Supplemento al volume 83, settembre 2024, di Forbes Italia. Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 260 del 7 settembre 2017. Copia non vendibile separatamente
ESCLUSIVO
SOPHIA LOREN
APRE LE PORTE
DEI SUOI RISTORANTI
Supplemento al volume 83, settembre 2024, di Forbes Italia. Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 260 del 7 settembre 2017. Copia non vendibile separatamente
ESCLUSIVO
SOPHIA LOREN
APRE LE PORTE
DEI SUOI RISTORANTI
Dopo l’immobiliare, Cristina Brizzolari ha puntato sul riso Come lei, anche altre donne di successo innovano l’agroalimentare Portando visione d’impresa, creatività e tanta passione
#ifeelsLOVEnia
#myway
Ipittori dell’800 e del primo ‘900 raffiguravano le “signore di campagna” con ampi cappelli di paglia, magari con un ombrellino parasole, impegnate in lente e noiosamente liete passeggiate in giardini fioriti. Le contadine invece venivano dipiente chine al lavoro, spesso con in braccio fasci di spighe o con una brocca sulla testa. Sono passati quasi due secoli da quando i pittori dell’epoca fermavano con i loro pennelli i paesaggi bucolici dell’epoca, un po’ reali, un po’ immaginifici. Sembrano invece passati duemila anni se si guarda la campagna di adesso, soprattutto se si guardano le donne in campagna. Le imprenditrici sono attivissime, conoscono i mercati di mezzo mondo perché oggi il made in Italy, soprattutto quello agricolo, è il primo ambasciatore italiano nel pianeta e il primo elemento di attrazione del turismo internazionale nel nostro Paese. Le lavoratrici guidano macchine all’avanguardia, sono specializzate in enologia, agronomia. Le storie che raccontiamo in questo numero di settembre di Forbes Small Giants sono storie di
imprenditrici che hanno fatto dell’agribusiness la loro ragione di vita, come Cristina Brizzolari Guidobono Cavalchini, che ha lasciato il suo mondo dorato internazionale per produrre riso nella tenuta di famiglia, nelle campagne del Novarese, e ci ha narrato la sua avventura di successo. Cristina, per raccontare
la sua esperienza, ha scritto un libro dal titolo significativo: Chi non semina non raccoglie. Infatti chi non investe il proprio denaro, il proprio tempo, la propria passione nella sua azienda è destinata all’insuccesso ma chi lo fa, come Cristina, e come tanti imprenditori uomini e donne, alla fine realizza i suoi sogni.
oi di Forbes, in questo scorcio di fine estate, ci stiamo occupando molto di agricoltura e agrifood perché lo riteniamo il comparto del futuro, quello che può fare ancora più grande il nostro Paese per qualità, forza imprenditoriale, innovazione, soprattutto se i prodotti agricoli vengono coniugati con il territorio, se turismo di campagna e di città si prendono a braccetto sotto l’insegna della qualità, della sostenibilità, del made in Italy.
Immaginiamo un parallelo del nostro tempo: l’intelligenza artificiale viene considerata una delle scommesse più importanti del futuro. Non c’è dubbio. Per svilupparla e alimentarla occorrono milioni di ettolitri di acqua e milioni di megawatt di energia. L’agricoltura, secondo noi, è una scommessa altrettanto importante, una scommessa intelligente: il mondo agricolo produce energia e usa l’acqua per produrre beni alimentari necessari al nostro sostentamento diretto. Presto intelligenza artificiale e agricoltura si incontreranno per realizzare un mondo migliore.
Intanto il comparto agricolo
ha bisogno costante di essere supportato. Per esempio ci aspettiamo un aiuto maggiore dell’Europa più di quanto non abbia fatto finora. Gli Stati Uniti nei prossimi anni investiranno 1.240 miliardi di euro nel comparto agricolo-alimentare, che è un contributo diretto agli agricoltori, ma anche un contributo altrettanto importante per l’innovazione in agricoltura e per il sostegno alimentare ai più bisognosi. In Europa invece con la politica agricola comune ad oggi sono stati stanziati 386 miliardi per cinque anni. Questo fa capire la differenza che c’è in termini di attenzione. È una sfida che l’Europa non può perdere perché l’agroalimentare è la prima voce per le esportazioni. Perdere la sfida legata all’innovazione e a una giusta redditività che deve essere riconosciuta alle imprese agricole rischia di farci perdere la capacità produttiva con paradossalmente un aumento dell’importazione di prodotti provenienti da altri continenti, che non hanno i nostri stessi parametri anche rispetto all’ambiente. E torniamo di nuovo lì: chi non semina non raccoglie.
INSIDER
12 Cucine da oscar
Mirko Crocoli e Giulia Piscina
FOTO
20 Un ponte di sicurezza
COVERSTORY
22 Ritorno in cascina
Matteo Sportelli
33 Un filo di tradizione
Fulvio di Giuseppe
36 L’antica arte della pasta
Andrea Salvadori
RICERCA
40 Impronta ridotta
Fulvio di Giuseppe
SERVIZI 47 Oltre la logistica
Andrea Salvadori
50 La strada più semplice
Matteo Marchetti
52 Connessi per essere competitivi
Maurizio Abbati
DISTRETTI 56 Caput business
Piera Anna Franini
69 Nuova vita ai portoni
Fulvio di Giuseppe
72 Nel blu dipinto di tech
Piera Anna Franini
82 Ospitalità da sogno
Maurizio Abbati
STORIE D’IMPRESA
84 Quattro amici al bar
Maurizio Abbati
88 I forzieri del made in Italy
Francesca Lai
90 L’unione fa la forza
Maurizio Abbati
92 Una finestra sul futuro
Raffaella Galamini
INCHIESTA
95 Un mercato da stappare
Camilla Rocca
STARTUP
106 La culla dell’innovazione
Andrea Salvadori
110 Dove i grandi non arrivano
Francesca Lai
112 L’artigiano del surf
Fulvio di Giuseppe
CURIOSITÀ 114 Anni d’oro
117 Lo sapevi che
RUBRICHE
120 Passaggi generazionali e sostenibilità
122 Lungo la filiera
UFFICIO
125 I colori del sorriso
Valentina Lonati
Il settore dell’agroalimentare in Italia è quello che porta più valore aggiunto al Pil: una performance che vale 4,5 volte quella dell’automotive, e si conferma asset strategico per la competitività del Paese. È al 15esimo posto per produttività, ma l’Italia è tra i primi cinque paesi in Ue per valore generato dal mercato della robotica agricola: ricavi di 1.600 euro per ogni milione generato dall’agricoltura, il doppio del valore europeo. Tuttavia, il settore deve continuare ad evolversi e adattarsi alle nuove tendenze di consumo: filiera corta, attenzione alle etichette, e cibi naturali, acquistati soprattutto presso i supermercati della catena Coop (30%), Esselunga (25%) e Lidl (20%), secondo dati Forbes e Gambero Rosso rielaborati da Rome Business School, all’interno del report Settore food in Italia. Trend di consumo e modelli di business, curato da Valerio Mancini, direttore del Centro di ricerca divulgativo..
Supplemento al volume 83, settembre 2024, di FORBES ITALIA registrazione presso il Tribunale di Milano al n°260 del 7 settembre 2017 Copia non vendibile separatamente
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Sophia Loren e Luciano Cimmino hanno lanciato una catena di ristoranti che richiama la tradizione partenopea. L’attrice: “Nella mia vita ho avuto tante passioni, una di queste è senza dubbio il cibo”
Il progetto di Sophia Loren e dell’imprenditore Luciano Cimmino di aprire una catena di ristoranti è già stato avviato in Italia: Milano, Firenze, Roma (Aeroporto di Fiumicino), Bari, Baia Sardinia. Ma è stato aperto anche il primo ristorante all’estero, a Hong Kong, e nei prossimi mesi sono previste cinque nuove aperture in Giappone, a partire da Tokyo. Un successo che è frutto di una partnership tra Luciano e Sophia, particolarmente attenta a tre fattori che rappresentano il fulcro
Sophia Loren, pseudonimo di Sofia Costanza Brigida Villani Scicolone, con il marito Carlo Ponti. L’attrice ha ottenuto molti riconoscimenti, tra cui due premi Oscar, cinque Golden Globe, un Leone d’oro e un Grammy Award. Inoltre è stata onorata da una stella sulla Hollywood Walk of Fame.
dell’italianità nel mondo: talento, professionalità e tradizione. Tra queste ultime, c’è anche l’atavico amore per la gastronomia napoletana.
“Nella mia vita ho avuto tante passioni, una di queste è senza dubbio il cibo”, si legge sul sito ufficiale dei Sophia Loren Restaurant.
“Nessun regista è mai riuscito a mettermi a dieta e non ho mai rinunciato a un buon piatto di pastasciutta in favore della linea. Le ore che ho trascorso in cucina ad impastare, friggere, infornare e rosolare, sono state tra le più felici della mia esistenza. Quando
mi hanno chiesto di aprire una catena di ristoranti in mio onore, ho riflettuto molto sugli oneri e le responsabilità che avrebbe comportato associare il mio nome ad un’insegna”.
“Non ho mai voluto prendere parte a storie che non sento mie”, continua Loren. “Questo è valso per i film che ho interpretato in sessant’anni di carriera così come per qualsiasi progetto al quale ho preso parte. Nessuno mi ha corteggiato tanto come Luciano Cimmino e oggi sono felice di aver acconsentito a questa meravigliosa avventura, fiera di far parte di una squadra di napoletani talentuosi che desiderano esportare la ‘veracità’ della cucina
“HO RIFLETTUTO MOLTO SULLE RESPONSABILITÀ
CHE AVREBBE
COMPORTATO ASSOCIARE
IL MIO NOME A UN’INSEGNA:
OGGI POSSO DIRE
CHE NE È VALSA LA PENA”
partenopea nel mondo. Per me e Luciano, mangiare è una cosa sacra e per condividerla con quelli che la pensano come noi abbiamo costruito un tempio della convivialità, un luogo unico e suggestivo, dove i migliori chef mondiali si cimentano in primi piatti e pizze ‘che so’ na squisitezz’.
Luciano Cimmino, come nasce la partnership con Sophia Loren?
LC: L’idea dell’iniziativa nacque per portare un messaggio di cucina italiana all’Expo di Milano. Le basi si fondavano su quanto di meglio fosse in grado di offrire al mondo la cucina italiana. Mancava il nome. Sophia Loren sembrava quello più iconico di tutti. Sophia tra l’altro è una cuoca genuina e verace e il cibo entra
nella sua vita e nella filosofia con cui affrontarla, dalla porta maestra.
Milano, Napoli, Bari, Firenze, ma anche Hong Kong. Che caratteristiche hanno i Sophia Loren Restaurant?
LC: Nell’elenco citato manca il locale di Roma, all’aeroporto internazionale di Fiumicino, e lo stagionale Phi Beach a Forte Cappellini, Baia Sardinia. Poi altre otto aperture all’estero sono previste nei prossimi mesi, tra cui ben cinque in Giappone a partire da Tokyo, a Ginza, uno dei più importanti quartieri dello shopping della città. Tutti i ristoranti inoltre riflettono la stessa ambientazione, opera dell’architetto Ivo Maria Redaelli: i locali hanno un’impronta italiana ma con taglio internazionale nei colori e negli arredamenti. La cucina e le pizze hanno lo stesso gusto in tutto il mondo perché le materie prime utilizzate sono sempre italiane e tutte ai vertici della qualità.
Come possiamo definire la proposta culinaria? Quale filosofia segue?
La stessa piramide della qualità ha alla base una regola assolutamente inderogabile: mai nessun compromesso per la qualità. Su questa regola sono stati sviluppati menù di eccellenza, semplici, sani e soprattutto gustosissimi. Le pizze sono caratterizzate da una leggerezza e un sapore dell’impasto (che è segreto) cui vengono aggiunti ingredienti Docg, che le rendono veramente inimitabili. La pasticceria attinge alle origini napoletane: pastiera, babà, sfogliatelle, delizie al limone, profiteroles, i menu sono periodici e seguono la stagionalità dei prodotti. Pesce ed ostriche arrivano quotidianamente. La mozzarella di Paestum sorprende anche i più attenti cultori di questo prodotto per sapore ed intensità di un gusto sempre delicato ma ben definito.
Sophia Loren, dopo l’incidente avvenuto a settembre, l’abbiamo vista a Milano alla cena dei 100 anni di Damiani e al suo ristorante, dove ha incontrato Luciano Cimmino. Cosa ha rappresentato per lei questo ritorno alla vita pubblica?
SL: Mi sono ripresa e per me è stato un momento di gran successo poter riapparire in pubblico. Mi sento bene, in forma e con la positività che mi contraddistingue. Mi ha fatto piacere incontrare Luciano e ritornare al ristorante Sophia Loren. Ho ammirato il nuovo dehors, che ha reso il locale ancora più prestigioso e accogliente.
È pronta per nuove sfide?
SL: Mi piacerebbe andare a Los Angeles e ritornare a viaggiare. Sono inoltre in attesa delle prossime aperture all’estero di Sophia Loren Restaurant. Infatti, a Hong Hong ad aprile aprirà nel cuore di Wanchai (quartiere commerciale di Hong Hong) il primo ristorante Oltreoceano dopo i quattro in Italia. Una palazzina di quattro piani fine Ottocento che ospiterà una pizzeria napoletana, un ristorante di pesce, una pista da ballo retro e sul rooftop un cocktail bar. Ma non è finita: nel 2025 anche Tokyo e altre città giapponesi dovrebbero accogliere il mio ristorante del cuore.
Sogno nel cassetto?
SL: Festeggiare il mio compleanno a Napoli. Ritornare alle origini, alla città che amo. Respirare l’atmosfera che la contraddistingue e, perché no, aprire un mio ristorante anche qui. Io sono fiera ed entusiasta di questo progetto, che mi appassiona ogni giorno di più. La pizza e i piatti della cucina partenopea cucinati dai nostri cuochi sono i migliori. Il cibo per me è condivisione, convivialità. Mangiare tutti insieme una pizza nel ristorante che porta il mio nome è un’emozione fortissima. Io mi sento di rappresentare Napoli e l’Italia, ed è a questo che i miei ristoranti rendono omaggio. .
Sace, gruppo assicurativo specializzato nel sostegno alle imprese, supporterà progetti sostenibili e di elettrificazione rurale in India attraverso una garanzia finanziaria di 320 milioni di dollari. L’operazione rientra nell’iniziativa Green & Social Push di Sace e rappresenta il primo Green Push in India. “Si tratta di un passo significativo nel rafforzamento dei legami tra Italia e India, promuovendo lo sviluppo sostenibile e la partecipazione delle aziende italiane in investimenti strategici nel settore energetico e infrastrutturale”, ha commentato Michal Ron, chief international officer di Sace. Il finanziamento mira a promuovere le forniture da parte di aziende italiane, in particolare piccole e medie imprese, in progetti di energia rinnovabile, efficienza energetica e mobilità sostenibile finanziati da Rec. Rec Limited, società finanziaria pubblica indiana specializzata nel finanziamento di progetti energetici e infrastrutturali, che opera sotto il controllo del ministero dell’Energia del governo indiano, ha il mandato di finanziare e promuovere progetti energetici in India. L’operazione dovrebbe avere un impatto positivo sull’economia, contribuendo con circa 145,1 milioni al Pil e preservando 2.389 posti di lavoro. “Con il successo di questa operazione attraverso un finanziamento di portata globale si apre la strada a ulteriori collaborazioni di questo tipo, migliorando ulteriormente le relazioni commerciali indo-italiane nel finanziamento dell’energia rinnovabile e di progetti verdi, oltre a rafforzare il supporto della comunità globale per i progetti di sviluppo sostenibile in India”, ha detto Vivek Kumar Dewangan, presidente e amministratore delegato di Rec.
Le Pmi italiane non trovano lavoratori. Secondo uno studio di I-Aer, oltre il 70% delle Pmi ha difficoltà a trovare personale adeguato. Tra il 2024 e il 2028 il mercato del lavoro italiano avrà bisogno di oltre 3,1 milioni di occupati. In Lombardia si prevede un fabbisogno di 669mila occupati, dato che rappresenta oltre il 18% della domanda nazionale. Seguono Lazio (9,8%), Campania (8,8%), Emilia-Romagna (8,4%) e Veneto (8,3%). Il 50% degli imprenditori sfrutta il proprio network di conoscenze per la ricerca dei candidati. Nel settore della tecnologia dell’informazione non si trovano sviluppatori software, specialisti in cybersecurity e analisti di dati. Il settore manifatturiero fatica
Le piccole e medie imprese italiane sono sempre più attente al welfare. Questo quanto emerge dal rapporto annuale Il welfare aziendale: diffusione e prospettive nelle Pmi, realizzato da Fondazione Studi Consulenti del Lavoro e Pluxee. Secondo il 62,8% dei consulenti del lavoro, la diffusione degli strumenti di welfare tra le Pmi è aumentata rispetto al 2023, in particolare al Nord Ovest e al Nord Est. Il 64,2% del campione intervistato prevede che nel triennio 2024-2027 ci sarà un aumento di queste misure tra le piccole e medie imprese. Le Pmi prediligono il welfare che mette al centro il sostegno economico ai dipendenti
a trovare operai qualificati, tecnici di manutenzione e specialisti in automazione industriale, essenziali per la competitività industriale. Stessa cosa nel settore delle costruzioni, nella logistica, nel settore alberghiero e della ristorazione e in quello agricolo. Tra le cause riscontrate c’è il disallineamento tra le competenze richieste, in particolare quelle digitali, e quelle offerte. Poi c’è l’invecchiamento della popolazione: sempre meno giovani sul mondo del lavoro. Inoltre, le condizioni contrattuali e salariali non sempre sono adeguate. Pesa sulla situazione anche la mancanza di un’organizzazione strutturato, in grado di prevedere piani di crescita definiti.
e alle famiglie (il 72,9% individua questa come l’area di welfare aziendale più diffusa tra le Pmi). Gli strumenti destinati a crescere di più sono i buoni pasto (al primo posto per il 42,6% del campione rispetto al 39,8% del 2023), poi vengono i buoni multicategoriali (per il 40,6% del campione rispetto al 34,6% del
2023) e infine l’erogazione di servizi: dalla salute (40,6%) alla conciliazione vita-lavoro (29,2%), fino alla formazione (11,9%). La presenza di incentivi fiscali è la motivazione principale che spinge le Pmi ad adottare politiche di welfare (il 64,2% degli intervistati la indica al primo posto). “Occorre continuare, ci dicono i dati, a promuovere una normativa sempre più stabile e chiara da parte del legislatore e, contestualmente, portare avanti un lavoro di formazione e informazione che rimane imprescindibile per poter far comprendere appieno il valore degli strumenti di welfare”, ha commentato Anna Maria Mazzini, chief growth officer di Pluxee.
Cdp Venture Capital, partecipato da Cdp Equity al 70% e da Invitalia al 30%, e Cy4gate comunicano l’avvio di una partnership strategica dedicata alla cybersecurity delle Pmi italiane. Dalla raccolta dei dati alla valutazione dei rischi, fino ai piani di recovery in caso di attacchi informatici, la società offrirà soluzioni di sicurezza cibernetica dedicate alle piccole e medie imprese. È anche previsto il lancio di un prodotto di cyber insurance, che garantirà una copertura contro i rischi cyber. “In un’epoca in cui le minacce digitali sono in costante evoluzione, è fondamentale che anche le Pmi abbiano accesso a tecnologie avanzate e a servizi di protezione di alto livello”, ha commentato Agostino Scornajenchi, amministratore delegato e direttore generale di
Cdp Venture Capital. “L’obiettivo che ci siamo dati è quello di offrire soluzioni personalizzate e accessibili che permettano alle aziende di operare in modo sicuro e sereno, contribuendo così al loro successo e alla crescita del tessuto imprenditoriale italiano, nella convinzione che ogni impresa, indipendentemente dalla sua dimensione, meriti di essere protetta con la massima cura e competenza”. Emanuele Galtieri, ceo e general manager di Cy4Gate Group, ha sottolineato: “Metteremo a disposizione la competenza e le migliori tecnologie in un percorso che abiliti la ‘democratizzazione’ della cyber sicurezza alle Pmi dando loro accesso a un ecosistema di servizi e soluzioni su misura per loro, oggi più che mai necessari”.
Secondo un report di Webidoo, digital company per lo sviluppo di tecnologie e servizi alle imprese, la digitalizzazione è fondamentale nel determinare le prestazioni delle Pmi,. L’analisi si basa su un database di circa 13mila imprese italiane e utilizza numerosi indicatori suddivisi in tre macro categorie principali: commercio digitale, presenza digitale e infrastruttura tecnologica. L’Indice di maturità digitale (Imd) nazionale si attesta su un punteggio di 57,0. Ma ci sono differenze a livello territoriale: le aziende del Nord-Est mostrano il più alto indice di maturità digitale con un punteggio di 59,1, al di sopra del Mezzogiorno che si ferma a 56,6. Le differenze si ampliano ulteriormente se si analizzano i settori di attività. I servizi alla persona raggiungono il valore più alto con un Imd di 59,7, mentre il settore delle costruzioni registra il punteggio più basso con 53,6.
Il 14 agosto del 2018 una sezione del ponte Morandi crollò insieme al pilone di sostegno, provocando 43 vittime tra persone a bordo dei mezzi e operai al lavoro nell’isola ecologica sottostante. Il pessimo stato di manutenzione dell’infrastruttura e l’inadeguatezza dei controlli sono stati, secondo le perizie, le principali cause del
disastro. Tra i player che si sono occupati della ricostruzione del viadotto c’è Socotec Italia, uno dei principali operatori europei in ambito Tic (Testing, Inspection and Certification) nel settore delle infrastrutture e dell’ambiente. Dai sondaggi geognostici fino alla fase di esecuzione dei lavori, l’azienda si è occupata di verificare con prove
di laboratorio ed in sito che l’opera venisse realizzata garantendo tutti gli standard qualitativi richiesti dalla normativa italiana. Il 3 agosto 2020 il viadotto San Giorgio, costruito su disegno dell’architetto Renzo Piano e messo in sicurezza proprio da Socotec Italia, è stato inaugurato e aperto nuovamente al traffico..
Dal settore immobiliare ad un’azienda agricola nel Novarese: Cristina Brizzolari racconta la storia che l’ha portata alla guida di Riso Buono e, dal 2023, di Coldiretti Piemonte di Matteo Sportelli
In un paesino di mille abitanti, a 15 chilometri da Novara, c’è un luogo che sembra essere rimasto indietro nel tempo.
“L’IDEA ERA
DI RESTAURARE L’EDIFICIO
E TORNARE ALLA MIA VITA, POI MI SONO INNAMORATA
DELLE SFUMATURE
DELLE RISAIE: DA LÌ HA
Quando si entra a Tenuta La Mondina, a Casalbeltrame, si nota subito una Fiat 500 di quasi cinquant’anni fa: è parcheggiata sotto i portici della struttura risalente alla fine del ‘600. Tre grandi corti, antiche scuderie e un’elegante ala nobiliare fanno da cornice a 200 ettari di terreni di cui 120 coltivati a risaia. Qui si produce riso ‘come una volta’, con metodi di irrigazione tradizionali e tecniche di coltivazione innovative.
AVUTO INIZIO TUTTO”
Ma le cose non sono sempre state così: parte di quella tenuta è stata abbandonata per circa un secolo, fino a che Luigi Guidobono Cavalchini non ha chiesto alla nuora, Cristina Brizzolari, all’epoca imprenditrice immobiliare, di andare in quella piccola località del Piemonte e rimettere in sesto la struttura. Così, dopo anni di lavori
e di viaggi tra Roma e Casalbeltrame, Brizzolari ha iniziato a indossare i panni di una ‘mondina moderna’ fondando Riso Buono.
Prima di intraprendere la strada del riso, lei faceva tutt’altro.
“Era il 2011, vivevo tra Roma e Londra: compravo case e le rivendevo per i miei clienti e per me”, ha raccontato l’imprenditrice (che preferisce definirsi agricoltrice). Poi, la notizia dal suocero: “Un pomeriggio suona alla porta mio suocero, Luigi Guidobono Cavalchini - fino a qualche anno prima ambasciatore italiano a Parigi e poi rappresentante permanente presso l’Unione Europea a Bruxelles - che mi dice: ‘Cristina, mi ha scritto di nuovo il sindaco di Casalbeltrame. La cascina di famiglia cade a pezzi’. Sulla strada principale del paese infatti i tetti stavano crollando e così anche le finestre’”.
Inizialmente Cristina sembrava solo voler mettere in sicurezza la tenuta. “Tornata a Roma dopo la prima visita, parlai con mio suocero e gli comunicai che sarebbe stato meglio impacchettare tutto con dei nastri di sicurezza e lasciar cadere a pezzi quell’edificio ormai semidistrutto”, ha rivelato Brizzolari.
L’idea iniziale era la più naturale: contattare un geometra, incaricarlo di rifare i tetti e chiudere le persiane di legno della cascina. “Cosa c’entravo io con il riso, le risaie e i risotti?”, si chiedeva Cristina Brizzolari. Poi però è scattato l’amore e nella mente dell’imprenditrice ha cominciato a maturare l’idea di dedicarsi
a quei terreni. “Ogni volta che tornavo con il geometra incaricato o con il sindaco del paese, mi innamoravo dei colori di quelle terre”, ha raccontato. Così è arrivata la decisione: “Dovevo dedicarmi alla rinascita della cascina”.
Lo spazio della tenuta che più ha incuriosito Cristina? Sicuramente quello dedicato alle risaie. “Mi sono innamorata delle sfumature delle risaie. È in quei momenti che ho pensato di ritornare a produrre il riso”, ha dichiarato. Dopo i tanti investimenti necessari per innovare e mettere a norma gli spazi e gli strumenti per coltivare il riso, c’erano da capire due cose: su quale tipo di riso puntare e, nel
caso il prodotto fosse stato buono, come si sarebbe potuta chiamare l’azienda.
Grazie ai consigli di Massimo Biloni, agronomo ricercatore, Cristina decide di puntare sul Carnaroli: “Devi piantare il vero seme di Carnaroli. Qui in zona non lo fa nessuno”, le ha suggerito l’agronomo. La prima annata è stata piantata nel 2011, coltivata poi da un contoterzista di fiducia. E nel 2012 arrivò il primo raccolto: “Io il riso, da brava romana, l’ho sempre mangiato quando avevo il mal di pancia. Per questo avevo anche un palato pulito: non avevo il ricordo della mamma e della nonna che facevano il risotto alla domenica. Questa
mia ‘mancanza’ mi ha permesso di capire che questo vero Carnaroli aveva un gusto peculiare, e mi piaceva pure”, ha rivelato. Subito dopo Cristina ha deciso di puntare su un riso nero. Non si tratta del Venere, ma dell’Artemide, riso oggi esclusiva di Riso Buono e dei produttori del seme. Artemide è anche il nome del cane di Cristina. L’imprenditrice l’ha adottata dopo il suo primo show cooking ai Feudi di San Gregorio, le terre famose per il Greco di Tufo e il Falanghina.
Nel 2012 la fondatrice di Riso Buono conobbe il direttore creativo Giorgio de Mitri. “Cosa vuoi farci con questo riso?”, le chiese. “Come le famiglie nobili,
lo vorrei regalare a Natale agli amici”, le rispose Cristina. Ma de Mitri mandò ai suoi amici quattro sacchettini del suo riso per ricevere un parere. Gli amici erano Massimo Bottura, Carlo Cracco, Arturo Maggi della Latteria di Milano e Pietro Leeman, cuoco del ristorante vegetariano Joya di Milano. Ai primi tre diede il Carnaroli, mentre a Leeman diede l’Artemide. “I pareri furono tutti positivi”, ha raccontato Cristina. Fu in quel momento che nacque il nome dell’azienda. “Oh, ma lo sai che è proprio buono”, disse de Mitri. “Lo devi chiamare proprio così: Riso Buono”. Il progetto del direttore creativo comprendeva anche la creazione e il posizionamento del marchio, oltre che il vaso in vetro packaging del prodotto.
PRINCIPALI, CHE HANNO
RESO FAMOSO RISO
BUONO NEL MONDO,
SONO IL CARNAROLI
GRAN RISERVE
E L’ARTEMIDE
“è un riso artigianale che viene fatto invecchiare un anno da grezzo, con un procedimento praticato in antichità da molte popolazioni”, ha spiegato Cristina. “Il riso invecchiato e conservato bene aumenta il proprio volume originale e questo crea una minore dispersione di amido e minerali nella cottura”. L’altra varietà che ha reso famosa Riso Buono è l’Artemide. “La varietà Artemide deriva dall’incrocio tra il riso Venere e un riso di tipo Indica”, spiega l’imprenditrice romana. “È un riso integrale, aromatico, di colore nero. Il riso Artemide ha un aroma intenso e gradevole e una bella forma allungata del chicco. Data la sua stretta parentela col riso Venere ha un contenuto molto alto di ferro e di selenio”.
a qui è partito un viaggio che ha portato i chicchi di Riso Buono a essere apprezzati in Italia e all’estero nelle ormai iconiche giare di vetro con lo stemma della famiglia Guidobono Cavalchini. Ma quali sono i segreti di questo riso? Il Carnaroli Gran Riserva
Ma non solo. “I miei campi sono tutti sostenibili e a circuito chiuso perché riusciamo a utilizzare tutti gli scarti del riso”. Come? Prima di tutto Riso Buono seleziona ogni chicco e non ha rotture di riso. “Abbiamo lo 0,5% di rotture di riso, rispetto al 3% Il Carnaroli e l’Artemide con le rispettive farine.
NEL 2012
IL PRIMO RACCOLTO, POI L’INCONTRO
CON GIORGIO DE MITRI, IL DIRETTORE CREATIVO
CHE HA CURATO
IL PACKAGING IN VETRO
Dopo 11 anni di attività, Riso Buono continua a mantenere una struttura familiare e un rapporto diretto con ciascun cliente.
TUTTI GLI SCARTI
DI PRODUZIONE VENGONO
dei marchi più famosi. Tutti mi dicevano ‘hai uno scarto di prodotto enorme e non ci guadagnerai mai’: io ho comprato un mulinetto austriaco da una certa Heidi con cui, sfruttando le rotture, facciamo una farina di riso per non sprecare nulla”. L’azienda produce due tipi di farine di riso: quella di Carnaroli e quella di Artemide. Il procedimento, con una macinazione lenta delle rotture del riso lavorato, consente di conservare le caratteristiche e i valori nutrizionali del Riso Buono.
DRIUTILIZZATI
E I CAMPI HANNO LO 0,5%
DI ROTTURE DI RISO,
RISPETTO AL 3%
DEI MARCHI PIÙ FAMOSI
quando sono andata all’estero non ho cambiato il mio approccio: conosco tutti coloro a cui vengono venduti i nostri prodotti”.
Copo quasi 11 anni di attività, Riso Buono è rimasta un’azienda atipica, con una struttura che non rispetta le rigide gerarchie tipiche delle più grandi realtà. “In Riso Buono”, ha spiegato la fondatrice, “siamo meno di dieci persone. Non ho un export manager ma lavoriamo ancora attraverso il buon vecchio porta a porta. In Italia abbiamo circa 700 clienti che si interfacciano direttamente con noi. Anche
ristina Brizzolari è uno spirito vivace e curioso, sempre alla ricerca di nuovi stimoli: “Io di solito ogni dieci anni cambio lavoro”, ha concluso l’imprenditrice agricola. “Dopo dieci anni di Riso Buono, nel settembre 2023, è arrivata la nomina a presidente di Coldiretti Piemonte. Questo nuovo incarico mi rende davvero orgogliosa, perché sto imparando tante cose e sto conoscendo persone che hanno a cuore l’agricoltura italiana”. Il futuro è tutto ancora da scrivere: “Riso Buono non l’ho cercata, è arrivata e sono venuta qui: chissà cos’altro potrà arrivare nel futuro”. L’obiettivo resta uno: “Sono felice così. Io vorrei solo che mio figlio si ricordasse che prima di Riso Buono in queste terre non c’erano più le rane e nel momento in cui noi siamo arrivati sono tornate”. .
Da circa 200 anni la famiglia Mela produce olio extravergine da olive taggiasche sulle colline dell’entroterra imperiese, a Sant’Agata d’Oneglia di Fulvio di Giuseppe
Un piccolo borgo di case scaldate dal sole e accarezzate dalla brezza del mare. È qui che ha sede il Frantoio di Sant’Agata d’Oneglia ed è in questa terra in provincia di Imperia che nasce l’oliva Taggiasca, un frutto piccolo e saporito da cui si ricava un olio delicato, dolce e fragrante. Donata al popolo dai monaci benedettini nel ‘600, l’oliva taggiasca è protagonista di una tradizione di valori tramandati da generazioni e porta con sé qualità, stagionalità, genuinità e passione. Gli stessi valori che, dal 1827, guidano la famiglia Mela nella sua coltivazione e trasformazione.
Raccolte con leggero anticipo rispetto alla maturazione, le preziose olive taggiasche sono frante in giornata con la stessa cura del passato, regalando così un olio extra vergine d’oliva speciale. A rimarcarne l’eccellenza, la certificazione Dop Riviera Ligure e i numerosi riconoscimenti tra cui il prestigioso Ercole Olivario. Da circa 200 anni la famiglia Mela produce olio extravergine da olive taggiasche sulle colline dell’entroterra imperiese, nel frantoio di proprietà, a cui si affiancano altre specialità come patè, pesto ligure e conserve di verdure lavorate fresche. Una selezione di prodotti curati ed esclusivi, espressione del
lavoro di una famiglia innamorata del proprio mestiere. È nel 1987, infatti, che Antonio Mela, con la moglie Paola, crea un’azienda strutturata con un marchio proprio; oggi, sotto la guida esperta di Antonio, sono le figlie Cristiana e Serena a portare avanti l’attività di famiglia.
“Il frantoio è la storia della nostra famiglia e dei nostri valori, il punto fermo da cui partiamo per confrontarci con la nostra terra, il lavoro, il nostro
modo di affrontare la vita”, dice Serena Mela, marketing & sales director. “Nostro padre è la stella polare e ci ispira ogni giorno, ma da qualche anno ha messo me e mia sorella Cristiana nella condizione di lavorare sul futuro dell’azienda”. L’imperativo resta quello di innovare e rinnovarsi, mantenendo salde le origini. “Mi piace molto e mi rende orgogliosa poter essere me stessa sapendo di portare fuori dal frantoio tutta l’autenticità e l’idea di famiglia, di gruppo, quella in cui sono cresciuta e mi riconosco. Per questo penso che sempre di più dovremmo ragionare come sistema e che il comparto dell’olio avrebbe bisogno di rinforzarsi e di valorizzarsi, anche raccontando le nostre storie, che spesso sono come gli ulivi: delicate ma tenaci, ben salde e pronte ad affrontare ogni evento. Lo penso da professionista e ancora più fermamente da professionista donna. La nostra azienda ‘al femminile’ è cresciuta molto, non senza difficoltà, e ogni giorno puntiamo a migliorarci e, nel nostro piccolo, aspiriamo a diventare un po’ d’esempio”.
La loro forza, come quella di tanti produttori italiani, consiste proprio nel dedicarsi con tutte le forze al lavoro, in una miscela di passione e famiglia. “Sia io che Serena lavoriamo in un mondo maschile ma in questi ultimi anni il nostro essere donne che portano avanti il nome della propria famiglia è diventato un elemento di ulteriore credibilità per il nostro brand”, ha detto Cristiana Mela financial & export manager dell’azienda.
“Il resto lo fa il territorio, dove amiamo invitare i clienti e far vivere loro l’emozione che per noi è motore quotidiano. Veniamo da una terra fantastica, in cui mare e collina convivono e si intrecciano. Preservarla e farla conoscere il più possibile è una grande responsabilità di cui ci sentiamo orgogliosamente incaricate”. L’azienda investe molto
nell’innovazione tecnologica e dei processi produttivi per migliorarsi e offrire una qualità sempre maggiore: il fiore all’occhiello è il nuovo frantoio per la produzione dell’olio, con tecnologia 4.0 che consente di monitorare tutti i parametriossigeno, luce, temperatura - che, se non perfettamente gestiti, possono sciupare le materia prima e inficiare la qualità del prodotto finale.
L’attenzione all’innovazione si accompagna sempre al rispetto per la tradizione, che parte dalla scelta di iniziare precocemente la raccolta delle olive a inizio ottobre, per avere un olio ricco di polifenoli. La raccolta avviene sempre manualmente ed è un momento di grande rilevanza sociale perché, durante la raccolta, c’è stretta collaborazione con le aziende agricole del territorio che conferiscono le proprie olive al frantoio.
Un ostacolo è l’effetto dei cambiamenti climatici, che l’azienda ha potuto constatare direttamente sulle coltivazioni. Il Frantoio di Sant’Agata sta cercando di salvaguardare le coltivazioni con un’irrigazione artificiale, non sempre facile da effettuare, vista la conformazione del territorio ligure. La protezione e la tutela dell’ambiente sono, infatti, due obiettivi importanti per l’azienda, che mette in atto azioni concrete quali l’utilizzo, per i propri alberi, di concimi naturali. Anche per le produzioni sono stati acquistati macchinari che consentono un risparmio di risorse, energetiche e idriche. L’installazione di numerosi pannelli solari, inoltre, ha aumentato ancora il livello di sostenibilità dell’azienda che vuole continuare a fare passi importanti in questa direzione. Per portare avanti una tradizionale e innovativa storia di famiglia..
Dalla provincia di Pescara al resto del mondo. Rustichella d’Abruzzo, specializzata nella lavorazione di grani autoctoni e biologici, oggi esporta in 70 paesi, dai quali proviene quasi il 90% del fatturato
di Andrea Salvadori
Cent’anni di storia, di famiglia e di successi, anche oltreoceano. Rustichella d’Abruzzo è un pastificio specializzato nella produzione artigianale di pasta realizzata con grani antichi e biologici. Si trova a Penne, in provincia di Pescara, conosciuta come la ‘città del mattone’, per via del cotto che veste strade e case. Qui, nel 1924, il mugnaio Raffaele Sergiacomo decise di aprire un pastificio. La tradizione di famiglia proseguì con Gaetano Sergiacomo, uno dei figli di Raffaele, che diede impulso all’attività paterna e iniziò a distribuire la pasta realizzata solo con grano abruzzese anche nelle regioni limitrofe. Fu poi Piero Peduzzi, il marito di Nicolina, figlia di Gaetano, a prendere in mano le redini dell’azienda e battezzarla nel 1981 in Rustichella d’Abruzzo.
Sotto la sua guida, iniziò quel processo di internazionalizzazione che ha portato la pasta artigianale dell’azienda ad
STEFANIA PEDUZZI È ALLA GUIDA
DELL’AZIENDA
INSIEME AL FRATELLO GIANLUIGI,
TERZA GENERAZIONE
DELLA FAMIGLIA.
“VOGLIO TRASMETTERE
LA MIA PASSIONE IN AZIENDA
E ALLE MIE FIGLIE”
essere venduta in 70 paesi con prospettive oggi di un ulteriore sviluppo in nuovi mercati. “Premianti nella crescita sono state le nostre scelte di marketing aziendale: seguendo le orme di chi ha dato vita a Rustichella d’Abruzzo, mio padre Piero Peduzzi, il brand è decollato all’estero da ben 30 anni, fidelizzando l’assetto distributivo nelle principali regioni del mondo, ad iniziare da Stati Uniti, Australia e Canada”, spiega Stefania Peduzzi, alla guida dell’azienda insieme al fratello Gianluigi, terza generazione della famiglia. “Un’altra importante scelta è stata quella di servire la piccola distribuzione e i negozi specializzati. Guardando al futuro, prevediamo una crescita ponderale che non deve assolutamente svilire l’aspetto artigianale della nostra produzione con numeri esagerati a discapito della qualità. La nostra sarà la crescita di un’economia orizzontale legata alla sostenibilità e
al chilometro zero con una ricerca continua e costante di prodotti legati alla tradizione e all’innovazione. Continueremo con la ricerca dei grani antichi autoctoni già avviata da alcuni anni da noi, con la sperimentazione della pasta come prodotto per una visione nutraceutica della stessa, ma proseguiremo anche con l’esperienza di cottura veloci senza mai tradire l’artigianalità del prodotto”.
Stefania Peduzzi, come ambasciatrice di una piccola realtà abruzzese e di un prodotto premium apprezzato in tutto il mondo, con le sue intuizioni e la sua creatività, si occupa di tutto il packaging del brand. “Essere imprenditrici di un’importante azienda italiana corrisponde a una grande responsabilità, in primis con i collaboratori che condividono la nostra progettualità, e poi con i nostri clienti ai quali garantiamo il miglior
prodotto artigianale”. Alla direzione del team marketing e comunicazione di Rustichella d’Abruzzo, ha contribuito a dar voce all’anima femminile dell’azienda facendo coincidere, non senza difficoltà, il ruolo di mamma e di donna. “Essere imprenditrici vuol dire anche questo: avere visioni e avere il coraggio di osare, con un sano pizzico di follia. Ho portato sempre avanti le mie idee trovando spesso alleati ma anche molti nemici, ho seguito il mio istinto e oggi trasmetto questa eredità in azienda, alle mie figlie, e a tutte le donne che intrecciano la loro storia al mio cammino”.
Il gruppo è da sempre in prima linea nella promozione della sua terra. “Già il nome dell’azienda porta con sé il valore del territorio che promuoviamo da più di 30 anni. Le iniziative sono innumerevoli, il nostro lavoro va a sostegno di tutte le attività sociali e culturali della
nostra regione. Tra queste il tour Primo Grano, che prende il nome dall’omonima linea di pasta artigianale realizzata esclusivamente con grano duro 100% abruzzese. L’azienda è tra le prime realtà ad avere stretto un accordo di filiera corta con i produttori locali dell’Area Vestina con l’obiettivo di valorizzare le eccellenze locali. Durante questo tour gli ospiti da tutto il mondo, chef, giornalisti e clienti, arrivano in Abruzzo e trascorrono qualche giorno con il nostro team alla scoperta delle bellezze della nostra regione, visitano le nostre sedi produttive, e hanno modo di conoscere i sapori della tradizione regionale”.
La pasta Rustichella d’Abruzzo viene prodotta ancora oggi con trafila in bronzo, essiccazione lenta e a bassa temperatura e confezionata nel sacchetto di carta introdotto per la prima volta sul mercato da Piero Peduzzi. È un prodotto di alta qualità, distribuito solo in punti vendita specializzati, come gastronomie, boutique ed enoteche, e via e-commerce sul sito aziendale. “Il processo di sostenibilità è attualmente il fulcro di nuovi investimenti, alcuni terminati, altri in atto. Durante il Covid, ad esempio, abbiamo inaugurato a Pianella un nuovo impianto per la produzione di pasta all’uovo e formati giganti che opera secondo le logiche di Industria 4.0. Per il 2025 il piano prevede invece una serie di iniziative atte alla crescita del brand”. Gli investimenti nella logistica, gestita internamente, permettono invece al gruppo di portare in modo tempestivo le sue paste in tutto il mondo. “Quasi il 90% del fatturato è raccolto oltre confine, in primis negli Stati Uniti d’America. L’intenzione è di crescere in quei paesi dove siamo già presenti, ma anche di entrare in nuovi mercati sino ad oggi inesplorati, ad esempio nel Nord Africa, in America Latina e in alcuni mercati dell’Asia non ancora presidiate”..
Colleghiamo le imprese ai capitali per la crescita.
è l’ecosistema europeo per le piccole e medie imprese, lanciato nel 2012 da Borsa Italiana e oggi parte del Gruppo Euronext, che le collega a diverse fonti di capitale per accelerarne la crescita: competenze, relazioni, finanza. membership annuale per l’intera azienda: imprenditori e Amministratori Delegati, con tutto il leadership team potranno beneficiare della membership ELITE e accedere a nuove competenze, relazioni e finanza a livello pan-Europeo per accelerare la crescita sostenibile di lungo termine. Crescita. Innovazione. Impatto.
L’agricoltura è uno dei settori che esercita più pressione sul pianeta, ma l’innovazione può offrire soluzioni efficaci. Vitaliano Fiorillo: “Puntare sulla tecnologia e su un cambiamento culturale”
di Fulvio di Giuseppe
I prodotti made in Italy hanno un’elevata performance sul mercato internazionale, ma per rimanere competitivi occorre adottare strategie innovative e aprire le porte ai giovani.
Ètra i settori che hanno maggiore impatto sul nostro pianeta, ma è anche quello con maggiori potenzialità di ridurlo. E per riuscirci, l’agricoltura ha una sola ricetta: il cambiamento dell’approccio culturale e la tecnologia. Per Vitaliano Fiorillo, direttore Invernizzi Agri Lab di Sda Bocconi, il segreto è concentrato in questo cambio di passo. Non una rivoluzione, ma un approccio differente per trasformare l’agricoltura, con l’ausilio dell’agritech e di una concezione più manageriale. “A livello globale, il settore impatta direttamente tra il 13 e il 14,5% sul totale delle emissioni di tutti i gas serra”, ha spiegato Fiorillo. “Se consideriamo anche l’impatto della deforestazione arriva al 30%. Possiamo quindi affermare che l’agricoltura è il settore che ha il maggior impatto”. Ma puntare l’indice, indiscriminatamente, sarebbe sbagliato. “È l’evoluzione dell’agricoltura che ha portato a questo punto. Non è necessario cercare un responsabile, ma prendere i dati e ridurre l’impatto”. I dati sottolineano che “le emissioni di metano hanno un potenziale climalterante 30 volte superiore alla CO2, l’azoto 270 volte”. In questo contesto l’agritech può incidere, “ma il salto vero si fa con il cambiamento dell’approccio culturale. Non richiede milioni di euro, ma consente di ridurre sensibilmente l’impatto degli input di sintesi”.
Per Fiorillo è necessario un cambiamento radicale, altrimenti le tecnologie avranno un impatto limitato: “Oggi conosciamo meglio il funzionamento
degli ecosistemi e questo ci permette di lavorare massimizzando ciò che l’ecosistema può fare come sequestro al carbonio, aumento della biodiversità e regolazione dei cicli dell’acqua. Se modernizziamo le tecniche e l’approccio, l’agricoltura non sarà più intesa come produzione di cibo ma come produttrice di servizi ecosistemici”.
Inoltre, come certificato anche dai dati Istat, c’è una stretta correlazione tra età, competitività e innovazione. I giovani tendono a guidare particolari tipologie di aziende, con terreni in affitto e non di proprietà, con almeno un’attività connessa (multifunzionali), propense al biologico e orientate al marketing dei prodotti aziendali, estremamente digitalizzate (il 33,6% contro il 14,0% dei meno giovani) e, più in generale, innovative (il 24,4% contro il 9,7%). Nel 2020, poco più di due terzi (68,4 %) dei gestori dei 9,1 milioni di aziende agricole della Ue era di sesso maschile. La maggioranza (57,6 %) dei dirigenti agricoli, sia uomini sia donne, aveva almeno 55 anni.
“L’ultimo censimento riporta una perdita di circa il 20% delle aziende guidate da under 35 negli ultimi dieci anni. L’età, da sola, non significa nulla. Ma è evidente che più il tuo bagaglio culturale è consolidato nel tempo e maggiore è la resistenza al cambiamento. Le aziende agricole non hanno ricambio generazionale e ci troviamo al punto in cui molte rischiano di cessare l’attività. A questo, però, si contrappone la volontà di grandi investitori che
sono interessati al settore”. In Italia esistono ancora aree agricole non pienamente valorizzate dal punto di vista agronomico o da quello della reputazione dei prodotti. Questo quanto sottolineato dall’analisi degli investimenti agricoli fatta da Cbre, gestore di proprietà immobiliari a livello globale. In particolare, alcuni territori del Centro-Sud Italia presentano condizioni climatiche e del suolo ottimali che, con adeguati investimenti, potrebbero generare produzioni di qualità e rendimenti remunerativi.
L’attrattività dell’agribusiness italiano risiede anche nella stretta correlazione con un sistema alimentare made in Italy caratterizzato da un’elevata reputazione e performance sul mercato domestico ma, soprattutto, su quello internazionale. L’unicità di alcune produzioni alimentari tipiche, unita alla capacità di alcune imprese del settore di saper valorizzare tali prodotti sono alla base dell’incremento dell’export alimentare italiano degli ultimi 20 anni. Tra il 2003 e il 2023, infatti, il valore delle esportazioni alimentari italiane è quasi quadruplicato (+259%), spostando il segno della bilancia commerciale da negativo (-2,5 miliardi di euro) a più che positivo (+12,3 miliardi di euro).
“Chi investe oggi ha dei vincoli che non gli permettono di violare l’ecosistema. Ecco perché l’investimento può essere più remunerativo, ma è necessario che nel processo si inserisca la figura del manager specializzato. L’Italia non ha pari dal punto vista
E DELLA MATERIA PRIMA, L’ITALIA NON HA EGUALI. COSA MANCA?
IL MANAGER SPECIALIZZATO, FONDAMENTALE
PER GESTIRE AL MEGLIO
GLI INVESTIMENTI
tecnico ma da quello manageriale, invece, ha ancora tanta strada da percorrere. Nonostante questo, non c’è una forte richiesta di manager, anche perché dopo 60 anni di gestione aziendale solo dal punto di vista tecnologico e agronomico, non è così semplice far comprendere l’importanza di un’altra figura. Eppure la finanza, se opportunamente accompagnata, è una più che valida opportunità per gli investimenti nell’agroalimentare”.
Èevidente come il processo di crescita del comparto alimentare non possa prescindere da un’evoluzione del settore primario a monte della filiera, in termini di incremento quantitativo e qualitativo della produzione. La forza di alcune filiere, come quella del vino, dei formaggi, della pasta, della passata di pomodoro, dell’olio Evo, rappresenta un valore unico e difficilmente riscontrabile in altre realtà produttive europee. Valore che viene trasferito a tutti gli attori della filiera e che rende le imprese agricole, come avviene per tutti i beni non sostituibili, meno esposte alla volatilità di chi produce commodities. È evidente che il motore, insieme al cambio dell’approccio culturale, sia innovare. “Se adeguatamente formata, si potrebbe creare una nuova generazione con le competenze necessarie per produrre in modo più efficiente con un approccio agro-ecosistemico, capace di stare al passo con il progresso scientifico e tecnologico e, soprattutto, contribuire alla realizzazione di un sistema realmente sostenibile”..
IL VALORE DEI CAMPI
Secondo un report di Rome Business School, il valore aggiunto al Pil italiano prodotto dalla filiera agroalimentare vale 2,3 volte la filiera del fashion, 4,4 volte quella dell’arredo e del design e 4,5 volte quella dell’automotive.
Continua il piano di sviluppo di Brt: leader storico nelle spedizioni, oggi offre anche supporto alle imprese attraverso vari strumenti digitali
di Andrea Salvadori
Il focus sulla sostenibilità ambientale e sociale, tanta formazione, il lancio di servizi innovativi a supporto della crescita delle Pmi, l’apertura di nuove filiali e l’internazionalizzazione: su questi punti si articola il piano di sviluppo di Brt. Il gruppo, storicamente riconosciuto come fornitore di servizi di trasporto e logistica, oggi è impegnato in un processo di evoluzione in servizi avanzati a supporto della transizione digitale delle piccole imprese. In un mercato segnato dall’affermazione dell’e-commerce, l’obiettivo della società controllata dal gruppo Geopost è diventare il fornitore di riferimento per le consegne sostenibili. In termini di riduzione di emissioni, Brt si è data ambiziosi obiettivi di breve e medio termine: per il 2025 la società vuole diminuire del 27% la CO2 emessa per collo consegnato rispetto al 2020 (riduzione che arriverà al 60% entro il 2030). A tal fine, nel periodo 20202024, sono stati investiti 10 milioni di euro in strutture di ricarica per mezzi elettrici, mentre solo nel 2023 sono stati consegnati 18,3 milioni di colli con veicoli elettrici ed e-bike. Lo scorso anno inoltre ha siglato un accordo con Mennekes per installare 500 colonnine di ricarica intelligenti nelle sue filiali.
Ma non è tutto, perché sul fronte delle politiche Esg, “tutte le innovazioni in atto mirano ad una trasformazione organizzativa per costruire la Brt del futuro, mettendo al centro persone, sostenibilità ed etica d’impresa. “Il percorso è già avviato: stiamo lavorando a diversi progetti di valorizzazione delle risorse umane e alla creazione di un ambiente di lavoro stimolante e inclusivo. Nella nostra idea di sostenibilità, non solo legata a tematiche ambientali, c’è l’impegno per la stabilità occupazionale e il miglioramento delle condizioni di lavoro di oltre 26mila persone, tra dipendenti diretti e indiretti”, spiega Stefania
Pezzetti, ceo di Brt dall’ottobre del 2023. “L’etica d’impresa è centrale e trasversale a tutti i processi di trasformazione che stiamo attuando. Infatti abbiamo avviato una collaborazione con Trasparency International Italia, un’associazione impegnata nella prevenzione della corruzione e nella diffusione di argomenti legati alla trasparenza e alla legalità. La nostra ambizione è di far parte del Business Integrity Forum, ente che unisce le grandi aziende italiane già attive su questi temi. La trasformazione è necessaria anche per rispondere al meglio alle nuove esigenze di mercato. Brt, con i suoi servizi innovativi, si candida ad essere un partner per le imprese, soprattutto le Pmi, per supportarle nella transizione digitale e nell’internazionalizzazione. Abbiamo una storia lunga un secolo, con radici forti, ma dobbiamo guardare al futuro”.
Nell’ambito della formazione, il gruppo ha costituito nel 2023 la Brt Academy, un luogo fisico e virtuale dove i dipendenti possono accedere ad alcuni contenuti formativi professionali e di benessere personale. Solo quest’anno sono previste 100mila ore di formazione.
In qualità di partner delle imprese, Brt ha ampliato negli ultimi anni il suo portafoglio di servizi digitali, con la consapevolezza che il trasporto efficiente di merci è un fattore di competitività determinante in una fase in cui l’e-commerce mostra numeri crescenti. Brt sta sviluppando diversi servizi per supportare le piccole e medie imprese nell’accesso ai mercati digitali. Come Plug&Ship, un plug-in attraverso cui le imprese potranno integrare i sistemi di Brt con 80 marketplace e Cms: il venditore potrà creare etichette digitali, monitorare la spedizione e utilizzare la rete degli oltre 8.800 Brt-fermopoint attivi in Italia. La società ha quindi recentemente inaugurato un nuovo servizio per gestire le spedizioni online, sempre con la consegna delle merci in uno dei Brtfermopoint o in un locker dell’azienda. Il sistema non è vincolato a contratti:
si possono effettuare spedizioni una tantum o nei momenti di necessità, a qualsiasi ora. Si tratta di un servizio pensato per tutte le organizzazioni che si stanno approcciando all’e-commerce in maniera non ancora strutturata. La società ha quindi lanciato Singular, una piattaforma pensata soprattutto per quelle piccole e medie imprese che offrono prodotti tipici, che rispecchiano l’eccellenza italiana e che hanno così l’opportunità di promuovere la propria offerta agli oltre 1,3 milioni di utenti dell’applicazione myBRT. Singular non è un sistema di e-commerce, ma una vetrina caratterizzata da un’esperienza di navigazione ispirata ai social network.
Per quanto riguarda la copertura del territorio, la società nell’ultimo anno ha aperto nuove filiali a Stezzano (Bergamo), Biella e Cessalto
(Treviso) - scelte per servire aree di grande rilevanza economica e per far crescere così le opportunità di mercato delle imprese clienti - caratterizzate dal ricorso a impianti di ricarica elettrici e fotovoltaico, sempre in una logica di sostenibilità ambientale. Uno dei pillar della strategia di crescita e innovazione di Brt è infine l’espansione sui mercati internazionali. Basti considerare che Geopost, il gruppo che la controlla, è il più grande network di trasporto su gomma in Europa, con un portafoglio di soluzioni aeree che permettono a Brt di gestire le consegne in tutto il mondo. L’obiettivo è quello di crescere sui mercati internazionali per poi accompagnare le imprese italiane, soprattutto le piccole e medie imprese, nei mercati esteri. .
Saas OpsRamp è la piattaforma introdotta da Hpe per gestire le operazioni It: fornisce monitoraggio, automazione intelligente e risoluzione di incidenti di Matteo Marchetti
Alberta Piazza all’interno dell’organizzazione di canale di Hewlett Packard Enterprise si occupa della vendita della soluzione cloud service, in qualità di channel cloud services sales. La novità di Hpe è Saas OpsRamp, soluzione unica sul mercato per la gestione delle operazioni It (Itom), basata su Saas (software as a service), che fornisce monitoraggio e osservabilità It, automazione intelligente e risoluzione di eventi e incidenti.
Su cosa si basa l’idea della recente introduzione della piattaforma Saas OpsRamp? Frutto di una recente acquisizione, è una multi piattaforma connessa a più di 2500 prodotti presenti sul mercato. La soluzione permette di ridurre del 95% il ‘rumore’ che spesso trae in inganno gli operatori che gestiscono le infrastrutture, consentendo così la loro focalizzazione solo sulle reali problematiche It, attuando non solo l’individuazione del problema ma anche la risoluzione in automatico.
A chi è rivolta e chi può essere interessato all’acquisto?
A qualsiasi azienda, reseller, service provider e system integrator che utilizza strumenti per tenere monitorato l’ambiente It o anche gli ambienti dei diversi clienti. Con questa piattaforma, attraverso un unico pannello di controllo è possibile fare l’integrazione di quanto è attualmente in uso e osservare il funzionamento da un’unica console.
Di cosa si tratta nello specifico e quali sono i vantaggi per gli utilizzatori?
È una piattaforma Saas cloud nativa, che è in grado di mappare lo stato di salute dei sistemi locali e su più cloud, raccogliendo e analizzando i dati provenienti da eventi, metriche
UNA SOLUZIONE
CHE
SENZA INTERRUZIONI
e log. Questa visione completa aiuta i team a identificare i vari problemi, a risolvere rapidamente gli incidenti, a ottimizzare l’uso delle risorse e a garantire un’esperienza senza interruzioni. Attraverso un unico pannello di controllo permette l’individuazione e l’auto risoluzione automatica dei problemi di tutto l’ambiente.
In cosa si contraddistingue rispetto ad altri strumenti simili?
È un unicum sul mercato. Non si conoscono piattaforme simili che abbiano gli stessi vantaggi di osservabilità ibrida e che possa essere monitorata attraverso un unico pannello.
Quanto può essere utile in un momento storico in cui l’intelligenza artificiale sta entrando a pieno titolo nella vita di tutti noi?
Essendo basata su input di IA, supporta, aiuta e riduce al minimo le attività che richiedono maggiore impegno, permettendo così alle risorse di occuparsi del core business dell’azienda. È un vantaggio non solo per l’azienda in sé, ma per reseller, service provider e system integrator che possono fornire un servizio ai loro clienti rendendoli più completi e competitivi sul mercato.
Quale sarà il prossimo passo?
Hpe è sempre focalizzata su come porsi un passo avanti agli altri sul mercato, per aiutare le aziende a essere più efficienti, a ottenere risultati migliori e ad estrarre valore da tutti i dati. Oggi i clienti che scelgono Hpe GreenLake Flex hanno la possibilità di avere anche la dashboard relativa alla sostenibilità. Questa soluzione fornisce al cliente una consapevolezza dei propri consumi energetici in modo da ridurre costi e consumi e rispettare le normative sulla sostenibilità. Inoltre siamo in grado di fornire una soluzione di private cloud business edition che avrà a bordo, in un prossimo futuro, il virtualizzatore Hpe. Uno strumento che non ha lo scopo di sostituire soluzioni già presenti nel mercato, ma di permettere ai clienti una maggiore e ulteriore scelta..
Le telecomunicazioni in azienda fanno la differenza: iliadbusiness si pone come la soluzione flessibile, trasparente e su misura per tutte le Pmi
di Maurizio Abbati
Il telefono si conferma sempre più strumento di comunicazione, socializzazione e lavoro, come dimostrano i numeri. Si stima che i device mobili abbiano raggiunto la quota di 80 milioni in Italia, a fronte di una popolazione di appena 60, e che nel 2022 gli italiani connessi alla rete abbiano sfiorato i 51 milioni, cioè più dell’84% del totale. Le linee telefoniche tuttavia sono cruciali non solo per gli utenti privati, ma anche per i business. Nel mondo delle piccole e medie imprese italiane la connettività rappresenta un pilastro fondamentale per l’operatività quotidiana e la competitività sul mercato.
TRA I PUNTI
DI FORZA LA PRESENZA
DI CONSULENTI
A DISPOSIZIONE 24 ORE
AL GIORNO
CON UNA
LINEA DEDICATA
Nel nostro Paese il tessuto imprenditoriale si fonda essenzialmente proprio su medie, piccole e microimprese. Sono circa quattro milioni le microimprese e oltre 150mila le Pmi (contro le 130mila imprese con 10-49 dipendenti e le 26mila aziende che ne contano tra 50 e 249).
Le imprese più piccole sono anche quelle che affrontano quotidianamente sfide crescenti legate alla competitività, alla digitalizzazione e all’innovazione tecnologica e che hanno bisogno di linee telefoniche business per garantire comunicazioni
efficienti e supportare le proprie strategie di crescita. Da qui l’importanza di ricercare soluzioni efficienti, flessibili e trasparenti per garantire operatività senza interruzioni, migliorare la produttività e mantenere un contatto costante con i propri clienti.
Le Pmi cercano partner tecnologici affidabili che non solo comprendano le loro esigenze specifiche, ma che possano anche offrire supporto dedicato e tariffe generose. È il caso di iliad: arrivato nel mercato nel 2018, ha portato una rivoluzione fatta di offerte chiare e trasparenti nel settore della telefonia mobile. Da quel momento l’operatore è cresciuto costantemente conquistando, ad oggi, la fiducia di oltre 11 milioni di utenti grazie alle proprie offerte. Anche i principali indicatori finanziari al 31 marzo 2024 sono caratterizzati da un trend estremamente positivo, con il fatturato che nel primo trimestre si attesta a 272 milioni di euro, in crescita del 12,8% rispetto al primo trimestre del 2023.
Nel 2022 è approdato anche nel mercato del fisso, scegliendo di proporre la connessione fibra Ftth (ovvero 100% fibra fino a casa) e il proprio router, la iliadbox. Una crescita a ritmo serrato, culminata nel maggio 2023 con un nuovo passo in avanti: la presentazione di iliadbusiness, destinata a un
target di impresa con esigenze diverse da quelle domiciliari.
Una soluzione pensata per andare incontro alle necessità di aziende e partite Iva, attraverso un servizio centrato su trasparenza, flessibilità e assistenza specializzata, garantita con la presenza di consulenti a disposizione 24 ore al giorno con una linea apposita. Sono questi i punti di forza dell’offerta costruita su misura per tutte quelle imprese che cercano affidabilità e competitività, in un settore fondamentale per lo sviluppo quale quello delle telecomunicazioni.
“La rivoluzione iliad non si ferma”, ha commentato l’amministratore delegato Benedetto Levi al lancio dell’offerta. “Siamo al fianco del segmento business per supportare concretamente chi contribuisce allo sviluppo e alla crescita economica del Paese, tenendo fede sempre ai nostri valori. Con il lancio di iliadbusiness rispondiamo alle necessità di sempre maggiore trasparenza e offerte dedicate di migliaia di professionisti italiani e imprese, garantendo tariffe chiare e semplici, ormai diventate il nostro marchio di fabbrica”.
In un panorama economico in continuo mutamento, in cui le aziende e i liberi professionisti devono affrontare sfide sempre più complesse, iliad infatti sceglie di supportare gli utenti business offrendo non solo un’offerta trasparente, generosa e di qualità, ma anche servizi dedicati alle imprese e alle loro esigenze. iliad mette a disposizione un’assistenza senza bot, ma
solo con consulenti, attivi 24 ore su 24 tutto l’anno, con una linea dedicata attraverso la quale ricevere informazioni sull’offerta e richiedere assistenza specializzata. Come recita il nuovo spot, se “per i tuoi clienti non hai orari, sei sempre disponibile e non ti fermi mai, con iliadbusiness hai un pensiero in meno”.
Una delle caratteristiche che contraddistingue l’operatore è la possibilità di gestire in maniera flessibile e intuitiva una o più Sim, tramite la propria area personale. Infatti, iliad è il primo operatore business in
Italia a includere l’opzione per tenere attive le diverse smart card solo quando effettivamente utile, come ad esempio accade nel caso di attività stagionali. Dà quindi la possibilità di sospendere temporaneamente, in un arco temporale fino a 24 mesi, una o più Sim che potranno essere riattivate direttamente dall’area personale, senza perdite di tempo e aggravi di carattere economico. iliadbusiness si pone quindi come un alleato prezioso per il settore business con offerte e servizi competitivi, trasparenti e in continuo sviluppo. Non resta che attendere le prossime novità..
Borsa, moda e design, tra snodi ferroviari e aeroportuali: Milano è l’epicentro di un ecosistema di cluster tecnologici e industriali che si diramano in tutta la Lombardia di Piera Anna Franini
Milano, asciutta ed efficiente, più asburgica degli Asburgo che la dominarono per un secolo e mezzo senza predarla come fecero i predecessori, quegli Spagnoli abili a “spandersi nelle vigne, per diradar l’uve, e alleggerire a’ contadini le fatiche della vendemmia”, come ben illustrò Alessandro Manzoni ne I promessi sposi. Teatro alla Scala, Biblioteca Braidense, catasto e diritto all’istruzione già in tempi non sospetti: questi sono alcuni dei lasciti austriaci che toccano l’apice - anche fuor di metafora - ne “la bela Madunina”, simbolo della città, collocata sul Duomo a fine 1774. A Milano si pensa, si fa, si produce, si innova. Epicentro di una Lombardia che da sola produce il 22% del
DA SOLA IL 22%
DEL PIL NAZIONALE, IL SECONDO
PIÙ ALTO IN EUROPA.
MILANO È IL FULCRO
DELLA REGIONE
Pil nazionale, il secondo più alto tra le regioni europee, alle spalle dell’Ile-de-France. Qui hanno sede la Borsa e gli affari, snodi ferroviari, autostradali e aeroportuali, in grado di proiettare la metropoli nel mondo. Nell’immaginario comune il capoluogo lombardo è moda e design, due tasselli di un più ampio mosaico, talmente esteso che questo nostro servizio non può che accennarvi per sommi capi. Mettendo a sistema tanto fermento, scaturiscono ben nove cluster tecnologici, che si diramano nelle province circostanti e che dalle terre periferiche qui convergono generando un ecosistema. Distretti che a loro volta si contaminano perché la chimica sconfina nella cosmesi, che finisce nella moda, che va nel tessile,
45mila addetti
25 miliardi di euro di fatturato
che sfocia nell’automotive, nei metalli e nella meccatronica. Poi c’è l’editoria, per cui si informa e si comunica quanto si fa, e così via. Una cosa è certa: una delle chiavi del successo è la postura di questa metropoli, laboriosa e dinamica, con sguardo oltre confine. Alla radice vi sono università e centri di ricerca, quanto mai cruciali nell’epoca dell’economia della conoscenza: tra questi svettano Politecnico, Bocconi e VitaSalute San Raffaele.
L’ECONOMIA DEI CIELI
Partiamo dai cieli, che a Milano un tempo erano bigi e nebbiosi ed ora più tersi per effetto del cambiamento climatico. Il Lombardia Aerospace Cluster, con apice a Varese, conta ben 200 aziende e 21.500 addetti, che generano circa 6,3 miliardi di euro di fatturato annuo e un export
dal valore di 1 miliardo. Filiera che fa capo a nomi potenti come Leonardo, Ohb Italia, Thales Alenia Space e Thales Italia, a 4 università e 2 centri di ricerca, oltre che a numerose piccole e medie imprese che partecipano attivamente a tutta la filiera. In virtù di questo ecosistema, a settembre, Milano ospita la 75ma edizione dell’International Astronautical Congress (Iac) 2024, la più importante manifestazione mondiale nel settore dello Spazio.
Milano è poi sinonimo di industria chimica e chimico-farmaceutica. La Lombardia, con oltre 45 mila addetti e un fatturato pari a 25 miliardi di euro, mostra una vera e propria vocazione nei confronti della chimica, tanto da identificare un distretto tecnologico. A Milano si colloca la metà delle imprese lombarde del settore chimico, vi operano aziende come Dompé, Italfarmaco, Mediolanum Farmaceutici, Recordati, Genenta, così come Bracco è leader nella diagnostica per immagini. Chimica implica cosmesi, e di fatto metà delle imprese cosmetiche italiane ha sede in Lombardia, dove viene generato un fatturato di quasi 8 miliardi e un export da 3,6 miliardi di euro.
Con Crema, Bergamo e Monza-Brianza, Milano appartiene al quadrilatero della bellezza, ad alta concentrazione di terzisti che operano per colossi come Dior, Chanel, Estée Lauder, Lancôme, Shiseido, Helena Rubinstein, un pulviscolo di 500 aziende con fatturati a sei cifre e produttrici del 60% di ombretti, mascara, ciprie e rossetti utilizzati internazionalmente.
A questa si connette la filiera delle scienze della vita, che in Lombardia genera un valore di produzione di 74,5 miliardi di euro, quasi un terzo del comparto nazionale fra contributo diretto e indotto, e che vale il 13% del Pil regionale.
DA GIGANTI COME
Si contano aziende piccole e grandi, startup e colossi, da Boston Scientific a Bracco fra i grandi, da Ab Medica, Advice Pharma, Clonit a DspSolutions e Ingm nel settore della salute digitale.
LEONARDO, UNIVERSITÀ
E CENTRI DI RICERCA, MA ANCHE DA PMI CHE
PARTECIPANO ATTIVAMENTE
A TUTTA LA FILIERA
Da Asc a Harg per salute e benessere, più una serie di fondazioni di ricerca: da Monzino a Villa Santa Maria, passando per From, Ciao, Don Gnocchi, Humanitas e Besta.
Milano è poi manifattura. E aggiungiamo ‘intelligente’. Così è nata l’Associazione Fabbrica Intelligente Lombardia, cluster tecnologico per il manifatturiero avanzato lombardo, un ecosistema di innovazione che aggrega imprese, centri di ricerca, università e associazioni industriali. Le aziende manifatturiere della Lombardia brillano a livello nazionale per una spiccata capacità di ricerca e innovazione (r&i), supportata dal sistema delle università. Così il manifatturiero contribuisce a creare e a mantenere in regione competenze avanzate, lavori ad alto valore aggiunto e infrastrutture di r&i che stimolano lo sviluppo di tecnologie abilitanti. Con 140 brevetti per milione di abitanti, la Lombardia è la prima regione in Italia per numero di brevetti sulle tecnologie per il manifatturiero depositati presso lo European Patent Office (Epo). Inoltre il primo luglio di quest’anno nel capoluogo lombardo è stata inaugurata la sezione italiana del Tribunale unificato dei brevetti (Tub). Tra gli esempi virtuosi di aziende che afferiscono alla filiera della componentistica intelligente c’è la Fluid-o-Tech, azienda tecnologica di Corsico (Milano) specializzata in progettazione e produzione di pompe volumetriche e sistemi sensorizzati e intelligenti di dosaggio dei fluidi. Componentistica industriale che comprende automotive, minuteria metallica, macchinari e macchine utensili, pompe, valvole, settore petrolchimico, industrie di trasformazione, rubinetteria, e vale oltre 50 miliardi di euro. La disamina proseguirebbe con la filiera del riciclo nel
La robotica rappresenta un settore fondamentale per il comparto manifatturiero lombardo. A sinistra l’edificio indicato come sede del Tribunale Ue dei brevetti, inaugurato a luglio.
LA RICERCA E SVILUPPO
FA CRESCERE
IL MANIFATTURIERO:
LA LOMBARDIA È LA PRIMA
REGIONE IN ITALIA
PER NUMERO
DI BREVETTI DEPOSITATI
30.010 imprese
96.572 addetti
7a in Europa e 2a in Italia per indotto
tessile, produzione alimentare, dell’acciaio e della plastica ‘sostenibili’, e dell’additive manufacturing.
La Lombardia vanta il settimo cluster automotive in Europa, e il numero 2 in Italia. La sola Lombardia conta 30.010 imprese che impiegano 96.572 addetti. Vince l’asse Milano, Bergamo e Brescia, con singole aree fortemente specializzate. Nel Bresciano, ad esempio, predomina la filiera meccanica, a Milano il settore dei pneumatici e componentistica. Pirelli docet, ovviamente.
AUTOMOBILISTICO.
E PNEUMATICI
Se Torino è la provincia che intrattiene i maggiori rapporti di fornitura con il mondo di produzione automotive, sia per numero di transazioni, che per
Una lunga serie di grandi aziende ha posizionato a Milano la propria sede. Il periodico Arcipelago Milano ne ha redatto una mappa. Si parte dai 29 headquarters attivi nel bancario, finanziario e assicurativo. 22 afferiscono al ramo banca e finanza, compresi i maggiori tre, Intesa SanPaolo, Unicredit, Bpm. Quanto all’assicurativo, svetta - fuor di metafora - la Torre Hadid di Citylife (nella foto), il volto meneghino di Generali, a un passo dal concorrente Allianz. Sono 54 le sedi di aziende di dimensioni importanti di casa nostra. Da Amplifon (apparecchiature uditive) a Coima (real estate), passando per Damiani (moda e lusso), Fernet Branca, Luxottica, Campari, Fontana Arte e Zambon. Quanto ad Armani, Ermenegildo Zegna, Dolce & Gabbana, Etro, Moncler, Prada basta il nome. Sono state 43 sedi di imprese straniere, da Amazon a Deloitte, Marsh, Microsoft e pure Walt Disney. Ci sono poi aziende il cui cuore pulsa altrove ma presenti anche a Milano, dalle italiane Percassi (real estate, Kiko, Atalanta) a Mapei, Della Valle, Loro Piana. Quanto alle straniere, si menzionano multinazionali come Alibaba, Facebook, Easyjet, Sorin. Un esercito di headquarter che porta a Milano migliaia di addetti: 40mila, per esempio, per le sole aziende italiane, 25mila per le straniere.
importo (rispettivamente 48,4% e 37% del totale forniture Italia), Milano - si legge in un report di Intesa SanPaolo - si posiziona al secondo posto in valore e al terzo per numero di transazioni.
SI CONCENTRA
IL
CASEARIO
La filiera dello Smart Energy Systems si occupa di promozione, ricerca, sviluppo e produzione di sistemi di generazione e distribuzione di risorse e tecnologie energetiche sostenibili per industria, consumatori e servizi pubblici. Si parla di Sustainable Manufacturing, dunque della creazione di prodotti attraverso processi che riducono al minimo l’impatto ambientale, preservando l’energia e le risorse naturali. Qui affluisce l’area del green building, centrata sugli edifici sostenibili, sull’abbattimento quasi a zero del consumo energetico, sulle riduzioni
al minimo delle emissioni dei gas serra e sull’uso di materiali sostenibili e riciclabili in ottica integrata sull’intero ciclo di vita dell’edificio.
L’agroalimentare in Lombardia vale 48 miliardi, con un aumento del 34% rispetto al 2015, a conferma della sua leadership. Con un fatturato di 2,5 miliardi di euro nelle produzioni certificate nel 2022 (+15% rispetto al 2021), la regione raggiunge il primato italiano anche nell’export: 10,4 miliardi di euro nel 2023 (+ 84% rispetto al 2015). La regione è terza in Italia per numero di produzioni certificate. Con 75 tra Dop e Igp, Mantova, Brescia, Cremona, Sondrio e Lodi sono tra le prime 20 in Italia per valore della produzione certificata. A Milano si concentra il lattiero caseario. .
Il diritto di famiglia varia di paese in paese per quanto riguarda la maggior parte delle normative. Lo studio di Armando Cecatiello è specializzato nel risolvere questo genere di controversie
di Antonio Mirabella
Milano è il centro della finanza, della moda, del design e dell’economia internazionale. È diventata un polo di attrazione per imprenditori e imprenditrici internazionali e italiani che, dopo anni trascorsi all’estero, hanno scelto di tornare a vivere in Italia. Questo scenario ha generato la necessità di competenze specifiche in materia di diritto di famiglia internazionale, specialmente nel campo di separazioni e divorzi. Ne abbiamo parlato con Armando Cecatiello, avvocato specializzato in diritto di famiglia.
Milano è diventata un centro di interesse per molti settori internazionali. In che modo questo fenomeno ha influenzato le pratiche di separazione e divorzio? Milano è sempre stata una città dinamica e internazionale, ma negli ultimi anni ha visto un incremento significativo di coppie che vengono all’estero. Questo ha portato alla necessità di affrontare questioni legali complesse, poiché spesso i legami con l’estero rimangono forti e, in molti casi, nonostante la residenza in Italia, può essere competente a decidere il divorzio un tribunale straniero. Conoscere le regole internazionali e le normative dei diversi paesi è diventato essenziale per gli avvocati.
Quali sono le differenze tra diritto di famiglia italiano e quello di altri paesi che gli avvocati devono considerare? Le differenze possono essere notevoli. Ad esempio, in Italia, se una coppia ha scelto la separazione dei beni, questa scelta ha effetti concreti sul divorzio. Tuttavia, se la domanda di divorzio viene presentata a Londra, il regime patrimoniale scelto in Italia potrebbe non avere importanza, poiché nel Regno Unito i patrimoni sono divisi equamente tra i coniugi, indipendentemente da tale regime. Questo vale anche per molti stati americani. La normativa sul divorzio è in costante evoluzione in molti paesi, inclusa l’Italia, e le procedure cambiano spesso. È fondamentale per noi avvocati essere continuamente aggiornati e collaborare con professionisti internazionali di fiducia.
Quali sono le competenze necessarie per gestire al meglio separazioni e divorzi internazionali?
La preparazione è fondamentale. Gli avvocati devono avere una solida conoscenza delle leggi nazionali e internazionali e mantenere costantemente aggiornate le loro competenze. Partecipare a corsi di formazione, seminari e conferenze internazionali è essenziale. Inoltre, è importante costruire una rete di contatti con professionisti in altri paesi per poter collaborare e scambiare continuamente informazioni.
Quali consigli darebbe a chi sta considerando la separazione o il divorzio?
Il mio consiglio principale è di cercare l’assistenza di un avvocato esperto in diritto di famiglia internazionale il prima possibile. È davvero fondamentale comprendere le implicazioni legali sia nel paese di residenza che in quello di origine o in qualunque altro paese coinvolto. Valutare le diverse opzioni disponibili e considerare delle soluzioni alternative al processo giudiziale tradizionale come la Pratica collaborativa. Infine, essere aperti alla comunicazione e al compromesso può facilitare il raggiungimento di accordi equi e sostenibili per entrambe le parti..
Intagli, lavorazione del legno e restauro dal 1908. Oggi la famiglia Riva, che ha valorizzato centinaia di ingressi di palazzi milanesi, viene ricercata anche dalle case di moda di Fulvio di Giuseppe
Il nonno Ambrogio, nel 1908, era ragazzo di bottega. Poi, insieme al fratello Enrico, divenne maestro dell’arte negli intagli, lavorazione del legno e restauro. Il papà Giuseppe ne raccolse la passione, trasformandola nel Dopoguerra in produzione e confezionamento di manufatti in legno di pregio. Da qualche anno, il testimone è passato nelle sue mani. Perché la loro è una tradizione di famiglia, che va a intrecciarsi con i restauri. E Andrea ha ereditato la maestria degli avi, riuscendo a condire la tradizione con l’innovazione. Ora, dire Riva significa parlare dell’azienda leader nel settore. A portarla avanti è un ex studente di ingegneria, che alternava i libri al lavoro in bottega e, in entrambi i casi, ha avuto ottimi maestri. “Sono cresciuto carpendone i segreti sul campo e nel 2007 la ditta individuale Riva G. ha lasciato il posto alla Riva Restauri”, spiega Andrea Riva. Nel 2008 è nato il loro primo sito web e attualmente vantano centinaia di portoni restaurati nella città di Milano: “Siamo leader nel settore e siamo stati i primi a firmare le opere con una targhetta in ottone e a proporre le differenze fra il prima e il dopo”.
In sostanza, innovativi in un settore che sembra legato al passato e che, invece, accoglie una
“IL SEGRETO? PREDILIGERE LA MANUALITÀ, PRENDENDOCI SEMPRE IL TEMPO NECESSARIO PER CONFEZIONARE UN PRODOTTO A REGOLA D’ARTE”, RACCONTA ANDREA RIVA
nuova sfida ogni giorno. “Con noi collaborano i migliori professionisti del settore e ancora oggi prediligiamo la manualità, prendendoci sempre tutto il tempo necessario al fine di confezionare un prodotto a regola d’arte”. Ogni portone custodisce una storia e tanta può raccontarne Riva, con oltre 30 anni di carriera. Dalla casa Fontana Silvestri in corso Venezia al Museo civico archeologico in corso Magenta, passando per l’interno del palazzo in via Maddalena con le ex scuderie, la storia della città meneghina incrocia quella della famiglia Riva. E ogni opera conserva (o nasconde) un segreto professionale. “Fondamentalmente ci vuole tanta passione. È un lavoro in cui l’imprevisto è dietro l’angolo, non è monotono. Ed è per questo che le prime cose che vanno insegnate a chi si avvicina a questo mondo sono l’arte della pazienza e della buona volontà”.
Anche la capacità di affrontare gli imprevisti è un’eredità di famiglia, che Andrea Riva ha imparato e trasmette ai giovani che si avvicinano al mondo del restauro: “Io non li chiamo dipendenti ma collaboratori”, sottolinea, “perché si entra a far parte di uno staff rodato, in cui tutti hanno una loro mansione e riescono a sviluppare conoscenze nel proprio settore. Ho formato il mio staff in modo che ognuno sia specializzato in una sola cosa ma abbia grande responsabilità. Perché restaurare un portone è abbastanza complesso se si vuole fare bene: non c’è solo l’aspetto della falegnameria, è necessario guardare e studiare la struttura, la staticità, sapere quali vernici usare”.
Al momento nell’azienda ci sono sette ragazzi in formazione, per una tipologia di lavoro inquadrata ormai come settore di nicchia. E quello che prova a trasmettere è che ogni restauro rappresenta un capitolo nuovo, con
la capacità e la curiosità di scoprire i segni che ogni portone custodisce, rispettandone il passato perché “tutti i portoni sono diversi tra loro”. Tanta buona volontà, olio di gomito, un impegno prevalentemente manuale. “Per il restauro in media ci vuole un mesetto ma, ovviamente, dipende dal lavoro. Quando vanno realizzati dei manufatti interni è ovvio che il tempo si dilata”.
Il 90% dei clienti sono condomini, i privati sono pochissimi. “Si fa il sopralluogo, la perizia e un preventivo: il nostro è di almeno 12 pagine ma a me piace poterlo spiegare e dettagliare”. Proprio questo è uno degli aspetti che rende
bene il prestigio di cui l’azienda vive in città: “Molto spesso vengo copiato, ma l’attestato di stima più bello è quando qualche collega si rivolge all’amministratore di condominio dicendo: ha già il preventivo di Riva, quindi è inutile che le lasci il mio perché ha già deciso”. Anche il mondo della moda sceglie spesso Riva: tra i suoi clienti, infatti, figurano Michael Kors, Fondazione Prada, Dolce&Gabbana, Missoni e, a breve, Tod’s. “Ho la fortuna di aver avuto committenti importanti e il mio nome sta girando molto”, assicura Riva. “Lavorare a Milano è difficile perché è una città esigente: ti dà tante possibilità ma devi essere al top”. E la famiglia Riva, è indubbio che lo sia..
Nautica da diporto, logistica e cantieristica navale, ma non solo: Genova vede crescere nuovi distretti industriali, da quelli a spinta tecnologica ad altri legati al turismo
di Piera Anna Franini
È PER IL COMMERCIO,
ATTIVITÀ STRETTAMENTE
Il cognome genovese che più di tutti è associato all’imprenditoria è quello dei Costa, famiglia icona del capoluogo ligure. Dal decollo sulle ali della produzione di olio e commercio fino al tessile, passando per i viaggi per mare con l’omonima compagnia. Oggi, con il presidente e amministratore delegato Beppe Costa, tale nome sta per Costa Edutainment, acquario e tanto altro. Ma anche per Opera Laboratori, leader nazionale nella gestione di strutture pubbliche e private dedicate ad attività ricreative, culturali, didattiche, di studio e di ricerca scientifica. Beppe Costa - a torto o a ragione, non indaghiamo - smonta un luogo comune, più comune che vi sia: quello del genovese ‘braccino corto’, attitudine che poco si concilia con gli slanci dell’imprendere.
LEGATA ALLA TRADIZIONE
GENOVESE, AL MARE
E ALLA BLUE ECONOMY
“Non possiamo negare che i genovesi abbiano un forte rispetto del denaro, anzi sono molto attenti”, osserva. “Del resto, veniamo da una terra povera, che ci ha obbligato a cercare ricchezze andando per mare, seminando e raccogliendo in posti lontani e con inevitabili incertezze. La terra ti dà più sicurezze”.
E IL SUO IMPATTO SUL PIL
Detto questo, e al netto di casi esemplari, Genova non brilla per spirito imprenditoriale. La vocazione massima è per il commercio, che vuol dire mare, porto ed economia blu. Sempre di più sul Pil cittadino incide inoltre l’alta tecnologia, che dà vita ad un un ecosistema dell’innovazione unico in Italia. Premesso che siamo il terzo
Lavoratori diretti: 2.700
Lavoratori indiretti: 2.000
Fatturato: 1,5 miliardi di euro
Paese al mondo per valore di esportazione di robot industriali, possiamo dire che la palma del meglio della robotica italiana va a propria questa città. Si parte dall’Istituto italiano di Tecnologia, impegnato nella ricerca di base e applicata. La fondazione, forte di due sedi all’estero e 16 in tutt’Italia, di cui cinque nella sola Genova, ha testa e cuore nel Center for Convergent Technologies (Cct), che rappresenta la più grande infrastruttura di ricerca all’interno del network dell’Istituto ed è la sede dove, nel 2006, ha avuto inizio il progetto. Poi c’è il Center for Human Technologies (Cht), che sviluppa tecnologie per la salute umana, la riabilitazione e l’interazione uomo-macchina. Il Center for Joint Industrial Research (Cjir), lanciato nel 2020, che ospita i laboratori di robotica industriale dell’Istituto. Il Center for Robotics and Intelligent Systems (Cris), dove vengono studiate e sviluppate le principali piattaforme di robotica dell’Istituto,
e il Center for Synaptic Neuroscience and Technology (Nsyn), che si occupa dello sviluppo di tecnologie innovative applicabili nell’ambito delle neuroscienze.
Nel frattempo sta prendendo forma la Robot Valley, che potrebbe rappresentare una zona geografica dedicata al trasferimento tecnologico della robotica, che parte dall’ecosistema ligure per l’innovazione Raise (Robotics and AI for Socioeconomic Empowerment) e si estende a tutto il territorio. C’è poi la Cyber&Security Academy di Leonardo, un nuovo polo di alta formazione realizzato da Leonardo per fronteggiare le minacce alla sicurezza nazionale. Così come è in progetto l’Ospedale Erzelli, che accoglierà il Centro di medicina computazionale e tecnologica pensata per trasferire sulla clinica i risultati della ricerca relativa all’impiego del calcolo computazionale ai modelli biologici e ai programmi di gestione delle tecnologie robotiche d’uso biomedico e al loro successivo sviluppo come prototipi.
Assieme, e ancor prima dell’high tech, i pilastri dell’economia genovese si legano al mare, ovvero al sistema portuale e logistico, alla cantieristica navale e alla nautica da diporto. Di fatto, Genova si colloca
al quarto posto a livello nazionale per valore aggiunto generato dalla blue economy sul totale provinciale, con un valore pari al 12%, mentre risulta la prima provincia in termini assoluti per valore generato dal settore, con circa 3,3 miliardi di euro (così l’ultimo report Ambrosetti). Le aziende attive nel settore rappresentano l’8,4% del tessuto imprenditoriale locale, occupando 60mila persone
CANTIERISTICA NELLO STRETTO
Il distretto delle costruzioni e riparazioni navali genovese conta oltre 80 aziende e un fatturato annuo di 1,5 miliardi di euro. Impiega oltre 2.700 lavoratori diretti e circa 2mila indiretti, specializzati in costruzione, riparazione, allestimento e demolizione di navi, costruzione di grandi navi da crociera e yacht. Con una superficie complessiva di 717.000 metri quadrati, il comparto delle costruzioni e riparazioni navali ha la maggiore densità occupazionale del porto di Genova. Per questo urgono nuovi spazi. “Se andiamo a vedere i cantieri di costruzione e riparazione nel mondo uno si chiede: come fanno a lavorare a Genova con spazi così ristretti?”, ironizza Marco Bisagno, presidente di Genova Industrie Navali, precedentemente al timone della Confindustria locale.
PORTANO A GENOVA
Il porto di Genova, con 47,8 milioni di tonnellate (dati del 2023), rappresenta il secondo porto a livello nazionale in termini di movimentazione complessiva di merce, alle spalle di Trieste che raggiunge i 55,6 milioni di tonnellate. Allo stesso tempo, considerando il sistema portuale di Genova nel complesso, risulta primo in Italia con 62,9 milioni di tonnellate. Crocevia di traffici dall’epoca romana, è fra i primi porti mediterranei di destinazione finale per quanto riguarda il trasporto containerizzato (quasi 1,8 milioni di teus, unità equivalente a venti piedi), e il traffico passeggeri, con 4 milioni di passeggeri tra crociere e traghetti che ne fanno uno dei principali capolinea delle autostrade del mare del Mediterraneo.
Porto e città si intersecano a Genova, città di patrioti (Mameli e Mazzini), scopritori (Cristoforo Colombo), artisti (Eugenio Montale, Nicolò Paganini, il violinista che rivoluzionò il proprio strumento e il concertismo, Fabrizio De André). Luogo dove l’ironia è moneta corrente,
60MILA
impiegati nelle attività legate al porto
1º IN ITALIA per movimentazione di merci e persone
4 MILIONI i passeggeri nel 2023
palpabile nella quotidianità ed elevata ad arte, da Carmelo Bene in giù. Se il porto ospita le attività necessarie al suo funzionamento, la città pullula di aziende e servizi ad esso collegate. È proprio il porto di Genova il più grande bacino di occupazione della città e del territorio, ben 11 mila persone lavorano entro i confini del porto, mentre salgono ad almeno 60mila gli addetti impiegati in attività direttamente o indirettamente collegate al porto.
In Liguria sono iscritte 16.945 unità da diporto nautico, il 25,6% del totale nazionale. Il primato assoluto va a Genova con un valore pari a 10.742, davanti a Roma (7.330) e Napoli (6.590). Accade in una regione che è prima in Italia per posti barca (22.496, il 14,2% del totale nazionale), seguono Toscana (18889) e Sardegna (18.091.
ll turismo è stato uno dei settori trainanti dell’economia genovese nella seconda parte del 2023 sebbene questa figuri ultima tra le province liguri per numero di presenze turistiche
è
Tra il 19 e il 24 settembre 2024 si terrà la 64esima edizione del Salone Nautico di Genova, la stella polare per la nautica da diporto nel Mediterraneo, la più bella vetrina dell’eccellenza tricolore di settore. Manifestazione che per l’ultima edizione ha attirato 118.269 visitatori, 1.043 marchi esposti, con 184 novità in esposizione e 3.190 prove in mare. Da sei anni, è attivo un salone multi-specialista cui afferiscono cinque aree tematiche: Yacht e Superyacht, Sailing World, dedicato al settore della vela, Boating Discovery, riservata al settore del fuoribordo; Tech Trade, che riunisce il mondo della componentistica e dell’accessoristica; Living the Sea, dove trovare tutti i servizi per il diporto e le attività connesse.
Il Porto Antico di Genova è stato riqualificato da Renzo Piano ed è diventato un’attrazione non solo per i turisti, ma anche per i genovesi. Tra le opere più significative, al suo interno, la Biosfera, l’isola delle chiatte, la Piazza delle feste e il Bigo (in foto).
per abitante, riportando un valore nel 2022 pari a circa la metà rispetto a quello regionale. È quarta per arrivi di turisti stranieri per abitante (così, il report Ambrosetti).
A compensazione, Genova è assai propositiva sul fronte delle proposte culturali registrando un buon posizionamento degli addetti nelle imprese culturali. La mente va al festival della Scienza, alle proposte del teatro d’opera Carlo Felice e del Teatro Nazionale con Davide Livermore quale sovrintendente. Dal Concorso Paganini, tra le eccellenze del violinismo internazionale, all’acquario.
Altro nome che subito associamo a questa città è quello dell’archistar Renzo Piano, firma di una serie di opere iconiche in giro nel mondo, dal Ponte San Giorgio alla Biosfera di Genova, passando per The Shard di Londra, Centro Botin di Santander, Centre Pompidou di Parigi. Proprio
a Genova sono stati messi in campo diversi progetti di riqualificazione urbana di peso. Il primo riguarda il Waterfront di Levante, una prominenza sul mare con nuove funzioni urbane e portuali, pubbliche e private, con appartamenti e servizi per residenti, parco urbano e una darsena, nonché un palasport per sport al chiuso di serie A. La visione di questo nuovo affaccio sul mare della città è stata offerta al Comune di Genova proprio da Renzo Piano, deciso a riconsegnare il mare alla città. “Un’utopia realizzabile”, per dirla con le sue parole.
La rilevanza strategica delle infrastrutture trova conferma nel Pnrr, che ha destinato l’intera Missione 3 alle infrastrutture, con apice nel potenziamento delle ferroviarie. Tra le opere infrastrutturali che riguardano il territorio ligure c’è il Terzo Valico con il nodo ferroviario di Genova e il raddoppio ferroviario Genova-Ventimiglia. La nuova diga foranea di Genova fa parte delle dieci opere prioritarie del Governo, per il cui progetto è stata prevista una procedura accelerata di approvazione. .
Sei hotel nelle maggiori città italiane, di cui quattro di lusso: il Gruppo Duetorrihotels propone strutture per offrire esperienze non replicabili e a cinque stelle
di Maurizio Abbati
Duetorrihotels è una catena italiana nata nel 2010, che dispone di sei hotel collocati in punti strategici nelle maggiori città italiane, con quattro luxury hotel ospitati in altrettanti edifici storici che conservano a pieno il fascino originario, grazie anche a un’accurata opera di conservazione. Si tratta del Grand Hotel Majestic, già Baglioni, a Bologna, l’Hotel Bernini Palace a Firenze, il Bristol Palace a Genova, il Due Torri Hotel a Verona, a cui si aggiungono due business hotel a Milano, il Santa Barbara e l’Alga, tutti assimilati dalla presenza di ambienti raffinati con servizi professionali che mirano a un’elevata qualità del soggiorno. Il Grand Hotel Majestic, già Baglioni, è il solo prestigioso hotel 5 stelle lusso di Bologna, parte di The Leading Hotels of The World dal 1990, ospitato in un palazzo del XVIII secolo. Il Due Torri Hotel, 5 stelle lusso, è situato nel centro storico di Verona ed è membro
di The Leading Hotels of The World, con l’eleganza dell’arredamento in stile Biedermeier e la suggestiva atmosfera d’altri tempi. L’Hotel Bernini Palace è un 5 stelle di Firenze che fa parte di Preferred Hotels & Resorts L.V.X. ed è situato in un palazzo del XV secolo ubicato nel centro della città, a pochi passi da Palazzo Vecchio e piazza della Signoria. L’Hotel Santa Barbara è un elegante business hotel di 4 stelle che si trova a San Donato Milanese. Mentre l’Hotel Alga è una struttura posizionata nell’area sud di Milano, accogliente e raffinata, dedicata sia al mondo business, sua principale vocazione, sia a un piacevole soggiorno turistico.
Infine l’Hotel Bristol Palace, che di recente ha rinnovato il suo splendore per offrire ai propri ospiti l’eleganza Liberty di questa nota location nel cuore di Genova e si è guadagnato la sua quinta stella. Si tratta di uno dei più eleganti hotel della Riviera Ligure, con 133 camere e suite, che conserva originali arredi Déco, preziosi oggetti e complementi d’arredo dell’Ottocento. È dotato tuttavia di comfort moderni, come le sale per meeting e ricevimenti con access point dedicati e di wifi, e gode di una posizione strategica. La soluzione ideale per vivere la città e allo stesso tempo spostarsi verso tutte le altre destinazioni celebri lungo la costa. Il prestigio del Bristol Palace ha attratto negli anni numerosi personaggi del jet set internazionale. Scrittori come Edmondo De Amicis, Gabriele D’Annunzio e Luigi Pirandello; attori come Vittorio de Sica e Alberto Sordi; reali e capi di Stato come l’Imperatore Hirohito, l’Infanta di Spagna, il principe Alberto II di Monaco; politici come Carlo Azeglio Ciampi, il Nobel Yitzhak Rabin e Simon Peres; personalità del mondo della cultura come il Nobel Rita Levi Montalcini e lo scrittore premio Nobel Orhan Pamuk; leggende della danza come Rudolf Nureyev e Carla Fracci.
L’HOTEL BRISTOL PALACE, NEL CUORE DI GENOVA, È UNO DEGLI HOTEL
PIÙ ELEGANTI
DELLA RIVIERA LIGURE.
HA OSPITATO PERSONAGGI
COME GABRIELE D’ANNUNZIO, RITA LEVI MONTALCINI
E CARLO AZEGLIO CIAMPI
Più recentemente sono stati ospiti Renzo Arbore e l’attore britannico Colin Firth, oltre a Mahmood, che con l’artista belga Angèle ha girato proprio qui il videoclip Sempre/Jamais Un personaggio, in particolare, è legato a doppio filo al Bristol: Alfred Hitchcock, che è stato ospite dell’hotel in ben due occasioni. Secondo la leggenda, lo scenografico scalone ellittico, simbolo dell’hotel, avrebbe ispirato al regista la spirale di Vertigo, alias La donna che visse due volte. “Dal primo Novecento il nostro hotel è il cuore pulsante della vita culturale genovese”, racconta il direttore del Bristol Palace, Giovanni Ferrando. “Siamo ambasciatori della bellezza della città, presentandola a un pubblico internazionale: è una responsabilità. Per questo abbiamo promosso una serie di investimenti per innalzare ulteriormente
la qualità della nostra ospitalità. La quinta stella rappresenta una tappa importante di questo percorso che proseguirà nel tempo, traghettandoci verso il futuro”.
Tutte le strutture del gruppo Duetorrihotels adottano azioni a tutela dell’ambiente, sia per l’aspetto dell’illuminazione che per l’impiego di materiali riciclabili. Inoltre per il comparto food si privilegia la filiera corta per valorizzare le eccellenze del territorio. Questo approccio permette di garantire la qualità e la freschezza dei prodotti, oltre che ridurre l’impatto ambientale legato al trasporto. “Vogliamo riportare al centro della vita culturale e sociale di alcune storiche città italiane gli alberghi, parte integrante del loro Dna”, ha detto Franco Vanetti, general manager. “Ci prendiamo cura di strutture che intrattengono un forte legame con il centro storico che li ospita, custodiscono opere d’arte e di design e partecipano alla vita culturale dei territori. È così che creiamo esperienze non replicabili per i nostri ospiti”..
Spritz, Gin Tonic, Americano, Paloma e Moscow Mule alla spina: l’idea dei giovani
fondatori di Spill sta conquistando il mercato
di Maurizio Abbati
SONO
Arriva il cocktail ready to drink alla spina. Una proposta innovativa rivolta alle realtà della ristorazione, dell’hotellerie, dei pubblici esercizi e dell’intrattenimento che ricercano qualità nel beverage ma non hanno le possibilità o il profilo necessario per disporre di un barman professionale. Il progetto, vincente considerando i risultati, è frutto di un’intuizione di Giorgio Caccia, Ales Cambareri, Lorenzo La Russa e Riccardo Coletta, che occhieggiando a quello che ormai da lungo tempo è accaduto nel mondo della birra hanno deciso di lanciare un nuovo prodotto, il cocktail in fusto, dando vita a Spill,
DOPO AVER APERTO
UN COCKTAIL BISTROT
A MILANO: VOLEVAMO
FORNIRE A TUTTI
UNO STANDARD ELEVATO”
una startup che in poco tempo si è ritagliata un’importante fascia di mercato.
“Siamo partiti da strade professionali diverse (consulenza strategica e fondo di investimento, ndr) per arrivare al mondo del beverage”, ha detto Ales Cambareri. “L’idea è venuta dopo aver aperto un primo cocktail bistrot a Milano, a cui è seguito un altro a Santa Margherita Ligure. Ci siamo resi conto delle difficoltà che esistono per i gestori a trovare personale qualificato come i barman, di garantire una qualità costante dei prodotti e allo stesso
tempo monitorare il drink cost, che per un’impresa è essenziale. Così abbiamo lanciato un prodotto che risponde a tutte queste esigenze, puntando in qualche modo a rendere democratica l’attività del barman, cioè consentire a chiunque di servire cocktail di alta qualità assecondando la richiesta della propria clientela. Vogliamo rivolgerci a tutte le attività commerciali del mondo HoReCa, in particolare a tutte quelle attività che hanno maggiori difficoltà a trovare personale qualificato. É una soluzione a portata di tutti destinata a portare una piccola rivoluzione nel settore e nel consumo grazie alla tecnologia, che però non trascuraanzi consolida - le caratteristiche del prodotto, creando uno standard di qualità elevato”.
Cinque al momento le tipologie di cocktail in commercio, quelle più conosciute e commercializzate, con Spritz, Gin Tonic, Americano, Paloma e Moscow Mule. Ma l’intenzione è quella di ampliare la gamma. Interessante anche la scelta di fusti da venti litri, che possono essere facilmente utilizzati anche per gli eventi all’aperto. La commercializzazione è affidata a una rete di distributori che copre l’Italia per intero, a cui si sommano i clienti diretti legati soprattutto al mondo degli eventi e delle catene di ristorazione. Ma per il 2025 già si guarda ad ampliare i confini verso altri paesi, dove esiste già un mercato potenziale e magari in particolare le località turistiche.
Nel frattempo, Spill sta raccogliendo i favori anche da parte degli investitori. “Abbiamo chiuso un primo round di investimenti lo scorso maggio con il proposito di investire il ricavato in forza vendita e marketing, per rafforzare il nostro posizionamento”, ha spiegato Giorgio Caccia. “Adesso stiamo guardando al 2025 con l’obiettivo di tornare a proporci agli investitori per sostenere lo sviluppo sui mercati
E MONITORARE I
IL FUSTO DI SPILL
VUOLE OVVIARE A QUESTE CRITICITÀ IN TUTTO
IL CANALE HORECA
esteri. Inizialmente la nostra poteva apparire un’idea strana, di fronte a un comparto legato ad aspetti tradizionali, ma i numeri ci danno ragione e la dimostrazione è la costante e rapida crescita della domanda. Così come il mercato, perché noi lavoriamo con più catene di ristorazione o pizzerie che hanno locali in varie città e puntano ad avere gli stessi standard di qualità in ogni momento, senza dover dipendere del tutto dal personale a disposizione. La ricetta giusta con le giuste dosi”.
Già, perché dietro a ogni prodotto Spill c’è una ricetta e una ricerca, oltre a un’accurata selezione delle materie prime. “É a partire dai nostri cocktail bistrot che facciamo mixologia, sviluppiamo e testiamo il nostro prodotto. C’è un’attenta valutazione effettuata anche attraverso un testing a cui facciamo partecipare nostri potenziali clienti per essere certi di intercettare i loro gusti e quindi rispondere alle loro richieste. Solo dopo un’adeguata fase di sviluppo i cocktail vengono immessi sul mercato. Va anche sottolineato che buona parte delle componenti inserite nei cocktail sono di nostra produzione e cerchiamo di fare ricorso, per quanto possibile, a materie prime made in Italy, perché la nostra priorità resta in assoluto la qualità. Una qualità alla portata di tutti”, concludono Caccia e Cambareri..
Dai primi bauli costruiti su richiesta dei musicisti ai pezzi lussuosi di design, oggi LaErre punta al mondo industriale:
“Stiamo brevettando un prodotto destinato al tech”, racconta il ceo
di Francesca Lai
Che abbia il coperchio convesso o piatto, il baule è l’oggetto delle possibilità, dei viaggi e delle avventure. È sinonimo di ricchezza, come quella trovata nei forzieri de L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson. Può rappresentare la regalità: come il baule più antico mai scoperto, che avrebbe dovuto accompagnare il faraone Tutankhamon nel suo viaggio verso l’aldilà. Nelle fiabe di Hans Christian Andersen, il baule diventa una cassapanca volante. Per Riccardo Redaelli, ceo e founder di LaErre, i bauli sono la meraviglia, una continua scoperta. Ogni flight case è una nuova opportunità di business. La storia di LaErre inizia quando Riccardo Redaelli non era ancora imprenditore. “Sono stato un batterista”, racconta il ceo. “Come membro di un’orchestra revival, facevo praticamente 20 serate al mese, vivevo principalmente la notte”.
TRA GLI ESPERIMENTI DEL FONDATORE
RICCARDO REDAELLI
ANCHE IL BAULE/CANTINA, ACQUISTATO DALLO CHEF
CARLO CRACCO
È così che Riccardo si ritrova a pensare a come ottimizzare i tempi di carico e scarico degli strumenti, nonché a come proteggerli durante il trasporto. “In un piccolo laboratorio realizzai il primo baule per rendere più semplice lo spostamento della batteria e custodirla al meglio”. Dal prototipo alle richieste dei colleghi. Redaelli vede prima del tempo una possibile strada che decide di percorrere. “Volevo una vita diversa, quindi nel 1999 iniziai l’attività in un capannone in affitto, una struttura di 100 metri quadri a Merate. Nessuno credeva nel possibile successo di questa impresa. Venticinque anni fa non era un business compreso, ma io sono andato avanti ugualmente: avevo un cliente e il supporto di mio padre”. E aggiunge: “Per riuscire ad acquistare le macchine per la produzione dovetti vendere la mia auto”. Nel 2000 il piccolo laboratorio diventa una vera e propria impresa.
Tra le più grandi sfide iniziali, Redaelli annovera la ricerca di fornitori. Questa fase si è rivelata fondamentale per la scoperta di artigiani in grado di dare al baule quell’unicità che Redaelli ricerca sempre in ogni costruzione. Pensare il prodotto come un oggetto unico e iper-personalizzabile si è rivelata una scelta vincente, il lapis philosophorum contenente l’elisir di lunga vita per LaErre. “Ricercai le poche aziende competitor sul catalogo delle Pagine Gialle, andai a conoscere la loro storia per scriverne un’altra”. L’opera di benchmarking viene valorizzata dallo studio costante. “Ciò che mi serve per innovare LaErre non lo trovo nei libri, ma nelle botteghe degli artigiani, dove scopro la pelle più pregiata, il cashmere più morbido, il legno più resistente”. Una ricerca meticolosa e instancabile per creare un baule non
solo agilmente trasportabile ma anche elegante. “L’obiettivo è trasformare un baule da semplice oggetto dedito al trasporto in un prodotto funzionale e dal forte impatto estetico, caratterizzato da una cifra stilistica riconosciuta e riconoscibile”.
L’inizio in salita di LaErre è stato riscattato dal futuro. Oggi l’azienda, che conta venti collaboratori, si trova a Ronco Briantino, nel cuore della Brianza, è conosciuta per le eccellenze nel campo del design e dell’artigianato. Dai flight cases per il trasporto professionale nello show-live, la produzione si è aperta al mondo dell’arredamento, della ristorazione, del vino, del caffè, del retail, del racing, dell’equitazione. Diventata una realtà conosciuta a livello nazionale ed internazionale, LaErre è in grado di produrre annualmente tra i 2.800 e i 3.000 bauli destinati allo show business
per il mondo horeca e motorsport, raggiungendo i 2.961.606 euro di fatturato (dato 2022).
La pandemia da Covid-19 ha segnato per LaErre un punto di svolta, non facile per una realtà che opera nel settore degli eventi dal vivo. “Quel momento è stato una dura prova per me, come uomo e come imprenditore”, spiega. “Per la prima volta mi sono trovato a pensare di non potercela fare, poi la situazione è completamente cambiata: quando locali, bar e ristoranti animavano le città con i loro dehors ho avuto l’idea giusta”. Un baule, con ruote per il trasporto, che diventa all’occorrenza una caffetteria, una birreria, un pub. Non magia, ma eccellente pensiero imprenditoriale. L’apertura ad altri mercati ha determinato la fase attuale della vita di LaErre che ora, con il nuovo brand LaErre Trunks, strizza l’occhio all’extra lusso. Il baule diventa un’esperienza unica di design che può raggiungere in alcuni casi il valore di 75mila euro. “Sigari, vino, diamanti. In questo caso il baule diventa lo scrigno dei desideri del compratore”, commenta Redaelli. Per questo settore LaErre produce ogni anno tra i 70 e i 100 pezzi, attirando la curiosità di illustri personaggi, tra cui il cuoco Carlo Cracco, il primo ad essere diventato proprietario di un baule/ cantina LaErre Trunks.
Redealli sta già scrivendo un nuovo capitolo, avvicinandosi sempre di più al mondo medicale industriale e tecnologico. Oltre ad aver costruito bauli mobili destinati ai professionisti della sanità, come le farmacie mobili per i veterinari e i bauletti per il trasporto di dispositivi medici, l’azienda si sta rivolgendo al mondo industriale. “Non è stato semplice far capire alle aziende che i bauli possono facilitare, e di molto, il lavoro delle squadre, ma ci siamo riusciti. Ora, con il supporto di due ingegneri, stiamo brevettando un prodotto destinato all’ambito tech”..
Dieci sedi operative e più di 40 milioni di fatturato.
Citis, leader nel mercato idrotermicosanitario
in Toscana, oggi affronta una nuova fase di sviluppo
di Maurizio Abbati
La nascita di Citis è legata all’iniziativa di una decina di artigiani installatori che, valutando le opportunità che si andavano a creare, nel 1975 hanno deciso di mettersi in proprio, di unire le proprie forze e di affrontare con tutte le risorse a disposizione un mercato sempre più competitivo. Dopo poco, i soci iscritti sono diventati più di 80. “Da quel momento in poi ci siamo trovati di fronte a una continua evoluzione: prima c’è stata la fondazione e lo sviluppo della sezione lavori, grazie anche alla metanizzazione di Siena, poi la nascita della società immobiliare Impris nel 1990”, ha raccontato il presidente e amministratore delegato di Citis, Giovanni Ceccarelli. “Infine, nel 2022, un passaggio strategico che si è rivelato veramente determinante per la nostra crescita, ovvero la costituzione di Citis Arcobaleno”.
Dare una risposta funzionale alle esigenze di un mercato che vede l’integrazione dei servizi come elemento di qualità ed efficienza e allo stesso tempo valorizzare le singole professionalità e le esperienze acquisite: è l’obiettivo che ha portato all’origine di Citis e
poi alla sua evoluzione con la nascita di Citis Arcobaleno. La società oggi è specializzata nel mercato idrotermicosanitario in Toscana grazie a ben 80 imprese, che coprono tutti i settori dell’impiantistica e dell’edilizia, coordinate da un unico consorzio di riferimento.
La nacita di Citis Arcobaleno rappresenta un nuovo tassello che guarda alla necessità di darsi un’organizzazione diversa e rappresenta l’ulteriore fase di sviluppo di una concezione moderna e più strutturata del lavoro. “Citis Arcobaleno è nata per dare delle risposte precise al nostro mondo e per cercare di mettere le basi affinchè il gruppo potesse continuare ad essere un soggetto protagonista nel nostro settore di riferimento. Abbiamo dovuto sviluppare delle dinamiche diverse, pensate per favorire l’integrazione delle nuove generazioni. Delle dinamiche che fossero slegate dunque da quelle più tradizionali e tipiche degli anni settanta, quando i consorzi rappresentavano una forma caratteristica in tutta Italia. Ci siamo resi conto che sostenere la crescita di un’azienda che aveva cominciato ad estendersi oltre Siena attraverso le modalità di una cooperativa si stava facendo sempre più difficile. Servivano delle nuove modalità di impresa ed è per questo che abbiamo deciso di dare vita a una spa. Una scommessa coraggiosa, ma che oggi, possiamo dirlo, sta ripagando, come dimostrano il fatturato che ha superato i 40 milioni di euro e le aperture avvenute nel Centro Italia, in Umbria e nel Lazio. Anche se il nostro cuore resta sempre a Siena, specie per la parte lavori. Il futuro? Adesso guardiamo soprattutto a consolidare quello che abbiamo fatto in questi tre anni, ma se si presentano opportunità siamo pronti a coglierle”.
Citis Arcobaleno è partecipata al 70% dalla società immobiliare Impris, una spa ad azionariato diffuso, dove vengono coinvolti in prima persona tanto gli artigiani quanto i dipendenti, con oltre 12mila metri quadrati di patrimonio immobiliare. La sua governance è affidata al presidente Lorenzo Gagliardi. Il 30% della partecipazione invece è di Citis Soc Coop, che si occupa della gestione di lavori e servizi per i grandi patrimoni
immobiliari. La sua governance invece è stat affidata al presidente Alessio Lorenzoni. “Con l’ingresso di Impris nel capitale sociale di Citis Arcobaleno abbiamo creato i presupposti perché anche i dipendenti siano soggetti attivi di una realtà più grande, all’interno della quale svolgono un ruolo imprenditoriale. Ma l’aspetto fondamentale resta sempre quello di tutelare tutti i nostri associati, soprattutto quando si tratta di grandi lavori. Noi vogliamo creare delle nuove opportunità, per tutti quanti”, ha affermato Lorenzo Gagliardi. Una realtà che dunque oggi cresce seguendo un doppio binario, con la parte commerciale da un lato e quella relativa ai lavori dall’altro. “Quest’ultima parte agisce anche da supporto per quella commerciale, soprattutto per quanto riguarda il servizio ai soci, sviluppando preventivi e acquisendo gare alle quali i nostri artigiani, con le proprie forze, non potrebbero partecipare. Il Consorzio
è la via maestra per riuscire in questo, mettendoci al servizio dei nostri soci per raggiungere obiettivi sempre più importanti”.
Èproprio questa forma consortile a dare a Citis la possibilità di presentarsi come partner di istituzioni pubbliche e delle grandi aziende private sull’intero territorio nazionale, oltre che come punto di riferimento per la gestione di appalti di lavori complessi, offrendo soluzioni e servizi per il facility management, il general contractor e il project financing nei suoi settori di competenza - tra questi troviamo la termoidraulica, l’elettricità, l’automazione, l’energia e l’edilizia.
Grande attenzione anche per quanto riguarda il rispetto della sostenibilità, del pianeta e dell’ambiente, sia all’interno dei processi che nella scelta dei materiali: “Il nostro lavoro punta sempre all’efficientamento, portando al cliente un valore aggiunto in termini di qualità e convenienza, grazie anche alla nostra volontà di continuo rinnovamento e una sempre maggiore attenzione all’ambiente e al risparmio energetico. Citis è da anni certificata ISO 9001 e ISO 14001”, ha concluso Lorenzoni. .
Serramenti di alta qualità che rispettano l’ambiente:
così BG Legno vuole esportare i suoi prodotti
dalla provincia di Pistoia in tutta Europa di Raffaella Galamini
Una piccola falegnameria nel complesso industriale di Campo Tizzoro, nel cuore della montagna pistoiese. BG Legno è un’azienda figlia del saper fare artigiano, che oggi, grazie alla lungimiranza della proprietà si pone sul mercato come azienda 4.0. È una realtà che progetta, produce e posa serramenti in legno certificati e di alta qualità sfruttando l’innovazione tecnologica e nel segno della sostenibilità, con la cura del dettaglio tipica di una lavorazione artigianale. Ad oggi la falegnameria offre al mercato serramenti in legno, legno/ alluminio e legno/vetro capaci di soddisfare le esigenze estetiche e le necessità ambientali e climatiche di ogni edificio. A raccontare come l’azienda pistoiese ha raggiunto i suoi obiettivi e dove sta concentrando sforzi e risorse è Michele Finocchi, r&d manager.
Come si è evoluta BG Legno nei suoi 50 anni e quali gli obiettivi ha raggiunto, soprattutto dopo il cambio di proprietà?
Siamo un’azienda presente sul territorio toscano da molti anni. Tuttavia è da quando è stata rilevata dall’attuale proprietà che si è visto un vero e proprio cambio di marcia. Prima dell’acquisizione, BG Legno lavorava nel mondo del legno a 360 gradi. Successivamente molti investimenti sono stati impiegati nella costruzione del know how necessario per indirizzare l’azienda verso la produzione di serramenti in legno. La svolta più importante nella crescita è stata quella di credere nella scommessa dell’industrializzazione 4.0, con l’acquisto di macchinari a controllo numerico per elevare la produzione e massimizzare le performance dei serramenti. L’obiettivo era quello di entrare in un mercato di lusso i cui gli standard erano (e sono tutt’oggi) molto elevati. Questo percorso ha portato BG Legno a essere tra i top player italiani del mercato dei serramenti, raggiungendo l’obiettivo di target prefissato.
Cosa significa per voi essere sostenibili?
Legati a un territorio in cui la natura fa da padrona, BG Legno ha il dovere morale di tutelare il pianeta in ogni sua forma e impattare meno possibile sull’ecosistema che la circonda. Per fare questo abbiamo attuato politiche aziendali green che riguardano gli stabilimenti, gli uffici e tutta la gamma prodotti. BG Legno è dunque sinonimo di avanguardia nei processi e nei percorsi che riguardano la sostenibilità, anche grazie alla capillare scelta dei fornitori con un impegno certificato verso l’ambiente. Come r&d manager ho personalmente seguito, e fortemente voluto, l’iter per ottenere certificazioni che attestino e garantiscano l’operato green dell’azienda. L’obiettivo è far
sì che i nostri prodotti soddisfino i criteri ambientali minimi richiesti dal mercato. Oggi la nostra ambizione è sì quella di avere una reputazione specchio della visione imprenditoriale, ma anche che BG Legno diventi un esempio per altre aziende che vogliono intraprendere la strada della sostenibilità nel mondo dei serramenti. Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo restare al passo con richieste del mercato e adempimenti burocratici. Vogliamo essere tra i pionieri del cambiamento.
Investimenti in tecnologia: quali sono gli aspetti più significativi in termini di prodotti e servizi offerti e quali gli obiettivi futuri?
L’azienda ha fatto investimenti di industrializzazione progettati e messi a punto dallo staff BG Legno. Questo è stato un plus, perché oggi ci permette una personalizzazione dei prodotti lavorati con cicli produttivi esclusivi. Per questo oggi possiamo vantare una gamma di serramenti molto innovativi. BG Legno negli anni ha capito che non basta
massimizzare le performance del prodotto, ma è necessario anche implementare l’offerta nei servizi: è per questo che è nato il reparto r&d interno, che ha l’obiettivo di affiancare i progettisti e le imprese nella valorizzazione del foro finestra completo, dalla progettazione alla posa in opera. Offrire un servizio di alto livello, oltre a un prodotto eccelso nella sua funzionalità, è l’obiettivo primario se si vuole soddisfare tutte le domande di un mercato sempre più esigente, che richiede massima qualità e professionalità.
Quali sono i punti di forza e le peculiarità dei vostri prodotti?
In BG Legno tutti i prodotti nascono da una ricerca attenta basata su ciò che il mercato richiede. Negli anni è aumentata inoltre la richiesta legata a sicurezza, durabilità e resistenza dell’infisso, oltre che altre esigenze in termini di rigore e minimalismo estetico. Per far fronte a tutte queste domande sono nate le tre grandi rivoluzioni di BG Legno: fermavetro integrato, verniciatura dell’infisso da smontato e giunzione meccanica angolare. Questi plus ci permettono di soddisfare le esigenze estetiche più diverse, offrendo sempre delle soluzioni adeguate sulla base del contesto urbanistico, con performance di isolamento termico e acustico.
Quali sono i vostri mercati di riferimento e dove vorreste imporvi?
I mercati in cui siamo presenti e in cui ci vogliamo affermare sempre più sono quelli che riconoscono il valore della materia e che non sono disposti a scendere a compromessi scegliendo materiali non ecosostenibili. Il nostro obiettivo per l’estero, ad oggi, è quello di affacciarci sul mercato francese e su quello greco. Pertanto quello a lungo termine è posizionare il brand in tutta Europa..
Il tappo rappresenta la colonna portante del settore, ma i suoi utilizzi sono molteplici: da materiale di isolamento a componente delle navicelle spaziali, il sughero alimenta una filiera che in Italia trova il suo epicentro nel Nord della Sardegna
di Camilla Rocca
L’irrigazione goccia a goccia è tra i sistemi più efficaci nelle sugherete. A destra un agricoltore in una sughereta di Amorim,
Pochi grandi produttori per un solo mercato. Perché affinché un singolo albero di sughero sia produttivo, ci vogliono almeno 25-30 anni di età e un controllo costante. Un investimento a lungo termine che soltanto i colossi del mercato ormai possono permettersi. Il sughero ha molteplici utilizzi: può essere un materiale da isolamento, sia acustico che termico, ma anche utile per la produzione di scarpe o come componente delle navicelle spaziali lanciate nello spazio. Hanno iniziato a utilizzarlo per la missione Apollo 11 sulla Luna, alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Senza dimenticare l’aspetto green: naturale al 100%, riciclabile, biodegradabile, questo tessuto vegetale cresce praticamente per sottrazione di CO2 dall’ambiente.
Sono oltre 2,2 milioni gli ettari nel mondo coltivati a boschi di sughero, di cui un terzo circa (circa 730mila ettari) si trova in Portogallo, che rappresenta il 23% della superficie forestale nazionale. Il resto proviene da Spagna, Italia, Francia, Marocco, Tunisia e Algeria. La produzione più conosciuta (e
200mila tonnellate di tappi prodotte ogni anno
Valore di mercato 1,8 miliardi di euro
12 miliardi di bottiglie sigillate all’anno
preponderante) è quella nel mercato delle chiusure: a livello di numeri si parla di circa 200mila tonnellate di tappi, 1,8 miliardi di euro e del 70% del mercato mondiale. Per farci un’idea, ogni secondo che passa 550 tappi in sughero vengono prodotti in tutto il mondo. Ogni anno 12 miliardi di bottiglie vengono sigillate utilizzando tappi in sughero naturale o agglomerati. Per quanto riguarda il mercato italiano, il 90% delle sugherete si trova nel Nord della Sardegna, in Gallura, tra Tempio Pausania e Calangianus. Qui 250 aziende, tra industrie e artigiane, danno lavoro a circa 6.000 persone.
La produzione di sughero in Italia riguarda soprattutto i tappi, con circa 1,5 miliardi di pezzi prodotti ogni anno. Il leader di mercato, Amorim Cork Italia ha chiuso il bilancio 2023 con 77 milioni di euro di fatturato, pari a un +2,5% di crescita rispetto all’anno precedente. L’azienda ha venduto, nel solo 2023, 633 milioni di tappi in sughero a 3.700 cantine. “Nel 2023 il canale HoReCa ha avuto un ruolo primario, anche grazie al boom del turismo, ma non ha compensato
il calo dei volumi di settore, che per molte aziende sono risultati di doppia cifra”, dichiara Carlos Veloso dos Santos, amministratore delegato di Amorim Cork Italia, filiale italiana del Gruppo Amorim, prima azienda al mondo nella produzione di tappi in sughero e in grado di coprire da sola il 45% del mercato mondiale di questo comparto, oltre al 28% del mercato globale di chiusure per vino. “Per la fine del 2024 l’obiettivo di mercato è quello di 700 milioni di tappi”. Con 56 filiali nel mondo, di cui 22 distribuite nei principali paesi produttori di vino, il Gruppo Amorim esporta in più di 100 stati e ha aziende in 28 paesi sparsi nei cinque continenti.
C’è un detto portoghese, racconta Veloso dos Santos, che ben esprime come il mercato del sughero sia un investimento a lungo, lunghissimo termine: “Oggi pianto un eucalipto per me, una quercia per i miei figli, un albero da sughero per i miei nipoti”. Un altro detto, sempre portoghese, recita: “Bisogna avere il coraggio di piantare oggi un albero sotto cui non potrai mai sederti a
DI
CHE
godere dell’ombra”. Tra le iniziative più innovative di Amorim Cork Italia vi è la possibilità esclusiva di certificare i crediti di CO2 dei propri tappi. Un nuovo traguardo per la sostenibilità è stata infatti la revisione del disciplinare Viva (programma del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica che dal 2011 promuove la sostenibilità del comparto vitivinicolo italiano) che prevede l’uso dei fattori di emissione carbonica calcolata dai produttori di packaging al posto dei dati standard, migliorando le prestazioni climatiche delle bottiglie di vino. Significa che Amorim Cork Italia può rendicontare il bilancio di anidride carbonica a chi sceglie le sue chiusure in sughero, la cui carbon footprint viene rilevata per l’intera filiera. “Ma per il futuro stiamo puntando a nuovi sviluppi del sughero”, continua Carlos Veloso dos Santos. “Vorremmo promuovere il turismo esperienziale nelle sugherete, che ci può garantire un veloce introito a breve termine, che finanzi l’enorme dispendio di energie per la manutenzione dei boschi di sughero. Inoltre stiamo studiando una farina di ghiande da albero di sughero,
Nuove tecnologie e macchinari all’avanguardia sono diventati fondamentali per incrementare la produzione e soprattutto per ridurre l’impatto ambientale.
che dovrebbe essere naturalmente senza glutine e perfetta per le diete, dal forte potere saziante. Esistono già dolci e pane fatti con questa particolare farina, ma l’obiettivo è quello di industrializzare il sistema”. Inoltre, con il festeggiamento dei 25 anni, Amorim Italia sta investendo in un ampliamento della sede operativa che, dai 3.600 mq iniziali arriverà a ben 8.000 metri quadri. Il tutto senza mai fermare la filiera, anzi, con una previsione di aumento della capacità produttiva del 50% a fine 2024.
Un altro importante player in Italia è il sugherificio Molinas
Peppino&Figli: 8mila ettari di boschi a sughero a Calangianus, in provincia di Sassari, per un totale di 300 quintali di sughero lavorato ogni giorno. Con 50 mila metri quadri a disposizione, l’azienda è stata selezionata per la quinta edizione di Imprese Vincenti, programma organizzato da Intesa San Paolo che premia l’eccellenza delle Pmi e i loro progetti di crescita. Grande lo sforzo anche in chiave green: a partire dal 2018 sono stati realizzati diversi impianti fotovoltaici che consentono di produrre in modo autonomo più di 2 Mw di energia,
DI MERCATO, STA
STUDIANDO UNA FARINA
DI GHIANDE DA ALBERO
DI SUGHERO CHE
DOVREBBE ESSERE
NATURALMENTE SENZA
GLUTINE E PERFETTA
per arrivare a coprire più del 34% del fabbisogno energetico. Oggi il consumo di gasolio costituisce solamente il 6% della spesa complessiva, mentre nel 2018 ammontava al 22%. L’utilizzo di combustibile a biomassa ecologica (cippato di legno) rappresenta oggi il 94% della spesa energetica complessiva.
Altre aziende delle 200 registrate in Italia nel settore, tra chi produce e chi importa, sono il Sugherificio Ganau, produttore dal 1941 di Tempio Pausania, nell’Oristanese. L’azienda ha due importanti sedi operative estere: una negli Stati Uniti, nella città di Sonoma, per rifornire le cantine californiane, e una a Epernay, per le cantine francesi. Poi il Sugherificio Balza di Alessandria, attivo dal 1902; Mureddu Sugheri, che produce tappi dal 1938 e il cui titolare, Alessandro Canepari, è il responsabile del Gruppo Sughero all’interno di Assoimballaggi, a sua volta associata a FederlegnoArredo; o ancora la Belbo Sugheri, nell’Alessandrino, che importa in Italia in esclusiva il marchio francese Diam, secondo a livello dei produttori mondiali..
Forbes Small Giants è arrivato a Modena per raccontare i Piccoli Giganti dell’Emilia-Romagna di Agostino Desideri
Small Giants, il progetto di Forbes pensato per valorizzare le Pmi del territorio, prosegue il suo viaggio in giro per l’Italia per arrivare a Modena. Una scelta non certo casuale, in quanto proprio qui si trovano alcuni dei distretti più importanti a livello nazionale, come la Motor Valley, un polo che include 16mila aziende, 90mila lavoratori e un valore di produzione annuo di 16 miliardi di euro, ma non solo. Nel modenese si produce l’80% della nostra ceramica. Poi ci sono il settore biomedicale, agroalimentare e della meccanica agricola.
CAPITALE, INNOVAZIONE
E PERSONE:
QUESTI I TEMI
DELLA 25ESIMA TAPPA
DEL ROADSHOW
Capitale, innovazione e persone sono solo alcuni dei temi di cui si è discusso nel corso della 25esima tappa, ospitata all’interno di Acetaia Giusti, la più antica maison di Aceto Balsamico di Modena al mondo, organizzata con l’obiettivo di raccontare le imprese di questa provincia e analizzarne lo stato di salute. L’evento, moderato dalla giornalista di Forbes Italia Carola Desimio, si è aperto con le parole di Andrea Pizzardi, presidente della Piccola Industria Emilia area Centro, neopresidente della Piccola Industria dell’Emilia Romagna e amministratore delegato di Iperwood, che sul palco ha
analizzato il territorio e i suoi distretti, prima di cedere la parola a Claudio Stefani, ceo di Acetaia Giusti, che ha raccontato la storia dell’acetaia e della sua crescita all’estero. Un’azienda che oggi esporta in 80 paesi e ha quattro filiali commerciali in New Jersey, a Seul, Hong Kong e Monaco di Baviera.
La prima tavola rotonda, intitolata Capitali per crescere, ha visto partecipare alcuni nomi di spicco del mondo imprenditoriale e della finanza, come Mauro Iacobuzio, responsabile Elite Italia, parte del gruppo Euronext, Giaime Cardi, senior advisor family office di Banor,
CONTINUA:
Dante Cagliari, ceo di Caffè L’Antico, e Martina Terenzi, avvocato di Lca Studio Legale nel dipartimento di diritto agrifood, in rappresentanza del mondo legale. Le parole di Gian Luca Gianni, area manager di Vianova, hanno aperto la seconda tavola rotonda della giornata, dedicata all’innovazione, che ha coinvolto anche Paolo Molteni, chief commercial officer di Wtw e Gabriele Gianni, general manager di Stefal. Dall’innovazione alle persone, nel terzo panel di giornata che ha coinvolto Andrea Bet, amministratore unico di Leanbet, Alessandro Buzzoni, sales team leader di Edenred Italia e Martina
Strazzer, fondatrice e ceo di Amabile e content creator.
La giornata si è chiusa con la tavola rotonda dedicata al territorio, in cui si sono confrontati Gianpaolo Biffo, responsabile vendor finance, leasing e rental di Banca Ifis, Massimo Carli, account area manager di Blastness e Andrea Malagoli, responsabile produzione di Malagoli Aldelbrando. Dopo la pausa estiva, il roadshow riprenderà il suo cammino con le tappe di Milano (12 settembre), Genova (24 ottobre), Roma (7 novembre) e Pescara (12 dicembre)..
Hub for Entrepreneurship è l’incubatore d’impresa che aiuta le startup a vocazione tecnologica a muovere i primi passi, dal prototipo fino al mercato di Andrea Salvadori
La tecnologia sta cambiando l’immagine delle città a cominciare dell’illuminazione, sempre più al centro della ricerca di numerose startup.
L’ACCELERATORE
METTE A DISPOSIZIONE
LABORATORI AVANZATI
DI ROBOTICA,
ELETTRONICA E SCIENZE
DEI MATERIALI, OLTRE ALL’ACCESSO
A UN COMPUTER
AD ALTE PRESTAZIONI
PER LE SIMULAZIONI
Ha compiuto di recente il suo primo anno di vita H4E, Hub for entrepreneurship, l’incubatore d’impresa nato dalla sinergia tra la Regione Liguria, Filse, Invitalia e gestito dall’Istituto italiano di tecnologia. L’iniziativa è stata sviluppata nell’ambito del progetto di riqualificazione del Parco scientifico e tecnologico degli Erzelli di Genova, che ha già visto la nascita del Center for human technolgies dell’Istituto italiano di tecnologia. H4E, oltre ad essere il luogo ‘dell’imprenditorialità’ dove le startup possono muovere i primi passi nel mercato, è una struttura pensata per supportare la crescita e lo sviluppo di idee imprenditoriali nate dal comparto della ricerca negli ambiti della ‘smart strategy’ della Liguria.
H4E si estende su un piano del Center for human technolgies di circa 1.500 metri quadrati, diviso tra uffici modulari, sale riunioni e laboratori, e dispone di un’area comune dove i ricercatori e gli imprenditori possono collaborare tra loro. Mette a disposizione laboratori avanzati di robotica, elettronica, scienze dei materiali, così come l’accesso a un high performance computer per simulazioni e calcolo ad alte prestazioni. Il laboratorio di robotica, meccatronica, elettronica e interazioni è uno spazio pensato per supportare startup che si occupano di innovazione nell’ambito dei prodotti meccatronici, dei dispositivi medicali o degli oggetti ‘indossabili’.
Qui le startup hanno la possibilità di effettuare prototipi e i primi test, sino alla verifica e la validazione dei dispositivi. Nel laboratorio di scienze dei materiali possono invece muovere i primi passi quelle startup che operano nel campo dei materiali innovativi, dalle tecnologie per la produzione di energia alternativa (nuove tipologie di batterie o celle a combustibile) a progetti per l’ambito biomedicale come, ad esempio, nel campo delle
protesi robotiche. Il laboratorio è dotato di strumenti per la prototipazione rapida, tra cui una stampante 3D e un’altra a getto d’inchiostro per la stampa di circuiti conduttivi. Inoltre, l’incubatore è connesso con linee veloci al supercomputer Franklin4e (Franklin for Enterprises), una sezione dell’high performance computer dell’Istituto italiano di tecnologia in grado di compiere 1,5 milioni di miliardi di calcoli al secondo. Il super calcolo permesso da questa infrastruttura è trasversale per molte applicazioni: dall’elaborazione di previsioni meteo alla diagnostica per immagini, dal monitoraggio del territorio agli studi genetici, nell’area della bioinformatica o delle simulazioni di dinamiche molecolari, fino alla realizzazione di ‘digital twin in ambito industriale.
Il progetto H4E è connesso con l’ecosistema Raise (Robotics and Ai for socio-economic empowerment),
l’iniziativa congiunta di Istituto Italiano di Tecnologia, Università di Genova, Cnr e Regione Liguria finanziata nell’ambito dei fondi del Pnrr con una dote di 120 milioni di euro. Raise è stato pensato per consolidare l’innovazione ad alta vocazione tecnologica tra le filiere portanti dell’economia ligure. Il suo ecosistema si posiziona come una sorta di ‘motore’ che alimenta i nuovi processi industriali e produttivi grazie alla robotica e all’Ia. Raise prevede 33 progetti con partner affiliati rappresentati da piccole e medie imprese regionali: oltre il 50% dei fondi ricevuti sono dedicati alle imprese attraverso bandi a cascata o progetti specifici di technology transfer per la realizzazione dell’ecosistema. Grazie all’infrastruttura offerta da H4E, Raise potrà sviluppare i progetti di robotica e Ia applicata a diversi ambiti, dalla salute alla biodiversità, dalle attività portuali alle città intelligenti..
Ethan Priuli e Matteo Ghiroldi sono i fondatori di Bilbo, nuova realtà di micro-consegne. Il loro sogno è portare questo modello di delivery in altre aree montuose, in Italia e all’estero di Francesca Lai
a chiamano la valle dei segni, nelle sue rocce è raccontata una civiltà nata 12mila anni fa. Oltre 300mila incisioni su pietra fanno della Val Camonica, nelle Alpi Centrali, il primo sito italiano patrimonio mondiale dell’Unesco. La storia è nota: nei secoli l’uomo si è progressivamente trasferito nei centri urbani, lasciando nelle montagne solo l’immagine scolpita di un tempo che fu. Ora in valle soffia un vento di riscatto mosso dalle generazioni più giovani. Di questa corrente fa parte Bilbo, una startup che offre servizi di delivery nelle aree a bassa densità demografica o con caratteristiche morfologiche sfavorevoli, lì dove le grandi realtà non sono neanche lontanamente interessate a investire. “Siamo camuni, non comuni”, si presenta Ethan Priuli, 28enne che, insieme a Matteo Ghiroldi, ha fondato
Bilbo. “Amiamo la nostra terra, che può offrire molto ancora alla sua gente”. L’idea è nata durante il primo lockdown: “Nel periodo di quarantena collettiva si è resa ancora più evidente la mancanza di servizi rispetto alle grandi città. Nei nostri luoghi questo è un grande problema, che porta molti a vivere altrove”. I due giovani imprenditori propongono un nuovo modello di business, spinti da quella marcia in più di chi vede una possibilità anche nei momenti più difficili. “Eravamo consapevoli che per i grandi player le nostre zone non fossero un facile investimento” spiega il socio cofondatore, Matteo Ghiroldi. “Ma i numeri in crescita relativi al settore delle micro consegne ci hanno convinti a partire”.
Così, nella primavera del 2020, Ethan e Matteo, supportati da Limes Farm, incubatore locale di startup, si sono messi in moto per trasformare la loro idea in realtà. Il primo passo è stato la creazione di un software, l’asset strategico dell’intero progetto, che rende il modello della startup replicabile in altri territori con le stesse caratteristiche morfologiche della regione camuna. Attraverso una web app, che si rivolge a imprese e privati cittadini - gli admin -, la piattaforma di Bilbo può essere utilizzata da chiunque attraverso l’acquisto della licenza, il cui valore varia da zona a zona. “La piattaforma digitale possiede uno strumento con cui ogni admin può segnalare la propria area di business”, dice Ethan Priuli. “Dopodiché il sistema calcola l’indice di redditività potenziale dell’area delimitata, in base al numero di famiglie e al numero di aziende presenti”. Il risultato determina il canone mensile del noleggio.
Inoltre, il sistema è pensato per impedire la concorrenza sleale tra i vari admin. “Se Caio prende in licenza la zona A, e Tizio la zona B, le consegne della zona A saranno visibili solo a Caio, e viceversa, impedendo così la guerra dei prezzi al ribasso”. L’unica via possibile per ampliare il proprio raggio di attività è la cooperazione, abbandonando una volta per tutte la legge del ‘ognuno tiri acqua al proprio mulino’. “Oggi i piccoli imprenditori non possono prescindere dal fare fronte comune. Prendiamo il caso delle piccole attività di quartiere: più realtà aderiranno a
IMPEDISCE ANCHE
LA CONCORRENZA
SLEALE TRA I VARI ADMIN
E LA GUERRA DEI PREZZI
AL RIBASSO: LE IMPRESE
E I PRIVATI CITTADINI
CHE PRENDONO
LA LICENZA HANNO
ACCESSO ALLE CONSEGNE SOLTANTO
NELLA PROPRIA ZONA
Bilbo, e meno la singola consegna costerà all’esercente”, continua Priuli. L’utilità è duplice perché, da un lato, internalizzare un servizio del genere ha un costo spesso non sostenibile dalle piccole realtà locali, dall’altro esserne privi vuol dire avere un grande svantaggio competitivo nei confronti delle multinazionali.
La mission della startup è anche quella di creare nuovi posti di lavoro. “Con il supporto di un avvocato abbiamo redatto un contratto atipico per i nostri rider, secondo cui, a un compenso fisso,
se ne aggiunge uno variabile sulle consegne”. A questa politica si aggiunge un prezzo diversificato per ogni ordine in base alla tipologia - piccolo, medio o grande - e alla distanza chilometrica percorsa.
In quattro anni Bilbo è cresciuta: si sono aggiunti altri cinque soci, di cui due di capitale e tre entrati in work for equity. Duecento sono gli imprenditori della Val Camonica che utilizzano la web app per consegnare la propria merce ai clienti. Dopo lo sviluppo del business plan e l’esecuzione di test di fattibilità sul campo, il progetto è giunto alla fase di brand awareness. “Quello attuale è per noi un momento cruciale, perché richiede un cambiamento del pensiero sociale”, riflette Priuli. “Quando sei un imprenditore che parte dalla creazione di un modello artigianale, puoi prevedere come reagirà il mercato, soprattutto se il prodotto è già conosciuto”. Diverso è il caso di Bilbo, che propone un servizio di consegne in tempo reale anche in ambito C2C, cosa unica nel settore, in un territorio che si estende in verticale. “In Val Camonica sono pochissime le pizzerie che praticano il delivery, quindi la sfida sta nel convincere le persone dell’utilità del servizio anche nel caso, ad esempio, del trasporto di materiali da lavoro da una carpenteria al cantiere”.
Innovazione, sostenibilità sociale ed economica, oltre al forte senso di responsabilità per la propria terra. La startup di Ethan e Matteo è un virtuoso esempio di modello imprenditoriale che guarda al futuro dove la prossimità è ricchezza, non un limite. “Possiamo dare una seconda possibilità alla nostra terra”, conclude lo startupper. “La omaggiamo con il nostro logo in cui è presente l’icona point delle mappe con all’interno il labirinto camuno, uno dei segni più ricorrenti nelle incisioni rupestri”..
“Sono prima di tutto un amante delle onde”. Roberto Guicciardini, titolare di Bob Surfboards, realizza tavole fatte a mano nel suo laboratorio. Da tre anni la collaborazione con una startup californiana di Fulvio di Giuseppe
Quando ha finito il liceo, non era convinto della strada da intraprendere. Aveva una sola certezza: “Sapevo cosa non volevo: né allontanarmi dal mare, né lasciare il surf”. E così, quella passione nata a 11 anni, lo ha portato a scegliere questo lavoro ‘per esigenza’. Perché Roberto Guicciardini è un artigiano del surf – “prima surfista, poi artigiano” – e ha trasformato l’amore per le onde in una startup – Bob Surfboards – e in un impegno quotidiano. “È un lavoro che dipende dalle onde, dal mare, e per me è la scelta ideale”. Di strada ne ha fatta da quando, quasi per gioco, aveva creato a casa un piccolo laboratorio, in cui realizzava tavole da surf. Ora, le fa – sempre a mano nella sua Maremma - su misura per ogni surfista. “Con due scarpe e una ciabatta ho cominciato a camminare. La mia prima palestra è stata Fuerteventura”, racconta. “Ero andato lì in inverno e avevo trovato un artigiano del posto che intendevo seguire per fare formazione. Non ha voluto e con il tempo ho capito perché. Non c’è accademia, non c’è un tutor: lo shaper è lo scultore delle tavole ed è un settore in continua evoluzione, proprio come il surf stesso. Non puoi affiancarti a qualcuno, devi provare e testare in prima persona”.
Lo stesso concetto che muove il suo rapporto con i clienti. Quando realizza un custom dei suoi shape per qualcuno, infatti, la prima fase è quella del confronto, per dargli la possibilità di creare la miglior tavola possibile per quella persona. “Con chi mi chiede una tavola parlo delle esigenze personali, parliamo del tipo di tavole che usa solitamente, dove surfa, l‘età, il suo livello di surf”, rimarca Guicciardini. “Per me è fondamentale sapere dove vuoi arrivare con il tuo surf e cosa cerchi in una nuova tavola, oltre a preferenze estetiche come colori e grafiche, finiture, longheroni e fins set up”.
HA APERTO
UN POP-UP STORE A ROMA
E LAVORA CON UN TEAM
DI CINQUE SURFISTI
PROFESSIONISTI
NEL LAZIO. PER TENERE
FEDE AL SUO IDEALE, STA PENSANDO
A UNA RICERCA
DELLE ONDE VERGINI
DEL MEDITERRANEO
Con un lavoro così certosino alle spalle, il suo è un prodotto di nicchia: realizza e vende circa una settantina di tavole all’anno - “per due mani sole non è poco”. Tutte rigorosamente pezzi unici. “Quando creo una tavola da surf per qualcuno, questa sarà un pezzo irripetibile. Mi rende felice ogni
giorno poter incontrare persone che sono realmente connesse alla tavola che surfano e che apprezzano l’unicità di un oggetto creato per loro”.
Dopo i vari acquirenti italiani, ha firmato la sua prima vendita internazionale: “In acqua ho incontrato una ragazza inglese che si è incuriosita, ha voluto provare la mia tavola, ha chiesto se potessi realizzarne una per lei e così è stato. È la prima tavola che varca i confini dell’Italia”. In realtà, da tre anni ha una intensa collaborazione con una startup in California, con il quale scambia know how per la realizzazione delle sue opere. In Italia ha aperto un pop-up store a Roma e lavora con un team di cinque surfisti professionisti nel Lazio: Simone Gentile, Valerio Funari, Mauro Pacitto e i fratelli Niccolò e Jacopo Amorotti. “È anche insieme a loro che sviluppo i miei prodotti: li proviamo e capiamo cosa non va. Devo dire che io, paradossalmente, sono contento quando troviamo un difetto, vuol dire che c’è qualcosa di nuovo da scoprire e quindi migliorare”.
Pesciolino - il fish performante quiver killer - Skunk - una tavoletta da Mediterraneo, un fish da oceano - Buyo - uno shape comodo per situazioni scomode: sono alcuni dei prodotti in vetrina e per i quali si confronta assiduamente col cliente. “Mi piace dire che io in realtà vendo giocattoli”, continua. “E se prendo soldi da qualcuno devo restituirgli la gioia”. Perché, come sottolinea, “non sono un brand di tavole da surf, sono un surfista”. E per tenere fede al suo ideale, tra progetti e propositi, ha pensato a una ricerca delle onde vergini del Mediterraneo: una ‘mappatura’ per continuare a fare ciò che ama e condividerlo. In sostanza, “per vivere un sogno”..
Se due secoli sono un bel traguardo per qualunque azienda, per un’impresa familiare di serramenti nel cuore delle Langhe è un piccolo miracolo. Fondata nel 1824 a Dogliani, in provincia di Cuneo, come bottega artigiana di falegnameria, Navello è oggi un’azienda
specializzata nella produzione di serramenti in legno. Una realtà tipicamente italiana, cresciuta attraverso le generazioni, che nel 2024 compie i suoi primi 200 anni di storia.
Una realtà tipicamente italiana, cresciuta attraverso le generazioni seguendo un
Dal 1984 continua a crescere. Dal 2017 a oggi il suo fatturato è passato da 55 milioni di euro ai 137 del 2023, entrando nel range delle grandi aziende. Pinalli, oltre a festeggiare gli ottimi risultati ottenuti, ha compiuto 40 anni il 22 giugno. La principale piattaforma italiana di prodotti per la bellezza e il benessere della persona ha anche aumentato i punti vendita, dai 39 del 2017 ai 76 attuali, e il numero di dipendenti, da 140 a 600. “Gli ottimi risultati rendono merito al lavoro svolto in questi anni e confermano la bontà delle strategie messe in atto”, sottolinea Raffaele Rossetti, presidente e amministratore delegato di Pinalli. “Nel 2017 abbiamo dato vita ad un percorso di sviluppo e l’azienda è stata totalmente ripensata come se fosse una startup. La strada che abbiamo seguito si è rivelata vincente e anche il 2024 si configura come un anno dinamico, con nuove aperture che posizioneranno sempre di più Pinalli come una catena di respiro nazionale”. Nel 2023 sono stati aperti 12 punti vendita, per un totale ad oggi di 76 store in nove regioni del Nord e Centro Italia. A questi si aggiungono i restyling e le relocation di altri cinque negozi. Nei prossimi mesi altre sei aperture, superando la soglia degli 80 store nel 2024 e confermando il target dei 100 punti vendita prima della fine del 2026.
unico criterio: la qualità in tutte le fasi della produzione, dalla selezione dei materiali alle tecnologie di lavorazione, fino all’ambiente produttivo e all’assistenza post-vendita.
“Negli ultimi anni l’industria italiana ha vissuto una forte delocalizzazione delle imprese che, assecondando il forte slancio industriale di paesi e zone emergenti come Cina, Brasile, Est Europa, hanno trasferito all’estero la propria produzione nazionale”, spiega Roberto Navello, alla testa dell’azienda insieme al fratello Paolo. “Noi abbiamo scelto di mantenere una dimensione familiare proprio per continuare a garantire qualità ai nostri prodotti”.
Nel 2011 l’azienda è stata iscritta al Registro delle imprese storiche, istituito da Unioncamere per valorizzare il patrimonio industriale italiano in occasione del 150esimo anniversario dell’unità d’Italia.
Fondata come Società Anonima
Fabbrica Italiana di Automobili Torino, la Fiat ha compiuto l’11 luglio 125 anni. L’azienda ha scelto di festeggiare l’anniversario sulla Pista 500 del Lingotto, con il governo - rappresentato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, dalla vicepresidente del Senato Licia Ronzulli e dal presidente della Commissione Attività Produttive della Camera Alberto Luigi Gusmeroli - con il presidente della Regione Piemonte
Alberto Cirio e il sindaco di Torino Stefano Lo Russo. Inoltre è stato il giorno scelto anche per il debutto ufficiale della nuova Grande Panda, ispirata al modello degli anni ‘80, che verrà prodotta nello stabilimento Stellantis in Serbia e sarà in versione sia elettrica, sia ibrida.
Una storia, quella della Fiat, che si intreccia con il movimento operaio e della grande impresa, dalla storica marcia
dei quarantamila alla crisi del 2004 salvata da Sergio Marchionne. Fino ad arrivare alla fusione con Chrysler - la nascita di Fca nel 2014 – e a quella con Psa, che ha dato vita a Stellantis nel 2021. Una realtà che fa parte della storia italiana: modelli come la 508 Balilla del 1932 e la 500 Topolino hanno avviato la prima motorizzazione di massa per gli italiani. Altri, come la 600 e la Nuova 500 lanciata il 4 luglio del 1957, hanno accompagnato l’Italia nel boom economico.
Tutto ha inizio nel 1954, quando Bruno Presezzi e la moglie Bianca decisero di avviare un’attività nel proprio garage di casa. “I miei genitori fecero entrare il tornio dalla finestra perché non ci passava dalla porta”, racconta Alberto Presezzi, seconda generazione, oggi alla guida dell’azienda. “Iniziarono con lavorazioni meccaniche e poi si arrivò presto a realizzare qualche macchina completa”. Dagli anni ’80 la Bruno Presezzi ha iniziato ad occuparsi di tutta l’ingegneria dei prodotti, dalla progettazione alla costruzione, passando per l’assemblaggio e la vendita di macchine di vario genere. “Dal 2000 la società si è specializzata”, continua Alberto. “L’alluminio con la macchina a colata continua e il comparto dell’energia con la produzione di turbine e compressori industriali sono diventati i due settori principali”. Nel 2015 si è registrata l’acquisizione della Franco Tosi meccanica di Legnano, che
produce turbine dal 1881. “Il risultato raggiunto con le nuove commesse è straordinario e con le prossime acquisizioni che saranno perfezionate entro l’autunno andremo anche oltre il mezzo miliardo di euro”. La Bruno Presezzi conta oggi 400 dipendenti, di cui 300 assunti e 100 collaboratori esterni a progetto. Oltre alla sede di Burago Molgora, ci sono anche quella di Terno d’Isola e i 100mila metri quadrati della Franco Tosi a Legnano.
Presezzi ha scelto Villa Borromeo, a Cassano d’Adda, per celebrare il 70esimo compleanno dell’azienda.
Per celebrare i 70 anni e raccontare le sfide del futuro, la famiglia ha organizzato un evento che si è svolto lo scorso 21 luglio a Villa Borromeo a Cassano d’Adda. Una festa per ricordare soprattutto le tantissime persone che negli anni hanno reso grande l’azienda. Tra queste non poteva mancare il primo assunto della società: Enrico Vergani, oggi 83enne, assunto proprio da Bruno Presezzi nel primo garage di Vimercate, quando aveva solo 13 anni.
Con un progetto innovativo di intelligenza artificiale, la software house di Seregno Aries Tech è stata tra le cinque selezionate, su 64 partecipanti provenienti sia dall’Italia che dall’estero, alla prima fase di call for data-driven innovation, promossa da Unioncamere e InfoCamere. Obiettivo del contest, che si è svolto a Roma, era quello di valorizzare il sistema camerale per semplificare le informazioni dirette alle imprese, grazie a progetti basati proprio sull’IA. Cinque le Camere di commercio partner dell’iniziativa, che hanno composto la giuria: Milano, Torino, Padova, Firenze e Messina. “Il nostro progetto si è focalizzato sulla creazione di un sistema che, attraverso intelligenza artificiale, machine learning e big data, permetterà di semplificare e velocizzare le procedure dei bandi, contribuendo alla modernizzazione del sistema camerale italiano”, spiega Luca Vajani, ceo di Aries Tech, azienda impegnata da più di dieci anni nella realizzazione di soluzioni tecnologicamente avanzate.
“Nello specifico, ci siamo occupati della procedura di valutazione dell’attinenza dei documenti che vengono presentati dalle aziende quando partecipano ai bandi emessi dalle Camere di Commercio. Queste attività, che attualmente vengono svolte manualmente in qualche giorno, con l’IA possono essere invece realizzate in pochi secondi, dando di conseguenza anche un taglio netto alle procedure burocratiche che tendono sempre a creare intoppi e rallentamenti”. Ma la vera novità del sistema “è soprattutto a livello tecnico, perché utilizzeremo un’architettura mixture of experts, con diverse intelligenze artificiali specializzate in determinate aree di lavoro che collaboreranno tra loro per ottenere risultati ottimali”, continua Vajani. “Tutte saranno coordinate da un altro software”.
Crescono gli investimenti nel settore della mobilità e in particolar modo in quello dei parcheggi intelligenti. Tra le realtà innovative che stanno facendo passi avanti in questa direzione c’è una startup torinese, CityZ, guidata da sei ragazzi under 30. Pochi mesi fa ha chiuso un round d’investimento con 40Jemz Ventures e Magic Spectrum. CityZ, in collaborazione con Movyon, leader nello sviluppo e nell’integrazione di soluzioni di Intelligent transport systems, pedaggio e Infrastructure management, annuncia le prime installazioni dei sensori adesivi di Smart Parking negli stalli di parcheggio degli uffici di Movyon a Firenze. Questo importante passo permette una gestione centralizzata e un monitoraggio attivo della occupazione degli spazi di sosta, migliorando l’efficienza del loro utilizzo e semplificando la ricerca del parcheggio. I sensori adesivi sono stati applicati in pochi minuti grazie alla tecnologia non invasiva e immediatamente attivati per essere funzionanti, dimostrando così la rapidità e l’efficacia del processo di installazione.
I sensori CityZ permettono una gestione centralizzata e un monitoraggio attivo dell’occupazione degli spazi di sosta. Il primo esperimento nei parcheggi degli uffici di Movyon, a Firenze.
L’obiettivo di CityZ e Movyon, è di estendere l’installazione dei sensori in spazi strategici, per ottimizzare il servizio e favorire una mobilità più sostenibile e intelligente. Con le prime installazioni dei sensori, si apre la strada a un futuro in cui la ricerca di parcheggio diventerà una formalità, grazie alla tecnologia innovativa di CityZ, applicabile in ogni contesto urbano senza interventi invasivi.
PRODURRE
Fashion, automotive, edilizia e arredamento di interni sono settori che possono avere un impatto ambientale significativo. Mogu, azienda fondata nel 2015 a Inarzo, in provincia di Varese, produce i biomateriali usati per questi scopi dal micelio fungino, ovvero quegli ammassi filamentosi simili al cotone che stanno sottoterra. Una produzione a bassissimo impatto ambientale se paragonato ai processi di produzione tradizionali, perché non ha bisogno di temperature o pressioni elevate, ma solo di un ambiente controllato con un ridotto
consumo di acqua, energia e suolo e minime emissioni di anidride carbonica.
Afondare Mogu sono stati Maurizio Montalti, presidente e direttore della ricerca e sviluppo, e Stefano Babbini, amministratore delegato. E a quanto pare l’idea ha ricevuto un buon consenso, tanto che l’azienda ha appena chiuso una raccolta di finanziamenti di 11 milioni di euro. Un’entrata che permetterà a Mogu di fare ulteriori investimenti in ricerca e sviluppo, migliorare la propria capacità produttiva,
integrare il team aziendale e migliorare la propria attrattività necessaria per attirare e trattenere i talenti in azienda. L’iniezione di nuovi capitali di rischio è avvenuta attraverso un’operazione di venture capital guidata da Cdp (Cassa depositi e prestiti) venture capital, società partecipata al 70% da Cdp equity e per il 30% da Invitalia, affiancata da European Circular Bioeconomy Fund (Ecbf Vc), Kering Venture sas, società dell’omonimo gruppo francese che gestisce case di moda di lusso, e il fondo di investimento italiano Progress Tech Transfer.
Fondata nel 1935 a Mezzomerico, vicino a Novara, dal lavoro artigianale di Natale Leonardi, oggi Igor Gorgonzola è l’azienda casearia leader in Italia e apprezzata a livello mondiale per la produzione del Gorgonzola DOP
A cura di Luca Brambilla, direttore dell’Accademia di Comunicazione Strategica
Una brillante miscela di tradizione e innovazione ha permesso a Igor Gorgonzola di conseguire una crescita costante e al tempo stesso sostenibile, nel pieno rispetto del territorio e con un’accurata attenzione alla qualità, alla genuinità e alla sicurezza alimentare offerta ai suoi consumatori. A raccontare questa storia Fabio Leonardi, ceo ed esponente della terza generazione, e sua figlia Giulia, export sales manager & sustainability manager, rappresentante della quarta generazione.
Qual è la storia di Igor Gorgonzola?
FL: Mio nonno Natale fondò l’azienda nel 1935 a Mezzomerico, paesino le cui condizioni climatiche hanno sempre incentivato la produzione di gorgonzola. Un primo spiraglio verso il mercato estero iniziò ad aprirsi già tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, grazie a un treno che da Novara esportava a Londra il nostro ‘Italian creamy blue cheese’. Mio padre Gian Vittorio potenziò la produzione aprendo un secondo caseificio, espansione che ebbe il suo picco con la terza generazione: io e i miei fratelli Maurizio e Lara negli anni ’90 iniziammo a esportare in Europa, Usa e Canada. L’apertura di un nuovo stabilimento permise di riprodurre le condizioni climatiche peculiari durante tutto l’anno, trasformando il gorgonzola da alimento di nicchia a prodotto di massa.
Come è avvenuto il passaggio generazionale?
FL: Quello tra la mia generazione e la precedente è stato automatico e graduale: io e i miei fratelli siamo
cresciuti nel caseificio e fornivamo supporto già da adolescenti durante l’estate. Mio padre ha visto in me le caratteristiche ottimali per potenziare l’azienda. Questo attestato di fiducia ha portato alla mia nomina di ad a soli trent’anni.
GL: In merito all’ingresso della quarta generazione è stato stipulato insieme a Kpmg un piano chiamato ‘Next Gen’ che delinea i prerequisiti obbligatori per gli eredi che desiderano far parte dell’organizzazione, tra i quali laurea magistrale, esperienza lavorativa all’estero, conoscenza delle lingue, senso di responsabilità e autonomia. All’entrata in azienda poi, si deve svolgere un percorso di un anno, che prevede un’esperienza in tutti i reparti aziendali, dalle stalle all’amministrazione. Il tutto supervisionato da un team esterno alla famiglia che fornisce una valutazione finale per l’area designata.
Di tutte le sfide affrontate insieme, quali sono state le più significative?
GL: Una sfida importante appena sono entrata in azienda è stata la pandemia e il successivo aumento dei prezzi delle materie prime e dei costi di produzione, che ci hanno impegnato in due anni di dure negoziazioni. Oltre a questo, negli ultimi tempi abbiamo intrapreso diversi progetti importanti: mio padre nella pianificazione di nuovi investimenti e io nello sviluppo di strategie sostenibili.
Fabio, che suggerimenti daresti a un imprenditore che vuole tramandare la sua azienda alla generazione futura?
FL: Consiglierei di non imporre ai figli l’entrata in azienda o l’assegnazione di uno specifico ruolo, ma di seguire la loro vocazione, il loro percorso di studi e la loro esperienza lavorativa. È poi fondamentale progettare un piano di inserimento condiviso.
E tu, Giulia, che consiglio daresti a un/una figlio/a che decide di entrare nell’azienda di famiglia?
GL:Credo che in un mondo globalizzato come oggi, sia fondamentale fare un’esperienza di studio all’estero, così come maturare un’esperienza lavorativa fuori dalla propria azienda, per espandere le proprie vedute. Consiglio, infine, di agire con umiltà mettendosi in gioco in tutti i reparti dell’azienda, e di essere profondamente riconoscenti dell’eredità lasciata dai nostri predecessori, impegnandosi ad abbracciare e tramandare i valori della famiglia.
Scopriremo chi sono i creator più influenti del 2024
Durante la serata saranno proclamati anche i vincitori del contest di Forbes “I NUOVI VOLTI DI FORBES”
Scansiona il QR Code per scoprire tutti i dettagli dell’evento
Chi tutela il contraente debole nei rapporti commerciali tra imprese del settore agroalimentare?
Rispondono Martina Terenzi e Angelica Bonino, avvocate di Lca Studio Legale,
Nel panorama dei rapporti commerciali tra imprese del settore agroalimentare, la protezione del contraente “debole” lungo la filiera è divenuta, sempre più insistentemente, una delle priorità a cui il legislatore europeo prima, con la direttiva Ue 2019/633 del parlamento europeo e del consiglio del 17 aprile 2019, e quello nazionale poi, con il decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 198 in materia di pratiche commerciali sleali, hanno inteso far fronte, al fine di arginare gli abusi e i sistematici squilibri nel potere negoziale delle parti alla base di numerose pratiche commerciali sleali nel contesto dei rapporti di filiera.
L’intento primario è stato proprio quello di regolare le asimmetrie contrattuali e le disparità di potere in tali rapporti, al fine di impedire le pratiche commerciali sleali negli scambi tra gli operatori, introducendo nel panorama giuridico europeo un livello minimo di tutela comune e stilando un elenco ad hoc di pratiche commerciali sleali sempre vietate (c.d. black list) e un elenco di pratiche commerciali che si presumono vietate, salvo diverso accordo tra le parti (c.d. grey list).
Per effetto dell’entrata in vigore del D.lgs. 198/2021 e ss.mm.ii., oggi, tutte le cessioni di prodotti agroalimentari poste in essere da fornitori che siano stabiliti nel territorio nazionale o da coloro, sempre fornitori, che siano stabiliti in altri stati membri o in paesi terzi quando l’acquirente è stabilito in Italia, indipendentemente dal fatturato degli stessi, devono essere obbligatoriamente concluse mediante atto scritto stipulato prima della consegna dei prodotti ceduti, il c.d. accordo quadro, con indicazione della durata, che non può essere inferiore a dodici mesi, e delle clausole di risoluzione, delle quantità, delle caratteristiche e delle qualità del prodotto venduto, del prezzo, il quale può essere fisso o determinabile
dipartimento di diritto agroalimentare
sulla base di criteri stabiliti nel contratto, delle modalità di consegna e di pagamento, entro i termini delineati dal decreto (30/60 giorni a seconda del fatto che i prodotti siano deperibili o meno), nonché delle norme in caso di forza maggiore. L’adeguamento a tale normativa è perentorio, considerato che la violazione delle previsioni ivi contenute può comportare l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie particolarmente gravose che, a seconda della violazione compiuta, possono arrivare fino al 5% del fatturato realizzato nell’ultimo esercizio precedente all’accertamento.
Recentemente, il legislatore è intervenuto sugli elementi essenziali dell’accordo quadro con il D.L. 15 maggio 2024, n.
63, entrato in vigore il 16 maggio 2024, imponendo il divieto di vendita di prodotti agroalimentari a prezzi inferiori ai costi di produzione. Il nuovo correttivo al D.lgs. 198/2021 ha così inserito la definizione di “costi medi di produzione” e di “costi di produzione”, elevando il concetto a principio essenziale dei contratti di cessione di prodotti agroalimentari. I contraenti della filiera agroalimentare, ora, in sede di negoziazione ed esecuzione dei contratti di cessione, dovranno pertanto individuare prezzi di fornitura che tengano conto del costo relativo all’utilizzo delle materie prime, dei fattori, sia fissi che variabili, e dei servizi necessari al processo produttivo svolto con le tecniche prevalenti nell’area di riferimento.
Lo sconto è computato sul prezzo di copertina al lordo di offerte promozionali edicola. La presente offerta, in conformità con l’art.45 e ss. del codice del consumo, è formulata da BFC Media. Puoi recedere entro 14 giorni dalla ricezione del primo numero. Per maggiori informazioni visita il sito www.abbonamenti.it/cga
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Progettarecongioia: cosìgliarredieglioggettipossono daregiocositàedenergiapositiva all’ambientedilavoro diValentinaLonati
Allietare il back to work dopo la pausa estiva può trasformarsi in un piacevole allenamento della propria immaginazione e creatività. Così, negli spazi dedicati al lavoro - in ufficio come a casa - il consiglio è quello di circondarsi di
arredi e oggetti che infondano il buon umore: colorati, innanzitutto, ma anche semplici da utilizzare e funzionali, capaci di aggiungere un tocco di leggerezza alle giornate di rientro. Dalla scrivania agli scaffali, passando per gli elementi divisori
Dare un tocco di allegria e colore a un ambiente di lavoro passa anche dalla scelta dei tappeti: disegnato dallo studio londinese Doshi Levien per il brand cc-tapis, Raag è un tappeto percorso da pattern a griglie ed elementi geometrici, tutti coloratissimi. Realizzato con lana semipettinata, Raag si contraddistingue per la qualità artigianale e per la versatilità. Disponibile in un’ampia varietà di dimensioni e pattern, si adatta bene in ogni contesto aggiungendo dinamicità agli spazi.
e i tappeti, l’energia (positiva) di un ambiente si costruisce anche selezionando con cura – e giocosità, perché no – i complementi arredo. Senza dimenticare che il migliore interior design è quello che si progetta con il sorriso..
Un sistema da parete semplice da montare e d’effetto: la libreria Eta Beta, progettata da Paolo Ulian e Cinzio Ianiro per l’azienda Kriptonite, è pensata per ambienti giovani e informali. Il progetto unisce i ripiani orizzontali con dei montanti laterali a pantografo che funzionano come una sorta di fisarmonica. Il sistema viene proposto già assemblato: è sufficiente allungare i rinforzi a croce laterali e fissare la libreria alla parete. Realizzata in alluminio, è disponibile nelle colorazioni bianco opaco e nero opaco.
Un divisorio regolabile e modulare progettato per incontrare le esigenze più diverse: disegnato da Raffaella Mangiarotti, Wod è il nuovo paravento di Lapalma che non prevede l’utilizzo di elementi metallici né di viti. Grazie a un gioco a incastro, i suoi pannelli presentano una fresatura che consente l’inserimento di una cerniera a tre tasche e il suo ulteriore fissaggio attraverso l’impiego di tre perni in legno. Costituito da un modulo di legno o in feltro che si ripete, Wod si smonta e si disassembla facilmente, semplificando così la creazione di spazi di riservatezza sempre diversi.
Realizzata in collaborazione con lo studio OMA, fondato dall’archistar Rem Koolhaas, la collezione Principles di UniFor è stata presentata all’ultima fiera Orgatec di Tokyo con un grande allestimento dove l’ufficio è diventato uno spazio aperto all’interazione e al gioco. Pensata come una linea di microarchitetture, Principles si compone di più di cento elementi, declinati per taglie - S, M, L e XL - e organizzati in famiglie di tavoli, arredi morbidi, pannelli divisori, spine e divani. Una collezione nata dalla ricerca dell’esatta funzione di ogni elemento e dalla libertà di poter organizzare il proprio spazio come si desidera.
Disegnato da Victor Vasilev per Bross, a rendere speciale lo scrittoio Cut è una particolarità: un’incisione centrale che suddivide il piano rettangolare in due differenti zone funzionali, la più bassa dedicata al pc o il tablet, la più alta pensata per riporre oggetti e accessori. Una scrivania leggera e funzionale che si adatta anche agli spazi più piccoli: l’apertura centrale consente il passaggio dei cavi di alimentazione, massimizzando così la superficie libera. Il top può essere scelto in varie essenze di legno e con bordatura a contrasto, mentre la struttura è proposta in metallo nero.
Maria Letizia Putti
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La storia di Luisa Spagnoli dall’industria dolciaria alla casa di moda.
La donna che ha inventato il Bacio Perugina, il cioccolatino famoso in tutto il mondo, le caramelle Rossana, la nuova lavorazione della lana d’angora, la fondatrice del primo asilo aziendale. La biografia racconta una storia di imprenditoria femminile moderna: la Spagnoli madre, moglie, amante e pioniera dei diritti delle lavoratrici. La biografia narrativa restituisce il genio e il sentimento della donna, ma anche uno spaccato di storia italiana di coraggio, impegno e passione.
In un’ottica contemporanea, in cui le aziende mirano al raggiungimento di obiettivi di guadagno in tempi rapidi e perdono di vista il senso della pazienza e della cura, i marchi italiani spiccano per la loro capacità di creare prodotti di qualità superiore, in grado di rsistere sia alla concorrenza del mercato che all’usura del tempo. Perchè? Lo spiega, in queste pagine Riccardo Illy, presidente del Polo del Gusto. Attraverso il suo esempio emblematico, e raccogliendo le testimonianze dirette di altre aziende a conduzione, Riccardo Illy ci conduce all’interno della sua attività, mostrando al lettore le sue carte vincenti e descrivendo, con amore e passione, cosa significa fare impresa e farla bene secondo gli standard aziendali italiani che hanno portato il sogno di suo nonno a diventare una realtà apprezzata in tutto il mondo.
La relazione è lo spartiacque tra il successo e il fallimento di qualsiasi imprenditore, manager o professionista. La Comunicazione Strategica è un nuovo approccio alla comunicazione che studia le migliori tecniche per costruire relazioni e prendere decisioni anti-bias. In altre parole, è la scienza delle relazioni.
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Il roadshow nei territori è il progetto che ci dà l’occasione di incontrare direttamente “a casa loro” gli imprenditori per parlare di temi di loro interesse come l’accesso al credito, l’internazionalizzazione, la sostenibilità e l’innovazione.
Per parlare di questi argomenti coinvolgiamo gli esperti di settore capaci di spiegare con precisione le nuove tendenze di mercato, gli sviluppi legislativi e le soluzioni più idonee per ogni imprenditore. Per il 2024 e 2025 il nostro tour prevede 10 tappe distribuite su tutto il territorio italiano.
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