Interaction design. Manuale di primo soccorso - Giuseppe Ferrari

Page 1


Ho consegnato questo documento per l’appello d’esame del 20 settembre 2013 del corso Teorie dell’interazione, tenuto da Gillian Crampton Smith con Philip Tabor alla Facoltà di Design e Arti, Università Iuav di Venezia. Per tutte le sequenze di parole che ho copiato da altre fonti, ho: a) riprodotte in corsivo, o messo virgolette di citazione al loro inizio e fine, inoltre b) indicato, per ogni sequenza, il numero della pagina o lo URL del sito web della fonte originale. Per tutte le immagini che ho copiato da altre fonti, ho indicato: a) l’autore e/o proprietario, inoltre b) il numero della pagina o lo URL del sito web della fonte originale. Dichiaro che tutte le altre sequenze e immagini di questo documento sono state scritte o create esclusivamente da me. 13 settembre 2013






introduzione

Il mio primo approccio con l’interaction design è stato da studente di arti visive con scarse se non inesistenti competenze riguardanti il design in generale, e la curiosità nei confronti di una materia apparentemente incognita e fin quasi esotica. Ciò di cui mi sono in seguito velocemente reso conto è stato, al contrario, il fatto che il design dell’interazione è una materia profondamente legata alle problematiche e alle esperienze che ogni persona, dall’anziano al bambino, dall’operaio al bibliotecario, si trova, si è trovata o si troverà ad affrontare in qualsiasi parte del mondo e in tutte le ere dell’esistenza umana. Il design dell’interazione si occupa di tutto ciò con cui ci relazioniamo e anche dell’organizzazione delle interrelazioni tra esseri umani. Non vi è situazione di rapporto uomo macchina che non sia potenzialmente interpretabile, analizzabile, migliorabile attraverso gli strumenti dell’interaction design. Ecco che allora trovo nella stesura di questo breve saggio la possibilità di permettere la conoscenza dei fondamentali di questa disciplina a chi come me potrebbe esserne prima spaventato, poi incuriosito, infine affascinato. Questo è quindi un manuale di primo soccorso per l’interaction design: seguendone le traiettorie, comprendendone qualità e limiti e osservando semplici casi d’esempio, al lettore saranno offerti i principali strumenti per interpretare, curare, prevenire o perlomeno comprendere le “ferite” che ognuno di noi subisce nello scontro quotidiano con ogni tipo di interfaccia.

7



una giungla d’interrelazioni << Potremmo non volere un tostapane che parla, o uno spremiagrumi con accesso e-mail.1 >> Il design delle interazioni è una disciplina che si è sviluppata e ha ricevuto un notevole interesse in tempi relativamente recenti, prendendo in prestito le competenze necessarie da design industriale, fattori umani e human-computer interaction2. Ma la sua materia di studio è costituita anche da una serie di osservazioni e indicazioni metodologiche che trovano il proprio fondamento nella natura dei normali rapporti che l’uomo intrattiene con tutti i tipi di oggetti con cui si trova a confrontarsi (interagire) nel corso della propria esistenza, e negli artifici che il genere umano ha escogitato per facilitare anche i rapporti tra uomo e uomo. Lo stesso tipo di ragionamento e procedimento, nei suoi termini fondamentali, accomuna l’interaction designer intento a progettare nel migliore dei modi -considerando da un lato le indicazioni e le aspettative del cliente committente e dall’altro le necessità e la soddisfazione dell’utente finale- una app per cellulare che faciliti le procedure di prestito bibliotecario, con il vasaio ateniese intento a modellare maniglie di anfore il più possibile adatte al confronto con le mani umane o con lo studio dei materiali e delle dimensioni che un falegname di ogni tempo compie per la costruzione di una semplice sedia. Quello che differenzia l’epoca della rivoluzione digitale, la nostra, dalle precedenti, è la mole e la complessità delle relazioni che in ogni ambiente qualsiasi essere umano si trova a instaurare a causa -e grazie- ai dispositivi digitali; in aggiunta vi sono quelle relazioni che gli stessi dispositivi instaurano l’uno nei confronti dell’altro. Ci troviamo infatti a vivere in ambienti estremamente interattivi, all’interno dei quali sempre di più gli oggetti inanimati comunicano tra di loro. Basti pensare ai collegamenti che esistono in un’aula universitaria tra studenti e computer, insegnanti e computer, computer e dispositivi a loro collegati quali proiettori e impianti suono, nonché a dispositivi Marzano & Aarts, 2003. The new everyday. Views on ambient intelligence, p.8 (le traduzioni dai testi in inglese, qui come nei capitoli successivi, sono mie). 2 Saffer, 2007. Design dell’interazione. Creare applicazioni intelligenti e dispositivi ingegnosi con l’interaction design, p.4. 1

9


Le vignette rappresentano in modo sintetico la sveglia mattutina per uno studente immerso in un ambiente intelligente in cui i dispositivi (sveglia, caffettiera, orologio, perfino il distributore di crocchette per il cane) sono intercomunicanti.

10


come il riscaldamento o il condizionamento di un ambiente che sempre più spesso sono regolati a livello computerizzato. Oppure all’estremo i progetti e le sperimentazioni nel campo della domotica ovvero la materia che si occupa delle case del futuro, per non parlare di ciò che è più scontato (mi riferisco ai turbinii di interazione provocati dalla crescita esponenziale dei dispositivi portatili come smartphone e tablet e dalla proliferazione delle reti mobili). Come ci ricorda Emile H. L. Aarts, l’industria dell’elettronica di consumo è esistita nell’“era della scatola”. Le compagnie erano concentrate nel fornire funzionalità attraverso hardware a sé stanti, […] che si sono accumulati nei nostri soggiorni e nelle nostre case. Non è più questo il caso. Tecnologicamente, gli strumenti elettronici possono oggi essere integrati in ogni oggetto fisico concepibile: nei vestiti, nei mobili, nelle auto, nelle case, negli uffici, e così via3. Di fronte a questo contesto appare inevitabile e necessaria la formalizzazione di alcune basi per un campo di studio, che si trova quindi ad essere allo stesso tempo estremamente legato alla millenaria esperienza umana ma anche proiettato in un ambiente sempre più complicato, interattivo, necessitante di organizzazione e di collegamento per non sfociare in una giungla, un caos indistinto di collegamenti intermediali e alla schiavitù dell’uomo nei confronti del mezzo.

3

Marzano & Aarts, 2003. The new everyday, op. cit., p.12.

11



design antropocentrico << Gli utenti lo sanno meglio. >> 1

In un ambiente intelligente come quello delineato nel capitolo precedente, le opportunità di semplificare ed arricchire lo svolgimento della vita di tutti giorni sono molte. Ma altrettanti sono i rischi che una cattiva organizzazione, lo sfruttamento incondizionato, una scarsa lungimiranza, possono nascere in un terreno così fertile. L’obiettivo fondamentale che non è mai da perdere di vista è l’uomo. Le innovazioni, le tecnologie devono essere progettate per l’uomo e rimanere a misura d’uomo altrimenti quello che nasce per essere strumento diventa nella migliore delle ipotesi caos labirintico e nella peggiore schiavitù. Un sistema non è completo senza le persone che lo usano. Che ci piaccia o meno, le persone -persone irritabili, esigenti e spesso distratte come noi stessi- e i loro obiettivi; sono questi i pilastri dei nostri sistemi, e noi dobbiamo progettare per loro2. Il design si deve dunque porre l’obiettivo di essere orientato verso l’utente, di facilitarne la vita di tutti giorni, e questo lo può fare in molti modi. Ci sono ad esempio svariati tipi di osservazione che possono aiutare a delineare i bisogni, le difficoltà legate all’uso dei dispositivi. I designer possono infilarsi anonimamente in gruppi di utenti ed osservarne il comportamento, come a bordo di un autobus o nella fila al supermercato, possono però anche servirsi dello strumento dell’intervista scegliendo diverse tipologie di utente e ponendo diversi tipi di domande che possono essere strettamente specifiche rispetto all’oggetto d’indagine oppure apparentemente generiche ma mirate a scoprire gli interessi e bisogni di un determinato tipo di persona nei confronti di un determinato tipo di situazione. In questo caso la tecnica ottimale per un’intervista è quella di fare delle domande per le quali la risposta più naturale non sia un generico sì o un no, ma capaci di sollevare questioni più ampie, legate sia ai desideri che alle esperienze personali. Saffer, 2007. Design dell’interazione. Creare applicazioni intelligenti e dispositivi ingegnosi con l’interaction design, p.31. 2 Crampton Smith nella Prefazione a Moggridge, 2007. Designing interactions, p.XII. 1

13


Stralci di intervista a Serena D.: le risposte specifiche aiutano il designer a trovare soluzioni a problemi particolari che possono emergere a bordo di un treno. Evidenziati qui gli spunti interessanti. D: Quanto di frequente ti trovi a prendere un treno, e per quali motivi? R: Mi reco settimanalmente a svolgere dei congressi in varie università italiane. Normalmente per questi spostamenti uso il treno; diciamo che la media è di 4 ore di viaggio. D: Quali sono le attività che svolgi durante i viaggi? Il tempo di percorrenza ti risulta noioso o ben sfruttato? R: Leggo spesso dei libri accademici. Non mi annoio, il tempo non mi pesa affatto, anche se a dire il vero, mi piacerebbe poter preparare a dovere l’intervento da presentare al congresso, ma la scomodità dell’ambiente di viaggio e spesso la mancanza di prese elettriche mi fa rinunciare. D: Ci sono altri problemi relativi all’ambiente interno al treno? R: A volte sono estremamente infastidita dal chiasso che fanno le persone intorno a me. Sembrano non rendersi conto che sul treno non ci sono solo loro. Anche il clima all’interno dei vagoni contribuisce a rendere difficile la concentrazione: a volte è un caldo tropicale, a volte fa troppo freddo, senza apparenti connessioni con la stagione dell’anno in cui ci si trova. D: Per quanto riguarda la salita e la discesa, e l’esperienza in stazione, c’è qualcosa che ti piacerebbe avere in più? R: Mi piacerebbe poter prevedere che tempo farà all’arrivo del treno… Facendo spesso viaggi piuttosto lunghi, mi capita di partire in maniche di camicia e di arrivare sotto un temporale senza ombrello. Un’altra facilitazione che mi interesserebbe molto sarebbe un modo efficiente per monitorare lo stato di anticipo/ritardo del mio treno e degli eventuali cambi che devo fare in diverse stazioni. 14


Un’altra pratica molto utilizzata nel campo del design delle interazioni, per quanto oggetto di forti discussioni riguardo alla propria utilità, è quella della costruzione di “persona”. Una “persona” in gergo tecnico è un individuo inventato dalle caratteristiche specifiche che può aiutare a comprendere e a delineare meglio i diversi tipi di target per i dispositivi da ideare. In genere le “persona” sono dettagliatamente descritte, fino nei particolari che non necessariamente concernono il loro approccio al servizio che si vuol loro accostare. La loro utilità è decisamente maggiore quando queste vengono costruite non in modo da ricalcare l’utenza media tipica, ma i casi limite, quei casi che sono in grado di rivelare problematiche non comuni ma esistenti, che se individuate, possono davvero permettere a un prodotto un salto di qualità nel caso riesca a affrontarle vittoriosamente. Leisa Reichelt mette in guardia sull’uso spregiudicato delle persona: grazie ad esse potete elaborare quali funzionalità sono da includere e quali costituiscono il nocciolo fondamentale. Una volta che avete questa informazione - e vi siete immersi nella comprensione degli utenti attraverso la creazione delle persona - mettetele via e usate le vostre abilità di designer. Se usate le persona per guidare strettamente il vostro design finirete per supportare una serie di casi marginali. Questo vorrà invariabilmente dire che il nucleo funzionale è stato compromesso. Questo è cattivo design3.

3

http://www.disambiguity.com/yes-you-should-be-using-personas/.

15



caccia al tesoro << Prima di iniziare, i designer devono sapere il più possibile sul luogo in cui il servizio sarà (o è già) collocato. >> 1

Le interviste, l’osservazione degli utenti, la costruzione di identità fittizie possono essere strumenti utili non solo per risolvere problematiche e migliorare servizi già esistenti: spesso vengono utilizzate come supporto alla creatività del designer. Vi sono infatti svariati modi per individuare reali opportunità di design nel fluire della vita di tutti giorni, ma un design centrato sull’utente di certo ha spesso bisogno di prendere spunto dai tangibili bisogni delle persone, piuttosto che basarsi unicamente sulla spregiudicata genialità del soggetto designer. È anche vero che non sempre le idee vincenti si rivelano essere quelle nate dall’osservazione delle mancanze e dei problemi specifici della società; l’opportunità può nascere in un contesto completamente innovativo e creare un servizio totalmente distaccato da ciò che è già esistente. In questo caso si tratta dunque di aggiungere del nuovo, quindi, invece che perfezionare il vecchio. Naturalmente l’individuazione di un’opportunità di design è un terreno complesso che non può essere ridotto né alla costruzione e all’analisi delle persona né al libero sfogo di fantasie rivoluzionarie; in questa fase del lavoro il designer si deve confrontare con interlocutori eterogenei e deve essere capace di coniugare in modo vincente le necessità dell’utenza, l’interesse di aziende produttrici o di collaboratori progettuali, i luoghi e i tempi specifici all’interno dei quali si pone il prodotto, infine l’adeguato sviluppo di un’idea, che ne permette una felice materializzazione o al contrario ne pregiudica la possibilità di esistere concretamente e la relega nella condizione di “buona idea irrealizzabile”. Dan Saffer sintetizza così l’obiettivo dell’interaction designer: è sempre quello di bilanciare gli obiettivi dell’azienda con i bisogni, le abilità e gli obiettivi degli utenti2. L’entusiasmo della società di oggi per il nuovo, il Saffer, 2007. Design dell’interazione. Creare applicazioni intelligenti e dispositivi ingegnosi con l’interaction design, p.187. 2 Ivi, p.27. 1

17


Esempio di ricerca di design rivolta verso l’individuazione di nuove opportunità . In questo caso, il progetto si propone di offrire un applicativo anticonvenzionale rispetto ai servizi di ricerca tradizionali: i campi di ricerca sono trasversali, personalizzabili, coerenti rispettoalle scelte precedenti. 18


tecnologicamente avanzato, l’interattivo, e inoltre la richiesta crescente di servizi interattivi (dal campo dell’assistenza sanitaria, agli svaghi, alla mobilità pubblica, l’istruzione, le dinamiche occupazionali e lo sport) da parte del pubblico permette ai progetti innovativi, sviluppati in modo coerente e consapevole, attenti alle problematiche più semplici della vita di tutti giorni, nonché dotati d una buona dose di coraggio e di fortuna, di trovare un esito concreto nella realizzazione materiale.

19



ferri del mestiere << Organizzare i compiti in flussi aiuta il designer a vedere il prodotto che prende forma. >> 1

Scendendo un po’ più a fondo nel percorso che porta l’individuazione di un’opportunità di design alla sua potenziale realizzazione, troviamo una serie di artifici tecnici, gli attrezzi da lavoro del designer, che sono generalmente utilizzati nello sviluppo e nella progettazione di un dispositivo. Dietro a servizi e oggetti apparentemente elementari nell’approccio e nell’utilizzo, si celano procedimenti a volte complessi, schemi concettuali, previsioni d’uso, dettagliati studi riguardanti il miglior modo (a vari livelli: necessario considerare l’utente, i costi produttivi, le tecnologie disponibili…) per realizzare un determinato progetto. Si rendono così necessari strumenti di notazione che appartengono a linguaggi anche completamente diversi: rappresentazioni attinte dal mondo della matematica, come i “flowcharts”, o diagrammi di flusso; essi sono schemi grafici che servono ad esplorare ogni minimo passaggio che la macchina o il dispositivo digitale si troverà a compiere, distinguendo i momenti di inizio e di fine, i momenti in cui è necessaria una scelta e quindi un’interazione da parte dell’utente o un cambio di stato, i momenti in cui il sistema procede autonomamente seguendo istruzioni prefissate. Poiché i diagrammi di flusso offrono una vista dettagliata dell’interfaccia di un sistema, è possibile ottenere rapidamente una comprensione di come ci si aspetta che il sistema funzioni. Ciò mette in una posizione in cui è possibile convalidare l’intero flusso dell’interfaccia utente del dispositivo2. Accanto ai flowcharts troviamo assai di frequente l’utilizzo di “storyboards”: si tratta di sequenze di immagini che narrano in modo sintetico ma significativo i passi fondamentali di un processo in modo da rendere chiaro sia al progettista che ai suoi interlocutori i punti di reale interesse su cui focalizzare l’attenzione. È un linguaggio che riprende i metodi del fumetto Saffer, 2007. Design dell’interazione. Creare applicazioni intelligenti e dispositivi ingegnosi con l’interaction design, p.105. 2 http://www.smartdraw.com/articles/flowchart/create-flowcharts.htm 1

21


Questo semplice diagramma di flusso descrive dettagliatamene i processi compiuti da un utente intento nell’azione di scegliere, pagare e ritirare una bevanda da un distributore automatico. Il flowchart aiuta a focalizzare sulle possibili migliorie da apportare ad alcuni momenti cruciali della sequenza: ad esempio la scelta della quantità di zucchero e il suo posizionamento in senso cronologico. 22


e della comic strip e che è parimenti utilizzato, per la capacità di sintesi e rappresentatività, dal mondo del cinema per lo studio di scene e inquadrature, nonché dai sistemi pubblicitari. Le notazioni fanno parte delle nostre esperienze giornaliere: lo spartito musicale e la tabella degli orari dei treni ne sono ottimi esempi. Ma nel campo del design rimangono normalmente invisibili all’utenza finale. Infatti di solito gli schemi concettuali sui quali sono costruite le nostre interazioni con gli oggetti sono semplificati e sintetizzati perché il loro uso sia il più possibile accessibile mentre è necessario che il reale schema concettuale che il designer realizza e che è espresso dai vari tipi di notazione, preveda e percorra tutte le possibilità e gli eventuali vicoli ciechi all’interno di un procedimento.

23



metafore: armi a doppio taglio <<

Nessuno affronta il proprio computer senza una qualche mediazione metaforica; noi non parliamo il linguaggio macchina.1

>>

Nel capitolo precedente abbiamo parlato di astrazioni e schemi concettuali che fanno parte del bagaglio di competenze del designer e che vengono da lui utilizzati nella fase della progettazione, ma che rimangono normalmente invisibili per l’utente. Esiste però un tipo di astrazione che viene direttamente utilizzata dal designer per facilitare l’uso dei dispositivi da parte dell’utente. Si tratta della metafora. Metafora è la figura retorica per la quale si associa un termine attinente ad un campo dell’esperienza umana a una situazione all’interno della quale quel termine non avrebbe normalmente attinenza. Ad esempio “quel corridore è un fulmine” è una metafora che esprime la velocità semplificandola e arricchendola attraverso l’immagine nota a tutti del rapido percorso della saetta attraverso il cielo. La metafora si differenzia dalla similitudine in quanto quest’ultima esplica attraverso il “come” (es. è docile come un agnellino) la presenza della figura retorica, mentre la metafora lascia che essa sia sottintesa (è un agnellino). È dunque sicuramente più economica ma è anche necessario che sia universalmente chiara per essere utilizzata. Nel campo del design l’uso della metafora per semplificare l’interazione dei dispositivi con gli utenti è molto sviluppato proprio per la semplicità e la potenziale universalità. Essa può rendere fruibile e utilizzabile un sistema estremamente complesso anche a un utente che non ha nessuna competenza al riguardo. L’esempio principe riguardo all’uso delle metafore nel design dell’interazione è l’invenzione del desktop come interfaccia grafica rivoluzionaria per un sistema operativo. Ma possiamo anche trovarne svariati altri, come l’immagine del carrello da supermercato presente in tutti principali siti di vendita on-line, capace da solo di indicare senza parole agli occhi dell’utente-cliente nel più banale dei casi la sezione 1

Saffer, 2005. The role of metaphor in interaction design, p.3.

25


Le schermate rappresentano sotto forma di metafora un programma per la gestione e il rendiconto finanziario. Nella prima abbiamo un report immediato della situazione economica: L’altezza della montagna dipende dall’entità delle entrate, quella del mare dalla somma delle uscite. La capra utente in questo caso è felice. La seconda schermata riporta una parentesi temporale, che in questo caso è complessivamente negativa: la montagna è bassa, il mare è alto e il meteo terribile. I diversi tipi di pesci distinguono il carattere delle uscite, la barca offre statistiche e grafici sulla situazione. La capra è disperata. 26


relativa agli acquisti e nei più complessi la quantità o l’entità delle merci verso cui egli pone un potenziale interesse. L’uso delle metafore nel design, se da una parte avvicina potentemente le competenze dell’utenza alle peculiarità dei dispositivi, d’altro canto può causare una chiusura verso l’innovazione e una tendenza a trovare nel passato significati per il presente. Questa la fondamentale critica nei confronti ad esempio della tendenza di design Apple per le icone degli applicativi: l’associazione dello strumento registratore con l’immagine di un vecchio microfono, del sistema di organizzazione mail con un francobollo o il software per appunti veloci sintetizzato in immagini di post-it è ciò che viene definito “skeuomorfismo”, la riproposizione di design o immagini appartenenti al passato per oggetti del contemporaneo. Da questo punto di vista viene considerato da alcuni migliore ad esempio il design dell’interfaccia Windows 8, perché non metaforico, proiettato verso il futuro invece che rivolto al passato. Una critica ulteriore ad alcune modalità di metaforizzazione nel design delle interfacce è quella secondo cui le forme antropomorfe nei computer sono accettabili quando servono a rappresentare esseri umani. Quando invece è il computer a venire rappresentato come un umano, queste rappresentazioni sono ingannevoli, controproducenti e moralmente offensive2.

2

Shneiderman, 1992. “Anthropomorphism: from Eliza to Terminator 2”, p.69.

27



più o meno così << La prototipazione è il momento in cui alla fine

tutti i pezzi del design si raggruppano in un’unità olistica.1 >> Un passo prima del lancio definitivo di un prodotto, un applicativo, un servizio, troviamo un’altra tecnica largamente utilizzata in tutti i campi del design: la prototipazione. A dire il vero, non si tratta necessariamente di un passaggio finale nella progettazione: possono essere costruiti prototipi a bassa fedeltà per sondare preliminarmente l’interesse nei confronti di una proposta da parte del pubblico o dei finanziatori anche nelle fasi iniziali o nel bel mezzo della fase progettuale. Un prototipo, in ogni caso, ha una grande utilità, perché permette di visualizzare materialmente, quale che ne sia la precisione, un’ipotesi di come sarà il prodotto finito. Come afferma Bill Moggridge, deve rappresentare una combinazione del modo in cui il design appare, viene percepito, si comporta e lavora2. Questo rende possibile il confronto con gli utenti ma contribuisce anche a rendere più chiara allo stesso designer la natura del traguardo che intende raggiungere, a mostrarne le potenzialità e a evidenziarne i limiti. Un prototipo, a differenza degli schemi come i diagrammi di flusso e gli storyboard, non mostra il percorso concettuale svolto dal dispositivo, non è in grado di delinearne in modo sintetico diversi casi d’uso, ma permette di essere provato, toccato, lascia emergere le proprie qualità intrinseche e in particolare permette di studiare le reazioni positive o negative delle persone con cui si confronta. Esistono vari tipi di prototipi: quelli cartacei sono i più semplici e flessibili, possono essere elementari disegni su post-it e sono apprezzati per la comodità con la quale possono sintetizzare ad esempio le schermate di un applicativo; i prototipi digitali possono essere animazioni o prospetti tridimensionali realizzati con la computer grafica, oppure possono essere prototipi video che mostrano attraverso una semplice narrazione l’usabilità del progetto. In questo caso si avvicinano alla natura narrativa Saffer, 2007. Design dell’interazione. Creare applicazioni intelligenti e dispositivi ingegnosi con l’interaction design, p.114. 2 Moggridge, 2007. Designing interactions, p.685. 1

29


Alternative di prototipazione: cartacea, digitale e fisica. E infine, il prodotto completo.

30


dello storyboard. Infine i prototipi fisici: l’oggetto di design viene materialmente costruito in pochi esemplari non definitivi ma molto dettagliati e fatto provare ai vari tipi di utenze verso le quali è rivolto. Dalle reazioni dei tester possono emergere suggerimenti essenziali come sonore bocciature, ma questo permette una eventuale salvifica correzione di rotta.

31



l’espressività degli oggetti << Bisogna poter usare le cose al buio. >> 1

Siamo arrivati alla fine del percorso. Attraverso lo studio dei target e dei possibili utenti i designer hanno individuato delle opportunità, hanno sviluppato delle idee, le hanno espresse attraverso schemi concettuali e prototipi e il prodotto arriva finalmente nelle mani di noi consumatori. Com’è? È utile? Ci fa perdere tempo o ce ne fa guadagnare? Siamo in grado di utilizzarne tutte le funzionalità senza leggere il libretto di istruzioni? “Affordance” è un termine nato nel 1979 per mano dello psicologo cognitivo Gibson, e si è largamente diffuso nel territorio del design alla fine degli anni ’80 grazie agli studi sulla psicologia degli oggetti di Donald A. Norman. Con affordance si intende una qualità fondamentale di ogni oggetto con cui ci confrontiamo: si tratta del modo in cui quest’ultimo riesce a suggerire, a comunicare il corretto uso che ne deve essere fatto senza bisogno di simboli o istruzioni scritte. Essa è normalmente molto influenzata dal background culturale. Le affordances degli oggetti si distinguono in buone o cattive, percepite o reali. Un oggetto può avere un’ottima affordance percepita e rivelarsi nei fatti mendace rispetto a quel suggerimento; oppure far percepire una cattiva affordance ed essere in effetti complicato da usare. Nel migliore dei casi, un oggetto ci dovrebbe far percepire una buona affordance e confermare la nostra impressione con la verifica materiale, rendendoci così tranquilli prima dell’uso e soddisfatti dopo. Ad esempio, la posizione e la forma ergonomica delle leve dei freni in una bicicletta rendono immediato il suggerimento riguardo al modo in cui essere usati dalle nostre mani. Separare le affordances dalle informazioni disponibili su di esse permette di distinguere tra: giustificati rifiuti, affordance percepite, nascoste e false2. 1 2

Norman, 1998. La caffettiera del masochista. Psicopatologia degli oggetti quotidiani, p.125. Gaver, 1991. Technology affordances, p.79.

33


I due esempi in alto riguardano la qualità dell’affordance: la forma della cornetta si adatta naturalmente sia alla mano dell’uomo, sia all’incavo del suo orecchio. Inoltre, la distanza tra microfono e amplificatore riproduce quella tra la bocca e l’orecchio. I piccoli fori circolari sul corpo dell’apparecchio suggeriscono di infilarvi il dito, e la piastra circolare su cui sono posizionati indica la necessità di un movimento rotatorio intorno al perno centrale. La tipica padella per le castagne, invece, può creare una certa confusione a chi non ne conosce già la funzionalità; la ragione dei buchi rimane misteriosa: i liquidi fuoriescono e le fiamme entrano rendendo impossibile qualsiasi altra cottura. Negli esempi in basso troviamo due oggetti con mapping più o meno buoni: lo spremiagrumi necessita di scritte e simboli per far comprendere a quanti bicchieri corrisponde un certo livello di liquido; la sintesi simbolica è efficace ma il mapping scarso. Il timone a barra semplice delle barche invece è un esempio di strumento con un mapping inevitabilmente cattivo: a differenza che nei manubri di bicicletta o nei volanti d’automobile, qui “per colpa” del principio della leva, la rotazione della barra in una direzione imprime alla barca la direzione di marcia opposta. 34


Un’altra qualità importante degli oggetti è il “mapping”: si tratta di un’indicazione implicita che riguarda la nostra previsione degli effetti che saranno prodotti da una nostra data azione sul dispositivo. Ad esempio il mapping di un volante di automobile è quella qualità che indica al nostro cervello senza bisogno di tanti ragionamenti che girandolo verso destra, la vettura sterzerà a destra e viceversa. Oppure che spingendo un cursore verso l’alto, la temperatura del riscaldamento salirà. Oggetti con un cattivo mapping necessitano di numerose istruzioni per essere utilizzati nel modo corretto. Tornando all’esempio dei freni di bicicletta, essi hanno invece generalmente un cattivo mapping: infatti è impossibile comprendere a priori quale sia il freno anteriore e quale il posteriore. Infine, è importante il “feedback” di un dispositivo: cioè il segnale che esso restituisce all’utente per indicare di aver ricevuto un determinato messaggio di input. Un dispositivo mancante di feedback rende estremamente complicato stabilire se un oggetto è funzionante o meno, in particolare se la sua meccanica non è elementare. I toni diversi che sentiamo nell’auricolare del telefono a seconda che la linea sia libera o occupata sono feedback indispensabili per permetterci di interpretare una situazione altrimenti invisibile. Norman sintetizza efficacemente le qualità intrinseche degli oggetti affermando che le cose complesse possono richiedere spiegazioni, ma quelle semplici non dovrebbero averne bisogno. Quando una cosa semplice esige figure, scritte o istruzioni, vuol dire che il design è sbagliato. E’ da aggiungere che oggetti con una cattiva affordance, un cattivo mapping o mancanti di adeguato feedback possono risultare pericolosi per l’incolumità dell’uomo, se si tratta di strumenti dedicati a operazioni delicate come guidare o ad esempio operare un paziente.

3

Norman, 1998. La caffettiera del masochista, op. cit., p.28.

35



conclusione

Termina qui questo breve excursus riguardante la natura, le tecniche, gli obiettivi del design dell’interazione. La speranza è quella di aver trasmesso al lettore una buona dose d’interesse riguardo alla materia; a qualcuno potrà venire la voglia di approfondire la propria conoscenza su questo campo del design, qualcuno avrà semplicemente imparato alcune semplici nozioni di cui era inconsapevole. Qualcuno inizierà a osservare con più attenzione di oggetti con cui si confronta ogni giorno e a comprenderne meglio le qualità e difetti. Qualcuno sarà in grado di prevenire le “ferite” provocate dallo scontro con i dispositivi di tutti i giorni a cui si accennava nell’Introduzione. In ogni caso ognuno avrà potuto dare un’occhiata introduttiva attraverso i fondamentali di una pratica di design che sempre di più interessa, studia, mescola, facilita, enfatizza, migliora i nostri rapporti con gli oggetti e con gli altri esseri umani.

37



fonti Bibliografia AARTS Emile, MARZANO Stefano, 2003. The new everyday. Views on ambient intelligence. 010 Publishers, Rotterdam. MOGGRIDGE Bill, 2007. Designing interactions. MIT Press, Cambridge. NORMAN Donald, 1990. La caffettiera del masochista. Psicopatologia degli oggetti quotidiani. Giunti Editore, Firenze. SAFFER Dan, 2005. The role of metaphor in interaction design. Carnegie Mellon University, Pittsburgh. SAFFER Dan, 2007. Design dell’interazione. Creare applicazioni intelligenti e dispositivi ingegnosi con l’interaction design. Paravia Bruno Mondadori Editori, Milano. SCHNEIDERMAN Ben, 1992. “Anthropomorphism: from Eliza to Terminator 2”. In CHI ’92 Proceedings of the SIGCHI Conference on Human Factors in Computing Systems. ACM, New York. GAVER William, 1991. Technology affordances. In CHI ’92 Proceedings of the SIGCHI Conference on Human Factors in Computing Systems. ACM, New York.

Sitografia Disambiguity. Yes, you should be using personas. http://www.disambiguity.com/yes-you-should-be-using-personas/. Consultato 08 settembre 2013. Smartdraw. Create a flowchart. http://www.smartdraw.com/articles/flowchart/create-flowcharts.htm. Consultato 04 settembre 2013.

39



Copertina: Brain Flower Regular 50-36-30 pt (+ traccia 5 px) Indice-Titolo: Brain Flower Regular 50 pt (+ traccia 5 px) Indice-Voci: Helvetica Bold 15 pt Titoli dei capitoli: Brain Flower Regular 30 pt (+ traccia 0.75 px) Testi principali: Helvetica Regular 12 pt Citazioni autonome: Helvetica Italic 12 pt Didascalie: Helvetica Regular 10 pt Note: Helvetica Regular 8 pt Sottotitoli in Bibliografia: Helvetica Bold 14 pt Numeri pagina: Helvetica Regular 8 pt



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.