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PASTASCIUTTA CHE PASSIONE

Amore tutto italiano

A cura di Marco Chingari

“Pizza, pasta e mandolino” l’atroce luogo comune tanto pubblicizzato nel mondo, specialmente dai divertenti film della saga di Fantozzi, dopo tanti decenni, sembra essere tramontato.

La cucina italiana, o meglio la cucina mediterranea italiana, la fa ormai da padrone nel mondo ed i ristoranti inneggianti al tricolore nostrano crescono economicamente in maniera esponenziale in tutto il globo terracqueo.

Ma qual è il segreto di tanto successo?

Sicuramente gli incredibili prodotti eno-gastronomici (che l’Europa, a nostro parere invano, sta cercando di screditare presentandoli come pericolosi per la salute) dei quali la nostra penisola può vantare un numero davvero impressionante sia come ingredienti che come qualità, ma anche e soprattutto, a parte la pizza (famosissima, esportata e cucinata davvero ovunque), l’incredibile pastasciutta. La pasta rimane un prodotto davvero impressionante come varianti di taglio e forma e, allo stesso tempo, come numero di ricette che, in Italia, è assolutamente vasto come l’universo.

La pasta dunque, sia quella secca fatta con la semola di grano duro, che quella all’uovo, si presta infatti, come la molecola del carbonio con le altre molecole (fonte di vita), ad essere cucinata con qualsiasi ingrediente, in qualsiasi modo (fredda, al forno, mantecata in padella, come primo, dolce, piatto unico) e può essere consumata davvero in ogni ora del giorno (c’è addirittura chi fa colazione con gli spaghetti aglio e olio la mattina).

Ma la pasta, esattamente, chi l’ha inventata? Sicuramente, a porre codesta domanda all’uomo della strada italiano per lo più, e senza ombra di dubbio, risponderebbe: “I cinesi! Sono loro che hanno inventati gli spaghetti e Marco Polo, commerciante veneziano e viaggiatore, che li ha importò dal lontano oriente!”.

Ebbene non è così.

O meglio, in Cina, erano già conosciuti da oltre 4000 anni specialmente in una zona al nord ovest della Cina ed erano fatti con farina di miglio o farine leguminose di soia o di frumento ma non con la semola di grano duro base della pasta di tradizione italiana. Quindi, molto probabilmente, il buon Marco Polo non portò seco i famosi spaghetti tornando dal suo famoso viaggio in Oriente nel 1295, ma, anzi, l’immagine iconica del grande viaggiatore che mangia gli spaghetti fu una trovata pubblicitaria della Keystone Macaroni Manufacturing Company di Lebanon, Pennsylvania, fondata nel 1914 dall’immigrato calabrese Girolamo Guerrisi, le cui immagini pubblicitarie antiche hanno peraltro acquistato anche un certo valore nel mondo dell’antiquariato Vintage. Ebbene i Romani, i Greci e perfino gli Etruschi già ben conoscevano la pasta e la lavoravano in forma di “lagana” (l’antenata della moderna lasagna) ovvero delle sottili sfoglie di pasta farcite con carne e cotte al forno.

Addirittura pare siano state ritrovati, in un’antica tomba etrusca, tutta una serie di utensili per lavorare la pasta quali spianatoia, matterello, sacchetto per spolverare la farina sulla tavola, mestolo, coltello e perfino una rotella per ricavare il bordo ondulato!

Per arrivare però al protospaghetto bisogna spostarci in Sicilia nell’anno 1154: il geografo arabo Edrisi descriveva “un cibo di farina in forma di fili”, chiamato “triyah” (dall'arabo “Itrija”), che si confezionava a Trabia (Palermo) e si esportava in botti in tutta la penisola. Pensate che ancora oggi, in Sicilia, si possono degustare “I vermiceddi di triyah” o anche detta “Tria bastarda”

E poi ancora in Puglia con “tria e ciceri” (particolare variante di pasta e ceci, tipica del Salento) e “tridde” o “triddi” (sorta di maltagliati preparati in brodo, a Bari).

In particolare, nei ricettari arabi, la pasta già compare nel IX Secolo, pasta peraltro prodotta per lo più in Sicilia, stante l’importante e secolare dominazione araba, per essere poi esportata ovunque anche in paesi lontani.

Abbiamo quindi una ragionevole certezza che gli arabi conoscessero la ricetta della pasta secca (adattissima per essere conservata durante i lunghi viaggi nel deserto) molto tempo prima.

Ergo, ben prima del ritorno di Marco Polo con i suoi spaghetti cinesi, nel 1295, la pasta già era conosciutissima e consumata alla grande in Italia: anche in Liguria, dove il clima temperato e ben ventilato favoriva il buon e rapido essiccamento della pasta, con le sue “Trie genovesi” o “Paste di Genova” con il pesto Genovese o “Trapanese” (prova evidente della commercializzazione e tradizione della sicilianissima con Trapani) cotte , anzi stracotte ( per consumare la pasta “al dente” bisognerà attendere il 600 Napoletano) con formaggio grattugiato in gran quantità e spezie in polvere; Bartolomeo Sacchi la consigliava “con capponi, uova e qualsiasi genere di carne”; nel XV secolo farà la sua apparizione anche il burro, spesso abbinato a zucchero e cannella. In genere sulle tavole aristocratiche la pasta era considerata un contorno, per gli strati popolari era invece un piatto unico. Come su accennato la vera rivoluzione della pasta in Italia comincia, guarda caso, proprio all’ombra del Vesuvio.

Dovete sapere che nel 600 Napoletano una terribile carestia flagellò il Regno di Napoli governato con mano ferrea dagli spagnoli. Ebbene nella capitale partenopea, la più demograficamente importante d’Europa, il sovraffollamento umano e la cieca nonché rigorosissima fiscalità spagnola di natura assolutamente vampiresca, portarono la popolazione alla fame nonché alla rivolta di Masaniello: in tutto questo il commercio del pane e della carne crollò a favore assolutamente della pasta soprattutto grazie all’invenzione altamente tecnologica(per quei tempi) della gramola, del torchio e della trafila che avevano nel frattempo abbassato esponenzialmente il prezzo della pastasciutta che divenne, quindi , il cibo principale del popolo partenopeo.

Fu già da allora che, probabilmente, si cominciarono ad usare i Pulcinella mangiatori di spaghetti (con le mani chiaro!) davanti alle mescite alimentari come una sorta di proto pubblicità, icona poi tramandata nel tempo nei quadri e, talvolta, anche sui pacchi di pasta.

Altra figura iconica della tradizione partenopea fu quel “Re Nasone”, al secolo Ferdinando I il quale, diventato Re di Napoli per caso, essendo di terza fila genetica (ma il Principe primogenito era andato in Spagna a governare con il Re padre, mentre il secondogenito era fuori di testa, leggi pazzo) era stato cresciuto tra i guaglioncelli a Napoli e salì al trono a soli 9 anni: ebbene mangiava anch’esso gli spaghetti con le mani, affermando che "O maccarone se magna guardanno ‘ncielo!” e lo faceva peraltro, il più delle volte , ben seduto sul cessetto di cortesia esponendo agli ospiti l’olezzo delle sue miserrime nequizie .

La qual cosa, e diciamocelo per amor di Gossip, non risultava per nulla gradita alla consorte austriaca Maria Carolina d’Austria che lo rimproverava continuamente disgustata (ma non a letto dato che i due ebbero vari figli, lei con precisione 18 gravidanze) nonché allo zio della moglie, Giuseppe d’Asburgo che lo prendeva sempre in giro per il fatto del cessetto di cortesia, tanto da regalargliene uno di finissima porcellana inserito in un mobile ligneo altamente cesellato.

La storia finì che, per la legge del contrappasso, Ferdinando soprannominò l’augusto e scatologico regalo “Zì Peppe” in onore dello zio della moglie (Sic!) e così ancora adeso, dal vulgo di antico conio, viene denominato il water portatile e non in Lazio ed in Campania.

Ma non divaghiamo.

Essere chiamati “Magnamaccheroni” per i napoletani fu l’affare di un istante: subito presero il posto dei siciliani, fino ad allora famosi come superbi consumatori di pasta, tanto da far dire agli stranieri “Voi date una zuppa ad un italiano? Ma gli italiani non mangiano che maccheroni, maccheroni e maccheroni”, frase intesa addirittura da Carlo Goldoni a Parigi sul finire del ‘700.

Venne poi l’uso della salsa di pomodoro, prima gialla (appunto “Pomo d’Oro”) e poi rossa nelle varie gradazioni, come condimento della complice pasta nei piatti prima dei napoletani e poi degli italiani tutti. Cavour ebbe infatti a scrivere, alla vigilia dell’annessione del Regno delle due Sicilie da parte dei Savoia, “I maccheroni sono cotti e noi li mangeremo”: lui si riferiva ai meridionali ma in realtà saranno invece i maccheroni a conquistare il Piemonte e non solo. Ma veniamo ai tempi nostri.

Oramai la pasta ha spopolato ed è, insieme alla pizza, il cibo italiano più esportato e famoso e diffuso nel mondo.

Attualmente ci sono, almeno in Italia, più trecento tipi di pasta dalla corta alla lunga, di tutti i formati addirittura quelli sensuali (da scherzo goliardico tipo le “Minchiette”) conditi con ogni ben di Dio di condimenti: dai vegetali, legumi e funghi (gioia di vegani e vegetariani), carne, pesce, molluschi, formaggi, salse varie e salumi (il guanciale suino primo fra tutti).

E poi la particolarità, assolutamente italiana, della incredibile varietà delle ricette numerosissime ed incredibilmente variegate tanto che, per esempio, tra un paesino ed un altro nella nostra bella terra italica, magari distanti pochi chilometri, ci sono ricette diverse con diversi ingredienti. Oppure, e lì gioca un simpatico (per una volta tanto), campanilismo, che vuole la stessa ricetta ripetuta (oh mirabile gioco di italica fantasia!) in varie località ognuna preparata con modalità ed ingredienti diversi, tipo il famoso “brodetto marchigiano” o “zuppa di pesce” dell’arco marchigiano presente sul territorio con almeno una decina di preparazioni simili ma assolutamente diverse. Improbabili quanto , a volte immangiabili, poi le interpretazioni straniere : dalla pasta col pollo in Germania, alla famigerata “Tagliatella Alfredo “ diffusa in America con arzigolatissimi ed improbabili ingredienti (tutti estranei alla ricetta originale tipo panna, formaggi vari, bacon funghi gamberi et simile lordura) ai maccheroni and cheese, anch’essi di statunitense invenzione per non parlare dei temibilissimi “Spaghetti with meatballs”, cioè spaghetti con polpette, sconosciuti in Italia ma spacciati, anch’essi negli States, come italianissima ricetta, con polpette talvolta dalla forma volume, e purtroppo consistenza, delle palle da baseball.

Per quanto riguarda poi la salute, la pastasciutta, cotta molto al dente beninteso, sembra davvero essere la panacea della buona dieta: gli spaghetti “duretti” di cottura presentano un invidiabile indice glicemico adatta anche ai diabetici (non in grandissime quantità chiaro).

Purtroppo c’è anche il caso delle intolleranze celiache che sono sempre più diffuse specialmente tra i giovani: ma la colpa sembrerebbe essere imputabile più alla natura delle moderne coltivazioni, la lavorazione e, qualcuno mormora e sussurra, anche all’intervento umano nel corredo genetico del grano, che sì sarà anche efficacissimo per quanto riguarda la produzione e la lotta alle malattie del frumento, ma forse non indicatissimo per la salute dell’organismo umano.

Ma, e qui si capisce quanto sia importante la pastasciutta nell’immaginario collettivo dell’Italia e non solo, subito per tutti gli intolleranti sono state prodotte tipologie di paste da quelle prive di glutine (non eccellentissime dato che rimangono un po’ durette e diversamente flessibili dalla pasta col glutine), le paste al mais, di riso, nonché anche quelle proteiche fatte con farina di legumi.

Insomma chi ne ha più ne metta. Comunque, per finire in bellezza e citare la pubblicità di una nota marca, guarda tu il caso, di pasta, quando c’è pasta …c’è casa: ma che meravigliosa ed accogliente casa! Buon appetito…

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