COSMO 26

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26 MARZO 2022 Italia 9,90 euro Anno 4 - N° 26 - marzo 2022 - Periodicità: mensile - Prima immissione: 01/03/2022 Mensile - Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale D. L. 353/2003 (conv in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 LO/MI CACCIA AGLI SPACE DEBRIS ALBERTO BUZZONI ORBITA BASSA: TRA GUERRA E BUSINESS IL RISVEGLIO DEL SOLE IL CIELO DEL MESE

Space junk

Quando abbiamo preparato questo numero non ci era ancora giunta la notizia della perdita di una quarantina di satelliti Starlink appena lanciati, a causa di una tempesta magnetica solare, neanche fra le più potenti. Se fosse successo qualche giorno prima, la news avrebbe certamente trovato ampio spazio nelle prossime pagine, non solo per la sua importanza, ma anche perché abbiamo voluto dedicare questo numero a uno dei più grandi problemi dell’era spaziale contemporanea: quello della “spazzatura spaziale”, la space junk. Per fortuna, pare che i satelliti di Musk si disintegreranno in atmosfera senza andare ad aumentare quell’esercito di space debris, i “detriti spaziali” che sono ormai un ostacolo serio con cui hanno a che fare gli attori, pubblici e privati, che operano nel settore spaziale. Un problema che pare destinato ad aumentare vertiginosamente nell’immediato futuro, semplicemente perché, a detta di molti esperti, questo decennio sarà quello della (definitiva) conquista dell’orbita bassa. Più satelliti in orbita più satelliti dismessi, più relitti di lanciatori, più pezzi (grandi e piccoli) di satelliti distrutti magari da urti occasionali o addirittura voluti, più rischi per lanciarne altri e collocarli nell’orbita corretta. L’intervista ad Alberto Buzzoni e gli articoli di Francesco Bussoletti, Domenico Maria Caprioli, Patrizia Caraveo, Andrea D’Urso, Matteo Marini, affrontano il tema da diversi punti di vista per produrre una visione d’insieme della situazione. E, a proposito del nostro Sole, il Tema del Mese curato da Walter Ferreri illustra il recente risveglio della nostra stella, ignaro di quello che avrebbe provocato di lì a poco agli Starlink. Ci tocca ripetere quanto scritto in un numero recente: nonostante tutti i problemi globali che deve affrontare l’umanità, questo è un gran momento per esserci e per giocare un ruolo attivo in una o più partite. Perché anche il problema degli space debris può e deve essere, se non risolto, almeno mitigato. Ne va del futuro delle attività spaziali che tanto ci appassionano e degli interessi di chi vi opera.

26 DI WALTER RIVA
EDITORIAL 1

ANNO 4 - NUMERO 26 mensile registrato presso il Tribunale di Milano al n° 137 del 6 giugno 2019

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CONTENTS

SPAZIO

4 SPACE NEWS

12 COVER STORY CACCIA AGLI SPACE DEBRIS

20 SPACE ECONOMY INCONTRIAMOCI IN ORBITA

24 OLTRE 2000 STARLINK LANCIATI, MA A CHE PREZZO

26 GUERRE STELLARI DALLA TERRA

28 PULIZIA ORBITALE: SFIDA E BUSINESS

30 SIMULAZIONI MARZIANE NELLO UTAH

32 I MESTIERI DELLA (NEW) SPACE ECONOMY

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CIELO

56 CIELO DEL MESE

64 OSSERVAZIONI GEMME DEL CANE MAGGIORE

68 L’ORA DI ASTRONOMIA NAVIGHIAMO NEL SISTEMA SOLARE CON LE VELE SPAZIALI

UNIVERSO

34 TEMA DEL MESE IL RISVEGLIO DEL SOLE

40 ESOPIANETI TRENT’ANNI DI PIANETI EXTRASOLARI

46 ASTRONOMIA E STORIA VICHINGHI IN AMERICA: LE PROVE ARRIVANO DAL SOLE

50 PERSONAGGI I PADRI ITALIANI DELLA ASTRONOMIA A RAGGI X

EXPERIENCES

72 ASTROFOTOGRAFIA UNA MARATONA MESSIER FOTOGRAFICA

76 LE VOSTRE STELLE

86 DOMANDE & RISPOSTE

88 UAI INFORMA SOCIETÀ ASTRONOMICA FIORENTINA

92 EVENTI SOTTO IL CIELO

94 RECENSIONI

96 SPACE MARKETS EUROPEAN SPACEPORTS

Inquadra con la fotocamera o con la App Scan del tuo smartphone o tablet i simboli QR che trovi in allegato agli articoli di questo numero per accedere a numerosi contenuti multimediali (video, simulazioni, animazioni, podcast, gallery).

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SPACE 4 NEWS SUMMARY NAVIGHIAMO NEL VUOTO DELLA “BOLLA LOCALE” 1 6 SPACE NEWS A CURA DELLA REDAZIONE INCIDENTI SPAZIALI: DISTRUTTO UN SATELLITE CINESE 4 JAMES WEBB È A DESTINAZIONE 3 NEA SCOUT, A VELA TRA GLI ASTEROIDI E.T. POTREBBE NASCONDERSI SOTTO UNA CROSTA DI GHIACCIO 2 5 COSMO-SKYMED 2.2 È NELLO SPAZIO! NOVA-C IN PARTENZA PER LA LUNA PRONTI ALLA LUNA: MISSIONE CAPSTONE IL 19 MARZO 8 7

La notte del 21 gennaio 2022 (01h12m01s TU), in una sessione programmata di osservazioni automatizzate, il telescopio robotico RC da 50 centimetri f/7,4 su montatura GM3000 della Stazione astronomica “G. Bruno”, situata al Passo del Brallo a 1000 metri di quota nel comune di Santa Margherita di Staffora (PV), ha rilevato la presenza di una supernova nella galassia NGC 5117.

La foto della scoperta (in alto) è stata ottenuta con una camera CCD Apogee F42 retroilluminata, posa singola di 170 secondi con filtro Clear. La supernova è il punto luminoso indicato a breve distanza dal centro della galassia, in un cielo non perfettamente buio a causa della Luna, passata pochi giorni prima dalla fase Piena. Il programma di ricerca automatica dell’osservatorio del Brallo è gestito dal software Ricerca 7 della Omegalab di Palermo.

La NGC 5117 è una spirale barrata di tipo SBcd, estesa per circa 70mila anni luce, con le dimensioni di 2,20’x1,01’ e la magnitudine 13,4. Si trova a 109 milioni di anni luce nella costellazione dei Cani da Caccia, vicino al confine con la Chioma di Berenice, dove fu scoperta nel 1827 da John Herschel. La notte successiva alla scoperta della supernova, identificata come SN 2022abq, la sua natura è stata confermata all’Osservatorio di Asiago con il Telescopio Galileo, dove è stato ottenuto anche il suo spettro per poterla classificare. È risultata di tipo II, prodotta quindi dall’esplosione di una stella con la massa iniziale almeno dieci volte maggiore di quella del Sole. Un tipo di supernova di grande importanza per migliorare le tecniche di misurazione delle distanze galattiche. La SN 2022abq si è manifestata con una magnitudine apparente 16,2 ed è destinata ad affievolirsi in un periodo compreso tra 40 e 100 giorni. Era più di un anno che dall’Italia non veniva scoperta una supernova: merito dei due astrofili Franco Cappiello di Milano, presidente della casa editrice BFC Space, e Salvo Massaro di Palermo, corresponsabile dell’osservatorio del Brallo, e degli astronomi di Asiago che ne hanno compiuto il primo studio scientifico.

5 START
UNA SUPERNOVA (ITALIANA) NEI CANI DA CACCIA ISS IN ORBITA E FUNZIONANTE FINO AL 2030
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NAVIGHIAMO NEL VUOTO DELLA “BOLLA LOCALE

Il Sistema solare con le stelle vicine sembra immerso in un mezzo interstellare a densità molto bassa rispetto alla media della nostra Galassia. La regione galattica in cui ci troviamo è detta Bolla Locale: è una struttura formatasi milioni di anni fa, che si espande alla velocità di 6-7 chilometri al secondo.

Un gruppo di astronomi, guidati da Catherine Zucker del Center for Astrophysics Harvard & Smithsonian ha ricostruito in dettaglio questo ambiente, i suoi confini e le sue origini. Il team ha determinato età, posizione e movimento di ammassi aperti, zone di formazione stellare e nubi molecolari entro un raggio di 1300 anni luce dal Sole. Questi dati sono poi stati riuniti in una mappa interattiva 3D del nostro quartiere galattico che è liberamente navigabile: basta inquadrare il QR

Il Sole si trova quasi esattamente al centro della Bolla, mentre le regioni di formazione stellare si concentrano sulla sua superficie, dove si trovano nubi molecolari appiattite e filiformi. Secondo la ricostruzione, 14 milioni di anni fa una ventina di supernove sono esplose in due regioni formazione stellare vicine al Sole: la radiazione, le onde d’urto e il gas eiettato hanno sospinto il mezzo interstellare verso l’esterno, innescando a loro volta dei processi di formazione stellare fino a circa 2 milioni di anni fa, con gli episodi più recenti nelle costellazioni del Lupo e del Camaleonte. Vedi la news completa su Bfcspace alla pagina bit.ly/3GWQSFN G.D.

6 SPACE NEWS A CURA DELLA REDAZIONE

E.T. POTREBBE NASCONDERSI SOTTO UNA CROSTA DI GHIACCIO

L’acqua liquida nel Sistema solare è più diffusa di quanto sembri. È presente in grandi oceani sotto la coltre di ghiaccio superficiale di molti corpi celesti: in principio fu la luna gioviana Europa, poi seguita da Encelado e Titano, lune di Saturno. Oceani interni sono stati trovati anche su Cerere e Plutone, e perfino la piccola luna Mimas di Saturno è stata inserita in questa lista, in seguito all’esame delle misure delle librazioni della piccola luna effettuate dalla sonda Cassini della Nasa.

Questi ambienti potrebbero ospitare degli esseri viventi, sostenuti non dall’energia solare, ma da quella geotermica Così, si amplia notevolmente il numero di potenziali ambienti adatti alla vita, anche più della Terra, che ha gli oceani in superficie, soggetti a molte minacce, come l’impatto di asteroidi e comete, brillamenti stellari, esplosioni di supernove vicine. Lo strato di roccia e ghiaccio che ricopre gli oceani di questi mondi nasconde e protegge anche le loro eventuali forme di vita, che non avrebbero nessuna possibilità di contatto con l’esterno. Questa potrebbe essere una soluzione del “Paradosso di Fermi” (perché non troviamo prove della vita, se è diffusa in tutto l’Universo?): la vita potrebbe essere presente in prevalenza negli oceani interni di corpi ghiacciati. E la Terra sarebbe davvero un tipo di mondo molto raro. Inquadra il QR per un video su questa scoperta di AsiTV. Vedi la news completa su Bfcspace alla pagina bit.ly/3tSzHBh

G.D.

NEA SCOUT, A VELA

TRA GLI ASTEROIDI

La radiazione solare non produce solo luce e calore, da cui si ottengono svariate forme di energia, ma può fornire direttamente una propulsione spaziale (vedi “L’Ora di astronomia” a pag. 68). Per utilizzare questo sistema, una sonda deve disporre di una grande vela solare, che viene “gonfiata” dal Sole. La pressione di radiazione, pur debolissima, può generare una spinta in grado di far navigare una piccola sonda. Su questa tecnologia si basa la missione Near-Earth Asteroid Scout (Nea Scout) della Nasa, che parte come carico secondario della missione Artemis I: la sonda è composta da un cubesat e da una vela solare da 86 metri quadrati. Il cubesat è equipaggiato da una telecamera, pannelli fotovoltaici, antenna per le comunicazioni e piccoli razzi per le manovre di orientamento. La vela è costituita da un polimero plastico e alluminato, più sottile di un capello umano. L’obiettivo della missione è il piccolo asteroide 2020 GE (18 metri di diametro), che verrà analizzato nel dettaglio, trattandosi di un corpo che si avvicina alla Terra, e a rischio di produrre disastri (vedi l’articolo su Sodoma e Gomorra, Cosmo n. 25). L’8 settembre 2023 l’asteroide 2020 GE passerà a soli 5,7 milioni di km dalla Terra e in quella occasione Nea Scout cercherà di avvicinarsi fino a un paio di chilometri. Inquadra il QR per una video-simulazione della Nasa della missione di Nea Scout.

NEWS 7
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JAMES WEBB È A DESTINAZIONE

Lanciato il 25 dicembre scorso dallo spazioporto europeo di Kourou, nella Guyana Francese, il telescopio spaziale James Webb ha raggiunto il 24 gennaio la sua orbita halo attorno al punto lagrangiano L2, a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra. Decisamente complesso, il lancio è avvenuto a bordo di un razzo Ariane 5 e si è rivelato così preciso da non aver imposto al telescopio spaziale alcuna manovra di correzione della traiettoria. Questo ha permesso di risparmiare carburante e allungare la vita operativa dell’osservatorio orbitante, che potrebbe essere addirittura doppia di quanto previsto. “Dal momento del lancio, la nostra limitazione è data dalla quantità di carburante”, ha dichiarato Bill Ochs, project manager di James Webb. “Abbiamo carburante per, grossomodo, vent’anni”. Ora il nuovo telescopio spaziale è in posizione, con il suo scudo termico orientato verso il Sole e la Terra, e sta eseguendo ulteriori test diagnostici per prepararsi a riprendere le prime immagini dello spazio profondo, manovrato dal team di scienziati di Nasa, Esa e Csa, le tre agenzie (americana, europea e canadese) che hanno collaborato alla realizzazione del più potente e costoso osservatorio mai lanciato nello spazio.

8 SPACE NEWS A CURA DELLA REDAZIONE
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sull’esplosione, rilevata dal 18esimo Space Control Squadron statunitense, del satellite meteorologico YunHai 1-02, lanciato nel 2019 e perfettamente funzionante. L’Orbital Debris Program Office (Odpo) della Nasa ha però stabilito che la frammentazione del satellite in 37 pezzi tracciabili (più grandi di 10 centimetri) è stata causata dallo scontro con un piccolo detrito spaziale associato al sistema di lancio del satellite russo Cosmos 2333, in orbita dal 1996. Si tratta della quinta volta che uno scontro orbitale distrugge un satellite. In poco più di sei mesi dallo scontro, avvenuto il 18 marzo 2021, quattro dei 37 frammenti sono rientrati nell’atmosfera terrestre, ma i restanti vanno a sommarsi agli altri 24mila detriti tracciabili, che sono solo una piccola parte della cosiddetta space junk (vedi una mappatura di questa “spazzatura spaziale” in figura). A questo proposito, si vedano i tanti articoli nella prima parte di questo numero di Cosmo

COSMO-SKYMED

Il satellite italiano da 2230 chilogrammi è stato lanciato il primo febbraio da un razzo Falcon 9. Dopo l’inserimento in orbita, il satellite ha dispiegato sia i pannelli solari che l’antenna radar che gli consentirà di osservare la Terra nei raggi X. La costellazione Cosmo-Skymed di Seconda Generazione (Csg) conta ora due esemplari sul totale dei quattro che serviranno per l’osservazione del bacino mediterraneo. Csg andrà a sostituire la precedente costellazione Cosmo-Skymed di prima generazione, i cui quattro satelliti, lanciati fra il 2007 e il 2010, stanno avvicinandosi alla fine della loro durata operativa.

Entrambe le costellazioni sono un progetto sia civile che militare, promosso dall’Agenzia Spaziale Italiana e dal Ministero della Difesa I satelliti Csg sono stati costruiti dall’italiana Thales Alenia Space, jointventure di Thales al 67% e Leonardo al 33%, e anche il lancio sarebbe dovuto avvenire a bordo di un lanciatore italiano, il Vega-C. Tuttavia, a causa dei ritardi del costruttore, SpaceX ha guadagnato il contratto. Inquadra il QR per rivedere la diretta Nasa del lancio, D.L.

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2.2 È NELLO SPAZIO!
5 INCIDENTI SPAZIALI: DISTRUTTO UN SATELLITE CINESE Dalla Cina non è arrivata alcuna dichiarazione
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PRONTI ALLA LUNA: MISSIONE CAPSTONE IL 19 MARZO

La missione Capstone rientra fra quelle di preparazione del programma Artemis, ma verrà gestita dalla compagnia privata Advanced Space, che ha vinto un bando Nasa da 13,7 milioni di dollari Al momento di andare in stampa, il lancio è programmato per il 19 marzo, dalla Nuova Zelanda, su un razzo Electron della Rocket Lab. A bordo del terzo stadio del vettore si troverà il cubesat Capstone, acronimo per Cislunar Autonomous Positioning System Technology Operations and Navigation Experiment. Come il nome suggerisce, Capstone verrà utilizzato per testare le comunicazioni in ambiente cislunare e la stabilità dell’orbita sulla quale si posizionerà il Lunar Gateway. Dopo tre mesi di viaggio verso la Luna, Capstone verrà infatti immesso in un’orbita halo quasi rettilinea, e per sei mesi fornirà importanti dati sulla propria telemetria e sulla possibilità di orientarsi sfruttando solo l’orbiter lunare Lro. Inoltre, sperimenterà un innovativo sistema di propulsione a idrazina sviluppato da Stellar Exploration Inc. e progettato appositamente per piccoli satelliti che devono percorrere lunghi viaggi.

NOVA-C IN PARTENZA PER LA LUNA

Fra marzo e aprile partirà la missione IM-1, che porterà sulla Luna il lander Nova-C. La missione rientra nel programma Clps (Commercial Lunar Payload Services) della Nasa, il cui obiettivo è usare lanciatori e lander commerciali per portare sulla superficie selenica esperimenti scientifici e dimostratori tecnologici. Il lander Nova-C, capace di portare 100 chilogrammi sulla superficie lunare, è stato infatti creato dalla compagnia privata Intuitive Machines e verrà lanciato a bordo di un razzo Falcon 9 L’allunaggio avverrà nella regione Vallis Schroteri: mentre la strumentazione del lander scandaglierà la superficie, il software di bordo sceglierà il punto più adatto su cui posare le sei gambe del lander. Se poi il punto scelto non dovesse essere all’altezza delle aspettative, Nova-C potrebbe addirittura riaccendere i motori alimentati a ossigeno e metano per spostarsi alla ricerca di un’altra postazione. Gli interessi in gioco sono tanti: a bordo si contano cinque payload Nasa e quattro commerciali. Secondo i piani di Intuitive Machines, un altro lander Nova-C raggiungerà il nostro satellite naturale entro fine anno, e un altro ancora nel 2024.

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10 SPACE NEWS A CURA DELLA REDAZIONE
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ISS IN ORBITA E FUNZIONANTE

FINO AL 2030

Il 31 dicembre 2021 l’amministratore della Nasa, Bill Nelson, ha ufficializzato il supporto americano alla Stazione spaziale internazionale per altri sei anni: dal 2024 al 2030. Questo garantirà all’ente spaziale statunitense una presenza continuativa in orbita fino al lancio (previsto nella seconda metà di questo decennio) delle tre stazioni spaziali private al momento in fase di progettazione e sviluppo. La decisione è supportata da tre dei quattro partner del progetto Iss: Esa (Europa), Jaxa (Giappone) e Csa (Canada). Rimane in bilico la posizione della Russia, che ha più volte dichiarato di non essere interessata a continuare la collaborazione oltre il 2024 o 2025. In effetti i rapporti fra la Russia e gli altri paesi coinvolti hanno al momento attriti sia a Terra, per la questione Ucraina, sia in orbita, per la creazione di detriti spaziali durante il test di armi anti-satellitari. Quanto dichiarato dalla Russia potrebbe essere solo un bluff per ottenere il ritiro di alcune sanzioni, mentre prosegue il dialogo russo con la Cina per la costruzione di una base lunare

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STARLINK: PIÙ DI DUEMILA OLTRE L’ATMOSFERA

Con il lancio del 19 gennaio (foto), il numero di satelliti Starlink oltre l’atmosfera ha superato le due migliaia (si leggano gli articoli dedicati a pag. 20 e 24). Nella stessa data, però, il numero di satelliti funzionanti ai fini dell’offerta del servizio di internet satellitare era di 1469. Un numero molto vicino ai 1548 necessari per garantire la stabilità di rete alle latitudini maggiori, ma ancora lontano dai 4408 che, nei piani di Elon Musk, completeranno la prima fase del progetto Starlink, fornendo copertura satellitare a tutto il mondo. Per raggiungere questo obiettivo, Musk intende servirsi anche della navicella Starship per liberare centinaia di satelliti in un solo volo Questo potrebbe aiutare SpaceX a contenere i costi dei lanci di prova che Starship dovrà effettuare prima di ottenere la certificazione Nasa per il trasporto umano. Tuttavia, almeno per quest’anno, sarà difficile che la gigantesca navicella superi il numero di satelliti messi in orbita dai Falcon 9. Nel 2021 i cavalli da soma di SpaceX hanno registrato 31 lanci, e nel 2022 sarà probabilmente registrato un nuovo record

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NEWS 11 9 10

CACCIA

SPACE DEBRIS

Il 2 aprile 2018 la stazione spaziale cinese Tiangong-1 precipitò sulla Terra, probabilmente nell’Oceano Pacifico meridionale, destando allarme e preoccupazione, in gran parte ingiustificate, in ogni angolo del globo. La storia si è in parte ripetuta lo scorso maggio, quando un frammento del razzo cinese Lunga Marcia 5B, che ha lanciato in orbita un componente della nuova stazione spaziale cinese, la Tiangong-3, è rientrato in modo incontrollato sulla Terra, finendo la sua corsa nell’Oceano Indiano. Più recentemente, gli astronauti della Stazione spaziale internazionale (Iss) hanno dovuto rifugiarsi cautelativamente nelle due navette,

una Soyuz e una Crew Dragon, sempre attraccate alla Stazione, perché i detriti di un vecchio satellite spia russo non più operativo, fatto esplodere con un missile a novembre 2021, avrebbero potuto collidere con la Iss, provocando lo scenario immaginato dal film di fantascienza Gravity, dove la Iss viene disintegrata da una pioggia di detriti originata dalla collisione fra due satelliti in orbita. Ancora, nelle Space News di questo numero riportiamo la notizia dell’esplosione del satellite meteorologico cinese YunHai 1-02 avvenuta a marzo dello scorso anno a causa della collisione con una piccola scheggia associata al vettore di lancio Zenit-2 del satellite russo Cosmos 2333, in orbita dal 1996.

E proprio nei giorni in cui leggerete questa rivista, è probabile che un detrito spaziale sia finito addirittura sulla Luna: inizialmente creduto un pezzo di un razzo Falcon 9 di SpaceX, è stato infine identificato con uno stadio della missione lunare cinese Chang’e 5-T1 (inquadra il QR a pag.13 per un servizio dedicato al tracking di questo detrito).

Tutti questi avvenimenti, più volte ricordati anche in altri articoli di questo numero, sono accomunati da un filo comune: il problema crescente degli space debris cioè dei detriti spaziali lasciati in orbita a seguito degli innumerevoli lanci che ormai caratterizzano la normale attività degli enti spaziali governativi e delle industrie private.

UN PROBLEMA SEMPRE PIÙ ATTUALE E PIÙ DIFFICILE ANCHE A CAUSA CARENZE LEGISLATIVE SOVRANAZIONALI A COLLOQUIO CON ALBERTO BUZZONI
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COVER STORY DI WALTER RIVA
DALLA SEMPRE
SOLUZIONE,
DI
AGLI

Per aiutarci a districarci in questo labirinto di “spazzatura spaziale” (non a caso gli esperti americani preferiscono usare il termine letterale di space junk) abbiamo chiesto aiuto ad Alberto Buzzoni, astronomo associato Inaf presso l’Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio di Bologna. Dopo essersi occupato per molti anni dello studio della popolazione di galassie nell’Universo ha alla fine applicato queste esperienze allo studio della popolazione dei detriti spaziali “terrestri”, diventandone un vero e proprio esperto, e rappresentando l’Inaf nel Comitato di Coordinamento e Indirizzo di Ocis, l’organismo governativo per il coordinamento dell’attività nazionale di Space surveillance and tracking, in collaborazione con l’Agenzia spaziale italiana (Asi) e la Difesa.

SEMBRA CHE IL PROBLEMA DEI DETRITI SPAZIALI SIA DIVENTATO DAVVERO IMPORTANTE. MA DI CHE COSA STIAMO PARLANDO, QUANDO CI RIFERIAMO

A QUESTI OGGETTI?

Parliamo di satelliti “dismessi”, cioè oggetti che hanno finito la loro vita operativa, ma continuano ugualmente a orbitare, di stadi interi o parti di lanciatori e rottami vari (si va dai bulloni ai fiocchi di vernice) generati durante i lanci, oppure a causa di esplosioni a bordo, oppure ancora come esito di esperimenti militari “anti-satellite”. Perfino il fumo dei razzi può essere considerato fonte di detriti spaziali, perché, nel caso dei propellenti solidi, i lanciatori rilasciano in quota grumi di ossidi di alluminio che rientrano molto

lentamente, nelle settimane e nei mesi seguenti a ogni lancio. Mediamente, ogni anno ricadono in atmosfera circa 400 oggetti di dimensioni simili a quelle di una motocicletta fino a quelle di un pullman (satelliti integri o stadi di vettori), ma questa è una stima largamente per difetto, che non tiene conto delle migliaia di detriti più piccoli e che in ogni caso è destinata ad aumentare a causa dell’aumento dei lanci. Negli ultimi anni stiamo inoltre assistendo a una crescita esponenziale dei mini e micro-satelliti (i cosiddetti cubesat) che (per adesso) popolano la fascia orbitale bassa (Leo, Low-Earth orbit) tipicamente a quote di 300-600 km. Questo aumento è certamente favorito anche dal crollo dei costi di accesso allo spazio (per le orbite Leo siamo attualmente a tariffe dell’ordine di 2000 euro per kilo di carico utile lanciato) e dalla maggiore offerta di lanciatori, anche privati. Possiamo identificare l’anno 2017 come uno spartiacque in questo contesto: da quell’anno, infatti, il numero dei lanci privati ha superato quello delle agenzie governative. Questo ha inevitabilmente indotto un cambio di paradigma, riconsiderando l’accesso allo spazio non più (solo) con finalità esplorative quanto piuttosto di sfruttamento commerciale.

SI PUÒ INDIVIDUARE

LA CAUSA CHE STA ALLA BASE DEL PROBLEMA DEGLI SPACE DEBRIS?

Il vero problema della vicenda è come un Giano bifronte: la maggiore facilità dell’accesso allo spazio sta portando inevitabilmente all’aumento del numero degli attori, ma il tutto continua ad avvenire in

una sorta di anarchia planetaria, con l’assenza quasi totale di legislazione o comunque di regolamentazione condivisa. L’approdo allo spazio è diverso da tutte le altre attività umane: per esempio, il naturale paragone con il traffico aereo in realtà è solo parziale, poiché mentre nel caso degli aeromobili si può parlare ancora di un contesto di navigazione per “spazi aerei nazionali”, in orbita la situazione è drasticamente differente, a causa delle velocità in gioco. Basti pensare che, muovendosi a 7 km al secondo, la Stazione spaziale è in grado di sorvolare l’intero territorio italiano in meno di tre minuti, passando poi sopra altre decine di stati differenti nel corso dei 90 minuti della sua orbita. Per avere qualche effetto, la regolamentazione dovrebbe quindi essere non più a livello nazionale, ma addirittura a livello planetario, ed essere estesa agli operatori privati e governativi di tutti i singoli stati. Ora, come ci insegnano anche altre vicende umane, trovare l’unanimità in questi frangenti è estremamente complicato soprattutto quando ci sono enormi interessi in gioco: industriali, commerciali, militari. Qualunque tentativo normativo dovrebbe poi tenere conto dell’ulteriore complicazione che gli oggetti in orbita appartengono al Paese che ha lanciato il satellite, cioè che gli Stati mantengono la proprietà degli oggetti lanciati nello spazio extra-atmosferico anche quando essi ritornano sulla Terra, sul territorio di un’altra nazione, ma le sedi legali delle società sono spesso ubicate da un’altra parte, per esempio in Paesi che offrono una legislazione fiscale più favorevole.

13 COVER STORY

Grosso modo, la popolazione degli space debris scala in numero in base all’inverso della superficie dell’oggetto. Per esempio, gli oggetti di dimensione del millimetro sono circa cento volte di più di quelli di dimensione centimetrica, e circa un milione di volte di più di quelli di dimensione del metro.

Grazie alla più favorevole visibilità nel rilevamento ottico o radar da terra, gli oggetti in orbita “noti” e

censiti sono i circa 24mila maggiori di 10 cm. Attenzione qui alla parola “censiti”, che significa non solo conoscerne il pedigree di origine e le caratteristiche fisiche, ma anche l’orbita attuale. Per oggetti in Leo, l’orbita è continuamente soggetta a perturbazioni rilevanti, dovute al fatto che la Terra non è esattamente sferica. A quote maggiori, poi, si somma la piccola, ma continua, attrazione del Sole e della Luna.

La stessa luce solare esercita una pressione sulle superfici dei corpi in orbita, a seconda del loro colore e della loro lucentezza, introducendo una perturbazione che diventa importante negli oggetti più piccoli (vedi l’articolo a pag. 68, ndr).

La somma di tutte queste

perturbazioni richiede quindi un aggiornamento continuo dei parametri orbitali, con frequenza giornaliera per gli oggetti in Leo e ogni 4-5 giorni per gli oggetti a quote superiori. Solo una frazione minima (alcuni percento) degli oggetti compresi fra i 10 e i 20 cm è nota e censita, mentre ancora “terra incognita” è la popolazione dei detriti di dimensione centimetrica o meno. Quelli fra 1 cm e 10 cm destano particolare preoccupazione, poiché alle velocità orbitali l’energia di impatto di questi “sassolini” è di gran lunga superiore a quella di un colpo di cannone di carro armato. Oggetti più piccoli di 1 cm possono certamente perforare la tuta (e il corpo) di un astronauta

» La nuvola di debris maggiori di 1 metro secondo una simulazione dell’Esa. Notare l’affollamento nelle orbite basse e geostazionaria. COVER STORY DI WALTER RIVA
È POSSIBILE L’EFFETTO IPOTIZZATO DALLA SINDROME DI KESSLER, CIOÈ UNA CONGESTIONE
TALE DI SPACE DEBRIS DA RENDERE IMPOSSIBILE IL LANCIO DI ALTRI SATELLITI?
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durante una passeggiata spaziale e fare ammaccature profonde (ma non fatali) in un’astronave, mentre dimensioni anche di poco maggiori possono causare perforazioni nelle lamiere, fino a causare l’esplosione e la distruzione totale del bersaglio raggiunto. Poi c’è la questione della possibile reazione a catena, mutuata da quanto avviene nelle centrali nucleari a fissione, ma con una differenza importante però, cioè che nello spazio gli oggetti sono allo stesso tempo proiettili e bersagli, rendendo realistico una sorta di “effetto domino”. Per certi aspetti, quindi, uno scenario simile a quello presentato dal film Gravity potrebbe anche diventare plausibile. Per fortuna, non siamo ancora a quel

livello di rischio, ma il fenomeno sta evolvendo in modo più che lineare.

I DETRITI SPAZIALI VENGONO CENSITI E COSTANTEMENTE SEGUITI DA TERRA E DALLO SPAZIO?

Il censimento è una questione centrale per la sorveglianza “passiva” del traffico spaziale ed è alla base del concetto di Space Surveillance and Tracking. Ci sono “uno, nessuno, centomila” oggetti che vediamo una sola volta ma che poi perdiamo e facciamo fatica a re-identificare nelle ore e nei giorni seguenti, se l’orbita non viene definita subito e aggiornata con la cadenza necessaria. L’osservazione avviene sia in

ottico che per mezzo radar, ad alta frequenza, in grado di rilevare il passaggio di oggetti di alcune decina di centimetri, se “volano bassi” e la potenza di illuminazione radio, da terra, è adeguata. Tuttavia, il problema in questo caso è l’alta velocità angolare e il tempo di transito che, nel caso in cui si usi un radiotelescopio come ricevitore, è dell’ordine di pochi secondi per gli oggetti più veloci. In ottico, il campo di vista è spesso ancora più piccolo e il tempo transito è dell’ordine di un secondo o meno. Pertanto, si deve aumentare il campo di vista (con le relative complicazioni e criticità nella progettazione), oppure bisogna dotare lo strumento di un’adeguata movimentazione per il tracking.

» La nuvola di debris maggiori di 10 cm in una simulazione dell’ESA. Gli oggetti censiti di questa dimensione sono oltre 24mila, ma molti sfuggono al censimento in particolare nel range della decina di centimetri.
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Nel caso del radar, inoltre, va considerato che lo strumento deve anche “illuminare” l’oggetto (se questo non è “cooperativo” di suo), in modo da captarne il segnale riflesso. Siccome il segnale di andata decade con la distanza al quadrato e altrettanto perde durante il tragitto di ritorno, la sensibilità di rilevamento radar diminuisce rapidamente (con la quarta potenza della distanza) man mano che la quota aumenta. Al contrario, per un telescopio ottico, oggetti troppo bassi solcano il cielo troppo velocemente; quindi, un telescopio è più efficiente nel vedere e seguire oggetti più lontani, a patto che questi siano illuminati dal Sole e solo durante le ore notturne.

Le due tecniche di rilevamento sono complementari: il radar può vedere anche di giorno e tende a essere “miope” (cioè vede meglio “da vicino”), mentre il telescopio ottico può operare solo di notte (e con il cielo sereno) e tende ad essere “presbite” (cioè vede meglio “da

lontano”). La quota che demarca le differenti zone di lavoro, fra radio e ottico, si situa circa a 1000 km. Per le attività di sorveglianza, vanno infine considerati gli aspetti economici poiché - non piccolo dettaglio - in termini di costi per ora di operazione, un radar è circa due ordini di grandezza più caro rispetto a un telescopio ottico. Il che rende la capacità radar quasi esclusivo appannaggio delle applicazioni militari.

COME È ORGANIZZATA

LA SORVEGLIANZA

DEGLI SPACE DEBRIS? ESISTONO RETI MONDIALI, CONTINENTALI, NAZIONALI?

La rete europea, di cui l’Italia fa parte a pieno titolo in quanto ne è fra i cinque Paesi fondatori, è la European Space Surveillance and Tracking (Eusst), un consorzio costituito attualmente da sette Paesi (ma in rapida crescita) tramite le

loro agenzie spaziali: Italia, Francia, Germania, Polonia, Romania, Spagna e Portogallo. In verità, questi ultimi due Paesi, in mancanza di una agenzia spaziale costituita, partecipano rispettivamente tramite il Cdti (la Spagna), un’organizzazione pubblica per lo sviluppo tecnologico e industriale, e tramite la propria Marina militare (il Portogallo). Anche l’Agenzia spaziale europea (Esa) si occupa della questione space debris, tramite un programma specifico e un ufficio dedicato che ha sede a Darmstadt in Germania. Nell’ambito dell’Eusst, ogni nazione ha, diciamo così, il suo stile di partecipazione e ognuno apporta la sua dote di strumentazione e struttura organizzativa di appoggio, per esempio la Romania mette a disposizione i suoi radar, il Portogallo ha il vantaggio di possedere le isole nell’Atlantico consentendo così un’estensione territoriale del tracking, la Polonia vanta una dotazione di piccoli telescopi sparsi in diverse zone del mondo e così via.

L’Italia partecipa come Difesa, in particolare l’Aeronautica Militare, come Asi e come Inaf, gli stessi enti che danno vita e forma all’Organismo di Coordinamento e di Indirizzo per le attività di Space Surveillance and Tracking (Ocis), che ha compiti di Sst nell’ambito di Eusst. I dati di Eusst sono disponibili gratuitamente per qualsiasi entità pubblica o privata che abbia qualche titolarità a ricevere informazioni e che si iscriva al servizio. Anche il database della corrispondente iniziativa americana Norad è pubblico nella sua quasi totalità mentre il servizio di informazione russo mette a disposizione solo una parte dei

» La nuvola di debris maggiori di 1 cm in una simulazione dell’Esa: si tratta di milioni di oggetti.
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dati di natura “non classificata”, raccolti attraverso la rete mondiale Ison (International Scientific Optical Network), coordinata dall’Accademia delle Scienze russa, attraverso il Keldysh Institute of Applied Mathematics di Mosca. Esiste naturalmente anche una sua omologa (e più importante) rete militare, il progetto Krona, i cui dati sono del tutto riservati.

CHE COSA SI PUÒ FARE PER MODIFICARE QUESTA SITUAZIONE CHE STA CREANDO PROBLEMI ALLO SVILUPPO DELLE ATTIVITÀ SPAZIALI E RISCHIA DI CREARNE MOLTI DI PIÙ IN FUTURO?

Il principale problema, a mio avviso, è la mancanza di una legislazione sovranazionale condivisa, che normi le modalità di accesso allo spazio, specialmente nelle orbite Leo e per fini di sfruttamento commerciale, un processo già in atto ma che esploderà in questo decennio. Va inoltre trovato un accordo sulle modalità degli esperimenti anti-satellite militari (già ora nominalmente proibiti), che sono copiosa fonte di detriti tutte le volte che si “spara” a un bersaglio in orbita per distruggerlo.

Occorre trovare un terreno comune sulla space diplomacy e mancano risorse anche umane in questo ambito. Ecco, quella dei “diplomatici spaziali” è un’area di intervento in grande crescita ed è opportuno che noi come Italia manteniamo uno

spazio di azione per il nostro Paese. Posso fare un ragionamento analogo, in quanto al vuoto legislativo, pensando allo space mining, cioè lo sfruttamento delle risorse minerarie della Luna o degli asteroidi. Ambito nel quale, per esempio, gli Stati Uniti e il Lussemburgo hanno predisposto una legislazione a loro vantaggio.

A lato di tutto questo c’è poi un discorso geopolitico più generale che riguarda alcuni dei paesi emergenti (pensiamo al Brasile, all’India, addirittura all’Iran o alla Corea del Nord), per i quali l’accesso allo spazio, prima ancora di essere visto in termini di progresso sociale ed economico, è principalmente motivo strategico per “mostrare i muscoli” e accreditarsi nel contesto internazionale come potenze politiche regionali.

In definitiva, tornando alle possibili soluzioni “attive” al problema dei detriti spaziali, possiamo dire che la strada più realistica che si va affermando non è tanto quella di limitare i lanci, quanto piuttosto di intervenire preventivamente e in misura mirata, attraverso attività di in-orbit servicing con satelliti “spazzini” che vadano a catturare solo quei satelliti “a fine vita” di maggiori dimensioni (si parla di 4-5 missioni all’anno), potenziali fonti di proliferazione di detriti più piccoli in caso di collisione in orbita. Come si può intuire però, il problema principale in questo caso sono i costi proibitivi di simili missioni “a perdere” (dal punto di vista del profitto commerciale), e quindi la domanda inevasa è: chi paga? L’evoluzione delle condizioni di mercato nell’ambito spaziale definiranno presto i limiti e le

condizioni di questo tipo di approccio “attivo” al problema della Sindrome di Kessler. Resta, in ogni caso, ingestibile qualunque azione di pulizia “attiva” dei detriti più piccoli in orbita: per questi (almeno alle orbite Leo sotto i 500 km) bisogna solo confidare nel lento (ma per fortuna inesorabile) effetto di spazzino dell’attrito atmosferico, su scale di azione di diverse decine di anni.

I PROGETTI IN CORSO VANNO DAL RACCOGLIERE I DETRITI, A DEVIARLI SU ORBITE POCO AFFOLLATE, A DE-ORBITARLI FINO ALLA DISTRUZIONE IN ATMOSFERA. QUALE DI QUESTI METODI È PIÙ

PROMETTENTE? Saltare da un’orbita all’altra non è un’operazione semplice: richiede notevoli costi materiali di propellente e adeguata capacità di manovra dell’astronave, nonché ottime conoscenze teoriche di astrodinamica per ottimizzare la navigazione e le complesse manovre necessarie. Questa premessa, per dire che dal punto di vista di una nazione che possieda asset spaziali, dimostrare che si è in grado di modificare autonomamente l’orbita di un proprio satellite è essa stessa dimostrazione di potenza militare, anche perché alcuni piccoli satelliti di quella nazione, mascherati da detriti, potrebbero avvicinarsi a satelliti di altre nazioni e diventare delle spie o perfino degli incursori distruttivi. Queste tecniche di space-war e cyberwar sono già in atto e noi come Ocis ci siamo già trovati a dover gestire alcuni di questi casi di potenziale

» La cupola del telescopio “Cassini” a Loiano, in una immagine invernale di Ivan Bruni (Oas).
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coinvolgimento per satelliti europei in orbita.

Ciò detto, dal punto di vista delle attività di in-orbit servicing, c’è sicuramente molto spazio, anche in Italia, per start-up magari provenienti dai politecnici sia per il controllo in orbita che per il tracking o per le varie attività del segmento di controllo a terra. Nel caso delle missioni di “pulizia” in Leo, il “satellite spazzino” dovrà contenere le sue dimensioni per non essere troppo costoso e quindi si pone il problema di come un oggetto piccolo possa spostare o ingabbiare un oggetto molto più grande di lui. Sono anche allo studio soluzioni “ecosostenibili” in partenza, che prevedano cioè, al momento del lancio di un nuovo satellite, anche il processo di de-orbiting. Da questo punto di vista l’Esa è all’avanguardia, essendosi dotata di un ufficio e di un programma apposito, il CleanSat. Esso prevede che un nuovo satellite debba rimanere operativo in orbita non più di 25 anni e che

debba essere prevista fin dall’inizio la modalità di dismissione una volta terminata la sua vita attiva. Tecnicamente, le operazioni di deorbiting sono fattibili in molti casi, anche se sono molto più difficoltose per i cubesat e per i satelliti di piccole dimensioni come gli Starlink, ma comportano comunque dei costi aggiuntivi. Per esempio, nelle orbite Leo, questo obiettivo si può raggiungere aumentando di molto la superficie di attrito del satellite (gonfiando appositi air-bag, oppure dispiegando “vele” sottili), in modo da accelerare il rientro in atmosfera. Si tratta in sostanza di una procedura di de-orbiting naturale, sperando ovviamente che il sistema funzioni correttamente dopo anni di permanenza nello spazio. Torniamo però al punto di partenza: in assenza di un ambiente legislativo che imponga (o renda finanziariamente o fiscalmente ineludibili) certe procedure, ogni soluzione è lasciata alla buona

volontà degli attori, pubblici e privati, che partecipano allo spazio. Nel contesto attuale, inoltre, nemmeno le regole di ingaggio per manovre di collision avoidance, in caso di traiettorie conflittuali fra satelliti operativi, sono definite in maniera univoca.

Sarebbe importante almeno stabilire prassi operative condivise su chi debba intervenire e provare a spostarsi. Potrebbe essere sensato, per esempio, dare la precedenza a chi era in orbita da prima e quindi imputare la mossa all’altro satellite che è arrivato dopo. Sembrano casi isolati, ma sono destinati a crescere; già adesso ogni anno si contano 3-4 manovre della Iss per evitare potenziali impatti con i debris.

IN ITALIA, AL DI FUORI DELLA RISTRETTISSIMA CERCHIA DEGLI ADDETTI AI LAVORI, C’È SENSIBILITÀ

SU QUESTI PROBLEMI?

L’Italia ha acquisito consapevolezza nel 2018 con la caduta della Tiangong-1: il Dipartimento della Protezione civile si è interessato all’avvenimento con un Tavolo tecnico, coinvolgendo, oltre a Ocis, tutti gli enti di vigilanza e controllo espressamente previsti dalla legge. Le azioni operative di messa in sicurezza o in pre-allarme, soprattutto degli asset industriali e strategici sul territorio nazionale, hanno in qualche modo inaugurato e definito una prassi che va consolidandosi e che è già stata applicata anche in un paio di casi successivi. Ciò significa che adesso siamo fra i pochi Paesi al mondo in grado di “mettere in moto” la macchina della sicurezza nazionale in caso di minacce spaziali.

» Una veduta interna della cupola del “Cassini”, durante una pausa delle osservazioni notturne di Sst, con Alberto Buzzoni (Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio) e Germano Bianchi (Istituto di Radioastronomia, Bologna).
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Make it sure, make it simple. rina.org Facciamo decollare i progetti più complessi negli ambienti più difficili.

INCONTRIAMOCI

IN ORBITA

INCREMENTO DEL TRAFFICO IN PROSSIMITÀ DELLA TERRA E INCONTRI RAVVICINATI DELLE INFRASTRUTTURE STANNO CREANDO UN’EMERGENZA. MA ANCHE UN BUSINESS CHE CRESCERÀ NEI PROSSIMI ANNI

Tutti sappiamo (o dovremmo sapere) che i satelliti sono parte integrante del nostro modo di vivere. È questione che tocchiamo con mano ogni giorno, quando consultiamo le previsioni del tempo, o quando inseriamo un indirizzo nel navigatore. Solo mia mamma, quasi centenaria, ha il diritto di chiedere come faccia “la signorina a sapere che strada dobbiamo fare?”; chiunque altro dovrebbe ricordare che il servizio deriva da una costellazione di satelliti progettati per fornire il global positioning

L’originale Gps è americano e ha una matrice militare, mentre il sistema europeo, Galileo, è civile. Indipendentemente da chi gestisca il servizio, stiamo parlando di una tecnologia che ci posiziona grazie allo scambio continuo di informazioni temporali tra il nostro dispositivo e almeno tre satelliti. Visto che il servizio è offerto a livello mondiale, tutta la superficie del Pianeta deve sempre essere coperta da almeno tre

satelliti, cosa che implica la presenza di un certo numero di strumenti in orbita, una costellazione, appunto. Quanti sono gli strumenti che compongono una costellazione capace di offrire un servizio a tutti gli abitanti del Pianeta? La risposta varia in funzione del tipo di apparati e dell’orbita dalla quale operano.

I classici satelliti di telecomunicazione, che ci permettono di vedere in tempo reale la partita di Coppa del mondo giocata in Brasile, oppure la gara di Formula 1 che si sta correndo in Australia, lavorano sull’orbita geostazionaria, a 36mila chilometri di altezza sopra l’equatore.

Da lassù, vedono buona parte del globo, che può essere coperto con un numero limitato di satelliti, diciamo con almeno tre. I satelliti di telecomunicazione in orbita geostazionaria sono molti di più, perché ogni Paese e, al limite, ogni network televisivo, vuole avere il proprio strumento.

Il sistema Gps, invece, è composto da due dozzine di satelliti in orbite

con diverse inclinazioni, a 20mila chilometri di quota. Analogamente, l’europeo Galileo è basato su trenta satelliti a 23mila chilometri di altezza. Per entrambi i sistemi, l’altezza dell’orbita è stata scelta per assicurare copertura globale con un numero limitato di satelliti. Tuttavia le orbite geostazionarie e quelle medio-alte, mentre permettono copertura mondiale con pochi satelliti, comportano un piccolo ritardo nella trasmissione dei segnali, segnali che devono viaggiare dalla Terra fino al satellite e, una volta là, tornare indietro.

Per rendersene conto, basterebbe usare un operatore satellitare per guardare i programmi del digitale terrestre: la televisione connessa alla parabola è in ritardo rispetto a quella collegata al digitale terrestre. Poco male per un programma televisivo, ma se immaginaste di dover interagire con il sistema, per esempio connettendovi a un qualsiasi servizio internet per operare sul vostro conto in banca, oppure per gareggiare in un videogame al cardiopalma, vi

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SPACE ECONOMY DI PATRIZIA CARAVEO*
SPACE ECONOMY » Una rappresentazione di una costellazione di satelliti in orbita bassa (fonte ESA).
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rendereste conto che i ritardi possono essere sgradevoli.

È sulla base di queste semplici considerazioni che Elon Musk ha immaginato di fornire un servizio internet a livello globale e a bassa latenza attraverso la rete Starlink in orbita bassa, a 500 chilometri di altezza. In questo modo i ritardi di trasmissione del segnale vengono minimizzati, ma sale in modo esponenziale il numero dei satelliti necessari per coprire tutto il globo, che devono essere molte migliaia SpaceX ha chiesto e ottenuto dalla Federal Communication Committee americana l’autorizzazione al lancio di 12mila satelliti.

È un numero spaventoso, che raddoppia la popolazione di satelliti

lanciati dall’inizio dell’era spaziale e rischia di congestionare le orbite più prossime al nostro Pianeta.

SpaceX si è messa alacremente all’opera producendo una media di sei satelliti al giorno e lanciandoli a gruppi di 60 ogni due settimane.

Un ritmo impressionante, impensabile fino a qualche anno fa, che SpaceX sta mantenendo dall’inizio del 2020, tanto che, già dall’aprile 2020, è diventato l’operatore con più satelliti oltre il cielo. Un primato che si è andato consolidando con il passare dei mesi. Se il grafico che riporta i lanci in funzione dell’anno non vi ha impressionato a sufficienza, vi invito a cercare quello dei satelliti attivi, che credo permetta di capire ancora

meglio la crescita convulsa del settore.

Un incremento che inizia ad avere anche conseguenze preoccupanti Mentre SpaceX cura al meglio il proprio business e continua ad aumentare il numero dei satelliti destinati a lavorare, tutti, in orbite a 500 chilometri dalla superficie terrestre, i controllori del traffico satellitare si trovano a dover gestire una situazione in cui l’affollamento crescente genera un numero allarmante di incontri ravvicinati potenzialmente pericolosi Lo Us Space Surveillance Network, un sistema di radar e telescopi gestito dalla Space Force statunitense, tiene sotto controllo 30mila oggetti con dimensioni maggiori di 10

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NUMERO DI SATELLITI

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centimetri che orbitano intorno alla Terra. Sono satelliti attivi, satelliti che hanno finito il loro compito ma continuano a orbitare, pezzi di lanciatori e rottami vari creati in esplosioni accidentali, oppure nel corso di esperimenti militari.

Per ognuno vengono calcolate l’orbita e la posizione prevista, istante per istante. I dati vengono quindi messi a confronto con quelli di tutti gli altri apparati orbitanti. Quando ci si aspetta che la distanza tra due oggetti scenda sotto il chilometro, gli operatori ricevono un messaggio di allerta, in modo da concentrarsi sulla situazione. Chi creda sia eccessivo preoccuparsi per un avvicinamento di circa un chilometro sappia che i satelliti in orbita bassa si muovono a 8 chilometri al secondo e che la loro posizione è nota con una precisione di 100 metri.

La crescita del numero dei satelliti in orbita bassa (oltre a preoccupare gli astronomi, che vedono crescere di pari passo il numero delle strisciate presenti nei loro dati) fa aumentare il numero di incontri ravvicinati, oggi centinaia al giorno: con 1700 satelliti Starlink e 250 del concorrente OneWeb, in orbita si registrano circa 1600 passaggi a meno di un chilometro ogni settimana

La maggior parte coinvolge due Starlink, ma la cosa non preoccupa SpaceX, perché i satelliti hanno un sistema anticollisione e si possono muovere in modo autonomo per togliersi di mezzo in caso di prossimità minacciose.

Questa capacità, di certo positiva per Starlink, non entusiasma però i controllori, obbligati a gestire apparati che cambiano i parametri orbitali e quindi richiedono un

» L’incremento del numero di satelliti lanciati rischia di congestionare l’orbita bassa.

aggiornamento costante di tutte le proiezioni delle posizioni future. Tant’è, 500 allerte ogni settimana coinvolgono uno Starlink e un oggetto diverso. Confesso di avere dubitato della correttezza di questi numeri e di avere chiesto lumi a una collega della Nasa, responsabile della gestione del satellite Fermi

La mia missiva è rimasta per qualche giorno senza risposta, poi il feedback è arrivato e senza portare alcun conforto con sé, anzi: la collega motivava infatti il ritardo dicendo di aver dovuto gestire un incontro ravvicinato: “abbiamo dovuto monitorare da vicino la situazione per decidere se fare una manovra e spostare il satellite, oppure no”. Per maggiore chiarezza, ha aggiunto, “per fortuna Fermi orbita a un’altezza inferiore a quella degli Starlink”. Alla fine non è servita alcuna manovra, ma il carteggio mi ha fornito un esempio di quanto sia dispendiosa la gestione del traffico orbitale. Un team di esperti della Nasa - ma avrebbero potuto essere dell’Esa, o di una qualsiasi altra agenzia spaziale - aveva dovuto dedicare tempo e attenzione per fare (e rifare) proiezioni sulle posizioni

*PATRIZIA CARAVEO

È DIRIGENTE DI RICERCA ALL’ISTITUTO

NAZIONALE DI ASTROFISICA (INAF) E

LAVORA ALL’ISTITUTO DI ASTROFISICA

SPAZIALE E FISICA COSMICA DI MILANO.

reciproche di due oggetti, prima di decidere se spostarne uno. In sintesi, è un problema di calcolo del rischio.

È ovvio si voglia evitare qualsiasi collisione, che distruggerebbe i satelliti creando un enorme numero di detriti a loro volta pericolosissimi, d’altra parte non è possibile manovrare di continuo i satelliti. Sfruttando il carburante, magari utile per puntare il satellite, qualsiasi manovra accorcia la vita operativa e per di più rende inutilizzabile l’apparato durante lo spostamento. Per ogni allerta di avvicinamento va deciso cosa fare, e la procedura del calcolo del rischio è così onerosa da aver motivato la nascita di compagnie specializzate nella gestione commerciale del traffico orbitale. La statunitense Kayhan Space ha trasformato il problema in un’opportunità: usa i dati dello Us Space Surveillance Network per prevedere gli avvicinamenti e decidere quando il rischio diventi così alto da suggerire un intervento.

I satelliti sono utilissimi, ma occorre interrogarsi sull’impatto ambientale delle mega costellazioni. Le orbite terrestri sono un bene prezioso ma limitato, e non possiamo permetterci di renderle inutilizzabili per eccessivo affollamento.

Detto altrimenti, per poter crescere, anche la space economy deve essere sostenibile

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STARLINK LANCIATI,MA A CHE PREZZO

La mega costellazione

Starlink di SpaceX non smette di crescere, con lanci che proseguono incessantemente. Per l’azienda fondata da Elon Musk, il 2021 è stato l’anno in cui si è effettuato il maggior numero di lanci. Sono ben 31 le missioni portate a termine con successo, di cui 17 con l’unico obiettivo di trasportare in orbita i satelliti costruiti dalla stessa SpaceX. Solo nello scorso anno gli Starlink posizionati oltre l’atmosfera sono stati 989.

Se si sommano anche quelli degli anni precedenti il totale arriva a 1942. Nessun’azienda aveva mai realizzato qualcosa di simile. Prima di Starlink, una delle costellazioni più grandi era quella di Iridium, che conta “solo” 75 satelliti. Il 15 gennaio Musk twittava affermando che gli Starlink che avevano raggiunto l’orbita operativa, e potevano essere utilizzati dagli utenti per sfruttare il servizio di connessione, erano 1469. Altri 272 erano in viaggio per raggiungere la quota finale di 550 chilometri. Al momento del tweet del magnate sudafricano SpaceX aveva

portato in orbita 1991 satelliti. Che fine hanno fatto quindi i 250 che mancano all’appello?

La maggior parte è deorbitata, altri vagano ancora nello spazio, ma presto subiranno la stessa sorte.

LA FORZA DI SPACEX

È ANCHE IL SUO PIÙ

GRANDE DIFETTO

L’azienda di Musk sviluppa i propri progetti con una mentalità più da Silicon Valley che da azienda aerospaziale. Invece di proporre subito un prodotto finito, SpaceX adotta un processo iterativo in modo da acquisire dati direttamente sul campo e migliorare la versione successiva. È in questo modo che gli ingegneri hanno sviluppato il Falcon 9 nel corso degli anni, testando hardware e software a ogni missione

Ciò ha permesso di arrivare ad avere un vettore in grado di essere

riutilizzato, supportando senza problemi ben 11 missioni consecutive. Lo stesso metodo di sviluppo è osservabile anche con Starship e le sue spettacolari esplosioni.

Finché questi rimangono sulla Terra non rappresentano un grosso problema, ma quando un simile processo di sviluppo viene portato in orbita le cose cominciano a essere più complicate. Attualmente SpaceX ha lanciato ben tre versioni dei satelliti Starlink, denominate 0.9, 1.0 e 1.5. I primi 60, che hanno raggiunto l’orbita a maggio 2019, servivano solo per effettuare dei test iniziali, per analizzare le procedure di rilascio, la gestione di un numero elevato di satelliti in orbita e le prime prove di connessione. Ricavati i dati necessari, non erano più utili e SpaceX ha dato il comando per il loro rientro. L’azienda ha poi sviluppato una nuova versione, quella usata oggi dai possessori del kit di connessione per poter accedere a internet ovunque. Da settembre 2021 l’azienda ha cominciato a lanciare gli Starlink 1.5, dotati di sistemi di comunicazione laser. Questo permetterà alle informazioni

DI ANDREA D’URSO*
24 SPACE ECONOMY
*ANDREA D’URSO AUTORE PER ASTROSPACE.IT, SI OCCUPA PRINCIPALMENTE DI NOTIZIE E APPROFONDIMENTI RIGUARDANTI SPACEX. OLTRE 2000 LA PROMESSA DI UNA CONNESSIONE INTERNET GLOBALE A BANDA LARGA E BASSA LATENZA FIRMATA SPACEX STA COMPROMETTENDO LA SICUREZZA DELLE ORBITE PIÙ PROSSIME ALLA TERRA. ECCO PERCHÉ

di viaggiare più velocemente e renderà i satelliti meno dipendenti dalle stazioni di terra. Starlink, quindi, è un progetto che sta evolvendo ed è ancora lontano dall’essere completo. Solo nella prima fase, si prevedono in orbita 4408 satelliti, mentre in quella successiva SpaceX ha richiesto l’approvazione per altri 30mila. È bene sottolineare che questi numeri si riferiscono ai satelliti operativi, quelli lanciati potrebbero essere molti di più. L’azienda, infatti, trasporta nello spazio i suoi satelliti sapendo che non tutti saranno funzionanti: le missioni prevedono di rilasciare gli Starlink a 290 chilometri di quota, effettuare dei controlli su tutti i sistemi per poi dare il via all’innalzamento dell’orbita solo a quelli che non presentino anomalie. I satelliti con malfunzionamenti rientrano utilizzando i propri motori, se sono in grado di attivarli, altrimenti occorre attendere che l’atmosfera li rallenti fino a farli ricadere sulla Terra. Ciò può accadere anche agli Starlink che stanno innalzando l’orbita o si trovano già a 550 chilometri. Motivo per cui SpaceX va a occupare molte orbite anche con satelliti non funzionanti creando traffico anche nello spazio e causando problemi non solo ad altri satelliti, ma anche ai diversi lanciatori che devono superare questa fascia. Proprio durante il lancio

» La simulazione degli Starlink in orbita aggiornata a fine gennaio 2022.

del James Webb Space Telescope alcuni minuti della finestra di lancio non erano utilizzabili per il passaggio degli Starlink, come dichiarato dal Direttore generale dell’Esa, Josef Aschbacher. La mega costellazione non ha raggiunto nemmeno la metà dei satelliti previsti in orbita e già ci sono stati casi eclatanti di collisioni in orbita evitate per poco. Nel settembre del 2019 l’Esa ha dovuto far compiere al suo satellite Aeolus una manovra evasiva per evitare uno Starlink, anche a causa di problemi di comunicazione tra SpaceX e l’Agenzia spaziale europea. A seguito dell’accaduto, l’azienda di Musk ha firmato un accordo preventivo con la Nasa in cui dichiarava che in caso di collisioni sarebbero stati gli Starlink a spostarsi. A fine 2021, invece, è stata la Stazione spaziale cinese a dover effettuare una manovra, con conseguente protesta formale da parte di Pechino alle Nazioni Unite. Vicende di questo tipo testimoniano l’urgenza di avere un ente internazionale che regoli il traffico in orbita.

L’INTRALCIO

ALLE OSSERVAZIONI

Un altro problema a cui SpaceX non aveva inizialmente pensato era quello legato alla luminosità dei suoi apparati. Solo dopo l’insurrezione di diverse associazioni internazionali

di astronomi l’azienda ha iniziato a correre ai ripari.

I primi satelliti lanciati non avevano alcun sistema per evitare che la luce del Sole venisse riflessa a terra Anche in questo caso, SpaceX ha proceduto per tentativi studiando in orbita quale fosse la soluzione migliore. Il primo esperimento è stato con il DarkSat, uno Starlink le cui parti più riflettenti erano state ricoperte da un materiale scuro La luminosità è così stata ridotta, ma SpaceX aveva problemi nella gestione del calore. Ha quindi provveduto a installare una visiera, che blocca i raggi del Sole ed evita il surriscaldamento.

In questo modo è riuscita a portare la magnitudine apparente degli Starlink a un valore pari a 6,8, difficilmente visibile a occhio nudo.

Cosa che però non vale per i telescopi, che riescono comunque a catturare la luce emanata dai satelliti. Studiando le immagini catturate tra il 2019 e il 2021 dal telescopio dello Zwicky Transient Facility, la presenza di scie luminose è passata dallo 0,5% a circa il 20%. Sebbene vi siano software per eliminare queste tracce, non sono sempre applicabili a tutte le immagini, con conseguente perdita di informazioni. SpaceX è riuscita a realizzare una costellazione capace di portare internet dappertutto. Un sistema che può aiutare anche in situazioni di emergenza, come accaduto durante le alluvioni in Germania. Per farlo sta rischiando di saturare l’orbita terrestre bassa, causando anche problemi alle ricerche scientifiche. A oggi risulta difficile capire se l’ago della bilancia punterà verso i benefici di una connessione globale, o alla salvaguardia dello spazio attorno alla Terra.

SPACE ECONOMY
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GUERRE STELLARI

DALLA TERRA

Idetriti spaziali, chiamati ufficialmente space debris, sono diventati armi. Proiettili, per essere più precisi. Lo sono, perché in grado di danneggiare irreparabilmente o addirittura distruggere i bersagli su cui impattano. Lo hanno confermato gli ultimi test dei missili anti-satellite ad ascesa diretta (Da-Asat) russi, le cui esplosioni hanno minacciato dapprima la Stazione spaziale internazionale e il suo equipaggio, e un satellite cinese poi.

Nel primo caso, a novembre del 2021, Mosca testò un missile Asat contro il vecchio satellitespia, Kosmos-1408, ormai non più operativo, facendolo esplodere. La deflagrazione creò oltre 1500 detriti (secondo la Nasa), che furono immessi in orbita e finirono

nel raggio della Iss, costringendo l’equipaggio a rifugiarsi sulle due navicelle destinate al rientro - la Soyuz e la Crew Dragon -, per il pericolo concreto di una collisione imminente.

L’evento suscitò un’ondata di critiche internazionali, nonostante le rassicurazioni dell’Agenzia spaziale russa, la Roscosmos, e del ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, pronti a giurare che i frammenti creati in seguito al test, in termini di parametri dell’orbita,

*FRANCESCO BUSSOLETTI È GIORNALISTA PROFESSIONISTA E INVIATO DI GUERRA EMBEDDED IN DIVERSE AREE DI CONFLITTO. DAL 2003 SI OCCUPA DEI TEMI LEGATI ALLA DIFESA E ALLA SICUREZZA, A CUI NEGLI ULTIMI ANNI HA AGGIUNTO LA CYBERSECURITY E LO SPAZIO.

non avessero “rappresentato e non rappresenteranno alcuna minaccia per le stazioni orbitali, i satelliti e l’attività spaziale”. A onor del vero, anche alcune operazioni successive sulla Iss, come la sostituzione di un’antenna sul traliccio della stazione che non trasmetteva più dati, furono rimandate per precauzione: il rischio di collisione, seppur non più immediato, era purtroppo ancora presente. Pochi giorni prima del test russo, la Iss aveva peraltro già “schivato” un frammento pericoloso, che circolava liberamente nello spazio dal 2007. Apparteneva al satellite meteorologico Fenguyun-1C, distrutto quell’anno nel corso di uno dei primi esperimenti balistici della Cina in questo settore. Il secondo episodio, invece, è avvenuto solo poche settimane fa e ha

DA SPAZZATURA SPAZIALE A PROIETTILE (PIÙ O MENO VOLUTO): RISCHI E PROSPETTIVE DI UNO SCENARIO GEOPOLITICO A CONFRONTO CON ARMI ANTI SATELLITE E SPACE DEBRIS
26 SPACE ECONOMY DI FRANCESCO BUSSOLETTI*

visto protagonisti sempre i missili DaAsat russi e la “spazzatura spaziale” in orbita, che la Nasa (al 2021) stima in circa 23mila frammenti più grandi di una palla da tennis, a cui vanno aggiunti quelli più piccoli, che però non si riesce a mappare.

Il 18 gennaio 2022, secondo Pechino, i frammenti causati da un recente test di Mosca sarebbero passati ad appena 14,5 metri da un loro satellite. Il rischio, se le due entità fossero entrate in collisione, era quello di una violentissima onda d’urto supersonica, che avrebbe trasformato in coriandoli il satellite cinese e allo stesso tempo generato nuova spazzatura in circolazione intorno alla Terra. A seguito dei due incidenti, su input degli Stati Uniti, è stata avviata una discussione a livello internazionale per arrivare a un trattato in cui siano vietati test di questa tipologia, che mettano a rischio sia gli equipaggi sia gli assetti in orbita. La discussione, però, è solo all’inizio e si registrano posizioni molto divergenti tra i maggiori attori statuali dello spazio.

Presumibilmente serviranno anni per arrivare ai primi risultati concreti, se ci saranno. Intanto, si pensa a come sfruttare in modo strategico quanto imparato dagli ultimi eventi, le famose lessons learned: diversi Paesi hanno avviato studi per capire se sia possibile (e come) usare direttamente i detriti come proiettili per colpire asset nemici.

L’idea è direzionarli in qualche modo, senza usare sistemi rilevabili, per farli entrare in rotta di collisione con i bersagli. I programmi sono ovviamente top secret, ma qualcosa è trapelato. In particolare la finalità: attaccare senza rischiare di venire

accusati e quindi non subire le conseguenze delle proprie azioni. Peraltro, la “materia prima” non manca. Complice la crescente competitività nel settore e la conseguente riduzione dei costi, oggi lanciare qualcosa nello spazio è molto più fattibile rispetto a soli pochi anni fa; a maggior ragione quando si tratta di oggetti piccoli, alloggiati in una sorta di autobus che trasportano merci di più soggetti verso l’atmosfera.

Queste piccole armi attivate a distanza, proprio per la loro dimensione, sarebbero difficilmente rilevabili dai radar nemici. Inoltre, si mimetizzerebbero agilmente nei lanci “di gruppo”, magari travisati da semplici componenti, oppure nascosti all’interno di oggetti più grandi, pronti ad attivarsi una volta arrivati nel loro sterminato campo di battaglia. Qualcuno sta già andando oltre e pensa addirittura di sfruttare piccoli asteroidi, sebbene qui si sia ancora nel mondo della fantascienza in stile Armageddon

Non mancano, tuttavia, alcuni aspetti positivi legati a questa minaccia: l’enorme (e in crescita) immondezzaio che circola attorno alla Terra sta ispirando alcune aziende, che valutano la possibilità di creare dei servizi di “nettezza extra-terrestre”. Compagnie di questo tipo esistono già sullo schermo, come racconta il bellissimo manga Planetes, da cui è stato tratto un altrettanto avvincente film di animazione (anime).

Forse, un domani, diverranno realtà e i detriti spaziali non saranno più un pericolo, ma diventeranno un business redditizio. Fino ad allora, dovremo guardarci dietro le spalle…o meglio sopra la testa.

» Dall’alto: detriti spaziali (photo credits: ESA).

L’impatto di un pellet di plastica di 14 grammi a 24mila km/h su un blocco di alluminio solido (test di laboratorio). Il missile balistico indiano Prithvi Defence Vehicle Mark 2 (Project XSV-1) testato come arma anti-satellite (photo credits: ministero della Difesa indiano). Uno snapshot di Planetes

27 SPACE ECONOMY

PULIZIA ORBITALE: SFIDA E BUSINESS

Ordine e pulizia, proprio come si fa (o si dovrebbe fare) per il traffico su strada o i rifiuti urbani. Il problema dei detriti e dei relitti spaziali, che affollano soprattutto le orbite basse attorno alla Terra, si dovrebbe risolvere così: “Si chiama space traffic management, abbiamo capito che il problema dei debris è in realtà un problema di logistica spaziale” sintetizza Stefano Antonetti, Vp business development di D-Orbit, l’azienda italiana che diventerà presto un “unicorno” spaziale tricolore. Si quoterà al Nasdaq entro il terzo trimestre del 2022, attraverso

la fusione con Breeze Holdings Acquisition Corp. per arrivare a un valore di 1,28 miliardi di dollari. Un successo arrivato per la visione con cui è nata: fare ordine, appunto, dove invece regna ancora il caos. O quasi. Basti pensare a ciò che è successo in poche settimane, a fine 2021: quasi di tutto, tranne l’irreparabile. Il 15 novembre la Russia ha distrutto intenzionalmente un proprio satellite, un relitto in orbita dal 1982, con un missile (si veda l’articolo a pagina 26). Una dimostrazione di forza, come ce ne sono state altre in passato. Poche ore dopo, a bordo della Stazione spaziale internazionale, gli astronauti si

sono rifugiati nelle capsule, pronti, in caso l’avamposto orbitante fosse stato investito dalla nuvola di detriti, a una evacuazione di emergenza. Secondo gli Stati Uniti, dall’annientamento del relitto sovietico sarebbero scaturiti almeno 1500 frammenti tracciabili più altre centinaia di migliaia di oggetti più piccoli, tutti proiettili che viaggiano a oltre sette chilometri al secondo.

A dicembre ha fatto il giro del mondo la protesta ufficiale della Cina, in sede Onu. Oggetto della lamentela sono i satelliti Starlink (articolo a pagina 24): Pechino sostiene che in almeno due occasioni la Stazione

COME IL FUTURO UNICORNO SPAZIALE D-ORBIT INTERPRETA LA MINACCIA DELLA COMPROMISSIONE DELL’ORBITA BASSA
28 SPACE ECONOMY DI MATTEO MARINI*

spaziale cinese, la Tiangong, ha dovuto eseguire manovre (collision avoidance) per evitare di incrociare la strada di due satelliti di Elon Musk, ad aprile e a ottobre. Giusto qualche settimana prima, a novembre, la Stazione spaziale internazionale era stata costretta a una manovra per evitare uno dei migliaia di frammenti di satellite distrutto proprio dalla Cina in un test missilistico del 2007.

Al di fuori della follia bellica di bombardare satelliti non più in uso, la “questione Starlink” è tuttavia una sintesi esemplare del problema. SpaceX ha lanciato ormai più di 2000 satelliti per la connessione Internet globale. Alcune centinaia pare (non ci sono dati ufficiali) siano già deorbitati autonomamente. Ma il programma è di lanciarne fino a 40mila. A questi vanno aggiunti tutti gli altri micro, nano, cubesat, e grandi satelliti di privati, agenzie spaziali e governi. Mai così tanti nella storia dell’umanità.

E come in qualsiasi storia umana, un problema che va risolto è un’occasione di business

E allora torniamo a D-Orbit, il nome della compagnia già dice molto. Nata nel 2011 proprio con l’ottica della sostenibilità nello spazio: “D-Orbit è nata per trasformare i debris spaziali in opportunità, con un’idea molto pratica di logistica nello spazio - spiega Antonetti - sulla Terra le strade sono pulite dalla spazzatura, perché c’è un sistema che permette la gestione dell’eccesso. Nello spazio è la stessa cosa. Lasciare satelliti in orbita quando non servono più è come buttare

la carta a terra, o lasciare un’auto ferma senza benzina o rotta in strada. Solamente negli scorsi due anni sono stati lanciati più satelliti dei 60 anni precedenti. Per risolvere il problema bisogna, quindi, anzitutto smettere di creare debris, rimuovendoli a fine vita”.

Una delle soluzioni è applicare un dispositivo intelligente che, in autonomia, sposti il satellite fuori dalle vie più battute. Spingendolo verso il basso per bruciare in atmosfera come una stella cadente, o verso l’alto, dove non dà fastidio. D3, il nome del sistema, è un “deorbit kit” già testato da D-Orbit una volta nel 2017.

L’azienda ha firmato un contratto con l’Esa per il suo sviluppo. Obiettivo?

Far deorbitare Vespa, un adattatore per payload utilizzato sul vettore Vega.

Ma D3 è studiato per essere come il secondo pilota di un satellite: “È, diciamo, furbo, perché deve capire se c’è un malfunzionamento. Se il satellite ‘muore’, da Terra non lo puoi più controllare. D3 lo capisce e si orienta verso l’orbita di rientro.

A propulsione verde, con un carburante molto più green dell’idrazina, che è molto tossica”.

Alla sede di D-Orbit, a Fino Mornasco, in provincia di Como, si immagina però uno scenario più “futuristico”, una flotta di robot orbitanti che, “a chiamata”, possano fare servizio di rimorchiatore.

Si parte dal prodotto “di punta” dell’azienda, Ion, il taxi per satelliti che farà anche da “carro attrezzi” spaziale: “Ion, per ora, trasporta satelliti, ma sarà anche uno space

tug, un rimorchiatore. Un cliente commerciale, per esempio, potrebbe dire ‘mi sposti quel satellite? - racconta Antonetti - perché la sua evoluzione sarà andare a prenderli per spostarli in una posizione migliore, in un’orbita cimitero, anche di pochi chilometri per toglierli dalla zona più congestionata. Oppure deorbitare. Idealmente, parlo di una costellazione di carrier nello spazio. Abbiamo moltissimi test da fare, di rendezvous, con bersagli virtuali, missioni di inspection. La prima entrata in scena del servizio di rimozione la prevediamo per il 2024”. Siccome il sistema propulsivo di Ion sono proprio i D3, lo sviluppo corre in parallelo: “Abbiamo lanciato quattro Ion negli ultimi 15 mesi, nel 2022 ne lanceremo almeno cinque e contiamo di lanciarne 13 nel 2023, e quindi possiamo testare moltissimo”. La piattaforma Ion è come una specie di jolly, già capace di molte cose, prima di deorbitare: “La missione di trasporto finisce dopo pochi mesi, ma il carrier ha una vita utile più lunga - conclude Antonetti - come usiamo questo tempo? Ospitiamo payload, esperimenti o dimostratori tecnologici di altre aziende, come telecamere, telescopi, software star trackers. Poi stiamo riempiendo questi satelliti di potenza computazionale, per creare una sorta di cloud computer nello spazio”.

*MATTEO MARINI GIORNALISTA SCIENTIFICO, EX ARCHEOLOGO, SCRIVE DI ASTRONOMIA, MISSIONI SPAZIALI E AMBIENTE. ALLEVA GIOVANI REPORTER ALLA SCUOLA DI GIORNALISMO DI URBINO.

SPACE ECONOMY » Rappresentazione grafica dello space tug Ion di D-Orbit in azione.
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SIMULAZIONI

NELLO UTAH

IN ATTESA DEL VERO SBARCO, CONTINUANO LE ESERCITAZIONI NEGLI ANALOGHI MARZIANI SUL NOSTRO PIANETA

Per adesso è una simulazione in un’area desertica. Ma da queste esperienze terrestri si spera di raccogliere tutti i dati scientifici e tecnologici per quello che sarà il primo avamposto su Marte. La missione si chiama Smops, è patrocinata dall’Agenzia spaziale italiana ed è la terza organizzata dalla Mars Society con ricercatori e tecnologi che ne formeranno l’equipaggio. Questa nuova simulazione marziana nello Utah è molto italiana, poiché organizzata da Mars Planet, cioè la sezione italiana della Mars Society statunitense, che ha sede a Curno, in provincia di Bergamo, ed è presieduta da Antonio Del Mastro. Ma come sarà questa base marziana nello Utah? Cosa effettueranno i “martenauti”? E chi sono i protagonisti selezionati da Mars Planet?

“PRONTI PER LA NUOVA MISSIONE” “Dopo la straordinaria esperienza precedente, del 2020, non vedo l’ora di ripeterla con la prossima missione prevista in aprile”.

Paolo Guardabasso, catanese, è un ingegnere aerospaziale laureato al Politecnico di Torino, e da alcuni anni fa parte degli equipaggi internazionali di missioni che simulano escursioni su Marte. Il deserto dello Utah è una delle zone del nostro pianeta che maggiormente si prestano a simulare l’ambiente marziano per periodi di alcuni giorni in isolamento, con attività extraveicolari muniti di scafandro, casco e zaino di sopravvivenza. La nuova missione di completa simulazione di esplorazione marziana è prevista dal 10 al 23 aprile prossimi. Smops (Space Medicine Operations) sarà quasi del tutto dedicata a esperimenti biomedici, come mostra lo stemma della missione; è organizzata da Guardabasso e dal collega Vittorio Netti, architetto pugliese, con un team internazionale di ricercatori che comprende la canadese Nadia Maarouf (ricercatrice in campo biomedico), il francese Benjamin Pothier (documentarista e

ricercatore in ambito di fattori umani), e gli italiani Simone Paternostro (ingegnere con esperienze in Esa), e Luca Rossettini (che dirige la società D-Orbit). “Come durata e criteri di permanenza, questa missione ricalca la precedente”, dice Guardabasso “e anche il sito è sempre quello della Mdrs, situata nello Utah”. Verrà anche sperimentata una nuova tuta per uso spaziale, progettata da Mars Planet in partnership con aziende italiane leader nel settore tessile.

LA BASE MDRS DELLO UTAH

La stazione “marziana” Mdrs comprende sei diverse strutture: l’habitat, chiamato Hab, è un edificio cilindrico a due piani con un diametro di otto metri. Il piano superiore ospita gli alloggi dell’equipaggio (fino a sette membri) e un’area dove cucinare, mangiare, lavorare e rilassarsi. Il piano inferiore è dedicato alle riunioni pre e post attività extraveicolari. Lì si trova una stanza con le radio e le tute per le

*ANTONIO LO CAMPO È UN GIORNALISTA SCIENTIFICO SPECIALIZZATO PER IL SETTORE AEROSPAZIALE E COLLABORA CON DIVERSE TESTATE NAZIONALI.
30 SPACE ECONOMY DI ANTONIO LO CAMPO*

attività esterne, atte a simulare vere tute spaziali per missioni su Marte, un Eva airlock, un bagno e un’altra camera a tenuta stagna, più piccola.

Da questa si può accedere ai tunnel che portano alle altre parti della stazione: il Ramm (Repair and Maintenance Module), dedicato agli esperimenti tecnologici e alle riparazioni, la Science Dome, un laboratorio per esperimenti di microbiologia e geologia, la serra (GreenHab) e l’osservatorio solare Musk. Un altro osservatorio, totalmente robotico e separato dal sistema di tunnel, viene telecomandato.

IL VOLO DEI DRONI, DALLO UTAH A MARTE

“Insieme con Vittorio Netti, abbiamo sperimentato alcuni droni in ambiente marziano, che faremo volare in aprile” spiega Guardabasso. “Il principale obiettivo è di testare questo tipo di velivoli autonomi per valutarne l’utilità nel contesto di una missione umana su Marte. Abbiamo usato un quadricottero per effettuare sopralluoghi della stazione a una distanza ravvicinata, e un drone ad ala fissa, in grado di volare a un centinaio di metri di altezza per fotografare il suolo”. “Per muoverci sulla superficie desertica, useremo dei rover elettrici biposto, per percorrere diversi chilometri, a

seconda dell’obiettivo dell’attività extraveicolare. Le attività all’esterno prevedono un numero di quattro partecipanti per due ore al massimo, mentre il resto dell’equipaggio comincia a reidratare l’occorrente per il pranzo. I pasti sono spesso a base di riso, condito con prodotti disidratati con scadenze decennali. Qualche volta c’è la possibilità di usare prodotti freschi, soprattutto erbe aromatiche, provenienti dalla serra della stazione”. “Marte rappresenta non solo la possibilità di espansione del genere umano, ma anche il prossimo stadio evolutivo, che ci trasformerà in una civiltà interplanetaria. C’è ancora molto da fare, molto da costruire, ma è indubbio che noi esseri umani saremo i protagonisti. Serviranno preparazione, conoscenze in tanti ambiti diversi e persone che accettino il rischio di essere pionieri di una nuova era” chiosa l’ingegnere.

UN PROGETTO IN AMBITO SPACE ECONOMY

“La missione Smops ha l’obiettivo di aiutare a fare dei passi avanti necessari per insediamenti stabili su Marte”, aggiunge Luca Rossettini, amministratore delegato e co-fondatore di D-Orbit. “Nel corso della missione mi occuperò, tra le altre attività a supporto degli altri esperimenti, di

testare un dispositivo Life Support System, in grado dì sanificare l’aria in modo estremamente efficace e veloce - aspetti fondamentali per i viaggi interplanetari, basi su altri corpi celesti, ma ormai anche nella nostra vita qui sulla Terra, per combattere efficacemente la pandemia. Questo dispositivo è stato ingegnerizzato dalla mia azienda, leader nel settore della logistica e trasporto spaziale, che supporta la missione di aprile”.

In vista di Smops, in queste settimane si sta mettendo a punto il programma dei numerosi esperimenti, questa volta meno tecnologici e più scientifici, incentrati sulla misurazione dei parametri vitali e sulla salute dei futuri astronauti

Per Rossettini, Guardabasso, e i loro compagni d’avventura, si presenta un nuovo periodo di due settimane da trascorrere nella sua stanzetta di quattro metri per due: “Ma è un esperienza straordinaria – conclude Rossettini–“mi sento già un po’ astronauta? Mi piacerebbe diventarlo? Ho appena compiuto 30 anni e penso di poter rientrare in una prossima selezione, chissà. Nel frattempo sono già entusiasta di queste missioni terrestri. Un giorno, quando avverranno i primi sbarchi su Marte, gli astronauti avranno fatto tesoro anche delle nostre esperienze”.

SPACE
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ECONOMY

Lo scorso novembre, l’equipaggio della Stazione spaziale internazionale ha tenuto il fiato sospeso per qualche ora a causa di una pioggia di detriti provocata dall’esplosione di un satellite russo.

La Stazione non ha subito danni, tuttavia l’incidente ha riproposto, anche all’opinione pubblica, l’urgenza non già di una soluzione ma di un sistema di soluzioni al tema dei cosiddetti space debris. Sotto

questa classificazione, secondo la Nasa, vanno tutti gli oggetti, i detriti e i frammenti prodotti dall’uomo e non più operativi: satelliti “passivati”, gocce di fluidi in sospensione, frammenti metallici, ceramici, scaglie di vernice. Oggetti anche minuscoli, della grandezza di qualche centimetro che, però, alle elevate velocità alle quali si muovono razzi e satelliti nello spazio, possono procurare danni significativi, com’è accaduto al satellite cinese Yunhai 1-02, distrutto

dai detriti, retaggio di un lancio russo del 1996. Un recentissimo report dell’Agenzia spaziale europea conferma le stime di circa 900mila oggetti di diametro inferiore a 10 centimetri, 34mila oggetti di diametro superiore a 10 centimetri e, soprattutto, di 3200 oggetti intatti (quindi interi satelliti) nell’orbita bassa, quest’ultimo parametro in crescita significativa. Mentre negli anni 2004-2012 la media degli oggetti portati in orbita era di 72

32 SPACE ECONOMY DI DOMENICO MARIA CAPRIOLI*
DELLA (NEW) SPACE ECONOMY I MESTIERI

all’anno, nel triennio successivo essa è cresciuta a 125, principalmente in ragione dell’avvento dei microsatelliti. Con l’affermarsi turbinoso dei micro-lanciatori e con i propositi di molte aziende di costruire galassie di satelliti, è ragionevole immaginare che questo numero sia destinato a esplodere, più che ad accrescersi.

Nella sua analisi, l’Esa riconosce che le strategie di mitigazione non sono più sufficienti a scongiurare uno scenario da “sindrome di Kessler”, cioè quella condizione nella quale le collisioni diventano così probabili da precludere ai terrestri l’accesso allo spazio. In effetti, sistemi basati su incentivi e sanzioni sembrano avere efficacia a livello nazionale, ma non sul piano internazionale, dove anche gli accordi in essere paiono avere una funzione piuttosto vestigiale, in maniera non difforme da quanto accade per altre grandi questioni globali.

Quali sono, dunque, le soluzioni praticabili e come influenzeranno l’economia terrestre nel prossimo futuro? C’è, certamente, uno spazio significativo per le tecnologie digitali visto che, già oggi, la principale difesa contro gli space debris è costituita dalle tecnologie di monitoraggio e rilevazione, il cui compito è di identificare e catalogare gli oggetti sopra i 10-15 centimetri e provare a prevederne la traiettoria. La rilevazione è effettuata sia in orbita, attraverso i satelliti, sia da terra, anche da privati cittadini o istituzioni locali che, con attrezzature proprie o ricevute in affidamento, contribuiscono, secondo l’approccio della citizen science, a mappare questi piccoli e insidiosi bolidi: l’integrazione dei dati da satellite e da rilevazione terrestre costituisce

un paradigma di grande interesse anche per molte altre applicazioni, dall’agricoltura di precisione allo studio dei cambiamenti climatici, costituendo un altro dei numerosi esempi di come lo spazio inneschi riflessioni originali anche sullo sfruttamento di tecnologie esistenti.

La startup americana Scout Space ha recentemente ricevuto un finanziamento Sbir - il programma statunitense di investimenti sulle piccole e medie imprese - per un contratto con l’aeronautica Usa, proprio per delle tecnologie integrate di monitoraggio.

L’Esa raccomanda, come unica opzione risolutiva, l’Active Debris Removal (Adr), il prelievo dei detriti, e a maggior ragione degli oggetti intatti (quindi più ingombranti) e, sebbene riconosca la necessità di un quadro legislativo di riferimento e la sostanziale immaturità delle tecnologie deputate alla raccolta, propone l’Adr come misura urgente, avendo determinato che azioni di rimozione attiva effettuate con continuità a partire dal 2060 (quando, cioè, le tecnologie saranno a piena maturità) avrebbero un impatto significativamente inferiore a iniziative avviate immediatamente ma con soluzioni meno efficaci.

Per questo motivo l’agenzia spaziale europea ha lanciato il programma

*DOMENICO MARIA CAPRIOLI È PARTNER DI YOURSCIENCEBC LTD, ATTIVA NELLA RICERCA SULLE APPLICAZIONI SPAZIALI E SULLE TECNOLOGIE DI FRONTIERA, CON LA QUALE - OLTRE ALL’ATTIVITÀ DI RICERCA - FORNISCE CONSULENZA A ISTITUZIONI E AZIENDE INTERESSATE A COMPRENDERE LE OPPORTUNITÀ LEGATE ALLO SPAZIO E ALLA RICERCA.

Clean Space, che supporta iniziative volte a migliorare i profili di impatto ambientale delle missioni spaziali, creando addirittura un sistema di valutazione dell’impatto, con tanto di green label. La missione supporta, fra gli altri, la startup svizzera Clear Space, uno spin-off dell’Epfl che conferma un approccio interessante e condiviso da molte altre startup, per esempio dalla giapponese Astroscale: la configurazione di servizi in orbita, finalizzati alla manutenzione, all’estensione della vita utile e, infine, alla dismissione sicura e senza detriti dei manufatti.

Il fiorire di startup dedicate al tema della rimozione dei detriti è probabilmente il primo passo verso un sistema di servizi più ampio, che parte dalla ottimizzazione intelligente dei sistemi orbitanti, tenendo conto delle problematiche di fine vita già in fase di progettazione, coinvolgendo poi la gestione, con la possibilità, per esempio, di riparare piccoli malfunzionamenti, di sostituire sistemi di ricarica o altre tecnologie, direttamente in orbita, estendendo il ciclo di vita del sistema, e si conclude con la possibilità di recuperare i sistemi dismessi, consentendone la valorizzazione delle componenti tecnologiche e dei materiali.

La necessità di limitare e poi di ridurre gli space debris, quindi, sta accelerando un processo di creazione di servizi (e di infrastrutture deputate a ospitarli e abilitarli) extra-atmosferici, rendendo l’orbita bassa un’autentica estensione dello spazio terrestre, innervata da funzioni di vario livello, servizi di supporto e attività eterogenee, veri e propri avamposti dell’economia terrestre verso lo spazio esterno.

SPACE ECONOMY
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34 LA NOSTRA STELLA ENTRA NEL VIVO DEL NUOVO CICLO DI ATTIVITÀ: TELESCOPI E SONDE SONO PRONTI A CARPIRNE I SEGRETI IL RISVEGLIO DEL SOLE TEMA DEL MESE DI WALTER FERRERI* » Il Sole “macchiato” ripreso da Cornaredo (MI) il 12/01/2022, telescopio Sky-Watcher Mak 180 mm a f/7 su montatura HEQ5 Pro, camera Player One Neptune Cll con filtri Baader Astrosolar 3,8 ND, Continuum e IR-UV cut; mosaico di due filmati Avi elaborati con Avistack2, Registax6, Astroart3, Paint.net (Maurizio Walter Miehe).

Dopo diverse decine di anni nei quali l’attività solare mostrava una costante diminuzione, ora, con il 25° ciclo (iniziato dopo il minimo del dicembre 2019), il Sole presenta un incremento che induce a credere che non vi sarà un altro “minimo di Maunder” (il periodo tra 1600 e 1700 che fu caratterizzato dalla quasi assenza di macchie solari), come era stato temuto.

L’interesse sull’andamento del ciclo solare è dovuto anche ai presunti legami del ciclo con il clima terrestre, ma i molti lavori pubblicati finora in proposito presentano pareri spesso discordanti, indice del fatto che siamo ancora lontani dall’aver ben compreso quanto esattamente il Sole influenzi il nostro clima, e non siamo neppure in grado di prevedere con precisione l’intensità che raggiungerà il ciclo attuale.

In questi primi mesi del 2022 si assiste al “risveglio” del Sole, di cui abbiamo avuto segni incoraggianti già alla fine dell’anno scorso. Non si tratta di una definizione eccessiva, poiché era da più di 40 anni che l’attività solare era in diminuzione. Addirittura, il 24° ciclo è stato il più debole nell’arco di cent’anni. Ora invece la tendenza è quella di avviarsi verso un massimo che, secondo le previsioni, dovrebbe verificarsi fra novembre 2024 e marzo 2025 e che dovrebbe mostrare un’inversione di tendenza.

LO STUDIO

DEL CICLO SOLARE

Nel 1843 l’astrofilo tedesco Heinrich Schwabe aveva mostrato un andamento ciclico delle macchie solari con un periodo mediamente undecennale, periodo che venne

esaminato in modo più sistematico negli Anni 50 dell’Ottocento dall’astronomo svizzero Rudolf Wolf, al quale si deve il criterio di misura del numero di macchie, con il cosiddetto “numero di Wolf”.

Nell’Ottocento ci furono già parecchie scoperte sulle macchie solari e sul conseguente comportamento del Sole. Richard Carrington nel 1859 fu testimone di un impressionante brillamento in luce bianca e, nonostante che questo studioso inglese non fosse riuscito a seguire un intero ciclo di macchie solari, scoprì, come fece il tedesco Gustav Spörer, la rotazione differenziale del Sole e la migrazione delle macchie verso l’equatore nell’arco di un ciclo. Inoltre, Carrington, nella sua breve e travagliata esistenza, determinò con precisione la posizione dell’asse di rotazione del Sole.

In seguito, si stabilirono altri parametri utili, come la “costante solare”, cioè l’intensità della sua radiazione che riceve la Terra al di sopra dell’atmosfera. In seguito alle misure, la costante solare venne stabilita in 1370 watt al metro quadrato: questo significa che ogni metro quadrato della superficie del Sole emette l’incredibile potenza di 63,5 megawatt, come quella sviluppata dal motore di una turbonave. Ogni secondo, il Sole emette in tutte le direzioni più energia di quella consumata dall’umanità dalle origini fino ai nostri giorni.

Allo studio del Sole sono dedicati parecchi osservatori, tra i quali ricordiamo quello storico di Kitt Peak (Arizona), che possiede la celebre torre solare inclinata McMath, e

quelli a Tenerife e La Palma alle Canarie. Lo Swedish Solar Telescope a La Palma raggiunge una risoluzione di 0,1 secondi d’arco, grazie al vuoto praticato entro il tubo e l’ottica adattiva. Ancora più potente l’Inouye Solar Telescope (Dkist) della Nsf americana, uno strumento da 4 metri di diametro situato a oltre 3000 metri di quota nell’isola di Maui, alle Hawaii, che riesce a individuare dettagli di soli 20 km sulla superficie solare.

Pubblichiamo come esempio la foto di una macchia solare ripresa dal Dkist (ancora non completato), che mostra uno di questi giganteschi “pozzi” in cui il campo magnetico solare blocca la risalita del plasma in superficie, che pertanto risulta localmente più fredda e più scura dell’ambente che la circonda (4500 °C invece che 5500 °C). Tutto intorno alla macchia si distende la granulazione solare, composta di “bolle” di plasma in risalita da sotto la superficie, larghe 800-1000 chilometri ciascuna: la parte centrale dei granuli, più luminosa, è quella più calda, mentre lungo i bordi più scuri il plasma raffreddato scende in profondità. Molte ricerche sono attualmente in corso sul funzionamento della “macchina solare”, che nasconde ancora molti segreti. Fra questi, non è stato ancora del tutto chiarito il meccanismo di riscaldamento della corona solare, l’atmosfera esterna del Sole. A tale proposito, uno studio recente, condotto da un team di Dresda, mette in relazione l’ambiente coronale con le “onde di Alfvén”, presenti al di sotto della corona, nel plasma caldo dell’atmosfera solare permeato da intensi campi magnetici.

35 TEMA DEL MESE

TEMA

VEDERE IL SOLE DA VICINO

Data la fondamentale importanza che per noi riveste il Sole, oltre a un’osservazione continuativa dalla superficie terrestre, per il suo studio

è dispiegata anche una piccola flotta di sonde spaziali. Tra quelle “storiche”, ricordiamo Soho (Solar and Heliospheric Observatoty), che dalla fine degli Anni 90 ha fornito

splendide immagini, e Ulysses, che ha osservato per prima i poli del Sole. Grazie a queste sonde, entrambe frutto di una collaborazione Nasa/ Esa, si è potuto appurare che i venti

» Una macchia solare ripresa dall’Inouye Solar Telescope, nel mese di gennaio 2022. Il lato dell’immagine misura circa 16mila chilometri: il nostro pianeta entrerebbe tutto comodamente al suo interno (Nso/Aura/Nsf).
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DEL MESE DI WALTER FERRERI

solari più intensi non hanno origine solo dai poli, come si credeva in precedenza, ma da qualsiasi zona del Sole.

Fra le ultime, spicca la Parker Solar Probe della Nasa, lanciata il 12 agosto 2018, con un ritardo di ben 10 anni rispetto alla prima ipotesi di lancio (ma questi ritardi stanno divenendo una consuetudine; si pensi al recente lancio del telescopio James Webb). Questa sonda prende il suo nome dal fisico Eugene Parker che per primo teorizzò la presenza del flusso di particelle detto “vento solare”.

I tecnici della Nasa hanno impostato la traiettoria della sonda in modo che il suo periodo orbitale sia analogo a quello di Mercurio (88 giorni), con un semiasse maggiore di 58 milioni

di chilometri. Inoltre, hanno previsto che durante la missione, della durata di sette anni, la Parker eseguirà 24 passaggi al perielio, con gli ultimi tre a meno di 6 milioni di chilometri dalla superficie solare.

La Parker, nella posizione più vicina al Sole, viaggerà a circa 700mila km orari, mentre verrà riscaldata fino a 1000 °C. Tra gli strumenti di bordo sono presenti uno spettrometro e un magnetometro.

La sonda ha già compiuto i primi voli da record attraverso la corona (bit.ly/3IheDbI), potendo così confermare le ipotesi secondo le quali la linea di confine della corona non è omogenea, né perfettamente sferica: ha margini sfrangiati con protuberanze e rientranze.

Lanciata quasi due anni dopo (il 10 febbraio 2020, v. Cosmo n. 4), la sonda Solar Orbiter, un progetto congiunto Esa-Nasa, non è così temeraria come la consorella americana, poiché anche nel punto più vicino al Sole si manterrà a 42 milioni di km dalla nostra stella. A questa distanza la sonda verrà riscaldata fino a 520 °C, ma non dovrebbe riceverne danni, perché il materiale protettivo è stato predisposto in modo che la temperatura degli strumenti scientifici non superi comunque i 30 °C. Il percorso di Solar Orbiter comporta un periodo orbitale intermedio tra quello di Mercurio e di Venere, cioè di 168 giorni, con l’afelio al di là di quello terrestre,

» Nomenclatura solare (Liceo Scientifico Cortese).
TEMA DEL MESE 37

» Un confronto tra l’aspetto del Sole durante un periodo di massimo dell’attività (a sinistra, aprile 2104) e un periodo di minimo (a destra, dicembre 2019), ripresi dalla sonda Sdo (Solar Dynamics Observatory) della Nasa nell’ultravioletto.

ovvero a 1,2 UA. Questa sonda avrà un’orbita molto più inclinata della Parker, inizialmente sui 24° ma in seguito fino a 33°, che le consentirà di condurre osservazioni su una più ampia banda di latitudini solari. Porta con sé dieci strumenti scientifici, tra i quali uno spettrometro e un telescopio per raggi X, per studiare le onde e le particelle energetiche del vento solare e comprendere i meccanismi di emissione. Altre risposte che ci si attende dalle misurazioni di Solar Orbiter riguardano la corona solare e in particolare l’origine del suo campo magnetico e le motivazioni delle sue

continue fluttuazioni di luminosità. Poiché la sonda è immersa nell’ambiente solare e può correlarlo con il flusso di particelle che vengono proiettate all’esterno, è in grado di chiarire i meccanismi del cosiddetto “meteo spaziale” (space weather), consentendo di metterci in guardia per tempo dagli eccessi delle “tempeste solari”, che investono la nostra atmosfera con pericolosi flussi di particelle. Dalla Solar Orbiter ci si attende molto, anche perché prima del lancio ha superato brillantemente severe verifiche tecniche, durante le quali i suoi strumenti sono stati sottoposti a prove estenuanti.

Queste due sonde si completeranno a vicenda, consentendo agli studiosi un confronto dei dati che raccoglieranno. Approfondiranno in particolare lo studio dello strato dell’atmosfera solare molto sottile e irregolare situato tra la cromosfera e la corona, dove la temperatura aumenta repentinamente da circa 20mila fino a un milione di gradi. Questo strato, definito “zona di transizione”, è già stato studiato dalle sonde Soho e Trace (Transition Region And Coronal Explorer), in quanto gran parte di esso non è osservabile dalla superficie terrestre. Sia dagli studi al suolo che dalle sonde, si spera di arrivare a una comprensione soddisfacente del perché la corona solare sia così calda e di penetrare i processi fisici che generano il vento solare, cioè in particolare in che modo esso venga accelerato fino alle incredibili velocità con cui giunge fino a noi.

OSSERVIAMO IL SOLE

L’osservazione della nostra stella, oltre a compiersi in orari comodi, è sempre interessante. La sua visione non è magari spettacolare come quella della Luna, ma, a differenza di questa, offre un aspetto sempre diverso e imprevedibile, soprattutto quando il Sole è “attivo”. Già l’osservazione in luce bianca, ovvero utilizzando solo un filtro che abbatta drasticamente la luce solare (tra 50 e 100mila volte), come quelli economici in Mylar, mostra chiaramente le macchie solari e le facole. Osservare per proiezione (in questo caso senza bisogno del filtro), ovvero proiettando l’immagine del Sole raccolta da uno strumento su uno schermo chiaro posto dietro l’oculare, come faceva Galileo Galilei, consente

TEMA DEL MESE DI WALTER FERRERI 38

di vedere contemporaneamente il Sole a più persone e anche di riportare con precisione la posizione delle macchie, ma la visione è meno dettagliata rispetto a quella diretta.

Un buon rifrattore da 80 mm è già in grado di sfoderare prestazioni di tutto rispetto e, a causa della turbolenza diurna, non drasticamente inferiori da quelle che si hanno con strumenti amatoriali di dimensioni maggiori. È interessante seguire l’evoluzione delle macchie solari, notando sia il loro spostamento sul disco, sia le variazioni di forma cui vanno soggette, oltre alla scomparsa di alcune e la comparsa di nuove.

Se poi si dispone di un filtro H-alfa, si dischiude la possibilità di vedere le spettacolari protuberanze e la rossa cromosfera.

Per essere aggiornati in tempo reale sulle condizioni di attività del Sole, le macchie visibili e altri fenomeni di interesse osservativo e scientifico

*WALTER FERRERI SI È OCCUPATO DI RICERCA SCIENTIFICA, DI TELESCOPI E DI ASTROFOTOGRAFIA PRESSO L’OSSERVATORIO ASTRONOMICO DI TORINO. NEL 1977 HA FONDATO LA RIVISTA ORIONE.

sulla nostra stella, si consiglia il sito spaceweather.com/ A chi non si accontenta di osservare il Sole ed eseguire immagini dei fenomeni registrabili con gli strumenti amatoriali, la rete offre dei preziosi strumenti aggiuntivi, che consentono di accedere a dati e immagini professionali ottenuti dalle sonde solari e di aiutare le ricerche condotte dagli astronomi con progetti di citizen science. Uno di questi progetti lo abbiamo presentato su Cosmo n. 25: è Solar Jet Hunter per la ricerca dei getti solari nelle immagini riprese dalla sonda Sdo (Solar Dynamics Observatory).

TEMA DEL MESE » La sonda Solar Orbiter eseguirà il primo incontro ravvicinato con il Sole nel mese di aprile. Inquadra il QR per vedere uno schema della sua orbita di avvicinamento alla nostra stella grazie a un complesso gioco di fly-by.
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40 PIANETI EXTRASOLARI FIN DALLA PRIMA SCOPERTA CONTINUIAMO A STUPIRCI PER L’ESTREMA VARIETÀ DI QUESTI MONDI VERAMENTE ALIENI SISTEMA SOLARE DI GIUSEPPE DONATIELLO* TRENT’ANNI DI

Il 9 gennaio 1992 la rivista Nature pubblicava un articolo storico, in cui gli astronomi Aleksander Wolszczan e Dale Frail annunciavano la scoperta di due corpi planetari intorno alla pulsar al millisecondo PSR B1257+12 sita nella costellazione della Vergine. Questa notizia può sembrare errata, poiché spesso si afferma che la scoperta del primo pianeta extrasolare risalga a pochi anni dopo: si tratta del famoso 51 Pegasi b (Dimidium) trovato da Michel Mayor e Didier Queloz dopo una lunga ricerca mediante l’osservazione delle velocità radiali esibite da stelle di tipo solare. Un successo che fruttò ai due scopritori il Premio Nobel per la Fisica 2019 e che abbiamo ricordato su queste pagine (Cosmo n. 10).

In realtà, non c’è nessun errore: 51 Pegasi b è il primo corpo planetario individuato intorno a una stella di sequenza principale (di classe K), il primo di una lunga serie, che merita la sua fama. Però, non bisogna dimenticare che i primi oggetti di taglia planetaria scoperti fuori dal Sistema solare furono Poltergeist e Phobetor: così sono stati chiamati i pianeti di circa 4 masse terrestri della pulsar PSR1257+12. A differenza dei pianeti ordinari, come quelli del Sistema solare e gli esopianeti scoperti da 51 Peg b in poi, questi pianeti sono ritenuti di “seconda generazione”, cioè formati nel materiale rimasto dopo l’esplosione della supernova. I nomi da film horror che sono stati attribuiti loro vogliono richiamare questa origine cataclismatica.

NATI DA UNA CATASTROFE La scoperta di Poltergeist e Phobetor è stato un classico caso di serendipità,

41 SISTEMA SOLARE

poiché Wolszczan e Frail stavano conducendo con il radiotelescopio di Arecibo una ricerca di pulsar ultraveloci.

La PSR B1257+12 potrebbe essere il risultato dello scontro tra due stelle nane bianche. L’esplosione avrebbe prodotto una stella di neutroni di 1,4 masse solari e circa 20 km di diametro, che compie 161 rotazioni al secondo. Questo significa che un punto della sua superficie si muove alla velocità di 10mila chilometri al secondo! L’evento sarebbe avvenuto circa due miliardi di anni fa, quindi l’intero sistema è molto vecchio, tenuto conto che le

nane bianche originarie, a loro volta, avevano già alcuni miliardi di anni. Nonostante l’eccezionalità della scoperta, al tempo la notizia non destò molto clamore, forse perché i due pianeti non erano dei posti accoglienti per eventuali forme di vita. In effetti, orbitano vicinissimi alla pulsar, in un ambiente estremo, anche per i più tenaci esseri estremofili che conosciamo.

Al confronto, l’ambiente di 51 Pegasi b è un’oasi, benché anch’esso non sia un mondo propizio per la vita. Poltergeist e Phobetor distano rispettivamente 54 e 69 milioni

di chilometri dalla pulsar. Due anni dopo fu scoperto un terzo componente del sistema, al quale fu assegnato il nome altrettanto sinistro di Draugr. La possibile presenza di un ulteriore oggetto (diffuso) non è stata confermata. Anche la pulsar che ospita questi pianeti ha ricevuto un nome ufficiale: Lich, quello di uno zombi. Anche Draugr è un oggetto speciale: dista solo 28 milioni di chilometri dalla pulsar e possiede una massa di poco inferiore a quella della nostra Luna. Nonostante i 4903 esopianeti confermati (al 16 gennaio scorso) e gli oltre 8400 candidati, Draugr rimane il corpo roccioso più piccolo a oggi conosciuto fuori dal Sistema solare.

IN CERCA DEL GEMELLO TERRESTRE

La ricerca degli esopianeti ha tra i suoi obiettivi l’individuazione di un “gemello” della Terra. Desiderio non ancora esaudito (malgrado qualche avvicinamento promettente). In compenso, si allunga continuamente la lista dei “pianeti impossibili”, che più strani (e inabitabili) non si può. Basta scorrere le pagine delle space news mensili di Cosmo o la pagina delle news del sito bfcspace.com per imbattersi negli annunci delle scoperte di pianeti con caratteristiche estreme. Per rimanere sulle ultime pubblicazioni, ricordiamo il pianeta Wasp-103b a forma di palla da rugby (bit.ly/3FC6kp8). E aggiungiamo Toi-2257b, individuato da un team di astronomi dell’Università di Berna grazie al “cacciatore di esopianeti” Tess (Transiting Exoplanet Survey Satellite) della Nasa.

La stella ospite è una nana rossa distante 188 anni luce dalla Terra, mentre il pianeta è un “sub-

» Rappresentazione artistica della pulsar Lich e dei suoi pianeti (Pablo Carlos Budassi).
SISTEMA SOLARE DI GIUSEPPE DONATIELLO 42

nettuniano”, con una massa 5,5 volte maggiore di quella terrestre. Segni particolari: l’orbita molto ellittica, con un valore di eccentricità pari a 0,5. Secondo i ricercatori, l’orbita insolita è spiegabile con un pianeta gigante gassoso esterno (non ancora identificato), che potrebbe perturbare l’orbita di Toi-2257b.

Con un periodo di rivoluzione di 35 giorni, Toi-2257b gira intorno alla sua stella a una distanza che in poco più di due settimane aumenta da 10,8 a 32,5 milioni di chilometri e viceversa.

La sua orbita è più piccola di quella di Mercurio, ma nel suo sistema permetterebbe l’esistenza di acqua liquida, dato che la stella è più fredda del Sole. Tuttavia, le dimensioni del pianeta ne rivelano la natura gassosa, con un’elevata pressione atmosferica, il che non è favorevole alla vita. A ciò si aggiunge la notevole eccentricità orbitale, per cui la temperatura media del pianeta varia da -80 °C a circa 100 °C a seconda della posizione del pianeta lungo la sua orbita.

DAGLI ESOPIANETI ALLE ESOLUNE

Lo zoo degli esopianeti non finisce mai di stupire. Siccome non ci bastano i pianeti extrasolari, diamo la caccia anche alle loro lune. Attende ancora una conferma la scoperta della prima esoluna, avvenuta nel 2018 da parte del team di David Kipping della Columbia University, ma intanto lo stesso team ha trovato un’altra possibile luna di un pianeta extrasolare. Anche questa di enormi dimensioni e in orbita attorno a un pianeta gigante gassoso simile a Giove.

La nuova candidata si chiama Kepler 1708b-i, vale a dire la prima luna (indicata dalla lettera “i”, minuscolo

Una pulsar al millisecondo (Msp, millisecond pulsar) è una stella di neutroni, residuo di una esplosione stellare, con un periodo rotazionale compreso tra 1 e 10 millisecondi.

Le Msp vengono individuate con osservazioni nelle microonde e nei raggi X. Secondo la teoria principale, raggiungono queste altissime velocità di rotazione grazie all’accrescimento. Sono state studiate per questo le stelle binarie a raggi X di piccola massa, scoprendo che i raggi X sono emessi dal disco di accrescimento di una pulsar, prodotto dagli strati più esterni della stella compagna, cannibalizzata dalla stella compatta (figura). La riduzione del raggio orbitale dovuta alla caduta della materia verso la piccola pulsar ne aumenta la velocità di rotazione. Molte Msp vengono trovate negli ammassi globulari, poiché la loro elevata densità stellare comporta una più alta probabilità per le pulsar di incontrare e catturare una stella gigante. Ad oggi sono note circa 130 Msp; la PSR J1748-2446ad, scoperta nel 2005, ha una velocità rotazionale da record, con 716 giri al secondo. È stato calcolato che le pulsar potrebbero “rompersi” se la loro velocità di rotazione superasse i 1500 giri al secondo, e già a un tasso di 1000 rotazioni al secondo potrebbero perdere energia sotto forma di onde gravitazionali più velocemente di quanto il processo di accrescimento possa renderle veloci. Si attende la prima rilevazione di onde gravitazionali emesse da questi fenomeni per raffinare le teorie.

43 SISTEMA SOLARE

del numero romano I) dell’esopianeta Kepler 1708b, situato a 5500 anni luce di distanza nella costellazione del Cigno. Rispetto alla prima presunta esoluna – un corpo dalle dimensioni simili a quelle di Nettuno – la nuova candidata è circa un terzo più piccola. Lune enormi, comunque. Del resto, in qualunque survey i primi oggetti a essere rilevati sono quelli di dimensioni maggiori, perché sono i più facili da rilevare. D’altra parte, se pensiamo a quanto sia difficile individuare un esopianeta misurando

il calo di luce dovuto al suo transito davanti alla stella ospite, riuscire a intravedere in quella diminuzione le impercettibili variazioni introdotte dalla presenza di una luna appare

*GIUSEPPE DONATIELLO

RESPONSABILE DELLA SEZIONE PROFONDO CIELO/UAI, OPERA ATTIVAMENTE ALLO STUDIO DEI FLUSSI STELLARI IN GRUPPI RICERCA INTERNAZIONALI. È SCOPRITORE DI CINQUE GALASSIE NANE VICINE, QUATTRO DELLE QUALI PORTANO IL SUO NOME.

» Un rendering del satellite Plato dell’Esa in assetto operativo. Si notino i 26 telescopi di cui sarà dotato per la ricerca e caratterizzazione di esopianeti di taglia terrestre.

un’impresa ai limiti dell’impossibile. Ma gli astronomi non si fermano qui, perché si spingono a formulare ipotesi sulla natura di queste esolune: date le dimensioni, è probabile che si tratti di oggetti gassosi. Corpi che magari un tempo erano pianeti e che successivamente si sono ritrovati trascinati nell’orbita di un pianeta più grande di loro.

IN ATTESA DI PLATO

Una commissione nominata dall’Agenzia spaziale europea (Esa)

SISTEMA SOLARE DI GIUSEPPE DONATIELLO
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»

A sinistra: la locandina di fantasia di un ipotetico film ispirato agli esopianeti della pulsar Lich (PSR B1257+12). Notare in basso a destra la scritta: “Basato su scienza reale” (Nasa/Jpl). Sopra: rappresentazione artistica di una luna in orbita attorno a un esopianeta (Helena Valenzuela Widerström).

ha recentemente sottoposto a un esame accurato il progetto di Plato (Planetary Transits and Oscillations of stars) e ha verificato la maturità di questo satellite e degli strumenti di bordo progettati per la ricerca degli esopianeti.

È così confermata la fattibilità del programma, realizzato anche grazie al contributo dell’Agenzia spaziale italiana e dell’Istituto nazionale di astrofisica. Saranno quindi costruiti in serie 26 sofisticati telescopi, con i quali Plato indagherà le

caratteristiche di esopianeti, anche molto simili alla Terra, che orbitano intorno a stelle simili al Sole.

Il prossimo esame per Plato sarà nel 2023, prima di procedere con il suo assemblaggio.

Dopo il lancio, previsto per la fine del 2026, Plato viaggerà verso il punto L2 del sistema Terra-Sole, a 1,5 milioni di km dalla Terra, in direzione opposta al Sole, dove si trova già il James Webb Space Telescope, inquadra il QR per un video di Media-Inaf).

Da questo punto Plato osserverà più di 200mila stelle durante i suoi quattro anni di funzionamento previsto, alla ricerca di esopianeti con il metodo dei transiti.

L’analisi dei transiti e delle variazioni di luce stellare consentirà di determinare con precisione le proprietà degli esopianeti e delle loro stelle ospiti.

Ricordiamo, per rimanere sempre aggiornati sugli esopianeti, il sito curato dalla Nasa all’indirizzo exoplanets.nasa.gov/.

SISTEMA SOLARE
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DALLE TRACCE DI UN GRANDE BRILLAMENTO SOLARE LA DATA DELLA PRIMA VISITA DEGLI EUROPEI NEL NUOVO MONDO 46 ASTRONOMIA E STORIA DI PATRIZIA CARAVEO VICHINGHI IN AMERICA LE PROVE ARRIVANO DAL SOLE

Il nostro pianeta è sottoposto a una continua pioggia di particelle di alta energia.

Ne abbiamo parlato nel n. 22 di Cosmo a proposito della ricerca dei pevatroni, le sorgenti dei super raggi cosmici. Anche la fine del viaggio dei raggi cosmici, quando penetrano nella nostra atmosfera, ci può fornire delle interessanti rivelazioni, grazie alle tracce che queste particelle lasciano sul loro cammino.

LA PRODUZIONE

DI CARBONIO 14

Un tipico prodotto del flusso di raggi cosmici è il carbonio-14 (C14), un raro isotopo del più comune carbonio 12 (composto da 6 protoni e 6 neutroni) che costituisce il 99% del carbonio che conosciamo.

Il restante 1% è riconducibile al carbonio 13, un altro isotopo con un corredo di 7 neutroni. Il C14 si forma quando un atomo di azoto (il gas più abbondante della nostra atmosfera) viene colpito da un neutrone prodotto da una precedente interazione di un raggio cosmico con un altro atomo dell’atmosfera. L’azoto è formato da 7 protoni e 7 neutroni, ma, a seguito della collisione, il neutrone sostituisce uno dei protoni e quindi il numero atomico diventa 6, quello del carbonio, ma con 8 neutroni.

Il C14 ha le stesse proprietà chimiche del carbonio comune e reagisce con altri elementi per formare molecole (come l’anidride carbonica) che poi vengono assorbite da vegetali e animali. Il processo continua finché l’organismo muore e smette di assorbire carbonio, congelando la sua composizione fatta per il 99% di C12, per l’1% di C13, con

tracce di C14 (circa un atomo ogni mille miliardi). Mentre il C12 e il C13 sono stabili, il C14 decade in azoto, emettendo un elettrone e un neutrino, con un tempo di dimezzamento di poco più di 5700 anni.

Questo decadimento è il principio alla base della datazione dei reperti archeologici che contengono delle sostanze di origine vegetale o animale. Dato che, al momento della morte, la percentuale di C14 doveva essere quella canonica dell’atmosfera, andando a misurare quanto ne è rimasto, possiamo calcolare quanto tempo è passato. È una misura non facile e affetta da incertezze, ma in alcuni casi si aggiunge ad essa un aiuto che consente di migliorare molto la precisione. L’aiuto viene dal Sole, che una-due volte per millennio fa registrare un’attività intensissima, una versione enormemente amplificata della normale attività della nostra stella.

GLI ALBERI RIVELANO LE MEGA EMISSIONI SOLARI

Durante una Cme (Coronal Mass Ejection, “emissione di massa coronale”), il Sole libera grandi quantità di particelle di alta energia che vengono scagliate nello spazio interplanetario e seguono le autostrade magnetiche che si dipartono dal Sole. Se la Cme si verifica in una zona del Sole “connessa” alla Terra, saremo investiti da una “tempesta solare” che, nella maggior parte dei casi, farà registrare delle bellissime aurore polari, spettacoli luminosi dovuti all’eccitazione degli atomi dell’atmosfera da parte dei raggi cosmici che riescono a penetrare

» Una grande espulsione di massa coronale da parte del Sole, ripresa nel dicembre 2003 dagli strumenti del satellite Soho della Nasa.
47 ASTRONOMIA E STORIA

ASTRONOMIA

» L’isola di Terranova (estesa come un terzo dell’Italia), al largo del Canada. Il punto più a nord (pallino rosso) è l’Anse aux Meadows, sito del primo insediamento europeo nel Nuovo Mondo.

STORIA PATRIZIA CARAVEO
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E
DI

lo scudo magnetico terrestre in corrispondenza dei poli.

Solo le Cme più importanti destano preoccupazione per la salute degli astronauti, per il funzionamento dei satelliti in orbita e per la rete di distribuzione dell’energia elettrica.

Le tempeste solari causano un aumento delle particelle che raggiungono la Terra e dei loro prodotti secondari, come il C14. Nel caso di eventi solari straordinariamente intensi, l’aumento di C14 è molto al di sopra delle normali fluttuazioni statistiche e questa anomalia viene registrata nei cerchi di accrescimento degli alberi di tutto il mondo, che assorbono un picco di C14.

Studiando gli anelli di accrescimento di alberi millenari, ci si è resi conto che ci sono state due mega Cme nel 776 d.C. e poi ancora nel 993 d.C. ed è proprio quest’ultimo evento che ha permesso di datare con precisione tre pezzi di legno trovati nell’insediamento vichingo a l’Anse aux Meadows nella propaggine che si spinge più a nord dell’isola di Terranova, in territorio canadese. Si tratta di un sito archeologico, l’unico sul continente americano, patrimonio dell’Unesco, che si vuole legato all’esploratore vichingo Leif Erikson. I legni non sono parti di manufatti, ma scarti ritrovati tra i resti di una locale falegnameria vichinga. L’attenzione dei ricercatori è caduta su questi pezzi perché hanno conservato la corteccia e questo ha permesso di analizzare gli anelli di accrescimento fino al momento della morte della pianta.

I tre legni canadesi sono certamente riconducibili ai Vichinghi, perché sono stati tagliati da una lama

» Sopra: la ripresa aerea del villaggio vichingo ricostruito a l’Anse aux Meadows. Sotto: i legni vichinghi utilizzato per le indagini. Le analisi sono state eseguite in corrispondenza delle “X” bianche.

metallica, un attrezzo sconosciuto ai nativi americani. Contando i cerchi a partire da quello che presenta il picco del C14, si è determinato un periodo tra il 1016 e il 1026, con la data più probabile al 1021, 29 anni dopo l’anello corrispondente al Cme del 993.

Questa è la prima data certa legata alla presenza vichinga nel territorio americano che, nelle saghe scritte secoli dopo, veniva chiamato Vinland. Non sappiamo quanto tempo si siano fermati gli esploratori: le saghe parlano di pochi anni; forse

non trovarono quello che cercavano o forse si scontrarono con le tribù locali.

Rimane il fatto che, grazie al C14 del maxi brillamento del 993 d.C., ora sappiamo con certezza che dei navigatori europei attraversarono l’Atlantico 470 anni prima di Cristoforo Colombo. Anche se la loro impresa non ebbe un seguito e fu dimenticata. Alla nostra civiltà tecnologica un brillamento del genere creerebbe molti problemi. Per i Vichinghi, che navigavano senza Gps, i problemi dovevano essere altri.

ASTRONOMIA E STORIA
49

I PADRI ITALIANI DELLA ASTRONOMIA

A RAGGI X

L’entrata in vigore delle leggi razziali nel settembre 1938 aveva costretto Bruno Rossi a lasciare la cattedra di fisica sperimentale all’Università di Padova e qualche mese dopo anche l’Italia.

Attraversato l’Atlantico, trovò impiego presso la Cornell University come professore associato dal 1940 al 1943, ma dopo l’avvio del Progetto Manhattan si trasferì a Los Alamos per partecipare alla costruzione della prima bomba atomica.

Nel 1946 entrò al Massachusetts Institute of Technology come professore di fisica e lavorava in questa università quando fu invitato nello Space Science Board della National Academy of Science per contribuire alla pianificazione delle attività scientifiche americane nello spazio.

Rossi figurava tra i quindici membri di quella commissione, riunitasi per la prima volta a New York il 27 giugno 1958, dove - oltre al suo principale interesse per i raggi cosmici - manifestò anche

la convinzione di quanto fosse importante usare i futuri satelliti messi in orbita attorno alla Terra per cercare sorgenti cosmiche di raggi X.

TELESCOPI PER RAGGI X

L’ipotesi di fondo su cui ragionava Rossi era semplice, come scrisse nella sua autobiografia: “Poiché lo spazio è trasparente ai raggi X e poiché si possono immaginare diversi modi in cui i raggi X possono essere generati nello spazio e nelle stelle, si dovrebbe andare a vedere cosa si trova là fuori. [...] Ero fiducioso che, senza ricorrere a nessuna tecnologia fondamentalmente nuova, fosse possibile sviluppare rivelatori di raggi X più sensibili di quelli usati in precedenza per le osservazioni solari.

[…] La mia lunga esperienza come fisico dei raggi cosmici mi aveva insegnato che quando si entra in un territorio inesplorato c’è sempre la possibilità che si trovi qualcosa di imprevedibile”.

Questa consapevolezza lo convinse a rivolgersi a Martin Annis, un suo ex studente, fondatore nel 1958 della

American Science & Engineering (AS&E), specializzata in strumenti per rivelare i raggi X emessi dalle esplosioni di ordigni nucleari, per proporgli lo sviluppo dell’ottica necessaria a focalizzare i raggi X “molli” (con lunghezze d’onda superiori a 0,1 nm) e la costruzione di un rivelatore particolarmente sensibile a tale radiazione.

Annis era consapevole che la sua neonata azienda avrebbe corso un serio rischio finanziario, imbarcandosi in un’impresa apparentemente priva di applicazioni commerciali, ma decise di accettare la sfida e nell’autunno del 1959 avviò un programma di astronomia a raggi X. La responsabilità di svilupparlo fu in larga misura affidata a Riccardo Giacconi, un giovane laureato di 28 anni, allievo di Giuseppe Occhialini all’Università di Milano, giunto poco prima negli Stati Uniti con una borsa di studio.

Su suggerimento di Rossi, principale consulente scientifico della AS&E, Giacconi si concentrò sul telescopio a raggi X, che doveva

BRUNO ROSSI E RICCARDO GIACCONI CONTRIBUIRONO AD APRIRE UNA FINESTRA SUI FENOMENI PIÙ VIOLENTI DELL’UNIVERSO
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PERSONAGGI DI GIANFRANCO BENEGIAMO*
51 PERSONAGGI » Intuito e perseveranza consentirono a Bruno Rossi (1905-1993) di avviare le prime ricerche di sorgenti X esterne al Sistema solare. «I MOMENTI PIÙ ENTUSIASMANTI SONO QUELLI IN CUI UN MIO ESPERIMENTO HA DATO UN RISULTATO INCOMPATIBILE CON LE PREVISIONI: UNA PROVA DI QUANTO LA RICCHEZZA DELLA NATURA SUPERI L’IMMAGINAZIONE DELL’UOMO». BRUNO ROSSI

» L’astronomia a raggi X permette di studiare i fenomeni più violenti dell’Universo, come l’accrescimento di un buco nero a spese di una stella vicina mostrato in questa ricostruzione artistica della sorgente Cygnus X-1

avere caratteristiche piuttosto particolari: la forte penetrazione di questa radiazione nella materia rende necessario convogliare i raggi incidenti verso il fuoco ottico utilizzando angoli di incidenza molto piccoli (intorno a 1,5 gradi). Annis trovò supporto dal Goddard Space Flight Center, per sviluppare un prototipo di telescopio a incidenza radente, ma nessuna disponibilità a lanciare al di sopra dell’atmosfera terrestre strumenti ritenuti ancora troppo rudimentali per condurre con successo delle ricerche.

Trovando chiuse le porte della Nasa, Rossi si rivolse ai militari della US Air Force, per un progetto ufficialmente destinato a cercare l’emissione di raggi X dalla Luna, prodotti dalla radiazione solare incidente e utili per determinare la composizione chimica delle rocce lunari.

Obiettivo ancora più rilevante per i fisici italiani, però, era la ricerca di raggi X provenienti da lontane sorgenti galattiche e per farlo occorreva migliorare i sensori disponibili. A questo lavorò intensamente l’esperto di elettronica Frank R. Paolini, che riuscì a costruire un rivelatore decine di volte più sensibile dei precedenti.

*GIANFRANCO BENEGIAMO LAUREATO IN CHIMICA, NUTRE DA SEMPRE UN PROFONDO INTERESSE PER I MOLTEPLICI ASPETTI TECNICI E STORICI DELL’ASTRONOMIA.

LA PRIMA SORGENTE EXTRA-SOLARE Il 18 giugno 1962, intorno alla fase di Luna Piena, fu lanciato dalla base

BENEGIAMO
52 PERSONAGGI DI GIANFRANCO

di White Sands nel Nuovo Messico un razzo Aerobee 150 con a bordo questi nuovi rivelatori: salendo a una quota massima di 225 km, gli strumenti scansionarono una porzione di cielo ampia circa 100 gradi.

Già all’altezza di 80 km, i contatori iniziarono a registrare la comparsa di un flusso, fortemente modulato dalla rotazione del razzo (pari a circa 2 giri ogni secondo), in base al quale si poteva ipotizzare che i raggi X non arrivavano con la stessa intensità da tutte le direzioni. Ciò portò alla scoperta della prima sorgente extra-solare di raggi X, situata in prossimità del centro galattico, annunciata durante un congresso alla Stanford University. Un articolo con i risultati dell’esperimento trovò poi spazio sulla rivista scientifica Phisycal Review, ma a condizione che Rossi si assumesse la piena responsabilità delle conclusioni proposte.

Nell’aprile 1963 Stuart Bowyer e Herbert Friedman localizzarono la sorgente nella costellazione dello Scorpione e per tale motivo fu battezzata Scorpius X-1: la sua emissione nei raggi X si rivelò poi mille volte maggiore di quella rilasciata su tutte le lunghezze d’onda dal Sole. I risultati preliminari confermarono l’apertura di una nuova finestra su processi astrofisici, prima di allora sconosciuti e di violenza inaudita, che sarebbe stato difficile anche solo immaginare.

IL CATALOGO X di UHURU

Il primo satellite dedicato all’astronomia a raggi X, contrassegnato dalla sigla Sas-1 ma comunemente noto come Uhuru, fu lanciato il 12 dicembre 1970 dalla

E ADESSO È IL MOMENTO DI IXPE

Il 9 dicembre 2021 è stato lanciato da Cape Canaveral il satellite Ixpe, un telescopio spaziale della Nasa, realizzato in collaborazione con l’Asi, l’Inaf e l’Infn e progettato per indagare aspetti sconosciuti degli oggetti più estremi dell’Universo, come resti di supernova, stelle di neutroni, getti di particelle dai buchi neri.

Ixpe (Imaging X-ray Polarimetry Explorer) è la prima missione della Nasa progettata per studiare la polarizzazione dei raggi X, per tracciare la storia delle sorgenti di questa radiazione e delinearne la geometria. Il suo telescopio in grado di raccogliere informazioni doppiamente inaccessibili agli umani: per la frequenza (i raggi X sono al di là dello spettro visibile) e per la polarizzazione, una caratteristica della radiazione alla quale l’occhio umano non è sensibile. Le onde polarizzate oscillano su un piano preferenziale e non in modo disordinato come la radiazione normale. Misurare come e quanto la radiazione è polarizzata offre indizi sui meccanismi che l‘hanno prodotta e sull’ambiente che ha attraversato per giungere fino a noi.

Ixpe è dotato di tre telescopi identici, ciascuno dei quali è formato da una serie di specchi cilindrici e da un rivelatore sensibile ai raggi X “made in Italy”, al quale spetta il compito di produrre un’immagine della sorgente e misurarne la polarizzazione. I tre specchi sono separati dai rispettivi rivelatori grazie a un braccio estensibile che si è aperto quando il satellite è giunto in orbita, a circa 600 km dalla superficie terrestre. Inquadra il QR per un servizio di Media-Inaf dedicato a Ixpe.

53 PERSONAGGI

base italiana San Marco.

La piattaforma marina situata al largo di Malindi in Kenya, che era stata fortemente voluta dal professor Luigi Broglio, diede ancor più rilevanza al contributo dato dall’Italia all’apertura degli studi astrofisici sulle alte frequenze dello spettro elettromagnetico.

La principale missione di Uhuru consisteva nel creare un primo catalogo delle maggiori sorgenti di raggi X, per le energie comprese tra 2 e 20 kiloelettronvolt, attraverso la

scansione sistematica dell’intera sfera celeste. Il satellite individuò centinaia di sorgenti e offrì a Giacconi l’opportunità di vincere, nel 2002, il premio Nobel per la Fisica “per i contributi pionieristici all’astrofisica che hanno portato alla scoperta di sorgenti cosmiche di raggi X”. Il suo maestro e mentore Bruno Rossi, meritevole almeno quanto lui di quel prestigioso riconoscimento, non poté riceverlo perché era purtroppo scomparso da quasi una decina di anni.

PERSONAGGI DI GIANFRANCO BENEGIAMO » Una mappa del cielo nei raggi X (da 0,3 a 2,3 keV) realizzata dal telescopio spaziale eRosita imbarcato sull’osservatorio spaziale russo-tedesco Spektr-RG lanciato nel 2019. Sotto: il premio Nobel Riccardo Giacconi (1931-2018).
54

INIZIO

METÀ

FENOMENO
MESE
MESE FINE MESE Inizio crepuscolo 05h 12m 04h 47m 05h 19m Sorge 06h 45m 06h 20m 06h 54m Culmina 12h 22m 12h 18m 13h 14m Tramonta 17h 59m 18h 17m 19h 34m Fine crepuscolo 19h 32m 19h 50m 21h 10m Durata della notte astronomica 09h 40m 08h 57m 08h 09m 56 IL PLANISFERO CELESTE / MARZO » Il cielo visibile da Roma alle ore 00.00 TC a metà mese. La mappa è valida in tutta Italia. il SOLE CIELO DEL MESE DI TIZIANO MAGNI*

la LUNA

Il pallino rosso sulla circonferenza lunare mostra il punto di massima librazione alle 0h di Tempo Civile del giorno considerato: le sue dimensioni sono proporzionali all’entità della librazione il cui valore massimo è di circa 10°

fenomeni LUNARI

il

il

il 2 alle 18h

il

il

il

Massime librazioni in latitudine

Il 1° alle 14h - visibile

il Polo nord

il 15 alle 20h - visibile

il Polo sud

il 28 alle 19h - visibile

il Polo nord

Massime librazioni in longitudine

il 4 alle 21h - visibile

il lembo occidentale

il 17 alle 2h - visibile

il lembo orientale

il 1° aprile alla 1h - visibile

il lembo occidentale

Apogeo 404.268 km l'11 alle 0h 03m

Perigeo 369.760 km il 24 alle 0h 37m

Apogeo 404.438 km il 7 aprile alle 21h 10m

CIELO DEL MESE
34m
10 alle 11h 45m
18 alle 8h 17m
25 alle 6h 37m
1° aprile alle 8h 24m
9 aprile alle 8h 47m
57

CIELO DEL MESE

SOLE e PIANETI

SOLE

Sta percorrendo il ramo ascendente dell'eclittica e il 20 alle 16:33 attraversa l'equatore celeste, passando dall'emisfero meridionale a quello settentrionale: è l'inizio della primavera astronomica per l'emisfero boreale. L’arco diurno percorso dall’astro si allunga in misura sensibile, così come la durata del giorno che aumenta di una quantità compresa tra 72 (meridione) e 104 minuti (settentrione).

MERCURIO

È visibile all'alba ma con qualche difficoltà: il 2 è in congiunzione con Saturno, 42' a sud del pianeta inanellato. La distanza che lo separa dall’astro del giorno è in diminuzione e il pianeta si avvicina sempre più all’orizzonte orientale, scomparendo nelle luci del crepuscolo il 13, dopo essersi spostato, il giorno 8, dal Capricorno nell’Acquario. Il 25 entra nei Pesci e il 30 nella Balena.

VENERE È visibile al mattino, ma in condizioni poco favorevoli: il 20 raggiunge una elongazione occidentale dal Sole di 46°,6, ma la sua levata anticipa di appena mezz’ora l’inizio del crepuscolo mattutino. Insieme a Marte, con cui è in congiunzione il giorno 12, forma una coppia evidente, alla quale si aggiunge Saturno a fine mese. Il 7 si sposta dal Sagittario nel Capricorno, dove il 10 transita 1°,5 a sud di Beta Capricorni; il 23 passa nell’Acquario; il 27 rientra nel Capricorno e due giorni dopo è 2°,2 a nord di Saturno.

Posizioni eclittiche geocentriche del Sole e dei pianeti tra le costellazioni zodiacali: i dischetti si riferiscono alle posizioni a metà mese, le frecce colorate illustrano il movimento nell’arco del mese. La mappa, in proiezione cilindrica, è centrata sul Sole: i pianeti alla destra dell’astro del giorno sono visibili nelle ore che precedono l’alba, quelli a sinistra nelle ore che seguono il tramonto; la zona celeste che si trova in opposizione al Sole non è rappresentata. Le posizioni della Luna sono riferite alle ore serali delle date indicate per la Luna crescente e alle prime ore del mattino per quella calante.

DI TIZIANO MAGNI
58

MARTE È visibile al mattino e per l'intero mese sorge quasi costantemente 2 ore prima del Sole: è accompagnato, alcuni gradi più a nord, da Venere, con il quale è in congiunzione il giorno 12. All'inizio si trova nel Sagittario ma già il 6 si sposta nel Capricorno.

GIOVE È in congiunzione superiore con il Sole il giorno 5 ed è inosservabile per gran parte del mese; a partire dal 26 riappare in prossimità dell’orizzonte occidentale tra le luci dell’alba, preceduto, 30° più a est, dal trio composto da Venere, Marte e Saturno.

SATURNO

È visibile all’alba inizialmente a fianco di Mercurio, con cui è in congiunzione il giorno 2, mentre a oriente spicca la coppia formata da Venere e Marte, in lento avvicinamento. Nel corso della terza decade la sua levata anticipa l’inizio del crepuscolo e il 29 viene superato, 2°,2 più a nord, da Venere.

URANO È osservabile di sera 3° a ovest della stella di 5a magnitudine Sigma Arietis, ma la sua visibilità va progressivamente diminuendo e alla fine del mese tramonta circa un’ora dopo il termine del crepuscolo.

NETTUNO È in congiunzione superiore con il Sole il giorno 13 ed è quindi inosservabile per l’intero mese.

Effemeridi geocentriche di Sole e pianeti alle 00h 00m di Tempo Civile delle date indicate. Per i pianeti sono riportati fase e asse di rotazione (nord in alto, est a sinistra).

Levate e tramonti sono riferiti a 12°,5 E e 42° N: un asterisco dopo l’orario indica l’Ora Estiva. Nella riga Visibilità sono indicati gli strumenti di osservazione consigliati: l’icona di “divieto” indica che il pianeta non è osservabile. Le stelline (da 1 a 5) misurano l’interesse dell'osservazione.

Visibilità dei pianeti. Ogni striscia rappresenta, per ognuno dei cinque pianeti più luminosi, le ore notturne dal tramonto alla levata del Sole, crepuscoli compresi; quando il pianeta è visibile la banda è più chiara. Le iniziali dei punti cardinali indicano la posizione sull'orizzonte nel corso della notte.

CIELO DEL MESE
59

FENOMENI del mese

2INCONTRO RAVVICINATO ALL’ALBA TRA MERCURIO E SATURNO

All’inizio del mese, tra le intense luci dell’alba, in prossimità dell’orizzonte sud-orientale è visibile, pur con qualche difficoltà, una luminosa coppia di pianeti: si tratta di Mercurio e Saturno, il primo che va avvicinandosi all’astro del giorno, il secondo che se sta invece allontanando.

Il giorno 2, nelle ore pomeridiane, i due pianeti sono protagonisti di un incontro particolarmente ravvicinato, con Mercurio in veloce sorpasso 42’ a sud di Saturno. La migliore configurazione osservabile, qui raffigurata, è quella che si concretizza alle 6:00 TC, 15 minuti circa dopo l’inizio del crepuscolo nautico.

8-9

LUNA, PLEIADI E ALDEBARAN DI SERA

L’8 e 9 marzo, nelle ore che seguono il tramonto, è possibile seguire il transito della Luna crescente nella costellazione del Toro.

La sera del giorno 8 il nostro satellite naturale è visibile 4°,1 a sud del luminoso ammasso stellare delle Pleiadi, con il quale è in congiunzione poco dopo la discesa del Sole sotto l’orizzonte. La distanza che li separa diminuisce fino a raggiungere il valore minimo di 3°,9 alle 21:20.

La sera seguente la Luna si è invece spostata 6°,7 a nord di Aldebaran, dalla quale va via via allontanandosi: la congiunzione con Alfa Tauri è però inosservabile, poiché si verifica poco dopo le 18:00, con il cielo illuminato a giorno.

OCCHIO NUDO PERICOLO SOLE VISIBILE TIZIANO MAGNI
60
CON BINOCOLO CON TELESCOPIO
NON
CIELO DEL MESE DI

10-12

VENERE, MARTE E BETA CAPRICORNI TRA LE LUCI DELL’ALBA

Poco prima che il cielo inizi a rischiarare, sull’orizzonte sud-orientale spicca la brillante presenza di Venere, accompagnata, alcuni gradi più a sud, dalla più debole scintilla rossastra di Marte. I due “viaggiano” quasi di conserva tra le stelle del Capricorno e il giorno 10 transitano entrambi a sud di Beta Capricorni: 1°,5 “sotto” la stella Venere, più lontano, a 5°,7 di distanza, Marte. Due giorni più tardi i due pianeti sono in reciproca congiunzione in Ascensione Retta: Venere, il cui moto diretto sulla volta stellata è un po’ più veloce rispetto a Marte, transita 4° a nord del Pianeta rosso. Le diverse configurazioni celesti che ne risultano sono osservabili per alcuni giorni tra la prima e la seconda decade, alle 5:30 TC alle prime luci dell'alba.

15-16

NOTTE DI LUNA CON REGOLO

Il cielo notturno è dominato, dal tramonto fino alle prime luci dell’alba, dalla luminosa presenza della Luna gibbosa crescente tra le stelle della costellazione zodiacale del Leone.

Nelle sue vicinanze è ben visibile Regolo, alla quale il nostro satellite naturale va progressivamente avvicinandosi fino a essere in congiunzione con la stella, 4°,1 a nord di Alfa Leonis, poco dopo le 4:20 TC, mezz’ora prima dell’inizio del crepuscolo astronomico, con i due protagonisti che vanno abbassandosi sempre più sull’orizzonte occidentale.

16

(39) LAETITIA E (202) CHRYSEIS IN OPPOSIZIONE

Nella zona compresa tra Beta Virginis e Beta Leonis nel corso del mese risultano osservabili i pianetini (39) Laetitia e (202) Chryseis, in opposizione al Sole rispettivamente il 16 e l’11 marzo, quando raggiungono le mag. +10,3 e +11,3.

Il più luminoso dei due, (39) Laetitia, è inizialmente rintracciabile 1° a nord della stella 7 Virginis (mag. +5,3), ma si sposta di moto retrogrado in direzione di Nu Virginis, di 4a magnitudine, 33’ a nord-est della quale transita la sera del 21; il 25 si trova 48’ a sud di Xi Virginis (mag. +4,8) mentre il 2 aprile passa 11’ a nord di Omega Virginis (mag. +5,3). All’inizio di marzo, (202) Chryseis è 1°,1 a nord di Xi Virginis, ma il giorno 8 si sposta nel Leone, attraversando il confine poco meno di 5° a sud-ovest di Beta Leonis. Da notare, il 10 aprile, il passaggio del pianetino 20’ a nord-est della coppia di galassie M65 e M66, di 9a magnitudine. Nella mappa sono mostrate tutte le stelle più luminose della mag. +10,5.

61 CIELO DEL MESE

18-19

(44) NYSA IN TRANSITO DAVANTI ALLA NEBULOSA M1

Tre mesi dopo l’opposizione, il pianetino (44) Nysa, attualmente di magnitudine +10,8, è ancora sufficientemente luminoso da poter essere scorto con l’aiuto di un binocolo o di un telescopio poco più di 1° a nord-ovest di Zeta Tauri. La notte tra il 18 e 19 marzo (44) Nysa è protagonista di uno spettacolare passaggio di fronte alla Nebulosa Granchio (M1), resto di una supernova esplosa nel 1054.

Il pianetino attraversa la frazione meridionale della nebulosa tra la 1:00 e le 7:00 del 19, transitando 28” a sud della pulsar PSR 0534+2200 poco prima delle 4:00 TC. Sull’immagine, ricavata elaborando una foto dell’Eso (European Southern Observatory), è stato sovrapposto il percorso di (44) Nysa con indicate le posizioni alle ore intere; sono inoltre riportate le magnitudini visuali di alcune delle stelle più luminose.

19-20

LUNA E SPICA IN CONGIUNZIONE

Per gran parte della notte il cielo è dominato dalla presenza della Luna, quasi completamente Piena, in transito nella costellazione zodiacale della Vergine. Nelle ore comprese tra la levata del nostro satellite naturale, al termine del crepuscolo serale, e la comparsa delle luci dell’alba, il cui chiarore porrà termine alle osservazioni, è possibile seguirne il progressivo avvicinamento alla bianco-azzurra scintilla di Spica. La congiunzione in Ascensione Retta, osservabile direttamente, si verifica alle 4:15 TC con la Luna 4°,2 a nord di Alfa Virginis; la distanza che li separa continuerà comunque a diminuire fino a toccare il valore minimo di 3°,7 alle 7:40, un’ora e mezza dopo la levata del Sole.

MASSIMA VISIBILITÀ MATTUTINA DI VENERE

Alle prime luci dell’alba l’orizzonte sud-orientale è popolato dal luminoso trio formato da Venere, Marte e, più vicino all’orizzonte, Saturno. Il primo, di gran lunga il più luminoso, tra la seconda e la terza decade del mese ottiene la massima visibilità mattutina della corrente apparizione: il 20 la sua elongazione dal Sole raggiunge il ragguardevole valore di 46°,6; ciò nonostante, la sua levata anticipa di appena mezz’ora l’inizio del crepuscolo e di 2 ore la comparsa dell’astro del giorno.

Nel disegno è raffigurata la configurazione celeste che è possibile ammirare alle 5:00 TC, con il Sole 15° sotto la linea dell’orizzonte e il cielo che ha appena iniziato a rischiarare per l’approssimarsi dell’alba.

62
20

27

PASSAGGIO ALL’ORA ESTIVA

Alle ore 2:00 della mattina dell’ultima domenica del mese ci sarà il passaggio dall’Ora Solare all’Ora Estiva: gli orologi del fuso orario dell’Europa Centrale, cui appartiene l’Italia, che fino a quell’istante segnavano un’ora in più rispetto al tempo di riferimento del fuso orario il cui meridiano fondamentale è quello di Greenwich, vengono “spostati avanti” di 60 minuti, portando a due le ore di differenza rispetto al tempo di Greenwich. Il ritorno all’Ora Solare avverrà alle ore 3:00 dell’ultima domenica di ottobre, ossia il 30 ottobre.

28

TRIO DI PIANETI CON LUNA ALL’ALBA

La mattina del 28, tra le luci dell’alba, è possibile ammirare uno spettacolare raggruppamento di pianeti: la Luna in transito nel Capricorno supera di slancio prima Marte (passando 4°,9 a sud del Pianeta rosso alle 3:30), poi Venere (transitando 7°,4 a sud del pianeta alle 12:37) e Saturno (4°,9 a sud di quest’ultimo alle 14:55). Il giorno seguente, con la Luna non più visibile, si verifica una congiunzione tra Venere e Saturno, con il primo in transito 2°,2 a nord del secondo. La splendida e mutevole configurazione celeste è osservabile all’inizio del crepuscolo nautico, alle 6:00 di Tempo Civile delle date indicate, con la presenza delle luci dell'alba cha vanno intensificandosi.

NELLA PRIMA DECADE DI APRILE CI ATTENDONO

CIELO DEL MESE APRILE: CONGIUNZIONE LUNA-POLLUCE AL TRAMONTO
63
*TIZIANO MAGNI ESPERTO DI MECCANICA CELESTE, ELABORA LE PREVISIONI DI FENOMENI ASTRONOMICI CON SOFTWARE APPOSITAMENTE REALIZZATI (WWW.TIZIANOMAGNI.IT). • 5 APRILE: CONGIUNZIONE MARTE-SATURNO ALL’ALBA • 5/6 APRILE: LA LUNA OCCULTA UPSILON TAURI
• 9
I testi completi dei fenomeni sul prossimo numero di Cosmo e sul sito bfcspace.com

GEMME DEL CANE MAGGIORE

AMMASSI E NEBULOSE POCO NOTI FANNO DA CORONA ALLA STELLA PIÙ BRILLANTE DEL CIELO

Agli astrofili capita spesso di sentirsi domandare che cos’è quella “stella” brillante visibile in prima serata. In genere, si tratta di un pianeta luminoso, come Venere, Giove o talvolta Marte. Ma se la domanda viene posta questo mese, è difficile sbagliarsi: Giove è infatti invisibile, dato che è in congiunzione eliaca, mentre alcuni degli altri pianeti relativamente brillanti sono osservabili soltanto la mattina poco prima dell’alba. Pertanto, l’unico oggetto luminoso che appare in meridiano è realmente una stella (anche perché scintilla, a differenza dei pianeti) ed è Sirio, la stella più brillante di tutto il cielo. Nel numero di marzo di due anni fa (Cosmo n. 5) avevamo già descritto questa stella, insieme a M41, un ammasso aperto visibile con una certa difficoltà a occhio nudo, perché si trova solo 4 gradi a sud di Sirio. In questa puntata ci dedichiamo a tutti gli altri interessanti oggetti che si trovano nella costellazione del Cane Maggiore (CMa).

» Mappa della costellazione del Cane Maggiore che mostra gli oggetti menzionati nel testo (Stellarium).
64 OSSERVAZIONI DI PIERO MAZZA*

AMMASSI APERTI POCO NOTI

Iniziamo con NGC 2345 (un numero che si ricorda facilmente…), situato poco più di 2,5 gradi a NNE della stella Gamma CMa. Non è un oggetto particolarmente ricco e appariscente: in un telescopio da 20 cm, a circa 50 ingrandimenti, si contano una ventina di stelle su un fondo lattiginoso, disposte in due rozzi allineamenti che gli danno una forma vagamente triangolare. Si notano una coppia di stelle distanti circa 15 secondi d’arco nei pressi del centro e un trio serrato a SE di questa. Una stella brillante di 7a grandezza si trova all’estremità NNE dell’ammasso, ma probabilmente non ne fa parte. NGC 2374 si trova poco più di 5 gradi a ENE di Gamma CMa ed è stato scoperto da William Herschel nel 1785. È facilmente osservabile in un telescopio da 15

cm, nel quale l’ammasso appare di forma irregolare e con una ventina di stelle sparse su un’area di 10’×10’, ma in realtà è più esteso. La parte più cospicua è costituita da un piccolo agglomerato stellare disposto a zigzag come una “W”.

Tenendo sempre come riferimento la Gamma, se ci si sposta poco più di 3 gradi verso est, si incontra NGC 2360, già osservabile in un binocolo circa 20 primi a est di una stella di 5a grandezza. È un oggetto molto bello e molto ricco, esteso una decina di primi e nel quale si possono contare sino a cento componenti con un telescopio da 25 cm ad alti ingrandimenti; la stella più brillante, di un colore azzurro intenso, come appare in grandi telescopi dobsoniani, si trova al bordo orientale. Colpiscono le numerose stringhe e allineamenti di 3, 4 o

5 stelline, che gli conferiscono un aspetto caratteristico. Molto bello è anche NGC 2362, un ammasso galattico eccezionalmente giovane, con un’età stimata di soli 5 milioni di anni (su scala umana equivarrebbe a un neonato di una decina di giorni!). È praticamente centrato sulla Tau CMa, una doppia spettroscopica bianco-azzurra di 4a grandezza che tende a offuscare l’ammasso quando viene osservato in piccoli strumenti e, soprattutto, a bassi ingrandimenti. L’ammasso è esteso solo pochi primi d’arco e a prima vista può dare l’impressione di una spruzzata d’inchiostro bianco caduta su un foglio scuro; la macchia più grande è costituita dalla Tau CMa, che contribuisce per il 70% della sua luminosità totale. Osservato a 200x in un telescopio da 25-30 cm, appare come un bel gruppo serrato

» I bei colori di NGC 2359 ripresa da Martin Rusterholz in remoto al Cxielo Observatory, nella Francia meridionale.
65 OSSERVAZIONI

di circa 40 stelle brillanti, racchiuse in un’area a forma di triangolo equilatero.

La Tau CMa è spostata un poco verso il lato nord e c’è una piccola “W” regolare di cinque stelline subito a nord dell’ammasso; una coppia di stelle a SSW appare staccata dal corpo principale.

NGC 2367 è un altro ammasso aperto, anche se viene spesso trascurato; è situato 3 gradi a nord del precedente e potrebbe essere considerato il suo gemello, dato

che ha la sua stessa età. In un telescopio da 15 cm appare come un piccolo gruppo molto serrato, con dimensioni di un paio di primi, nel quale si contano le 6-7 componenti più brillanti.

È anch’esso di forma triangolare con una stellina brillante di 7a magnitudine nei pressi del centro.

La visione telescopica (capovolta) dell’ammasso quando transita nei presi del meridiano dà talvolta l’impressione di un piccolo albero di Natale (in verità un po’ striminzito).

UNA SINGOLARE NEBULOSA

Circa 2,5 gradi a est di NGC 2345 c’è un’interessante nebulosa che solo in tempi recenti ha cominciato a fare la sua comparsa negli archivi degli astrofotografi: NGC 2359, scoperta sempre da Herschel nel 1785. Visualmente non è appariscente neppure in strumenti maggiori di 30 cm, ma è una di quelle nebulose che acquistano rilevanza se vengono osservate con un filtro interferenziale, soprattutto quelli a banda stretta

Oggetto AR (2000) Dec. (2000) Dim. Mag. Tipologia

NGC 2345 07h08,3m 13°12’ 12’ 7,7 Amm. Aperto

NGC 2374 07h24,0m 13°16’ 19’ 8,0 Amm. Aperto

NGC 2360 07h17,7m 15°39’ 12’ 7,2 Amm. Aperto

Tau CMa 07h18,7m 24°57’ 4,4 Spettro O9

NGC 2362 07h18,7m 24°57’ 7’ 3,8 Amm. Aperto

NGC 2367 07h20,1m 18°09’ 5’ 7,9 Amm. Aperto

NGC 2359 07h18,5m 13°14’ 13’×11’ Neb. Emissione

ESO 559-6 (PK 232-2.1) 07h21,2m 21°53’ 30”×20” 12,6 Neb. Planetaria

PIERO MAZZA STELLE E PROFONDO CIELO NEL CANE MAGGIORE » A sinistra: l’ammasso aperto NGC 2345 (in-the-sky.org). A destra: NGC 2360 è un tipico caso in cui l’occhio è vincente sulla fotografia: questa mostra una distribuzione quasi uniforme di stelle, mentre visualmente, in telescopi da 25-30 cm, appare una serie di piccoli raggruppamenti (elaborazione da un’immagine del Dss).
66 OSSERVAZIONI DI

come l’OIII; in tal caso, diviene eccitante anche in telescopi da 20-25 cm. L’aspetto è molto irregolare ed è pertanto impossibile descriverla nei particolari: preferiamo farlo con la fotografia pubblicata a pag. 65. La nebulosa è conosciuta come “Elmo di Thorus”, per via della somiglianza con il copricapo vichingo; brilla grazie a una stella di Wolf-Rayet (caratterizzata da righe in emissione molto intense) di magnitudine 11,5, situata quasi al centro della nebulosa.

Il centro appare quasi vuoto, a causa dei potenti venti stellari prodotti da questa stella particolarmente

calda e massiccia, i quali tendono ad ammassare il gas e le polveri presenti attorno ad essa in una sorta di guscio; un fenomeno analogo a quello che si riscontra nella Rosetta e in altre nebulose a emissione.

UNA PICCOLA PLANETARIA

Circa 2,5 gradi a SSE di NGC 2460 e un grado e mezzo a ovest dal confine con la costellazione della Poppa, si trova la piccola nebulosa planetaria ESO 559-6 (o PK 2322.1). Un oggetto poco noto, perché 5 e 6 gradi rispettivamente a est e a nord-est (nella Poppa) ci sono altre due nebulose planetarie ben più appariscenti: NGC 2438 e NGC 2440. Inoltre, è di aspetto quasi stellare se viene osservata a bassi ingrandimenti ed è quindi facile “passarci sopra” senza notarla. In un telescopio da 40 cm a 200x si può comunque osservare il suo aspetto diffuso e abbastanza tipico

delle piccole planetarie; è leggermente ovale, orientata da nord a sud con dimensioni di circa 20”×15”. Qualche particolare in più risalta con un 60 cm, nel quale appare brillante, relativamente compatta e di luminosità uniforme; a prima vista sembra rotonda, ma forzando a 570x saltano all’occhio due tenui anse a nord e a sud che tendono ad allungarla leggermente; nel complesso, si può stimare di dimensioni 25”×20” (poco superiore quindi alla stima effettuata con il 40 cm).

Anche in questo caso può essere utile utilizzare il filtro OIII, non tanto per enfatizzarne le caratteristiche (è troppo piccola per mostrare dettagli apprezzabili in telescopi di diametro inferiore a 40 cm), quanto per smorzare la luce di una fastidiosa stellina di 11 mag., situata 45 secondi a sud e quattro volte più brillante della planetaria.

OSSERVAZIONI *PIERO MAZZA MUSICISTA DI PROFESSIONE, È UN APPASSIONATO VISUALISTA, CON MIGLIAIA DI OSSERVAZIONI DEEP SKY CONSULTABILI DAL SITO WWW. GALASSIERE.IT. » A sinistra: Ancora un’immagine del Dss con la piccola nebulosa planetaria ESO 559-6 (al centro). Piccoli oggetti come questi possono talvolta sfuggire all’indagine visuale, specialmente se osservati a bassi ingrandimenti. A destra: la stella brillante al centro di NGC 2362 è la Tau CMa; l’elaborazione mette in evidenza gli aloni bluastri attorno alle stelle brillanti, caratteristici di astri appartenenti alle prime classi spettrali (Dss).
67

NAVIGHIAMO NEL SISTEMA SOLARE CON

LE VELE SPAZIALI

LA RADIAZIONE DEL SOLE PRODUCE UN PRESSIONE IN GRADO DI SPINGERE LE SONDE DOTATE DI SOLAR SAIL

Uno dei problemi dei viaggi spaziali è la propulsione. Per spedire carichi pesanti a grandi distanze, è necessario portare in orbita anche molto combustibile, che sottrae massa al “carico utile”. Ecco perché, nel corso dei decenni, sono stati proposti metodi di propulsione alternativi, più o meno fantascientifici, per tentare di risolvere questo problema. Uno di questi sistemi consiste nel dotare le sonde spaziali di vere e proprie vele, sospinte non dal vento atmosferico come quelle terrestri, ma dalla radiazione solare. Ma com’è possibile che la luce - priva di massasia in grado di spingere una vela? In effetti, la radiazione elettromagnetica è in grado di imprimere su una superficie una debolissima pressione, denominata “pressione di radiazione”. Tutte le sorgenti luminose che ci circondano, compresa la nostra lampada da lettura, esercitano sulla nostra pelle questa

pressione, anche se è impercettibile. La luce visibile si comporta sia da onda (elettromagnetica), sia da particella (fotone). Questo dualismo può sembrare contraddittorio, ma viene spiegato dalla meccanica quantistica ed è stato confermato da molti esperimenti. Trattiamo l’argomento dal punto di vista delle particelle, perché così è di più facile comprensione. I fotoni possiedono una quantità di moto piccolissima ma non nulla, che può essere trasferita a un’altra particella nel caso di un urto. Immaginiamo miliardi di fotoni che colpiscono gli atomi di cui è composta una vela solare nello spazio: in assenza di attrito, la somma di tutti questi microscopici urti darà luogo a una pressione in grado di mettere in moto la vela solare e la sonda agganciata ad essa.

CALCOLIAMO LA PRESSIONE DI RADIAZIONE

La quantità di moto (p) si calcola nel nostro caso come rapporto tra

l‘energia (E) associata alla radiazione e la velocità (c) della luce: p = E / c

La quantità di moto viene ceduta dalla radiazione sotto forma di un impulso (prodotto di una forza F per un intervallo di tempo Δt), quindi abbiamo: F • Δt = E / c

Poiché la pressione (P) è data dal rapporto tra la forza (F) e la superficie (S), si ottiene: P = F / S = E / (c • Δt S) = I / c

I è l’intensità della radiazione (il rapporto tra la potenza e la superficie) espresso in watt al metro quadrato. L’intensità della radiazione solare alla distanza della Terra dal Sole è pari a 1367 W/m2: ogni metro quadrato di superficie esposta perpendicolarmente alla luce solare al di fuori dell’atmosfera terrestre riceve quasi 1,4 kilowatt di potenza solare. Ricordando che c = 3 • 108 m/s, grazie alla formula ottenuta possiamo calcolare a quale pressione corrisponde questa intensità: P = 1367 W/m2 / 3 • 108 m/s = 4,5

68 OSSERVAZIONI DI MARCO MONTAGNA*

» In alto a sinistra: la “grande cometa” Hale-Bopp, osservata a occhio nudo per molti mesi nel 1997, mostrava due code: una azzurra di gas in direzione opposta al Sole e una gialla di polveri, che curvava verso la tangente all’orbita.

In alto a destra: il progetto della Nasa per una vela solare con il lato di 100 metri, composta da un materiale riflettente cento volte più sottile di un foglio di carta. Inquadra il QR per un video di Media-Inaf dedicato alla missione dimostrativa LightSail 2 del 2019, esclusivamente fotonica.

Sotto: Ikaros (Interplanetary kite-craft accelerated by radiation of the sun)

è una sonda spaziale giapponese lanciata nel maggio 2010, che ha usato una vela solare fotovoltaica con la diagonale di 20 metri, grazie alla quale è giunta fino a Venere con una propulsione ibrida (fotonica ed elettrica).

OSSERVAZIONI
69

• 10-6 Pa. Un valore che corrisponde a circa 10-11 atmosfere, del tutto ininfluente nella nostra esperienza quotidiana.

PROGETTIAMO

UNA VELA SPAZIALE

Immaginiamo ora di costruire una sonda mossa da una vela solare (solar sail). Se la massa complessiva del veicolo, inclusa quella della vela, è pari a 1000 kg, quale deve essere l’ampiezza della vela solare?

Se il veicolo è lontano dalla Terra, dove l’attrazione gravitazionale del nostro pianeta è trascurabile, la vela potrà spingere la sonda nel Sistema solare se la forza esercitata dalla pressione di radiazione è maggiore della forza gravitazionale esercitata dal Sole.

Quest’ultima, calcolata a una distanza d per un corpo di massa m, è pari a: F g = G • M s • m / d2

M s è la massa del Sole, pari a 1,99 • 1030 kg, e G = 6,67 • 10-11 N m2/kg2

La pressione di radiazione esercitata sulla vela, nel caso ideale in cui essa sia composta da materiale totalmente riflettente, è pari a P = 2 I / c

Il “raddoppio” è dovuto al fenomeno della riflessione, che azzera e inverte la quantità di moto della radiazione incidente. Quindi, la forza prodotta dalla radiazione è: F r = (2 I / c) • S

L’intensità della luce solare alla distanza d dal Sole è pari a: I = W s / (4 π d2). W s è la potenza emessa dal Sole, pari a 3,96 • 1026

W, mentre 4 π d2 è l’area del guscio sferico che circonda il Sole alla distanza d e che raccoglie tutta la potenza emessa dalla nostra stella.

Quindi:

F r = 2 W s • S / (4 π c • d2)

Se uguagliamo le due forze F g e F r,

otteniamo: 2 π c G • M s • m = W s • S

È interessante notare che il risultato è indipendente dalla distanza dal Sole: infatti, all’aumentare della distanza diminuisce la pressione di radiazione, ma diminuisce anche la forza di attrazione gravitazionale.

Inseriamo i dati e risolviamo il calcolo rispetto alla superficie della vela: otteniamo S = 0,63 km2

In definitiva, una vela solare quadrata con il lato maggiore di “soli” 794 metri potrebbe spingere nel vuoto una tonnellata di peso.

LO FANNO ANCHE

LE COMETE

C’è un fenomeno naturale ben visibile che dipende dalla pressione di radiazione solare: è la coda delle comete, che è sempre rivolta in direzione opposta al Sole.

La pressione di radiazione spazza via le particelle di polvere e gas cometarie come farebbe il vento sulla Terra. Calcoliamo (approssimativamente)

il raggio che devono avere i grani di polvere cometaria per risentire di questa pressione. Assumiamo che i grani abbiano la stessa densità delle rocce, 3000 kg/m3

Allora la loro massa è data dal prodotto della densità per il loro volume, che supponiamo sferico; quindi abbiamo m = 4/3 π d R3. La superficie su cui va calcolata la pressione di radiazione è un cerchio di raggio R, quindi S = π R2

Se inseriamo le espressioni di S e di m nella formula ottenuta uguagliando le forze Fg e Fr e risolviamo rispetto al raggio R del grano, otteniamo R = 1,9 • 10-7 m. Questo significa che la pressione di radiazione è in grado di spingere lontano dal Sole i grani con il raggio minore di 0,2 micrometri, mentre quelli di dimensioni maggiori saranno attirati dalla forza gravitazionale della nostra stella.

PER LA PROSSIMA PUNTATA

Immaginiamo di essere dei progettisti di vele solari e proviamo a fare un calcolo, rielaborando ancora la formula dell’equilibrio tra F g e F r L’obiettivo è di determinare quale deve essere, all’interno del Sistema solare, il valore di S / m, ovvero il rapporto tra la superficie della vela solare espressa in metri quadrati e la massa complessiva del veicolo spaziale espressa in chilogrammi.

LE NOSTRE SOLUZIONI

MARCO MONTAGNA *MARCO MONTAGNA LAUREATO IN ASTRONOMIA E INGEGNERIA INFORMATICA, SI OCCUPA DI WEB DESIGN E WEB MARKETING E GESTISCE IL BLOG “LA NOTTE STELLATA”. Ecco la soluzione del problema proposto nella puntata precedente (“Pesiamo il Sistema solare”) pubblicata su Cosmo n. 21 (novembre 2021). Bisogna utilizzare la formula semplificata per K (come nel caso del problema riguardante il pianeta Marte) e così otteniamo una massa pari a 1,89 ∙ 1027 kg.
70 OSSERVAZIONI DI

UNA MARATONA MESSIER

FOTOGRAFICA

Nel marzo 2020 abbiamo pubblicato su Cosmo n. 5 un articolo di Piero Mazza che proponeva una classica sfida primaverile per gli osservatori del cielo: la Maratona Messier. Quest’anno pubblichiamo il resoconto di una di queste sfide, resa più difficile dalla sua “versione fotografica”, realizzata nel 2021. Per rendere omaggio al lavoro svolto dagli autori e come incentivo a questo impegno per altri “maratoneti” del cielo, proprio nel mese dell’anno in cui questa impresa diventa praticabile (ndr).

TUTTO IN UNA NOTTE

All’Osservatorio astronomico di Campo Catino (Oacc), in provincia

di Frosinone, dopo un anno di stasi causata dalla pandemia, il direttore Mario Di Sora e i ricercatori Andrea Ercolino, Giovanni Isopi e Aldo Zapparata hanno voluto rilanciare le attività mettendosi alla prova con una Maratona Messier. Questa sfida, molto popolare tra gli astrofili, consiste nell’osservare, in una sola notte, tutti i 110 oggetti celesti del celebre Catalogo Messier di oggetti non stellari (vedi il box).

I membri del Catalogo Messier sono sparsi su un’area vastissima di cielo che comprende ben 35 costellazioni, dieci delle quali attraversate dall’eclittica, la traiettoria apparente percorsa dal Sole nel corso dell’anno. Scoperti (e in molti casi ri-scoperti) da Messier nel corso di numerosi

anni, questi oggetti risultano però distribuiti nel cielo in modo tale che in un breve periodo dell’anno, compreso tra la seconda decade di marzo e la prima decade di aprile, sono tutti visibili nell’arco di una sola notte.

Per tentare la sfida, i ricercatori dell’Oacc hanno scelto la notte compresa fra il 15 e il 16 marzo 2021, in prossimità del Novilunio, per evitare l’interferenza del chiarore lunare con le osservazioni.

SFIDA NELLA SFIDA: UNA MARATONA FOTOGRAFICA

Grazie al telescopio RitcheyChrétien da 80 cm dell’Oacc e di un rifrattore apocromatico di 25 cm di diametro, montati in

LA CELEBRE SFIDA NEL PROFONDO CIELO RACCOLTA DALL’OSSERVATORIO ASTRONOMICO DI CAMPO CATINO
72 ASTROFOTOGRAFIA DI ALDO ZAPPARATA*

parallelo e motorizzati, insieme a una camera CCD SBIG STXL 6303e raffreddata con ruota portafiltri, i ricercatori hanno effettuato, dalle 18.30 fino alle 5.30 del giorno successivo, una survey dei 110 oggetti Messier, realizzando una “maratona fotografica”.

In effetti, la Maratona Messier è in genere un’attività solo visuale, dato che per poter riprendere tutti gli oggetti del catalogo, nell’arco di 11-12 ore di durata della notte nel periodo equinoziale, si ha un tempo massimo di 6 minuti da dedicare a ogni singolo oggetto.

Si tratta di un tempo davvero esiguo dal punto di vista della ripresa fotografica, specialmente per le galassie più deboli. Tuttavia, la maggior parte degli oggetti risulta ben visibile anche con un solo minuto di posa per canale Lrgb.

La pianificazione è fondamentale ed è necessario stabilire con congruo anticipo l’”itinerario celeste” da seguire durante la nottata, per riprendere dapprima gli oggetti destinati a tramontare per primi e lasciando per ultimi quelli che sorgono in vista del crepuscolo mattutino.

La maratona è partita intorno alle 18.30, con il cielo non ancora completamente buio, dando la precedenza agli oggetti tipici del periodo autunnale, situati a ovest e prossimi al tramonto, come la Galassia di Andromeda (M31) insieme alle sue galassie satelliti M32 e M110, seguite dalla Galassia del Triangolo (M33). Anche a maratona appena iniziata non sono mancati gli imprevisti: l’ammasso aperto M52, in Cassiopea, è stato prematuramente nascosto dalle fronde degli alberi.

Per fortuna, è stato recuperato all’alba.

In prima serata, l’attenzione si è spostata verso il cielo invernale, cominciando dalla costellazione del Toro e riprendendo l’ammasso delle Pleiadi (M45) che faticava a entrare nel campo del telescopio per le sue dimensioni, per proseguire con la Nebulosa Granchio (M1). Poco più a sud, la Nebulosa di Orione (M42), uno degli oggetti più appariscenti di tutto il cielo, con una bellezza da togliere il fiato.

In tarda serata è stata la volta del cielo primaverile e delle costellazioni circumpolari. Si è partiti dal tripletto di galassie nel Leone (M65-M66), per poi spostarsi sulle due bellissime galassie nell’Orsa Maggiore, quella

IL CATALOGO MESSIER

di Bode (M81) e la Sigaro (M82). Un’incursione tra i Cani da Caccia e la Chioma di Berenice ha arricchito il bottino con la galassia Vortice (M51), la Girasole (M63), e l’Occhio Nero (M64).

Passata la mezzanotte, è arrivato il momento di riprendere le galassie dell’Ammasso della Vergine, che prende il nome dalla costellazione in cui esso è proiettato. Il suo oggetto dominante è la galassia attiva Virgo A (M87), una ellittica gigante caratterizzata da un getto relativistico emesso dal buco nero super-massiccio situato al suo centro. Dopo aver ripreso la Galassia Sombrero (M104) ci siamo addentrati nel cielo estivo. Qui sono stati riprese la Nebulosa Anello (M57) nella Lira, la Nebulosa

Il Catalogo Messier, il primo inventario astronomico di oggetti non stellari, fu compilato da Charles Messier, astronomo francese e cercatore di comete del Settecento. Messier osservava il cielo da Parigi - all’epoca esente dall’inquinamento luminoso - con un rifrattore da 10 centimetri di diametro e si imbatteva spesso in oggetti che potevano essere confusi con le comete, perché non erano puntiformi e brillanti come le stelle. A differenza di queste, però, gli oggetti che catalogava erano fissi in cielo e, di conseguenza, non potevano essere comete in orbita attorno al Sole.

Per far sì che nessun altro astronomo potesse confondere la loro natura, Messier decise di elencarli nel catalogo che oggi porta il suo nome. Quindi, il catalogo non è stato compilato per l’interesse verso questi oggetti, ma proprio per indicarne il disinteresse!

Anche se è ormai superato dal punto di vista scientifico, il Catalogo Messier si rileva un ottimo banco di prova per gli astrofili nel riuscire a scorgere e osservare i principali “oggetti di profondo cielo” (deep-sky), ovvero oggetti di natura non stellare non appartenenti al Sistema solare: nebulose, ammassi stellari, galassie

Il Catalogo, che raccoglie i 110 più luminosi oggetti del profondo cielo (indicati con le sigle da M1 a M110), visibili anche in piccoli telescopi, può considerarsi la prima guida galattica per studiosi e appassionati del cielo.

73 ASTROFOTOGRAFIA

ASTROFOTOGRAFIA

Manubrio (M27) nella Volpetta e l’ammasso globulare M13 in Ercole, uno dei più luminosi di tutto il cielo. Nelle ore prima dell’alba i telescopi sono stati orientati in direzione sudest per riprendere gli oggetti posti nei pressi del centro galattico. Questa zona di cielo è particolarmente ricca di ammassi stellari aperti e globulari sparsi tra Ofiuco, Scorpione e Serpente.

Si possono osservare anche numerose nebulose appariscenti come la Nebulosa Aquila (M16) nel Serpente, famosa per i “Pilastri della Creazione” presenti al suo interno. Sono seguite poi le Nebulose Omega (M17), la Trifida (M20) e la Laguna (M8) nel Sagittario, anch’esse tra le più iconiche dell’intera volta celeste. La maratona si è conclusa riprendendo gli ultimi oggetti del catalogo nelle costellazioni dell’Acquario e del Capricorno e, proprio in quest’ultima, purtroppo, l’ammasso globulare Medusa (M30) è sorto già celato dai chiarori dell’alba. Questo ha impedito allo staff di riprenderlo; perciò, alla fine, sono stati ripresi “solo” 109 oggetti su 110. Ciò nonostante, per finire il lavoro, l’ammasso è stato integrato qualche settimana più tardi, portando al compimento del Catalogo Messier e alla realizzazione di un poster 70x100 cm con tutti gli oggetti ripresi nel corso dell’impresa.

*ALDO ZAPPARATA È UNO STUDENTE DI FISICA ALL’UNIVERSITÀ “LA SAPIENZA” DI ROMA. INSIEME AD ANDREA ERCOLINO E GIOVANNI ISOPI ESERCITA ALL’OSSERVATORIO DI CAMPO CATINO ATTIVITÀ DI DIVULGAZIONE E RICERCA. » Il poster della “Maratona Messier 2021”, realizzato dall’Osservatorio di Campo Catino.
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75 ASTROFOTOGRAFIA
76 A CURA DI PIERO STROPPA CARICATE LE VOSTRE FOTO ASTRONOMICHE SU BFCSPACE.COM LA REDAZIONE SCEGLIERÀ LE MIGLIORI PER “LE VOSTRE STELLE” SONO TAGGATE DA UNA STELLA LE FOTO CHE HANNO VINTO LE NOSTRE SFIDE SOCIAL INQUADRA IL QR PER VISITARE LA GALLERY DELLE FOTO STELLE LE VOSTRE RESTO DI SUPERNOVA NELLA VELA Ripreso da Perth (Australia) il 20/12/2021 Telescopio Sharpstar 150 mm f/2,8 su montatura Sky-Watcher HEQ5 Camera ZWO 2600 MC con filtro Idas Nbz e guida PHD2 con ZWO 290 MC Pose 210x120 s elaborate con PixInsight Autore: Davide Mancini, Perth (Australia).
LE VOSTRE STELLE 77 BARNARD’S LOOP E IC 343 IN ORIONE Ripresi da Santa Cesarea Terme (LE) il 02/01/2022 Fotocamera reflex EOS 600D full spectrum con obiettivo Samyang 135 mm su montatura Sky-Watcher HEQ5 Filtri Optlong L-eNhance e guida Sky-Watcher Synguider Pose 27 da 7 min elaborate con Dss, PixInsight LE1.0, PS CC Autore: Fernando De Ronzo (Gruppo Astrofili del Salento), San Cassiano (LE).

NEBULOSA PLANETARIA M27 NELLA VOLPETTA

Ripresa da Pioltello (MI) il 09/07/2021

Telescopio Vixen Vmc 260L con riduttore 0,62x su montatura Sky-Watcher AZ-EQ6 GT

Camere QHY 168C e QHY 163M con filtri Optolong L-Pro & L-Extreme

Pose; L-Pro 12x360 s, L-Extreme 16x300 s elaborate con PixInsight e PS

Autore: Sebastiano Monaco, Pioltello (MI).

COMETA C/2022 A1 (SARNECZKY)

Ripresa da Postazione Astronomica Sormano2, Bellagio Via Lattea L06, il 03/01/2022

Telescopio Schmidt-Cassegrain 14” f/6,7 su montatura GM2000 QCI

Camera Moravian G2-1600 con guida ED 80 f/6,25 più Barlow 3x, Lodestar e PHD Guiding2

N. 40 pose da 50 s, elaborate con Maxim e Photoshop

Immagine citata nella circolare MPEC 2022-A59 di conferma della prima cometa del 2022

Autore: Graziano Ventre, Bellagio (CO).

LE VOSTRE STELLE 78
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LE VOSTRE STELLE 80 METEORA GEMINIDE SULLA COSTELLAZIONE DELL’UNICORNO Ripresa da Arezzo il 13/12/2021 (23h 33m) Fotocamera Canon 6D con obiettivo 28 mm f/4 su cavalletto Posa 15 s a 1600 ISO, elaborata con Photoshop Cs 5 Autore: Aldo Luttini, Arezzo.

FLAMING STAR NEBULA IN AURIGA

Camera

Guida:

Autore:

LE VOSTRE STELLE 81 Ripresa da Catania il 30/11/2021 Telescopio Sharpstar Edph II 61/274 mm f/4,5 su montatura Celestron Avx
Qhy 294 MM, Gain 1600, Offset 0; t -15°C Filtri: Optolong H-alfa 7 nm, OIII 6,5 nm, SII 6,5 nm
QHY Miniguide 30/130 mm più QHY 5P II C Pose: 48x600 s in Hubble Palette elaborate con PixInsight
Aldo Rocco Vitale (Gruppo Astrofili Catanesi).

Autore: Alessandra Barucchieri, Scandicci (FI).

Ripreso da Goðafoss (Islanda) il 07/10/2021 Aurora boreale diffusa e un arcobaleno dovuto all’acqua nebulizzata della cascata che incontra la luce dei fari di un camion che scende lungo la strada che rasenta la cascata. NIGHT RAINBOW
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NEBULOSE E AMMASSI NELL’AQUILA

Al centro la nebulosa a emissione SH2-72, la nebulosa planetaria SH2-71 (più piccola, a destra) e l’ammasso globulare NGC 6749 (in alto), ripresi da San Romualdo – Ravenna il 01/10/2021 Telescopio TecnoSky AG70 su montatura Avalon M1

Camera QSI 583 WS con filtri Astrodon RGB GenII E-series e narrowband 3 nm Guida con OAG Celestron, QHY 174M, Phd Guiding2

Pose: H-alfa 30x15 min, R 30x5 min, G 30x5 min, B 30x5 min, elaborate con MaximDL5, Astroart8, Paint Shop Pro2021, plug-in Topaz, Nik

Autore: Cristina Cellini, San Romualdo – Ravenna.

LE VOSTRE STELLE 84

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DISTANZA DI SICUREZZA DALLE SUPERNOVAE

D.

Sappiamo che stelle di grande massa anche “vicine” potrebbero esplodere e dare origine a una supernova o addirittura a una ipernova. Tra queste, c’è Betelgeuse nella costellazione di Orione, distante circa 600 anni luce.

Il suo collasso darà origine a una supernova o a una ipernova? Produrrà un’esplosione di raggi gamma che potrebbe essere pericolosa per noi? Secondo alcune fonti, dovrebbe filare tutto liscio, perché la “distanza di sicurezza” è stimata a circa 150 anni luce, ma secondo altre fonti, anche da 1000 anni luce potrebbero prodursi seri danni, fino a estinzioni di massa, a causa dei flussi di radiazioni e di particelle energetiche che colpirebbero la Terra. In definitiva, quale distanza potremmo ritenere sicura?

E oltre a Betelgeuse, dobbiamo temere altre stelle?

R.

Il collasso di Betelgeuse dovrebbe dare origine a una supernova e non a un’ipernova, che invece potrebbe derivare dall’esplosione della molto più massiccia Eta Carinae, con un rilascio di energia almeno cento volte maggiore rispetto a una supernova “comune”. Ma, fortunatamente, Eta Carinae dista 7500 anni luce…

Se uno dei Grb (Gamma Ray Burst, “esplosioni di raggi gamma”) osservati in galassie remote dovesse verificarsi a distanza di migliaia di anni luce, determinerebbe la fine della vita sulla Terra. Un fascio intenso di raggi gamma favorirebbe la combustione dell’azoto nell’alta atmosfera, impoverendo così l’ozonosfera, con una serie di conseguenze nefaste per la vita. È possibile che l’estinzione di massa avvenuta 450 milioni di anni fa nell’Ordoviciano-Siluriano sia stata provocata proprio da uno di questi fenomeni.

La distanza di sicurezza di 150 anni luce per le supernovae è stata riveduta e oggi è posta intorno ai 300-400 anni luce. L’esplosione di Betelgeuse potrebbe produrre dei fasci collimati di Grb in direzioni opposte, che diventerebbero però pericolosi solo se uno di essi fosse diretto proprio verso il nostro pianeta.

Le esplosioni di supernovae storiche avvenute nella nostra Galassia ci inducono all’ottimismo: nessuna di esse ha causato problemi per la vita sulla Terra, anche se erano tutte più distanti di Betelgeuse. Oltre a quest’ultima, come supernova “imminente” dobbiamo temere stelle come Antares o Rho Cassiopeiae, nonché la binaria HR 8210, situata nella costellazione di Pegaso a “soli” 150 anni luce.

A CURA DI PIERO STROPPA SCRIVI A BFCSPACE.COM/INVIA-LA-TUA-DOMANDA DI
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SALVATORE PELLEGRINO

TERRAPIATTISTI E COMPLOTTISTI

A proposito dell’Editoriale del numero di gennaio (“Terrapiattisti e complottisti sono tra noi”): è vero, ci sono fra noi questi personaggi, e aggiungiamo i negazionisti degli allunaggi e quelli che non credono all’esistenza del Covid. Poi ci sono quelli che osservano quello che succede intorno, si fanno delle domande, usano il cervello, ma non rientrano nelle categorie di cui sopra. Quelli che pensano che la medicina non sia una scienza esatta, che le persone non siano tutte uguali, che le cure debbano essere personalizzate e che ognuno abbia il diritto di decidere sul proprio corpo.

La scienza non è “neutra”, come una fotografia non è “obiettiva”: dipende da cosa si inquadra, quando lo si inquadra e come. La scienza non sempre produce benefici, dipende da chi la usa e come la usa: qualche volta, la storia insegna, ha prodotto anche danni. Parlare della scienza come di una religione, con dogmi e scomuniche per chi ha dubbi o rappresenta opinioni diverse, è contrario al metodo scientifico, non fa progredire la ricerca e mortifica la libertà di pensiero.

Ora che sono rassicurato che su Cosmo non c’è spazio per terrapiattisti, mi aspetto anche che la rivista non si adegui al conformismo acritico dominante, che sta favorendo la svolta autoritaria del governo del nostro Paese.

È un piacere ricevere lettere come la sua: il contatto con i lettori è fondamentale, come dimostra questa rubrica, che appare con buona cadenza sulla rivista, in cui pubblichiamo le lettere di interesse generale, a cui abbiamo già dato risposta via e-mail o sul nostro sito (alla pagina bfcspace.com/domanda_dei_lettori/).

Per quanto riguarda l’Editoriale di gennaio, lo stupore per gli esiti della ricerca del Censis è stato tale da impadronirsi di tutto lo spazio disponibile, senza poter aggiungere le doverose distinzioni e i dubbi che chi mastica scienza porta sempre con sé. Cosmo accoglie anche le teorie fuori dal mainstreaming, purché provengano da persone competenti nella materia di cui si tratta, o da studi e ricerche sottoposte al vaglio della comunità scientifica. E lo ha fatto anche a proposito della attuale pandemia, presentando le ipotesi “spaziali” al riguardo, certamente esotiche ma degne di rispetto (vedi Cosmo n. 16). Però, non possiamo e non dobbiamo prestare il fianco a interventi che non siano suffragati da dati scientifici. Cosa che invece purtroppo avviene costantemente su altri media, generando insicurezza e confusione.

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R.
UAI INFORMA A CURA DI AZZURRA GIORDANI* IN PRIMA LINEA NELLA DIFFUSIONE DELLA CULTURA SCIENTIFICA
88 SOCIETÀ ASTRONOMICA FIORENTINA

In seguito alla pandemia, non hanno più una sede dove svolgere le attività divulgative e dove allestire la ricca strumentazione, ma i soci della Società Astronomica Fiorentina (Saf) non si perdono d’animo. Armati di passione per gli astri, continuano a portare avanti la missione di avvicinare il pubblico di adulti e bambini alla conoscenza e all’osservazione del cielo.

Le attività divulgative sono state trasferite su piattaforme di web conference a uso gratuito e nei locali di enti con cui la Saf (Delegazione territoriale dell’Unione Astrofili Italiani della provincia di Firenze) collabora da tempo. Nel 2021, nonostante le difficoltà imposte dalla pandemia, la Saf è riuscita a organizzare ben 40 eventi divulgativi e anche nel 2022 ha in programma per i curiosi e per gli appassionati di astronomia tante iniziative di formazione scientifica, come ci racconta il presidente dell’associazione, Leonardo Malentacchi

QUAL È LA VOSTRA

OFFERTA DIVULGATIVA PER IL PUBBLICO?

Offriamo al pubblico gratuitamente e con cadenza mensile incontri online dedicati alla scoperta delle meraviglie del cielo, con conferenze divulgative e sessioni osservative. Ogni due mesi organizziamo inoltre conferenze - sempre in modalità virtualesull’archeoastronomia, disciplina molto affascinante.

Un appuntamento online del mese di marzo sarà dedicato alla straordinaria Margherita Hack, in occasione del centenario della sua nascita. Emiliano Ricci racconterà la vita della famosa scienziata fiorentina e l’incontro

indimenticabile con i nostri soci, durante una conferenza pubblica che tenne per la nostra associazione. A marzo partirà anche il corso base di astronomia aperto a tutti e articolato in lezioni teoriche e attività osservative. Non mancheranno le uscite per scrutare il cielo con i nostri telescopi, in tre luoghi privilegiati per l’osservazione astronomica: la fonte dei seppi a Monte Morello, il giardino Biondi a Sesto Fiorentino e la ciclabile di Travalle a Calenzano.

A queste attività si aggiungono iniziative in collaborazione con altri enti, come le serate osservative con la BiblioteCaNova Isolotto (FI) e - assoluta novità di quest’anno - la visita al sito archeoastronomico del Masso di Montalone, recentemente individuato da un nostro socio. Nell’arco dell’anno organizzeremo anche visite a musei e laboratori scientifici, attività osservative con i nostri telescopi portatili in occasione di fenomeni astronomici particolari, come la “pioggia” delle Perseidi, e tutti gli eventi che saranno richiesti da enti pubblici e privati.

CHE COSA OFFRITE ALLE SCOLARESCHE? Quando il nostro planetario fisso era in funzione, offrivamo agli studenti della scuola che ci ospitava quattro lezioni multimediali di astronomia al mese. In questo momento mettiamo a disposizione del pubblico scolastico la nostra esperienza e la nostra attrezzatura per fare osservazioni del cielo.

*AZZURRA GIORDANI GIORNALISTA, È MEMBRO DELLO STAFF DI COMUNICAZIONE DELL’UNIONE ASTROFILI ITALIANI.

89 UAI INFORMA

Stiamo inoltre collaborando con l’associazione Casa Museo Schlatter nell’ambito del progetto “Il cacciatore di draghi” rivolto agli studenti dell’ultimo anno della scuola primaria del Q2 di Firenze.

Il nostro compito consiste nell’illustrare ai ragazzi la mitologia legata alla costellazione del Drago e nel fare osservare questa costellazione, per avvicinarli all’affascinante mondo dell’astronomia. L’attività didattica, insieme all’attività divulgativa, è quella che maggiormente ci caratterizza, da quando è nata l’Associazione, e nella quale investiamo molte energie.

QUANDO INIZIA L’AVVENTURA DELLA SOCIETÀ ASTRONOMICA FIORENTINA?

Sono passati più di 40 anni da quando da ragazzo partecipavo agli incontri serali del “Collegio alla Querce”, dove incontrai per la prima volta il famoso astronomo Franco Pacini, che cercava di avvicinare la gioventù fiorentina all’astronomia.

La voglia di creare un’associazione tutta nostra, di incontrarsi e di condividere gli stessi interessi era così forte che nel 1980 più gruppi di ragazzi decisero di fondare la prima Saf (Sezione Astrofili Fiorentini).

Le idee erano tante, ma il sogno impossibile di ogni associazione di astrofili di avere un proprio osservatorio astronomico improvvisamente

si concretizzò nel 1982, quando prendemmo in gestione un osservatorio da ristrutturare presso un’azienda agricola privata.

Per seguire questa nuova avventura, il nome dell’associazione fu cambiato in GrAOP (Gruppo Astrofili dell’Osservatorio di Piazzano).

Grazie al successo delle attività, quando l’osservatorio divenne pienamente operativo nel 1988, l’associazione si costituì ufficialmente da un notaio.

Ma quando si arriva molto in alto rapidamente e si tocca il cielo, ci si brucia le ali come Icaro. Forse la difficile gestione di un osservatorio pubblico su un luogo privato, i vari disguidi e le opinioni diverse portarono l’associazione a chiudere la collaborazione e a cambiare rotta.

Nel 1994 l’associazione tornò alle origini, all’acronimo Saf, inteso come Società Astronomica Fiorentina.

La missione da allora è sempre rimasta la stessa: l’associazione non ha scopo di lucro e persegue finalità di utilità culturale e sociale, come la ricerca, la divulgazione e la diffusione della cultura scientifica e astronomica, anche in questi tempi duri.

QUALI EFFETTI HA AVUTO LA PANDEMIA SULLE VOSTRE ATTIVITÀ?

Prima avevamo sede presso una scuola di Firenze. Ora questa scuola non è in grado di ospitarci, a causa della maggiore richiesta di aule per lo

svolgimento in sicurezza delle lezioni scolastiche. Nonostante gli appelli rivolti all’amministrazione comunale e, in particolare, all’assessorato alla cultura, non siamo riusciti a trovare un’altra struttura dove svolgere le nostre attività. Dovremmo prendere in affitto a pagamento sale, anche comunali, ma da associazione senza scopo di lucro non ce lo possiamo permettere. Nella sede avevamo un magazzino con tutto il materiale che occorre per organizzare manifestazioni e serate osservative, un ambiente destinato allo svolgimento di conferenze e corsi di astronomia, una biblioteca monotematica con più di 800 volumi e 3000 riviste collegata al Sistema Documentario integrato dell’Area Fiorentina (Sdiaf) e un planetario fisso da circa 25 posti per la simulazione del cielo. Chiusa la sede, tutto il materiale è stato distribuito fra i vari soci. Un grande ringraziamento va al vicepresidente Claudio Filipponi, che ha messo a disposizione una stanza dove trova collocazione gran parte del nostro materiale. Molte delle nostre attività in presenza sono state convertite in attività online su piattaforme a uso gratuito. Durante le attività all’aperto, ci armiamo di vetrini igienizzati per far osservare il cielo all’oculare del telescopio in sicurezza.

QUALI SONO I VOSTRI PROGETTI PER IL FUTURO? Il nostro pensiero principale è quello di riottenere una sede, ma il progetto più ambito è quello di avvicinare molti più volontari della cultura alla nostra associazione per poter creare un’offerta culturale più ampia e aperta a un numero maggiore di cittadini. Per maggiori informazioni, vedi il sito www.astrosaf.it

UAI A CURA DI AZZURRA GIORDANI » Conferenza sulle onde gravitazionali a cura di Ruggero Stanga svolta nel 2016 presso la Scuola “Agnoletti” a Sesto Fiorentino, ex sede della Saf.
INFORMA
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RAFFO ART COMMUNICATIONROMA

EVENTI

MARZO

CIELO

VERONA

LUNA IN PIAZZA BRA

13 MARZO, ORE 20:00

Il Circolo Astrofili Veronesi offre al pubblico di curiosi e appassionati di astronomia l’osservazione guidata al telescopio del nostro meraviglioso satellite naturale bit.ly/3nBfEU1

LOCALITÀ LIGNAN, NUS (AO)

SPETTACOLI AL PLANETARIO SABATO, ORE 16:00 E 18:00

Il Planetario di Lignan offre al pubblico di adulti e bambini spettacoli multimediali dedicati alla scoperta delle meraviglie del cielo bit.ly/3rpHX97

SAVIGNANO SUL RUBICONE (FC)

LA RELATIVITÀ

18 MARZO, ORE 21:00

Conferenza divulgativa organizzata dall’Associazione

Astronomica del Rubicone, dedicata al matematico Gregorio Ricci Curbastro, presso il Palazzo Comunale a cura di Marco Guiduzzi bit.ly/3GDraWp

SANTA MARIA DI SALA (VE)

MOSTRA DI ASTRONOMIA

E ASTRONAUTICA

DAL 13 AL 20 MARZO 23ª edizione dell’annuale mostra di Astronomia e Astronautica a Villa Farsetti, a cura del Gruppo Astrofili Salese bit.ly/3GGjdQi

ROVERETO (TN)

LE STELLE DEL SABATO SERA

12 MARZO, ORE 19:00

Serata astronomica all’osservatorio di Monte Zugna, dedicata all’osservazione al telescopio del cielo stellato, a oltre 1600 metri slm bit.ly/33JTxE6

SOTTO IL
DI
Segnalate eventi, mostre, star party a stroppa@bfcmedia.com 92 EVENTI A CURA DI AZZURRA GIORDANI ATTENZIONE: SI CONSIGLIA DI VERIFICARE LA CONFERMA DEGLI EVENTI SUI SITI INDICATI
DI RICCI CURBASTRO

FIRENZE

L’UNIVERSO IN UNA STANZA

SABATO 12 MARZO, ORE 18:30

Daniele Dominici, professore ordinario di fisica teorica all’Università di Firenze, presenta il suo libro Lo spirito di Arcetri, presso la Casa del Popolo Le Panche – Il Campino, via Caccini 13b, tel. 055 4220060

SOVICILLE (SI)

VISITE GUIDATE

11 E 25 MARZO, ORE 21:30

All’Osservatorio astronomico di Montarrenti si osserva il cielo notturno sotto la guida degli esperti dell’Unione Astrofili Senesi, con la ricca strumentazione della struttura bit.ly/3rzD51

FIRENZE

tempo

Dante

EVENTI 93
DALL’INFERNO ALL’EMPIREO. IL MONDO DI DANTE TRA SCIENZA E POESIA FINO AL 6 MARZO La mostra, organizzata a Palazzo Pitti dal Museo Galileo con la collaborazione delle Gallerie degli Uffizi, inquadra le competenze scientifiche di
nella cultura del suo
bit.ly/3qAheaQ
ALL’OSSERVATORIO ASTRONOMICO
ROCCA DI PAPA (RM) IL CIELO DEL MESE: DAGLI ANTICHI MITI AI BUCHI NERI 11 MARZO, ORE 20:45 Evento per tutti a cura dell’Associazione Tuscolana di Astronomia, con spettacolo nel Planetario, visita guidata del Parco Astronomico “Livio Gratton” e osservazione del cielo a occhio nudo e al telescopio bit.ly/3qCpxmz NAPOLI (NA) MOSTRE E SPETTACOLI A CITTÀ DELLA SCIENZA DA MARTEDÌ A DOMENICA Spettacoli Robot explorer e Dalla Terra all’Universo al Planetario, laboratori nei weekend e visita alle sale espositive, compresa la mostra Lo Spazio nel tempo, le mappe celesti dalla carta al bit bit.ly/3IcDs8P

UN OCCHIO NELLO SPAZIO

CARLO DI LEO E ANTONIO LO CAMPO

ROMA, IBN EDITORE, 2021

PAGINE 306 CON 280 FIGURE E 20 TAVOLE

FORMATO 16X23,5 CM

PREZZO € 25,00

Progettato negli anni 70, fu lanciato dopo tanti ritardi solo nel 1990, quando non esisteva ancora Internet, e le fotocamere avevano la pellicola; deluse subito le aspettative, perché un difetto ottico ne limitava fortemente le capacità osservative. Stiamo parlando della straordinaria avventura di Hubble, il telescopio che ha rivoluzionato la nostra visione del cosmo, come recita il sottotitolo di questa operazione editoriale di Carlo di Leo e Antonio Lo Campo, già autori di numerosi volumi dedicati alla storia delle imprese spaziali. Con la supervisione dell’astronomo Walter Ferreri, Un occhio nello spazio ci svela come uno strumento “partito male” sia riuscito a compiere un’impresa che da più di trent’anni non smette di accumulare scoperte in tutti i campi dell’astronomia, incontrando anche l’interesse del grande pubblico, grazie alle sue favolose immagini dei più disparati oggetti celesti. Grazie ai dati raccolti da Hubble, astronomi di tutto il mondo hanno pubblicato (finora) 17mila lavori, rendendo questo

telescopio uno degli strumenti scientifici più produttivi della storia. E non finisce qui, perché la Nasa vorrebbe mantenerlo in attività fino al 2030. Gli autori ricostruiscono la lunga gestazione di Hubble, descrivono in dettaglio la strumentazione di questo eccezionale “occhio nel cielo” e le missioni di servizio che fino al 2009 hanno provveduto al suo aggiornamento con complesse e rischiose operazioni nello spazio. Grazie a tutto questo impegno, Hubble ha realizzato circa 1,4 milioni di osservazioni astronomiche, dagli oggetti del Sistema solare fino alle galassie più lontane e antiche dell’Universo, accumulando oltre 150 terabyte di dati. L’ultimo capitolo del libro è dedicato al nuovo telescopio spaziale James Webb, lanciato il giorno di Natale del 2021. Non sarà propriamente un “successore” di Hubble, perché osserverà il cielo solo nell’infrarosso. Ma le nuove scoperte non mancheranno, soprattutto quelle che non ci aspettiamo.

LA FUSIONE NUCLEARE CONTROLLATA

CARLO DI LEO E GIORGIO LUCARELLI

MLANO, EDITORIALE DELFINO, 2021

PAGINE 800 CON FIGURE E SCHEDE A COLORI

FORMATO 17 X 25 CM

PREZZO € 29,00

La fusione nucleare controllata è uno dei progetti in cui si fondono la scienza fondamentale e la tecnologia più avanzata, per ottenere energia, con la realizzazione degli appositi reattori nucleari. E si inserisce nei grandi dibattiti dell’epoca attuale, sollecitati dalle problematiche che ci sottopone il Pianeta Terra, tra esaurimento delle risorse e crisi ambientali. Siamo così costretti a cercare rapidamente dei sistemi efficaci per ottenere energia “pulita”, sostenibile e sicura. Ma la fusione nucleare coinvolge altri settori meno terrestri, ricordando innanzitutto che la sua pretesa è di produrre energia con lo stesso meccanismo utilizzato dal Sole, ma in modo “controllato”: basta questo per dare la misura delle difficoltà che comporta il progetto. Un corposo libro scritto da Carlo Di Leo, ingegnere e divulgatore, con la collaborazione di Giorgio Lucarelli (decano degli ingegneri a Roma, deceduto un anno fa, poco prima dell’uscita del volume), fa il punto sui principi scientifici della fusione nucleare e sulle problematiche

della sua realizzazione, nella convinzione, come afferma Di Leo, che “la fusione nucleare sia il metodo migliore per portarci fuori dalla crisi energetica”. Ma non si cerca solo “il Sole sulla Terra” per le nostre centrali: uno dei capitoli è dedicato alla propulsione spaziale nucleare. I primi motori a fusione furono sperimentati dalla Nasa già negli anni Settanta, con il progetto Nerva, per garantire viaggi più brevi in vista delle missioni umane su Marte. Un programma che fu fermato nel 1974 per ragioni politiche e per lo stop ai programmi di esplorazione umana oltre l’orbita terrestre. E già prima, nel 1958, il progetto Orion prevedeva lo sviluppo di un’astronave interstellare che doveva sfruttare cariche nucleari a fissione. Guidato dal fisico Freeman Dyson, il progetto fu bloccato nel 1965. Ma gli studi non si fermano ed è probabile che in futuro, partendo dalla Luna come base verso Marte, i razzi a propulsione nucleare diventino una realtà.

Antonio Lo Campo

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IL NUMERO 52 È IN EDICOLA A 4,90€ Questo mese Forbes ti regala l’allegato delle 100 Eccellenze italiane del 2022.

SPACE MARKETS

EUROPEAN SPACEPORTS

a satellite assembly, integration, and testing facility. There is a huge business park surrounding the spaceport and the goal is to create a cluster of space companies.

According to Ross Hulbert, Business Development Manager, “demand from SMEs, corporates, and academic institutions to have a presence at Cornwall, has been considerable and has prompted early discussions regarding the next phase of on-site development.”

A new euro 1 billion fund called “Cassini” was announced at the last European Space Conference, this fund will help to boost start-ups and space innovation, including supporting the plans for a more comprehensive strategy on developing European space launch vehicles.

While some of that funding will probably go to the German, British and Spanish companies that are leading the new micro-launchers industry, Europe also needs to address the importance of new launching sites. Currently, the only active European spaceport is in Kourou, where ESA invested euro 2 billion in developing the ground facilities and building special infrastructure for the Ariane, Soyuz, and Vega launchers. While Kourou’s spaceport is in an ideal location for a wide range of missions, it is also about 6,000 km away from continental Europe. This and other geopolitical

factors contributed to the recent development of new spaceports throughout Europe. Spaceport Cornwall is one of those examples. Using the current infrastructure of Cornwall Airport Newquay and funding from the Cornwall Council (£12 million) and the UK Space Agency (£7.35 million). This spaceport owned by the Cornwall Council is getting ready for the first European horizontal launch, likely to happen on the second half of 2022, thanks to the exclusive agreement they have with Virgin Orbit for all their European launches. In addition to the agreement with Virgin Orbit, spaceport Cornwall is also working closely with D-Orbit to establish

Meanwhile, in the most northerly of the Shetland Islands, another spaceport is working to position itself as the main launching path facility for access to high inclination LEO in Europe. Companies like HyImpulse, ABL, and Skyrora are already planning to launch from SaxaVord Spaceport starting in 2022. Besides being located on a remote island with easy access, SaxaVord offers good vertical launch conditions and direct access to a number of high inclination LEO. It is also a fully privately owned and operated spaceport that received a major investment from Danish billionaire Anders Holch.

“Our primary focus is on offering orbital and sub-orbital launch activities. Based on this, we aim to expand our offerings along the space sector value chain. Ultimately, we want the launcher operators and SaxaVord to jointly offer endto-end facilities and services for satellite operators. This includes ground station facilities for data, communication from and with satellites, and facilities and services for satellite navigation”, concludes Robin Huber, Business Development Manager at SaxaVord.

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ZERO INQUINAMENTO LUMINOSO

L’illuminazione posizionata a 40 cm da terra garantisce un inquinamento luminoso pari a 0 e costi di manutenzione molto + contenuti rispetto all’illuminazione tradizionale, grazie all’eliminazione dei lampioni.

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