BBQ4All Magazine numero 12 - Dicembre 2019

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N°12/ANNO 1 - DICEMBRE 2019

MAGAZINE

GIANFRANCO LO CASCIO

UN GAMBERO CHE CAMMINAVA IN AVANTI SICILIA

IL VERO COUS COUS ALLA TRAPANESE

il GAMBERO ROSSO DI MAZARA S P EC I A LE



EDITORIALE di GIANFRANCO LO CASCIO

un GAMBERO CHE CAMMINAVA

in AVANTI

"Vuoi vendere il p esce su Internet? ma che ti dice il cervello?" "Si, me l'avevano g ià detto per la carne, tranquillo" In realtà i gamberi non camminano all’indietro ma in avanti, usando le appendici che hanno lungo il torace. Questi crostacei, però, adottano la retromarcia come reazione istintiva quando si trovano di fronte a un pericolo improvviso. Come? Con una forte contrazione dei muscoli addominali che provoca la flessione improvvisa della coda a ventaglio, costituita dall’ultimo paio di appendici addominali, gli uropodi. Passato il pericolo, riprendono a muoversi normalmente.

37 (Mediterraneo), non si scappa. Parlo di quello che ho selezionato per voi, qualcuno l’ha già assaggiato.

Gambero rosso di Mazara, rigorosamente pescato nel Mediterraneo con tanto di certificato: Zona FAO

Il Gambero rosso di Mazara o più propriamente Aristaemorpha foliacea, appartiene alla famiglia degli

Sì perché l’80% dei gamberi rossi venduti sul mercato italiano arriva, ahimè, dal Mozambico ed è lontano anni luce dall’oro rosso della cittadina di mare trapanese per qualità delle carni, aromaticità e burrosità. Caratteristiche che derivano dall'alta percentuale di evaporazione delle acque che arricchisce il gambero di sali minerali conferendogli una carne molto iodata, Un po’ come faccio io di fronte alle difficoltà e le inco- densa, dal taglio facile e senza sfilacciamenti. gnite oscure, qualche passetto indietro per riflettere Ma se all’assaggio riusciamo a distinguere in souplese poi un grande colpo di coda per sfondare in avanti. se il prodotto, per compattezza, mineralità e dolcezza, l’esame visivo riuscirebbe ad infinocchiare anche Un uomo che ha un’idea nuova è un pazzo finché un pescatore esperto, o un mazarese di origine come quell’idea non ha successo. E tanto volte mi sono me. sentito dare del folle, del visionario, fin quando non sono riuscito ad innescare una piccola rivoluzione nel Eppure esiste un modo per distinguere un’Aristaemodo di intendere, valutare, acquistare e cuocere la morpha foliacea (Gambero Rosso di Mazara) da un carne. Adesso parliamo di pesce, però. Aristeus antennatus (Gambero viola) e da un Plesiopenaeus edwardsianus (Gambero rosso atlantico) e non IL GAMBERO ROSSO DI MAZARA DEL VALLO farsi fregare.

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Aristeidi. È una specie cosmopolita diffusa in tutti i mari ma la sua storia si intreccia indissolubilmente con quella marinara della cittadina testimone della mia infanzia, baluardo estremo dell'occidente siciliano a poco meno di duecento chilometri dalla Tunisia. Già maestosa ai tempi dei Fenici, Mazara del Vallo si fregia della marineria più grande d'Italia, la seconda in Europa. Una storia che inizia con la pesca di sussistenza, principalmente di pesce azzurro, e continua con la svolta industriale a fine Settecento, grazie alla famiglia inglese degli Hoops che avvia la conservazione delle alici destinate alla flotta britannica. Negli anni d'oro, quelli dalla fine degli anni Quaranta agli anni Novanta del secolo scorso, Mazara contava circa 1300 pescherecci dotati di tecnologia avanzata e specializzati nella pesca di altura del crostaceo rosso. Oggi, di quei pescherecci ne rimangono circa sessanta, insieme ad una trentina di stabilimenti di lavorazione e conservazione del pesce.

rio: se le femmine infatti possono raggiungere i 23 cm di lunghezza, i maschi non superano mai i 20 cm. Sul carapace notiamo una robusta spina epatica e una carena post-rostrale ben presente. Il rostro è lungo, sottile e incurvato verso l’alto nei soggetti giovani, più corto nei maschi. La colorazione va dal rosso sangue, rosso vino con riflessi violacei sulla parte dorsale del carapace. Vive principalmente a profondità comprese tra i 400 e i 1300 metri in fondali fangosi, nutrendosi perlopiù di invertebrati e krill. Impossibile acquistarlo fresco: le imbarcazioni da pesca escono in mare per più giorni e preservare le qualità organolettiche di un prodotto così delicato è praticamente inattuabile. È per questo che viene abbattuto a bordo mediante un processo di surgelazione istantanea, per evitare di cospargerlo di porcherie che hanno il compito di rallentare la degradazione del prodotto. Prima di essere congelato a bordo in cassette da 1 kg, il Gambero rosso viene suddiviso per taglia o “scelta”. A seconda delle dimensioni del crostaceo, si avranno cassette di I, Ma adesso facciamo un piccolo approfondimento di II, III e IV “scelta”, o, come viene chiamato più comubiologia marina. nemente, “gambero di prima”, “gambero di seconda” e così via. Il Gambero rosso di Mazara mostra un corpo compresso lateralmente con addome molto sviluppato, Le dimensioni delle prime 3 scelte di Gambero rosso gli adulti presentano dimorfismo sessuale seconda- si calcolano dalla lunghezza della testa. E sono le se4 - BBQ4All MAGAZINE


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guenti: I “scelta”: > 50 millimetri II “scelta”: 41-49 millimetri III “scelta”: < 40 millimetri Esistono poi delle pezzature speciali superiori alla prima, ovvero “King” e “Captain Reserve”, ma ne parleremo più avanti.

COME SCEGLIERLO Una volta rinvenuto il crostaceo, controllare che la testa sia integra, dotata di antenne, non staccata dal corpo, neanche parzialmente, e che gli occhi siano presenti, lucidi e grandi. La corazza deve essere scintillante e soda, priva di ingiallimenti sulle zampe e sulla coda. I Gamberi devono profumare di mare, di iodio. “Tutto chiaro, ma la testa nera?”

COME DISTINGUERE IL VERO GAMBERO ROSSO DI MAZARA L’Aristaeomorpha foliacea (il Gambero rosso di Mazara) viene spesso confusa con un'altra specie denominata Gambero viola (Aristeus antennatus). Il carattere che permette la distinzione delle due specie è il numero di denti nella parte superiore del rostro: 5-6 nel Gambero rosso di Mazara, 3 nel Gambero viola. Il Gambero rosso di Mazara può essere scambiato (per il colore) anche con il Gambero rosso atlantico (Plesiopenaeus edwardsianus). Un carattere che permette la distinzione, oltre al numero di denti sul rostro, è la presenza nel Plesiopenaeus edwardsianus di un'appendice del cefalotorace (massillipede), frangiata da una doppia fila di lunghi peli a formare una piuma.

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È un processo ossidativo (melanosi) dovuto ad un gruppo di enzimi presenti nella testa: le polifenolossidasi. Non pregiudica minimamente la qualità del prodotto e solo l’utilizzo di una quantità massiccia di solfiti può evitarla. Si tratta di un fattore meramente visivo e mai qualitativo. I GAMBERI CHE HO SELEZIONATO PER VOI Vi ho spiegato come distinguere, scegliere ed acquistare il vero Gambero rosso di Mazara, ora avete sostanzialmente due strade: scartabellare su Google, buttarvi su un prodotto a casaccio, piazzare un ordine di prova e sperare in Dio, oppure mettere da parte ansie e paure ed affidarvi a me. Avrete senz’altro intercettato i miei post in Community su Facebook, ma


rostro con 5-6 denti

gambero rosso di mazara Aristaeomorpha foliacea

rostro con 3 denti

gambero viola Aristeus antennatus

rostro con 3 denti

gambero rosso oceanico

massillipede frangiato

Plesiopenaeus edwardsianus

ne approfitto per ricordarvi come funziona: se non vi siete ancora iscritti al Club Megastore, scrivete una mail a club.megastore@bbq4all.it oppure collegatevi a http://clubmegastore.bbq4all.it per ricevere l’assistenza di un Coach BBQ4All. Esprimete i vostri desideri o sollevate i vostri dubbi, penserà a tutto lui in ogni caso.

Dai nostri test, dopo 48 ore di viaggio dalla Sicilia al Veneto, la temperatura interna del box registratava 32 gradi sottozero; il vostro freezer arriva a malapena alla metà.

Se di carne non ce n'è molta, di gamberi ce n'è ancora meno, per questo vi consiglio di sbrigarvi. Poi godetevi il numero di Dicembre del BBQ4All Magazine però, La spedizione dei gamberi avviene con ISOBOX ad fatevi rapire dai profumi del mare di Sicilia e preparaalta densità più ghiaccio secco chiuso in sacchetti. tevi a sapere tutto sul Gambero Rosso di Mazara. Garantisco la temperatura interna di -18°C per 72 ore: considerate che il ghiaccio secco è anidride carbonica Gianfranco Lo Cascio congelata a -78°C. DICEMBRE 2019

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INDICE DICEMBRE 2019 - NUMERO 12 ANNO 1

APPROFONDIMENTI 1 0 . PO RT FO L I O

L'inevitabile ascesa dell'ammaru russu 1 4 . R E P O R TA G E

seducente rosso

LE T EC N I C H E

24. crudo di gamberi e scampi 28. bisque: il miglior sapore in assoluto 32. aragosta: come pulirla e cucinarla 36. il vero cous cous alla trapanese 46. sarde: cosa sono e come si puliscono

RICETTE DI SICILIA

42. busiate al ragù di tonno 46. tagliolini al nero di seppia 48. l'ammaru ammuddicato 56. pasta con le sarde 60. sarde a beccafico 62. caponata di tonno 64. sua maestà il cannolo 68. la vera cassata siciliana 72. abbinamenti vino 74. cocktail: orange daiquiri

RUBRICHE 76. WINE CLASS

10 vini da bere tra natale e capodanno 8 2 . LO S P E Z I A L E D E L BA R B EC U E

il finocchietto 84. SEGUO

SEGUO DA UN ANNO

S O LUZ I O N I Q - C I V E R BA

pubblicato sul numero di novembre 2019 a pag. 68 ORIZZONTALI: 3.Pastrami 8.Boston Butt 12.Gravy 13.Salsicce 14.Asado 15. Fall of the bone 16.Dry Brining 17.Brisket 18.Chips VERTICALI: 1.Carryover 2.Lombata 4.Infraspinatus. 5.Ember roasting 6.Dehesa 7.cinquantadue 8.Cowboy Steak 10.Kamado 11. Frollatura

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D I R E T TO R E E D I TO R I A LE

Rossella Neiadin

R E D AT T O R E C A P O

Michela Bongiorni REDAZIONE

Enio Berton, Giovanni Bolzonella Virgilio Brunetti, Michele Chipa, Roberto Dal Bosco, Tommaso Di Gregorio, Salvatore Di Mento, Luca Gallozza, Mariangela Ibba, Gianfranco Lo Cascio, Alessandro Morichetti, Riccardo Meniconi, Emiliano Nencioni, Andrea Spaggiari, Alessandro Trezzi, Carlo Trono, Paolo Tucci REALIZZAZIONE GRAFICA

Carlo Trono S TA M PA

Graphic Master s.r.l. - Perugia magazine@bbq4all.it instagram.com/bbq4allmagazine/ ©2019 BBQ4All è un marchio BBQ4All Consulting s.r.l. BBQ4All Magazine è un prodotto in concessione a ©2019 NetAddiction s.r.l. Tutti i loghi e marchi riportati, gli elementi grafici, le immagini e i materiali presenti nella presente pubblicazione sono soggetti alle norme vigenti sul diritto d’autore; è quindi severamente vietato riprodurre anche parzialmente ogni elemento delle pagine in questione. Nomi, marchi registrati e loghi eventualmente presenti su questa pubblicazione non possono essere utilizzati per alcuna forma di pubblicità o diversamente per indicare sponsorizzazione, patrocinio o affiliazione a prodotti o servizi senza previa autorizzazione scritta da parte della società che ne detiene i diritti. Tutto il restante materiale fotografico pubblicato è stato realizzato da BBQ4All e/o acquistato e/o licenziato allo stesso, con trasferimento dei diritti di utilizzazione economica salvo le immagini utilizzabili con licenza Creative Commons o GNU Free Documents Attribution. BBQ4All ha osservato le più ampie tutele affinchè non venisse violato il diritto d’autore altrui.

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PORTFOLIO a cura di ROBERTO DAL BOSCO

l'inevitabile e veloce ascesa

Ammaru Russu

dell'

Dal cib o p op olare ai ristoranti stellati. Ma attenti alle imitazioni

«Gambero in Technicolor! I mercanti dei mercati del pesce palermitani urlavano così. Degli artisti veri». «Alla Vuccirìa il nostro Gambero veniva promosso in virtù del colore. Il colore rosso vivo denota la freschezza. Se è bianco è fetido». È impossibile frenare la conoscenza che l’architetto Mario Tumbiolo - che gentilmente ha collaborato con noi per questo numero speciale- ha di Mazara del Vallo. «Mazar in lingua fenicia significa rocca; il vallo invece non c’entra nulla con il muro, come il Vallo di Adriano, o la valle, inteso come territorio pianeggiante: è la parola araba wālī (in arabo: ‫) ىلاو‬, che significa più o meno distretto amministrativo. Mazara era il più grande dei tre sotto il dominio musulmano». Per la storia locale questo signore è quello che in lingua yiddish si dice un maven, un accumulatore inesausto di competenza specifica.

incentrata su tre tonnare: la Tonnarella, la Tonnara di ponente, la Tonnara di levante conosciuta in antico come quella di Tre fontane e successivamente come quella di Torretta Granitola. Le fabbriche di quest’ultima sono state riadattate in tempi recenti a laboratori scientifici gestiti dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, il massimo organo scientifico nazionale, che ci ha piazzato dentro quello che ora si chiama l’Istituto per lo studio degli impatti Antropici e Sostenibilità in ambiente marino (IAS). Ma non era neppure il tonno il piatto forte della pesca mazarese. Qui l’architetto attacca un canto del Cinquecento:

Architetto, vorrei parlare del Gambero Rosso di Mazara. «Ah, ammaru russu. Una cosa recente, quindi». Ma come? Io mi immaginavo una sorta di animale totemico della città, consumato nei secoli da fenici, romani, saraceni, normanni, garibaldini… «No, la pesca è solo una delle anime della città, che in passato era nota per l’estrazione mineraria – li cantuna, i blocchi di calcarenite, con cave scavate prima a galleria e poi a cielo aperto – la pastorizia, la viticoltura. E poi la pesca non è partita con il gambero».

Legenda: bacari e bacaruni sono le brocche piccole e grandi, li sciccareddri sono gli asinelli, il curaddru (beddru, cioè bello) è il corallo, e il monte con le donne abbacinanti è Erice, dove sorgeva il Il tempio di Venere Erycina (1300 a.C. – 54 d.C.). A Mazara dunque «salavano le sarde». «Tonno, sardine: prodotti legati alla salagione e all’affumicazione. Poi, con l’introduzione nel Settecento del baccalà nei mercati del mediterraneo, questo mercato collassa». Mazara però non muore, anzi: rilancia sino a divenire la prima marina di pesca in Italia, e fors’anche del Mediterraneo.

Apprendiamo che in antichità la pesca mazarese era 10 - BBQ4All MAGAZINE

«A Sciacca bacari e bacaruni / A Mazara

salano li bedrri sardi / Marsala pi li sciccareddri / Trapani pi lu beddru curaddru / Sopra lu munti li fimmini bedrri».


Dall'archivio fotografico del Dott. Pino Catalano

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rimane edibile, ma con la testa marcia di sicuro è invendibile. Quindi, il Gambero Rosso di Mazara era consumato quasi esclusivamente dai Mazaresi. Un ingrediente di piatti popolari preparati con costanza da mamme e nonne. Per esempio, il cuscus di pesce: nel Maghreb il cuscus si fa con la carne di montone o con l’agnello, in Sicilia invece ci si mette il pesce, e l’ammaru russu appena pescato non può mancare. Un consumo quotidiano: «i pesci di facile decomposizione venivano consumati in loco per le zuppe in giornata». Insomma: un cibo popolare, un elemento che con il suo gusto dolciastro non mancava nelle miscelazioni culinarie locali.

Merito di un pescatore di uomini, anzi di un pescatore di pescatori – un sacerdote. Monsignor Giovanni Battista Quinci (1877-1956), già cappellano della Regia Marina Militare Italiana, storico ed economista, si inventa la motorizzazione dei natanti. Imbastisce una cooperativa, la Stella Maris. La crescita della pesca diviene vertiginosa, al punto che i mazaresi si spingono a gettare le reti sin oltre Gibilterra, in pieno Atlantico. «Fu un salto tecnologico a rendere fortissima la pesca di Mazara. Parimenti, il Gambero Rosso arrivò per una svolta tecnologica». Perché, fino agli anni Sessanta, non è che il Gambero non ci fosse: è che non lo si poteva vendere. Il pesce azzurro (tonno, sardine), il polpo, i molluschi li puoi salare, quindi conservare, e di conseguenza commercializzare. Il crostaceo no. Era impossibile fare arrivare fuori dal territorio degli esemplari la cui testa non si Nelle cartoline di un tempo, addirittura, Mazara era fosse già imbrunita in putrefazione. Magari la coda raffigurata dalle casse di gamberi ammassate sulla banchina del porto: «uno spettacolo», sorride l’architetto. Insomma, si trattava di una prelibatezza di cui, per le ragioni del naturale decadimento della materia biologica, potevano godere solo i locali.

La liberazione mondiale del Gambero di Mazara è avvenuta grazie al progresso della scienza alimentare: prima con i bisolfiti, conservanti oggi utilizzati con parsimonia un po’ come nel mondo del vino. Poi con l’industria del freddo, nel dopoguerra e nei decenni successivi, che ha determinato la diffusione del Gam12 - BBQ4All MAGAZINE


dei gamberi rossi sulle tavole italiane sono mozambicani). Tuttavia, la situazione del nostro Gambero siciliano è assai florida, anche da un punto di vista ecologico. Il mare dei gamberi, soprattutto nella zona di ponente, è rimasto pescosissimo, e vi sono studi CNR che comproverebbero un aumento dei crostacei dovuto alla diminuzione dei loro predatori naturali.

bero Rosso di Mazara. Oggi, con i sistemi di refrigerazione già a bordo, viene surgelato (-40°C) appena pescato. È significativo vedere come questo cibo popolare sia stato nobilitato sino a divenire un incontrovertibile impreziosimento del nutrirsi. «Un tempo il gambero crudo lo mangiava solo il marittimo a fini funzionali, per saggiarne la qualità. Oggi non si contano le declinazioni di crudité di gambero che offre la ristorazione». «Ora il Gambero di Mazara è qualità, è eccellenza globale: e spesso vengono gli ispanici in cerca del prezioso ingrediente che dia un sapore forte alla loro paella». E mica solo la Spagna: dopo essere stato recuperato tra i 200 e i 1000 metri sotto il mare, il Gambero vola verso i mercati di Singapore, Dubai, Londra, Francia e Germania. Il successo travolgente ha portato con sé gli inseguitori: ad esempio il gambero del Mozambico, venduto in Italia come Mazara (secondo alcuni l’80%

Nel frattempo, sulla terraferma, abbondano le ricette che offrono il Gambero Rosso in ogni fantasia possibile. Linguine, risotto allo scoglio, gamberi al forno, paccheri di Gragnano gamberi e pesto di pistacchi, gamberi fonduta di gorgonzola, risotto gamberi e curry, gambero grigliato con miele d’arancio e soia, gamberi crudi in infusione di Tè bianco Yi Sheng, caprese di Gambero Rosso, carpaccio di Gambero Rosso, gambero con ananas grigliato su crema di carote e zenzero… L’architetto tuttavia ha idee più minimaliste e storicamente dense. Alla domanda di come lo prediliga, lui risponde: «con il Prosecco. Semplice, favoloso. Nord e Sud insieme. L’unità d’Italia non l’ha fatta Garibaldi, l’ha fatta la gastronomia!». DICEMBRE 2019

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REPORTAGE a cura di MICHELA BONGIORNI

Seducente Rosso

quello del Gambero di Mazara Mazara del Vallo, Ottobre 2019 - Dimenticatevi i vip e i negozi grandi firme, i locali spennaturisti e le discoteche con veline e calciatori, dimenticatevi nani e ballerine, a Mazara del Vallo (anche Mazzara, per gli abitanti) il mare è ancora il protagonista assoluto. La cittadina della Sicilia occidentale, infatti, è il porto peschereccio più importante d'Italia, il secondo in Europa. Decretata recentemente capitale internazionale della Blue Economy, ogni anno Mazara ospita, nell’antico mercato arabo - luogo storico che da centinaia di anni è simbolo dell’incontro tra popoli e culture, di scambio di prodotti e di merci provenienti da tutto il Mediterraneo - il Blue Sea Land, grande evento che unisce in un unico luogo i Distretti Produttivi 14 - BBQ4All MAGAZINE

e le filiere agro-ittico-alimentari di Italia e Sicilia, dei Paesi del Mediterraneo, dell’Africa e del Medioriente, promuovendo le eccellenze gastronomiche tipiche di ogni area. Insomma, qui sul settore ittico-alimentare non scherzano per niente. Può capitarvi di finire in un ristorante, di ordinare un pesce scritto sul menù e di sentirvi rispondere: mi spiace, oggi non è stato possibile recuperarlo, le condizioni marittime non lo hanno permesso. Però abbiamo il pescato del giorno, lo provi. E quindi torniamo al discorso iniziale e al protagonista assoluto di tutta la faccenda: decide il mare, ine-


migliori prodotti ittici congelati e freschi. Fondata dai fratelli Roberto e Vito, l’azienda nasce per svolgere l’attività di commercio all’ingrosso dei prodotti della pesca del mar Mediterraneo rivolgendosi alla ristorazione, ai grossisti e ai supermercati. Nel 2004 i due fratelli decidono di aprire la pescheria. In realtà, quest’ultima è una definizione che non rende affatto l’idea di ciò che è davvero. Già il nome, La Boutique del pesce, può darvi la misura di quanto sto per descrivervi. Si tratta di un ampio locale suddiviso in due ambienti: da una parte la vendita del pesce fresco e surgelato, dall’altra la gastronomia, dove si possono trovare piatti pronti, cucinati dallo chef Nicola Indomito detto “Colalavecchia”. Al momento di entrare nel locale, la prima cosa che mi colpisce è l’odore. In nessun altro negozio del genere visitato finora ho pensato: che profumo! Questo aspetto, apparentemente di poco conto, sarà una costante che mi accompagnerà durante tutta questa esperienza: siamo in un luogo che profuma e non puzza di pesce, il che ci può far intuire facilmente quanto la freschezza della merce sia l’aspetto più importante e garantito. “La pescheria in realtà è nata nel 2000 – racconta Roberto seduto accanto a un modellino, ricco di dettagli e illuminato, di un peschereccio - prima era solo uno stabilimento di produzione. Poi, dato che la gente si fermava chiedendo di comprare il pesce, abbiamo deciso di aprire la vendita al pubblico. Nel 2004 si è trasformata ed è diventata ciò che vedi adesso. Nel 2014, dopo una ricerca di mercato, abbiamo affiancato alla vendita del prodotto fresco e congelato anche la gastronomia, con due diversi tipi di soluzioni: la gente può venire qui e comprare ciò che noi prepariamo tutti i giorni, quindi condimenti per la pasta, pesce al forno, brodo e quant’altro, oppure può venire, comprare vitabilmente. Nessuno, fra coloro che vivono di pesca ciò che preferisce in base al pescato del giorno e chiee di ristorazione, si sognerebbe mai di servire un prodere di farselo cucinare da Nicola. dotto di scarsa qualità o di dubbia provenienza pur di accontentare il turista. Qui, ripeto, garantire la freSuccessivamente, è nato lo stabilimento di produschezza del prodotto -e di conseguenza la sua tracciazione così come lo vedi adesso. Prima, ci approvvibilità- è la priorità assoluta. gionavamo da altri fornitori che però in certi periodi dell’anno non ci garantivano il prodotto, quindi per LA BOUTIQUE DEL PESCE Tutto quanto detto finora trova la sua perfetta espres- essere assolutamente certo che i miei clienti lo trosione nella figura di Roberto Giacalone. Lo incontria- vassero per 365 giorni all’anno, ho deciso di approvmo nella pescheria che gestisce insieme al fratello vigionarmi in autonomia, garantendo quindi non solo la quantità necessaria a soddisfare la richiesta Vito, una delle diverse attività di famiglia. Il nome Giacalone è sinonimo di una lunga esperien- ma anche e soprattutto la qualità. Ovviamente, a quel za nella lavorazione e nel commercio all’ingrosso dei punto, avendo aperto l’intera linea di produzione (dal DICEMBRE 2019

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mare alla tavola), non potevamo lavorare solo con la pescheria e quindi abbiamo allargato un po’ il giro, facendo il confezionamento e fornendo prodotti anche alla GDO.” Com’è nata l’attività? Il volto di Roberto si addolcisce nei ricordi: “Ero piccolo, avevo sedici anni, e quel giorno mi trovavo da Zio Pino. Mi godevo il mare e mi facevo i fatti miei.

Dato che questo signore vendeva pesce ai ristoratori, arrivò appunto il proprietario di un ristorante famoso qui a Mazara chiedendo delle cozze. Non erano pronte, quindi ci fu un piccolo battibecco tra i due, i quali però si salutarono con la promessa che la merce sarebbe arrivata quanto prima al ristorante. Cosa successe? Che mi sentii chiamare: tu, invece di stare lì a non fare nulla, prendi quelle cozze, puliscile e portale al ristorante. Fatti dare 30.000 lire. A quel tempo c’erano ancora le lire, erano gli anni ‘90. Feci quanto mi era stato richiesto, portai le cozze a destinazione, presi il denaro e lo riportai a Zio Pino. Lui mi regalò 5.000 lire. A quel punto mi scattò la molla: ma se ne vendo altre, tu mi dai altre 5.000 lire? Lui mi rispose: tu pensa a vendere. Corsi subito in un’edicola, comprai penna, taccuino e una scheda telefonica, quella per i telefoni pubblici. Cominciai a fare il giro dei ristoratori. Rompevo le scatole a tutti, ogni giorno. Inizialmente ho trovato molta diffidenza. Vedi questo signore? - indica Nicola - lui lavorava in uno dei ristoranti più famosi qui a Mazara e quando arrivai nel suo locale mi rispose che non aveva certo bisogno delle cozze, anzi che poteva vendermele lui! Pensai: prima o poi dovrai passare da me! E infatti così è stato. A un certo punto erano i ristoratori che mi cercavano, magari la domenica, per avere il pesce che faticavano a trovare da altre parti. E quando sono arrivato ad aprire i miei locali, sono andato a cercare gli chef che conoscevo e che sapevo essere i più bravi. Ora Nicola lavora per me, così come altri cuochi che prima erano i miei clienti.” Nicola ascolta tutto, annuendo e ridendo da dietro il suo bancone, mentre cuoce il polpo e prepara un brodo di pesce che inebria, tanto è il profumo che emana. Il nostro viaggio è solo all’inizio. Lasciamo un po’ a malincuore la pescheria, con la promessa di tornare l’indomani per imparare a cucinare qualche leccornia, e ci prepariamo per andare a visitare lo stabilimento di produzione, alla ricerca del re assoluto di questo viaggio nella cultura gastronomica mazarese.

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prodotto a destinazione; oggi invece si preferisce entrare nel porto più vicino per scaricare il pescato e inviarlo a chi ne ha fatto richiesta. A quel punto finisce negli stabilimenti dei prodotti ittici e da lì ai vari clienti che lo comprano, alla piccola o alla grande distribuzione, ai ristoranti, alle pescherie.” Come viene pescato? “Ci sono vari modi - racconta Gianni- ma generalmente qui lo peschiamo a strascico: questo tipo di pesca è detta anche paranza, perché sia il lato destro che il lato sinistro della rete devono essere pari. Quest’ultima viene allargata dai divergenti e ha varie sezioni, dalla maglia più grande a quella più stretta fino ad arrivare al cosiddetto pozzale, che è la sezione con le aperture più strette, tali però da consentire al pesce più piccolo di uscire fuori, in modo da salvaguardarlo.”

IL GAMBERO ROSSO DI MAZARA Arriviamo allo stabilimento insieme a Roberto, e veniamo accolti da Gianni, Fabio e Destiny in tenuta da lavoro: camice bianco, guanti e cappellino. Siamo qui per sapere tutto, da come viene pescato a come viene viene confezionato, sul rossissimo, dolcissimo e burrosissimo Gambero Rosso mazarese, uno dei crostacei fra i più pregiati in assoluto, conosciuto e apprezzato non solo in Italia, ma richiesto nei mercati di Qual è il criterio con cui viene selezionato e suddiviso tutto il mondo, da Singapore a Dubai. il Gambero Rosso? Risponde Roberto: “Generalmente si parla di pezzatuGianni comincia a parlare: “Viene pescato sui fonda- ra di prima categoria, di seconda, di terza e di quarta. li marini a circa 400 m di profondità dai pescherecci In realtà ne esiste anche una premium, diciamo così, d’altura. Alla salpata, ovvero nel momento in cui le la prima extra. Come è facilmente intuibile, a seconda reti a strascico vengono tirate su, nel più breve tem- della grandezza del gambero si scala dalla prima alla po possibile viene fatta una cernita e il gambero viene quarta. suddiviso in base alla pezzatura. A quel punto viene riposto nelle vaschette da un kg e immediatamente abbattuto a bordo, a una temperatura di - 40 gradi. Questo passaggio ci consente di evitare l’uso massiccio di solfiti che in passato venivano utilizzati in gran quantità per questo tipo di prodotto. Una volta che il gambero è stato surgelato a bordo, viene confezionato e poi messo nelle celle di mantenimento che vanno da - 18 a -20 gradi: la temperatura non può essere inferiore perché altrimenti il crostaceo rischia di bruciarsi per il troppo freddo. Un peschereccio può rimanere in mare anche 40 giorni o più, dipende molto dalle zone in cui si trova (vicino alla Grecia, in Libia o in Egitto ad esempio): la bordata può durare anche tre mesi. Ma abbiamo la possibilità di fare un trasbordo: una volta al peschereccio si affiancava un’altra imbarcazione che trasportava il 20 - BBQ4All MAGAZINE


volta che subiscono una lavorazione (dall’affettatura dei tranci di pesce spada all’arricciatura del polpo, per fare due esempi). Non escono mai dalla stessa porta da cui sono entrati, per questo motivo tutte le celle frigorifere, la cui temperatura è controllata costantemente attraverso i monitor, hanno due porte. Il pesce lavorato non viene mai a contatto con quello ancora da lavorare.” E la tracciabilità? “A parlare è l’etichetta che apponiamo sulle vaschette. Dal cartone primario, cioè da quello che ci arriva dai pescherecci, possiamo capire quando e dove il prodotto è stato pescato e da lì ricaviamo anche la data di scadenza. Qui può cambiare solo la data di confezionamento. In caso di controllo, grazie al numero di lotto si può risalire al giorno in cui abbiamo preso il prodotto e da chi lo abbiamo ricevuto, in modo molto trasparente e sicuro.” Nel gergo marinaro si parla anche di numero di pezzi al chilo: - prima: 18/24 pz per kg - seconda: 25/34 pz per kg - terza: 35/42 pz per kg - quarta: 43/60 pz per kg. Ovviamente cambiano molto anche i prezzi a seconda delle categorie. Quelli grossi e quelli extra costano, giustamente, di più.” Come vengono confezionati i gamberi? Stavolta a parlare è Fabio: “Possiamo confezionare i nostri prodotti in modi differenti, ma per il gambero usiamo il termoretraibile: la vaschetta piena di crostacei viene messa sulla base del macchinario, dopodiché viene saldata e poi attraverso un rullo finisce nel forno. A quel punto, col calore la pellicola si ritrae. Non usiamo la confezione in skin per questo tipo di prodotto, per il semplice motivo che, nel momento in cui, grazie al sottovuoto la pellicola si adagia sui gamberi, i carapaci potrebbero bucare la confezione e far entrare aria.” Il tutto avviene in un ambiente pulitissimo, come tiene a sottolineare Gianni: “Stiamo attentissimi al fatto che non ci sia mai sporco a terra: i nostri prodotti seguono un circuito obbligato, da una cella frigorifera all’altra ogni

Non solo Gambero Rosso, quindi. “No, trattiamo quasi tutto. Per esempio, un altro prodotto che non può mai mancare qui a Mazara quando vogliamo mangiare il crudo è lo scampo. Anch’esso suddiviso a seconda della pezzatura, viene congelato a bordo dei pescherecci insieme all’acqua. Questo fa sì che le chele, molto delicate, non si spezzino durante il trasporto e ci permette di offrire un prodotto che finisca sulle tavole integro e perfettamente conservato.” Salutiamo i ragazzi e li lasciamo al lavoro: devono sezionare e poi confezionare il pesce spada. Noi, insieme a Roberto, ci avviamo verso la terza e ultima tappa di questo interessante viaggio alla scoperta del Gambero Rosso. Dopo aver imparato come viene pescato, lavorato e confezionato, non rimane che fare una sola cosa: assaggiarlo. Sapete come si dice, è un duro lavoro ma qualcuno deve pur farlo.

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IL RISTORANTE ALTAVILLA Era inevitabile, nel percorso della famiglia Giacalone, partito dallo stabilimento di produzione e arrivato alla gastro-pescheria, chiudere il cerchio aprendo un ristorante. E così è stato: qualche mese fa Roberto e Vito hanno inaugurato questo delizioso e raffinato locale che si affaccia sulla Cattedrale del Santissimo Salvatore. Da un lato si vede il mare – e non potrebbe essere altrimenti- dall’altro la Cattedrale e le secolari magnolie del parco antistante, che è pieno di vasi e ceramiche dipinte a mano (ceramiche che decorano ogni strada, panchina o gradino della kasbah); dietro il locale si trova piazza della Repubblica, la più importante della città, uno spazio barocco disegnato fra '600 e '700. Mare, storia, arte, incontro di culture diverse: sono tanti i profumi che si respirano in questo luogo di cui si parla troppo poco, anche se non so decidermi se questo alla fine sia un bene o un male.

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Arriviamo al ristorante all’ora di cena. Esattamente come si fa prima di un matrimonio, siamo qui per provare i piatti del menu che dovremo fotografare e raccontare ai nostri lettori. Gli chef del ristorante, Francesco Lombardo e Angelo Ferrara, ci servono un magnifico crudo di gamberi e scampi, le busiate al ragù di tonno, i tagliolini di nero di seppia con gamberi, burrata e lime. E poi Gianfranco Lo Cascio, che qui abita e conosce ogni piatto, vuole stupirci con effetti speciali: ordina crostini con ricci di mare, aragosta e champagne, frittura di cappuccetti (minuscoli calamari), sgombro al forno e carpaccio di ricciola. Tutto condito con olio d’oliva appena franto e limone. Terminiamo il pasto con la frutta martorana e un passito di Pantelleria che fa venire le lacrime agli occhi (in senso buono). Facciamo un piccolo meeting con gli chef e decidiamo il da farsi per i giorni successivi, quando verremo qui a fare lo shooting.


Il nostro primo giorno a Mazara è terminato. La sensazione che abbiamo è che tutto sia in perfetto equilibrio tra sguardo al passato ed estrema, moderna professionalità. Ho volutamente evitato di descrivervi il sapore indimenticabile del Gambero, specie se lo gustate crudo, specie se – come è d’obbligo fare qui- ne succhiate la testa, perché non voglio rovinarvi la sorpresa. Lascio ai cuochi e alle loro ricette il compito di accompagnarvi in questo viaggio. Slacciatevi le cinture, perché alla fine sarete sazi e contenti. DICEMBRE 2019

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SPECIALE GAMBERI - TECNICHE DI BASE e RICETTE

la colazione del pescatore

CRUDO DI GAMBERI E SCAMPI Scampi e gamberi, i frutti del mare, sono tra le preparazioni più ambite della cucina di pesce. Noi grigliatori amiamo abbrustolirli su una griglia rovente, dopo averli marinati e insaporiti, rendendo la loro la carne succulenta e profumata. Eppure tali esemplari ben si prestano (se assolutamente sicuri) per preparare degli ottimi piatti crudi, assaporando in tal modo tutto il gusto del mare. Vediamo cosa fare per presentare due piatti a base di gamberi rossi e di scampi crudi (e occhio alla provenienza, sempre). La pulizia Lo scopo della pulizia del crostaceo è quella esporre le carni eliminando il carapace, ossia l'esoscheletro, e rimuovere l’intestino, il filamento nero che scorre lungo la schiena. Gamberi e scampi sono animali che sostano sul fondo del mare, motivo per cui il budello è spesso colmo di sabbia e risulta, se mangiato, fastidioso e leggermente amarognolo. Nella prossima pagina sono illustrate in dettaglio tre diverse tecniche di pulizia dei crostacei. Prima di continuare, diamo una risposta esaustiva a una domanda che ci sentiamo fare spesso: parlando del Gambero Rosso di Mazara, possiamo notare come, da crudo, la testa risulti alla vista molto scura, quasi nera. Vuol dire che il prodotto non è fresco? No, niente affatto: quel colore scuro che vedete sono le uova che poi, da cotte, diventano di un bellissimo e brillante color arancio. Quindi niente paura.

sterebbero per accompagnare un crudo di gamberi e scampi da panico, ma con una buona dose di fantasia si può arrivare anche più avanti: una granita al limone per un contrasto fresco, una crema di burrata e basilico per accompagnare la succulenza della carne, o ancora una riduzione di frutti rossi per evidenziare le note dolci ma saporite del gambero. L’unica accortezza da avere è accertarsi che il crostaceo sia freschissimo, in modo da non incorrere in nessun problema di salute.

L a Tartare Una delle preparazioni più classiche per gustare un prodotto crudo, di pesce come di carne. Tagliate rigorosamente al coltello il gambero a cubetti di circa un centimetro, condite con olio, sale, pepe e una spruzzata di succo di limone; prendete un coppapasta, appoggiatelo su della carta forno e adagiate la carne all’interno, premendo per compattare bene il tutto. La viscosità della carne e l’olio aiuteranno nell’operazione, ma se dovesse essere necessario, girate il coppapasta in modo da premere anche dall’altro lato e uniformare le due superfici. La dimensione della grana va a vostro gusto e piacimento, ma è bene sottolineare che con una diIl crudo C’è chi preferisce evitare di lavorare ulteriormente mensione più grossolana avrete una maggior consistenza sotto i una materia prima così perfetta, così nobile. Un filo di olio extravergine di oliva e un po’ di pepe ba- denti. 24 - BBQ4All MAGAZINE


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T ECNICA N. 1

Rimuovere l'esoscheletro dalla coda in modo da servire all’occorrenza la carne con ancora attaccata la testa e le chele, oppure eliminando anche la parte anteriore utilizzando solo la coda per altre preparazioni. • Incidere il carapace sulla pancia, più morbida e flessibile, sollevando con l’aiuto della punta di un coltello l’esoscheletro. • Eliminando le zampe posteriori si agevola l'operazione. • Aprire l'esoscheletro sulla coda rimuovendolo dalla carne. • Incidere la coda per tutta la sua lunghezza • Con l'aiuto di uno stuzzicadenti o di un altro utensile appuntito ma non tagliente, rimuovere l'intestino.

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T EC N ICA N .2

Mantenere l'esoscheletro integro eliminando solo l'intestino (scelta ideale per grigliare i crostacei) • Piegare il crostaceo, incidere tra coda e testa, sfruttare l'apertura per inserire uno stuzzicadenti e tirare fuori delicatamente l'intestino.

T EC N ICA N .3

Aprire completamente il crostaceo (scelta ideale per i gamberi ammuddicati) • Incidere il crostaceo dalla schiena per tutta la sua lunghezza, dividendolo in due parti lungo l'asse di simmetria • Pulire la polpa dal canale digerente.

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I L M IG L IOR SAPO R E IN ASSO LUTO Come preparare una perfetta bisque di Gamberi Rossi di Mazara

procedimento descritto dagli chef Angelo Ferrara e Francesco Lombardo del ristorante Altavilla Ambìto e consumato in lungo e in largo, troppo spesso del gambero si perdono le qualità più importanti e distintive. Eh sì, perché se è vero che è la coda ad essere servita cruda o cotta in uno svariato repertorio di preparazioni, è anche vero che sono testa e carapace a contenere la maggior spinta di sapori e aromi, tra i più complessi, ricchi e potenti di tutta la cucina. Con pochi e semplici passaggi è possibile preparare un estratto dalla forza inaudita, adatto a insaporire brodi, salse, sughi, primi e secondi piatti. L’Assoluto di Gamberi è, di fatto, un concentrato inestimabile di sapori, una riserva preziosissima da preparare e tenere da parte, adatta a mille scopi. Premessa: l’origine del sapore Il carapace dei crostacei è una porzione di esoscheletro che protegge il cefalotorace dell’animale, ed è composto da 4 strati ben definiti: • •

epicuticola: proteica e lipidica, priva di chitina; esocuticola: formata da proteine e chitina eventualmente calcificata; • endocuticola: ricca in chitina e che può essere abbondantemente calcificata; • strato membranoso: contenente chitina non calcificata addossato all’epiderma. Un concentrato di proteine, lipidi e polisaccaridi insomma, che tostando funge da sorgente inestimabile di sapori.

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Prima parte: la Maillard Trito di sedano, carota e cipolle come base, il più classico dei soffritti, utile a garantire insieme ad un buon olio extravergine di oliva un’esplosione amplificata dei profumi estratti dal gambero. Una volta saltato il mix di verdure, spadellate tutte le rimanenze dei gamberi a fiamma alta: carapaci, teste, tutto quel che non si mangia insomma. Seconda parte: il plus di sapore Una volta che gli zuccheri del carapace sono caramellati, sfumate con del cognac per recuperare tutto il prezioso fondo; a tal proposito, se usate una padella antiaderente potete dire addio al 50% del risultato. Evaporato l’alcol, aggiungete qualche pomodoro datterino fresco o del concentrato di pomodoro, mezzo lime e abbondante ghiaccio, in modo da evitare che a fiamma viva i carapaci brucino in fretta, alterando le proprietà inestimabili per l’Assoluto perfetto. Terza parte: la riduzione Eliminate le teste e le chele, strizzando il loro contenuto all'interno della pentola, aiutandovi con una pinza. Fate ridurre, frullate con un mixer a immersione e filtrate con un colino cinese. Otterrete un concentrato molto denso, carico di sapori, utile anche in dosi minimi per generare un boost inconfondibile a qualsiasi piatto. Fidatevi, non potrete mai più vivere senza.

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L'ARAGOSTA come pulirla e come cuocerla alla perfezione

L’obiettivo è ricavare in maniera più pulita possibile, in modo da evitare sprechi, la preziosa polpa dalla coda, dal torace ed eventualmente anche dalle zampe e dalle chele. Il procedimento vale per tutti i grossi crostacei: aragoste, scampi di grossa pezzatura, astici, canocchie e cicale di mare. La particolarità di questi crostacei è che l’esoscheletro è molto duro e calcificato quindi occorrono utensili specifici, l’ideale è utilizzare delle buone forbici da cucina.

da un’aragosta: se esplorate in rete troverete molte varianti. Noi vi consigliamo di praticare delle incisioni lungo la parte ventrale e dorsale della coda, dove si trova la parte più nobile della polpa del crostaceo; l’operazione viene effettuata utilizzando una robusta forbice da cucina facendo scorre una delle lame al di sotto del carapace, al fine di ottenere due valve che vanno separate delicatamente. Si può anche lasciare la coda intera, tagliando con le forbici i lati del carapace (esattamente come si fa per gli scampi) e esponenIl primo passo per valorizzare e sfruttare al massimo do poi tutta la polpa. queste delizie del mare è lessarle correttamente (o facendole cuocere al vapore con un forno che abbia In fase di cottura potrebbe essere necessario fissaquesta funzione) in modo che i tessuti all’interno per- re la coda dell’aragosta con un supporto dritto in dano la consistenza gelatinosa traslucida e assumano modo che la contrazione dovuta al calore le impediuna corretta consistenza soda e bianca con sfumatu- sca di curvarsi, rendendo più complicata la rimozione re arancio. Ovviamente, come per la carne, l’overco- dell’esoscheletro. oking (la cottura eccessiva n.d.r.) genera una polpa meno succosa e saporita. Un indice non trascurabile Anche il torace e le zampe contengono una significatiper determinare la cottura di un crostaceo è il colore. va parte di carne edibile. Nell’aragosta le dieci zampe Molti hanno un colore rosso arancio piuttosto vivace articolate al torace (in realtà cefalotorace) possono anche allo stato crudo, invece molti altri, come gran- essere letteralmente spremute con un mattarello, fachi, astici e aragoste, hanno un colore completamente cendolo rollare su di esse, schiacciandole e spremendiverso da crudi e assumono la colorazione rosso-a- dole come se fossero un tubetto di dentifricio. rancio solo da cotti. Tuttavia esiste una temperatura ideale al cuore, seguendo la quale sappiamo con cer- Una volta pulita, l’aragosta si presta ad essere gustata tezza che l’aragosta è cotta: 56 gradi centigradi, misu- in numerose preparazioni: dal semplice olio e limone, rabili con uno dei nostri amati termometri da cucina. al sugo per la pasta (servita perfino all’interno del carapace, per un effetto scenico più impattante), dalla Non c’è un approccio specifico per ricavare la carne catalana alla griglia.

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il vero

co us co u s

alla Trapanese come prepararlo alla perfezione ricetta dello chef Nicola Indomito della gastronomia La boutique del pesce La condivisione delle culture, l’assorbimento, la nascita delle tradizioni sono la linfa vitale della cucina di tutti i tempi, anche remoti. Spesso ce lo dimentichiamo, intestardendoci sulle usanze, bloccando l’innovazione, arrabbiandoci di fronte ai cambiamenti o ancora insultando le preparazioni di altri popoli, eppure tantissimi dei nostri piatti più celebri e acclamati provengono da terre vicine e lontane. Probabilmente, non esiste testimonianza più forte dell’incontro tra culture diverse del cous cous trapanese. Un piatto che di fatto è nato più per il particolare processo di preparazione che per gli ingredienti in sé; in particolare, la cottura a vapore dei grani sul brodo di una pentola in terracotta risale probabilmente già al X secolo d.C. nell’Africa Occidentale. Ibn Battuta, uno dei più grandi viaggiatori mai esistiti, intorno al 1350 scoprì in Mali (l’odierna Mauritania) cous cous di miglio e di riso, ma è indubbio che il più diffuso e amato sia quello ricavato dalla semola di grano duro (Triticum durum). Definito ormai come piatto tradizionale dei Berberi (gli “uomini liberi”, popoli autoctoni del Nord Africa corrispondenti agli stati di Marocco, Algeria, Tunisia e Libia), conosciuto nel grande continente semplicemente con il nome arabo taʿām, che significa cibo, è oggi diffuso anche in Francia, Belgio, Israele, Giordania, Libano, Palestina, Brasile e soprattutto nella nostra cara Italia. Eh già, perché storicamente la Sicilia (e precisamente la zona di Trapani) è un territorio con frequenti legami sociali con Tunisia e Libia, specie negli ultimi due secoli. Fu probabilmente importato dai pescatori che si recavano in queste terre, motivo per cui ancora oggi il cous cous isolano è tradizionalmente preparato con un brodo di vari tipi di pesce, sia a Trapani che nelle aree limitrofe di Favignana e San Vito Lo Capo. Un’eccellenza indiscutibile, di uso quasi quotidiano, inserito tra i “Prodotti agroalimentari siciliani” riconosciuti dai Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali su proposta della Regione Siciliana. 36 - BBQ4All MAGAZINE


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Quando il grano e l’acqua si incontrano Oggi siamo ormai abituati alla vita frenetica, ai cibi pronti, a cucinare sempre meno, a privarci di tantissime soddisfazioni. E purtroppo, con il cambiamento dei ritmi quotidiani, c’è davvero poco da fare: chi cucina in casa ha sempre meno tempo, e persino l’appassionato più nerd è costretto a incastrare le preparazioni tra i vari impegni. Ma chi ha avuto la fortuna di assistere almeno una volta nella vita alla preparazione del cous cous non può negare quanto sia magico e coinvolgente. Peraltro, com’è ovvio, il risultato non è nemmeno paragonabile al precotto e inscatolato che troviamo sugli scaffali del supermercato, spesso molliccio e poco saporito. Senza contare il significato intrinseco dell’unione tra il grano e l’acqua, da sempre simboli di terra, di fertilità, di cibo e di vita. Di base il processo è piuttosto semplice: si mischia della buona semola rimacinata di grano duro a poca acqua, e lo si fa in modo da formare piccole pallottoline, grumi rotondi, sgranando e facendo asciugare a più riprese (in gergo incocciando). Per un chilo di semola servono circa 3 bicchieri di acqua tiepida; si aggiunge un cucchiaio di sale fino, poi il primo bicchiere e si mescola con le dita in una ciotola capiente, in modo da far assorbire uniformemente il poco liquido da tutta la farina. Un processo lungo e meticoloso, che si porta dietro l’ovvio rischio di scarsa omogeneità del composto, soprattutto per mani poco esperte; eppure il trucco c’è, poco adatto ai classici detrattori di metodi ben più rapidi ed efficaci, ma che ha la sua indubbia praticità; Nicola ce lo rivela: utilizzando uno sbattitore elettrico, i tempi saranno decisamente minori, e l’uniformità della grana raggiungerà un grado ben più elevato. Una volta che il composto è asciutto, si inserisce il secondo bicchiere, si mescola e si lascia nuovamente asciugare all’aria. Ripetendo il processo tre volte si raggiunge una dimensione media dei grumi, la più classica, ma è bene dire che a seconda dei gusti più o meno passaggi consentono di variare lo stile del cous cous. 38 - BBQ4All MAGAZINE

Il plus di sapore Nel mentre, viene preparata un’emulsione semplice ma efficace, utile a condire il cous cous prima della cottura. Tre bicchieri di un buon olio extravergine di oliva, leggero ed equilibrato ma presente, una cipolla bionda e tre spicchi di aglio rosso di Nubia, più morbido e dolce; il tutto viene messo in un bicchiere e ridotto a crema con un frullatore a immersione, per poi essere aggiunto ai grumi e mescolato ulteriormente a mano o tramite lo sbattitore elettrico. La cottura Tradizionalmente il cous cous veniva versato a questo punto in una pentola di terracotta con la base forata, appoggiata su un secondo recipiente contenente acqua bollente o brodo, e sigillata insieme con l’impasto del pane in modo da evitare di far fuoriuscire il prezioso vapore. Oggi esistono metodi ben più consolidati, come la couscoussiera, una doppia pentola a incastro in acciaio inox: la prima alta e la seconda più bassa, forata e con coperchio.


In ristorazione vengono utilizzati altrimenti i forni a vapore e teglie forate, in modo da distribuire i quantitativi ben più elevati di cous cous e consentire a tutti i grumi una cottura omogenea. Qualsiasi sia il metodo utilizzato, per una grana media il tempo di cottura è di circa due ore.

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Il brodo, il pesce, il mare A differenza della versione originale magrebina, preparata con carne e verdure, il cous cous della nostra terra viene insaporito con un brodo di pesce denominato ghiotta; come per tutti i brodi, prodotti della cucina povera e popolare, la presenza di pesci piccoli e poco pregiati è forse l’elemento più distinguibile di tutta la preparazione. L’utilizzo di più varietà di pesce consolida la ricchezza di questo piatto apparentemente semplice, ma dal gusto inestimabile 40 - BBQ4All MAGAZINE


Immancabili gli scorfani (sia rossi che neri) e poi orate, triglie, sgombri, tracine, cernie, San Pietro, vope, gallinelle, luvari e occasionalmente anguille, saline, gamberi e scampi.

Aggiunta l’acqua, la cottura prosegue per circa tre ore, poi il brodo viene frullato e filtrato, in modo da ottenere un estratto abbastanza denso. Consiglio spassionato: prima di frullare tirate fuori dalla pentola Le dimensioni contano poco, e il qualche trancio di pesce, per pomotivo è presto detto: il pesce (un terlo utilizzare al momento del chilo ogni cinque litri di acqua) vie- servizio per la composizione del ne fatto saltare insieme ad un bat- piatto. tuto di cipolla, aglio e prezzemolo, viene aggiunto del concentrato di pomodoro, abbondante sale e pepe a piacere.

Impiattamento e servizio Fate saltare qualche pomodorino in una padella ben calda con olio e uno spicchio d’aglio, prendete brodo, il cous cous tenuto in caldo in un contenitore di terracotta e il pesce. Componete i piatti servendo il cous cous in piatti fondi o ciotole, versate mezzo mestolo di brodo, qualche trancio di pesce e i pomodorini appena saltati (e non dimenticatevi i nostri gamberi rossi di Mazara!) e godetevi il frutto del vostro instancabile lavoro DICEMBRE 2019

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BUSIATE AL RAGÙ DI TO NNO ricetta dello chef Angelo Ferrara del ristorante Altavilla Tipiche della tradizione trapanese, le busiate sono un formato di pasta fresca fatta solo con farina, acqua e un pizzico di sale. Si tratta di una sorta di maccheroni attorcigliati su se stessi, con la tipica forma a spirale cava al centro. Questo fa sì che la pasta cuocia alla perfezione e che trattenga benissimo il condimento. L’origine del nome, come spesso accade, è incerto: secondo alcuni deriva da un particolare ferro da maglia detto buso, che veniva utilizzato nel trapanese per lavorare lana e cotone, col quale si dava la forma a spirale alla pasta; secondo altri, il nome deriva dalla busa, ovvero lo stelo molto sottile dell’Ampelodesmos mauritanicus, graminacea tipica della macchia mediterranea, che veniva utilizzato sia per legare i fasci di spighe che per realizzate le busiate. In ogni caso, per preparare questi maccheroni basta avvolgere l’impasto intorno al ferro e poi dargli la forma desiderata attraverso la pressione col palmo della mano. Se non si possiede il ferro adatto, si

può utilizzare anche uno spiedino di legno. Di solito le busiate vengono condite con il pesto alla trapanese, ma oggi lo chef Angelo Ferrara ci insegna un ragù di tonno che si sposa benissimo con questi tipica pasta siciliana. Il tonno usato per questa ricetta è quello a pinne gialle, chiamato così per la caratteristica colorazione delle pinne dorsali e ventrali, la cui carne è tenera, compatta e dal colore rosa intenso. La spezia che viene usata dallo chef, che dona un sapore molto particolare al ragù, è il finocchietto: è importante ricordare che, dopo aver eliminato tutti i fili duri, va sciacquato e fatto bollire in una pentola con acqua salata. Prima di essere utilizzato, infatti, il finocchietto va sempre sbianchito. E se non riuscite a trovare le busiate o non avete tempo per prepararvele da soli? Lo chef consiglia le trofie, che si adattano benissimo a questo ragù. DICEMBRE 2019

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Preparazione 1. Riducete il tonno a pezzetti piccoli e poi, in una padella, soffriggete in olio extravergine di oliva il sedano, la carota e la cipolla tritati finemente. 2. Tritate il finocchietto e aggiungetelo al soffritto, poi fate insaporire il tonno. 3. Bagnate il tutto col vino bianco e lasciatelo evaporare. 4. Aggiungete il concentrato di pomodoro con poca acqua, aggiungete i pinoli e aggiustate di sale (senza esagerare, addirittura lo chef consiglia di non usare il sale e di regolarsi solo con quello nell’acqua della pasta); a questo punto lasciate cuocere il ragù: è importante ricordare che il tonno non ha bisogno di una cottura prolungata. 5. Cuocete la pasta in abbondante acqua salata, e poi saltatela in padella con il ragù di tonno e i pinoli, aggiungendo acqua di cottura per risottarla un po'.

I N GREDIENT I

PER 4 P ERSO NE • 300 g Tonno pinna gialla • 300 g di busiate • qualche rametto di finocchietto sbianchito in padella • un cucchiaio di sedano, carota e cipolla tritati finemente • vino bianco q.b. • mezzo cucchiaio di concentrato di pomodoro • pinoli 100 g • sale q.b. • olio extravergine di oliva q.b.

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TAGLIOLINI AL NERO DI SEPPIA

con gambero rosso, burrata e lime ricetta dello chef Angelo Ferrara del ristorante Altavilla Cos’è il nero di seppia? Chiamato comunemente inchiostro è una sostanza altamente colorante, contenuta in un organo speciale presente nei molluschi cefalopodi, di interesse gastronomico: si trova nei polpi, nei calamari e nelle seppie. Presenta colorazioni differenti a seconda della specie ma è costituito essenzialmente da muco e melanina. Il nero di seppia è contenuto in una ghiandola a forma di sacco annessa al tratto finale dell’apparato digerente del mollusco. Il suo contenuto viene espulso direttamente nella cosiddetta cavità del mantello dove alloggiano le branchie, e spruzzato tramite il sifone, cioè una struttura tubolare che serve all’animale per respirare e muoversi secondo principio della propulsione a getto tipico di questi molluschi. L’animale espelle l’inchiostro a scopi difensivi. Per ricavare facilmente una quantità di inchiostro sufficiente, le seppie devono essere di buone dimensioni e freschissime, in quanto gli organi interni di questi molluschi sono fragili e si decompongono molto rapidamente dopo la morte dell’animale. 46 - BBQ4All MAGAZINE

deve risultare morbido e non Per mantenere integra la struttura della seppia e ricavare la ghiandola appiccicoso. Se si presenta andell’inchiostro è necessario incicora pallido e grigio, aggiungedere la seppia dal dorso e rimuovere altro nero. re l’osso, in questo modo saranno 3. Quando il panetto di impasto visibili le interiora del mollusco è pronto, fatelo riposare per che devono essere rimosse deliun’ora, poi stendetelo con un catamente al fine di non rompere mattarello aiutandovi con la la ghiandola che ha un colore nefarina, poi avvolgetelo su se ro-argenteo. Il nero di seppia deve stesso e ricavate i tagliolini. essere consumato rapidamente 4. In una padella mettete l’olio, e ha un altissimo rendimento in lo spicchio d’aglio, il cucchiaio termini di colorazione. Può essere di soffritto e fate cuocere legutilizzato sia come base per congermente i gamberi sgusciati, dimenti sia come colorante per la tenendovene però quattro anpasta, classica o all'uovo. cora col guscio; sfumate con Qui è stato usato per l’impasto dei vino bianco e fate evaporare tagliolini che poi sono stati conditi l’alcool. con gambero rosso di Mazara, una 5. Scottate i tagliolini in abbonburrata rigorosamente pugliese e dante acqua salata, poi aggiundel lime. geteli al condimento facendoli saltare e risottare, continuanPreparazione do a mantecare per dare cre1. Mettete la farina in un recimosità. Non aggiungete sale al piente, setacciandola, poi inucondimento, ma solo all’acqua miditela con mezzo bicchiere di cottura. d’acqua e un pizzico di sale; 2. Diluite il nero di seppia in ac- 6. 6. Impiattate i tagliolini con burrata pugliese, una gratqua: questo procedimento aiutugiata della scorza del lime e ta la colorazione dell’impasto un gambero intero come decche deve essere di un nero asorazione. soluto; cominciate ad aggiungere il nero all’impasto, che


I N GREDIEN TI

P ER 4 P ERSO N E PER I TAGLIOLINI: • 400 grammi di semola di grano duro rimacinata • acqua q.b. • un pizzico di sale • nero di una seppia sciolto in 2 cucchiai di acqua fredda PER IL CONDIMENTO: • uno spicchio d’aglio • un cucchiaio di sedano, carota e cipolla e tritati finemente • olio extravergine di oliva q.b • sale q.b. • 200 g di burrata pugliese • mezzo bicchiere di vino bianco • una ventina di Gamberi Rossi di Mazara • un lime

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L’ ammaru ammuddicato NON UN SEMPLICE G A M B E R O G R AT I N AT O ricette dello chef Francesco Lombardo del ristorante Altavilla Il Gambero Rosso di Mazara del Vallo è un’eccellenza gastronomica siciliana. Un prodotto unico nel suo genere, pescato nelle profondità del mar Mediterraneo. Questo crostaceo vive nelle limpide acque del canale di Sicilia e, grazie all’elevata evaporazione di questo mare, è caratterizzato da una tipica nota di sapidità apprezzabile sia da cotto che da crudo. Nel suo gusto inconfondibile è inoltre possibile percepire il sapore tipico dei fondali marini di queste zone. Che gusto ha? È molto più dolce dei gamberi che siamo soliti assaggiare, ha una burrosità al palato molto accentuata e, quando si succhia la testa, si ha proprio la sensazione di assaggiare il mare. Come abbiamo già detto più volte, per preservare queste sue eccezionali caratteristiche viene congelato direttamente a bordo a una temperatura di -40°,per fare in modo che durante le lunghe battute di pesca il prodotto non deperisca.

spettacolare crostaceo non manca mai durante le festività ed è protagonista indiscusso sulle tavole dei siciliani. Oggi lo chef Francesco Lombardo ci propone una ricetta semplice e veloce che però riesce a esaltare il delicato gusto del gambero. È quello che in Sicilia viene definito ammaru ammuddicato. Per rendere comprensibile a chi non è pratico del dialetto siciliano possiamo tradurlo in gambero gratinato, ma questa definizione non gli rende giustizia.

Prima di parlare della ricetta protagonista di oggi è bene soffermarsi su un altro ingrediente che sarà presente nel piatto: la muddica atturrata. Diversamente da quello che sembra, questo ingrediente non è semplicemente del pangrattato, ma è il prodotto che si ottiene grattando la mollica dal pane di semola divenuto secco. Una volta ottenuta la muddica si fa tostare in padella con un filo d’olio, sale Nell’area del trapanese questo e pepe, fino a ottenere il prodotto 48 - BBQ4All MAGAZINE

adatto a questo tipo di preparazione. Nella versione palermitana, oltre agli ingredienti appena citati, si aggiungono prezzemolo e aglio tritati nella fase di tostatura. Anche in questo caso abbiamo pensato a chi non può proprio rinunciare alle sue amate preparazioni in griglia: la ricetta si presta benissimo ad essere preparata nel kettle.


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I N GREDIENT I

PER 4 P ERSO NE • 16 Gamberi rossi di Mazara del Vallo • 500 g di muddica alla palermitana • 100 g di Parmigiano grattugiato • Olio extravergine di oliva q.b.

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Preparazione 1. Preparate il kettle per una cottura indiretta e settatelo a 180° 2. Sciacquate i gamberoni e asciugateli 3. Con un paio di forbici da cucina apriteli dorsalmente facendo attenzione a non incidere la carne 4. Apriteli leggermente aiutandovi con le dita ed estraete il budello e la sacca che si trova nella testa 5. Una volta pulito ogni gambero, con un coltello dal cucina incidete la carne 6. Mescolate adesso la muddica alla palermitana con il parmigiano 7. Tenendo i gamberi aperti con le dita ungeteli con un po’ d’olio 8. Aggiungete adesso la panatura all’interno del gambero 9. Ungete una teglia con un filo d’olio e adagiatevi i gamberi 10. Aggiungete un ultimo filo d’olio 11. Cuocete nel kettle per 20 minuti circa.

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ricette dello chef Nicola Indomito della gastronomia La boutique del pesce No, non ci stiamo riferendo a belle e procaci donne dell’isola dei quattro mori. Oggi parliamo di un altro tipo di bellezza. Forse la più grande del mar Mediterraneo: il pesce azzurro. Prima di addentrarci nella descrizione delle ricette, è bene diradare la nebbia e fare chiarezza sulle differenze tra queste specie di pesci. Per farlo, sarà necessario rispolverare le conoscenze di biologia. Con il termine generico sarda si indicano i pesci appartenenti a due grandi famiglie: quella dei Clupeidae e quella degli Engraulidae. A queste due famiglie appartengono le sardine, le acciughe (o alici), e le aringhe. Il nome sarda (sarda sarda, Bloch, 1793) è riferito a un altro pesce, comunemente detto palamita, che però è molto più grosso rispetto agli altri. Sardine (Sardina pilchardus, Walbaum, 1792) e aringhe (Clupea harengus, Linneo, 1758) appartengono entrambe alla famiglia Clupeidae ma sono due specie diverse, mentre le acciughe (Engraulis encrasicolus, Linneo, 1758) appartengono alla famiglia Engraulidae. Questi pesci, seppure simili all’apparenza, sono molto differenti nel

gusto; per questo motivo se ne fa un diverso utilizzo in cucina. Per le ricette che seguono la protagonista è la sardina che in Sicilia viene comunemente chiamata sarda. Oggi, insieme allo chef Nicola Indomito, ci addentriamo nei meandri della tradizione culinaria siciliana con due preparazioni tipiche dell’isola: la pasta con le sarde e le sarde a beccafico. La prima, inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani redatta dal Ministero delle politiche agricole e forestali, è tipica della stagione che va da marzo a settembre, ovvero il periodo in cui è più facile reperire sarde fresche e raccogliere nei campi il finocchietto selvatico (ingrediente di cui è ricca). Secondo la leggenda, questa pasta fu inventata dal cuoco arabo di Eufemio da Messina (alcuni sostengono che questo fatto sia successo proprio a Mazara!) il quale, dovendo sfamare le truppe durante la campagna militare degli arabi in Sicilia, si trovò a dover arrangiarsi con il poco che aveva a disposizione: fu così che nacque la prima ricetta mare&monti della storia, poiché il cuoco unì un prodotto del mare, le sarde, con altri

due prodotti della terra, il finocchietto e i pinoli. Le sarde a beccafico, invece, sono nate come imitazione povera di una ricetta destinata ai nobili: i beccafichi ripieni, ovvero gli uccelli che rappresentavano il tipico bottino di caccia dell’aristocrazia siciliana. Ben presto il popolo si ingegnò: al posto degli uccelli usò le sarde, al posto delle interiora dei volatili, la mollica di pane, i pinoli e l’uvetta. Nacque questa deliziosa preparazione, oggi presente sulle tavole siciliane come antipasto o come secondo piatto durante ogni ricorrenza. Lo chef le ha preparate per noi seguendo la tradizione. Ehi, un attimo di attenzione: anche per queste due ricette si usa la muddica atturrata e non il pangrattato. Ne abbiamo già parlato in precedenza (vedi ammari ammuddicati): siete stati attenti, vero?

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Operazione preliminare per entrambe le preparazioni è la pulizia delle sarde. È abbastanza semplice, ma richiede manualità e un po’ di pratica. Prendete le sardine e ponetele in uno scolapasta, sciacquatele dunque sotto l’acqua corrente. Fatto questo staccate la testa del pesce e, aiutandovi con il pollice, aprite il pesce in due seguendo la linea ventrale. Fatto questo eliminate la lisca centrale. Se avete un po’ più di manualità potete anche unire le operazioni: staccando la testa tirate verso la coda e contemporaneamente aprite il ventre ed eliminate la lisca. Terminata la fase di pulizia rimettete le sardine nello scolapasta e passatele nuovamente sotto l’acqua corrente per eliminare gli ultimi residui di sangue.

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PASTA CO N LE

SAR DE

Preparazione 1. Tritate finemente la cipolla e il finocchietto 2. In una pentola mettete la cipolla, il finocchietto, una dose generosa di olio, i pinoli, l’uvetta e il vino. 3. Fate adesso rosolare il tutto. 4. Aggiungete la passata di pomodoro e lasciate sobbollire qualche minuto. 5. È il momento dello zafferano: aggiungetelo al sugo; in alternativa, se volete, provare la curcuma (ma non ditelo ai gastrotalebani!) 6. Lasciate sobbollire qualche minuto 7. Aggiungete infine le sarde pulite e sciacquate. 8. Aggiustate di sale e fate cuocere a fuoco dolce, aiutandovi con un poco d’acqua se il sugo vi sembra troppo asciutto 9. Nel frattempo in un’altra pentola mettete a cuocere la pasta 10. Quando la pasta è cotta conditela con il sugo di sarde 11. Impiattate adesso la pasta condita e guarnite con la muddica come se fosse parmigiano.

INGREDIENTI

P ER 4 P ER S O N E • 500 g di sarde già pulite • 500 g di bucatini n° 7 • due mazzi di finocchietto selvatico sbianchito • mezzo bicchiere di passata di pomodoro • 100 g di pinoli • uva passa q.b. • una bustina di zafferano • una cipolla bianca • un bicchiere di vino bianco • olio extravergine di oliva q.b. • 100 g di muddica atturrata

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SARDE

A B ECCAF ICO

INGREDIE NTI

P ER 4 P ER S O N E • • • • • •

16 sarde pulite 500 g di muddica 100 g Pinoli 50 g di uva passa uno spicchio d’aglio un ciuffo di prezzemolo • farina di semola di grano duro q.b.

Preparazione 1. Tritate finemente l’aglio e il prezzemolo 2. In una padella antiaderente mettete a rosolare l’aglio, il prezzemolo e la muddica 3. Salate e pepate 4. Quando il pangrattato sarà tostato a sufficienza toglietelo dal fuoco e mescolatelo coi pinoli e l’uvetta 5. Su un tagliere disponete una sarda aperta a libro con la pelle rivolta verso il basso 6. Aggiungete adesso il pangrattato 7. Adagiateci sopra un’altra sarda con la pelle rivolta verso l’alto 8. Chiudete “l’involtino”, arrotolandogli intorno lo spago da cucina 9. Infarinate adesso le sarde e friggetele in olio extravergine di oliva.

I piatti di ceramica ritratti nelle pagine 37,41, 56 e 60 sono opera dell'artista Rosa Signorello, la sua bottega d'arte si trova a piazza S.Veneranda, a Mazara del Vallo (TP). Ogni prodotto realizzato da Rosa è fatto con cura nei minimi dettagli, ambasciatrice silenziosa di culture sapientemente mixate, secoli di esperienza e manualità ormai in disuso nei paesi Occidentali.

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CAPONATA D I TO NNO

ricetta dello chef Nicola Indomito della gastronomia La boutique del pesce

Ricetta dal sapore agrodolce, tipica della Sicilia, la caponata ha una versione diversa tante quante sono le città e i paesini in cui la si prepara. Ufficialmente ne esistono 37 varianti, ma probabilmente sono molte di più. Originariamente, questo piatto nasceva come una preparazione di mare, riservato solo al ricco palato della nobiltà, perché realizzato con il capone ( o lampuga in altre zone d’Italia), da cui prese anche il nome. Il pregiato pesce azzurro, tipico del periodo estivo, era accompagnato da un gustoso sughetto agrodolce con capperi, olive ed altre verdure di stagione. L’intingolo, oltre ad esaltare il sapore del capone e a mitigare il carattere asciutto della carne, era (ed è) la chiave del successo della caponata. Infatti, quando la ricetta uscì dai palazzi dell’aristocrazia, per diffondersi tra la gente comune, solo il costoso pesce fu sostituito con la più economica melanzana, tuttavia la modifica non rese meno eccezionale la ricetta. Oggi la impreziosiamo di nuovo, grazie alla versione dello chef Nicola Indomito, cuoco della gastro-pescheria “La Boutique del 62 - BBQ4All MAGAZINE

lanzane sotto l’acqua e asciupesce” a Mazara del Vallo, aggiungatela tra due canovacci. gendo il tonno. Sappiamo che questo pesce, per mantenere morbi- 4. Friggetele in abbondante olio di semi: quando saranno belle dezza e succosità, ha bisogno di dorate, con l’aiuto di una schiuuna cottura breve, mentre la capomarola toglietele dalla padella nata ha bisogno di stare sul fuoco e adagiatele su un piatto ricopiù a lungo. Quindi, per non farlo perto con carta da cucina, per diventare stopposo, lo scottiamo asciugarle dall’olio in eccesso. velocemente prima sulla piastra e poi terminiamo la cottura insieme 5. In una casseruola versate un po’ di olio d’oliva extravergine alle verdure, per pochi minuti, in e mettete a rosolare la cipolla modo che tutti i sapori si sposino e il sedano tagliati grossolanatra di loro alla perfezione. Per voi mente. irrudicibili del bbq: provate a sostituire la piastra con la griglia. Il 6. Quando il sedano e la cipolla saranno imbionditi, unite le risultato sarà eccezionale. olive - denocciolate e ridotte a rondelle- e i capperi. Lasciate Preparazione insaporire per qualche minuto. 1. Lavate le melanzane sotto l’acqua corrente e mantenendo la 7. Aggiungete la passata di pomodoro, l’aceto e lo zucchero buccia tagliatele a dadini, non e mescolate bene; dopo una troppo piccoli. decina di minuti mettete anche 2. Prendete uno scolapasta, verle melanzane ed aggiustate di sate all’interno un primo strato sale (e di pepe, anche se lo chef di melanzane e salatele, poi un ne evita sempre l’uso, perché, secondo strato e salatele nuodice, tutti i suoi piatti devono vamente. Appoggiate sopra di essere consumati anche dai esse un piatto con un peso, in bambini). Lasciate cuocere il modo che possano perdere il tutto finché le melanzane non proprio liquido amaragnolo, saranno morbide. per 30 minuti circa. 3. Sciacquate la dadolata di me- 8. Mezz’ora prima di passarlo sul-


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la piastra, togliete il tonno dal frigo ed avvolgetelo con della carta da cucina per eliminare l’umidità in eccesso. 9. Quando le verdure saranno quasi pronte, oliate il tonno e scottatelo su entrambi i lati. 10. 10. Tagliate il pesce a cubotti e unitelo alle verdure affinché termini la cottura e si amalgami con gli altri ingredienti.

• • • • •

200 g di tonno pinnegialle due melanzane una costola di sedano una cipolla 80 g di olive verdi denocciolate • 30 g di capperi sotto sale • mezzo bicchiere di aceto di vino bianco • 100 g di passata di pomodoro • 40 g di zucchero semolato • olio d’oliva extravergine q.b. • olio di semi q.b. • sale q.b. •pepe q.b.

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LUN GA VI TA A

SUA MAESTÀ il

cannolo

Un’altra prelibatezza che ha reso celebre nel mondo la lussuriosa e variopinta pasticceria siciliana è il Cannolo: una cialda arrotolata e croccante, ripiena di morbida crema di ricotta con gocce di cioccolato, le cui aperture laterali sono magistralmente decorate con golosa frutta candita. Questo dolce, come la Cassata, può vantare una storia millenaria; sappiamo che è nato dall’incontro tra la cultura araba e quella siciliana ( 827 d.C. - 1072 d. C.) a “Kalt El Nissa” (la città delle donne) l’odierna Caltanisetta. Durante la dominazione saracena, gli emiri impegnati nell’espansione dell’impero Ottomano stabilirono in questo luogo gli harem personali. La leggenda narra che le concubine dedicassero molto tempo all’arte culinaria, per compiacere il proprio signore anche fuori dalle lenzuola. Tra le tante leccornie preparate era presente anche il cannolo con il quale, vista la forma fortemente allusiva, venivano lodate le grandi doti amatoriali dell’emiro. Verso il 1100 d.C., con l’arrivo dei Normanni, conquistatori di fede cristiana, gli harem furono spazzati via e sostituiti dai monasteri; tuttavia la ricetta dei cannoli non andò perduta. Secondo il pensiero di alcuni, infatti, con il nuovo dominio le concubine decisero di abbandonare le proprie vesti colorate e riccamente adornate per indossare il velo.

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Secondo un’altra leggenda, pare che la preparazione di questo dolce tipico del Carnevale, fu ispirata da una burla, da cui prese anche il nome. In dialetto siciliano con il termine o’cannulo si indicava un piccolo tubo; nei tempi passati era realizzato con canne di fiume ed era collegato a dei recipienti da cui sgorgava l’acqua. Lo scherzo, ideato forse da un prete mattacchione, si svolgeva così: il malcapitato si avvicinava al cannello per bere dell'acqua fresca, ma si ritrovava con la bocca ripiena di ricotta. Da qui l’idea di realizzare una cialda arrotolata, utilizzando una canna di fiume per fissare la forma durante la frittura, farcita con crema di formaggio fresco. Una cosa è sicura, con il fluire del tempo il cannolo è diventato sempre più buono da mangiare e più bello da guardare (grazie all’introduzione del cioccolato dopo la scoperta dell’America e all’influenza dello stile Barocco, che imponeva decorazioni fastose) rendendolo un dolce da assaporare in ogni occasione e non solo per Carnevale. Qui sotto trovate la ricetta per realizzare nelle vostre cucine degli ottimi cannoli siciliani. Quelli che vedete fotografati, sono stati realizzati per noi dalla Pasticceria DoppioZero a Mazara del Vallo.


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I N GREDIENT I

PER 6 P ERSO NE PER LA BUCCIA: • 250g di farina • 50ml di Marsala • 10ml di aceto di vino bianco • 30g di strutto • 30g di zucchero • un uovo intero • un tuorlo • la scorza di un limone • un pizzico di sale PER IL RIPIENO DI RICOTTA: • 500g di ricotta di pecora • 120g di zucchero semolato • 50 g di cedro candito • 50 g di gocce di cioccolato fondente • scorza d’arancia candita q.b. • ciliegie candite q.b. • 50g di granella di pistacchi di Bronte • olio di semi q.b.

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Preparazione 1. In una ciotola capiente versate la farina setacciata e al centro versate il Marsala, l’aceto, lo zucchero, lo strutto, l’uovo e il sale. Inizialmente mescolate con un cucchiaio tutti gli ingredienti, dopodiché continuate ad impastare con le mani fino a quando non avrete ottenuto un panetto compatto e omogeneo. Avvolgetelo nella pellicola alimentare e riponetelo in frigo per circa un’ora. 2. Su una spianatoia spolverata con della farina, con l’aiuto di un mattarello stendete la pasta fino ad ottenere una sfoglia sottile di circa 2mm 3. Se non disponete di uno stampo per cannoli, prendete un coppapasta rotondo, che sia grande in proporzione al cilindro che userete per formare i cannoli. 4. Prendete un disco tenendolo tra le due mani in modo da allungarlo, sarà il punto di chiusura del cannolo. 5. Avvolgetelo non troppo stretto intorno al cilindro, perché durante la frittura l’olio deve avere la possibilità di passare tra il tubo e la pasta. 6. Per chiuderlo usate il tuorlo d’uovo sbattuto.

7. Versate abbondante olio in una pentola alta e iniziate a friggere i cannoli per 2-3 minuti, girandoli spesso in modo che la cottura risulti omogenea 8. Scolateli bene ed asciugateli su della carta da cucina 9. Lasciateli raffreddare e poi con molta delicatezza sfilate i cilindri dall’interno dei cannoli. 10. Siamo giunti alla preparazione della crema. La sera prima, mettete la ricotta intera dentro un colino posizionato sopra una ciotola, per farle perdere il siero. 11. Il giorno dopo, setacciate la ricotta e aggiungete lo zucchero fino a che non si è amalgamato bene. A questo punto, unite prima i canditi, poi mescolate e mettete le gocce di cioccolato. 12. Riempite i cannoli utilizzando la sac à poche, prima da una parte e poi dall’altra. 13. Decorate a vostro piacimento le estremità con della frutta candita e la granella di pistacchi. Un consiglio: riempite i cannoli sempre poco prima di servirli ai vostri ospiti, perché l’umidità della ricotta ammorbidisce la cialda.

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cassata siciliana LA VE RA

L’emblema dell’opulenta ricchezza di sapori e di colori, unita alla straordinaria maestria nella decorazionetipica della pasticceria siciliana apprezzata in tutto il mondo- è la cassata. Abbiamo già parlato di questo squisito dolce nel numero di Aprile mostrando una versione che fondeva insieme la tradizione secolare con la cultura della griglia, decorandolo con frutta grigliata al posto di quella candita.

Normanna, la ricetta conobbe un’importante modifica avvicinandosi moltissimo alla versione moderna: da preparazione calda diventò fredda. La pasta frolla venne sostituita dalla deliziosa pasta reale, detta anche Martorana, realizzata con farina di mandorle.

Ideata dalle monache dell’ordine della Martorana, intorno al 1100, la pasta reale veniva utilizzata dalle consorelle per realizzare i famosi frutti, dolcetti tipici Questa volta, invece, presentiamo la cassata classica, della festività dei morti. In seguito, nel ‘600, il domirealizzata per l’occasione dalla Pasticceria DoppioZe- nio spagnolo e l’influsso barocco arricchirono la torro a Mazara del Vallo. Questa torta, così come molte ta con nuovi elementi: il cioccolato, il pan di Spagna, altre ricette tipiche del territorio, nasce dalla grande la lussureggiante decorazione con frutta candita e gli influenza saracena durante il dominio arabo (827d.C.- ornamenti simili a ricami lungo la fascia di pistacchio. 1072d.C.). La codificazione della ricetta di questa straordinaria Il nome Cassata deriva dalla parola araba quas’at (ba- e cosmopolita delizia, avvenne nel 1873 ad opera del cinella). Inizialmente, a Palermo alla corte dell’emiro, mastro pasticcere Salvatore Gulì, che aggiunse alla la sua forma era ancora molto lontana da quella che decorazione la zuccata (zucca candita) da quel mosiamo soliti vedere nelle vetrine delle pasticcerie, per- mento ornamento immancabile della cassata. ché cotta al forno e priva di decorazioni. La crema di ricotta veniva messa all’interno di un guscio di pasta- Vediamo come realizzarne una a casa, seguendo le lifrolla e infornata. Nel XII secolo, con la dominazione nee guida della Pasticceria DoppioZero.

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I N GREDIENT I

PER 6 P ERSO NE PER LA PASTA REALE • 250g di pistacchi di Bronte pelati • 250g di zucchero semolato • 125ml di acqua PER LA FRUTTA CANDITA • due arance • 250g di zucca pulita • zucchero semolato q.b. • cannella q.b. PER IL PAN DI SPAGNA • 120g di farina • quattro uova • 120g di zucchero • burro q.b. • 8 gr di lievito per dolci (circa mezza bustina) PER LA CREMA DI RICOTTA • 1kg di ricotta • 100g di gocce di cioccolato fondente • 240g di zucchero PER LA BAGNA • 250g di acqua • 125g di zucchero semolato • 35 g di rum PER LA GLASSA • 350g di zucchero fondente • 175g di acqua PER LA GHIACCIA REALE • l’albume di un uovo • 170g di zucchero a velo • un cucchiaino di succo di limone

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Preparazione 1. Partiamo dalla pasta di pistacchio. Pre-riscaldate il forno a 180° C, su una teglia ricoperta di carta forno disponete i pistacchi, dopo averli liberati dalla pellicina, e tostateli per pochi minuti. 2. Dopo averli tostati, utilizzando il mixer tritateli fino a farli diventare polvere. 3. In un pentolino, fate bollire l’acqua insieme allo zucchero: quando il fluido avrà raggiunto i 106°C toglietelo dal fuoco, versatelo in una ciotola capiente e con le fruste elettriche montatelo fino a che non assume un bel colore bianco. 4. Aggiungete la farina di pistacchio ed iniziate ad unire i due elementi prima con una spatola e poi con le mani fino ad ottenere un panetto compatto. Avvolgetelo nella pellicola alimentare e ponetelo in frigo per una notte. 5. Passiamo alla frutta candita. Sbucciate le arance mantenendo la buccia il più possibile intera e bollitela in abbondante acqua per 10 minuti. Scolate le scorze e ripetete il procedimento per altre due volte. La terza volta lasciatele nell’acqua per una notte. 6. Il mattino dopo, scolatele e suddividetele in strisce non troppo sottili, pesatele e mettetele in una casseruola con lo stesso peso in acqua e zucchero, su un fuoco medio basso. 7. Lasciatele andare fino a quando il liquido sarà quasi tutto evaporato. Togliete le bucce dallo zucchero prima che caramellino e fatele raffreddare sopra un grata. 8. Prendete la zucca, eliminate i semi e tagliatela grossolanamente mantenendo la buccia; immergetela in acqua salata per circa un’ora. Passato questo tempo scolatela e sciacquatela sotto l’acqua corrente. 9. Eliminate la buccia e tagliatela in pezzi più piccoli tenendo conto della decorazione che intendete creare. Sbollentatela in abbondante acqua per 5 minuti, per ammorbidirla. 10. Pesatela e in un tegame immergetela nella stessa quantità di zucchero ed acqua con una spolverata di cannella. Come per le scorze d’arancia la zuccata sarà pronta quando è ricoperta da uno strato di zucchero; prima che caramelli lasciatela raffreddare su una grata. 11. Quando sarà ben raffreddata, tagliatela in fette lunghe e sottili da ripiegare su se stesse per creare


i petali di un fiore, il classico abbellimento con la zuccata. 12. Preparate la bagna alcolica per il Pan di Spagna. Posizionate un pentolino sul fuoco medio basso con dentro lo zucchero e l’acqua, e mescolate con un cucchiaio fino a quando lo zucchero si è totalmente sciolto. Il liquido non deve arrivare al bollore. Spegnete la fiamma ed unite il liquore girandolo per qualche minuto. Ponete la bagna in un recipiente coperto. 13. Siamo giunti alla preparazione del Pan di Spagna. Sbattete le uova con le fruste, aggiungendo poco per volta lo zucchero, fino a quando non saranno belle spumose. 14. Incorporate poco per volta la farina setacciata, e unite delicatamente gli ingredienti, senza dimenticarvi di mettere anche mezza bustina di lievito. 15. Pre-riscaldate il forno a 160° C. 16. Imburrate la teglia, versate l’impasto all’interno ed infornate per 30 minuti 17. Prima di sfornare la torta verificate che sia cotta infilando uno stecchino nella zona centrale del Pan di Spagna, penetrando in profondità: se risulta asciutto il dolce è pronto. 18. Passiamo alla crema. La sera prima posizionate la ricotta intera all’interno di un colino sopra un contenitore per farle perdere il siero. Il giorno successivo, setacciatela per poi lavorarla con lo zucchero, fino ad ottenere una crema liscia. 19. Unite alla crema le gocce di cioccolato fondente. Copritela con la pellicola alimentare e ponetela in frigo. 20. Infarinate il piano di lavoro con dello zucchero a velo, prendete la pasta di pistacchio e lavoratelo con le mani fino a creare un lungo serpente, come quando si preparano gli gnocchi; schiacciatelo prima con il palmo delle mani e poi con in mattarello, fino ad ottenere una lunga striscia di mezzo millimetro. 21. rendete una tortiera svasata o anche un anello per dolci e rivestite il bordo con la pasta di pistacchio rifilando i bordi con un coltello. 22. Prendete il Pan di Spagna, eliminate la leggera crosta della parte inferiore e di quella superiore, e suddividetelo in tre strati. 23. Tagliate a rettangoli un disco di Pan di Spagna ed inseriteli lungo il bordo sopra la pasta di pistacchio, spingendo leggermente per farli aderire

bene. 24. Foderate la base della tortiera con il Pan di Spagna, e con un pennello alimentare inumiditelo con la bagna. 25. Farcite lo stampo con la crema, distribuendola in modo omogeneo e coprite il tutto con un altro strato di Pan di Spagna che poi renderete umido con la bagna. 26. Coprite la cassata con la pellicola alimentare e ponetela in frigo 5/6 ore perché rassodi. 27. Capovolgete la cassata aiutandovi con un sottotorta e sformatela con estrema delicatezza, perché ricordatevi che è un dolce che si compone al contrario. 28. È il momento della glassa, mettete sul fuoco medio basso lo zucchero fondente aggiungendo poco per volta l’acqua per ottenere un composto né troppo liquido, né troppo denso. Quando il composto sfiora il bollore è pronta. 29. Versate la glassa sopra il dolce, utilizzate una spatola per distribuirla in modo omogeneo, evitando che coli sui bordi. Questa operazione deve essere rapida, la glassa si rapprende velocemente. Mettete la torta in frigo, mentre preparerete la ghiaccia reale per il decoro. 30. Con le fruste elettriche sbattete l’albume con il limone, quando inizia a montare versate poco per volta lo zucchero a velo setacciato fino ad ottenere un composto denso. 31. Decorate la torta con la frutta candita precedentemente tagliata a strisce o a spicchi 32. Preparate un piccolo cono con la carta forno, inserite all’interno la ghiaccia, spuntate leggermente la cima con le forbici (il tratto deve essere sottile) e terminate la decorazione con abbellimenti barocchi sulla frutta candita e sulla fascia di pistacchio. Ricordatevi che la cassata deve riposare una notte in frigo prima di poter essere servita.

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VINI ABBINATI a cura di ENIO BERTON

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Vino Cantina: Abbinamento :

Sancerre AOC Les Monts Damnès 2017 Domaine Delaporte Tagliolini di nero di seppia con Gambero di Mazara, burrata e lime

Concediamoci delle chicche durante le festività natalizie. Andiamo in Francia per cercare un vino che possa bilanciare il gusto pieno e dolce dei gamberi e non faccia a pugni con il lime. La Denominazione Sancerrois vuol dire sauvignon blanc ai massimi livelli. È situata in un’area collinare, con versanti molto ripidi, estesa per 2800 ettari sulla riva destra del fiume Loira nel paese di Sancerre. La produzione è principalmente di sauvignon blanc ma ci sono anche coltivazioni di pinot noir e gamay per la produzione di vini rosati o neri. Il Domaine Delaporte si trova nel villaggio di Chavignol, famoso anche per un particolare formaggio di capra. Nato nel XVII secolo, è stato tramandato di generazione in generazione e dal 2010 alla guida c’è Matthieu Delaporte, nipote di Vincent, che ha riportato la gestione del vigneto alle origini, smettendo l’uso di diserbanti e prodotti chimici, e affidandosi solo ed esclusivamente alla vendemmia manuale. Il Sancerre Les Monts Damnès proviene dall’omonima collina nel villaggio di Chavignol, caratterizzata da un suolo ricco di argilla e fossili. La vendemmia avviene nel corso del mese di ottobre e, dopo una leggera pressatura delle uve, il mosto viene posto in botti di rovere per continuare la sua maturazione per sette mesi sui propri lieviti. Una volta in bottiglia rimane in cantina per un ulteriore periodo di affinamento. Dal colore giallo paglierino, con riflessi dorati, al naso sprigiona il meglio che il terroir gli concede, i profumi di fiori bianchi e frutta a polpa gialla matura sono in progressione, affiancati da note balsamiche di eucalipto e di resina di pino. In bocca le note odorose sono confermate e la sua complessità viene avvertita da quelle prolungate di frutta. Sapido, fresco, con un fin di bocca intenso e indimenticabile. Da servire a 8/10 gradi in bicchieri tulipano. Uve: 100% Chardonnay Zone produzione: collina di Les Monts Damnès villaggio di Chavignol Esposizione: sud - est Grado alcolico: 13,00%

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A L S AC E G R A N C R U Vino: Cantina: Abbinamento :

Alsace Grand Cru AOC Muscat Goldert 2017 Zind Humbrecht Busiate con ragù di tonno

Continuiamo ad assecondare le nostre voglie. Rimaniamo in Francia e cerchiamo di abbinare il ragù di tonno a un vino secco, equilibrato, che sappia bilanciarne il gusto deciso. L’Alsazia è una delle regioni più importanti per la produzione dei vini bianchi in Francia, situata al confine con la Germania lungo il fiume Reno ha ottenuto l’Appellation d’Origine Côntrolée (AOC) nel 1962. Nella regione sono autorizzati alla produzione solo sette tipi di vitigni (muscat, sylvaner, pinot blanc, pinot gris, pinot noir, riesling e gewürztraminer ). Le coltivazioni sono in zone collinari dai 170 ai 400 metri slm.; il clima è più caldo e secco rispetto alle zone circostanti grazie alla presenza, ad ovest, dei monti Vosgi. Tale condizione climatica, abbinata all’umidità, favorisce la formazione della Botrytis Cinerea (muffa nobile) che consente la produzione di rinomati vini passiti. Il domaine Zind Humbrecht si trova nella zona dell’alta Alsazia, vicino al paese di Turckheim; la famiglia Humbrecht si occupa di vino dal lontano 1620, ma fu l’ingresso in azienda della famiglia Zind a portare, nel 1950, la coltivazione dell’uva che Leonard Zind ha imparato durante la sua permanenza in Borgogna. La gestione attualmente è in mano a Olivier che, sui 40 ettari di possedimento, segue un rigido disciplinare data dalle certificazioni biologiche ottenute fin dal 1997. L’ Alsace Grand Cru AOC Muscat Goldert può vantare la denominazione “Grand Cru” riservata a solo 50 località di tutta l’Alsazia. Viene prodotto da vitigni impiantati nell’appezzamento Goldert, situato presso il comune di Gueberschwihr su terreni calcarei ed argillosi. La vendemmia viene fatta a mano, con selezione dei grappoli che hanno svolto completamente la maturazione fenolica; dopo la pigiatura i mosti restano sui propri lieviti per almeno sei mesi. Dal colore giallo paglierino intenso, sprigiona al naso note agrumate di pompelmo, litchi e mela. In bocca le note agrumate si riscontrano, accompagnate da un sottile ed intenso aroma di fiori bianchi. Fin di bocca persistente. Da servire a 8/10 gradi in bicchieri tulipano. Uve: 100% Muscat Zone produzione: Goldert comune di Gueberschwihr Esposizione: sud-ovest Grado alcolico: 13,00%

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COCKTAIL a cura di RICCARDO MENICONI

ORANGE DAIQUIRI 74 - BBQ4All MAGAZINE


Sicilia, terra di tesori gastronomici, di inimitabili dolci, di profumatissimi agrumi e del preziosissimo Gambero Rosso di Mazara del Vallo, che abbiamo celebrato in questo numero speciale. Di colore rosso porpora e dal gusto unico della polpa, intenso e dolce, con una carne ricca di sali minerali, densa e compatta, è chiamato da molti non a caso l'oro rosso di Sicilia. Il modo migliore per gustarlo e rendergli omaggio è, naturalmente, assaporarlo crudo. Tartare o semplicemente sgusciato per coglierne ancora meglio tutte le sfumature. Rimanendo in terra sicula, un altro prodotto straordinario sono le arance rosse, succose, dolci e leggermente acidule. Ne esistono di più varietà ma la più famosa è sicuramente la Tarocco, dalla quale si ricava una spremuta eccellente. Per unire questi due prodotti ho quindi pensato ad un Daiquiri in versione orange, o meglio, red. Si prepara così: spremete l'arancia e filtrate il succo; ripetete la stessa cosa con un limone e poi misurate: Ingredienti - 15 ml succo di limone - 30 ml succo di arancia rossa igp - 50 ml rum bianco - 5 ml sciroppo di zucchero - 2 dash di Angostura Orange Bitter Preparazione Mettete tutti gli ingredienti in un boston shaker e riempitelo di ghiaccio, schakerate vigorosamente ma per poco tempo in modo da non diluirlo troppo e filtrate il tutto in una coppa cocktail precedentemente freddata con ghiaccio o messa in freezer. Aggiungete i due dash di angostura bitter all'arancia e decorate con una fetta di arancia disidratata. DICEMBRE 2019

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WINE CLASS - IMPARA A BERE IL VINO a cura di ALESSANDRO MORICHETTI

10

bottiglie da

bere

T R A N ATA L E E C A P O D A N N O

Mi sono avvicinato al vino di qualità circa 15 anni fa e si vede, fegato grasso senza oca intorno e girovita parlano chiaro. All’epoca, consultavo voracemente le guide di settore per studiare i grandi vini, cercarli e poi berli, sperando di coglierne il valore. C’era però un piccolo problema, soprattutto vivendo in provincia: l’irreperibilità di certe etichette. Molte delle bottiglie segnalate erano introvabili, e non solo quelle prodotte in 10.000 pezzi. Sebbene un certo vezzo nel premiare eccellenze di supernicchia, esclusive e inaccessibili, ci fosse.

dei Tre Bicchieri, che agli albori erano proprio fisicamente tre bicchieri di vetro).

Oggi la quantità di aziende, vini e guide presenti è letteralmente esplosa ma uno studio di qualche anno fa arrivò a stimare in 150 milioni di lire il valore di un vino premiato insieme al Gotha dell’enologia italiana. Racconta Tiziano Gaia – fino al 2008 collaboratore di punta della guida – nel recente libro Stappato: “I Tre Bicchieri sono sempre stati i vini più costosi d’Italia. A parità di punteggio, tra un cru di Amarone e un ottimo «base», non c’era storia: prevaleva la selezione più leSto però dando per scontato un aspetto sostanzia- ziosa, prestigiosa e difficile da reperire sul mercato (le le che dovete assolutamente conoscere. Specie a chi famose quattro bottiglie da concorso)”. si avvicina oggi al mondo del vino, sembrerà quasi impossibile immaginare quanto recente sia la storia Chiusa la parentesi amarcord, veniamo all’oggi. Se da enologica dell’Italia, che già vari secoli prima di Cristo una parte la moltiplicazione delle fonti informative, veniva chiamata Enotria (in alcune regioni) proprio cartacee e digitali, ha annacquato il valore dei singoli per la pervasiva presenza della vite. premi, dall’altra la rivoluzione tecnologica ha totalmente ridefinito il concetto di “reperibilità”. Con una Ebbene, dovete sapere che c’è stata un’epoca, nem- connessione ad Internet è oggi possibile trovare tutti meno così lontana e durata circa un paio di decenni, o quasi i vini desiderati, sia quelli d’annata che le bota cavallo tra gli anni Novanta e Duemila, in cui fu pro- tiglie più rare, tra ecommerce e Forum specializzati, prio la guida Vini d’Italia – curata in tandem da Gam- aste online e quant’altro. Esperienza e occhio clinico bero Rosso e Slow Food - a scrivere le prime pagine aiutano sempre ma non dovrete scervellarvi troppo di una storia completamente nuova ed inesplorata; per trovare le bottiglie che vi consiglio per le feste di tenete presente che in quegli anni uscivamo a pezzi Natale e Capodanno. Li trovate nei migliori shop onlidallo scandalo del vino al metanolo, che nel marzo ne e anzi, per aiutarvi, indicherò prezzo idicativo e 1986 provocò 23 vittime. Vini d’Italia 1988 contribuì a sito di riferimento. dare nomi e volti ad una geografia enologica tutta da (Nota: tra questi, per correttezza, nessuno di quelli che costruire, partendo proprio da quei primi 1.500 vini vendo nella mia bottega digitale. Spazio alla concorrendegustati (e 32 premiati col massimo riconoscimento za). 76 - BBQ4All MAGAZINE


1) Rustico Prosecco doc Treviso, Nino Franco Compie 100 anni un’azienda che ha partecipato da protagonista alla rivoluzione del vino veneto, da bene di sussistenza a prodotto edonistico. Se sarete in compagnia di qualche enostrippato vi annoierà a morte con tutti i problemi di Proseccolandia ma voi tagliate corto: sapete benissimo che esistono i Prosecco col fondo e che ce ne sono di magnifici ma durante le feste di Natale fa assai comodo una bottiglia disimpegnata e da stappare in tutte le occasioni. Anzi, se volete fare i fighi vi lascio una dritta. Qualche anno fa, Michael Edwards – uno dei maggiori esperti mondiali di Champagne – affibbiò un punteggio decisamente astronomico di ben 19/20 a un Primo Franco 1992, versione di punta Dry, cioè dolce, della gamma aziendale con queste parole: “Tonalità dorata profonda, drammatica ma ancora brillante; nessun accenno di sensazioni ossidate agli occhi o al naso. Intensità straordinaria, ma con una struttura solida e durevole che sembra condurre attraverso una seconda o addirittura terza vita. Larghezza fantastica, ma con una lunghezza elegante e incisiva. Estremamente complesso, come un Sauternes semi-secco (30 g/l di zucchero residuo). Un'ottima bottiglia.” Parola di Michael Edwards, mica del vostro amico so-tutto-io. Rustico è senza il benché minimo dubbio uno dei migliori Prosecco nella fascia di prezzo intorno ai 10 euro. Prodotto in autoclave con Metodo Charmat, è un Brut dal residuo zuccherino non eccessivamente invadente. Servitelo ben freddo con pizzette, tartine, tramezzini, focacce, fritture, sushi e sashimi: intensità aromatica di pera e leggiadria faranno il resto. Circa un milione le bottiglie prodotte, fosse così anche il restante mezzo miliardo della denominazione saremmo a cavallo. [10,60 euro, Callmewine]

2) Franciacorta Brut, Corte Fusia Ok, terminato l’aperitivo ci vuole uno spumante che avvicini alla tavola alzando il livello della complessità. Da Valdobbiadene allora saltiamo a Coccaglio, in provincia di Brescia, e come d’incanto gli anni di storia da 100 diventano nemmeno 10. L’avventura degli ex trentenni Daniele Gentile e Gigi Nembrini, enologo ed agronomo, sul Monte Orfano – zona più a sud nell’areale del Franciacorta - è una delle più avvincenti tra i nomi nuovi delle bolle italiche. Fondata nel 2010, Corte Fusia lavora 7 ettari per un potenziale di 40.000 bottiglie e questo Brut oltre ad essere l’etichetta dalla tiratura maggiore, con circa 16.000 bottiglie, è anche l’icona aziendale, il primo vino prodotto e quello cui vengono riservate le attenzioni maggiori: 70% chardonnay, 20% pinot nero, 10% pinot bianco e presa di spuma di almeno 18 mesi. L’ultima release, con uve dell’annata 2016, è tra le più buone di sempre e il timbro franciacortino è squisito. Erbe aromatiche, pietre, fiori, cereali e menta in questo spumante che fa di una nitida grazia espressiva la propria cifra stilistica. Dosato con lo stesso vino e con un residuo zuccherino inferiore al grammo/litro, vi stupità. [22 euro, A La Cave]

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3) R de Ruinart Champagne Brut, Ruinart Una bolla d’Oltralpe però va segnalata e per le feste 2019 andiamo su un classicone senza tempo. Qui si gioca in casa di chi un ruolo fondamentale nella storia l’ha avuto. La prima Maison di Champagne nasce infatti ufficialmente l’1 settembre 1729 quando Nicolas Ruinart, commerciante di Reims, apre il primo registro contabile dedicato ai vini spumanti. R de Ruinart è il Brut non millesimato più classico della Maison ed è una fotografia inossidabile del metodo Champenois: assemblaggio di oltre 60 cru, 40% chardonnay, 49% pinot noir, 11% pinot meunier, un 20-25% di vini di riserva delle due annate precedenti, 9 g/l di zucchero quindi asciutto senza eccedere e tutti i crismi dello stile Maison. Al naso albicocca, mela, torrefazione, nocciola tostata e mandorle fresche, erbette aromatiche poi brioche e biscotto. L’attacco in bocca è deciso, il vino ha equilibrio tra rotondità e polpa con un finale in cui dosaggio ben integrato e freschezza vanno a braccetto. Non lunghissimo, molto ghiotto. A cena farete un figurone di sicuro. Bonus: se mai vi capitasse di passare in Champagne, la visita in cantina è consigliata più di qualsiasi altra, almeno pescando tra i grandi nomi. Se poi volete proprio farvi un regalo deluxe, una boccia di Dom Ruinart è quel che ci vuole. [47 euro, Glugulp!]

4) Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore Capovolto 2018, La Marca di San Michele Cupramontana – provincia di Ancona - è la culla del grande Verdicchio, bianco marchigiano dal potenziale ancora pressoché sconosciuto in tanta parte del mondo, Marche incluse. Che sia il bianco italiano più premiato è questione di poco conto, così come fuorviante è parlare di un vitigno eclettico, utile sia per produrre bollicine sia bianchi fermi e vini dolci. Todos caballeros e non si vince niente. Il Verdicchio è anzitutto e primariamente un bianco fermo di carattere e riconoscibilità, tanto delicato ai profumi quanto incisivo e severo al palato, nonché evidentemente dotato di un potenziale evolutivo fuori dal comune. Alessandro e Beatrice Bonci e Daniela Quaresima sono il cuore de La Marca di San Michele, azienda che già nel nome omaggia quella contrada San Michele baciata dagli dei del vino, valletta assolata ma rinfrescata dalle correnti adriatiche. Questo Capovolto 2018 rischia di essere il migliore mai prodotto fino ad ora e può sedersi a qualsiasi tavola mondiale. Fiorito e delicato, vegetale e salmastro al naso, ha un gusto profondo e saporito, avvolgente eppur nervoso. Con antipasti, primi e secondi di pesce senza pomodoro, è consigliatissimo un uso smodato. Luogo di consumo prediletto? La trattoria Anita in centro a Cupramontana: da Donatello e Iole, sala e cucina, papà e mamma di Daniela, vi troverete immediatamente come a casa, più che a casa. [14 euro, Enoteca Galli]

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5) Nekaj 2015, Damijan Podversic Pensate: 100% friulano, 60-90 giorni di macerazione sulle bucce, 3 anni di maturazione in grandi botti da 20-30 hl e un ulteriore anno di sosta in vetro. Damijan, allievo prediletto di Josko Gravner, come tanti suoi amici produttori friulani non è proprio uomo da mezze misure; le ormai 30 vendemmie sulle spalle certificano oltre ogni dubbio il talento di un vignaiolo meticoloso che in cantina ha la mano fatata, abilissima nel gestire lunghe macerazioni. “Il tempo è un grande autore: trova sempre il perfetto finale” è un motto che calza a pennello coi vini Podversic, citando Charlie Chaplin. Nekaj 2015 è figlio di un’annata fredda, in cui il 70% delle uve è stato attaccato da botrite. Dorato con riflessi aranciati, al naso è una meraviglia di agrumi canditi, miele, nocciole e mela cotogna. Scaldandosi esce di tutto (mi raccomando, non servitelo al di sotto dei 15 gradi!) e in bocca a stupire è l’eccezionale connubio di corpo sostenuto e bevibilità contagiosa. L’equilibrio gustativo, a questi livelli, fa miracoli e il finale gradevolmente amarognolo bilancia una bellissima dolcezza fruttata. Vino da discussioni appassionate, appagante da ogni punto di vista. Grandissimo. [35 euro, XtraWine]

6) Ottavio 2018, Cascina Tavijn Nadia Verrua è una delle persone più dolci che possiate incontrare nel mondo del vino ma non lasciatevi ingannare: ha determinazione da vendere e personalità in abbondanza. Pacata ma volitiva come i suoi vini che, talvolta, se ne sbattono altamente delle regole enologiche. Non è il caso di questo Grignolino, autoctono del Monferrato , “anarchico testabalorda” per Luigi Veronelli e da bere mischiato con lo Champagne d’estate per Gianni Agnelli. Scarico al colore ma deciso al sapore, Ottavio non avrà l’effetto di una carezza confortante adatta a tutte le occasioni perché pulsa di irruenza, è sanguigno e severo. Al naso, un mix di anguria, agrumi e ferro vi farà divertire un bel po’. Solo acciaio e cemento, lieviti indigeni e 4.000 bottiglie prodotte. Ottavio è il gagliardissimo papà di Nadia. Il luogo migliore per berlo però non è Scurzolengo, sede aziendale in provincia di Asti, ma il Ristorante Consorzio di Torino, una vera istituzione delle osterie italiane fuoriclasse. Fondata 11 anni fa da Pietro Vergano e Andrea Gherra, ha cambiato radicalmente la mappa enogastronomica della capitale sabauda. E Pietro è il compagno di Nadia. Ditegli che vi mando io. [14 euro, WineYou]

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7) RossoVigliano 2017, Paolo e Lorenzo Marchionni a Vigliano “Aver studiato filosofia mi aiuta a fare il vino, a fare agricoltura, ad avere la testa libera”. Paolo Marchionni è laureato in filosofia ma non è esattamente un agricoltore di ritorno perché qualcosa già gli frullava in mente: “La qualità nella filosofia della mente. Analisi di un caso: il sistema gusto-olfattivo” è stato il titolo della sua tesi di laurea in Filosofia Teoretica – Gnoseologia ma se pensate di trovarvi di fronte un saccente accademico siete lontanissimi dal vero. Paolo e il fratello Lorenzo Marchionni producono vino poco fuori Firenze, a Scandicci, e sono un ottimo modello di produttore che dice quello che fa e fa quello che dice. Casi rari, vi assicuro. Vi consiglio di leggere la pagina “Pensiero” sul loro sito aziendale: raramente ci si imbatte in tanto buon senso applicato al vino. Ed è proprio da quel modo di pensare, sano, che nasce questo squisito RossoVigliano 2017: un sangiovese goloso da uve raccolte in momenti differenti poi vinificate e affinate in solo cemento. Immediato, fresco, floreale e seducente ai profumi, ha tutte le doti del sangiovese scattante, godibile, dalla beva trascinante. Un best-buy per le feste da usare in qualsiasi momento. [14 euro, Tannico]

8) San Leonardo 2015, Tenuta San Leonardo Una tenuta magnifica che profuma di storia e nobiltà, qui nasce uno dei vini italiani più famosi al mondo. Pensate che il borgo di San Leonardo, ad Avio in provincia di Trento, è stato edificato in varie epoche a partire dall’anno 1000, iniziando con un una piccola cappella dedicata al culto di San Leonardo di Noblac, protettore dei prigionieri, costruita da alcuni frati inviati per civilizzare la Vallagarina. A custodirne le sorti, dal 1724, è la famiglia dei Marchesi Guerrieri Gonzaga. Cortesia e buone maniere sono il tratto caratteristico della casa e la storia moderna dell’azienda ebbe inizio quando Carlo, oggi al timone insieme al figlio quarantenne Anselmo - dopo gli studi da enologo all’Università di Losanna – lavorò come cantiniere proprio dallo zio Mario Incisa della Rocchetta, papà del Sassicaia. Non è un caso che il San Leonardo, grand vin trentino per eccellenza, venga considerato il miglior Bordeaux blend del nord Italia, un’icona di raffinatezza. Una sorta di Sassicaia del nord, insomma. Tra le montagne trentine e il tepore del lago di Garda, da uve cabernet sauvignon, carmenère e merlot, matura in barrique per 18-24 mesi e altri 18 in bottiglia prima di uscire sul mercato. Mai eccessivo, maturo, sovraestratto e caricaturale, è nel raffinato gioco di uve e legni che San Leonardo trova la propria cifra distintiva intensa e profonda. Profuma di cassis, confettura di more, menta, tabacco, goudron, cioccolato e pepe, avvolge il palato con un gusto pieno e rotondo lasciando una scia saporita e grintosa. Vinone. [60 euro, Callmewine] 80 - BBQ4All MAGAZINE


9) Moscato d’Asti La Caudrina, Romano Dogliotti Il capitolo dei vini dolci sarebbe infinito e merita un’attenzione che comunemente non ha. Ce lo ricorda Massimo Zanichelli con un libro bellissimo che, più di ogni altro, ne mappa il territorio con impareggiabile esaustività. Si chiama Il Grande libro dei vini dolci d’Italia e ve lo consiglio caldamente (Giunti Editore, 29 euro). Poco fantasiosamente, però, Natale non è Natale senza Moscato d’Asti. Abbrutito dall’industrializzazione selvaggia, il caro Moscato d’Asti col tappo raso rimane un unicum a livello mondiale: leggero, fresco, profumatissimo, quasi dissetante quando lo zucchero è bilanciato da una bella acidità (alta) e dalla temperatura (bassa). Romano Dogliotti è uno dei padri del Moscato moderno e La Caudrina è un’icona. 120.000 bottiglie che profumano di salvia, ananas, bergamotto e biancospino. Nemmeno a dirlo, perfetto per pandoro e panettone artigianali. [Il Quadrifoglio Store, 10 euro]

10) Buca delle Canne, La Stoppa Uno dei vini dolci più folgoranti d’Italia viene dal piacentino e lo produce La Stoppa. Elena Pantaleoni e il suo fedele scudiero Giulio Armani sono stati tra i pionieri del vino naturale emiliano dimostrando una spiccata sensibilità per i vini dolci. Buca delle Canne è un piccolo capolavoro da uve semillon botritizzate e potrebbe lasciarvi senza fiato. Leggenda narra che, alla cieca, sia stato più volte confuso con Chateau d’Yquem e scusate se è poco. Da una piccola vigna di mezzo ettaro con piante centenarie non escono più di 300 bottiglie da mezzo litro e se ne trovate una prendetela a (quasi) qualsiasi prezzo. Dopo la versione del 2008 il vino è un mix di annate e l’ultima uscita contiene 2009, 2010 e 2011. Color ambra/arancio, il vino ha un profumo che vi stacca il naso dalla testa: datteri, albicocche disidratate, litchi, menta, scorza d’agrumi, pesche sciroppate e Dio solo sa cos’altro. Il profumo di zafferano tipico della muffa nobile va e viene. Sorso denso, viscoso, concentrato eppur sorprendentemente dinamico. Sapore interminabile. [50 euro, Italvinus]

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LO SPEZIALE DEL BARBECUE RUBRICA a cura di LUCA GALLOZZA

finocchio selvatico

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NOME SCIENTIFICO: NOME VOLGARE: ORIGINE: PARTI UTILIZZATE:

Foeniculum Vulgare Finocchio (o finocchietto) selvatico, finocchio comune Famiglia delle Ombrellifere bulbo, stelo, foglie, semi.

Il finocchio (o finocchietto) selvatico è conosciuto da millenni: secondo antiche credenze, usarlo per sfregarsi le gambe serviva da antidoto per i morsi di serpenti e di cani. Gli egizi, durante la costruzione delle piramidi, erano soliti darlo agli schiavi e agli operai come stimolante. I romani lo apprezzavano molto e per questo e lo diffusero in tutta Europa, dove ancora oggi è utilizzato per il suo intenso potere aromatico. Nel Medioevo, invece, veniva utilizzato per allontanare gli spiriti dalle case. Oggi ve ne parlo perché, come avrete notato, è un ingrediente molto utilizzato nelle ricette di questo speciale dedicato alla cultura gastronomica siciliana. Quindi, andiamo a conoscerlo da vicino.

cone e chetone, anisico, dipinene, canfene, fellandrene, dipintene e acido metilcavicolo. L’uso principale è quello carminativo: aiuta ad eliminare i gas intestinali e contemporaneamente ne previene la formazione. Pertanto è consigliato a chi ha difficoltà digestive e aerofagia: inoltre può essere utile per ridurre la componente dolorosa della sindrome da colon irritabile. Nell’allattamento viene indicato in quanto galattoforo, ovvero stimolante della produzione del latte materno. Sono state anche riconosciute al finocchio proprietà diuretiche, antispasmodiche e toniche. A dosi molto elevate, i principi attivi possono avere effetti collaterali quali convulsioni o allergie.

Descrizione Il finocchietto selvatico è una pianta spontanea, perenne, dal fusto ramificato, alta fino a 2 m. Cresce nei luoghi aridi ed assolati, negli incolti, nelle scarpate sassose e ai margini delle strade da 0 a 1000 metri slm. Fiorisce fra Agosto e Settembre inoltrato. Le sue foglie ricordano il fieno di colore verde (da cui il nome foeniculum). In estate sbocciano le “ ombrelle “, in Salento chiamate caruselle, dei piccoli fiori gialli. Questi si trasformeranno poi in frutti (diacheni, impropriamente chiamati semi), che da verdi diventeranno grigiastri. Del finocchio selvatico si utilizzano diverse parti: i germogli, le foglie, i fiori e i frutti. La raccolta del fiore del finocchio selvatico viene eseguita appena il fiore è aperto. Questo si può usare fresco o si può essiccare, ma va protetto dai raggi diretti del sole, che farebbero evaporare gli olii essenziali. Le barbe e i teneri germogli si possono cogliere dalla primavera all’autunno inoltrato.

In cucina Viene utilizzato in svariati modi. Dallo stelo, che fresco vien utilizzato a tocchetti per le olive in salamoia, alle barbe (o foglie) utilizzate in Sicilia per la pasta con le sarde; lo si trova anche come ingrediente del mallone sciatizzo campano (rape e patate), è utile per insaporire la porchetta, per la favata sarda (piatto a base di fave lesse e salsiccia fresca) e per i taralli pugliesi. È largamente utilizzato nelle insalate e nel condimento di pesci e salse, nelle tisane e nella produzione di liquori. L’uso più comune però spetta al cosidetto “seme”. Esso viene utilizzato sia fresco che secco e nei condimenti di una miriade di pietanze. Come spezia è particolarmente efficace per insaporire insaccati, ne sono un esempio la Finocchiona e la salsiccia Luganega. Si sposa benissimo con: maiale, anatra, manzo, agnello, pesce, crostacei, formaggio, uova e legumi.

Proprietà È una pianta che viene utilizzata per le sue proprietà toniche, aperitive (cioè in grado di stimolare la secrezione gastrica con conseguente stimolo dell’appetito), digestive, depurative, antispasmodiche, carminative (ovvero in grado di lenire i dolori delle coliche). Nel ramo fitoterapico, vengono utilizzati principalmente i frutti secchi e l’olio essenziale. Contiene: anetolo (da cui dipende il suo aroma), fen-

Curiosità Questa pianta ha dato origine al detto non farsi infinocchiare, cioè non farsi raggirare. Pare che i cantinieri, un tempo, omaggiassero i compratori di vino al loro arrivo con un tozzo di finocchio. Questo, contenente sostanze fortemente aromatiche, contribuiva al miglioramento dell’assaggio del vino scadente o prossimo a diventare aceto.

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SEGUO - RUBRICA a cura di EMILIANO NENCIONI

d

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S EG U O

a u n an n o


guardi, non faccia complimenti Questa faccenda va avanti già da un anno. Contando anche la mite e modesta presentazione sul numero Zero di Dicembre 2018, questa è la tredicesima rubrica Seguo che mi trovo a scrivere. Non riesco a fare a meno di tirare due somme, non posso esimermi da fare un riepilogo, non mi trattengo dal guardare indietro e vedere tutta l’evoluzione fatta, un po’ come quando si tiene aperto un occhio solo e si fanno coincidere tre o quattro figure a distanze diverse, appiattendole una sull’altra come in un mirino a traguardo. Siamo realistici: questa è una rubrica che non parla di cotture, di grigliate o di fiamme dell’inferno, di frollature o allevamenti, di catepsine o di creosoto, e che neanche cerca di vendervi un gadget, una membership, di fidelizzarvi. L’empietà dei miei gesti è tale che alla fine di quanto scritto non c’è neanche una Call to Action, una spinta a fare qualcosa: al contrario, forse qualcuno si è sentito toccato nei miei discorsi attorno al Rispetto ed è rimasto pure un po’ mal disposto ad allentare i cordoni della borsa. Non sembra quindi proprio la scelta più ovvia per il mensile di un brand come BBQ4All che fa della dedizione al marketing impeccabile un vanto. In ogni caso questa sezione anomala del Magazine è ancora qua. Letta forse da pochi, molte più persone la scorrono velocemente in cerca di qualcosa per cui arrabbiarsi; mai nominata in nessun materiale promozionale o pubblicitario della rivista ma, in qualche modo, ancora superstite. Questa rubrichina fuori contesto, fuori luogo e fuori target persiste a un paio di pagine di distanza dalla copertina finale, e sono sicuro che almeno quattro o cinque lettori, me compreso chiaramente, si sono un po’ affezionati allo sproloquio di chiosa del “primo vero mensile di cottura su fiamma”. Se dopo un anno di Seguo siete ancora qui a leggere siete tra questi quattro o cinque, sicuramente. Oppure siete quelli che, come accennavo prima, scorrono il testo alla ricerca di qualche oltraggio di cui lamentarsi con qualcuno, e in tal caso vi metto qui un po’ di vocaboli utili a far scattare i vostri trigger, così potrete posare il giornale, prendere il telefono e mandare una foto scattata al volo al vostro Indignato di riferimento: rispetto, cafone, bulletti, amiconi, fiorentina nel for-

no, amatriciana pancetta e grana, glutammato, parmigiano sui funghi, rispetto, rispetto, buona vita, atteggiamento, arrosticini. Fatto? Ora siamo veramente quelli di “un anno di Seguo”. Gli altri sono su Whatsapp a litigare. Visto che siamo fra di noi non vi dispiacerà se mi dilungo in una meta-rubrica: una rubrica che parla della rubrica stessa. È un anno che seguiamo la Seguo, rendiamoci conto. Ci sono un po’ di retroscena e fattarelli che non sono mai entrati in una Seguo intera, ma che accumulandosi hanno creato un bel po’ di materiale. Sarà come in quelle puntate filler, riempitivo, di alcune serie televisive che a un certo punto, causa uno sciopero degli sceneggiatori o problemi col network, mandavano in onda il famigerato “clip show” con spezzoni di puntate precedenti.

Quella volta che morii di freddo, ma scrissi due Seguo “Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla” - sentii questa frase nel ‘98, vedendo “Novecento”, il film tratto dal libro di Baricco, ma ho rivalutato queste parole solo da quando ho iniziato a scrivere per il Magazine. Al primo posto attuale tra le mie fonti di storie e aneddotica in campo barbecue c’è sicuramente l’agghiacciante (è il caso di dirlo) trasferta redazionale al W.E.S.T. BBQ Contest di Campo Tures. Tra persone che mi indicavano da lontano, che consigliavano agli amici di non parlarmi, temperature inadatte alla vita e redattrici congelate aspettando il taxi, l’allora giovane rubrica Seguo prese a trasformarsi da “bestiario vario e aneddotica di moderazione” a uno storytelling meno legato alla gag o alla buffonata espressa dal troll di turno: iniziavo a vedere storie ovunque, e l’urgenza di raccontarle era tale che in quel numero trasformai in una Seguo-bis anche la raccolta delle mie interviste ai team stranieri, di cui avrei dovuto occuparmi in quanto anglofono designato della redazione. Il materiale fu falciato e compresso per ragioni editoDICEMBRE 2019

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riali nella sola fredda cronaca. Chissà che prima o poi pare in inesattezze, essere smentito e svergognato. non lo riproponga in qualche “Almanacco di Seguo per Provai a chiedere aiuto a una celebre fisica dell’École polytechnique, italiana, brillante, autrice di best seller. lettori impavidi”. Scrissi la migliore mail della mia vita, ed ebbi anche un Quella volta che ottenni quasi un arti- primo segnale positivo, di apertura. Averla sulle pagine del Magazine sarebbe stato fantastico. colo da un illustre fisico Il pezzo non l’avete mai letto, quindi qualcosa è necessariamente andato storto nel far coincidere i rispettivi Quasi, maledizione. Vi ricordate il pezzo su Einstein impegni, ma non demordo. Non voglio neanche svein bicicletta e Bohr che derapava in moto? Di gran lun- larvi oltre, perché prima o poi riuscirò a convincerla e ga il mio preferito, lo sapete già. Per diverso tempo, non voglio rovinarvi la sorpresa. a torto o a ragione, mi sono tormentato col pensiero “non riuscirò mai più ad eguagliarmi, potrò solo fare Quella questione di grandi putàmen peggio”, neanche fossi una rockstar che dopo l’album di esordio fa un secondo album che fa il botto, e deve Nei pezzi pubblicati su queste pagine sull’Ira e sulla scriverne un terzo che deve necessariamente essere la Vendetta (avete letto? O erano troppo pretenziosi?) conferma del suo talento. Le provai tutte: espandere mi sono ritrovato a documentarmi attraverso varie gli interessi, provare con la filosofia, studiarmi i tempi fonti sui fenomeni sociologici ma anche prettamente comici dei migliori stand-up comedian americani da- fisiologici che danno luogo a queste tipiche reazioni. gli anni 70 ad oggi, ma niente: mi sentivo sempre un Ho parlato di timè, di dissonanza cognitiva e di Erinni, passo indietro a quello che avrei potuto produrre e ma per ragioni di attinenza al testo non mi sono sofconsegnare alla redazione del Magazine. fermato sul sentimento dell’odio, una cosa fisiologica L’illuminazione mi arrivò da un libro del professor quanto la paura, l’ansia o la voglia di far scoppiare il Carlo Rovelli: parlare dell’inutilità del tempo come pluriball. misurazione nell’ambito del barbecue, appoggiandosi Cosa avviene nel nostro cervello quando sperimentiaa concetti relativistici come il paradosso dei gemelli mo odio? È stata fatta una ricerca dal Wellcome (due nello spazio (googolare, please). Bello, ma difficilissi- L, non è “benvenuto”) Laboratory of Neurobiology mo. Ambizioso, ma con immense probabilità di incap- (University College, Londra). Tramite una risonanza

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magnetica è stata rilevata l’attività cerebrale di alcuni volontari intenti a osservare la foto di una persona odiata: mentre i partecipanti fissavano intensamente queste immagini, nel loro cervello si attivavano alcune parti sia della subcorteccia (tradizionalmente considerata sede delle emozioni primarie), sia della corteccia, centro del ragionamento e del pensiero. Questa ricerca ha dunque dimostrato che le aree maggiormente interessate sono quelle denominate putàmen e insula. Tanto più intenso è l’odio sperimentato, tanto più intensa risulta l’attività di queste aree. Quando un vostro collega vi manderà una mail davvero odiosa, con in copia mezzo ufficio, al solo scopo di ridicolizzarvi, invece di attivare le spirali di ira e vendetta per ristabilire lo status quo in una ridda di ritorsioni sempre più degenerate, potrete semplicemente avvertirlo di quanto il vostro putàmen sia diventato decisamente attivo, “e già che siamo in argomento tanti cari saluti alla sua adorabile mamma”.

Quella volta che nessun argomento andava bene Scegliere il topic mensile non è affare da poco: è in ballo tutto un gioco di equilibri fra audacia, sprezzo del pericolo, comprensibilità, godibilità, pesantezza delle ritorsioni e gradevolezza complessiva della rubrica. Alcune cose potrebbero essere facilmente pilotate e travisate, rendendo la fatica necessaria per chiarire il misfatto sproporzionata al gusto della libera espressione del momento. Un’ulteriore complicazione è data dalla completa inadeguatezza dei miei filtri: mi capita spesso di dire una cosa a mio avviso lapalissiana, scontata, logica, e vedere le persone sbiancare per il torto subìto o per la sfrontatezza dei miei motteggi.

Sono mio malgrado responsabile dell’abbandono stizzito di varie persone di certe chat WhatsApp che annoverano la mia presenza, e ben conosciamo l’equipollenza di “Ha abbandonato la chat” alla camminata inviperita di una sposa che abbandona l’altare sbattendo in terra il bouquet. Non si fa. Un limite del mio discernimento, innegabile. Per questo ogni cosa che scrivo, che sia il procedimento ideale per un brisket da copertina o il panino di Elvis o l’ossessione per il tuorlo perfettamente concentrico all’albume in un uovo al tegamino, viene passato allo speciale vaglio caporedattoriale. Non sono le cose antipatiche o cattive a venir epurate, ma le cose fraintendibili e che possono portare guai per sciocchezze. Insomma, se voglio tirare su un vespaio devo farlo volontariamente, e non per un festival di incomprensioni. “Ho l’argomento del mese! Hai presente il rapporto che i noti troll hanno con la rivista? Ho dedicato al fenomeno un dettagliatissimo studio basato su una logica inferenziale inattaccabile che…” “Sei matto? Vuoi che inizino a darci il tormento per causa tua?” “Questo mese parlo dei ritardi delle Poste illustrando un noto algoritmo di Ricerca Operativa, un breve excursus sullo scheduling e i cammini minimi, il branch and bound, una cosa divertentiss…” “Vuoi farci esplodere la casella email dell’Assistenza? Parla di gente che fa il tri-tip briskettato piuttosto!” “Sai di che voglio parlare? Di quella volta che andò tutto a rotoli e in gran segreto ci riunimm…” “AAAGHH! TACI!” Per rendere le cose ancora più avvincenti ho anche accettato la sfida di scrivere una Seguo senza mai utilizzare la parola “che”, successivamente a un’aspra reprimenda per il mio uso reiterato della parolina in oggetto. Sfida superata con successo nel numero di maggio, nel racconto su John Newlands e la tavola periodica degli elementi. Non ho ancora avuto il coraggio di scrivere un articolo tutto composto di parole che iniziano per B, tuttavia: difficile, ma almeno posso usare “barbecue”.

Quella spiegazione che non verrà pubblicata Avrete fatto caso che Emiliano Nencioni DICEMBRE 2019

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INDICE 2018-2019 l'editoriale di Gianfranco Lo Cascio • • • • • • • • • • • • • •

Ti Griglio per le feste: una guida per fare barbecue anche d'inverno Piccola Guida per Briskettari allo sbaraglio Creare un Team Barbecue: tutto quello che devi sapere e non fare La sottile linea rossa che unisce Reverse Searing, cottura a bassa temperatura e microonde “È una rivolta?” “No Sire, è una Rivoluzione!” Un Pulled Pork Perfetto: tutti gli errori che non devi commettere CARNE è SCIENZA - Approfondimento sul REVIT Wagyu Day: cosa abbiamo imparato sulla carne più pregiata al mondo. Incontro con il selezionatore Onishi San Aglio, olio e peperoncino scientifica Il risotto - migliorare significa cambiare, essere perfetti significa cambiare spesso Come vi smantello i preconcetti: la carne trattata con antibiotici e ormoni non esiste Tutto quello che non hai capito dell’arrosticino, anche se sei abruzzese Un gambero che camminava in avanti - come riconoscere il vero gambero rosso di Mazara

gli speciali del mese • • • • • • • • • • • • •

Wagyu - Una guida completa Il Brisket W.E.S.T. 2019 - Gare Barbecue KCBS & SCA La Porchetta - Pork belly Pasqua Pulled Pork Hamburger Pesce e crostacei La grigliata di Ferragosto Tex-Mex Hot Dog Spiedini dal mondo Gambero Rosso di Mazara

per iniziare • • • • • • • • •

Il carbone, caratteristiche e modalità di accensione Quale dispositivo a carbone scegliere per iniziare a grigliare A tutto GAS - i dispositivi a gas Spegnimento del carbone: come evitarlo Come posizionale il carbone nel tuo dispositivo, tutti i tipi di set-up La cottura diretta Il pesce: gli errori da non fare e qualche consiglio per grigliarlo alla perfezione La grigliata affollata: come servire tante persone contemporaneamente Grigliata bagnata: come grigliare con la pioggia

guida ai dispositivi e accessori • • • • • • • • • • •

Cinque accessori da regalare a Natale La ghisa: cinque accessori che non ti possono mancare Sei coltelli che non ti possono mancare Come trattare gli accessori in ghisa Tutto quello che c’è da sapere sul Water Pan Sette accessori che ti faranno dire: come ho potuto farne a meno? Planking: come cuocere sulle tavolette di legno I BBQ portatili E questo a cosa serve? Quattro accessori apparentemente inutili Affumicatori: Bullet Smoker Dispositivi: il Kamado

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portfolio • • • • • • • •

La mia natura è il Fuoco Business: l’editoriale di Frank Merenda l’Australia e il gusto del Barbecue Spuntino letterario: la biblioteca gastronomica Non si chiama Pata Negra: guida al prosciutto più caro al mondo Wagyu: il manzo dell’armonia Lo Speziale del barbecue Gambero Rosso di Mazara: storia della pesca e dell’inevitabile ascesa

the chemical grillers • • • • • • •

La scienza dell’affumicatura Brining: capitolo I Brining: capitolo II Brining: capitolo III Marinatura: un approccio scientifico Marinatura: parte seconda Marinature estreme

butcher class • • • • •

La bistecca del mese: Ribeye La bistecca del mese: Flat Iron Steak La bistecca del mese: New York Steak La bistecca del mese: Flank Steak La bistecca del mese: Teres Major

wine class • • • • • • • • • • • •

Il giusto bicchiere per il vino A me gli occhi: vini di tutti i colori In un solo bicchiere l’odore del mondo Tutti i profumi del vino Accendete il naso: 8 vini e una birra incredibile da annusare 8 vini in cui anche un marziano vorrebbe infilare il naso Il gusto del vino è un gran bel casino Estate: sbagliare clamorosamente la temperatura del vino Il gusto del vino: parte II Vino: posso diventare un esperto? Acidità e libertà Dieci bottiglie da bere tra Natale e Capodanno

seguo • • • • • • • • • • • • •

Introduzione Seguo - gennaio “Ciao, mi puoi sbannare?” Seguo - marzo Seguo - aprile Seguo - maggio Seguo - giugno Io nel pensier mi fingo Seguo - agosto Seguo - settembre Seguo - ottobre Seguo - novembre Seguo da un anno

nice to meat you - le interviste • • • • • • • • •

Dario Cecchini, macellaio Onishi-San, selezionatore di Wagyu Anthony Puharich, della macelleria Winston Churchill Juan Manuel Lobato Palomero, selezionatore di Jamon Iberico Matteo Marchetti, Gutrei Galizia Kobe Desramaults, Chef Johan Jureskog, Chef Kelsey Monterotti, Snake River Farms The Meat Hook, macelleria di New York City

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glossario del BBQ • • • • • •

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La fase di rest Flashing, materiali usi e costumi Anatomia e genesi del bark Snake e affumicatura thin blue L’evoluzione dello snake, dalla testa alla coda. Il fondo bruno: consigli e controindicazioni Low&Slow: gestione dell’umidità in camera e dello stallo. Per una Maillard da sballo, è possibile avere una lista di zuccheri riducenti? Nel pulled pork le injection vanno fatte poco prima di andare in griglia oppure la sera prima? Hot&Fast: pregi, difetti e differenze con il Low&Slow È possibile effettuare un dry brining e reverse searing e conservare sottovuoto le carni, così da utilizzare il forno una sola volta? Qual è la differenza sostanziale tra dry aged e sottovuoto? I nitriti in che modo agiscono chimicamente sulla carne? Come si fa: la conservazione del pulled pork in barattoli Carni sottovuoto e cattivo odore Come si fa: Pepper Stout Beef per celiaci Alimenti congelati e sicurezza alimentare Pollo: quello italiano è di qualità?

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Il Pastrami Lo Smoke Ring: una guida completa La patata fritta perfetta Il Pit Beef L’arrosticino perfetto Guida ai legni per affumicare L’Aragosta: come pulirla e come cuocerla alla perfezione

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Natale Capodanno Pasqua Ferragosto Tex-Mex Sicilia

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Nigiri di Wagyu scottato Insalata di mare in griglia Russa in ember Crostoni ai fegati fumosi Tartare secondo Gianfranco Lo Cascio Aperislider Caramelle ripiene di Brisket Panelle e sliders Pizza con salsiccia affumicata e carciofi in ember Polpette di pulled pork e jalapeno Mini-hamburger alla parmigiana di melanzane Mini-hamburger con acciughe, crema di mozzarella e fiori di zucchina fritti Jalapeno fritti Vol au vent con gamberi grigliati Calamari grigliati in insalata di grano al pesto sfizioso Moules frites La panzanella con pomodorini arrostiti Nachos Torta rustica con zucca bruciata Tartare di gamberi - BBQ4All MAGAZINE

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#CHIEDIALCOACH - domande e risposte

tecniche e approfondimenti

i menù

aperitivi e finger food


primi piatti • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

Ravioli con taleggio e pere affumicate al whisky Sukiyaki con pomodoro e Wagyu Risotto ai frutti di mare in griglia Tortellotti affumicati in brodo Spaghetti vongole e wok Lasagne ragù e fumo Ragù di Brisket Brisket e cannelloni Mac&Cheese Mezze maniche con ragù di pancetta Pasta al fumo: melanzane, acciughe e burrata Ravioli al vapore ripieni di pulled pork e salsiccia Cous cous con brodo di pesce e scampi grigliati Trofie con salsiccia e verdure grigliate Arroz rojo Risotto filante con radicchio grigliato Gnocchi di zucca bruciata Cous cous alla trapanese Busiate al ragù di tonno Tagliolini al nero di seppia, gamberi rossi, burrata e lime Pasta con le sarde

secondi piatti • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

Shabu Shabu Wagyu Tataki Baccalà alla vicentina Black angus tonnato Grigliato e brasato Polpo grigliato travestito da cacciucco A fuoco il cotecchino La moussakà Le mini-porchette La porchetta dal cuore tenero Agnello alla Vernaccia con olive Salsiccie affumicate alla birra Wellington bacon explosion Orata affumicata su piastra d sale Jacket potato con polpo grigliato Braciole marinate allo zenzero La Rosticciana Tagliata di BBQ4All Steak Burger Il Chili Il Trapizzino con Pepper Stout Beef La Birria Tamales Portobello farcito e grigliato Involtini grigliati con spinaci e gorgonazola Tri-tip ripieno Frigarui Pinchos morunos Shish taouk Souvlaki Anticuchos Satay Kushiyaki Corn Dogs Gamberi ammuddicati Sarde a beccafico Caponata di tonno

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salse e fondi • • • • •

Salsa Barbecue Salsa Big Bob Gibson Peanuts sauce Honey ginger mustard Bisque di gamberi

american barbecue • • • • • • • • • •

Il Brisket definitivo Kansas City pork ribs Chicken Thighs Boneless Beef Ribs Pork Belly Chicken lollipop Il pastrami Il pulled pork Baltimora Pit-beef Smoked Louisville chicken wings

verdure e contorni

• Insalata di cetrioli e feta e cipolle carmellate • Baked Beans • Tartufi di zucca bruciata • Missisippi mud cheesy potatoes • La rigrigliata • Insalata mista con noci e mele • Melanzane alla sassarese al mojito • La caponata fumante • Asparagi grigliati con uovo affumicato • Zucchine ripiene alla menta • Hamburveg • Misticanza con mango, mela e semi vari • Pico de gallo • Elote (pannocchie) • Patate messicane

panini e tacos • • • • • • • • • • • • • • • •

Panino con brisket cipolle caramellate e salsa Tiger Il panino di Elvis Il panino con pork belly cipolla rossa e maionese alla paprika Panino con la frittata e cipolle caramellate Sandwich con pastrami Pulled pork sandwich Hamburger con uovo, peperone, speck, cipolle e salsa barbecue Hamburger con cialda di patate e cipolle all'aceto Hamburger con avocado, lardo di colonnata e mele Fish-burger con olive e acciughe Trapizzino con Pepper Stout Beef Tacos alle verdure Tacos con pollo marinato all'arancia Tacos con salsicce piccanti Burrito con pollo alla birra Hot-dog perfetto

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dolci e frutta • • • • • • • • • • • • • • • • • •

Buche de Noel con arance alla griglia Tartufi di Natale Panettone fuoco e pere Ananas arrostito Crostatina con lemon curd di limoni grigliati Mini-strudel fritti con mele grigliate e crema pasticcera Biscotti al muesli con crema di arance grigliate La Grigliacassata American Pie con fragole grigliate Cialde grigliate di Foresta Nera Sorbetto allo yogurt con melone bruciato Crostata con crema di cocco e ananas grigliato Sangria di frutta grigliata Churros Aspic di Prosecco e uva Fico, ricotta e noci Cannoli siciliani Cassata

abbinamento vino-birra • • • • • • • • • • • • • • • •

Menù della vigilia Menù di Natale Menù di Capodanno Brisket Preparazioni da gara BBQ Porchetta - Pork Belly Menù di Pasqua e Pasquetta Menù Pulled Pork Hamburger Pesce Grigliata di Ferragosto Menù Tex Mex Menù d’autunno Hot dog Spiedini dal mondo Crostacei

il cocktail del mese • • • • • • • • • • • • •

Manhattan Rob Roy Negroni Long Island Gin Tonic Limoncello Gin Cocktail Gin Fizz Kyoto Sour Bloody Mary Margarita Kraken Mule Zombie cocktail Orange Daiquiri

dicembre 2018 dicembre 2018 dicembre 2018 dicembre 2018 gennaio 2019 febbraio 2019 marzo 2019 aprile 2019 maggio 2019 giugno 2019 luglio 2019 agosto 2019 agosto 2019 settembre 2019 ottobre 2019 novembre 2019 dicembre 2019 dicembre 2019

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DICEMBRE 2019

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CLUB

Dire tta m e n t e da lla com m uni ty d i maes tri d i barb ecu e p iù gran d e d ’Ita lia, na s c e i l pre st i gi oso c lub ch e ti offre la p o s s ibilità d i avere: accesso p riorita rio a l meg a store, dove pot ra i fa re ra zz i e men tre tu tti gli altri “s o no in coda”; u na p rogram mazi o ne intellig ente dei tuoi a cquisti gra z i e a l c re di to m e ns ile p rep agato (s cegli tu quan to ); u n coach priva to che ti g uiderà ne l fa r t i vi ve re l’ e sperien za p iù eccitan te d i s emp re con la pre parazio n e d ei tu oi p iatti; e molto a ltro a ncora... Av ra i tu tto que sto solo se t i i sc rivi s u bito al MEGASTO RE CLU B, l’u n ico luogo r i s e rvato a una c e rc hi a r i st re tta d i as p iran ti grill mas ter ch e d es id era no a ppre n de re pi ù ve loc e m e n te e n el modo p iù accu rato p o s s ibile, la sublime arte d el grill. Puoi di si s criverti quan do vu oi e i l tu o cred i to sa rà sempre disponibile.

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94 - BBQ4All MAGAZINE


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