EYEBORG
l’occhio bionico dalla fantascienza a noi di Giuseppe Ferrari Io sono l’occhio cinematografico. Ho creato un uomo più perfetto di Adamo Dziga Vertov
Premessa La bionica è l'applicazione di metodi e sistemi biologici trovati in natura nello studio e nel design di sistemi ingegneristici e della moderna tecnologia, e si basa su due presupposti fondamentali: - che una macchina artificiale possa svolgere compiti in maniera similare a un sistema biologico; - che i vantaggi di un sistema biologico dipendano dall'accumulo e riutilizzo dei dati, dalla correlazione d’informazioni provenienti da numerosi sensori e dai processi di trasferimento utilizzati. La bionica quindi fonde biologia, matematica e ingegneria con il proposito di sintetizzare e ricostruire in vitro alcuni processi naturali, a volte assumendo la pretesa di migliorare e o sostituire la natura stessa. La biologia svolge la prima fase con il suo lavoro di osservazione, studio e analisi degli esseri viventi con la conseguente redazione di uno schema di funzionamento; la matematica formalizza un modello a partire dallo schema funzionale. La fisica o l'ingegneria si occupano poi di progettare e costruire un prototipo riproducente la funzione d'interesse. La teorica del femminismo Donna Haraway, nella sua "Teoria del cyborg", sostiene che la tendenza naturale degli esseri umani è quella di ricostruirsi attraverso la tecnologia, allo scopo di distinguersi dalle altre forme biologiche del pianeta: un progetto che parte dalle prime forme di manipolazione del corpo umano e continua oggi con l'utilizzo di protesi tecnologiche e lo sviluppo dell'ingegneria genetica. Il desiderio di migliorare ciò che ha determinato la natura, secondo la Haraway, sarebbe alle origini stesse della cultura umana. La fusione tra uomo e macchina, cantata dagli esponenti del Futurismo già prima dell'invenzione della cibernetica, è un'ossessione condivisa dagli scrittori del filone fantascientifico cyberpunk, nato nei primi anni ottanta: i personaggi dei romanzi di William Gibson, ad esempio, sono spesso dotati di innesti artificiali che ne potenziano la forza ed altre capacità. Leggendo Neuromante incontriamo ad esempio Molly, una guardia del corpo dotata di riflessi potenziati e fibre muscolari artificiali, che si è fatta togliere gli occhi per sostituirli con delle inquietanti lenti a specchio saldate alle orbite oculari.
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Cineocchio Esistono svariati esempi di come letteratura e cinema hanno immaginato uno degli organi più complessi e misteriosi del corpo umano: l’occhio. Dal già citato W. Gibson, alla serie Tv “l’uomo da un milione di dollari”, passando per Doomsday, Minority Report, il cartoon giapponese “Giant Robot”, registi e scrittori si sono confrontati con la protesi oculare volteggiando attraverso scenografie futuristiche, mondi lontani nello spazio, nel tempo, attribuendole le funzionalità più fantasiose, altalenando tra superpoteri e supertecnologie. Ma al di là dell’immaginario fantascientifico, scendendo un poco più a fondo nella riflessione, scopriamo come l’occhio bionico assuma un significato fondamentale nell’ambito delle teorie della visione; e specialmente in rapporto al cinema. Infatti, la macchina da presa, a ben vedere, è già essa stessa un occhio esterno che potenzia il nostro e sopperisce ad alcune mancanze della vista umana, pur con i propri intrinseci limiti. Fin dagli anni ’20, ad esempio, si è parlato di cineocchio: la teoria cinematografica e il programma di Dziga Vertov possono essere riassunti in quello che egli chiamò “Kinoglaz”: Il Kinoglaz, "ciò che l'occhio non riesce a vedere", il microscopio e il telescopio del tempo, il negativo del tempo, la possibilità di vedere senza confini né distanze, "la vita colta sul fatto" non in quanto tale, ma per mostrare gli uomini senza maschera e senza trucco, per coglierli con l'occhio della cinepresa nel momento in cui non stanno recitando, per leggere i loro pensieri messi a nudo dalla cinepresa. Il Kinoglaz come possibilità di rendere visibile l'invisibile, di rendere chiaro ciò che è oscuro, palese ciò che è nascosto, di smascherare ciò che è celato, di trasformare la finzione in realtà, di fare della menzogna verità. Il Kinoglaz come fusione della scienza e della cinecronaca allo scopo di lottare per la decifrazione comunista del mondo, come tentativo di mostrare sullo schermo la verità: la cineverità (Dziga Vertov, 1924). Io sono il cineocchio. Io sono un occhio meccanico. Io sono una macchina che vi mostrerà il mondo come solo una macchina può fare. D'ora in poi vilibererò dall'umana immobilità. Io sono in perpetuo movimento. Io posso avvicinarmi alle cose e ritrarmi da esse, scivolare sotto di loro, entrarvi dentro. Io posso muovermi sul muso di un cavallo in corsa, fendere le folle e a gran velocità, guidare i soldati in battaglia, decollare come un areoplano ...il cineocchio.. include tutti i metodi, senza alcuna eccezione, che permettono di raggiungere e registrare la realtà: una realtà in movimento... (Dziga Vertov, 1923).
Vertov identificava nella meccanica dello strumento cinepresa la qualità che permetteva al mezzo cinema di dire la verità, in opposizione alle stilizzazioni narrative del sistema cinema tradizionale sovietico (e non solo). Il Kinoglaz è la cine-decifrazione documentaria del mondo visibile e anche di quello che visibile non è, almeno per l'occhio “nudo”, per l’occhio umano. La scelta dell’occhio come metafora dell’obiettivo della cinepresa è piuttosto scontata, ma non ne sono scontate le implicazioni generali: la mdp –e la cinematografia tutta per estensione– vengono investite di un’importanza fondamentale per quanto riguarda la possibilità di piena restituzione di realtà dando loro la qualifica di organo umano, seppur costruito con materia artificiale. Il Kinoglaz può mostrarci il mondo “come solo una macchina può fare” e -su questo Vertov è decisamente esplicito- questa macchina ci permette finalmente di raggiungere la Realtà e la Verità. La fiducia nelle possibilità offerte dalla scienza moderna sconfina qui in un misticismo tecnologico dal carattere fortemente suggestivo, ma dal sapore un po’ anacronistico.
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In tempi più recenti, la riflessione sul cineocchio si è fatta più problematica e meno legata a fideismi tecnologici, e l’interesse è caduto, in particolare nel campo documentaristico, sull’utopia di una macchina da presa “invisibile”. Questo, infatti, è l’occhio umano, e questo è uno dei limiti della cinematografia documentaristica: il mezzo non è mimetizzabile, ed appare evidente come il suo essere una vera e propria “pistola” puntata verso un bersaglio modifichi in maniera radicale la situazione idealmente reale che si vuole registrare. Ci si rende conto che guardare dentro implica necessariamente la modificazione della situazione “sperimentale” presa in analisi. Queste premesse mettono fortemente in crisi lo statuto stesso di documentario, per lo meno se si parte dalle definizioni più stringenti che ne sono state date. Può esistere un modo di registrare la realtà/la verità che non modifichi la realtà stessa nel momento della registrazione? Forse la telecamera di sorveglianza, o comunque uno strumento capace di essere invisibile. Come l’occhio. Questo spiega da una parte la crisi di personalità propria del mondo documentario, sempre costretto in definizioni che non possono che andargli strette, e dall’altra la spinta verso una sempre maggior miniaturizzazione degli strumenti di registrazione. Non è solo una questione di comodità. Naturalmente camere e registratori leggeri hanno permesso la nascita di nuove esperienze cinematografiche quali il cinema veritè negli anni ’60, ma guardando la questione da un punto di vista più ampio, s’intuisce come lo stimolo sia sempre verso l’eliminazione dell’ultimo (?) limite, quella pistola puntata che non si può far a meno di notare. E così, tornando a un film di finzione che esprime fedelmente la necessità della telecamera invisibile, in “Morte in diretta”, di Bertrand Tavernier, ad un uomo viene impiantato un occhio artificiale perfettamente mimetizzato; egli lo userà per registrare gli ultimi mesi di vita di una donna molto famosa affetta da una malattia terminale, senza che lei se ne accorga. Il tutto sarà poi trasmesso in televisione sotto forma di macabro reality. E balzando di suggestione in suggestione, arriviamo anche al Grande Fratello: quale miglior simbolo per un programma che –almeno a livello intenzionale– decide di mostrare tutto e allo stesso tempo di lasciare intoccata la spontaneità, la verità, la realtà? Naturalmente un occhio gigante: scrutatore sincero e imparziale. Ma nella pupilla si nasconde (o no?) l’obiettivo di una telecamera. Nessun logo più adatto per la riflessione qui esposta.
Occhi bionici nella scienza medica odierna Lasciando in attesa per un momento la carica metaforica del cineocchio, torniamo all’occhio bionico nella sua natura terrena e contemporanea: ciò che era stato immaginato alla lontana dalla letteratura e dal cinema, nell’ultimo decennio pare iniziare ad avvicinarsi alla realtà; esistono oggi apparati che seppur rudimentali possono restituire parte della vista a persone cieche grazie alla ricerca coordinata di medicina ed elettronica. Tale apparato può essere costituito da un impianto epiretinale associato ad una telecamera esterna,
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oppure da un impianto subretinale (un chip sotto la retina) che non ha bisogno di dispositivi esterni all'occhio. La telecamera può essere montata sugli occhiali e trasmette senza fili (per mezzo di onde radio) le sue immagini all'impianto epiretinale, che simula la funzionalità della retina, collocata sul fondo del bulbo oculare. Questa tecnologia riesce a interpretare e produrre immagini poco nitide composte da un numero variabile tra 16 e 1500 pixel in toni di grigio, ma rappresenta un primo passo verso la realizzazione di impianti di prestazioni maggiori. Dato che i segnali generati dall'occhio artificiale vengono poi inviati al nervo ottico, è essenziale che questo sia integro. Inoltre, la retina deve avere un minimo di vitalità perché il chip non fa altro che stimolare le cellule nervose ancora vive le quali, a loro volta, inviano gli impulsi elettrici al nervo ottico. Per lesioni del nervo sono allo studio protesi corticali in cui una telecamera esterna manda le immagini a un impianto localizzato direttamente nella corteccia visiva.
Rob Spence, l’uomo che ha fuso fantascienza, medicina e cinema Per finire, l’esperienza di un uomo che singolarmente riunisce in sé tutti gli aspetti fin qui toccati: Rob Spence, canadese, 36 anni, persa la vista di un occhio a causa di un incidente da bambino. Diventato adulto, Rob decide di farsi impiantare una protesi con al suo interno una mini telecamera: non si tratta di uno strumento capace di restituire davvero la vista al suo occhio (anche se abbiamo visto che recentemente le ricerche in questo senso stanno facendo grandi passi avanti). Infatti la mini camera di Spence è collegata via etere a un trasmettitore fornito di un piccolo schermo, simile a un game boy, che permette di visualizzare quello che il punto di vista oculare della cinepresa registra. L’operazione di Rob, ripulita dalle implicazioni pubblicitarie che tende ad assumere (si fa chiamare “Eyeborg”, collabora con la catena produttrice di videogame di battaglie fra cyborg come “Deus ex”…), è molto interessante e merita di essere riportata per un carattere fondamentale: Rob di professione è documentarista. Improvvisamente ci si apre una prospettiva in cui le elucubrazioni sul Kinoglaz, il complesso d’inferiorità del cinema documentario, l’ambizione di un punto di vista mimetizzato e umanizzato, e allo stesso tempo le suggestioni fantascientifiche, il potenziamento elettronico del corpo, le teorie sui cyborg, la medicina sperimentale, tutto quanto precedentemente esposto sembra fondersi e concretizzarsi in una persona vivente e reale. Ci immaginiamo che una nuova epoca per la visione inizi da qui: l’occhio bionico è tra di noi.
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Nelle figure, Dziga Vertov in Kinoglaz, L’uomo da sei milioni di dollari, il film La morte in diretta di B. Tavernier, la copertina di The unsleeping eye di D.G. Compton, il logo del Grande Fratello, 5 l’occhio bionico di Rob Spence.
FONTI E BIBLIOGRAFIA David G. Compton, The unsleeping Eye, 1973 Pietro Montani, Dziga Vertov, Firenze, La Nuova Italia, 1975 Dziga Vertov, L'occhio della rivoluzione, a cura di Pietro Montani, Gabriele Mazzotta Editore, 1975 Antonio Caronia, Il cyborg. Saggio sull'uomo artificiale, Napoli, Edizioni Theoria 1985 Alexander Chislenko, Are you a cyborg?, 1995 Antonio Caronia, Cyberpunk: istruzioni per l'uso, Stampe Alternative, Viterbo, 1995 Donna Haraway, Manifesto Cyborg, a cura di L. Borghi, introduzione di R. Braidotti, Feltrinelli, Milano, 1995 Antonio Caronia, Il corpo virtuale. Dal corpo robotizzato al corpo disseminato nelle reti, Muzzio, 1996
William Gibson, Neuromante, traduzione di Giampaolo Cossato e Sandro Sandrelli, Editrice Nord, 2000, Milano Antonio Caronia, Il cyborg. Saggio sull'uomo artificiale, Shake, Milano, 2001 Piergiorgio Pardo, Il cyberpunk, Milano, Xenia, 2001
Eberhart Zrenner, “Will Retinal Implants Restore Vision?”. Science, febbraio 2002. 295:10221025 P. Hossain, I.W. Seetho, A. C. Browning, W. M. Amoaku, “Science, medicine, and the future: Artificial means for restoring vision”. BMJ, gennaio 2005. 330:30-33 Bill Nichols, Introduzione al documentario, Il Castoro, 2006 Simon Ings, "Chapter 10(3): Making eyes to see". The Eye: a natural history. London, 2007 Eberhart Zrenner et al., “Subretinal electronic chips allow blind patients to read letters and combine them to words”, Proceedings of the Royal Society, Published online before print November 3, 2010 http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=TW78wbN- WuU documentary)
(eyeborg
http://www.tgcom24.mediaset.it/magazine/articoli/1020736/con- una- videocamera- al- posto- dellocchio- eyeborg- racconta- il- mondo.shtml http://it.wikipedia.org/wiki/Cyborg http://it.wikipedia.org/wiki/Bionica
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