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L’EUROPA DI DOMANI VISTA DAL SUO SPAZIOPORTO
SPACE ECONOMY
DI MATTEO MARINI*
L’EUROPA DI DOMANI
VISTA DAL SUO SPAZIOPORTO
RIUTILIZZABILITÀ, LANCIATORI LEGGERI E ABBASSAMENTO DEI COSTI: LA CORSA EUROPEA ALLA MAGGIORE ACCESSIBILITÀ SPAZIALE RACCONTATA, SUL POSTO, DALLA BASE DI KOUROU, IN GUYANA FRANCESE
Ciò che rimane della piattaforma di lancio Diamant ora somiglia più ai resti di un’altra epoca tecnologica, se non addirittura al set di un film post-apocalittico. La sala di montaggio, l’unico edificio che ha conservato il suo volume, è quasi uno scheletro, spolpato della sua funzione e delle sue macchine. Da
qui, nel 1968, decollò per la prima
volta il Diamant B, il secondo razzo francese (il primo, il Diamant A, prendeva il volo dall’Algeria). È stato il precursore della proiezione europea verso lo spazio, assieme al vettore Europa messo a punto dall’Eldo che però non funzionò mai. A pochi passi dalla piattaforma di lancio con la sua torre mobile (oggi demolita), la vegetazione ha
» A sinistra: un’illustrazione di un prototipo di razzo Themis (credits: Cnes).
In questa pagina: panoramica dello spazioporto di Kourou, in Guyana francese - Copyright ESA - S. Corvaja.
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inghiottito in un boschetto il bunker a “prova di bomba”, nel quale il personale si riparava durante il lancio. Da 45 anni il sito Diamant non è più utilizzato per i decolli, ma dalle foto d’archivio sembra che sia stato tenuto in ordine fino a pochi anni fa, come un monumento. Poi la giungla lo ha fatto suo: “Il bunker rimarrà così com’è - esordisce Charlotte Beskow, capo dell’Esa Space Transportation Office dello spazioporto di Kourou - perché là dentro ora ci vive una colonia di pipistrelli protetti. Non possiamo demolirlo”. È in questo angolo abbandonato dello spazioporto della Guyana Francese che l’Europa dello spazio vuole scavare le fondamenta di un salto tecnologico. Il Diamant diventerà il sito per piccoli lanciatori e di prototipi di razzi riutilizzabili. Da una parte, si tenta di intercettare un mercato emergente con startup che vogliono offrire l’accesso all’orbita per piccoli carichi al di sotto della tonnellata, a costi contenuti (Germania in testa), dall’altra serve recuperare il gap che l’Esa, e con essa tutti i Paesi che ne fanno parte, ha accumulato rispetto agli Stati Uniti. “Siamo già al lavoro su Callisto e Themis” spiega Beskow. È il nome dei due prototipi con i quali si comincerà: lancio e ritorno a terra. Il primo è sviluppato dall’Agenzia spaziale francese (Cnes), dall’Agenzia spaziale tedesca (Dlr) e da quella giapponese (Jaxa). “Un piccolo lanciatore, un dimostratore tecnologico, come un Grasshopper (si chiamava così il modello di test di SpaceX per il rientro del primo stadio, ndr); Themis invece è un razzo full size sviluppato da Arianeworks per l’Esa, che usa motori Prometheus”. I Prometheus
*MATTEO MARINI GIORNALISTA SCIENTIFICO, EX ARCHEOLOGO, SCRIVE DI ASTRONOMIA, MISSIONI SPAZIALI E AMBIENTE. ALLEVA GIOVANI REPORTER ALLA SCUOLA DI GIORNALISMO DI URBINO. sono i nuovi propulsori a metano e ossigeno, che in futuro potrebbero essere usati per Ariane Next. Ma guardando alla galassia di nuove imprese che stanno nascendo in ambito spaziale, Diamant sarà soprattutto una piattaforma per aziende che offrono il servizio di trasporto in orbita con razzi molto
più piccoli di Ariane e anche di
Vega. La tedesca Rocket Factory Augsburg ha concluso nel 2020 un accordo con il Cnes per avere proprio al Diamant un’altra base di lancio oltre all’isola norvegese di Andøya. Un’altra realtà tedesca, Isar Aerospace, ha fatto la stessa scelta. “L’intenzione è quella di fornire ai clienti un sito e le infrastrutture di cui hanno bisogno, rispondere alle esigenze del mercato” sottolinea Beskow. Spostando lo sguardo verso nordovest, l’orizzonte di Kourou è cambiato negli ultimi anni. A svettare su qualsiasi altro edificio ci sono i 100 metri per 8.200 tonnellate della
torre mobile di Ela-4, il sistema
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DI MATTEO MARINI
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» Bruno Gérard, vicepresidente Arianespace per le operazioni in Guyana francese e il razzo Ariane 5 che ha portato nello spazio il James Webb Space Telescope (foto: Matteo Marini).
di lancio di Ariane 6. Inaugurato dopo otto anni, a settembre 2021, si estende su 170 ettari; per realizzarlo, 600 persone hanno scavato 900mila metri cubi di terra, modellato 55mila metri cubi di calcestruzzo e 8mila di strutture metalliche. Il nuovo lanciatore pesante europeo
esordirà nella seconda metà del
2022. In primavera lo precederà Vega C, successore di Vega sviluppato dall’Agenzia spaziale italiana e da Avio. Dopo il successo del ventesimo volo, la torre mobile sarà modificata per accogliere anche il nuovo vettore. Tutto ruota attorno alle new entry, che prenderanno il testimone da quelli che li hanno preceduti con notevoli risultati in termini di affidabilità. Ora le piattaforme di lancio disponibili sono quattro (Ariane 5, Ariane 6, Soyuz e Vega), ognuna per un razzo con diversa capacità di carico. Si punta alla flessibilità: “i lanciatori si sviluppano cercando di seguire il mercato, che è in espansione e chiede lanciatori a disposizione per poter lanciare quando vuole, costi bassi e affidabilità” aveva raccontato Stefano Bianchi su Cosmo di gennaio. Attorno alla nuova rampa di Ariane 6 sono sorte le nuove facility, perché la catena di produzione e assemblaggio è completamente diversa rispetto a quella di Ariane 5. Primo e secondo stadio, booster laterali e ogiva per il carico viaggiano orizzontalmente da un edificio al successivo fino a quando ogni elemento non è pronto per essere unito agli altri. Un apposito sito è sorto da zero per la verticalizzazione dei booster a propellente solido, i P120c, che entrano “sdraiati” ed escono in piedi. Questo sistema ha permesso di abbattere i tempi, evidenziano da Ariancespace, e i costi, unitamente alla condivisione del P120c tra Ariane 6 e Vega C che assicura una produzione di scala. L’involucro (un cilindro lungo una dozzina di metri) è costruito in Italia a Colleferro, in provincia di Roma, da Avio, poi spedito oltreoceano per essere riempito nell’impianto guianese da Regulus, società partecipata dalla stessa Avio (60%) e ArianeGroup (40%). Qui si preparano a convertire l’attività esclusivamente per i nuovi booster: “È la più grande fabbrica pirotecnica in Europa per peso di esplosivo - assicura Stefano Cianfanelli, manager di Regulus - dall’inizio degli anni 90 ne abbiamo lavorate circa 30mila tonnellate”. Sotto il tetto alto come un palazzo di dieci piani, nelle fosse si sta per “colare” il propellente nell’ultimo P80 in vista dell’ultimo lancio di Vega, VV22. Poi il P120c diventerà l’unico prodotto: “Potremo completarne 30-35 all’anno” sottolinea Cianfanelli. Usciranno da qui tre booster quasi ogni mese, per far fronte alle richieste del mercato e di due vettori (è il primo stadio del Vega C, Ariane 6 ne utilizza due nella versione 62, quattro nella versione 64, quella più potente). Che l’Europa abbia deciso di cambiare strategia si capisce anche dalle parole di Bruno Gérard, vicepresidente Arianespace per le operazioni in Guyana Francese: “A seconda del tipo di lanci che saranno richiesti, utilizzeremo in via preferenziale Ariane 6 oppure Vega C, perché sono prodotti in Europa”. Tradotto: da queste parti passeranno molte meno Soyuz rispetto a prima, anche se resteranno in “portafoglio” di Arianespace, ma bisogna vendere prima di tutto ciò che è fatto in casa. Circa 700 milioni sono serviti per costruire le nuove strutture del Centre Spatial Guyanais (Csg), divisi tra Esa (circa 400 milioni) e Cnes. Ma quella che è intesa come una rivoluzione non riguarda solo la
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parte “hardware”. La new generation del Csg prevede un ulteriore investimento di 140 milioni nei prossimi tre anni per rendere più veloce ed efficiente tutto il sistema. La maggior parte delle risorse sarà assorbita dalla costruzione del nuovo Centro di controllo: “Le ultime modifiche risalgono a 20 anni fa - spiega Joel Egalgi, project manager del Cnes - il nuovo centro di controllo avrà diverse sale operative in un unico edificio. Questo renderà più flessibile il passaggio da una missione all’altra, e più veloce”. Attualmente servono alcune settimane per fare lo switch tra un lancio e il successivo. L’obiettivo è di ridurre questo margine ad appena due giorni, in caso di necessità. A ciò serviranno anche il rifacimento di strade e condotte idriche, la transizione verso processi del tutto digitali (zero carta) e la riduzione dei costi dell’intero sistema grazie anche alle energie rinnovabili. Una video simulazione realizzata dal Cnes mostra quello che ci si potrebbe aspettare in futuro da vettori come Themis. Ricorda, in scala ridotta, quello che SpaceX (nella visione di Elon Musk) usò per illustrare qualche anno fa come intende fare per colonizzare Marte. Un razzo che sale e, contemporaneamente, uno che scende dopo aver terminato il suo compito, per ripartire subito dopo. Una porta girevole di accesso allo spazio. Se si mettono insieme tutti i tasselli, si può immaginare lo spazioporto sulla costa del Sudamerica trafficato da ingegneri e tecnici di agenzie spaziali e compagnie private, che si adoperano ognuno affaccendato alla propria missione, con decolli e rientri che si susseguono a ritmi impensabili fino a pochi anni fa. Certo, ci ha pensato SpaceX a cambiare il modello. E la Nasa, affittando rampe di lancio e servizi a imprenditori come Musk. Ora anche qui il paradigma sarà quello del riutilizzo e della diversificazione. Lo sviluppo del Vega E (come Evolution, a propulsione liquida) e dell’Ariane Next, nei prossimi anni, servirà per mettere a punto le tecnologie di rientro degli stadi che verranno così rigenerati per un nuovo decollo. Nella prossima Ministeriale, a dicembre 2022, si discuterà dello sviluppo di una
capsula per equipaggio, la prima
europea mai concepita. E pensare che l’Europa aveva l’Atv, il cargo usato per la Stazione spaziale internazionale. Un gioiello del quale qui, a Kourou, tutti parlano con orgoglio, per prima proprio Charlotte Beskow, che era la vice responsabile di quel programma. Ma a mezza bocca più d’uno la racconta come un’occasione persa. Opportunamente modificato, avrebbe potuto evolvere nel mezzo di trasporto per astronauti, sarebbe potuta essere una storia simile alla SpaceX Dragon. Tuttavia “l’Europa ha da tempo a disposizione un mezzo di trasporto per astronauti già pronto per essere utilizzato - dice Tony Dos Santos, technical manager dell’Esa - è la Soyuz (commercializzata da Arianespace ndr). Le differenze tra l’assetto per il trasporto di payload come satelliti o cargo e quello per il trasporto astronauti non sono così tante. Sarebbe stato fattibile. Ma si è scelto di non farlo”. La rampa di lancio e gli edifici necessari per l’assemblaggio di Ariane 5, dopo l’ultimo volo del vettore che con la sua affidabilità ha scritto la storia dello spazio europeo, non saranno smantellati. Troppo grandi, troppo pesanti. Ma nemmeno lasciati alla mercé della giungla. Piuttosto, con le opportune modifiche, potranno essere affidati alla gestione di privati, ancora seguendo il modello americano di facilitazione del mercato. Sul tetto delle vecchie e delle nuove costruzioni che muovono lo skyline piatto tracciato dall’oceano, stazionano gli urubu, avvoltoi appostati alla ricerca di qualche carcassa. I falchetti dalla gola rossa, i caracara, si librano in volo a caccia della prossima preda, ma anche loro non disdegnano le carogne. Il ciglio di ogni strada viene tenuto pulito e rasato con costanza perché la giungla qui assedia, anche se ogni tanto può capitare di veder spuntare e attraversare un bradipo o qualche altra bestia selvatica. A vederla con l’occhio di chi da anni critica le scelte europee in termini di spazio, la giungla è una metafora che calza.
I lanciatori europei, con Ariane, avevano conquistato metà del
mercato globale prima dell’ultimo decennio. Poi, la rivoluzione è maturata altrove, con grandi spese in sviluppo e anche tanti fallimenti. Nella sua lettera scritta per i 45 anni dell’Agenzia spaziale europea, l’ex astronauta italiano Paolo Nespoli ha lanciato un monito: “All’Esa, in questi anni, la sfida all’ignoto è via via diventata secondaria rispetto alla necessità di soddisfare e comporre specifici interessi nazionali e industriali”. Ora quindi è tempo di rincorrere, sfrondando ciò che il tempo ha reso obsoleto. Pipistrelli permettendo.