L’ENTERTAINMENT ARRIVA IN MONOPATTINO
Finora il ciclista era un animale strano, quasi un gatto in autostrada, destinato ad essere inseguito dagli improperi degli automobilisti. Figuriamoci poi chi osava sfrecciare in monopattino, soprattutto se aveva più di 16 anni. Praticamente un pazzo a piede libero. Invece negli ultimi anni tutto è cambiato. E il bello è che la rivoluzione non si fermerà allo sdoganamento delle due ruote, magari elettriche, ma potrebbe prelude re alla nascita di un nuovo sistema di distribuzione dei servizi. Vediamo perché.
Salvatore Palella è un giovane geniale. Con i suoi monopattini Helbiz sta invadendo il mondo nel segno della mobilità sostenibile e ha aperto il fronte a un nuovo modello di proposta coniugabile a mille altre applicazioni o discipline. Per salire su uno dei suoi monopattini bisogna aver scaricato l’apposita app che utilizza il gps dello smartphone per individuare quali veicoli liberi si trovino nelle vicinanze. Una volta individuato il mezzo da noleggiare, sarà sufficiente cliccare su ‘inizia la corsa’ e scansionare, con la fotocamera del telefono, il QR Code corrispondente. Si potrà quin di utilizzare il monopattino per tutto il tempo necessario finché non si deciderà di parcheggiare in modo responsabile il mezzo sul marciapiede. L’app Helbiz è utilizzata nel mondo ormai da milioni di utenti. Allora Palella, ragazzo geniale, appunto, ha pensato di poterla utilizzare come strumento di rete per la comunità che usa i monopattini. Il primo passo, coraggioso, è stato quello di acquisire i diritti della Serie B di calcio: con l’app Helbiz si potrà noleggiare un monopattino ma anche guardare le partite di calcio. Non solo ma ci potrà essere anche l’effetto inverso: alla Serie B parteci pano anche squadre dove Helbiz non è presente quindi potrebbe allargare la platea di iscritti alla app in aree non coperte. E una volta aperta la porta della app perché non utilizzarla per i film o addirittura per fare la spesa o per mille altre applicazioni?
In sostanza, la comunità della mobilità sostenibile, un fenomeno ormai inarrestabile in tutto il mondo, diventa sempre più grande ma soprattut to un target per altri prodotti sportivi, culturali, commerciali. Diventa una finestra sul mondo attraverso la quale veicolare servizi diversi. In estrema sintesi si potrebbe dire che il futuro arriva in monopattino oppure potre bbe arrivare attraverso lo sharing, ossia tutto quello che in qualche modo è condivisibile anche tra cluster di utenti non omogenei. Non è detto che chi usa il monopattino ami il calcio, ma magari vorrebbe avere una pizza a casa e guardarsi un film e viceversa. La mobilità sostenibile, quindi, po trebbe passare da un servizio di trasporto a un sistema di distribuzione di servizi in grado di semplificarci la vita.
ALESSANDRO ROSSI Direttore responsabileWES
BIKE
Anno 2
IN SELLA di / MARCELLO ASTORRI /
IL FRANCHISING DEL CICLOTURISMO di / GIOVANNI IOZZIA
INCUBATORI DI NOVITÀ di / MASSIMILIANO CARRÀ
CICLO ECONOMICO
di / ROBERTA
LIBERO
di / MATTEO NOVARINI
IL DIVERTIMENTO È SICURO di / ROLANDO LIMA /
IN SCIA AGLI EROI di / ANDREA RONCHI /
RINATO NELLA PROVA di / GIULIA FONTANELLI /
ORIZZONTE GLOBALE di / MATTEO RIGAMONTI /
Summer Luglio-Settembre 2021
Trimestrale per vivere in movimento. Registrazione al Tribunale di Milano: il 24/06/2020 al numero 58.
Casa editrice BFC Media Spa
Via Melchiorre Gioia, 55 – 20124 Milano Tel. (+39) 02.30.32.11.1 info@bfcmedia.com
Editore Denis Masetti
Direttore responsabile Alessandro Rossi
Direttore editoriale Marino Bartoletti
Video content editor
Valerio Gallorini
Smart mobility specialist Giovanni Iozzia
Coordinamento redazionale Matteo Rigamonti rigamonti@bfcmedia.com
Cycling writers
Marcello Astorri, Filippo Cauz, Luca Gregorio
LA GALASSIA A PEDALI DI LADYBICI di / MATTEO RIGAMONTI /
QUANDO LA BICI
IL
TI RENDE MAGRO
Contributors
Alessia Bellan, Mario Calabresi, Massimiliano Carrà, Francesca Cavalli, Francesca Cazzaniga, Giorgio Del Re, Stefano Erbi Giulia Fontanelli, Andrea Guerra, Rolando Lima, Caterina Lo Casto, Roberta Maddalena, Riccardo Magrini, Vittorio Mantovani, Matteo Novarini, Marzia Papagna, Andrea Ronchi, Fabrizio Rossi, Piero Ruffino, Marco Scarponi, Leonardo Serra, Silvia Zucconi
Art director Marco Tonelli
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È L’ORA DEL MOBILITY MANAGER
Quanto può valere un chilometro in bicicletta quando si va a lavorare? Venti centesimi secondo la Regione Emilia-Romagna. E i dipendenti della Ferrari, come quelli di altre dodici aziende nel Comune di Maranello, si potranno trovare in busta paga fino a 50 euro al mese. Se il simbolo per eccellenza del Made in Italy motoristico sostiene il “bike to work” per ‘scoraggiare’ l’uso dell’auto, forse significa che qualcosa sta cambiando davvero.
Quello che è certo è che, nella corsa alla sostenibilità, la mobilità dei di pendenti è destinata a divenire un tassello sempre più importante della strategia delle aziende già impegnate a trovare soluzioni efficaci per ap plicare i criteri Esg (Enviromental, Social and Governance). C’è una nuova voce nella lista di responsabilità dei leader d’impresa e fa emergere una figura professionale prevista da una legge del 1998, ma rilanciata solo dopo il 2020: il mobility manager.
La pandemia ha mostrato i limiti dei nostri modelli di mobilità e, allo stesso tempo, le alternative che possono migliorare la qualità della vita delle città e delle persone. Il lavoro da remoto obbligato è finito, lo smart working per scelta sarà un’altra cosa, gli spostamenti casa-lavoro potranno essere gestiti meglio a vantaggio di tutti se non saranno affidati solo alle auto private e al traporto pubblico. Andare al lavoro nel minor tempo possibile entra nelle ricette per il benessere dei dipendenti, cioè il welfare aziendale.
Il mobility manager, secono un decreto firmato dai ministri delle Infra strutture e della Transizione ecologica, è ora obbligatorio per tutte le im prese e le pubbliche amministrazioni che hanno oltre cento addetti e che si trovano in città con più di 50mila abitanti. E solo per per il 2021 sono già stati stanziati 50milioni per sostenere il loro lavoro: avviare iniziative per la mobilità sostenibile che riducano la pressione sul trasporto pubbli co. La smart mobility, insomma, è diventata una sfida manageriale.
È questo il lavoro del mobility manager: analizzare, comprendere e gestire la mobilità delle comunità aggregate attorno a un ufficio o una fabbrica. Deve quindi conoscere i flussi di movimento, la domanda e l’offerta di ser vizi, le alternative possibili da incentivare, come la condivisione dei veicoli (il car pooling) o l’uso di quelli leggeri (biciclette e monopattini). Per farlo ogni azienda e amministrazione pubblica dovrà creare un suo database della mobilità in modo da poter interagire con i territori di riferimento. Una rivoluzione, che è solo agli inizi.
*Smart mobility specialist di BIKE
LA MOBILITÀ SI FA LEGGERA
L’emergenza sanitaria da Covid-19 ha innescato nuovi fenomeni e ne ha accelerati altri. La limitazione degli spostamenti e il maggior ricorso allo smart working e alla didattica a distanza da un lato e l’accelerazione del processo di sensibilizzazione alle tematiche di sostenibilità dall’altro hanno introdotto profondi mutamenti in tema di mobilità urbana – sempre più privata e green – e di percezione degli spazi urbani e della città ideale –più piccola, smart e vivibile. È questo il quadro che emerge dalla fotografia scattata dall’Osservatorio Smart Mobility di Nomisma.
Tre milioni di italiani dichiarano di essere disposti a spostarsi in centri abitati di medie dimensioni: una realtà urbana (ma non metropolitana) dal perimetro più ristretto e dai ritmi meno serrati e in grado di offrire il miglior equilibrio tra presenza/vicinanza di servizi e qualità della vita qu otidiana. Per cogliere l’ampiezza del possibile potenziale di cambiamento basti ricordare come in molti studi già nel 1923 a Chicago si ragionava sul concetto di neighborhood unit, unità di vicinato, come proposta di assetto per costruire nuovi quartieri residenziali compatti e alcune città – Parigi in primis – stanno ora sposando questa rivoluzione urbana: l’isocrona ideale per gli spostamenti quotidiani è pari a 15 minuti.
La mobilità leggera, come gli spostamenti a piedi, in bici, fino ai monopat tini elettrici e alle molte soluzioni ibride ulteriori, si è affiancata sempre più all’utilizzo dell’auto privata o dei mezzi pubblici, tanto che il 27% è la quota degli executive italiani che ritiene che la mobilità leggera caratterizzerà in positivo la società italiana nei prossimi 3/5 anni. Nel 2020 si è registrato un aumento delle vendite di biciclette (+17%), e-bike (+ 44%) e monopattini elettrici, hoverboard o one wheel (+36,2%).
Durante l’esperienza del lockdown si è riscoperta una possibilità di vita che non sia totalmente dipendente da automobili e mezzi di trasporto inquinanti e si è iniziato ad apprezzare e dare valore a spostamenti ‘dolci’ prediligendo la bicicletta, connubio di facilità di movimento e isparmio, oltre che benessere fisico. Si cerca anche maggiormente di stare attenti all’inquinamento che i veicoli di vecchia generazione comportano rispet to a quelli elettrici o per lo meno ibridi. Si nota infatti un aumento deciso nell’acquisto di questi ultimi (+28% sulle nuove immatricolazioni per l’anno 2020) a discapito di diesel e benzina. Le motivazioni vanno ricercate, oltre che per la già citata questione green, anche nel risparmio auspicato in termini di costi e in maggiori possibilità di spostamento libero nelle grandi città.
*Responsabile market intelligence di NomismaL’ESPERTO SILVIA ZUCCONI
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FUORISTRADA FIORENTINO
A quaranta minuti da Firenze e 1400 metri di altitudine, nella foresta di Rincine, c’è un posto perfetto per chi intende soddisfare la voglia di freeride. La Rincine Trail Area nasce nel 2014 da un progetto dell’associazione di Firenze Freeride per la riqualificazione dell’area. Mulattiere e percorsi già esistenti sono stati resi fruibili alle mountain bike affiancando loro tracce di nuova creazione. Trail ideali per per mtb da enduro e downhill, ma adatti anche alle all-mountain. Divertimento assicurato. Si può partire dal Campo all’Oca, un camping che dista pochi metri dall’inizio dei trail e offre tutti i servizi per i biker: lavaggio bici, riparazioni di emergenza, doccia e ristoro. Chi desidera soggiornare in mezzo alla natura, scoprendola a bordo della propria bici, non potrebbe chiedere di meglio. Larghe strade forestali consentono poi di raggiungere la vetta a Faggio Tondo, punto di partenza dei principali trail di discesa. Per quanti prediligono la discesa alle fatiche della salita è, inoltre, disponibile un servizio shuttle di risalita meccanizzata, gestito proprio da Firenze Freeride, che su richiesta organizza anche escursioni guidate. Dall’area point di Faggio Tondo si può scegliere tra i diversi itinerari segnalati con precisione dagli appositi cartelli. I tracciati si sviluppano attraversando boschi di castagni, pino, douglasia e prati costellati da piante di ginepro. Un posto incantevole e incontaminato, a pochi passi dalla città del Sommo Poeta.
NELLA TERRA DEGLI ETRUSCHI
Spostandosi a Piombino ci si immerge nell’Etruria dove, grazie alla bici, è possibile andare alla scoperta dei resti della popolazione che abitò la zona dal IX secolo a.C. sino alla nascita di Cristo. Punto di partenza ideale il Tuscany Bike Center a Poggio all’Agnello dal quale è possibile scegliere tra differenti itinerari. L’Etruria Tour è il perfetto connubio per chi ama guidare nella natura andando alla scoperta di un territorio ricco di storia. Si passa attraverso la località di Baratti dove è presente una necropoli che fa parte del Parco Archeologico di Baratti e Populonia. Una visita è d’obbligo in questo luogo dove il tempo sembra essersi fermato. Il percorso per arrivare alla cima, passando per il trail Poggiotondo, è privo di rocce e con saliscendi guidabili anche con la gravel. Le discese invece sono per all-mountain o enduro e si snodano attraverso la pineta che garantisce un clima ideale anche nei mesi estivi. Il singletrack porta sino alla spiaggia prima di risalire sino al castello di Populonia lambendo l’acropoli romana. La vista dal castello è impareggiabile così come gli scorci sul mare dei tre trail che riportano a Piombino. In queste zone gli etruschi lavoravano il ferro estratto dalla vicina Isola d’Elba e ancora oggi i residui ferrosi sono mescolati alla sabbia luccicando al sole nella spiaggia di Baratti.
LE MOUNTAIN BIKE ARRIVANO IN CITTÀ
Parte l’8 di agosto a Leuven, in Belgio, la Coppa del Mondo Uci di Mountain Bike Eliminator, che sarà trasmessa da BIKE al 259 del digitale terrestre in Hbbtv e sul sito Bikechannel.it. Pochi giorni più tardi, a Ferragosto, ci si sposta a Oudenaarde, sempre in Belgio, per il secondo appuntamento di stagione. Il calendario, che ha subito alcune modifiche dettate dall’emergenza pandemica, prosegue con Valkenswaard, in Olanda, il 22 agosto. Il 5 settembre a Graz, Austria, sarà la volta dei Mondiali, con in palio la maglia iridata, e il 12 settembre si sale a Wintemberg in Germania. Il 17 settembre in Francia, nel dipartimento Senna e Marna, e poi il 2 ottobre a Barcellona, in Spagna. Volata finale in Medio Oriente, con gli appuntamenti in Bahrain il 22 ottobre e sette giorni più tardi, il 29, ad Abu Dhabi. La Coppa del Mondo Uci di Mountain Bike Eliminator è organizzata da City Mountainbike: un evento che porta le gare a eliminazione di mtb in città e ha l’ambizione di offrire uno spettacolo ad audience sempre crescenti. Sono 3 milioni per tappa le views degli spettatori che, tra tv e streaming, hanno seguito l’evento nella passata edizione, quando a trionfare sono stati, tra le donne la nostra Gaia Tormena e l’olandese Jeroen Van Eck tra gli uomini.
IMMERSI NELLA VALTELLINA
Non è solo un tracciato ciclabile. È un percorso alla scoperta dei gusti più autentici di un’intera Regione. Il Sentiero Valtellina è un itinerario che ha fascino da vendere ed è alla portata di tutti: cicloturisti, famiglie, amatori. Perfetto per bici gravel, ottimo per chi ama il bikepacking. Per chi ha due giorni a disposizione, il consiglio è metterlo subito in agenda. Si parte da Colico e dalle sponde del Lago di Como e si continua a pedalare seguendo il corso del giume Adda, risalendo una delle valli lombarde più ricche di storia. Pian di Spagna, Morbegno, Sondrio e Teglio. E poi ancora Tirano, Grosio e quindi Bormio. In tutto 115 chilometri (che si possono percorrere anche in senso opposto), 40 aree di sosta attrezzate, 46 punti di accesso e una lunga serie di luoghi da vedere. Quasi d’obbligo le tappe culinarie tra ristoranti e cantine: un piatto di pizzoccheri e un bicchiere di Inferno assicurano l’energia per continuare. Se invece si è alla ricerca di pendenze, il Sentiero Valtellina giunge fino ai piedi di alcune delle salite che sono simbolo del ciclismo contemporaneo: Stelvio, Gavia, Mortirolo, Passo San Marco, strade perfette per scaricare watt. Su Sentiero.valtellina.it tutte le informazioni utili a preparare l’escursione.
/La tappa di apertura a Dubai nel 2020/ Scopri di più su Sentiero ValtellinaTUTTI I NUMERI DEL GIRO E
Piazza Duomo e la Madonnina non hanno fatto da sfondo solo alla tappa finale e alle premiazioni del Giro d’Italia 2021: là dove è nata la corsa rosa si è infatti chiusa la terza edizione del Giro E, l’evento organizzato da Rcs Sport che porta i ciclisti amatori a vivere l’esperienza dei campioni del Giro pedalando sulle sue stesse strade e negli stessi giorni di gara, ma su biciclette a pedalata assistita. La competizione ‘elettrica’ si è aperta a Torino e ha seguito fedelmente il tracciato e il calendario del Giro d’Italia. A percorrere le 21 tappe (1477 chilometri disegnati ad hoc e 23.300 metri di dislivello) ogni giorno i 9 team in gara schieravano 6 corridori: in tutto hanno
preso parte alla manifestazione 920 persone, tra cui vip e amici di vecchia data del Giro E come Jury Chechi, Antonio Rossi e Mauro Benetton ed ex professionisti come Francesco Moser, Gianni Bugno, Alessandro Ballan, Moreno Argentin, Igor Astarloa, solo per citarne alcuni. L’edizione 2021 ha visto una novità: per la prima volta i team del Giro E si sono confrontati anche in una cronometro a squadre. È accaduto sul tracciato dell’ultima tappa, da Sesto a Milano, in occasione della crono di chiusura del Giro. A conferma del forte appeal che le e-bike stanno avendo sul mercato italiano.
PRENDI IL TEMPO CON WINNING TRIAL
Sedici milioni di atleti cronometrati, per un totale di 25mila eventi di cui 15mila in Italia dal 1995. Sono i numeri di Winning Time, iconica azienda specializzata in cronometraggi da granfondo e gare di mountainbike, contraddistinta dal logo con il chip giallo. Con l’applicazione Winning Trial, ha saputo innovarsi scommettendo sul digitale e sulla sempre più diffusa pratica di archiviazione dati e percorsi, non senza rinunciare però a originali contest e premi che, con la pandemia e con il boom dell’allenamento indoor, si sono rilevati strategici per coltivare e mantenere attiva la base utenti. Una platea di clienti che non vedeva l’ora di ritornare in sella. E che ora può fare affidamento anche su nuove funzionalità: la ‘gara live’, che consente un monitoraggio costante durante la manifestazione, sia dei partecipanti sia dei mezzi dell’organizzazione, e la ‘bike experience’ per valorizzazione i territori e gli eventi non agonistici, come nel caso del Mortirolo Day. Fondatori di Winning Trial sono i mantovani Davide Scardeoni, Roberto Merolla, Andrea Parma e Simone Pinardi.
IL PICCOLO PRINCIPE È TORNATO A SCUOLA
Damiano Cunego, ex corridore professionista per quasi vent’anni e vincitore del Giro d’Italia 2004, di tre Lombardia e di un’Amstel Gold Race, si è rimesso a studiare. Dopo una vita in sella, il veronese, capace di conquistare giovanissimo la maglia rosa e soprannominato il Piccolo Principe, si è reinventato personal trainer. E per farlo ha sentito l’urgenza di tornare sui banchi di scuola, quelli della facoltà di Scienze Motorie che frequenta al secondo anno di tre più due e che ha in programma di terminare. Un obiettivo importante per integrare al meglio l’esperienza di ex corridore e seguire atleti offrendo anche consulenze alle squadre. Nell’intervista, realizzata per Le Storie di BIKE e che è possibile rivedere su Bikechannel.it nella sezione programmi, Cunego parla anche della precocità di tanti talenti oggi - da Bernal e Pogacar ed Evenepoel - e di come imparare a gestirla. Lui che con l’imprevisto di un talento esploso prestissimo si è trovato a condividere durante la sua carriera.
DA FIORETTISTA A ULTRACYCLIST
Già schermitrice di successo e ora tenace ultracyclist, Dorina Vaccaroni racconta a BIKE come è nata la passione per la bici e il suo più ambizioso obiettivo sportivo per il 2021: la Race across America (RaAm). Cinquemila chilometri in dodici giorni, da Oceanside (California) ad Annapolis (Maryland), che fanno di questa incredibile ‘coast to coast’ la gara per ultraciclisti più dura del mondo. Unica italiana a partecipare alla RaAm, Vaccaroni, intervistata per Le Storie , racconta a Luca Gregorio, come si è avvicinata alla bicicletta dopo aver vinto sulla pedana Coppe del Mondo, Mondiali e medaglie olimpiche nella scherma dove, in palmares, spiccano il bronzo ai Giochi di Los Angeles nel 1984, l’argento a Seul 1988 e l’oro a Barcellona 1992, tutti nel fioretto. Nel 2016 è già stata campionessa italiana di ultracycling.
Inquadra il QR Code per vedere l’intervista a Dorina Vaccaroni, quella a Damiano Cunego e tutte le altre Storie di BIKE /Dorina Vaccaroni al via della Race Across America 2021 / /©Foto Cosimo Salvati/che a Genova ha lasciato il segno. Il campione europeo 2018 e vicecampione del mondo 2019, originario di Borgo Valsugana (Tn), ha raggiunto a maggio il capoluogo ligure accettando l’invito dell’associazione Triciclo - Bimbi a basso impatto, esprimendo il suo sostegno al BicibuSauro, un bicibus organizzato dalla scuola primaria Nazario Sauro. Partito a marzo, raccogliendo la sfida della giornata internazionale ‘M’illumino di meno’ lanciata dalla trasmissione di Radio2 Caterpillar, il BicibuSauro ha coinvolto più di 300 bambini, tra pedibus e bicibus, in tutta la città, per poi diventare appuntamento fisso settimanale, con i bambini accompagnati a scuola in bicicletta
cui si complimenta per l’esempio dato a coetanei, genitori e a tutti i genovesi che un’altra mobilità è possibile. Trentin, non si è limitato a ‘scortare’ i bimbi in classe, ma, in qualità di vicepresidente dell’Associazione corridori ciclisti professionisti italiani (Accpi), si è fatto portavoce, presso le istituzioni cittadine, delle richieste affinché i percorsi ciclabili possano garantire sicurezza a chi li percorre. Chiedendo al Comune di installare i cartelli di salvaguardia delle persone che vanno in bici promossi dall’associazione Io rispetto il ciclista e dalla Fondazione Michele Scarponi. Un’iniziativa che proseguirà.
A TORINO È L’ORA DEL ‘CICLO-BRUNCH’
Pai Bikery è cucina e officina, ‘fast bike & slow food’, come recita il motto che campeggia sul sito internet del locale. Situato in zona Vanchiglietta, via Cagliari, a Torino, è stato fondato nel 2013 da Arianna, Andrea e Daniel per essere innanzitutto un luogo di incontro. La cheescake è la punta di diamante di un ricco menu che spazia dal dolce al salato, dal té alla birra, ideale per fare un veloce spuntino oppure un brunch in compagnia. Location perfetta per musica live ed eventi, meglio se legati al mondo delle due ruote, Pai Bikery si caratterizza per un’accoglienza veramente da bike fetival. Si può, infatti, agevolmente passare dall’officina, dove far dare una bella registrata alla bicicletta, alla tavola per consumare il pasto tutti insieme. Un pizzico fuori dagli schemi e decisamente vintage nel suo gusto anni ’80 e ’90, Pai Bikery accoglie la clientela con cimeli appesi alle pareti e fotografie dagli anni d’oro del ciclismo. Qui la creatività è di casa ed è difficile che qualcuno esca senza che si schiuda in viso un bel sorriso.
GIRO D’ITALIA, PER LE DONNE C’È IL WORLD TOUR
Il Giro d’Italia Donne torna nel 2022 nell’Uci Women’s World Tour. “Una bellissima notizia che il Giro e tutte le atlete meritavano di ricevere e dà ragione alla nostra volontà fin da quest’anno di investire tutti i mezzi a nostra disposizione per dare il giusto valore a questo grande evento sportivo”. Così ha commentato la notiziadel ritorno nella massima categoria del ciclismo femminile Roberto Ruini, fondatore di Pmg Sport e direttore generale del Giro d’Italia Donne, la cui
32a edizione, la prima organizzata da Pmg Sport/Starlight, si svolge dal 2 all’11 luglio.
“Quando a febbraio di quest’anno abbiamo scelto di prenderci in carico questo progetto triennale, condiviso con Federazione ciclistica italiana, la nostra mission era proprio riportare il Giro nel Women’s World Tour. Dopo questa scelta di Uci, continueremo a dare sempre il massimo, sia in termini organizzativi che produttivi e di distribuzione media”.
IL CASCO CHE CHIAMA I SOCCORSI
Il casco ti salva la vita. Anche BIKE non smetterà mai di ricordarlo. Ma c’è un’innovazione che promette di farlo non soltanto in caso di impatto, dove i più innovativi sistemi di dissipazione della forza hanno già fatto passi da gigante. Tocsen di Uvex - un dispositivo che viene applicato ai caschi da enduro di fascia alta Quatro Integrale e Finale 2.0 – è un sensore d’urto che fa partire una chiamata d’emergenza e trasmette le coordinate Gps nel caso in cui il rider non sia in grado di farlo autonomamente. Il sistema con la relativa app per smartphone (Android e iOS) rileva infatti automaticamente la caduta e chiede al ciclista come sta. Se non risponde, allora effettua una chiamata di emergenza e trasmette le coordinate allertando i contatti personali di emergenza. Tocsen avvisa non solo i contatti di emergenza, ma anche l’intera comunità Tocsen nelle vicinanze dell’incidente.
LA BICI DEL RISCATTO
Una bicicletta può cambiare la vita a chiunque, ma ci sono certi luoghi del mondo in cui può davvero salvare una vita. È da questa considerazione che nasce World Bicycle Relief (Wbr), associazione no-profit che dal 2004 ha distribuito nel mondo oltre 540mila bici, stimando un impatto positivo sulla vita di quasi 3 milioni di persone. In principio fu lo tsunami nell’Oceano Indiano: i coniugi Day, fondatori dell’azienda di componentistica Sram, pensarono di aiutare le vittime inviando delle biciclette, mezzi ideali per percorrere le strade devastate dello Sri Lanka. L’esperienza li aiutò a comprendere come una semplice bici può avvicinare le persone tra loro e abbattere le distanze, percorse abitualmente a piedi, verso scuole, ospedali, mercati, pozzi d’acqua. Per incentivare questo miglioramento, nel 2008 Wbr ha progettato la Buffalo, una bicicletta quasi indistruttibile, predisposta per portare grandi carichi e che viene assemblata direttamente in Kenya, Zambia, Malawi e negli altri luoghi a cui è destinata, avviando così i meccanici del luogo a un nuovo lavoro. Il progetto di Wbr infatti va oltre la mobilità: è un’idea di riscatto e di emancipazione. Due obiettivi che la bicicletta aiuta da sempre a raggiungere.
Scopri di più sulle attività di World Bicycle Reliefin the end, all we have is our memories.
FUORICLASSE
IN Rete
LA MISSION DI RETELIT È CONNETTERE PERSONE, AZIENDE E TERRITORI AGEVOLANDO LA TRASFORMAZIONE DIGITALE CON INFRASTRUTTURE, COMPETENZE E SERVIZI.
L’AD FEDERICO PROTTO RACCONTA A BIKE VALORI E OBIETTIVI DEL GRUPPO ILLUSTRANDO LE RAGIONI CHE LO HANNO PORTATO SULLA MAGLIA DELLA SQUADRA DI LUCA SPADA, IVAN BASSO E ALBERTO CONTADOR
Per raggiungere i traguardi che contano bisogna mettere in campo passione e sacrifici, meglio se condividendo il percorso con affidabili compagni di viaggio con cui confrontarsi quotidianamente circa i passi da compiere verso l’obiettivo finale. Un amalgama di ingredienti della cui rilevanza strategica ha piena consapevolezza Federico Protto, dal 2015 amministratore delegato di Retelit, tra i principali operatori italiani di servizi digitali e infrastrutture nel mercato delle teleco municazioni, ogni giorno alle prese con le sfide poste dall’innovazione e dalle tecnologie informa tiche.
Eccellenza made in Italy nonché riferimento indiscusso per le aziende e gli enti pubblici che vogliono compiere definitivamente il salto nel futuro, Retelit è sponsor per il prossimo triennio del progetto ciclistico Eolo-Kometa, la squadra degli ex pro Alberto Contador e Ivan Basso (nove Grandi Giri vinti, tra Giro d’Italia e Tour de France, in due), che quest’anno ha fatto il suo debutto nel ciclismo che conta, partecipando per la prima
volta alla Corsa Rosa, dove è arrivato anche il primo storico successo di tappa con Lorenzo Fortunato che ha alzato le braccia sul prestigioso traguardo in cima al Monte Zoncolan. Il risultato perfetto per valorizzare una sponsorizzazione sportiva con cui distinguersi per comunicare valori e obiettivi.
“La passione per la bicicletta è per me una vo cazione tardiva”, confida a BIKE Protto, che ha iniziato a pedalare ‘seriamente’ durante le lunghe attese quando accompagnava la figlia alle gare di triathlon insieme ad altri papà. Poi la voglia di proseguire con gli studi per lei ha prevalso, ma ormai la “scintilla” nel cuore dell’uomo e del ma nager era scattata. “Ho preferito fin da subito la bici da corsa perché del ciclismo su strada amo la componente meccanica e la velocità”. Così come le numerose “occasioni di condivisione che la bicicletta sa offrire, nell’ambito dei rapporti per sonali e professionali”, e pure “i lunghi momenti di riflessione quando invece si pedala soli”.
Perché l’idea di scrivere il nome Retelit sulla maglia di un team ambizioso come quello guidato da Contador e Basso si trasformasse in realtà è bastato parlare con i due campioni: “È un team giovane che vuole fare bene, promuovendo, attraverso la Fondazione Contador, la pratica ciclistica tra i ragazzi e la lotta all’ictus, valori ed obiettivi che condividiamo”, spiega Protto. “Pro fessionismo e impegno sociale rappresentano un connubio da cui ci aspettiamo molto”. Il fatto che nel progetto fosse coinvolta anche Eolo, guidata del ceo Luca Spada, un’azienda del settore con cui Retelit collabora, ha rappresentato un plus di motivazione ulteriore.
Se il ciclismo, oltre a regalare emozioni, “connette strade, persone e territori”, ricorda l’ad di Retelit, “la società che ho l’onore di guidare si occupa di unire persone, aziende e territori per accompa gnare la trasformazione digitale”. Per farlo Retelit conta su un’offerta integrata che copre tutta la catena del valore dei servizi Ict e della digitalizza zione: dall’infrastruttura, con 16mila kilometri di
fibra ottica e un cavo sottomarino dal Mediterra neo a Hong Kong, alla gestione del dato; da una rete che copre centinaia di città sparse in tutto il mondo al cloud e tutte le sue più importanti applicazioni nella quotidiana operatività delle aziende che serve.
Tra i partner che hanno scelto Retelit ci sono, per esempio, primari player della sanità come il Gruppo San Donato, punti di riferimento mondiali nella moda e nell’arredo come Loro Piana e Pol trona Frau, la ‘Ferrari’ delle biciclette, Colnago, e operatori della mobilità di domani come Telepass. Ad affidarsi ai servizi digitali di Retelit ci sono anche le figurine Panini e i missionari del Pime. “Certamente i nostri asset (fibra ottica, data center, competenze e servizi) rappresentano un valore indiscusso per chi ci sceglie”, conclude Protto, “ma nella scelta che compiono, con tutta probabilità, pesano anche la nostra capacità di accompagnarli nel tempo, offrendo servizi su misura e soluzioni top di gamma”.
“Della bici da corsa amo la meccanica e la competitività, i momenti di condivisione e quelli in cui sei solo a pedalare”
/Lorenzo Fortunato sullo Zoncolan: primo successo in un grande giro del team che Retelit sponsorizza/Non può piovere per sempre
SENZA SICUREZZA STRADALE NON C’È MOBILITÀ VERAMENTE SOSTENIBILE. IL FRATELLO MARCO, RICORDA MICHELE SCARPONI E LA MISSION DELLA FONDAZIONE NATA IN SUA MEMORIA PER BATTERSI PERCHÉ NESSUNO DEBBA PIÙ MORIRE IN SELLA A UNA BICI
“Non può piovere per sempre” è una celebre frase di Brandon Lee, alias Eric Draven, ne Il Corvo, un film del 1994, che, in bocca a Michele, era diventata per tutti noi un vero e proprio tormen tone. Quasi un intercalare, ripetuto anche quando eravamo incollati alla tv di fronte a quel ‘dio’ sui pedali che rispondeva al nome di Marco Pantani, che scattava non appena gettata via la banda na e, più saliva, più aveva il volto dell’uomo che avremmo voluto essere, dentro le fatiche e i sogni di tutti. Con noi, anch’essi increduli e con le carte da briscola nelle mani, c’erano sempre nonna Elia e nonno Marino.
Michele, per ‘alleggerire’ il miracolo cui stavamo assistendo, poteva venirsene fuori con una bat tuta in qualsiasi istante. Ma quando ripeteva quel “Non può piovere per sempre”, a cui faceva se guire un’inconfondibile risata, era tutt’altro che un modo per sdrammatizzare: era piuttosto il segno inequivocabile della consapevolezza del proprio destino, il grido di battaglia, l’urlo liberatorio, una sorta di “Noi siamo” senza pari, un codice segre to che, forse, solo quelli come il Pirata potevano comprendere.
Ancora oggi mi chiedo che cosa gli occhi e il cuore di Michele abbiano visto, soprattutto fino a quale profondità, quando Pantani si manifesta va in tutta la propria essenza; oppure che cosa i suoi orecchi abbiano in realtà ascoltato quando
il nonno citava quel nome belga per la sua bocca quasi impronunciabile: Eddy Merckx, il Cannibale, era infatti per il nonno “Eddy Merkese”. Io trema vo al solo pensiero di un ciclista ‘mangiacorse’, un tiranno tanto crudele da non lasciare vittorie ai ri vali; Michele, invece, accoglieva, custodiva, faceva propri i nomi e le immagini e non ci vedeva niente di terribile in quel soprannome.
/Marco sulla ‘cima Coppi’ di Scarponi, la salita di Castelletta da Jesi, dove una targa lo ricorda/Michele era sempre in allenamento, anche se nes suno poteva saperlo, e quello di restare in ascolto, di nutrire il proprio spirito per metterlo in scia a quello dei grandi, era l’allenamento più misterioso a cui si sottoponeva. Era da lì, da dentro quella scia unica della storia d’Italia fatta in bicicletta, che Michele si metteva a guardare il mondo, era da lì che rideva, e più passano i giorni più ho la conferma che non abbia mai scherzato, come a molti ha voluto invece far credere.
Quando, qualche giorno dopo quel 22 aprile, mi sono ritrovato tra le mani un libro di Nazim Hik met, uno dei più grandi poeti del secolo scorso, e ho riletto quei versi senza tempo (“La vita non è uno scherzo, prendila sul serio…”) ho avuto come un primo risveglio, una prima vera conoscenza di chi fosse in realtà mio fratello e cosa avrebbe potuto ancora dare a tutti noi. Ma un secondo dopo il libro cadde a terra e ha iniziato a piovere, a piovere per sempre, e non c’era più alcun modo di andare dentro quei versi con una bussola o con una luce: nessun libro non si sarebbe riaperto per molto tempo. La morte, una tempesta di vuoto, si era scatenata con tutta la propria forza sulla mia famiglia. La morte vera, senza filtri. La morte di Michele, il più forte tra di noi.
La morte per violenza stradale si era presa Mi chele, senza pietà, senza avvertire, come in un mondo primitivo un predatore alfa assale quoti dianamente e uccide gli esseri umani. La violenza stradale è un predatore alfa: qualcosa di terribile, di violento, di vero, eppure è dovuta entrarci in casa, portarci via Michele e una grande fetta di futuro, per sempre, forse tutto, per riuscire a vederla chiaramente negli occhi e riconoscerla.
Ora abbiamo paura di dire ciò che abbiamo visto, abbiamo paura di dire ciò che vediamo ogni gior no, ci sentiamo in colpa per continuare a respirare mentre Michele non torna più e la violenza stra dale continua a uccidere bambini e genitori, ciclisti e automobilisti, motociclisti e camionisti, anziani e disabili.
L’8 maggio 2018, però, in un giorno di tregua, è venuta alla luce la Fondazione Michele Scarponi Onlus, con lo scopo di impegnarsi ogni giorno af finché nessuno muoia più come è morto Michele. Non so chi ci ha dato la forza di non restare per sempre a terra. I principi sanciti nel primo arti colo del codice della strada, la sicurezza stradale e la mobilità sostenibile, diventano così i nostri principi.
Mentre continua a piovere senza sosta, inizio un personale cammino in direzione opposta e contra ria, per dirla alla De André, il cui scopo è quello di salvare Michele attraverso ciò che Michele stesso continua a rappresentare: la voglia di vivere insie me nella condivisione di valori immensi.
Scopro nella bicicletta di Michele potenzialità infi nite, ma soprattutto vedo in lei il mezzo ideale di diffusione della pace stradale. Non ho più pedala to con mio fratello da quando ho superato i quat tordici anni, ora pedalo con chiunque e ovunque, non per gareggiare ma per incontrare e favorire un’altra mobilità, alternativa a quella dell’auto privata e per cercare Michele. Il 2019 è stato un anno di treni e di biciclette, di convegni, di incontri con gli studenti (ne ho incontrati più di diecimila); ho attraversato l’Italia per due volte da nord a sud e viceversa, ovunque ho conosciuto familiari di vittime della violenza stradale; è uscito il docufilm Gambe La strada è di tutti, a partire dal più fragile (disponibile su Amazon Prime) e non c’è stato un solo giorno in cui, sulla pagina Facebook della Fondazione Michele Scarponi, non sia arrivato un messaggio di un sinistro, di un ciclista insultato o investito, di tentati e veri omicidi stradali. Michele muore ogni giorno e io da solo non posso farci niente. Continua a piovere ininterrottamente.
In mezzo alla tempesta, però, conosco perso ne rare, in grado di indicarmi la direzione giusta, persone che trovano un senso vero nella Fonda zione Michele Scarponi, gente in grado di capire che il lavoro che stiamo svolgendo sta salvando vite. Con l’arrivo della crisi sanitaria e dei lun ghi lockdown ho meditato profondamente su cosa fare ancora e di più per fermare la violenza stradale, per Michele e la Fondazione Michele Scarponi. Il futuro, sempre sotto la pioggia ma con la consapevolezza che non potrà piovere per sempre, l’aveva già scritto Michele, io ho dovuto solo leggerlo.
Nel futuro della Fondazione Michele Scarponi c’è scritta in stampatello maiuscolo la parola ‘GRUP PO’. Sarà una squadra la fondazione Michele Scarponi Onlus, la squadra più grande e più forte che Michele abbia mai avuto e salirà in bicicletta per costruire l’infrastruttura più importante di cui ha bisogno questo Paese: la cultura della sicu rezza stradale, perché non ci può essere mobilità sostenibile senza sicurezza stradale. Così, forse, smetterà di piovere, anche se ciò che è successo non potremo mai accettarlo ugualmente.
*Marco Scarponi, fratello di Michele, è il segretario generale della Fondazione Michele Scarponi Onlus, intitolata alla memoria del campione nato a Jesi il 25 settembre 1979 e tragicamente scomparso il 22 aprile 2017, a Filottrano, mentre si allenava per il Giro d’Italia.
IL GIRO DA SOGNO
DI PAMBIANCO E QUEL TOUR ‘LASCIATO’
AD ANQUETIL
SESSANT’ANNI FA LO SCUDIERO DI BALDINI IN MAGLIA ROSA SUL TRAGUARDO DI MILANO. FU UNA SORPRESA E AVREBBE POTUTO PUNTARE ANCHE ALL’ACCOPPIATA CON LA GRAND BOUCLE MA PREFERÌ NON CORRERLA. LASCIANDO CHE I REDUCI DELLA CORSA A TAPPE ITALIANA SI CONTENDESSERO IL SUCCESSO IN FRANCIA
Quest’anno, per fortuna, la cadenza storica Giro-Tour è rientrata nella sua normalità. Mag gio, e dunque tarda primavera, per la Corsa Rosa vinta da Egan Bernal: fine giugno-inizio luglio, e dunque estate piena, per la Grande Boucle, ricol locata in calendario meno di quattro settimane dopo la fine della consorella d’Oltralpe.
Nel 2020 vedere il Giro difendere coi denti, a ottobre (e quindi due mesi oltre il Tour), la propria sopravvivenza dopo le 75 edizioni consecutive del dopoguerra ha fatto male al cuore. Pur suscitan do una grandissima ammirazione per gli organiz zatori e per chi era stato così bravo a portarlo a termine. Oltretutto, anche se la memoria di quel tipo d’impresa se n’è andata col Pirata ormai 23 anni fa, l’eventuale accoppiata vincente Giro-Tour sarebbe potuta avvenire solo a corse ‘invertite’ rispetto ai dettami della storia. Per chi non lo ricordasse i magnifici sette ad aver conquistato maglia rosa e maglia gialla nello stesso anno sono stati: per tre volte Eddy Merckx (1970, 1972, 1974), per due volte Fausto Coppi (1949, 1952), Bernard Hinault (1982, 1985) e Miguel Indurain (1992, 1993) e poi Jacques Anquetil (1964), Stephen Roche (1985) e appunto Marco Pantani (1998).
Per la verità – a cominciare dalla maglia rosa di quest’anno – sono ormai pochissimi i campioni che si cimentano in quel coraggioso duplice pro
getto che sembra diventare sempre più obsoleto. E ad essere sinceri, la maggior parte dei big – se chiamati a scegliere – optano sempre più spesso per quel Tour che evidentemente ritengono mag giormente prestigioso. O semplicemente più ricco. E pensare che una volta non era così: in qualche occasione, in una in particolare, non dico che la corsa francese venisse fatta con gli ‘scarti’ del Giro; ma certamente non gli fu preferita, tanto che si limitò a replicarne andamento e classifica. Con una sola differenza: il vincitore snobbò il Tour, che venne così conteso da tutti coloro che aveva sconfitto.
/Arnaldo Pambianco, in maglia Fides, fa ritorno a casa a Bertinoro dopo aver vinto il Giro d’Italia 1961 /I big dell’epoca c’erano tutti, ma proprio tutti! Compresi i cinque vincitori degli ultimi cinque Giri e quattro vincitori degli ultimi cinque Tour. Da Anquetil a Gaul (i due grandi favoriti), ma an che Nencini (trionfatore in Francia l’anno prima), Bahamontes, Baldini, Van Looy, Carlesi, Aldo Moser, Suarez (fresco vincitore della Vuelta), Poblet, Stablinnski, il già arrembante Taccone e i giovani Massignan e Battistini (i gioiellini della Legnano che avevano sbalordito tutti al Tour del 1960). E poi, fra gli outsider, c’era lui, Gabanì (che in dialetto romagnolo vuol dire ‘giacchettina’ a ricordo della povertà che non gli aveva consenti to per tanti anni di comprarsi una giacca nuova), cioè Arnaldo Pambianco, ex garzone di un fornaio, che fino ad allora era stato il più fedele scudiero di Ercole Baldini e al quale per l’occasione era stata ‘regalata’ una squadra. Era avvenuto infatti che il leggendario mecenate Giovanni Borghi, per ‘sistemare’ tutta la sua scuderia di corrido ri, aveva affiancato alla celebre Ignis di Baldini, Poblet, Nencini e quell’anno persino Bobet (per non parlare dei dominatori della pista Maspes, Terruzzi e Timoner), una formazione intitolata a un marchio minore della sua fabbrica: la Fides. Dunque una specie di ‘Ignis B’ che per distinguersi dalle famose maglie gialle del team primogenito, aveva vestito nientemeno che coi colori del Milan, sua grande passione calcistica (oltre al Vare se, ovviamente). La coincidenza, curiosa per gli appassionati a tutto tondo delle vicende sportive, era che in gara ci fossero anche una squadra con la divisa della Juventus (la Carpano di De Filippis)
e una coi colori del Torino (la Baratti del vecchio Conterno): cosa che ai giorni nostri sarebbe pro babilmente sconsigliabile, visto il ‘fanatismo’ che agita certe passioni.
Come detto Gaul e Anquetil, vincitori dei due Giri precedenti, erano favoritissimi: forse più il primo che il secondo, per la durezza soprattutto delle ultime tappe di montagna; anche se – vale la pena rammentarlo – Anquetil dal ’61 in poi avrebbe vinto quattro Tour consecutivi. Pambianco, invece, era un po’ il ‘pulcino nero’ della situazione, italiani compresi. Eppure si sentiva talmente bene che andò audacemente in fuga sin dalla prima tappa, piazzando fra sé e tutti i potenziali vincitori quasi un minuto e mezzo di ‘tesoretto’. Anquetil rimise in riga tutti dalla nona tappa, quando nella ‘sua’ specialità (la tappa a cronometro Castellana Grot te-Bari di 53 chilometri), rifilò distacchi abissali, a cominciare proprio da Pambianco, giunto a oltre quattro minuti.
Da quel giorno, però, il garzone del fornaio comin ciò il suo volo rosa: nella Ancona-Firenze, attaccò sul passo del Muraglione – suo storico traccia to d’allenamento – e trascinando nella pioggia un gruppetto di ardimentosi che gli si allearono strada facendo conquistò la maglia rosa. Quando tutti pensavano che l’avrebbe persa (e cioè nella terribile Vittorio Veneto-Trento), la difese coi denti, seppur attaccato da ogni parte. Quando non c’erano ormai più dubbi che Gaul e Anquetil lo avrebbero stritolato (e cioè nella tappa del lo Stelvio, innevato, del giorno dopo), lui lasciò sfogare e controllò il primo, ma soprattutto umiliò il secondo: e fu il trionfo! Classifica finale: pri mo Pambianco, secondo Anquetil a 3’45, terzo Suarez e 4’17, quarto Gaul a 4’22, quinto Carlesi a 8’08”, sesto Junckermann a 12’25. E memoriz zate questi nomi.
Benchè pressato da tutte le parti, Arnaldo – pur essendo in gran forma – non se la sentì di andare al Tour, un po’ perché i suoi programmi non lo prevedevano e un po’ perché allora la Grande Boucle era riservata alle ‘nazionali’ e certamente la squadra non sarebbe mai stata costruita su di lui (lui che, pure, aveva affrontato da grega rio l’accoppiata Giro-Tour dell’anno precedente piazzandosi settimo e contribuendo al trionfo di Nencini).
La maglia gialla del 1961 se la contesero dunque proprio i reduci del Giro, meno il suo vincitore. E la corsa finì con Anquetil primo, Carlesi secondo e terzo Gaul (quarto Massignan e quinto Jun ckermann). Confrontate la classifica con quella del Giro stesso. ‘Topi’ di lusso che avevano ballato senza il gatto-Gabanì. Altri tempi.
ORGOGLIO
TRICOLORE
VINCENZO NIBALI VERSO IL PASSO FINALE
DI UNA CARRIERA IRRIPETIBILE, FILIPPO GANNA SOGNA L’ORO OLIMPICO E GUARDA AI PROSSIMI OBIETTIVI. DUE SIMBOLI DEL CICLISMO AZZURRO A CONFRONTO
Sono dodici anni di differenza, più di quattromila giorni di distanza, quelli che separano l’anagrafe di Vincenzo Nibali, nato a Messina il 14 novembre 1984, da quella di Filippo Ganna, venuto al mondo a Verbania un 25 luglio del 1996. Due Giri, un Tour e una Vuelta, una Milano-Sanremo e due Lombardia spiccano nel palmarès del primo e ne fanno, a pieno titolo, una leggenda del ciclismo italiano; il secondo, con caratteristiche diverse, ha tutte le carte in regola per poterlo diventare molto presto.
Ganna festeggerà il suo compleanno durante le Olimpiadi di Tokyo, appuntamento dove si pre senta, insieme al portabandiera Elia Viviani, come l’uomo di punta della Nazionale, e dove, fresco venticinquenne, proverà a vincere l’oro nella prova a cronometro il 28 luglio e una settimana più tardi a fare risultato anche su pista, nell’inseguimento.
La disciplina della ‘corsa contro il tempo’ già lo ha aiutato a scrivere un pezzetto di storia recente: sono cinque, infatti, le cronometro consecutive vinte da Ganna al Giro d’Italia, divise in due edi zioni: Palermo, Valdobbiadene e Milano nel 2020, Torino e Milano nel 2021. Un record in cui ha superato quel ‘mostro sacro’ di Francesco Moser che si era fermato a quattro vittorie consecutive, per due volte in carriera. “Sarei contento di avere un’unghia soltanto della
classe di Moser”, ha detto una volta Top Ganna, come viene soprannominato il campione piemon tese che, dopo Tokyo, a settembre, sarà in Belgio per difendere il titolo mondiale, sempre nella prova a cronometro, di cui è campione in carica grazie alla vittoria di Imola lo scorso anno. Profes sionista dal 2017, il polivalente passista e pistard che corre per il team britannico Ineos Grenadiers, oltre al titolo iridato a cronometro su strada, su pista, conta già quattro titoli mondiali nell’insegui mento individuale (2016, 2018, 2019 e 2020), con tanto di record nel mondo in occasione del successo dell’anno passato. Se il 2020 è stato per Ganna l’anno della definiti va consacrazione, il 2021 potrebbe essere quello di un’auspicabile conferma, a maggior ragione se condita dal successo a cinque cerchi che un Pae se intero sogna (nella cronometro sarebbe il pri mo italiano a riuscirci). “Sta andando molto forte e in questi ultimi anni ha dimostrato una grande continuità”, dice di lui Nibali che, alla sua giovane età, era in piena ascesa e in procinto di vincere il suo primo grande giro, dando il là a una carriera eccezionale e ricca di successi. “Qualche volta ci siamo anche allenati insieme”, ricorda Vincenzo, “ed è stato piacevole, Filippo è un ragazzo molto solare”.
Il sogno di una medaglia olimpica è vivo anche nel cuore dello Squalo, che l’ha visto sfumare soltanto a pochi kilometri dal traguardo quando, a Rio 2016, cadde nella discesa di Vista Chinesa, uno dei suoi terreni di caccia preferiti, ma che quell’anno non lo portò al risultato sperato. Giunto all’appuntamento olimpico forte dei quattro gran di giri vinti (la Vuelta nel 2010, il Giro nel 2013 e 2016, il Tour nel 2014), il fuoriclasse siciliano sep pe cogliere quell’indesiderata battuta d’arresto come occasione di rilancio, bissando il successo del 2015 al Lombardia nel 2017 e conquistando un’indimeticabile Milano-Sanremo nel 2018 con un memorabile attacco sul Poggio e impreziosen do così il secondo tempo di una carriera unica. Una carriera quasi inavvicinabile, quella del messinese, che gli permette di avere, nel club dei
giganti, un posto già assegnato, quale che sarà il finale. Ganna, invece, proverà a ricavarsi il suo spazio nell’olimpo del pedale già con i risultati di quest’anno, sapendo però di avere gli anni migliori davanti a sé. Non soltanto in pista o nelle crono metro. “Guardando in prospettiva futura”, osserva attento Nibali, “un corridore come lui può ambire a vincere qualche classica importante. Una su tutte la Parigi-Roubaix”. Per quanto riguarda le corse a tappe, invece, “non credo siano il suo ter reno ideale: va forte in salita, ma ci sono corridori più forti. Il futuro – prosegue – è sicuramente dalla sua parte, vista la giovane età e i passi da gigante che ha fatto in questi ultimi anni. L’impor tante sarà non bruciare le tappe e andare step by step. È così che si costruiscono le grandi carriere”. E chi meglio di Nibali può dirlo.
LO SQUALO: “GANNA STA ANDANDO FORTE E HA CONTINUITÀ. PER ME PUÒ PUNTARE A VINCERE ANCHE LA PARIGI-ROUBAIX”
/Filippo Ganna con al collo la medaglia d’oro nell’inseguimento su pista ai Mondiali 2020/ /Vincenzo Nibali sul podio del suo secondo Giro d’Italia/GIRO D’ITALIA REWIND
LA CORSA ROSA, CHE L’ANNO SCORSO SI ERA ECCEZIONALMENTE DISPUTATA AD OTTOBRE, È TORNATA A DARE SPETTACOLO A MAGGIO. ECCO COME SONO ANDATI NELLE NOSTRE PAGELLE I CAMPIONI PIÙ ATTESI
L’edizione numero 104 del Giro d’Italia ha dato un segnale di rinascita. Tanta gente sulle strade, che ha trasmesse, nel rispetto delle regole, passione, emozione, voglia di accompagnare i corridori nella fatica. Da Nord a Sud un entusiasmo travolgente
in tutto il Paese, merito anche di un percorso ac cattivante e del fatto che i corridori hanno saputo interpretarlo al meglio. Le salite di Sega di Ala e Alpe di Mera sono già diventate iconiche. Il finale a Milano una garanzia. Ecco le pagelle di BIKE
EGAN BERNAL
Era il favorito e, da favorito, ha vinto. Ma non è stata una passeggiata. Prima i dubbi sulla tenuta della schiena, poi la strada a incoronarlo re. Ha fatto le prime due setti mane da padrone, vincendo a Campo Felice e a Cortina in maglia rosa. Poi ha te nuto, lavorando più di testa che di gambe e mostrando un acume tattico che lo ha reso leader vero. Mai in crisi profonda, a 24 anni ha già in saccoccia un Tour (2019) e un Giro (2021). Ed è già nella storia.
MATURATO
/Egan Bernal vince in maglia rosa sul traguardo di Cortina d’Ampezzo/10 108,5
DAMIANO CARUSO
È il vincitore morale del Giro. Dopo una vita da gregario (di lusso), corre una corsa rosa da campione, capitano della Bahrain Victorious dopo l’uscita di scena di Landa. Ha corso con intelligenza e gambe, con umiltà e coraggio e soprattutto ha fatto com muovere l’Italia, risvegliando antiche emozioni. Dobbiamo fare un monumento a questo ragusano umile e testardo (come dice la moglie Ornella), che sull’Alpe Motta ha vinto la tappa facendo tremare la montagna. Ha vissuto i 21 giorni più belli della sua vita sportiva. Ora, probabilmente, tornerà a fare quello che ha sempre fatto. Il gregario con l’anima del campione.
TRASCINANTEROMAIN BARDET
SIMON YATES
La sua tattica è stata (quasi) perfetta. Nascondersi il più possibile nelle prime due set timane e provare a spaccare il mondo nella terza. Il freddo, i problemi muscolari e una giornata storta sul Giau gli sono costati più del previsto in classifica, perché poi la rimonta si è rivelata più dura del previsto. La sua rinascita è cominciata sullo Zoncolan, è proseguita a Sega di Ala e ha raggiunto l’apice sull’Alpe di Mera. Voleva far saltare il banco nell’ultimo tappone, ma a quel punto la benzina era terminata e ha dovuto accontentarsi, si fa per dire, del terzo gradino del podio. È un attaccante e ha infiamma to la corsa.
PRINCIPE7,5 8
Il cambio di squadra sembre rebbe avergli fatto bene. La sua prima volta al Giro, a 30 anni, è stata infatti un’esperienza più che posi tiva. Bardet ha prima preso le misure al percorso e agli avversari, per poi lasciare il segno nella tappa di Cortina d’Ampezzo (dove è arrivato secondo dietro a Bernal) e in quella dell’Alpe Motta, con quell’attacco imprevisto che ha poi portato in paradiso Damiano Caruso. Insomma, c’è poco da rimproverargli.
GALLETTO
INEOS GRENADIERS
Dietro il successo di Bernal c’è la squadra più forte del World Tour, economicamen te (budget di 50 milioni), tatticamente e tecnicamente superiore a chiunque. Il bloc co italiano Ganna-Puccio-Mo scon è stato spaventoso, ma quello che ha combina to Daniel Martinez è stato superlativo. Il colombiano ha scortato la maglia rosa passo dopo passo, ha fatto delle salite incredibili per ritmo e carica emotiva e, fosse stato più libero, sarebbe forse finito sul podio. Monumento anche a Casroviejo mentre l’anello debole è stato Narvaez. Han no vinto pur senza Sivakov, ritiratosi dopo pochi giorni.
IMPRESSIONANTIJOÃO ALMEIDA
La Deceuninck Quick Step gli ha preferito Remco Evenepo el (senza voto), ma ha fatto male. Il portoghese ha preso una sbandata alla quarta tap pa, ma da lì non ha più sba gliato un colpo, recuperando via via terreno fino a chiudere al sesto posto (praticamente quinto, visto che ha perso la posizione da Martinez solo per centesimi di secondo). Ha dimostrato stoffa e, soprattutto, carattere. Ne sentiremo ancora parlare.
TIGNOSO
5
ALEKSANDR VLASOV
E HUGH CARTHYAldilà della posizione fi nale in classifica, il russo dell’Astana-Premier Tech e il britannico della EF Educa tion-Nippo sono accomunati da un rendimento che è stato decisamente sotto le attese. Avevano due squadre co struite intorno a loro, ma non hanno mai fatto un attacco e hanno potuto giocare solo sulla difensiva. Hanno affron tato tutte le montagne al loro passo, ma senza squilli degni di nota. Avrebbero dovuto movimentare di più la corsa.
FANTASMI
ITALIANI
Il bilancio dei corridori italiani recita sette vittorie di tappa con sei corridori differenti, undici secondi posti, e cinque giorni in maglia rosa. Più, ovviamente, il secondo posto finale di Caruso. La spedizione italiana al Giro d’Italia edizione 104 non è andata affatto male. Meritano una menzione e un voto alto, in particolare, Lorenzo Fortunato (vincitore sullo Zoncolan, prima vittoria in un grande giro per la Eolo Kometa), Andrea Vendrame, Alessandro De Marchi (due giorni in maglia rosa), Diego Ulissi, Umberto Marengo (spesso in fuga), Fabio Felline, Alberto Bettiol (magnifico a Stradella), Edoardo Affini e Mat teo Sobrero. Deludenti Matteo Fabbro, Davide Formolo ed Elia Viviani. Sfortunato Vincenzo Nibali, che onora il Giro fino alla fine.
PRESENTI
Ispirare, educare e incoraggiare tutti coloro che soffrono di diabete. Questa è la missione che il Team Novo Nordisk, la prima squadra al mondo di ciclisti professionisti tutti affetti da diabete di tipo-1, persegue dal suo esordio nel 2008 (quando si chiamava Team Type 1). Oltre alla voglia anche di responsabilizzare. Le comunità scientifiche, il mondo del ciclismo, le associazio ni, le persone comuni. Con oltre otto milioni di follower sui social (numeri da capogiro se con frontati con quelli di qualsiasi altra squadra World Tour), il team è nato dall’idea e sulla spinta di Phil Southerland, che ha chiamato con sé sulla barca da subito l’ex corridore Vassili Davidenko nel ruolo di team manager. Nel 2011, quando la squadra americana (la sede è ad Atlanta) è passata nella categoria Professional-Continental, al gruppo si è unito pure Massimo Podenzana, vincitore di una tappa al Giro e di una al Tour ma soprattutto una delle colonne portanti della mitica Mercatone Uno di Marco Pantani. “I primi anni abbiamo trovato problemi di inserimento con gli altri atleti”, raccon ta il Pode: “Ora tutti ci rispettano e per me è una soddisfazione lavorare con questi ragazzi. Stiamo crescendo bene. Oggi riusciamo a fare allenamen ti da 200 km con 5mila metri di dislivello. All’inizio della nostra avventura queste cose non era nem meno pensabile farle”.
L’obiettivo del Team Novo Nordisk, supportato dall’omonima azienda multinazionale danese che opera nel campo farmaceutico, ha partecipato in questi anni a centinaia di gare in tutto il mondo. Il primo obiettivo è sempre stato quello di man dare i propri ragazzi in fuga (Fuga è anche il titolo di un libro dedicato al team uscito nel 2020), rendendoli protagonisti di azioni memorabili. Su tutte le indimenticabili fughe alla Milano-Sanre mo, fiore all’occhiello di queste stagioni. In ben sei partecipazioni alla Classicissima di Primavera, il Team è sempre riuscito a piazzare i propri atleti nella fuga di giornata. Un piccolo record dalla
grande valenza sportiva ma anche simbolica, visto che la ‘vetrina’ di una corsa-Monumento come la Sanremo ha permesso di far vedere e conoscere le finalità della squadra in 200 Paesi in tutto il mondo. “In sette anni abbiamo preso parte a tan te gare importanti come Sanremo, Tirreno e Giro di Polonia dove siamo stati protagonisti in tante fughe”, ricorda Davidenko. “Viviamo ogni gara come un’opportunità per dimostrare che convive re con il diabete e fare sport ad alto livello è pos sibile. Il nostro sogno è partecipare ad un grande giro in futuro. Siamo consapevoli dei nostri limiti ma anche dei nostri punti di forza”.
Il 2021, per il Team Novo Nordisk, è un anno spe ciale, perché si festeggiano i cento anni dalla sco perta dell’insulina, farmaco che ha salvato milioni di vite dal 1921 ad oggi e che consente ai ragazzi della squadra di svolgere questo sport nella ma niera migliore possibile. “Abbiamo voluto celebra re questo anniversario così importante con una maglia speciale dedicata ai 100 anni dell’insulina”, spiega Alessandro Mantineo di Novo Nordisk
Italia. “Siamo orgogliosi di quello che abbiamo ottenuto fino a oggi ma non vogliamo assoluta mente fermarci. L’azienda crede profondamente a questo progetto, col team di ciclismo che vuole essere sempre di più un punto di riferimento e di esempio per migliaia di bambini e famiglie che devono affrontare questa situazione”. Il sogno si chiama Tour de France. Con pazienza, fiducia e sostegno siamo sicuri che anche questo traguar do, un giorno, diventerà realtà.
/Il team al completo per il training camp di inizio stagione/ IL TEAM NOVO NORDISK ALLE STORIE DI BIKE Alessandro Mantineo e Massimo Podenzana del team Novo Nordisk ospiti della ventiquattresima puntata de Le Storie di BIKE. Inquadra il QR Code per rivedere la puntataIL WES
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DOPO MONACO E BOLOGNA LA COPPA DEL MONDO PER E-MTB SI SPOSTA IN FRANCIA, SUL CIRCUITO DI CLERMONT-FERRAND, GESTITO DA UN ECOSISTEMA DI AZIENDE CHE PROMUOVONO LA TRANSIZIONE VERSO LE RINNOVABILI
Da Trapattoni a Yogi Berra, tanti saggi dello sport hanno diffidato dal parlare di competizioni chiuse e risultati acquisiti prima del tempo. Gli avversari di Jérôme Gilloux dovranno aggrapparsi ai loro insegnamenti. A Castiglione dei Pepoli, il comune del Bolognese che ha ospitato la seconda tappa della Coppa del Mondo Uci-Wes di mountain bike elettrica, il francese dell’E-Team Moustache ha allungato la striscia vincente aperta a Monaco: quattro vittorie in altrettante gare. Gilloux, piegato solo da Tom Pidcock al Mondiale dell’ottobre 2020, ha definito “durissimo” il tracciato, legger mente modificato tra gara 1 e 2: più tecnico nella versione del sabato, più salite in quella della do menica, giudicata più impegnativa dalla maggior parte degli atleti.
In entrambe le prove della competizione di cross country organizzata da World E-bike Series (Wes) e riconosciuta dall’Uci solo lo svizzero Joris Ryf ha saputo competere con Gilloux. “Ho voluto rischiare e ho provato ad attaccare nel tratto pianeggiante iniziale. A un certo punto ero riuscito a prendere un discreto vantaggio”, ha raccontato il 23enne del team Bergstrom, che ha però visto scappare il francese nei tratti più tecnici.
Sofia Wiedenroth, che aveva dominato le due
gare di Monaco in campo femminile, non ha invece potuto provare a emulare Gilloux: non si è infatti presentata a Bologna per un infortunio. Ne hanno approfittato le ultime due campiones se del mondo, Nathalie Schneitter (team Trek Bosch) e Mélanie Pugin (Bh). Schneitter ha vinto gara 1 e ha chiuso seconda in gara 2. Pugin, in maglia arcobaleno, si è invece imposta la domeni ca. Il giorno prima era stata frenata dalla rottura della catena a un giro dal termine e aveva dovuto tagliare il traguardo a piedi, in seconda piazza. Pugin comanda ora la classifica generale davanti a Karen Pepper (Lapierre), terza e quinta nella tappa appenninica.
Il settore maschile ha prodotto anche il primo po dio italiano della stagione 2021, grazie ad Andrea Garibbo. Lo spezzino del team Haibike, motoriz zato Yamaha, è stato terzo la domenica. Non è invece andato oltre un decimo posto in gara 1 e un 13esimo in gara 2 l’azzurro più titolato, Marco Aurelio Fontana (Focus Scuderia Fontana), bron zo ai Giochi olimpici di Londra 2012 nella mtb.
Vito Piarulli, organizzatore della tappa bolognese, ha dichiarato di avere trovato “grande potenziale” nelle mountain bike elettriche, “anche a livello di promozione territoriale per il nostro Appennino”.
VITO PIARULLI,
ORGANIZZATORE DELLA TAPPA
DI CASTIGLIONE DEI PEPOLI: “IN QUESTO EVENTO HO VISTO UN GRANDE POTENZIALE, ANCHE A LIVELLO DI PROMOZIONE DEL NOSTRO TERRITORIO”
Se il fattore campo può valere in una disciplina come la e-mtb, Gilloux e Pugin potranno sfrut tarlo per allungare in classifica il 17 e 18 luglio. In quel weekend i due avranno l’occasione di affiancare i loro nomi a quelli di Jackie Stewart, Jim Clarke, John Surtees, Mike Hailwood, Jarno Saarinen e Giacomo Agostini. L’unica competizio ne per bici elettriche sotto l’egida Uci farà infatti tappa sul circuit de Charade, a pochi chilometri da Clermont Ferrand. Il tracciato si trova alle pendici
Il circuit de Charade è oggi l’ultimo circuito auto mobilistico montano rimasto in Francia. È gestito dallo scorso anno da Green Corp, un ecosistema di aziende che promuovono la transizione verso le rinnovabili. Tra gli anni ’50 e ’70, ospitò quattro gran premi di Formula 1 e 11 prove del Motomon diale.
del Puy de Dôme, storico arrivo di tappa del Tour de France, battezzato da Fausto Coppi nel 1952. /Il circuito di Clermont Ferrand/ /Jérôme Gilloux taglia il traguardo di Castiglione dei Pepoli a braccia alzate/UN AMORE
COSÌ GRANDE
IL NUOVO ALLENATORE DELLA LAZIO, MAURIZIO SARRI, BEN PRIMA DI AVERE SUCCESSO NEL CALCIO, FU UNA PROMESSA DEL PEDALE. A TRASMETTERGLI LA PASSIONE PER LA BICICLETTA IL PAPÀ AMERIGO. PADRE E FIGLIO SI RACCONTANO A BIKE, DALLA RIVALITÀ CON CHIOCCIOLI ALLE AMICIZIE PIÙ BELLE
Figline Valdarno, provincia di Firenze, e Castel franco di Sopra, provincia di Arezzo, passando da Montalpero, distano sì e no 10 chilometri. Originario di Figline è un certo Sarri, coetaneo di Franco Chioccioli, che, invece, è di Castelfranco.
Ma chi da ragazzino riusciva a metterli d’accordo entrambi era Dante Morandi, un anno più vecchio di tutti e due. Morandi era di Raggioli di Pelago, una ventina di chilometri più a nord dei due ‘rivali’, verso il Casentinese.
Crescendo fu Chioccioli a fare carriera, almeno nel ciclismo, al punto di riuscire a vincere il Giro d’Ita lia nel 1991. Morandi, invece, si fermò a una vitto ria di tappa al Giro del 1980, un terzo posto alla Tirreno-Adriatico nello stesso anno e tanti onesti piazzamenti. Ma proprio nei giorni di Chioccioli trionfante in rosa, Sarri – Maurizio Sarri, perché nella nostra storia non è il solo a portare questo cognome –, che alla bici aveva preferito il pallone,
chiudeva la sua prima stagione da allenatore con lo Stia per poi passare alla Faellese. Al suo primo scudetto mancavano circa trent’anni. Tre decadi durante le quali non avrebbe mai smesso di ama re le due ruote.
“Quando chiamo Davide Cassani, in genere il gior no prima di una tappa importante del Giro o del Tour, se stiamo al telefono un’ora (e succede!) per cinquantacinque minuti parliamo di ciclismo, non più di cinque di calcio. E solo perché sul discor so ci va lui”, confida Maurizio. “E gl’ha ragione!”, interviene stentoreo l’altro Sarri, ‘the original one’. Amerigo, classe 1928, forte come una roccia e vispo come una volpe canuta. “Il suo sport ‘vero’ gl’era il ciclismo”, precisa. “Se m’avesse dato retta avrebbe continuato a correre in bicicletta. E a vincere. Invece niente: gl’aveva in testa solo il calcio, lui!”.
Maurizio sorride. Il babbo è così: prendere o la sciare. Da pochi mesi lo ha convinto che sarebbe meglio lasciar perdere con la bicicletta, almeno per strada; ma i rulli proprio non gli garbano. Pun to. Amerigo comunque li fa, indossando la maglia di Nibali. E brontola. Brontola e sorride sotto due occhi furbissimi. “Maurizio vinse tre corse, ma ne avrebbe potute vincere molte di più”, rammenta. “Giòcati meglio gli ultimi 200 metri”, gli diceva, ma niente: “Il Chioccioli lo poteva battere quando voleva”.
Amerigo di ciclismo ne sa parecchio. Cominciò a correre, dopo la guerra, su strade che… di fatto non c’erano ancora. E vinceva, vinceva spes so: trentasette gare fra i dilettanti, grazie a uno spunto da Cannibale. Poi il salto fra gli ‘indipen denti’, che allora erano come dei professionisti in attesa di una squadra. Partecipò anche a due Giri di Lombardia e a tante altre gare. Tutto questo mentre Fusto Coppi stava esplodendo e per il suo amico Gino Bartali cominciava, invece, il declino. Indeciso fra la carriera da corridore e il lavoro, per mettere su famiglia, a 25 anni si arrese. Quando, non tanto tempo dopo, Gastone Nencini, il Leone del Mugello (l’amico più caro che ha avuto nel mondo del ciclismo assieme a Bruno Tognaccini e ad Alfredo Martini), gli propose di entrare in squadra alla Chlorodont per dargli una mano a vincere il Giro d’Italia, disse l’ultimo no. E di quello – almeno per come ne parla – forse si è un po’ pentito.
“Pensa quanto ciclismo ho mangiato nella mia vita”, interviene Maurizio. “Già aveva corso mio nonno Goffredo; e io con un babbo così non avevo scampo. Mi ha cresciuto a pane e due ruote”. Tut te le domeniche, padre e figlio, erano su qualche circuito per allievi o giù di lì. “Un giorno mi indicò un ragazzino del Nord, che era venuto a imparare a correre in Toscana, al ‘Bottegone’, ricorda Sarri. “Si chiamava, e si chiama, Francesco Moser, per il quale maturai un amore feroce”.
“Per questo – lo interrompo –, quando qualche anno fa te lo portai nel ritiro del Napoli a Dimaro, ti fece tanto piacere vederlo…”. “Piacere?”, rilancia: “Ma non ti ricordi che mi tremavano le gambe?
Io gli regalai la maglia della squadra, lui contrac cambiò con una magnum del suo vino più famoso, il 51.151, che poi è la distanza percorsa, in chilo metri, a Città del Messico quando fece il record dell’ora. Che emozione!”.
“Il babbo mi faceva divorare tutto ciò che c’era di ciclismo in tv”, prosegue il Sarri allenatore. “Il primissimo ricordo veramente lucido che ho è quello di Gimondi che vince il suo primo Giro d’I talia schiantando Anquetil sul Tonale e sull’Aprica. Diventò il mio idolo, anche se poi il vero amore fu proprio Moser”.
“Ma secondo te – gli domando io – i calciatori si rendono conto di essere dei privilegiati di fronte alla fatica vera che fanno i loro colleghi ciclisti?”. Risponde: “Io credo che nessuno di noi, davanti a un televisore, abbia la percezione esatta della sofferenza di un ciclista”. E aggiunge: “Sono cam biate le strade, sono cambiate le bici, sono cam biati i criteri di allenamento, ma resta sempre una fatica immane. Nel ciclismo vincono tutti quelli che arrivano al traguardo”.
Non so resistere e gli faccio subito un’altra domanda. “Quando sei in ritiro in albergo con la tua squadra, fra una partita di campionato e una corsa ciclistica, cosa scegli di guardare in televi sione?”. Nessun dubbio. “La gara di ciclismo, per tutta la vita!”, sentenzia. “A volte mi deve venire a chiamare il massaggiatore e non è detto che gli dia udienza”. Intanto Amerigo annuisce. Qualcosa, almeno qualcosa, Maurizio lo ha imparato. Guarda solo, con un po’ di sospetto, la sua e-bike e quella di Marina, parcheggiate nel cortile. Quelle, davve ro, non gli vanno ancora giù.
Le strade della vita ora – dopo Napoli, Chelsea e Juventus – lo hanno portato ad allenare una squadra dalla maglia biancoceleste, proprio come i colori della celebre divisa Bianchi di Coppi. E da quale società fu tesserato il grande Fausto quando, magro e affamato, tornò dalla guerra, muovendosi nel centro-sud alla ricerca di un ingaggio? Dalla Lazio, che aveva una sezione di ciclismo. E così il cerchio si chiude. E Amerigo sorride.
/Un successo di Amerigo Sarri. A destra in maglia Olmo/La ciclovia che unirà l’Europa
Pubblichiamo per gentile concessione dell’autore un articolo originalmente contenuto nell’edizione numero 59 della newsletter Altre/Storie, curata da Mario Calabresi, dedicato alla Ciclovia del Sole in occasione dell’inaugurazione del tratto Mirandola-Bologna
Ci sono fatti terribili che nel tempo producono anche cose buone e ci sono giorni in cui accadono cose apparentemente piccole ma di cui possiamo subito intuire le conseguenze. Questa settimana mi sono trovato all’incrocio di queste due traiet torie. È accaduto alla Bolognina di Crevalcore, in quella piccola stazione dove il 7 gennaio del 2005, in una mattina di nebbia, un treno regiona le carico di passeggeri si scontrò con un convoglio merci. Persero la vita 17 persone. Quella linea fer roviaria a binario unico ora non esiste più, è stata rimossa, al suo posto si srotola un nastro di gra niglia rossastra su cui correranno solo biciclette. Il secondo fatto è che questo frammento di pista ciclabile emiliana, appena inaugurata e che porta
da Mirandola alle porte di Bologna, si collega a un percorso chiamato ‘Ciclovia del Sole’ che lungo 7400 chilometri congiungerà Capo Nord a Malta, percorrendo tutta l’Italia.
Verrebbe da dire che la bicicletta potrebbe fare gli europei più di quanto non sia riuscita a fare fino ad oggi l’Europa intesa come istituzione. Ma soprattutto mi è chiaro quali saranno le con seguenze: l’apertura di un percorso che porterà un flusso di cicloturisti nel nostro Paese, che scendendo dal Brennero lungo la Valle dell’Isarco arrivano a Verona, poi proseguono fino a Man tova, a Bologna e presto potranno attraversare l’Appennino fino a Firenze.
IL NASTRO DI GRANIGLIA ROSSASTRA CHE PORTA DA MIRANDOLA A BOLOGNA INTEGRA LA ‘CICLOVIA DEL SOLE’ CHE LUNGO 7400 CHILOMETRI CONGIUNGERÀ CAPO NORD A MALTA, PERCORRENDO TUTTA L’ITALIA
La forza di questo progetto è quello di far co noscere un’Italia che non è solo quella delle città d’arte, ma è fatta di un territorio prezioso dove ogni dieci chilometri cambia il modo di cucinare, di parlare e la storia. Di farlo in modo lento e appro fondito, dove le sensazioni ti restano sulla pelle. E di aiutare un nuovo sviluppo economico legato a un turismo nuovo e promettente.
La parte emiliana della ciclovia si divide in tre mondi: la pianura dal Po, Bologna e la collina della valle del Reno fino al crinale toscano. Su Bologna non dirò nulla, la conosciamo e sappiamo quanto fascino abbia. Anzi mi correggo, non la cono sciamo e non sappiamo mai abbastanza quanto fascino possa avere, e quindi rimando alla sua scoperta ogni fantasia.
La parte di pianura è quella che inizia dal Po e dopo una ventina di chilometri percorre la silen ziosa ma drittissima ex ferrovia Verona-Bologna per circa 50 km. Qui tutto è mite. La pianura, il paesaggio, i paesi, lo scorrere semplice e sicuro perché protetto da un fuso dritto dove passano solo le bici. E in questa rilassatezza è possibile parlare con i propri compagni di viaggio, guardare il paesaggio, e pedalare pigramente fra campi e
centri storici facilmente belli e ricchi di socialità, cultura, servizi.
Secondo Alessandro Delpiano, ingegnere filosofo che guida l’Area Pianificazione della città me tropolitana di Bologna, “il cuore dell’Emilia batte più qui che lungo la Via Emilia o in qualsiasi altra parte della regione”. È la terra che Marco Belpoliti, come scoprirete sempre in questa newsletter, racconta nel suo ultimo libro Pianura.
Attraverserete i ponti in metallo dell’ex ferrovia, zone paludose con canneti e prati umidi, scoprire te Mirandola, che ha ancora una pianta ottagona le grazie al fatto che era una fortezza rinascimen tale, San Felice sul Panaro, già feudo di Matilde di Canossa, il centro storico porticato di Crevalcore, San Giovanni in Persiceto fondata dai Longobardi con la torre civica medioevale e uno dei carnevali storici più antichi d’Italia.
A San Giovanni c’è una piazzetta, in fondo a via Betlemme, le cui case sono state dipinte a trompe l’oeil da Gino Pellegrini un famoso scenografo hollywoodiano che ha collaborato a film come 2001 Odissea nello Spazio di Kubrick e Gli uccelli di Hitchcock.
/La Ciclovia del Sole vista dal drone/Lungo questa strada incontrerete una gran quantità di sagre, feste popolari, mercati contadini e piccoli musei di ogni genere e tipo. Per non parlare della festa della ‘gola’: lasagne, tagliatelle, tortelloni e tortellini rigorosamente in brodo, e poi i salumi, il parmigiano reggiano e le crescentine.
Poi, dopo Bologna invece arriva la Collina e la Montagna. E qui le cose cambiano. Qui non basta più solo il sentimento, qui prevale l’emozione. Questo avviene perché la Valle del Reno è uno scrigno straordinario di originalità, a partire dal fatto che è il luogo dove Guglielmo Marconi ha fatto la scoperta più importante della contempo
raneità. Per ora il tratto da Bologna al confine con la Toscana è in gran parte su strada, ma nel giro di un paio d’anni promettono che verrà completa ta la pista protetta anche qui.
Il percorso passa dalla chiusa storica di Casalecchio, un muro di mattoni che fece di Bologna la città più dotta e ricca d’Europa, dal ponte sospeso di Vizzano, fino a Sasso Marconi e a Marzabotto, paese martire della Resistenza con la sua Casa della Memoria.
Ci sarà molto da pedalare, ma chi ad un certo punto dovesse cambiasse idea sappia che ogni dieci chilometri c’è una stazione ferroviaria.
Buon viaggio per quando torneremo tutti ‘bianchi’.
/Il percorso della Ciclovia del Sole da Mirandola a Bologna/LA BICICLETTA POTREBBE FARE GLI EUROPEI PIÙ
QUANTO NON SIA RIUSCITA A FARE
AD OGGI L’EUROPA COME ISTITUZIONE.
/Davide Cassani, ct della nazionale italiana di ciclismo, percorre la Ciclovia del Sole/ /Il Ponte Vizzano a Sasso Marconi/PARTIRE RESTANDO
DALL’ESORDIO DELLA PANDEMIA SEMPRE PIÙ ITALIANI SCELGONO DI TRASCORRERE LE VACANZE ALL’INTERNO. UN’OCCASIONE DA NON LASCIARSI SCAPPARE, COME HA FATTO IN UMBRIA LA FAMIGLIA COTARELLA CHE, INSIEME AL TURISMO ‘INCOMING’, HA RISCOPERTO QUELLA GRANDE RISORSA CHE È LA BICICLETTA. PROMUOVENDO ITINERARI ENO-GASTRONOMICI
In Famiglia Cotarella c’è voglia di ripartenza. E con la bella stagione l’azienda vinicola che ha sede a Montecchio (Tr) si è ulteriormente attrezzata per organizzare itinerari e percorsi all’interno della tenuta, nel pieno rispetto delle normative an ti-Covid, per riportare i visitatori nelle strutture, dando così un segnale di speranza in un momento ancora difficile per il Paese.
Famiglia Cotarella ha origini ben radicate nella terra che l’ospita, dove l’Umbria confina con il Lazio. Nata nel 1979 come Falesco, è l’esito di un progetto enologico dei fratelli Renzo e Riccar do Cotarella che volevano restituire dignità a un territorio, dal forte potenziale ma purtroppo per molti anni dimenticato, puntando sulla produ zione di grandi vini di altissima qualità. Nel 2017 poi, con l’ingresso di Dominga, Marta ed Enrica Cotarella, è approdata la terza generazione alla guida dell’azienda, che ha scelto di puntare sul brand Famiglia Cotarella, che racchiude, oltre a Falesco (per i vini della tradizione), anche Cota rella (per i top di gamma), Intrecci (l’Accademia di
Alta formazione di Sala, prima scuola in Europa esclusivamente dedicata all’arte dell’accoglienza ristorativa) e Liaison (marchio per la distribuzione di Champagne Alexandre Filaine e Vilmart).
Le tre sorelle – in realtà sono cugine ma il senso della famiglia è tra loro, che sono cresciute in sieme, fortissimo – guidano l’azienda, ciascuna in virtù della propria specificità professionale, in modo assai innovativo e contemporaneo, an che per quanto riguarda la produzione del vino, ispirato dal loro territorio: Dominga è diretto re commerciale e marketing, Marta è preside della scuola e responsabile contabile, Enrica alla creatività e pubbliche relazioni. “Noi tre sorelle pensiamo che non bisogna mai lasciarsi abbatte re perché c’è sempre la possibilità di tornare alla vita”, confida Dominga a BIKE. “Bisogna avere la forza di resistere, riorganizzare il lavoro e l’azien da. La pandemia, per esempio, ci è servita da insegnamento anche per esplorare nuovi scenari, come nel caso del turismo ‘incoming’” quello degli italiani che scelgono di rimanere in Italia.
“Nel 2017 abbiamo inaugurato una fattoria didat tica inclusiva”, ricorda Dominga, “la Fattoria Tellus, dove le famiglie, ma anche le scuole, venivano a trascorrere intere giornate all’aria aperta, tra l’or to e la vigna didattica, lo sport e il contatto con gli animali, i laboratori di cucina e sensoriali”. Accolte da un’ottima ‘colazione del contadino’ a pane e olio, pane e pomodoro, ciambellone fatto in casa con uova di gallina del posto, latte fresco e spre muta di stagione, “le persone che ci facevano vi sita potevano anche fermarsi per pranzo, sempre con prodotti del territorio, a kilometro zero”. Con l’emergenza pandemica tutto si è interrotto, “ma da metà giugno”, prosegue, “abbiamo riaperto le porte di casa, per dare la possibilità a chiunque lo desideri di tornare a vivere simili esperienze”. E c’è di più. “Ci siamo accorte che il cicloturismo è una realtà che sta prendendo sempre più piede”, constata Dominga, “e così abbiamo deciso di inve stire su sei biciclette a pedalata assistita di Mbm modello Maui, con tanto di caschetto coordinato, per permettere alle persone di esplorare il nostro territorio in un modo nuovo”.
Pedalare tra i vigneti può essere infatti un’espe rienza persino romantica, non solo istruttiva. Tra dolci pendii e paesaggi impregnati di tradizione si arrivano a conoscere le uve da cui si producono i vini più pregiati, le tecniche di coltivazione; natu ralmente è possibile anche degustare le eccel lenze della casa. Durante i weekend da giugno a ottobre, anche nei giorni infra-settimanali di luglio e agosto, compatibilmente con le disposizioni in vigore, è possibile fare tour tra i vigneti, percor
rendo le strade in bicicletta a pedalata assistita. Un’occasione davvero unica di mobilità realmente sostenibile, alla scoperta del territorio. Diversi gli itinerari suggeriti, che si differenziano per difficoltà: tra i vitigni del Merlot, per esempio, o del Roscetto, del Syrah, fino a vicini deliziosi borghi di Montecchio e Castiglione in Teverina, sede dell’Accademia Intrecci (dove è possibile fare corsi specializzati ad hoc sul vino) che sorge all’in terno del Museo del vino (visitabile su prenotazio ne). Dopo la biciclettata la degustazione in cantina è d’obbligo ma c’è anche la possibilità di fare un pic nic tra i vigneti o organizzare pranzi al sacco da porre nel cestino delle bici, ricco di prelibatezze tipiche umbre. Tutte le visite sono coordinate da Enrica Cotarella e ideate dallo staff della Cotarella & Chiasso, che è condotto da Pier Paolo Chiasso, enologo dell’azienda. Un’offerta ampia e variegata di proposte da con dividere in coppia, con gli amici o in famiglia, per vivere momenti di relax, all’aria aperta e in tutta sicurezza, all’insegna della cultura del buon bere e dell’enogastronomia semplice ma ben fatta. Un’e sperienza da vivere immersi nel paesaggio dei vigneti e dei boschi, seduti all’ombra degli alberi, avvolti dai colori caldi del tramonto. Un’occasione imperdibile per tornare alla normalità, al contatto con la natura e riscoprire il gusto della convivialità, lasciandosi incantare e cullare dalla magia e dalla bellezza dell’Umbria. L’unico modo per conoscere veramente un vino, infatti, è quello di andare lì dove il vino nasce, sul territorio.
FUGA CON GUSTO
Una terra di vini pregiati, dolci colline e strade tutte da pedalare. Si potrebbe descrivere così, in modo sintetico, la micro-regione delle Langhe e del Roero, una delle più incantevoli d’Italia, tra le più amate dai turisti stranieri, americani in testa. Alba, provincia di Cuneo, è il ‘capoluogo’ di questo magnifico territorio, che dista solo 30 km da Asti e 60 da Torino e la cui magia alberga nei tanti piccoli borghi da scoprire, con castelli e manie ri (molti dei quali privati e trasformati in relais extra-lusso) immersi tra vigneti di rara bellezza. Sono belle in ogni stagione le colline delle Lan ghe anche se, forse, esprimono il loro più grande potenziale a settembre e ottobre quando l’uva è matura e i colori sono pieni e intensi.
Non c’è modo migliore di esplorare questa terra che una bella ‘gita’ in bicicletta. E perché non par tire proprio da Baraccone per arrampicarsi imme diatamente verso Magliano Alfieri, che dal 2007 fa parte del Circuito degli otto castelli, meglio noto come ‘Castelli Doc’, insieme a Grinzane Cavour, Barolo, Serralunga d’Alba, Govone, Roddi, Mango e Benevello. Le pendenze viaggiano fra il 5 il 10 per cento, utili per scaldare la gamba e per arri vare in cima e dare una prima sbirciata dal punto panoramico che c’è vicino alla chiesa principale. Virando leggermente verso l’interno e passando con qualche saliscendi da Castellinaldo e Casta gnito, si arriva poi a Guarene, borghetto delizioso con l’antico castello di stampo juvarriano, oggi trasformato in un hotel a cinque stelle.
Continuando a rimanere sulla parte destra della vallata, provenendo da Asti, si può pedalare fino a Santa Vittoria, altro balcone notevole sul ter ritorio, fino a scendere su Pollenzo, antica città romana fondata nel II° secolo a.C. e famosa per la Chiesa di San Vittore e per la splendida Universi tà degli Studi di Scienze Gastronomiche, nata nel 2004 e gestita sotto l’egida di Slow Food. Dopo un’obbligatoria sosta fotografica il consiglio è di salire a La Morra. Sono sei km di ascesa molto pedalabili e che portano a poco più di cinquecento metri d’altitudine. Dalla piazza principale si gode di un panorama che, se non è il più bello della zona, poco ci manca. Gli occhi si perdono nei vigneti, ma in sottofondo c’è anche il profilo delle Alpi occi dentali, dominate dalla sagoma del Monviso. Una cartolina meravigliosa.
Da La Morra si va in picchiata su Barolo, il ‘borgo-bomboniera’ che da il nome all’omonimo vino rosso. Da visitare il castello, di cui fu ospite anche Silvio Pellico. A metà strada fra La Morra e Barolo, invece, meriterebbe una sosta la colora tissima e originalie ‘Cappella del Barolo’, edificio mai consacrato e pitturato in modo alquanto estroso da Sol LeWitt e David Tremlett nel 1999. Ci si arriverebbe meglio con una mountain bike, a dire il vero, ma con un po’ di predisposizione alla sofferenza (le pendenze sono veramente toste se si viene da Barolo) e la voglia di affrontare lo sterrato si può fare anche con quella da strada.
Chi decide di pedalare nelle Langhe deve farlo con il cuore, seguendo l’istinto e le indicazioni, sul momento, più ispirano l’animo. Per esempio, da Barolo è possibile proseguire per Serralunga d’Al ba, un’altra ‘chicca’ da non perdersi, e poi adden trarsi verso Sinio e Montelupo Albese, pedalando lungo la suggestiva Via dei Bricchi (6-7 km con qualche strappetto ma fattibile). Dalla terrazza del paese si gode di un altro panorama incantato e da immortalare. È uno dei punti più alti della zona. E da qui ci si può lanciare in discesa sfiorando Diano d’Alba per fermarsi a Grinzane Cavour, dominato dal castello medievale sede dell’enoteca regionale.
Il borgo rende omaggio a Camillo Benso Conte di Cavour, che di Grinzane fu sindaco per ben 17 anni. A questo punto si è a una manciata di km, in discesa e pianura, da Alba, capitale del tartufo bianco e una volta denominata la città delle cento torri, anche se oggi ne restano poche.
Il centro di Alba è perfetto per un aperitivo in compagnia. Ma il nostro giro nelle Langhe non è ancora concluso: ributtandosi sulle colline si può
fare una bella salita di 3 km (con pendenze fra il 6 e il 10 per cento) e arrivare a Treiso; da lì scen dere a Neive, borgo medievale tenuto benissimo e pieno di ristorantini dove venire a mangiare a pedalata conclusa. Prima però di completare l’anello vale la pena transitare da Barbaresco, celebre paese che dà il nome all’altro vino rosso conosciuto in tutto il mondo e per la sua torre, su cui salire e gustarsi una bella veduta su tutta la valle e le colline circostanti. Tornando a Baraccone il contachilometri segna 115 km, per oltre 2mila metri di dislivello. Ma le varianti sul tema possono essere infinite, a seconda della voglia che si ha, dell’allenamento e del tempo a disposizione. Le Langhe, infatti, sono un paradiso enogastronomi co e lo sono anche per chi ama la bici. Con salite mai troppo lunghe e mai troppo impegnative. Solo un consiglio, in conclusione: nei mesi estivi evitate i giorni più caldi. Le salite, infatti, sono scoperte e ben esposte al sole. Ma chi pedala nelle Langhe, questo è certo, si innamora. Le Langhe sapranno come rapirvi.
L’ALTRA
STRADA BIANCA
DALLE ALPI AL MEDITERRANEO PERCORRENDO L’ALTA VIA DEL SALE, TRA PAGINE DI STORIA E 2MILA DIVERSE SPECIE BOTANICHE. UN ITINERARIO PERFETTO PER GLI AVVENTURIERI DELLA MOUNTAIN BIKE, CHE ANCHE I MENO ESPERTI POSSONO PORTARE A TERMINE
Dalle Alpi piemontesi al mare, attraversando una spettacolare strada bianca dalla doppia anima: una più dolce, l’altra più ostica.
È ‘L’alta via del sale’, così chiamata per il pre zioso minerale trasportato per secoli a dorso di mulo attraverso questi monti, una delle proposte paesaggistiche che forse mette i cicloturisti più a dura prova. É una strada sterrata ad alta quota, un tempo strada militare, che ogni anno richiama biker, italiani e stranieri, che da qui partono, in mountain bike o anche in sella a una e-bike, diretti verso il Mar Ligure.
Il percorso si sviluppa tra il Piemonte e la Liguria, appunto, con qualche sconfinamento in Francia, itinerari dove la biodiversità è forse il dato che più colpisce, passando da piccoli borghi ad ambienti incontaminati che mutano a vista d’occhio, man mano che la pedalata si fa più leggera: dal Parco del Marguareis fino al Parco delle Alpi Liguri, pas sando per il Bosco delle Navette.
Erik Rolando, istruttore nazionale della federa zione ciclistica italiana e accompagnatore ciclo turistico della Regione Piemonte e di Cuneoalps, guida con l’immaginazione il lettore di BIKE lungo questo spettacolare pezzo d’Italia raccontando nel dettaglio i tratti che lo compongono. L’itinerario classico parte dal Colle di Tenda, il valico sopra Limone Piemonte. Qui lo sguardo corre dal Monte Rosa direttamente al mare. Da una parte la pro vincia di Cuneo, dall’altra la valle Roya in Francia.
Per raggiunge l’estremo Ponente ligure sono circa 100 chilometri.
“Percorrere l’Alta via del sale è un po’ come sfo gliare le pagine, i capitoli, di un libro”, spiega Erik, ricordando come i due parchi naturali, quel del
Marguareis e quello delle Alpi Liguri, ospitino una vastità notevole di specie botaniche: “Circa 2mila – precisa – in un piccolo lembo di territorio che conserva però un patrimonio unico”. Quello che viene descritto è un ambiente che cambia molto, dalla roccia al bosco, dalle grotte ai pascoli fino ai pini silvestri e all’azzurro di Ventimiglia. Un viaggio tra le sfumature cromatiche delle Alpi e i profumi del Mediterraneo.
Se accompagnati da una guida, facendo qualche breve digressione, è possibile passare nei forti ot tocenteschi o percorrere la batteria 605, definita come il bunker sotterraneo più esteso del Vallo Alpino Italiano, fino ad affacciarsi sul Balcone di Marta (a circa 2mila metri). Ci sono poi i borghi in pietra della provincia di Imperia: Pigna, Dolce acqua e Camporosso, veri e propri monumenti a cielo aperto. In totale fanno quasi dieci ore in sella, che Erik consiglia di dividere in due giorni, “per godersela maggiormente”.
“In tanti si fermano al primo rifugio, a circa 25 chilometri dal punto di partenza”, osserva Erik.
“Altri invece si spingono fino al fil di cresta, quasi a toccarne le cime: ma è il caso di ciclisti super esperti, il sentiero infatti è stretto e bisogna fare molta attenzione”. Importante conoscere alcuni dati tecnici: il tratto apre nella terza decade di giugno e resta aperto fino alla prima decade di ottobre. C’è un pedaggio di 15 euro e il traffico è aperto a un numero limitato di moto e auto.
Ci sono poi due giorni di chiusura al traffico veicolare che dal 2019 sono il martedì e giovedì. Tutte le informazioni utili si trovano sul sito altaviadelsale.com.
LO
I segreti delle PARABOLICHE
LE CURVE CON APPOGGIO NON SI INCONTRANO SOLTANTO NEI BIKE PARK. ECCO QUALCHE SUGGERIMENTO PER IMPARARE A GESTIRE LA BICI SULLE SPONDE
Le curve cosiddette ‘in appoggio’ o ‘con la sponda’ si incontrano prevalentemente nei bike park, dove i percorsi naturali sono sempre plasmati dall’in tervento dell’uomo. Capita però, e non di rado, di imbattersi anche lungo un sentiero in alcune sponde formatesi naturalmente nel tempo. La prima sensazione che si avverte, quando vengono percorse, è quella di una certa sicurezza, per ché le sponde, di solito, contribuiscono a tenere la gomma, e dunque la bicicletta, all’interno del tracciato, un po’ come capita a una sfera lanciata verso una parabolica.
Come documentato nelle pagine di tecnica di gui da sui precedenti numeri di BIKE, nella stragrande maggioranza delle curve, in piano o in contropen denza, è necessario adottare una posizione asim metrica dei piedi e delle pedivelle: pedale esterno abbassato e sul quale viene caricato il peso del biker, telaio della bicicletta staccato dalla coscia esterna per non esser mai coassiali con il mezzo.
Le spalle abbassate sul manubrio e il bacino alto che funge da ‘cerniera’ tra il busto flesso in avanti e le gambe.
Le curve con appoggio, paraboliche, possono invece essere interpretate in modo differente.
Grazie alla loro peculiarità, il piano su cui si vanno ad appoggiare le ruote permette alla bicicletta di salire verso l’esterno della curva inclinandosi naturalmente. Tanto maggiore è la velocità con la quale vengono affrontate e quanto superiore la forza centrifuga e la compressione del biker verso la bicicletta. In pratica bicicletta e pilota sono incollati al terreno proprio come se si stesse procedendo sul dritto in piano.
Andare ad incrementare il grip con la posizione
asimmetrica, solo in questo particolare caso (a forte velocità), é praticamente inutile. L’approc cio alla curva avviene dalla posizione base, con bacino alto, gomiti larghi e spalle abbassate sul manubrio. Come detto, non è necessario ab bassare il pedale esterno alla curva ma i piedi rimarranno alla stessa altezza. Lo sguardo è in avanti e durante il raggio di curva il bacino ruota per impostare la traiettoria corretta.
Questo tipo di curve consente addirittura di au mentare la velocità. Per farlo è necessario ‘pom pare’ sfruttando l’energia degli ammortizzatori. In che modo? Dapprima alleggerendo la ruota ante riore, quindi spingendo con forza su manubrio e pedali per comprimere forcelle e ammortizzatore. La decompressione sarà energia che si trasfor merà in aumento di velocità. Come per le altre manovre, anche le curve ‘pom pate’ vanno allenate per poterle affrontare in sicurezza sui tracciati. Per farlo, è sufficiente un prato, meglio se in leggera discesa. Partendo dalla posizione base, si tratta di individuare il punto di corda della curva, alleggerire la ruota anteriore, anche staccandola leggermente da terra, quin di effettuare la curva spingendo su manubrio e ammortizzatori. Mancando le sponde si può effettuare questa manovra anche con il pedale esterno basso, poiché la tecnica è applicabile a qualsiasi tipologia di curva. Con un ‘nota bene’, però: un conto è pedalare come cicloturisti, ben altro è pilotare un mezzo competitivo in discesa; per imparare ci vuole tempo, costanza nell’alle namento, ma soprattutto un buon istruttore che conosca a fondo la tecnica e le metodologie per insegnarla.
PER IMPRATICHIRSI A PILOTARE IN DISCESA
CI VUOLE TEMPO, COSTANZA NELL’ALLENAMENTO, MA SOPRATTUTTO UN BUON ISTRUTTORE
CHE CONOSCA A FONDO LA TECNICA DI GUIDA
E LA SAPPIA INSEGNARE
*Pagine realizzate con la collaborazoine di Scuolamtb.it
RIPARTIRE
APPRENDERE IL FUNZIONAMENTO DELLA COMPONENTE CHE CONSENTE DI VARIARE I RAPPORTI SI PUÒ: DAL DERAGLIATORE AI REGISTRI, COSÌ BISOGNA
IN CASO DI IMPREVISTO
Il cambio è una componente fondamentale della bicicletta. Composto da diversi elementi meccanici mobili, esso permette alla catena di scorrere sulle corone, e al ciclista di scegliere su quale fermarla, variando così, grazie al maggiore o minore numeri di denti, il rapporto tra la pedalata e i giri della ruota. Il forcellino è il collegamento tra il telaio della bicicletta e il deragliatore posteriore. La sua funzione è quella, fino a piegarsi o addirittura rompersi in caso di urto, di salvaguardare telaio e cambio stessi da eventuali rotture. Il suo alline amento è fondamentale per la corretta efficacia del cambio e, a volte, basta il contatto con una ra dice, un ramo o un sasso per piegarlo. Anche una semplice caduta del mezzo dalla parte del cambio può comprometterlo. Ecco perché è importante, quando si appoggia la bici a terra, farlo dal lato opposto ad esso, tenendo sempre il cambio rivol to verso l’alto.
Quando la bici non cambia correttamente, la pri ma verifica da fare è proprio sul corretto allinea mento del forcellino. Verificando che sia parallelo alla ruota posteriore, sia in senso verticale sia orizzontale. Per avere un riscontro preciso è necessario utilizzare uno strumento apposito e piuttosto costoso; conviene, pertanto, rivolgersi sempre a un meccanico. Qualora la piegatura fos se evidente, però, si può anche decidere di prova re a raddrizzarlo, facendo leva con la mano. Se ciò non dovesse essere sufficiente, così come in caso di rottura, occorre procedere alla sostituzione. Un intervento piuttosto semplice e veloce, a patto che si abbia un forcellino di ricambio con sé. Il forcellino è inserito tra il bullone del mozzo
posteriore e il cambio stesso al quale è fissato con una brugola di misura cinque. Per rimuoverlo bisogna innanzitutto smontare la ruota, quindi svitare la brugola togliendo il deragliatore. Il for cellino è fissato al telaio con una particolare vite con dado, smontabile con la medesima chiave a brugola usata per rimuovere il deragliatore. Una volta tolto si può montare quello nuovo fissandolo al telaio. Quindi si rimontano il deragliatore e la ruota, prestando attenzione che il dente sul dera gliatore appoggi al fermo del forcellino per evitare che questo possa ruotare e rompersi. L’operazio ne, con un po’ di pratica, non dovrebbe richiedere più di due minuti.
Se il forcellino è allineato, ma persistono i proble mi, probabilmente occorrere regolare il cambio. Il primo passo consiste, in tal caso, nel posizionarlo sulla corona più piccola. Quindi bisogna allentare il dado che tiene il filo e liberarlo. Girando i pedali si può muovere il cambio semplicemente facen do pressione con le mani sul deragliatore per verificare che la catena non cada verso la ruota né, al contrario, scenda dal pignone più piccolo. Il deragliatore ha due viti, indicate con la lettera H e L. Queste servono a regolare il ‘fine corsa’, bloccando così il deragliatore. Agendo sulla vite L si regola il fine corsa della corona grande, sulla H, invece, quello della piccola. Una volta fatto ciò portiamo il registro del cambio, la vite vicina alla leva, a zero, avvitandola completamente. Fatto questo torniamo a serrare saldamente il filo sul cambio e verifichiamo di nuovo il corretto funzio namento.
FATE LARGO ALL’ABS
IL SISTEMA ANTI-BLOCCAGGIO IN FRENATA, USATO DA AUTO E MOTO, SI AFFACCIA SUL MERCATO DELLE E-BIKE. SPECIE PER LE PEDELEC TOP DI GAMMA. TRA I PRODUTTORI SPICCANO I NOMI DI BOSCH E DELL’ITALIANA BLUBRAKE
Così come è stato per le autovetture e le moto, anche il mondo delle biciclette vira verso l’Abs. Le ‘pedelec’ (che significa pedal electric cycle, ovvero la tipologia di biciclette elettriche oggi più diffu se) hanno visto evolvere in pochi anni prestazioni e peso. Tra le conseguenze, non è un segreto, l’aumento degli incidenti. Il 58% delle cadute che coinvolgono e-bike si verificano proprio durante la frenata. Chi utilizza la bici elettrica nella quotidia nità può facilmente comprendere di cosa si tratta: talvolta è sufficiente sfiorare una riga bianca a terra o il fondo umido della carreggiata per perdere il controllo. Cause di caduta, nel 39% dei casi, è il bloccaggio della ruota anteriore, mentre nel 25% si tratta di perdita di equilibrio. L’utilità dell’Abs è proprio quella di aumentare l’a derenza in fase di frenata, specialmente se brusca, impedendo il bloccaggio della ruota anteriore. La naturale evoluzione verso l’inserimento di serie del sistema, purtroppo, però, non è così semplice. Perché non può essere montato post-produzione e la tecnologia comporta ancora costi elevati, circa 500 euro a impianto, andando a incidere significa tivamente sul prezzo finale di vendita. Sul mercato due aziende producono Abs per e-bike. Bosch, for te di oltre 40 anni di esperienza nel settore, che ha sviluppato il proprio sistema basandosi su quello per moto, e l’italiana BluBrake. Nel caso di Bosch, il dispositivo evita il bloccaggio della ruota anteriore combinandolo con il limitatore di sollevamento della ruota posteriore. Su fondi scivolosi il sistema regola la pressione del freno anteriore così da mantenere la guida stabile. È composto da una centralina, una spia integrata sui display Kiox e Nyon, due sensori di velocità sulle ruote, un freno Abs Cme Magura, un disco e un sensore Abs. Il dispositivo pesa circa 800 grammi e si attiva per velocità superiori ai sei kilometri ora
ri. Pensato principalmente per le e-bike da città, da cicloturismo e da trekking, l’Abs Bosch viene utiliz zato, per esempio, da Advanced, Ktm, Centurion, Riese und Müller e Pegasus. Secondo una stima di Bosch, se tutte le pedelec fossero dotate di Abs, sarebbe possibile evitare fino al 29% degli incidenti. BluBrake, azienda italiana fondata nel 2015 da un team multidisciplinare di alto livello, fa parte del gruppo e-Novia, e ha sviluppato e brevettato il primo e unico Abs per e-bike e per le più veloci s-pedelec (o speed pedelec, quelle che superano i 25 km orari). Completamente integrato nel telaio e universale, BluBrake serve anche il mercato, in crescita, delle e-cargo bike. Anche in questo caso il sistema agisce sul freno anteriore, controllando l’azione ed evitando il blocco, limitando al tempo stesso il sollevamento della ruota posteriore. Quat tro gli elementi chiave: un attuatore elettro-idrau lico, che si collega all’impianto frenante; un’unità di controllo, collegata alla batteria; un sensore che misura la velocità 100 volte al secondo, rilevando il rischio bloccaggio della ruota; un’interfaccia che mostra le informazioni principali. Controllando in modo continuativo la pressione idraulica del freno anteriore, l’Abs BluBrake interviene garantendo una frenata fluida e maggiori stabilità e manovra bilità.
“L’Abs BluBrake non è solo un sistema che impedi sce il bloccaggio della ruota anteriore e di incap pare così in brusche frenate, ma una tecnologia in grado di fornire un’esperienza di guida più sicura e gradevole, per garantire a ogni ciclista, anche quelli meno esperti, massima fluidità nell’utilizzo del mezzo”, racconta a BIKE Fabio Todeschini, fonda tore e general manager di BluBrake. Ad adottare il sistema, tra le altre aziende, anche Bianchi sulla serie e-Omnia, una partnership tutta italiana nel segno di sicurezza, innovazione e design.
Se tutte le elettriche avessero il dispositivo di serie si eviterebbe un terzo degli incidenti
L’UNIVERSITÀ
TIRA LA VOLATA
CON IL RITORNO DEGLI STUDENTI ALLA DIDATTICA IN PRESENZA GLI ATENEI
SARANNO TERRENO FERTILE PER TESTARE PROGETTI DI MOBILITÀ LEGGERA E INTEGRATA. LE RISORSE CI SONO
Negli Stati Uniti, da dieci anni, i migliori college del Paese si sfidano nella League of American Bi cyclists per aggiudicarsi il premio di sostenibilità. In Germania portano addirittura gli esperti di due ruote in cattedra per incentivare l’uso delle biciclet te. “Gli atenei possono davvero essere un ottimo modello per un cambio di passo”, ha detto la mini stra dell’Università e della Ricerca Cristina Messa tornando per la prima volta alla Bicocca, di cui è stata rettore fino al 2019. E a favorire il cambio di passo certamente potrà contribuire il progetto del ministero delle Infrastrutture e della mobilità e del Gruppo Fs che prevede un investimento di 4,2 mi lioni di euro per la costruzione di piste ciclabili tra stazioni e università in sette città italiane.
C’è molta fiducia per un ritorno in aula nell’autunno 2021, ma tornare alla situazione pre Covid non è auspicabile. La pandemia ha cambiato le abitudini: “Fra gli studenti l’uso dei mezzi ha perso diciot to punti percentuali, cedendone dodici ad auto e moto e solo sei alla mobilità attiva come la biciclet ta o il monopattino”, fa presente Matteo Colleoni, mobility manager Bicocca, citando un’indagine sul la mobilità casa-lavoro nelle università della Rus, la Rete delle università per lo sviluppo sostenibile, che ha coinvolto cinquantacinque di atenei italiani. Il rischio è di ritrovarsi in città congestionate dal traffico. Per questa ragione è in corso una rifles sione sulla mobilità accademica e sulla possibilità di orientarla verso mezzi sostenibili, biciclette in primo luogo.
In questo scenario le stazioni ferroviarie diventa no un punto strategico. Il treno, ci ricorda l’Istat,
è il primo mezzo di trasporto usato dagli studenti in Italia. Aggiunge Rete ferroviaria italiana, che ha mappato le 395 sedi universitarie e le ha incro ciate con le abitudini di mobilità rilevate dal suo Osservatorio di mercato: gran parte di chi sceglie il binomio treno-bici ha tra i 18 e i 24 anni. Nel 2019 sono stati 45,6 milioni i viaggiatori per mo tivi di studio che hanno utilizzato 133 stazioni che possono essere collegate con percorsi ciclopedo nali facili a 188 sedi universitarie. Possono, perché ancora non ci sono: su 329 università che hanno una stazione nel raggio di 3 chilometri il 77% non ha un collegamento ciclabile.
“Il Governo intende inserire nel Piano nazionale di ripresa e resilienza investimenti senza preceden ti sulla mobilità dolce e sull’uso degli strumenti di mobilità ciclistica”, ha promesso il ministro Enrico Giovannini. Si parla di 600 milioni di cui 200 per la mobilità all’interno delle città. Un piano che sarà gestito con Ferrovie dello stato. Si comincia con un primo finanziamento di quattro milioni e altri undici dovrebbero arrivare nei prossimi mesi. Intanto le risorse saranno assegnate ai primi Comuni coin volti (Milano, Padova, Pisa, Roma, Napoli, Bari, Pa lermo) che dovranno avviare la progettazione delle piste ciclabili.
Siamo all’inizio di un test importante che potrà cambiare il volto di molte città, l’aria e non solo. “Quando si parla di mobilità si sta incidendo sul tempo delle persone e, di conseguenza, anche sui loro diritti, come quello allo studio” è l’avvertimento della ministra Messa.
MONOPATTINI IN CORSA
CRISTINA DONOFRIO, GENERAL MANAGER DI BIRD IN ITALIA, RACCONTA A BIKE I MOMENTI SALIENTI E I PROSSIMI TRAGUARDI DELL’AZIENDA PIONIERA DEGLI SCOOTER ELETTRICI“A pensarci bene le città italiane non sono state pensate e costruite per le auto, guarda Firenze ad esempio…”. Suona strano che a ricordarcelo sia la general manager di una startup della mobilità (monopattini elettrici in sharing) fondata a Santa Monica, California. Cristina Donofrio, 27 anni, ita lo-americana, lavora in Bird sin dall’inizio, 2017. Comincia negli Stati Uniti, poi partecipa al lancio della prima città in Europa, Parigi, e, dalla fine del 2019, guida le attività in Italia.
Bird, che è stata una pioniera dei monopattini elet trici, è quel che in gergo si definisce un unicorno: la società che ha raggiunto più velocemente la valu tazione di un miliardo di dollari, ora arrivata a oltre due in vista della quotazione in Borsa. È presente in oltre 200 città nel mondo con i suoi monopat tini elettrici e sta già lavorando per aggiungere le bici. “Le porteremo presto anche in Italia”, anticipa Cristina a BIKE. “Siamo presenti in dodici città e contiamo di raddoppiare entro la fine del 2021”.
Monopattini elettrici ed e-bike, le biciclette a peda lata assistita, sono ormai entrati nel nostro pano rama urbano e sono destinati a restarci. Dal 2020, l’anno nero della mobilità, sono entrati nel paniere Istat e quindi fanno ormai parte della nostra vita e del suo costo. “C’è stato e c’è ancora un tema di accettazione sociale”, osserva Cristina Donofrio. “Nessuno guarda fuori dalla finestra e dice: quante macchine! Eppure c’è chi dice che ci sono troppi monopattini. Succede sempre così di fronte a una novità: fino al 2019 gli scooter non erano neanche previsti dal C odice della strada, è normale quindi
che dobbiamo ancora abituarci alla loro presenza. Comunque non succede solo in Italia, la reazione è comune in tutte le città europee”.
L’Europa, che rappresenta già il 50% delle corse a livello globale, è stata individuata come un’impor tante area di sviluppo: Bird investirà 125 milioni di euro per portare la mobilità elettrica e sostenibile in cinquanta nuove città entro l’estate. “L’obiettivo è togliere auto dalla strada”, spiega Donofrio. “Non solo saranno fatti lanci in nuove città ma verrà an che estesa l’area operativa lì dove siamo già. Bird lancerà anche nuovi prodotti di mobilità e iniziative sulla sicurezza, puntando a riutilizzare e riciclare in modo responsabile i vecchi monopattini. L’in tento è, inoltre, quello di stringere partnership con aziende locali per espandere il servizio in maniera capillare. Faremo in modo che usare il monopattino diventi sempre più conveniente. Per esempio, gra zie a una partnership con Trenitalia, chi viaggia in treno ha due corse gratis sui nostri mezzi. E poi ci saranno i nuovi monopattini”.
Sì, perché i monopattini non sono tutti uguali. “I nuovi modelli hanno batterie che durano più a lun go e non sono più estraibili, riducendo così gli atti di vandalismo. Hanno due freni a mano e la targa obbligatoria in Germania ma non ancora in Italia. Costituisce però un altro elemento di sicurezza”. Che non è poca cosa visto che i segnali di ripar tenza ci sono tutti. Bird ha già rilevato che le corse in Europa sono più lunghe del 30% rispetto al pe riodo pre-covid.
UN ECOSISTEMA INCLUSIVO
INTEGRARE DIFFERENTI SOLUZIONI DI MOBILITÀ SENZA LASCIARE INDIETRO NESSUNO. È LA MISSION DI TELEPASS PAY, TRA I PROTAGONISTI DELLA RIVOLUZIONE SMART MOBILITY
Quando con sempre maggiore frequenza si scen de dal treno per inforcare una bicicletta in sha ring, quando sempre più auto vengono parcheg giate ai margini dei centri cittadini per proseguire la visita tra i vicoli a bordo di monopattini elettrici, allora significa che la mobilità è ormai di fatto per meata da un multiforme ecosistema di operatori e servizi che intendono soddisfare la voglia, o la necessità, di spostarsi da un punto A a un punto B e di farlo nel modo più semplice possibile.
Ecosistema è un concetto che proviene dalla natura e indica, anche nella mobilità, un insieme in cui ogni elemento fa armonicamente al tutto la sua parte. Con equilibrio e perfetta integrazione. Concetti che pesano quando si ha a che fare con le diverse tipologie di mezzi messi a disposizio ne da parte di aziende private ed enti pubblici. Senza dimenticare che, quando poi ci si muove, si è sempre alla ricerca di un’esperienza fluida, dove le barriere siano il minor numero possibile.
È proprio nell’ecosistema della mobilià che ha fat to il suo ingresso anche Telepass Pay, con un’app da 25 servizi – non solo rivolti a chi possiede un’auto – e un unico abbonamento che schiude l’accesso a un circuito di pagamento interamente digitale. Da quattro anni la società del gruppo At lantia ha infatti intrapreso un percorso di innova zione che l’ha portata dal casello autostradale alla
mobilità integrata, a 360 gradi, dal traporto pub blico urbano ai taxi, dai treni ai traghetti, fino ai mezzi leggeri per la micromobilità cittadina. Sulla piattaforma hanno fatto il loro ingresso anche gli scooter, per esempio, di MiMoto e ZigZag, dopo i monopattini elettrici Helbiz. Un elenco di servizi cui continuano ad aggiungersene di nuovi, mese dopo mese.
“La nostra mission è facilitare la vita delle perso ne attraverso una nuova esperienza di mobilità”, spiega Luca Daniele, ceo di Telepass Pay. In che modo? “Ampliando l’offerta di sharing mobility consentiamo a chiunque di spostarsi in modo green, facile e veloce; così diamo il nostro con tributo nel rendere le città più vivibili, sostenibili e sempre meno trafficate”, aggiunge. “Il terre no d’incontro è il digitale”, gli fa eco Luca San tambrogio, amministratore delegato di MiMoto, “perché tutto avviene grazie all’integrazione di piattaforme dove si noleggiano i mezzi in condivi sione e al tempo stesso si paga per l’uso”.a prezzi agevolati, ai conducenti. In due settimane quasi 3mila tassisti hanno scaricato l’app e circa 1.500 cittadini l’hanno utilizzata”. Un esempio che dimo stra quanto ‘largo’ possa essere l’orizzonte della mobilità sostenibile. “Non vogliamo pensare ‘solo’ all’ambiente”, conclude Daniele, “ma anche a chi lo vive nel miglior modo possibile, che poi è quello più semplice”.
Luca Daniele, ceo di Telepass PayNon sarebbe vero ecosistema senza collabo razione fra aziende private e amministrazioni pubbliche, da cui dipende il governo delle città e della mobilità. “Privato e pubblico non sono più in competizione, almeno per quanto mi riguarda”, sottolinea Daniele, che porta un esempio: “Con Urbi, la startup fondata da Emiliano Saurin ed entrata nel nostro gruppo, abbiamo sviluppato l’app BuoniviaggioMI per il Comune di Milano”. L’obiettivo, prosegue, “è connettere, attraverso app, il portale di Palazzo Marino, dove i cittadini in
difficoltà economiche o con deficit motori poteva no già preiscriversi per chiamare un taxi o un Ncc a prezzi agevolati, ai conducenti. In due settimane quasi 3mila tassisti hanno scaricato l’app e circa 1.500 cittadini l’hanno utilizzata”. Un esempio che dimostra quanto ‘largo’ possa essere l’orizzonte della mobilità sostenibile. “Non vogliamo pensare ‘solo’ all’ambiente”, conclude Daniele, “ma anche a chi lo vive nel miglior modo possibile, che poi è quello più semplice”.
“Quando sono rientrato in Italia da Londra, ho messo su casa a Ferrara e ho preso la bicicletta per tutta la famiglia. La città è straordinaria, puoi raggiungere qualunque posto in bici. Quando tor no nel weekend, uso l’auto solo se diluvia”. Nicola Veratelli è tornato in Italia nell’estate 2019, dopo aver lavorato a Londra, Parigi, Ginevra, per diven tare amministratore delegato di Octo Telemati cs. Due anni dopo l’azienda ha in catalogo il suo primo prodotto per le biciclette, molto hi-tech, che presto arriverà sul mercato.
Octo Telematics è un’azienda da 200 milioni di fatturato specializzata nell’insurance telemati cs. Che cosa vuol dire? Avere una piattaforma per raccogliere e gestire i dati che arrivano dalle scatole nere installate nelle auto dalle assicura zioni. Siamo quindi nel mondo dei veicoli connessi. E, infatti, Octo gestisce anche la flotta in sharing di Enjoy, sanificazione automatica compresa, e di conseguenza il più grande data lake in Italia, lette ralmente ‘lago di dati’, sulla mobilità.
Quando si parla di smart mobility si usa l’acro nimo Case: Connected, Autonomous, Sharing, Electric. “In questo contesto per noi ci stanno an che le due ruote”, dice Veratelli. “La bicicletta non solo piace a me, ma è è una soluzione efficace per la mobilità urbana. Per questo abbiamo sviluppato Octo Chain”. È questo il nome del prodotto, che si può considerare una catena digitale per tenere al sicuro la bici ma con le funzioni rese possibili dalla
il ceo di Octo: “È praticamente invisibile, leggeris simo e si connette con un’app che fornisce tutti servizi tipici delle flotte auto: assistenza stradale, segnalazione di incidente o di caduta, migliora mento della gestione della bici”. E fa anche da antifurto: “Sull’app puoi vedere in qualsiasi mo mento dove si trova la bici e in caso di tentativo di manomissione suona l’allarme e arriva un alert sullo smartphone”.
Insomma, anche la bicicletta può diventare un veicolo connesso. Per Octo la novità rappresenta una svolta: “Noi siamo cresciuti con la gestione delle flotte aziendali e i servizi per le assicurazioni, siamo fondamentalmente un’azienda b2b2c, ven diamo quindi ad altre aziende che poi rivendono agli utenti, ma ci stiamo sempre più accorgendo che i nostri prodotti possono essere interessanti anche per il cliente finale”, dice l’amministratore delegato. “Octo Chain va proprio in questa dire zione e stiamo ancora definendo il modo per por tarlo sul mercato. Potremmo vendere il prodotto e poi chiedere un canone mensile per il servizio o scegliere solo la formula dell’abbonamento”.
“Per noi la mobilità leggera è fondamentale”, conclude Veratelli. “Per questo partecipiamo al progetto Cemp per lo sviluppo della propulsione elettrica e in settembre organizziamo con Ambro setti un forum sulla Connected mobility. Vogliamo contribuire a costruire la via italiana alla smart mobility e quindi alla smart city”.
EMOZIONI IN SELLA
GODOIT CONFEZIONA PACCHETTI ESCLUSIVI PER CICLOTURISTI MA ANCHE ESPERIENZE PER PEDALARE IN PISTA, LA SERA, A DUE PASSI DA MILANO
Un viaggio di lusso in sella alla bicicletta per sco prire le bellezze dell’Italia, con tanto di soste per assaporare le prelibatezze del territorio. L’idea di Godoit è di quelle semplici e d’effetto, nata dalla mente di sei soci milanesi con l’amore per la bicicletta a cui si è poi aggiunto un business angel bene impressionato dalle potenzialità di questa startup.
“Abbiamo costituito la società alla metà del 2019, già prima della pandemia”, racconta a BIKE l’am ministratore delegato e socio Alessandro Pagliai, “è un’attività nata quasi per diletto, ma subito è diventata una cosa seria. Noi del resto vendiamo un prodotto, il Made In Italy, che è uno dei brand più famosi al mondo. Il concetto era solo quello di trovare un modo fresco e originale per venderlo, portando così tante persone dall’estero a pedala re sui nostri territori”.
Dopo aver conferito personalmente i primi capi tali, la società ha deciso di finanziarsi attraverso una campagna di equity crowdfunding sulla piat taforma Opstart. Finora Godoit ha raccolto circa 60mila euro (a campagna non ancora conclusa) da tanti piccoli investitori che diventeranno soci dell’azienda, la quale reinvestirà il ricavato in cam pagne di marketing.
Chi partecipa può usufruire di un pacchetto tutto incluso: due guide dedicate, un’ammiraglia al seguito del gruppo, noleggio della bici, sosta in alberghi di lusso, pasti in ristoranti stellati. Scorrendo le pagine del sito ufficiale si trovano varie destinazioni: dal week-end romantico nelle valli del Prosecco, a un tour sul Lago di Como fino a un’uscita dal tramonto all’alba in Toscana, sulle
strade della Versilia. Ma queste sono solo alcune delle mete disponibili.
“Le nostre guide conoscono bene il territorio e richiediamo loro non soltanto di saper pedalare, ma anche la conoscenza di almeno una lingua straniera”, racconta ancora Pagliai, “facciamo gruppi piccoli, di massimo nove persone, e met tiamo sempre a disposizione due guide. Questo per poter rimanere al fianco anche degli ospiti meno allenati, senza negare il divertimento a chi è in grado di esprimersi a un livello più elevato. Riteniamo che nessuno debba essere lasciato indietro, sono tutti capitani per noi”.
Il target di clientela è principalmente quello del turista straniero, disposto a spendere tanto pur di vivere un’esperienza unica in Italia. Anche se, ovviamente, i tour sono aperti anche agli italia ni. Godoit, oltre a programmare vacanze su due ruote, offre un’attività per gli appassionati in città e per le aziende. In collaborazione con la pista Aci Vallelunga di Lainate – dove in passato venivano testate le Alfa Romeo – Godoit organizza allena menti completi con tanto di assistenza meccanica, servizi di coaching, integratori salini e alimentari, ambulanza.
Il 2020 è stato un anno condizionato dalla pandemia, ma già per la stagione 2021 la star tup conta di spiccare il volo con le sue iniziative. “Per noi le stagioni fondamentali sono primavera, estate e autunno. Già stiamo ricevendo i primi se gnali incoraggianti sul fronte delle prenotazioni. In attesa di partire, però, invitiamo gli appassionati della bicicletta a unirsi a noi e ai nostri allenamenti in pista”.
Neanche la pandemia ha fermato il cicloturismo. Anzi. Nel 2020 è stata stimata una crescita del 26% (dati Isnart-Unioncamere-Legambiente). E adesso si attende il boom, con il ritorno dei turisti stranieri. “Lo vediamo anche noi nelle Langhe, con un aumento del 32% dei noleggi, nonostante i pe riodi di lockdown. E dalla primavera nei weekend siamo sempre al completo”, dice a BIKE Massimo Infunti, cofondatore e ceo di BikeSquare, startup innovativa a vocazione sociale nata per promuo vere il cicloturismo e la mobilità sulle bici elettri che favorendo la nascita di nuove imprese nel settore.
Tutto comincia con una scelta di vita: un gruppo di amici dalla Brianza e da Torino decidono di andare a vivere nelle Langhe. “Lavoriamo da tempo nel mondo della mobilità sostenibile, dal 2009 ci oc cupiamo di cicloturismo e volevamo fare qualcosa legato al territorio”, racconta Infunti che nel 2016 fonda BikeSquare con Lucia Savino e Alberto Riva. Un ingegnere e due dottori in scienze della comunicazione creano, con l’aiuto di Marco Toldo, piattaforme digitali per la realizzazione del loro sogno: trasformare i più bei territori d’Italia in amici della bici. Nel 2019 Eon, società tedesca nel settore delle energie rinnovabili, ha comprato il 30% della startup per offrire il servizio ai suoi clienti e integrarlo nella sua offerta di mobilità elettrica.
I ciclisti non sono tutti uguali. Ci sono quelli che amano le bici da corsa, quelli che… solo enduro per carità e poi gli ‘olandesi’ in vacanza per una settimana. “Vanno tutti su due ruote ma ognuno è un mondo a parte. Noi ci rivogliamo agli olandesi, a chi ama il turismo slow e ha il gusto di scoprire una trattoria o visitare una cantina lungo il per
corso che viene proposto sullo smartphone”, pun tualizza Infunti. “Un tempo ti davano la cartina… ma come fai a consultarla mentre pedali?”. Le Langhe sono state l’area test della piattaforma di BikeSquare che da quest’anno è diventata un abilitatore di nuove imprese. “Abbiamo avuto qua si trecento iscritti al nostro corso a distanza per diventare imprenditori del cicloturismo. Quaranta sono arrivati alla esercitazione finale in presenza e quattro microimprese sono pronte alla partenza ma ne nasceranno molte di più”.
BiskeSquare ha inventato il franchising del cicloturismo. “Noi diamo un marchio, la piattafor ma per il noleggio delle bici e l’analisi dei dati e chiediamo il rispetto di uno standard qualitativo: almeno sei biciclette devono prenderle da noi, ma non c’è nessuna fee di ingresso e lo starter kit è uguale dappertutto, compresi i Gps da instal lare sulle bici per avere un controllo della flotta”, spiega Infunti. Quanto costa affiliarsi a Bike Square? “L’investimento minimo è di 20mila euro ma bisogna arrivare a 40mila perché ne valga la pena”. Il costo dipende però dalla situazione in cui ci si trova: se hai una casa con cortile e garage, è più facile cominciare.
Attualmente BikeSquare ha una trentina di po stazioni di noleggio, dalle Langhe alla Maremma, dal Garda al Chianti. “Per quest’anno ci fermiamo qui e ai i nuovi punti in franchising. L’impresa nelle Langhe funziona bene ed è già economicamente sostenibile. E poi quest’anno si fa fatica a trovare bici elettriche sul mercato”.
/I tre fondatori, da sinistra: Massimo Infunti, Lucia Savino e Alberto Riva/ /Un momento di formazione/Dalla supply chain alla logistica, passando per la micromobilità, l’industry 4.0 e la qualità dell’aria. Sono tanti e diversi i settori all’interno dei quali si inseriscono e operano le dodici startup sele zionate quest’anno dal Techstars Smart Mobility Accelerator, l’unico programma di accelerazione di Techstars basato in Italia (a Torino, presso la sede delle Officine Grandi Riparazioni) e il primo al mondo a concentrarsi su tutti i rami che si svilup pano intorno ai concetti di smart mobility e smart city. Offrendo un programma di accelerazione di tre mesi, che garantisce più di 40 workshop e se minari, il supporto di oltre 100 mentors, una rete di oltre 10mila esperti (tra mentors, founders ed ex allievi), e un investimento fino a 100mila euro per startup.
In partnership con Intesa Sanpaolo Innovation Center, Fondazione Crt e Compagnia di San Pao lo, anche quest’anno, il Techstars Smart Mobility Accelerator ha presentato online al pubblico le dodici startup protagoniste del programma di accelerazione. Tra le quali primeggia l’Italia, con la presenza di quattro progetti, seguita da Inghilter ra con tre, Israele con due e, con un progetto cia scuno, Stati Uniti, Portogallo e Lettonia. Ammet tendone tre al Torino City Lab: l’inglese Imperium Drive e le due italiane Wiseair e Latitudo 40.
Imperium Drive mira ad ottimizzare disponibilità e accessibilità delle flotte, mediante l’uso della guida remota per veicoli autonomi. Consentendo a un operatore umano di connettersi e guidare da remoto qualsiasi veicolo autonomo, utilizzando vi deo in diretta su una rete cellulare (4G/5G) e uno strumento di sicurezza di backup che viene utiliz zato solo nel momento in cui l’autonomia di bordo fallisce e un operatore umano deve assumere il controllo da remoto. Poiché la connessione gioca un ruolo di fondamentale importanza, Imperium Drive ha sviluppato un’intelligenza artificiale in grado di prevedere e gestire le variazioni di dispo nibilità di rete dati e adattarsi di conseguenza. La milanese Wiseair, invece, grazie ai suoi vasi domestici, dotati di sensori intelligenti e basa ti sul concetto dell’energy harvesting (ossia la raccolta di energia elettrica diffusa naturalmente nell’ambiente) rileva lo smog, il particolato e altri inquinanti atmosferici che condizionano la qualità dell’aria delle città e la salute di tutti i cittadini. In particolare di chi, ogni giorno, si sposta a piedi e in bicicletta o in monopattino. Sulla stessa scia anche l’israeliana Crispify che offre sistemi di monitoraggio e gestione della qualità dell’aria in auto – in particolare per sistemi di car sharing e rental – capaci di verificare la presenza di micro particelle, polvere, batteri, virus (come il Covid), gas, sostanze chimiche, che possono danneggiare la salute dei passeggeri.
Nel settore delivery operano Blink, Trailze e l’italiana Deliverart. La prima mira a garantire consegne veloci, efficienti e sostenibili, la seconda ottimizza le esperienze di consegne, grazie alla navigazione basata sul machine learning, men tre la terza offre un’unica interfaccia per tutti i sistemi di delivery. Non è raro, infatti, che le pmi della ristorazione, che costituiscono da sole il 90% del mercato, non abbiano gli strumenti adeguati per gestire al meglio gli ordini che provengono dai diversi canali, per monitorare le consegne e per disporre di tutti i dati relativi al proprio business. E se da una parte la napoletana Latidudo40 clas sifica, attraverso le immagini satellitari e l’intelli genza artificiale, gli oggetti e osserva la trasfor mazione e l’evoluzione di una determinata area, in un preciso arco temporale; Cargofive ed eTeue lavorano per rendere più efficiente il trasporto merci. Kedeon, di contro, monitora la qualità della logistica attraverso un dispositivo Iot, mentre e Duet, aiutano rispettivamente nella gestione degli asset in tempo reale e delle flotte aziendali.
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HPS DOMESTIQUE 1-21 LAUNCH EDITION È L’E-BIKE PIÙ LEGGERA SUL MERCATO: TECNOLOGIA DA FORMULA 1, TELAI IN CARBONIO FIRMATI CAMPAGNOLO E COMPONENTI DI PRIMISSIMO PIANO PER UNA GUIDA PRESTANTE E CONFORTEVOLE ALLA PORTATA DI TUTTI
BELLA E VELOCE, COME UNA BICI DA STRADA TOP DI GAMMA
Un progetto completamente nuovo, messo in campo sfruttando il meglio della tecnologia disponibile e un obiettivo ambizioso: diventare l’ebike più leggera del mondo. Artefice del progetto è Hps-High Performance Systems, realtà che da cinque anni sviluppa soluzioni ingegneristiche tecnologicamente avanzate per applicazioni di mobilità e sport.
È proprio sfruttando il suo know-how che l’azien da ha lanciato sul mercato la Hps Domestique 1-21 Launch Edition, una bici da corsa assistita con un peso complessivo di appena 8,5 kg. Il leggerissimo telaio in fibra di carbonio trasmette fluidità e comfort alla pedalata. Le componenti distribuite in modo strategico, inoltre, assicurano una guida sportiva eccezionalmente bilanciata.
Grande attenzione è stata destinata alla tecnolo gia: basti pensare che il sistema, denominato Hps Watt Assist, è stato studiato a quattro mani con ingegneri della Formula 1 sfruttando la potenza di una batteria ultraleggera e un motore piccolo e leggero innestato nel movimento centrale con un meccanismo di precisione. A favorire poi, quando si attiva l’assistenza elettrica, una sorta di aiuto invisibile che non altera la dinamica e quindi il piacere della pedalata di una bici da corsa top di gamma. Piacere, quello per le due ruote, condi viso in primis da Harry Gibbins, fondatore e ceo dell’azienda nonché ex corridore internazionale,
che a proposito dell’e-bike ha commentato: “La volevo bella e leggera, che andasse come una bici da strada top di gamma con o senza l’assistenza del motore elettrico”. Il risultato è stato un pro getto dal respiro internazionale che, assemblato nella sede centrale di Monaco, riunisce precisione svizzera, qualità tedesca, artigianato italiano e ingegneria dalla Gran Bretagna e dall’Irlanda. Ma passiamo a qualche dettaglio tecnico. Intanto la batteria, che ha la forma di una borraccia ed è stata inserita nel suo secondo supporto, quel lo presente sul piantone. E poi i telai, come altri componenti dell’e-bike tutti rigorosamente Made in Italy, realizzati a mano da maestri telaisti con fibre di carbonio di altissima qualità firmate da Campagnolo, che ha partecipato alla messa a punto su strada mettendo a disposizione il suo storico heritage. Arricchiscono il design il por taborraccia Elite, manubrio, attacco manubrio, reggisella e nastro manubrio Deda Elementi, sella Scicon, progettata da Asg Bike Science, e i coper toncini Pirelli P zero.
Andando al target di riferimento, il nuovo modello non si rivolge in realtà a un ciclista tipo, ma risulta perfetto sia per chi vuole pedalare in gruppo oppure cimentarsi in percorsi stradali impegnativi, sia per chi desidera invece mantenere un cer to passo nell’arco di un specifico programma di allenamento.
Daiane Soares/DISEGNATORE
ICONA DI STILE E AUTORITÀ INDISCUSSA
NEL MOTOMONDIALE ALDO DRUDI HA UN DEBOLE ANCHE PER LA BICICLETTA: GIÀ AUTORE DEL PIRATA SULLA BANDANA DI MARCO PANTANI, QUEST’ANNO HA FIRMATO UN CASCO SPECIALE PER IL GIRO
“IL CICLISMO UNA PASSIONE DI FAMIGLIA. CREARE DIVISE PER GLI AMATORI, SENZA LE COSTRIZIONI DEGLI SPONSOR, È PIÙ DIVERTENTE: C’È MOLTA PIÙ LIBERTÀ
La benda sull’occhio sinistro, la rosa in bocca, il pirata che annuncia battaglia e parte: quando la bandana gialla su cui ghignava quel personaggio stilizzato volava via, era allora che Marco Panta ni stava per attaccare. Il padre del fumetto più famoso della storia del ciclismo si chiama Aldo Drudi, è romagnolo come Pantani ed è uno dei più celebri designer sportivi al mondo.
Il suo nome è associato soprattutto al motoci clismo: la sua mano ha infatti disegnato i caschi di Valentino Rossi e Marco Simoncelli, Maverick Viñales e Franco Morbidelli, e prima di loro di Max Biaggi e Loris Capirossi, Kevin Schwantz e Mick Doohan. “Quando ero piccolo, un ragazzo della mia zona aveva due opzioni: fare piadine o correre in moto”, racconta. “Io ho sempre avuto la passio ne per la velocità. Da bambino mi buttavo giù da Gabicce Monte in bici e legavo le carte da gioco alla forcella per simulare il rumore di una moto. Alla fine non potei comprarmi la moto da corsa, ma cominciai a colorare caschi. Prima di render mene conto, avevo avviato una carriera”.
Oggi lo staff dello studio Drudi Performance è composto da quattro persone e realizza fra le trenta e le quaranta grafiche originali all’anno. “Abbiamo mantenuto una struttura leggera per ché vogliamo occuparci solo di progetti”, spiega Drudi. “Non siamo noi a creare i prototipi”. Le sole grafiche ‘di serie’ sono quelle per la giapponese Arai. Negli anni l’attività si è espansa al di fuori del motociclismo. In marzo, quando Luna Rossa ha sfidato Team New Zealand per la Coppa America, entrambi gli equipaggi indossavano caschi Drudi. Dallo studio sono uscite, tra l’altro, la livrea di un Tornado dell’Aeronautica Militare e il poster del Gran Premio dell’Emilia Romagna di Formula 1. E all’ultimo Giro d’Italia, i vincitori di tappa hanno ricevuto in premio un casco Kask Utopia in edizio ne limitata Drudi Performance.
“Il ciclismo era una passione di famiglia”, raccon ta Drudi. “A livello professionale, ho cominciato dal vertice: con Marco Pantani all’apice della sua carriera. Marco divenne un amico e il compagno di tante serate di cante romagnole. Quando venne al Mugello, mi chiese di indicargli i piloti senza nominarli: era sicuro di riuscire a individuare i più forti. Secondo lui, il campione si riconosceva dagli occhi. Per lui feci un lavoro senza precedenti nel ciclismo: creai un’immagine coordinata che anda va dalla bandana alle t-shirt, fino ai mezzi della squadra”.
Dopo la morte di Pantani, Aldo Drudi rimase lontano dal ciclismo professionistico per anni. Fino a quando un altro romagnolo come Davide Cassani, nel 2017, volle riportare in vita il Giro d’Italia Under 23 e commissionò a Drudi le divise. Sono seguiti altri progetti come la e-bike Thok, nata da un’idea di Livio Suppo, ex team manager Ducati e Honda in MotoGp, e di Stefano Migliorini, ex campione del mondo della bmx. La Thok esiste anche – con livree e accorgimenti tecnici appo siti – in una variante Ducati. “Come tanti fanatici delle moto, io stesso ho scoperto la bici elettrica”, spiega Drudi. “Per questo progetto mi sono occu pato anche del design, oltre che della grafica. Ho studiato alcune soluzioni per abbassare il bari centro e offrire una guidabilità adatta anche agli utilizzatori più estremi”.
Nel 2021, per la seconda volta, Drudi ha dise gnato le divise per la Ride Riccione, la granfondo che scala il Cippo Carpegna, salita di allenamento prediletta da Pantani. “Per un grafico”, dice Drudi, “creare divise per gli amatori è più divertente: senza le costrizioni dovute agli spazi per gli spon sor, abbiamo molta più libertà”.
/Il casco speciale per il Giro d’Italia/ /L’e-bike Thok in versione Ducati/IL DIVERTIMENTO
È SICURO
CON I PROGETTI BOSCH EBIKE SYSTEMS
PER IL CICLOTURISMO ELETTRICO L’ESTATE NON CORRE RISCHI: GRAZIE A PARTNER AFFIDABILI E PROPOSTE DI QUALITÀ
Per certi brand l’affidabilità è un valore assoluto. Ma non per questo rinunciano a mettersi in gioco anche al di fuori della propria comfort zone. Ne sa qualcosa Bosch eBike Systems, che fin dai suoi esordi nel campo della mobilità elettrica si impe gna, non soltanto a costruire motori e batterie performanti e sicure, sostenibili per chi guida e per l’ambiente, ma anche a diffondere la cultura e la pratica del turismo a pedali. Ben sapendo che il successo del cicloturismo elettrico passa anche dalla creazione di infrastrutture e servizi adeguati alle esigenze dei pedalatori.
Diverse sono le iniziative sviluppate in tal senso, insieme alle località turistiche partner, per rende re l’esperienza in e-bike sempre più aderente alle attese, anche quelle dei ciclisti più esigenti. Tra le prime spicca la creazione di un network di stazioni di ricarica – le Bosch Power Station –, posizionate in località strategiche per offrire gratuitamente il servizio di ricarica della batteria. Un progetto partito in Italia e che presto si è diffuso a livello europeo. Ma il faro oggi sono le cosiddette ‘hub experience’, ossia centri in grado di offrire un ser vizio che si sviluppa a 360° intorno all’e-bike e per le quali i partner diventano ancor più fonda mentali.
“Ciò che è importante per noi è che l’esperienza in e-bike, che sia la prima o l’ennesima uscita, sia qualcosa di entusiasmante, sfidante, ma allo stes so tempo sicuro, di qualità ed inclusivo”, spiega a BIKE Federica Cudini, marketing manager Italia di Bosch eBike Systems. Motivo per cui “riteniamo
fondamentale collaborare con territori attenti alla formazione tecnica del personale, per guidare i neofiti che si avvicinano per la prima volta all’e Bike, ma anche per coinvolgere chi già possiede un livello medio-alto di capacità di guida”. Qualità, sicurezza e innovazione sono i valori sui quali Bosch eBike Systems cerca comunan za d’intenti. Una direzione di marcia che, oltre alle partnership con Val di Fassa, Val Gardena e Langhe/Monferrato, confermate anche per la stagione 2021, ha portato ad altre tre nuove collaborazioni: Dolomiti Paganella Bike, con i suoi oltre 400 km di trail nel cuore delle Dolomiti; The Place Aosta, ideale per gli amanti della mountain bike; e l’hub Bike Garage&More (Bg&m) a Massa Marittima, una porta sulle colline della Maremma Toscana. La scelta dei partner, osserva Cudini, va oltretutto a “coprire aree in cui il cicloturismo è accessibile a chiunque, sia che si viaggi da soli o che si decida di condividere dei momenti con la famiglia, un cicloturismo per tutti e senza età”. Poi c’è anche Wild e-Side, il format, rigorosamen te off-road, ideato appositamente per chi cerca un’avventura in e-bike ancora più immersiva e sfidante, a stretto contatto con la natura. L’edizione 2021, a luglio, schiera un gruppo di amici che, con la e-mtb, percorre la Via del sale, la spettacolare strada bianca che collega le Alpi piemontesi e francesi al Mar Ligure di cui vi ab biamo parlato anche su questo numero di BIKE (a pagina 66). Tutte le informazioni sono sul sito www.wild-e-side.it.
IN SCIA AGLI
EROI
ANCHE QUEST’ANNO LA BMW HERO SÜDTIROL DOLOMITES
HA REGALATO SPETTACOLO. ANDREAS SEEWALD E KATAZINA SOSNA I VINCITORI, MA C’È UN LASCITO CHE VA OLTRE LO SPORT: ATTENZIONE ALLA SOSTENIBILITÀ E PERCORSI
PER APPASSIONATI DI OGNI LIVELLO E PREPARAZIONE
Essere un eroe. Questa l’ambizione di quanti, nel fine settimana dell’11 giugno, hanno preso parte alla Bmw Hero Südtirol Dolomites, iconico ap puntamento per atleti e appassionati di ciclismo off-road. La maratona di mountain bike forse più dura al mondo, che rappresenta un rilevante appuntamento socio-economico per l’intera area del Sellaronda, è una delle competizioni della Uci Mountain Bike Marathon Series 2021, esclusivo circuito per mountain bike che include sei mara thon e due gare a tappe tra le più importanti nel panorama mondiale. Due i percorsi sui quali si è svolta la competizio ne: il primo, di 86 chilometri con 4.500 metri di dislivello, valicando i passi Gardena, Campolongo, Pordoi e Duron, riservato agli uomini, è stato vinto dal tedesco Andreas Seewald, che lo ha comple tato in 4 ore, 26 minuti e 57 secondi; il secondo, di 60 chilometri con 3.200 metri di dislivello, riservato alle donne, ha visto imporsi la lituana Katazina Sosna con un tempo di 3 ore 50 minuti e 45 secondi. La gara è stata vista in 53 Paesi con 3.500 atleti al via in rappresentanza di 40 Nazioni. Un successo che ha segnato anche un
punto di ripartenza per i ‘monti pallidi’, nonché un successo di sostenibilità. “Fin dalla prima edizione, nel 2010, siamo consapevoli di quanto le Dolo miti siano un valore aggiunto importantissimo e insostituibile della Hero”, racconta Gerhard Vanzi, responsabile del comitato organizzatore. “Amiamo la nostra terra, affascinante e al contempo fragile, e per questa ragione le dobbiamo molte atten zioni, proteggendola dall’azione dell’uomo per salvaguardare il patrimonio affinché le generazioni future possano godere di tanta bellezza”. L’organizzazione della Hero si è, pertanto, data il preciso impegno di rispettare le indicazioni espresse dalla normativa Iso 20121, la direttiva internazionale sulla gestione degli eventi soste nibili che prevede una raccolta di pratiche che possono essere impiegate per ridurre gli impatti negativi delle manifestazioni sull’ambiente, dalla gestione dei rifiuti all’emissione di Co2, e allo stesso tempo restituendo valore alla comunità e al territorio che li ospita. Si va dal semplice utilizzo di materiali riciclati o da riciclo fino all’uso di moto elettriche a zero emissioni dedicate alle riprese televisive lungo i sentieri.
Negli anni Hero è diventato un vero e proprio brand, anche per i turisti, grazie alla creazione degli Hero Trails: settanta itinerari di diversa difficoltà da affrontare in mountain bike ed e-mtb che si affiancano al Sellaronda Mtb Tour. Dislo cati nelle valli attorno al massiccio del Sella, dalla Val Gardena all’Alpe di Siusi, dall’Alta Badia ad Arabba e Val di Fassa, i tracciati hanno diver
sa lunghezza e difficoltà. Si dividono in quattro tipologie: i single trails per i più esperti; i pleasure trail per pedalate rilassanti; gli e-bike trails che sono dedicati alle pedalate assistite; mentre, per chi è alla perenne ricerca di discese adrenaliniche, spazio agli enduro trails, cinque tracciati per un totale di 20 chilometri e 2.700 metri di dislivello. Tutte le informazioni sul sito Herotrails.com.
GERHARD VANZI, RESPONSABILE DEL COMITATO ORGANIZZATORE: “AMIAMO LE DOLOMITI E FACCIAMO TUTTO CIÒ CHE È POSSIBILE PER SALVAGUARDARE IL PATRIMONIO NATURALE DI QUESTA TERRA AFFINCHÈ ANCHE LE GENERAZIONI FUTURE POSSANO GODERE DI TANTA BELLEZZA”/©Foto Freddy Planinschek/ /©Foto Fabian Dalpiaz Photographie/
RINATO NELLA PROVA
COSTRETTO A LASCIARE LA BICI PER UN PROBLEMA ALLA COLONNA VERTEBRALE PAOLO FERRALI È RITORNATO IN SELLA GRAZIE ALLO STUDIO DEL CORPO E DELLA BIOMECCANICA. CHE OGGI È IL SUO LAVORO
/Paolo Ferrali in allenamento/Atleta, pluripremiato paraciclista, marito, papà e tecnico biomeccanico, con una sconfinata passio ne per le due ruote. Il suo nome è Paolo Ferrali e, con trascinante vitalità, ama contribuire alla cono scenza della scienza del movimento umano appli cato alla bicicletta. Pistoiese, 46 anni, Ferrali non si è mai sottratto alle sfide, iniziando a pedalare ancora bambino fino a che, a causa di un proble ma congenito alla colonna vertebrale, è obbligato a scendere di sella. Ma il suo non è stato un addio alla bicicletta, bensì un arrivederci. Perché Paolo si è riscattato in grade stile. Così che, oltre ad es sersi affermato con autorevolezza nel mondo del la biomeccanica, ha anche saputo divenire atleta di rilievo internazionale nel paraciclismo, arrivando ad indossare il colore azzurro della nazionale. Tra un allenamento sulle pendenze del San Baronto e una valutazione biomeccanica nel suo studio di Lamporecchio, Ferrali ha trovato il tempo per raccontarsi a BIKE
Paolo, in che modo ti sei avvicinato alla biomeccanica?
È stata soprattutto l’esigenza di dover risolvere alcuni problemi legati alle dismetrie e paresi della gamba sinistra che mi ha introdotto in questo mondo. Il mio essere un tenace perfezionista e la volontà di andare sempre oltre le mie possibilità hanno fatto il resto. Trasformando quello che era inizialmente un hobby, in un mestiere a tempo pieno.
Sappiamo che segui anche atleti professionisti. In che modo si riesce a guadagnare la fiducia di un campio ne?
Credo che nasca tutto dalla preparazione profes sionale, che deve essere ottima e costantemente aggiornata. È importante, soprattutto nel primo approccio con i campioni, far capire loro che die tro il lavoro che propongo in studio ci sono anni di apprendimento e di affinamento. Ho fatto testare ad atleti professionisti i miei metodi e i miei criteri: con molti di loro è nata una collaborazione che ci porta ad essere stabilmente in contatto per ricercare, insieme, il risultato ottimale e il comfort perfetto in bicicletta.
La tua storia personale trasmette amore per la vita e per lo sport. Cosa ti piace comunicare a tifosi e clienti?
Dare sé stessi in tutto ciò che si fa. Questa è la cosa più bella nella vita. Così mi voglio rivolgere ai miei clienti, conoscenti, e a tutti quelli che mi seguono sportivamente. Perché lottando, dando sempre il massimo, nello sport così come nella vita, arriveranno le soddisfazioni e le gratificazioni migliori.
“DATE/Al /Una visita biomeccanica in studio/
CHE SUCCESSO ME&MY BIKE !
Si è conclusa con 344 foto da tutta Italia che testimoniano la grande passione del popolo italiano per la bicicletta la challenge ‘Me & my BIKE’. Sul sito Bikechannel.it, nell’apposita sezione, accessibile direttamente dal menu in homepage, è possibile vedere, una per una,
le foto inviate e caricate. Qui ne riproponiamo alcune, scelte dalla redazione, per rappresentare proprio la passione per lo sport, l’allegria, la fatica, il divertimento, l’amicizia che da sempre accompagnano la bicicletta.
/Gio da Bologna/ /Paola da RavennaORIZZONTE
GLOBALE
LUDOVICA CASELLATI È DIVENUTA PUNTO DI RIFERIMENTO
PER LA BICICLETTA IN ITALIA, FACENDO DELLA SOSTENIBILITÀ LA CIFRA DI UN AUTOREVOLE MICROCOSMO EDITORIALE E COLTIVANDO UNA CERTEZZA: PER PROMUOVERE LE VIE VERDI ALL’ESTERO POSSIAMO FARE DI PIÙ
Dalla passione per la scrittura al racconto di un cicloturismo accessibile a tutti. Passando per le eccellenze dell’hospitality e le pratiche virtuose di mobilità dolce e intelligente. È unendo i puntini di un percorso personale e professionale che negli ultimi anni ha vissuto una svolta che Ludovica Casellati ha saputo accreditarsi come originale e autorevole punto di riferimento nel mondo della bicicletta.
Dopo più di quindici anni nella comunicazione con incarichi manageriali per un importante grup po, nel 2011 un viaggio stampa in Francia con escursione in bicicletta tra i castelli della Loira ha fatto da detonatore a un’idea che ha avuto le gambe per camminare fino a oggi. Anzi pedalare. Già, perché “se l’ho fatto io possono farlo tutti”, si è detta tra sé e sé colei che ancora non sapeva sarebbe stata soprannominata Ladybici
Al rientro in Italia Casellati registra il dominio Viagginbici.com e lo mette in un cassetto, per ria prirlo poi nel 2013, non appena concluso il primo tempo della sua carriera lavorativa. Si mette così in proprio, rispolverando il gusto del racconto, con
dalabili anche da chi ama tenersi in forma senza essere particolarmente allenato. E non disdegna vivere esperienze di gusto.
È anche per sostenere questa visione delle due ruote a pedali che a Viagginbici.com si affiancano il magazine online Viaggi del Gusto e il portale dedicato ai migliori hotel bike friendly che sod disfano requisiti di eccellenza (Luxurybikehotels. com). Casellati, infatti, come ci ha raccontato in un’intervista per Le Storie di BIKE, già oltralpe si era accorta di come in certe esperienze in sella siano coinvolti di fatto tutti i sensi.
Ma il fascino di atmosfere uniche vissute al ritmo lento della bicicletta non è ancora il punto di arri vo. “La mia cifra è la sostenibilità”, ha raccontato Casellati. Ed è questa la radice su cui si innestano i due fiori all’occhiello del microcosmo editoriale di Ladybici: l’Urban Award che premia in collabora zione con l’Anci, le pratiche di mobilità sostenibile nei comuni italiani, e l’Oscar italiano del cicloturi smo (Italian Green Road Award).
Quest’ultimo, in particolare, ha l’ambizione di contribuire a irrobustire la reputazione delle ‘vie verdi’ d’Italia, anche all’estero. L’edizione 2021 ha premiato, parimerito, la Green road dell’acqua a Trento e la Ciclovia dei Parchi in Calabria. Sul po dio anche la Ciclovia del sole in Emilia-Romagna e il Grande anello dei borghi ascolani nelle Marche. Menzione speciale Legambiente alla Basilicata per il percorso da Matera alle Dolomiti Lucane.
Quello delle ‘vie verdi’ è un concetto più largo della ciclabile o ciclovia. Percorsi ampi, più estesi, certamente permanenti e che possono abbrac ciare tratti di strade a bassa percorrenza o strade
LA GALASSIA
A PEDALI DI LADYBICI
È un esclusivo bouquet di proposte comunicative, editoriali e digitali dedicate alla bici, alla sosteni bilità e al lifestyle quello di cui tiene il manubrio Ludovica Casellati, in arte Ladybici. Si spazia da Viagginbici.com, la testata di cui è editore e che dal 2013 racconta prevalentemente percorsi ciclabili, nel verde e per tutte le gambe, e itinerari cicloturistici alla portata di tutti, a Luxurybikeho tels.com, il portale che raccoglie le strutture ricet tive d’eccellenza per chi è in cerca di un soggiorno esclusivo e indimeticabile immerso nella natura, in un hotel che offra i migliori servizi per la biciclet ta. C’è poi Viaggi del Gusto (Vdgmagazine.it), il magazine online di approfondimento sul mondo dell’enogastronomia, del turismo, della ristorazio ne e delle arti di cui Casellati è divenuta editore nel 2018. E poi ci sono i premi: l’Oscar italiano del
cicloturismo (Italian Green Road Award), che dal 2015 mira a diffondere la conoscenza e rafforza re la ‘brand awareness’ delle più belle vie verdi, e l’Urban Award che, dal 2017 e in collaborazione con l’Anci, premia pratiche di mobilità sostenibi le nei comuni italiani con l’auspicio di innescare gare virtuose come quella che ha portato progetti come la Bicipolitana del Comune di Pesaro ad es sere imitati e replicati altrove. Senza dimenticare il libro, pubblicato nel 2019 da Sperling & Kupfer, intitolato La bici della felicità, che Casellati ha inteso rivolgere a tutti quelli che, come lei, amano spostarsi pedalando senza l’ossessione della sfida e della velocità. Quasi volesse presentarsi come un cordiale ‘Abc’ del ciclista e cicloturista ‘slow’. Senza mai riunciare al gusto del buono e del bello.
Quando la bici fa CULTURA
A TREVIGNANO ROMANO, SULLE RIVE DEL LAGO DI BRACCIANO, SORGE LA BIBLIOTECA DELLA BICICLETTA DEDICATA
A LUCOS COZZA, CICLOFILO E AMBIENTALISTA. IL POSTO IDEALE DOVE LEGGERE E CONDIVIDERE ESPERIENZE CON CHIUNQUE VOGLIA CONOSCERE DI PIÙ SUL PEDALE
Esiste un luogo, non lontano da Roma, dove di bicicletta si parla e si legge. Siamo a Trevignano Romano, sul lago di Bracciano, una delle mete più ambite dai romani che qui trovano ristoro nei momenti di libertà: ci sono osterie, campeggi, ge laterie, centri per la vela e un lungolago alberato da percorrere con lentezza. Al numero 127 di via Giuseppe Garibaldi, all’interno della Parrocchia di Santa Maria Assunta, c’è la nuova sede della Biblioteca della bicicletta dedicata a Lucos Cozza, non un campione di ciclismo, ma un archeologo ciclofilo e ambientalista, protagonista di quell’ico nica e bellissima fotografia in bianco e nero: una bici con i freni a bacchetta e lui in sella con un libro tra le mani.
Si capisce subito che è un posto controcorrente, un piccolo patrimonio a pedali che i curatori Fer nanda Pessolano e Marco Pastonesi definiscono visionario. Circa duemila libri tra saggi, manuali, poesie, letteratura per bambini, biografie di ciclisti e una sezione di romanzi che le due ruote le han no in copertina, anche se non parlano in maniera specifica di bici. Un buon esempio è Vacca d’un cane di Francesco Guccini. Ci sono anche model lini di biciclette che arrivano dall’Africa, la maglia rosa del Giro d’Italia Under 23 del 2018, una serie di borracce e una Gimondi d’epoca che può far innamorare chi conosce l’Eroica, la manife stazione ciclostorica che si tiene sulle strade del Chianti. Marco ci racconta il desiderio – o meglio, la visione – di creare una rete del pedalare e solidarizzare, con e per il territorio. Chi raggiunge la biblioteca pedalando, magari in mountain bike da Anguillara che poi è la prima fermata del treno che parte da Roma, troverà uno spazio accoglien
te, perfetto per mangiare e bere in compagnia, ma anche per ristorare il cuore e la testa. Una po esia, una filastrocca, pagine da leggere, da donare o da scambiare. E il dialogo sempre aperto, con appuntamenti, a partire da settembre, quando la biblioteca organizza incontri dedicati alla lettura e all’accoglienza, pomeriggi di festa in cui mangiare pane e salame e leggere Gianni Brera, Guido Ver gani o Anna Maria Ortese. Fermo restando che i cicloturisti in gruppo, le scuole o le associazioni possono prenotare una visita in qualsiasi momen to dell’anno.
In questo luogo speciale della Tuscia, nel bel mez zo del Parco di Bracciano e di Martignano, ci si aspetta che possano nascere poi idee, progetti o semplicemente che si possa riempire quella cesta messa lì per il book crossing, per condividere un libro senza chiedere nulla in cambio. “Non bisogna mai dimenticare – dice Marco – che sopra la bici cletta c’è sempre un uomo o una donna e che le storie della bicicletta sono sempre storie umane e sociali. E finché c’è bici c’è speranza”. Vale la pena arrivare qui anche solo per le bellezze che si possono incontrare lungo il lago di Bracciano, una specie di velodromo naturale distante circa trenta chilometri dalla capitale. La strada non ha una corsia ciclabile preferenziale, anche se è in cantiere un progetto per valorizzare questo pezzo di paradiso. Se ci si spinge un po’ più in là, oltre passando pini e querce, c’è poi il lago di Martigna no, una piccola oasi protetta dove si può godere di un po’ di pace. La Biblioteca ha un sito internet (www.bibliotecadellabicicletta.it) dove si trovano anche i contatti, come il telefono e l’email.
GUIDE A KM 0
PER ESCURSIONI
IRRIPETIBILI
FONDATA DA UN GRUPPO DI AMICI CON LA PASSIONE DELLA MONTAGNA VERSANTE SUD È LA CASA EDITRICE DI SPORT OUTDOOR, E ORA ANCHE MTB, CHE AFFIDA AI LOCALI LA SCELTA DEI SENTIERI E LA RISCOPERTA DEI TERRITORI SOTTOLINEANDO LA ‘VERACITÀ’ DEL PRODOTTO COL SIMBOLO DI UN POMODORO
In principio fu un Macintosh 128. Su quel monitor, da perderci la vista, hanno preso corpo le idee di un trio che più variegato non si può: un biologo, un fotografo e un professore di filosofia. A met terli insieme, la passione di una vita: la montagna. Così ha mosso i primi passi nel 1996 Versante Sud, oggi tra le principali case editrici europee con duecento titoli in ambito sport outdoor: dai percorsi ai manuali di allenamento, dalle guide tu ristiche al magazine Up Climbing. Fino alla nascita di Mtb Radio, la prima web radio dedicata alla galassia mountain bike, in cui si racconta il mondo con gli occhi di chi pratica cross country, down hill, enduro, bmx, marathon...
“Sognavamo di vivere in montagna”, racconta Roberto Capucciati, il biologo del trio, che ora dirige la casa editrice: “Alla fine stiamo più alla scrivania, ma lavorare con tanti sportivi è esaltan te”. Ne è passata di acqua sotto i ponti, da quella giornata in Val Formazza, a metà anni Novanta, quando con Bruno Quaresima, il fotografo, ed Eu genio Pesci, il professore, attorno alla tavolata del Rifugio Miryam, è nata l’idea di creare un’associa zione culturale: Versante Sud, appunto.
Un nome un programma, che si contrapponeva all’epicità delle ‘north face’: “Una risposta scanzo nata a chi ricercava la lotta con l’alpe... noi propo nevamo articoli e foto a riviste outdoor: un modo per trovare risorse per le nostre attività in mon tagna”, continua Capucciati. Da lì, la realizzazione nel 1996 di una prima guida sull’arrampicata tra Bergamo e Brescia: “Ha funzionato, così l’asso ciazione è diventata casa editrice”. A mandarla avanti oggi, una squadra che negli anni si è un po’ modificata: “Al posto di Bruno, si sono aggiunti Marco Pandocchi, esperto di radio, e Tommaso Bacciocchi, scialpinista incallito”.
IL VERSANTE MERIDIONALE È L’OPPOSTO DELLE ‘NORTH FACE’.
IL NOME SCELTO DA ROBERTO, BRUNO ED EUGENIO VUOLE
INFATTI ESSERE UNA RISPOSTA, SCANZONATA EPPURE SERIA, AGLI ECCESSI DI CHI VUOLE SOLO
L’EPICITÀ E LA LOTTA CON L’ALPE
ROSSISenza farlo apposta, al territorio tra Bergamo e Brescia è stata anche dedicata anche la prima raccolta di percorsi per mtb, nel 2001: “Abbiamo dato fiducia alla proposta di Maurizio Panseri, un local che conosce ogni centimetro di quelle valli”.
Quando non esistevano tracce gps e ben pochi editori avrebbero puntato su un settore pieno di incognite. E invece oggi, pedalata dopo pedala ta, con decine di guide si è arrivati a descrivere itinerari dal Garda al Cilento, dalle Dolomiti alla Sardegna. Con edizioni persino in francese, inglese e tedesco.
Cosa ha permesso di raggiungere simili traguar di? “Essere in rete con il territorio è una delle
nostre carte vincenti”, spiega Capucciati. Non a caso, tutte le guide recano il disegno di un pomodoro: “Per dire che nascono a km zero.
Sono contenuti dal sapore diverso, come un pachino raccolto sul posto: perché gli autori locali hanno le notizie più fresche e su quei sentieri c’è un pezzetto del loro cuore”. Qui sta anche il gusto di ogni progetto: “Contribuire alla rinascita di un luogo. Mostrare che il turismo lento funziona.
E, soprattutto, accompagnare il lettore nella natu ra per fargli vivere non solo una fatica fisica, ma anche un sogno: a quanto pare, qualche volta ci siamo riusciti”.
/I fondatori di Versante Sud, da sinistra Bruno, Eugenio e Roberto più un amico, al Rifugio Miryam negli anni ‘90/ /Un evento targato Mtb Radio/ /Lo stand di Versante Sud all’Outdoor Show di Friedrichshafen/ /Alle prese con le prove di percorsi per la guida dell’Ossola/SULL’
IL BIKE CHEF CRISTIANO SABATINI AMA SPERIMENTARE IN CUCINA E SCOPRIRE
IL MONDO PEDALANDO IN SELLA ALLA SUA FAT BIKE. IN UN LIBRO RACCONTA LE SUE AVVENTURE ALLA SCOPERTA DEL GUSTO
BONARA
EREST
Essere chef è un po’ come praticare uno sport estremo tra i fornelli. Se affianchi poi una fat bike come mezzo di trasporto al guanciale come ra gione di vita, allora la storia si fa saporita. Cristia no Sabatini, aka Bike Chef, ha l’energia tipica dei cuochi che ne hanno viste (e mangiate) di cotte e di crude. Il cinquantenne che, fin da tenerissima età, era già in prima linea a gestire il ristorante di famiglia, oggi trasmette quella sagacia tipica di chi ha sperimentato parecchio. Crescendo si è trasferito a Viterbo, dove si è lanciato a capo fitto nel mondo del catering di alto livello, fino a diventare personal chef di Giovanni Veronesi. Ha partecipato poi a due stagioni di Cuochi d’Italia con Alessandro Borghese e iniziato a viaggiare per mangiare, per scoprire altri sapori e ibridare la sua cucina con quelle del mondo. Per Sabatini la bici è diventata una magica compagna, di stranezze e avventure. Quasi un paradosso, per uno che ama definirsi “pigro avventuriero”, dedito forse più al divano e alle gioie del maiale sfrigolante. La voglia di libertà muove dentro, però, e prima o poi si esprime nei modi più imprevisti. Cristiano nel 2014 fa il cammino di Santiago in bici, solo, con due borse da bike packing integrate nel telaio, e una fame irriducibile di cose buone e nuove. Da Roncisvalle a Santiago de Compostela impiega otto giorni, tra degustazioni mattutine di vino nella Rioja, e abbuffate serali nelle locande dei pellegrini. Nel 2015 è la volta del Tuscany trail, percorso in quattro giorni con fiaschetta di grappa nella forcella davanti e salsiccia passita sul manubrio. Mai perdere la vena goliardica, la fatica è solo una metafora del cammino, la vera bellezza si nasconde dietro ai percorsi più tortuosi e meno prevedibili. Nel 2016, invece, Sabatini compra una ‘Fargo’, altrimenti detta ‘go far bike’, per andare più lontano: gira la Nuova Zelanda e un
anno più tardi partecipa al Naturaid Marocco impossible, 630 km sull’Atlante, trenta giorni di solitudine catartica, parecchi rischi, e tanta forza di volontà. “Una notte ho dormito con un pastore berbero”, ricorda Sabatini, “e ho anche dovuto guadare un fiume in notturna, non avevo altra scelta”.
Viaggi che cambiano il modo di concepire il pro prio corpo, la propria resistenza e che aprono nuovi spazi di riflessione sulle infinite possibilità della realtà vissuta su due ruote. L’attenzione al cibo accompagna ogni suo itinerario, le speri mentazioni si fanno sempre più ardite, quasi una necessità. Nel 2019 il Bike Chef percorre l’ultramaratona invernale di 150 km sulla neve, in Lapponia, tra boschi e fiumi ghiacciati, con meno 40 gradi fissi, sempre solo sulla sua fat bike. L’ennesima avventura ‘unsupported’, di fronte a una natura tutt’altro che ospitale, con un check point ogni 60 km. Con lui, questa volta, pasta e fagioli o carbonara disidratate, pronte per soste nerlo nei momenti di fame intensa e nostalgia di casa.
“Il mese dopo ero sull’Everest a preparare la car bonara ‘più alta’ del mondo”, prosegue Sabatini, dopo 68 km con la bici in spalla, e sei giorni di viaggio, a 5.174 metri, non troppo lontano dal campo base. Niente di così fuori dal comune per uno che quando va in Nepal ama preparare il ragù di Yak, rigorosamente italian style, però, nel la cucina del ristorante La Bella Nepali a Bhakta pur. La cucina è linguaggio, scambio di saperi, di sapori, le ricette di sempre accolgono ingredienti diversi e lontani, che quasi per magia si fanno prossimi. A maggio è uscito il ricettario intitolato
Le avventure semiserie di un domatore di pento le, una raccolta di peripezie culinarie di un libero mangione, con le ali sempre spalancate, pronto a prendere il volo.
BENVENUTI
CICLISTI!
SPAZI DEDICATI, BICICLETTE A DISPOSIZIONE, PERCORSI SUGGERITI, ESCURSIONI, ATTIVITÀ OUTDOOR E TANTI SERVIZI AD HOC. ECCO GLI ALBERGHI GIUSTI DOVE FARE TAPPA QUESTA ESTATE. IMMERSI NELLA NATURA INCONTAMINATA
Hotel Miramonti Sport & Wellness Resort
Circondato da una natura incontaminata, dai boschi e dai prati dell’Alta Valle del Savio, si affaccia sul lago di Acquapartita a 800 m slm. Vale una sosta per scoprire l’habitat protetto che fa parte del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, con boschi e foreste tra i meglio conservati. Qui vivono ancora il lupo e l’aquila reale. Per i biker, tante le possibilità, dal ciclismo su strada lungo il percorso della Gran Fondo del Capitano al fuori strada in mountain bike fino ai percorsi dedicati alle e-bike.
Bagno di Romagna (Fc) hmiramonti.it
Argentario Golf Resort & Spa
In un’area naturale protetta a cinque minuti dalla Riserva Naturale Duna Feniglia, tra Porto Ercole e Porto Santo Stefano, un hotel di design dallo spirito sportivo ed ecologico. 73 camere e 5 ville di lusso con vista sul campo da golf 18 buche (l’unico PGA National in Italia), sul Monte Argentario, sul mare e la Laguna di Orbetello. Qui gli appassionati di bici, da strada e fuoristra da, trovano luoghi e sentieri incantevoli per una vacanza slow. Pirelli mette a disposizione del Resort CYCL-e around™, un servizio di noleggio di biciclette a pedalata assistita di alta gamma. Porto Ercole (Gr) argentariogolfresortspa.it
Hotel Villa Cattani Stuart
Un albergo vista mare immerso nella natura di un parco secolare di 9 ettari, a pochi passi dalla strada percorsa dal Giro d’Italia. Da qui si può partire sui tracciati scelti dal Bike Manager per un’avventura tonificante nell’entroterra marchi giano. I dislivelli dolci sono alla portata di tutti, per ammirare i paesaggi e il mare dalla falesia del colle San Bartolo, e visitare paesini medioe vali ricchi di storia. Pesaro inoltre è la città della Bicipolitana, un circuito di piste ciclabili che rical ca le metropolitane cittadine. Centinaia di km di strade, sentieri e piste, adatte a Mountain Bike o a bici da strada.
Pesaro (Pu) villacattani.it
Hotel La Perla
Immerso nell’Alta Val Badia, è un luogo di pace, tranquillità e benessere. Da sempre attenta al rispetto della natura incontaminata, l’ospitalità della famiglia Costa è decisamente a due ruote, eco e silenziose. Bici da corsa, mountan bike, elettriche sono a disposizione per sperimentare la bellezza delle Dolomiti a pedali, lungo sentieri poco battuti, alla scoperta di scorci mozzafiato. Il proprietario Michil è presidente della Maratona a pedali più famosa al mondo, quella dles Dolomites. A testimoniare la passione, l’hotel celebra le due ruote nella Pinarello Lounge, in cui è possibile ammirare bici che hanno fatto la storia del ciclismo. Alta Badia, Corvara (Bz) laperlacorvara.it
Tenuta Le Tre Virtù
Luxury resort nel cuore del Mugello, a mezz’ora da Firenze, la Tenuta è una location elegante e raffinata, ideale per trascorrere un soggiorno in assoluto relax e scoprire l’eccellenza gastrono mica del ristorante Virtuoso Gourmet guidato da Antonello Sardi, quest’anno insignito dalla stella Michelin per la gastronomia sostenibile. Con 7 junior suite di charme, una diversa dall’altra nei colori, stili e profumazioni, è un perfetto punto di partenza per l’esplorazione del Mugello, ricco di borghi e con molteplici attività sportive e itinerari gastronomici e culturali da scoprire. Scarperia e San Piero (Fi) tenutaletrevirtu.it
ADLER Spa Resort DOLOMITI
Percorsi escursionistici unici, tra cime che svet tano al cielo, sorgenti di acqua pura e laghetti. Nel cuore della Val Gardena, un 5 stelle tra fascino del passato e innovazione. Tra le tante le escursioni nella natura maestosa delle Dolomiti, ogni giorno si organizzano tour e gite in moun tain bike o e-bike, anche in combinazione con il trekking nello stile “bike & hike” (si pedala fino ai piedi della montagna per continuare a piedi verso la vetta), ccompagnati da guide locali o muniti di app, Gps e tutte le informazioni per esplorare i dintorni in autonomia. 30 i percorsi per mountain bike, una rete di mille km di strade con diversi livelli di difficoltà. L’hotel, dotato anche del più grande centro benessere delle Do lomiti (3.500 mq), offre noleggio, deposito bici e servizio riparazione.
Ortisei (Bz) adler-resorts.com
Hotel Borgo Egnazia
Ispirato a un tipico paesino locale, è un Luxury Bike Hotel nella Valle d’Itria, dove inizia a scen dere dolcemente verso l’Adriatico. Ospitalità con servizi di altissimo livello che si coniuga a gite ed escursioni in bicicletta, con pic-nic tra uliveti mil lenari, bagni nella spiaggia privata e tour perso nalizzati per le due ruote, guidati da un accom pagnatore locale, tra le stradine di Alberobello, Fasano, Cisternino, lungo la costa di Monopoli e Polignano, o immergendosi nella selva di Fasano, attraverso un sentiero più audace.
Savelletri (Br) borgoegnazia.it
Whitepod Eco-Luxury Hotel
Ecologia, natura e ospitalità, il Whitepod di Mon they garantisce un’esperienza irripetibile in un ambiente naturale di grande fascino. Il comples so, antesignano del glamping, propone agli ospiti sistemazioni di lusso in diversi pod tematici diffusi, dal pod dedicato a 007 a quello Zen, dove non mancano sauna privata, terrazza con vista sulle Alpi e amaca tra gli alberi. Riscaldati, a basso consumo energetico, i pod uniscono le comodità di una camera di albergo di alto livello all’unicità di dormire sotto una cupola con vista spettacolare sulle montagne svizzere.
Monthey, Svizzera whitepod.com
SUMMERTIME
Idee nuove e giovani per le vacanze su due ruote. Con i grandi marchi della moda e del lusso a occuparsi con stile di uno sport sempre più apprezzato
LONELY PLANET - EPIC BIKE RIDES OF EUROPE
Ultima uscita della serie, la guida Epic Bike Rides of Europe raccoglie i più entusiasmanti percorsi su strada, montagna, terra battuta e sentieri, celebrando le bellezze d’Europa e del cicloturismo. Oltre 50 destinazioni nei luoghi amati dai cicloturisti, dalle assolate isole del Mediterraneo agli angoli più remoti della Scozia, dai passi di montagna incontaminati dei Pirenei alle capitali europee. Itinerari per tutti i gusti e i livelli di abilità, ciascuno accompagnato da splendide fotografie, mappe riccamente illustrate e i must have da portare con sè. €28,70 - lonelyplanet.com
GUCCI OROLOGIO GRIP
Con un nome che richiama la superficie della tavola su cui poggiano le scarpe gli amanti dello skate, l’orologio Grip 40 mm ha un design genderneutral essenziale che avvolge il polso. Dotato di cronografo e movimento al quarzo Ronda, la cassa in acciaio ha due aperture che indicano le ore e i minuti, mentre il cinturino in gomma nera è decorato dal motivo GG.
€ 1.400 - gucci.com
TRAVEL TUMBLER 24BOTTLES PER DIOR
Fascino moderno d’ispirazione sportiva per il porta-tazze con gancio disegnato da 24Bottles® e impreziosito da Dior. Di pelle di vitello blu navy 100% impermeabile, contiene una tazza termica di acciaio inox con elegante finitura Dior Oblique dall’effetto satinato. Mantiene le bevande fredde per 24 ore e calde fino a sei e può essere inserito in un passante per cintura o agganciato a una borsa. Perfetto per caffè e frullati da sorseggiare in movimento, è ideale anche per latte, succhi, tè freddo, cioccolata calda... € 490 - dior.com
PORTATHERMOS FENDI x 24BOTTLES
24Bottles® e la maison Fendi firmano una capsule collection glamour dallo stile italiano declinata in cinque varianti. Compatto e leggero, questo porta bottiglia con moschettoni dorati, tracolla regolabile e rimovibile è realizzato in crosta di pelle di vitello gialla con stampa Fendi Roma. La Clima Bottle all’interno, bottiglia termica in acciaio inossidabile satinato, presenta un inconfondibile tappo monogram. € 550 - fendi.com
MOCASSINO DRIVER GG MULTICOLOR GUCCI
Con un motivo introdotto per la prima volta negli anni ’30 e ridisegnato in seguito e una palette dai colori vivaci, la collezione GG Multicolor celebra la storia di casa Gucci, il presente e futuro. La suola in gomma dei mocassini in tessuto GG con morsetto dorato assicura una buona presa durante le pedalate estive. € 590 - gucci.com
BIOMEGA EIN CARRELLO ELETTRICO
Ein, in tedesco ’uno’, è l’innovativo progetto di carrello elettrico per bici sviluppato da Biomega, azienda danese attenta alle esigenze dei ciclisti urbani. Realizzato in una capsula monoscocca bianca con un braccio singolo di fissaggio, può ospitare un paio di bambini o varie tipologie di merci. Dotato di una singola ruota, monta un motore da 250W digitale intelligente e ricaricabile che rileva il movimento della bici e risponde con la propria potenza. Autonomia da 85 a 150km; le batterie si ricaricano in circa cinque ore. € 745 - biomega.com
BANDANA RALPH LAUREN
Per proteggere il capo con stile dai raggi del sole, la bandana RL in tessuto di cotone leggero è realizzata in Giappone e serigrafata con il logo Double RL al centro. € 125 - ralphlauren.com
SANDALI IN PELLE MONTANA PRADA
Doppia fascia con logo per i sandali in pelle di Prada con cinturino posteriore a strappo. La tomaia è in pelle montana, la doppia fascia criss-cross in nastro di nylon con fibbia laterale in metallo. 100% made in Italy, sportivi e ultra comodi, hanno la suola in gomma carro-armato antiscivolo, mentre la soletta interna dalla forma anatomica è foderata in pelle. € 590 - prada.com
SEVENTY ONE PERCENT SUN STICK
SPF 50+ GREEN ROOM
Stick solare a protezione altissima per le aree più sensibili del viso, indispensabile per i ciclisti che non si rarendono al sole cocente. I potenti filtri protettivi fungono da barriera totale contro i raggi Uva e Uvb, mentre gli antiossidanti attivi e idratanti (cera di carnauba, burro di Karité biologico, jojoba, girasole e mimosa) proteggono la pelle in tutte le condizioni atmosferiche. Waterproof e dalla consistenza matt, resiste senza colare durante le più estenuanti sessioni sulle due ruote
€ 15,90 - seventyone-percent.com
OCCHIALI CHANEL
Con la collezione Cruise 2021 la maison francese ha rilanciato gli occhiali da sole a mascherina con visiera di nylon. Declinati in bianco o nero, sono decorati con la doppia C sul parasole. Stile da vendere, il modello prende ispirazione dal mondo sportivo, l’accessorio perfetto per una collezione nata per chi ama spostarsi.
€ 560 - chanel.com
SPECIALIZED TURBO COMO SL 5.0 E-BIKE
La nuova Como Superlight è una bici elettrica di facile manutenzione, accessoriata con tutto quello che serve per divertirsi pedalando. Leggera per essere trasportata su e giù dalle scale, è perfetta per le commissioni in città come per lunghe scampagnate (fino a 150 km con Range Extender opzionale). Il sistema con motore Super Light regala un’assistenza che si regola in modo naturale in base allo sforzo. I potenti freni a disco e gli pneumatici Nimbus garantiscono stabilità e un’ottima connessione al fondo stradale.
€ 3.999 - specialized.com
BASIL BOHÈME BICYCLE BELL
I personaggi Disney aggiungono un tocco estroso a questo pezzo disponibile nei colori indigo blu, verde e rosso.
Basil Boheme è un campanello da bici con elegante stampa bohémien che si contraddistingue per il classico suono “ding dong”. Un accessorio evergreen.
€ 13,99 - basil.com
BERMUDA LORO PIANA
L’eleganza sta nelle cose semplici. Lo sa bene il brand, che da sei generazioni fabbrica prodotti di lusso e tessuti d’eccezione dalle linee sobrie e pulite, a partire dalle materie prime più rare e pregiate. Con la più grande attenzione per ogni dettaglio di un prodotto artigianale unico, come i bermuda leggeri color ruggine in lino con coulisse in vita, un capo immancabile per gli sportivi che non vogliono rinunciare a un tocco di classe.
€ 400 - loropiana.com
F-DB02 TITICI PER LUNA ROSSA PRADA PIRELLI
Dall’incontro tra ciclismo e vela prende vita questa bicicletta, realizzata a mano in Italia con una grafica dedicata al prestigioso team velico. Una Special Edition in soli tre esemplari per il direttore del team e skipper Max Sirena e i timonieri James Spithill e Francesco Bruni, che hanno impresso la firma sul telaio e utilizzato la bici ad Auckland come parte della preparazione atletica. Leggera ed essenziale, il telaio in carbonio di alta gamma presenta il tubo orizzontale più sottile al mondo, solo otto millimetri, che permette di assorbire fino al 18% in più di vibrazioni. Il ricavato dell’asta in cui sono state vendute al termine dell’ America’s Cup è stato devoluto al progetto No Plastic in the Ocean promosso da One Ocean Foundation.
RIXEN & KAUL REISENTHEL CESTINO FUNKY DOTS
Fiori stilizzati a forma di variopinti pois per l’allegro bike-basket laterale. Dotato di manici, tracolla e chiusura zip, si aggancia al portapacchi con il pratico attacco klickfix e, con un semplice gesto, si stacca e diventa una capiente shopping bag.
€ 77,99 - reisenthel.com
LEGGERE SUI PEDALI
NUOVE USCITE
VIE DI FUGA – SOGNI E STRADE DI CICLISTI CHE SE NE VANNO
/People edizioni, 2021, 208 pagine, 16 €/
Che si tratti di un campionato del mondo, di una grande clas sica, del tappone decisivo del Giro o che si tratti di una corsa regionale o della semitappa mattutina di una piccola gara a tappe, c’è un elemento che si ripete: dietro il gruppo insegue, davanti va via la fuga. Il nuovo libro di Bidon è un racconto a più voci che rende omaggio agli animatori del ciclismo. Quel li che sono protagonisti per tutto il giorno e poi non si sa nemmeno come si piazzano. A metà tra saggio e reportage, il libro prima prova a spiegare le motivazioni dei fuggitivi, quindi ne racconta alcune imprese. Completa l’opera il diario di un grande attaccante, Alessandro De Marchi, che racconta in pri ma persona il suo ultimo Tour de France.
I SILENZI DI ALFREDO MARTINI /Ediciclo, 2021, 80 pagine, 10 €/
TORNANTI E ALTRI
INCANTESIMI: 48 ORE, 7 CIME, 2 BICICLETTE /Enrico Damiani Editore, 2021, 272 pagine, 17 €/
Sono trascorsi 100 anni dalla nascita di Alfredo Martini e sette dalla sua scomparsa, ma come recita la frase d’apertura di questo libro, non smette mai di essere presente. Chiunque abbia vissuto il ciclismo in Italia nel dopoguerra, ha vissuto con Martini. Ma in questo libro non c’è il ciclista Martini né il ct della Nazionale, ruolo che lo im pegnò per 22 anni consecutivi. C’è il Martini uomo: il socialista, il partigiano, il saggio, il buono e infine il Maestro del ciclismo italiano, colui che più di ogni altro ne ha difeso e divulgato il valore sociale. Martini era ovunque e parlava con tutti. A volte stava zitto, ma anche in quei momenti parlava. Lo fa ancora oggi con queste pagine.
La passione di Giacomo Pellizzari sono le salite, prima da pedalare e poi da racconta re, in rigoroso ordine cronolo gico. Dopo aver reso omaggio alla fatica e ad alcuni grandi interpreti che hanno saputo viverla nella storia del ciclismo, Pellizzari si è messo in sella per affrontare le Sept Majeurs, i sette principali passi over 2mila delle Alpi Marittime. Due giorni su e giù tra Fauniera, Lombarda, Bonette, Vars, Izoard, Agnel lo e Sampeyre per entrare in una confraternita di scalatori e scopritori di montagne. Questo libro è il suo diario di strada, tra divagazioni naturalistiche, letterarie e musicali, seguendo la regola numero 1 del ciclo viaggiatore: perdersi, e poi ritrovarsi.
Giacomo Pellizzari Franco Quercioli Marco PastonesiBIKE PLAYLIST
La bicicletta è una perfetta metafora della vita. Ti insegna a trovare il giusto equili brio, a dosare le energie, ad andare veloce, a rallentare, a cadere e a rialzarsi. C’è sempre un nuovo itinerario da seguire, un paesaggio da scoprire, una meta da rag giungere. Che sia da soli o in compagnia, con il sole e il vento tra i capelli o sotto una pioggia torrenziale poco importa, ciò che conta è non fermarsi mai. Le venti canzo ni che ho selezionato per voi contengono tutti gli ingredienti emotivi di una pedalata perfetta: energia, grinta, allegria, relax, malinconia. Sceglietele al bisogno in base al vostro mood e al percorso del giorno. Buon Viaggio.
* Mi chiamo Francesca Cavalli, ma ormai per tutti sono La Fra. Da 25 anni sono conduttrice radiofonica, presentatrice di eventi, copywriter, speaker pubblicitaria, autrice di format originali per la radio e scrittrice con #HoSposatoUnaRockstar (Mursia). Da più di quattro anni sono in onda su Radio Freccia, dalle 6 alle 10, con Rock Morning. Pratico tutti i giorni la camminata veloce e quando posso pedalo. Il mio sogno nel cassetto? Giornate lunghe almeno 48 ore. Smile! Stay Up! Rock On!Il ciclismo ti rende MAGRO
AL TOUR DE FRANCE
VITTORIA E CIOCCOLATO
Quando si avvicina luglio i ricordi riaffiorano nitidi come luci nella notte. Quell’anno, era il 1983, non eravamo ancora partiti per il Giro d’Italia, al via mancava una settimana, e una sera, a casa, squillò il telefono intorno alle 22:30. Non poteva che essere il mio direttore sportivo, Roberto Poggiali, per il solito ‘controllino’ serale. Era convinto non facessi la vita da atleta.
Rispose mia mamma: “C’è Poggiali che ti vuole”. Andai al telefono e un po’scocciato gli dissi: “Tra dieci minuti vado a letto”. Invece, lui: “Ci hanno preso!”. Non capii. “Dove ci hanno preso?”. La nostra squadra era stata invitata al Tour de France. Una notizia che potrebbe oggi non sortire alcun effetto, ma allora era come essersi qualificati per la finale di Coppa dei Campioni. Per essere invitata, infatti, una squadra doveva fare richiesta, accettare le condizioni poste dagli organizzatori di Aso e, se i parametri sportivi ed economici venivano ritenuti validi, bisognava versare ottanta milioni di lire per poter partecipare alla Grand Boucle.
La mia squadra, la Metauromobili-Pinarello, si era giocata il jolly con l’acquisto, un anno prima, del belga Lucien Van Impe, che aveva vinto la corsa d’oltralpe nel 1976 ed era considerato un idolo in Francia, per via dei molteplici successi nella classifica scalatori, quella della famosa maglia ‘a pois’. Alla partenza del 1° luglio, con il cronoprologo di 5,5 kilometri da Fontenay-sous-Bois, eravamo l’unica squadra italiana al via, con appena sei corridori italiani. L’arrivo era su uno strappo così carogna che a ripensarci viene quasi il mal di gambe a distanza di quarant’anni. Chiusi quarantaduesimo, migliore della squadra.
Il giorno dopo, prima ‘vera’ tappa, non
andavo, sempre in fondo al gruppo. Rita, la moglie di Van Impe, mi aveva portato dal Belgio due stecche giganti di Cote d’Or, un cioccolato buonissimo, una vera leccornia: forse esagerai nel mangiarne mezza (e solo chi la conosce può sapere quali fossero le dimensioni della stecca…). Seconda tappa una cronometro a squadre di 100 km: una tragedia, staccato dopo metà percorso e solo fino al traguardo. Nella terza tappa con arrivo a Roubaix, sul pavé, riuscii ad essere almeno utile al mio compagno Marco Groppo, che doveva curare la classifica generale, dandogli la mia bicicletta perché aveva forato. Quarta tappa arrivo a Le Havre, ‘solo’ 300 km, ma il cioccolato cominciava a non farsi più sentire nelle mie vene. Quinta una passeggiata di 260 km e devo dire che iniziai a sentirmi per la prima volta bene, a mio agio in gruppo. Siamo all’apoteosi: dopo la cronometro individuale disputata su un percorso nei dintorni di Nantes, l’8 di luglio, sotto un sole cocente e su un percorso nervoso, riesco, scattando all’ultimo chilometro con un colpo da vero finisseur, a vincere la tappa che arriva a Ile d’Oleron, rompendo il digiuno italiano di vittorie che durava da sei anni.
Su quell’isola dell’Atlantico finì anche il mio Tour de France. Il mio pensiero era quello di finire ciò che rimaneva della cioccolata di Van Impe. Mi ritirai l’11 luglio, alla decima tappa, ma purtroppo il caldo torrido aveva sciolto le stecche di Cote d’Or. Il rimorso è durato una vita, perché, se fossi arrivato a Parigi, di sicuro Rita, per festeggiare il quarto posto in classifica generale e primo nella classifica scalatori del mio capitano Lucien Van Impe, avrebbe senz’altro portato un furgone di cioccolato.
*Riccardo Magrini è un ex ciclista, dirigente sportivo e commentatore tv per Eurosport