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Editoriale In mezzo al guado

In mezzo al guado

Stefano Cagelli

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Sono mesi contraddistinti da pulsioni contrastanti, in Italia e nel mondo, quelli che sta vivendo il settore della cannabis. Mesi in cui un giorno ci si sveglia pensando di avere rotto un altro argine nel percorso di piena consapevolezza e avere superato ideologie e pregiudizi centenari, e il giorno dopo, invece, ci si ritrova costretti a registrare ancora passi indietro, goffi tentativi di riportare le lancette della storia al punto di partenza e forse anche più indietro. D’altronde non c’è da meravigliarsi troppo. Viviamo in un’epoca in cui le contraddizioni sono una costante. E forse non potrebbe essere altrimenti. Siamo ancora nel pieno di una pandemia che ha cambiato le nostre vite, le nostre abitudini, i nostri rapporti, le logiche che stanno alla base delle nostre stesse società. In questo contesto è facile, facilissimo, sbandare, poi pensare di avere ripreso il controllo, poi sbandare di nuovo e magari finire risucchiati in un vortice indefinito. Quel che colpisce è che ormai da anni il discorso riguardante la cannabis sembra attraversato da contraddizioni davvero assurde. Talmente antitetiche da creare una sorta di limbo schizofrenico, nel quale chi opera in questo settore è ormai abituato a navigare. In Italia questa situazione è ben rappresentata dalle ultime evoluzioni del dibattito politico. Da una parte abbiamo la grande spinta verso le piena legalizzazione portata dalla raccolta firme per il referendum. Una campagna e un movimento fatto di associazioni, addetti ai lavori, esperti che si sono messi al servizio di un’idea, di un obiettivo. E l’hanno raggiunto brillantemente, raccogliendo 600mila firme e proiettando l’Italia verso un appuntamento referendario che - se non ci saranno intoppi che nessuno si augura - potrebbe portare i cittadini al voto entro giugno e scrivere così una pagina che cambierebbe probabilmente per sempre il rapporto tra il nostro Paese e la legislazione sulle droghe leggere, sulla cannabis in particolare. Non è mai superfluo ricordare, in questo senso, che grazie all’ultima rilevazione demoscopica realizzata dall’Istituto SWG, in collaborazione con BeLeaf Magazine e Meglio Legale, sappiamo che

circa il 58% degli italiani si dice favorevole alla Le spinte contraddittorie stanno legalizzazione. condizionando il settore, in Italia Numeri che dovrebbero e nel mondo. Serve uno shock per cambiare gli equilibri suggerire alla politica una certa cautela quando si parla di cannabis. E invece eccoci costretti, di nuovo, ad assistere ad un obbrobrioso tentativo di spaventare il settore. Un settore, quello che potremmo semplificando chiamare della “cannabis light”, che in Italia genera introiti, rimpingua le casse dello Stato, dà lavoro a migliaia di ragazzi e alimenta il sogno di centinaia di imprenditori. Non c’è altro modo per descrivere il decreto interministeriale sulle piante officinali che, nelle intenzioni di chi l’ha scritto, doveva diventare uno spauracchio nei confronti degli eroici operatori di questo settore, e invece si tradurrà nell’ennesimo nulla di fatto. Una situazione paradossale, perché se è vero che dal punto di vista pratico non cambierà praticamente nulla, dal punto di vista politico si tratta dell’ennesima occasione persa per porre fine alle incertezze derivanti dal vulnus normativo contenuto nella legge 242 del 2016. Un vulnus dentro il quale il settore si è ormai abituato a muovere, ma che lascia aperte le strade per questi improbabili blitz. In un Paese in cui anche il settore delle terme ha beneficiato di un bonus per fronteggiare la pandemia, anche noi dovremmo e potremmo chiedere a gran voce, se non aiuti, almeno un po’ di chiarezza. Ma, dicevamo, le contraddizioni non sono solo italiane. Negli Usa, nonostante i diciotto Stati che hanno ormai legalizzato possesso, commercio e uso di cannabis a scopo ricreativo, la legge federale stenta a decollare. Nel Regno Unito la spinta innovativa del sindaco di Londra Sadiq Khan deve fare i conti con quella del governo conservatore che va nella direzione opposta. A livello di Unione Europea si muovo poco o nulla. E allora ecco che in un panorama come questo gli occhi sono tutti puntati su Berlino, dove il nuovo governo ha inserito la legalizzazione della cannabis all’interno del proprio programma. Tempi e modi di questo processo saranno decisivi per il futuro della lotta antiproibizionista, in Germania e non solo. Quanto succederà nel Paese più grande, popoloso e avanzato d’Europa potrebbe rappresentare lo shock che cambierà gli equilibri e condizionerà inevitabilmente tutto il resto.

BeLeaf GENNAIO-MARZO 2022 STORIA DI COPERTINA

LAGERMANIAPROVA A CAMBIARE LA GEOGRAFIA DELLA CANNABIS

Il nuovo governo “semaforo” ha messo la legalizzazione le programma. Ora restano da capire tempi e modi. Ma un primo muro è stato abbattuto

STEFANO CAGELLI

Un giro d’affari di 4,7 miliardi di euro all’anno, inclusi 2,8 miliardi di entrate per lo Stato e 1,36 miliardi di risparmi per costi legati alle spese di polizia e a quelle legali. È questo l’effetto dirompente che potrebbe avere la legalizzazione della cannabis sul bilancio federale tedesco, secondo un recente studio pubblicato dal Financial Times e realizzato dall’Università Heinrich Heine di

Düsseldorf.

Uno scenario che potrebbe presto diventare reale, dato che la Germania potrebbe essere il secondo Paese europeo - dopo Malta, che l’ha fatto poche settimane fa - a legalizzare il possesso e la vendita di cannabis a scopo ricreativo, diventando di fatto il primo mercato al mondo. Con una popolazione di 80 milioni di abitanti e una tale potenza di fuoco a livello economico, neppure il Canada o l’Uruguay o i 18 Stati americani che hanno imboccato questa strada reggerebbero il confronto.

Ma perché in Germania si è arrivati a parlare di legalizzazione con questo livello di concretezza? È molto semplice: perché è stato il governo a farlo. Anzi, per essere precisi, il nuovo governo, quello formatosi dopo le elezioni federali dello scorso settembre. Il primo esecutivo senza Angela Merkel alla guida dal 2005 ad oggi. A presiederlo è il socialdemocratico Olaf Scholz e a sostenerlo c’è una coalizione formata, appunto, dalla SPD (il partito di Scholz), i Verdi e i Liberali della FDP. suetudine nella politica tedesca - si sono seduti intorno ad un tavolo e, prima di cominciare a governare, hanno messo nero su bianco, semplificando potremmo dire in forma di contratto, un accordo sulla base del quale intendono guidare il Paese più grande, ricco ed importante d’Europa nei prossimi cinque anni.

Ebbene, tra i punti contenuti nel programma di governo, c’è scritto a chiare lettere che i tre partiti concordano sull’introduzione di una legge che consenta “la distribuzione controllata di cannabis per adulti, destinata all’uso ricreativo, attraverso una rete di negozi controllati”. L’obiettivo, oltre al già citato impatto di tipo economico e alla necessità di togliere ossigeno alla criminalità organizzata che controlla lo spaccio di stupefacenti, è quello di garantire la qualità dei prodotti, prevenire il traffico di sostanze contaminate e tutelare i minori.

Ma se le intenzioni sono chiare e non lasciano spazio ad interpretazioni, la domanda che necessita di una risposta, a questo punto, è solo una, anzi due: come e, soprattutto, quando la legalizzazione potrebbe diventare realtà? A questo interrogativo, ovviamente, sono legate anche diverse altre questioni: chi sarà autorizzato a commercializzare cannabis? Quale quantità sarà possibile acquistare e detenere? Quali saranno le regole per il possesso? Chi potrà coltivare cannabis e a quali condizioni?

Le risposte a tutto questo saranno il vero fattore chiave che determinerà il successo dell’intera operazione. Quel che è certo è che al momento non esiste ancora una data precisa a partire dalla quale sarà consentita la vendita controllata di cannabis

in Germania. Possiamo dire con ragionevole certezza che, anche alla luce del dilagare dell’emergenza Covid, lo sviluppo di un calendario preciso richiederà ancora molto tempo. È stato calcolato che in Germania un processo legislativo si esaurisce in media in 175 giorni, quindi più o meno sei mesi. Ma è ragionevole pensare che da qui a sei mesi non avremo ancora una legge. L’orizzonte, infatti, è quello dei quattro anni di mandato del cosiddetto governo Ampel (che in tedesco significa semaforo, dal colore dei tre partiti che lo formano).

Sia Sebastian Fiedler, deputato della SPD, che il liberale Andrew Ullmann hanno detto chiaramente che al momento le priorità sono altre, in primis la lotta alla pandemia. Ma Anne Spiegel, ministra della Famiglia (Verdi) si è detta sicura che i tre partiti della coalizione riusciranno a trovare “una buona strada” per l’approvazione della legge. “Ci sono ottimi esempi nel mondo - ha detto - che ci dimostrano come la questione possa e debba essere presa in considerazione quanto prima”. Ad opporsi, ovviamente, l’ala più conservatrice del Bundestag, rappresentata dalla destra cristiano-democratica della CDU e dagli estremisti di Alternative für Deutschland.

Appurato che i tempi non dovrebbero essere brevissimi, resta da capire quali saranno i modi. Da questo punto di vista, è facile immaginare che verrà creata una rete di negozi (o caffetterie) controllati e che le condizioni di commercializzazione saranno piuttosto stringenti. La quantità di prodotto che si potrà vendere sarà quindi limitata e gli acquirenti dovranno certamente essere (almeno) maggiorenni. Potrebbero anche essere le farmacie, che già distribuiscono cannabis medica, ad entrare nella rete dei rivenditori. Queste ultime partirebbero avvantaggiate dal fatto di poter garantire, più di altri, la qualità del prodotto e l’assenza di contaminazioni. Da capire se verrà introdotto un limite massimo di THC e come verrà regolata la questione della coltivazione, anche domestica. In questo senso il ministro federale della Giustizia Marco Buschmann (FDP) non ha molti dubbi: “Se ci sono negozi che possono vendere legalmente cannabis, allora devono esserci anche produttori che possano coltivarla e venderla legalmente”.

Parole di buon senso, non c’è che dire. Ecco, è esattamente ciò che il fronte antiproibizionista si aspetta che derivi da tutto ciò che accadrà in Germania: un cambio di approccio alla materia, meno ideologico e più razionale, meno disinformato e più scientifico. Prendiamo il caso dell’Italia: è bastato che da Berlino arrivasse la notizia dell’accordo di governo sulla cannabis per far dire al ministro del Lavoro nostrano, il democratico Andrea Orlando, che forse è ora di affrontare il discorso della legalizzazione delle droghe leggere in maniera più laica. Sembra una cosa scontata, ma non lo è. E potrebbe rappresentare un’ulteriore spinta in avanti anche in ottica referendum.

Ecco perché la Germania potrebbe essere il vero “game changer” del dibattito aperto sulla legalizzazione. Più della Spagna, più del Portogallo, più degli stessi Paesi Bassi. In definitiva, non è esagerato dire che la strada verso la piena presa di coscienza della politica passa proprio da Berlino. La storia, insomma, passa di qui. E sarebbe certo la prima volta.

www.centofuochi.it

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