BIKE 9

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ANNO 3 – N° 9 – SUMMER LUGLIO-SETTEMBRE 2022 – PERIODICITA’ TRIMESTRALE – UNA COPIA € 4,90 - PRIMA IMMISSIONE 08/07/2022 POSTE ITALIANE SPA – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE D. L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1 COMMA 1 LO/MI

VIVERE IN MOVIMENTO

SOGNO E AMBIZIONE Monica Santini, ad Santini cycling wear Pietro Santini, fondatore Paola Santini, responsabile marketing

DAVIDE NICOLA

MARTA CAVALLI

SILVIA E LINDA

Allenato alla fatica non teme né salite né sfide salvezza

Dai sacrifici al sapore della vittoria

Cicliste per Caso sulle orme di Alfonsina Strada


"Aprire nuove strade è sempre sembrato essere il mio destino, fin dal principio.” Francesco Moser

Competenza, passione, ambizione e coraggio sono le chiavi per sviluppare un prodotto innovativo. La nostra bicicletta si ispira alle sfide ed ai trionfi di Francesco. Nell'innovazione e nel design ci sono l’esperienza e la visione di un grande Campione.

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EDITORIALE

GLI ALTRI SIAMO NOI

Più di una volta, su queste pagine ma anche in altri mille contesti, ci siamo trovati ad affrontare il problema (che problema non dovrebbe essere) della convivenza fra ciclisti e altri tipi di utenti, a cominciare dagli automobilisti. In teoria dovrebbe bastare una regola che va ben oltre quelle, peraltro già abbastanza esaustive, del codice della strada: la regola del rispetto reciproco (non esente dall’ovvia riflessione che, sul piano delle conseguenze, c’è una bella differenza fra l’‘errore’ di un utente forte nei confronti del più debole, se paragonato all’‘errore’ contrario). Invece, purtroppo, la ‘battaglia’ continua a essere all’ordine del giorno: e ci sono centinaia di croci ogni anno – tutte di ciclisti – che ne certificano l’esito disastroso. Faccio mio il pensiero del grande Alfredo Martini: “Cento anni fa la bicicletta era un mezzo, spesso anche di lusso per andare a lavorare. Così si sapeva cosa volesse dire pedalare, salita o discesa, sterrato o sassi, mattina presto o sera tardi e i corridori sentivano che la gente era vicina, partecipe, entusiasta. Oggi, un secolo dopo, la bicicletta si sta rivelando sempre più importante. È la chiave di movimento e lettura delle grandi città, un contributo sociale e non ha controindicazioni, fa bene al corpo e all’umore. Chi va in bici fischietta, pensa, progetta, canta, sorride. Chi va in auto s’incattivisce o s’intristisce. La bicicletta non mi ha mai deluso. È sorriso e speranza”. Difficile – anzi impossibile – contraddire quello che considero un Padre della Patria (non solo ciclistica e non solo sportiva), ma un evento recente a cui ho partecipato mi ha dato lo spunto per un’ulteriore considerazione: veramente è così difficile tenere presente in ogni momento che, molto spesso, noi (ciclisti) siamo loro (automobilisti) e viceversa? Una casa automobilistica molto attenta al mondo delle due ruote in diverse declinazioni – che vanno dalla sponsorizzazione di maglie importanti (azzurre o rosa che siano), all’organizzazione di eventi straordinari come il Suzuki Bike Day – ha lanciato un lodevole appello perché ci si possa ‘tenere per mano’: perché nella città, o comunque nella quotidianità, si vada oltre il concetto di ciclabilità sostenibile tout court per passare a un concetto più avanzato di mobilità in sicurezza. Insomma di quella ‘convivenza’ che in un Paese come il nostro, in un momento come quello che stiamo vivendo, dovrebbe finalmente recuperare la sua attualità e la sua base culturale. “Gli altri siamo noi”, cantava Umberto Tozzi a Sanremo nel 1991. Sarebbe ora di ascoltarlo. MARINO BARTOLETTI

Direttore editoriale

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SOMMARIO

SUMMER

EDITORIALE

CAMPIONI GLOCAL di / ENRICO SALVI /

GLI ALTRI SIAMO NOI

42

di / MARINO BARTOLETTI /

5

| ALL'ARIA APERTA |

| COME GIRA LA RUOTA |

LA FORZA DI DAVIDE di / MARINO BARTOLETTI /

SMART LEADERSHIP

46

L’ENERGIA DELLA MOBILITÀ DOLCE di / GIOVANNI IOZZIA /

LA SVOLTA DI MARTA

11

di / FRANCESCA CAZZANIGA /

52

L’ESPERTO

ROMAGNA DOC

SE ANCHE LA BICI DIVENTA AUTONOMA

di / LUCA GREGORIO /

di / COSIMO ACCOTO /

54

13

ECCELLENZA CON GUSTO

TUTTI A MISANO CON BIKE

di / CATERINA LO CASTO /

di / ROLANDO LIMA /

58

14

APPUNTAMENTO CON LA STORIA

| RUNNER. NOTIZIE E CURIOSITÀ |

di / SAMUELE VILLA /

62

17

SULLE NOTE DELL’AIDA

| COVER STORY |

di / SAMUELE VILLA /

65

UN GIALLO DI SUCCESSO

IN TRENO CON LADY B di / MARZIA PAPAGNA /

68

di / MATTEO RIGAMONTI /

26

| PEDALANDO IN SICUREZZA |

| FOCUS |

CHI HA PAURA DELLE E-BIKE? di / MASSIMO BOGLIA /

EMOZIONI SUL MURO

74

di / ROLANDO LIMA /

32

AL FIANCO DEI CICLISTI di / FEDERICO BALCONI /

MOLTO PIÙ D'UNA BORRACCIA

76

di / GIANCARLO BROCCI /

34

| CITTÀ IN MOVIMENTO |

GRAZIE ZIO di / MARCO PASQUINI /

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SENZA PARCHEGGI LA BICI RESTA A CASA

UN GAP CHE NON SI SCORDA

di / GIOVANNI IOZZIA /

80

di / PIETRO PISANESCHI /

38

LA CULTURA DELLA PROTEZIONE di / ENRICO SALVI /

DOWNHILL, IL FUTURO È QUA

84

di / GIACOMO SPOTTI /

40

8



SOMMARIO

SUMMER

L'AUTOMOTIVE PENSA SMART

IL CICLO IN UNA STANZA

di / GIOVANNI IOZZIA /

di / MARZIA PAPAGNA /

86

112

AL LAVORO FELICI CON LA BICI

IN STRADA CON ALFONSINA

di / GIOVANNI IOZZIA /

di / GIACOMO SPOTTI /

90

114

| CICLO ECONOMICO |

QUANDO LE DUE RUOTE FANNO CORRERE L’ARTE di / ALESSIA BELLAN /

COLPO DI PEDALE

116

di / MATTEO RIGAMONTI /

94

DI TUTTI I COLORI

CAMBIO AUTOMATICO PER BICI MUSCOLARI

122

di / ALESSIA BELLAN /

di / FABRIZIO ROSSI /

LEGGERE SUI PEDALI

98

di / FILIPPO CAUZ /

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ELEGANZA VINCENTE di / ANDREA RONCHI /

BIKE PLAYLIST ANTISTRESS

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di / ALESSANDRA SCHEPISI /

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PERFORMANCE SU MISURA di / ENRICO SALVI /

IL CICLISMO TI RENDE MAGRO

102

GRAVEL È LIBERTÀ di / RICCARDO MAGRINI /

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I GIROVAGHI DEL PRANZO GREEN di / CATERINA LO CASTO /

104 | BIKE LIFE | RITORNO AL FUTURO di / MARZIA PAPAGNA /

108

BIKE Smart Mobility Anno 3 / N°9 / Summer Luglio-Settembre 2022

Contributors Cosimo Accoto, Federico Balconi, Alessia Bellan, Massimo Boglia, Giancarlo Brocci, Francesca Cazzaniga, Rolando Lima, Caterina Lo Casto, Riccardo Magrini, Marzia Papagna, Marco Pasquini, Pietro Pisaneschi, Andrea Ronchi, Fabrizio Rossi, Enrico Salvi, Alessandra Schepisi, Giacomo Spotti, Samuele Villa

Servizio Arretrati a cura di Press-di Distribuzione Stampa e Multimedia S.r.l. 20090 Segrate (MI). Il costo di ciascun arretrato è di 10,00 euro. Per le Edicole richieste tramite sito: https://servizioarretrati.mondadori.it

Editore BFC Media Spa Via Melchiorre Gioia, 55 – 20124 Milano Tel. (+39) 02.30.32.11.1 info@bfcmedia.com

Art director Marco Tonelli

Presidente Denis Masetti

Project manager Alberto Brioschi brioschi@bfcmedia.com

Per Privati collezionisti richieste tramite email: collez@mondadori.it oppure tel. 045.888.44.00 nei seguenti orari: lunedì-giovedì 9.00-12.15 /13.45-17.00 venerdì 9.00-12.15/13.45-16.00 costo chiamata in base al proprio operatore, oppure fax a numero: 045.888.43.78

Trimestrale per vivere in movimento. Registrazione al Tribunale di Milano: il 24/06/2020 al numero 58.

Amministratore delegato Marco Forlani Direttore responsabile Alessandro Rossi Direttore editoriale Marino Bartoletti Video content editor Valerio Gallorini Smart mobility specialist Giovanni Iozzia Coordinamento redazionale Matteo Rigamonti rigamonti@bfcmedia.com Cycling writers Filippo Cauz, Luca Gregorio

Impaginazione rustbeltgarage@gmail.com

Emanuele Cordano cordano@bfcmedia.com Marketing Marco Bartolini bartolini@bfcmedia.com Stampa Elcograf spa Via Mondadori, 15 - 37131 Verona Distribuzione Italia e estero Press-Di Distribuzione stampa e multimedia srl Via Bianca di Savoia, 12 - 20122 Milano Gestione abbonamenti Direct Channel SpA - via Mondadori, 1 20090 Segrate (Milano) Tel. 02 7542 9001 abbonamenti.bfc@pressdi.it

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COME GIRA LA RUOTA

SMART LEADERSHIP

/ GIOVANNI IOZZIA */

L’ENERGIA DELLA MOBILITÀ DOLCE Visto che siamo già alla frutta, perché non passare subito al dolce? Gli effetti del cambiamento climatico sono ormai parte della nostra vita quotidiana e richiedono una convinta e decisa svolta verso scelte di maggiore responsabilità ambientale. Dopo quasi sei mesi di guerra in Europa, poi, la crisi del gas si fa sentire sui costi dell’energia e costringe a importanti risparmi. La sostenibilità è the new black, è il colore del momento, ma non può essere solo una moda se si vuole davvero tutelare il pianeta e garantire crescita e futuro. Dal momento che auto e trasporti sono tra le principali fonti di produzione di CO2, c’è molto da lavorare sulla mobilità sostenibile. Ancora meglio se dolce, come viene anche definita con un aggettivo che enfatizza gli ingredienti leggeri per muoversi: dai cavalli alle biciclette. Un manifesto ante litteram della mobilità dolce è certamente L’elogio della bicicletta di Ivan Illich. Il filosofo e antropologo scomparso nel 2022 lo scrisse durante la grande crisi petrolifera dell’inizio degli anni Settanta del secolo scorso per Le Monde, ma è da poco tornato in libreria su iniziativa di Bollati Boringhieri. “Le biciclette permettono di spostarsi più velocemente senza assorbire quantità significativa di spazio, energia e tempo scarseggianti”, si legge. “Si può impiegare meno tempo a chilometro e tuttavia percorrere più chilometri ogni anno. Si possono godere i vantaggi delle conquiste tecnologiche senza imporre indebite ipoteche sopra gli orari, l’energia e lo spazio altrui”. Illich ci ricorda che la bicicletta occupa poco spazio, spingendosi a immagini estreme: magari sappiamo che se ne possono parcheggiare 18 al posto di un’auto, ma avevate mai pensato che per portare 40mila persone al di là di un ponte in un’ora ci vogliono 12 corsie se si si usano le auto e solo due se invece si pedala? E c’è anche un importante tema di energia: “L’uomo in bicicletta può andare tre o quattro volte più veloce del pedone, consumando però un quinto dell’energia: per portare un grammo del proprio peso per un chilometro di strada piana brucia soltanto 0,15 calorie. La bicicletta è il perfetto traduttore per accordare l’energia metabolica dell’uomo all’impedenza della locomozione”. L’uomo, dunque, in bici è più efficiente di qualsiasi macchina. C’è qualcosa di dolce in questa diversa visione della mobilità, più rispettosa dell’ambiente, dell’energia e alla fine delle persone. Presto avremo anche un’idea di che cosa ciò significhi in Italia: Amodo (l’Alleanza per la mobilità dolce, appunto, che riunisce 29 associazioni) e Rete ferroviaria italiana (Rfi) del Gruppo Fs stanno lavorando al primo Atlante della mobilità dolce per mappare stazioni, percorsi ciclopedonali, parchi, borghi, beni storici, aree protette mettendo insieme informazioni digitali provenienti da diverse fonti. Anche la sostenibilità ha bisogno delle sue mappe. * Smart mobility editor di BIKE

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COME GIRA LA RUOTA

L’ESPERTO

/ COSIMO ACCOTO * /

SE ANCHE LA BICI DIVENTA AUTONOMA

Se si parla di guida autonoma, il primo pensiero va all’auto e ai suoi simili, non certo alla micro-mobilità dei veicoli a due ruote come le biciclette. Non è così al Media Lab del Mit, dove è stato lanciato un progetto ingegneristico sfidante in termini di sostenibilità: fare diventare la micro-mobilità delle biciclette ancor più efficiente e incentivante per la popolazione e la salute urbana. L’idea (e il prototipo in testing) del gruppo di ricercatori del laboratorio City Science è quella di costruire biciclette a guida autonoma. Si, proprio così. Autonomous Bicycles è il nome di questo progetto. Stiamo parlando di veicoli a due ruote (ma con l’estensione dinamica di una terza di servizio quando sono in sosta o in percorrenza autonoma) che abbiano la stabilità e l’autonomia necessarie per andare da sole in giro per la città. Naturalmente il progetto prevede l’automazione e l’autonomia di intere flotte di biciclette condivise in bike-sharing come servizio di mobilità su richiesta. Chiunque impiegando una piattaforma e una app potrà richiedere una corsa e la bicicletta autonoma più vicina raggiungerà il potenziale ciclista nel luogo in cui si trova. Una volta terminata la pedalata, la bicicletta ripartirà alla volta di un nuovo ciclista in attesa. Questa mobilità su due ruote on demand, smart e in modalità condivisa risulterebbe essere più sostenibile. Le simulazioni fatte (su 116 milioni di corse) dentro una sorta di città-metaverso (ma impiegando dati reali) hanno infatti messo in luce vantaggi, come la riduzione nel numero di veicoli: si stima una diminuzione da 3 a 8 volte il parco biciclette degli attuali sistemi non autonomi. Si ridurrebbe inoltre lo spazio necessario alle stazioni di attracco e si eliminerebbe la distanza da percorrere per trovare una bicicletta disponibile. Anche l’esperienza dell’utente, quindi, ne risulterebbe amplificata e incentivata. Con l’immaginazione, possiamo ulteriormente pensare a soluzioni non solo di ‘micro-mobilità’, ma anche di ‘meta-mobilità’. Nella realtà estesa del metaverso, ci saranno soluzioni di mobilità ciclistica sostenibile aumentata e virtualizzata come la guida parallela reale-virtuale (bici gemellate), l’allenamento ciclistico simulato (al chiuso o all’aperto), avatar e kit per biciclette virtuali (con commercio immersivo). L’era dei ‘metaveicoli nel metaverso’ è insomma solo agli inizi. E con essa una nuova era per la micro-mobilità, fatta di automazione, simulazione e condivisione. * Research affiliate e fellow al Mit di Boston, autore di: Il mondo dato (2017), Il mondo ex machina (2019), Il mondo in sintesi (2022)

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SUMMER

di

/ ROLANDO LIMA /

TUTTI A MISANO CON BIKE Ci sarà anche BIKE in qualità di media partner all'edizione 2022 dell'Italian bike festival a Misano Adriatico (Rn). In programma dal 9 all'11 settembre presso il Misano world circuit – l'autodromo dove corre la MotoGp –, il salone internazionale della bici nato nel 2018 verrà anticipato, giovedì 8 settembre, dagli Stati generali della bicicletta. Tante le novità, a partire dal novero di opportunità offerte dagli oltre 80mila metri quadri della superficie a disposizione degli espositori, passando per un intero villaggio dedicato al cicloturismo e arrivando fino ai momenti di svago, come quelli del rinnovato palinsesto di pedalate e competizioni ciclistiche de La Gialla Cycling. Tutti i dettagli sul sito Italianbikefestival.net.

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NOTIZIE E CURIOSITÀ

NOTIZIE E CURIOSITÀ DAL MONDO DELLA BICICLETTA E DELLA SMART MOBILITY

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SUMMER

ESPUGNATO IL BLOCKHAUS Il 29 maggio, tra le province di Chieti, Pescara e L’Aquila, è andata in scena la quinta edizione della Blockhaus Marathon, la granfondo con la salita che, due settimane prima, al Giro d’Italia, aveva visto trionfare Jay Hindley, poi maglia rosa al traguardo finale. Una storia iniziata nel Giro 1967 con il trionfo di un giovane Eddy Merckx, per la prima delle sue 24 vittorie di tappa, un mito alimentato negli anni con le imprese di Bitossi, Argentin, Basso e Quintana, vincitore

nel 2017. Anno in cui nasce la Blockhaus Marathon, organizzata dall’Extreme Team con Regione Abruzzo e il Parco Nazionale della Maiella, palcoscenico naturale della competizione. “Vogliamo creare un'offerta turistica di impatto per un territorio dal patrimonio ricchissimo”, ha dichiarato il presidente di Extreme Team, Carmine Marulli, ed il Blockhaus “è il miglior biglietto da visita per una gara in cui la fatica si trasforma in spettacolo”.

/Un passaggio della granfondo sul Passo San Leonardo/

L'ALTA BADIA STUZZICA L’APPETITO DEI BIKER Hanno riaperto i parchi Movimënt, nel cuore delle Dolomiti e dell'Alta Badia, con i loro trail Bike Beats: una rete di percorsi 'flow' in terra e sabbia battuta disegnati tra i pendii e i boschi di San Cassiano, La Villa e Corvara. Grazie a tratti in northshore (passerelle in legno), bumps e salti di varia difficoltà, il divertimento è assicurato. I trails si distinguono grazie ai loro nomi ladini, che ne descrivono i tratti caratterizzanti, come l'Ödli trail (occhi), il Cör trail (cuore), il trail Avëna (vene) e il Fle trail (termine che descrive il respiro profondo). Tra le novità il trail Mans (mani), di media difficoltà e molto divertente, lungo più di 2 chilometri, dal Piz Sorega a valle della seggiovia La Fraina. Da qui si può risalire alla cima sul versante di San Cassiano, oppure utilizzare la seggiovia 'Bamby' accanto, per ritrovarsi nel parco ˇ Movimënt a monte del Piz La Ila a La Villa. Il Cör Trail invece da questa estate ha una nuova Jump Line lunga 670 metri con salti per biker esperti di varie altezze e dimensioni. 20


NOTIZIE E CURIOSITÀ

LA VIA FRANCIGENA NON È SOLO A PIEDI La via Francigena è tra i cammini più celebri che attraversano l'Europa, fin dai tempi dei pellegrini diretti in Terrasanta. Riscoperta agli inizi del nuovo millennio, ricopre un ruolo importante nella promozione dei territori. Tradizionalmente percorsa a piedi o a cavallo, oggi le sue strade vedono le mountain bike tra i protagonisti, come nel tratto da Roma a Viterbo, che unisce la Basilica di San Pietro alle necropoli etrusche, lungo un percorso di 115 chilometri e 1.500 metri di dislivello, con la possibilità di viaggi organizzati come ha fatto Dmo La Francigena e le vie del gusto. Si può partire anche da Proceno alla volta di Bolsena, con visita al Castello, museo e acquario prima di fermarsi ad ammirare la bellezza del lago. Da Bolsena si affrontano alcuni tratti in salita sino a Montefiascone prima della discesa fino a Piazza San Lorenzo a Viterbo. Ripartendo alla volta di Roma, si moltiplicano le bellezze come le Torri D’Orlando e l’anfiteatro di Sutri, le cascate di Monte Gelato e, attraversando i comuni di Campagnano di Roma e Formello, si arriva nel parco regionale del Treja. Quindi, attraverso il Parco dell’Insugherata, a Roma.

DALLA FINLANDIA LA FOOTBIKE UN PO' BICI E UN PO' MONOPATTINO

/©Foto Atleticamente/

Appuntamento il 22 e 23 ottobre a Bibione (Ve) con il campionato nazionale di footbike. Promossa dalla Federazione italiana footbike (Fifb) insieme all'Associazione italiana cultura e sport (Aics), la rassegna prevede gare sprint (fino a 800 metri) e su media e lunga distanza (10 e 21 km), abbinate alla tappa finale di Eurocup, l’appuntamento continentale della disciplina. L'evento, volto a promuovere in Italia questa originale disciplina, segue la due giorni di fine maggio in cui c'erano stati il raduno degli atleti italiani, un corso per tecnici specialisti e la presentazione del progetto Autista Footbike, iniziativa sostenuta dalla Fifb in collaborazione con il Comune di San Michele al Tagliamento (Ve) e il Consorzio di promozione turistica Bibione live. La footbike, una sorta di anello mancante nella mobilità urbana, è nata a metà degli anni '90 in Finlandia e la sua finalità era essenzialmente sportiva: diventare un mezzo d’allenamento alternativo per gli atleti dello sci di fondo, dal quale deriva la spinta alternata con entrambe le gambe. Oggi questa strana bicicletta con ruote e freni ma senza pedali, sella, cambio e catena è diffusa un po’ il tutto il mondo. La federazione italiana esiste dal 2020.

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SUMMER

WES, A BOLOGNA FESTEGGIANO FRANCIA E SVIZZERA MA SUL PODIO DUE AZZURRI Si è chiusa con doppietta di Jerome Gilloux la tappa del Wes a Bologna Montana presentata da Raspini. Il francese del team Lapierre ha chiuso gara 2 davanti allo svizzero Loic Noel e al connazionale Theo Charmes. Martino Fruet (Lapierre Trentino) il primo degli italiani, sesto al traguardo. Tra le donne è stata la compagna di team di Gilloux, Justine Tonso, a conquistare gara 2, staccando Nathalie Schneitter e Sofia Wiedenroth, con le italiane Anna Oberparleiter, Camilla Martinet e Ania Bocchini rispettivamente quarta, quinta e sesta al traguardo. Gara 1 invece aveva sorriso di più gli azzurri. A vincere tra le donne l’elvetica della Trek Nicole Goldi davanti a Sofia Wiedenroth (Specialized) con Oberparleiter (Rh Racing Kronplatzking) a chiudere il podio e Bocchini quinta. Podio tra gli uomini per Fruet che ha chiuso alle spalle dell’imbattibile Gilloux e di Joris Ryf (Bergstrom). Decimo Nadir Venturi. /Il podio di gara 1 con, da sinistra, Rys, Gilloux e Fruet/

ITALIANA LA PRIMA VINCITRICE NELLA FORMULA 1 DEGLI E-SCOOTER Prima di correre con le moto andava a cavallo Sara Cabrini, la prima donna al mondo a vincere una gara di Skooter Championship. Classe 1997 e pilota per l'Helbiz Racing Team nell'esordiente mondiale riservato ai monopattini elettrici, la centaura toscana, che in pista si ispira alla tenacia di Valentino Rossi e alla capacità di adattarsi di Marc Marquez, ha trionfato nella cittadina svizzera di Sion, seconda tappa della stagione

Esc, dopo il debutto a Londra. Il calendario prosegue, dopo la tappa francese di metà giugno, con l’Italia a luglio e a settembre si adrà in Spagna. Poi il gran finale, ad ottobre, quando la 'Formula 1' dei monopattini elettrici – dove è presente con un suo team anche l’ex ciclista professionista irlandese Nicolas Roche – raggiungerà gli Stati Uniti.

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NOTIZIE E CURIOSITÀ

Un’industria che produce il mezzo ecologico per eccellenza può permettersi di produrre ogni anno oltre 79 milioni di tonnellate i rifiuti da imballaggio (dato 2019 in Unione europea) con il conseguente impatto negativo sull’ambiente? Ovviamente no, così Confederation of the european bicycle industry (Conebi) e Cycling industries europe (Cie) hanno dichiarato guerra alla plastica per essere in prima linea sulla via della sostenibilità. Sessanta aziende hanno firmato un impegno per ridurre l’uso della plastica in tutta la filiera, dagli imballaggi delle bici e degli accessori quando vengono spediti fino alla produzione in fabbrica. Il patto per la sostenibilità dell’industria ciclistica prevede che entro il 2025 venga eliminata la plastica da tutti gli imballaggi, rendendoli riciclabili e riutilizzabili, coinvolgendo tutti i partner della catena di approvvigionamento ma anche i consumatori. Il punto sullo stato di avanzamento si farà all’interno del forum sulla sostenibilità creato da Conebi e Cie.

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ALLEANZA CONTRO LA PLASTICA

Quando a settembre l'Italian Bike Festival aprirà i battenti di un rinnovato format che da Rimini si sposta nell'autodromo di Misano, gli organizzatori avranno già potuto fare tesoro dell'edizione 2022 dell'Eurobike, la più grande piattaforma mondiale dedicata alla bicicletta e alla mobilità sostenibile. L'evento, quest'anno in programma dal 13 al 17 luglio sempre a Francoforte in Germania, unisce alla dimensione fieristica quella delle conferenze, del festival, delle esibizioni (grande spazio alla Bmx) e delle social ride. 'Ciao' la parola che ha dominato il palinsesto, fin dal titolo ('Hello Future') quasi a dare il benvenuto alla mobilità del futuro. Centrale la tematica della rivoluzione di un business che, sotto la spinta di innovazione un tempo forse nemmeno immaginabili, come le cargo bike o il boom della pedalata assistita, sta veramente cambiando. E meno male che, anche in Italia, ce si sta rendendo conto sempre di più.

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/©Foto Shutterstock/

BENVENUTO FUTURO


SUMMER

LA CITTÀ SOSTENIBILE È REALTÀ A FUJISAWA Nelle città del futuro ci muoveremo in bici e su veicoli elettrici. In Giappone lo stanno già sperimentando in un mini-modello di smart city, sostenibile e a misura d’uomo, in un quartiere di Fujisawa, nella prefettura di Kanagawa, a circa 50 chilometri da Tokio. Fujisawa Sst (acronimo di Sustainable smart town), costruita da un consorzio di aziende guidato da Panasonic, copre un’area di 19 ettari con circa mille case e poco più di 400mila abitanti ed è un laboratorio a cielo aperto per tutte le tecnologie che dovranno rendere le nostre città più pulite, funzionali e quindi più semplici da vivere: dalle consegne a domicilio con i robot ai sistemi digitali di sorveglianza, dal monitoraggio dei consumi energetici fino alla mobilità con mezzi a basso impatto ambientale. Ma non ci sono solo le tecnologie. A Fujisawa viene dedicata grande attenzione al fattore umano e alle scelte degli abitanti. Per ridurre i livelli di CO2, infatti, sono previsti premi per i comportamenti più meritevoli e tra questi al primo posto c’è l’uso della bici, seguito dalla condivisione delle auto elettriche. Anche nelle città più tecnologiche le due ruote, quindi, non si fermeranno mai e saranno sempre strumento di benessere individuale e sociale.

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Il frutto della nostra terra. Friulano - Collio Doc

Capriva del Friuli (GO) - www.schiopetto.it



COVER STORY

COVER story CAMPIONI E PROTAGONISTI DELLA NUOVA MOBILITÀ

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SUMMER

di

/ MATTEO RIGAMONTI /

UN GIALLO DI SUCCESSO SANTINI FIRMA LA MAGLIA SIMBOLO DEL PRIMATO AL TOUR DE FRANCE. UN ACCORDO QUINQUENNALE FRUTTO DI UNA STORIA CHE LEGA ARTIGIANALITÀ MADE IN ITALY, INNOVAZIONE E AMORE PER IL CICLISMO

"Un'ambizione e un sogno" divenuti realtà. Sono le parole con cui il cavalier Pietro Santini, ha commentato l'annuncio della partnership quinquennale con gli organizzatori del Tour de France, accordo che porterà il maglificio da lui fondato a firmare, a partire dall'edizione di quest’anno, la maglia gialla, simbolo del primato nella Grande Boucle. Siglare questo accordo "è stata per noi un'emozione forte", gli ha fatto eco la figlia Monica, che è l'amministratore delegato di Santini cycling wear, entusiasta nell'annunciare quello che, in fondo, forse è un po' anche un regalo che fa a papà, oltre che a sé stessa, all'azienda e, probabilmente, a un Paese intero, visto e considerando il prestigio e la visibilità che ruotano intorno al Tour. Quasi un omaggio alla carriera imprenditoriale del padre, dal 1965 icona dell’artiginalità ciclistica Made in

Italy, esempio vivo di una storia che ha saputo fare di tante botteghe sotto casa brand dal respiro universale. La partnership di Santini con la più importante corsa del calendario ciclistico internazionale, è il proseguimento di un rapporto, quello con gli organizzatori di Amaury sport organization, cominciato con la sponsorizzazione della Vuelta, seguita poi dal Deutschland Tour. Oltre alle maglie dei leader (edizione femminile della Grande Boucle compresa), Santini confezionerà le repliche ufficiali in vendita per il pubblico, così come tanti altri prodotti a partire dalle maglie che gli amatori indosseranno durante la manifestazione L'Étape du Tour. Senza dimenticare che l'accordo abbraccia tutte le corse organizzate da Aso, non ultima la Parigi-Roubaix.

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COVER STORY

/Monica (a sinistra) e Paola (a destra) Santini, rispettivamente ad e responsabile marketing di Santini cycling wear, con la maglia gialla del Tour/

“IL SEGRETO PER CONTINUARE A ESSERE COMPETITIVI È RIMANERE COLLEGATI ALLE PROPRIE RADICI SENZA PERDERE LA VOGLIA DI INTERCETTARE LE NOVITÀ” MONICA SANTINI

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SUMMER

La notizia, storica, della conquista della maglia gialla è giunta in un momento altrettanto storico per Santini che, a dicembre, ha traslocato la produzione da Lallio, dove tutto è cominciato, al nuovo quartier generale a Bergamo, dove si sposteranno quest'anno anche il resto degli uffici, museo e showroom compresi. Una nuova sede che, ha ricordato la sorella Paola, responsabile area marketing, "avrà una superficie tripla" rispetto a prima, un approdo verso il quale "ci hanno guidato anche i valori aziendali, come la volontà di avere una struttura dal forte connotato green, sia come spazi verdi che come costo energetico". La destinazione individuata sorge in via Zanica, "all'interno del perimetro comunale della città di Bergamo, di cui vogliamo continuare a essere un punto di riferimento nel nostro settore". Intervistata da Luca Gregorio per Le Storie di BIKE (cinquantatreesima puntata, potete rivederla su Bikechannel.it) l'ad di Santini Cycling Wear ha voluto sottolineare come tutto questo non sarebbe letteralmente stato possibile senza "la bellissima passione e l'attaccamento dei nostri dipendenti", la medesima che si respirava in casa Santini innanzitutto verso il ciclismo come sport, e "che ancora oggi fa funzionare tante cose, anche contro ogni logica, come dimostra il fatto di essere riusciti a traslocare la produzione durante le due settimane di vacanza a Natale". La sfida per Santini è "proseguire nell'evoluzione di prodotti e processi, in un mercato che è in continuo progresso", osserva Monica Santini, e lo conferma il fatto che, "negli ultimi vent'anni, abbiamo già attraversato cambiamenti incredibili". Sembra sia passato un secolo dalla lycra degli anni '60 e dal nylon dei primi anni '80, se si guarda al grado di innovazione contenuto in prodotti all’avanguardia per ricerca e sviluppo. Proprio come nel caso della maglia gialla – rigorsamente Made in Italy e 100% riciclata – che quest'anno ha le maniche a forma di Arc de Triomphe: una solu-

zione che evita l’arricciamento del tessuto verso le spalle, presente anche nella versione replica. Il segreto per "continuare a essere competitivi", afferma l'ad del maglificio, è "rimanere collegati alle proprie radici senza perdere la voglia di innovare". Ed è anche così che si spiega la scelta di mantere interna la produzione, accogliendo, al fianco di figure storiche dell'azienda, qualche nuovo elemento che possa portare un contributo proprio in termini di innovazione". E poi saper cogliere le opportunità offerte da un mercato in crescita, come testimonia, per esempio, il vero e proprio boom del ciclismo femminile. Non è un caso che, tra i pochi nomi di ciclisti che hanno contribuìto allo sviluppo di Santini, Monica, che non vorrebbe dimenticare nessuno, si limita a fare quello di una donna che corre tra i pro: Lizzie Deignan. Alla ciclista britannica è stata dedicata una linea di abbigliamento tecnico, ma non è che una tra le molteplici iniziative, intraprese in tempi recenti da Santini, che, oltre ad aver vestito icone come Felice Gimondi e Marco Pantani e aver firmato per quasi un quarto di secolo la maglia rosa del Giro, ha avviato collaborazioni con team, federazioni e atleti. Basti ricordare, per esempio, in tempi recenti, le partnership (e relative forniture) con realtà che spaziano dalla maglia iridata dei Mondiali alla Champions League su pista dell'Uci, dalle tante nazionali alla Federazione italiana di triathlon e ancora segmenti nati in tempi più recenti come l'Ironman e tutto il mondo gravel. “Mai come in questo momento il ciclismo ha avuto così tanto seguito, di spettatori e utilizzatori finali”, conclude Santini nell’intervista a Bike Channel, convinta che, “è solo l’inizio di una tendenza che continuerà a crescere”. Santini c’è e vorrà continuare ad essere della partita. Non solo al Tour.

“UN'AMBIZIONE E UN SOGNO DIVENUTI REALTÀ” PIETRO SANTINI

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Paolo Ciaberta/

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Paolo Ciaberta/

/Il cavalier Pietro Rosino Santini con la figlia Monica/

/La qualità delle maglie Santini è frutto di un prezioso lavoro di squadra/

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canale 222


FOCUS

LENTE D’INGRANDIMENTO SU BICI E DINTORNI

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SUMMER

di

/ ROLANDO LIMA /

EMOZIONI SUL

MURO COSÌ BIKE CHANNEL HA RACCONTATO, IN DIRETTA PER OLTRE TRE ORE, IL PASSAGGIO DEL GIRO D’ITALIA A CA’ DEL POGGIO: UN MOMENTO DA RICORDARE PER TUTTI GLI APPASSIONATI DI CICLISMO Ventimila appassionati hanno seguito il Giro d’Italia sul Muro di Ca’ del Poggio a San Pietro di Feletto (Tv). Questa la stima degli organizzatori per il sesto passaggio, dal 2009 a oggi, della Corsa Rosa sulla cima dello strappo simbolo delle Colline del Prosecco, che misura poco più di un kilometro di strada asfaltata, con pendenza media del 15% e punte del 19%). Oltre alle consuete dirette televisive della competizione, la 18esima tappa dell’edizione 105 del Giro ha potuto godere di una copertura d’eccezione: la diretta di oltre tre ore su Bike Channel con ‘Quelli del Muro’, un’operazione promossa da BIKE e Ca’ del Poggio sotto la regia di Nazareno Balani che, insieme ai ‘padroni di casa’, i fratelli Marco e Alberto Stocco, ha avuto l’idea. I fratelli Stocco, come già vi abbiamo raccontato su BIKE hanno ereditato da papà Fortunato e mamma Maria Stella il Ristorante Ca’ del Poggio, “dove il Prosecco incontra il mare”, come recita il claim di quest’oasi a conduzione familiare a fianco della quale una decina di anni fa è stato costruito, con vista sulle montagne bellunesi, l’hotel-resort con spa Villa del Poggio. Una realtà che ha saputo ritagliarsi un posto tra le eccellenze dell’ospitalità Made in Italy e accreditarsi quale meta nel circuito del grande ciclismo gemellandosi con il Muro di Grammont (quello percorso dal Giro delle Fiandre) e il Mur de Bretagne (dove invece passa il Tour de France).

Con Eleonora Bottecchia in studio e Paolo Mutton a seguire i collegamenti dalle rampe del Muro sono intervenuti, tra i tanti ospiti, partner dell’iniziativa e voci dal pubblico, con il direttore editoriale di BIKE Marino Bartoletti e Valerio Gallorini, direttore di Bike Channel, a lungo presenti in studio. “Una festa per tutte le persone che sono qui”, ha detto Bartoletti, in un luogo dove si tocca con mano la “bellezza insostituibile del ciclismo”. Presenti anche, tra le istituzioni, Maria Assunta Rizzo, sindaco di San Pietro di Feletto, e il commissario Uci Celeste Granziera. Il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, ha partecipato a uno show cooking di Stefano Serafini, campione di Tiramisù. Per la cronaca, a vincere la 18esima tappa dell'edizione 2022 del Giro, quella all'interno della quale era inserito il passaggio sul Muro di Ca' del Poggio (la Borgo Valsugana-Treviso) è stato l'atleta belga in forza alla Alpecin, Dries De Bondt, che ha regolato sul traguardo il nostro Edoardo Affini (Jumbo), mentre terzo è giunto il belga della Ef, Magnus Cort Nielsen, staccato di oltre un minuto. Richard Carapaz ha conservato la maglia rosa su Jay Hindley che, però, gliela avrebbe poi strappata sulla Marmolada per portarla fino al traguardo di Verona. ‘Quelli del Muro’ può essere rivisto su Bikechannel.it all’interno della sezione Programmi-BIKE Eventi.

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FOCUS

/Il passaggio del gruppo sul Muro di Ca’ del Poggio/

/Alberto Stocco con Marino Bartoletti/

/Un momento della diretta di 'Quelli del Muro' con ospiti, da sinistra: il direttore di Bike Channel Valerio Gallorini, Alberto Stocco di Ca' del Poggio e Marino Bartoletti, direttore editoriale di BIKE. A condurre Eleonora Bottecchia/

/Il presidente di Regione Veneto, Luca Zaia, partecipa allo show cooking del campione di tiramisù Stefano Serafini/

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/ GIANCARLO BROCCI * /

MOLTO PIÙ D’UNA BORRACCIA AL TOUR DEL ’52 BARTALI CEDETTE A COPPI, CHE AVEVA FORATO, LA SUA RUOTA, IN UN MOMENTO CRUCIALE DELLA CORSA. NON ERA GREGARIO QUEL GIORNO, MA SI RESE COMUNQUE PROTAGONISTA DI UN GESTO CHE, FORSE, ECCEDE PER GRANDEZZA LA CONDIVISIONE DELL’ACQUA NELLA CELEBRE FOTO SCATTATA SUL COL DU GALIBIER Gli ho dedicato un paio di libri, lo credo in modo assoluto e sono in buona compagnia: Gino Bartali era nato per il Tour de France. Uomo di ferro, tetragono alla fatica e a ogni condizione climatica estrema, mai in crisi vera, sempre pronto a rialzarsi dopo ogni accidente, il campione fiorentino, prima di tutto grande scalatore, è stato quello con testa e doti più giuste per affrontare il torrido luglio francese, le terribili condizioni cui la Grande Boucle ha sempre costretto, fin da subito, i suoi Geants de la Route. Già al suo primo approdo, 1937, dopo la seconda vittoria al Giro, Bartali domina sulle Alpi, si veste di giallo con largo margine finchè non è spinto nel torrente Colau dalla caduta di un suo compagno di nazionale, Jules Rossi, italiano di Francia. Perde la maglia, si prende un malanno, recupera, forse potrebbe ancora vincere ma il regime non può rischiare sconfitta e lo richiama in Italia; tornerà l'anno dopo per vincere. I dieci anni che passano da quel grande successo al suo secondo exploit, 1948 a 34 anni, sono quelli delle sanzioni e della guerra, i migliori dell'età agonistica per Gino. Dice Goddet, patron, lo riprende Gianni Mura, un concetto semplice: quei nove Tour in mezzo Bartali li avrebbe potuti vincere tutti, di certo sarebbe partito sempre da favorito; sette non si dispu-

tarono, in due non potè andare, quelli del '39 e del '47. Nel 1949 sappiamo bene, noi del duello infinito tra Bartali e Coppi, come Bartali arrivò secondo dietro il grande rivale potendo ben vincere, nel 1950 la Nazionale italiana tutta venne a casa dopo i fatti dell'Aspin con Magni in giallo e Bartali che aveva appena vinto a Saint Gaudens ed era sesto in classifica, mai così vicino alla vetta e con le Alpi da affrontare. Ma il focus di questo articolo riguarda il Tour del 1952, settanta anni fa, una corsa che Fausto Coppi domina e che fa titolare a L'Equipe "Hors concours" (in italiano "Fuori concorso") per un Campionissimo che non ha alla partenza per motivi diversi i tre possibili rivali Koblet, Kubler e Bobet e che gode di una condizione fantastica. È il Coppi più grande di sempre, domina la prima crono e in ogni montagna, compresi i tre arrivi in salita con la prima volta dell'Alpe d'Huez. La direzione del Tour raddoppia il premio per il secondo a Parigi, giusto per rendere un senso alla corsa dietro. Quel premio andrà al belga Stan Ockers, quasi mezz'ora di ritardo, ma il podio lo sfiora anche un certo Gino Bartali trentottenne, 47" dietro allo spagnolo Ruiz. Gino è coinvolto in una caduta, ha una spalla lussata ma non molla.

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Quello del ’52 è il Tour dello scambio della borraccia, poco prima che Coppi se ne vada sul Galibier per trionfare al Sestriere. Ma il giorno dopo, ben più importante della borraccia, succede una cosa che è un peccato venga quasi ignorata da noi. La tappa va da Sestriere a Monaco, in Costa Azzurra i francesi battagliano, c'è un lungo tratto di strada in rifacimento e davanti, nel gruppo dei migliori con Coppi in giallo, restano solo Magni e Bartali. Come sappiamo si corre per squadre nazionali, ma il racconto lo lascio proseguire all’allora ct Alfredo Binda. Ecco cosa disse a Guido Vergani: "Davanti in fuga l'olandese Nolten, un cavallone biondo di grandissima razza. Sono nel gippone, un po' lontano. I tre non hanno gregari attorno. Penso che, se forasse Coppi, sarebbe Magni a passargli la ruota. E mi metto tranquillo. Non era nei patti che Gino si trasformasse in gregario, non gli avevo chiesto di sacrificarsi per Coppi, come avrei potuto? Si sale in un terribile parapiglia di auto, di moto, di ammiraglie, D'immprovviso vedo Magni appiedato. Ha ceduto la ruota a Fausto. E adesso, se Coppi fora di nuovo? Superiamo il tunnel del Castillon. Comincia la discesa su Mentone. Dopo cento metri ecco che Fausto rallenta. Gli si è afflosciato il tubolare. Bartali scende di bicicletta, sgancia la propria ruota e la da a Coppi. Non credevo ai miei occhi. Quel gesto non l'ho mai dimenticato. Altro che passaggio della borraccia... è successo mille volte al Tour che uno desse da bere all'altro. Ma cedere la ruota! Bartali era libero di non farlo, l'ha fatto". * Ideatore di Eroica e conduttore per Bike Channel dell’omonimo programma tv

/Il gesto di Bartali che passa la sua ruota a Coppi, fermato da una foratura, raccontato dalle cronache sportive francesi dell’epoca e ripubblicate sul libro dedicato da L'Equipe al Tour de France/

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SUMMER

di

/ MARCO PASQUINI */

GRAZIE ZIO

/©Foto

Archivio fotografico Carlo Delfino/

A ETTORE BALMA MION SUO NIPOTE FRANCO BALMAMION, L'ULTIMO ITALIANO A VINCERE PER DUE VOLTE DI FILA IL GIRO (NEL '62 E NEL '63), DEVE MOLTISSIMO: GLI RACCOMANDAVA SEMPRE CATTIVERIA PERCHÉ, DICEVA, IL CICLISMO È ISTINTO DI CONSERVAZIONE E SPIRITO DI SOPRAVVIVENZA

/Il giovane Ettore Balma Mion in due foto d'epoca; in alto a destra in maglia Frejus/

/Il numero 55 di Biciclette d’Epoca con in copertina Franco Balmamion/

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La storia di copertina del numero di maggio di Biciclette d’Epoca, bimestrale edito da Sprea Editori, è dedicata a Franco Balmamion, ultimo italiano ad aver vinto due Giri d’Italia consecutivamente (1962 e 1963). Tra le righe dell’intervista emerge, però, con forza la figura dello zio Ettore. È lui, infatti, che ha fatto scoprire al nipote il ciclismo, oltre ad averlo aiutato e introdotto alla Fiat. Ma chi era Ettore Balma Mion (rigorosamente scritto staccato)? Era considerato un ottimo scalatore, come riporta Carlin Bergoglio nella sua Storia segreta dei Giri d'Italia: “Così ricorderò Balma Mion, detto il Magninot, l'irriducibile stagnaro canavesano che, conscio di essere fra gli arrampicatori in B (Binda, Brunero, Bottecchia, Bartali) dava battaglia a tutti in salita, specie agli assi che volessero addomesticarlo, gridando la fatidica frase ‘Coursa l'è coursa!’». Balma Mion era stato corridore tra il ‘29 ed il ‘33. Vinse il Giro del Sestriere nel ‘30 e la Coppa Catene Regina nel ‘32. Fu quinto al Giro d'Italia del 1931, proprio nell’edizione della prima maglia rosa (di cui Biciclette d’Epoca ha scritto nel numero di giugno 2021). Quel Giro che alla vigilia attendeva il grande duello tra Binda e Guerra e che risultò invece un confronto tutto piemontese. Ricorda Marco Pastonesi: “Giro d’Italia del 1931. Primo Francesco Camusso, piemontese di Cumiana. Secondo Luigi Giacobbe, piemontese di Bosco Marengo. Terzo Luigi Marchisio, piemontese di Castelnuovo Don Bosco. Quarto Aristide Cavallini, lombardo – l’unico fra i primi cinque – di Corvino San Quirico. Ma il ciclismo è piemontese, allora, tant’è vero che piemontese è anche il quinto (ma secondo, dietro a Cavallini, nella categoria degli isolati). Ettore Balma Mion, di Nole, nel Basso Canavese, a 25 chilometri da Torino. Balma Mion: due cognomi, staccati. Detto Magninot, in dialetto piemontese calderaio, stagnino: nel senso del rame. Un duro. Perché il ciclismo è istinto di

conservazione, spirito di sopravvivenza, forse anche ricordi di guerra. E lo zio Ettore, al nipotino Franco, raccomanda soprattutto cattiveria”. È lui che instrada il ragazzo al ciclismo, che lo consiglia, nonostante le resistenze della madre, rimasta vedova troppo presto. Il ciclismo come una vocazione di famiglia. Oltre a Ettore anche il fratello Francesco, e lo stesso papà di Franco, avevano corso in bicicletta. Per il giovane la strada era già tracciata nella culla. Dalle parole di Franco si capisce come lo zio fosse stimato e ben voluto oltre che, per lui, un secondo padre. È sempre Ettore che lo porta da Pinella De Grandi, direttore sportivo della Bianchi (ed ex-meccanico di Coppi), per farlo passare professionista nella squadra biancoceleste. De Grandi era stato compagno e avversario di Ettore, poi suo meccanico alla Frejus negli Anni ‘30 quando, giovanissimo, aveva smesso di correre. Franco aveva vinto corse da dilettante che lo avrebbero potuto far approdare alla San Pellegrino di Bartali, ma la scelta cadde sulla Bianchi proprio su suggerimento dello zio. Rresta da chiarire la questione del cognome. Se Ettore faceva Balma Mion, perché Franco farà la sua fortuna ciclistica con il cognome unito? Semplicemente perché qualcuno suggerì al ragazzo che il cognome combinato fosse più semplice da ricordare e da scrivere, passando così alla storia. * Oltre a curare il blog Inbarbaallebici.wordpress.com, collabora con la rivista Biciclette d’Epoca e, nell’ambito dell’omonimo format tv su Bike Channel interviene con approfondimenti e curiosità

DETTO MAGNINOT, ERA FRA GLI ‘ARRAMPICATORI IN B’: BINDA, BRUNERO, BOTTECCHIA E BARTALI. DAVA BATTAGLIA A TUTTI AL CELEBRE GRIDO DI ‘COURSA L'È COURSA!’

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/ PIETRO PISANESCHI /

UN GAP CHE NON SI SCORDA SONO PASSATI ORMAI CINQUANT’ANNI DAL BRUCIANTE SECONDO POSTO DI FRANCO BITOSSI AI MONDIALI FRANCESI DEL ’72. BATTUTO IN RIMONTA DAL COMPAGNO DI NAZIONALE MARINO BASSO, CUORE MATTO È AMATO ANCORA OGGI DAI TANTI CHE SOFFRIRONO CON LUI

/Franco Bitossi in maglia di campione italiano/

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FOCUS

Gap ‘72. Può sembrare la marca di un liquore o di un paio di jeans dei tempi che furono, in realtà è un luogo e un anno. Gap, città della Provenza a un centinaio di chilometri dall’Italia. 1972, un anno importante per lo sport e non solo. Ci sono le Olimpiadi di Monaco, con l’attacco alla palazzina degli israeliani, Enrico Berlinguer è eletto segretario del Pci e Pietro Mennea è l’uomo più veloce d’Europa. Ma uniti, quel luogo e quell’anno, formano un evento: il Mondiale di ciclismo su strada. Una giornata particolare in un anno particolare. A cinquant’anni di distanza, il Mondiale di Gap 72 spezza e divide ancora il pane della polemica tra gli appassionati e continua ad affascinare chi non l’ha vissuto e l’ha sentito solo raccontare. Una storia mitica. A Gap, quel 6 agosto 1972, sotto un caldo torrido, in un circuito di poco più di 15 chilometri da ripetere 18 volte, con una salita poco impegnativa come picco massimo dell’attrazione televisiva, si consumò un evento sportivamente drammatico. C’è un uomo in fuga, ha la maglia azzurra e viene da Carmignano, provincia di Prato. Si chiama Franco Bitossi, gran corridore che esalta per le sue vittorie in salita e in volata (in carriera ha vinto 145 volte) e sta per aggiudicarsi il Mondiale. Ma verrà ricordato per una sconfitta. Lo chiamano Cuore Matto perché a causa della tachicardia è spesso costretto a fermarsi in corsa per far rallentare i battiti. Anche per questo suscita simpatia e ha tanti tifosi. Mancano 250 metri al traguardo. Bitossi vede la riga bianca dell’arrivo ma continua a voltarsi. È al limite, da dietro rinvengono gli inseguitori: il francese Guimard, che vuole vincere il mondiale di casa, Eddy Merckx, che fa corsa da solo perché i compagni di squadra del Belgio hanno deciso di non aiutarlo, e altri ottimi corridori. Soprattutto c’è Marino Basso, suo compagno di squadra. Cuore Matto sente la catena troppo leggera e mette il ‘rapportone’. È vicinissimo. Adriano De Zan, che commenta la corsa per la Rai, perde il consueto aplomb caldeggiato dalla tv di stato. “Forza Franco!” urla nel microfono, ma Bitossi non sembra farcela. Gli inseguitori arrivano, implacabili, e Basso, eccelso velocista, lo brucia negli ultimi

/Basso taglia il traguardo di Gap davanti a Bitossi/

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20 metri. Primo Basso, secondo Bitossi, terzo Guimard. Il sudore lascia spazio alle lacrime. Si apre il dibattito. Tifosi di Bitossi: “Basso gli ha rubato la vittoria”; oppure: “Perché continuava a voltarsi?”. Tifosi di Basso: “Non avesse cambiato rapporto avrebbe vinto”; oppure: “Non ce la faceva più, se Marino non fosse scattato l’Italia avrebbe perso il Mondiale”. Una risposta univoca forse non c’è. E il mito di quella giornata resta così vivo proprio per questo. Ferragosto 2013. A Lido di Camaiore (Lu) c’è il traguardo della corsa per dilettanti Firenze-Viareggio. Tanta gente aspetta l’arrivo e tanti automobilisti hanno lo sguardo inviperito per il traffico bloccato. Sul palco lo speaker brandisce il microfono: “Un saluto a chi premierà il vincitore di oggi. È con noi Franco Bitossi”. Applausi distratti dalla strada ma un signore in canottiera e RayBan a goccia è più entusiasta degli altri. Al nome di Bitossi si esalta e scuote le transenne come un invasato. “Franco mio, dove sei? Eccolo! Franco!”, urla con la voce arrochita dalle multifilter che fuma una dietro l’altra. Bittossi saluta il pubblico e si accomoda sul palco. Il tifoso torna in sé e si asciuga il sudore. “In vita mia ho pianto due volte: quando è morta mia madre e quando Bitossi ha perso il mondiale”. No, Gap ‘72 non è stata una giornata come le altre.

IL RICORDO DI UN TIFOSO: “IN VITA MIA HO PIANTO SOLTANTO DUE VOLTE. ALLA MORTE DI MIA MADRE E QUANDO BITOSSI PERSE IL MONDIALE”


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di

/ GIACOMO SPOTTI /

DOWNHILL,

IL FUTURO È QUA SEMPRE PIÙ GIOVANI SONO ATTRATTI DALLA ‘F1’ DELLE BICICLETTE, LA CUI STAGIONE AGONISTICA ENTRA NEL VIVO. IL RACCONTO SU BIKE CHANNEL GRAZIE AL FORMAT REALIZZATO DA SPORT INSIDE

/Il downhill è adrenalina e spettacolo/

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FOCUS

Ci avviciniamo a grandi passi al clou della stagione 2022 del downhill, una delle discipline più adrenaliniche nel mondo dei pedali, seguita da un numero sempre crescente di appassionati. Rider che si tuffano giù ‘a tutta’ da impervie discese lunghe poco più di una manciata di chilometri sfiorando i 70 orari su mountain bike opportunamente modificate, tanto da essere considerate le ‘Formula 1’ delle biciclette: si testano qui telai, forcelle, ammortizzatori e freni utilizzati nella grande distribuzione. Tra luglio e settembre sarà il momento più vivo anche dell’annata organizzata dai ragazzi di Downhill Italia (l’associazione Sport inside) e si preannunciano numeri sbalorditivi perché l’antipasto della prima prova di Coppa Italia a cavallo tra aprile e maggio a Sestola, e il secondo round a Prali corso in giugno, hanno già dato indicazioni rassicuranti agli organizzatori. “Siamo felicissimi per come è iniziata la stagione”, spiega Riccardo Tagliabue, responsabile organizzativo delle gare: “il dato che ci fa più piacere è senz’altro legato al record di presenze di giovanissimi nella prova di Coppa Italia a Sestola. Lì avevamo i migliori team in circolazione e c’era anche Simone Fabbri, ct della Nazionale”. La vittoria è andata al favoritissimo Davide Palazzari (After Skull) che, prosegue Tagliabue, “è il numero uno italiano. Tuttavia, ripeto, l’aspetto più sorprendente è stata la partecipazione in massa dei giovani, parliamo delle categorie Esordienti e Allievi, tutti ragazzi al massimo di sedici anni. Ne avevamo

più di ottanta e Fabbri ha avuto parole di grande soddisfazione". A questo, poi, si aggiunge anche il primo Camp Estivo proprio per i giovani che è partito in giugno al park di Borno, una quattro giorni a tutto downhill dedicata soprattutto ai più piccoli e dove tutti hanno potuto provare la pista. “Abbiamo seminato bene e ora stiamo raccogliendo i frutti”, ha detto il commissario tecnico azzurro Fabbri ma, più in generale, a essere molto positivo è il dato complessivo delle iscrizioni che evidenzia come sia in crescita tutto il comparto di questa disciplina. “I partecipanti erano oltre 300 e il numero conferma lo zoccolo duro. Non era facile staccare questi iscritti dopo due anni di pandemia e ora entriamo nella parte clou della nostra stagione dove avremo in gara i migliori del panorama nazionale e anche qui ci aspettiamo di crescere”, conclude Tagliabue. Il programma del downhill, poi, non è fatto di solo sport, ma è ricco di eventi ed è in grado di generare occasioni di sviluppo nei territori in cui si corre, tant’è che sono sempre di più le località che in estate allestiscono percorsi sulle piste da sci. Il 23-24 luglio ci sarà a Sestriere il Campionato Italiano, poco prima, il 9-10 luglio si correrà a Borno mentre il gran finale della Coppa Italia è in calendario il 17 e 18 settembre a Pian del Poggio, con tutti gli approfondimenti delle gare, come sempre, in onda su Bike Channel grazie alla partnership con Downhill Italia.

IL CAMPIONATO ITALIANO, VA IN SCENA A SESTRIERE A FINE LUGLIO. A SETTEMBRE GRAN FINALE DI COPPA ITALIA A PIAN DEL POGGIO. IN GARA I MIGLIORI ATLETI DEL PANORAMA NAZIONALE E A FARE IL TIFO I GIOVANI CHE SOGNANO DI REPLICARNE LE GESTA 43


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/ ENRICO SALVI /

CAMPIONI GLOCAL LA COPPA DEL MONDO UCI DI MTB ELIMINATOR SPEGNE DIECI CANDELINE: FENOMENO SPORTIVO DAL RESPIRO SEMPRE PIÙ INTERNAZIONALE E IN CRESCITA, PIACE A CITTÀ E PAESI OSPITANTI PERCHÉ SOSTENIBILE E ATTENTO ALLE COMUNITÀ È entrata nel vivo la stagione 2022 di World cup mtb eliminator, la disciplina Uci rivolta alle gare di mountain bike su percorsi urbani e strutturate con qualificazioni, batterie, semifinali e finali. Un format che nel 2022 festeggia il suo primo decennale e che, nonostante il periodo post-pandemico, è in rapida crescita: sia di attenzione da parte di partner e Paesi ospitanti, sia da parte del pubblico. Che Mtb eliminator sia in espansione è un dato di fatto, basta vedere il calendario: tra prove individuali, National series e Mondiali, la stagione è la più lunga di sempre. Sono dieci i Paesi coinvolti anche oltre l’Europa, con sconfinamenti in Asia – prima volta per India e Indonesia – e Medio Oriente, con Abu Dhabi che ha ospitato la prova inaugurale. A spiegarne i motivi a BIKE è Kristof Bruyneel, fondatore e proprietario della Coppa del mondo Uci di Mtb eliminator. “Questo è il risultato di ciò che abbiamo fatto negli ultimi anni ma anche di un lavoro molto duro durante il periodo Covid. Le città che ci ospitano sentono che c'è una base molto solida e questo è ciò che stanno cercando in questo momento difficile”, ha dichiarato Bruyneel. Proprio le città sono il punto di partenza e di forza di una competizione che si sta globalizzando in termini di Paesi ospitanti ma anche di atleti. Per Bruyneel il segreto è divulgare al meglio e rispettare la cultura locale: “Tutto è costruito sulla fiducia: abbiamo sempre fatto quello che abbia-

mo promesso alle nostre città partner. Abbiamo un doppio binario di azione: quello internazionale, che ci permette di avere una copertura mediatica mondiale, e quello locale, perché rispettiamo le città dove andiamo e la loro cultura. Ciò sta portando molti corridori internazionali a tutte le gare, perché la collaborazione tra tutte le parti è super forte”. Questo rapporto ‘personalizzato’, oltre che con le città, viene replicato con i partner, nonostante alcuni di essi siano molto grandi come Red Bull, Continental, Extreme e Go Pro. “Anche in questo caso”, continua Bruyneel “per i nostri partner pensiamo a livello globale ma agiamo localmente: per questo realizziamo un piano molto à la carte con loro, creando interesse anche per altri che vogliono entrare. La nostra organizzazione ha alle spalle un piano sostenibile che genera un grande appeal”. La sostenibilità è un caposaldo dell’azione di City Mountainbike, che ha la sua base logistica a Waregem, in Belgio. Le competizioni non sono impattanti per le città, tutti i materiali impiegati sono riutilizzabili e il giorno dopo non c’è alcun segno del passaggio della gara. Così come altre grandi competizioni internazionali – per esempio F1 si è impegnata a raggiungere emissioni zero in tutti gli aspetti dell’organizzazione dei Gran Premi entro il 2030 – sostenibilità è futuro, quindi l’aspetto divulgativo, formativo e culturale diventano fondamentali.

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FOCUS

“Il nostro piano sostenibile è molto legato alle nostre più recenti innovazioni sul lato dei media e fortemente legato al nostro programma educativo per i giovani atleti che viaggiano attraverso i continenti. Siamo fortemente legati a ogni parte della catena dei nostri eventi per discutere e attuare innovazioni sostenibili al 100%”, spiega Bruyneel.

è in testa alla classifica generale tra le donne prima del tour de force estivo, che prevede le gare in Germania (Aalen), Belgio (a Oudenaarde, patria del Giro delle Fiandre) e Turchia (Sakarya) prima delle esordienti tappe asiatiche in Indonesia (Palangkaraya) e India (Leh). Finale di stagione in Europa tra Parigi, Winterberg (Germania) e Barcellona, sede dei Campionati mondiali il 2 ottobre.

L’inizio della stagione 2022 vede grande equilibrio ma con alcuni punti fermi in cima. L’azzurra Gaia Tormena, campionessa mondiale in carica,

/In maglia di campionessa del mondo Gaia Tormena, prima davanti a Ella Holmegard (Svezia) e Didi de Vries (Olanda)/

/Due momenti di gara della tappa belga a Leuven/

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ALL'ARIA APERTA

all’

ARIA

aperta PEDALARE IN LIBERTÀ: PERSONE E PERCORSI

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SUMMER

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/ MARINO BARTOLETTI /

LA FORZA DI DAVIDE L’ALLENATORE DELLA SALERNITANA, NICOLA, HA RIPETUTO L’IMPRESA SPORTIVA DI CROTONE AGGUANTANDO UNA SALVEZZA CHE SEMBRAVA IMPOSSIBILE. QUESTA VOLTA, PERÒ, NESSUN PELLEGRINAGGIO A PEDALI IN SEGNO DI RINGAZIAMENTO. ANCHE SE LA BICICLETTA RESTA SEMPRE UNA GRANDE PASSIONE EREDITATA DAL PADRE, CONDIVISA CON GLI AMICI

Nel calcio gli ‘scudetti’ si possono vincere in tanti modi: anche riprendendo in mano una situazione che ad altri sembrava irrisolvibile, o raddrizzando traguardi che sembravano compromessi. “Se ci pensi è la lezione del ciclismo e soprattutto dei grandi Giri”, chiosa il nostro uomo. “Il bilancio si fa solo alla fine dell’ultima tappa: gli altri sono tutti ‘momenti’. Sei bravo solo se hai stretto i denti, hai superato una a una tutte le difficoltà e sei arrivato in fondo a testa alta”. Davide Nicola non è solo una persona (molto) intelligente, ma anche seria, quadrata, preparata, leale, concreta, determinata e, ‘all’occorrenza’, un po’ matta. Ma solo all’occorrenza. Nella sua vita di uomo ha appreso perfettamente, anche attraverso il dolore, quali sono le cose che contano veramente. Nella sua vita di allenatore ha messo in pratica quello che ha imparato: trovare sempre la forza per guardare avanti. Con determinazione e lucidità.

“A volte ho accettato sfide professionali rischiose, che in caso di riuscita mi avrebbero dato la possibilità di essere apprezzato, ma ognuno di noi ha il proprio percorso: è importante battersi in maniera umile per raggiungere una salvezza, così come è giusto coltivare ambizioni e sogni di vittoria. L’importante, però, è essere apprezzato per le proprie idee e per la sensazione che si offre nel dare sempre il massimo di sé stessi”. In effetti Nicola, ciclista appassionato e praticante, al di là della coerenza delle sue motivazioni, con la Salernitana ha fatto veramente qualcosa di memorabile. Dopo averla presa a 13 punti e ultimissima in classifica a quasi due terzi del campionato, nelle quindici partite successive l’ha portata in salvo con un bottino parziale superiore – per dire – a quello dell’Atalanta. E non è finita lì, vista la fiducia che ovviamente gli è stata rinnovata dalla presidenza.

Lo chiamano L’uomo dei miracoli (e per la verità qualche buon motivo c’è), ma lui rifiuta cortesemente la definizione: “Sono molto felice e orgoglioso di come sono andate le cose a Salerno (per merito di tanti), ma quella del ‘salvatore’ è un’etichetta che non sento mia”, dice.

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/La grinta di Davide Nicola: tenacia e lavoro di squadra i capisaldi dell'etica professionale dell'allenatore piemontese/

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Questa volta, però, non c’è stato nessun ‘voto’ come fu, invece, cinque anni fa, dopo l’impresa a Crotone. “Allora fu una cosa estemporanea, nata da una battuta detta in conferenza stampa («Se mi salvo vado in bicicletta fino a Torino»): e quella promessa così originale, a un certo punto, venne attesa addirittura con più curiosità della salvezza stessa. Questa volta, quando qualcuno mi ha ‘proposto’ di andare a piedi da Salerno al Vaticano, ho pensato che il Santo Padre avesse incombenze più importanti che ricevermi e che comunque non si scherza con le cose veramente serie”. Nicola però non rinnega “la gioia di quel piccolo ‘Giro d’Italia’ di cinque anni fa, da Crotone a casa mia, vicino a Torino, in cui ho veramente trascorso e vissuto una delle più belle vacanze della mia vita, assieme a dei compagni di viaggio meravigliosi. E quanto affetto al mio passaggio! Ricordo anche un amico che dalle parti di Ancona mi incrociò per consegnarmi addirittura la maglia rosa…”. Il (riconfermato) tecnico della Salernitana, ha sempre dato del tu alla bici. Sin da quando suo padre Guido (ciclista mancato per colpa del nonno che non voleva in casa gente… coi grilli per la testa) lo accompagnava al Sestriere nei primissimi anni ’80. “Impossibile per un bambino non restare ‘contagiato’ per sempre”, confida. “Ricordo i guizzi di Beppe Saronni e la gioia di una foto che feci con Gianni Motta. Ora sul Sestriere ci torno con la mia bici, una Specialized Tarmac non nuovissima alla quale sono molto legato”. Nicola ama le sue montagne: “Il Colle delle Finestre, il Colle dell’Agnello, il ‘circuito’ che va all’Izoard e da cui si risale poi verso il Sestriere. Mi piace la compagnia, ma in salita spesso preferisco stare da solo”, prosegue, perché “la bici ti aiuta nel dialogo interiore, ti migliora i pensieri che ti passano per la testa, ma soprattutto ti dà una mèta da raggiungere con impegno e sacrificio. Anche se a volte, più ancora del traguardo, sono importanti il percorso che fai e il tempo in cui stai con te stesso”. “Amo molto anche la mountain bike”, rilancia, “l’importante è che la strada salga: mi piacciono i colli, i sentieri sterrati, i boschi della Valle Germanasca, della Val Chison e della Valpellice. Non so se sarei stato un buon ciclista professionista, ma in una cosa mi riconosco: nella mentalità votata al sacrifico, alla quale ho sempre cercato di uniformare la filosofia del mio lavoro”. Nicola va per i 50 anni: una decorosissima carriera da difensore fra Genoa (la sua prima squadra), Torino e altre buone realtà di provincia. Poi, a 37 anni, panchina d’esordio a Lumezzane,

dove aveva terminato la carriera da giocatore, e a seguire Livorno, Bari, Crotone (l’anno del ‘miracolo’), Udinese, finalmente i ‘suoi’ Genoa e Torino, nell’ordine, e quella Salernitana che, come il Torino, indossa la maglia granata. Fu durante la sua permanenza a Genova come calciatore che iniziò ad appassionarsi al ciclismo ‘pedalato’ per rimediare ai guai a un ginocchio. I guai passarono, ma l’amore per le due ruote rimase e si fece sempre più ‘attivo’. “A volte rimpiango di non essere nato prima e dunque di non aver potuto vivere l’epopea dei grandissimi, come Eddy Merckx, e più indietro ancora la leggenda di Coppi, anche per quello che ha rappresentato per l’Italia. Per fortuna ho fatto in tempo a godere delle gesta di Marco Pantani che per me è stato il ‘Maradona’ del ciclismo per le emozioni che ha saputo regalare. Ma in fondo mi ritengo fortunato anche per alcune gioie della contemporaneità, come quelle che ci hanno donato, seppur in modalità diverse, l’eterno Vincenzo Nibali e Filippo Ganna che è piemontese come me e di cui apprezzo il modo di porsi e i valori che rappresenta”. Chi scrive lo ha visto con i propri occhi seguire all’arrivo una tappa del Giro d’Italia da dietro le transenne, come un vero appassionato. “Il Giro non è solo una manifestazione sportiva”, osserva, “ma un autentico status culturale che accomuna tutti, che coinvolge tutti. Che più di ogni altro sport richiama la libertà di partecipare a una fatica ‘riconosciuta’ di ragazzi che sanno guadagnarsi il traguardo attraverso un sacrificio palese, che unisce e che non ammette scorciatoie. Per questo il ciclismo continua a ispirare molto rispetto”. Quel rispetto che Davide Nicola a sua volta si è guadagnato e continua a guadagnarsi. Non solo col lavoro sul campo, non solo con i successi sportivi, ma anche con la profondità del proprio pensiero e con le sue quasi uniche capacità motivazionali. “D’altra parte – ama ripetere – il grande Kobe Bryant sosteneva che se non siamo noi i primi a credere in noi stessi, non si vede perché dovrebbe farlo qualcun altro”. Ma anche il ciclismo, in fatto di filosofia applicata, gli ha suggerito qualcosa di non banale: “I pedoni camminano avvolti nei loro pensieri e spesso si ignorano, gli automobilisti quando non si insultano, certamente non si amano: i ciclisti invece, quando si incontrano si salutano e si sorridono anche se non si conoscono. Esiste qualcosa di più bello e di più armonioso nello sport e nella vita?”.

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/ Alcuni momenti del 'pellegrinaggio' in bici per la salvezza del Crotone: dalla 'consegna' della maglia rosa alla foto con i compagni di avventura /

“CHE GIOIA, CINQUE ANNI FA, PER IL MIO 'GIRO D'ITALIA' DALLA CALABRIA A TORINO: AD ANCONA, UN AMICO MI HA ADDIRITTURA CONSEGNATO LA MAGLIA ROSA! MERAVIGLIOSI I COMPAGNI DI VIAGGIO CHE ERANO CON ME”

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“LE MIE MONTAGNE SONO L'IZOARD E IL SESTRIERE, IL COLLE DELL'AGNELLO E QUELLO DELLE FINESTRE. PEDALO CON BICI DA STRADA E MOUNTAIN BIKE, L'IMPORTANTE È CHE NON MANCHI LA SALITA”

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/Tante le maglie indossate da giocatore. Qui, dall'alto in senso orario: Spezia, Torino, Siena (alle prese cono Shevchenko), Lumezzane, dove ha iniziato ad allenare/

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/ FRANCESCA CAZZANIGA /

La SVOLTA di MARTA CON IL TRIONFO ALL’AMSTEL E IL BIS ALLA FRECCIA VALLONE CAVALLI HA FATTO IL SALTO IN UNA CARRIERA SEGNATA DA RISULTATI IMPORTANTI. A BIKE RACCONTA PERCORSO E SACRIFICI FATTI PER RAGGIUNGERLI, RINGRAZIANDO LA FAMIGLIA: "CHE COMMOZIONE QUELLA TELEFONATA SUL TRAGUARDO DI VALKENBURG". DOPO GIRO E GRANDE BOUCLE SOGNA LE OLIMPIADI DI PARIGI 2024

Ci sono momenti che cambiano la vita. Per Marta Cavalli, portacolori della Fdj Nouvelle-Aquitaine Futuroscope, quel momento è stato il 10 aprile 2022. Una domenica delle palme in cui, alle 13:56, ha tagliato per prima il traguardo di Valkenburg, in Olanda, vincendo così l’Amstel Gold Race. Prima italiana a riuscirci. E sul podio le è pure toccato assaggiare la birra, di cui non è certo un’amante. Dieci giorni dopo si è ripetuta alla Freccia Vallone. Atleta del gruppo sportivo Fiamme oro, Cavalli è divenuta consapevole dei propri mezzi e potenzialità attraverso un percorso graduale, ma le vittorie non le sono mai mancate, fin dagli anni del vivaio, tra Valcar e Nazionale, in strada e su pista, fino a divenire campionessa italiana in linea ed europea nella staffetta mista. Ma la Classica della birra è stata per lei una consacrazione, un’impresa conquistata dopo una corsa pazzesca e velocissima: ha resistito sul Cauberg rimanendo con il gruppo delle migliori (Vollering, Lippert e Van Vleuten) e ha piazzato un attacco magistrale, da finisseur, a 1.700 metri dal traguardo. Cavalli ha colto l’attimo: “Sapevo che, se il finale si fosse giocato in volata, avrei potuto ottenere al massimo un piazzamento ma non giocarmela per la vittoria”, spiega a BIKE. “Dunque l’approccio mentale è stato quello del tutto o niente, ho

deciso di scoprire tutte le mie carte”. E ha avuto ragione. Sul traguardo, liberatasi dal ‘placcaggio’ dei fotografi, la prima cosa che ha fatto la 24enne cremonese nata a Formigara è stata “telefonare a casa” per parlare con papà Alberto e nonno Ernesto. “So bene con quanta apprensione ed entusiasmo seguano le mie gare, quanto meglio di chiunque altro conoscano i sacrifici fatti. Condividere la mia gioia con loro è stata l’emozione più grande”. Tanto che, confida, “non mi sono commossa al traguardo: lì era solo, felicità, ma quando ho sentito la voce dei miei al telefono è stato impossibile trattenere le lacrime”. A casa è stata accolta da un vortice di messaggi ai quali non era abituata e che confermano l’interesse crescente per il ciclismo femminile. “La gente si appassiona per lo spettacolo che riusciamo a dare”, osserva. “Anche il pubblico a bordo strada è aumentato parecchio. C’è il tifo dei Grandi Giri, la folla in strada, e questo ti fa spingere ancora più forte sui pedali”. Convinta sostenitrice della multidisciplinarietà, Cavalli è su pista che ha iniziato a raccogliere le prime soddisfazioni: quattro ori nell’inseguimento a squadre da under 23 e uno nell’individuale, più lo storico oro di Pordenone nel derny al primo campionato europeo di specialità per donne elite.

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Intanto Marta è alle prese con l’accresciuta visibilità ed esposizione mediatica: “è una vita più complicata alla quale devo ancora abituarmi e prendere le misure”. Sia in corsa sia fuori. “Adesso, però, testa, cuore e gambe al Giro d’Italia e al Tour de France. Con la squadra abbiamo deciso di correrli entrambi, ma con obiettivi differenti: al Giro penserò più alla classifica, al Tour andrò a caccia di tappe e sarò di supporto alla squadra”. Se arriveranno momenti di difficoltà? “Faranno parte del grande bagaglio dell’esperienza”.

/©Foto Credits: Thomas Maheux/

“Negli ultimi due anni ho abbandonato un po’ la pista per dedicarmi di più alle corse su strada, ma sono tornata ad allenarmi in velodromo a Montichiari perché la pista ti da quel qualcosa in più, quello spunto, quella reattività che serve anche su strada. Non mi preparerò per le gare ma la userò per variare gli allenamenti e darmi nuovi stimoli e obiettivi”. Uno di questi potrebbero essere le Olimpiadi del 2024, del resto all’ultima edizione dei Giochi ha chiuso ottava nella prova su strada: “Parigi è un sogno (credo sempre su strada, alla pista penserò dopo il 2024) ma già Tokyo 2020 è stata un’esperienza fantastica che porterò per sempre nel cuore. Mai avrei pensato da piccola di partecipare a un’Olimpiade!”.

/In maglia Fdj Nouvelle-Aquitaine Futuroscope/

/©Foto Credits: Thomas Maheux/

/In bici con papà Alberto/

/Sul traguardo di Valkenburg, dopo il successo all'Amstel/

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/ LUCA GREGORIO /

ROMAGNA DOC IL BIKE HUB NATO NELLA VALLE DEL SAVIO È UN CONCENTRATO DI GUSTO E DIVERTIMENTO, PER AMATORI E CICLOTURISTI: SONO 170 CHILOMETRI DA PERCORRERE TUTTI D’UN FIATO OPPURE SUDDIVIDENDO IL PERCORSO IN GODIBILISSIME TAPPE

Il mito della Romagna fatta solo di mare, discoteche e divertimento, per fortuna, è tramontato. Per carità, sono immagini che, specie con l’avvicinarsi dell’estate, periodicamente ritornano, ma che oggi si mescolano a un’offerta molto più ricca e intrigante. Come tutto l’universo che, per esempio, gira attorno alla nostra amata bicicletta. Fra le decine di progetti e iniziative che ha imbastito questa splendida regione abbiamo avuto l’occasione di sperimentare il Valle Savio Bike Hub, un itinerario di oltre 170 chilometri che collega Cesena al Monte Fumaiolo in un mix di natura che muta e di scorci da cartolina. Valle Savio Bike Hub è un progetto pensato per tutti i tipi di ciclisti, dal cicloamatore super allenato, che può riuscire nell’impresa di completare il percorso in un’unica bella giornata d’estate (ci sono 3.300 metri di dislivello da affrontare e servono 7-8 ore di pedalata), al cicloturista più scanzonato e rilassato, che può decidere di spezzare l’avventura in tre o più tappe godendosi a pieno la bellezza di borghi come Sarsina e Bagno di Romagna, assaporando pure tutte le prelibatezze enogastronomiche della zona. Risalire la valle del Savio seguendo il percorso cosiddetto del Grand tour (che peraltro è segnalato benissimo!) è un’esperienza rilassante e a tratti mistica. Perché se tutta la prima parte fino a Bagno di Romagna è mediamente semplice e consente di ammirare le prime dolci colline che

vanno verso il cuore dell’Appennino, dalla nota località termale in poi il paesaggio cambia. Così come le pendenze. Ecco perché è bene studiare il proprio approccio a questo tipo di esperienza, in cui non può mancare una sosta a Sarsina, la città di Plauto, il cui centro nevralgico è la suggestiva Basilica di San Vicinio. Proprio Bagno di Romagna, inoltre, che è sempre stata uno snodo nevralgico a livello storico (posta sulla linea Gotica, era in provincia di Firenze ma Mussolini la volle annettere all’Emilia-Romagna per la sua strategica importanza), oggi è diventata un punto di raccolta perfetto per soddisfare le esigenze di famiglie con bambini e gruppi di cicloturisti. Qui comincia anche, per chi ama panorami e natura, la parte più bella dell’itinerario proposto. La strada che sale a Verghereto consente a chi pedala di immergersi nel cuore dell’Appennino tosco-romagnolo, ma è il tratto che conduce fino a Le Balze che permette di ammirare i caratteristici calanchi che contrassegnano questa zona. Il punto più alto lo si tocca ovviamente sul Monte Fumaiolo, teatro di tanti allenamenti, tra gli altri, di Marco Pantani, che su queste strade, partendo dalla sua Cesenatico, veniva a preparare i grandi appuntamenti della stagione. Mesi invernali a parte, è una salita che si può fare in tre stagioni su quattro. E se vi dovesse capitare di affrontarla con la neve ai lati della strada e i riflessi del sole sull’asfalto, allora è poesia pura.

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SPORT E NATURA, ARTE E CULTURA, BUON CIBO E RELAX. SONO GLI INGREDIENTI DI UNA RICETTA UNICA IL CUI AMALGAMA È L’ALLEGRIA DI CHI ABITA QUESTE TERRE

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/Vario nei paesaggi e tutto da scoprire, il Bike Hub Valle del Savio è stato protagonista di uno speciale in onda su Bike Channel/

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Affrontando il Grand Tour Valle del Savio una cosa è certa: qui ci si può cucire addosso un percorso come meglio si crede. Si possono fare tagli e deviazioni a proprio piacimento, grazie ad una serie di piccoli anelli che partono da Mercato Saraceno, da Bagno o dalla stessa Sarsina. A proposito di Mercato Saraceno, seguendo il percorso classico, il Grand Tour prevede, al ritorno, una deviazione per andare ad affrontare il mitico Barbotto, la salita più iconica della Granfondo Novecolli. Sono 4,6 chilometri con pendenza media del 7% e massima del 18%: da sola rappresenta uno sforzo impegnativo ma fattibile, dopo il Fumaiolo e altri strappi però le sue pendenze si fanno sentire eccome. La fatica di ascendere al Barbotto viene ampiamente ripagata in cima. Intanto per la vista unica sul mare e verso San Marino e San Leo. In aggiunta, in cima è d’obbligo una sosta al Bar Barbotto, gestito dal mitico Francesco: al suo interno ci sono cimeli di ogni tipo legati al ciclismo, maglie, borracce, foto e altri memorabilia che ti fanno respirare la magia di questo sport. Del resto, sul mitico Barbotto, ci soffrì anche un certo

Eddy Merckx. Dopo aver gustato una sana piadina (altro consiglio spassionato che ci sentiamo di darvi!) potete rimettervi in sella e tornare in costa verso Cesena, a meno che non abbiate ancora voglia di affrontare un’altra salita tanto cara al Pirata. È quella di Montevecchio, presa dal versante di Borello, e sono altri 4,5 chilometri tostissimi, con una pendenza media del 7% e massima del 15%, che conducono al monumento in cima dedicato proprio allo scalatore romagnolo. Dopo tanti chilometri nelle gambe, la giusta fatica (anche per chi ha preferito pedalare con l’e-bike e spirito da cicloturista) e gli occhi ricolmi di tanta bellezza acquisita, l’ultimo consiglio è quello di fare visita al centro storico di Cesena, possibilmente ritagliandovi uno spazio per ammirare la Biblioteca Malatestiana, fiore all’occhiello della città. È una vera scoperta la valle del Savio. Il posto giusto per mescolare sport e natura, arte e cultura, buon cibo e relax. Con l’allegria del popolo romagnolo a fare da contorno in ogni dove. Quella sì, è la vera cifra, per così dire stilistica, che da queste parti non cambia mai.

UN GRAND TOUR CHE FA DI BAGNO IL CENTRO NEVRALGICO NONCHÉ LA PORTA D’ACCESSO SU UN APPENNINO TUTTO DA SCOPRIRE

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/ CATERINA LO CASTO /

ECCELLENZA CON GUSTO TRE PERCORSI IMMERSI NELLE COLLINE DELLA VALPOLICELLA PER SCOPRIRE PIACERI E SAPORI DI UNA TERRA ESCLUSIVA MA ACCESSIBILE A TUTTI. GRAZIE ANCHE ALLE E-MOUNTAIN BIKE DI CÀ DEL MORO WINE RETREAT “La mountain bike è la mia passione da quando sono ragazzo”. Così racconta a BIKE Massimo Gianolli, presidente e fondatore della cantina La Collina dei Ciliegi e di Cà del Moro Wine Retreat, un locus amoenus a Località Erbin, Grezzana (Vr): una ‘terra promessa’ per quanti desiderano sperimentare un legame intimo con la natura. Resort dal lusso discreto, che si fonde con i vigneti della Valpolicella, che danno vita ai vini Cru e Doc di Collina Dei Ciliegi è una realtà affiliata a Luxury Bike Hotel, il portale che racchiude i bike hotel di lusso. In questo contesto l’e-bike diventa mezzo sostenibile che permette a famiglie e ai meno sportivi di pedalare lontano da strade battute da percorsi abituali. Cà del Moro accompagna gli appassionati in questa avventura con otto e-bike Focus, colonnina di ricarica, una bike room e il servizio di fisioterapia di Marco Todeschini. Pedalare in un habitat come quello della Lessinia-Valpantena, un paesaggio collinare punteggiato di borghi e vigneti da fiaba, accende gli occhi di stupore. Le e-bike Jam 6.9 sono perfette per percorsi e pendenze differenti, dal trail alle escursioni nei boschi, fino a percorsi pedemontani e consentono di ‘sentire’ il paesaggio, sintonizzandosi sulle frequenze della natura, per apprezzarla e rispettarla al meglio. Insieme a Luca Sabaini, guida nazionale di mtb e fondatore di LeBike, Gianolli ha tracciato tre percorsi, diversi per durata, pendenza, distanza e difficoltà. Nel primo itinerario (‘La Lessinia tra storia e natura’), partendo da Ca’ del Moro Wine Retreat a 550 metri sul livello del mare, si attraversano

i vigneti Supervalpantena e si raggiunge Monte Santa Viola a 830 metri, dove ammirare il forte austriaco da cui ne deriva il nome. Si prosegue fino alle antiche contrade di Tenda e Foldruna, interamente costruite con pietra della Lessinia. Da qui, attraverso un single track che costeggia la Val Squaranto, si arriva a Casale di Sotto, e in discesa si raggiungono le contrade Menegalli e Camponi per risalire a Ca’ del Moro. Sono 15 km da percorrere con estrema lentezza e un dislivello complessivo di 650 metri.

DAI MONTI LESSINI ALLA VALPANTENA GLI ITINERARI SONO MOLTEPLICI E TUTTI ATTRATTIVI. UN VIAGGIO TRA STORIA E NATURA, AVVENTURA E DIVERTIMENTO

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/Qui e nella pagina successiva alcuni scatti che documentano l'esperienza tra bici e vino presso Cà del Moro Wine Retreat/

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Nel secondo Tour, (‘Tra avventura e divertimento in Valpantena’) si viaggia alla scoperta delle dorsali nascoste della Valpantena in e-bike. Si attraversano i vigneti Supervalpantena e si raggiunge Azzago dove si affronta uno dei single track più divertenti della zona. Il Vajo Paradiso affascina con la sua natura selvaggia, tra pareti di roccia rossastre levigate nel tempo dalla fusione dei ghiacciai del Quaternario. Il tracciato presenta un dislivello complessivo di di 1100 metri, lungo un saliscendi che costeggia la dorsale, per arrivare ai paesi di Sezano e Santa Maria in Stelle, famosi rispettivamente per l’antico monastero, e per il fantastico Ipogeo. L’itinerario 3, (‘La Lessinia Orientale’), è un parco giochi per amanti della strada: manto stradale ottimale e salite degne di nota. Il profilo altimetrico equilibrato e un percorso immerso nel Parco Naturale, lungo 54 chilometri che si snodano su gran parte della Lessinia Orientale. Partendo da Ca’ del Moro Wine Retreat si attraversano i vigneti e si arriva a Cerro Veronese a 730 metri sul livello del mare, poi fino a Corbiolo e Bosco Chiesanuova. In discesa si raggiunge Valdiporro e si risale a San Francesco a quota 1100 metri per iniziare la discesa per Velo, Roverè Veronese e ancora Cerro per fare poi ritorno al resort. “Pensiamo che i nostri tre percorsi siano un bellissimo biglietto da visita per chi non conosce la Lessinia-Valpantena, ma allo stesso tempo permette ai locali di innamorarsi nuovamente del loro territorio e di quelle chicche che a volte ci si scorda di avere dietro casa”, dice Gianolli: un punto di vista privilegiato sulla città di Verona e sulla

Pianura Padana, uno dei più belli di tutta la zona. Il terroir unico di questo territorio è il trait d’union tra esperienza eno-gastronomica e cicloturismo. Chef Giuseppe Lamanna fonda la sua cucina sul concetto di stagionalità e materie prime locali, con un occhio sempre vigile sull’idea della sostenibilità e del benessere. Il tagliere di salumi e formaggi del territorio, gli gnocchetti di ortiche al burro di malga, tastasal croccante, pomodorino giallo e ricotta affumicata, o ancora risotto all’amarone Ciliegio, con gel di mandarino, meringa all’alloro e rapa; tutti piatti che si sposano ai vini della cantina che spaziano dal brut all’amarone. Il vino si produce solo una volta l’anno e segue il susseguirsi delle stagioni, e questa è una realtà che ci avvicina ancor di più alla natura circostante, da tener bene a mente quando si fa esperienza di degustazione dei vini di Collina dei Ciliegi. La realizzazione di uno splendido percorso di pumptrack di tipo ibrido, che punta all’utilizzo sia di biciclette da dirt jump che di mtb, muscolari ed elettriche, è solo uno dei nuovi progetti, in dirittura, seguito da Luca Sabaini e Alberto Tarocco (fondatore di Fair Trails). Cà del Moro così si prospetta sempre più punto di riferimento sia per e-biker esperti sia per chi si avvicina a questa disciplina, portando anche personalità del settore e organizzando eventi dedicati. “Siamo abituati a un turismo mordi-fuggi per visitare le destinazioni più in e immortalare con uno scatto le attrazioni turistiche più in voga”, conclude Gianolli, “ma muoversi in e-bike ci consente ritmi e attenzioni differenti: è più impegnativo, faticoso, serve concentrazione”.

“SIAMO ABITUATI A UN TURISMO ‘MORDI E FUGGI’ PER VISITARE LE DESTINAZIONI PIÙ DI MODA E IMMORTALARE CON UNO SCATTO LE ATTRAZIONI PIÙ IN VOGA. MUOVERSI CON L’E-BIKE INVECE CONSENTE RITMI E ATTENZIONI DIFFERENTI”. COSÌ PARLA MASSIMO GIANOLLI, TITOLARE E FONDATORE DI CA’ DEL MORO WINE RETREAT

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/ SAMUELE VILLA /

APPUNTAMENTO CON LA STORIA LA CICLOVIA DELLA MAGNA GRECIA SI ESTENDERÀ PER PIÙ DI MILLE CHILOMETRI TRA BASILICATA, CALABRIA E SICILIA. UN ITINERARIO RICCO DI FASCINO E TRADIZIONI, INTEGRATO CON PERCORSI TRA I PARCHI REGIONALI E IL BASSO APPENINO Il Sud Italia sta puntando, con sempre maggiore decisione, sulla bicicletta e sul potenziamento di un’offerta cicloturistica che sia in grado di attrarre tutti i tipi di cicloviaggiatori: esperti e neofiti, gruppi di amici e famiglie. In tal senso, sono decine e decine gli itinerari che stanno guadagnando crescente considerazione all’interno del variegato universo delle vacanze a pedali: percorsi che attraversano aree ad altissimo interesse storico e culturale e lungo i quali sono sbocciati servizi qualificati, dai bike hotel ai negozi di assistenza, passando per i tour operator che hanno creato (e commercializzato anche fuori dai confini nazionali) pacchetti e prodotti ad hoc. Tra questi percorsi ce n’è uno che, in particolare, sta attirando l’attenzione di moltissimi appassionati di viaggi su due ruote: la Ciclovia della Magna Grecia, un progetto, ancora in fase di costruzione, ma che dovrebbe presto diventare realtà. Il sogno è iniziato tempo fa, esattamente nel 2017, e si è via via concretizzato negli uffici della Regione Calabria; a fine 2020 è avvenuta la stipula del contratto con la società che si è aggiudicata il servizio, a inizio 2021 i tecnici hanno lavorato al progetto di fattibilità tecnico economica. A fine anno, poi, l’annuncio del Governo relativo allo stanziamento di 600 milioni di euro per il potenziamento della rete ciclistica nazionale, con la conferma del finanziamento per la Ciclovia della Magna Grecia.

so del Sole, che taglia il Vecchio Continente da Nord a Sud, da Capo Nord a Malta, passando per Norvegia, Finlandia, Svezia, Danimarca, Germania, Repubblica Ceca e quindi Italia, dalle Dolomiti fino alla Sicilia, dove Magna Grecia è sinonimo di culla della cultura, ma è anche uno scrigno di bellezze uniche al mondo. In terra siciliana il tracciato ripercorre esattamente quello di Eurovelo 7, da Messina e dal suo stretto, a Catania, Siracusa, Pachino e Pozzallo. Sul continente, invece, si estende da Reggio Calabria, fino alla Basilicata, risalendo la dorsale tirrenica e giungendo fino a Metaponto. Puntando prevalentemente su ciclabili e strade provinciali, il percorso intende sfruttare a pieno le potenzialità di una una rete già esistente, innestandosi persino sulla Ciclovia degli Appennini. La sfida ora è la ‘costruzione’ del tragitto, non in quanto tale, ma per renderlo una vera ciclovia con servizi bike friendly, hotel, ristoranti, negozi di biciclette e punti di assistenza; servono indicazioni chiare e precise, sia online (tracce), sia off line (mappe, descrizioni e cartellonistica lungo la via); e serve un progetto di comunicazione tale da rendere la Ciclovia della Magna Grecia un progetto nazionale dal respiro internazionale, capace di attrarre i cicloturisti e i cicloviaggiatori dall’Italia, come dal resto d’Europa e del mondo.

Il percorso abbraccia tre Regioni: 1.130 chilometri tra Calabria, Basilicata e Sicilia, a completamento dell’itinerario Eurovelo 7, il cosiddetto percor-

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/La Ciclovia della Magna Grecia tra progettazione e realtà/

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Affinché il sogno si concretizzi servono un prolungato impegno politico, condiviso e congiunto con le istituzioni locali e il territorio, e una supervisione tecnica seria e affidabile. I fondi sono arrivati in parte dal ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, in un decreto emanato di concerto con il ministero della Cultura e con quello del Turismo. Di 600 milioni messi sul piatto dal governo per le pubbliche amministrazioni, 200 saranno utilizzati per la realizzazione e la messa in sicurezza di piste ciclabili cittadine. La restante parte è destinata alle ciclovie di interesse turistico, tra cui appunto quella della Magna Grecia. Nello specifico, 51 milioni di euro sono stati assegnati alla Ciclovia Vento (la Venezia-Torino, frutto di un progetto del Politecnico di Milano); circa 22

milioni di euro alla Ciclovia del Sole; 14 alla Grab, il Grande raccordo anulare delle biciclette, tracciato cicloturistico della capitale; 61 invece i milioni di euro per la Ciclovia della Magna Grecia, che dovrebbe essere pronta entro il 2026. A proposito di Sud e Calabria, la Regione sta compiendo un netto scatto in avanti nella promozione del cicloturismo. Nell’ultimo biennio è infatti stata lanciata (e ha già riscosso grande successo) la Ciclovia dei Parchi, percorso dall’anima off road che attraversa la Calabria e tocca i suoi magnifici parchi naturali. Proprio alcune parti del tracciato della Ciclovia dei Parchi saranno sfruttate per il passaggio della Ciclovia della Magna Grecia.

IL TRAGUARDO FINALE PREVISTO PER I LAVORI È IL 2026. MA LA VERA SFIDA È POPOLARE IL TRAGITTO DI SERVIZI BIKE FRIENDLY COME HOTEL E LUOGHI DOVE RICEVERE ASSISTENZA, MAPPE E CARTELLONISTICA

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/ SAMUELE VILLA /

SULLE NOTE DELL’AIDA DUE GIORNI IN SELLA DA MILANO ALL’ARENA DI VERONA LUNGO UN TRATTO DELLA CICLOVIA TRACCIATA DALLA FIAB CHE UNISCE IL MONCENISIO ALL’ISTRIA: UNA SINFONIA DI SAPORI E COLORI Nato a tavolino, disegnato sulle mappe, oggi sta diventando uno dei percorsi cicloturistici più vissuti di tutto il Nord Italia e più apprezzati da chi viaggia in bici: Aida, nome in codice di Alta Italia da attraversare, è un tracciato di 900 chilometri che va dal Moncenisio fino a Trieste, dal confine con la Francia fino all’Istria. Un progetto che ha preso vita grazie alla passione dei volontari Fiab che l’hanno mappato, unendo tracciati già esistenti di piste ciclabili, sentieri e strade secondarie: ne è nata una vera e propria ciclovia dal carattere internazionale, poi un sito internet con tanto di tracce Gps e quindi sono stati posati gli adesivi lungo il tragitto. Aida ora è realtà e attrae cicloviaggiatori dall’Italia e dall’Europa attraversando anche siti Unesco. Come tutte le grandi ciclovie, anche Aida si può ‘spezzare’. Chi scrive ha iniziato ad assaporarla con una due giorni da Milano a Verona, dal Duomo fino all’Arena che ha fatto da traguardo al Giro d’Italia 2022. Un fine settimana sui pedali, con le gambe che mulinano senza grande fatica e gli occhi che fanno su e giù dal Gps su cui seguire la traccia e la strada che si staglia davanti e tocca piccoli borghi, grandi città, attraversa ponti e boschi. Un’andata in bici e un ritorno in treno, come è fattibile scegliendo due qualsiasi delle tappe in cui gli ideatori di Aida hanno pensato di dividerla e di raccontarla sul sito ufficiale (aidainbici.it), dove è possibile scaricare le tracce e consultare le mappe.

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SUMMER

La partenza da Milano avviene all’Arco della Pace, in pieno centro. Foto di rito, si inforcano i pedali e si parte. Direzione viale Padova, tagliando per il centro città e seguendo il Naviglio Martesana che si lascia alle spalle la city e ci scorta fino all’Adda. L’Est meneghino è calmo, rilassato, a inizio estate è verde. Dopo Cassano si devia verso Treviglio e Caravaggio. Nel sottobosco c’è un po’ di ghiaia e di sterrato, quindi meglio la mountain bike o la gravel, anche perché il percorso non sta mai per lunghi tratti su strade principali, imbocca quelle secondarie, piccole, senza traffico e poco pericolose, che fanno pedalare senza troppe preoccupazioni. Dopo l’Adda c’è il Serio e quindi l’Oglio: Coccaglio, Rovato, Paderno, la Franciacorta e i suoi vigneti, le colline sullo sfondo ad accompagnare chi pedala fino a Brescia e al suo centro storico. Pausa, giù dalla bici, sosta (dopo circa 110 km) all’Ostello Luogo Comune, a due passi dalle mura. Il secondo giorno, dopo la visita di Brescia e un piatto (è un dovere oltre che un piacere) di Casoncelli, l’arrivo è posto a Verona. Da Brescia si pedala verso Rezzato e Bedizzole e già si sente il profumo del Lago di Garda: la traccia costeggia Peschiera e Desenzano e conduce a un altro fiume, il Mincio, che segna l’ingresso in Veneto. Si passa tra i vigneti di Custoza e Sommacampagna, zona di vini nobili e rinomati, e le viti tengono compagnia fino alle porte di Verona e all’Arena (poco più di 80 km in questa seconda frazione), dove il Gps dice che è finita. Si può tornare verso Milano, in treno anche in giornata o in serata, e così si chiude un anello di due giorni sulle note di un’Aida bellissima.

/In alto un passaggio dell'Aida nel comune di Caravaggio. In basso la ruota idraulica sulla Martesana, che si dice sia stata progettata da Leonardo. Nella pagina successiva due passaggi lungo il corso del Mincio/

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ALL’ARIA APERTA

PARTENZA ALL'ARCO DELLA PACE. LASCIATA ALLE SPALLE LA CITY, PEDALANDO LUNGO I NAVIGLI, SI ARRIVA A BRESCIA ATTRAVERSO LE DOLCI COLLINE DELLA FRANCIACORTA. POI PESCHIERA, DESENZANO E L'INGRESSO IN VENETO. SU AIDAINBICI.IT TUTTE LE TRACCE GPS E LE MAPPE

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SUMMER

di

/ MARZIA PAPAGNA /

IN TRENO CON LADY B

/©Foto Courtesy: Secelhofattaio.it/

APPENA COMPIUTI I SESSANT’ANNI MONICA NANETTI HA INTRAPRESO UN VIAGGIO DI 60 GIORNI IN EUROPA. IN SELLA ALLA SUA BICI PIEGHEVOLE E ARMATA DI UN SOLO BIGLIETTO INTERRAIL E DEL SUO COMPUTER PER RACCONTARE SCOPERTE, STATI D’ANIMO E INCONTRI

/Monica Nanetti in partenza per il suo viaggio 60x60/

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/©Foto Courtesy: Secelhofattaio.it/

ALL’ARIA APERTA

/Si chiama 'Lady B' la Brompton verde con cui Monica gira l'Europa/

/Lungo il percorso da Parigi a Londra/

Girare l’Europa in sella a una ‘signora’ pieghevole con una formula abbastanza rara e per niente scontata: 60x60, sessanta come i giorni di viaggio in bicicletta, e sessanta come gli anni appena compiuti. Monica Nanetti è l’ottimismo fatto persona. A maggio, per la sesta volta, è partita da Milano con l’obiettivo di farcela ancora una volta. A farle compagnia c’è sempre la sua affezionata Lady B, una Brompton verde che porta in giro per le strade d’Europa quando c’è da pedalare, nelle stanze d’albergo quando è l’ora di riposare e a bordo del treno quando invece è il momento di raggiungere una meta un po’ più distante. Due sacche come valigie, un porta cellulare attaccato al manubrio, una borsetta sul telaio e una mini bandierina grande poco più del palmo di una mano che, alle sue spalle, svolazza con i colori dell’Italia. È un viaggio senza grandi pretese quello di Monica (che su Bike Channel è stata intervistata da Pietro Franzese per Unconventional Travellers e la puntata, la numero 11, potete andare a rivederla all'interno della sezione Programmi del sito), un viaggio fatto di libertà e di incontri, di paesaggi e di pietanze da assaggiare, di amici già incontrati e di altri che si possono incontrare. Ci sono foto, ma soprattutto parole, le stesse che danno voce al blog Se ce l’ho fatta io (https://secelhofattaio.it), il punto di incontro delle persone che ritengono Monica un esempio di vita. Perché, diciamola questa verità: ci vorrebbe un po’ di Monica in ognuna di noi. Da Milano a Lione, da Parigi a Londra, da Londra a Glaslow e poi Amsterdam, Amburgo, il giro del muro a Berlino,

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poi forse l’Austria e la pianificazione ancora tutta da definire sul rientro nella capitale della moda. Quando la contattiamo, su whatsapp, sono da poco passati i primi dieci giorni del viaggio (che al momento in cui andiamo in stampa non è ancora concluso): si trova lungo la costa francese ad ammirare l’Oceano Atlantico e il Nord che si avvicina. C’è un itinerario di massima pensato prima di partire, ma ci spiega che il programma all’ultimo minuto può cambiare come è successo quando ha incontrato un percorso molto sterrato. “La bici è flessibilità”, dice Monica, “vado dove scopro che è bello andare, anche in funzione del meteo”. L’unico biglietto prenotato è quello del traghetto Dieppe-Newhaven per raggiungere l’Inghilterra, ma per il resto non esistono performance da misurare, programmi che vanno rispettati, altrimenti chissà cosa succede, o chilometri che devono per forza fare il paio con i minuti. In questa storia la vera sfida è partire. E se esiste una strategia per l’organizzazione, allora si chiama Interrail, ovvero la tessera ferroviaria che ti consente di visitare l’Europa in treno. Spesso a partire con l’Interrail sono i giovanissimi, che hanno un prezzo a loro favore e che è valido anche per chi ha più di 60 anni. Un’occasione perfetta per i 60x60 di Monica. Con questo pass, anche lei può salire e scendere da un treno ogni volta che ne sente il bisogno, senza preoccuparsi troppo di quale posto prenotare. Il treno è il luogo dove le gambe si fermano per qualche ora e alla tastiera del computer crea i vari post per raccontare cosa è successo.


SUMMER

sé la voglia di partire, ma poi non lo fa. Ed ecco cosa risponde: “Io non sono giovane e neanche sono sportiva, eppure la bici funziona anche con me. Non c’è bisogno di essere atleti o di avere caratteristiche particolari. Serve solo avere ben in mente che si possono incontrare luoghi meravigliosi. Magari, all’inizio, si può iniziare con un solo itinerario. Ecco, direi questo a chi cerca un consiglio, inizia con quello e poi trova il tuo metodo. Pensa all’esperienza e non alla prestazione. La bici in questo è un mezzo straordinario”.

/©Foto Courtesy: Secelhofattaio.it/

Un mezzo lento ed ecologico per lei ideale, il treno. Sul blog lo descrive così: “Il treno è un po’ come la radio, o come la bicicletta: strumenti così perfetti e completi che possono magari innovarsi e modificarsi, ma non cambiano la loro natura e alla fine continuano a mantenere intatta la loro validità, senza essere soppiantati da nuovi strumenti”. Tutto torna, anche questo viaggio che alla fine rappresenta la voglia di essere liberi e leggeri, come bagaglio e come idee, come modo di pensare. Nella nostra conversazione, le chiediamo un consiglio da dare a chi magari ha dentro di

/ Lady B pronta per essere caricata sul treno /

/©Foto Courtesy: Secelhofattaio.it/

“TRENO E BICI SONO COME LA RADIO: STRUMENTI COSÌ COMPLETI E PERFETTI CHE ANCHE LE INNOVAZIONI NON NE MODIFICANO MAI LA VERA NATURA”

/Selfie durante un trasferimento in treno/

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/©Foto Courtesy: Secelhofattaio.it/

ALL’ARIA APERTA

/©Foto Courtesy: Secelhofattaio.it/

/©Foto Courtesy: Secelhofattaio.it/

/La costa atlantica francese nei pressi di Dieppe/

/Uno dei tanti incontri, pedalando per l'Europa/

/Il traghetto Dieppe-Newhaven/

/©Foto Courtesy: Secelhofattaio.it/

“SE CE L’HO FATTA IO SIGNIFICA CHE PUÒ FARCELA CHIUNQUE. BASTA PARTIRE DALL’ESPERIENZA, NON DALLA PRESTAZIONE. CON UN METODO DA SEGUIRE” /Il percorso immaginato da Nanetti/

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sitointerattivo COMUNICAZIONE RESPONSABILE


PEDALANDO IN SICUREZZA

I CONSIGLI DEGLI ESPERTI SU COME GUIDARE BICICLETTE E MONOPATTINI ELETTRICI

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SUMMER

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/ MASSIMO BOGLIA* /

CHI HA PAURA DELLE E-BIKE?

/©Foto Shutterstock/

NON È PIÙ IL TEMPO DEGLI STRADISTI ‘DURI E PURI’ CHE CRITICAVANO LA PEDALATA ASSISTITA COME SI FACEVA UNA VOLTA CON IL ‘RAPPORTINO’. L’ELETTRICA HA FATTO VEDERE UN MODO NUOVO DI AFFRONTARE LE SALITE. ANCHE SENZA GUIDARE IL ‘RAMPICHINO’

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PEDALANDO IN SICUREZZA

Quella specie di diffidenza, in particolare da parte dello stradista, che c’era un tempo nei confronti del ‘25’, intanto, si è rivolta oggi verso le bici da corsa elettrica, seppur in modo minore. Curioso è che ciò non avvenga per quanto riguarda le discipline off road, dove l'avvento del motore elettrico è stato quasi fin da subito apprezzato da moltissimi appassionati, ma solo con le bici da strada. Lo stradista ‘vecchia guardia’, infatti, almeno in certi casi, ha a lungo equiparato l’utilizzo della bici a pedalata assistita quasi a una sorta di tentativo di ‘barare’ da parte dell’amatore. La verità invece è l'esatto opposto. L'ausilio del motore consente, infatti, a tutti di affrontare determinati percorsi mantenendo la frequenza cardiaca sotto controllo, gestendo lo sforzo e ottenendo così veri e propri benefici, divertendosi senza doversi ‘finire’ tutte le volte che la strada comincia a salire. Insomma, così come è cambiata la sensibilità dello stradista nei confronti dei rapporti agili, così sta cambiando anche quella nei confronti della bici elettrica o assistita. A conferma che una e-bike da strada non rappresenta più in alcun modo un ‘limite’ alla pratica del ciclismo, semmai una possibilità nuova. In conclusione, insomma, molto meglio considerare l’uso di una bici a pedalata assistita anziché montare rapporti da ‘rampichino’ sulle bici da corsa: ciò renderebbe lo sforzo molto più salutare è gratificante. * Già atleta professionista, è divulgatore delle due ruote e lavora per Scout Bike a Lainate (Mi)

/©Foto Shutterstock/

/©Foto Shutterstock/

Fino a qualche anno fa, montare un ‘25’ come rapporto più agile sulla bicicletta da strada era considerato quasi un disonore. Specialmente in ambito agonistico, i meccanici erano riluttanti nel montare questo tipo di ingranaggio ai corridori, se non in occasione di gare con percorsi molto particolari. Le bici dei professionisti montavano in genere una cassetta ‘11-23’, che veniva utilizzata per quasi tutta la stagione. Si valutava addirittura la capacità atletica di un soggetto proprio in base al rapporto con il quale questi era solito affrontare strappi e salite. Oggi non è più così. Per quanto riguarda la guarnitura, lo standard era ‘53 x 39’ o ‘42’, numeri che oggi non sarebbero concepiti neanche da corridori dilettanti, figurarsi da un professionista. Affrontare una salita tipo il Gavia con il ’39 x 25’ sarebbe considerato ‘roba d’altri tempi’, nonostante sia trascorso solo qualche anno da questo tipo di standard. Attualmente è comune, invece, montare sulle bici da strada rapporti molto più agili, ad esempio una cassetta ‘11 x 32’ o addirittura ‘34’ (anche in ambito professionistico) e davanti una moltiplica di tipo ’50 x 34’ o ’52 x 36’, motivo per cui molte salite difficili risultano più abbordabili e alla portata di (quasi) tutti. A conferma di questa nuova tendenza, il 90% delle guarniture da strada ha un giro bulloni da ‘110’. Ma è chiaro che la possibilità di pedalare con maggiore agilità, non sostituirà mai un'adeguata preparazione: bisogna sempre tenere conto, infatti, che un certo tipo di sforzo necessita comunque di molto allenamento.

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SUMMER

di

/ FEDERICO BALCONI * /

AL FIANCO DEI CICLISTI ZEROSBATTI È UN’ASSOCIAZIONE NATA CON IL DUPLICE OBIETTIVO DI CONTRIBUIRE A RIDURRE FATTIVAMENTE IL NUMERO DI SINISTRI E DI OFFRIRE SUPPORTO LEGALE NELL’OTTENIMENTO DEL RISARCIMENTO. IL FONDATORE SPIEGA CINQUE COSE DA FARE IN CASO DI INCIDENTE Il ciclista, come il pedone, è il soggetto vulnerabile della strada, quello che rischia maggiormente ed è considerato – così almeno dicono le Direttive europee teoricamente assorbite nel nuovo Codice della strada – più esposto, potenzialmente soccombente in caso di incidente con auto, moto o camion. Ulteriore insidia che mina la sua sicurezza è costituita dalle condizioni del manto stradale, spesso maltenuto e pericoloso per chi pedala. C’è una terza insidia per la serenità dei ciclisti e attiene l’aspetto economico del danno subito: il risarcimento, che molte volte si allontana all’orizzonte, incastrandosi in una serie di procedure, legali e burocratiche, che ne pregiudicano ottenimento ed equità. Con il rischio di scoprirsi vittime una seconda volta. Se obiettivo di Zerosbatti è innanzitutto contribuire a ridurre il numero degli incidenti, lo è altrettanto poter offrire aiuto concreto nell’ottenimento del risaricmento. Non è un caso infatti che l’associazione sia nata all’interno di uno studio legale, composto da più d’un ciclista praticante, dove sono state messe a fattor comune competenze giuridiche ed esperienze in bici, aprendo così la strada a una possibilità di difesa ad hoc; grazie anche all’adozione di una polizza di tutela legale che solleva l’associato da qualsiasi rischio causa e lo esenta da spese legali. Sulla base di simili premesse la cosiddetta resti-

tutio in integrum, ovvero l’annullamento dell’effetto giuridico verificatosi a danno di una persona, reintegrando lo stato di diritto anteriore al suo verificarsi, può divenire realtà. Per esempio, una bici rotta può essere risarcita per il suo autentico valore, ponendo il ciclista nella stessa situazione ante-incidente. Aspetto non di poco conto nel caso di un telaio in carbonio che, subito un duro colpo, non potrà più essere quello di prima… Anche i danni fisici, però, seguono regole e valutazioni che devono tener conto di tutte le conseguenze che dovrà subire la vittima, per ottenere una somma di denaro che corrisponda al corretto risarcimento. Un aiuto nel quantificare questi danni può venire dall’affidarsi alla competenza, all’esperienza e alla passione di chi ha subito le stesse disavventure o drammi e che, amando questo sport, può rappresentare un valore aggiunto. Fondamentale, ad ogni modo, è effettuare le mosse giuste nell’immediatezza del sinistro. Le prime fasi, quando ancora i mezzi non sono stati spostati, sono quelle determinanti per raccogliere prove e delineare i responsabili, per questo Zerosbatti ha divulgato un semplice vademecum con le prime cinque mosse da compiere. E sono tanti i ciclisti che lo hanno già plastificato e inserito nella borraccia porta attrezzi, insieme allo smartphone. Ma quali sono, in sintesi, queste cinque mosse?

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PEDALANDO IN SICUREZZA

/©Foto Shutterstock/

Per prima cosa, se si è nelle condizioni di poterlo fare, estrarre il cellulare e fotografare tutto ciò che si vede sul luogo dell’incidente. La bici, la macchina, la via, il semaforo. Altrimenti meglio attendere le forze dell’ordine che lo faranno loro. In secondo luogo l’ambulanza: l’istinto del ciclista è risalire in sella, ma poi a freddo e passato lo spavento, compaiono danni aggravati dal movimento, complice il calore della muscolatura che maschera microfratture o lesioni. Per prudenza, ma anche per la prova delle lesioni subite, è meglio chiamare l’ambulanza quando ci sono danni fisici. Terzo, i testimoni: la loro presenza è la prova regina (dopo le telecamere) per ricostruire la dinamica dell’incidente e ottenere, se c’è, ragione. Il consiglio, dunque, in allenamento, è uscire sempre con almeno un compagno di pedalata. Quarto, il modulo Cai, che può costituire altra fonte di prova per la corretta ricostruzione della dinamica: occorre chiederlo all’automobilista. Quinto e ultimo, chiamare un’associazione come Zerosbatti: l’associazione, infatti, è a disposizione dei propri associati, specialmente in queste fasi, ed è solita seguirli passo passo.

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* Avvocato e pubblicista, oltre a guidare lo Studio legale Balconi, con l'associazione Zerosbatti garantisce assistenza ai ciclisti in caso di incidente

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"FONDAMENTALE EFFETTUARE LE MOSSE GIUSTE NELL’IMMEDIATEZZA DELL’EVENTO. PER QUESTO MOTIVO ABBIAMO DIVULGATO UN VADEMECUM CHE TANTI CICLISTI HANNO PLASTIFICATO E INSERITO NELLA BORRACCIA PORTA-ATTREZZI INSIEME ALLO SMARTPHONE"


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CITTÀ IN MOVIMENTO

IDEE E PROGETTI PER LE METROPOLI E IL TERRITORIO

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SUMMER

di

/ GIOVANNI IOZZIA /

SENZA PARCHEGGI LA BICI RESTA A CASA PROVVEDERE ALLA CUSTODIA IN SICUREZZA DEL MEZZO A PEDALI È PARTE INTEGRANTE DI UNA MOBILITÀ VERAMENTE SOSTENIBILE. SERVE COLLABORAZIONE PUBBLICO-PRIVATO

/La velostazione Weelo a Parma. Nella pagina seguente l'app per gestire la sosta/

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CITTÀ IN MOVIMENTO

Perché ancora non usiamo la bici in città quanto dovremmo e potremmo? Perché non ci sentiamo sicuri, quando pedaliamo ma anche quando ci fermiamo e non sappiamo dove parcheggiarla o temiamo che ce la rubino. Si parla tanto di piste ciclabili, che garantiscono la sicurezza in marcia, ma si parla molto meno di velostazioni, i parcheggi dedicati alle due ruote. Chiamamole pure ciclostazioni, rinunciando al francesismo. Ce ne sono già tante in giro per l’Italia, a macchia di leopardo e tutte diverse e con diversi sistemi di gestione e tariffe. Ma quante siano esattamente nessuno lo sa. Non c’è ancora un censimento delle numerose iniziative private e pubbliche o miste e certamente prima o poi a farne uno ci penserà il ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile, che sta lavorando alla definizione del primo Piano generale per la mobilità ciclistica in Italia. Ci sono in ballo i 600 milioni di euro previsti dal Pnrr per finanziarie ciclovie turistiche e urbane e sarebbe utile non pensare solo ai percorsi ma anche alla sosta. A Milano il Comune investirà 2 milioni per creare mille posti bici all’interno delle stazioni della metropolitana. A Terni hanno impiegato due anni per realizzare la seconda ciclostazione della città in una laboriosa dialettica fra operatori privati, Comune e Polizia locale. A Vicenza entro fine anno si attende l’apertura di una ciclostazione in vetro e acciaio per cento bici su due livelli nella cittadella degli studi (un’area dove si trovano cinque istituti scolastici con circa 6mila studenti e un migliaio fra dipendenti e insegnanti). Un modello resta il Bikepark di Rimini dove si può lasciare la bici e, se serve, farla riparare o noleggiarne una: il progetto,

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nato nel 2019, ha superato la crisi da pandemia, è sostenuto dall’amministrazione comunale e gestito da una cooperativa sociale. “Ci sono più bici private che in sharing, ma spesso restano in cortile o in garage. Bisogna incentivare i cittadini a tirarle fuori perché la bici è il veicolo più veloce e comodo per i percorsi fino a cinque chilometri”, osserva Gianluca Pin, presidente di Bicincittà, società che gestisce servizi di bike sharing in un centinaio di città e che ha brevettato Weelo, un format di velostazione gestito via app che può accogliere fino a 80 bici ma è stato pensato in diversi formati. La prima è stata inaugurata a Parma a febbraio: il progetto prevede la creazione di una rete in prossimità di centri di aggregazione come ospedali, scuole, università. E poi ci sono le stazioni. “Il 50% degli italiani abita in un raggio di tre chilometri da una stazione ferroviaria, che non è più un punto di arrivo e partenza ma anche un luogo di ritrovo”, osserva Luigi Contestabile, responsabile sviluppo servizi delle stazioni presso Rete ferroviaria italiana (Rfi). Ma ancora sono troppi i Comuni che non hanno inserito le stazioni nella rete di piste ciclabili. Quando questo succede, allora si apre la ciclostazione in… stazione (che non viene mai gestita da Rfi). Attualmente ce ne sono 23, dentro o nelle vicinanze, da Bologna a Verona, da Firenze a Mestre. “E nelle stazioni che stiamo riprogettando o ristrutturando 18 su 57 avranno una velostazione”. Perché non tutte? “La velostazione serve solo quando ha senso”, risponde Contestabile. “Nelle città dove la ciclabilità è una realtà, quando c’è la domanda e c’è una decisa politica locale a sostegno della ciclabili”.


SUMMER

Quanto costa una velostazione? “Circa 135 mila il top di gamma di Weelo, ma per il box da 10 bici che occupa lo spazio di un posto auto, bastano circa 25mila euro”, risponde Pin. “Sono investimenti che le amministrazioni locali possono far rientrare nel Pnrr”. Per la velostazione di Vicenza è stato previsto un costo di 229mila euro. Più che i capitali, servono però visione, progettazione e capacità di gestione. Non si potranno sviluppare le velostazioni in Italia senza un’illuminata collaborazione fra soggetti pubblici e privati. E lo dimostra, in negativo, la parabola della prima del Sud, aperta a Bari nel 2016 dagli imprenditori di Veloservice e chiusa nel 2021 perché non è stata rinnovata la convenzione per l’uso dello spazio sotto i binari delle Ferrovie appulo lucane, non è stata completata la riqualificazione promessa della zona e neanche la pista ciclabile, in cinque anni.

/©Foto Shutterstock/

“La bici è un ecosistema che funziona se tutte le componenti crescono in maniera equilibrata”, conclude Contestabile, che è un ciclista. “La spinta è nella direzione giusta, finalmente la ciclabilità viene considerata nel sistema di mobilità urbana ma non basta copiare il modello olandese. Va fatto un percorso collettivo di crescita culturale”.

/Qui e nella pagina successiva esempi di velostazioni ad Amsterdam/

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CITTÀ IN MOVIMENTO

DAL BIKEPARK A RIMINI FINO ALLA VELOSTAZIONE DI PARMA, ESEMPI CHE TRACCIANO UNA VIA IN ITALIA NON MANCANO. ED È UN BENE PERCHÉ COPIARE IL MODELLO OLANDESE NON BASTA 85


SUMMER

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/ ENRICO SALVI /

LA CULTURA DELLA PROTEZIONE MIPS È L’AZIENDA SVEDESE CHE HA BREVETTATO IL SISTEMA DI DIFESA PER CASCHI DALL'IMPATTO MULTIDIREZIONALE. DA UN RICERCA COMMISSIONATA EMERGE L'IMPORTANZA DI CONOSCERE I RISCHI PER PROTEGGERSI NEL MODO MIGLIORE

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CITTÀ IN MOVIMENTO

La sicurezza dei ciclisti è anche un fatto di cultura, non solo quella riferita al codice della strada. La società di sondaggi Nielsen, in una ricerca effettuata su clienti americani e tedeschi, rivela infatti una grande lacuna nella conoscenza dei danni cerebrali e nella prevenzione attraverso i caschi. L’indagine, commissionata dall’azienda svedese Mips, è stata condotta su un campione di mille americani e mille tedeschi, divisi equamente tra uomini e donne, tra i 18 e i 65 anni. Soggetti scelti tra chi ha acquistato un casco negli ultimi tre anni o ha intenzione di comprarne uno nei prossimi sei mesi per attività sportive (ciclismo, arrampicata sportiva, equitazione, motociclismo, sci, snowboard, sport di squadra) oppure per un utilizzo di tipo work&safety.

Il sistema di protezione da impatto multidirezionale imita il comportamento del liquido cerebrospinale, che ricopre interamente il cervello e cerca di assorbire i colpi. I caschi dotati di Mips safety system replicano la stessa dinamica ricorrendo a una membrana interna che, grazie a una capacità di corsa fino a 15 millimetri lungo tutte le direzioni, consente all’elmetto di scaricare meglio la forza dell’impatto a terra e alla testa di ‘scivolare’ all’interno della calotta con una decelerazione più dolce. Come studi dell’Us department of health and human services e dell’Università del Michigan hanno dimostrato, l’impatto che principalmente provoca danni e commozioni cerebrali non è quello frontale ma obliquo – quello più frequente nei ciclisti – derivante proprio dal movimento rotazionale della testa quando tocca l’asfalto. Dal lavoro di ricerca e sperimentazione di Mips sono giunti 36 brevetti, 143 aziende partner e 14 milioni di prodotti complessivi tra sport e sicurezza sul lavoro. Un sistema entrato nella sicurezza del ciclismo professionistico, usato dalla metà dei team che corrono al Tour de France.

Ciò che è emerso è che sette acquirenti americani su dieci, e sei tedeschi su dieci, non sono a conoscenza di quanto il casco possa proteggere dal cosiddetto movimento rotazionale. Complessivamente, il 70% proprio non ne conosce il significato. Mips, invece fa proprio della protezione su questo aspetto relativo agli urti da caduta, una vera e propria ‘battaglia’ culturale, iniziata orma 25 anni fa, quando fu fondata dal neurochirurgo svedese Hans von Holst.

Dall’uso nel professionismo fino all’amatore, la cultura è un fattore di sicurezza: “Nel mondo, le lesioni cerebrali spesso sono poco conosciute”, afferma Halldin. “Non c'è niente di più importante per noi che migliorare la sicurezza e aiutare ad aumentare l'informazione sulle lesioni cerebrali”, osserva, perché, “se alle persone non vengono fornite informazioni rilevanti, come possono prendere decisioni consapevoli?”.

Dopo aver osservato nella sua carriera gravi casi di danni cerebrali a ciclisti, motociclisti e sciatori senza evidenti escoriazioni sui caschi, von Holst ha infatti lavorato all’ideazione di un sistema innovativo: Mips, appunto, che significa multi-directional impact protection system e che ha dato il nome all'azienda fondata insieme ai professori del Kth Royal Institute of Techology di Stoccolma Peter Halldin e Svein Kleiven.

/Per Mips la qualità dei test è fondamentale. Nella pagina precedente uno dei nuovi modelli della serie di caschi/

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di

/ GIOVANNI IOZZIA /

L’AUTOMOTIVE PENSA SMART L’INDUSTRIA DELL’AUTOMOBILE STA RIFORMANDO IL SUO APPROCCIO AL CONCETTO STESSO DI MOBILITÀ: NON PIÙ SOLO NUOVI MODELLI E QUOTE DI MERCATO MA SVILUPPO DI SOLUZIONI INNOVATIVE E ADATTAMENTO PROGRESSIVO ALLE ISTANZE DELLA SOSTENIBILITÀ

Se un marchio storico come Mercedes-Benz ha battezzato a inizio 2022 la sua divisione mobility nello stesso giorno, il 29 gennaio, in cui nel 1886 l’ingegnere Carl Friedrich Benz fece domanda di brevetto per la sua prima vettura, vuol dire che per l’industria dell’auto la mobilità intelligente e sostenibile è l’inizio di una nuova era, la speranza di una rinascita dopo anni difficili, dal dieselgate (lo scandalo delle manipolazioni delle emissioni dei motori diesel Volkswagen, 2015) alla pandemia (primavera 2020). I grandi produttori sono al lavoro per immaginare un futuro che non li veda più solo come costruttori di auto: hanno cominciato a mettere il loro marchio su bici e monopattini, studiano veicoli leggeri per muoversi in città con un minore impatto ambientale e soprattutto si stanno attrezzando per passare dalla vendita di un prodotto verso l’offerta di servizi di mobilità. Del resto il mercato è in costante contrazione (in Italia ad aprile si è registrato un crollo del 33% rispetto allo stesso mese del 2021) per diverse ragioni, dalla pandemia alla mancanza di chip ma anche per la crescita parallela dei servizi di smart mobility che, soprattutto nelle città, permettono di muoversi più velocemente e ridurre le emissioni di CO2. La sostenibilità è un valore per le nuove generazioni che si fa sentire sui conti economici delle grandi aziende.

Tutto è cominciato con il car sharing, oltre 10 anni fa (il debutto di Car2Go risale al 2008 ma in Italia arrivò nel 2013, a Milano), con Mercedes che propone su larga scala la possibilità di affittare una Smart per il tempo che serve. L’auto condivisa ha avuto una battuta d’arresto durante l’emergenza sanitaria, ma è ormai un modello su cui punta adesso Stellantis (la casa nata dalla fusione di Fca e Psa): con la sua divisione di mobilità Free2Move a inizio maggio ha acquisito proprio da Mercedes ShareNow (il nome preso da Car2Go dopo la fusione con l’analogo servizio di Bmw). Obiettivo: la leadership globale, grazie all’importante presenza di Stellantis negli Stati Uniti, che manca alla casa tedesca. Di certo Mercedes non ha rinunciato alla nuova mobilità. Produce bici, la nuova divisione propone numerose soluzioni per la gestione di servizi di mobilità individuali e delle aziende, ragiona sui dati e sulle smart city e pensa al futuro in cui l’auto non sarà più solo un mezzo di trasporto, ma un luogo di intrattenimento (con la guida autonoma potremo anche guardare un film o una lezione in tv) e un sistema di pagamento. Mercedes punta a diventare la prima azienda in Europa a permettere i pagamenti con l’auto, in partnership con Visa entro il 2022, a partire da Gran Bretagna e Germania.

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CITTÀ IN MOVIMENTO

/La mobilità sostenibile secondo Mercedes/

/Mountain bike a bordo di un van Mercedes/

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L’energia e la mobilità sono il punto di arrivo del piano strategico di Renault che il ceo Luca De Meo ha chiamato ‘Renaulution’. L’elettrificazione è al primo posto e prevede tre fasi: ‘Risurrezione’ (e la parola dice già molto sullo stato dell’industria), ‘Rinnovamento’ fino al 2025 e, dopo, ‘Rivoluzione’: fare business con la tecnologia, i dati, l’energia e la mobilità e non più con la vendita delle auto. Per questa nuova frontiera Renault, che produce anche monopattini e bici elettriche pieghevoli, ha creato una società dedicata, Mobilize, che ha appena compiuto un anno e ha come slogan “Beyond automotive”. Andare oltre la missione tradizionale delle case automobilistiche: non vendere più (solo) prodotti ma servizi in abbonamento, da pochi minuti a diversi mesi. Dopo Spagna e Francia, in maggio, ha debuttato a Milano il suo servizio di car sharing, Zity, totalmente elettrico.

MERCEDES-BENZ INAUGURA UNA DIVISIONE MOBILITY DEDICATA ALL'OFFERTA DI SERVIZI E SEMPRE PIÙ SONO LE CASE CHE, DA STELLANTIS A TOYOTA, PUNTANO CON FORZA SULLO SHARING. SONO SOPRATTUTTO GIOVANI E UTENTI URBANI A SPINGERE PER IL CAMBIAMENTO

Toyota ha invece scelto di mettere a disposizione da 30 minuti in poi praticamente il suo parco auto. Il servizio si chiama Kinto, dalla parola giapponese Kintoun, la nuvola volante che trasporta Goku, il protagonista del cartone animato Dragon Ball. Il messaggio è chiaro: vi aiutiamo a muovervi nel modo più leggero e flessibile possibile, persino a Venezia dove è il primo car sharing disponibile. Ma non c’è solo l’auto: con Kinto Join si fa car sharing con i colleghi per andare da casa al lavoro, con Kinto Go, invece, si possono comprare biglietti del trasporto locale, del treno, prendere e pagare taxi, parcheggi. Il futuro è mobile e non necessariamente su auto. Basti vedere il progetto di e-bike di Bmw per la mobilità urbana: Vision Amby (che sta per adaptive mobility): tre livelli di velocità, una versione motorad con acceleratore e pedana, come uno scooter, telaio aggressivo con alloggiamento per lo smartphone e autonomia fino a 300 chilometri, solo tre ore per la ricarica.

/Con Mobilize Renault porta l'auto dentro l'app/

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CITTÀ IN MOVIMENTO

/Vision Amby di Bmw/

/La campagna per Kinto di Toyota ricorda la nuvola di Dragon Ball/

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/ GIOVANNI IOZZIA /

AL LAVORO FELICI CON LA BICI LA MOBILITÀ CONDIVISA E SOSTENIBILE È ENTRATA A PIENO TITOLO NEL NOVERO DEI BENEFIT AZIENDALI. BREVE VIAGGIO TRA LE REALTÀ CHE IN ITALIA HANNO DECISO DI FAR PEDALARE LE PROPOSTE DI WELFARE Dall’auto alla bici aziendale. Cambia il mondo e cambiano i benefit. La mobilità intelligente è diventata un ingrediente sempre più presente in quella miscela di agevolazioni e vantaggi, chiamata welfare aziendale, che le aziende preparano per il benessere dei dipendenti. O per attirarne di nuovi. In Italia il mezzo ancora più utilizzato per muoversi resta l’automobile privata. Una scelta fatta controvoglia, però, perché il traffico non piace a nessuno e poi cresce la consapevolezza del suo impatto negativo sull’ambiente. Un italiano su due, secondo l’osservatorio Chance lab Italia 2030 di Groupama Assicurazioni, afferma di voler rivedere le proprie abitudini di mobilità, ma nei prossimi dieci anni. E ci muoviamo meno ma vorremmo muoverci meglio. Un ‘aiutino’ non dispiace e arriva dalle aziende. Secondo l’Arval mobility observatory 2022, in Italia sono in proporzione più di sette su dieci le persone che hanno già avviato almeno una soluzione di mobilità alternativa, l’83% se si considera anche chi intende farlo nei prossimi tre anni. È il lavoro del mobility manager, figura obbligatoria per legge dal 2020 nelle grandi aziende e nelle pubbliche amministrazioni (sopra i 100 dipendenti), che analizza le abitudini di mobilità dei dipendenti e trova le soluzioni più intelligenti e, soprattutto, sostenibili. A una bicicletta per le aziende ha pensato Pirelli: una e-bike premium con freni a disco, gps integrato, cambio a dieci velocità e fino a 115 chilometri di autonomia, proposta con un pacchetto che prevede rastrelliera, manutenzione, piattaforma digitale per le prenotazioni. Tutti i costi per l’azienda sono deducibili. Questa è una delle tante

proposte di micromobilità che si trovano all’interno di Mobility company, la piattaforma creata da Movesion (società di ingegneria che dal 2014 sviluppa soluzioni per la mobilità delle aziende) e che è entrata nell’offerta della multinazionale francese Edenred (quella dei ticket restaurant), a conferma del ruolo crescente della mobilità nel welfare aziendale. Propongono soluzioni alternative all’auto privata ormai tantissime aziende, da Unipol a Electrolux, da Ntt Data, a Terna, da Open Fiber a Hitachi, da Armani a Eni, da Autogrill a Ducati, da Intesa Sanpaolo a Tim, per citarne solo alcune. Che cosa offrono? Dall’abbonamento ai trasporti pubblici ai veicoli in sharing a prezzi scontati, fino alla bici aziendale oppure il car pooling. In Enel, ad esempio, è stata data la possibilità a chi lavora negli uffici di Roma e Milano di utilizzare gli scooter elettrici di Cooltra. Come hanno fatto anche Huawei, Mango e il gruppo assicurativo Axa. Non a caso la sharing mobility è ben presente su Tbusiness, la piattaforma lanciata da Telepass per aiutare le aziende a ottimizzare la mobilità dei dipendenti, tenendo sotto controllo i costi. La mobilità intelligente in azienda è l’approdo di un percorso graduale. In Fastweb, ad esempio, prima sono stati analizzati i bisogni dei dipendenti, poi è stata fatta molta comunicazione interna, quindi si è cominciato con gli abbonamenti per il trasporto pubblico in tutte le città dove la società è presente, poi sono stati attivati i servizi in sharing. L’importante è proporre ciò che davvero serve: le esigenze (e le destinazioni) di chi va in ufficio, per esempio, sono molto diverse da quelle di chi lavora in fabbrica. E le risposte non possono essere le stesse per tutti.

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CITTÀ IN MOVIMENTO

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GIANTS IL VIAGGIO ALLA SCOPERTA DELLE ECCELLENZE ITALIANE TRIESTE 7 luglio 2022

BRESCIA

SASSARI

30 marzo 2022

12 ottobre 2022

TORINO 31 maggio 2022

BARI 10 novembre 2022

FIRENZE 13 settembre 2022

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CICLO ECONOMICO

STORIE ESCLUSIVE DI INNOVAZIONI E SUCCESSO

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/ MATTEO RIGAMONTI /

COLPO DI PEDALE BOOM DEL CICLOTURISMO E RITORNO IN EUROPA DELLE PRODUZIONI DAL FAR EAST RILANCIANO LA CORSA DELL'ECOSISTEMA DELLA BICICLETTA. UN OSSERVATORIO DI BANCA IFIS, PRESENTATO ALL’ITALIAN GREEN ROAD AWARD, DELINEA LE PROSPETTIVE PER IL TRIENNIO 2022-2023

Crescita del cicloturismo e rientro in patria delle produzioni tirano la volata all'Italia della bicicletta. Lo evidenzia con ricchezza di particolari la seconda edizione dello studio di Banca Ifis intitolato Ecosistema della bicicletta che fotografa andamento e prospettive di un settore protagonista nella transizione sostenibile. Presentato nell’ambito dell’Italian green road award (l’Oscar italiano del cicloturismo andato in scena a Matera durante il primo fine settimana di giugno), di cui l’istituto è main partner, l’osservatorio evidenzia come, con oltre 3,2 milioni di pezzi fabbricati nel 2021, l’Italia sia il primo produttore europeo di biciclette, con un fatturato in aumento del +7,4% rispetto al 2020 a 1,6 miliardi di euro. Un settore il cui ‘boom’ è solo all’inizio, secondo quanto osserva Banca Ifis: nel triennio 20212023 l’incremento nella produzione di biciclette è previsto di oltre il 7% anno su anno. A fare da traino, in particolare, è l’e-bike che, con un +25%, arriva a rappresentare l’11% della produzione (in aumento dal 9% del 2020). Anche per quanto riguarda la pedalata assistita l’Italia si conferma primo produttore europeo con una quota di mercato del 21%, seguito da Germania e Portogallo, e con un saldo export/import di biciclette positivo per 1,3 milioni di pezzi, in crescita a sua volta

del +23% sul 2020. Un aumento di domanda che spinge i fatturati dei produttori (di muscolari ed elettriche) attesi in crescita annua media del +7,3%, fino a superare complessivamente gli 1,8 miliardi di euro al termine del triennio. La positiva congiuntura per l’economia del pedale favorisce altresì l’innovazione: il 25% dei produttori ha già aumentato la quota degli investimenti nel biennio 2020-2021, e il 70% li ha comunque mantenuti invariati. Innovazione oggettivamente più ardua da quantificare, ma senza dubbio presente – come testimoniano inequivocabilmente le ciclovie d’eccellenza premiate dall’Oscar –, è invece quella relativa al cicloturismo. Un mondo in fermento, se è vero che il 90% degli operatori turistici italiani prevede una crescita dei ricavi ad esso attribuibili. Del resto, sono 4.900 i percorsi adatti alle due ruote in Italia, per una lunghezza complessiva di 90mila chilometri; quasi 5mila gli operatori turistici con un’offerta cicloturistica e 4.550 gli alberghi e hotel che già oggi mettono a disposizione servizi dedicati alla bicicletta. Senza dimenticare l’ampio ventaglio di servizi (noleggio, tour di gruppo, alloggio e copertura assicurativa quelli più richiesti) che ogni giorno rispondono alle esigenze degli 8 milioni gli italiani interessati al cicloturismo, il 16% della popolazione maggiorenne.

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/©Foto Shutterstock/

CICLO ECONOMICO

L'ITALIA È IL PRIMO PRODUTTORE EUROPEO CON UN FATTURATO COMPLESSIVO PARI A 1,6 MILIARDI DI EURO. MA LA CRESCITA ATTESA È SUPERIORE AL 7% ANNO SU ANNO

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Il faro del cicloturismo resta il Trentino-Alto Adige – non a caso menzione speciale con la Green road delle Dolomiti da parte della giuria di esperti e addetti ai lavori che tributano l’Oscar ideato da Ludovica Casellati – e il Nord-Est la destinazione scelta più frequentemente (32% tra le mete cicloturistiche). Ma è tutto il Paese che si sta rapidamente attrezzando per diventare meta attrattiva per il turismo in bicicletta (che oltretutto ha il merito di essere praticato anche fuori dai periodi di alta stagione) e la provenienza territoriale delle best practice sul podio dell’Oscar lo conferma: primo classificato il Grand Tour Valle del Savio, un percorso permanente di 172 chilometri nell'omonimo ‘bike hub’, da Cesena a Bagno di Romagna; Strade di Marca, al secondo posto, un anello di 112 chilometri proposto da Marche Outdoor e che tocca cinque valli marchigiane, dalla Val di Chienti alla Val Tenna; terza la Lombardia con la Ciclabile della Valchiavenna, da Colico (Lc) a Villa di Chiavenna; ulteriore menzione speciale, infine, da parte di Legambiente alla Ciclovia dell’Ofanto, in Puglia, all’interno del Parco natuale del fiume omonimo.

Da ultimo, un dato che conferma come la bicicletta non sia più solamente sinonimo di artigianalità made in Italy. In tutta Europa cresce, infatti, l'interesse dei fondi di investimento verso l'industria del pedale: nel 2021 si è assistito a un vero e proprio exploit, complici anche iniziative di una certa portata, che si è tradotto in un +175% nel numero di operazioni di M&A finalizzate, nonché in un incremento degli investimenti, anche sui servizi collaterali (come, per esempio, piattaforme di sharing a assicurazioni dedicate, fino al noleggio). Un trend che ha posizionato, ancora una volta, la bicicletta come protagonista della rivoluzione nella mobilità.

Chi sceglie l'Italia, poi, non sono solo i turisti lenti in cerca di angoli di paradiso per gli amanti della bicicletta, ma anche le migliori aziende che in tempi recenti avevano spostato la produzione nel Far East. Il market watch di Banca Ifis stima, infatti, che la fabbricazione di 2,8 milioni di biciclette all’anno rientrerà in Europa, con un’accelerazione nel biennio 2022-2023, corrispondente al 18% della produzione totale europea. Un'opportunità produttiva enorme che può significare nuovi business, nuovi posti di lavoro, investimenti e competenze, formazione compresa.

/A presentare lo studio dedicato all'ecosistema della bicicletta il responsabile del centro studi di Banca Ifis, Carmelo Carbotti, primo da destra sul palco dell'Oscar italiano del cicloturismo, a Matera, con Marino Bartoletti e Ludovica Casellati/

Un fenomeno, oltretutto, di cui sembrerebbe beneficiare anche l'ambiente: secondo l'istituto di credito, oltre 2 milioni di tonnellate di inquinamento da anidride carbonica e solforica vengono risparmiate ogni anno in Europa, proprio grazie al rientro della produzione di bici, e-bike e componenti. In particolare, ogni lavoro ricollocato nell’industria europea della bici porta a un risparmio che va dai 30 ai 50 milioni di tonnellate di emissioni nocive. Dal punto di vista della sostenibilità sociale, per ogni mille bici riconsegnate all’assemblaggio ogni anno in Europa, vengono creati dai tre ai cinque posti di lavoro, mentre per ogni mille e-bike l’intervallo è compreso tra i sei e i nove.

LE CICLOVIE DA OSCAR PREMIATE A MATERA CONFERMANO CHE L’ITALIA SI È ATTREZZATA PER DIVENTARE META ATTRATTIVA CON SERVIZI DI PRIMO LIVELLO E ITINERARI DI QUALITÀ

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CICLO ECONOMICO

/La Green road delle Dolomiti/

/Il Grand Tour Valle del Savio/

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/ FABRIZIO ROSSI /

CAMBIO AUTOMATICO PER BICI MUSCOLARI ROSARIO ALIPERTI È INGEGNERE IN UNA FABBRICA DI VEICOLI INDUSTRIALI MA FIN DA PICCOLO SOGNAVA DI RENDERE PIÙ EFFICACE LA PEDALATA IN BICI. COSÌ HA INVENTATO UN DISPOSITIVO INTELLIGENTE CHE SCALA LE MARCE OTTIMIZZANDO LO SFORZO GRAZIE A SENSORI E UNA CENTRALINA SMART Il modello zero lo tiene ancora appeso nel suo laboratorio. Un prototipo che Rosario Aliperti s'è costruito sei anni fa in casa, montando sul telaio un modem riciclato. Da quell'esperimento ne ha fatta di strada la Aliperti Bike, diventando nel 2019 il primo brevetto di bicicletta con cambio automatico a propulsione esclusivamente umana, in vendita al pubblico dal 2020. Qual è l'origine di tutto? “Fin da bambino mi sono sempre chiesto: esiste un modo per andar più veloci, sforzandosi di meno?”, spiega l'ingegnere classe 1987 che a Modena progetta per una ditta veicoli industriali. Da qui, l'intuizione di provare ad ottimizzare la marcia, istante per istante: “Un po' per gioco ho iniziato ad assemblare questo prototipo, recuperando dal garage la bici che usavo da bambino”. Nei ritagli di tempo, mettendoci due anni. E gli amici, dopo averla provata, lo hanno incoraggiato: “Devi farla conoscere a tutti”. In cosa consiste questa innovazione? È una bicicletta dotata di cambio continuo (Cvt) a comando elettronico, studiato per minimizzare lo sforzo di pedalata e migliorare il comfort di guida. Pedalando, infatti, il senso di fatica percepito non è univoco, ma dipende da una serie di fattori: lo stile e la cadenza di pedalata, la forza applicata al pedale, la temperatura dell’ambiente, l’umidità e

l’altitudine. La Aliperti Bike, dunque, riesce a monitorare lo sforzo di chi la usa, variando il rapporto di trasmissione attraverso il cambio a rapporti continui. Tutto ciò grazie ai suoi sensori (tra cui: sensore di coppia e di cadenza, tachimetro, giroscopio, accelerometro), collegati con il ‘cervello’ della bicicletta: una centralina elettronica, fissata al telaio, con il compito di analizzare ed elaborare le misure fornite dai sensori, per determinare il rapporto ottimale ed innestarlo. Risultato? Una pedalata sempre fluida e omogenea, che si adatta sia alle condizioni stradali che alle caratteristiche dell’utente, minimizzando la fatica compiuta. In un mercato che sta offrendo sempre più biciclette elettriche, la Aliperti Bike rappresenta anche una ‘smart bike’ in grado di monitorare e condividere tutti i parametri della pedalata. La centralina, tramite bluetooth, permette di connettere pc, smartphone e tablet. Il gps geolocalizza la bicicletta per tracciarne gli spostamenti. E un dispositivo di interfaccia detto controller, dotato di display a colori e joystick orbitale, consente di navigare tra le funzionalità e visualizzare in tempo reale velocità, temperatura, bussola, distanza percorsa, cadenza di pedalata, potenza, pendenza della strada, frequenza cardio e altitudine.

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COME ANDARE PIÙ FORTE RIDUCENDO LO SFORZO? ERA LA DOMANDA CHE HA ANIMATO, FIN DA RAGAZZO, LA SUA PERSONALE RICERCA. ORA CON ALIPERTI BIKE HA BREVETTATO LA RISPOSTA

/Dettagli del cambio continuo a comando elettronico progettato da Rosario Aliperti, a destra con le sue bici/

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/ ANDREA RONCHI /

ELEGANZA VINCENTE LA CASA MOTOCICLISTICA MV AGUSTA RINNOVA LA PROPOSTA DI MOBILITÀ ELETTRICA DEDICATA AL TEMPO LIBERO. CON UNO STILE CHE UNISCE L’EREDITÀ DI UNA STORIA DI SUCCESSI IN PISTA ALL’INNOVAZIONE PER LA VITA DI OGNI GIORNO

/L’e-bike di Mv Agusta Amo Rr/

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CICLO ECONOMICO

Esperienza, stile e passione. Sono gli elementi che, da oltre 75 anni, guidano le scelte dello storico brand italiano Mv Agusta. Anche ora che l'azienda varesina ha deciso di ampliare il suo concetto di mobilità con il progetto e-mobility, una linea di biciclette elettriche per la vita di ogni giorno, ispirata alle performance delle sue moto. Da sempre Mv Agusta è sinonimo di tecnologia e design made in Italy, al punto tale da essere divenuta una vera e propria icona nel mondo motori e due ruote. Nata nel 1945 come società anonima, ha conosciuto la svolta nei primi anni Cinquanta quando, grazie anche agli investimenti frutto dell'approdo in Borsa, ha di fatto monopolizzato le competizioni motociclistiche per oltre un ventennio, divenendo la casa motociclistica europea più vincente di ogni epoca. Oggi, dopo una serie di cambi di proprietà, l'azienda ha ritrovato la propria vocazione e ha accettato la sfida offerta dalla mobilità alternativa. Ed è guidata ancora dalla medesima voglia di innovare che ne è quasi la filosofia. Il risultato? Mezzi elettrici unici, dove la contaminazione tecnologica si sposa con linee originali. Nel dettaglio, Mv Agusta propone due famiglie di mezzi di trasporto leggeri, funzionali e di design: le e-bike Amo e il monopattino elettrico Rapido. Le e-bike sono ideali per la città grazie alla loro agilità e all'aspetto minimal, ma sono anche adatte per le lunghe percorrenze grazie all'ampia autonomia. I tre i modelli della famiglia Amo hanno un design attraente, con telaio lineare, e la trasmissione con cinghia in carbonio che garantisce silenziosità e

/Il monopattino Mv Rapido serie oro/

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riduce al minimo la necessità di manutenzione. La R è l'entry level. Accomunata alle sorelle maggiori dal motore Mahle X35, estremamente leggero e in grado di sviluppare 40 Nm di potenza, monta freni Sram Level e ruote in alluminio completate da pneumatici Pirelli Cycl-e Dt Sport che vantano buona capacità di rotolamento e aderenza. Disponibile in colorazioni opache nero e verde oliva. La Amo Rr, invece, ha freni Magura e si presenta in due colorazioni: nero-giallo e rosso-giallo. Se Mv Augusta è sinonimo di esclusività, la serie limitata Amo Sv ne è sicuramente un esempio: ispirata alla leggendaria Mv Agusta Superveloce, lo stile di questa e-bike è frutto del bilanciamento tra suggestioni classiche e componenti di alto livello, tecnologia moderna di chiara derivazione motociclistica: monta gomme Pirelli Angel Gt Urban, sella Brooks Cambium C17 e freni idraulici Magura. Si presenta in due colorazioni, giallo brillante e rosso opaco. L'offerta di mobilità alternativa si completa con il monopattino Mv Rapido serie oro. Non un semplice monopattino, bensì un concentrato di ricerca che mira a cambiare radicalmente il mondo degli e-scooter. È come se decenni di ricerca e ingegneria venissero concentrati nel corpo di un monopattino. Il motore brushless fornisce una potenza continua di 500 Watt e consente un'eccellente ripresa sia in partenza che nei tratti in salita. Quattro livelli di erogazione disponibili: pedonale, eco, comfort e sport. Tutti i modelli sono sul sito Emvagusta.com/it.


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/ ENRICO SALVI /

PERFORMANCE SU MISURA PRODUZIONE ARTIGIANALE SOSTENIBILE E DI QUALITÀ, TESTER PROFESSIONALI E MASSIMA PERSONALIZZAZIONE. È LA RICETTA DI SLOPLINE&MADBROS PER CRESCERE NEL MERCATO DELL'ABBIGLIAMENTO PER CICLISTI

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In un mondo delle due ruote in cui la multidisciplinarietà e la personalizzazione sono sempre più diffuse, fondamentale è avere una proposta di prodotti ampia, variegata e su misura per ogni tipo di ciclista. Meglio ancora se 100% Made in Italy e con un occhio di riguardo alle tematiche ‘green’. Tra le aziende che vogliono diventare punto di riferimento nel mercato dell’abbigliamento sportivo in questo ambito, grazie anche al supporto di un team di professionisti del settore e macchinari propri, ci sono Slopline e Madbros, che si sono unite per raggiungere questoo obiettivo. Forti di un processo di produzione Made in Italy, anzi ‘Made in Brianza’ (con base a Cernusco Lombardone, in provincia di Lecco, ndr) Slopline&Madbros sfruttano la più che ventennale esperienza nel creare abbigliamento tecnico sportivo per ideare capi per tutti i tipi di ciclisti, prestando attenzione alla qualità, alla velocità di produzione nonché alla personalizzazione, grazie anche alla precisione del servizio di post-vendita. Tutto è nato dopo lo scoppio della pandemia da coronavirus, quando si sono unite Slopline, marchio conosciuto prevalentemente nel mondo del ciclismo tradizionale, inteso come bici da corsa, mtb e gravel, e MadBros, che, oltre al mondo del motocross, cura l’abbigliamento di tutto il comparto cosiddetto ‘gravity’ (e dunque bmx, freeride e downhill) ed elettrico, spaziando dall’e-bike e all’e-mountain-bike. L’unione fa la forza di questo ‘doppio marchio’ che ora ha identità e obiettivi davvero tanto unici quanto ben definiti. Lo dimostra la qualità del

processo di produzione, che parte dalla modellazione e dalla realizzazione del capo campione, che viene poi testato dai tester e dagli ambassador per ottenere feedback veramente tecnici. La progettazione grafica, intanto, attraverso il lavoro di figure interne e art director, ipotizza la migliore soluzione per i capi richiesti, sia dall’utente singolo sia dalle squadre. Un processo che si sviluppa quasi interamente nello stabilimento, che conta una ventina di dipendenti qualificati, e che si avvale anche del prezioso contributo di sviluppatori di eccellenza dal mondo delle due ruote, come, per esempio, il campione di Everesting Stefano La Mastra e il campione di endurance Nico Valsesia. Il risultato? Abbigliamento e capi tecnici pensati da ciclisti e per i ciclisti, dalla strada allo sterrato. Altro punto fermo in azienda è l’attenzione per la sostenibilità, come spiega a BIKE Davide Colombo, che, oltre ad essere tra i co-founder di Madbros, per il gruppo è responsabile commerciale e marketing: “Nel nostro stabilimento lavoriamo con materiali riciclati e parzialmente riciclati, utilizzando poliesteri, sacchetti ed etichette anch’esse riciclate”. Senza mai rinunciare, per nessuno dei quasi 1.500 capi al giorno prodotti in azienda, al valore artigianale di ciascuno, prodotto su misura del ciclista, sia che si tratti di un semplice appassionato sia che si tratti di atleti di alto livello con ambiziosi obiettivi. Ambizioso, del resto, è anche l’obiettivo di Slopline&Madbros: “Noi vogliamo diventare un marchio di riferimento nel mondo del ciclismo, a livello nazionale e internazionale”, assicura Colombo.

/Nella pagina precedente due esempi di capi firmati Slopline&Madbros. Qui sopra alcuni momenti del processo progettuale e produttivo/

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/ CATERINA LO CASTO /

I GIROVAGHI DEL PRANZO GREEN SI CHIAMA PASTO NOMADE LA STARTUP CHE A BOLOGNA CONSEGNA 'GAMELLE' A DOMICILIO DA CONDIVIDERE IN COMPAGNIA. SOLO CUCINA VEGETALE DAL TERRITORIO PER CURARE LE FERITE DEL LOCKDOWN E NUTRIRE LA CREATIVITÀ. IL RACCONTO DI PINA SIOTTO, FONDATRICE

/Pina Siotto, prima da destra, Cristina Fiorese, al centro, e Victoria Branda, a sinistra/

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Cucina vegetale globale, bici, relazioni, bellezza: in due parole Pasto Nomade. A Bologna la pausa pranzo torna a essere il cuore caldo della giornata, il cibo un atto rivoluzionario per noi, per la terra che ci nutre, per la comunità tutta. Il concetto di Pasto Nomade prende forza e si sviluppa dopo le chiusure del lockdown, nel periodo delle relazioni forzatamente virtuali, dalla necessità di sovvertire e rifondare l’idea di nutrizione e relazione con il cibo e con l’ambiente. Non c’è un pianeta B, nè un piano B se vogliamo vivere bene. “Abbiamo sentito l’urgenza di proporre un servizio che consegnasse pasti vegetariani e vegani in modo sostenibile per tutti”, dice Pina Siotto, cuoca e fondatrice di Pasto Nomade, e la bicicletta, ça va sans dire, è il mezzo migliore per farlo. Insieme a Cristina Fiorese, Alfredo Carlo e Victoria Branda, soci e menti del progetto, Pina concepisce e cucina pasti equilibrati, con vegetali locali e biologici, collaborando con Campi aperti, generando nuove opportunità di lavoro per produttori del territorio e aziende di Bologna. Il cibo caldo ed espresso, ordinato da app o dal sito, viene impiattato con cura all’interno di una ‘dabba’, contenitore in metallo a più piani che veniva usato per lo più dai lavoratori di Mumbai e viene trasportato dai riders di Ubm, azienda di corrieri in bicicletta con base a Bologna. “Le cargo bike trasportano le 'gamelle' fino agli hub amici sparsi per Bologna, creando nuove occasioni di relazioni tra aziende e persone”. Si può decidere di mangiare da Stefino, gelateria che accoglie e funziona da punto di consegna e ritrovo, oppure passare dal Forno Brisa per ritirare il pasto e comprare il pane, per esempio. La bellezza sta nel percepire la rinnovata necessità di fare rete, e il cibo è un potente mezzo di fusione e condivisione, di idee, culture e percorsi. Non a caso la scelta del contenitore indiano a colonna, sostenibile, sterilizzabile e riutilizzabile, simbolo di una cucina globale ma di territorio che profuma di tradizioni vicine e lontane, nutre senza appesantire, scalda senza impattare troppo sull’ambiente. Ridurre la carbon footprint è una necessità, e la bici è alleata preziosa, quando si parla di risparmiare sulle emissioni e sfrecciare veloci in mezzo al traffico urbano. “Ci affidiamo e collaboriamo solo con aziende del tessuto bolognese che hanno piacere di abbracciare la nostra filosofia di vita e di cucina” racconta Pina, perché ancora prima del mangiare bene si punta a costruire solide relazioni, lontane dal puro concetto del fare business. I contenitori vengono poi riportati dai riders nel laboratorio di Pasto Nomade, per essere sanificati e tornare a circolare per la città. Liberarsi dagli sprechi e puntare sulle amicizie sparse sul territorio è l’obbiettivo di questa startup che vede la bici come mezzo intelligente

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per vivere e fare impresa, per portare bellezza dalla terra alla tavola. “Per essere creativi bisogna nutrirsi bene”, osserva Pina nella cui mente e in quella dei suoi soci la cucina vegana e vegetariana, con la bici come mezzo, può unire ed essere parte di un processo di rigenerazione sociale ed ambientale. Concetto che sembra essere stato accolto benissimo a Bologna, tanto che, oltre al delivery, si sta sviluppando anche l’idea di fare catering.


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BIKE LIFE

BIKE

LIFE

CULTURA E TENDENZE SU DUE RUOTE

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/ MARZIA PAPAGNA /

RITORNO AL FUTURO

/©Foto Archivio Museo nazionale della scienza e della tecnologia/

NEI DEPOSITI DEL MUSEO DELLA SCIENZA A MILANO SI TROVANO LE RICCHISSIME COLLEZIONI STUDIO, DOVE SI POSSONO AMMIRARE MODELLI UNICI DI BICICLETTE CHE HANNO FATTO LA STORIA. UN MODO DIVERSO PER INTERROGARSI SULL’ORIGINE DELLA SMART MOBILITY

/Il biciclo di Pierre Lallement/

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BIKE LIFE

Quante meraviglie in via San Vittore. A Milano, già prima del 2020, il Museo nazionale della scienza e della tecnologia ha avviato un'importante riorganizzazione dei depositi che si trovano sotto al padiglione aeronavale. Così, da qualche mese, dietro un grosso portone di metallo si nascondono oltre 50 esemplari dalle più semplici biciclette ai primissimi modelli dei ciclomotori di celebri marchi come Guzzi, Gilera, Innocenti e Piaggio, fino a due degli oggetti più particolari: la Vespa e la Lambretta siluro che nel 1951 si contesero il record di velocità sul chilometro. Insieme a Marco Iezzi, curatore della sezione trasporti del museo meneghino, partiamo per un viaggio speciale all’interno di stanze poco frequentate dai visitatori e per questo motivo di grande fascino. In questi corridoi sotterranei la curiosità si amplifica: non è una classica esposizione, ma la valorizzazione di una sequenza di oggetti diversi l’uno dall’altro, un patrimonio riemerso dal tempo e mantenuto in sicurezza. Anche solo uno sguardo fa capire subito come il deposito sia tutt'altro che un mero luogo di stoccaggio, presenta anime diverse in cui si intrecciano la conservazione, lo studio e la scoperta. Un’area di circa 2.800 metri quadrati in continua evoluzione sotto il nome di Collezioni di studio: 7.800 beni conservati in onore della memoria collettiva. La pandemia ha inaspettatamente rappresentato un momento di riordino e progettazione per ripartire con creatività. “Come in ogni visita”, spiega Marco Iezzi, “il valore sta nel rapporto che costruisci con il visitatore, guidato a capire cosa è successo e cosa accadrà, ma anche in tutto il lavoro che c’è dietro ogni progetto”. Lo spazio dedicato alle due ruote racconta il design e il ruolo della bicicletta nei vari scenari culturali.

/©Foto ElenaGalimberti/

C’è poi la storica bicicletta del francese Lallement, un campione dei primi bicicli a pedali, “anche se”, puntualizza Iezzi, “non è ancora questo il mezzo di trasporto comodo che ci permette di fare degli spostamenti di città in città”. Il curatore ci racconta che si tratta di oggetti eleganti che l’aristocrazia delle grandi città sfoggia in circostanze particolari, “in pratica è un giocattolo di lusso per l’aristocrazia europea e nord americana”, chiosa. Cattura l’attenzione un tandem decisamente non comune, con i sellini in linea, uno al fianco dell’altro. Iezzi scioglie ogni dubbio e spiega che il meccanismo permette a uno solo di sterzare, mentre l’altro ha un appoggio sulla parte frontale. “Ognuno ha un freno”, dice illustrando il modello, “e i conducenti possono frenare e contribuire alla pedalata in maniera sincronizzata. La constatazione più interessante però è che i due cavalieri devono avere lo stesso peso, di fatto è una bilancia”, e continua: “anche la lunghezza della gamba non potrà essere molto differente”.

/©Foto ElenaGalimberti/

C’è un'ottocentesca draisina, senza pedali né freni, costruita con la collaborazione dei fabbricanti di carrozze. Il suo inventore Karl Christian Ludwig

Drais von Sauerbronn, aristocratico di vocazione democratica, voleva farne un mezzo di trasporto popolare, che sostuisse il cavallo e i suoi alti costi, per permettere a una fetta di popolazione sempre più ampia di muoversi comodamente. Invece, quasi una beffa per le sue buone intenzioni, finì per diventare un passatempo per aristocratici e giovani borghesi rampanti, tanto da essere chiamata, in Inghilterra, hobby horse, cavallo da divertimento. "Ci si muoveva puntando i piedi per terra", spiega Iezzi, e "grazie al movimento delle ruote, diventa evidente la sua comodità in un tratto in discesa, mentre in una zona pianeggiante si ha un movimento simile all’attuale monopattino”, prosegue. E "per la prima volta appare l’elemento fondamentale della bici: lo sterzo. In un passato non troppo lontano, ogni paese cercherà di attribuire a sé l’invenzione della bicicletta, fino a quando la comunità scientifica stabilì che è proprio Drais il creatore della bici”.

/La porta d’ingresso verso le Collezioni studio del Museo nazionale della scienza e della tecnologia/

/Marco Iezzi, curatore della sezione trasporti del Museo della scienza a Milano/

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SUMMER

gomme o alle cromature nascoste sotto un apparente ferro nero. Nel caso del museo dedicato a Leonardo da Vinci, fondamentale è la collaborazione con l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze per il restauro dei singoli pezzi.

/©Foto Archivio Museo nazionale della scienza e della tecnologia/

/©Foto ElenaGalimberti/

Il connubio delle parole cura e biciclette all’interno di un museo come questo, fa subito pensare al futuro. “Oggi c’è molta più attenzione al mondo della mobilità dolce”, conclude Iezzi, “è un dato di realtà il ripensamento della mobilità e dei trasporti in atto”. Non solo a Milano. Ecco perché, entro limiti economicamente sostenibili, anche il Museo della scienza cerca di stimolare il suo pubblico sull’argomento, puntando sulla scoperta di qualcosa che viene dal passato ma che aiuta a ragionare sul presente e sul futuro.

/©Foto ElenaGalimberti/

Subito accanto a quel particolare tandem ci sono due Bianchi con il tipico color verde salvia, una appartenuta a Fausto Coppi e l’altra utilizzata da Petit-Breton nel 1907 e con cui vinse la Milano-Sanremo. Il tema dei campionissimi, secondo Iezzi, è complesso perché può succedere che alcuni collezionisti, a cui i musei fanno affidamento, dicano piccole falsità per aumentare il valore del proprio bene. Ci vuole quindi una ricerca lunga e attenta, che si basa sull’analisi dei documenti originali rilasciati dal ciclista, dalle stesse ditte o dai comitati al momento della gara, per accertare i fatti. Insomma, ogni singolo passaggio che porta a completare una collezione di questo tipo comporta grande cura, un lavoro certosino anche per il più piccolo dettaglio capace di raccontare la storia di uno specifico oggetto. Basti pensare alle

COMPRENDERE IL PASSATO COME CHIAVE PER INTERPRETARE GLI SVILUPPI DELLE INNOVAZIONI DEGLI SPOSTAMENTI SOSTENIBILI

/In alto, da sinistra, le bici Bianchi di Coppi e Petit-Breton, alcuni bicicli della collezione e, in basso, la Vespa siluro/

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RAFFO ART COMMUNICATION - ROMA

il quotidiano più letto nel mondo


SUMMER

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/ MARZIA PAPAGNA /

IL CICLO IN UNA STANZA

/©Foto Shutterstock/

LA PRATICA DELL'ALLENAMENTO INDOOR, ESPLOSA IN PANDEMIA, NON SI FERMERÀ CERTO CON IL RITORNO ALLA NORMALITÀ. ECCO IN CHE MODO LA 'GAMIFICATION' DELLA PEDALATA VIRTUALE STA APPASSIONANDO SEMPRE PIÙ UTENTI DI APP INNOVATIVE E BIKE STATICHE

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BIKE LIFE

Virtual Cycling Pedalare, ma indoor. Anche questo è un trend figlio della pandemia. A Londra, già nel 2020, la grande catena Signa Sports aveva registrato un aumento nelle vendite di biciclette statiche del 977%. L’allenamento al chiuso sembrava aver conquistato il popolo dei ciclisti nordeuropei che dimostravano di apprezzare, in determinate circostanze, i vantaggi rispetto alla classica uscita in bicicletta, in particolare: nessuna preoccupazione in caso di meteo avverso, misurazione delle performance più accurata. Ma, come tutti gli sport praticati a casa, da soli, il rischio è di annoiarsi. Ed ecco che entra in gioco la tecnologia, sempre più presente e con soluzioni che incuriosiscono e sorprendono. Negli ultimi due anni si sono diffusi tool diversi, nati soprattutto all'estero: dal coach virtuale che ti allena in modo personalizzato a esperienze più immersive come, per esempio, BigRingvr.com che grazie a dei sensori sul pedale e all’uso di un visore, è in grado di proiettare l'avatar in uno scenario così realistico da sembrare vero. Non solo. La pedalata virtuale avviene lungo una strada asfaltata del Monte Zoncolan, nel Friuli Venezia Giulia o in un altro itinerario ideale in giro per il mondo, ma può anche trasformarsi in una vera e propria avventura di gaming. Lo fa Holofit, che ha portato il concetto del fantasy nello sport, per un’avventura unica a ogni colpo di pedale, tra draghi e personaggi fantasiosi. I tool presenti sul mercato sono diversi, ci si può divertire a cercare l’esperienza che si vuole provare navigando direttamente nello store del proprio cellulare con parole chiave diverse, come virtual cycling, o vr cycling. Recentissima anche la proposta del Giro d’Italia che con il progetto del partner Bkool ha permesso agli appassionati di partecipare alla grande partenza e pedalare insieme ai ciclisti in gara. Sì, virtualmente. L’interazione digitale in sella a una bicicletta sembra allora soddisfare i desideri e gli obiettivi di una vita: in un certo modo, si può fare.

/Pedalando in scia alla maglia rosa su Bkool/

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Paolo Bellino, amministratore delegato e direttore generale di Rcs Sport & Events, che dirige la macchina organizzativa del Giro d'Italia, ha commentato così la corsa virtuale dedicata alla maglia rosa: “Quella del Giro d’Italia Virtual è un’idea nata durante il periodo di lockdown per permettere agli amatori di tutto il mondo di poter pedalare sulle strade del Giro d’Italia. Non è una gara, ma un training per tutti coloro che vogliono cimentarsi sui percorsi, dalle cronometro alle tappe di pianura fino a quelle di montagna, dove i professionisti si sono sfidati. Un progetto che vogliamo proporre anche nei prossimi anni dopo l’esperienza molto positiva dell’ultima edizione”. La tecnologia del simulatore e il formato di una competizione così innovativa è già stata avviata da Bkool circa dieci anni fa e più volte ha coinvolto stelle del pedale a livello internazionale. Una disciplina che, anche per lo sport, ha avuto solo negli ultimi tempi una forte spinta dettata dal contesto della pandemia. Di fatto, parliamo di una realtà in crescita. I vantaggi sono diversi: lo fai in sicurezza, non perdi molto tempo e hai modo di allenarti divertendoti, gareggiando o visitando luoghi lontani senza mai lasciare la tua stanza. Sul futuro, lo spagnolo Benito Vazquez, ceo di Bkool, commenta: “Il ciclismo in generale sta vivendo un boom, questo porterà sempre più utenti che cercano la comodità ad allenarsi in casa. L’esperienza di ciclismo indoor continuerà a migliorare grazie alla tecnologia, con dispositivi migliori ed esperienze più realistiche, con un occhio anche al futuro del metaverso”. E conclude: “Le prospettive sono fantastiche e lavoriamo per offrire agli utenti un'esperienza unica che renda la loro vita migliore sotto tutti gli aspetti”.


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di

/ GIACOMO SPOTTI /

IN STRADA CON

ALFONSINA SILVIA E LINDA SONO LE CICLISTE PER CASO, UNA STORIA PERSONALE E PROFESSIONALE DA CUI È NATA L’IDEA DI PROMUOVERE L’EMANCIPAZIONE FEMMINILE PARTENDO DALLA BICICLETTA. COME FECE LA PRIMA DONNA CHE CORSE IL GIRO CON GLI UOMINI

/Linda Ronzoni, a sinistra, e Silvia Gottardi, a destra, sono le Cicliste per caso/

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BIKE LIFE

Silvia e Linda pedalano insieme nella vita e lungo le strade del mondo. Sono le Cicliste per caso, un progetto nato nel 2015 durante un viaggio in bicicletta sulla Carrettera Austral – il leggendario sterrato di 1200 chilometri che corre contro vento lungo la Patagonia cilena tra fiordi, ghiacciai, natura selvaggia – e sviluppato per sensibilizzare sui temi della sostenibilità, dell’emancipazione femminile, del women-empowerment e della lotta agli stereotipi. Prendendo come spunto la bicicletta. Di strada ne hanno percorsa molta da quel giorno: dopo il matrimonio, nel 2018, per la luna di miele sono salite in sella per cinquanta giorni sul Great Divide Mountain Bike Tour, 4400 chilometri dal Canada al Messico attraverso le Montagne Rocciose, “per dimostrare che in quanto a resistenza e tenacia noi donne non siamo inferiori agli uomini”, spiega Silvia, che aggiunge: “Cicliste per caso dice alle donne ‘buttatevi, fatelo, ce la farete’”. Un’impresa da cui è nato un docufilm visibile su Amazon Prime e Netflix, che si intitola Cicliste per Caso - Grizzly Tour. Silvia e Linda sono una miscela esplosiva di positività: Silvia Gottardi, ex cestista professionista (scudettata nel 2000 con la Trogylos Priolo di Siracusa) è blogger e ha una personalità travolgente: istinto allo stato puro. Linda Ronzoni, graphic designer e scrittrice, è riflessiva e creativa ed è principalmente dalla sua penna che è nato il podcast Io, Alfonsina – disponibile su Spotify dal 16 maggio – che racconta la storia di Alfonsina Morini Strada, prima donna ad aver corso il Giro d’Italia nel 1924, quando in Italia nemmeno c’era il suffragio femminile. “Alfonsina è stata la prima e unica donna a partecipare al Giro d’Italia degli uomini”, sottolinea Silvia, “e per questo oggi è ritenuta una pioniera nella parificazione di genere. Da quando ci siamo

imbattute nella sua storia, parecchi anni fa ormai, Alfonsina è diventata una musa ispiratrice e ha guidato i nostri viaggi. Ci ha sempre spronate con il suo esempio di donna caparbia e libera, indicandoci la strada, è proprio il caso di dirlo. Nel 2016 abbiamo ripercorso simbolicamente le tappe di quel Giro, da Milano a Catania”. Un’esperienza da cui è nato il libro Cicliste per caso. L’Italia in bici sulle tracce di Alfonsina Strada e di cui ora è arrivato anche il podcast: cinque puntate in cui “parliamo di questa ragazza che ha inseguito la sua strada lottando contro gli stereotipi e che, ripeto, deve sempre ispirarci”. Del resto, per comprendere la portata dell’impresa compiuta da Alfonsina, basta ricordare che i quotidiani dell’epoca, in tremendo imbarazzo (il regolamento infatti non vietava espressamente la partecipazione di una donna), decisero di omettere il suo nome nella lista partenti o, addirittura, lo storpiavano in Alfonsino Strada oppure in Alfonsin. La voce però si sparse e gli spettatori aspettavano solamente il suo passaggio. Un fenomeno di tale portata da ispirare la canzone Bellezza in bicicletta, scritta nel 1950 da Giovanni D’Avanzi e Marcello Marchesi. “Il nostro obiettivo”, conclude Silvia, “è incoraggiare le donne a viaggiare, essere autonome e intraprendenti. Più in generale, pedalare verso un mondo più giusto e inclusivo è il fil rouge che unisce le nostre iniziative”. La prossima sarà Cicliste per caso, storie di donne e bici: “È il programma che stiamo allestendo con Bike Channel, mentre per l’estate abbiamo in calendario un tour in Namibia sempre nel nostro stile, con molta avventura”. Estate che si concluderà con il Mia Women Ride, primo evento bike-packing d’Italia dedicato solo a cicliste la cui seconda edizione si svolgerà dal 16 al 18 settembre: duecento chilometri da Verona a Milano in tre tappe.

/La copertina del libro dedicato al viaggio in Italia sulle tracce di Alfonsina Strada e quella del podcast lanciato quest’anno/

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/ ALESSIA BELLAN /

QUANDO LE DUE RUOTE FANNO CORRERE L’ARTE TANTI I MAESTRI CHE HANNO CELEBRATO LA BICICLETTA E MOLTEPLICI LE MODALITÀ ESPRESSIVE SCELTE. CON UN COMUNE DENOMINATORE: L’ELOGIO DELLA FORMA E DELLA VELOCITÀ

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BIKE LIFE

PER I FUTURISTI SIMBOLO DI MODERNITÀ. IL DADAISMO NE FA L'EMBLEMA DI UNA RIVOLUZIONE CONCETTUALE

/©Foto Getty Images/

Musa di artisti e protagonista di straordinarie opere, la bicicletta ha da sempre ispirato i maestri della storia dell’arte. Mezzo di locomozione evergreen, pittori, scultori, fotografi e designer l’hanno resa immortale anche attraverso le loro creazioni. Dalle prime draisine alla street art di Banksy, quello tra le due ruote e l’arte è un binomio prolifico di capolavori che si possono ammirare nei musei, nelle collezioni o per le strade di tutto il mondo. Per i futuristi – insieme all'automobile, alla motocicletta, all'aeroplano, al motoscafo – la bicicletta è stata il simbolo della velocità in chiave moderna. Il dadaismo invece, con il primo ready-made del francese Marcel Duchamp (una ruota fissata su uno sgabello per mezzo di una forcella), ne ha fatto l’emblema della rivoluzione concettuale del XX secolo, mentre lo spagnolo Pablo Picasso, nelle vene il sangue della corrida, l’ha trasformata ironicamente in una Testa di toro. La bicicletta, apparsa per la prima volta in Germania a Mannheim il 12 giugno 1817 dall'idea di un nobile stravagante dal nome chilometrico, il barone Karl Friedrich Christian Ludwig Freiherr Drais von Sauerbronn, è un mezzo di trasporto che nasce sotto i migliori auspici: il segno zodiacale dei Gemelli e la protezione di Mercurio, dio del movimento e dei viaggi. Una predestinata, insomma.

/L'opera di Marcel Duchamp 'Ruota di bicicletta' a Londra per una mostra nel 2013/

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/©Foto - Si ringrazia per le immagini la Collezione Peggy Guggenheim/

Questo cavallo a due ruote sollecita subito la fantasia e l’ispirazione degli artisti, nessuno escluso. La bicicletta entra in velocità (si può ben dire!) nelle tele degli impressionisti e dei cubisti, dei maestri dell’avanguardia russa e di quelli delle avanguardie italiane (compresi i futuristi, appunto, e personalità come Mario Sironi), dei modernisti spagnoli e dei surrealisti. Una curiosità? Nel 1896 Henri de Toulouse-Lautrec firma addirittura il manifesto pubblicitario per la ditta inglese Simpson, produttrice di catene per biciclette. Il grande artista realizza due bozzetti poiché il primo, secondo il committente, non era sufficientemente dettagliato a livello tecnico e non valorizzava abbastanza la sua innovazione. Ma non c’è soltanto il fascino del pedale, del movimento nel suo rapporto con lo spazio a suggestionare schiere di pittori, di grafici, di scultori; ci sono anche le figure dei grandi campioni: nuovi eroi che attraverso lo sforzo fisico, la sfida, trasmettono alle folle un’energia giovane, vitale e creativa. Al velodromo di Jean Metzinger, famosa opera cubista, rende indimenticabili gli ultimi metri della Parigi-Roubaix con lo scatto di Charles Crupelandt (soprannominato il Toro del Nord), vincitore dell’edizione 1912. Mentre per quanto riguarda l’arte contemporanea, tra chi ha avuto un occhio speciale per il ciclismo c’è Will Barras, artista, illustratore e regista di animazione che vive e crea a Londra, apprezzato anche per le opere della serie Tour de France. Membro fondatore del collettivo Scrawl, insieme a Steff Plaetz e Mr. Jago, grazie alle sue rappresentazioni di movimenti fluidi, composizione narrativa unica e lavoro al tratto. Scrawl ha pubblicato un libro fondamentale nel 1999, per documentare il nuovo movimento.

/Mario Sironi, Il ciclista, 1916/

/©Foto - Si ringrazia per le immagini la Collezione Peggy Guggenheim/

NON È SOLO IL FASCINO PER IL MOVIMENTO IN RAPPORTO CON LO SPAZIO A STIMOLARE PITTORI, GRAFICI E SCULTORI. I GRANDI CAMPIONI TRASMETTONO ENERGIA VITALE E CREATIVA /Jean Metzinger, Al Velodromo, 1912/

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/©Foto cliché F.Pons, musée Toulouse-Lautrec, Albi, France/

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/Henri de Toulouse-Lautrec, La Chaîne Simpson, 1896/

/Il tavolo Tour di Fontana Arte con ruote da bicicletta realizzato da Gae Aulenti/

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La bicicletta irrompe poi a sorpresa anche nell’immaginario di artisti che ne sembrano lontanissimi: Mario Schifano, Christo (che impacchetta il mezzo sul portapacchi di un’automobile), la designer Gae Aulenti (che mette a un tavolo le ruote di bicicletta), l’artista dissidente cinese Ai Weiwei (che nell’installazione Forever Bicycles ha sovrapposto 3144 bici dando vita a un’opera colossale) e pure Banksy. Nell'ultima opera su un muro di Nottingham, in Inghilterra, ha raffigurato una ragazzina che fa l'hula-hoop con una ruota di bicicletta; molti hanno voluto leggervi un messaggio di gioia infantile, di leggerezza, di speranza in un futuro dove c’è ancora spazio per il gioco.

/Tre opere di Will Barras tutte del 2019: Aux Travailleurs, Balayer la Ville, Sprinters/

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/©Foto Getty Images/

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/L'installazione di Ai Weiwei Forever Bicycles, 2014/

NELLA RAGAZZA DIPINTA DA BANKSY CHE FA L'HULA-HOOP CON LA RUOTA SI LEGGE UN MESSAGGIO DI GIOIA, LEGGEREZZA E SPERANZA VERSO UN FUTURO DOVE C'È TEMPO PER IL GIOCO

/Banksy, Ballando con la ruota di bici, Nottingham 2020/

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/ ALESSIA BELLAN /

DI TUTTI I COLORI PER L’ESTATE DEL CICLISTA ESIGENTE, ANCHE L’ESTETICA HA LA SUA PARTE. E ALLORA VIA A GIALLO, CELESTE, ARANCIO, AI FIORI E AL DESIGN. COSÌ LA PEDALATA DIVENTA UNA SFILATA

BICICLETTA FASHION MILANO MONTANTE CICLI

Una bici senza compromessi che esprime la propria personalità in ogni occasione. Fashion Milano è la due ruote di tendenza sfacciatamente lussuosa per chi non rinuncia alla massima cura dei dettagli: sinergie stilistiche all’insegna del glam metropolitano e stile vintage per un'allure urban-chic inconfondibile. Prezzo su richiesta - montantecicli.it

CAPPELLO PRADA

Il Bucket Hat è l’accessorio dell’estate. Il cappello da pescatore firmato Prada è realizzato in Re-Nylon, un filato in nylon rigenerato (ECONYL®) ottenuto dal riciclo e dalla purificazione delle materie plastiche raccolte in oceani, reti da pesca e fibre tessili.

€ 480 - prada.com

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BORSA EASTPAK AMAN BIKE

L’innovativa borsa outdoor Eastpak si aggancia comodamente al telaio della bicicletta. 100% vegan, capiente e dotata di tasca superiore trasparente compatibile con touchscreen, resiste all’acqua ed è sempre visibile grazie alla striscia catarinfrangente.

€ 48 - eastpak.com

RIMORCHIO THULE COURIER

Perfetto per le famiglie sempre in movimento, si trasforma facilmente da rimorchio due posti per bici a comodo passeggino, ideale per una lunga pedalata nella natura o un pit stop in città. Versatile, può essere utilizzato anche come rimorchio cargo ed è accompagnato da un kit per il trasporto animali.

€ 820 - thule.com

OCCHIALI DA SOLE OLIVER PEOPLES GIO PONTI

Una capsule collection frutto di una collaborazione speciale con gli archivi del grande architetto e designer, che racchiude tutti gli elementi delle sue iconiche opere: linee coerenti, angoli acuti e punti tridimensionali che si incontrano in modo innovativo, utilizzando gli occhiali come una tela.

€ 658 - oliverpeoples.com

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KIT RIPARA FORATURE MORONI GOMMA

Racchiuso in un’elegante scatola di latta dal sapore vintage, l’indispensabile kit per ovviare alla foratura delle gomme contiene una chiave a osso, un attrezzo multitool per bicicletta, una lima in metallo, sei toppe in due misure, due leve per pneumatici in plastica e le istruzioni per la riparazione.

€ 18 - moronigomma.it

MAGLIA DA CICLISMO “SUMMER STRIPE” PAUL SMITH

Una maglia leggera in poliestere elasticizzato riciclato, con struttura in rete posteriore traspirante, che si fa notare per la variopinta stampa a strisce marchio di fabbrica di Paul Smith. Con protezione UV all-over e cerniera Vislon per una facile apertura.

€ 205 - paulsmith.com

COSTUMI PIER SICILIA

Orgogliosamente 100% made in Sicily, i costumi Pier Sicilia si ispirano al fascino e all’eleganza dei più ricercati pantaloncini da tennis degli anni ’70, perfetti in spiaggia come all’aperitivo.

€ 210 - (“Luchino Honeycomb” azzurro) € 160 - (“Ugo” saffron) piersicilia.com

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BIKE LIFE

BANDANA YVES SAINT LAURENT

In versione lemon and black, super chic, l’ampia bandana rettangolare con frange misto cashmere e modal proveniente da foreste certificate a gestione sostenibile.

€ 550 - ysl.com

CESTINO LIBERTY BRN

Oltre a essere un comodo portaoggetti, questo pratico cestino anteriore, intrecciato con fili di plastica, aggiunge un tocco di colore trendy alla pedalate estive.

€ 23 - brn.it

AMAZFIT GTS 2 MINI

Uno smartwatch sottile e leggero, perfetto mix di design e tecnologia. Monitora fino a 70 sport diversi e fornisce un quadro completo della salute grazie al sistema di valutazione Pai. Gts 2 mini di Amazfit è dotato di un’autonomia invidiabile, monta un display Amoled da 1,55 pollici e pesa solo 19,5 grammi.

€ 390 - ralphlauren.it

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ESPADRILLAS BOWSWORTH RALPH LAUREN

Le classiche espadrillas del brand sono riproposte con tomaia in cotone con stampa con motivo cashmere cucita a mano su una suola in iuta e gomma a spirale, e rifinite con una morbida fodera in agnello.

€ 390 - ralphlauren.it

ESPADRILLAS FF VERTIGO FENDI

Realizzate in collaborazione con la visual artist newyorkese Sarah Coleman, le espadrillas gialle di Fendi sono caratterizzate dal motivo FF Vertigo all over, hanno plateau in rafia intrecciata e gomma e rifiniture in pelle.

€ 412 - fendi.com

BOTTIGLIA TERMICA IZMEE FULL ICEBERG FOR MISSONI

Una bottiglia termica ecologica e fashion da 510 ml, realizzata in collaborazione con Missoni, finishing sabbioso color azzurro cielo e l’iconico e pattern a zig zag della maison di moda.

€ 90 - zmee.com

CAMPANELLO LEGAMI BEE

Raffigura una simpatica ape il campanello da bici di Legami Milano, che si applica in un attimo al manubrio.

€ 9,95 - legami.com

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Prezzo 10 euro - Principato di Monaco - Costa Azzurra - Corsica: 16,80 euro - Svizzera Italiana: CH CT 19,00 Chf - Anno 2 - Volume 3 - Estate 2022 - Prima immissione: 03/06/2022 - Trimestrale Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale D. L. 353/2003 (conv in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 LO/MI

LUSSO SENZA COMPROMESSI

IL NUOVO LUSSO SI GIOCA IN SPIAGGIA

GIN & TONIC ALL’ITALIANA E COME FARLO BENE

IL GLAMOUR? UN BAGNO IN PISCINA NEI MIGLIORI HOTEL

ESTATE 2022

BFC MEDIA, PRESENTA IL TERZO NUMERO DI ROBB REPORT, IL BRAND EDITORIALE PIÙ FAMOSO AL MONDO PER IL LUSSO E IL LIFESTYLE. UN PROGETTO MULTIMEDIALE CHE COMPRENDE IL MAGAZINE, IL SITO ROBBREPORT.IT ED ESCLUSIVE EXPERIENCES. UN’OPPORTUNITÀ PER PROMUOVERE IL MEGLIO DELLA CREATIVITÀ DEL MADE IN ITALY IN TUTTO IL MONDO.


SUMMER

di

/ FILIPPO CAUZ /

LEGGERE SUI PEDALI UN LIBRO AL MESE A Luglio

Ad Agosto

A Settembre

Davide Cassani con Giorgio Burreddu e Alessandra Giardini

Marco Ballestracci

Sonny Colbrelli con Marco Pastonesi

HO VOLUTO LA BICICLETTA

BLACK BOY FLY. L'IRRESISTIBILE ASCESA DI MAJOR TAYLOR

/Rizzoli 2022, 144 p., 18 €/

/ Mulatero editore 2022, 208 p., 17 € /

Nell’estate del 2021 Davide Cassani si trovava dove mai avrebbe voluto essere, a 10mila chilometri dalla nazionale vincente che aveva plasmato per le olimpiadi. Scaricato, spedito a casa senza troppi complimenti. È da questo trauma, da una sconfitta ben poco ‘sportiva’, che l’ex commissario tecnico ha deciso di cominciare a raccontare la sua storia. Si parte dai pomeriggi di infanzia ad attendere Gimondi, dalle prime maglie azzurre, da un mestiere – quello di ciclista, e di gregario – a un altro – quello di commentatore televisivo. La storia di una vita dedicata alla bicicletta, in ruoli sempre diversi, sempre pronto ad accettare nuove sfide. Cassani è uno dei più grandi vulcani di idee del ciclismo italiano, e in questo libro si capisce bene come nascano tutte queste idee, tutte dallo stesso elemento: una passione smisurata.

Prima delle classiche, prima dei grandi giri, prima dell’Europa, quando il ciclismo e lo sport stavano emettendo i primi vagiti della loro vita moderna, erano le piste il terreno d’elezione delle sfide in bicicletta, ed era l’America la vera frontiera. Era un ciclismo diversissimo da quello che conosciamo, che ebbe in Marshall Walter Taylor, detto Major Taylor, uno dei suoi primi campionissimi. Ma Taylor era qualcosa di più: fu il primo afroamericano a vincere un mondiale, quello di velocità sul miglio nel 1899, in un ciclismo che doveva fare i conti con il razzismo e la segregazione. Marco Ballestracci ne racconta la parabola umana mischiandola con il blues, il jazz, i gospel e i velodromi fumosi. È la storia del nostro sport ma è, ancora di più, la storia delle nostre vite.

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CON IL CUORE NEL FANGO / Rizzoli Lizard 2022, 176 p., 17 € /

La storia di Sonny Colbrelli è una storia come tante. Quella di un bambino sovrappeso che sceglie uno sport di fatica come il ciclismo. Quella di un ragazzo che vuole diventare un corridore ma che è costretto a lavorare ogni giorno, come tutti, alternando fabbrica e bicicletta. Quella di un ciclista promettente che insegue la realizzazione e la trova a 31 anni, nel velodromo di Roubaix. Una storia unica, come uniche sono le tante storie in cui il ciclismo riesce ad intrecciarsi con l’umanità. Marco Pastonesi è da sempre un raccoglitore e un narratore straordinario di queste storie. E ci è riuscito un’altra volta.


BIKE LIFE

musica

/ ALESSANDRA SCHEPISI */

BIKE PLAYLIST Antistress Quando mi è stata chiesta una playlist di canzoni legate alla bici ho cercato di mettere a fuoco le sensazioni che ho nel pedalare e quelle che mi arrivano dalle storie che ogni settimana racconto nella mia trasmissione, che spesso si intrecciano a brani musicali ad hoc. La bicicletta ha mille anime, ma alla fine ci si ritrova tutti nel senso di libertà, di scoperta, di buon umore e di spensieratezza. Per me la bici è antistress quotidiano, mezzo con cui, dopo una giornata di lavoro, scarico la mente, riordino i pensieri, rimetto in fila le priorità. È così che i venti nomi magicamente sono venuti fuori. Quasi tutti italiani. La maggior parte rimanda al viaggio, al divertimento, al relax, ma quando si pedala sono tante le emozioni che vengono a galla. E una cosa è certa: che sia una pedalata di un’ora o di un giorno, si torna sempre con il sorriso.

Viva la libertà

1/ JOVANOTTI

La vita è adesso

2/ CLAUDIO BAGLIONI

Liberi

3/ LUCIO DALLA

Mille

4/ FEDEZ, ACHILLE LAURO, ORIETTA BERTI

Rotolando verso sud

5/ NEGRITA

L’estate addosso

6/ JOVANOTTI

* Giornalista della redazione romana di Radio24 dal 1999, anno di fondazione, si occupa di attualità politica. Dal 2018 conduce A Ruota libera, che va in onda ogni domenica e per la quale ha ricevuto da Fiab il premio Giornalista Amica della Bicicletta nel 2019. Nel 2021 ha pubblicato con Pierpaolo Romio 24 storie di bici (Ilsole24ore). Usa la bici come mezzo di trasporto quotidiano per svicolare nel traffico e ama il ritmo lento e cadenzato del viaggio a pedali

Mare mare

7/ LUCA CARBONII

Il cielo di Irlanda

8/ FIORELLA MANNOIA

Creuza de ma

9/ FABRIZIO DE ANDRÈ

Viaggi e miraggi

10 / FRANCESCO DE GREGORI

Buon viaggio

11 / CESARE CREMONINI

As it was

12 / HARRY STYLES

Fix you

13 / COLDPLAY

House of memories

14 / PANI! AT THE DISCO

Vieni da me

15 / LE VIBRAZIONI 16 /

Bicycle Race

QUEEN

Stairway to heaven

17 / LED ZEPPELIN 18 /

Un mondo migliore

VASCO ROSSI

I migliori anni della nostra vita

19 / RENATO ZERO

Zitti e buoni

20 / MANESKIN

Inquadra il QR Code e scopri tutte le Playlist di BIKE

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SUMMER

di

/ RICCARDO MAGRINI */

Il ciclismo ti rende MAGRO

GRAVEL È LIBERTÀ Vicino a Montecatini Terme (Pt), dove sono nato, c’è il Padule di Fucecchio, la più grande palude italiana che, tra specchi d'acqua e canneti, accoglie in sosta gli uccelli migratori d’inverno. Quando correvo e mi capitava di allernarmi vicino a casa, prima di raggiungere la squadra, ogni tanto lasciavo le strade asfaltate per avventurarmi in questa piana che, mentre d'inverno si ricopre d'acqua, in estate secca, svelando paesaggi naturalistici unici. Scorci da cartolina che si possono ammirare dalle tante stradine sterrate che si incontrano e che meritano di essere percorse, su un terreno che, oltretutto, ha il pregio di restare umido e dunque non polveroso. Io che già allora amavo lo spirito d’avventura che si respira andando in bicicletta, non potevo proprio resistere a qualche deviazione su sterrato, anche correndo il rischio, con la bici da corsa, di incappare in qualche foratura. Oggi, questo genere di strade, come i tanti sterrati e tratti di strade bianche che in Italia si incontrano un po’ dovunque, si potrebbero percorrere con la bici da gravel, che sempre più sta prendendo piede in Italia, tanto che anche una nota casa di moda ha presentato in occasione del Salone del mobile in via Montenapoleone a Milano una bicicletta di questo tipo, realizzata su commissione da un celebre costruttore in edizione limitata. Con il suo telaio ‘corsaiolo’ ma meno ‘estremo’ delle bici da ciclocross, le gomme più grandi, il manubrio più confortevole e la monocorna davanti e grandi rapporti dietro, la ‘gravel’ è sinonimo di avventura e scoperta: il mezzo ideale insomma

per pedalare immersi nella natura, soli con sé stessi oppure in compagnia, lungo percorsi di campagna e collinari, magari andando alla ricerca di una cantina o di un ristoro dove gustare qualcosa di buono. Lontani dal traffico e dai pericoli delle strade asfaltate che, peraltro, con una gravel si possono comunque percorrere benissimo e in totale sicurezza, tanto è versatile questo oggetto sempre più sinonimo di stile urban. Infine, mentre la bici da corsa, ma anche la mountain bike, più facilmente ti portano a vivere, poco o tanto, una dimensione per cosi dire agonistica, o almeno competitiva, nella pratica sportiva all’aria aperta, la gravel no: ti invita semmai a pedalare per andare alla scoperta di qualcosa che non si conosce, rallentando rispetto ai ritmi frenetici della vita moderna, senza per forza sapere con precisione dove si va né in quanto tempo si vuole raggiungere la meta o quando si tornerà. Con spirito di avventura, insoma, e il sorriso dipinto sulla faccia. Del resto, come faceva notare già il grande Alfredo Martini, non si è mai visto nessuno pedalare tenendo il ‘muso’. E se è vero che con qualsiasi bici non si è mai costretti ad andare sempre ‘a cento all’ora’, con la gravel immersi nella natura ci si può fermare, sostare e riflettere, pensare e rilassarsi, magari di fronte a un bel calice di vino. Non vedo l’ora di potermi godere anch’io, con la mia gravel, gli itinerari cicloturistici della Maremma toscana. * Ex ciclista, dirigente sportivo e commentatore tv per Eurosport

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