L’Istituzione della teologia persuasiva è un classico della scolastica riformata. – Norman L. Geisler, Veritas Evangelical Seminary, Murrieta, California.
...Una delle più complete formulazioni della teologia calvinista mai pubblicate. – Wayne Grudem, professore di teologia biblica al Phoenix Seminary, Phoenix, Arizona.
Se c’è un’ottima opera teologica che è stata ingiustamente trascurata, si tratta proprio dei magistrali volumi di Francesco Turrettini sull’intera dottrina cristiana... Ovunque li raccomando caldamente ai predicatori, agli studenti di teologia e ai laici. – James M. Boice, Tenth Presbyterian Church, Philadelphia.
...Un evento notevole per le chiese riformate e per tutti quelli che s’interessano di storia e di sviluppo della teologia riformata... – Sinclair Ferguson, professore di teologia sistematica, Redeemer Seminary, Dallas.
...Teologi di qualsiasi scuola saranno felici che questo classico sia disponibile. – Leon Morris, Ridley College, Melbourne, Australia.
Sono ancora stupito dalla grandezza del risultato [raggiunto da Turrettini]... Si può trovare una profonda tensione devota e pastorale in Turrettini... un insegnamento meravigliosamente edificante. – John Frame, professore di filosofia e teologia sistematica, Reformed Theological Seminary, Orlando, Florida.
...Un contributo eccezionale alla letteratura teologica... Non si sbaglia mai a leggere i giganti e Francesco Turrettini è un gigante. – Paul Feinberg, Trinity Evangelical Divinity School, Deerfield, Illinois.
...Dovrebbe dimostrarsi un enorme passo per rimediare alla diffusa trascuratezza e incomprensione, persino rappresentazione fuorviante, dell’ortodossia riformata del XVII secolo. – Richard B. Gaffin Jr., professore di teologia biblica e sistematica, Westminster Theological Seminary.
Una delle maggiori opere dogmatiche riformate del XVII secolo, ha conservato la sua influenza a causa del suo uso a Princeton. Questi volumi ci danno un eccellente rappresentante dell’ortodossia riformata importante e della teologia polemica. – R. Scott Clark, professore di storia della Chiesa e di teologia storica, Westminster Seminary, California.
...Insieme a Pietro Martire Vermigli (1499-1562), il teologo protestante italiano più importante della storia della chiesa... Proprio per il suo pensiero biblicamente limpido e teologicamente netto, Turrettini è stato oggetto di una presa di distanza da parte del liberalismo teologico, che voleva persuadere il mondo moderno non più con gli argomenti della Rivelazione biblica, ma con i melliflui richiami del sentimento religioso. Non è un caso, quindi, che Turrettini sia stato dimenticato, perché troppo ingombrante dal punto di vista confessionale. Il fatto che, per la prima volta, l’opus magnum di Turrettini sia proposto in edizione italiana è motivo di compiacimento, perché, finalmente, il meglio della teologia protestante italiana è messo a disposizione di coloro che parlano la lingua che fu anche di Turrettini. – Leonardo De Chirico, professore di teologia storica all’Istituto di Formazione Evangelica e Documentazione, Padova.
Francesco Turrettini
ISTITUZIONE DELLA TEOLOGIA PERSUASIVA
A cura di Pietro Bolognesi
Francesco Turrettini
ISTITUZIONE DELLA TEOLOGIA PERSUASIVA Fascicolo 2:
Sulla Sacra Scrittura A cura di Pietro Bolognesi
Istituzione della teologia persuasiva Fascicolo 2: Sulla Sacra Scrittura Francesco Turrettini A cura di Pietro Bolognesi Proprietà letteraria riservata: BE Edizioni di Monica Pires P.I. 06242080486 Via del Pignone 28 50142 Firenze Italia Coordinamento editoriale: Filippo Pini Impaginazione: Paola Lagomarsino Revisione: Irene Bitassi Copertina: Alan David Orozco Prima edizione: Ottobre 2015 Stampato in Italia Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione Diodati. ISBN 978-88-97963-37-0 Per ordini: www.beedizioni.it È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata compresa la fotocopia, anche ad uso interno didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto verso l’autore e gli editori e mette a rischio la sopravvivenza di questo modo di trasmettere le idee.
Locus secondo: Sulla Sacra Scrittura La Parola di Dio Quaestio I Se la rivelazione attraverso la Parola era necessaria. Lo affermiamo I. Siccome la Parola di Dio è l’unico principio della teologia, anzitutto dobbiamo meritamente porci la quaestio della sua necessità. Era necessario che Dio si rivelasse a noi attraverso la Parola, ovvero: la Parola di Dio era necessaria? Infatti, ci furono già un tempo (e ci sono ancora oggi) diverse persone, le quali pensano che la ragione umana abbia risorse sufficienti per vivere giustamente e felicemente, motivo per cui ritengono ogni rivelazione di origine celeste non solo inutile, ma anche assurda; proprio perché è verosimile che la natura abbia provveduto in maniera completa all’uomo non meno che agli altri esseri viventi, costoro sono dell’avviso che la ragione, ossia la luce naturale, basti pienamente per dirigere la vita e conseguire la felicità. II. Però, la chiesa ortodossa ha sempre avuto convinzioni ben diverse, stabilendo come assolutamente e unicamente necessaria per l’uomo, ai fini della salvezza, la rivelazione della Parola di Dio. Infatti, essa è il seme da cui siamo rigenerati (1Pt 1,23), la luce dalla quale siamo guidati (Sl 119,105), il cibo da cui siamo nutriti (Eb 5,13,14) e il fondamento sul quale siamo basati (Ef 2,20). La necessità della Parola di Dio è confermata da molte prove. III. Varie prove dimostrano la necessità della Parola di Dio. 1) 7
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La somma bontà di Dio, pronta a comunicare sé stessa: infatti, avendo creato l’uomo in vista di sé (cioè per un fine soprannaturale e per una condizione di gran lunga più felice di questa terrena), Dio non volle certamente venirgli meno per questa parte e gli manifestò con la Parola la felicità stessa e la via per raggiungerla. 2) L’estrema cecità e corruzione dell’uomo, il quale, sebbene nelle cose terrene e mondane conservi ancora (dopo il peccato) una certa luce per la sua condotta, tuttavia nelle cose divine e celesti (che riguardano la felicità) è così cieco e depravato da non saper conoscere nessuna verità e da non poter compiere nessuna azione buona, se Dio non gliela suggerisce (1Co 2,14; Ef 5,8). 3) La retta ragione, la quale insegna che Dio non si può conoscere e onorare a salvezza, se non con la luce di Dio, così come il sole non si può da parte nostra vedere, se non in virtù della sua propria luce (Sl 36,9). Né gli impostori che hanno inventato nuove religioni avrebbero dovuto fingere colloqui con i numi o con gli angeli (come Numa Pompilio con la ninfa Egeria o Maometto con Gabriele), se non ci fosse stata la persuasione generale che il giusto modo di onorare la divinità dipende dalla sua rivelazione. Per questo motivo, risulta comunemente accettato con il consenso di tutte le genti, anche barbare, che è giusto per l’uomo ricercare una sapienza celeste oltre e al di là di quella ragione che viene chiamata guida della vita: ciò appunto ha dato origine alle varie religioni riconosciute qua e là nel mondo. Né devono essere ascoltati coloro i quali sostengono trattarsi soltanto di abili invenzioni umane per obbligare i popoli al dovere: infatti, sebbene sia certo che uomini astuti abbiano inventato nel campo religioso moltissime favole per incutere un sacro timore nel popolino e averne gli animi più ossequenti, tuttavia mai avrebbero potuto ottenere tutto questo, se già in precedenza non ci fosse stato, infuso nella mente dell’uomo, il sentimento della propria ignoranza e insufficienza, per cui accadde che più facilmente egli si lasciasse portare fuori strada da siffatti ciarlatani inconcludenti. Fascicolo 2
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Il duplice appetito dell’uomo. IV. Un’ulteriore conferma ci viene dalla duplice aspirazione naturalmente insita nell’uomo: l’una alla verità, l’altra all’immortalità (la prima per conoscere il vero, la seconda per godere il sommo bene), affinché l’intelletto trovi la sua pienezza nella contemplazione del vero e la volontà nella fruizione del bene; in ciò consiste la vita beata. Non potendo dunque codeste due aspirazioni essere vane, era necessaria la rivelazione che mostrasse il primo vero e il sommo bene, nonché la via per raggiungere l’uno e l’altro; cosa che la natura non poteva realizzare. Infine, postulavano la Parola sia la gloria di Dio che la salvezza dell’uomo, dal momento che la scuola della natura non poteva condurci alla conoscenza di Dio e al culto dovuto a lui, né poteva svelarci il piano della salvezza, per mezzo del quale gli uomini potessero svincolarsi dalla miseria del peccato e pervenire alla condizione di una perfetta beatitudine, che è posta nell’unione con Dio. Era dunque necessaria la scuola superiore della grazia, nella quale Dio c’insegnasse attraverso la Parola la vera religione, istruendoci nella conoscenza e nel culto di sé ed elevandoci al godimento della salvezza eterna nella comunione con lui, compito a cui né la filosofia né la ragione poterono mai assurgere. V. Sebbene Dio si sia già chiaramente manifestato nelle opere della creazione e della provvidenza, al punto che “toÉ gnwstoÉn tou~ qeou~ (ciò che si può conoscer di Dio) è manifesto in loro […] le cose invisibili d’esso […] fin dalla creazion del mondo […] si veggono chiaramente” (Rm 1,19,20), tuttavia quella rivelazione procedente dalla realtà naturale non poteva, in seguito al peccato, bastare alla salvezza, non solo in ragione del soggetto (dato che non era in nulla accompagnata dalla potenza dello Spirito, con cui la cecità e la malizia dell’uomo potessero essere corrette), ma anche in ragione dell’oggetto, poiché nella rivelazione naturale nulla si ha che riguardi i misteri della salvezza e la misericordia di Dio in Cristo, senza del quale non può esserci alcuna salvezza (At 4,12). Nella rivelazione naturale incontriamo certo toÉ gnwstoÉn tou~ qeou~ (ciò Sulla Sacra Scrittura
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che si può conoscer di Dio), ma non toÉ pistoÉn (ciò che si deve credere), il Dio Creatore, non il Redentore; dalle opere della creazione si colgono la potenza e la divinità, cioè l’esistenza di un Essere Supremo e la sua virtù infinita, ma non la grazia e la misericordia salvifica. Dunque, era necessario supplire alla mancanza della prima rivelazione (divenuta insufficiente e inutile a causa del peccato) attraverso una seconda rivelazione più luminosa, non solo quanto al grado, ma anche quanto alla specie, così che Dio si servisse non soltanto di maestri muti, ma schiudesse anche labbra santissime, che manifestassero non solo l’eccellenza delle sue virtù, bensì ci rivelassero anche il mistero della sua volontà per la nostra salvezza. VI. Sebbene la rivelazione naturale trasmetta molti insegnamenti su Dio e sui suoi attributi, sulla sua volontà e le sue opere, tuttavia non c’insegna quanto può bastare per una conoscenza salvifica di Dio, senza la rivelazione soprannaturale della Parola. Mostra, certo, che Dio esiste, sia quanto all’unità della sua essenza che quanto alla proprietà dei vari attributi, ma ignora chi egli sia nell’individualità della sua sostanza e in rapporto alle sue persone. Presenta imperfettamente e oscuramente la volontà espressa dalla legge (Rm 2,14-15), ma lascia completamente nascosto il mistero dell’evangelo. Mostra le opere della creazione e della provvidenza (Sl 19; At 14,15-17; 17,23-28; Rm 1,19,20), ma non assurge alle opere della redenzione e della grazia, che per la sola Parola possono divenirci note (Rm 10,17; 16,25,26).
La necessità della Scrittura Quaestio II Se era necessario fissare per iscritto la Parola di Dio. Lo affermiamo I. Come nella quaestio precedente abbiamo dimostrato la necessità della Parola, allo stesso modo in questa dobbiamo trattare della Fascicolo 2
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necessità della Scrittura ovvero della Parola scritta, contro i papisti. Infatti, poiché costoro con grande zelo tentano di screditare l’autorità della Scrittura, per rafforzare più facilmente le loro tradizioni ajgraÉjoi (non scritte) e il supremo tribunale del loro pontefice, sono soliti, per lo stesso motivo, sminuire non in un solo modo la sua necessità, per provare che essa era certo utile alla chiesa, ma non necessaria, come dimostra Bellarmino (De Verbo Dei 4.4, pp. 11922). Il cardinale Hosius, anzi, s’è spinto a un punto così blasfemo da affermare che “meglio sarebbe stato provveduto alla chiesa, se non ci fosse stata mai nessuna Scrittura” e Valentia giunse a dire: “Sarebbe stato più opportuno che non si fosse scritto”. Status della quaestio. II. Per aver chiaro lo status della quaestio, si tenga presente che la Scrittura può essere considerata da due punti di vista: o materialiter (secondo i contenuti), cioè in ragione della dottrina in essa trasmessa, oppure formaliter (secondo la forma), cioè in ragione della redazione scritta e del modo di trasmettere la Parola. Nel primo senso dichiariamo, come già abbiamo detto, che la Scrittura è necessaria in maniera unica e assoluta, tanto che la chiesa non può mai esserne priva. Nel secondo senso, del quale si occupa la nostra quaestio, riconosciamo che essa non è necessaria in senso assoluto, cioè rispetto a Dio, perché, come Dio prima di Mosè per duemila anni aveva istruito la sua chiesa con la sola viva voce, così anche avrebbe potuto, se avesse voluto, ammaestrarla in seguito in tal modo. La Scrittura è necessaria soltanto hypothetice (dopo che siano state fissate alcune premesse), cioè in seguito alla volontà divina, giacché sembrò opportuno a Dio per importanti motivi che la sua Parola fosse fissata per iscritto. Da questo punto di vista, una volta posta tale divina regola, la Scrittura è diventata così necessaria alla chiesa da riguardare non solo il suo benessere, ma anche il suo stesso essere, tanto che la chiesa oggi non può sussistere senza di essa. Così, Dio non è certo vincolato alla Scrittura e tuttavia ha vincolato noi alla Scrittura. Sulla Sacra Scrittura
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III. La quaestio non è dunque se la redazione scritta della Parola fosse assolutamente e unicamente necessaria, ma se lo fosse secundum quid e ex hypothesi (in senso relativo e poste alcune precise premesse); non in ogni tempo, bensì oggi, nell’attuale stato di cose, non in relazione alla potenza e libertà di Dio, ma alla sapienza e all’ordine stabilito da lui nel suo rapporto con l’uomo. Infatti, come nell’ordine naturale i genitori variano il metodo d’insegnamento in rapporto al crescere dell’età dei figli, così che prima i fanciulli vengono ammaestrati dalla loro viva voce, poi vengono istruiti dalla voce del maestro e dall’ascolto della lettura ad alta voce e infine, cessato l’uso della verga, attingono da soli gli insegnamenti dai libri, allo stesso modo il Padre celeste, che corregge il suo popolo come un padre il figlio (Dt 8,5), ammaestrò la chiesa bambina e ancora balbettante, balbettando con essa a viva voce, secondo il metodo più semplice di rivelazione; in seguito, sino al tempo degli apostoli, istruì la chiesa, stabilita sotto la legge nella sua adolescenza e nella prima gioventù, sia con la viva voce (a causa dei residui dell’età infantile) sia con lo scritto (a causa delle primizie di un’età più robusta); infine, volle che la chiesa adulta fosse appagata sotto l’evangelo con il metodo più perfetto di rivelazione, cioè con la luce della parola scritta. Così, la Scrittura è divenuta necessaria non solo per la necessità del mandato, ma in base al presupposto di un ordine divino, che Dio volle fosse vario e polupoikivlon (multiforme), a seconda delle varie età della chiesa (Ef 3,10). IV. Di qui è sorta la distinzione della Parola in a[grajoV e e[ggrajoV (non scritta e scritta) e ciò non corrisponde alla divisione del genere in specie, come stabiliscono i papisti, quasi che la Parola non scritta fosse cosa diversa da quella scritta; trattasi, invece, di una distinzione del soggetto negli aspetti estrinseci che può assumere, poiché alla medesima Parola accadde di essere stata un tempo non scritta e di essere ora scritta: a[grajoV (non scritta) si definisce pertanto la Parola non rispetto al tempo presente, bensì Fascicolo 2
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a quello passato, in cui parve bene a Dio d’istruire la chiesa con la sola viva voce e non con lo scritto. V. Sebbene Dio abbia parlato già anticamente ai padri polumerw~V kaiÉ polutrovpwV (variamente e in molte maniere: Eb 1,1), ora a viva voce e con un discorso projorikw~ (proferito oralmente), ora per un afflato interno e con un discorso ejndiaqevtw (sentito nell’intimo), talvolta avendo mandato dei sogni, talvolta avendo mostrato visioni, talaltra avendo assunto aspetto umano, spesso per il ministerio degli angeli e con altri segni della sua presenza, tuttavia la dottrina è sempre stata la stessa, né è mutata con il mutamento del metodo di rivelazione e trasmissione o con il mutamento dei tempi. Si dimostra la necessità della Scrittura. VI. Tre prove confermano particolarmente la necessità della Scrittura: 1) la conservazione della Parola, 2) la sua difesa, 3) la sua diffusione. Era necessario che la Parola fosse consegnata scritta alla chiesa, così che restasse canone fermo e immutabile della fede e della vera religione, perché potesse essere conservata più facilmente pura e integra contro la debolezza della memoria, la perversità degli uomini e la brevità della vita, perché fosse più sicuramente difesa dalle frodi e dalle corruzioni di Satana, perché potesse essere diffusa e trasmessa più agevolmente non soltanto agli assenti e ai lontani, ma anche ai posteri. Infatti, “tutte le arti sono conservate nelle lettere come in uno scrigno, affinché mai vadano in disuso, mentre al contrario infelice è la trasmissione di mano in mano”, come bene ci ricorda Vives (De disciplinis … de Corruptis Artibus 1 [1636], p. 5) e, come dice Quintiliano, “divino e meraviglioso è questo servizio delle lettere nel conservare le parole pronunciate a voce e consegnarle agli assenti come un deposito” (Institutio Oratoria 1.7.31). E non per altra causa le leggi pubbliche, gli statuti, gli editti dei re e i plebisciti sono scritti nel bronzo o incisi su tavole pubbliche, se non perché questo è il modo più sicuro di conservare senza Sulla Sacra Scrittura
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alterazioni e di propagare per molti secoli il ricordo delle cose che è importante sapere pubblicamente. Fontes solutionum. VII. Sebbene la chiesa prima di Mosè mancasse della Parola scritta, non consegue che possa esserne priva anche ora, perché diversa è la condizione della chiesa ancora bambina, che non costituiva ancora un corpus reipublicae (comunità organizzata), da quella di una chiesa cresciuta e più numerosa; diversa la condizione dei tempi iniziali da quella dei tempi seguenti: nei primi, sebbene abbia subito le sue e non poche alterazioni, più facilmente la Parola a[grajoV (non scritta) poteva conservarsi per la longevità dei patriarchi, l’esiguo numero di quanti partecipavano al patto e la frequenza delle rivelazioni. Negli altri tempi, invece, quando la vita degli uomini fu ristretta a una durata più breve e la chiesa non rimase nascosta entro una o due famiglie, ma crebbe sino a formare un popolo numerosissimo e quando gli oracoli divini furono offerti più raramente, diverso dovette essere il metodo d’istruzione, affinché questa sacra respublica (sacra “comunità”) fosse retta non soltanto dalla viva voce, ma da leggi scritte. VIII. Sebbene alcune chiese particolari abbiano potuto essere prive per un certo tempo della Parola di Dio scritta, soprattutto quando venivano appena costituite, tuttavia non potevano mancare di quella Parola che è stata poi scritta, perché senza dubbio, attraverso il ministerio degli uomini, essa risonava alle loro orecchie e la chiesa in generale non rimase allora priva della Scrittura. IX. 1) Lo Spirito Santo, pur costituendo l’ejpicorhgiva (assistenza) per la quale i credenti devono essere qeodidaktoi (ammaestrati da Dio; Gr 31,34; Gv 6,45; 1Gv 2,27), non rende meno necessaria la Scrittura, perché non ci è dato per portare nuove rivelazioni, ma per sigillare nei cuori la Parola scritta, in modo che mai in essi la Parola possa essere separata dallo Spirito (Is 59,21). Quella agisce objective (oggettivamente), questo efficienter (produttivamente), la prima colpisce le orecchie dall’esterno, il secondo apre i cuori Fascicolo 2
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nell’interno: lo Spirito è il maestro, la Scrittura è la dottrina che egli c’insegna. 2) Le parole di Geremia (Gr 31,33-34) e di Giovanni (1Gv 2,27) non devono essere intese absolute et simpliciter (in senso assoluto e unico), quasi non fosse più necessario che i credenti del Nuovo Testamento leggessero la Scrittura, altrimenti Giovanni avrebbe loro scritto invano, bensì secundum quid (in senso relativo), poiché, per un’elargizione più piena dello Spirito Santo, nel Nuovo Testamento i credenti non dovevano più essere ammaestrati così faticosamente attraverso elementi poveri e rozzi come nell’Antico. 3) La promessa di Geremia avrà il suo pieno compimento solo in cielo, quando, in conseguenza della chiara visione di Dio, non ci sarà più alcun bisogno né della Scrittura, né del ministerio dei pastori, ma ciascuno direttamente contemplerà Dio faccia a faccia. X. È falso che la chiesa sia stata conservata durante la cattività di Babilonia senza la Parola, infatti si dice di Daniele (Dn 9,2) che verso la fine dei settant’anni considerò il numero degli anni in base ai libri e di Esdra si afferma (Ne 8,2) che portò il libro della legge, non che lo scrisse lui stesso. Il passo di 4 Esdra 4,23, in quanto apocrifo, nulla prova. In verità, sebbene Esdra abbia raccolto in un solo corpo i libri sacri, anzi abbia corretto le negligenze devianti degli scribi, non dobbiamo concludere che la chiesa fosse rimasta priva della Scrittura in modo assoluto. XI. Bellarmino immagina gratuitamente che, dopo i tempi di Mosè, coloro che venivano condotti dagli altri popoli alla vera religione si valessero della sola tradizione e fossero privi della Scrittura. Infatti, se alcuni diventavano proseliti, venivano sollecitamente istruiti nella dottrina di Mosè e dei profeti e ciò risulta ben chiaro anche dal solo esempio dell’eunuco della regina Candace (At 8,2739). Né la Scrittura fu ignota in senso assoluto ai gentili, soprattutto dopo che fu tradotta in lingua greca al tempo di Tolomeo Filadelfo. XII. Cristo è il nostro unico maestro (Mt 23,8) in maniera tale da non escludere, anzi da includere necessariamente il ministerio Sulla Sacra Scrittura
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della Scrittura, poiché egli ci parla soltanto in essa e c’istruisce per mezzo di essa. Cristo non si opponeva alla Scrittura, ma ai falsi dottori dei farisei, i quali ambiziosamente pretendevano il magistero che è dovuto solo a Cristo. XIII. Sebbene la Scrittura formaliter (formalmente) non abbia nessuna utilità personale nei confronti degli ajnaljabhvtoi (analfabeti), i quali non sanno leggere, tuttavia materialiter (sostanzialmente) attende alla loro edificazione e istruzione, in quanto la dottrina che risuona nella chiesa non proviene da altra fonte.
Quaestio III Se la Sacra Scrittura sia stata composta soltanto occasionalmente e senza l’ordine divino. Lo neghiamo contro i papisti Status della quaestio. I. La quaestio viene dibattuta tra noi e i papisti, i quali, per sminuire l’autorità e la perfezione della Scrittura, non solo insegnano che essa non era del tutto necessaria e che la chiesa avrebbe potuto rimanerne priva, ma anche che essa fu consegnata alla chiesa non per espresso mandato di Dio, ma soltanto in seguito a particolari circostanze e che Cristo non ordinò agli apostoli di scrivere, né gli apostoli pensarono di dare una redazione scritta dell’evangelo per un proposito primario, ma soltanto secondario e occasionalmente (Bellarmino, De Verbo Dei 4.3,4). II. La quaestio non è se gli scrittori sacri furono spinti a scrivere da alcune circostanze – infatti, non neghiamo che più volte essi colsero le occasioni che si erano presentate, per consegnare allo scritto i misteri di Dio – si chiede piuttosto se abbiano scritto occasionalmente, nel senso che non ne avevano anche ricevuto il divino mandato. Infatti, pensiamo che le due cose non si contrappongano, anzi s’integrino a vicenda: poterono scrivere sia perché se n’era presentata l’occasione, sia egualmente per mandato divino e divina Fascicolo 2
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ispirazione, anzi, proprio perché una determinata occasione non si offrì loro se non dall’alto, dovettero scrivere anche per volontà divina, e infatti l’occasione non si presentò loro a caso, né fu da loro colta di propria iniziativa. III. Un mandato implicito e generale è cosa diversa da un mandato esplicito e particolare. Anche se non tutti gli scrittori sacri ebbero un mandato speciale per scrivere – cosa che tuttavia per molti si verificò (Es 17,14; Dt 31,19; Is 8,1; Gr 36,2; Ac 2,2; Ap 1,11; ecc.) – tutti ne ebbero tuttavia uno generale. Infatti, il mandato d’insegnare (Mt 28,19) comprende anche il mandato di scrivere, dato che non si può insegnare agli assenti e ai posteri se non attraverso la Scrittura, per cui si dice che una predicazione è fatta in scripto (per iscritto), un’altra in facto (con l’azione), un’altra in verbo (oralmente). Inoltre, l’ispirazione diretta e l’impulso interno, per cui gli scrittori sacri furono spinti dallo Spirito Santo, funse per loro da mandato. Di qui Paolo (2Tm 3,16) definisce la Scrittura qeovpneustoV (divinamente ispirata) e Pietro (2Pt 1,21) dice che “la profezia non fu recata per volontà umana, ma i santi uomini di Dio hanno parlato uJpo pneumatoV aJgivou jeromevnoi (essendo sospinti dallo Spirito Santo)”. Sarebbe ajsuvstaton (assurdo) però dire che gli apostoli hanno scritto per ispirazione e suggerimento di Dio, e tuttavia senza il comando di Dio: non si dà mandato più efficace dell’ispirazione di scrivere determinati argomenti, né è proprio di delegati fedeli eseguire alcunché al di là dei mandati. IV. Gli apostoli, anche se non facessero in nessun luogo menzione di un mandato di Cristo – cosa che in realtà fanno non raramente, ad esempio, Giovanni, Giuda e altri – danno tuttavia sufficiente testimonianza di averlo ricevuto: 1) quando si professano maestri universali di tutte le genti, 2) quando si definiscono servi fedeli di Cristo e appunto per questo unicamente solleciti di adempiere i mandati di Cristo, 3) quando si dichiarano sospinti dallo Spirito Santo (2Pt 1,21). Per questo assai felicemente Gregorio (“Praefatio Sulla Sacra Scrittura
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1.2” Moralium Libri sive Expositio in Jobum [PL 75.517]) esclama: “Ipse scripsit qui haec scribenda dictavit; ipse scripsit qui et illius operis inspirator extitit” (“Chi scrisse fu proprio colui che dettò queste cose; il vero autore fu colui che di quell’opera fu anche ispiratore”). Fontes solutionum. V. Non ciascuno degli apostoli aveva il dovere di scrivere, anche se tutti singolarmente erano tenuti a predicare. Infatti, come nell’esercizio della predicazione si affidavano alla divina ispirazione, così nello scrivere dovevano aspettare e seguire la medesima ispirazione: l’incarico era eguale quanto alle caratteristiche essenziali per l’apostolato, così che tutti fossero allo stesso modo maestri qeovpneustoi (divinamente ispirati), ma non era eguale nell’esercizio di tutte le azioni particolari a esso pertinenti. Di conseguenza, non ci si deve meravigliare se, secondo la libertà dello Spirito, alcuni furono chiamati a predicare e insieme a scrivere, altri soltanto a predicare. VI. Gli apostoli non avevano il compito di scrivere tutti insieme un libro comune, sia per non dare l’impressione di aver agito dietro accordo reciproco, sia perché tale libro non sembrasse di maggior autorità di quanto fosse stato scritto da ciascuno di loro separatamente: questo sembra anche essere il motivo per cui Cristo si astenne dallo scrivere, senza considerare che egli è colui che scrive la sua dottrina non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non sulla carta, ma nei cuori (2Co 3,2). Era dunque sufficiente che venissero scritte da alcuni le cose che erano approvate da tutti gli altri; anzi aggiunge agli scritti apostolici grandissimo valore e autorità il fatto che gli autori, scrivendo a destinatari differenti, in luoghi diversi e per diversi motivi e circostanze, con vario stile e vario metodo, scrissero tuttavia cose tanto consone. VII. 1) Non era necessario che gli apostoli redigessero per iscritto un catechismo, per trasmettere la loro dottrina ex professo (espressamente): bastava che essi tramandassero gli insegnamenti sulla base dei quali si valutassero tutti i libri di dottrina e catechesi. Fascicolo 2
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2) Se gli apostoli non scrissero formalmente la catechesi, tuttavia dal punto di vista dei contenuti tramandarono, sia nei Vangeli che nelle Lettere, le dottrine sulla cui base possiamo benissimo kathcei~sqai (ammaestrare). VIII. Come non dobbiamo fissare una legge per lo Spirito Santo e prescrivergli il metodo per rivelare la sua volontà, così non dobbiamo dubitare che il genere letterario adottato dagli apostoli sia il più opportuno, non solo perché in quel tempo l’uso d’insegnare attraverso le lettere era comunemente accettato e perché tale genere era comodissimo per diffondere prontamente l’evangelo (scopo precipuo degli apostoli), ma anche perché quella forma epistolare, semplice e bene accetta al popolo, si adattava a tutti, tanto agli indotti che ai dotti e trasmetteva una teologia non astratta e meramente teoretica, bensì pratica e in hypothesi (basata su fatti). IX. Il Simbolo apostolico viene così chiamato non efficienter (dal punto di vista soggettivo di chi l’ha prodotto), nel senso che sia stato scritto dagli apostoli, bensì materialiter (dal punto di vista dei contenuti), perché fu composto sulla base della dottrina apostolica e ne costituisce l’essenza e il compendio. X. Coloro che scrissero in seguito a una particolare occasione, spinti dalla sua necessità, in realtà scrissero egualmente per mandato divino – due cose tra loro subordinate, infatti non contrastano una con l’altra – il mandato di Cristo fu la causa principale che li spinse, mentre la circostanza si offrì per stimolarli come causa secondaria e meno importante, di cui seppero servirsi per la gloria di Dio e l’edificazione del prossimo, allo stesso modo in cui certamente gli apostoli predicarono sia in seguito al mandato ricevuto che in seguito all’occasione presentatasi. XI. Anche se gli apostoli dovettero scrivere proprio in quanto erano tenuti a insegnare, non dobbiamo concludere che i pastori odierni siano egualmente sempre tenuti a scrivere come a insegnare, poiché diversa è la situazione dei primi rispetto ai secondi; gli Sulla Sacra Scrittura
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apostoli certo, in quanto maestri universali, dovettero ammaestrare tutte le genti, ma non è così dei pastori ordinari, ai quali è stato affidato un gregge particolare.
L’autorità della Sacra Scrittura Quaestio IV Se la Sacra Scrittura sia davvero autenticamente divina. Lo affermiamo I. L’autorità della Sacra Scrittura dipende dalla sua origine, della quale abbiamo precedentemente trattato: infatti, la Scrittura non può non essere autenticamente divina, dal momento che deriva da Dio. Nasce di qui la quaestio intorno alla sua autorità, quaestio che può dividersi in due parti: 1) rispetto agli atei e ai pagani, che non riconoscono alcuna autorità alla Scrittura in confronto agli altri libri umani; 2) rispetto ai cristiani, che, pur riconoscendo tale autorità, vogliono tuttavia, almeno per quel che ci riguarda, farla dipendere dalla testimonianza della chiesa. Quanto agli atei e ai pagani, la quaestio è se la Scrittura sia veramente aujtovpistoV (credibile per sé stessa) e divina; quanto ai cristiani, invece, da dove ci consti che la Scrittura sia tale, ovvero su quale testimonianza si appoggi precipuamente la fede della aujqentiva (autenticità) della Scrittura. Qui ora trattiamo comunque soltanto della prima quaestio, non della seconda. L’autorità della Scrittura. II. Sebbene la prima parte della quaestio possa sembrare invero poco necessaria tra i cristiani, i quali debbono porsi al di fuori di ogni controversia circa il fatto che la Scrittura è qeovpneustoV (divinamente ispirata), come primario fondamento della fede, tuttavia, anche tra i cristiani di oggi vi sono Fascicolo 2