo a vostro rischio e pericolo. State ancora leggendo? Non vi siete ancora lanciati dal finestrino col paracadute? Bene. Per voi c'è speranza. AVVERTENZA NUMERO 2 Avete presente la ricetta della vostra aglio, olio e peperoncino? Ecco, cancellatela e fate spazio per quella nuova. Rimettete in discussione ogni certezza e fidatevi di me. AVVERTENZA NUMERO 3 Siete della religione aglio ma non troppo o solo uno spicchio o in camicia e poi lo tolgo, insomma dei choosy dell’aroma aglioso? Questa ricetta non fa per voi, e non si può cambiare o modificare. Non verrebbe bene quindi evitate di continuare nella lettura. Ci siamo. Per prima cosa gli ingredienti: Serve una mezza testa d’aglio e mezzo bicchiere d’olio extravergine di oliva A PERSONA. Siamo in 2? 1 testa d’aglio e 1 bicchiere d’olio. Siamo in 4? 2 teste d’aglio e 2 bicchieri d’olio. Siamo in 6? 3 teste d’aglio e 3 bicchieri d’olio. E così via.
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EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO ADESSO PASSIAMO AL PROCEDIMENTO. Pelate tutti gli spicchi e metteteli in un tegame piccolo dai bordi alti. Esatto, non in padella. Buttate dentro l’olio e la quantità di peperoncino che vi piace. Mettete sul fornello a temperatura bassissima e lasciate che l’aglio si ammorbidisca senza mai soffriggere. Se inizia a soffriggere spegnete il fuoco. Se avete un termometro a sonda, stabilizzate l’olio a 65°C. Si va avanti finché è necessario. L’obiettivo è “sgonfiare” gli spicchi d’aglio e renderli così teneri da poter essere frullati.
Avete usato 1 bicchiere d’olio? Allora 1 cucchiaino di succo di limone. Avete usato 2 bicchiere d’olio? Allora 2 cucchiaini di succo di limone. A questo punto aggiungete un po’ di sale. Per dare un minimo di sapidità e per aiutare il processo di emulsione. Mettetelo adesso altrimenti rischiate di strappare il composto e l'emulsione non si forma. Emulsionate -aggiungendo l'acqua poco alla volta- fino ad ottenere una salsa liscia e vellutata dal colore bianco/ giallognolo. Come per la maionese, avete presente?
Mettete su la pentola con l’acqua, buttate la pasta e quando siete a metà cottura fate questa operazione: Abbiamo appena ottenuto un'emulsione stabilizzata di ponete l’aglio e l’olio nel bicchiere del mixer e aggiungete acqua e olio. La pasta d'aglio è un eccellente stabilizzante delle emulsioni. Come le lecitine dell'uovo. Solo che tanta acqua di cottura quanto olio usato all’inizio. sono in pochi a saperlo. Avete usato 1 bicchiere d’olio? Allora 1 bicchiere di acqua di cottura della pasta. Avete usato 2 bicchieri d’olio? Allora 2 bicchieri di acqua di cottura della pasta. Poi dovete fare una cosa importantissima. Occhio che questa operazione fa la differenza. Dovete aggiungere un cucchiaino di succo di limone per ogni bicchiere d’olio che avete usato.
Perché l'aglio e olio scientifica è molto più leggera e digeribile di quella tradizionale? Perché l'aglio contiene alliina, una molecola che ha dentro dello zolfo. Quando la struttura si rompe, grazie ad un enzima chiamato alliinasi, l'alliina si trasforma in allicina, un complesso sulforganico che dà all'aglio il tipico profumo pungente.
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EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO In uno spicchio integro, l'alliinasi è confinato in sacche (vacuoli) nella cellula, mentre l’alliina fluttua liberamente nel citoplasma. Frantumando e sminuzzando il bulbo di aglio, queste sostanze vengono in contatto e producono l’allicina, che ha quel distinguibile odore sferzante ed intenso. Imparato questo, vi è senz’altro chiaro il motivo per cui tagliare uno spicchio e rimuovere il germe per rendere l'aglio più digeribile è una cavolata galattica e di proporzioni bibliche, che però non ne vuole sapere di sparire dalla testa degli italiani . Eliminando “l’anima” l’avete appena venduta al demonio, avete appena dato modo a due sostanze di produrre l'enzima che fa scappare Dracula. Ci stai dicendo che tutte le mamme, le nonne e gli Chef che dicono di rimuovere il germe per rendere l'aglio più leggero e digeribile hanno sempre detto una castroneria? Sì, proprio così. Ho una buona notizia per voi, però: ad alte temperature, l'alliinasi si disattiva e non è in grado di produrre allicina. Produce invece disolfuro di allile, il composto che ha il confortante odore di "aglio cotto”, per niente aggressivo e più dolciastro. Quindi se lo Zio vi dice di cuocere l'aglio intero e di non tagliarlo per rimuovere il germe, voi fatelo. Nel frattempo avrete tritato un prato di prezzemolo, con tutti i gambi (non buttate i gambi o vi taglio le mani). Tritateli insieme alle foglie, è lì che si trova il sapore. Scolate la pasta, riservate l’acqua di cottura e saltatela in padella con la salsa di aglio e il prezzemolo. Mantecatela bene, aggiungete acqua di cottura se serve e impiattatela. Sormontate con il Parmigiano, se vi piace, direttamente nel piatto. Sarà la pasta aglio, olio e peperoncino migliore della vostra vita. Ma non saprà troppo di aglio? La risposta è NO. Sarà molto ma molto più delicata di una aglio e olio tradizionale. Questa salsa potrà diventare la base soprattutto per gli spaghetti alle vongole. Vedrete la gente impazzire e rotolare nella vostra sala da pranzo per quanto è buona. Mettete le vongole in una padella, lasciate che si aprano e sfumate con un goccio di vino bianco. Per il resto è tutto identico. Provatela. Picchierete la testa sul tavolo dalla libidine. E al diavolo (senz’anima dell’aglio) la tradizione. Gianfranco Lo Cascio A
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L'INTERVISTA di ANDREA SPAGGIARI
JOHAN J U R E S KO G
@ Restaurang AG La più famosa steak-house svedese deve il suo successo a uno chef visionario, un abile imprenditore e un maniaco della qualità della carne. Non è stato facile mettere d’accordo personalità così vulcaniche, nonostante convivano tutte nella stessa persona
Quando, nel 2011, ha rilanciato Restaurang AG, Johan Jureskog aveva una sola idea in testa: diventare il punto di riferimento per la cucina di carne della città di Stoccolma. Sembra impossibile oggi, ma otto anni fa erano solo tre, in tutta la Svezia, i ristoranti a proporre manzo dry-aged, e Johan aveva intravisto l’opportunità di utilizzare questa tecnica di affinamento come elemento differenziante, unito a un processo di selezione delle materie prime a dir poco maniacale. Partita da pochi tavoli e un menù a base di carni di sola provenienza europea, AG è oggi una macchina da oltre 300 coperti a sera alla quale si affianca un tapas-bar capace di servire 150 persone contemporaneamente. Più di 50 persone (di cui 20 solo in
cucina) contribuiscono a far girare come un orologio svizzero questa steak-house che ha più di una particolarità. Partendo dalla carta, la prima cosa che si nota è l’incredibile scelta in termini di razze e zone d’origine della carne: si spazia dalle vacche da latte svedesi al Wagyu, dalla carne polacca a quella statunitense passando per Nuova Zelanda e Scozia. Impareremo di più del processo di selezione tra poco, ma vale la pena sottolineare che una tale disponibilità richiede notevoli investimenti in termini di risorse umane e finanziarie. Due dati su tutti: AG dispone con continuità di oltre 4000 kg di manzo in cella di maturazione e ha una persona dedicata – il meat master – che si occupa a tempo pieno di
movimentare, tagliare e preparare la materia prima per la cucina. Non stupirà nemmeno sapere che anche la cantina è ben fornita: lo Chef parla di un valore immobilizzato che supera gli 1,2 milioni di €, un investimento necessario per garantire a una clientela esigente un assortimento di vini all’altezza delle proposte culinarie. Smarchiamo da subito, allora, il tema del prezzo: Johan ci ha spiegato che da AG si può cenare con una portata di carne e un’ottima birra per circa 45€, una proposta adeguata alla ricercatezza delle materie prime che si posiziona in linea con i prezzi della ristorazione tradizionale nei paesi del nord Europa. Ovviamente, volendo salire di livello, sky is the limit: pur non essendo un AGOSTO 2019
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riportiamo sulla carta: il sapore, la marezzatura e la tenerezza.
ristorante stellato, la steak-house si è costruita una clientela alto spendente che cerca carne di qualità eccezionale. A titolo di esempio Johan nomina come fiore all’occhiello una selezione di Rubia Gallega invecchiata direttamente dai produttori: una porzione per due persone, da AG, è venduta attorno ai 300€ e molto spesso viene accompagnata da una bottiglia di vino di pari prezzo. E nulla vieta di salire ancora… Un altro aspetto che va tenuto in debito conto è la notorietà dello chef: se AG è la proposta di punta, Johan ha abilmente stratificato l’offerta andando a coprire anche i posizionamenti più accessibili, costruendo un vero e proprio brand associato al suo nome. Un secondo ristorante che si occupa dei tagli meno nobili del manzo, ispirandosi per sua stessa ammissione alla filosofia dell’amico Dario Cecchini, si affianca a una catena di fast- food (2 ristoranti che diventeranno 6 entro fine anno) che propongono hamburger gourmet, verdure bio e pane artigianale. Non bastasse questo palmares, Johan vanta molte apparizioni televisive – la più famosa delle quali nella serie americana “World’s best burger” – e una presenza piuttosto attiva sui social media. Ma è tempo di ascoltare direttamente æA
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dalle sue parole il segreto del suo successo e i principi ispiratori del suo lavoro nel quotidiano. D: Cominciamo dalla materia prima. Quali sono i vostri criteri di selezione? R: Siamo partiti con le idee chiare: trovare la carne migliore da sottoporre al processo di dry-aging. Il criterio principale, quindi, è sempre stato la marezzatura: abbiamo cominciato con le vacche da latte svedesi, per reperire le quali avevamo allacciato una collaborazione tutt’ora in corso con il principale distributore scandinavo, capace di garantirci l’accesso agli esemplari più vecchi e marezzati che possano essere reperiti (si parla di un animale su 500 circa). Abbiamo poi allargato alla Polonia, paese dal quale compriamo i prodotti entry-level, e la Scozia. A questa gamma, sempre presente nel menù, si aggiungono le proposte del giorno che approvvigioniamo da tutto il mondo, applicando gli stessi criteri di selezione e richiedendo la completa tracciabilità. Ogni volta che riceviamo un pezzo di carne lo tagliamo, lo grigliamo, lo assaggiamo e lo valutiamo. Siamo noi a dare un voto in una scala che va da 1 (il minimo) a 12 (il massimo) ai tre parametri principali che poi
D: Non vediamo spesso vacche da latte nei menu delle steak-house, come mai questa scelta? R: Concedetemi un excursus. Al mondo ci sono tre diversi tipi di carne di manzo: - il primo è quello delle vacche da latte: la considero la carne più «sostenibile» per l’ambiente, perché l’animale non nasce con lo specifico scopo di diventare cibo. La mucca pascola, fornisce latte, e più invecchia, più la sua carne diventa saporita. È come se l’animale costituisse, nel corso della vita, una“riserva di sapore”; - il secondo è quello delle vacche da allevamento: animali nutriti con mais e cereali, hanno una crescita molto rapida e sono macellati giovani, tra i 18 e i 20 mesi circa. La carne è estremamente tenera e il livello qualitativo è alto e costante nel tempo, ma si tratta a tutti gli effetti di un’operazione puramente finanziaria per trasformare un tipo di cibo in un altro; - il terzo tipo sono le vacche allevate al pascolo: gli esemplari vivono almeno il doppio di quelli allevati a cereali, si muovono liberi, hanno quindi meno grasso e non garantiscono la stessa ripetibilità di “risultato” in termini qualitativi. Dobbiamo insegnare al mondo che, tra gli animali da allevamento, questi sono la scelta eticamente corretta e sostenibile, anche se non sono “perfetti” come quelli allevati a cereali. Fatta questa premessa, penso che gli esemplari più vecchi siano quelli che restituiscono un sapore più intenso già prima del processo di dry-aging. In genere facciamo invecchiare queste carni tra le 5 e le 7 settimane come standard, ma se incappiamo in un esemplare dalla marezzatura
eccezionale ci spingiamo oltre: togliamo l’osso e avvolgiamo la carne con il suo grasso liquefatto e successivamente solidificato – chiamato tallow – e la rimettiamo in frigorifero per altri due mesi. Il risultato è una concentrazione di sapore estrema, analoga a quella che può restituire un formaggio ultra stagionato. Solo per intenditori, e da consumarsi in piccole quantità.
D: Continuando a parlare di dry-aging, è un processo che si sposa con tutti i tipi di carne? Qual è il miglior compromesso tra durata e resa di questo procedimento? R: Con il dry-aging l’unico fattore che viene modificato è il sapore, che si concentra per effetto della disidratazione. Erroneamente si tende a credere che la carne diventi anche più tenera grazie a questa tecnica, ma non è cosi: entro due
settimane dalla macellazione del capo scompare ogni residuo di rigor mortis, il che significa che la carne non subirà alcun ulteriore intenerimento. Al contrario, la disidratazione porta a un leggero aumento di tenacità, ripagato da una maggior concentrazione del sapore. Per questo, esemplari grass-fed, che come abbiamo visto sono mediamente più magri dei grainfed, non hanno bisogno di spingersi
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oltre le 2 o 3 settimane di dry-aging. Alcune specie, poi, si prestano meglio al wet-aging, ovvero la conservazione prolungata sottovuoto: il sapore rimane più “pulito” e la carne resta più morbida. È il procedimento preferito dai produttori scozzesi e giapponesi. D: Il dry-aging richiede molte risorse in termini di spazio, tempo e denaro immobilizzato. Ne vale davvero lapena? R: Certo, la gente va assolutamente pazza del risultato finale. È una questione di scelte: alcuni ristoranti vogliono garantire un menù chilometrico, altri propongono verdure coltivate nel proprio orto; noi abbiamo scelto questa strada perché in Scandinavia la filiera della carne era così poco sviluppata che si poteva solo migliorare. Ovviamente questo ha richiesto un grosso lavoro di sensibilizzazione e educazione dei consumatori, e non si può avviare un ristorante pretendendo di avere 4000kg di manzo in magazzino. Va fatto un percorso, ma il gioco vale la candela. D: Quali tecniche di cottura utilizzate ad AG per ottenere risultati perfetti? Usate la cottura sottovuoto o il Metodo Finney? R: Io ho scelto di non utilizzare queste tecniche per un motivo semplice. Quando si rimane a temperaturesuperiori ai 55° per lunghi periodi, le proteine cominciano a denaturarsi e ci si ritrova con un solo sapore, uniforme, distribuito su tutto lo spessore del tuo taglio di carne. Io cerco diversi strati aventi gusto e consistenze diverse, capaci di offrire un’esplosione di gusto. Per questo motivo non usiamo nemmeno il forno e diamo tanta importanza alla fase di riposo. La nostra tecnica è la seguente: sale, pepe e poi in cottura fino a A
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42°-45° al cuore. Segue una fase di rest di almeno 5 minuti e un altro giro veloce sulla griglia fino alla temperatura desiderata, poi taglio e servizio. Alcuni chef sostengono che la carne debba stare a temperatura ambiente per almeno due ore prima della cottura, ma non è una regola fissa: se si cuoce una fiorentina, che è molto spessa, d’accordo. Ma su tagli meno imponenti i risultati migliori si ottengono prendendo la bistecca direttamente dal frigo: la carne resiste più tempo in griglia e ne giova la reazione di Maillard. Ovviamente, proprio perché diventi calda anche al cuore, la fase di riposo è fondamentale. Per il nostro modo di lavorare, che prevede spesso di servire un assortimento di carni diverse, ci troviamo a cucinare dai 20 ai 30 tipi di manzo differenti nella stessa serata: la semplicità della procedura è quindi indispensabile. D: Si direbbe che con questi volumi le postazioni della griglia siano decisamente critiche. Come si fa a far funzionare tutto nel migliore dei modi un orologio? R: Ho lavorato in Francia per tre anni: non so se è ancora cosi, ma ai miei tempi lo Chef era sempre arrabbiato e seminava il terrore nella brigata di cucina. Io distribuisco high-five e sono sempre felice, sicché nei miei ristoranti nessuno ha paura: l’errore è ammesso ma visto che la macchina non si può fermare si continua serenamente e se ne parla a fine servizio. Inoltre, mi circondo di collaboratori fedeli: il mio vice è con me da oltre vent’anni ed è bravissimo nella logistica e l’organizzazione, settori nei quali io sono un disastro. Non importa quanto tu sia bravo, senza la squadra non vali nulla ed io ho capito questo concetto molto presto.
D: Il segreto meglio custodito di AG parrebbe essere il “tavolo dello chef”. Cosa succede di particolare in questa postazione privilegiata? R: Il tavolo dello chef non è pubblicizzato e funziona solo con il passaparola. Il motivo principale è che bisogna essere un minimo di 6 e un massimo di 9, e si cena vicini alla nostra cella di maturazione della carne, in un’ambientazione estremamente informale. Quello che viene servito a questo tavolo non ha niente a che vedere con il menù del ristorante, visto che usiamo materie prime e ricette realizzate appositamente. Come spiegato in precedenza, abbiamo chef bravissimi
ma dobbiamo fare cose semplici per garantire sempre il massimo del risultato. Per questo tavolo, invece, possiamo divertirci: troviamo dei prodotti fantastici, li lavoriamo nel modo migliore e li serviamo al centro, in modo che i commensali possano servirsi tutti direttamente dal piatto di portata. È diverso, ed è proprio per questo che si tratta di un’esperienza fantastica per i clienti.
versatile che lo usiamo per friggere le patatine nei nostri ristoranti di hamburger e lo impieghiamo, insieme al burro chiarificato, come ingrediente della salsa bernaise che viene servita con le nostre carni. Lo vendiamo addirittura in barattoli nei supermercati: è fantastico per cucinarci la carne, specialmente quella troppo magra, perché da sapore, ha un punto di fumo molto alto e aiuta a ottenere un’ottima reazione D: Un aneddoto curioso in di Maillard. Vado fiero di questa chiusura? soluzione perché non si butta nulla R: Ricordate il tallow, ovvero il e si onora fino in fondo l’animale: grasso maturato, fuso e risolidificato anche questa è sostenibilità. che usiamo per la maturazione “estrema”? È talmente buono e Andrea Spaggiari
IL VERO
ID N C U B O E L L ' E S TAT E
Poche semplici accortezze che vi salveranno la vita (e tutti gli errori da non commettere) All’inizio devo dire di aver sottovalutato la questione. Ti concentri sull’etichetta, il vitigno, il bicchiere giusto, ma a quello non ci pensi, tendi a darlo per scontato ma scontato non è affatto. Sì perché la temperatura di servizio è un fattore decisivo per bere vino come si deve. Se poi state leggendo questo articolo feralmente accaldati, con un rivolo di sudore che dilaga sulla fronte e il desiderio perenne di una bevanda rinfrescante, il discorso si fa serio. Per gli enostrippati non è una novità ma per il 99% dei comuni mortali il problema si pone: beviamo quasi sempre il vino alla temperatura sbagliata. D’estate ancor di più! Male, anzi peggio e l’errore è da matita rossa con un’aggravante: spesso, sono proprio i professionisti del settore a toppare le condizioni ottimali di servizio. Tanta ignoranza, purtroppo. Niente che qui non si sappia già. La temperatura è ıA
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fondamentale. Nel BBQ è tutto. Nel vino è “solo” molto importante perché, al pari del calice, modifica sostanzialmente le qualità organolettiche del liquido e il relativo piacere. Non a caso, in tutti i corsi di degustazione viene presentato uno schemino delle temperature ottimali per ciascun vino e sarebbe anche una cosa buona, non fosse che lo impariamo a memoria e poi ce ne dimentichiamo. Perché la tabella non viene utilizzata? Sarà mica obsoleta? Finiamo sempre per bere bianchi troppo freddi e rossi troppo caldi, ma siamo sicuri che non ci sia un modo per uscire dal vicolo cieco? Giusto un appunto prima di proseguire: è imperante la confusione tra temperatura di servizio e temperatura di consumo. Laddove si parla di servizio, in realtà, si intende la temperatura ottimale per bere un vino, quindi quella di servizio dovrà essere inferiore, anche
sensibilmente, a seconda delle condizioni circostanti. Ve lo dico perché mi hanno appena servito un Trebbiano d’Abruzzo giovane a 10°C per accompagnare le mie chitarrine alla marinara con vista sull’Adriatico ma nello spazio di tre forchettate il vino è quasi bollente. Niente fretta, riprenderemo il discorso più avanti. Andiamo con ordine. Se siete tra quelli che aspettano inesorabile lo stallo del pulled pork per andare in foil, allora sapete già che parte tutto da lui: il termometro.
Ne avrete di ogni forma e dimensione dispersi in casa, ovviamente. Quel che non sapete, invece, è che in nessun corso di degustazione del vino si è mai usato un termometro per ragionare seriamente. Conoscere la giuste temperature è bello, peccato non saperle riconoscere! Teniamo un attimo tutti a mente lo schema classico. Grossomodo tutti i vini andrebbero bevuti tra i 4 e i 18°C, bene: ma siete proprio sicuri di saper riconoscere la temperatura del liquido che state bevendo?
WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI Domanda retorica perché la risposta è chiaramente no. Io un termometro tra i partecipanti ad una degustazione l’ho portato e vi assicuro che sbagliare la stima anche di 3/5°C pieni è la cosa più frequente del mondo. Per fortuna avete già lo strumento: il termometro a sonda o a penna andrà benissimo. Se proprio volete fare colpo sugli amici, buttatevi sul termometro ad infrarossi perché misurare la temperatura a distanza una certa scena la fa (ma in realtà non serve). Ora che abbiamo il necessario possiamo divertirci un bel po’. Anzitutto, sfatiamo un mito. Quante volte avete letto di servire un vino “a temperatura ambiente”? Bene, ormai siete abbastanza adulti per essere messi di fronte ad una realtà: la temperatura ambiente non esiste. Che siano i 35 gradi d’estate o i 22 col riscaldamento d’inverno, a meno che non abbiate una cantinetta-frigo climatizzata e con guardie svizzere di sorveglianza, è praticamente impossibile avere vini nella condizione ideale di servizio. Troppi, produttori poco accorti inclusi, usano questa espressione, ma non ha alcun senso. Reset, cancelliamola per sempre! A monte di tutto, purtroppo, il problema più grave è l’abitudine. Siamo semplicemente abituati a bere i vini bianchi troppo freddi, perdendo in espressività quando il vino è buono e guadagnando in neutralità quando invece è gramo, e soprattutto i vini rossi troppo caldi. E sui vini rossi bevuti alla cosiddetta temperatura ambiente si apre una voragine, un buco nero che trabocca pregiudizi.
Dovremmo partire ad esempio da un assunto: d’estate tutti i vini devono passare in frigorifero o nel cestello del ghiaccio. Anche i rossi, soprattutto i rossi. Ah, e non fate come chi riempie il cestello di solo ghiaccio perché è inutile. È l’acqua a condurre il freddo quindi il ghiaccio deve abbassare la temperatura dell’acqua che, a sua volta, raffredderà la bottiglia. Ho anche chiesto ad un superesperto qualche dettaglio tecnico ma prima di ascoltarlo dovremmo fare insieme un esperimento. Munitevi di termometro, versate un vino, fate misurare la temperatura a qualcuno senza dirvelo, mettete il liquido in bocca e poi stimate voi stessi a quanti gradi sia. Dobbiamo tararci e prendere coscienza di un’evidenza. Fatto? Bene! Poiché sicuramente non sarete nell’intervallo +/- 1 grado rispetto alla temperatura reale, eccovi servito il primo problema: non sapete riconoscere i 16°C, che è la temperatura a cui va bevuto circa l’80% dei vini rossi. Vale anche per me, sia chiaro. L’intervallo 14-18°C è fondamentale perché è in questo range che dovrebbero finire troppi vini ineluttabilmente proposti a temperature equatoriali. E qui entra in gioco il nostro Fresh Man, ironico fondatore del Movimento per la liberazione dei vini rossi dalla temperatura ambiente. Nando Salemme è patron dell’Osteria Abraxas di Pozzuoli e probabilmente il massimo esperto italiano di vini e temperature. Il risultato della sua esperienza parla chiaro e ho chiesto a lui come dobbiamo regolarci per portare una bottiglia alla giusta temperatura. Prendete nota: “Consideriamo il caso in cui abbiamo dei rossi più caldi del necessario: immergendo completamente una bottiglia di vino da 75 cl in ghiaccio e acqua e utilizzando un semplice timer da cucina ho stabilito quanti minuti ci vogliono per raggiungere una determinata temperatura. Se, per esempio, si parte da una temperatura di 25°C, ci vogliono 8 minuti per arrivare a 18°C. Se si parte da 23°C, in cinque minuti si arriva a 18,5°C. Se si ha una bottiglia a 18°C, in 3 minuti si arriva a 16. Dieci minuti circa servono per portare un vino da 18 a 10°C. Ho fatto l’esperimento con bottiglie di tutte le forme notando solo piccole differenze, quindi trascurabili. Aggiungendo un quantitativo prestabilito di sale, aumentiamo il potere di abbattimento della nostra soluzione. Quindi potete divertirvi a fare altre schede con un giusto quantitativo di sale e acqua e ghiaccio. Inutile dire che questo è solo un modo. Ognuno, a seconda di cosa ha a disposizione (congelatore, abbattitore, fast chiller...) può creare una personale tempistica per portare i vini alla giusta temperatura.
WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI Può capitare pure che abbiamo una bottiglia di rosso più fredda del dovuto: in questo caso possiamo prendere un contenitore con acqua calda, immergere la bottiglia e portare a temperatura il nostro vino con i metodi sopra descritti. Non abbiate paura, non è un sacrilegio: il vetro
rimane sempre un’ottima protezione. Attenti pero a non servire un vin brulé! Quindi con un timer e un termometro possiamo veramente divertirci tanto.” Postilla ai preziosi suggerimenti di Nando Salemme: esisterebbe un altro modo molto veloce e invasivo per abbattere la temperatura di un vino ma ha alcune controindicazioni. Se fasciate una bottiglia con dello Scottex, poi lo bagnate e successivamente mettete tutto in congelatore, la velocità di raffreddamento è supersonica ma poco gestibile e la carta tende a incollarsi sulla bottiglia rovinandone la presentazione. Metodo quindi potente ma sconsigliato. Come dicevamo poco sopra, inoltre, bisogna tenere conto di un altro fattore fondamentale: la dispersione termica quando il vino è nel bicchiere. Se d'inverno, per i bianchi, il problema è relativo (si perdono circa 2°C in due minuti), d'estate la situazione diventa critica e il mio vino bianco vista mare sale mediamente di 3-4°C in due minuti. Anzi, peggio! Nel momento in cui scrivo, fuori ci sono 33°C, praticamente un forno. Per verificare ulteriormente ho appena versato un Moscato d’Asti freddo di frigo stabile a 7°C nel bicchiere e ci ho infilato il termometro al volo senza attendere. Risultato? 11°C. Pazzesco. Temperatura esterna e temperatura del bicchiere incidono immediatamente e senza sconti. Niente che Salemme non abbia già approfondito e codificato sperimentalmente, con tutte le specifiche di sorta: “con temperature esterne sui 28-30 gradi un vino rosso servito a 16°C, dopo 10 minuti, arriva a 19°C; in 20 minuti arriva a 22°C. In un locale climatizzato (24-25°C),
invece, dopo 20 minuti arriva a 20°C. D'inverno, in un locale riscaldato a 23°C, una bottiglia servita a 16°C dopo circa 40 minuti arriva a 20 gradi.” Capite bene cosa questo comporti: la necessità di servire tutti i vini ad una temperatura oculatamente inferiore a quella ottimale. Ripetiamolo insieme ancora una volta: raffreddare i vini rossi non è reato, in molti casi è anzi una necessità. Stessa scena pochi giorni fa: una magnum di ottimo Barbaresco servita a bordo piscina sotto il sole. In pochi secondi il vino è diventato bollente, il naso slabbrato, dai profumi sfuggenti e poco a fuoco. In bocca, l’effetto è stato tipo bombardino a Courmayeur: tutta la piacevolezza di un grande vino ma con il meno davanti. A mali estremi, estremi rimedi: due cubetti di ghiaccio e via! Un piccolo inciso. Il mese prossimo torneremo ad approfondire l’esame gustativo quindi prendete con beneficio d’inventario quanto segue. Più avanti sarà ancor più chiaro ma intanto piazziamo un mattoncino. Riguardo alla temperatura di consumo, specie dei vini rossi, le parti dure del vino – tannini e acidità in primis – sono ben più rilevanti di corpo e struttura. Un Barolo 2016, quindi giovane e dal tannino scalpitante, non andrebbe servito al di sotto dei 18°C perché questo inasprirebbe il sorso invece che smussarne gli angoli. All’inverso, un Amarone della Valpolicella maturo, alcolico e morbido, andrebbe servito più fresco per evitare l’effetto-sciroppo e concedendosi una visione più articolata del vino a diverse temperature. A costo di prendersi qualche accidente, ma consapevoli di essere nel giusto, d’estate l’ottimo è mettere a tavola rossi freschi ma anche freddi di frigo per veder sudare la bottiglia in men che non si dica. L’abitudine malsana lo sconsiglierebbe ma chi beve coscienziosamente sa quanto ciò sia saggio. In chiusura, ricapitoliamo tutto in un bignamino da mandare a memoria: 1. monitorare la temperatura del vino è necessario (ma non lo fa quasi nessuno) 2. usare il termometro per il vino come per il BBQ 3. la temperatura ambiente non esiste 4. imparare a memoria le temperature di servizio e poi modularle 5. soprattutto d’estate, raffreddare i vini rossi 6. il gusto è sovrano: bevete sempre alla temperatura che più vi aggrada. Alessandro Morichetti
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BBQ portatili
DISPOSITIVI E ACCESSORI - BBQ PORTATILI a cura di MICHELE CHIPA
L’estate è ormai esplosa e con il bel tempo aumentano le gite fuori porta. Sempre più persone iniziano a organizzare grigliate all’aperto e a cercare spasmodicamente delle aree attrezzate per l’occasione. Nella maggioranza dei casi, ci si affida alle griglie disponibili in loco che hanno il difetto di non essere protette dalle intemperie e soggette all’uso comune di più persone. Quante volte siete partiti con la macchina carica di leccornie e poi vi siete trovati con griglie sporche o ancor peggio arrugginite? Quante volte avete dovuto lottare con il vicino di tavolo per disporre sulla griglia gli alimenti? Quante volte vi sono mancate all’appello salsicce e braciole perché casualmente finite sulla tavola di altri (nonostante aveste badato alla griglia attentamente)? La soluzione a questi problemi è portarsi il proprio dispositivo di cottura da casa. Certo, spostare un kettle da 57cm potrebbe diventare problematico, ma se non avete necessita di grosse quantità di alimenti da grigliare potreste fare affidamento sui dispositivi portatili. Questi ultimi hanno dimensioni tali da esser facilmente trasportabili ma con tutte le caratteristiche costruttive e di materiali dei “fratelli maggiori”.
Dispositivi a carbone: il carbone è il combustibile che più si associa alla grigliata fuori porta. Basta avere a disposizione una ciminiera di accensione, anche piccola, e degli accenditori per essere pronti a grigliare. Ne esistono sia di forma sferica che di forma rettangolare, con o senza coperchio. Il mio consiglio è di prenderlo con coperchio per poter affumicare anche “in trasferta”. Una delle loro caratteristiche principali è l’incredibile versatilità che mai si potrebbe pensare abbiano, viste le dimensioni ridottissime. Ma vi assicuro, ci si cuoce un po’ di tutto: una volta, su uno di questo dispositivi, ho cotto un risotto appoggiando il wok sulla griglia.
In questo modo potrete evitare di portarvi sulle spalle una scomoda bombola da 5/10kg.
Dispositivi a gas: il gas rappresenta la sintesi perfetta della semplicità di utilizzo: si collega la bombola, si gira la manopola che regola il flusso di gas e si accende il dispositivo. Fine. In 5 minuti di orologio siamo operativi. Per venire incontro alle esigenze di trasportabilità i produttori hanno lavorato non solo sulle dimensioni dei dispositivi ma soprattutto sulle dimensioni delle bombole. Sono disponibili, infatti, delle cartucce contenenti circa 500gr di gas facilmente sostituibili che assicurano una buona autonomia.
Un ultimo consiglio: qualsiasi dispositivi sceglierete di acquistare assicuratevi che sia di ottima qualità costruttiva. Questo per evitare incidenti pericolosi e per far sì che possa essere il vostro compagno di grigliata per molto tempo.
Dispositivi senza fumo: sono il trend del momento. Si tratta di dispositivi che garantiscono l’assenza di produzione di fumo sia in accensione che in utilizzo. Questo perché il carbone è acceso tramite un gel specifico e viene alimentato con aria forzata da una ventola alimentata a batteria. Inoltre hanno una struttura che inibisce il contatto fra grassi in caduta dagli alimenti e fuoco. Per avere dei buoni risultati in termini di reazione di Maillard dovrete utilizzare un carbone ad alto potere calorifero.
Michele Chipa
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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di MARIANGELA IBBA
Se gli altri vanno al mare a
Santa Marinella...
noi stiamo a fa'
LA PANZANELLA Il titolo cita una canzonetta ironica dal doppio senso non troppo velato “La panzanella”, interpretata da Nino Manfredi nel 1979. Se non la conoscete vi invito ad ascoltarla subito, perché è perfetta come colonna sonora di questa ricetta. La panzanella (o pansanella), letteralmente pane zuppo, è un piatto estivo tipico dell’Italia centrale, specie di quelle zone dove si usa mangiare il pane sciapo. La Toscana ne ha sempre rivendicato con forza la paternità, sentenziando spesso che la vera panzanella sia quella fatta solo col tipico pane senza sale. Tra le prime testimonianze storicamente rilevanti su questa pietanza troviamo “Il Decameron” del Boccaccio (Novella VII giornata VIII), in cui si parla di “pan lavato” e l’omaggio in versi, nella prima metà del ‘500, del pittore fiorentino Bronzino: “Chi vuol trapassar sopra le stelle/ en’tinga il pane e mangi a tirapelle/ un’insalata di cipolla trita/ colla porcellanetta e citriuoli/ vince ogni altro piacer di questa vita/ considerate un po’ s’aggiungessi/ bassilico e ruchetta” . Ma in fin dei conti, di cosa si tratta? È un piatto povero dell’antica ææABBQ4All MAGAZINE
tradizione contadina che ispirò diverse ricette (la ribollita, la zuppa pisana, la pappa al pomodoro) per mangiare il pane anche quando diventava troppo secco e impossibile da addentare. La panzanella è una sorta d’insalata realizzata con quello raffermo, ammollato nell’acqua per qualche minuto, poi strizzato, sbriciolato grossolanamente e condito con cipolla, cetriolio, basilico, olio, sale e pepe. Il pomodoro entrò a far parte di questa golosa ricetta solo dopo la scoperta dell’America. Può sembrare quasi impossibile rendere ancora più buono un piatto che, attraverso i secoli, ha allietato il palato di molti italiani. In realtà esistono due modi per rendere questa specialità una vera esplosione di gusto: aggiungere ai suoi ingredienti la saporitissima droga rossa (i famigerati pomodorini arrostiti in stile BBQ4All) ed accostarla alla tradizione pugliese, sostituendo il pane sciapo con la frisella. Quest’ultima è una ciambella realizzata con farine di grano duro e d’orzo a doppia cottura. Solitamente viene bagnata nell’acqua per pochi minuti e servita intera condita con olio, sale, pomodori, olive, carciofini
e melanzane sott’olio. Questo tipo di panificato si abbina meglio per gusto e consistenza con il sapore agrodolce della droga rossa, perché a differenza della mollica bagnata non ne assorbe completamente il sughetto evitando così che tutto il piatto si unifichi nel gusto. Inoltre, l’aroma del pomodorino arrostito si sposa alla perfezione con le note fresche e croccanti del cetriolo, della cipolla, del pachino fresco e la sua leggera affumicatura dona alla nostra versione della panzanella un sapore insolito e particolarmente gustoso. Procedimento 1. Prepara il dispositivo per una cottura indiretta a 200°C. 2. Lava una parte dei pomodorini (circa mezzo chilo) sotto l’acqua corrente mantenendo rami e peduncoli, asciugali bene tra due canovacci e sistemali in una teglia adatta alle alte temperature. Bagnali con una generosa dose di olio extravergine, condisci con sale e pepe, una spolverata di zucchero di canna, aceto di mele, poche gocce di Worcestershire sauce e di tabasco.
3. Metti la teglia in cottura dalla parte opposta delle braci, chiudendo il coperchio del dispositivo, per almeno una mezz’ora. Sono pronti quando sono letteralmente esplosi. 4. Prendi una ciotola e riempila per metà con acqua a temperatura ambiente, immergi al suo interno la frisella per pochi e poi spezzala grossolanamente in una zuppiera. Ripeti lo stesso procedimento con le altre friselle. 5. Aggiungi la cipolla tagliata ad anelli, il cetriolo sbucciato e tagliato a fette e i restatnti pomodorini freschi tagliati a metà e mischia bene gli ingredienti. 6. Aggiungi i pomodorini arrostiti e una parte del liquido di cottura e mescola delicatamente. 7. Aggiusta di olio, sale e pepe. Per arricchirla ancora di più nel sapore, al momento del servizio su ogni piatto puoi aggiungere due o tre foglie di basilico. Mariangela Ibba
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SPECIALE PESCE - RICETTA di MARIANGEL IBBA
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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di MICHELA BONGIORNI
TROFIE CON SALSICCIA E V E R D U R E G R I G L I AT E
Tra la dietetica insalata e la frittata di maccheroni, scegli la via di mezzo. La scena ve la ricordate, vero? Sapore di mare, capolavoro del 1983 firmato dai fratelli Vanzina che racconta le estati degli italiani negli anni ‘60, a Forte dei Marmi. Marina Suma e Jerry Calà sono in spiaggia, si stanno conoscendo. Mentre lei vuol fare la parte della figlia di genitori ricchi e moderni, la madre da sotto l’ombrellone la chiama a gran voce perché è pronta calda calda la frittata di maccheroni. La reazione della povera Marina è un misto di rifiuto e imbarazzo. In effetti, la tradizione di portarsi pranzi pantagruelici in spiaggia o ai pic nic è durata fino a tutti gli anni ‘80. A onor del vero, nella mia famiglia abbiamo sempre optato per un banale panino, ma mi ricordo i vicini di ombrellone che, allo scoccare dell’ora di pranzo, iniziavano le operazioni di vettovagliamento, con sedie, tavoli e apparecchiature complete che Csaba dalla Zorza te spicciava casa. E poi tiravano fuori dai cestini qualunque cosa; il pranzo di Natale al confronto era una pallida imitazione. Questa tradizione, che oggi ricordiamo con cara, celeste nostalgia grazie al quel galantuomo del tempo che tutto addolcisce, allora era considerata da veri buzzurri e, dagli anni ‘90, fu fortemente contrastata dalle nuove generazioni. Nacque quindi il periodo dei pranzi leggeri e rinfrescanti: yugurt, insalata, qualche cracker. Al massimo era concesso un panino ma col prosciutto crudo, possibilmente senza grasso, ché col salame già era una volgarità. Eppure, cosa c’è di più bello del gustarsi un pranzo all’aperto con gli amici e la famiglia, mangiando bene senza doversi mortificare nel cuore e nello spirito con lo yogurt e i cracker di riso? Onde evitare l’effetto pranzo di Natale, con lasagne al ragù e parmigiana di melanzane che poi devi aspettare tre ore prima di fare il bagno, o l’effetto stantìo tipico della mensa, con paste stracotte nei thermos e fettine panate unte e flaccide, la soluzione perfetta è quella di preparare una pasta come quella che vi descrivo oggi. Ottima se fatta al momento, avendo a disposizione un wok e un kettle, ma anche perfetta da portarsi già pronta in spiaggia. È, infatti, un primo passe-partout,
facile da realizzare, gustoso e saporito, buonissimo sia caldo che a temperatura ambiente, che piace a grandi e piccoli. E sono sicura che sarebbe piaciuto anche a Marina: avrebbe invitato Jerry Calà a mangiare con lei e la loro storia sarebbe durata per sempre. Preparazione: 1. Predisponete il kettle per una cottura diretta, col carbone al centro della griglia; 2. tagliate le verdure a fette alte un centimetro, spennellatele con l’olio e grigliatele in diretta; 3. appena saranno pronte, tagliatele grossolanamente, conditele con olio, aceto sale e pepe e tenetele da parte; 4. posizionate il wok nell’apposito spazio in griglia o comunque sopra la fonte di calore; 5. spellate le salsicce e riducetele a pezzetti non troppo piccoli: quando il wok sarà ben caldo versateci dentro un cucchiaio d’olio e i pezzettoni di salsiccia. Fateli rosolare bene, poi toglieteli e teneteli da parte; 6. buttate nell'olio e nel grasso della salsiccia uno spicchio d’aglio e asciatelo imbiondire. Poi toglietelo e versate le trofie fresche, con due mestoli di brodo caldo; 7. aggiustate di sale e di pepe e poi continuante la cottura della pasta in questo modo, aggiungendo man mano il brodo, e girandola continuamente facendo attenzione che non si attacchi; 8. Verso la fine della cottura, unite di nuovo la salsiccia alla pasta, con due cucchiai abbondanti di olio extravergine d’oliva; 9. Quando sarà cotta, togliete il wok dal fuoco, unite alla pasta le verdure grigliate e mescolate bene. Aggiustate di sale e di pepe e portate il wok in tavola. Come dicevo prima, è buona sia calda che a temperatura ambiente. È bella da vedere e facile da preparare. Va bene per le grigliate di ferragosto ed è perfetta da portare al mare se preparata il giorno prima. Chiamate Marina, che è pronto! Michela Bongiorni AGOSTO 2019
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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di LUCA GALLOZZA
SMOKED LO U I SV I L L E CHICKEN WINGS Piccola cosa, gusto enorme
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BBQ4All MAGAZINE
SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di LUCA GALLOZZA “ Ehi papà, guarda, un pollo”. Così recitava un piccolo attore televisivo circa 30 anni fa alla presenza di un pollo, presentato sulla tavola in maniera egregia grazie agli effetti ricevuti da un dado di carne. Ma tu, dopo trent’anni, riusciresti a meravigliare allo stesso modo tuo figlio o chiunque altro si sieda alla tua tavola, presentandogli del pollo? Ti rispondo di sì, e senza utilizzare nessuno dado di carne per questa preparazione: dovrai limitarti a seguire le istruzioni che ti riporterò qui sotto per ottenere delle fantastiche ali di pollo affumicate. Grazie alla ricetta che ti sto per presentare, le tue probabilità di successo si alzeranno e son sicuro che riuscirai a meritarti anche tu l’esclamazione di gioia dei tuoi piccoli assaggiatori di fiducia. Parliamo di ali di pollo affumicate al melo, ricoperte di rub e insaporite da una gustosissima marinatura. Le alette di pollo richiedono inizialmente una pulitura dal piumaggio superficiale che va fiammeggiato con un cannello o su un fornello a fiamma viva. Successivamente, va asportata la parte finale dell’aletta, quella facente parte del metacarpo e delle falangi, che non servirà in cottura. Si procede quindi con un seasoning di spezie ed infine con una marinatura, prima di cuocerle. Vediamo nel dettaglio come farle. Procedimento: 1. Condisci in un recipiente di vetro le alette con il Tennessee Mild Dry Rub BBQ4ALL. Lasciale riposare per almeno mezz’ora. 2. Sciogli il burro in un pentolino. Aggiungi la senape, il concentrato di pomodoro, l’aglio tritato,
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il succo di limone e lo zucchero di canna. Mescolando con una frusta, cuoci fino ad ottenere una salsa consistente e cremosa. Aggiungi il bourbon e fai evaporare l’alcol per qualche minuto a fiamma alta. Fai raffreddare la marinatura. Uniscila alle alette nel recipiente. Lasciale a marinare in frigo, per almeno 4 ore o tutta la notte nel recipiente di vetro, coperte dalla pellicola. Rimescola ogni tanto. Setta il tuo dispositivo per la cottura indiretta, stabilizzandolo a circa 170°C. Sgocciola le alette di pollo dalla marinatura e posizionale sulla griglia in cottura indiretta, senza far caso all’eccesso di
marinatura. Aggiungi il tuo legno aromatizzato preferito e affumica lentamente per 40 minuti. 8. A fine cottura passale in diretta per rendere la pelle croccante e, a piacere, glassale con salsa barbecue. 9. Servi su un grosso piatto, spolverando con erba cipollina sminuzzata. Un piatto da leccarsi le dita e imbrattarsi le mani. Da accompagnare con patatine fritte e birra gelata. Da pucciare in tutte le salse. Da consumare sul divano davanti ad un bel film. Da realizzare in un fuoriporta con gli amici. Qualcosa che farà felice i vostri figli: vi litigherete le alette con loro! Luca Gallozza
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BBQ4All MAGAZINE
SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di LUCA GALLOZZA
B RAC I O LE M A R I N AT E A L LO Z E N Z E R O Com’è bello fare il maiale da Trieste in giù! Estate, mare, sole e voglia di fare barbecue. Ferragosto si avvicina e tu già stai pensando al menù adatto. Dove sarai? In spiaggia, in montagna? Seduto sul bordo di una bella piscina in un agriturismo? In ogni caso, dovunque tu sarai, non potrai fare a meno di accendere il carbone, anche se le temperature, diciamolo, non aiutano. Ma tu sei un temerario. Tra le classiche e immancabili preparazioni tipiche di queste occasioni ci sono sicuramente le braciole di maiale. Taglio più comunemente richiesto in Italia, ricavato dal carrè del suino; anatomicamente collocato al centro della lombata, tra capocollo e nodino, e contenente l’osso. La sua carne è tendenzialmente magra e approda nelle mani del griller come una vera prova del fuoco, a causa dell’ardua impresa di renderla, al cuore, sia tenera che succosa. Per questo ora andremo a vedere come si può ottenere una bistecca di maiale che ti farà sbrillucicare gli occhi e amplificare la salivazione. Il taglio? Abbandoniamo la fettina sottile e striminzita e procuriamoci una bella braciola alta più o meno tre dita. Ops, riformulo, alta almeno 4 cm. Predisponiamo il nostro dispositivo per una cottura indiretta.
Applichiamo al nostro pezzo di 7. Appena otterrete una perfetta carne, una bella marinatura saporita. reazione di Maillard, proseguite Questi tre elementi sono la base per la cottura della vostra carne in arrivare all’obiettivo: carne tenera, indiretta, chiudendo il coperchio gustosa e succulenta. del dispositivo, sino ad una temperatura al cuore di 70° C. Procedimento: 8. Togliete dalla griglia e lasciate 1. In una ciotola capiente, realizzate in rest (a riposo) per circa dieci la marinatura; inserite il burro, minuti. Il carryover (l’inerzia precedentemente fuso, il succo termica) farà il resto del lavoro, d’ananas, lo zenzero grattugiato, portando la vostra carne alla l’aceto di mele, la senape e il temperatura di riferimento di sale. Con l’ausilio di una frusta, 72°C. mescolate bene gli ingredienti sino ad ottenere un’emulsione Come possiamo capire se il nostro liscia e cremosa, ma sopratutto obiettivo è stato centrato ? Al taglio ben legata. e al morso. 2. Utilizzando un sacchetto da frigo Ma anche la vista sarà più che o un contenitore, ricoprite piacevole. Una bella bistecca di le braciole interamente con maiale, alta e umida invece che la marinatura ottenuta. una suola di scarpe rinsecchita e Aggiungete lo zenzero bianchiccia. Pronta da scaloppare grattugiato e i grani di pepe. e accompagnare con le più svariate 3. Lasciate riposare in frigo per salse. Vi consiglio di prendere una almeno 2 ore. bella mela verde Granny Smith, 4. Settate il vostro dispositivo di affettarla a rondelle da 1 cm, di per una cottura indiretta con bagnarla poi con del limoncello e temperatura in griglia sui 180°C di spolverarla con lo zucchero di 5. Dopo almeno due ore, sgocciolate canna. Gratinate le fette in diretta bene le vostre braciole dalla sino a renderle cedevoli e, con l’aiuto marinatura e asciugatele bene. di una paletta da cucina, toglietele e Cospargete un velo di olio di adagiatele sul piatto come fondo semi da ambo i lati. per servire le vostre belle braciole di 6. Sistemate le vostre braciole in maiale. griglia per una cottura diretta, sino al formarsi delle grill marks e di Luca Gallozza una cauterizzazione superficiale. AGOSTO 2019
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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO di MICHELE CHIPA
Rosticciana
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fantastica E DOVE TROVARLA
Tra le protagoniste indiscusse di ogni grigliata che si rispetti, spicca senza dubbio alcuno la rosticciana (o rostinciana come diciamo qui in Toscana). Il costato di maiale ha due caratteristiche fondamentali: presenza di grasso e di una grande quantità di collagene (i muscoli intercostali sono continuamente sollecitati dalla respirazione). Questo lo rende un taglio saporito e succulento, quindi perfetto da grigliare. A patto, però, di saperlo trattare come merita. Quante volte vi è capitato di ritrovarvi con un pezzo di carne A
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carbonizzato fuori e crudo dentro? Quante volte avete combattuto con fiammate alte un metro per la colatura del grasso? Per non parlare poi di quei simpatici brandelli immasticabili che si incastrano sempre fra i denti con grande gioia del nostro igienista dentale. Se vi siete stancati di subire tutto questo, proseguite nella lettura dell’articolo dove vi darò dei consigli preziosi per evitare gli errori più comuni.
la carne e/o di carbonizzarla. La gestione delle costine singole è problematica: andranno girate spesso per preservare il maggior numero di succhi e per evitare bruciature. E io vi voglio proprio vedere a dover gestire in comodità 20/30 costine singole piuttosto che 2/3 costati!
Carne carbonizzata fuori e cruda dentro: “che ci vuole a grigliare un pezzo di rosticciana? È veramente semplice! Basta prenderlo e buttarlo Tagliare singolarmente le costine: sulla griglia! Più calore c’è, meglio è!” separare ogni costina equivale ad Ecco, questo è il più comune degli incrementare in progressione errori. Porta a una carne cotta male, geometrica il rischio di seccarne dura, immangiabile, a volte mezza
SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO di MICHELE CHIPA cruda dentro e dal caratteristico sapore di bruciato. Abbiamo tre strade per evitare questo problema: una cottura diretta dolce ed alta, una cottura ibrida (diretta + foil) ed una cottura completamente indiretta. Nel primo caso, dobbiamo creare uno strato di brace ben accesa e con assenza di fiamma, poi predisporre una safe zone ove spostare la carne in caso di fiammate e infine posizionare la griglia ad almeno 40 cm dalla brace. In questo modo potremo rallentare la cottura dell’esterno per evitare carbonizzazioni parziali ed arrivare ad una perfetta cottura al cuore. È la cottura che più si avvicina al concetto di grigliata tradizionale. Quella per gli irriducibili della braciata all’italiana, che ancora non hanno provato le due cotture a seguire. Il secondo metodo, infatti, una volta provato vi farà cambiare tutte le vostre convinzioni: utilizzeremo la tecnica del foil per arrivare allo scioglimento del collagene. Dobbiamo inizialmente provocare la reazione di Maillard con la cottura diretta e poi mettere in foil (doppio strato di alluminio ben chiuso) aggiungendo un po’ di liquido (aceto di mele, brodo, acqua). Nel foil avverrà la magia dello scioglimento del collagene. Accertiamoci del grado di cottura con lo stuzzicadenti o con la punta di una sonda: quando entrerà senza opporre resistenza saremo pronti. Rimettiamo la carne in diretta per asciugare la crosticina eliminando l’effetto “bollito” e serviamo. Questa tecnica ha il vantaggio di avvicinarsi al risultato di una cottura indiretta ma è fattibile anche da chi non possiede un bbq con coperchio
nonostante la temperatura più bassa, avrà molto più tempo a disposizione per avvenire. Con questa tecnica avremo lo scioglimento perfetto del collagene ed una carne estremamente morbida e succosa. Basterà condire la propria rosticciana con olio e spezie e poi posizionarla in cottura indiretta ad una temperatura abbastanza alta rispetto al normale low&slow, sui 150 gradi, e poi chiudere il coperchio del vostro dispositivo: quando sarà morbida e cedevole al tatto potrete farle un veloce passaggio in diretta. (basta posizionare il foil in cottura diretta, magari schermandolo con uno strato in più di alluminio oppure in una leccarda o ancora aumentando la distanza fra griglia e braci). Nel terzo caso ci allontaneremo completamente dal concetto di grigliata tradizionale. La cottura avverrà esclusivamente per convezione e impiegando un tempo maggiore rispetto alle due precedenti tecniche. La reazione di Maillard ci sarà comunque perché,
Fiammate alte un metro: “più la fiamma è alta e prima si cuoce! La fiamma da sapore e anche un po’ di amarognolo ci vuole! Senza fiamma non è griglia!”. Le fiammate in griglia rappresentano l’esaltazione del maschio alfa. Dominarle è un modo di affermare il proprio ruolo di grigliatore ed essere rispettato dai commensali. In realtà è il miglior modo per rilasciare sostanze chimiche tossiche e per incrementare il proprio cattivo odore per le due settimane successive. Le fiamme non servono a niente, anzi, fanno solo danni. Ricordatevelo! Non c’è nessun vantaggio nella loro presenza ma solo svantaggi. Per evitarle è necessario predisporre una safe zone dove posizionare la carne in caso si creassero, utilizzare il coperchio per sopirle o passare direttamente alla cottura indiretta (se il vostro dispositivo lo consente). Brandelli di carne immasticabili: questi pezzettini di carne malefici non sono altro che la pleura parietale. Si tratta di una membrana AGOSTO 2019
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adesa alla cassa toracica che offre una prima protezione agli organi respiratori. Se questa non viene rimossa, diventerà del tessuto immasticabile, estremamente tenace e che non conferirà sapore. La rimozione della pleura è una operazione relativamente semplice: si prende il costato e lo si posiziona su un tagliere con le ossa verso l’alto. Partendo da una delle estremità, inseriamo il manico di un cucchiaino o di un coltello con punta arrotondata tra l’osso e la membrana. Cerchiamo di fare leva per alzarne qualche centimetro. Tiriamo il lembo con l’aiuto di carta assorbente per staccarla completamente dal costato. Scegliere un taglio a caso: “da che mondo è mondo la rostinciana è un solo taglio: più grasso è meglio è! Figurati se il mio macellaio si mette a tagliarmi il costato! Che differenza ci sarà mai fra un costato intero ed uno tagliato in più parti, sempre maiale è!”. La scelta del taglio è di fondamentale importanza e questo perché il
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costato di maiale ha caratteristiche differenti a seconda della parte che andremo a grigliare. Il costato di maiale è caratterizzato dalla possibilità di essere sezionato in tre tagli differenti: babyback ribs, St. Louis cut ribs, spare ribs. Le baby back partono dalla spina dorsale e si estendono per circa 10/12cm. È un taglio che comprende anche un pezzo di arista (il taglio che corrisponde alla schiena del maiale) e quindi non economicamente conveniente da ricavare. Proprio per la presenza dell’arista è un taglio più tenero ma che rischia di seccarsi, e quindi va cotto con molta attenzione evitando la cottura diretta. Le St.Louis cut partono dalle babyback e si estendono fino al congiungimento con le cartilagini di fine osso. Questo è un taglio già più facile da ottenere e può essere utilizzato in tutte le tecniche di cottura. Sono più saporite delle precedenti ma richiedono una cottura più lunga, vista la maggior presenza di collagene. Questi primi due tagli, tuttavia, vengono utilizzati dai griller per le ribs all’americana e sono molto più difficili da trovare nelle macellerie
italiane. Spesso si incontra una certa resistenza da parte del macellaio che si rifiuta di tagliare il costato in questi due modi. Le spare ribs invece sono il taglio che normalmente si trova in vendita. Comprendono le St. Louis cut e le rib tips (conosciute da noi come spuntature o puntine) e corrono fino in fondo allo sterno. La carne è concentrata nella zona intercostale e quindi più saporita. Possono essere cotte come le St. Louis cut ma con tempi più lunghi. Ed è proprio questo il taglio più utilizzato per la rosticciana nostrana. Come avrete capito è sconsigliabile utilizzare il costato intero (dalla spina dorsale allo sterno) sia per le caratteristiche differenti di ogni parte, sia perché vi ritrovereste ossa da oltre 30cm da gestire. Ora non vi resta che passare da una rosticciana tragica ad una memorabile! Michele Chipa
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Ribs o Rosticciana?
Le differenze fra i due metodi A
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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di EMILIANO NENCIONI Quante volte ti sei trovato nell’imbarazzo di dover spiegare ai tuoi invitati la differenza fra ribs e rosticciana? Quante volte sei stato vittima dell’eterno disguido fra l’american way e la tradizione mediterranea? Mi avevi invitato promettendomi le costine ma... cos’è questa roba dolciastra e coperta di pomodoro, succosa e morbida? Io sono abituato a quel maiale bello duro, che si incastra nei denti, arido dentro e carbonizzato fuori, non mi vanno queste americanate. No, così non va bene. Devi essere chiaro con gli invitati e con te stesso, ma soprattutto devi essere in grado anche di fare bene la rosticciana, o rostinciana, o ossetti, o in qualsiasi modo il tuo ceppo etnico abbia deciso di chiamare questa preparazione. Vediamo quindi cosa rende diversa la rosticciana all’italiana dalle ribs all’americana (tralasciando il discorso sui tagli, già affrontato prima).
Chipa ti ha elencato nell’articolo a fianco. Quello che ti garantisce un risultato eccellente in relativamente poco tempo e senza particolari difficoltà. Te lo spiegherò passo passo: 1. Inizia togliendo la pleura alle costine (come spiegato nell’articolo accanto);
Prima differenza: il rub e gli aromi La ricerca del rub perfetto per le ribs può essere 2. mescola tutti gli ingredienti per ottenere un considerata un hobby a sé. Solamente per quanto condimento in polvere; riguarda i prodotti commerciali, una semplice ricerca 3. cospargi con un filo d’olio la rosticciana e poi su internet può portarti una quantità ingestibile di spolverizzala bene con il rub ottenuto; risultati. Sono spesso rossi, ricchi di zucchero e con esaltatori di sapidità; gli aromi sono molteplici e molto intensi e strutturati, grazie a un gran numero di spezie. Per la rosticciana tutto questo non ha senso: si rischia l’effetto ti avevo chiesto una rosticciana e vieni fuori con questa americanata con conseguenti malumori vari. O fai le ribs, o fai la rosticciana. E se scegli di fare la seconda, come abbiamo fatto noi in questo numero dedicato alle grigliate estive italianissime, falla bene. Sulla rosticciana sono consentiti olio, sale, pepe, rosmarino. Stop. Attenzione che gli animi dei più ortodossi potrebbero scaldarsi. Seconda differenza: la cottura 4. accendi il dispositivo e inizia con una cottura Dire che per fare delle ottime ribs bisogna far lavorare indiretta anche piuttosto calda e non appena la uno smoker in low & slow per diverse ore mentre la carne inizia ad essere penetrabile con uno stecchino rosticciana va scaraventata sulle fiamme fino a quando avvolgila, assieme a qualche centilitro d’acqua, nel diventa nera sarebbe troppo facile e violerebbe ogni foglio d’alluminio (foil); precetto di ricerca della perfezione di BBQ4All. Per 5. continua in cottura indiretta e non appena, cui, se per le ribs è necessaria una cottura indiretta per prendendo il costato con una pinza, noterai una molto tempo, affumicando con legno aromatico, anche certa cedevolezza della carne (il ben noto bend test) per la rosticciana avrai modo di fare una cottura che ti togli l’alluminio e posiziona la pietanza in cottura permetta di valorizzare la carne. diretta; Per realizzare la rosticciana che vedi in queste foto, 6. è qui che il costato diventa rosticciana. Dovrai abbiamo utilizzato uno dei metodi che il buon Michele dosare con cura l’esposizione alla fonte di calore, AGOSTO 2019
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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di EMILIANO NENCIONI abbrustolendo la superficie esterna senza fare vistose bruciature, senza lasciare le fiamme libere di divampare indisturbate. Sempre aiutandoti con una pinza lunga gira spesso la carne, e se necessario spostala in una safe zone (una porzione di griglia senza brace sotto) se perdi il controllo delle fiamme; 7. anche in questo caso il tuo obiettivo è la reazione di Maillard. Il colore deve essere bruno, non nero: attento, perché non avrai l’aiuto di rub ricchi di zuccheri (e per fortuna, altrimenti brucerebbero in un attimo con la cottura diretta!) e dovrai aiutarti solo con lo sciogliersi del grasso del costato.
Terza differenza: le salse Delle belle ribs Kansas City style non possono essere omologate come tali senza una glassatura con la salsa barbecue. Anche in questo caso la ricerca della salsa perfetta, o della modifica segreta da fare alla salsa per raggiungere una glassatura hi-gloss che renda le ribs uno “specchio rosso”, può diventare un’ossessione melvilliana. Piccole aggiunte di sciroppo di glucosio a fine cottura sono spesso espedienti usati per rendere la carne una sorta di caramella luccicante e agrodolce: sicuramente non una cosa molto allineata con le consuetudini mediterranee. E per la rosticciana? Niente. O meglio, niente di tutto questo. A cottura ultimata puoi accompagnare la rosticciana con della salsa verde, con della maionese allo yogurt e erbette o con l’intramontabile cazzimperio (preparandoti allo scopo un po’ di aneddotica e mettendo in playlist il celebre La Banda del Pinzimonio di Nicola Piovani). Basta anche una spruzzatina di limone e del prezzemolo tritato finemente. In conclusione, tutte queste differenze portano a un ıA
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importante punto in comune: sia che tu prepari le ribs che tu sia impegnato nella rosticciana, devi ricercare il giusto sapore, il giusto aroma e soprattutto la giusta cottura: la carne deve essere ben cotta (il maiale crudo non piace a nessuno), il grasso morbidissimo e non stucchevole, e le bruciature... beh le bruciature lasciamole a chi fa la grigliata brutta e se ne vanta. Emiliano Nencioni
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È ASSOLUTAMENTE VIETATO USARE RUCOLA E GRANA Bbq4all Steak Burger: un salvacena per fare bella figura anche con ospiti gastrofighetti
SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di EMILIANO NENCIONI C’è una sorta di dannazione personale riservata agli utenti più affezionati della Community BBQ4All: dopo qualche settimana di permanenza sul gruppo, dopo aver affinato le tecniche di cottura, ma soprattutto dopo aver cotto carne del Megastore e aver innalzato la loro consapevolezza in fatto di manzo, i nostri adorati fanatici dello strong beefy flavour non riescono più a mangiare carne al ristorante. Letteralmente. Ordinano qualcosa, scettici, chiedendo al cameriere part time con malcelata crudeltà la razza dell’animale: “Ehm... è scottona.” Parte immediatamente la rancorosa spiegazione su cosa sia in realtà una scottona, il cameriere sbuffa e se ne va, le altre persone al tavolo iniziano a lagnarsi di come non si possa più andare in pace al ristorante a mangiarsi una bella bisteccaccia dura e cotta male, senza dover assistere allo spettacolo di arte varia di un maniaco della frollatura. Ti riconosci? È successo anche a te, confessa. Al ristorante, dai suoceri, dall’amico “col manico” che si vanta di aver grigliato per anni quantità apocalittiche di ciccia. Non se ne esce, non si torna più indietro. Non hai il tasto “unDo”, non puoi caricare il gioco salvato al checkpoint precedente: ormai sei consapevole, sei addestrato, hai una certa soglia da superare per decretare l’accettabilità di un piatto di carne. Ma, a conti fatti, non puoi vivere una quotidianità di ribeye e denver steak. Servirebbe qualcosa di molto piacevole, gustoso ma economico e veloce per spezzare il ritmo fra una ran-ichi e una vegas strip. Soluzione: BBQ4All steak burger. Perfetto.
Metto subito le mani avanti e ti una bella crosticina brunita su dico nella maniera più assertiva che entrambi i lati. conosco che non devi considerarlo 6. Solo per i più funambolici: se come un grosso patty per grossi stai cuocendo su ghisa e non su hamburger. Non in questo caso. griglia prova a mettere lo Steak Consideralo come il manzo più Burger “in piedi” e a farlo ruotare buono che tu possa mangiare con su tutta la sua circonferenza una spesa ridicola, sempre pronto aiutandoti con due palette o all’uso nel suo skin pack, senza osso una pinza: in questa maniera e con il giusto bilanciamento di otterrai una bella reazione di grasso e magro ad ogni morso. Maillard uniforme e visivamente Vediamo dunque come prepararlo a d’impatto su tutto il bordo. mo’ di tagliata. Inutile che ti elenchi 7. Metti il patty su un tagliere e con gli ingredienti: basta un BBQ4All un coltello affilato taglialo a fette Steak Burger, olio extravergine di di 6 - 7mm. oliva e sale Maldon. 8. Versa un po’ dell’olio più buono extra vergine d’oliva che riesci Procedimento: a procurarti e decora con una 1. Togli il patty dalla confezione e pioggerella di cristalli di sale inizia ad asciugarlo con la carta Maldon (attenzione: usa il assorbente, fino a quando non Maldon solo per la componente riuscirà più a rendere umido croccante, non per arricchire di neanche un velo della carta. sale, perchè lo Steak Burger ha 2. Cospargilo con un velo d’olio, già la giusta sapidità). utile per veicolare il calore e Pro Tip: per esaltare il sapore di aiutare la reazione di Maillard manzo e avvicinarsi quanto più sulla superficie. possibile alla degustazione di 3. Dai massimo sfogo alla tua voglia una bistecca, spolvera un po’ di di giocare col fuoco, portando BBQ4All Rub Montreal sulle fette il tuo dispositivo alla massima ancora calde. temperatura. Puoi servire le tue fette di manzo 4. Puoi usare una griglia per ottenere in una sconfinata varietà di dei bei grillmarks, ma col tempo modi: in purezza con olio e sale, accetterai l’idea che una piastra aggiungendo una vinagrette di olio in ghisa piena, o una padella in e limone, salsando con salsa verde o ghisa, è lo strumento ideale per con guacamole, o con qualsiasi cosa ottenere una fantastica Maillard incontri il tuo gusto. su tutta la superficie della carne. E se, nonostante il divieto, vorrai Oltre a questo, una piastra evita perfino tentare un’operazione che la discreta quantità di grasso nostalgia impiattandolo con la presente nello Steak Burger nefasta rucola e scaglie di Grana, coli e produca fiammate che sappi che non riuscirai a rovinare il potrebbero investire la carne, gusto di manzo neanche con questa rendendo amara la pietanza. tremenda usanza anni ‘90, che spero 5. Con una paletta in metallo dal fortemente cada in completo disuso manico lungo gira più volte il al più presto. patty con cautela e precisione, Emiliano Nencioni senza rovinarlo, fino ad ottenere AGOSTO 2019
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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di MICHELA BONGIORNI
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CHILIdei ribelli
Il piatto messicano più famoso è senza ombra di dubbio il chili. Se qualcuno di voi non l’ha mai assaggiato, vi consiglio di farlo subito: è un delizioso ragù, speziato e piccante, fatto con carne e fagioli. In realtà, è diventato così popolare perché è il re del Tex-Mex, ovvero della fusione fra la cucina messicana e quella del sud degli Stati Uniti. Il chili divenne infatti popolare nel 1800 in Texas, quando veniva venduto per strada da donne di origine messicana chiamate reinas del chili. Successivamente, nel 1893, lo stato del Texas presentò il chili durante l’Esposizione Mondiale di Chicago, facendolo quindi conoscere a tutto il mondo. Originariamente, la versione texana non conteneva fagioli e pomodori: solo carne, peperoncini e spezie. La carne inoltre doveva essere tagliata a cubetti, non macinata, e cotta per ore sui fornelli. Dopo il 1893, però, cominciarono a nascere numerose varianti di questa pietanza, alcune delle quali diventate molto più famose e apprezzate dell’originale. Tutt’oggi i veri texani grastrotalebani storcono il naso di fronte all’idea del pomodoro e dei fagioli nel chili, tuttavia, anche se probabilmente passeranno il tempo a scrivere su Facebook “non chiamatelo chili!” e a indignarsi, la versione ad oggi più popolare (e diciamolo, più buona) prevede proprio l’uso di questi due
ingredienti. Per quanto riguarda stabilizzate il dispositivo a 150 la carne, anche in questo caso il gradi e fate cuocere per un’oretta tradizionale uso dello spezzatino e mezzo. è stato via via sostituto dall’uso di 5. Trascorso il tempo necessario, carne macinata. aggiungete al ragù i fagioli Noi che siamo dei veri ribbbbbelli borlotti, che avrete cotto siamo andati oltre e il chili lo precedentemente, e lasciate abbiamo preparato con i BBQ4All andare per un’altra mezz’ora Burger. facendo attenzione che i fagioli Poi lo abbiamo infilato nelle tortillas non si disfino. e servito con uno shottino di tequila 6. Quando il ragù sarà pronto, bum bum. togliete il tegame dal fuoco e Oh mamma mia, che cosa buona! scaldate le tortillas sulla griglia Da mangiarne un bidone. del kettle, poi riempitele col chili. Non ci credete? E allora vi sfido! 7. Chiudete le tortillas con un filo Ecco la ricetta. di erba cipollina e, se volete, guarnitele con qualche rondella Preparazione: di cipolla fresca. 1. Accendete il dispositivo, 8. Servite con uno shottino (uno predisponetelo per una cottura alla volta!) di tequila bum bum. diretta col carbone al centro della griglia e poi ponete il wok o la Michela Bongiorni cocotte nell’apposito spazio in griglia. 2. Versate un cucchiaio d’olio nel tegame e poi aggiungete I N G REDI EN TI la cipolla rossa e quella bianca PER PERSONED tritate finemente; appena si • DxeQA-B fOea*x_e_E b saranno appassite, aggiungete • U8acLB--aa8cb aE il peperoncino fresco e la carne • U8acLB--a_BffaE macinata degli hamburger • Ba d B_-BOOE b • ædLB6BdB_Le-aOE spezzettati, poi lavoratela bene • U8cxccaBB8c dc e8O_aOB per farla amalgamare e per dLB6BdB_BE rendere il macinato omogeneo. • LeLe_B8c8B_efcBE 3. Dopo pochi istanti, salate • a-e S ^EbE • PeLe^EbE e pepate, e poi aggiungete i • O-BdLB-a^EbE pomodori pelati e il concentrato • OB_O--af di pomodoro. • e_bacLB--8aLe_xa_8_e 4. Chiudete il coperchio, AGOSTO 2019
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IL PEPPER STOUT BEEF? In un delizioso triangolino di focaccia: rivisitazione in chiave bbq d e l f a m o s o Tr a p i z z i n o d i C a l l e g a r i
La tradizione, in cucina, è una cosa forte. Tantissimi cuochi e altrettanti chef passano anni della loro vita a rievocare, proporre e persino a rivisitare i sapori della cucina di casa, quella romantica e storica della nonna e della domenica. Il cibo oggi si è evoluto, vive di esperienze e di emozioni e non più di sola pancia piena; per questo è fondamentale colpire il consumatore, il target della nostra cucina, trasmettendogli lo stesso amore sconfinato che proviamo per questo fantastico mondo. Uno dei modi migliori è senz’altro quello di risvegliare le medesime sensazioni che abbiamo provato da piccoli, quando osservavamo curiosi ed affascinati il pentolone della nonna colmo di polpette al sugo, lingua in salsa verde e pollo alla cacciatora, o vedendo sfrigolare in forno quelle magiche teglie di parmigiana di melanzane o lasagne. È sulla base di questo concetto che, nel 2008, Stefano Callegari ha deciso di portare la cucina di casa sulla pizza. O meglio, NELLA pizza. Nasceva così il Trapizzino, uno dei brand ad oggi più fortunati al mondo: un godurioso angolo di pizza bianca romana a forma di tramezzino, farcito seguendo le più antiche ricette romane, che ha fatto il giro del globo sbarcando (oltre a Roma) anche a Milano, Firenze e New York.
ormai preso una decisiva svolta, altrettanto sentita e caratteristica, che ha inevitabilmente trasformato il nostro modo di vedere il cibo. E che nerd saremmo se non replicassimo questo soffice triangolo di pasta, per poi farcirlo con qualche prelibatezza appena uscita dal nostro affumicatore? Pizza o focaccia?
Il Trapizzino nient’altro è che un impasto di pizza in teglia romana ottenuto miscelando della farina 00 forte con una percentuale minore di farina macinata a pietra di forza contenuta, molto idratato e innescato da una buona percentuale di lievito madre; tali caratteristiche gli consentono di subire un rinvenimento in forno successivo alla cottura, in modo tale che prima del servizio possa disperdere l’umidità eccessiva e riacquistare croccantezza in superficie. La peculiarità di questa preparazione risiede nella sua lievitazione in teglia dopo la stesura; in questa fase il Trapizzino guadagna volume, la struttura diviene più uniforme e l’alveolatura più fine e distribuita. Di fatto, per definizione stiamo parlando di focaccia più che di pizza: la pizza è un qualsivoglia prodotto lievitato che viene steso e infornato al momento, mentre la focaccia beneficia di un’ulteriore lievitazione in teglia. Dopo questo periodo di riposo, Ma la cucina di casa, per noi amanti del barbecue, ha vengono disegnati dei quadrati con un filo d’olio, divisi AGOSTO 2019
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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di ALESSANDREO TREZZI poi grazie a una spatola; in questo modo saranno molto il quantitativo di zuccheri sia sempre presente sia per più semplici da dividere una volta cotti. mantenere attiva la lievitazione, sia per colorare e rendere saporito l’impasto grazie alla reazione di Maillard. Lievito madre o lievito di birra? Il Trapizzino di Callegari è caratterizzato da una A mano o a macchina? percentuale vicina al 30% di lievito madre, un pre- A causa dell’elevata idratazione, per questa preparazione fermento con 200 anni di vita utilizzato da 11 generazioni è consigliabile l’uso di un’impastatrice a spirale, o di panificatori, che ha ricevuto circa 15 anni fa. E tuttavia, almeno di una planetaria dotata di foglia e gancio; specialmente in un ambiente non professionale, il l’aspetto fondamentale infatti è inglobare molta aria lievito madre risulta parecchio complicato da gestire, nell’impasto e formare una maglia glutinica salda, al in quanto richiede continui rinfreschi, temperature fine di ottenere un impasto morbido ma perfettamente e tempi di esercizio ben precisi perché il pH rimanga asciutto. L’alta idratazione, se non gestita in maniera su valori ottimali. I benefici di struttura, proprietà corretta, è un’arma a doppio taglio: l’acqua libera organolettiche e shelf-life restituiti dall’utilizzo di un che rimane all’interno dell’impasto causa problemi buon lievito madre possono essere ottenuti anche sia alla struttura che alla cottura del prodotto finito. mediante l’applicazione di un impasto diretto gestito Se non avete un macchinario tra quelle citati, procedete in maniera impeccabile: al contrario di quanto si pensi, a mano abbassando però l’idratazione dall’80% al 75% infatti, la digeribilità di un prodotto dell’arte bianca per essere sicuri che il risultato sia ben asciutto. Sarà poi non è imputabile all’utilizzo di un agente lievitante ben fondamentale effettuare qualche giro in più di pieghe preciso o dalle ore di maturazione, bensì da una corretta di rinforzo per incordare e per compensare la miglior cottura e da un prodotto ben asciutto, dove gli amidi ossigenazione fornita dall’impastatrice. siano perfettamente gelatinizzati. Visualizziamo quindi l’obiettivo: vogliamo ottenere Il forno un triangolo di pasta croccante all’esterno, con una La pizza in teglia romana classica richiede una forte mollica soffice, sviluppata, dall’alveolatura uniforme e spinta dal basso, che possa passare attraverso il metallo distribuita, evanescente al morso. della teglia e cuocere la base a puntino. La soluzione migliore è ovviamente quella di utilizzare un forno La farina elettrico che vi garantisca la gestione separata di platea È l’ingrediente più importante di tutto il processo, ed è e cielo, impostando la temperatura inferiore a 320-330 bene sceglierlo con cura. Il mix migliore in questo caso °C e quella superiore a 270-280 °C; nel caso di forni con è costituito da una solida base di farina 00 forte (che temperatura di camera e gestione delle potenze potete, conferisce uniformità di gusto, sviluppo e scioglievolezza, invece, impostare la camera a 320-330 °C, platea al 100% elementi imprescindibili in una focaccia), tagliata con e cielo al 30%. una percentuale minore di farina di tipo 1 macinata a Tale preparazione è tuttavia perfettamente replicabile pietra, più debole, che spezzi la tenacità conferita dalla anche con un forno classico da incasso; il modo migliore farina forte e accentui la croccantezza della superficie, in questo caso consiste nel posizionare inizialmente la donando anche un boost di sapore grazie alla parte teglia sul pavimento per sfruttare al massimo la spinta, cruscale. per poi spostarla sotto la resistenza superiore fino a cottura ultimata. L’utilizzo del forno a legna, in questi Il malto casi, è sconsigliabile in quanto una sorgente di calore L’utilizzo del malto nella focaccia ha uno scopo ben puntuale (e non uniforme come nel caso di un elettrico) preciso: lo zucchero prodotto continuamente dalla rende difficile la gestione di un prodotto da teglia. saccarificazione (il processo che trasforma i carboidrati L’importante non è la temperatura, ma la distribuzione in zuccheri semplici) dell’amido contenuto nella farina del calore. con l’aiuto delle amilasi e dalle diastasi (enzimi presenti nella farina come nel malto stesso), fornisce nutrimento La farcitura continuo ai lieviti. Considerando i lunghi tempi di So che vi sta venendo un mezzo trilione di idee per maturazione previsti dal metodo, è fondamentale che farcire i vostri soffici triangolini di pasta, ve lo leggo A
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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di ALESSANDREO TREZZI negli occhi. Noi ve ne diamo comunque una, giusto per accrescere la vostra già copiosa acquolina: succosi e profumati sfilacci di Pepper Stout Beef accompagnati da una fresca coleslow con mela verde e maionese allo yogurt. Nato come rivisitazione del classico Irish Stout Beef Stew, lo stufato irlandese di spezzatino di manzo cotto nella birra scusa, il Pepper Stout Beef è un tenace ma saporito pezzo di manzo, affumicato e terminato con verdure in una pentola di ghisa fino allo sfaldamento. La freschezza e la nota piacevolmente acidula dell’insalata spezzerà la parte grassa e complessa del manzo, conferendo equilibrio e forza all’insieme
La Focaccia Impastamento Rovesciate in un recipiente ampio (o nella vasca della vostra impastatrice) tutta la farina, il 75% dell’acqua, il lievito sbriciolato e il malto diastasico; dopo una prima fase in cui gli ingredienti sono stati ben amalgamati, aggiungete l’acqua rimanente poco per volta, attendendo che la quantità precedente sia stata assorbita prima di aggiungerne dell’altra. Aumentate gradualmente la velocità per incordare e asciugare l’impasto, e verso la fine aggiungete il sale; terminate l’impastamento quando l’insieme risulterà liscio, asciutto e setoso e la maglia glutinica si sarà formata. La temperatura interna dovrà essere di almeno 24 °C per permettere ai processi fermentativi e alla maturazione di avere inizio senza particolari ritardi. Date una forma sferica all’impasto e lasciatelo 2 ore a temperatura ambiente per far partire la lievitazione; se lavorate a mano, durante questa fase abbiate cura di dare qualche piega di rinforzo a intervalli di 15-20 minuti.
riponeteli in due recipienti che ne contengano il volume per almeno tre volte. Lasciate il tutto a lievitare per circa 4 ore a una temperatura di 22-24 °C. Stesura Ribaltate un panetto per volta su una superficie piana cosparsa di semola rimacinata di grano duro; infarinate anche la parte superiore della massa e premete con l’ultima falange delle dita, spingendo l’aria che allargherà piano piano l’impasto. Allargate prima i bordi e poi la sezione centrale, fino a quando la forma non sarà indicativamente larga i 2/3 della superficie della teglia; caricate quindi la massa sull’avambraccio, scrollate la farina in eccesso e adagiatela sulla teglia precedentemente spennellata con poco olio; terminate la stesura allargando tutti i lembi e portandoli adiacenti al bordo. Terza lievitazione in teglia Completata la stesura, lasciate lievitare per circa 2 ore a 28-30 °C, in modo che la struttura aumenti di volume e divenga uniforme e vaporosa. Divisione in quadrati Usando l’olio extravergine di oliva, dividete la teglia in 6 parti uguali, e tagliate aiutandovi con un tarocco o una spatola. Prima cottura Preriscaldate il vostro dispositivo a temperatura (330 °C per un forno elettrico professionale, o al massimo in un forno a incasso tradizionale).Cuocete fino a doratura della base e della superficie, per un tempo indicativo che va dagli 8 ai 12 minuti. Terminata la cottura, sfornate la focaccia e adagiatela su una griglia rialzata per farla asciugare e raffreddare, impedendo il raffermamento.
Puntata In questa fase l’impasto matura e la maglia glutinica si stabilizza. Posizionate il tutto in un recipiente dai bordi alti, all’interno del quale l’impasto possa “puntare” contro le pareti e prendere forza,crescendo verticalmente. Mettete in frigorifero per 18-24 ore a una Ingredienti temperatura di 6°C. Per il rub: • 1 parte di sale; Staglio e appretto • 1 parte di pepe; Circa 6 ore prima della cottura togliete dal frigorifero • 1/3 di parte di aglio in polvere. e dividete l’impasto in due parti uguali; formateli e
Il Pepper Stout Beef
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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di ALESSANDREO TREZZI Per il Pepper Stout Beef • fette da 1 kg di reale di manzo disossato vicino al collo (chuck roll); • 6 peperoni; • 3 cipolle rosse; • 1 carota;-½ tazza di salsa Worcestershire; • 1 tazza di olio di oliva; • 4 lattine di birra Guinness; • Tabasco q.b. Preparazione: 1. Con un coltello affilato rimuovete eventuali cartilagini superficiali e la parte di grasso più dura che non si scioglierebbe in cottura. Tagliate il reale a fette, miscelate gli ingredienti del rub, cospargete la carne con un velo di salsa Worcestershire e fate aderire il misto di spezie. 2. Stabilizzate il vostro dispositivo per una cottura indiretta a 110 °C; disponete la carne sulla griglia e affumicatela lentamente con qualche chunk di hickory, fino alla formazione del bark. 3. Tagliate a listarelle tutta la verdura e versatela nella pentola insieme all’olio, alla salsa Worcestershire, a un pizzico di sale, di pepe e a qualche goccia di Tabasco. 4. Una volta che il bark si sarà formato, mettete la carne sopra alle verdure e versate la birra calda. Chiudete la pentola e mettete in cottura lenta fino a quando la carne non inizierà a sfaldarsi, raggiungendo indicativamente la temperatura interna di 98 °C.
La Coleslow Ingredienti • 50 g di pan di zucchero; • 50 g di radicchio; • 50 g di porro; • 50 g di carote; • 50 g di mela verde; • 50g di maionese leggera; • 50 g di yogurt bianco. • succo di lime q.b.; • menta fresca q.b.
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Preparazione dell’insalata 1. Tagliate a julienne le carote, e tritate finemente il pan di zucchero, il radicchio e il porro. 2. Tagliate a listarelle la mela verde, mischiate maionese e yogurt con una frusta e unite tutto in un’insalatiera. 3. La coleslow deve essere preparata al momento, perché tutti gli ingredienti mantengano la loro freschezza e la mela verde non annerisca. Potete aggiustare a piacimento con poco succo di lime piastrato e della menta fresca tritata Servizio Riscaldate per qualche minuto i vostri tranci a 200 °C, finché la superficie non avrà riacquistato una consistenza croccante, disperdendo l’umidità in eccesso assorbita dalla focaccia durante il raffreddamento. Si tratta di un passaggio classico, tradizionalmente eseguito nei banchi di pizza romana, che consente a tale prodotto di migliorare notevolmente le sue caratteristiche; l’idratazione elevata, se ben gestita, aiuta a mantenere perfettamente la pizza anche dopo due passaggi in forno. Aiutandovi con una forbice, tagliate lungo la diagonale e ricavate poi una tasca sezionando la mollica. Farcite quindi i triangolini con la coleslow e una generosa dose di profumatissimi sfilacci di Pepper Stout Beef. Sbranate, sporcatevi, godete. Alessandro Trezzi
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Un biglietto di sola andata per
Porto Rico Crostata con crema di cocco ricoperta di ananas grigliato
Oltre all’immancabile tormentone musicale, l’estate porta con sé anche la passione per la frutta esotica che, con i suoi colori sgargianti, il profumo ammaliante, il sapore intenso e la peculiare succosità, è uno dei simboli delle vacanze al mare. Durante i mesi invernali, la sola fragranza ci fa desiderare che la bella stagione arrivi il più velocemente possibile; nel corso del periodo estivo, col suo gusto rinfrescante accompagnato da tonnellate di ghiaccio, è tra le poche cose che ci regala momenti di refrigerio dalle insopportabili temperature. Infatti con il cocco, il lime, il mango, la papaya e l’ananas si creano deliziosi cocktail, variegate macedonie, squisiti gelati e golose torte fredde. Nonostante il gusto della frutta esotica sia già buonissimo, se accostato al mondo del barbecue A
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può diventare straordinario e te lo dimostro con questa ricetta: una crostata farcita con crema di cocco profumata al lime, arricchita nel sapore da fette di ananas grigliato. Una Piña Colada da mangiare, in pratica. La freschezza della crema, la cui leggera nota acida esalta la delicatezza del cocco, si abbina alla perfezione con l’aroma deciso e zuccherino dell’ananas grigliato, creando un’armonia di sapori interessante. Infatti, grazie al calore della griglia, la frutta acquista un’intonazione di gusto più marcata, perché l’elevata temperatura causa l’evaporazione parziale dell’acqua presente all’interno dell’alimento, concentrandone l’aroma e favorendo la caramellizzazione della superficie esterna e intensificandone ancora di più la dolcezza. Ti assicuro, anche questa volta stupirai gli amici dimostrando che
dalle fiamme del barbecue può nascere un dolce fresco e ottimo per le calde giornate estive. Preparazione 1. In un recipiente versa la farina setacciata, il burro freddo tagliato a dadini, 65g di zucchero e i tuorli. Lavora l’impasto con le mani fino a quando non hai ottenuto una palla liscia e compatta. 2. Avvolgi la pasta frolla nella pellicola alimentare e mettila in frigo per almeno 30 minuti. 3. Passato questo tempo, prendi la pasta dal frigo e con un mattarello tirala sottilmente. 4. Prendi una teglia col bordo liscio non troppo alto e foderala con la pasta frolla che hai appena steso. Rifila i margini della pasta con un coltello. 5. Prepara il dispositivo per una cottura indiretta a 180°C.
SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di MARIANGELA IBBA
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togli il pentolino dal fuoco 13. Prepara il dispositivo per una 6. Buca con una forchetta la base continuando per qualche cottura diretta. della frolla, copri con la carta secondo a girare la crema. 14. Spolvera le fette dell’ananas su forno e poni sopra delle sfere di la crema è entrambi i lati con dello zucchero ceramica (riso o fagioli secchi) 10. Quando completamente raffreddata di canna e ponile direttamente perché durante la cottura la base aggiungi il succo e la scorza sulla griglia sopra le braci, rimanga omogenea. grattugiata di un lime e mescola qualche minuto per lato. Sono 7. Poni la tortiera in cottura sulla bene. pronte quando entrambe le facce griglia dalla parte opposta delle sono leggermente imbiondite. braci. Dopo una decina di minuti 11. Sforma la crostata con delicatezza e al suo interno versa la crema di 15. Fai raffreddare totalmente la base sarà pronta. Toglila dal cocco e riponila per 2-3 ore in l’ananas su un vassoio ricoperto dispositivo e lasciala freddare. frigo perché rassodi. di carta forno. 8. Prepara la crema. In un pentolino versa il latte, lo 12. È arrivato il momento di pulire 16. Prendi la torta e decorala secondo l’ananas. Con un coltello affilato il tuo gusto con la frutta grigliata zucchero, l’amido di mais e la taglia la parte alta, a circa un cm e tienila in frigo fino al momento farina di cocco. Ogni volta che dal ciuffo, e la base. Sbucciala del servizio. aggiungi un ingrediente alla senza eliminare troppa polpa parte liquida dai una vigorosa e togli gli "occhietti" del frutto Per aggiungere un tocco aromatico mescolata in modo da evitare la con un coltellino affilato. Per in più su ogni fetta puoi mettere formazione di grumi. rimuovere la parte centrale prendi qualche fogliolina di menta fresca. 9. Poni il pentolino sul fuoco un levatorsoli ed inseriscilo prima medio basso, mescolando da un lato, poi dall’ altro, quindi Mariangela Ibba sempre il composto con la frusta sfilalo. Taglia l’ananas in fette perché non si creino grumi. sottili. Appena arriva a sobbollire AGOSTO 2019
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SPECIALE GRIGLIATA DI FERRAGOSTO - RICETTA di TOMMASO DI GREGORIO
"El vino tinto hace buena sangre, Le origini vaghe della bevanda hanno impedito la sangria lo hace una vera e propria codifica della ricetta e questo ha al diffondersi di una miriade di ricette diverse. espectacular” portato C’è la disputa tra chi usa il rhum e chi usa il brandy; Ricordate la disputa che divide i siciliani sulla ricetta della caponata? (a coloro con la memoria corta consiglio di andare a ripassarsi il numero di aprile) Oggi andremo a trattare un altro argomento che causa dispute familiari nei paesi iberici: la Sangria Non ne esiste una ricetta codificata e anche le sue origini non sono molto chiare. Secondo alcune teorie la bevanda è nata nell’800, nelle campagne, dove i contadini erano soliti allungare il loro vino con frutta e agrumi di stagione per alleggerirlo e renderlo più leggero. Secondo un’altra teoria, sembra che fosse apprezzata, già dalla fine del 1700, nelle Antille, soprattutto dai marinai inglesi. Il ron (o rhum, se parliamo di quello giamaicano) è l’ingrediente indispensabile. Si ipotizza che questa mistura di frutta, miele e vino sia stata ideata proprio per allungare il rhum, in modo da aggirare il divieto fatto ai marinai di berlo liscio, dato il largo consumo che ne facevano e il loro conseguente stato di ebrezza. I marinai, infatti, una volta sbarcati dopo avere sopportato con coraggio i lunghi e noiosi mesi di navigazione, volevano divertirsi e svagarsi, e la proibizione di consumare alcolici non era di loro gradimento; con lo scopo di aggirare la regola, quindi, iniziarono a camuffare il rhum diluendolo con tutto ciò che trovavano a portata di mano. Dentro le giare che contenevano la bevanda alcolica veniva quindi buttato tutto ciò che era reperibile, dal miele alle spezie, dal vino alla frutta. Inoltre mettendo a macerare quest’ultima nell’alcool se ne diminuiva la deperibilità ed era quindi possibile consumarla anche in mare allontanando lo spettro dello scorbuto, malattia letale per gli uomini di mare. Per quel vino aromatizzato con frutta, cannella e ron caraibico, nessun nome sembrava più appropriato dello spagnoleggiante sangria, che richiamava il purpureo pulsare sanguigno, passionale e focoso degli spagnoli.
c’è chi lo allunga con gassosa o aranciata; c’è chi, come i catalani, la fa con il vino bianco. L’unica cosa su cui concordano tutti però è che la sangria va preparata con almeno un giorno d’anticipo perché richiede riposo! Ma parliamo appunto del vino. Tralasciando la diatriba tra catalani e il resto della Spagna su quale sia il migliore per fare la sangria, vi consiglio di non sottovalutarne comunque la qualità. In Spagna solitamente vengono usati i vini Grenache, Garnacha o Monastrell, prodotti nella zona della Rioja. Migliore sarà la qualità del vino con cui farete la sangria, migliore sarà il risultato finale. Non fate il tipico errore di comprare un vino scadente per poi sperare di ottenere una buona sangria! Oggi vi propongo una Sangria di stagione, fatta con frutta grigliata, sperando di non indispettire nessun iberico gastro-talebano. A me è piaciuta e oserei anche scommettere che piacerà anche voi. Preparazione 1. Iniziate settando il vostro kettle per una cottura indiretta 2. Tagliate la frutta a pezzetti e mettetela nell’apposito basket per il kettle 3. Grigliate la frutta fino a quando non sarà ben dorata 4. Quando la frutta sarà cotta mettetela in un contenitore sufficientemente grande 5. Aggiungete ora un paio di cucchiaini di zucchero, un bicchiere di rhum e il succo di mezzo limone per ogni litro di vino 6. Mettete quindi le spezie a vostro gradimento 7. Coprite tutto con il vino rosso e mettete a riposare in frigo per almeno una notte 8. Servite facendo in modo che i commensali possano anche aggiungere la frutta a loro piacimento nel bicchiere. Salud! Tommaso Di Gregorio AGOSTO 2019
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PICCOLA GUIDA
L' A RROSTIC INO P E RF ET TO Quando sono stata contattata dalla redazione del Magazine per scrivere un articolo sull’arrosticino perfetto, da abruzzese, ho esultato. Cosa c’è di meglio del poter parlare a ruota libera del cibo che più caratterizza la propria terra? Per noi abruzzesi, infatti, l’arrosticino è un amico. Vuol dire casa, affetti, famiglia. L’unico problema è che è esattamente come noi: forte e gentile, ma testardo. Lo avrete notato: non prendiamo benissimo le varie teorie sul vero arrosticino dei non abruzzofoni. Io però prometto di lasciare da parte tutto ciò che può rendermi troppo gastrotalebana e di parlare dell’arrosticino con tranquillità. Vi fidate? Sebbene tutte le province ne rivendichino la paternità, si dice che sia nato agli inizi del ‘900 tra Villa Celiera e Civitella Casanova, secondo alcuni grazie ai pastori che facevano la transumanza, altri invece danno il merito ai pastori stanziali. La cosa della quale si è certi, però, è che tutto cominciò infilzando dei tocchetti di carne di pecora con dei “ceppi” di legno raccolti sulle rive del fiume Pescara.
Non tutti gli spiedini sono arrosticini e l’arrosticino non è uno spiedino: concedetemi almeno questo! Attualmente in Abruzzo vengono riconosciuti solo due tipi di arrosticino: di carne e di fegato. Il secondo è più facile trovarlo con fegato di vitello, intervallato da grasso ovino, cipolla e alloro (peperoncino per i più temerari, in alcune nuove interessanti rivisitazioni). Se volete davvero gustare l’arrosticino perfetto dovete tuttavia abbandonare i prodotti industriali. Certamente in commercio potrete trovare dei buoni prodotti fatti a macchina (detta cubo) di diverse pezzature (da 20 a 38 gr.) ma l’arrosticino perfetto deve essere fatto a mano. Se non siete della zona potrete tranquillamente provare a farli da soli a casa, intervallando pezzi di polpa a pezzi di grasso. Sebbene quelli di filetto siano i più pregiati, consiglio comunque tagli più gustosi e marezzati, meglio ancora se di pecora ben frollata. Non eccedete con la grandezza: devono essere pochi, intensi bocconi.
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Il grasso è una componente fondamentale: sciogliendosi renderà la carne meno tenace. L’unico accorgimento che mi sento di dare sulla cottura è: utilizzate la canalina (o fornacella), l’attrezzo apposito per farli venire perfetti. Evitate piastre elettriche, forni, padelle e nuovi ammennicoli tecnologici. Si sta parlando dell’arrosticino perfetto, non dell’arrosticino così così. Se ne avete una non è un problema: inventatevela! Utilizzate mattoni, lamiere, quello che la vostra fantasia vi suggerisce, ma cercate assolutamente di incanalare il calore sull’area da cucinare, evitando così spiacevoli incidenti per il ceppo (potrebbe bruciare e rompersi, compromettendo quindi la vostra esperienza). Personalmente preferisco di gran lunga la carbonella alle bricchette. Non c’è un vero e proprio perché, ma se avete la possibilità di partire con della legna d’ulivo l’esperienza diventerà mistica. Aspettate che la vostra brace venga coperta dalla cenere e “ingentilisca” il calore. Disponete quindi gli arrosticini uno di fianco all’altro (il fochista vero li gira di 5 in 5, con una mano sola, ma queste sono sottigliezze). Ricordatevi però che l’arrosticino va girato solo una volta e salato una volta terminata la cottura. Non stracuoceteli. Vi assicuro che, una volta raggiunta la Maillard su entrambi i lati, se avrete sistemato la brace a dovere, saranno cotti a puntino! Sconsiglio vivamente salamoie o dry brining: l’arrosticino è buono perché è semplice, non artefatto. dA
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Deve essere servito ben caldo, quindi se non disponete di un coccio da arrosticini, disponeteli a mazzi in un cartoccio di carta stagnola che copra solo la carne, lasciando i ceppi a vista. Non andrà mai aperto per preservare il calore all’interno: l’arrosticino andrà solo sfilato per venire gustato caldo. Unico accompagnamento possibile, e non parlo dei contorni, è una fetta di pane con olio e sale. Per i più temerari è consentito l’olio piccante. Non parlatemi di limone o verrà fuori la gastrotalebana che è in me! Il limone copre il sapore, per cui, se volete utilizzare un buon salmoriglio, siete liberissimi di farlo ma compromettereste la vostra esperienza. Negli anni in tanti hanno provato a modificare quella che rimane una preparazione semplicissima. Spesso li ho visti impanati e fritti (anatema), oppure accompagnati ad alcune salse. Non mi sento di dissociarmi completamente dal discorso salse ma ribadisco: se fatto alla perfezione deve rimanere così, semplice, perché non ha bisogno di correzioni o di spinte di sapore. Mi sento solo di riportare la variazione sul tema di Massimo Bottura del 2016. Lo chef cucinò l’arrosticino come da tradizione. Sfilò quindi la carne dal ceppo e, invece del pane, utilizzò un bun di riso cotto al vapore, condito con mostarda, balsamico e olio di oliva abruzzese. Che ne dite, lo proviamo? Raffaella Caroprese
MA DOVE LA TROVO? La migliore carne dal mondo, frollata, marezzata e selezionata con cura: tutto questo solo nel
H T T PS : / / M E G ASTO R E . B BQ 4 A L L. I T
VINI ABBINATI a cura di ENIO BERTON
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BERE! abbinamenti consigliati
VALLÉE D’AOSTE CHAMBAVE
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Vallée d’Aoste Chambave Moscato Passito DOC “Prieuré” 2016 La Crotta di Vegneron Crostata con crema di cocco e ananas grigliato
l nostro dessert ci richiede un vino che possa accompagnare la dolcezza degli ingredienti e che sappia sollecitare la leggera acidità dell’ananas e del lime. Il moscato di Chambave fu proposto al re di Francia Carlo VIII nel 1494, questo a testimonianza che la Valle d’Aosta ha sempre avuto una tradizione vinicola raffinatasi sempre più nel corso dei secoli. La cantina di produzione nasce nel 1980 in forma cooperativa; attualmente i soci sono circa 70. Producono le loro uve nelle due denominazioni Chambave e Nus. La filosofia della cooperativa vuole essere radicata al territorio ed alla tradizione, fatta di vitigni autoctoni e di abili viticulteur che lavorano su piccoli appezzamenti abbarbicati sulle pendici della montagna (ad altezze che vanno dai 500 agli 850 metri), dove non è sempre possibile attuare una razionale meccanizzazione delle operazioni di vigna. Il Moscato Passito viene prodotto dai grappoli migliori del moscato bianco, raccolti da metà settembre ai primi di ottobre, e messi ad appassire in appositi graticci in locali arieggiati. Dopo la vinificazione in acciaio, con varie fasi di macerazione a temperatura controllata, viene messo in vasche di acciaio, per un affinamento di 5 mesi con il vino sulla feccia di fermentazione, con frequenti batonnages (rimescolamenti del vino che riportano in superficie la feccia per facilitare il processo di autolisi. utile a favorire la cessione dei componenti aromatici) ed altri 7 mesi sempre in vasche di acciaio. Dal colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, al naso presenta profumi floreali intensi e persistenti sentori di frutta con note di erbe aromatiche di montagna. Al palato risulta dolce, caldo, rotondo con un gusto intenso e con note finali di mandorle e miele. Da servire a 10 gradi in bicchieri tulipano. Uve: 100% Moscato Bianco Zone produzione: Comuni di Chambave, Saint-Denis, Chàtillon e Verrayes Esposizione: zone collinari dai 450 ai 680 slm Grado alcolico: 13,50%
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CHENIN BLANC SAVANHA
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Western Cape WO Chardonnay Savanha 2017 Spier Trofie con salsiccia e verdure grigliate
Le trofie con la salsiccia e le verdure grigliate ci richiedono un vino con una buona acidità per poter apprezzare appieno i profumi delle verdure e pulire il palato dalla nota grassa della carne. Lo Chardonnay è uno dei vitigni più coltivati al mondo. Si trova in tutte le zone del mondo e, oltre ad essere prodotto come vino fermo, è la base dei più rinomati metodi classici francesi ed italiani. Le sue origini sono poco chiare, alcuni lo fanno risalire ai tempi dei greci, ma tutti sono concordi nell’indicare la Borgogna, precisamente nell’abbazia di Pontigny, come il luogo dell’inizio della sua era moderna e della successiva veloce diffusione in tutto il mondo alla fine del XIX secolo. Proprio per le sue caratteristiche, è un vitigno che ben si adatta al Sudafrica e nella cantina Savanha dell’azienda Spier, nella zona vinicola dello Stellenbosch, viene prodotto questo Chardonnay in purezza. La cantina ha origini centenarie, fondata dai naviganti olandesi che posero in Sudafrica la base per i rifornimenti dei convogli navali lungo la via delle Indie. Lo Chardonnay viene prodotto da uve raccolte a mano e scelte accuratamente per una migliore qualità. Dopo il diraspamento, avviene la vinificazione fatta con lieviti selezionati. Il vino rimane in tini di acciaio per due mesi per poi essere imbottigliato e reso disponibile al commercio. Dal colore giallo paglierino intenso, al naso presenta sentori avvolgenti di frutta esotica, ananas in primis, con note agrumate di pompelmo rosa. Al palato risulta ampio, sapido e fresco, ritornano le note agrumate che consentono un ottimo fin di bocca. Da servire a 8/10 gradi in bicchieri tulipano. Uve: 100% Chardonnay Zone produzione: Stellenbosch (Sudafrica) Grado alcolico: 13,50%
CABERNET FRANC
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Friuli Colli Orientali Cabernet Franc DOC 2016 La Roncaia Tagliata di steak burger
Restiamo in Italia e più precisamente in Friuli nella zona del Collio per scegliere il vino da abbinare alla tagliata di steak burger. Il Cabernet Franc è un vitigno originario della penisola balcanica e trapiantato successivamente nella zona di Gironda (Bordeaux). È progenitore del Cabernet Sauvignon, poiché è nato da un incrocio spontaneo nel medioevo con il Sauvignon. Assieme al Merlot creano il famoso taglio bordolese che tanto ha dato ai vini di Bordeaux. Le principali regioni italiane che producono il vino in purezza sono il Veneto, la Toscana ed il Friuli. La cantina Roncaia della famiglia Fantinel ha nel suo passato tutta la straordinaria passione per il vino ed il suo terrorio, (leggete la presentazione sul loro sito). Fondata nel 1998 nel comune di Nimis, su terreni di proprietà di circa 22 ettari, ha diversificato la produzione tra vitigni autoctoni (verduzzo, friulano, refosco dal peduncolo rosso, picolit) e internazionali (merlot, cabernet franc e cabernet sauvignon). Le uve, raccolte e selezionate a mano, subiscono una macerazione di 15 giorni in botti di rovere e, successivamente, il vino viene fatto riposare e maturare in vasche di acciaio per 10 mesi per poi essere imbottigliato e tenuto in posizione coricata per un ulteriore affinamento. Dal colore rosso rubino intenso ,con sfumature violacee, al naso presenta sentori vegetali,erbacei e terrosi; note di frutta rossa fresca appaiono in un secondo momento e successivamente lasciano spazio a note vinose e speziate. Al palato il tannino fresco viene bilanciato da una vivace freschezza su una struttura equilibrata e di corpo. Da servire a 16/18 gradi in bicchieri ampio. Uve: 100% Cabernet Franc Zone produzione: Colli Orientali del Friuli Grado alcolico: 13,00% AGOSTO 2019
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BIRRE CONSIGLIATE a cura di RICCARDO MENICONI
O P P E R BACCO 4 . 7 La grigliata estiva rimane un grande classico anche per il pit master più esperto ed esigente. Nel centro Italia, e soprattutto in Abruzzo, il re della proteina è sicuramente l’arrosticino di pecora. Nel fantastico entroterra abruzzese possiamo trovare un birrificio storico del movimento artigianale italiano. Attivo già dal 2009, Opperbacco ci delizia con una delle sue birre tradizionali, la Golden Ale dal nome didascalico 4.7, che indica il suo grado alcolico. Il colore dorato carico e la schiuma bianco perla preannunciano già la freschezza che si sprigiona avvicinando il naso al bicchiere con sentori agrumati di pompelmo e resinosi di aghi di pino, contornati da sentori di frutta fresca e di leggere note speziate. La bevuta è scorrevole e coerente al naso, con un finale asciutto e leggermente amaro ottimo per ripulire la bocca dai primi dieci arrosticini e prepararsi ai successivi dieci. Vi consiglio di servirla ad una temperatura di 6/8 gradi in una pinta americana. Inoltre, se vi capitasse di passare in quelle zone ad agosto, il mio consiglio è quello di visitare uno dei più grandi e caratteristici festival di birra artigianale, che si svolgerà a pochi chilometri dal birrificio, nel paesino di Castellalto. Lì potrete trovare alcune delle creazioni di Opperbacco e tantissime altre birre di qualità.
C H I POT LE A LE Non tutti possono permettersi vacanze in destinazioni da sogno, ed è proprio per questo che vogliamo regalarvi un volo diretto tra le nuvole del Messico. Con la fantasia, ovviamente. Lo so, state già sognando la siesta nell’aia di una hacienda, all’ombra del vostro sombrero, pasteggiando oziosamente con tacos y chili ed una Chipotle Ale, del birrificio Rogue. Un’american amber Ale alla quale viene aggiunto del peperoncino affumicato chipotle del Cile. Al palato la capsaicina si fa sentire, accompagnata da una base morbida ed affumicata con note tostate e terrose, mentre al naso emergono note speziate, di caramello e malto. La schiuma color avorio, pannosa ma poco persistente, fa da cappello (o meglio, da sombrero) ad una birra dal colore ambrato e carico che ricorda i tramonti di Acapulco. Abbastanza strutturata da abbinare al chili di carne ma anche fresca e leggera con i suoi 5%. Vi consiglio di servirla ad una temperatura di 10 gradi in una pinta americana, anzi due. Visto il formato da 66cl è ottima da condividere con gli amici. Saludos!
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Dopo il temuto “che fai a Capodanno?” e gli infiniti programmi di Pasqua e Pasquetta, 25 Aprile e Primo Maggio, arriva anche il momento di pensare al Ferragosto. Per noi la soluzione è sempre la stessa: fuoco alla carbonella! Siamo noi, gli impavidi amici della griglia, quelli che si immolano per la sazietà e la felicità del gruppo, nonostante i sahariani 40 (e anche 43) gradi all’ombra. Non siamo tipi da cocomero e ghiaccioli, questo lo abbiamo già capito, non a caso bricchette fa rima con alette, e fuoco fa rima con... sete, tanta sete. Ok, no, non fa rima, ma ci siamo capiti lo stesso, giusto? Per i nostri eroi delle feste fuori porta ho pensato ad un’ american IPA tutta all’italiana, direttamente dalla Fabbrica della Birra Perugia, storico vanto del centro Italia fondato nel 1875: la Calibro 7, che deve il suo nome all’utilizzo di sette delle più pregiate varietà di luppolo, provenienti da tutto il mondo, dalla Nuova Zelanda al Giappone. Questa birra è una vera è propria pistola dorata dalla schiuma bianca e compatta, che spara profumi caratteristicamente estivi come pompelmo, ananas, litchi, fiori bianchi e un pizzico di foglia di pomodoro; in bocca inizia con la succosità della frutta, per poi pulire il palato e dissetare con l’amaro delle scorze. Pericolosamente beverina grazie ai suoi 5,5 gradi abv. Vi consiglio di servirla in una pinta americana, ad una temperatura di 8°. Attenzione: la prima birra va sempre a chi griglia!
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INGRE DI EN TI P E R C O C K TA I L • • • • • • • • • • • • •
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COCKTAIL a cura della REDAZIONE
La DrogaRossa del giorno dopo:
BLOODY MARY con i leggendari pomodorini
Il Bloody Mary è un famoso cocktail servito spesso di mattina, perché considerato una cura universale contro i postumi di una bella sbornia. Sulle sue origini ci sono diverse storie, anche se pare quasi certo che sia stato inventato dal 1939 dall’attore George Jessel, a Palm Spring. Tuttavia, sembra che sia del francese Fernand Petiot, barman al New York di Parigi frequentato da molti americani, l’idea di speziarlo e di trasformare quello che era un semplice mix di vodka e succo di pomodoro (in parti uguali) nel celeberrimo cocktail del giorno dopo che tutti conosciamo oggi. Anche sull’origine del nome la storia è incerta, ma l’ipotesi più accreditata è quella che sia stato ispirato dalla Regina Maria I Tudor d’Inghilterra, detta “Maria la sanguinaria” a causa delle violente persecuzioni perpetrate nei confronti dei suoi sudditi durante la metà del sedicesimo secolo. In ogni caso, è uno dei cocktail che più si presta a infinite varianti: ne esiste una col gin al posto della vodka e addirittura una versione giapponese col sake, il Bloody Geisha. Noi abbiamo la nostra: abbiamo sostituito il normale succo di pomodoro con i pomodorini drogarossa prima frullati e poi setacciati. Un boost di sapore che rende questo cocktail veramente irresistibile. Siete pronti quindi a questa nuova drogarossa? Ah, nel caso aveste al vostro tavolo persone che non bevono alcolici, potrete servire la versione light di questo cocktail, quello senza vodka: il Virgin Mary. Accompagnato con i consueti gambi di sedano e qualche crostino di pane, sarà un perfetto aperitivo mangia e bevi che soddisferà tutti. Preparazione: 1. Frullate i pomodorini con un frullatore a immersione e successivamente setacciateli con un colino a maglie finissime; 2. C’è chi shakera e chi preferisce mescolarlo per non far formare la schiuma e per non diluirlo troppo: noi scegliamo di non shakerare. Prendete un mixing glass, il doppio bicchierone completo di beccuccio e mettete in uno dei bicchieroni gli ingredienti, riempitelo con il ghiaccio e passate il tutto delicatamente nell’altro bicchierone. 3. Servite in bicchiere alto con ghiaccio, guarnite con due coste di sedano, due crostini di pane tostato strusciati con uno spicchio d’aglio e conditi con un filo d’olio extravergine di oliva, e infine qualche fettina di lime. La Redazione
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Marinatura UN APPROCCIO SCIENTIFICO
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THE CHEMICAL GRILLERS - RUBRICA a cura di VIRGILIO BRUNETTI La marinatura è sicuramente la tecnica più conosciuta nell’ambito del seasoning e risulta familiare anche ai griller meno esperti. Abbraccia una serie di preparazioni molto eterogenea, infatti l’uso di miscele su base acida è assolutamente comune nella preparazione di molti prodotti (che siano a base di carne, ittici o con verdure) tipici della cucina regionale italiana ed estera. La marinatura è un metodo di conservazione che ha avuto largo uso in passato prima dell’avvento della refrigerazione; aveva lo scopo primario di mantenere nel tempo e rendere anche più gradevoli alimenti deperibili. Nella cucina piemontese e lombarda, il pesce d’acqua dolce dal tipico sapore di fango, veniva preparato in carpione, cioè con una marinata cotta molto saporita a base d’aceto, proprio per rendere gradevole un prodotto che altrimenti sarebbe risultato ostico soprattutto ai palati meno rustici. Nella cucina tradizionale delle città italiane costiere, ritroviamo ancora una moltitudine di preparazioni a base di pesce marinato, anche in questo caso allo scopo di rendere edibile e conservabile il pescato più povero costituito da pesci minuti, spinosi e deperibili nell’arco di poche ore. L’eventuale cottura e l’uso di marinate a base acida sono sempre state usate per rendere stabile questa riserva preziosa di proteine nobili a buon mercato. Ancora oggi nel Salento, soprattutto a Gallipoli, viene preparata la scapece: piccoli pesci chiamati localmente pupiddhri (zerri, boghe e altra minutaglia) fritti con una leggera panatura, poi stratificati in un tino alternati con della mollica di pane imbevuta di aceto e zafferano. Questo pesce, troppo spinoso e abbondante perché possa essere consumato fresco, si conserva in questo modo per mesi ma soprattutto si insaporisce degli ingredienti di una marinata fortemente acida che ha lo scopo di rammollire le lische; l’aceto infatti decalcifica le spine del pesce rendendole più morbide ed elastiche. Anche in Giappone il funazushi viene preparato facendo fermentare per molto tempo pesci di lago particolarmente spinosi con del riso bollito. La lunga fermentazione non fa altro che decomporre il prodotto
rendendolo edibile grazie alla variazione di pH, che avviene durante la degradazione enzimatica del riso ad opera di particolari microorganismi. Nella cucina peruviana troviamo il ceviche, una preparazione a freddo a base di pesce bianco ed ortaggi, marinati con succo di lime. Si utilizzano le marinate a base di vino e aceto per correggere il gusto “selvatico” e la consistenza di alcune carni particolarmente aromatiche come coniglio, agnello e selvaggina. Quindi anche nella cucina tradizionale l’effetto della miscela acida e aromatica ha lo scopo di migliorare le caratteristiche organolettiche di base degli alimenti, aromatizzando il prodotto e contestualmente modificandone la consistenza. Tecnicamente si sfrutta la capacità degli acidi di ossidare e di denaturare le proteine, generando una sorta di cottura chimica a freddo. Una marinatura modifica strutturalmente gli alimenti mediante una vera e propria aggressione chimica, che deve essere accuratamente calibrata e controllata mediante il pH. Proprio per questo motivo, le modalità di azione e l’efficacia di questa tecnica sono per lo più sconosciuti e vengono attuati in modo assolutamente empirico; non esiste inoltre una formulazione standard perché la variabilità delle componenti dipende moltissimo dalla specifica applicazione e dagli effetti che vogliamo ottenere sugli alimenti, quindi è necessario stabilire delle linee guida generali. Una domanda che sicuramente vi siete posti è: quale differenza c’è tra una salamoia e una una marinatura? Nelle salamoie sappiamo che il principio attivo ed efficace è esclusivamente il sale, il quale di fatto è l’unica sostanza capace di modificare profondamente la struttura delle proteine muscolari generando un incremento di sapidità e un’importante ritenzione di liquidi. Nella marinatura, invece, l’effetto è la modificazione della struttura delle proteine, mediante uno stress chimico basato principalmente sul pH della componente acquosa della marinata, circoscritto alla superficie dell’alimento; tutte le altre componenti, aromi e grassi, compartecipano solo alla funzione di insaporimento ed aromatizzazione. In questo contesto solo le marinate che contengono sale apportano modificazioni sulla struttura profonda della carne con effetti sovrapponibili a quelli di una salamoia standard.
La marinatura quindi è una miscela che va ad intervenire in maniera consistente sulla qualità base di una carne, modificando la consistenza, la succosità, la resa in cottura e al taglio. Mentre sulle proteine muscolari non c’è una un particolare vantaggio nell’uso di una marinata rispetto ad una salamoia, sul tessuto connettivo possiamo avere una maggiore risposta lavorando sul pH, sempre tenendo conto che, se la marinatura viene applicata alla carne esclusivamente per immersione, il suo effetto sarà localizzato quasi esclusivamente sulla superficie dell’alimento a diretto contatto della marinatura. È ovvio che tagli anatomici interi e di grosse dimensioni beneficino ben poco degli effetti di una marinatura rispetto a porzioni di carne sezionate in piccoli pezzi. Quindi, affinché una marinata possa agire in profondità su tagli di un certo volume e spessore, è necessario forzare meccanicamente la penetrazione della miscela. Meathead Goldwyn, nel suo Amazing Ribs, ci mostra come alle marinate siano spesso attribuite proprietà del tutto inesistenti e picchia duro soprattutto sulla capacità di penetrazione delle componenti delle marinate nella carne e in altri alimenti, dimostrando come la maggior parte di questi è impermeabile e come gli effetti di denaturazione della frazione acida siano limitati alla sola superficie esposta. Proprio per ıA
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questo, le marinate devono essere aiutate incidendo superficialmente gli alimenti per generare una maggiore superficie esposta, mentre la penetrazione in profondità può essere aumentata solo procedendo con l’iniezione della marinata. Il metodo migliore per formulare una marinatura efficace ed equilibrata secondo amazing Ribs è la regola del S.A.F. dove: • S sta per “salt“ ossia sale: è l’unico componete attivo capace di penetrare profondamente nell’alimento modificando le proteine muscolari e generando un incremento di sapidità e succosità. • A sta per “acid” ossia acido: è la frazione contenente una serie di acidi organici naturali, tra cui l’acido citrico tipico della polpa di molti frutti, l’acido acetico che è frutto della fermentazione acetica dell’alcool etilico e l’acido lattico frutto dalla fermentazione del latte e di alcuni ortaggi. Il pH della base acida può essere rilavato con una comune cartina al tornasole o pHmetro. A differenza del sale le componenti acide hanno un effetto denaturante importante anche sui connettivi, tuttavia bisogna sempre tenere in conto che le marinate per immersione non aggrediscono gli strati profondi dell’alimento e che modificano in maniera sostanziale l’aroma e il gusto della carne ma anche la consistenza.
THE CHEMICAL GRILLERS - RUBRICA a cura di VIRGILIO BRUNETTI • F sta per “flavouring“ ossia aromatizzazione: sono tutti gli elementi che vanno creare il profilo aromatico della vostra marinata. Tutte queste componenti vanno bilanciate con estrema cura in modo da non sovrastare in maniera eccessiva il gusto base dell’alimento. In questa categoria rientrano tutte le spezie e gli aromi che fanno parte dell’arsenale del griller, considerando anche ortaggi, salse (salsa di soia, Worcestershire sauce, Tabasco) e zuccheri. Una marinatura equilibrata dal punto di vista gustativo deve essere un perfetto bilanciamento tra dolce, acido, amaro, salato e umami. Le componenti grasse sono un’altra parte importante che può dare un contributo decisivo alla marinatura: devono essere finemente emulsionate e stabilizzate mediante l’uso di un tensioattivo (lecitine, senape) affinché non ci sia una separazione di fase tra la frazione acquosa e quella grassa. In definitiva una marinata tradizionale si compone da una frazione acquosa, una frazione grassa, una aromatica ed un agente emulsionante. In questo primo capitolo dedicato alle marinate andremo a concentrarci particolarmente sulla componente (bio)chimicamente attiva della marinata. La frazione acquosa della marinata è la componente efficace che interviene in maniera significativa sulle caratteristiche organolettiche dell’alimento e in particolare della carne. Di seguito una classificazione delle marinate in base alle caratteristiche della frazione attiva: 1. Marinate acide con pH pari o inferiore al 4,5. 2. Marinate alcaline con pH superiore uguale a 9. 3. Marinate enzimatiche con basi acide contenenti enzimi proteolitici di derivazione vegetale. 4. Marinate probiotiche acide contenti a alimenti fermentati contenenti batteri vivi e relativi enzimi.
5. Marinate alcooliche contenenti distillati oltre bevande alcooliche. Questa classificazione offre, secondo me, una versione più ampia utilizzando come variabile di riferimento un range di pH non limitato alle sole componenti acide. Per darvi un’idea della variabilità del pH facciamo riferimento ad una serie di sostanze di uso comune: pH 0 acido solforico concentrato pH 1 succhi gastrici pH 2 aceto di vino e succo di limone pH 3 succo d’arancia pH 4 succo di pomodoro e vino pH 5 caffè, birra e yogurt pH 6 saliva e latte vaccino pH 7 acqua pH 8 acqua di mare e salamoie pH 9 soluzione di bicarbonato di sodio pH 10 magnesia (lassativo) pH 11 antiacido gastrico pH 12 detersivi a base di ammoniaca pH 13 candeggina pH 14 soluzione concentrata a base di soda caustica Sia marinate acide che marinate alcaline sono efficaci sull’intenerimento della carne e sono attive sia sul tessuto muscolare che sui connettivi. Vedremo nel prossimo capitolo come impostare correttamente le principali tipologie di marinate e alcuni metodi per poterle rendere maggiormente efficaci. Inoltre vedremo come microorganismi ed enzimi possono essere dei validi alleati nelle tecniche di marinatura. Virgilio Brunetti
C H I E D I LO A L COAC H ... e se uno fosse celiaco, e volesse un pepper stout beef ?
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DAL MEGASTORE CHIEDILO ALLA BRACE AL COACH - RUBRICA - RUBRICA a curaadicura EMILIANO di CARLO NENCIONI TRONO
AGOSTO 2019
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CHIEDILO AL COACH - RUBRICA a cura di CARLO TRONO
Alessandro Jako: se uno fosse celiaco e non trovasse una stout gluten free, come potrebbe ovviare per un pepper stout beef ? Un pepper vino beef ? Un pepper acqua tonica ?
teglia sigillata accuratamente con più strati di alluminio. La carne viene posta su un letto di peperoni affettati ed eventualmente anche cipolle e carote, che renderanno il gusto della preparazione più rotondo. A questo punto la carne viene irrorata con birra Stout (birra scura ad alta fermentazione prodotta con l’aggiunta di percentuali variabili di malto d’orzo tostato e orzo tostato, tipicamente irlandese) fino ad immergerla nel liquido per poco più di metà altezza. Chiuso il coperchio, si procede con la cottura a fuoco basso. Cosa accade in questa fase? Qui avviene la magia! All’interno della pentola la carne viene sottoposta ad un calore più basso di 100°C, che viene trasferito in maniera più efficace rispetto ad un ambiente “a secco” grazie all’immersione del liquido. Questa esposizione a bassa temperatura per un tempo prolungato è l’ideale per sciogliere il connettivo del nostro pezzo di carne, sfaldando quindi le fibre e mantenendo al contempo succosa la preparazione. Il liquido utilizzato nella preparazione, ovvero la birra Stout, aromatizzerà la carne, dando quel classico gusto di malto tostato. Anche in questo frangente non guardiamo il tempo ma come si comporta il nostro pezzo di carne: quando infilando una forchetta e facendola ruotare girerà come in un piatto di spaghetti, allora avremo disciolto tutto il connettivo e saremo pronti all’ultima fase. Nella terza fase, si tira fuori dal fuoco la pentola e con l’aiuto di due forchette si procede a sfaldare completamente la carne, rimescolandola con il liquido rimasto all’interno della pentola, permettendo così alle fibre di riassorbirne una parte. La cosa importante è che la preparazione sia succosa ma non brodosa, quindi se c’è troppo liquido, possiamo rimettere nel nostro dispositivo la pentola senza coperchio stando attenti a non farla seccare troppo. A questo punto, ricapitoliamo brevemente le tre fasi evidenziando cosa accade in ognuna e gli obiettivi da raggiungere. 1. Prima fase: esposizione a calore secco, formazione del bark e affumicatura. 2. Seconda fase: immersione nel liquido, scioglimento del connettivo e caratterizzazione aromatica della preparazione. 3. Terza fase: sfaldamento della carne e finitura.
Risponde il coach Carlo Trono: Ciao Alessandro, prima di rispondere alla tua domanda, permettimi una breve premessa: durante i corsi Grill to Perfection e Smoke to Perfection della BBQ4All University, così come in tutti i materiali proposti da BBQ4All, le preparazioni riportate non sono solo delle ricette di sicuro successo, ma costituiscono degli strumenti didattici pensati per far comprendere, attraverso l’esempio pratico, tecniche e procedure finalizzate ad ottenere dei determinati obiettivi con un alimento. Questo è alla base del Metodo BBQ4All: far raggiungere ai corsisti una piena consapevolezza su cosa accade applicando delle scelte precise, permettendo quindi di ottenere sempre i risultati desiderati al variare delle condizioni. Prendiamo la preparazione al quale sei interessato, il Pepper Stout Beef, e proviamo insieme a smontarla nelle sue fasi: possiamo determinare tre passaggi in sequenza. Nella prima fase, un grande pezzo di carne ricco di connettivo viene posto all’interno del dispositivo, quest’ultimo configurato per una cottura lunga e stabilizzato ad una temperatura tra i 110° e i 130°C, in presenza di fumo aromatico. In questa prima fase, gli obiettivi sono trasformare il rub (in genere sale, pepe, aglio e cipolla) in un solido bark, nonché dare la giusta quantità di aroma affumicato alla carne. Non serve guardare l’orologio, al massimo possiamo controllare tramite un termometro a sonda il raggiungimento di una temperatura al cuore di 72°C. La cosa più importante in questa prima fare è osservare la nostra carne: quando avrà un bark solido, che non rimane sul dito quando viene toccato, allora potremo passare alla fase successiva. Nella seconda fase, il pezzo di carne viene posto all’interno di una pentola (l’ideale è la cocotte in ghisa smaltata, o un’altra pentola tipo "dutch oven", con un Ritorniamo a questo punto alla domanda iniziale: coperchio pesante che possa impedire la fuoriuscita di se non posso usare la birra Stout perché ho un vapore) oppure, in mancanza di questo utensile, in una commensale intollerante al glutine, posso cambiare ıA
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CHIEDILO CHIEDILO AL COACH AL COACH - RUBRICA - RUBRICA a curaadicura EMILIANO di CARLO NENCIONI TRONO questo elemento? Certamente. Nel momento in cui sono consapevole dell’apporto di questo ingrediente alla preparazione, posso variarlo ricercando soluzioni che mi permettono di ottenere il risultato desiderato. La birra in questa preparazione serve come vettore del calore, come reidratante per la carne e come elemento caratterizzante dal punto di vista del gusto. Per sopperire alle prime due funzioni, è sufficiente utilizzare qualunque liquido, anche della semplice acqua, magari leggermente acidulata con aceto per rendere più efficace la degradazione proteica del connettivo. Per quanto riguarda la terza funzione, ovvero la caratterizzazione gustativa della preparazione, lì possiamo veramente sbizzarrirci in maniera creativa, andando a pescare dalle preparazioni tradizionali “a fuoco lento” di ogni parte del globo. Il Pepper Stout Beef è, di fatto, uno stracotto nel quale la fase di “rosolatura” è sostituita da una cottura al barbecue che caratterizza l’alimento grazie al bark e alla affumicatura, il resto è praticamente uguale. Possiamo benissimo utilizzare al posto della birra un vino rosso corposo come il Barolo, o come un Negramaro, come avviene nei classici brasati della tradizione italiana; in questo caso l’abbinamento anziché con i peperoni potrebbe essere con cipolle, sedano e qualche fetta di patata. Poco prima di “pullare” la carne, è consigliabile rimuoverla dalle pentola per permetterci di frullare il fondo di cottura, ottenendo una crema vellutata che poi sarà incorporata e rimescolata alla carne sfaldata. In Salento è molto diffusa una preparazione a base di carne di cavallo, che viene cotta all’interno di un tegame di terracotta a fuoco lento e immersa nel sugo: con questa preparazione condiamo la pasta fresca
oppure farciamo un panino (il famoso panino con i pezzetti che trovi in qualunque festa di paese, più diffuso degli hot-dog o degli hamburger). Utilizzando la metodica appresa con il Pepper Stouf Beef, ho realizzato una versione al barbecue di questa preparazione tipica: semplicemente ho immerso la carne, preparata prima nello smoker, nel sugo di pomodoro, e l’ho lasciata cuocere lentamente fino a sfaldatura completa. Per aumentare ulteriormente la quantità di connettivo, ho messo nella pentola in ghisa anche dei tendini, che si sono sciolti apportando sapore e texture. Il risultato è stato straordinario. Una preparazione che si presta benissimo a questa tecnica di cottura è il Boeuf à la Bourguignonne: si utilizza anche in questo caso carne di manzo (tagli sempre ricchi di connettivo, come il collo, il biancostato, le coste, il cappello del prete) ma si aumenta l’apporto di sapore facendo rosolare nella pentola un po’ di pancetta stagionata; una volta tostata, questa viene momentaneamente messa da parte per soffriggere nel grasso di maiale sedano, carota e cipolla, sul quale adageremo la carne di manzo. Come liquido caratterizzante si utilizzano vino rosso e brodo di manzo, con l’aggiunta del concentrato di pomodoro. Possiamo anche pensare di dare un tocco esotico alla preparazione incorporando nel rub del curry rosso e usando come liquido del latte di cocco. In questo caso potremmo anche utilizzare l’agnello, aggiungendo negli ultimi minuti di cottura dello yogurt neutro, del cardamomo pestato e dello zenzero fresco grattugiato. Buon divertimento!
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GLOSSARIO BBQ
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BBQ DO YOU
DIZIONARIO DEL MONDO BARBECUE
Ogni mondo ha il suo codice, i suoi acronimi, il suo dizionario di riferimento, e il barbecue non fa certo eccezione. Se vuoi diventare un griller esperto devi espandere il tuo vocabolario, che andrà da Adobo Sauce a Zest. La filologia, ovvero la disciplina che serve (anche) a ricostruire i documenti letterari nella loro forma più originale dice che è filologicamente molto più corretto chiamare le cose coi loro nomi originali piuttosto che usare le traduzioni. Sei d'accordo, no? Ci eravamo lasciati alla lettera “H”, continuiamo il nostro viaggio lessicale passando per “I”, “J” e "K"
I
Imu Tipica delle Hawaii, è una fossa sotterranea fiancheggiata da rocce calde, in cui viene preparato il famoso Kalua pig, un maiale intero avvolto in foglie e / o in un panno bagnato, deposto sulle rocce e coperto con terra e sabbia. Injection Inoculo di una salamoia all’interno di un pezzo di carne tramite una siringa alimentare. Induzione Un metodo di trasferimento di calore. Il piano a induzione è un tipo di fornello che sfrutta il principio dell'induzione elettromagnetica per scaldare le pentole utilizzate per la cottura dei cibi.
J
Jaccard Un batticarne con aculei d’acciaio, uno di quegli attrezzi infernali che non andrebbero mai utilizzati.
Jus Una salsa o “sugo” ricavato dai succhi di una carne, ottenuto dalla sgocciolatura o dalla bollitura di muscoli e ossa.
K
Kaiser Roll Tipico pane di origine tedesca utilizzato come bun per il Baltimora Pit Beef, un panino farcito con girello di manzo tagliato a fette sottilissime e condito con anelli di cipolla cruda e salsa Tiger (a base di maionese, senape e rafano) Kamado Utilizzato come affumicatore, questo dispositivo a forma di uovo ha solitamente pareti spesse con un buon isolamento e una grande efficienza. Con poco carburante può raggiungere temperature molto elevate, a discapito di un peso specifico pari a quello dell’uranio. KCBS. Kansas City Barbeque Society. La Kansas City Barbecue Society (KCBS) è un' associazione che nasce negli Stati Uniti nel 1985, la sua missione è la celebrazione, l’insegnamento, la protezione e la promozione del barbecue americano come tecnica culinaria, sport e forma d'arte. Quale miglior modo di compierla se non creando un circuito di gare? La gara di barbecue è un evento durante il quale decine di team si sfidano a colpi di carbone durante un intero fine settimana. Il pubblico può interagire con i team in gara, rispettandone il lavoro, e assaggiando le preparazioni. Ogni team deve presentare un campione delle pietanze preparate ad un pool di giudici che le valuterà secondo le regole KCBS. I giudici ovviamente non conoscono la provenienza dell’assaggio per
garantire la massima oggettività di giudizio. Attualmente la KCBS conta più di 20.000 membri in tutto il mondo e ha a disposizione giudici per oltre 500 eventi all’anno. Le quattro categorie obbligatorie sono: chicken, ribs, pork e brisket La carne viene ispezionata prima dell’inizio della gara (meat inspection) al fine di valutarne la conformità alle direttive: solo dopo l’ispezione i team potranno iniziare a prepararla. Questa operazione viene eseguita dai REP ovvero i rappresentanti KCBS responsabili della correttezza della manifestazione. Oltre all'ispezione, i REP devono controllare il rispetto della normativa di gara, degli orari dei turn in (la consegna delle preparazioni), della regolarità dei giudizi e, infine, proclamano i vincitori di categoria e assoluti. Possono esser presenti delle categorie facoltative come chef choice, mistery box, salsa bbq ed altre che non concorrono alla definizione del vincitore finale, ma solamente del vincitore di categoria. Non è possibile utilizzare per la cottura dei dispostivi a gas o elettrici. La gara è articolata su due giorni, generalmente un fine settimana. Spesso si parte già il venerdì con la judging class, ovvero il corso finalizzato alla formazione di nuovi giudici. Il sabato mattina/primo pomeriggio è dedicato alla preparazione dei dispositivi e della postazione di lavoro e alla meat inspection. Successivamente si parte con la preparazione della carne: e qui ogni team ha una propria strategia. C'è chi va in cottura per l'intera notte (overnight), c'è chi preferisce farlo la mattina prestissimo e accorciare i tempi: in ogni caso, il campo gara non chiude mai. La domenica è il giorno della consegna delle preparazioni (turn-in) e della valutazione dei giudici. Ogni tipo di carne deve essere consegnata in un box bianco fornito dall'organizzazione che non porti segni distintivi, ma solo
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GLOSSARIO BBQ un numero, assegnato anch'esso dall'organizzazione. Si parte col pollo alle 12, le ribs alle 12,30, il pork alle 13 e il brisket alle 13, 30. Le categorie extra vengono consegnate dopo. La tolleranza per la consegna va dai cinque minuti prima ai cinque minuti dopo l'ora prestabilita. Sforare quell'orario significa essere squalificati per quella determinata categoria. Nel pomeriggio della domenica avvengono le premiazioni e la proclamazione dei vincitori. I giudici incaricati agli assaggi vengono divisi in tavoli composti da 6 membri. Ogni tavolo ha un responsabile (table captain) che controlla la regolarità dell’assaggio. Per avere il risultato più oggettivo possibile, ogni tavolo assaggia preparazioni di diverse squadre in modo da evitare che lo stesso team sia valutato sempre dal medesimo tavolo. Ogni giudice valuta l’assaggio e dà una votazione numerica da 2 a 9 di tre aspetti: appearance (aspetto), taste (gusto), tenderness (morbidezza). La somma dei voti, al netto del giudizio peggiore, moltiplicato per un coefficiente di ponderazione predefinito (gusto più importante di morbidezza, morbidezza più importante di aspetto) dà il punteggio alla preparazione. Ogni categoria obbligatoria dà un punteggio ed una classifica Dalla somma dei punteggi di ogni categoria si ottiene il vincitore (Grand Champion) e il secondo classificato (Reserve Grand Champion). Kebab o kebap بابك, kebāb, "carne arrostita”, in turco kebap, è un piatto a base di carne tipico della cucina turca. La tipologia di kebab più famoso nel mondo è probabilmente il döner kebab, il ”kebab che gira” su uno spiedo verticale rotante nel quale la carne viene infilzata e poi fatta abbrustolire. Tra le varianti più conosciute e consumate c’è anche il dürüm kebab: mentre il döner è di solito servito in un panino, il dürüm kebab è accompagnato da una piadina. æA
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Conosciuto anche con il termine greco γύρος (ghiros, con lo stesso significato di döner, ruotante) o l'arabo shawarma (امرواش, shāwarmā, derivante dal turco çevirme, "movimento ruotante"). L'espressione kebab è però di origine persiana: la tradizione araba vuole che il piatto sia stato inventato nel medioevo da soldati persiani che utilizzavano le loro spade per grigliare la carne sul fuoco in campo aperto. Date le origini geografiche del piatto, il maiale è assente nella lista degli ingredienti: le carni più utilizzate sono agnello, montone, vitello, manzo, tacchino e pollo. La carne viene tagliata in striscioline ed aromatizzata con spezie ed erbe come origano, coriandolo, aneto e peperoncino, successivamente marinata per almeno 20 ore con olio e yogurt. In seguito a questa fase di insaporimento, la carne viene pressata fortemente attorno ad uno spiedo, la cui cottura avverrà verticalmente. Kettle Dispositivo di cottura a carbone di forma sferica con coperchio, inventato da George Stephen nel 1952.
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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI
SEGUO Ciao $Contact.name, ecco la tua ultima possibilità per approfittare dell’offerta (…) Hai rotto, sei pesante, tu e le tue offerte! Ma pensi solo a vendere? Questo doveva essere un gruppo di appassionati! Si è persa di vista la convivialità! Mi hai bannato e vuoi i miei soldi? Bene, è giunto il momento di spiegare bene una cosa ai miei quattro lettori: le mail di marketing o di notifica che ogni tanto trovi nella mailbox sono inoltrate in maniera automatica. Per quanto nel testo della mail possa comparire il tuo nome, e si riferisca proprio a te, non c’è un tizio volenteroso e stakanovista che scrive una lettera diversa per tutti gli utenti del database. Soprattutto, non ci si aspetta di far scaturire un botta e risposta, ma solo di informare gli utenti.
Perché ti arriva quella mai? Perché sei nel database. E chi ti ha messo nel database? Ti ci sei messo tu stesso, fornendo nome, cognome, indirizzo email e consenso a trattare i tuoi dati e a ricevere comunicazioni. Hai cambiato idea? Benissimo, c’è il link “unsubscribe” (o Ansascràib, o Voglio Cancellato, come ormai è noto a tutti i lettori della rubrica Seguo), e nessuno ti importunerà più. Toglietemi subito da questa newsletter, non vi stimo e non mi avete portato rispetto Salve gentile utente, puoi cliccare il link “Unsubscribe” e verrai rimosso EH NO. Voi mi avete bannato, voi mi avete [avvenimento lesivo della street credibility del griller online] e VOI mi togliete dalla lista!
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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI Ma che è? Ma come? Ma seriamente? Mi vengono in mente due cose molto attinenti, ma tanto per cambiare stavolta non inizierò a parlare di qualche matematico con un vissuto problematico o latore di un cambiamento epocale non riconosciuto dai suoi contemporanei.
le affermazioni dell’umano. La grande flessibilità e potenza degli algoritmi di Weizenbaum hanno fatto in modo che l’engine di ELIZA fosse trasportato, senza grosse modifiche, dentro vari giochi di ruolo o avventure testuali, portandolo ad essere utilizzato fino agli anni 90, quando fu massicciamente usato come chatbot nelle BBS di FidoNet (una rete informatica basata su nodi, gestiti in maniera amatoriale, disseminati sul territorio). ELIZA divenne Eliza e fu addestrata a trattare argomenti più pruriginosi con una certa predeterminata malizia, e le bollette telefoniche raggiunsero vette altissime. Ci collegavamo alle BBS, bullettin board system, bacheche elettroniche, tramite una chiamata telefonica (spesso interurbana, ai tempi decisamente costosa) direttamente a casa del nerd più nerd del territorio, che a spese sue gestiva il nodo FidoNet e teneva occupata per ore la linea telefonica dei genitori: qui, oltre a poter leggere interessantissime discussioni sui supereroi o sulla programmazione in assembler, potevamo chattare Nel 1966 Joseph Weizenbaum scrive ELIZA, un fra di noi in tempo reale. programma in grado di simulare una conversazione con un interlocutore umano: per la precisione lo scopo era quello di costruire una parodia il più credibile possibile di una seduta di psicoterapia, con una strategia basata sul riformulare sotto forma di domanda introspettiva
Eliza diventò l’attrattiva principale, in un tempo in cui il nerd studioso e socialmente inadatto non era, come adesso, il più apprezzato e di moda del branco. Incauti liceali e universitari trascorrevano senza accorgersene fin troppi quarti d’ora a conversare con una tizia disinibita, che non giudicava, non si scandalizzava, non si annoiava ad ascoltare, qualità decisamente rare agli occhi dell’emarginatissimo hacker: questi furono i tempi in cui nacque la battuta “a casa mia la bolletta del telefono la portano col corriere”. Qualcuno, trasportato dalla tempesta ormonale, si accorgeva solo dopo diversi minuti delle limitazioni di Eliza e la cosa perdeva subito interesse, come quando qualcuno ti spiega i trucchi di un illusionista. ıA
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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI Qualcun altro sapeva benissimo di parlare con un programma del ‘66 ricompilato per girare sotto DOS, ma si accontentava: ore perse a conversare col chatbot, bollette di trecentomila lire come se niente fosse. Per qualche motivo, il trasporto provato era maggiore della consapevolezza della non esistenza sul piano umano della ragazza “aperta e smaliziata”. Mi vengono in mente anche i telespettatori di certe produzioni televisive: • Ma come fa una persona intelligente come il Dottor Ferri a cascare nei tranelli di Marina? Ma ti rendi conto? • Uhm... immagino che gli sceneggiatori abbiano deciso di creare una nuova linea narrativa e quindi... • Sì ma lo sposa solo per i soldi dei Cantieri Palladini! E lu i non si accorge, come è possibile? • Eh, suppongo che sia una reazione scritta nel copione, per cui... L’appassionato/a di telenovela a questo punto si indispettisce. Telenovela, sceneggiato, serial, non so più come viene chiamato questo tipo di prodotto televisivo. La costante, dai primi anni 80, è la stessa: copioni scritti maluccio, linee narrative portate avanti per troppo tempo, situazioni ai limiti del plausibile, ma un pubblico di fedelissimi oltranzisti e con un gigantesco suspension of disbelief. Ci credono, a quelle vicende: trattano i protagonisti come parenti (non è difficile da giustificare, visto che gli attori sono gli stessi da anni e anni) e hanno il bisogno irrinunciabile di prendersela a cuore, di discutere, di confrontarsi con qualcuno per decidere un piano atto ad aiutare personalmente qualcuno del cast. Io non riesco: io vedo la macchina da presa, il copione lasciato aperto su un tavolino, la stanza composta da due sole pareti in un set, il personaggio che muore o va a fare il medico in Africa solo per motivi di interruzione del contratto. Quando lo faccio notare noto però reazioni simili a quella volta, appena arrivato in seconda elementare a sei anni, in cui mi sentii in dovere di alzarmi in piedi e avvertire tutti che quella cosa di Babbo Natale era una grossa truffa ai danni dei consumatori, portando l’attenzione su come i regali venissero pagati col denaro dei nostri parenti.
Fu una brutta, deludente mattinata. L’appassionato di telenovele vuole crederci. Vuole indignarsi su twitter. Vuole mandare messaggi ovunque, per esprimere in maniera dettagliata e circostanziata il proprio disappunto o la propria delusione per le scelte di Alan Spalding o di Niko Poggi. Al griller indignato accade, secondo me, una cosa molto simile. Io penso proprio che sia a conoscenza della procedura automatica di invio di mail, ma ad ogni modo il nostro fervente attivista dal click facile non riesce a privarsi del piacere sottile di esternare l’indignazione. Scrivendo, lui crede, direttamente all’amministratore delegato. Quando ti arrivano le mail dalla profumeria, tu rispondi? Quando arrivano le notifiche degli sconti sull’abbigliamento moto, o del black friday, o sull’arrivo dei nuovi mulinelli Daiwa per la pesca d’altura rispondi con polemica? Hai mai risposto “sì grazie ma puoi verificare se ho ordinato davvero?” ad una mail di Amazon che ti notifica l’ordine andato a buon fine? Eppure. Poi quando passano a dare del Lei è la fine. Mi rimuova da questa newsletter o provvederò ad avvisare la Polizia Postale. Qualcuno deve aver fatto trapelare l’esistenza di corpi speciali che rischiano la vita pur di far fare Unsubscribe forzati a persone che si sono iscritte di loro volontà. Basta! Ho già acquistato il prodotto e mi arrivano lo stesso proposte di acquisto! Lei è un incompetente dell’automated marketing! Ciao, ti sei prenotato con sei indirizzi di posta diversi, quindi ti arrivano proposte ai cinque indirizzi che non risultano associati all’acquisto. Eh, volevo essere sicuro che arrivasse la prenotazione. Cerchi di capire la mia reazione, si metta nei miei panni. Cerco di capire. Il re indiscusso è in ogni caso l’utente che risponde ad una mail di marketing con offese gravi, personali e in alcuni casi perseguibili penalmente. Chissà cosa pensano le persone quando mettono per iscritto AGOSTO 2019
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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI minacce e insulti: ci sarà anche qui una suspension of disbelief per quanto riguarda il diritto privato? Dovete sapere infatti che, per assicurare un servizio migliore, le comunicazioni di BBQ4All non sono legate a un comunissimo no-reply, ma ad un indirizzo specifico per ogni dipartimento del Brand. In questa maniera un cliente assennato e responsabile può rispondere all’offerta per chiedere chiarimenti, può rispondere ad una notifica di spedizione per segnalare un errore nell’indirizzo, tutte cose indubbiamente utili che vengono poi smistate dal nostro impareggiabile servizio di assistenza clienti. Ma scrivere una mail piena di offese o di rancore all’amministratore delegato non è una mossa così utile. Gentile utente, queste mail ti vengono recapitate perché sei iscritto nei nostri database e hai esplicitamente acconsentito a riceverle: qualora tu volessi cancellarti e non aderire più al servizio, è sufficiente [solita pappardella dell’Ansascràib]. Mi sembrava più opportuno sfogarmi per far capire cosa penso io. Gentile utente, questo è un servizio di assistenza clienti, non sta parlando con i dirigenti del Brand.
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Non me ne frega, in quel momento mi sentivo di fare così. Ma sei MERAVIGLIOSO, sei. Come la matricola al primo anno di Scienze dell’Informazione che passa la notte a chattare con Eliza, cercando di non pensare al tempo trascorso insieme ad un eseguibile con un nomefile di otto caratteri più tre di estensione che gira sul 386sx, col tasto Turbo sul case (!), nella cameretta di qualche appassionato di telecomunicazioni. Come la nonna moderna e connessa che twitta a ripetizione contenuti maiuscolissimi lamentandosi della discutibile moralità di Reva Shayne o di come Diego, che è sempre stato un bravo ragazzo, adesso non debba fare la parte del cattivo. Evidentemente è un bisogno basilare per alcune persone, come i profili di coppia, come briskettare uno spinacino. Come scrivere SEGUO. Anzi: Seguo (senza il punto, il punto in fondo è arrogante). Emiliano Nencioni
DOVE TROVARCI Lista aggiornata a aprile 2019 puoi trovare la mappa interattiva di tutti i punti vendita costantemente aggiornata all’indirizzo
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VIA CORSO ASTI 24 VIALARGA 10 VIA CUNEO 84/86 VIA SALUZZO 65 STRADA MORANE 500 VIA PRIVATA ROGGERI 56 STRADA ALTESSANO 129 CORSO FRANCIA 175 /F
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VIA ALFIERI, 67 VIA CALÒ, 12 - ANG. VIA CURINA VIA M. PERENNIO, 23 V.LE GIOTTO, 28 VIA MONTEFELTRO, 1/C CORSO TORINO, 30 VIA BELLARIA, 47 VIA DI CORTICELLA, 3 VIA MARCONI, 28/A VIA ZELLO, 1/A VIA F.LLI PORCELLAGA, 26 STR. PROV.LE PER S. GIMINIANO VIA FRANCAVILLA 13/15 VIA ANDREA DA PONTEDERA, 30 VIA CHIARAVAGNA, 54R VIA MANUZIO, 11 VIA DON GIOVANNI VERITÀ, 6/R VIA LAGACCIO, 48/R VIA MASSETANA - LOC. LE CORTI NUOVE VIA DE BARBERI VIA DEL SABOTINO, 6 P.ZZA SARAGAT, 10/2 VIA CAPPONI
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VIA VERDI 1 VIA BERTI, 6 VIA SAN PIO V N. 7 VIA CORTICELLA,186/12 VIA G. DI VITTORIO 70 VIA PUNTA N. 1 VIA BETTONI 16 VIA MOLINI 57/59 VIA MARCONI 1 VIA ADIGE 250/R VIA FALCONE, 9 VIA CUNEO N. 47 VIA UGO DA CARPI N. 62 VIA VOLTURNO N. 73 VIA STATALE N.46/C VIA CIRCONVALLAZIONE,111 VIA CAVOUR,41/D VIA NOBILI 91/C VIA SAN GIOVANNI BOSCO N. 53 VIA GIARDINI 346 VIA MAGENTA, 72 VIA FALCONE E BORSELLINO 40/C VIA S.LEONARDO,348/350 VIA XXIV MAGGIO N.20 V.G.C.ROSSI ANG.V.PALLASTRELLI VIA MONTANARA N.4 LARGO RISORGIMENTO VIA DEI RIVI PIAZZALE MARCONI N. 37 VIA CADUTI SUL LAVORO, 12 VIA APPIANI 10 VIA L.DA VINCI 17/19 VIA IRENEO AFFO’ N° 6 ROTATORIA M.R. GANDOLFI 31/38 VIA GRAMSCI 9 VIA SILVIO PELLICO,5 VIA S. MORSE 14/A VIA PROVINCIALE PER PARMA,6 VIA FAENTINA 8 VIA BORRI, 2/L VIA RASORI - LOC. BARCO VIA KENNEDY N. 12 VIA ZUNA MAGNANI 1/A VIA RADICI NORD 31/T P.LE DORANDO PIETRI 1 VIA S. CONTI 70 VIA MORANDI, 3/A VIA A. FERIOLI 18 VIA COLONNA,9 VIA A.DE GASPERI,37 VIA ARMSTRONG N. 2 - LOC.FOGLIANO VIA REPUBBLICA, 27 (RIVALTA) VIA PRAMPOLINI N. 20/22 VIA A. LIGABUE, 1
SAN MARTINO IN RIO SAN POLO D’ENZA VILLA MINOZZO CAMPAGNOLA LA SPEZIA
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DELL’ARTIGIANATO RAMPOGNANA DON PASQUINO BORGHI 22 GRANDE N. 5 SARDEGNA 17/A
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VIA DELLA SCAFA, 184 VIA ALCIDE DE GASPERI, 14 VIA FEDERICO PAOLINI, 48 VIA DEI CASTELLI ROMANI, 2 VIA A. G. RESTI 19 VIA DI SANT’ALESSANDRO, 380 VIA SALISBURGO, 20/32 VIA DELLA SETA, 27 VIA DELLA TECNICA, 164/D VIA ANNA FRANCHI, 10 VIA APPIA NUOVA, 472 VIA ARNO, 1 VIA DI CASTEL DI LEVA, 273 VIA CAVOUR, 232 VIA CRISTOFORO COLOMBO, 1780 VIA DELLA FARNESINA, 251/259 VIA LAURENTINA, 980 VIA MAGNAGRECIA, 97/A VIALE DELL’OCEANO INDIANO, 180
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VIA E. SACRIPANTI, SNC VIA ITALIA, 1 LARGO PORTA ROMANA, 1 P.ZA S. MARIA INTER VINEAS, 1 VIA SALARIA KM. 207,700 VIA E. MATTEI, 14 VIA MARSALA, 56 VIA V. FALCONE, SNC VIA CORSICA, 188/192 VIA MONTECARLO VIA PICENA, 80 VIA DEI CONTI RICCI, 46/48 VIA S. IPPOLITO VIA ARAPIETRA, 63/65 VIA BATTISTI, 207 VIA D’AVALOS, 213/215 VIA FABRIZI, 159 65121 VIA NAZIONALE ADRIATICA NORD, 201 VIA MONTE CERVARA, 1 VIA IV NOVEMBRE, 37 VIA MARTIRI DELLA RESISTENZA SNC PIAZZA VARISCO VIA MONTEBUONO VIALE LIEGI V. T. BOETTI VALVASSURA, 110 VIALE ERITREA VIA ROMA, 447 - VILLA ROSA S.S. ADRIATICA KM. 417,600
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