DAL BICICLETTO ALL’E-BIKE (TRUCCATA)
La bicicletta moderna è nata maschio. Alla fine del 1800 si chiamava infatti bicicletto. Ha avuto due padri: un meccanico di Conventry, John K. Starley, che nel 1885 creò la Rover, prima bicicletta ‘di sicurezza’, con ruote identiche, posizione bilanciata del conducente e catena di trasmis sione piatta, e un veterinario di Belfast, John B. Dunlop, che tre anni dopo pensò di applicare delle camere d’aria in gomma alle ruote di legno del triciclo di suo figlio di dieci anni.
Il bicicletto andava forte (si fa per dire) nelle metropoli europee come Lon dra e Parigi ma oltre a essere poco affidabile e relativamente pericoloso era un passatempo esclusivo per giovani alto-borghesi. In Italia, il bicic letto, o velocipide, debuttò a Milano appunto alla fine del 1800 e nacqu ero ben presto diverse fabbriche anche se le biciclette erano giudicate “pericolose, bizzarre, inutili e addirittura disdicevoli” per alcune categorie (le donne prima di tutto, ma anche i sacerdoti e gli ufficiali).
Poi, per fortuna, i pregiudizi sono caduti ed è andata come è andata con il boom attuale e con, addirittura, una carenza di prodotto. Già, oggi per acquistare una bicicletta può capitare di dover aspettare la consegna per settimane se non mesi. Molte aziende lo dicono chiaramente che sono a corto di bici. Perché latitano le materie prime i cui costi, tra l’altro, stanno lievitando, come quello, per esempio, dell’alluminio. All’estero, soprattutto in Cina, la situazione non è migliore a causa dei trasporti. Molte bici, so prattutto le e-bike, vengono inviate via mare. Molte merci vengono spedite dall’Asia all’Europa ma viaggiano relativamente meno in direzione contra ria. I viaggi di ritorno con container vuoti fanno quadruplicare i costi.
Ma ormai la spinta inerziale verso la biciletta non si ferma nemmeno da vanti a questi mastodontici inconvenienti. Secondo gli ultimi dati disponi bili, nel 2020 sono state prodotte 80mila bici elettriche in più rispetto alle 200mila del 2019 e chissà quale sarà il saldo a fine 2021.
Purtroppo, siamo in Italia, e non può mancare chi cerca di cavalcare in maniera fraudolenta il boom delle e-bike. Così, mentre si discute, legitti mamente, sulla sicurezza dei monopattini elettrici e si lavora per una legge ad hoc, ecco che spunta di soppiatto il fenomeno dei ciclomotori venduti come e-bike, causa di diversi incidenti stradali. “L’origine della truffa del la bicicletta elettrica truccata”, spiega il sito das.it, “è riconducibile al fatto che, in questo modo, si evitano tutti gli oneri connessi al possesso di un ciclomotore come patentino, casco, assicurazione e bollo”.
Per fortuna, chi ama davvero la bici, muscolare o elettrica, sa che peda lare non è solo una questione fisica, ma anche etica. E non comprerebbe mai un motorino travestito da bicicletta.
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UNA CITTÀ PER CAMBIARE
I numeri continuano a essere entusiasmanti. Dopo il balzo del 2020 (in Europa è stato raggiunto il massimo storico degli ultimi vent’anni), le vendite di biciclette continuano a crescere a due cifre nel primo semestre 2021. Le proposte di veicoli leggeri in condivisione, dalle biciclette agli scooter passando per i monopattini, non sono più una ‘moda’ metropoli tana, ma si stanno diffondendo su tutto il territorio nazionale, dalle piccole città fino alle località balneari e ai paesi di montagna. Eppure, in questo autunno di ripresa desiderata, anno secondo dopo il Covid, tra regole sugli autobus e polemiche sui monopattini, l’equazione mobilità urbana non è ancora risolta.
Le iniziative private per una nuova mobilità sostenibile, sia per l’ambien te sia per le nostre tasche, aumentano perché è cambiata la domanda: c’è un nuovo cliente-cittadino che ha compreso i vantaggi di muoversi diversamente, anche a causa della pandemia e grazie al lavoro da remoto. Magari rinunciando all’auto o passando dalla metropolitana a un mezzo in condivisione. Da un treno a una bicicletta presa al volo in stazione. I veicoli leggeri, con la bicicletta in testa, possibilmente in sharing, sono tessere fondamentali nel mosaico della smart mobility che, per definizione, non può che essere mobilità integrata.
A chi tocca il compito e la responsabilità di integrare in maniera sensata le diverse forme di mobilità spinte negli ultimi anni da operatori privati nazionali e internazionali? Alle città. A questo punto la gestione strategica del puzzle è delle amministrazioni comunali che non possono più limitar si a fare bandi, fissare le regole e controllarne l’applicazione. Adesso è il momento di avere e promuovere un’idea di città e per farlo bisogna cono scerne la vita, le abitudini e le esigenze dei cittadini.
Torino, da ex capitale dell’industria automobilistica, si sta sempre più accreditando come centro della nuova mobilità ad alta tecnologia, con una moltiplicazione di progetti che coinvolgono enti pubblici, fondazioni, università e operatori internazionali dell’innovazione. Venezia, da monu mento sull’acqua, si candida a diventare laboratorio per la sostenibilità, con un acceleratore di futuro, VeniSia, chiamato ad affrontare le sfide di un territorio senza eguali.
Nei prossimi anni la partita della nuova mobilità intelligente, sostenibile e integrata si sposterà sempre più nel campo della cosa pubblica, perché gli spazi urbani e la vita che in questi si svolge non possono essere solo una questione di business. E i nuovi leader della smart mobility saranno i sindaci. Almeno quelli capaci di operare nel presente preoccupandosi del futuro.
*Smart mobility editor di BIKEL’ABICI DELLE NUOVE CITTÀ
Sviluppo di innovative soluzioni di mobilità, crescente attenzione alla tematica della sostenibilità e nuove abitudini e preferenze caratterizzano oggi più che mai l’ecosistema della mobilità urbana. Fattori che sono stati accelerati dall’emergenza sanitaria. A tutto ciò si aggiunge la volontà del policy maker che, riconoscendo la necessità di cambiamento, ha iniziato a effettuare interventi concreti, tramite anche gli investimenti abilitati dal Recovery Fund.
Tali cambiamenti, però, devono necessariamente passare da un’evoluzio ne dei modelli cittadini, che ne costituiscono infatti un aspetto strategico ed essenziale. Le città, tuttavia, non sono tutte uguali e l’evoluzione dei modelli cittadini potrà svilupparsi in più di una direzione, alla luce anche di diversi fattori come, per esempio, la dimensione delle città, il clima, l’evolu zione della pandemia.
Un modello di evoluzione cittadina particolarmente attuale è quello delle ‘15 minutes city’. Si tratta di un modello di sviluppo urbanistico che delinea uno scenario in cui, all’interno del tessuto urbano, ognuno possa avere tutti i servizi di cui ha bisogno alla distanza massima di 15 minuti, a piedi o in bicicletta. Un modello che permette di affrontare nella loro interezza le difficoltà nello sviluppo che incontrano le smart city, ma con un approccio progressivo valorizzatore degli ecosistemi urbani.
In questo contesto, bici e mezzi di micromobilità sembrano risponde re meglio di altri alle nuove esigenze dei consumatori. Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale della sharing mobility relativi all’ultimo anno, bici, scooter e monopattini costituiscono ormai il 90% del totale dei veicoli in sharing e dei noleggi in Italia, i noleggi di bici sono in crescita del 77% e i servizi di noleggio di monopattini sono passati da 11 a 64.
Il paradigma della nuova micromobilità, tuttavia, deve inserirsi all’interno di un ecosistema di mobilità dove tutte le soluzioni vanno lette in una logica integrata, considerando anche le differenze territoriali tipiche dell’Ita lia (dove il 77% della popolazione vive in comuni con meno di 100mila abitanti). Le infrastrutture cittadine dovranno pertanto essere sviluppate attraverso un’azione di sistema che preveda una stretta collaborazione tra istituzioni e operatori privati.
Una celebre battuta di Henry Ford recita: “Se avessi chiesto ai miei clienti cosa volevano, mi avrebbero risposto: un cavallo più veloce”. Ford, invece, diede loro l’automobile. Anche oggi la mobilità è a un punto di svolta: c’è ancora una richiesta di “cavalli più veloci” – per migliorare il modello attuale – ma c’è anche la necessità di un nuovo paradigma che valorizzi le diverse soluzioni di mobilità, calandole nei contesti cittadini.
senior partner di Monitor DeloitteL’ESPERTO
TUTTE LE DONNE DI BIKE
Che il ciclismo al femminile sia una realtà affermata ma sempre in costante crescita lo dimostrano, non soltanto i dati di mercato, ma soprattutto i risultati conseguiti da tante ragazze e donne in corsa per prestigiose vittorie e rilevanti obiettivi. BIKE, nel suo primo anno di vita, ha incontrato e raccontato campionesse come Letizia Paternoster, Elisa Longo Borghini, Gaia Tormena e tutte le azzurre della pista che abbiamo seguito anche nella spedizione olimpica di Tokyo 2020. Grande attenzione è stata riservata alle manager di alcuni importanti brand come sono Ginevra Cividini, che è media rights e marketing manager del Giro d’Italia Donne, Marta Villa, marketing coordinator del brand Liv in Italia (il marchio di Giant dedicato alle donne) o Ludovica Casellati, ideatrice dell'Italian Green Road Award, l'Oscar italiano del cicloturismo. Senza dimenticare le protagoniste nel mondo della comunicazione come Ilenia Lazzaro,
ciclocrossista e opinionista di Eurosport, e Ilaria Cappelluti, speaker radiofonica con la passione delle due ruote. Una passione che, per tante, è cresciuta senza averlo progettato a tavolino come è stato per l'ultracyclist Dorina Vaccaroni, dopo una vita da schermitrice di primissimo piano, o per le cicloturiste incontrate da Andrea Colnago in BIKE Travel. Un mondo di storie umane e professionali che si intrecciano con quelle delle donne di Forbes Italia, come nel caso di Irina Mella Burlacu, 'Lady Barrier', specialista della sicurezza stradale alla guida di RoadLink, o di Laura Colnaghi Calissoni, presidente del gruppo Carvico, che i lettori di BIKE già conoscono per le sue partecipazioni alla Maratona dles Dolomites e che a Forbes Women ha raccontato le sue passioni tra arte e sport. Tantissime potete andarle a rivedere nella sezione programmi di BIKE andando a inquadrare il QR Code in pagina.
di MATTEO RIGAMONTI / Inquadra il QR Code in pagina per rivedere le interviste alle donne di BIKEBIKE ALLA FESTA DELLA BICI
Significativo afflusso di pubblico e tante occasioni di incontro all'Italian Bike Festival 2021. La quarta edizione della fiera dedicata al mondo della bicicletta si è svolta a Rimini, in Piazzale Fellini, dal 10 al 12 settembre. C'eravamo anche noi di BIKE, con uno stand e come media partner, per raccontare quella che il direttore editoriale di BIKE, Marino Bartoletti, ha descritto come una “festa di rinascita” per l'Italia e il popolo della bicicletta desideroso di tornare a incontrarsi dal
vivo. Un evento sempre più aperto alla contaminazione con la mobilità urbana e sostenibile, il cicloturismo e tante novità di mercato, dai monopattini alle bici elettriche. Non sono mancati i volti noti e dello sport come Mario Cipollini e Claudio Chiappucci, Katia Aere (bronzo a Tokyo 2020 nell’handbike) e Marco Aurelio Fontana, Omar Di Felice e Justine Mattera. Per il 2022 l'appuntamento con l'Italian Bike Festival è sempre a Rimini dal 9 all'11 settembre.
/Marino Bartoletti allo stand di BIKE BoscoPedalare 365 giorni l’anno sul lago di Garda si può. E non è soltanto grazie a un clima favorevole che permette di vivere la propria passione per le due ruote tutto l’anno. Grazie all’impegno di tante amministrazioni locali, i servizi per i cicloturisti qui sono al top: noleggi, stazioni di riparazione, guide turistiche, hotel e persino ristoranti dove le due ruote sono sempre benvenute. Il giro del lago è il più classico tra gli itinerari e, oltretutto, grazie anche alle e-bike è oggi accessibile a tantissime persone. Si tratta di 140 chilometri di strade che alternano la natura incontaminata ad affascinanti centri storici. Sul versante bresciano il percorso si sviluppa quasi totalmente a bordo strada con alcuni tratti di ciclopedonale, tra i quali la panoramica che collega i comuni di Garda, Bardolino, Lazise e Peschiera. I traghetti di Navigarda permettono poi di accorciare l’itinerario portando da una costa all’altra i turisti con bici al seguito. Tantissimi itinerari partono dai paesi che costellano il basso e alto Garda. Percorsi adatti alle famiglie ma anche bike trail per gli amanti del fuoristrada.
SCOPRENDO CERVIA E DINTORNI
Cervia punta sulla bici come strumento per incentivare il turismo e migliorare il rapporto con l’ambiente e la salute delle persone. “Questa scelta è anche una risposta utile alla mobilità urbana, allo snellimento del traffico e sul piano economico”, spiega a BIKE il sindaco della cittadina romagnola, che sul sito del comune ha un’intera sezione dedicata agli itinerari cicloturistici e sportivi. Con il depliant ‘Cervia in bici’ sono state inoltre fornite le indicazioni per il corretto utilizzo delle due ruote con le regole previste dal codice della strada e i consigli per la sicurezza alla guida. Cervia vanta oltre 40 chilometri di piste ciclabili che si sviluppano sul lungomare, i viali alberati, la pineta e la salina. I percorsi sono adatti a tutti, grandi e piccini. Dal centro attraverso la pineta, per esempio, è possibile raggiungere la valle dell’Ortazzo con i punti per l’osservazione di folaghe, cigni, anatre, aironi e cormorani. Si è infatti nella Riserva Naturale Duna Costiera in prossimità della foce del torrente Bevano. Attraverso questo percorso pianeggiante su strada sterrata si raggiunge Ravenna. Un altro itinerario interessante è la Rotta del Sale, ciclabile che corre parallela all’antica rotta marittima con partenza dal centro della città, sino, volendo, al lido di Venezia. E molti altri ancora.
SEMPRE IN BICI SUL GARDADA BERGAMO AL MONTE ROSA
Il primo luglio di quest’anno i bergamaschi Simone Bonzanni e Davide Regazzoni hanno portato a termine un’impresa che ha unito la passione per il ciclismo con quella per l’alpinismo. In occasione del loro ventottesimo compleanno i due amici sono infatti partiti in sella a bici Trek da Bergamo alla volta di Alagna, apice della Valsesia. Da lì, scesi di sella, hanno attaccato la cima del Monterosa (4.634 metri) per poi ridiscendere e fare rientro nel capoluogo lombardo. Il tutto senza l’ausilio di alcun mezzo esterno, né auto di supporto né impianti di risalita. “Per noi è stato importante sottolineare lo spirito ecosostenibile e a zero emissioni” di questa impresa, ha sottolineato Bonzanni. I due hanno background differenti: Simone, chimico originario di Madone, e Davide, ingegnere elettronico di Mozzo, si sono conosciuti a un corso di alpinismo diventando amici e compagni di molte avventure. Atleti amateur di buon livello sono legati dall’amore per la montagna e hanno voluto lanciare un messaggio: ricordare che si può raggiungere la montagna anche in modo alternativo, senza necessariamente usare la macchina. Un approccio alla montagna come agli inizi del secolo scorso. Una provocazione? “In parte sì, perché anche noi siamo automobilisti, ma lo vogliamo essere in modo consapevole- aggiunge Simone - la tutela dell’ambiente montano è fondamentale in quanto è un ecosistema delicato che soffre molto più degli altri gli effetti del riscaldamento climatico”.
A VERBANIA SULLE STRADE DI GANNA
Tra i comuni che recentemente hanno deciso di rilanciare il cicloturismo c’è anche Verbania. Il paese natale dell’oro olimpico Filippo Ganna vuole infatti proporsi punto di partenza per diversi itinerari nei dintorni o lungo il lago. Percorsi ideali da fare con amici o in famiglia, ma anche traguardi più impegnativi per ciclisti allenati. Come nel caso, per esempio, dei sei percorsi protagonisti al Giro d’Italia. Ci sono la salita del Monte Ologno, con i suoi panorami indimenticabili sul lago Maggiore, la lunga ma pedalabile ascesa da Vogogna a Macugnaga ai piedi della parete est del Monte Rosa, e la salita che porta dalle cascate del Toce, in Val Formazza, un impressionante salto d’acqua di 143 metri, fino al lago di Morasco attraverso la splendida piana di Riale. E ancora il Mottarone, sia dal versante cusiano sia da quello dell’Alto Vergante, e l’Alpe Segletta con le sue terribili rampe. Sempre partendo da Verbania è possibile inoltre affrontare il passo del Sempione che collega l’Ossola con la valle del Rodano unendo la Pianura Padana alla Svizzera e alla Francia.
/©Foto Fabio Valeggia/BELLE E SICURE CON LIV
Coniugare stile e sicurezza si può. Come nel caso dei nuovi caschi Liv – brand che Giant dedica esclusivamente alle donne – che sono dotati di tecnologia Mips, acronimo di Multi-directional Impact Protection System, un innovativo sistema di protezione multidirezionale. Priorità del marchio, con i modelli Path, ideale per l’offroad, e Relay (nella foto), per chi invece predilige pedalare su strada, sono il comfort, che non manca mai, e lo stile, davvero minimale. Cinque su cinque il rating di sicurezza riconosciuto dal Virginia Tech. Virginia Tech.
AI PIEDI, L’AVVENTURA
Nel trentennale dalla nascita Northwave rinnova logo, sito internet e lancia una collezione di scarpe che riserva particolare attenzione al mondo offroad. Con la collaborazione di atleti enduro sono stati sviluppati diversi modelli tra i quali Overland Plus (foto 1), Rockit (2) e Multicross (3). Overland Plus è una scarpa ad alte prestazioni, leggera e comfortevole, indicata per le lunghe giornate in sella. Rockit è per ogni situazione, allenamento, cicloturismo o anche solo per andare al lavoro. Multicross è una moderna scarpa per outdoor che ben si sposa con le esigenze di chi è solito alternare pedalata e cammino, adattandosi a diverse situazioni, dal commuting giornaliero alle uscite in e-bike. La suola in Vibram è caratteristica comune ai tre modelli.
CHOPPER A PEDALI
Manubrio alto e sella a banana, silhouette da ‘wheelie-bike’ anni ’60 e verniciatura blu acceso per la prima esclusiva e-bike Harley-Davidson customizzata della serie 1-Off. Aggiudicata di recente all’asta, si chiama Mosh/Chopper ed è prodotta da Serial 1, il marchio della casa motociclistica di Milwaukee che quest’anno ha portato le elettriche branadizzate Harley nei concessionari di tutta Europa. La casa presenterà ogni anno un paio di modelli di questa serie da vendere all’asta. Dal punto di vista tecnico, la bici mantiene le caratteristiche della Mosh/Cty, uno dei quattro modelli di e-bike Harley Davidson.
Dalle volate a due ruote agli sprint con il sulky. È la storia di Alessio Di Basco, nato a Vecchiano, provincia di Pisa, il 18 novembre del 1964. Cresciuto nella frazione di Migliarino da genitori e nonni contadini, tra campi di angurie e meloni, Di Basco debutta nel 1988 come ciclista professionista con la divisa della Fanini. Quell’anno partecipa per la prima volta al Giro d’Italia e, nella nona tappa, da Pienza a Marina di Massa, conquista una fantastica vittoria sconfiggendo due velocisti eccezionali come Guido Bontempi e lo svizzero Urs Freuler. Nel 1990, invece, Alessio termina ultimo nel Giro d’Italia vinto da Gianni Bugno ottenendo una ‘popolarissima’, per quanto poco ambita, maglia nera. Negli anni successivi conquista anche una vittoria alla Vuelta e al Tour de Suisse. “Il ciclismo mi ha insegnato a vivere e a conquistarmi il rispetto”, ha detto Di Basco concludendo la carriera sulle due ruote. Nel frattempo è cresciuta la passione per l’ippica: grazie al padre, infatti, Alessio si è innamorato delle corse al trotto. Una passione che è diventata poi una nuova professione, visto che è diventato allenatore di cavalli.
In pochi mesi, grazie alla fiducia del proprietario e allevatore Stefano Simonelli, Di Basco ha persino
il Gran Premio Turilli, con Amon You Sm. “Una gioia davvero immensa”, ha commentato: “La soddisfazione di vincere una delle prove più importanti del trotto italiano è paragonabile soltanto a quella di vincere una tappa al Giro d’Italia o una Milano-Sanremo”.
Il trotto è molto più di un hobby. “In questa nuova esperienza mi metto sempre in discussione”, ha assicurato Di Basco, “voglio migliorare sempre di più. Ogni giorno mi dedico moltissimo a ciascun cavallo, sono diventato davvero meticoloso e attento a ogni dettaglio”. E ancora: “Nel mio centro di allenamento ho predisposto una pista all’avanguardia, uso il cardiofrequenzimetro per interpretare gli allenamenti dei miei cavalli e sto molto attento al loro peso. Insomma, non voglio lasciare nulla al caso. È un lavoro stimolante, che mi permette di crescere a trecentosessanta gradi”.
/Alessio Di Basco, a destra, alla premiazione/ Leggi UN CHE VINCE ANCHE AL TROTTO CAVALLI CON IL CARDIOFREQUENZIMETRO” /©Foto Domenico Savi/UNA LEZIONE PER LA VITA
“Per me lo sport non è arrivare primo sulla linea del traguardo ma significa due cose: provare a raggiungere il proprio limite, qualunque esso sia, e poi provare a spostarlo”. Chi parla lo scorso giugno ha archiviato 32 trimestri consecutivi di crescita con Fastweb, la società che guida ormai dal 2013 e, nel 2019, ha completato l’Ironman di Francoforte sotto una canicola di 43 gradi. Per Alberto Calcagno – 48 anni, nato a Voltri (Genova) e poi laureatosi all’Università Bocconi di Milano – sport e lavoro non sono due linee parallele ma perfettamente convergenti. “Non faccio sport per la forma fisica ma per ribilanciare lo stress che vivo sul lavoro”, spiega. “Andare in bici, per esempio, è un modo per trovare tempo per me, anche se in realtà continuo a pensare al business ma in maniera molto rilassata e quindi più lucida”. Non stupisce così che “la soluzione geniale”, aggiunge, “si trova mentre si pedala con bellissimi panorami davanti agli occhi, quando puoi permetterti di andare oltre le preoccupazioni di tutti i giorni”. La volontà di trasmettere questa filosofia ha spinto Calcagno a scrivere Get in the game La sfida della crescita, edito da Oscar Mondadori l’anno scorso, in cui ha accostato la parabola di successo di Fastweb – che in Italia offre connessioni superveloci a oltre 2,15 milioni di persone – alla sua storia professionale, fatta di
momenti difficili ma anche di grandi soddisfazioni, e alle sue conquiste sportive. “Tutti noi siamo molto coraggiosi nel quotidiano, ma quando abbiamo un badge in mano facciamo ancora un po’ di fatica. Il punto chiave è provare a crescere sempre, non accontentarsi mai”. Certo, per farlo a volte bisogna uscire dalla cosiddetta comfort zone, ma lo si può fare “anche con garbo”, continua il manager, “senza provare a scalare l’Everest, piuttosto misurandosi con piccole sfide e rilanciando un po’ di più ogni volta”. Calcagno è entrato in Fastweb nel 2000 (prima aveva lavorato in alcune investment bank londinesi), ma la sua passione per le due ruote ha radici ben più antiche. “Da quando avevo 8-9 anni e andavo in vacanza con i miei nonni in un paesino piemontese vicino al Monte Beigua, ancora oggi la mia salita preferita (scalandola è stato intervistato da Cheo Condina nella trasmissione Pedalando con il C(h)eo poi in onda su BIKE). La mattina facevo i compiti e poi inforcavo la bici. Non l’ho più mollata perché mi faceva sentire libero”. Oggi, che macina 4mila chilometri l’anno ma soprattutto fino a 200mila metri di dislivello grazie ai rulli (“una scoperta fantastica”), quello che cerca quando si alza sui pedali è la stessa sensazione. Anche per questo, forse, il suo corridore preferito resta Marco Pantani.
/Alberto Calcagno, ad di Fastweb, mentre scala lo Zoncolan/CAMPIONI E PROTAGONISTI DELLA NUOVA MOBILITÀ
LA FORZA DEL CIOCCOLATO
ECCELLENZA E SOSTENIBILITÀ SONO QUALITÀ ISCRITTE NEL DNA DI DOMORI. MA È IL TEAM IL SEGRETO PER AVERE SUCCESSO NEL TEMPO. COME RACCONTA L’AD ANDREA MACCHIONE
C’è una via italiana alla sostenibilità e Domori ha deciso di percorrerla fin dalla nascita. Quando il fondatore e presidente Gianluca Franzoni, a inizio anni Novanta, raggiunge il Venezuela, resta affascinato dal cacao fine che decide di rilanciare come prodotto d’eccellenza. Riconoscendo un va lore nella biodiversità della materia prima, la fava di cacao, coglie anche il potenziale di una primizia assoluta come il criollo, il cacao dei Maya e degli Aztechi, che rischiava l’estinzione.
Oggi l'azienda ha sede a None, alle porte di To rino, dal 2006 fa parte del gruppo illy e in poco meno di vent'anni ha visto il fatturato crescere da due a quasi venti milioni di euro, ventotto considerando Prestat, il brand del tartufo di cioc colato, fornitore ufficiale della casa reale inglese, che nel 2019 ha fatto il suo ingresso nel peri metro aziendale. Nel 2020 Domori è diventata Società Benefit e ha avviato la procedura per la certificazione B-Corp.
Amministratore delegato di Domori dal 2018 è Andrea Macchione, che lo è anche del Polo del Gusto, la holding di Riccardo Illy fondata sul concept di ‘qualità dirompente’, di cui Domori fa parte, nonché presidente di Prestat. Oltre a essere manager d’esperienza, Macchione è ap
passionato ciclista che, dopo aver subito per anni il “fascino” televisivo delle gesta di campioni come Bartali, il beniamino del padre, Moser e Pantani, ha deciso di salire in sella in prima persona, ap procciando la bicicletta attraverso il triathlon, cui è approdato dopo la corsa e la maratona. “Sprint e olimpico sono le mie distanze”, racconta a BIKE Macchione, anche se il “sogno”, per i cinquant’an ni, tempo permettendo, è quello di “coprire la di stanza regina” per un triatleta, ovvero l’Ironman. Intanto l’ad, quando non lavora, si gode il gusto “della fatica, della solitudine e della resistenza nella difficoltà”, che prova nei fine settimana di allenamento in bicicletta, su strada o in sella a una mountain bike gialla nei boschi vicino a casa.
Il ciclismo, però, non è solo metafora della so litudine di chi è chiamato a prendere decisioni strategiche al comando; lo è anche di esperien ze uniche e affascinanti come sono “l’aiuto dei compagni” o l’avventura di “costruire team in grado di vincere in ogni situazione, scegliendo le persone migliori per ogni compito”. Nella squadra che Macchione ha costruito, portando in prima linea risorse già operanti all’interno di Domori, la maggioranza sono donne, proprio come è nel resto dell’azienda.
“Sono molto orgoglioso di chi lavora con me”, as sicura riandando con la memoria a un episodio: la recente consegna di un ordine da 160 tonnellate, per onorare la quale, la dedizione dei dipendenti, schierati su tre turni, ha assicurato il risultato nei tempi pattuiti. Ne è rimasto sorpreso anche Mac chione cui in realtà capita spesso, ci ha confidato, di restare a bocca aperta di fronte alla “sensibilità e dedizione di quanti lavorano in produzione”. È grazie a loro se l’anno scorso l’azienda ha sostan zialmente tenuto durante la pandemia, con una lievissima flessione di fatturato, e quest’anno è già ripartita, pronta ad affrontare i mesi decisivi dell’anno, gli ultimi, quelli che portano verso le feste.
È proprio lì, dove le fave di cacao vengono ogni giorno, con passione e professionalità, trasforma te in cioccolato, che affondano le radici della so
retto con i produttori”, “premialità”, “collaborazio ne con cooperative e no profit” sono gli elementi citati da Macchione nell’intervista per BIKE Incon tra (che potete rivedere sul sito di Bikechannel.it o inquandrando il QR Code in pagina) che stanno dietro lo stile con cui Domori da sempre edifica la sostenibilità. E che ne fanno un’eccellenza, italiana ed internazioanale. Ma senza il “capitale umano” che si incontra in azienda, anche tali ingredienti, da soli, non basterebbero.
Infine una curiosità. Per Macchione il cacao è otti mo superfood quando si praticano sport di fatica come il ciclismo, consumato prima dello sforzo o per reintegrare subito dopo l’allenamento. Ma c’è di più. Prima delle salite ha un segreto: al ciocco lato Domori l’ad affianca un marrone Agrimonta na, altra eccellenza italiana del Polo del Gusto. A conferma di come la squadra sia fondamentale
/©Foto Roberta Bruno/ /Macchione ha approcciato il ciclismo attraverso il triathlon: oggi si allena su bici da strada o in sella a una mountain bike nei boschi vicino a casa/FOGLIE MORTE, RUOTE GRASSE
I boschi si accendono, sembrano prendere fuoco. Le foglie si colorano di rosso, cadono e lasciano gli alberi spogli, così che i raggi del sole, sempre più timido, possano continuare a disegnare a terra le loro ombre. I grappoli sono appena stati tolti dalle viti, le castagne abbondano nei sottoboschi.
È arrivato l’autunno e per gli amanti delle moun tain bike questo è uno dei periodi più belli dell’an no per perdersi nella natura che cambia e indica l’arrivo del freddo. Ecco cinque percorsi da Nord a Sud da gustare con le ruote grasse prima che arrivi la neve.
DAL LAGO D’IDRO ALLE DOLOMITI DEL BRENTA
In Trentino è stato da poco creato un nuovo itinerario che collega il Lago d’Idro e le Dolomiti di Brenta: 54 kilometri circa, disegnati per unire la Valle del Chiese e la Val Rendena collegando tracciati già esistenti. La pista ciclopedonale che percorre la Valle del Chiese si muove dalla sponda trentina del Lago d’Idro al confine con la Lombar dia fino a Cologna di Pieve di Bono per 19 kilome tri. Si pedala tra i campi coltivati a granoturco no strano di Storo, il cosiddetto oro rosso della valle.
Terminata la ciclabile della Valle del Chiese, sulle sponde del Lago di Roncone, ci si sposta su quella della Val Rendena, che prosegue fino a Pinzolo e Carisolo, dove si possono ammirare le cime delle Dolomiti di Brenta.
DALLE VALLI DEL NORD ITALIA ALLE MONTAGNE CON VISTA MARE, CINQUE ITINERARI DA MOUNTAIN BIKER CONSIGLIATI PER L’AUTUNNO
LUNGO LA VALLE ISARCO
Restiamo ancora in Trentino e andiamo a peda lare lungo il cosiddetto ‘Keschtnweg’, il sentiero delle castagne che comincia nella Valle Isarco, al Monastero di Novacella nei pressi di Bressanone e scorta fino al castello Runkelstein a Bolzano. In mezzo, un tripudio di boschi di castagno, di vigneti arroccati sui pendii scoscesi. Si può pedalare fino a Terlano e Vilpian, nella Valle dell’Adige. In tutto sono 90 kilometri, tutti segnati con la denomina zione del percorso in lingua originale. In autunno il sentiero delle castagne mostra il suo lato miglio re: non solo perché i ricci cadono dagli alberi e si schiudono al suolo, ma perché numerose fattorie aprono le loro porte agli escursionisti di passag gio.
LA VAL TROMPIA
Spostiamoci in Lombardia, in provincia di Brescia, in Val Trompia. Qui è stata disegnata la Gre enway, un percorso ciclabile che risale il corso del fiume Mella fino a Bovegno. E che vanta diverse possibili deviazioni da fare soprattutto in mountain bike, per un totale di 74 percorsi adatti a tutti i livelli di preparazione. Il più suggestivo è il cosiddetto ‘Crinale’, tracciato adrenalinico di 70
kilometri a 1.600 metri di quota. Lungo la Gre enway della Val Trompia ci sono undici strutture ricettive bike friendly. I dettagli si trovano sul sito Greenwayvalliresilienti.it, dove è anche possibile trovare una mappa dei punti di interesse cultu rale, storico artistico e paesaggistico che valgono una sosta.
/©Foto Courtesy Valleisarco.info/FINALE E LE ALPI LIGURI
Saltiamo in Liguria, pronti per un tuffo in mare, ovviamente dopo una pedalata sui celeberrimi sentieri delle Alpi Liguri, tra i più celebrati dagli amanti dell’off road. In particolare Finale Ligure, una specie di ‘Mecca’ per gli appassionati di que sto genere, soprattutto enduro. C’è l’imbarazzo della scelta tra trail che si specchiano sul mare:
Rollercoaster è forse il tracciato più iconico, 7 kilometri con un mix di linee e di fondi, adatto anche a chi sta prendendo confidenza con questa specialità; oppure si può ripercorrere il sentiero della mitica 24 ore che regala degli affacci da sogno sull’isola Gallinara, su Bergeggi e sull’intero golfo ligure.
LA CICLOVIA DEI PARCHI
Rotoliamo fino a Sud, in Calabria. Qui è nata la Ciclovia dei Parchi, progetto che si è aggiudicato anche l’Oscar 2021 del cicloturismo italiano. Oltre 540 kilometri sull’Appennino Calabro, attraver sando decine e decine di Comuni e ben quat tro aree protette: l’Aspromonte, la Sila, il Parco Nazionale del Pollino e le Serre. La ciclovia (www. cicloviaparchicalabria.it per i dettagli) è stata dise gnata unendo sentieri e ciclopedonali già esistenti, molti dei quali adatti soprattutto alle mountain bike. Nel Pollino, per esempio, che è Patrimonio Unesco dal 2015, chi pedala può godere di pae saggi incontaminati e in autunno le temperature sono ancora ottime: la traccia passa dalla for tezza di Laino Borgo e da Morano Calabro, borgo medievale a semicerchi, detto anche il presepe del Pollino, tra gli abitati più belli d’Italia.
/©Foto Shutterstock/ITALIA
SUGLI SCUDI
TRACCIATI VALIDISSIMI, INTERPRETI DI ALTO PROFILO E UN CALENDARIO FAVOREVOLE. LA STAGIONE 2021 DEGLI INTERNAZIONALI D’ITALIA SERIES CHIUDE CON UN BILANCIO PIÙ CHE POSITIVO, CONFERMATO DALL’IMPORTANTE SEGUITO IN PRESENZA E SULLA RETE DENTRO E FUORI DAI CONFINI NAZIONALI
Sono 12 milioni gli spettatori raggiunti sui canali Facebook e Instagram dall’edizione 2021 degli Internazionali d’Italia Series. Più 500mila visua lizzazioni su Youtube e 50mila utenti per 90mila sessioni sul sito ufficiale. Senza dimenticare il ritorno del pubblico a bordo pista in Val Casies e nel gran finale di La Thuile. Quella che si è con clusa a giugno è stata un’edizione da record per il più importante circuito italiano di mountain bike, il più prestigioso in Europa assieme alla Swiss Bike Cup.
Gli organizzatori snocciolano orgogliosi numeri (l’elenco completo è su Internazionaliditaliaseries. it) che forse nemmeno si aspettavano. “Il bilancio finale di Internazionali d’Italia Series è al di sopra di ogni più rosea aspettativa”, ha dichiarato Mas simo Ghirotto, presidente del settore fuoristrada per la Federazione ciclistica italiana. “Un circuito italiano di mountain bike non aveva mai riscosso un interesse così elevato a livello internazionale”, aggiungono Michele Mondini e Luca Carton di CM Outdoor Events, che organizza l’evento.
Gli ingredienti di questo successo? Per Ghirot to “l’eccellente lavoro degli organizzatori è stato premiato dalla presenza dei grandi campioni del cross country internazionale e da un seguito senza precedenti”. Basti guardare cosa hanno rappresentato gli eventi di Internazionali d’Italia
Series: dalla Andora Race Cup di marzo, uno dei primi appuntamenti della stagione italiana delle ruote grasse, alla new entry Capoliveri Legend Xco ad aprile, per poi continuare con la Marlene Südtirol Sunshine Race (tra le più toste a livello mondiale) e nella stupenda Valle di Casies, fino alla quinta tappa di La Thuile. Dove, per l’occasio ne, il tecnico della mountain bike italiana Enrico Martello ha disegnato un tracciato impegnativo con molti punti in comune con quello su cui, un mese dopo, gli atleti si sarebbero confrontati a Tokyo.
Tutte tappe d’altissimo profilo, dunque. Ma che, soprattutto, hanno offerto un grande spettacolo e contenuti tecnici di spessore mondiale. Non a caso, Internazionali d’Italia Series è stata scelta dalle più importanti stelle del cross country per gareggiare ad alto livello nella prima parte di sta gione, e prepararsi al meglio in vista delle Olim piadi: Nino Schurter, Henrique Avancini, Jolanda Neff, Kate Courtney, Loana Lecomte, gli iridati Jordan Sarrou e Pauline Ferrand-Prèvot e tanti altri ancora... “Tutto ciò è stato un grande spot per la mountain bike italiana”, commenta Ghirotto, “e una notevole opportunità per i nostri giovani di confrontarsi a livello internazionale, senza viag giare all’estero e a pochi chilometri da casa”.
E adesso? «Non ci fermiamo qui», affermano gli organizzatori Mondini e Carton: «Internazionali d’Italia Series ha fatto un grande salto di qualità dal punto di vista organizzativo e di promozione sul web, grazie al lavoro dello staff di CM Outdoor Events, alla competenza dei nostri consulenti e alla collaborazione fattiva con la Federazione Ci clistica Italiana, le sedi di tappa e i nostri sponsor Shimano, Pirelli, Scott e GSG. Ma siamo già al lavoro per crescere ancora e programmare il no stro futuro». E, dopo la stagione esaltante che si è appena conclusa, possiamo star certi che l’anno prossimo riserverà ancora più sorprese.
/©Foto Michele Mondini, Courtesy Internazionali d’Italia Series/ /Il campione italiano 2020 Luca Braidot (a destra) e la campionessa allieve Valentina Corvi. In alto la partenza della tappa degli Internazionali d'Italia Series in Val Casies/L’IMPEGNO GREEN DEL WES
IL PRIMO CAMPIONATO UCI INTERAMENTE DEDICATO ALLE E-BIKE VA OLTRE IL CONCETTO STESSO DI SOSTENIBILITÀ, PER ASPIRARE A UN RUOLO DA ATTORE PROTAGONISTA NELLA TRANSIZIONE ENERGETICA
Gli atleti amano le sfide, anche quando sono più grandi di loro. È il caso della partita, tutta da giocare, per combattere il cambiamento climatico: può lo sport promuovere una maggiore responsa bilità in questo senso? In che modo può contri buire a ridurre l’impatto sull’ambiente? Accanto alla dimensione ludica, è in grado di educare a un consumo sostenibile?
Non sono questioni di poco conto, se anche un organismo come le Nazioni Unite ha deciso di lanciare l’iniziativa Sports for Climate Action, “invitando le organizzazioni sportive e tutte le parti interessate ad unirsi per portare avanti una nuova azione per il clima”.
Anche il ciclismo agonistico è chiamato in causa, come nel caso della World e-bike series, primo campionato internazionale per e-bike ad essere inserito nel calendario ufficiale Uci: Wes, infat ti, ha da tempo annunciato il suo impegno per aderire ai valori e all’agenda di Sports for Climate Action.
Lo ha spiegato bene il fondatore e ceo Francesco Di Biase: “si tratta di un passo cruciale per Wes e di una parte essenziale della nostra missione per promuovere un comportamento più sostenibile e rispettoso dell’ambiente. Il ciclismo – ha detto –sta svolgendo un ruolo cruciale in questo cam biamento e anche noi ci impegniamo a lavorare, in collaborazione con i nostri colleghi e tutti coloro che sono coinvolti, per sviluppare, implementare e migliorare l’agenda dell’impegno climatico nello sport”.
Le gare di e-bike come occasione preziosa, dun que, per sensibilizzare il grande pubblico: “Sa ranno un faro, richiamando l’attenzione su questi temi proprio mentre l’industria sta puntando sull’adozione delle biciclette elettriche e sul loro maggiore utilizzo nella vita di tutti i giorni, non solo nello sport”.
Un impegno green che Wes sta promuovendo da tempo, lo ha dimostrato con la scelta di fare tappa sul circuito di Charade (a pochi chilometri
da Clermont-Ferrand), che grazie a numerosi pannelli solari e a speciali container mobili, punta ad essere autonomo nella produzione dell’ener gia elettrica che occorre per gli eventi ospitati. E, come anticipato a BIKE, nella prossima stagione Wes intende appoggiarsi anche ad un’altra im portante location, di lunga tradizione motoristica, che si sta riposizionando sull’attenzione all’am biente. Insomma, ne vedremo delle belle. Ma questo impegno è evidente soprattutto nella recente creazione della International electric sports association (Iesa), di cui Wes è membro fondatore. Istituita nel Principato di Monaco nel 2020, l’Iesa ha il compito di promuovere gli sport elettrici e incoraggiare il networking tra orga nizzatori e promotori di eventi elettrici globali, sostenendo l’uso di risorse rinnovabili: “Siamo lieti di far parte del progetto Iesa sin dal suo inizi”, spiega Di Biase, “riteniamo che sia il primo passo verso una nuova visione dell’organizzazione di eventi sportivi e della cultura degli sport “elettrici” nella loro totalità”.
In che modo? “Ottimizzando il lavoro e l’impe gno di ogni player di questo settore”, continua il fondatore di Wes. «E divulgando competenze, case histories, relazioni ed esperienze: attraverso la condivisione e la discussione delle informazio ni, Iesa spera di promuovere risultati e strategie di sviluppo così che tutte le parti coinvolte, dagli atleti, alle sedi degli eventi, all’industria e persino ai gruppi ambientalisti, sentano che la loro cre scita sta costruendo qualcosa di positivo a livello globale”.
L’imporsi della tecnologia e-bike rappresenta, dunque, una svolta nella storia di quest’attività. Ed il trasporto elettrico potrà cambiare l’impatto umano sul clima. Ecco la sfida che attende anche il ciclismo agonistico: perché mobilità sostenibile, sport e attenzione all’ambiente ora più che mai sono chiamate a pedalare nella stessa direzione.
La sostenibilità è un obbligo per la Coppa del Mondo a eliminazione di mountain bike, l’avvincen te e adrenalinica gara di ruote grasse su percorsi urbani, con ostacoli naturali e artificiali, che ogni anno chiama a raccolta alcuni tra i biker più forti al mondo. A illustrarne le ragioni a BIKE è Kristof Bruyneel, che della Uci Mtb Eliminator World Cup è fondatore e proprietario con la sua società City Mountainbike. (sul sito Citymountainbike.com il calendario completo).
Lo spettacolo dell’evento è garantito da un format rodato, efficace ed entusiasmante che, oltretutto, ha il merito di portare le mountain bike in città, vi cino al pubblico. Che apprezza, come confermano, peraltro, i 3 milioni di spettatori tra tv e streaming (anche BIKE è della partita trasmettendo le gare al 259 del digitale terrestre e su Bikechannel.it).
La sfida per gli organizzatori è garantire la soste nibilità dell’evento, in ogni tappa. “È la prima cosa che ci chiedono le istituzioni di città e Paesi che ci ospitano”, confida Bruyneel, “è il motivo per cui abbiamo deciso di non ‘prendere in ostaggio’ per giorni le località dove andiamo a correre”. Il giorno prima della gara sono allestiti percorso e campo base; la notte del giorno in cui si conclude la com petizione tutto viene smontato.
“La mattina dopo non troverete nemmeno una carta per terra”, assicura l’oganizzatore, “il terreno sarà più pulito di come lo abbiamo ricevuto”. E c’è di più. “Tutto ciò che serve per lo svolgersi dell’evento è riutilizzabile, dai cartelloni pubblicitari
agli ostacoli, che sono realizzati in legno”, spiega Bruyneel. Quando termina una tappa di Coppa del Mondo, tutto viene spostato verso la sede della manifestazione successiva.
La cabina di regia logistica è a Londra, negli uffici di City Mountainbike, mentre il team che viaggia al seguito dell’evento è ridotto al minimo: “Cinque o sei persone”, dice Bruyneel, per il resto l’orgnaniz zazione si avvale di realtà locali, dalle maestranze per predisporre il tracciato agli operatori televisivi che raccolgono le immagini e le mandano nello studio londinese che elabora il tutto e distribuisce il segnale in output.
Il modus operandi di City Mountainbike è frut to di un decennio di esperienza e, ultimamente, dimostra di avere assunto la medesima sensibilità verso la sostenibilità che vivono, e al tempo stesso chiedono, anche gli sponsor, da Continental a Go Pro, giusto per citarne un paio. “Le aziende sono cambiate”, conferma Bruyneel, “per loro è impor tante che in eventi come questi non si verifichino sprechi”.
Mentre già si lavora per programmare la stagione 2022, quella in corso vede la conclusine, a fine ot tobre, quando saranno noti i nomi dei due vincitori delle classifiche finali. Tra le donne, campionessa in carica è la valdostana Gaia Tormena, che spera di ripetersi. Comunque vada Bruyneel non ha dub bi: “Siamo lo sport del futuro”. È bene, pertanto, che simili realtà si attrezzino per esserlo a 360°, anche in fatto di sostenibilità.
/©Foto Courtesy City Mountainbike/ /Gli ostacoli artificiali della Coppa del mondo di Mtb Eliminator vengono rimossi e recuperati non appena termina la gara/AI PIEDI DELLA PERFORMANCE
LA PRESTAZIONE È NEL DNA DI MICHELIN
CHE, OLTRE AGLI PNEUMATICI, HA DECISO, DI PUNTARE CON DECISIONE SULLA MESCOLA PER SUOLE DA CALZATURA SPORTIVA. BIKER COMPRESI: ECCO QUALCHE ESEMPIO
Come nel caso degli pneumatici, studiati ap positamente per migliorare le prestazioni delle auto sportive più veloci al mondo, anche le suole firmate Michelin e progettate da Jv International sono customizzate per rendere le scarpe spor tive, comprese quelle del mondo cycling, sempre più performanti. Il brand, noto in tutto il mondo per aver messo la sua firma su storiche vittorie dalla Formula 1 alla MotoGp, da qualche anno è sbarcato nel mercato delle calzature sportive, dandone la licenza mondiale ed esclusiva a Jv International, e lo ha fatto con una filosofia che si è rivelata una scommessa vincente: lavorare con i più noti partner studiando con ciascuno la migliore soluzione, customizzando ogni suola per le scarpe in catalogo. In poche parole, per dirla con uno slogan, ‘un brand, una suola, una scarpa’, che spiega perfettamente il concetto secondo cui ogni singola suola è realizzata appositamente per una determinata scarpa, finalità d’uso e customer experience.
Ricerca e sviluppo. Anzi, co-sviluppo. Perché il progetto Jvi-Soles by Michelin ha puntato sulla collaborazione con le grandi aziende del settore, portando il meglio della propria tecnologia al ser vizio di ogni singolo e differente modello di scarpa. L’ultima novità si chiama Sl:pdx, una scarpa da trail running ideata con Speedland allo scopo di rivoluzionare il concetto stesso di corsa in mon tagna: ogni calzatura è completamente perso nalizzabile grazie alla cuttable blocks technology di Michelin, la tecnologia che permette al runner di customizzare la suola almomento del primo utilizzo per poter ottenere il massimo in termini di
performance, sicurezza e comfort.
Dal running alla bici. Che sia da corsa trail o mountain bike, anche in questo settore Michelin ha già lasciato il segno, o meglio, la sua orma. A proposito di ruote grasse, le novità più inte ressanti per la prossima stagione arrivano da due brand storici come Dmt e Northwave. Nel primo caso Michelin ha collaborato per il lancio della Km1, testata e sviluppata durante le gare di mountainbike più impegnative. La Km1 è una scarpa comoda, leggera e traspirante, grazie alla struttura Engineered Knit della nuova tomaia che elimina i punti di pressione, rendendo la peda lata ancora più confortevole, anche sui trail più impegnativi. La suola monta la tecnologia Carbon Rubber, sviluppata da Jvi, è fatta in carbonio con tasselli in gomma e, se da un lato aumenta la flessibilità lavorando come una sospensione indipendente, dall’altro offre trazione e maggiore resistenza all’abrasione.
La novità di Northwave invece si chiama Xtrail Plus Gtx, ideata per le avventure outdoor, allo scopo di mantenere il piede asciutto e perfetta mente isolato in ogni stagione. La suola Michelin infatti è stata progettata combinando le presta zioni che richiede una scarpa da Mtb ma senza tralasciare la trazione necessaria per camminare in sicurezza su qualsiasi terreno: così mentre l’intersuola è stata studiata per permettere a chi la indossa di esprimere il massimo della potenza nell’area del pedale, mentre la zona mediale è sta ta resa più flessibile per donare comfort quando si cammina.
Il fruttodella nostra terra.
Friulano - Collio DocAZZURRO
DI JESI
IL COMMISSARIO TECNICO DELLA NAZIONALE ITALIANA DI CALCIO CAMPIONE D’EUROPA HA EREDITATO DAL PADRE LA PASSIONE PER IL CICLISMO. COSÌ ROBERTO MANCINI, OGNI VOLTA CHE TORNA A CASA, SI REGALA UN PAIO D’ORE DI LIBERTÀ CON GLI AMICI MARCHIGIANI, TRA VALLESINA, SENIGALLIA E SELLA SAN QUIRICO. CHE NASCANO QUI LE SUE FORMAZIONI VINCENTI?
“Sono un ciclista completo”, dice. “Perchè vado piano in salita, in pianura e anche in discesa”. Ma Roberto Mancini, (quasi) 57enne cicloamatore jesino, non la racconta giusta. Perché più passa il tempo – soprattutto più riesce a liberarsi dagli impegni che tutti conosciamo – e più mette in difficoltà i suoi compagni d’avventura in bicicletta. Può essere che sia un “succhiaruote”, come ama definirsi (attività peraltro agevolata dall’invitan te stazza dei suoi abituali apripista, in particolar modo uno), però ha ancora un fisico invidiabilissi mo. Il fisico (e la testa), d’altra parte, sono quelli del Commissario tecnico che pochi mesi fa ha ri portato in Italia il titolo europeo di calcio, facendo impazzire tutto il Paese.
Fu Davide Cassani, al tempo ancora Ct della Na zionale di ciclismo (e dunque suo collega a tutti gli effetti), a suggerirgli di andare in bici il più spesso possibile. “Pedalare fa bene: dà aria al cervello, fa venire le idee migliori”. Probabilmente il Mancio, già appassionatissimo di questo sport, non aspettava altro. Chissà se le intuizioni per allestire la Nazionale e per vincere il titolo europeo gli sono venute pedalando nella sua amata Valle
sina oppure andando verso Senigallia per sentire il profumo del suo mare o ancora puntando diritto su Serra San Quirico per assaporarne la dolcissi ma pendenza al di fuori di ogni rischio di traffico sgarbato.
“Mio padre Aldo – dice – era appassionato tanto di ciclismo quanto di calcio. Amava alla follia Fau sto Coppi, che cercava di seguire in tutte le gare a portata di mano. Ha anche corso a discreti livelli: fino alla categoria dei dilettanti. Probabilmente mi avrebbe anche lasciato scegliere. Ma aveva capito benissimo che il mio sogno vero era quello di diventare calciatore. E soprattutto si rese pre sto conto – prosegue Mancini – di quanti danni avrei potuto fare con la mia esuberanza, come quel giorno in cui mi vide infilarmi, con una bici praticamente senza freni, dentro la vetrina di un sarto, facendo danni inenarrabili: sia a me che al povero sarto. Ho fatto in tempo a tifare per molti campioni, questo sì: prima Gimondi, poi Moser, poi Pantani, l’ultimo per cui abbia veramente trepi dato”. Fra i contemporanei ha amato molto Nibali, con il quale a primavera ha partecipato a una divertente call di “solo ciclismo”.
E così, ora, Roberto si ‘accontenta’ di inforcare la bici (questa volta con ottimi freni Shimano mon tati sulla fida De Rosa Protos di colore azzurro: con qualche piccolo ‘tradimento’ per una nuovis sima Trek) e regalarsi due o tre ore di libertà, e quasi sempre di allegria, tutte le volte che torna a casa. Rigorosamente in compagnia degli amici degli Azzurri di Jesi. Che prima degli Europei lo avevano convinto, in caso di vittoria, a percorrere i classici 800 kilometri che portano a Santiago de Compostela. Per ora il Ct ha preso tempo (an che perchè ha in ballo un ‘voto’ di genere com pletamente diverso partendo da Bologna). Ma conoscendo la sua tigna agonistica non è detto che non ci si butti a capofitto. Anzi, pensiamo di poter anticipare che, il prossimo maggio, prima di tuffarsi nella volata di preparazione dei Mondiali in Qatar, ne faccia un fondamentale passaggio di riflessione. D’altra parte non è la prima volta che ringrazia il cielo pedalando. Accadde già una doz zina d’anni fa quando, dopo la conquista del titolo con l’Inter, scalò la Cisa e raggiunse il Santuario della Madonna della Guardia.
Mancini ha molto a cuore il problema della sicu rezza. Purtroppo ‘consolidato’ dalla morte di un amico a cui ha voluto un sacco di bene e che era suo abituale compagno di viaggio nelle colline marchigiane: Michele Scarponi. Quando può ade risce a tutte le iniziative promosse dalla Fondazio ne animata con tanta passione da Marco, il corag
gioso e tenace fratello di Michele. “È inconcepibile che da noi si muoia ancora sulla strada; e per giunta in quel modo. Vale per Michele, ma ovvia mente vale per tutti, a cominciare dai più giovani. Qui da noi mancano spesso cultura e rispetto. Quando allenavo il Manchester City andavo spes so in bici all’allenamento: non è mai successo che un’auto mi abbia sfiorato provocatoriamente o comunque frettolosamente e pericolosamente in un sorpasso. Pensate che, in Inghilterra, la polizia invita i ciclisti ad andare appaiati, per scoraggia re manovre improprie da parte di chi li segue. Si sorpassa solo quando si può, come se davanti si avesse un camion, o un trattore, o comunque un mezzo lento e ingombrante. Non si mette mai a repentaglio la vita di nessuno”.
C’è da dire che Roberto, su strada, è molto rispet toso e prudente. Anzi rimprovera i compagni che non danno un buon esempio. Comunque i suoi ‘pretoriani’ storici (Eddy, Gino, Marino, Marcello, Diego) gli fanno buona guardia. Anche perché, questo Ct, abbiamo tanti, tanti buoni motivi per tenercelo caro!
/Qui con il fratello di Michele, Marco Scarponi/ /Roberto Mancini con Marino Bartoletti/Moser
IL GIRO CONTINUA
DAI SUCCESSI IN BICI AL RITORNO SUI CAMPI: IL CAMPIONE TRENTINO NON SMETTE MAI DI STUPIRE, ANCHE ADESSO CHE, A SETTANT'ANNI, TRASCORRE LE SUE GIORNATE TRA I VIGNETI DI FAMIGLIA IN SELLA A UN’ELETTRICA E CON I SUOI TRE CANI
Aveva ragione Mamma Cilia. Francesco Moser era ancora un ragazzo giovanissimo quando il tecnico Valdemaro Bartolozzi decise di puntare su di lui. Lei rispose: “Va bene. Lei dice che farà di Fran cesco un grande corridore, sappia che mi porterà via un grande contadino”. Impegno e passione, in sella così come in campagna. Oggi l’uomo che ha conquistato le pagine di storia del ciclismo mon diale ha 70 anni, produce il vino Moser nella sua Agritur Maso Villa Warth, a pochi chilometri da Trento, e quando può pedala ancora riuscendo a percorrere durante l’anno dai 5 ai 6mila chilo metri. Senza contare i giri che ogni giorno fa per controllare i vigneti, perché tutto deve essere “a regola d’arte”. Con lui i tre fedelissimi cani e la sua bicicletta elettrica che lo accompagna lungo i 25 ettari di terreno.
“Qui ci sarebbe un bel circuito per allenarsi”, esclama sorridendo Moser. Lo intervistiamo al telefono, il sole sta per andare via e con molta facilità veniamo trasportati lì, seduti su una panca di legno nel suo agriturismo a Gardolo di Mezzo, vicino Trento, con gli occhi che guardano le punte del Bondone e della Paganella. Al passare di un uccello Moser si sorprende. Dice di non averlo mai visto da queste parti. Della Val d’Adige e di tutto il Trentino lui è un grande esperto. Di salite e disce se, di uva e di piatti tipici. “Quando correvo avevo
bisogno di una dieta specifica – dice – adesso quando accompagno chi viene a trovarmi, mi pia ce consigliare dove mangiare la carne salada con il tortino di patate o una buona selvaggina”. La gente, circa un centinaio al giorno, passa a visita re questi vigneti dove si degustano le varie tipolo gie di vini: dal rosso Teroldego, tra i più gettonati, allo spumante simbolo dell’azienda di famiglia con un nome che riprende il record dell’ora a Città del Messico nel 1984, il 51,151 (Chardonnay).
La passione della campagna è arrivata molto prima della bicicletta, anche se ricorda di essere stato tra i più fortunati perché nessun bambino della zona all’epoca aveva una bicicletta: “Quan do mio fratello mi ha regalato la prima bici avevo cinque anni. Ma noi siamo nati nei campi – rac conta a BIKE – sin da piccoli ci facevano strappa re l’erba e fare quello che i bambini possono fare in campagna. Si giocava anche, ma ricordo che i nostri genitori ci hanno sempre fatto fare qual cosa di utile. Poi fino a 18 anni mi sono occupato della terra di mio padre. Erano gli anni Cinquanta e solo verso il 76 abbiamo iniziato a imbottigliare. Sulle etichette c’erano le foto del campionato dei miei successi al campionato del Mondo e a quello d'Italia. Tra i tifosi c’è chi ha l’intera collezione. Adesso ci stiamo dando da fare per lavorare una migliore qualità”.
Dopo tutte le esperienze fatte, Moser è sempre pronto per andare e ripartire dove c’è un vino da presentare, una gara, un incontro. La vacanza? Ovunque, ma senza troppe macchine, anche in crociera, purché le tappe si possano visitare in bicicletta. Durante le sue ultime ferie ha percorso
tenere il ritmo, ci tagliavano l’aria e noi andava mo giù fino ad arrivare a Fiumicino e Ostia”. Con ironia, dice: “Io le conosco tutte, le strade, in Italia. Sono stato in Toscana, in Sicilia, in Puglia, in Sar degna, in Calabria. Da una parte all’altra dell’Italia.
/Francesco Moser tra i suoi vigneti. Nato il 19 giugno 1951 a Palù di Giovo (Tn) Moser, con 273 successi su strada all'attivo, è il ciclista italiano più vincente di sempre davanti a Giuseppe Saronni (193) e Mario Cipollini (189), terzo assoluto a livello mondiale
solo di Eddy Merckx (426) Van Looy (379).il TESTIMONE
ESEMPIO ENCOMIABILE DI FORZA, TENACIA E CAPACITÀ
DI RIPRESA, DOMENICO POZZOVIVO ‘VEDE’ IL FINALE
DI UNA CARRIERA SEGNATA DA DURE PROVE E IMPORTANTI PIAZZAMENTI. INTANTO STUDIA PER LA SECONDA LAUREA E UN FUTURO DA PREPARATORE ATLETICO
Tenacia è una parola che, nel vocabolario di Do menico Pozzovivo, assume un significato assai preciso. Un concetto che il ciclista di Montalba no Jonico, provincia di Matera, ha fatto proprio attraverso prove e difficoltà, dal primo all’ultimo infortunio. Altra parola di cui, purtroppo, Pozzovi vo conosce bene il significato. Ed è con la tenacia che ha saputo recuperare da tutti gli incidenti che ha avuto. Lo ha fatto con una forza unica, che non ci si aspetterebbe essere sprigionata da un corpo così piccolo, di appena un metro e sessantacinque centimentri in altezza, e comunque sorprenden temente in sintonia con un carattere che, oltre ad essere tenace è anche caparbio.
Meticoloso e scrupoloso come pochi suoi colleghi sanno essere, Pozzovivo ha sempre visionato i percorsi. Subito dopo la laurea triennale in Econo mia aziendale, conseguita nel 2010, per esempio, è andato a fare la ricognizione del Terminillo, il monte sull’Appennino abruzzese che avrebbe di lì a poco dovuto affrontare durante il Giro d’Italia. Un esempio di come dedizione e sacrificio pa ghino sempre. Compiendo passi che sono serviti a realizzarsi, come ragazzo prima, atleta e uomo poi.
Pozzovivo si è avvicinato al ciclismo solo dopo aver provato altri sport: “Prima disciplina in asso luto è stata la ginnastica artistica, quando avevo cinque anni, poi sono passato al calcio come la maggior parte dei bambini”, rammenta. “È stato mio papà Leonardo – prosegue –, allenatore di calcio, a consigliarmi di cambiare. Così ho provato la corsa campestre. Con il risultato che al ciclismo mi sono avvicinato abbastanza tardi, quando ave vo undici anni”. È stato amore a prima vista. “Mi piaceva scalare le salite cercando di non mettere mai i piedi a terra”.
Di ascese ce ne sono parecchie anche nella sua Basilicata, che è perfetta per i ciclisti. “I percorsi che prediligo sono quelli intorno al Massiccio del Pollino”, confida Pozzovivo a BIKE, “una zona molto selvaggia che permette di fare percorsi lontani dal traffico. Una salita cui sono particolarmen te affezionato è quella di Colobraro: sono circa cinque kilometri all’11% di pendenza media con pochissime curve. Ce l’ho nel cuore e più volte l’ho affrontata per testare la condizione”. E aggiunge: “Quando non stai bene rimani piantato, ma è in grado di trasmetterti grandi emozioni”.
Oltre alla strada, nei pressi di Montalbano Jonico, si trovano percorsi adatti alla mountain-bike. “Ci troviamo in una zona di ‘calanchi’, che sono il risultato dell’erosione del terreno che si produce per effetto del dilavamento delle acque su rocce argillose”, nota con precisione Pozzovivo, “quindi si tratta per lo più di percorsi praticabili quando non piove, perché altrimenti diventano troppo ‘appic cicosi’ ed eccessivamente faticosi da percorrere”.
La fatica però non ha mai spaventato Pozzovi vo, nemmeno quando tutti lo ricordano soccorso dall’elicottero durante il Giro d’Italia del 2015, l’asfalto chiazzato di sangue e il volto tumefatto. Perse conoscenza e, a trentatrè anni, sembrava potesse essere il capolinea, invece è ripartito. Nel 2018 miglior italiano alla Corsa Rosa e al Tour de France. Al Giro sfuma, però, il sogno del podio finale nella tappa del Colle delle Finestre, quella dell’attacco di Chris Froome. Quel momento, a trentacinque anni, è stato senza dubbio, insieme alla vittoria di tappa a lago Laceno (Av) nel 2012, uno dei picchi della sua carriera, abbellito dal quinto posto in classifica generale, proprio come nel 2014.
Nell’agosto 2019 un altro, terribile, incidente ha coinvolto Pozzovivo mentre si allenava per la Vuelta di Spagna. Sulle strade del cosenti no è stato investito da un’auto a un incrocio. La diagnosi: frattura di tibia e perone e frattura pluriframmentata ed esposta del gomito. “Hanno messo fine alla mia carriera”, raccontava alla mo glie mentre veniva trasportato in ospedale. Anche quella volta è ripartito tornando in gruppo.
Poi ancora due cadute, con conseguente ritiro: una al Tour de France 2020 e un’altra nel Giro d’Italia di quest’anno. Domenico non si abbatte, torna in gruppo, chiude il Giro di Svizzera in sesta posizione e centra la top ten nella prova su strada del Campionato Italiano a Imola. La sfortuna, però, purtroppo continua. Ad agosto, a causa di una caduta nella quarta frazione della Vuelta Burgos, il trentottenne lucano ha dovu to abbandonare la corsa, peraltro dopo un bel
secondo posto nella terza tappa, alle spalle di Bardet. Impietoso l’esito degli esami: frattura del ginocchio sinistro. “Sto meglio”, assicura a BIKE, “ho divorato i tempi di recupero. Si parlava di 4-5 settimane con stampelle e di riposo completo, invece già dopo due settimane sono riuscito a tornare in sella alla mia bici, ovviamente con le dovute cautele”.
Il 2022 molto probabilmente sarà l’ultima sta gione. Ancora un anno nella sua attuale squadra, la Qhubeka-NextHash, e poi, una volta appesa la bici al chiodo, conseguirà la seconda laurea, questa volta in Scienze motorie, dove gli mancano solo quattro esami, con l’obiettivo di dedicarsi alla preparazione atletica dei corridori. Resterà, dun que, nella grande famiglia del ciclismo, e menoma le, diciamo noi, perché tutti hanno bisogno della sua tenacia, in sella o al fianco dei corridori. Come sempre, infaticabile e grandissimo esempio.
“AMO ALLENARMI SUL MASSICCIO DEL POLLINO. UNA SALITA CUI SONO PARTICOLARMENTE AFFEZIONATO È QUELLA DI COLOBRARO: CE L’HO NEL CUORE, L’AFFRONTO PER TESTARE LA CONDIZIONE”/©Foto Fotostelvio/ /Domenico Pozzovivo mentre si allena con la divisa del suo nuovo team/
BASILICATA
DA SCOPRIRE
PAESAGGI STREPITOSI, ITINERARI MULTIFORMI E DA AVVENTURA, CUCINA E CULTURA A CORONARE UN’ESPERIENZA UNICA. CRONACA DI UN VIAGGIO IN TERRE LUCANE
Basilicata on my mind. Dove il tempo è lento e lo spazio è immenso. Blu, verde, giallo paglierino. Il mare, il cielo, i boschi di castagno e le foreste di querce, le balle di fieno nei campi agricoli e quella roccia con i paesi attaccati addosso. Ogni suo pa esaggio ha un effetto scenografico strepitoso. A pensare una musica da abbinare a questa terra, viene in mente solo il jazz. Libertà in movimento.
Questo è un viaggio con le mani sul manubrio e il fiato sospeso. In autunno come in primave ra. Si sceglie di uscire da ogni comfort zone per azzardare un turismo su due ruote, così come scrive Mario Tozzi nella prefazione al libro Transu manza dei tre mari di Andrea Satta, frontman dei Tetes de Bois e ciclista appassionato, e altri amici pedalatori che con lui, in sette giorni, sono partiti da Maratea, con lo sfondo del Tirreno, per attra versare il selvaggio Pollino, l’incantevole Matera e poi giù fino alla costa, dallo Ionio all’Adriatico, dalla piccola Policoro alla città pugliese di Mola di Bari. Tutto intorno lo spettacolo di una regione silenziosa. L’aspettativa è quella che si ha quando si è seduti a tavola in attesa di un piatto della tradizione culinaria lucana preparato dalle migliori mani,
povero e genuino, come l’acquasale dei pescatori, con baccalà e peperoni cruschi, come le invitanti lagane e fagioli, o il pane con la frittata che Rocco Papaleo ha divinizzato nel film Basilicata Coast to Coast
Si parte da piazza Buraglia, il baricentro di Mara tea, e si sale lungo i tornanti fino al Passo Colla, a 598 metri sul livello del mare. Si attraversa Trecchina e poi si raggiunge Rivello. Ventisette chilometri per arrivare a uno dei borghi medievali più affascinanti della Basilicata. L’obiettivo è at traversare la Valle del Noce, raggiungendo Monti cello e la vecchia stazione calabro-lucana dismes sa già diversi anni fa. L’area è stata riqualificata in una greenway: si corre come treni su una ciclabile che passa sotto gallerie, ponti e vecchi passaggi a livello, lungo lo stesso tratto dei binari che hanno smesso di funzionare negli anni Settanta. Si am mirano le grandi opere dell’ingegneria del passato. Servono luci e una giacca antivento. In poco più di trenta chilometri ci si ritrova immersi nel verde della Valle del Mercure fino al rifugio Fasanelli, dove si respira già il Pollino, parco nazionale. Que sti sono ottanta chilometri di strada asfaltata per una pedalata di uno o due giorni.
Volendo proseguire, poi, si può scegliere di or ganizzare delle tappe anche culturali, nei piccoli centri diventati parchi letterari, come Valsinni e il castello di Isabella Morra. Oppure Tursi e il centro studi Albino Pierro. Più vicino alle strade affaccia te sul mare da sogno di Maratea, c’è un altro an golo di paradiso che è il lago Sirino. Qui ci si arriva anche con i bambini, alla conquista di un gelato dopo circa quattro chilometri di ciclabile. La Basi
licata è una scoperta, l’innamoramento di un con nubio perfetto della storia e della natura. Pedalata dopo pedalata. In compagnia, e sempre attrezzati, può rappresentare uno di quei viaggi alla ricerca della felicità dentro paesaggi che a volte sono una pellicola cinematografica, altre volte i versi di una poesia. Un incontro necessario per quei piedi che spingono per conoscere e raccontare.
/©Foto Giuseppe Maimone, Studio35 Maratea/ /Nelle foto le strade di Maratea, affacciate sul mare, e (a destra) la Valle del Mercure, dove già si respira il Parco nazionale del Pollino/NEL NOME DEL PIRATA
DAL GIORNO IN CUI MARCO PANTANI SCONFISSE PAVEL TONKOV
PER POI VINCERE IL GIRO D’ITALIA, PLAN DI MONTECAMPIONE È ENTRATA NEL CUORE DEGLI ITALIANI. TANTO CHE OGGI UNA STATUA CELEBRA LE GESTA DELLO SCALATORE ROMAGNOLO. ECCO COSA SI PROVA A PEDALARE IN SCIA A QUELLA LEGGENDA
Se a distanza di 23 anni da quell’impresa han no deciso di inaugurare una sua statua alta sei metri, ciò significa che a Plan di Montecampione (Bs) Marco Pantani ha scritto davvero una delle pagine più memorabili nella storia del ciclismo. Del resto, a 1800 metri di altezza, là dove partono gli impianti di risalita verso le piste da sci, il piazzale si è da tempo trasformato in una meta di ‘pelle grinaggio’ per centinaia di ciclisti, che salgono fin lassù con la sola forza delle proprie gambe e nel cuore l’emozione per le gesta del Pirata.
Alla vigilia dell’inaugurazione ufficiale del mo numento a Pantani, anche chi scrive ha voluto percorrere quell’ascesa, con la sua mitica De Rosa dalla livrea verde-oro, un po’ ‘brasiliana’. Ripercor rendo così il finale della tappa che, quel 4 giugno del 1998, partiva da Cavalese per arrivare pro prio a Plan di Montecampione. Duecentoquaran tatre kilometri al termine dei quali il Panta – che due giorni prima, a Selva di Val Gardena, aveva strappato la maglia rosa allo svizzero Alex Zulle – riuscì a staccare e battere Pavel Tonkov, che lo aveva a sua volta battuto sul traguardo della tap pa precedente con arrivo sull’Alpe di Pampeago.
La resa dei conti fra il romagnolo e il russo andò in scena proprio sui 20 kilometri che da Pian Ca muno (in cima al lago d’Iseo) portano fino al Plan. Il duello fu epico, con Pantani che, solo dopo una serie di ripetuti attacchi (e dopo essersi liberato persino dell’orecchino al naso), riuscì finalmente a piegare la resistenza di Tonkov, che perse la sua ruota a tre kilometri dal traguardo, lascian do sul piatto alla fine 57 secondi. Pantani riuscì poi a ‘blindare’ la maglia rosa nella cronometro svizzera da Mendrisio a Lugano, trionfando infine sul traguardo di Milano. Da quel giorno l’ascesa di Montecampione è entrata a far parte dell’immagi nario collettivo di migliaia di cicloamatori.
La salita è di quelle vere, tosta, con poco spazio per tirare il fiato. Per fortuna ogni tanto ci sono murales e scritte dedicate a Pantani che evocano lo spirito dello scalatore di Cesenatico, quasi a voler trasmettere una marcia in più a chi si trova costantemente obbligato a spingere sui pedali. Pronti-via e fino al quinto kilometro la pendenza media viaggia fissa fra l’8 e il 10 per cento. Così, tanto per dare il giusto benvenuto. Un piccolo tratto al 6 per cento consente di riprendere il fiato, prima di altri 3 kilometri abbondanti all’8-9 per cento che portano a Montecampione. Il pas saggio in paese consente di iniziare ad ammirare il paesaggio e le montagne circostanti, oltre a poter fare una breve sosta foto-ricordo nei pressi del laghetto (con bar).
L’uscita dall’abitato, invece, è dolce, ma è un’illu sione. Seguono altri 5 kilometri fissi, sempre tra l’8 e il 10 per cento. L’asfalto, solo parzialmente rifatto, inizia a far bruciare gambe e polmoni. Su un tornante l’immagine di Pantani con bandana ricorda che bisogna prepararsi allo ‘sparo’ finale. A meno 2 kilometri dall’arrivo si inizia a scorgere la cima (ora anche la statua); altri murales ricor dano tutti i passaggi del Giro d’Italia, con anche i sigilli di Bernard Hinault e Fabio Aru alla sua prima vittoria in carriera, nel 2014.
Gli ultimi tornanti quasi non si sentono più nelle gambe, perché la meta ormai è vicina. Il piazzale si apre e si viene accolti dalla figura di Pantani, a braccia aperte in segno di vittoria, che riscalda il cuore e ripaga di ogni goccia di sudore che si è versata per arrivare fin lassù, dove termina la strada. Resta solo lo spazio per il silenzio, il ricor do. Magari anche per una lacrima o una preghie ra. Marco Pantani, qui, vivrà per l’eternità. E ogni
RISCOPRIRE
VARESE
E DINTORNI
UN PROGETTO DELLA SEZIONE LOCALE FIAB PUNTA A RILANCIARE IL TERRITORIO TRA I SETTE LAGHI CON QUATTRO TRACCE GPS PER OGNI TIPO DI BICICLETTA. C’È ANCHE L’ITINERARIO DA MTB E GRAVEL. CON TANTO DI BALCONE PANORAMICO
Varese riparte dal cicloturismo. Nell’estate 2021 i volontari della sezione locale della Fiab han no infatti mappato quattro nuovi percorsi che abbracciano soluzioni per ogni tipo di gamba e di bici, muscolare ed elettrica: tre si sviluppano su strada, uno su sterrato, perfetto per gravel e mountain bike. Ufficialmente identificati come Varese Bike Adventure – Vba per sintetizzare ricorrendo a una sigla –, dalle cronache locali sono già stati ritratti come una sorta di ‘Cammino’ varesino per cicloturisti. C’è anche un sito, Vare sebikeadventure.com, che è ricco di informazioni utili e di servizio.
In pratica si tratta di una serie tracce Gps che indicano itinerari sequenziali lungo strade se condarie o comunque meno battute dal traffico, alcune asfaltate altre sterrate, e ciclabili che si intersecano tutte tra di loro, ma dove il punto di partenza e di ritorno è sempre la città di Varese.
Se dai quattro percorsi si estrapolano brevi trat te, si possono trovare soluzioni per tutti, percor ribili in sella alla bicicletta che più si preferisce, anche da famiglie con bambini, senza superare i quaranta o cinquanta kilometri complessivi. Ma i ciclisti più esperti possono raggiungere anche i 300 killometri.
I quattro percorsi indicati dalle tracce rispondono ad altrettante e differenti esigenze: il primo è il più impegnativo, di 300 kilometri con un dislivello positivo di 7mila metri; poi ci sono quello medio, da 150 chilometri, e quello più facile, da 100 chi lometri, con un dislivello decisamente più leggero (poco più di mille metri). L’ultimo è quello dedicato a chi ama lo sterrato: 190 chilometri fino ad arri vare al Campo dei Fiori dove si può godere di una vista meravigliosa sulla Pianura padana, a sud, e sull’intero arco alpino, a Nord, da uno dei balconi forse più belli della Lombardia.
“A chi si iscrive – spiega Enrico Bronzi, presidente di Fiab Varese Ciclocittà – noi forniamo via mail le tracce Gps con tutte le indicazioni necessarie. Il costo è simbolico: 10 euro una tantum. Il fruito re è libero e decide come seguirli, se da solo o in gruppo e con la bici a cui è più abituato, nel tempo e nel modo che decide lui. Lungo i percorsi sono stati inoltre segnalati dei ‘checkpoint’, struttu re amiche della Vba come alberghi, ristoranti e ciclofficine che possono aiutare il ciclista che ha bisogno anche solo di informazioni, e a lui sono riservati naturalmente degli sconti”.
Si pedala per lo più nella parte a nord della città, tra boschi di faggi e di castagni, ammirando i sette laghi, da quello di Varese al lago Maggiore, perdendosi con lo sguardo fino al canton Ticino. Dove, peraltro, ha puntato lo sguardo anche Vba. La ricerca dei migliori tratti per rendere questo territorio sempre più bike-friendly è infatti ancora
in corso e nutre grandi ambizioni. “Stiamo cer cando di ampliare questa ricerca anche alla zona vicina della Svizzera, dove ci sono molti altri punti assai interessanti”, confida Bronzi.
Senza dimenticare la zona più a Sud della città, però, dove, pedalando per lo più in collina, senza incontrare mai né grandi ascese né sola pianu ra, si trovano diversi luoghi di interesse storico e archeologico e il paesaggio varia: dai boschi della brughiera ai pascoli, campi agricoli e torrenti d’ac qua. Luogo di villeggiatura per tanti milanesi fino a un tempo non troppo lontano e vicino ai centri dove oggi si allenano sia l’Inter sia il Milan. Tra profumi di fiori e piante che popolano ville private, giardini e parchi pubblici tra le città, fare una bella sgambata è qualcosa che vale la pena provare. Ogni stagione è buona: dai colori caldi dell’autun no alle fioriture di primavera.
I CONSIGLI DEGLI ESPERTI SU GUIDA E MANUTENZIONE
BUONE REGOLE PER UN GRUPPO PIÙ SICURO
Il battistrada, l’uomo solo al comando, così come il singolo corridore che cerca la fuga, rappresenta no, nell’immaginario collettivo, il simbolo del cicli smo e delle sue gesta. Ma anche il gruppo suscita sempre grande emozione, sia che si tratti di una corsa di professionisti sia che a darsi battaglia siano dei dilettanti. E a chi, almeno una volta, non è sobbalzato il cuore, assistendo al passaggio di una corsa, annunciata dalle sirene spiegate della Polizia Stradale, poi dalla polvere che si alza, i mille colori, il rumore delle ruote, il rotolamento dei tubolari e lo stridere dei freni fino allo scorrere delle ammiraglie?
Se stare in gruppo non è semplice nemmeno per un corridore navigato, però, figurarsi per chi non ha esperienza. Negli ultimi anni i praticanti del ciclismo sono aumentati in maniera esponen ziale e ogni giorno della settimana si incontrano
tantissimi cicloamatori per le strade, che spesso viaggiano in gruppo. Molti sono alle prime armi e spesso non si rendono nemmeno conto dei rischi che corrono. Ecco allora qualche suggerimento su come pedalare in gruppo, per evitare che una pia cevole uscita in compagnia si tramuti in un grigio pomeriggio passato a curare i danni della propria bici oppure, peggio, della propria persona.
1 - Dando per scontato un minimo di dimesti chezza con l’Abc della bicicletta, la prima cosa che bisogna ricordarsi di fare è porre sempre le mani ben salde sul manubrio, con un dito almeno sul freno, evitando di assumere posizioni strane, come quando, per esempio, imitando impropria mente i cronoman, si commette l’imprudenza di poggiare gli avambracci sul manubrio, special mente se si sta a ruota.
2 - E sempre quando si sta a ruota altrettanto importante è tenere lo sguardo fisso sulla strada, mai sulla schiena o sulla bici di chi ci precede. Se questi fosse distratto, infatti, occorre assicurar si preventivamente di avere spazio sufficiente per il tempo di reazione di fronte all’imprevisto. Da questo punto di vista non bisogna nemmeno focalizzare l’attenzione solo sul ciclocomputer. Strumento validissimo, non vi è dubbio, ma se utilizzato in modo improprio, si rischia l’effetto telefonino durante la guida dell’auto.
3 - Utile anche imparare a segnalare per tem po, indicando con la mano, buche, dossi, oggetti sulla carreggiata, macchine parcheggiate male. Attenzione, in particolar modo, ai conducenti che aprono lo sportello senza guardare. Quando ciò dovesse capitare in concomitanza con il nostro passaggio, le conseguenze potrebbero essere disastrose. E ogni distrazione del singolo è un potenziale pericolo per gli altri.
4 - C’è poi un comportamento molto pericoloso che va assolutamente evitato: mai accelerare in prossimità di un semaforo che sta diventando giallo, soprattutto quando si è in gruppo. Il rischio concreto che si corre, infatti, è che la prima parte del gruppo passi al limite del giallo, mentre la seconda si trovi in pieno attraversa mento con il rosso. Meglio rallentare: anche chi pedala non deve infrangere le regole del codice della strada. Uguale attenzione bisogna avere in prossimità delle rotatorie. La lezione da imparare è semplice: non si esce in gruppo per poi ragiona re al singolare.
5 - Da evitare, infine, anche la cattiva pratica della cosiddetta ‘mezza ruota’, che consiste nello stare appaiati e mettere, appunto, mezza ruota avanti a chi si affianca. Così facendo, il resto del gruppet to, disposto alle spalle di chi tira, verrà a trovarsi posizionato in modo disordinato.
Quelli esposti sono soltanto pochi semplici accor gimenti utili a chiuque voglia pedalare in compa gnia. Senza dimenticare, va da sé, di indossare correttamente il casco..z
SGUARDO FISSO SULLA STRADA, ATTENZIONE A CIÒ CHE CI CIRCONDA E MAI DIMENTICARE: NON SI ESCE INSIEME PER COMPORTARSI COME SE SI FOSSE SOLI
*Massimo Boglia, già atleta professionista, è divulgatore delle due ruote e titolare dell'officina Cicli Boglia
DROP SICURI
E SENZA AZZARDI
PER SUPERARE QUESTO GENERE DI OSTACOLI CHE SI INCONTRA SOPRATTUTTO IN MOUNTAIN BIKE BASTA ASSECONDARE LA TRAIETTORIA DELLA BICI QUANDO LE VIENE A MANCARE IL TERRENO SOTTO LE RUOTE. MA CI SONO ALCUNI ACCORGIMENTI CHE È BENE TENERE PRESENTI. ECCO QUALI
In inglese to drop significa ‘lasciar cadere’. E quando si guida una mountain bike di drop se ne incontrano parecchi lungo i sentieri e nei bike park. Una cunetta, un sasso o uno scalino sono i casi di drop più frequenti. In prossimità di un simi le ostacolo, proprio come fa un pallone che rotola, si stacca dal terreno e atterra in discesa, così farà la nostra bicicletta. Al biker spetta, dunque, il compito di non interferire con tale traiettoria se non vuole mettersi nei guai. Ed è bene, pertan to, avere già immagazzinato nel proprio bagaglio di conoscenze nozioni e automatismi, con tanta pratica, per affrontare queste manovre in piena sicurezza.
L’approccio deve avvenire in posizione base senza tensioni o rigidità che rischiano di far perdere il controllo del mezzo. Importante è guardare sem pre avanti senza arretrare il corpo prima che la bici abbia preso aria. Altro aspetto fondamentale assorbire l’atterraggio riportando il prima possi bile le ruote a terra. Ma ecco, punto per punto, come affrontare tecnicamente un drop. Innanzitutto il drop va approcciato in posizione base o neutra: alzati sui pedali, le gambe pari e piegate ma reattive, il busto in avanti con braccia anch’esse piegate e i gomiti larghi. Sul ‘dente’ del drop, poi, ovvero quando si interrompe l’inerzia della traiettoria, occorre spingere con le braccia la bicicletta in avanti assumendo una posizio ne molto simile al fuorisella. Attenzione, però, a non ‘appendersi’ al manubrio tirandolo verso sé. Bisogna fare come se si stesse appoggiando dei sacchetti della spesa al di là di un muretto. E soprattutto mai anticipare questa fase che va
eseguita solamente quando la ruota anteriore sta oltrepassando il dente del drop. Quando si è in aria le braccia e le gambe devono rimanere rilassate. E quando si inizia a preparare l’atterraggio occorre riportarsi in una posizione più centrale, adatta ad assorbire l’impatto con le gambe e con tutto il corpo. Generalmente bisogna cercare di atterrare prima con la ruota anteriore oppure, al limite, anche se dipende molto dalla conformazione del drop, a ruote pari. Di certo non si deve atterrare sulla ruota posteriore, come invece avviene nel trial bike dove si utilizzano, però, altri mezzi e altre tecniche. Se il drop è ben eseguito sarà sufficiente assecondare la traiet toria balistica del mezzo carico di energia cinetica derivante dalla risultante della velocità accumula ta dalla caduta e dal procedere in avanti. Per ave re una traiettoria corretta serve la giusta velocità. Essere troppo lenti può portare la bici a toccare nella parte inferiore sull’ostacolo o la ruota ante riore a impuntarsi provocando il ribaltamento. Se la fase in aria si è svolta correttamente, man tenendo le gambe prima rilassate e poi pronte ad ammortizzare, il drop sarà effettuato senza troppi problemi. Una volta atterrati si può così tornare in posizione neutra. Un buon esercizio può esse re quello di prendere confidenza dapprima con drop piccoli per poi salire di livello, per esempio, provando a ‘saltare giù’ da scalini via via più im portanti. Non trattandosi però di manovre affatto banali, è sempre bene, quando si usa la biciclet ta in un simile contesto, andarci con le ‘ruote di piombo’, usando prudenza ed evitando di fare più di quanto non si sia già imparato.
CON I FRENI NON SI
SCHERZA
LA MANUTENZIONE DELL’IMPIANTO FRENANTE È UNA PRIORITÀ. ECCO ALCUNE OPERAZIONI COMUNI E I CONSIGLI SU COME COMPORTARSI QUANDO QUALCOSA NON SEMBRA FUNZIONARE CORRETTAMENTE
Fermi tutti! I freni sono una delle componenti più importanti della bicicletta e il loro funzionamento deve sempre essere ottimale. Accorgersi di qual cosa che non va, mentre si pedala, è ‘spia’ da non sottovalutare. Per chi non avesse la dimestichez za tale per cui si è in grado di intervenire da sé per la manutenzione ordinaria, il consiglio di BIKE è rivolgersi a un ciclista di fiducia; ma ci sono interventi che si possono fare in piena sicurezza, se correttamente operati, sia per i freni a pattino sia per quelli a disco. Fatto salvo che, anche per i ciclomatori più capaci, quando non si sa come procedere, è bene rivolgersi a un esperto. I freni a pattino possono essere a tiraggio laterale, centrale (cantilever) o v-brakes. I problemi più frequenti sono legati alla sporcizia che si deposita oppure al venir meno della corretta distanza dei pattini dal cerchio. Nei freni a tiraggio laterale, se un pattino tocca prima dell'altro il cerchio, le cause possono essere dovute a una tensione non ottimale o all’archetto mal posizionato. La prima verifica da fare è dunque sulla tensione del filo che comanda il movimento dell’archetto. Basta una piccola variazione agendo sulla vite per allen tarla. Girando in senso antiorario si allontanano i pattini ripristinando lo spazio adeguato a evitare lo sfregamento. Se questo non basta, bisogna agire sulla struttura dell’archetto fissata al telaio allentando le brugole e riallineando gli archetti ri portando i pattini equidistanti dal cerchio prima di serrare nuovamente. Nei freni cantilever, invece, il comando del freno si muove su due perni distinti,
uniti da un corpo centrale a triangolo. Mentre i V-brakes, evoluzione del tiraggio centrale, hanno un cavo unico che agisce sulle due aste del corpo frenante. Il pattino, in questo caso, è composto da un binario fisso, quindi non vi è possibilità che l’asse sia mal regolato. In caso di sfregamento del pattino sul cerchio si agisce, pertanto, per entrambi i tipi di freno, sulla vite di regolazione presente su entrambi i lati. Occorre agire sul lato del pattino più vicino al cerchio, girando in senso orario per aumentare la tensione della molla e la distanza tra pattino e cerchio. Aumentando la tensione della molla su un lato si diminuisce dall’altro.
Gran parte delle biciclette in vendita, però, è ormai equipaggiata con freni a disco, che han no un sistema idraulico. L'intervento principale, in questo caso, è legato alla sostituzione delle pastiglie, operazione che richiede un certo grado di esperienza, sebbene non sia troppo complicata.
Per prima cosa bisogna svitare le viti del sup porto, quindi la spinetta che tiene le pastiglie in posizione e sfilarle.
Prese le nuove pastiglie, si inserisce la molla tra di esse, quindi, usando il distanziale, si allargano le pinze e si procede al montaggio: si infilano le pastiglie nel supporto, le si ferma con la spinet ta, piegando uno dei due lembi, si posiziona il distanziale in corrispondenza dei fori sulla forcella e il supporto delle pastiglie iniziando ad avvitare le due brugole.
Prima di serrare le viti, occorre pompare un paio di volte sulla leva per centrare le pastiglie e solo dopo procedere al serraggio. Per assicurare un efficace funzionamento dell'impianto frenante, bisogna fare un piccolo ‘rodaggio’: frenare a tratti, senza tenere sempre tirati i freni, andando così a rimuovere la polvere tra disco e pastiglia. Se i freni a disco fischiano i motivi sono princi
palmente due. O la bici è rimasta ferma a lungo e quindi c'è sporcizia oppure è stata pulita con spray oleosi le cui particelle possono essersi depositate sul disco. Il consiglio è pulire con uno spray che contenga alcol isopropilico. Si può pro vare a smontare le pastiglie e far evaporare l'olio scaldandole con un phon da carrozziere. Ma se sono rovinate, meglio sostituirle.
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DOVE NASCONO
LE E-HIGHWAY
L’ARENA DEL FUTURO È UN LABORATORIO DI SMART MOBILITY, UN ANELLO DI 1 KM LUNGO
LA A35 BREBEMI IDEATO PER PROGETTARE
LA PRIMA AUTOSTRADA ELETTRICA IN ITALIA.
ECCO A CHE PUNTO SIAMO
L’auto corre in autostrada e, mentre viaggia, si ri carica. Meglio di uno smartphone, che sui caricato ri wireless deve restare fermo. Da novembre 2021 un paio di veicoli elettrici marca Stellantis, la casa nata dalla fusione tra Fca e Psa, e un camion Iveco sperimentano l’innovativo sistema in un’area de dicata dell’A35, conosciuta anche come Brebemi perché collega Brescia, Bergamo e Milano. Si chia ma Arena del futuro l’anello di asfalto di poco più di 1 kilometro, costruito dove c’era un’area di ser vizio vicino l'uscita Chiari Ovest, perché lì si mostra come potrà essere la vera smart mobility, elettrica, sostenibile e, soprattutto, semplice. Un progetto unico al mondo per la quantità e la varietà delle aziende coinvolte: ben quattordici!
COME FUNZIONA
Come fa un veicolo elettrico a ricaricarsi mentre viaggia? Perché l’asfalto è alimentato con una po tenza elettrica di 1 megawatt grazie a un sistema a induzione elettrica wireless, il Dynamic wireless power transfer, brevettato dalla startup israelia na Electreon, una delle quattordici aziende scese nell’Arena del futuro. Finito il manto stradale, viene scavato un vano profondo 20 centimetri per allog giare il sistema che poi viene ricoperto dall’asfalto. E quando i veicoli passano si ricaricano, senza che sia necessario fermarsi.
L’ansia da ricarica è uno dei principali freni alla scelta di un veicolo elettrico. Le colonnine si mol tiplicano, per iniziative di soggetti diversi, con le multiutility in testa (da Enel ad Acea), ma la paura di restare senza l’energia necessaria è ancora for te, soprattutto in autostrada. Nonostante questa preoccupazione, e i prezzi delle vetture ancora ele
vati, questo è il decennio della transizione elettrica, dice un report di Accenture. E i dati lo conferma no: durante la pandemia la vendita delle auto sono crollate del 25%, ma non di quelle elettriche che in vece continuano a crescere, conquistando così una maggiore quota di mercato. Nel 2024, secondo le previsioni di un recente studio PwC Strategy&, un quarto delle auto immatricolate saranno elettriche. Ma perché la nuova mobilità sostenibile si sviluppi serve molta innovazione, dal momento della ven dita a quello dell’utilizzo, con in testa i sistemi di ricarica.
“Siamo certi che il progetto Electric road system rappresenterà l’inizio di uno straordinario rilan cio dell’economia e dell’immagine del Paese”, dice Francesco Bettoni, presidente A35 Brebemi-Ale atica, che fa da capofila dell’Arena del futuro. La mobilità a zero emissioni, grazie anche a infrastrut ture innovative come le autostrade elettriche, sarà certamente uno degli ingredienti della transizione ecologica prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, l’ormai noto Pnrr.
Le autostrade elettriche, o e-highway, non sono una novità: infrastrutture pensate per ricaricare i veicoli a batterie in modalità wireless sono state già sperimentate in Svezia dal 2018 e in Germa nia dalla fine del 2020, solo per restare in Europa.
L’Arena del futuro è il primo grande esperimento di autostrada elettrica in Italia e l’unico nel mon do che vede coinvolta tutta la filiera della mobilità: da chi posa l’asfalto al produttore dei veicoli, dal gestore autostradale a chi si occupa dei cavi, dai centri di ricerca universitari fino alla compagnia di telecomunicazioni che garantisce la connettività, che è importante e vedremo perché.
I PARTNER COINVOLTI
Quattordici i partner coinvolti, con A35 Brebemi in testa, società che fa capo all’operatore spagnolo Aleatica e guida la partnership multipla: Abb (lea der mondiale nella ricarica rapida dei veicoli elettri ci), Electreon (proprietaria della tecnologia wireless utilizzata), Fiamm Energy Technology (multinaziona le delle batterie), Iveco, Iveco Bus (società di Cnh Industrial che producono veicoli commerciali), Mapei (prodotti chimici per infrastrutture ed edili zia), Pizzarotti (impresa di costruzioni che realizza grandi opere), Politecnico di Milano, Prysmian (cavi per l’energia), Stellantis, Tim, Università degli Studi Roma 3, Università di Parma. Quindi un grande la boratorio di ricerca e innovazione a cielo aperto creato con l’obiettivo di dimostrare che la ricarica senza contatto è possibile ed efficace sia per i vei coli leggeri sia per quelli pesanti.
“Immaginate di viaggiare con il vostro veicolo elet trico e non dovervi più fermare per ricaricarlo, potendo inoltre ricevere dati lungo il percorso di guida, per la vostra sicurezza”, dice Giuseppe Ma
bemi-Aleatica. L’Arena del futuro, che sarà testata da diverse gamme di veicoli elettrici in ambiente statico e dinamico, prevede anche la presenza di una connettività avanzata con tecnologie 5G e Iot (Internet of things). Tim ha attivato nella pista una bolla 5G che permetterà la sperimentazione an che dei veicoli a guida autonoma e l’uso dei dati in movimento. Saranno informazioni preziose per la sicurezza ma anche per la produttività dei mezzi commerciali e per il monitoraggio della stessa pa vimentazione stradale, necessario per mantenere l’efficienza del sistema di ricarica wireless.
Se l’Arena del futuro diventerà una realtà diffu sa, i vantaggi saranno numerosi: nei veicoli le bat terie potranno essere più piccole, non serviranno stazioni di ricarica, si potranno ‘potenziare’ le in frastrutture esistenti senza crearne di nuove, na sceranno piattaforme di asfalto in grado di con dividere l’energia con veicoli leggeri e pesanti, si guadagnerà tempo, si eliminerà l’ansia da ricarica. Senza dimenticare la sostenibilità. La sfida è ap
Courtesy A35 Brebemi‐Aleatica/TUTTI
IN SELLA PER CITTÀ PIÙ VIVIBILI
L’ECONOMIA DELLA BICICLETTA QUALE CARTINA DI TORNASOLE PER LO STATO DI SALUTE DELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA. È LA RINNOVATA PROSPETTIVA CON CUI È TORNATO IN LIBRERIA BIKECONOMY, PUBBLICAZIONE CHE SI INTERROGA SUL RUOLO DEL PEDALE TRA NUOVA MOBILITÀ E IMPATTO AMBIENTALE
La pandemia da Covid-19 ha rimesso in discussio ne diverse scelte di vita, sanitarie ed economiche, del mondo occidentale, a paritre dal modello di cit tà plasmatosi a partire dal dopoguerra, divenuto per certi aspetti insostenibile. Le metropoli mo derne, nelle quali concentrazione abitativa, ritmi di vita e lavoro inumani e inquinamento sono andati di pari passo con il progressivo smantellamento del trasporto pubblico locale, si presentano come l’ambiente forse peggiore in una nuova era pan demica. Uno scenario che si fa ancor più minac
cioso guardando alle previsioni future, accelerate dai cambiamenti climatici, che ipotizzano una con centrazione fino all’80% dell’umanità in grandi poli urbani entro trent’anni. Città di milioni di abitanti in cui sarà praticamente impossibile garantire una qualità della vita sostenibile. Il tempo di agire è ora, e le prossime scelte passano dallo sviluppo di nuo vi modelli di fruizione della città, a partire proprio dagli spostamenti, dove la bicicletta può recitare un ruolo chiave.
Sono anni ormai che in Italia si sta ragionando su come incentivare la mobilità ciclistica, e la pande mia non ha fatto che accelerare questi progetti. Le ipotesi sono tante, benché non tutte funzionali e spesso ferme al palo prima di partire. L’ultima ar rivata è stato il Bonus mobilità, uno stanziamento di ben 215 milioni di euro che aveva come prin cipale misura l’incentivo all’acquisto di nuove bici clette. Si è trattato indubbiamente di un segnale forte, non fosse altro perché l’ultimo precedente risaliva al 2009, mentre ogni anno si affacciano una moltitudine di incentivi a favore dell’acquisto di automobili. È una misura che però agisce solo marginalmente sul cambiamento della mobilità, concentrandosi piuttosto sul rinnovo del parco bici circolante. Si potrebbe definirlo un incentivo alla cosiddetta ‘bikeconomy’.
Cosa si intende con il concetto di bikeconomy lo spiega in maniera attenta e dettagliata l’omoni mo libro di Gianluca Santilli e Pierangelo Soldavini (Bikeconomy), recentemente ripubblicato da Egea con un nuovo capitolo dedicato proprio alle misure recenti: “Si pensi all’aumento di fatturato dei com mercianti in aree chiuse al traffico, all’incremento di valore degli immobili, al risparmio che si conse gue a livello personale prediligendo spostamenti senz’auto, ai nuovi posti di lavoro. Il tutto miglio rando il proprio stato di salute quello degli altri e dell’ambiente che ci circonda”. Nelle 216 pagine del libro i due autori esplorano nel dettaglio ognuna di queste voci (e molte di più: dalle aziende al ciclo turismo), illustrando con dovizia come un aumen to delle biciclette nelle città corrisponda sempre a una crescita economica.
La bikeconomy si propone dunque come un ef ficace sistema di rilancio, per uscire tanto dalla crisi economica quanto da quella sanitaria. Come ricordano gli autori, i ciclisti comprano meno ma lo fanno più spesso, ampliando di fatto gli affari dei negozianti. Ma soprattutto si muovono, e con que sto fanno risparmiare l’intera società. Illuminante è il riportato studio della nederlandese Decisio, se condo cui, “se 500 ciclisti pedalassero ogni gior no anziché andare in auto, questo comporterebbe per una città come Napoli il risparmio di circa 2,6 milioni, per quasi la metà attribuibili a minori costi per il sistema sanitario, seguiti da risparmi diretti e da un milione e mezzo di ore di traffico in meno, senza tralasciare gli aspetti positivi in termini di in quinamento”.
Tutto questo avviene però se si compie l’intero ci clo, ovvero se non ci si limita ad incentivare l’ac quisto delle biciclette ma se ne favorisce l’utilizzo.
E qui sta la grande lacuna del Bonus mobilità. Lo evidenzia anche il recente dossier Biciclette o ci clabilità? realizzato da Assobici-Confesercenti Mi lano e Legambici, un’analisi di prima mano fatta da
chi le biciclette le commercia (oggi un po’ meno, vista la scarsità di rifornimenti seguita al boom di vendite). Partendo dai punti critici del recente in centivo (stanziato una tantum, senza limiti di fasce di reddito né di tipologie di bici, limitato geografi camente, mal comunicato, imposto ai negozianti e privo di alcuna forma di indagine assciata), il dos sier affronta le misure simili nel panorama euro peo e si conclude con una serie di suggerimenti. Le proposte vanno dal rendere la misura strutturale e le spese fiscalmente detraibili, come per i dispo sitivi medici, all’estensione degli incentivi all’intero settore, per poi auspicare una campagna di comu nicazione ad ampio respiro, un intervento contro i furti e un lavoro sulla promozione dell’utilizzo. Il rischio di misure simili, scollegate da un reale pro getto urbanistico, è che si svuotino i magazzini per riempire le cantine, lasciando immutate le strade. Perché sostenere la bikeconomy non significa ne cessariamente incoraggiare la mobilità ciclistica, e quindi innestare il cambiamento necessario.
QUANDO LA BICI
ASPETTA IL TRENO
LA EUROPEAN CYCLISTS’ FEDERATION (ECF)
I ciclisti amano i treni, ma i treni amano i ciclisti? Dev’essere stata più o meno questa la doman da da cui è partito lo studio che ha portato alla pubblicazione del report Cyclists love trains: An analysis of the bicycle friendliness of European railway operators (scaricabile al link https://ecf. com/files/reports/cyclists-love-trains). Oltre cen to pagine di numeri e tabelle, con cui la European Cyclists’ Federation (Ecf) ha provato a fotogra fare la situazione delle ferrovie di tutta Europa e oltre, cercando di capire se e come si combinano treno e bici. In altre parole, i due mezzi di traspor to oggi più sostenibili ed ecologici riescono ad andare a braccetto?
Un lavoro che gli analisti di Ecf hanno portato avanti per cinque mesi, riuscendo a raccogliere i dati di una settantina di compagnie ferroviarie, lungo un territorio di 4mila km: da Bucarest a Helsinki, da Malta ad Amsterdam. E che è stato presentato a luglio in un evento di portata inter nazionale (lo trovate sul canale Youtube della Fe derazione), rivelando che gli ostacoli da superare son ancora parecchi: su 69 aziende analizzate, ad esempio, il 22% non offre alcun servizio di tra sporto bici. Oppure ci sono limitazioni sulle fasce orarie, biglietti esorbitanti... Insomma, “se si pensa che il 2021 è stato dichiarato European Year of Rail e che l’Europa punta ad azzerare l’impatto cli matico con il Green Deal, non è accettabile”, come ha dichiarato a Bikechannel.it Fabian Küster, direttore Affari Europei e Advocacy presso l’Ecf, tra gli autori del report. Questi i criteri adottati: quanti posti sono riservati alle bici? La compagnia ferroviaria prevede un programma di noleggio? Quanto costa il sup plemento? Tramite quali canali posso prenotare
il trasporto? In quante lingue è tradotto il sito dell’azienda? Ogni parametro confluiva in un sistema di punteggio incentrato sul criterio della flessibilità per l’utente. Dopodiché, sono stati coinvolti anche i membri di Ecf per feedback e contributi.
Fino ad arrivare a dare i voti: il primo della classe è l’Intercity dell’olandese Ns, che sette volte al giorno collega Amsterdam e Berlino. Offre tanti spazi per le bici, prevede diversi sistemi di no leggio, è rapido. Un’anomalia, se si pensa che su molti altri intercity transfrontalieri è addirittura vietato caricare una bici. Ma ottengono ottimi voti anche le Ferrovie federali svizzere (con una media di 19 posti per le bici in ciascun treno), la Compa gnia ferroviaria nazionale del Belgio, l’ungherese Máv-Start e l’austriaca Westbahn. Poi c’è chi s’è piazzato quinto ma avrebbe potuto applicarsi di più, come Deutsche bahn, con un sito che parla solo ai ciclisti di lingua tedesca. Gli ultimi della classe, invece, sono gli operatori di Spagna e Sve zia, dove (con l’unica eccezione di FlixTrain) le bici non possono viaggiare su nessun treno.
E Trenitalia? Con un punteggio del 50 per cento, resta penalizzata dall’assenza di servizi di noleg gio e dai biglietti troppo cari. Peccato, perché sui parametri ‘canali di prenotazione’ e ‘lingue del sito’ aveva invece ottenuto il massimo dei punti.
La strada da percorrere, dunque, è ancora lunga: “I ciclisti amano i treni, ma il loro amore non è senza condizioni”, commentano i curatori del report. “Perciò invitiamo i Governi e gli operatori ferroviari a seguire queste indicazioni: solo così combinare bici e treno sarà una possibilità reale e, per molti ciclisti, un’esperienza più positiva”.
HA DI RECENTE SCATTATO UNA FOTOGRAFIA DELLO STATO DI SALUTE DELLA MOBILITÀ INTEGRATA TRA PEDALE E FERROVIE. COSA NE È EMERSO? C’È ANCORA TANTO DA FARE, ECCO PERCHÉ
A SCUOLA DI RESPONSABILITÀ
COSTRUTTORI DI MONOPATTINI E OPERATORI DELLO SHARING INVESTONO IN MEZZI PIÙ AFFIDABILI E CONTROLLABILI, MA LE NORME SONO DISOMOGENEE E POCO RISPETTATE. ECCO PERCHÉ È IMPORTANTE FORMARE I NUOVI MOOVER
Andare a scuola di monopattino? Perché no, se contribuisce a ridurre gli incidenti e le vitti me collegate a questa forma di mobilità che si sta diffondendo nelle città italiane, destando un allarme comprensibile ma, come spesso capita, non giustificato dalle statistiche: in Italia circolano poco più di mezzo milione di monopattini elettrici (di cui 42mila in condivisione) contro oltre 51mi lioni di veicoli su quattro ruote, di cui 39 milioni di automobili; dall’inizio del 2021 ci sono state cin que vittime su monopattino a fronte delle 2.395 causate da incidenti stradali nell’intero 2020. La sicurezza sui monopattini è una complessa equazione fra almeno quattro variabili: tecnologia, infrastrutture, regole ed educazione civica. Tutti gli operatori dello sharing stanno investendo per rendere i mezzi più affidabili e controllabili ma non c’è ancora uno standard di legge e la gran parte di quelli in circolazione sono privati. Le strade non sono pensate per i nuovi veicoli della mobilità leg gera e nascondono molte insidie. Le regole sono ancora disomogenee e poco rispettate. Infine mancano ancora conoscenza e consapevolezza sia tra chi sale su un monopattino sia tra chi sta al volante: l’80% degli incidenti che coinvolgono monopattini e biciclette è causato da veicoli pe santi (Forum internazionale dei trasporti - Ocse). “Quando si portano i figli a giocare a tennis o a calcetto, all’inizio li si affida a un istruttore. Perché questo non accade con la moto o il monopatti no?”, si domanda Alfredo Scala, direttore Aci Val lelunga, la società che gestisce gli impianti di Val lelunga e Lainate dove sono stati fatti i primi corsi
di guida per monopattini elettrici in collaborazione con la startup americana Link: due ore e 75 euro per imparare a conoscere le regole e la tecnologia. “Se non la si conosce si rischia di inficiare la sicu rezza potenziale dei monopattini”, spiega Matteo Ribaldi, public policy & development business ma nager di Link che in autunno ha introdotto in Italia una nuova soluzione che permette di riconoscere la guida pericolosa e di correggerla.
Al di là dei numeri, la sicurezza sui monopattini preoccupa perché a utilizzarli sono soprattutto giovani e giovanissimi. Helbiz ricorda che l’uso del casco è obbligatorio per i minorenni (regola che viene raramente rispettata e fatta rispettare) e lancia una campagna di educazione nelle scuole. La nuova mobilità ha bisogno di cultura, perché quel che dice il Codice della strada vale anche per biciclette e monopattini. “Dobbiamo formare i nuovi moover”, ricorda Scala di Aci-Vallelunga. “Ma anche i tradizionali guidatori prima o poi do vranno imparare a conoscere e capire la mobilità dell’ultimo miglio. Bisogna aumentare la consape volezza di tutti”.
La scarsa conoscenza delle regole stradali, ovvia mente, fa crescere i rischi, per tutti. Ma è la prima corsa quella che porta al maggior numero di incidenti, rileva il primo report sulla sicurezza della startup svedese Voi Technologies, che dal 2019 propone una scuola guida virtuale, Ride Like Voila, per educare i rider divertendosi. Adesso bisogna trovare gli studenti per queste lezioni in presenza e online.
IL MONOPATTINO METTE LA FRECCIA
PROVIENE DALLA SVEZIA L’ULTIMA ARRIVATA NEL MONDO DELLA MICROMOBILITÀ URBANA. È VOI TECHNOLOGY CHE HA LANCIATO I SUOI SERVIZI IN PIENA PANDEMIA. LA GENERAL MANAGER MAGDALENA KRENEK ILLUSTRA A BIKE I PIANI PER IL FUTURO. CON UN CHIODO FISSO: LA SICUREZZA
/Magdalena Krenek/La sicurezza è una priorità per Voi Technology, che per questo motivo ha portato in Italia il suo Voiager 4, primo monopattino con le frecce dire zionali. Una caratteristica distintiva dell’azienda svedese che già può fare affidamento su di una flotta di 2250 monopattini distributi tra Roma, Milano e Torino, ma che è già pronta a espander si in altre città, sempre con l’obiettivo dichiarato di contribuire ad elevare il livello di sicurezza per tutti gli utenti della strada. Lo ha raccontato a BIKE Magdalena Krenek, general manager di Voi Technology, convinta che la soluzione al problema della sicurezza per chi utilizza il monopattino passi anche dall’educazione stradale così come dalla realizzazione di piste ciclabili protette dal traffico auto. Laureata in Economia, Krenek parla tre lin gue, tedesco, italiano e inglese, nel 2015 approda a Foodora, per poi passare a Techstars e Tier, fino a inizio 2020 quando viene chiamata da Voi.
Quali programmi per il futuro?
Vogliamo espandere il servizio nelle città in cui siamo già presenti, come a Milano e Roma, ma abbiamo intenzione di espanderci anche altrove, a partire dal lancio dei nostri servizi a Reggio Emilia per poi guardare a Modena e Palermo.
Quanto è importante la sicurezza?
La sicurezza è un bene importante da tutelare. Per questo abbiamo sviluppato il modello V4 che ha sia le frecce sul manubrio sia quelle posterio ri. Lo abbiamo lanciato a Roma a marzo e subito dopo a Milano. È il primo monopattino in assoluto con questa tecnologia, speriamo che grazie a que sto modello possa ridursi il numero di incidenti.
Cos’altro si può fare per la sicurezza?
È vero, abbiamo lanciato il servizio a Milano a fine agosto 2020 e a Roma a ottobre dello stesso anno. Quindi il Covid era già in corso e sapevamo che l’emergenza non sarebbe finita presto. Dicia mo che l’abbiamo presa con filosofia… ma è stato un investimento previsto, maggiore di quello che avrebbe dovuto essere, certo, eppure devo dire che lo abbiamo fatto con cognizione di causa.
Adesso come vanno le cose?
Molto bene, registriamo numeri in continuo mi glioramento, migliori anche di quelli di alcuni nostri competitor, e non dimentichiamoci che siamo entrati nel mercato per ultimi. La nostra filosofia poi è completamente diversa: promuoviamo infatti l’utilizzo del mezzo per il maggior numero di volte possibile, offrendo una flotta efficiente e che pertanto sia in condizione di dare un servizio reale al cittadino.
L’80% degli incidenti è causato da mezzi pesanti. A mio avviso la risposta più efficiente sarebbe quella di creare piste ciclabili protette, in sede propria e non all’interno della carreggiata. Ab biamo, inoltre, creato una scuola online di guida sicura, già completata da mezzo milione di utenti. Un investimento cui si affianca quello per i corsi di sicurezza nelle città dove operiamo.
Come cambierà la mobilità?
Per provare a vedere il futuro, bisogna osser vare la generazione di adolescenti che oggi vive il presente. La generazione Z non ha più come obiettivo quello di acquistare un’auto di proprietà, ha esigenze diverse. Il veicolo serve a rispondere a un bisogno di mobilità in un determinato arco di tempo. Credo che le nostre abitudini in fatto di mobilità, così come le abbiamo conosciute finora, siano destinate a cambiare.
Siete arrivati in Italia in piena pandemia. Azzardo o rischio calcolato? Voiager Voi/INNOVAZIONE
SU MISURA
PROGETTATO NELLA SILICON VALLEY SI CHIAMA SCOTSMAN: È IL MONOPATTINO IN CARBONIO PRODOTTO DA AREVO CHE, GRAZIE ALLA STAMPA TRIDIMENSIONALE, APRE LE PORTE ALLA PERSONALIZZAZIONE DI MASSA. IL CEO SONNY VU: “PROTAGONISTI DELLA MOBILITÀ SOSTENIBILE”
Innovazione e sostenibilità per rivoluzionare la mobilità urbana. È ciò che Arevo sogna di portare sul mercato con Scotsman, il primo monopatti no elettrico interamente progettato su misura e stampato in fibra di carbonio, ricorrendo alla stampa tridimensionale. Una tecnica che ha il vantaggio di aprire le porte alla ‘personalizzazione di massa’: ogni monopattino infatti è stampato per adattarsi alle dimensioni fisiche e alle prefe renze del cliente.
“Per noi il beneficio maggiore è la capacità di accelerare l’introduzione di nuovi prodotti, ve locizzando un processo che precedentemente avveniva in anni e che ora, invece, si conclude in qualche settimana”, spiega Sonny Vu, ceo di Are vo, azienda della Silicon Valley divenuta famosa proprio per i suoi progetti realizzati in stampa 3D.
“In questo modo”, prosegue, “eliminiamo la ne cessità di avere un magazzino, dato che possia mo stampare su richiesta; così come eliminiamo anche le costose spese per impostare le linee di produzione tradizionali”.
Ex cto di Fossil Group, fondatore di Elemen tal Machines, AgaMatrix e Alabaster, nonché collaboratore di Microsoft Research e con un dottorato di ricerca al Mit, Vu guida Arevo con un
obiettivo preciso: rendere il mondo “più leggero”.
In che modo? “Automatizzando la progettazio ne e la produzione di parti composite in fibra di carbonio”, continua l’appassionato ceo mentre presenta Scotsman come il fiore all’occhiello della sua produzione.
Nello specifico, il monopattino che proviene dalla Silicon Valley ha l’intero telaio, comprendente manubrio, stelo e pedana, realizzato in composito di fibra di carbonio. Costruito senza giunzioni o collanti per garantire una resistenza uniforme, è prodotto ricorrendo anche ai più recenti mate riali termoplastici, che lo rendono estremamente resistente agli urti e allo stesso tempo incredibil mente leggero.
Come già era parso chiaro fin dall’avvento di Su perstrata, la bicicletta elettrica lanciata dall’azien da californiana la scorsa estate, i prodotti Arevo si distinguono per un ulteriore aspetto. “Prima di Arevo, il nostro business di famiglia, Alabaster, era concentrato sugli investimenti nel deeptech che avessero il potenziale per un impatto positivo per quanto riguarda l’inversione del cambiamento climatico”, premette Vu. “Scotsman rappresenta pienamente la continuazione di questo interesse”.
di EDOARDO PRALLINI Sonny Vu, ceo di ArevoPersonalizzabile, ultraleggero ed eco-sostenibi le, Scotsman è inoltre dotato di motori ad alta potenza (fino a 2mila watt), un sistema a doppio motore per una maggiore stabilità, un doppio sistema di frenata rigenerativa, sospensioni in composito brevettato, una struttura a doppia batteria per una guida prolungata, un sistema di rimozione rapida della batteria, che può anche agire come un caricabatterie Usb-C per disposi tivi elettronici, e un’esperienza di guida completa mente connessa (sempre su Gps e mobile).
Il veicolo sarà disponibile da dicembre 2021: “Abbiamo uffici in California, Vietnam e Giappone e serviamo un mercato globale”, puntualizza Vu. “Abbiamo clienti in oltre 80 Paesi e stiamo cre scendo. È chiaro che i veicoli a mobilità elettrica saranno una delle principali tendenze degli anni a venire: noi vogliamo seguire questa direzione”.
SUL MERCATO DA DICEMBRE 2021 PER CONQUISTARE LE PIAZZE DI TUTTO IL MONDO, DALLA CALIFORNIA AL VIETNAM
/Scotsman, il monopattino su misura in fibra di carbonio/AMICA DEL CICLISTA
LUCI PIÙ EFFICACI E MENO INQUINANTI CHE NON ABBAGLIANO CHI PEDALA. COSÌ UN’AZIENDA BRESCIANA SVILUPPA INNOVAZIONI SOSTENIBILI PERFETTE PER IL FUTURO DELLA MOBILITÀ DOLCE
Lo chiamano il lato oscuro della luce. Non si vede, ma c’è. E interferisce con una serie sterminata di questioni: dalla migrazione degli uccelli ai disturbi del sonno, dalla salute degli alberi all’estinzione delle api. È l’inquinamento luminoso, il meno “vi sibile” degli inquinamenti, con cui abbiamo a che fare ogni giorno: basti pensare che più del 30 per cento della luce, che produciamo con i tradizionali mezzi di illuminazione, si disperde nel cielo.
Anche per far fronte a questa problematica, l’a zienda bresciana Roadlink (parte del gruppo Vita International, specializzato in barriere autostradali ecosostenibili) ha ideato la tecnologia Guardled. Frutto di anni di ricerca e sviluppo, si tratta di un innovativo sistema di sicurezza stradale che permette di illuminare la carreggiata a circa 40 centimetri da terra. Si coniuga così un’elevata efficienza (il fascio di luce dei led è orientato e ben distribuito) con una maggiore sicurezza so prattutto per gli amanti delle due ruote, grazie al rivestimento in poliuretano integrale che protegge l’impatto sulla lamiera del guardrail.
I vantaggi sono evidenti: minor inquinamento lu minoso, risparmio di consumi (si stima tra il 50 e l’80 per cento), manutenzione meno dispendiosa rispetto ai lampioni tradizionali... Strade più sicure, dunque (il led bianco riesce perfino a fendere meglio la nebbia), ma al tempo stesso più belle, visto che l’impatto visivo di queste realizzazioni è
minimo. Come spiega Irina Mella Burlacu, ceo di Roadlink, tra le cento donne di successo selezio nate da Forbes Italia: “L’illuminazione dal basso, unitamente alla scelta dei led, garantisce una maggiore gradevolezza alla vista, con il risultato che la fonte luminosa disturba di meno, non solo l’ambiente, ma l’occhio del guidatore, rendendo più nitida la percezione degli oggetti. Contribuisce così alla sicurezza stradale, che è la nostra prima ria mission”.
Innovazioni fondamentali anche per la galassia bike. Come nel caso del sistema Ledvia, (foto in basso) per esempio, grazie al quale Roadlink ha inventato una protezione che fa luce ad altezza ciclista (integrando i led nei paletti di sostegno del sistema modulare a bordo pista) e, grazie a speciali sensori, aumenta di intensità quando si passa. Oppure come nel caso dei 264 metri di luci ad accensione crepuscolare G-Light (sempre con tecnologia GuardLed) collocati in prossimità dello svincolo autostradale di San Michele all’Adi ge-Mezzocorona (Tn) lungo l’Autostrada del Bren nero A22 (foto in alto). Una soluzione, quest’ul tima, che ha contribuito a ridurre l’inquinamento luminoso a beneficio anche di chi percorre la vicina pista ciclabile di via Claudia Augusta, il più agevole valico alpino di circa 700 km che dalla Baviera permette di arrivare alle città di Ostiglia (Mn) oppure a quella di Altino (Ve).
Irina Mella Burlacu, ceo di RoadlinkESEMPIO
IN
NUOVA
IL MATERIALE CHE HA FATTO LA FORTUNA DI UN BRAND STORICO COME GIOS NON È SOLTANTO SINONIMO DI GUSTO VINTAGE E RETRÒ, MA INCARNA ANCHE UNA VIA TUTTA ITALIANA ALL’IMPRENDITORIALITÀ, TRA CURA DELLE PASSIONI E INNOVAZIONI CHE VALORIZZINO LA TRADIZIONE
Moderna deve essere la via che porta all’acciaio. Perché non basta l’afflato ‘vintage’ ad assicurare il futuro di un’azienda che, dal Dopoguerra, è si nonimo indiscusso e garanzia pressoché assoluta di artigianalità Made in Italy. Bisogna anche saper navigare a vista e con lungimiranza nel burrasco so mare dei mercati del pedale. Dove, ultimamen te, a farla da padrone sembrano essere i grandis simi costruttori che fanno delle economie di scala la propria cifra imprenditoriale. Mentre il ritardo nella disponibilità delle componenti dall’estero preoccupa un po’ tutti.
Gios invece no, non è così. Lo racconta a BIKE Marco Gios, terza generazione in azienda che, per costruire biciclette, ha seguito la rotta tracciata da nonno Tolmino e papà Aldo: pezzi unici e irri petibili, confezionati su misura, rigorosamente in acciaio e con componenti italiane. E non importa se, così facendo, non si superano le due centinaia di telai l’anno e bisogna rinunciare ai rivenditori all’estero. “È una nicchia che mi motiva, una scelta che non è stata facile, ma che alimenta la mia passione e che non cambierei per nulla al mondo”, taglia corto.
Come Subaru nei rally, anche Gios nel ciclismo ha lasciato le competizioni dove, “se vuoi una squadra, anche piccola, devi regalare molte bici a stagione”. Continua a fare quel che meglio sa: biciclette in acciaio. Certo, la memoria delle gesta di campioni come Roger De Vlaeminck, che in maglia Brooklyn ha vinto tre delle quattro Pari gi-Roubaix in palmarès (’74, ’75 e ’77), e Fons De Wolf, primo sul traguardo della Milano-Sanremo nel 1981, entrambi su bici d’acciaio Gios, resta viva. Non solo nelle repliche di quei modelli. Capita di incontrarli nelle ciclostoriche, come l’Eroica, nei raduni Gios, oppure in azienda, “quando fanno visita per incontrare mio padre”, che è stato il loro meccanico.
Al civico numero 6 di Corso Kant a Volpiano (To) si presentano ancora oggi, da tutta Italia e dall’e stero, clienti particolari che vogliono un prodotto ricercato, una Gios dall’iconico telaio blu: “Gli ultimi erano due tedeschi in viaggio su di una cabriolet e un altro veniva da Singapore”, racconta Gios. Il Super Record da strada è prodotto identico all’o riginale, è così dagli anni ’80. Per misure standard può essere allestito e consegnato in pochi giorni. Diverso, invece, il discorso per chi cerca qualco sa su misura. Ci vuole più tempo, ma ne vale la pena. “Qui, del resto, non costruiamo mai una bici che è uguale a un’altra”. Fosse anche solo per un dettaglio.
/Marco e Aldo Gios/Gli ultimi anni in Gios sono ricchi di innovazioni, pur nella fedeltà alla tradizione. “Per esempio, abbiamo prodotto venticinque telai arancio e blu, come erano prima dell’avvento di Brooklyn”, spiega Marco; “altri dieci in cui al blu si affianca il bianco li abbiamo fatti per i miei dieci anni di lavoro con papà”. Ma le novità più importanti sono contenute nei nuovi modelli: Gios x Columbus 100, che celebra il centenario della storica ditta milanese produttrice di tubi, e la Super Rally, una gravel che apre un nuovo capitolo: “È un richiamo ai nostri successi nel ciclocross, ma è anche una bicicletta perfetta per il cicloturismo e negli spo stamenti urbani”.
In dirittura c’è una nuova bicicletta, prodotta sempre con tubi Columbus, per Jacek Berruti, il figlio dell’‘Eroico’ Luciano, che ama come noi l’acciaio. Anche per questa bici, così come per le ultime novità, non sono stati utilizzati i clas sici tubi saldobrasati, bensì quelli dalla sezione maggiorata, a forma conica che danno alla bici un look decisamente più moderno. Così come i cavi ‘a parziale scomparsa’, integrati nella parte anteriore del telaio ma che riemergono in prossi mità dei registri sul tubo obliquo. “Comfort, durata nel tempo e guidabilità ci contraddistinguono da sempre”, riconosce Gios, “ma con questi prodotti dimostriamo anche una rinnovata sensibilità este tica”. Quello che non cambia, oltre all’acciaio, è “la soddisfazione sulla faccia della gente”, che se ne va, finalmente, in sella alla sua Gios.
“VEDERE LA SODDISFAZIONE SUL VOLTO DI CHI HA APPENA ACQUISTATO UNA NOSTRA BICI È QUALCOSA CHE NON HA PREZZO”/I telai Gios sono pezzi unici confezionati su misura/
IL
VILLAGGIO
DELLA SALUTE
A FORLIMPOPOLI, NELL’AREA EX SFIR, PRENDE VITA IL BRN VILLAGE, UN LUOGO INTERAMENTE DEDICATO
A BENESSERE E BICICLETTA
La salute è il filo conduttore che ha portato Brn, azienda specializzata nella distribuzione di componenti e accessori per la bici, a investire sul territorio con il progetto di una nuova e innovativa sede nell’area dell’ex zuccherificio Sfir a Forlimpo poli, provincia di Forlì-Cesena.
Brn nasce sul finire degli anni ’40, nel cuore della Romagna, grazie alla visione imprenditoriale della famiglia Bernardi. Una realtà che ha da sempre i propri capisaldi nell’innovazione, nella ricerca e nello sviluppo, con l’obiettivo di essere eccellenza nel mondo dei ricambi. Oggi Marco e Gianluca Bernardi, nipoti del fondatore, guidano una realtà che produce oltre 8mila tipologie di accessori e componenti servendo più di 3mila negozi in Europa.
La nuova sede operativa coprirà un’area di oltre 15mila metri quadrati, fra logistica e direzionale, ma il progetto è molto più ampio: il Brn Village, primo villaggio in Italia interamente dedicato al mondo della bicicletta e del benessere, si svilup perà su di un’area di circa 70mila metri quadrati. I lavori per la sua realizzazione sono già iniziati. Un tempo questa zona ospitava lo stabilimen to dello storico zuccherificio Sfir, installato sul territorio negli anni ’60 e chiuso all’inizio degli anni Duemila: da allora l’area è divenuta simbolo di incuria, degrado e abbandono. Finalmente sarà riconsegnata alla città grazie a un progetto di riqualificazione integrato con il territorio, aperto al pubblico e che coniuga diverse esigenze: econo mia, ambiente, tempo libero, sport e benessere. “Siamo felici e orgogliosi di questo progetto, spe riamo che contribuisca a diffondere e rafforzare la cultura del ciclismo, della mobilità sostenibile e del benessere nel nostro Paese”, raccontata a BIKE Gianluca Bernardi, ceo di Brn Bike Parts. Oltre 500 nuove piantumazioni e un percorso ci clopedonale di quasi due chilometri collegheranno
il parco agli altri percorsi ciclabili provenienti dal centro urbano. In quest’area troveranno spazio tre piste dedicate ai ciclisti di oggi e di domani: da un lato, infatti, il tracciato didattico in manto gom mato progettato per l’educazione civica e stradale sarà a disposizione per tutte le organizzazioni e le scuole del territorio che potranno avvalersi anche di un’aula didattica in cui affrontare gli aspetti teorici della guida in bici su strada; dall’altro, due pump track – percorsi tecnici per la mountain bike e il freestyle – per un totale di 342 metri e uno sviluppo complessivo di 3.200 metri quadrati che faranno di questo impianto l’area pumptrack più grande d’Italia.
“Con il Brn Village abbiamo cercato di costrui re uno spazio nel quale far coesistere mobilità sostenibile e alimentazione salutare. Questi due elementi rappresentano a pieno la filosofia della nostra azienda”, conclude ha chiosato Bernardi.
A pochi passi, infatti, dai tracciati sorgerà un bike café di quasi 600 metri quadrati con 100 posti a sedere al coperto e 100 esterni, che erogherà esclusivamente alimenti e bevande per la salute e per lo sport, 100% biologiche e legate al territorio.
Un luogo dunque in cui celebrare alimentazione sana e stili di vita salutari, in cui troveranno spa zio anche integratori per lo sport e alimenti per la salute prodotti da Buon Food, ramo aziendale di Brn attivo in ambito sport & health food. Nel cuore del parco infine troverà spazio la “Piazza del Ciclista”, un’area parzialmente coperta in cui sa ranno installate tre differenti bike station, dotate dei principali strumenti e attrezzi per la cura e la riparazione della bici, abbinate a nove punti di ri carica universale per le batterie delle e-bike. Altra importante attrazione della Piazza del Ciclista, la casetta dell’acqua funzionale, dalla quale saranno erogate acque dedicate al miglioramento dell’idra tazione e delle performance dei ciclisti.
IMPRESE DA
SOPRAMMOBILE
HEROAD È L’AZIENDA FONDATA DA DUE CICLOAMATORI BOLOGNESI CHE HANNO PENSATO DI PRODURRE RAPPRESENTAZIONI di / MATTEO NOVARINI / /Daniele Benasciutti e Alcide Pece con Lorenzo Fortunato della Eolo-Kometa, che ha ricevuto in regalo la riproduzione altimetrica dello Zoncolan, dove ha vinto la sua prima tappa al Giro d’Italia/Lasciata Bologna, ci si dirige a sud-est, verso San Lazzaro di Savena. Superato il Parco della Resistenza, con la statua di Alberto Tomba, si imbocca la strada verso la Grotta del Farneto, un antro gessoso profondo un chilometro che porta i segni degli uomini del neolitico. Da qui, tra prati, affioramenti di rocce, colline, ruscelli e casolari, un lungo falsopiano di una trentina di chilome tri, intervallato da qualche strappo più arcigno, porta fino all’abitato di Quinzano. Ogni domenica, la Val di Zena diventa il punto di ritrovo di molti cicloamatori bolognesi. Per due di loro – Daniele Benasciutti, di professione grafico creativo, e Alcide Pece, designer specializzato in stampa 3D –, quell’itinerario ha dato il via a una sfida impren ditoriale. “Un giorno, arrivati in cima, pensammo a quanto sarebbe stato bello tornare a casa con un oggetto che ci ricordasse quella pedalata”, racconta Benasciutti. Il pensiero si è tradotto in Heroad, un’azienda nata per creare rappresen tazioni altimetriche tridimensionali delle salite più famose del ciclismo mondiale. “Abbiamo unito ‘hero’, eroe, e ‘road’, strada, perché sono le due parole alla base dell’attività di ogni cicloamatore”, spiega Benasciutti. “La strada è l’habitat del cicli sta. E qualsiasi appassionato, dopo avere scalato una grande montagna, si sente un po’ un eroe”. La sede di Heroad coincide con il laboratorio nel quale Alcide realizzava prototipi di tappi e, dallo scoppio della pandemia, salva-orecchie per ma scherine. “Eravamo sicuri di avere concepito un regalo ideale per un ciclista”, afferma Benasciut ti. “La difficoltà, semmai, era tecnica: bisognava trovare un sistema per passare dai dati gps a un oggetto tridimensionale. La nostra fortuna è stata che la bicicletta è un argomento trasversale: ovunque si può trovare almeno un appassionato”. Anche in un ufficio: è stato un collega di Bena sciutti a suggerire un software open source che, modificato, permette di ricavare un rendering 3D da dati altimetrici e planimetrici. L’ultimo passo, il passaggio dal modello alla stampa tridimensiona le, richiede circa 20 ore.
I primi prodotti messi in commercio, il 28 marzo scorso, rappresentavano le 10 salite più celebri d’Italia. Due mesi più tardi, le montagne erano di
ventate 35. La vera crescita, però, è arrivata con i prodotti personalizzati. “Siamo tornati all’idea originale: dare forma ai ricordi dei cicloamato ri”, dice Benasciutti. “Non tutti possono scalare lo Zoncolan o il Colle delle Finestre: abbiamo capito che il segreto era offrire agli appassionati un oggetto che evocasse l’itinerario del cuore, fosse anche un giro intorno a casa. Chiunque può inviarci un file gpx o un segmento di Strava, da cui noi ricaviamo un profilo 3D”. Oggi i prodotti personalizzati sono, assieme a Stelvio e Mortirolo, i più popolari in un catalogo che comprende anche i tracciati di Milano-Sanremo, Giro delle Fiandre e granfondo come la Blockhaus Marathon. Tutte le altimetrie sono realizzate in pla, una bio plastica ricavata dal mais, e misurano 30 centi metri di larghezza per 25 di altezza. “Il prossimo progetto”, spiega Benasciutti, “è introdurre anche una versione tascabile: sempre più clienti ce la chiedono”. Salite e percorsi sono disponibili in dieci colori. “Per aiutare il cliente nella scelta”, aggiunge Benasciutti, “abbiamo sviluppato un’app di realtà aumentata. Se si inquadra la mensola o la scrivania su cui si intende appoggiare l’oggetto, si può verificare l’effetto in tempo reale”. Heroad ha ricevuto finora, in media, 3,7 ordini al giorno. Il programma di crescita passa anche per le partnership, come quella già stipulata con la Duomo-Stelvio, e per un allargamento della squadra: Benasciutti e Pece sono, al momento, le uniche persone impegnate a tempo pieno nell’a zienda. “C’è anche l’idea di creare alcuni tempo rary store”, spiega Benasciutti. “Finché saremo in due, però, andremo a rilento”. Le uniche alterna tive all’acquisto online, per il momento, restano allora Rebel Bike, ai piedi del Mortirolo, e un luogo accessibile solo agli amatori più allenati: il rifugio Bonetta, agli oltre 2.600 metri del Passo Gavia.
INSIEME PER LA RIPARTENZA
AL SECONDO ANNO DI PARTNERSHIP CON LE CLASSICHE ITALIANE, BANCA IFIS RAFFORZA IL SUO IMPEGNO PER LA MOBILITÀ DEL FUTURO. UN SETTORE DESTINATO A CRESCERE, IN TERMINI ECONOMICI E DI INDOTTO. A BENEFICIO DI TUTTI
Correre al passo dell’attuale evoluzione sociale e sostenibile per confermare il proprio ruolo da pro tagonista in uno dei settori in più rapida trasfor mazione: quello della mobilità green. È con questo obiettivo che Banca Ifis, per il secondo anno consecutivo, ha deciso di accompagnare il grande ciclismo alla scoperta dei territori e delle città dove le competizioni faranno tappa. Conferman dosi la banca premium partner delle Classiche italiane del ciclismo 2021 e official partner delle competizioni amatoriali gran fondo. Pedalando, quindi, dalle Strade Bianche, alla Milano Sanremo, fino ad arrivare al Giro di Sicilia, alla Milano-To rino e al Lombardia con relativa gran fondo. Con l’obiettivo, sempre intrinseco, di coinvolgere un si stema economico e sociale che conta in Italia 10,7 milioni di appassionati, di cui 4 milioni praticanti a livello amatoriale e cicloturisti; 2.900 le imprese della filiera della bicicletta per 9 miliardi di euro di ricavi annui, di cui 1,5 relativi ai produttori di bici e componentistica e 7 miliardi di euro a distributori e commercianti.
I dati del report di Banca Ifis dimostrano ulte riormente che il ciclismo, e in generale il mondo bici, non è solo un veicolo di valori, ma un asset strategico ed economico fondamentale. Anche e soprattutto guardando al futuro e all’impegno sostenibile attivato da governi, imprese e cittadini. Sempre più impegnati a incentivare, produrre e promuovere le tanto amate due ruote, come di mostrano il bonus bici attivato nei mesi scorsi dal governo italiano, la crescita del 17% delle biciclette vendute nel 2020 (oltre i 2 milioni), e l’aumento del fenomeno e-bike, che ha visto schizzare del 44% le vendite rispetto al 2019.
Una crescita senza precedenti che assume ine vitabilmente maggior valore visto il suo effetto positivo sul mondo del lavoro. Infatti, secondo l’ultimo rapporto Conebi, in un anno per ogni mille bici prodotte in Europa si creano da tre a cinque
posti di lavoro, mentre per ogni mille e-bike i posti sarebbero in media da sei a nove. E i margini di crescita, soprattutto in Italia, sono ancora note voli. Considerando sia che il mercato europeo, in termini di vendita, è avanti di 11 punti percentuali, sia che negli ultimi cinque anni, nel nostro Paese, l’e-bike ha quintuplicato i dati di vendita, passan do da poco più di 50mila pezzi annui ai 280mila del 2020 che rappresentano il 14% di tutte le bici vendute. E solo nei primi sei mesi del 2021 sono già state vendute 157mila e-bike, (+12% rispetto al primo semestre 2020).
Se, quindi, investire nel mondo bici rappresenta già adesso un asset molto interessante in termini di crescita, non bisogna dimenticare che, a breve, si andrà incontro a un vero e proprio effetto vola no, anche grazie ai 600 milioni di euro di fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza previsti per la ‘mobilità dolce’ dal ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile. Non è un caso, infatti, se l’80% dei distributori prospetta un aumen
Non c’è smart mobility senza sostenibilità. Uno dei principali obiettivi, se non forse il più importante, della mobilità intelligente è la ridu zione dell’impatto ambientale. Negli ultimi anni le emissioni di gas serra, che stanno contribuendo a quel cambiamento climatico di cui vediamo le manifestazioni estreme sempre più spesso, sono aumentate a doppia cifra e il 60% del consumo di petrolio deriva dalla combustione dei motori nei trasporti. Muoverci (e muovere le merci), soprat tutto con i veicoli tradizionali, inquina.
In questo scenario sono utili anche piccoli gesti. Come, ad esempio, smettere di pagare i pedag gi autostradali in contanti o con le carte. Perché ogni volta che le auto o i veicoli pesanti rallentano, si fermano e poi ripartono la produzione di Co2 aumenta. L’Università Ca Foscari di Venezia ha quantificato l’effetto dello stop and go in uno dei tratti autostradali più trafficati in Italia e in Europa: la A4 Brescia-Padova, dove nel periodo pre-Covid transitavano 50 milioni di veicoli ogni anno. Grazie alle barriere di Telepass nel 2019 sono state risparmiate oltre 3mila tonnellate di Co2 e quasi 2.900 nel 2020. “Traducendo questo dato in termini di viaggi in auto da Roma a Milano, il risparmio corrisponde a più di 35mila viaggi, ovvero a circa un milione e mezzo di litri di benzina”, spiega il professor Giovanni Vaia, che ha svolto lo studio con il collega Raffaele Pesen ti applicando un modello matematico messo a punto dal team di ricerca. “È evidente l’enorme vantaggio per l’ambiente ma anche per le persone in termini di inquinamento acustico, congestioni stradali e costi correlati”.
“Telepass è costituzionalmente un servizio so stenibile e smart: fa risparmiare tempo e car burante e anche Co2”, dice Gabriele Benedetto, ceo del gruppo Telepass, che negli ultimi tre anni ha valorizzato questo dato genetico dell’azienda
sviluppando una piattaforma, Telepass Pay, che permette con una sola app di pagare dal carbu rante ai parcheggi, dallo skipass ai biglietti del treno fino al lavaggio dell’auto. Una piattaforma che sostiene la micromobilità (bici, monopattini e scooter in sharing) come la mobilità elettrica: gra zie a un recente accordo con Be Charge adesso si possono pagare anche le ricariche delle auto.
Il sistema di pedaggiamento, tolling in gergo, è quindi diventato il centro di un sistema di mobilità integrata e sostenibile. Green & safe, ama dire il ceo Benedetto: un sistema verde e sicuro, perché in un’epoca di distanziamento riduce i contatti fi sici. Per esempio in autostrada, prenotando e pa gando dall’auto il panino e il caffè all’Autogrill per trovarli pronti per il ritiro quando si entra nell’area di servizio. L’evoluzione è stata accelerata dalla contaminazione con le startup, con cui sono stati sviluppati nuovi servizi ed è stata potenziata la leva digitale: con l’acquisizione di Wise Emotions, lo scorso agosto, è nata la nuova divisione Tele pass Digital.
La sostenibilità è dunque una strategia di busi ness, in grado di migliorare i modelli di business o di crearne di nuovi. Anche perché andiamo verso un futuro in cui pagheremo in base al nostro impatto ambientale. “Ad oggi”, spiega Francesco Maria Cenci, responsabile della divisione pedaggio di Telepass, “le tariffe auto dipendono da quanto si utilizza l’infrastruttura: l’algoritmo calcola quan to e quale spazio è stato percorso lungo il tratto autostradale e l’utente effettua il pagamento in base al percorso e alle dimensioni del veicolo. Ma, secondo la direttiva europea Eurovignette gli utenti non dovranno pagare per quanto utilizzano l’infrastruttura, bensì, sostanzialmente, per quan to inquinano”. Recepita dal Parlamento italiano nel 2014, la direttiva vale già per i mezzi pesanti e nel 2027 entrerà in vigore per le auto.
ILVALORE
DEL TEMPO
Primož Roglic, 32 anni a fine ottobre, può essere considerato a pieno titolo uno dei big del ciclismo internazionale. Lo sport è nel suo dna. Già cam pione juniores di salto con gli sci, per poi preferire al trampolino le due ruote, quest’anno il talentuo so sloveno, alla nona tappa del Tour de France è stato costretto al ritiro da una brutta caduta, ma ha recuperato al meglio in vista dei Giochi Olimpi ci. A Tokyo 2020 Roglicč ha trionfato portando a casa l’oro. Un traguardo frutto della tenacia e del duro lavoro. La medaglia nella cronometro olimpi ca, raggiunta dopo 44,2 kilometri attorno al cir cuito del Fuji, ha coronato una prestazione di oltre un minuto migliore di quella dei suoi avversari. Nella sua sorprendente carriera, Roglic ha vinto anche tre edizioni consecutive della Vuelta (dal
2019 al 2021 con nove successi di tappa), la Lie gi-Bastogne-Liegi 2020, tre tappe al Giro d’Italia (che ha concluso terzo nel 2019) e altrettante al Tour de France (secondo nel 2020). Non da ulti mo, è stato medaglia d’argento ai Campionati del mondo 2017 sempre nella corsa contro il tempo. Oltre l’atleta c’è l’uomo, che Roglicč ha voluto rac contare a BIKE, tra progetti, passioni e valori. “Padre, marito e giovane trentenne”, così si descrive con semplicità e autenticità. “Cerco di essere presente il più possibile con la mia fami glia”, confida. “È chiaro che con il mio lavoro sono spesso lontano da casa, tuttavia cerco di sfrut tare tutti i momenti che mi vengono dati con loro. La cosa più importante per me è rendere orgo gliosi mio figlio e mia moglie”.
LA PRESTAZIONE SUPERLATIVA DI TOKYO 2020 GLI È VALSA L’ORO OLIMPICO NELLA CRONOMETRO, MA SONO I MOMENTI TRASCORSI IN FAMIGLIA IL TRAGUARDO PIÙ IMPORTANTE CONQUISTATO
DA PRIMOŽ ROGLIC, CHE A BIKE SI RACCONTA TRA SPORT E CASA, CADUTE E NUOVE SFIDE
Il suo percorso potrebbe essere la prova che, anche se il talento è innato, servono impegno e determinazione per superare i momenti bui e far brillare la stella dello sport, nello sci come nel cicli smo. Eppure Roglicč non la pensa così e ribatte: “Il talento non è mai innato, ma è frutto del duro lavoro e dell’allenamento. Guardando indietro al mio passato, ho solo bei ricordi di ciò che ho raggiunto”, prosegue. “È importante non avere rimpianti ma imparare dai propri errori perché è solo riflettendo in questo modo che possiamo migliorare costantemente. Mi vedo in futuro come qualcuno che continua ad amare ciò che fa pur essendo lì per la sua famiglia”.
Quest’anno Roglic è anche entrato nel team degli ambasciatori sportivi Tissot, marchio cronome trista ufficiale delle tre principali competizioni ciclistiche mondiali, Tour de France, Vuelta di Spagna e Giro d’Italia. “Abbiamo in comune molti valori”, racconta il pluricampione sloveno parlando del legame con la grande famiglia Tissot. “Oltre all'amore per lo sport, condividiamo la determi
nazione, lo spirito di squadra e il fair play. Questi valori mi permettono di essere il più competitivo possibile”. Poi c’è il tempo, che “è un valore che entrambi vogliamo trasmettere attraverso questa partnership perché riteniamo che vivere il pre sente renda le persone più felici”.
“La misurazione del tempo è una parte essenziale della mia vita”, approfondisce il campione olim pico. “Ammiro particolarmente ciò che il marchio ha portato nel ciclismo con i diversi metodi di cronometraggio. Questa collaborazione ha molto senso poiché ognuno di noi reinventa i codici per raggiungere l'eccellenza”. In particolare, “mentre Tissot ha reinventato quelli dell'orologeria svizzera essendo il primo brand a proporre orologi da pol so e orologi connessi (solo per citare alcune delle loro innovazioni), il mio viaggio sportivo dal salto con gli sci al ciclismo è stato allo stesso modo una sfida, un rischio per creare il mio personale percorso, pur rimanendo sempre fedele a me
CON GLI SCI AL CICLISMO È STATO UN RISCHIO. MA SONO RIMASTO FEDELE A ME STESSO”/Durante la prova a cronometro vinta alle Olimpiadi di Tokyo 2020/ maglia team/ Images/
Viaggio tra SOGNO e REALTÀ
COSÌ LA STARTUP SICILIANA OTTOTUBI BIKE TOUR SVELA AL CICLOTURISTA INTRAPRENDENTE UN TERRITORIO TUTTO DA SCOPRIRE, DOVE SI SEDIMENTANO SECOLI DI STORIA E CULTURA. È IL TRAPANESE CON I SUOI PAESAGGI SENSAZIONALI E PRODOTTI D’ECCELLENZA
Vino, olio e grano. A Trapani e nella sua provincia la triade mediterranea rimane impressa, evoca racconti agricoli millenari, accompagna lo sguardo, mentre si attraversa la terra più vitata d’Italia, il cuore della Valle del Belice. Storie di cibo e di vino con la bici a far scoprire luoghi generosi. È da questa realtà che prende forma Ottotubi bike tour, neonata start up Made in Sicily.
Nel 2020 Fabio Abate, palermitano ‘wine lover’ classe 1968, dopo 25 anni di lavoro come agente nel settore farmaceutico, decide di investire nel cicloturismo lento. “Ho passato gli ultimi anni al telefono, in giro per la Sicilia”, confida a BIKE, “lavoravo a testa bassa, senza apprezzarne la bellezza, senza godermi i paesaggi che restavano in sottofondo come musica d’ambiente”, racconta.
Fino a quando, nel 2020, con il progetto Ottotubi bike tour vince il bando Resto al Sud e comin cia l’avventura. Otto mountain bike elettriche, motorizzate Bosch, per 156 kilometri di auto nomia; relax, lentezza e occhi aperti per godersi le realtà locali. È così che Abate pensa a venti percorsi diversi, venti esperienze in bici, con vino e cibo, venti tragitti fuori dagli schemi. “Il territorio trapanese è ancora tutto da scoprire, raccontarlo pedalando a testa alta ha un gran bel sapore”, prosegue Abate con l’entusiasmo di chi ha sco perto l’America.
Partendo da Trapani, per esempio, si può peda lare fino a Marsala, tra mulini a vento e cumuli di sale grezzo, tramonti fulgidi sullo sfondo di una riserva naturale orientata e in alto i calici di Mar sala. Oppure dal tempio di Segesta fino al castello di Inici, Baida e Visicari, passando per la Macel
leria Aurora di Scopello per una grigliata ‘on the road’, godendo di una natura a tratti libera, che ha recuperato i suoi spazi dopo il terremoto del ‘68, a tratti addomesticata, fatta di proporzioni geo metriche e visioni di interminabili filari ordinati.
Da contrada san Giovanni, invece, si ‘nuota’ nel verde fino a Poggioreale e Gibellina. La pedalata è assistita, il viaggio lieve, si ha il tempo di godersi la vista del Cretto di Alberto Burri, opera monumen tale di land art nel luogo in cui sorgeva la vecchia città prima del terremoto. Un labirinto bianco di vicoli e macerie che ora giacciono immote, rico perte dai blocchi di cemento, come tasselli di una scacchiera su cui riflettere.
Ci si ferma poi, volentieri, a Salaparuta, da Bruchicello, un’azienda agricola con cantina dove assaggiare Nero d’Avola in purezza, Catarratto e Cabernet Sauvignon riserva: microproduzioni che parlano a gran voce del terroir in cui affonda no le radici. Tutto il paesaggio in un sorso. Come conferma Giovanni Palermo, enologo e fondatore, che è un narratore privilegiato, impegnato su più fronti per ridare giusta collocazione alla Doc di Salaparuta.
Ogni strada qui svela una realtà profonda, tra off road e provinciali, momenti di attesa meditativa mentre greggi di pecore attraversano la via. Qui non si cerca la performance in sella, no. Con la modalità ‘Tour’ si agevola l’esperienza di fusione panica con la natura, kilometro dopo kilome tro. Godendo ‘qui e ora’, magnetizzati da realtà silenziose e produttive. Sogno e realtà con Fabio Abate e Ottotubi Bike tour.
INSEGUENDO
LA GLORIA
SI CHIAMA EVERESTING ED È ESPLOSA DURANTE LA PANDEMIA. È LA SFIDA CHE METTE ALLA PROVA PROFESSIONISTI ED AMATORI CHE VOGLIONO CIMENTARSI SULLE SIMBOLICHE ASCESE DEL CELEBRE OTTOMILA, MACINANDO, IN REALTÀ, KILOMETRI SULLE SALITE DI CASA
Alcuni li definiscono corraggiosi, altri pensano che siano dei pazzi, altri ancora si limitano a ritrarli come semplici volenterosi. Vedeteli un po’ come volete, ma quelli dell’Everesting sono senz’altro amanti delle sfide con un quoziente piuttosto alto di difficoltà.
E che cos’è l’Everesting? Fenomeno notato anche dal New York Times, che ne ha scritto di recente, l’Everesting è una prova che consiste nello scalare una salita a piacimento, dalla collina dietro casa allo Stelvio, tante volte quante ne occorrono per compiere un dislivello complessivo di 8.848 me tri, l’altezza dell’Everest, il tetto del mondo.
All’inizio era solo una prova di nicchia, nata in Au stralia nel 2014 da un’idea di Andy Van Bergen, il primo a portarlo a termine, raccontarlo e ‘istitu zionalizzarlo’. Poi, però, ha avuto presto seguito e il boom è arrivato nell’ultimo anno, complice la pandemia. La ‘comunità’ degli everester è ormai mondiale e nel 2015 gli appassionati Fabrizio Dolce e Riccardo Petrucci hanno fondato anche la sezione italiana.
L’Everesting si può correre in bicicletta o di cor sa (con regole differenti), non prevede limiti di tempo, è possibile riposarsi, purché non si dorma tra l’inizio e la fine della prova, e sono concessi rifornimenti. Poche regole ma chiare, quelle stilate da Van Bergen.
Il sito di riferimento, fino a non molto tempo fa, contava 5mila prove certificate a livello mondiale, ma dal 2020 si è saliti a 10mila tentativi – quasi tutti portati a termine – sia a livello maschile sia femminile. Anche in Italia c’è stato un balzo nel 2020, dai 193 tentativi riusciti del 2019 ai 604 dello scorso anno.
Tra i nomi noti a cimentarsi con l’Everesting c’è l’ex professionista Alberto Contador, che ha subi
to staccato il record (7 ore e 26 minuti), battuto in realtà nel giro di un amen dall’irlandese Ronan Mc Laughlin (7 ore e 4 minuti). Ma non è il record che conta: è la sfida. Tra gli amatori, c’è chi ha cercato di farlo – finché si poteva – direttamente sull’Everest, ma in genere c’è chi sceglie una salita dolce, da ripetere innumerevoli volte, e chi invece preferisce quella lunga e dura.
In Italia c’è addirittura chi l’ha fatto in tandem, a Campo dei Fiori: è il caso di Graziano Gallusi, 49enne non vedente parmense, e dell’esperto Daniele Riccardo, primi a cimentarsi in coppia. Storia di un’amicizia profonda.
Sebbene lo spirito dell’iniziativa sia no profit (non ci sono premi in palio né sponsor a sostenere l’iniziativa) e chi si cimenta non deve versare nulla all’associazione, nell’ultimo anno diverse aziende si sono avvicinate a questo mondo. Alcune, per esempio, hanno iniziato a fornire abbigliamento tecnologico o barrette energetiche ad alcuni eve rester, altre hanno provato ad appropriarsi della sfida fin quasi snaturandola.
Mentre il mercato dell’Everesting sembra stia iniziando a dare segnali di apertura, in realtà, sopravvive lo spirito originale: chi si vede omo logato il dislivello percorso, documentato attra verso il gps, non appena ottiene il ‘via libera’ dagli organizzatori, entra di diritto nella Hall of Fame. A conferma che, soprattutto, lo si fa ancora per la gloria.
/Alberto Contador alle prese con la sfida dell’Everesting lungo l’ultimo tratto della salita di Navapelegrin, a Nord di Madrid/Quasi 1400 km attraversando tre nazioni. Per un totale di dodici giorni, con l’unica compagnia di una Carrera Crixus Limited Edition. Basterebbero questi numeri per intuire l’avventura vissuta da Fabrizio Musso, 30 anni, che a Bristol progetta motori per gli aerei militari targati Rolls-Royce. Un viaggio nato un po’ per sfida e molto per gratitudine: partito il 19 giugno proprio da Bristol (dopo un selfie davanti al Clifton Suspension Bri dge) e approdato il 30 giugno sulla ciclabile che si affaccia sulle spiagge di San Lorenzo al Mare, a due passi dalla sua città, Imperia.
Dai cieli grigi d’Inghilterra all’assolata costa ligure, tagliando in due la Francia per borghi e campa gne. Scopo dell’impresa? Celebrare il primo anni versario della scomparsa “dell’incredibile persona che mi ha aiutato a diventare quel che sono oggi”: Carlo Pastorelli, commerciante e sporti vo, patrigno di Fabrizio. E promuovere la causa dell’affido familiare (“Carlo amava i bambini, spe cialmente dopo esser diventato nonno, e cercava di sostenere quelli meno fortunati”), scegliendo in particolare di aiutare la Casa Famiglia Pollicino, che da oltre vent’anni a Imperia accoglie bam bini con alle spalle situazioni difficili. Per questo, ad ogni persona incontrata nel tragitto Fabrizio consegnava un biglietto da visita con un codice QR, collegato ad un sito di crowdfunding. Grazie anche ad amici, familiari e al passaparola sui social, tappa dopo tappa è riuscito a racimolare 4.500 euro.
Il primo ad aver saputo di quella che, per Fabri zio, era ancora una lontana intenzione, era stato proprio Carlo, che pochi mesi prima di morire aveva reagito così: “Da Bristol a Imperia in bici? Sei matto!”. Aggiungendo, però, dopo qualche minuto: “Ma sì... Se non lo fai ora, quando ti rica piterà?”. Anche in forza di questa spinta, quindi,
Fabrizio ha potuto affrontare ogni momento del viaggio, dai disagi delle notti in tenda agli scherzi del meteo: “Non potevo rimandare quest’avven tura”, racconta. “Non perché sono giovane, ma perché ogni giorno può essere l’ultimo. E non è stato semplice: nelle prime tappe il tempo era spesso brutto, poi c’era l’incognita di venire bloc cato alla frontiera, infine mi ha dato problemi un dolore al ginocchio...”. Eppure, senza arrendersi, ha raggiunto il traguardo.
“La cifra raccolta supera l’obiettivo che mi ero posto”, spiega. “Andrà a finanziare l’acquisto di giochi per la Casa, l’avvio di coltivazioni bio in cui coinvolgere i bambini, gite culturali e lezioni di inglese”. Il viaggio, invece, “è stata l’occasio ne di fare un’importante esperienza, scoprendo l’umanità di tante persone”: da chi ha offerto a Fabrizio anche solo un caffè (“mi sono ricreduto sulla generosità dei francesi”), a quel ragazzo conosciuto al Club di Triathlon, che ha voluto partecipare con una bella donazione (“eppure l’avrò incrociato sì e no una decina di volte agli allenamenti”).
Aveva messo in conto anche qualche imprevisto Fabrizio e puntualmente si sono verificati: come l’incontro non proprio simpatico con un branco di cinghiali in Provenza, oppure la sorpresa, questa invece alquanto gradita, di un cambio di vento in un tratto in cui era sfinito da caldo e fatica: “Mi è passata subito la stanchezza, è stato come se Carlo stesso mi spingesse”. Gustando ogni chilo metro in un turismo lento e low cost, quando per molti sarebbe stato impensabile affidarsi a una gravel da 350 sterline: “
LA RIVOLUZIONE
ELETTRICA
COME SARANNO LE E-BIKE DEL FUTURO?
STAMPATE IN 3D E ISPIRATE A PRINCIPI OLISTICI E GEOMETRICI, DAL DESIGN DEGNO DI UN'ESPOSIZIONE D’ARTE E DOTATE DI SOLUZIONI TECNICHE DERIVATE DALLA RICERCA AEROSPAZIALE.
ECCO 7 PROTOTIPI DA UNA GALASSIA DI IDEE IN CONTINUO MOVIMENTO
La bicicletta del futuro dovrà fare i conti con la rivoluzione elettrica. E non solo quella. Ma pas sa da qui il futuro delle due ruote. Mezzi sempre più sicuri, pratici, e ricariche che garantiscono grande autonomia. Stampate in 3d dai cervel loni della Silicon Valley, ispirate ai principi olistici o della geometria, con ricarica collegata in alcuni casi a quella della propria auto, le nuove e-bike
vantano un design degno di un’esposizione d’arte e tecniche che guardano alla ricerca aerospaziale. Ideate da squadre di esperti e designer avveniri stici con grandi visioni, che nulla lasciano al caso, saranno i mezzi ideali per combattere traffico e inquinamento in città. E dilettarsi nel tempo libero in tutta tranquillità. Ecco 7 prototipi da una galas sia di (grandi) idee in continuo movimento.
BOSCH DESIGN VISION
Per celebrare il decimo anniversario del suo primo sistema di trasmissione per pedelec, l’azienda tedesca presenta un prototipo frutto della sofisti cata integrazione dei migliori componenti firmati Bosch (Performance Line CX, la batteria Power Tube 625, il ciclocomputer Nyon e l’ABS Bosch eBike). Design Vision è concepito come Urban Sports Cruiser e, grazie al telaio di carbonio con sospensioni completamente integrate nella ruota anteriore e posteriore e al sistema di trazione Bo sch fuso in un’unica unità con il telaio e il manu brio, offre il massimo comfort sia per le avventure in città sia sulle strade di campagna. Un’esperienza per gli occhi. bosch-ebike.com
EUCLID
Euclid è una proposta di mobilità elettrica urba na su due ruote comoda e dal design minimal. Il nome è un omaggio al matematico greco Euclide, i cui principi della geometria sono serviti da ispira zione per dare forma a questa bicicletta elettrica. Il telaio è composto da tubi oversize a sezione rettangolare, un pezzo unico dove si concentrano i componenti del sistema di propulsione elettrica, il forcellone posteriore, la forcella anteriore e la sella. Le ruote sono dotate di 6 imponenti raggi mentre il motore elettrico è montato sul movi mento centrale, alimentato da una batteria che si trova nella parte inferiore della barra orizzontale del telaio. Matematica pura.
PELIKAN
“Pelikan. A Modular Bike” è il concept di un’ inno vativa bicicletta elettrica realizzato dall’industrial designer belga Fabian Breës. Design pulito ed elegante, caratterizzato dal grande corpo centra le che ingloba la batteria e che per la sua forma trae ispirazione dal grande becco del pellicano. “Volevo creare una bici con un corpo. Non solo un paio di tubi vestiti con colori alla moda. Mi sono concesso la libertà di modellare i componenti a mio piacimento e di non preoccuparmi dei costi di produzione. L’assetto è stato chiaro fin dall’inizio: una linea fluida e dinamica che va dal tubo sterzo ai robusti foderi orizzontali, un motore elegante e visibile e un grande pack batterie che costituisce la maggior parte della carrozzeria. Nessun sedile, nessun tubo obliquo. Un design fatto di linee dure e pure”, spiega Breës.
PININFARINA EVOLUZIONE
La prima e-bike firmata Pininfarina combina la lunga tradizione della casa nel design di auto sportive e la sua vocazione per la ricerca di solu zioni eco-friendly con la soluzioni all’avanguardia di Diavelo, membro di Accell Group nel settore delle biciclette. Sviluppata con una filosofia di de sign “olistica”, ha tutti i componenti perfettamente integrati nella struttura: la batteria brevettata, il motore centrale, il manubrio e l’attacco manu brio, il computer di bordo, il vano porta oggetti, il cablaggio, il sistema di illuminazione. Un vantaggio non solo estetico anche funzionale, che garantisce migliore distribuzione del peso, migliore bilancia mento e maggiore comfort e performance alla guida. Grazie all’utilizzo del carbonio nel telaio e nei componenti, realizzati con l’innovativa tecno logia carbon autoclav, Evoluzione è anche super leggera: solo 16kg Pininfarina.it
EMERY ONE AREVO
Prodotta in meno di 18 giorni da Arevo, società con sede nella Silicon Valley specializzata nella stampa 3D composita, la prima bici elettrica al mondo realizzata con questa tecnica. Adatta ad affrontare qualsiasi terreno o strada, Emery One monta un telaio unibody stampato in 3D mono pezzo in fibra di carbonio. La stampa del telaio in un’unità unica, invece del metodo tradizionale di assemblaggio di diversi componenti, assicu ra un grado di stabilità e di integrità strutturale superiori, oltre a ridurre significativamente i costi di produzione. 5.500 $ il prezzo di lancio dell’in novativo modello, prodotto in quantità limitate, collegato a una batteria completamente integrata da 500 Wattora e dotato trasmissione e motore Bosch da 63 NmAl per una pedalata assistita fino a 28 miglia orarie. Emerybikes.com
KARMIC OSLO
Si potrebbe confondere con uno scooter per via del sedile apribile a forma di poligono che ricor da quello dei motorini degli anni ’80 e i fari DRL integrati (luce di marcia diurna) che rimangono sempre accesi e si alimentano dalle batterie. In realtà Karmic OSLO è una e-bike di classe 2 dal design avveniristico ed essenziale, con entrambe le opzioni di acceleratore e pedalata assistita con tre livelli di assistenza: eco, normale, boost. Pro gettata da Karmic a Palo Alto, i cavi, le batterie, gli ingranaggi e la catena nascosti le conferiscono un look and feel che rievoca quello dei prodotti Apple. Il motore da 250 watt sviluppa una velocità mas sima di 20 miglia all’ora ed è alimentato da una batteria da 480 W/h, con autonomia di 32 miglia con singola ricarica e peso di 20kg. karmic.cc
VOLKSWAGEN GO2
La mobilità green e sostenibile bussa alla porta delle maggiori case automobilistiche da diversi anni. Il concept visionario del designer brasiliano Danilo Makio Saito unisce una e-bike e un’auto futuristiche, sviluppate come se fossero l’una parte dell’altra. Go2 è una due ruote che si fa notare per l’assenza del classico tubo orizzontale del telaio, sostituito da un paio di bande laterali a formare una tasca porta oggetti per riporre bagagli leggeri. Entrambe le bande hanno capacità retrattili. Con un semplice tocco, infatti, possono essere ritirate all’interno del telaio, rimanendo na scoste quando non utilizzate. Il telaio di go2 può essere facilmente piegato e le batterie dei due veicoli sono strettamente collegate: se si ricarica la batteria dell’auto, anche la bici viene ricaricata di conseguenza.
AMARCORD
Il massimo dell’eleganza unito alla migliore tecnologia. Ecco le scelte giuste per ciclisti che amano il vintage, senza rinunciare alle prestazioni
BRICK LANE BIKES LONDON
Il marchio Blb nasce dal sogno di un ex corriere che consegnava pacchi in bicicletta, di aprire il suo negozietto di biciclette all-track nell’East londinese, presto divenuto la Mecca per i patiti del vintage di tutta Europa, dove si possono trovare accessori, componenti e chicche rare perfettamente restaurate, come la Track Bike di Guerciotti.
Qui ogni centimetro di spazio è occupato da ruote, raggi, telai, manubri, pezzi di ricambio da assemblare per creare una bicicletta completamente personalizzata o attraverso cui dare nuova vita a una bici vecchia o guasta. bricklanebikes.co.uk
CASCO BROOKS CARRERA SPECIAL
Si ispira ai vecchi caschi in cuoio molto popolari tra i ciclisti professionisti negli anni ‚70, che combina la più moderna tecnologia con l’eleganza tradizionale dello stile Jb Classic, a cui sono stati aggiunti inserti in tessuto e dettagli in pelle esclusivi. Grazie al policarbonato assicura il massimo comfort, stabilità e sicurezza, uniti al sistema di fissaggio elastico con lacci in velcro regolabili per una perfetta vestibilità e aderenza. La struttura ultra flessibile permette di piegarlo e portarlo sempre con sé, grazie alla cintura per fissarlo ai pantaloni.
€ 170 - brooksengland.com
SCARPE STRINGATE PEDÜ - AMERIGO MILANO
Realizzate in un piccolo laboratorio artigianale nel cuore delle Alpi con tessuti appartenenti alla collezione altissima qualità di Tessuti di Sondrio (Gruppo Marzotto), senza l’utilizzo di pellami e parti in plastica, queste stringate ecosostenibili hanno la suola in gomma riciclata Vibram Ecostep e doppio strato di tessuti naturali che garantiscono isolamento e traspirazione. Il velluto di cotone a coste con stringhe a contrasto le rendono trendy e perfette per veri gentleman delle due ruote.
€ 250 - amerigomilano.com
TAVOLO CONSOLLE SIMPLE MAISONS DU MONDE
Per chi non rinuncia a portare la passione per il ciclismo anche dentro casa, la consolle industriale Simple in legno di mango indiano e metallo nero è realizzata con una vera bicicletta o e offre un tocco di autenticità agli interni. A mo’ di supporto per le piante, per gli oggetti decorativi o per una lampada, ogni pezzo è unico e farà furore in soggiorno.
€ 399 - maisonsdumonde.com
CESTA PIC-NIC FENDI
L’occorrente per un raffinato déjeuner sur l’herbe in perfetto stile 'Picnic a Hanging Rock' sta tutto nel cestino intrecciato di vimini con cinghie in pelle a contrasto con metallerie dorate. Protagonista della collezione Fendi P/E 2021, è dotato di tutto il necessario: telo ricamato, fodera in lino a righe Pequin, piatti, tazze e posate in tinta impreziositi dal logo FF. Classico e di tendenza insieme, personalizzabile con le proprie iniziali.
€ 5.000 - fendi.com
BORRACCIA CAMPAGNOLO VINTAGE
C’è un contenitore per ogni occasione e Campagnolo ha una soluzione speciale per ogni stile. La borraccia vintage in alluminio con finitura satinata è perfetta per esaltare le bici d’epoca in acciaio. Il tappo di sughero è attaccato alla borraccia tramite una piccola stringa, autentico dettaglio del ciclismo di una volta, assieme al classico logo della ruota alata tanto amato dai fan di Campagnolo. Sorprendentemente leggera, pesa 120 grammi ed è in grado di contenere fino a 600 ml di liquido.
€ 34,90 - campagnolo.com
BICICLETTA ISIDORO LIMITED EDITION AMERIGO MILANO
Si ispira alle due ruote vintage da corsa, ma si veste d’oro per celebrare il mondo del design e del fashion la bici da uomo realizzata a mano con telaio in acciaio finitura Oro 10 e caratteristico manubrio impreziosito dal rivestimento in pelle.
Un’esclusiva city bike di lusso per sfrecciare nel traffico e molto più di una bici da passeggio per gusti ricercati. Omaggio alla storia del ciclismo, è disegnata e modellata sui modelli dei grandi campioni che hanno fatto la storia.
€ 4.778 - amerigomilano.com
BORSE ARROTOLABILI BROOKS ENGLAND BRICK LANE
Ispirate alle borse da viaggio dei ciclisti, apparse per la prima volta nel catalogo Brooks del 1980. Proprio come le originali, possono essere arrotolate e utilizzate aperte solo quando necessario. In cotone resistente all’acqua con finiture in cuoio, dispongono di un elastico incrociato sul profilo superiore per trasportare ulteriori oggetti. Compatibili con la maggior parte dei portabagagli, hanno chiusura magnetica automatica che mantiene la patta stabile.
€ 195 - brooksengland.com
PORSCHE DESIGN SIDEWALL SUNGLASSES P´8674
Carattere inconfondibile, design di culto e finiture minimaliste. Mix irresistibile di stile casual e prestazioni funzionali, l’elaborato processo di fabbricazione degli occhiali Sidewall in metallo firmati Porsche Design offre una protezione efficace contro il vento e i raggi Uv fino a una lunghezza d’onda di 400 nanometri.
€ 330 - porsche-design.com
BREITLING PREMIER HERITAGE COLLECTION
Omaggio a tre generazioni di inventori – Léon, Gaston e Willy Breitling – la collezione incarna il patrimonio del marchio che ha portato all’invenzione del cronografo moderno. Come disse Willy, il Premier è un «segno inconfondibile di un gusto impeccabile». Tre i nuovi modelli della linea Premier (datata 1943 e poi reintrodotta nel 2018): Chronograph, Duograph e Datora, rivisitazioni dei primi modelli anni Quaranta. Con numeri arabi, lancette vintage, cinturini in alligatore e un cronometro certificato COSC e resistente all’acqua fino a 100 metri.
Da € 7.400 - breitling.com
FELPA VINTAGE RALPH LAUREN
Oltre alla grafica con finitura delavé color foresta ispirata alla migliore tradizione atletica, questa felpa in misto cotone presenta girocollo con inserto a V, stampe che donano al capo il tipico aspetto degli originali modelli vintage sportivi oltre allo stemma con la scritta 'R. Lauren' a effetto stencil sull’orlo.
€ 175 - ralphlauren.it
LEMUS EARBUDS CUFFIE BLUETOOTH
Perfette compagne di viaggio, progettate con un occhio per i dettagli eleganti e raffinati, come l’effetto oro satinato e i dettagli in pelle a contrasto, le cuffie 4.0 garantiscono una superba qualità del suono grazie all’avanzato sistema Apt-x, 12 ore di autonomia e un raggio di portata wireless fino a 10 metri. Con un peso di soli 134 grammi, sono tra gli auricolari più leggeri della categoria, insieme alle staffe regolabili per un comfort on-ear.
€ 899 - lemus-lifestyle.dk
COLLEZIONE SANTINI EROICA
Tutta italiana la serie di capi ispirati alla moda del dopoguerra, realizzati coniugando soluzioni tessili originali in lana con moderne interpretazioni tecniche. Design e stili mischiati tra loro caratterizzano il mondo dell’Eroica, l’elegante semplicità che onora la storia del ciclismo. Un concept per ricreare una collezione di abbigliamento bella, mantenendo l’integrità e la qualità proprie dello storico marchio. santinicycling.com
CAMPANELLO ZARA HOME
Di metallo nero e argento satinato come quelli di una volta, ideale per bici urbane dallo stile rétro e caratterizzato dal più classico dei drin drin. Frutto della collaborazione tra il marchio spagnolo Zara con l’olandese Veloretti, che produce sia biciclette sia tutti gli accessori coordinati.
€ 15,99 - zarahome.com
LEGGERE SUI PEDALI
NUOVE USCITE
PER NON CADERE. LA MIA VITA IN EQUILIBRIO /Baldini+Castoldi, 194 pagine, 17 €/
Gianni Bugno ha sempre amato parlare con i fatti, anzi con le pedalate. Tra tutti i grandi campioni degli ultimi decenni di ciclismo è stato sicuramente il più avaro di parole. Le sue interviste ricche di “non so” e “vedremo...” hanno contribuito a crearne la leggenda quasi quanto le imprese in sella. E un’impresa dev’essere stata quindi raccontarsi. Traguardo raggiunto (con il contributo di Tiziano Marino, già biografo di Damiano Cunego e Da rio Hübner) proprio grazie a questo atteggiamento schietto, quello di un ragazzo figlio di emigranti che un giorno ha cominciato a divertirsi in bicicletta, attento a non cadere, fino a raggiungere il tetto del mondo. Un libro che trasuda sincerità, da campione.
HO FATTO UN GIRO. DIARIO DI UNA CORSA FUORI STAGIONE /Touring Club Italiano, 208 pagine, 14 €/
Del Giro d’Italia siamo convinti di sapere presso ché tutto: percorsi, vincitori, cronache e vicende. Ogni anno gli appassionati lo seguono in diretta dal chilometro zero, ma per quanto ci si immerga nella corsa è difficile decifrare cosa accade ‘intorno’ al Giro. Nell’ottobre 2020 Gino Cervi è partito al seguito della prima e unica (si spera) edizione au tunnale della Corsa Rosa. Non tanto per raccontarne il profilo sportivo, ma per immergersi in un viaggio tra i luoghi e i perso naggi che circondano l’evento. Ventuno tappe fatte di incon tri, citazioni e assaggi (pochi, visto il periodo pandemico) che contribuiscono a rendere il Giro la corsa ciclistica del paese più bello nel mondo.
LA PRIMAVERA PERFETTA /Harper Collins, 432 pagine, 19,50 €/
Benché negli ultimi anni di carriera, Olli Fanti è ancora il velocista più forte del mondo, il cui ingaggio è argomento di discussione tra le squadre più forti del gruppo. Un affare per lui, ma soprattutto per il fratello Luca, che ne è diventato l’agente dopo una serie di sfortunate peripezie tra aziende pubblicitarie milanesi. La trama del nuovo romanzo di Enrico Brizzi, che sin dagli esordi con Jack Frusciante è uscito dal gruppo non ha mai negato alle biciclette un ruolo di riguardo nelle proprie opere. Questa volta si immerge nel mondo del ciclismo professionistico, con una vicenda di fantasia, tra drammi e amori, il cui sfondo si dipana tra inganni, trame oscure e vittorie sorprendenti. Difficile non farsi trascinare nella lettura.
Enrico Brizzi Gino Cervi Gianni Bugno (con Tiziano Marino)BIKE
Musica per me significa viaggio. La pensa così anche la mia bici, che è un po’ viziata. Non si muove se non pedalo. Mi guarda ogni volta che scendo nel box chiedendomi con lo sguardo: “Oggi usciamo?”. Poveri na, a volte mi fa pena. Sembra un cocker con la vescica gonfia alle sei di mattina. Lei comunque lo sa che per me uscire in bici è un viaggio. Accadrà anche raramente, ma quando arriva è una fuga totale che deve avere la sua colonna sonora completa. Da Bruce a Mameli, passando per Elio e gli U2. Non mi interessa la temperatura. Noi cetacei sopportiamo molto bene anche il freddo. Ma la musica deve suonare nelle mie orecchie. E quando parto in fuga, il rit mo scandisce ogni pedalata. Alla fine godo soddisfatto per la conquista del mio gran premio della montagna che solitamente è il dosso del passaggio a livello dietro casa. Scalatori, del resto, si nasce.
* Mi chiamo Giacomo Valenti, non sono nato Ciccio, ma lo sono diventato quando ho smesso, a 28 anni, di giocare a basket. Di fatto so fare tre cose: nuotare, giocare con i bambini e dire cazzate retribuite.
Da trent’anni lo faccio in radio, tv e anche in teatro.
Inizio presto la mattina a spararle su Rds, dalle 7 alle 10, in Tutti pazzi per Rds con Rossella Brescia e Baz. Finirò quando il nostro regista si dimenticherà di spegnere il tasto On Air. I fuori onda ci manderanno a casa. Ciao Guaglio’ !
Il ciclismo ti rende MAGRO
L'INVERNO È CAMBIATO
C’era una volta l’inverno… e il consueto periodo di riposo prima di affrontare la nuova stagione, da professionisti o cicloamatori. Con i primi freddi, infatti, intorno a metà ottobre, il calendario agonistico volgeva al termine e anche io riponevo la mia compagna di vita e pedalate nel box. Mi sembrava logico, del resto, e non vedevo l’ora, dopo aver percorso, in un anno, dai 25 ai 30mila kilometri, tra allenamenti e corse. Era il momento più bello: non dovendomi allenare, potevo giocare a pallone con i miei amici nel parco di Montecatini Terme. Era come tornare bambino. Senza l’assillo degli impegni agonistici, mi tenevo impegnato facendo altro e liberando la testa, senza il pensiero di quante ore di allenamento per quella o quell’altra gara dovessi fare.
A metà novembre iniziavo a fare delle sedute in palestra, almeno tre volte a settimana, senza ancora rinunciare alle partitelle di calcio (fino a quando non riprendevo con la bici, non ‘rovinavo’ certo i muscoli). Essendo io, fin da bimbetto, innamorato dello sci da discesa, non disdegnavo nemmeno quella che, a dicembre, diventava la mia preparazione agli allenamenti e agli impegni della stagione agonistica. Sciare mi era utile anche per rimettermi in condizione fisica in vista del primo ritiro, quello in cui si ‘faceva squadra’ e si prendevano le misure dell’abbigliamento tecnico. Se a inizio dicembre non c’era neve, facevo camminate e ancora ginnastica. Insomma, non ho mai preso la bici in mano prima della metà di gennaio, arrivando alla prima corsa di stagione, il Laigueglia, con non più di duemila kilometri di allenamento nelle gambe.
C’era una volta l’inverno, appunto. Tutto quello che vi ho appena raccontato non è più possibile. Forse due o tre sciate sui ghiacciai… ma guai a tutto il resto! Al di là del fatto che, grazie a i nuovi materiali, oggi non si senta nemmeno più il freddo, chi va in bicicletta, sia per piacere sia come professionista, non scende mai di sella. E se fuori è brutto tempo, ci sono rulli interattivi che, se ben programmati, allenano come e a volte meglio della strada. Un corridore professionista o un ragazzo alle soglie della maggiore categoria, poi, finisce la stagione a ottobre e a novembre è già in allenamento con la bici per la stagione successiva. Il livello di conoscenza e di preparazione di questo millennio è ormai altissimo, tanto che anche un semplice appassionato, un cicloamatore, può preparasi a puntino. È il ciclismo professionistico che ha influenzato il movimento. Ci sono grandissime differenze tra i sistemi di allenamento attuali a quelli di una volta. Che qualcosa di grosso stesse per accadere, Io avevo intuito già nel 1985. Ritiro invernale a St. Moritz, periodo 12-20 dicembre, squadra MetauromobiliPinarello, capitano Van Der Velde (quello dell’incredibile tappa sul Gavia al Giro del 1988). Per la prima volta ingaggiammo uno staff di preparatori atletici, avevano partecipato al record dell’ora di Francesco Moser (51,151). Proprio lì, in quel ben di Dio di località montana, mi proibirono lo sci da discesa, troppo pericoloso, e mi obbligarono a fare sci di fondo. Il 26 dicembre, il giorno dopo Natale, eravamo in ritiro in riviera a fare ripetute in salita, con il cardiofrequenzimetro. Stava cambiando il mondo. C’era una volta l’inverno.
*Riccardo Magrini è un ex ciclista, dirigente sportivo e commentatore tv per Eurosportin the end, all we have is our memories.