Space tensions
DI WALTER RIVALa guerra fra Russia e Ucraina, oltre a innumerevoli distruzioni, sofferenze e perdite di vite umane, sta provocando anche molte tensioni nell’ambito della collaborazione spaziale e scientifica internazionale. Abbiamo scelto di non parlare direttamente di questo tema all’interno degli articoli di questo numero (con l’eccezione di un paio di Space news) per una ragione molto semplice: i tempi di una rivista cartacea, fra scrittura, stampa e distribuzione, non sono adatti a descrivere un fenomeno in evoluzione così rapida. Nel mondo di oggi, in cui la comunicazione è dominata da internet e dai social, sarebbero diventati inevitabilmente “vecchi” i contenuti scritti circa un mese prima. Abbiamo così pensato di affidare al nostro sito (bfcspace.com) l’aggiornamento delle ricadute, in parte inevitabili, sulle imprese scientifiche e sulle missioni spaziali di questa drammatica situazione. Per esempio, il rischio di rimandare il lancio di Exomars 2022 e del suo rover Rosalind Franklin verso Marte di due o addirittura di quattro anni, vista l’importante compartecipazione della Russia in questa missione. D’altra parte, non sarebbe nemmeno giusto che questa guerra offuscasse gli avvenimenti che comunque continuano ad accadere. Fra i quali non mancano le buone notizie, come il ritorno di Samantha Cristoforetti sulla Iss, a cui spetta la cover story di questo numero, oppure la scoperta, da parte del rover Curiosity, di alcuni indizi della presenza di tracce di vita biologica proprio sul Pianeta rosso, descritti da Cesare Guaita. Come dire che the space must go on e che, anzi, la collaborazione che si è instaurata in questi ultimi decenni fra scienziati, astronauti e tecnici delle nazioni di quasi tutto il mondo nell’ambito dell’esplorazione dello spazio o dei progetti della cosiddetta Big Science è forse l’unico vero antidoto che possiamo mettere in campo contro il veleno dell’odio.
ANNO 4 - NUMERO 27 mensile registrato presso il Tribunale di Milano al n° 137 del 6 giugno 2019
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CONTENTS
SPAZIO
4
SPACE NEWS
12 COVER STORY SCELTA DALLO SPAZIO
20 SPACE ECONOMY SPAZO PER LA VITA = VITA PER LO SPAZIO
24 NELLO SPAZIO AL RIPARO DAI RAGGI COSMICI
26 IL PASSATO GUIDA IL RITORNO SULLA LUNA
30 SPACE WEATHER: QUESTIONE DI TEMPO ED ECONOMIA
34 SEMPRE PIÙ VELOCI, SEMPRE PIÙ LONTANO
38 ARACHNE: DA FANTASCIENZA A REALTÀ
40 I MESTIERI DELLA (NEW) SPACE ECONOMY
UNIVERSO
42 TEMA DEL MESE INDIZI BIOLOGICI DA MARTE
46 ASTROFISICA DUE STELLE DI NEUTRONI SONO MEGLIO DI UNA
52 SISTEMA SOLARE FULMINI EXTRATERRESTRI
58 CIELO E TERRA L’INCREDIBILE SCOPERTA DEI QUASICRISTALLI NATURALI
CIELO
64 FENOMENO DEL MESE VENERE E GIOVE A BRACCETTO NEL CIELO
68 CIELO DEL MESE
76 OSSERVAZIONI STELLE E PROFONDO CIELO NEL SESTANTE
EXPERIENCES
80 LE VOSTRE STELLE
90 UAI INFORMA IL 55º CONGRESSO DELL’UAI
92 EVENTI SOTTO IL CIELO
94 RECENSIONI
96 SPACE MARKETS
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ESOPIANETI PREZIOSI
E INFERNALI
Mentre da Marte arrivano indizi biologici, grazie alle indagini di Curiosity (vedi a pag. 40), lo zoo degli esopianeti si popola di esemplari sempre più lontani dagli ambienti adatti alla vita. Ma pur sempre affascinanti e spettacolari. Sta per debuttare il nuovo telescopio spaziale Webb, già in assetto operativo nel punto lagrangiano L2, ma il “vecchio” Hubble non è intenzionato ad andare in pensione e ci regala ancora nuove scoperte. Grazie ai dati raccolti con lo spettrografo infrarosso abbinato alla Wide Field Camera 3 di Hubble, è stata ottenuta la descrizione della incredibile atmosfera di un pianeta situato a 850 anni luce da noi. Un’atmosfera davvero esotica, con nubi di ferro e piogge di titanio, tra le quali si potrebbero trovare gocce di pietre preziose Questo infernale mondo alieno, scoperto nel 2015, si chiama Wasp121b. Ha un diametro quasi doppio di Giove, ma orbita vicinissimo alla sua stella, con un anno che ha la durata di sole 30 ore e temperature di 2500-3000 gradi. Poiché il pianeta rivolge sempre la stessa faccia al suo sole (come la Luna rispetto alla Terra), Wasp-121b presenta delle differenze di temperatura fortissime – fino a 2000 gradi - tra il lato illuminato e quello in ombra, dove è sempre notte. Questa situazione estrema crea dei venti dalla intensità inimmaginabile, che soffiano a velocità che raggiungono i 18mila chilometri orari, mentre le molecole di vapore acqueo vengono smembrate in idrogeno e ossigeno nel lato caldo del pianeta e ricombinate in quello freddo: un “ciclo dell’acqua” davvero esotico. Inoltre, nel lato buio del pianeta sono state individuate inquietanti nubi composte di ferro, titanio e corindone, il cristallo di ossido d’alluminio del quale sono fatti gli zaffiri e i rubini terrestri. Queste nubi, quando si dirigono verso il lato diurno del pianeta, evaporano. E nella fase di transizione possano produrre perfino dei piovaschi di “gemme liquide”. Inquadra il QR per un video di Media-Inaf dedicato al pianeta infernale Wasp-121b.
UNA SPAZZOLA MARZIANA
Chi ha dimenticato una spazzola su Marte? Si tratta ovviamente di un caso di pareidolia, una roccia che casualmente assomiglia a qualcosa di familiare; ma dopo aver messo da parte le fantasie (c’è chi ha creduto di vedere lo specchietto della Tesla di Elon Musk), che cos’è realmente questo oggetto?
È stato ripreso a febbraio dal rover Curiosity, e la sua immagine è stata elaborata dall’astrofilo Stuart Atkinson, che l’ha rilanciata con successo sul suo profilo Twitter.
La strana roccia, lunga circa 20 centimetri, dovrebbe essere un esempio di erosione eolica. Mentre l’acqua arrotonda completamente le morfologie, il vento leviga le rocce in modi più particolari, lasciando anche spigoli vivi come in questo caso. Su Marte, grazie alla gravità ridotta, i venti raggiungono velocità molto elevate, ma non esercitano forti pressioni, per via dell’atmosfera molto rarefatta. Tuttavia, i venti trasportano molta polvere che agisce sulle rocce come carta vetrata. Quindi, un’azione erosiva che continua da miliardi di anni può avere prodotto un simile effetto.
Sembra poi che la roccia non sia ancorata all’affioramento sottostante: i venti potrebbero averla fatta addirittura ruotare, permettendo un’erosione su più lati e contribuendo così alla sua forma sinuosa. Inquadra il QR per un video di Media-Inaf sulle pareidolie marziane.
IL PROGETTO ARTEMIS È IN PARTENZA
Il primo lancio del nuovo programma che dovrà riportare astronauti sulla Luna è confermato dalla Nasa tra fine maggio e metà giugno Artemis 1 dunque, è pronta al via per portare verso la Luna la capsula Orion, in una missione senza astronauti a bordo, con il modulo di servizio realizzato in Europa.
Mentre tutto è pronto per la missione 1, è quasi certo che la missione 3, quella che dovrà far sbarcare i primi astronauti (compresa una donna), debba slittare al 2026 Nulla a che vedere con la guerra in corso tra Russia e Ucraina: Artemis è un programma che la Nasa guida in stretta cooperazione con l’Europa e con il Canada. E che comprende lo sviluppo e realizzazione della stazione cislunare Gateway Lunar Platform. Le ragioni del rinvio sono da associare allo sviluppo da parte di Space X del veicolo di atterraggio lunare, che richiederà una miriade di accorgimenti e verifiche. Le prime quattro missioni Artemis hanno un costo stimato di 4,1 miliardi di dollari ciascuna, secondo una revisione del novembre 2021 da parte della Nasa. Dopo la prima di quest’anno, nel 2023 toccherà a tre astronauti effettuare una missione attorno alla Luna, poi nel 2026 il primo sbarco e nel 2027 la missione numero 4 per trasferire sul suolo selenico un cargo automatico. Gli obiettivi restano quelli di realizzare una base sulla Luna per organizzare i primi voli su Marte, programmati dopo il 2030 Inquadra il QR per un video della Nasa dedicato al progetto Artemis
A.L.ECCO I SATELLITI
DI PONTUS
Un gruppo di astronomi, guidato da Khyati Malhan del Max Planck Institute for Astronomy, ha pubblicato un atlante di fusioni di galassie nane con la Via Lattea, basandosi sui dati ottenuti dalla missione Gaia dell’Esa. Questi studi rappresentano un passo importante verso la ricostruzione della storia formativa della nostra Galassia, che è il risultato di ripetuti processi di cattura e fusione. L’eredità di queste fusioni è maggiormente riscontrabile nella grande struttura quasi sferica detta alone interno (con diametro circa uguale a quello del disco galattico) e in quella molto più vasta e rarefatta che costituisce l’alone esterno, che si estende fino a circa 500mila anni luce dal centro della Galassia. Delle galassie nane catturate, talvolta rimane qualcosa: di alcune troviamo l’antico nucleo sotto le sembianze di un ammasso globulare, come Omega Centauri e M53. In altri casi, la galassia catturata ha lasciato che i suoi satelliti fossero “adottati” dalla Via Lattea. Per esempio, gli ammassi globulari M13, M30, M56 e M92, che ora si trovano nell’alone interno, erano satelliti della piccola galassia Pontus, la cui cattura è uno degli eventi più antichi tra quelli identificati. Leggi la news completa su Bfcspace alla pagina bit.ly/36Dw9t9
Inquadra il QR per un video di Media-Inaf sulle acquisizioni galattiche.
UNA PEONIA COSMICA PER IXPE
Il telescopio spaziale Ixpe (Imaging X-Ray Polarimetry Explorer) della Nasa, lanciato lo scorso 9 dicembre, ha inviato a terra la prima immagine dopo il completamento della sua messa in servizio.
L’osservatorio orbitale ha concentrato i suoi occhi a raggi X su Cassiopeia A, il resto di una supernova la cui esplosione è stata vista quattro secoli fa e oggi esteso per circa 10 anni luce. Le onde d’urto dell’esplosione hanno spazzato via il gas circostante, riscaldandolo a temperature elevate e accelerando particelle che hanno creato una nube da cui vengono irradiati raggi X.
Nell’immagine, il colore magenta mostra questa radiazione, mentre il blu corrisponde ai raggi X ad alta energia raccolti dal telescopio orbitale Chandra della Nasa. Gli studi di Cas A hanno rivelato la presenza di un buco nero o di una stella di neutroni al centro del resto della supernova, ma con Ixpe verranno fatti dei passi in avanti, grazie alla misura della polarizzazione, che individua come è orientata la radiazione X mentre si propaga nello spazio, portando informazioni sull’ambiente in cui la radiazione è stata generata.
Ixpe è una missione a grande partecipazione italiana, grazie all’Asi, che fornisce la base di Malindi in Kenya come stazione di terra primaria per il tracking del satellite, supportata anche da Telespazio, e lo Space Science Data Center a Roma per le attività di analisi scientifica dei dati.
LA STAZIONE SPAZIALE E LA GUERRA
Come affermato lo scorso febbraio dal presidente americano Joe Biden, le sanzioni verso la Russia avranno, fra gli altri effetti, quello di “degradare la loro industria aerospaziale, incluso il programma spaziale”.
Il direttore di Roscosmos, Dmitry Rogozin, ha replicato aspramente “Volete distruggere la nostra cooperazione sulla Iss? Se bloccate la collaborazione con noi chi fermerà il rientro incontrollato della Stazione sugli Stati Uniti o sull’Europa?”
Rogozin si riferisce ai sistemi di propulsione russi della Stazione spaziale internazionale, quelli che vengono periodicamente azionati per mantenere la stazione in orbita. Senza di essi, infatti, la stazione rallenterebbe sempre più a causa dell’attrito con i pochi atomi sul suo percorso. Percorso che quasi non tocca la Russia, rimanendo su latitudini più equatoriali. Il direttore della Nasa, Bill Nelson, non ha replicato direttamente, ma un comunicato stampa ha ribadito la volontà (o meglio, necessità) dell’agenzia spaziale americana di continuare il rapporto di collaborazione sulla Iss con tutti i partner attuali. Elon Musk ha invece risposto alla domanda retorica di Rogozin con il logo di SpaceX (come a dire “ci penso io”).
In foto: il modulo Zvezda e il cargo trasportatore Progress, entrambi russi ed entrambi usati per modificare l’orbita della Iss.
ELEKTRA, L’ASTEROIDE QUADRUPLO
Sino al 1993, gli asteroidi binari erano solo un’ipotesi. Ma quell’anno la sonda Galileo, diretta verso Giove, scoprì la piccola luna Dactyl dell’asteroide (243) Ida (foto). Da allora sono stati scoperti centinaia di sistemi doppi tra gli asteroidi e anche molti tripli, ma (130) Elektra è oggi l’unico sistema quadruplo conosciuto. Merito della scoperta è l’ottica adattiva e lo strumento Sphere/Ips dell’Osservatorio australe europeo, utilizzato principalmente per indagare gli esopianeti, ma rivelatosi valido per risolvere e studiare anche gli asteroidi del Sistema solare. Elektra ha un diametro di circa 200 km e possiede due piccole lune, rispettivamente di 6 e 2 km di diametro. Una rilettura di dati raccolti nel dicembre 2014 ha portato ora alla scoperta di una terza luna, con le dimensioni di 1,6 km, che percorre un’orbita con il raggio di 344 km intorno a Elektra in 0,68 giorni. La scoperta del primo sistema quadruplo apre la strada alla comprensione dei meccanismi che portano alla formazione di questi satelliti. Il gruppo di ricerca che ha individuato la terza luna punta alla rivelazione di nuovi satelliti in orbita attorno ad altri asteroidi, ampliando così il dominio degli obiettivi di Sphere.
Vedi la news completa su Bfcspace alla pagina bit.ly/3IDAScG
D.L.
THALES ALENIA SPACE ESTRARRÀ OSSIGENO PER CONTO DELL’ESA
Thales Alenia Space ha vinto un contratto con l’Agenzia spaziale europea (Esa) per testare in loco una nuova tecnologia in grado di estrarre ossigeno dalle rocce lunari.
Il contratto da un milione di euro prevede la realizzazione di un prototipo insieme con i partner AVS, Metalysis, Open University e Redwire Space Europe
La divisione inglese di Thales Alenia Space ha già sviluppato un sistema funzionante che utilizza l’elettrolisi del sale fuso per estrarre ossigeno dalla regolite, ora dovrà farlo sulla Luna. Non è ancora noto su quale missione troverà posto questa tecnologia sperimentale, ma nei prossimi anni le missioni dirette verso il nostro satellite non scarseggeranno.
La produzione di ossigeno sulla Luna sarà fondamentale per un’esplorazione continuativa Non solo per aria e acqua, ma soprattutto per il propellente. La navicella Starship, che trasporterà gli astronauti di Artemis 3 dal Lunar Gateway alla superficie lunare e ritorno, utilizza proprio un misto di ossigeno e metano. Peraltro, questa tecnologia non faciliterà solo i viaggi verso la Luna, ma anche quelli dalla Luna verso altri corpi del Sistema solare. In figura, un lander lunare testa la tecnologia per estrarre ossigeno (Esa/Thales Alenia Space).
D.L.IL CONFLITTO UCRAINO SPEGNE LE COLLABORAZIONI CON LA RUSSIA
Il 26 febbraio Dimitri Rogozin ha dichiarato che Roscosmos non lancerà più vettori Soyuz dalla Guyana Francese, ritirando la collaborazione con Arianespace e richiamando il proprio personale. I lanci europei con razzi Soyuz sono quindi posticipati a data da definirsi. Fra questi, due satelliti Gps del sistema Galileo Roscosmos fa marcia indietro anche sulla collaborazione con la Nasa per la missione russa Venera-D, il primo lander venusiano dopo le missioni sovietiche Vega 1 e 2 del 1984. Rispondendo alla richiesta di aiuto del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che teme la distruzione della linea internet nel suo Paese, Elon Musk ha dichiarato che Starlink è ora attivo in Ucraina e di aver spedito diverse parabole per la ricezione.
La missione ExoMars, dell’Agenzia spaziale europea, progettata in cooperazione con l’agenzia russa, quasi certamente verrà rinviata di due o addirittura di quattro anni. Altre missioni spaziali attualmente in corso sono sospese. Come quella del telescopio spaziale tedesco eRosita per astronomia a raggi X, messo in safe mode dal centro di controllo in Germania.
Lo strumento si trova a bordo del satellite russo Spektr-RG, in orbita attorno al punto lagrangiano L2 (vedi la news su Bfcspace.com, bit.ly/3hPQ4HN).
Ed è stato distrutto dalle truppe russe l’aereo ucraino Antonov 225 Mriya (“Sogno”), il più grande aereo cargo al mondo. Progettato negli anni 80 dall’Unione Sovietica per il trasporto dello spazioplano Buran (foto), era utilizzato anche per il trasporto di grandi satelliti.
n un certo senso è lo spazio ad aver scelto me”. Così, nel 2014, Samantha Cristoforetti inizia l’intervista della Nasa all’equipaggio della Expedition 42, la prima missione in orbita cui prenderà parte. “42”, come la risposta definitiva alla “domanda fondamentale sulla vita, l’Universo e tutto quanto”, è una coincidenza significativa per lei, che notoriamente è un’ammiratrice del genio britannico di Douglas Noel
Adams e della sua Guida galattica per gli autostoppisti. Prima italiana a entrare nell’Agenzia spaziale europea e ad andare nello spazio, Cristoforetti ha conseguito il record europeo e quello femminile di permanenza oltre l’atmosfera in un singolo viaggio, ben duecento giorni (quest’ultimo successivamente superato dalle statunitensi Peggy Whitson e, poi, da Christina Koch). Oggi si appresta a stabilire un nuovo record, come prima donna
europea a svolgere un’attività extra veicolare, in occasione della missione Expedition 68, che la riporterà sulla Iss in primavera (al momento di andare in stampa, la data di lancio non è ancora stata ufficializzata).
AVVENTURIERA… FUTURA La futura AstroSamantha manifesta fin da bambina una passione per l’avventura, che evolve via via nel convinto desiderio di spingersi oltre il cielo.
CHIARA CHIESA* A POCHE SETTIMANE DAL SUO RITORNO SULLA STAZIONE SPAZIALE INTERNAZIONALE, LA STORIA, LE EMOZIONI E GLI OBIETTIVI DI SAMANTHA CRISTOFORETTI. CON UNA SPERANZA: CHE SIA LA PRIMA ITALIANA SULLA LUNA Cortesia Esa/NasaStudia ingegneria aerospaziale all’Università di Monaco, in Germania, e consegue un master in Ingegneria meccanica con specializzazione in propulsione aerospaziale e in strutture leggere. La forte attrazione per il volo è ripagata nel 2000, quando, in Italia, alle donne viene permesso per la prima volta di svolgere il servizio militare volontario e l’età massima estesa da 21 a 24 anni. Sembra il destino voglia incastrare i pezzi per lei, che non si lascia sfuggire l’occasione e accantona la carriera da ingegnera per entrare nell’accademia aeronautica.
Cristoforetti cita spesso la fortuna come forza decisiva negli eventi della vita, ma è sua la qualità di coglierne le opportunità anche nei momenti più improbabili. Proprio al passaggio alla carriera operativa e dopo aver raggiunto il grado di capitano, decide di partecipare alla selezione Esa per i nuovi astronauti, nella campagna di reclutamento 2008/2009, una chance che capita ogni 10, 15 anni. La ricompensa è straordinaria: viene selezionata il 18 maggio 2009 e, nel suo Diario di un’apprendista astronauta (pubblicato nel 2019 per La Nave di Teseo e i cui proventi vengono devoluti all’Unicef), racconta di “una gioia quieta e… un profondo sollievo” e di come, la notte in cui apprende di avere superato la selezione, sogni quando sarà finalmente a bordo della Stazione spaziale internazionale, “anch’io un puntino luminoso lassù”. Nel 2012 il sogno si traduce in una data: le viene assegnata la spedizione 42/43 sulla Iss, chiamata Futura. Entro tre anni diventerà la donna dei record.
LA PRIMA VOLTA
DI TANTI PRIMATI
È il 23 novembre 2014 quando inizia la sua prima missione. Una volta in orbita, Cristoforetti si dedica a esperimenti che la coinvolgono anche in prima persona, perché deputati a comprendere gli effetti della microgravità sul corpo umano.
Come Drain Brain, che analizza i flussi venosi che dal cervello arrivano al cuore; si punta allo sviluppo di tecnologie di monitoraggio non invasive da applicare sulla Terra.
Un altro esperimento riguarda l’analisi del sonno: il suo obiettivo è comprendere le difficoltà degli astronauti a dormire bene.
Sulla Stazione, Cristoforetti supervisiona poi il quinto e ultimo Atv, l’Automated Transfer Vehicle dell’Esa, un programma che ha portato alla produzione dei Moduli di servizio europei per la Orion della Nasa, la cui prossima destinazione sarà la Luna.
Tornata a terra e concluse le attività di missione, prima guida Spaceship Eac, un team di studenti e ricercatori occupati con tecnologie per l’esplorazione lunare, poi, nell’ambito del progetto Lunar Orbital Platform Gateway, assiste lo sviluppo di un modulo abitativo, mettendo a disposizione la propria esperienza: è un passaggio che presagisce quanto potrebbe coinvolgerla in futuro.
È infatti in lizza per uno dei pochi posti riservati agli astronauti dell’Agenzia spaziale europea destinati alla Luna con il Gateway.
La speranza, lo si permetta a chi sta scrivendo, è di vederla presto come la prima italiana sul nostro satellite naturale.
RITORNO IN ORBITA
Il 3 marzo 2021 viene annunciato il ritorno di AstroSamantha sulla Iss. Farà parte della Crew-4 di SpaceX, il quarto volo commerciale Nasa con una capsula Dragon prodotta dall’azienda di Elon Musk (e per l’occasione completamente nuova). Con lei, tre astronauti Nasa: Kjell Lindgren, Robert Hines e Jessica Watkins, che è già stata parte di un equipaggio con Cristoforetti nella missione Neemo23, una ricerca di dieci giorni nella stazione Aquarius, sul fondo dell’Atlantico, per testare simulazioni di missioni sulla Luna e su Marte.
AstroSamantha parteciperà in qualità di leader del Segmento Orbitale
Americano (UsOs) nella spedizione 68, assumendo ruoli di comando che coinvolgono moduli e componenti americani, europei, giapponesi e canadesi.
Già in occasione della sua prima missione, era perfettamente pronta per un’eventuale Eva, poi non concretizzatasi.
Un allenamento intenso, che nella prossima spedizione potrebbe essere ricompensato – il condizionale è d’obbligo, vista la precarietà della situazione internazionale e il suo riverberarsi oltre l’atmosfera -, come annunciato lo scorso settembre all’Eac da Frank De Winne. L’esecuzione dell’uscita dovrebbe essere ospitata dal segmento russo dell’avamposto orbitante, con una tuta Orlan-GN e un probabile coinvolgimento nelle operazioni di installazione del braccio robotico europeo Era sul modulo russo Nauka. Nel ruolo di astronauta e ora capo dello UsOs, Cristoforetti è senza dubbio un esempio per chiunque
COVER DI CHIARA CHIESA E ANDREA SOMENZIaspiri a tanto: per le donne, poi, rappresenta una immensa dose di coraggio, l’evidente prova che anche in un settore elitario e dove la rappresentanza femminile è ridotta, ce la si possa fare.
È una posizione privilegiata, dice. Fondata però su competenze e capacità uguali per tutti. E a riprova di quanto detto, le nuove selezioni Esa, nel 2021, hanno visto un aumento percentuale delle candidature femminili dal 15% del 2008 al 24%.
L’Italia è risultata quarta in questo senso, ma le nostre domande nel complesso sono più che raddoppiate (da 151 a 353).
Sono già noti i risultati della prima scrematura, che rendono ancora più significativa la partecipazione femminile: il 39% dei candidati rimanenti è costituito da donne
SPACE WOMEN: NON SOLO FANTASCIENZA
Essere una donna, madre, impegnata in missioni di rilevanza mondiale è un segnale importante per la cultura italiana: indica che è possibile, anche nelle carriere e nelle operazioni tradizionalmente maschili, vedere le donne ai più autorevoli tavoli decisionali e aumentarne il numero che, oggi, è ancora minoritario, tanto più nel settore spaziale. Eppure già dagli anni Sessanta, in America, almeno nell’immaginario narrativo approdano tante donne spaziali, super eroine pronte a conquistare nuove galassie: da figure audaci come Uhura, comandante sull’Enterprise in Star Trek, e Barbarella, in viaggio su un pianeta ignoto per una missione di salvataggio, a figure materne
come Lady Jessica, madre di Paul Atreides nel mondo di Dune, oppure villain con personalità come la Diana di Visitors. L’apice è forse raggiunto nell’Alien di Ridley Scott, che affascina il pubblico di tutto il mondo con la tenacia del tenente Ellen Ripley, interpretato da Sigourney Weaver.
Da allora la presenza delle space heroes ha arricchito svariati settori; un esempio recente è la Barbie modellata a immagine e somiglianza proprio di Samantha Cristoforetti.
Occorre tuttavia chiedersi se bastino questi esempi e la partecipazione femminile per portare al grande pubblico la consapevolezza dell’importanza delle missioni spaziali. Triste ma vera, la risposta è: non ancora.
Lo scetticismo non è scomparso e gran parte del pubblico generalista percepisce gli investimenti spaziali come un’assurdità.
Eppure tutti usiamo ogni giorno tecnologie come il Gps, le microcamere o sofisticati esami medici che esistono grazie al trasferimento tecnologico spaziale.
Non tutti, però, ricordano Katherine Johnson, che calcolò la rotta dell’Apollo 11 per la missione lunare. Anche le Nazioni Unite vogliono dimostrare, con l’avvio nel 2020 del programma Space4Women, che le donne possono dare un contributo essenziale allo sviluppo del settore spaziale, che vede impegnate nel mondo solo il 30% dei ricercatori, il 30% di studenti Stem, l’11% di astronaute e il 6,6% di donne protagoniste di una space walk
E, ancora, solo il 19% in posizioni di leadership, con un’occupazione nel
CHIARA CHIESA E ANDREA SOMENZI Cortesia Esasettore che totalizza un esiguo 2022% di presenze femminili.
Ciò detto, e contrariamente a quanto si possa pensare, in questo settore quasi esclusivamente maschile trovano occupazione e con salari decisamente alti donne che spesso stanno dietro le quinte, figure diverse come legali, medici, space architect, addette alla comunicazione, manager e business developer, astrofisiche, ingegnere, esperte di informatica e cybersecurity e anche artiste. “Non puoi essere ciò che non vedi”, ci ricorda una sorridente Sally Ride fluttuante sulla Iss.
Space4Women nasce per questo, per fare conoscere le nuove donne dello spazio e renderle role model, affinché altre ragazze capiscano che studiare materie Stem può fare la differenza, per loro, le loro carriere, e il nostro futuro. D’altronde, tornando alla fantascienza, nell’ultimo Guerre Stellari è Rey a rappresentare tutti i Jedi e a decidere il destino dell’universo insieme, ma solo insieme, con Kylo Ren.
AstroSamantha rappresenta anche questo: abbiamo bisogno di lei e di giovani Jedi, ora più che mai.
DI CHIARA CHIESA E ANDREA SOMENZIPER LA VITA = VITA
Nell’ultimo anno un intenso lavoro ha arricchito le giornate di alcune decine di ricercatori italiani, portando una ventata di entusiasmo in un settore che, benché chiave e scopo della ricerca spaziale, a volte non viene immediatamente collegato con il cosmo: le scienze della vita
L’Agenzia spaziale italiana ha infatti inaugurato tavoli tecnici dedicati a identificare le linee sperimentali più significative, sia da un punto di vista scientifico che applicativo, da perseguire nel prossimo decennio e volte a identificare possibili soluzioni alle diverse incognite poste dall’esplorazione umana dello spazio. È chiaro che le scienze
dello spazio devono poggiare su un solido trampolino di ingegneria e fisica, ma fa piacere vedere che lo scopo finale di tale impresa sia ancorata a quell’antico desiderio di conoscenza che spinge la nostra specie a tuffarsi in una costante esplorazione del suo ambiente. E il nostro ambiente è ora diventato, a tutti gli effetti, il Sistema solare.
PROSPETTIVE E ORIZZONTI DEI TAVOLI TECNICI DEDICATI ALLE SCIENZE DELLA VITA SECONDO L’AGENZIA SPAZIALE ITALIANA (CHE LI HA ORGANIZZATI): PARLA FRANCESCA FERRANTI, COORDINATRICE ASI PER QUELLO DI FISIOLOGIA INTEGRATAChe cosa, quindi, hanno proposto i tavoli tematici? La presentazione del loro lavoro è prevista per i prossimi mesi, ma possiamo cercare di intuire quali siano le linee di ricerca più promettenti. Intanto diciamo subito che ci sono quattro tavoli: microbiologia, radiazioni, sistemi biologici di supporto alla vita e fisiologia integrata. A ciascuno di essi afferiscono i principali esperti italiani del settore.
Già in questo abbiamo visto uno sforzo di coordinamento assolutamente non banale da parte di Asi, condotto sul campo dai ricercatori della Direzione scienza e ricerca, Claudia Pacelli, Marta Del Bianco, Valerio Vagelli e Francesca Ferranti, con la supervisione di Vittorio Cotronei, che hanno tenuto le redini di questa quadriglia, indirizzandola sul giusto sentiero. Approfittiamo della disponibilità di Ferranti, coordinatrice Asi del tavolo fisiologia integrata, per chiederle qualche commento.
FRANCESCA, COME È
STATO COORDINARE L’ATTIVITÀ DI COSÌ TANTI RICERCATORI?
“È stata una esperienza davvero entusiasmante, che ci ha visti impegnati al fianco della comunità scientifica nazionale nella definizione delle linee strategiche di mediolungo termine per le scienze della vita applicate allo spazio. È stato interessante e costruttivo vedere come esperti di settori diversi e competenze diversificate si siano confrontati per esaminare un problema comune, proponendo strategie complementari e multidisciplinari. Sebbene sia sempre sfidante coordinare un
numero così elevato di esperti di settori scientifici diversi, il risultato ripaga ampiamente gli sforzi messi in atto. Sono certa che l’output di questo intenso lavoro guiderà Asi e la comunità scientifica di riferimento nel raggiungimento di obiettivi di rilievo per l’esplorazione umana dello spazio”.
Nel mirino dei tavoli tematici alcuni fra i principali problemi che ostacolano la presenza e la permanenza dell’uomo nello spazio.
1) Le radiazioni. Sono uno degli ostacoli maggiori per l’uomo e per la vita in generale. Siamo fortunatamente protetti dal campo magnetico terrestre, che rende il nostro Pianeta abitabile e sicuro, ma appena usciamo dalla sua influenza, la potenza delle radiazioni cosmiche ci investe. Sappiamo molto sulle radiazioni, ma dobbiamo ancora trovare la ricetta giusta per proteggere i nostri futuri astronauti. Per ora gli obiettivi condivisi a livello internazionale per l’esplorazione umana dello spazio profondo prevedono la Luna e Marte, ma possiamo anche permetterci di iniziare a pensare a mete più ambiziose: la cintura degli asteroidi, Europa, Encelado o Titano, tutti luoghi di grande interesse sia scientifico che esplorativo. L’attività di ricerca in questo campo si preannuncia quindi significativa
*MATTEO CERRI MEDICO CHIRURGO, DOTTORE DI RICERCA IN NEUROFISIOLOGIA, RICERCATORE IN FISIOLOGIA PRESSO IL DIPARTIMENTO DI SCIENZE BIOMEDICHE E NEUROMOTORIE DELL’UNIVERSITÀ DI BOLOGNA, È ASSOCIATO ALL’ISTITUTO NAZIONALE DI FISICA NUCLEARE.
nei prossimi anni, anche perché la radioprotezione è una tematica che può trovare rapidamente applicazioni in campo medico.
2) L’isolamento. La vita su un’astronave non è affatto semplice. Dormire, per esempio, diventa più complesso e tutte le funzioni fisiologiche, che vengono armonizzate dal nostro cervello tramite la normale alternanza di luce e buio di cui abbiamo esperienza sulla Terra, si scombinano. La de-sincronizzazione dei ritmi circadiani unitamente alla deprivazione di sonno può rappresentare un rischio sia per la salute dell’equipaggio che per la sua performance. Quali contromisure mettere in atto per mantenere l’organismo nella sua forma migliore?
3) La distanza dalla Terra. Il problema tecnico per eccellenza. A distanza planetaria, infatti, non c’è un modo efficace per il Controllo Missione terrestre di intervenire in caso di guasti o emergenze. Pensiamo, in ottica sanitaria, a come agire in caso di infortunio, o nella necessità di cure mediche avanzate. Siamo agli albori dello sviluppo di molte nuove discipline, come la diagnostica spaziale, la farmacologia spaziale e la chirurgia spaziale, che potrebbero rivoluzionare anche il nostro modo di utilizzo dei mezzi di cura.
4) La microgravità. È l’essenza stessa dello spazio: il galleggiamento che immediatamente annuncia l’uscita dalla nostra comfort-zone planetaria. L’organismo si adatta alla microgravità, ma gli adattamenti possono compromettere la salute di chi vi sia esposto. Il sistema cardiovascolare, il cuore, l’occhio, il cervello e l’orecchio, per esempio, devono adattarsi alla redistribuzione
dei fluidi corporei che non sono più soggetti all’attrazione della Terra, mentre la termoregolazione soffre per insufficienza dei sistemi di termodispersione, provocando agli astronauti la fastidiosa space fever. La muscolatura e la struttura ossea, poi, si indeboliscono, non dovendo più dare sostegno al peso del corpo. Le contromisure per questi eventi sono le più studiate, in quanto gli effetti della microgravità sono già attivi sugli astronauti a bordo della Stazione spaziale internazionale, ma per missioni molto lunghe entriamo in una terra incognita Nuovi modelli di studio saranno necessari per comprendere appieno le implicazioni fisiologiche che le missioni di lunga durata porteranno con sé.
5) L’ambiente. Non c’è dubbio che l’ambiente dove viviamo abbia un ruolo chiave nel garantire la nostra sicurezza, la nostra salute e il
nostro benessere psicologico. Tutto questo è richiesto anche ai futuri ambienti spaziali, che dovranno impedire contaminazioni accidentali, mantenere una condizione vitale il più simile possibile a quella terrestre e consentire non solo al corpo degli astronauti, ma anche alle loro menti di poter essere nella condizione migliore per la missione.
MOLTE DI QUESTE LINEE DI RICERCA POTREBBERO PORTARE L’ASI A ESSERE PROTAGONISTA NEL SETTORE DELLE SCIENZE DELLA VITA APPLICATE ALLO SPAZIO, CON IMPATTI NOTEVOLI SULLA MEDICINA E L’INDUSTRIA TERRESTRE. CHE COSA PENSI IN PROPOSITO?
“L’Asi è particolarmente impegnata in questo settore sia a livello europeo
che internazionale e si è distinta negli anni con risultati particolarmente rilevanti. Speriamo che questa iniziativa incrementi ulteriormente, grazie alla messa a sistema di competenze multidisciplinari, la competitività nazionale nel contesto della ricerca, dell’innovazione e del trasferimento tecnologico. Come suggerisci, è importante evidenziare che non solo gli astronauti beneficeranno delle conoscenze acquisite grazie alla ricerca condotta in ambito spaziale. Alcune sperimentazioni nel settore della biologia e della fisiologia umana, guidate dalla necessità di supportare la salute dell’astronauta, hanno infatti già prodotto importanti avanzamenti anche nella medicina terrestre. I progressi nella telemedicina, nello sviluppo di metodi innovativi per mitigare la perdita di massa ossea o favorire il processo di guarigione delle ferite, nella comprensione dei sistemi di risposta psicologica agli stress e dei meccanismi molecolari alla base di alcune malattie degenerative e dell’invecchiamento fisiologico sono solo alcuni esempi dei benefici ottenuti a terra grazie agli studi condotti in orbita. Le tecnologie sviluppate per lo spazio possono inoltre essere utilizzate, sulla Terra, in ambienti isolati o ostili”. In conclusione, ecco quindi un settore dove il nostro Paese possiede un grande know-how e un potenziale di sviluppo notevole, che un investimento deciso renderebbe davvero fruttuoso, non solo per le ricadute economiche dirette, ma anche in termini di leadership scientifica e strategica: in fondo, che spazio è uno spazio senza vita?
SPACE ECONOMY DI MATTEO CERRIECOFRIENDLY
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L’illuminazione posizionata a 40 cm da terra garantisce un inquinamento luminoso pari a 0 e costi di manutenzione molto + contenuti rispetto all’illuminazione tradizionale, grazie all’eliminazione dei lampioni.
NELLO SPAZIO AL RIPARO DAI
RAGGI COSMICI
RIPERCUSSIONI BIOLOGICHE DEI FUTURI VIAGGI SPAZIALI
E STRATEGIE PER AFFRONTARLE: UN NUOVO SETTORE DI RICERCA IN CUI L’ITALIA ECCELLE
Nella lista dei 30 fattori in grado di compromettere la salute e le performance degli equipaggi spaziali stilata dallo Human Health and Performance (Hhp), il direttorato della Nasa preposto alla valutazione e alla mitigazione dei rischi fisici e psicologici associati alle missioni di lunga durata, una particolare posizione è occupata dai raggi cosmici, l’incessante flusso di particelle cariche ad alta energia che permea lo spazio intero. Sulle ripercussioni biologiche, ancora poco comprese, causate dalla lunga esposizione a simili forme di radiazione e sull’individuazione di soluzioni per la schermatura e la protezione degli astronauti si stanno concentrando da qualche anno specifiche attività interdisciplinari stimolate e finanziate delle agenzie spaziali. È un nuovo settore di ricerca che, grazie alle riconosciute competenze scientifiche, tecnologiche e industriali italiane, vede il nostro Paese impegnato in prima linea, come dimostrano tre progetti dell’Università di Bologna Iris, Aphrodite e Hype, selezionati alla fine del 2021 nell’ambito dell’indagine di mercato indetta dall’Agenzia spaziale italiana per le ricerche e i
dimostratori tecnologici per la Iss, che, a parità di requisiti, ha premiato le proposte connesse alla futura esplorazione umana dello spazio. Come insegna la trentennale storia di progresso tecnologico di cui è stata incubatrice la Stazione spaziale internazionale, miniaturizzazione, incremento dell’efficienza energetica e semplificazione funzionale sono criteri di riferimento nella progettazione degli strumenti dedicati al supporto delle attività umane in orbita terrestre. L’ottimizzazione di questi aspetti diventa tuttavia ancor più imprescindibile in previsione dei voli e delle missioni lunari o marziane È proprio in questa direzione che si muove Iris, progetto nato all’interno del TTlab, laboratorio per il trasferimento tecnologico dell’Infn (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) in Emilia-Romagna, che si svolgerà in collaborazione con l’Università di Bologna e l’azienda Kayser Italia Iris si avvarrà delle competenze dell’Infn nel campo dello sviluppo di rivelatori
*MATTEO MASSICCI DIVULGATORE SCIENTIFICO, È UN AUTORE TELEVISIVO SPECIALIZZATO IN AEROSPAZIO.
di particelle per la realizzazione di dispositivi ultraleggeri e indossabili in grado di determinare in tempo reale il livello di esposizione di ogni singolo astronauta a radiazioni ionizzanti pericolose. In particolare, a rendere estremamente innovativi i dosimetri di Iris, sarà il metodo di stampa a getto di inchiostro mediante il quale saranno fabbricati. “Il procedimento”, spiega Beatrice Fraboni, ricercatrice Infn e responsabile scientifica di Iris, “prevede l’impiego, a temperatura ambiente, di soluzioni composte da semiconduttori a matrice organica o perovskiti (gruppo di minerali composti da titanato di calcio, ndr.) in sostituzione del classico inchiostro per la realizzazione di circuiti con uno spessore che non supera le centinaia di nanometri. Un sistema che garantirà una notevole riduzione del peso e dei costi di produzione, nonché una diminuzione del consumo energetico, in quanto i sensori saranno contraddistinti da una tensione operativa molto bassa”. Al fine di predisporre misure per il trattamento e la prevenzione di disfunzioni patologiche associate alla possibile azione mutagenica delle radiazioni cosmiche e ai fattori di rischio tipici del volo spaziale rappresentati dall’assenza
» Sopra: le particelle cariche di alta energia emesse dai brillamenti solari sono le più pericolose per la salute degli astronauti (Nasa).
A sinistra: Paolo Nespoli, nel corso della missione Vita, effettua dei test con Perseo, giacca concepita per schermare gli organi vitali degli astronauti dai raggi cosmici grazie all’acqua contenuta al suo interno (Nasa).
di peso e dai cambiamenti nella dieta e nello stile di vita degli astronauti, sarà di fondamentale importanza dotare gli equipaggi di sistemi diagnostici di semplice utilizzo per il monitoraggio in tempo reale del loro stato di salute. Questo il proposito del progetto Aphrodite, coordinato e gestito dal Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” dell’Università di Bologna, in collaborazione con la Scuola di Ingegneria Aerospaziale della Sapienza Università di Roma e di Kayser Italia. Aphrodite mira alla progettazione e alla realizzazione di una piattaforma integrata per indagini diagnostiche. “Il dispositivo che vogliamo sviluppare”, illustra Mara Mirasoli, docente del dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” e responsabile scientifica del progetto, “sarà composto da una piattaforma miniaturizzata che, utilizzando nanotecnologie, riconoscerà le molecole per la quantificazione dei
biomarcatori di interesse. La presenza di questi ultimi, che darà luogo a un segnale luminoso, sarà misurata grazie un sistema di fotosensori integrati di piccole dimensioni, gestiti attraverso una interfaccia di immediato utilizzo, che consentirà agli astronauti di essere autonomi dal punto di vista clinicodiagnostico e di intervenire in modo tempestivo in caso di necessità”. Per quanto avveniristico, lo scenario che prevede il rallentamento indotto, chimicamente o mediante ipotermia, delle funzioni metaboliche per proteggere gli astronauti dagli effetti biologici causati dalle radiazioni cosmiche si sta dimostrando, sulla base di campagne sperimentali finora condotte dalle agenzie spaziali, particolarmente efficace. Ulteriori conferme in tal senso potrebbero provenire da appositi studi con modelli in vitro da svolgersi a bordo Iss, come proposto dal progetto Hype della sezione Infn di Bologna, che
vedrà la partecipazione della torinese Argotec. Per verificare la capacità delle basse temperature di favorire la radioresistenza biologica, Hype prevede di monitorare e confrontare all’interno di un bioreattore il comportamento di due gruppi di cellule di retina, uno dei quali mantenuto in ipotermia. “La scelta di utilizzare cellule di retina”, chiarisce Matteo Cerri, responsabile di Hype, professore del Dipartimento di Scienze biomediche e neuromotorie dell’Università di Bologna (di cui è possibile leggere un contributo sull’argomento anche a pagina 20), “è giustificata dal loro alto consumo energetico, che le rende adatte a simulare il funzionamento di un organismo complesso. Un ulteriore controllo sulla protezione che uno stato di ipotermia potrebbe garantire al modello, sarà inoltre svolta sulla Terra attraverso due esperimenti per verificare sia la risposta delle cellule ibernate alla gravità terrestre che alla combinazione tra quest’ultima e la radiazione prodotta da un acceleratore di particelle”. L’alto contenuto tecnologico e di innovazione di Iris, Aphrodite e Hype, che disporranno di un budget complessivo di circa 400mila euro ciascuno, come previsto dal tetto massimo di spesa imposto dal bando Asi di riferimento (Vus3: Iss Exploration), testimoniano come l’Italia sia in possesso delle capacità scientifiche e industriali necessarie per essere protagonista della prossima fase dell’esplorazione umana dello spazio. Nel frattempo, possiamo accontentarci di seguire lo sviluppo di questi tre progetti, che sebbene non siano stati assegnati ancora a nessuna missione, potrebbero volare a breve verso la Iss.
SPACE ECONOMYIL PASSATO GUIDA IL
RITORNO SULLA LUNA
Dopo sessant’anni la storia torna a ripetersi. Una nuova corsa per raggiungere mete sempre più lontane, partendo dal ritorno dell’uomo sulla Luna per poi spingersi oltre. L’obiettivo ora è Marte. È necessario però procedere per piccoli passi. Il primo lo ha compiuto Neil Armstrong il 20 luglio del 1969, grazie all’immenso lavoro di tutte le persone che hanno reso possibile il programma Apollo. Da allora, altri undici astronauti hanno camminato sulla superficie del nostro satellite naturale. Dopo Apollo 17, terminata il 19 dicembre 1972, l’esplorazione dello spazio con esseri umani è stata sempre confinata attorno al nostro Pianeta. Non sono mancate però le grandi opere. Basti pensare che da oltre vent’anni c’è almeno un essere umano che orbita attorno alla Terra, a bordo della Stazione spaziale internazionale. Un avamposto nello spazio che si è evoluto nel corso degli anni e che potrebbe continuare a crescere grazie ai privati, sebbene le conflittualità terrestri obblighino all’uso del condizionale. Così come accaduto sessant’anni fa,
l’Uomo vuole tornare sulla Luna; non per una passeggiata di qualche ora, ma per colonizzarla. Questa volta, però, sarà uno sforzo internazionale e non l’impresa di un’unica nazione. Come avvenuto allora, c’è bisogno di una preparazione. Studiare i nuovi mezzi e le nuove tecnologie sviluppate.
A questo è servita la Iss ed è l’obiettivo delle imminenti missioni.
IL CONTRIBUTO DEI PRIVATI AI VOLI NELLO SPAZIO Prima del 30 maggio 2020, l’orbita terrestre era accessibile solamente utilizzando mezzi sviluppati dalle agenzie nazionali. È il caso dello Space Shuttle dalla Nasa, andato in pensione nel 2011, e della capsula russa Soyuz.
Con la missione Demo-2 è cambiato tutto: SpaceX, l’azienda fondata nel 2002 da Elon Musk, ha trasportato per la prima volta due astronauti sulla Iss utilizzando la capsula Dragon.
Un ultimo volo di collaudo, che ha poi aperto le porte alle missioni di lunga durata per la normale rotazione dell’equipaggio a bordo della stazione orbitante. Sono 18 le persone che hanno già volato con SpaceX.
Tra queste, non solo astronauti professionisti, ma anche cittadini privati.
A settembre 2021 è infatti partita la missione Inspiration4, finanziata dal miliardario Jared Isaacman, durata poco meno di tre giorni e spintasi oltre la Iss, fino a una quota di 575 chilometri (v. Cosmo n. 21).
Se si considerano anche i voli suborbitali, le prime aziende che hanno portato privati cittadini nello spazio sono state la Virgin Galactic di Richard Branson e la Blue Origin di Jeff Bezos.
Samantha Cristoforetti (come ribadiamo nella coverstory di questo numero) partirà per la sua seconda missione a bordo della Iss proprio grazie alla Dragon. Sarà quindi la prima astronauta italiana a volare su una capsula privata. Avrebbe potuto volare anche con la CST-100 Starliner di Boeing, ma i numerosi problemi hanno costretto l’azienda americana a
*ANDREA D’URSO AUTORE PER ASTROSPACE.IT, SI OCCUPA PRINCIPALMENTE DI NOTIZIE E APPROFONDIMENTI RIGUARDANTI SPACEX.rinviare più volte l’ultimo volo di test. Presto, però, anche questa seconda capsula sarà operativa. Grazie all’arrivo dei privati anche il settore dell’intrattenimento ha iniziato a investire nello spazio (come raccontato nel n. 23 di Cosmo).
L’orbita terrestre bassa diventa sempre più accessibile e questo permette lo sviluppo di nuove forme di business Anche l’Europa ha annunciato un proprio piano per lo sviluppo di mezzi in grado di trasportare un equipaggio nello spazio. Lo ha dichiarato Josef Aschbacher, il direttore generale dell’Agenzia spaziale europea, allo Space Summit 2022 tenutosi a febbraio. Oggi Stati Uniti, Russia e Cina sono le uniche nazioni in possesso di mezzi adatti al volo umano oltre l’atmosfera. Venti di guerra esclusi, presto a queste potrebbero aggiungersi sia l’Europa che l’India, anch’essa al lavoro su una capsula. Sebbene la Nasa si stia preparando al primo lancio dell’Sls, che servirà a trasportare un equipaggio attorno alla Luna a bordo della Orion, sarà necessario anche in questo caso l’intervento dei privati per tornare a toccare la superficie selenica. Il mezzo selezionato per la discesa dei prossimi astronauti sulla Luna è Starship, il nuovo razzo che SpaceX sta sviluppando in Texas.
Ripercorrendo quanto accaduto in passato, l’azienda di Musk ha dato vita a un nuovo programma per studiare e collaudare le tecnologie che culmineranno con i prossimi allunaggi del programma Artemis.
POLARIS, COME GEMINI MA PRIVATO
In un clima di forte tensione come quello della Guerra Fredda, Stati
Uniti e Unione Sovietica cercavano di imporre la propria supremazia anche oltre il cielo. Con le missioni in orbita terrestre gli americani arrivavano sempre secondi. Il primo uomo e la prima donna in grado di guardare il nostro Pianeta da oltre l’atmosfera erano russi: Yuri Gagarin e Valentina Tereshkova.
Gli Stati Uniti decisero per questo di alzare il tiro: volevano essere i primi a toccare la Luna. Nel 1958 nacque il programma Mercury, quindi, nel 1961, Gemini. L’obiettivo era testare un po’ alla volta le nuove soluzioni tecnologiche che avrebbero portato l’uomo sulla Luna.
Il 14 febbraio 2022, SpaceX ha annunciato a sorpresa il programma Polaris. Attualmente composto da tre missioni, permetterà all’azienda di portare al limite le capacità della capsula Dragon per poi terminare con il primo volo con equipaggio della Starship Polaris è successore diretto di Inspiration4, il primo volo “libero” di una Dragon (cioè non destinato all’attracco con la Iss): con il nuovo programma la capsula volerà di nuovo in completa autonomia e verrà utilizzata come avvenuto in passato con le Gemini, anche se con molte differenze dovute all’evoluzione tecnologica. Se all’epoca gli astronauti potevano essere solo due e costretti in un volume ristretto, sulla Dragon le cose sono diverse. L’equipaggio della nuova navicella spaziale è composto da quattro astronauti, che monitorano e controllano la Dragon grazie a tre grandi touch screen. Addio alle decine di pulsanti, a leve e interruttori. La prima missione di Polaris è stata fissata per la fine del 2022 e gli obiettivi da raggiungere sono ambiziosi.
L’ALBA DEL PROGRAMMA Inspiration4 è stata una prova generale, con un equipaggio composto da persone comuni; per la missione inaugurale del nuovo programma, SpaceX ha optato per l’invio di esperti.
La spedizione è stata denominata Polaris Dawn e permetterà all’azienda di stabilire nuovi primati.
Il comandante della missione sarà per la seconda volta Isaacman, come accaduto per Inspiration4. In poco più di un anno volerà due volte nello spazio. Questa volta, però, non sarà l’intero finanziatore, visto che i costi saranno sostenuti con SpaceX.
Ad accompagnare Isaacman sarà Scott Poteet, tenente colonnello dell’aeronautica degli Stati Uniti.
L’equipaggio sarà completato da due dipendenti di SpaceX: Sarah Gillis, capo ingegnere delle operazioni spaziali, che si è occupata dell’addestramento degli equipaggi delle missioni Demo-2, Crew-1 e la stessa Inspiration4; e Anna Menon, capo ingegnere delle operazioni
spaziali, che ha lavorato come direttore di missione e si è occupata delle comunicazioni con i diversi equipaggi. Polaris Dawn si spingerà ancora più lontano rispetto a quanto accaduto con Inspiration4 raggiungendo le fasce di Van Allen e con l’obiettivo di superare il record di altezza raggiunto durante Gemini XI, che toccò i 1319 chilometri. Proprio in onore del programma Gemini, nella patch di Polaris Dawn sono presenti 16 stelle, che rappresentano gli astronauti delle Gemini.
Il nuovo programma di SpaceX vuole studiare anche il comportamento del corpo umano in condizioni così estreme come quelle spaziali, ricavando dati sulle reazioni dovute alle radiazioni, uno dei maggiori pericoli (si vedano gli articoli a pagina 20 e 22). L’azienda potrà quindi verificare la schermatura offerta dalla struttura della Dragon Per la prima volta, inoltre, la capsula di SpaceX tenterà di utilizzare la mega costellazione Starlink per
l’invio di dati e per le comunicazioni. I nuovi satelliti che stanno venendo lanciati sono dotati di sistema per la comunicazione laser ed è proprio questo tipo di connessione che verrà sfruttato dalla Dragon
La vera novità, però, sarà la passeggiata spaziale in programma per uno degli astronauti: come fecero Edward White durante Gemini IV e Alexei Leonov prima di lui con Voskhod 2 nel 1965, un membro di Polaris Dawn uscirà all’esterno della capsula. Siccome la Dragon non è dotata di un airlock, l’intera cabina sarà depressurizzata e tutto l’equipaggio sarà esposto all’ambiente spaziale. Solamente uno godrà tuttavia il privilegio di poter uscire.
Affinché l’equipaggio sopravviva SpaceX ha dovuto sviluppare delle nuove tute migliorando quelle utilizzate finora. C’è una differenza tra quelle progettate per le attività intra veicolari e quelle extra veicolari. Le nuove tute di SpaceX non avranno l’autonomia di quelle disponibili sulla
Iss, ma saranno collegate alla capsula mediante un cordone ombelicale, proprio come accadeva sessant’anni fa. La compagnia di Musk procede a piccoli passi, sviluppando e testando un elemento alla volta per migliorarne la versione successiva. Per questo le nuove tute vanno considerate una prima versione di ciò che vedremo al termine del programma. Tutte queste conoscenze verranno quindi sfruttate per lo sviluppo finale della Starship nella sua versione per il trasporto umano. Costretto a terra da questioni più burocratiche che tecniche, il nuovo razzo deve ancora affrontare il suo debutto extraatmosferico.
I VOLI DEL 2022 DI SPACEX
Se tutto procederà come previsto, l’azienda di Musk effettuerà tre diverse missioni con equipaggio nel corso di quest’anno. Oltre alla partenza di Samantha Cristoforetti con Crew-4 e a Polaris Dawn, vedremo la Dragon portare sulla Iss anche l’equipaggio di Ax-1. Sarà questa la prima missione totalmente privata diretta verso la Stazione spaziale, organizzata dall’azienda americana Axiom Space Al momento di andare in stampa, la partenza di Ax-1 era ancora fissata per la fine di marzo, ma il precario equilibrio internazionale potrebbe nel frattempo aver costretto l’azienda a cambiare i piani, in attesa di un periodo più tranquillo. In un anno, comunque, SpaceX potrebbe portare a termine tre spedizioni con astronauti completamente diverse tra loro. Ax-1 e Crew-4, dirette alla Iss, avranno infatti durate differenti. Con la prima gli astronauti rimarranno in orbita per circa dieci giorni, nel secondo caso sei mesi.
» Le Starship di SpaceX dovrebbero avere un ruolo centrale nella prossima avventura lunare.Il 3 febbraio scorso SpaceX ha imparato, a proprie spese, quanto siano importanti lo studio e il monitoraggio dello space weather. Giusto come facciamo noi quando, prima di uscire di casa, guardiamo le previsioni meteo per decidere se sia il caso di portare l’ombrello, prima di svolgere qualsiasi attività nello spazio è buona norma controllare l’attività solare. La meteorologia spaziale, infatti, è governata dal Sole, una stella generalmente tranquilla ma che, occasionalmente, produce spettacolari esplosioni superficiali chiamate Coronal Mass Ejection (Cme), durante le quali viene liberata una enorme quantità di energia sotto forma di particelle accelerate che si propagano nello spazio interplanetario. Sono queste emissioni di energia che determinano la meteorologia spaziale. Dal momento che a noi interessa il rapporto tra l’attività solare e la Terra, diciamo subito che non tutte le Cme raggiungono il nostro Pianeta. Il moto delle particelle solari nello spazio interplanetario segue percorsi che descrivono larghe spirali controllate dal campo magnetico. Perché una Cme arrivi a colpire la Terra occorre che le particelle viaggino su un’autostrada magnetica diretta verso di noi, una circostanza che capita abbastanza di rado. Quando i satelliti che studiano il Sole come Soho, Sdo oppure Stereo rivelano una Cme, possiamo prevedere se (e quando) lo sbuffo di particelle ci colpirà. Questo è possibile perché i fotoni che ci fanno “vedere” l’esplosione viaggiano in linea retta alla velocità delle luce e impiegano 8 minuti a coprire i 150
milioni di chilometri che separano la Terra dal Sole, mentre le particelle vanno un pochino più lente e ci mettono qualche giorno. È quello che è successo il 30 gennaio, quando una macchia solare (che aveva quadruplicato la sua superficie in pochi giorni) ha prodotto una Cme di media intensità. Vista la posizione della Cme sulla superficie del Sole, le previsione dicevano chiaramente che le particelle solari avrebbero raggiunto la Terra il 2 febbraio, quando ci si aspettava una tempesta solare di modeste proporzioni
Davanti a una previsione di questo tipo bisogna preoccuparsi? Per chi vive sulla Terra la risposta è no, al più si potranno verificare delle aurore boreali. La situazione cambia radicalmente se siete un astronauta sulla Stazione spaziale internazionale, dove è assolutamente sconsigliabile fare attività all’esterno per non rischiare di prendere una dose di radiazione extra, oppure se vi apprestate a effettuare un lancio, perché l’iniezione di energia da parte del Sole non lascia indifferente la nostra atmosfera, che si gonfia cambiando il suo profilo di densità. Si tratta di una parametro molto critico quando si vogliano inserire dei satelliti in orbita bassa dove l’atmosfera, seppure molto rarefatta, c’è ancora.
Incuranti del fatto che il 2 febbraio la Terra fosse stata investita da una tempesta solare, SpaceX il giorno successivo decide di lanciare 49 Starlink, che vengono rilasciati, uno dopo l’altro, all’altezza di 210 chilometri. È una quota molto più bassa di quella operativa di 500 chilometri, che è stata scelta come
misura cautelativa. In caso un satellite non superasse i primi test orbitali, dalla quota di 210 chilometri è facile de-orbitarlo per farlo bruciare nell’atmosfera senza lasciare in giro detriti spaziali. Tuttavia, quella che è considerata la procedura standard in caso di Sole tranquillo, si è rivelata disastrosa il 3 febbraio, quando l’atmosfera era più densa del solito a quell’altezza e l’attrito è stato un killer. Dal centro di controllo di SpaceX se ne sono accorti e hanno tentato di fare volare gli Starlink (che sono piatti come dei grandi tavoli) di taglio, in modo da presentare la minor superficie possibile. C’è stato tuttavia poco da fare:
40 dei 49 satelliti non sono sopravvissuti e sono rientrati bruciando nell’atmosfera. Inquadra il QR per un video che riprende presumibilmente il rientro di uno Starlink visto il 7 febbraio sopra Puerto Rico.
Risultato? Una perdita economica di un centinaio di milioni di dollari, che ha insegnato a SpaceX che con il Sole non si scherza, specialmente adesso che l’attività, legata al ciclo undecennale del Sole, è in crescita molto decisa. Prima di decidere la quota del rilascio dei satelliti, meglio dare un occhio a Spaceweather.com per rendersi conto di quale sia il tempo spaziale.
Per capire l’importanza dell’influenza dell’attività solare, pensiamo che la Cme del 30 gennaio è stata relativamente poco energetica. Il Sole può fare di molto meglio! Ne abbiamo parlato sul n. 26 di Cosmo con la descrizione dell’utilizzo di una maxi tempesta solare per fare la datazione precisa di un insediamento Vichingo a Terranova. La tempesta solare del 993 d.C., così chiaramente visibile negli anelli di crescita degli alberi in giro per il mondo, non ha disturbato gli umani. La stessa cosa non sarebbe vera se una tempesta simile avvenisse oggi.
È la dipendenza dalla tecnologia che abbiamo sviluppato negli ultimi
» Esempio di una Cme particolarmente spettacolare perché è avvenuta vicino al limbo del disco solare permettendoci di ammirare la splendida struttura ad arco (cortesia Nasa).» Esempio di studio congiunto del Sole da parte di Sdo (che guarda la fotosfera) a sinistra e Soho (che studia la corona) al centro e a destra con due strumenti diversi. Si vede una Cme che emerge dalla superficie del Sole e si espande nella corona per poi propagarsi nello spazio interplanetario. Il dischetto bianco delle immagini di Soho rappresenta le dimensioni del Sole la cui radiazione è bloccata per permettere la visione di quello che avviene tutt’attorno (cortesia Nasa ed Esa).
decenni a renderci sempre più vulnerabili all’attività della nostra stella. Le particelle solari possono disturbare e, come abbiamo visto, danneggiare in modo irreparabile i satelliti. Le stesse particelle, una volta penetrate nell’atmosfera, possono causare correnti parassite lungo le linee di alta tensione, scaldando fino a fondere i magneti dei trasformatori, che sono alla base del sistema di distribuzione dell’energia elettrica. Un trasformatore inutilizzabile ferma la distribuzione e il black out è inevitabile. Non sono cose che succedono tutti i giorni, ma non sono così rare: nel 1989 il sistema di distribuzione dell’energia elettrica in Quebec è stato messo KO da un evento solare intenso, ma certo non paragonabile a quello registrato il primo settembre del 1859, che è entrato nei libri di storia come il primo esempio di
brillamento solare responsabile di un danno tecnologico. Le correnti parassite danneggiarono le linee del telegrafo (alcuni pali si incendiarono) e fecero anche prendere la scossa a molti operatori. La aurore boreali vennero viste fino in Florida. Anche se resta vero che le regioni più vicino ai poli sono le più colpite, la rete di distribuzione dell’energia elettrica è così interconnessa che un problema in Canada può avere conseguenze su gran parte degli Stati Uniti. L’eventualità di un black out prolungato a New York, oppure di seri problemi con i satelliti Gps, che forniscono la temporizzazione
di ogni transazione finanziaria sul Pianeta, farebbe saltare il mercato a livello mondiale. Gli analisti sono unanimi nel sostenere che gli effetti economici di una tempesta solare particolarmente intensa sarebbero dell’ordine del trilione di dollari. Meglio, molto meglio cercare di prevenire, irrobustendo i trasformatori e migliorando la rete di monitoraggio del Sole per riuscire a individuare le Cme più pericolose. In caso di pericolo, meglio spegnere i satelliti in orbita e ricorrere a un black out preventivo, per lasciare passare la sberla di energia a impianti spenti ed evitare danni ai trasformatori. Non sappiamo quando e se ci sarà una grande tempesta solare, ma sappiamo che, presto o tardi, arriverà ed è meglio essere preparati. Mentre rimane vero che in cima alle nostre preoccupazioni deve esserci un evento di portata eccezionale, la disavventura di SpaceX insegna che anche quelli medi possono creare qualche problema, specialmente a chi non abbia considerato che viviamo con una stella. Oggi più che mai, sopravvive chi si premunisce e progetta i sistemi “sensibili” tenendo conto delle peggiori condizioni che è ragionevole aspettarsi.
NAZIONALE DI ASTROFISICA (INAF) E LAVORA ALL’ISTITUTO DI ASTROFISICA SPAZIALE E FISICA COSMICA DI MILANO.
Questo non significa essere al riparo da tutto: eventi eccezionalmente violenti, ma altrettanto rari, potranno sempre fregarci. Tuttavia, avere fatto dei piani sarà servito a chiarirsi le idee, anche se, al momento buono, i piani saranno sicuramente da buttare. A questo proposito vale sempre l’insegnamento di Dwight D. Eisenhower “In preparing for battle I have always found that plans are useless, but planning is indispensable”.
SPACE ECONOMY *PATRIZIA CARAVEO È DIRIGENTE DI RICERCA ALL’ISTITUTOSEMPRE
PIÙ VELOCI, SEMPREPIÙ LONTANO
UNO SGUARDO AL FUTURO DELLA PROPULSIONE SPAZIALE, A COMINCIARE DA QUELLA NUCLEARE
Viaggiare nel Sistema solare e oltre i confini del nostro sistema planetario. Per andare a esplorare quei pianeti simili alla Terra, che stiamo scoprendo attorno ad altre stelle. Quando sarà possibile? E, soprattutto, con quali metodi di propulsione?
Negli anni Sessanta e Settanta, i progetti Orion e Daedalus erano già basati su principi concreti di propulsione spaziale, ma lontani dal concetto della propulsione chimica tradizionale, che può portare un’astronave in tempi ragionevolmente brevi al massimo su Marte. All’epoca, la Nasa sperimentò nel deserto del Nevada il motore nucleare Nerva (Nuclear Engine for Rocket Vehicle Application), che fornì risultati promettenti, ma venne tralasciato nel 1974, per ragioni politiche più che tecnologiche. Era il primo passo del grande sogno di Wernher von Braun (e non solo) subito dopo la “conquista” della
Luna: portare uomini su Marte sfruttando la “finestra” vantaggiosa del 1982. Oggi Orion e Daedalus non esistono più e Nerva è rimasto in un cassetto, ma figli e nipoti di questi progetti non mancano: “L’unico modo per viaggiare nello spazio veloci è realizzare nuovi metodi di propulsione, da utilizzare direttamente oltre l’atmosfera”ci dice Luca Derosa, ingegnere aerospaziale e autore di un libro, pubblicato di recente da Carocci, intitolato La propulsione spaziale avanzata
Derosa, classe 1977, si è laureato al Politecnico di Torino con tesi svolta in Thales Alenia Space e master negli Stati Uniti. Oggi è consulente nell’ambito della propulsione spaziale, docente su sistemi spaziali innovativi, e ha preso in esame circa cinquanta metodi di propulsione, da quelli già oggi realizzabili, dopo una fase di sperimentazione, a quelli che ancora sembrano più vicini alla fantascienza.
Vediamone alcuni, partendo dal più promettente ed efficace: la propulsione nucleare.
PROPULSORI NUCELARI
AD ALTA ENERGIA
“I sistemi che sfruttano l’energia nucleare sono quelli che reputo più concretamente realizzabili, e in tempi relativamente brevi, per inviare astronavi in viaggio nel Sistema solare e oltre” - commenta Derosa. “Tra i tanti, ritengo che quello a microbombe a fusione nucleare sia uno dei più importanti, basato su progetti del fisico Freeman Dyson del 1968. Lo stesso vecchio progetto Orion si basava su bombe, ma a fissione. Ovviamente, si tratta di sistemi che verrebbero azionati nello spazio, possibilmente lontano dalla Terra. In ogni caso, non rappresentano un particolare pericolo, nemmeno per gli abitanti di un’astronave”. “È un sistema che prevede l’esplosione di piccole bombe nucleari, il cui processo di
fusione è innescato da un fascio laser inviato dalla stessa astronave, che così trasformano il propellente solido presente attorno a esse in velocissimo plasma in grado di produrre in modo non continuo una spinta notevole. Tale da far diminuire drasticamente i tempi di viaggio di un’astronave diretta, per esempio, verso la stella Proxima Centauri, che si trova a
circa 4,24 anni luce da noi.
Ci si arriverebbe in 50 anni. È molto? Vero, ma con un sistema di propulsione tradizionale ce ne vorrebbero centinaia...”.
Ci sono inoltre i propulsori elettrici al plasma, il quarto stato della materia (formato da particelle ionizzate ed elettroni in una sezione del motore). Il flusso accelerato da
un campo elettromagnetico può raggiungere le centinaia di chilometri al secondo quanto a velocità di scarico.
I primi studi sono di fine anni Cinquanta, ma oggi si registra un ritorno d’interesse, poiché questo tipo di propulsione fornisce spinte più elevare rispetto ai motori ionici, già in uso da tempo.
SPACE ECONOMY » Sopra: immagine di fantasia di un’astronave con “motore a curvatura”, il cosiddetto warp drive. » Luca Derosa, docente di sistemi spaziali innovativi.VERSO LA FANTASCIENZA. O FORSE NO
L’antimateria è di grande attualità. Anche in campo astronautico. Sfruttandola, si riuscirebbe a ottenere una quantità enorme di energia, superiore a quella della fusione nucleare: “Per dare un’idea” - dice Derosa - “l’annichilazione di un grammo di idrogeno e antiidrogeno sviluppa un’energia pari a quella della bomba di Hiroshima, oppure quella di 23 serbatoi di combustibile dello Space shuttle”.
Ma le quantità realmente producibili di antimateria sono ancora piccole rispetto ai valori richiesti da una missione di un’astronave interstellare, e rappresentano un ostacolo alla realizzazione, almeno in un prossimo futuro, di una concreta missione che utilizzi propulsione ad antimateria. Nel frattempo questi metodi di propulsione, almeno a livello progettuale, si moltiplicano: dal razzo a fotoni concepito negli anni Cinquanta al propulsore ad antimateria termico con nocciolo duro oppure gassoso. Tutti in gara per sviluppare i propulsori che spingeranno, in un futuro chissà quanto remoto, le astronavi come quelle di Star Trek
Il metodo di propulsione a microbombe a fusione è valido, naturalmente, sia per missioni di ipotetiche astronavi con equipaggio, ma anche per sonde robotiche: “Di certo – continua Derosa - così come un innovativo metodo a vela In questo caso il sistema è costituito da una vela del diametro di cinque metri e sfrutta l’antimateria e la fissione per viaggiare nello spazio. La vela è composta da strati molto sottili, in fibra di carbonio
quello esterno e uranio 238 quello interno. Da un serbatoio a bordo dell’astronave vengono lanciati antiprotoni contro la parte interna, per far avvenire l’annichilazione con l’uranio, la quale innesca di conseguenza la fissione. Questo metodo è allo studio di una società, la Hbar Technologies, che ha lavorato anche a ulteriori tecniche innovative. Non è un sistema pensato per raggiungere grandi velocità nello spazio, ma un metodo innovativo per viaggiare con ampio risparmio di propellente”.
Il futuro più vicino alla fantascienza?: “Ho preso in esame i metodi
*ANTONIO LO CAMPO È UN GIORNALISTA SCIENTIFICO, SPECIALIZZATO IN AEROSPAZIO. COLLABORA CON DIVERSE TESTATE NAZIONALI.
attualmente allo studio” - risponde - “dalla propulsione a curvatura di Alcubierre ai celebri wormholes, i tunnel spazio-temporali. Non a caso la fantascienza, film e romanzi, li hanno già ben sfruttati. Chissà che un giorno non diventino realtà, così come è diventato realtà un viaggio sulla Luna, meno di cent’anni dopo il romanzo di Jules Verne”. In un epoca in cui abbiamo ancora difficoltà a raggiungere Marte, questi sono i sistemi di cui è più plausibile la realizzazione?: “Sì. Con sistemi innovativi di propulsione dovremmo anche raggiungere il Pianeta rosso” - precisa Derosa - “Possiamo farlo in otto mesi con la propulsione chimica tradizionale, ma un metodo che porta gli astronauti a Marte in poche settimane consentirebbe loro di arrivarci in condizioni psico-fisiche ottimali”.
ANTONIO LO CAMPO » Progetto di una astronave ad antimateria della Nasa.ARACHNE:
DA FANTASCIENZA A REALTÀ
Spazio 1999, l’iconica serie televisiva britannica di Sylvia e Gerry Anderson sull’equipaggio della base lunare Alpha, potrebbe presto diventare realtà. Almeno nella prima parte, quella in cui la Luna ospita un centro di ricerca scientifica.
La navigazione umana nello spazio, infatti, sta raggiungendo traguardi inaspettati e in tempi brevissimi. Ciò grazie a una serie di fattori che vanno dallo sviluppo di nuove tecnologie all’abbattimento dei costi, fino alla moltiplicazione dei player nel settore, ormai non più solo a livello statale. Ne sono esempi eclatanti i recenti lanci commerciali della Inspiration4 di SpaceX, di Virgin Galactic e Blue Origin, che hanno aperto le porte al turismo spaziale. Sul versante militare e della ricerca, però, si lavora già a un nuovo progetto: aprire basi operative avanzate (Fob). Strutture simili a
quelle sulla Terra, dove operano civili e militari per monitorare un settore o portare a termine una missione. L’idea, che prende spunto dai tanti film e telefilm in cui i protagonisti erano gli ““avamposti” della Terra, presenta però un problema fondamentale nella realtà: come far sì che le “Fob spaziali” possano funzionare in autonomia e il personale all’interno vivere “quasi” normalmente riducendo i rischi per l’incolumità nel caso in cui i rifornimenti non arrivino in tempo o finisca l’energia. Gli Stati Uniti hanno trovato una
soluzione, per il momento allo stato embrionale: la missione Arachne: si tratta di una costellazione di satelliti in gradi di immagazzinare l’energia solare e poi inviarla a chi serve, sia una base o una navicella spaziale. Di fatto, come ricorda anche il nome dell’iniziativa, sarà una “tela di ragno” costituita da dinamo che ruotano attorno alla Terra e che sfruttano la forza delle radiazioni, non filtrata dalla nostra atmosfera. Arachne fa parte del programma Space Solar Power Incremental Demonstrations and Research (Sspidr) dei laboratori di ricerca della Us Air Force. È un insieme di progetti legati alla tecnologia dei satelliti solari multi-ruolo. Lo studio per la “tela di ragno” è cominciato nel 2018 ed è già riuscito in un’impresa epica, cioè convertire l’energia delle radiazioni solari mediante l’uso di un “sandwich”, un pannello a due strati: il primo, fotovoltaico,
*FRANCESCO BUSSOLETTI È GIORNALISTA PROFESSIONISTA E INVIATO DI GUERRA EMBEDDED IN DIVERSE AREE DI CONFLITTO. DAL 2003 SI OCCUPA DEI TEMI LEGATI ALLA DIFESA E ALLA SICUREZZA, A CUI NEGLI ULTIMI ANNI HA AGGIUNTO LA CYBERSECURITY E LO SPAZIO.acquisisce l’energia solare e la trasferisce al secondo, alimentandolo anche. Quest’ultimo, invece, è dotato di diversi componenti che trasformano l’energia in onde radio, che poi vengono “lanciate” verso gli utenti. Il prossimo passo sarà il lancio di un satellite sperimentale, basato sul modello Helios, che porterà a bordo lo Space Solar Power Radio Frequency Integrated Transmission Experiment (Ssprite) per immagazzinare e convertire l’energia solare. Questa, peraltro, potrebbe essere trasferita ai destinatari in vari modi, tra cui potenti raggi a microonde o ottici, stile Star Trek o Star Wars. Chi non ricorda il raggio traente che aggancia il Millennium Falcon e lo porta all’interno della Morte nera?
Parallelamente si sta lavorando alla
costruzione di un “sandwich” più grande: un pannello formato da nove strati invece che da due, che dovrebbe essere montato a bordo del satellite lanciato in orbita. Servirà non solo per testare “sul campo” la reale efficacia degli accumulatori, ma anche per capire la reale precisione del raggio di trasferimento dell’energia RF verso un’antenna satellitare, che simula il destinatario. L’unico neo in questa storia che trasforma la fantascienza in realtà sono i tempi: il lancio del satellite che dovrà effettuare tutti i test di Arachne era previsto in origine per il 2024, in modo da dare ai tecnici il tempo necessario per sviluppare il “sandwich a nove strati”. La data, però, è stata posposta all’inizio del 2025, a causa di difficoltà di trovare uno slot libero per l’orbita terrestre
bassa. Sembra, infatti, che siano tutti occupati. Inoltre, l’invasione russa in Ucraina ha complicato la situazione. Per evidenti ragioni, tutti gli spazi sono stati acquisiti a scopo strategico o militare, in caso la situazione dovesse degenerare ancora. Un eventuale conflitto su scala più ampia coinvolgerebbe anche lo spazio e gli Stati Uniti devono essere pronti a qualunque evenienza. Parafrasando l’avvocato mafioso nel film Johnny Stecchino, oggi il problema più grande per Arachne è “il traffico”. Una volta risolto e quando il sistema sarà a regime, potremo vedere alberi di natale illuminati anche sulla Luna. Nel frattempo, nel 2023, verrà portato a bordo della Stazione spaziale internazionale l’esperimento Space Power Infrared Regulation and Analysis of Lifetime (Spirral), che punta a valutare le tecnologie di gestione termica, in quanto le radiazioni solari, oltre a essere una risorsa, sono anche un problema per l’elettronica sensibile a bordo dei satelliti e dei dispositivi spaziali. Il progetto analizzerà il “tempo di vita” degli apparati esposti alle radiazioni e le cause. L’obiettivo è usare i dati raccolti per sviluppare nuove tecnologie che li allunghino migliorando allo stesso tempo la sicurezza sia dei dispositivi sia del personale che li utilizza. Tutto serve per agevolare ulteriormente la navigazione umana nello spazio, che da fantascienza è diventata fatto quotidiano e che presto potrebbe raggiungere nuovi traguardi, grazie alla nuova vita che il settore dello spazio ha cominciato a vivere. Ancora, “l’unico” problema ancora irrisolvibile, come d’altronde sulla Terra, è quello del traffico.
SPACE ECONOMY » Una visualizzazione e alcuni schemi tecnici di Arachne la costellazione che promette di immagazzinare l’energia solare per inviarla dove neccessario ARACHNEMESTIERI
DELLA (NEW) SPACE ECONOMY
Lo spazio è un laboratorio straordinario, le cui condizioni non sono replicabili sulla Terra. Questo genera relazioni complesse fra le infrastrutture spaziali, le competenze connesse al loro utilizzo e pressoché tutti i principali domini scientifici e tecnologici, a cominciare dal novero straordinariamente ramificato riassunto dal concerto di life support.
Sostenere la vita nello spazio, certo, per consentire alla nostra specie di sopravvivere e, un giorno, prosperare lontano dalla superficie del nostro Pianeta. Soprattutto, però, sostenere la vita attraverso lo spazio, generando un progresso della ricerca medica, della ricerca farmaceutica, persino di quella legata alla produzione di cibo, attraverso esperimenti scientifici condotti oltre l’atmosfera. Fedeli alle consegne di questa rubrica, di ridurre l’orizzonte di opportunità offerte dalle tecnologie a esempi concreti,
racconteremo di un esperimento a guida italiana, il progetto Neptune, finanziato dall’Esa con una misura di supporto agli esperimenti scientifici condotti sulla Stazione spaziale internazionale, ma che avrà altri due, straordinari, laboratori a disposizione: i sottomarini della Marina militare italiana, fra i promotori del progetto, coordinato dall’Università di Firenze, e la base italo-francese Concordia, in Antartide.
La permanenza nello spazio genera una vasta gamma di alterazioni che possono condurre a patologie croniche anche gravi. Esse hanno un’eziologia complessa, che va dall’isolamento all’esposizione alle radiazioni, fino allo stress psicofisico alla microgravità. La combinazione di questi elementi induce, attraverso effetti primari e secondari, l’insorgere di patologie croniche, di alterazioni del sistema immunitario, del microbiota e dei processi metabolici, oltre ad accelerare l’invecchiamento. Molti di questi effetti sembrano
essere direttamente associati a una condizione di infiammazione di basso grado (Lgi), il cui impatto, però, non è stato chiarito in termini quantitativi. Il monitoraggio comparato degli astronauti, dei sommergibilisti e dei ricercatori di stanza a Concordia consentirà di isolare gli effetti legati all’esposizione alle radiazioni e alla microgravità, peculiari dello spazio, da quelli legati all’isolamento e allo stress psicofisico, che accomunano, invece, le tre situazioni. L’obiettivo dell’esperimento è accrescere la conoscenza degli effetti sul corpo umano in caso di lunghe permanenze nello spazio, monitorando le alterazioni patofisiologiche e gli stati infiammatori e definendo dei modelli di relazione con l’insorgenza di malattie gravi. Si tratta di una conoscenza che ha certamente un riverbero significativo anche sul benessere a Terra (o qualche lega sotto i mari), ma il fallout tecnologico non si limita a questo.
Per garantire un monitoraggio significativo e costante dei soggetti coinvolti, infatti, il consorziocostituito, in aggiunta ai partner citati, dalle Università di Siena e di Milano, dall’Università Lmu di Monaco e dall’Université Libre de Bruxelles - dovrà definire nuovi marcatori sia per valutare le condizioni, sia per misurare la reazione alle terapie. Le misurazioni dovranno svolgersi in maniera costante e in un’accezione piuttosto radicale di “remoto”, visto che la Stazione spaziale internazionale orbita a 400 chilometri sopra le nostre teste, la base Concordia è a 1000 chilometri dal più vicino insediamento umano e i nostri sommergibili effettuano operazioni di pattugliamento che durano decine di giorni senza affiorare. Sarà necessario, quindi, adottare dispositivi e metodologie in grado di replicare, in spazi angusti e con poco peso, le complesse tecnologie dei laboratori d’analisi. Un ruolo fondamentale è interpretato dal machine learning: non solo i dati forniti consentiranno di addestrare degli algoritmi a proiettare simulazioni di rischio, potenziando le capacità di prevenzione e di early warning, ma la tecnologia aiuterà a filtrare i dati, rendendo sempre più affidabile il monitoraggio in remoto.
*DOMENICO MARIA CAPRIOLI
È PARTNER DI YOURSCIENCEBC LTD, ATTIVA NELLA RICERCA SULLE APPLICAZIONI SPAZIALI E SULLE TECNOLOGIE DI FRONTIERA, CON LA QUALE - OLTRE ALL’ATTIVITÀ DI RICERCA - FORNISCE CONSULENZA A ISTITUZIONI E AZIENDE INTERESSATE A COMPRENDERE LE OPPORTUNITÀ LEGATE ALLO SPAZIO E ALLA RICERCA.
Dal progetto Neptune non ricaveremo, dunque, solo una migliore conoscenza e dei modelli predittivi per simulare le condizioni di salute degli astronauti durante il viaggio verso Marte; chiariremo le relazioni fra alcune condizioni di alterazione e l’insorgere di malattie gravi, approfondiremo il ruolo che l’isolamento e lo stress giocano su tali condizioni patologiche, accresceremo la nostra capacità diagnostica, identificando marcatori sempre più precisi. Non solo.
Lo sviluppo di tecnologie diagnostiche per lo spazio accelera fortemente la maturazione di sistemi di medicina personalizzata, con strumentazioni piccole e affidabili, che potranno essere disponibili anche a livello domiciliare, e con sistemi di processazione dei dati, sempre meglio addestrati, in grado di filtrare le informazioni, riducendo i sovraccarichi informativi e rendendo l’assistenza sanitaria più snella ed efficiente.
Risolvere problemi per lo spazio, nello spazio, è la quintessenza della progettazione per vincoli: la grande complessità, il gran numero di condizionamenti, generano un’enorme quantità di conoscenza collaterale e di tecnologia, che può essere efficacemente sfruttata in altri contesti. Il progetto Neptune offre un bell’esempio dei vantaggi della ricerca, in un contesto di cooperazione internazionale a guida italiana. Nelle prossime rubriche considereremo altri esempi per illuminare ulteriori domini, associati al life support, e spiegare come e in quale misura la ricerca per lo spazio è soprattutto una ricerca per la Terra
SPACE ECONOMYINDIZI
BIOLOGICI
DA MARTE
IL CARBONIO RACCOLTO DA CURIOSITY PRESENTA DISTRIBUZIONI ISOTOPICHE SIMILI A QUELLE DEGLI ORGANISMI TERRESTRI
In natura sono presenti due tipologie di carbonio: il C12 (carbonio-12), formato da un nucleo di sei protoni e sei neutroni, circondato da sei elettroni, e il C13, il cui nucleo ha un neutrone in più. Siccome è il numero di elettroni che determina le proprietà chimiche primarie di un elemento, il C12 e il C13 si trovano nella stessa posizione sulla tavola periodica degli elementi e quindi si definiscono isotopi (“stesso posto”). A questi due isotopi stabili, si aggiunge infine l’isotopo instabile C14, con 8 neutroni, presente solo in tracce. In natura il C13 è presente per l’1,11%, ma negli organismi viventi presenta inspiegabilmente una quantità ancora minore. Un criterio, quindi, per capire se una molecola carboniosa è naturale o biologica è quello di verificarne l’impoverimento in C13 rispetto al rapporto naturale. Per convenzione, il tenore di C13 di una certa sostanza viene calcolato
come spostamento δC13 ‰ rispetto al rapporto standard denominato Pdb (Pee Dee Belemnite), che fa riferimento al carbonio del carbonato di calcio assimilato in un fossile marino cretacico, la Belemnitella americana, ritrovato nella Pee Dee Formation in Carolina del Sud. Nei composti organici non biologici, il δC13 presenta valori prossimi a zero. Invece, negli organismi viventi e nelle molecole derivanti dalla decomposizione di antico materiale biologico la δC13 è sempre nettamente negativa. In sedimenti molto antichi, come nella formazione Tumbiana, trovata in Australia nordoccidentale e risalente a 2,7 miliardi di anni fa, raggiunge il valore di -60‰.
LE INDAGINI DI CURIOSITY NEL CRATERE GALE
Questa premessa è indispensabile per comprendere la portata della recente scoperta effettuata su Marte,
TEMA DEL MESE » Il cratere marziano Gale (154 km di diametro), dove si aggira il rover Curiosity della Nasa, ripreso dallo strumento Themis della sonda Mars Odyssey della Nasa. I “falsi colori” dell’immagine esaltano le diversità geologiche del terreno. Al centro si erge il picco del monte Sharp.TEMA DEL MESE
grazie alle indagini del rover Curiosity della Nasa. Non solo la scoperta di molecole organiche, come già avvenuto anche nel cratere Jezero indagato dal rover Perverance (vedi le Space News del n. 25 di Cosmo). Nel cratere Gale, in terreni risalenti a 4 miliardi di anni fa, sono state trovate molecole carboniose molto impoverite di C13. Questi ritrovamenti sulla Terra verrebbero subito interpretati come testimonianze di molecole biologiche e per questo stanno suscitando grande interesse e forti discussioni. Lo strumento responsabile della scoperta è lo spettrometro infrarosso a laser Tls (Tunable Laser Spectrometer), che fa parte del laboratorio Sam a bordo di Curiosity, al lavoro dall’agosto 2012 in un antico fondale lacustre pieno di sedimenti. Il Tls è costituito da una camera cilindrica lunga 20 cm,
entro cui sono inviati dei campioni gassosi che vengono poi scansionati avanti e indietro per 80 volte da un raggio laser, conferendo al sistema l’eccezionale sensibilità di 1 ppb (una parte per miliardo).
Il Tls aveva inizialmente misurato il tenore di C13 nell’anidride carbonica dell‘atmosfera marziana, trovando un valore di δC13 nettamente positivo (43‰). Quando poi Curiosity fu testimone di alcune misteriose emissioni di metano (che poteva essere sia geologico che biologico), il Tls tentò invano di misurarne il δC13: il gas era troppo poco per permettere di visualizzarne la porzione con C13.
Intanto però, il laboratorio Sam aveva prelevato 24 campioni di suolo, scaldandoli in una fornace a 850 °C e inviando i gas emessi a uno spettrometro di massa per l’analisi. Questa procedura, definita Ega
(Evolved Gas Analysis), ha permesso di individuare molte molecole carboniose, specialmente frammenti molecolari kerogenici interessanti, perché si tratta di molecole di decomposizione batterica che si ritrovano sulla Terra in sedimenti molto antichi. Tra i gas svolti c’erano anche idrocarburi leggeri (specialmente metano), derivanti dalla disgregazione di molecole più complesse. Questi gas sono stati inviati al Tls, che riesce a distinguere il metano a base di C12 da quello a base di C13. I risultati sono stati sorprendenti: tutti i campioni mostravano un δC13 negativo. Siccome il metodo termico utilizzato potrebbe indurre una perdita di C13 anche del 50% (l’evaporazione predilige le parti più leggere), i ricercatori hanno deciso di prendere in considerazione solo i campioni con δC13 minore di -70‰. Questi campioni sono almeno sei, distribuiti soprattutto alle falde del monte Sharp. la montagna a strati situata al centro del cratere Gale, dove gli strati più bassi sono quelli più antichi. Precisamente, i campioni sono: CB (Cumberland, sul terreno sedimentario di Yellowstone Bay prossimo al punto di discesa di Curiosity), GB (Gobabeb, sul campo di dune Bagnold), RH (Rock Hall) e HF (HighField) sulla cresta di ematite Vera Rubin Ridge, HU (Hutton) e
*CESARE GUAITA LAUREATO IN CHIMICA E SPECIALIZZATO IN CHIMICA ORGANICA, HA LAVORATO COME RICERCATORE PRESSO I LABORATORI DI UNA GRANDE INDUSTRIA. È PRESIDENTE DEL GRUPPO ASTRONOMICO TRADATESE E DA OLTRE 25 ANNI CONFERENZIERE DEL PLANETARIO DI MILANO.
» Il materiale gassoso rilasciato da parecchi campioni prelevati da Curiosity sul sito di Cumberland mostra un δC13 anche inferiore a -100‰. A sinistra, lo spettro infrarosso di una delle analisi del Tls, dove le bande tipiche del metano a base di C12 sono nettamente distinte da quelle a base di C13.EB (Edinburg), nella formazione sedimentaria di Greenheugh, situata allo sbocco della Gediz Vallis, una grande spaccatura alla base del monte Sharp, entro la quale probabilmente esisteva un’importante attività fluviale. L’ipotesi biologica rimane primaria, anche perché i campioni che mostravano un forte difetto di C13 presentavano anche, nella contemporanea emissione di anidride solforosa, una strana penuria di S34, l’isotopo pesante principale dello zolfo naturale (S32). In ogni caso, gli autori della ricerca hanno voluto attenuare l’ipotesi biologica con altre due spiegazioni, per quanto forzate. La prima è legata al fatto che le Gmc (nubi molecolari giganti, composte di miscele di gas e polvere) sono
impoverite di C13 (nella meteorite di Allende c’è polvere interstellare con δC13 pari a -240‰) e sappiamo che il Sistema solare passa in una di queste nubi ogni 100 milioni di anni. Su Marte, già al limite della Fascia di abitabilità del nostro sistema planetario, il passaggio in una Gmc avrebbe innescato una diffusa glaciazione. Le polveri impoverite di C13 (e di S34) si sarebbero accumulate e concentrate sulla superficie del ghiaccio. Poi, quando i ghiacci si sono dissolti, queste polveri si sarebbero depositate sul terreno e da qui entrate in circolo. Una scenografia non impossibile, ma poco probabile e difficilmente dimostrabile, a partire dai pochi dati disponibili. Un secondo
meccanismo di impoverimento non biologico di C13 implicherebbe la sintesi di materia organica per azione della radiazione ultravioletta sull’anidride carbonica atmosferica, con produzione intermedia di formaldeide: un processo che, però non è mai stato valutato sperimentalmente, e che per di più partirebbe da un’anidride carbonica nettamente sfavorita, tenuto conto che quella marziana ha un δC13 pari a +43‰. Attendiamo dunque nuove misure: se nel prossimo futuro l’interno del cratere Gale sarà raggiunto da una quantità di metano sufficiente per permettere al Tls di valutarne la porzione in C13, è certo che molte delle incertezze attuali svaniranno.
TEMA DEL MESE » La formazione Greenheugh, alla base del monte Sharp, dove sono stati prelevati i campioni Hutton e Edinburg impoveriti di C13.DUE STELLE DI NEUTRONI
SONO MEGLIO DI UNA
LE PULSAR BINARIE SONO UN OTTIMO BANCO DI PROVA PER LA RELATIVITÀ GENERALE
Nel 1974 erano già state scoperte un centinaio di pulsar: benché non si fosse ancora interamente capita la fisica dei processi di emissione di queste “trottole cosmiche”, si era sicuri che si trattasse di stelle di neutroni isolate, rapidamente rotanti. Nessuno dubitava di ciò, dato che la presenza di una stella compagna avrebbe introdotto delle variazioni periodiche facilmente rivelabili nel segnale pulsato, che i radioastronomi sono in grado di misurare con precisione inferiore ai 100 microsecondi. Per esempio, se il Sole fosse una stella di neutroni pulsante, un radioastronomo da una stella lontana sarebbe in grado di rivelare la presenza di tutti i suoi pianeti.
LA PRIMA PULSAR BINARIA
Negli anni 70, tutti i grandi radiotelescopi del mondo scandagliavano il cielo alla ricerca di nuove pulsar e il grande (e
sensibilissimo) radiotelescopio di Arecibo era all’epoca lo strumento più ambito per queste ricerche. La prima pulsar binaria fu scoperta nel 1974 da Russell Hulse, un dottorando all’Università di Cornell, l’istituzione che in quegli anni era responsabile della gestione del
telescopio. All’epoca, le pulsar al millisecondo erano una delle ultime novità della ricerca astronomica e Hulse aveva avuto dal suo relatore Joe Taylor il compito di utilizzare la grande sensibilità di Arecibo per rivelarne di nuove. Così trovò la pulsar identificata
» A sinistra: lo schema del sistema di Hulse e Taylor con emissione di onde gravitazionali. In questa pagina un’immagine di fantasia di una pulsar nello spazio profondo.
dalla sigla PSR B1913+16, distante 21mila anni luce, che gli diede del filo da torcere. A volte il segnale c’era, altre volte no, oppure si presentava con caratteristiche un po’ diverse, come se la stella di neutroni che lo produceva si muovesse intorno a un altro oggetto celeste. Sospettando di avere scoperto la prima pulsar in un sistema binario, lo studente si precipitò a informare il suo professore usando un fortunoso (e scadente) ponte radio. Joe Taylor salì sul primo aereo per Arecibo, perché quel poco che aveva capito dalla disturbata conversazione lo aveva convinto che ci poteva essere qualcosa di molto interessante.
Studiando la variazione del periodo della pulsar, venne tracciata la curva della velocità radiale, la cui forma non sinusoidale denunciava che la stella di neutroni si muoveva su un’orbita eccentrica con un periodo di 7 ore e tre quarti e dimensioni
minori di quelle del nostro Sole, con una velocità che raggiungeva l’1 per mille della velocità della luce. Fissando la massa della pulsar al valore canonico di 1,4 masse solari, si ricavò che la massa della stella compagna poteva variare tra 1 e 2 masse solari, in funzione dell’inclinazione dell’orbita del sistema. Date le dimensioni ridottissime dell’orbita, la compagna non poteva essere una stella normale: era sicuramente un’altra stella di neutroni, il cui fascio di emissione non era però diretto verso la Terra, visto che si registrava una sola pulsazione.
LA SCOPERTA (INDIRETTA) DELLE ONDE GRAVITAZIONALI
Dopo le prime osservazioni della pulsar binaria, si comprese che un’orbita del genere doveva mostrare in modo macroscopico alcune
conseguenze della relatività speciale e generale. In effetti, sette anni di osservazioni continue fornirono il valore dell’avanzamento del periastro, la misura precisa della massa delle due componenti e la prima prova (indiretta) dell’esistenza delle onde gravitazionali, attraverso la misura del decadimento dell’orbita.
Mentre per Mercurio l’avanzamento del periastro è di 43 secondi d’arco al secolo, per PSR1913+16, appartenente a un sistema molto più compatto e massivo, l’avanzamento è di ben 4,2 gradi all’anno. Questa misura è molto importante poiché fornisce una misura della massa totale del sistema binario, che risulta essere pari a 2,8 masse solari, suddivise tre le due componenti di 1,43 e 1,40 masse solari rispettivamente. La relatività generale prevede che un sistema di questo tipo emetta energia sotto forme di onde gravitazionali.
» I sette radiotelescopi usati per l’osservazione della doppia pulsar PSR J0737-3039. In senso orario a partire dall’alto a sinistra: Effelsberg (Germania), Nançay (Nrt, Francia), Westerbork Synthesis (Wsrt, Paesi Bassi), Parkes (Australia), Jodrell Bank (UK), Very Long Baseline Array (Vlba, Usa), Green Bank (Gbt, Usa).La perdita di energia viene compensata con un rimpicciolimento dell’orbita, con conseguente diminuzione del periodo. Avendo a disposizione tutti i parametri orbitali e le masse delle componenti del sistema binario, si è potuto confrontare il valore previsto con quello misurato, e confermare quindi che il sistema perde energia attraverso onde gravitazionali.
Un risultato bellissimo che, oltre a portare Russel Hulse e Joseph Taylor a Stoccolma per ricevere il Nobel per la Fisica nel 1993, fornì la prima conferma (indiretta ma robustissima) dell’esistenza delle onde gravitazionali e convinse le agenzie finanziatrici a investire negli interferometri.
Il cammino è stato lungo, ci sono voluti oltre 40 anni prima di rivelare il segnale diretto del passaggio di un’onda gravitazionale (nel 2015, grazie agli interferometri Ligo negli Usa), ma, nel frattempo, i radioastronomi hanno continuato a cercare stelle di neutroni in sistemi binari.
A CACCIA
DI ALTRE BINARIE
Nel 2003 la collega Marta Burgay scoprì il primo (e finora unico) esempio di sistema binario formato da due stelle di neutroni entrambi pulsanti, note come PSR J0737-3029 A e B, distanti 1600 anni luce nella costellazione della Poppa.
La componente A è una pulsar velocissima che ruota 44 volte al secondo (periodo di 22,7 millisecondi), mentre la B è una pulsar classica, con un periodo di 2,77 secondi. Il periodo orbitale è di 147 minuti, meno di due ore e mezza. Si pensa che le pulsar velocissime siano riaccelerate
grazie all’accrescimento di materia ceduta dalla stella compagna, con il conseguente aumento del momento angolare (vedi l’articolo sugli esopianeti su Cosmo n. 26, ndr).
Allora è probabile che, nel sistema formato da stelle decisamente più massive del nostro Sole, sia esplosa per prima la supernova che ha generato la prima versione di A.
Solo dopo milioni di anni di anonimato, sarebbe avvenuta la sua accelerazione, grazie al contributo della materia sottratta alla stella progenitrice di B.
Poi è avvenuta l’esplosione della stella B, che ha lasciato una stella di neutroni più normale a formare un sistema binario di due stelle di neutroni in un’orbita lievemente eccentrica, percorsa in 2,45 ore.
Non è chiaro come sia esplosa la stella progenitrice di B, perché una supernova dovrebbe lasciare qualche “ricordo”, come un notevole moto proprio del sistema binario, che
invece non risulta presente.
Mentre i teorici si interrogano sulla genesi del sistema, la coppia di pulsar rimane comunque una combinazione perfetta per andare più a fondo nei test degli effetti relativistici, usando non uno ma due orologi superprecisi.
La scoperta della prima pulsar doppia non aveva interessato solo i radioastronomi. Il nostro gruppo a Milano aveva cercato di capire se una delle due pulsar, o entrambe, producessero anche un’emissione X. La risposta è stata positiva, ma c’è voluta un’osservazione molto lunga da parte del telescopio orbitale Xmm Newton per raggi X, per riuscire a rivelare le pulsazioni della velocissima A e della più lenta B, che emette solo in una frazione dell’orbita, probabilmente perché colpita dal vento di particelle relativistiche prodotto dalla pulsar A.
Per sfruttare al meglio le possibilità offerte da questa straordinaria combinazione di orologi cosmici,
» Una rappresentazione artistica della pulsar binaria PSR J0737-3029 A e B.ASTROFISICA
TROTTOLE COSMICHE
Il termine “pulsar” deriva da pulsating star (“stella pulsante”) e indica i corpi celesti in rapida rotazione, caratterizzati dall’emissione pulsata di onde radio. Le pulsar sono stelle di neutroni, risultanti dal collasso gravitazionale di stelle esplose come supernovae. La loro grande velocità di rotazione deriva dalle loro dimensioni limitate, in cui si è concentrato tutto il momento angolare della stella originaria.
L’emissione pulsata regolare è causata dall’inclinazione dell’asse di rotazione stellare rispetto all’asse del suo intenso campo magnetico (figura). Così, l’emissione dalle particelle accelerate dal campo magnetico rotante con la stella si verifica in una direzione privilegiata (“effetto faro”). Pertanto, se il fascio di radiazione non è diretto verso di noi, una stella di neutroni non si manifesta come pulsar. L’energia che occorre per effettuare l’emissione è fornita dall’energia di rotazione della stella: perciò il periodo di rotazione della pulsar diminuisce molto lentamente e con estrema regolarità, permettendo così di stimare la sua età.
il lavoro dei radioastronomi è stato lungo e accuratissimo. Per condurre la ricerca, hanno usato, a intervalli regolari, sette radiotelescopi per sedici anni. Il loro scopo era ottenere misure a diverse frequenze dello spettro radio, precisamente da 334 a 2520 megahertz, popolando una banca dati impressionante, che ha permesso di andare a fondo nella verifica delle previsioni della relatività generale.
EINSTEIN SOTTO ESAME
Utilizzando la pulsar binaria PSR J0737-3029 A e B, sono ben sette gli effetti relativistici che è stato possibile verificare; alcuni per la prima volta, mentre per altri sono stati migliorati i risultati ottenuti in precedenza. Per esempio, la misura della perdita di energia dovuta all’emissione di onde gravitazionali è stata misurata con una precisione 25 molte superiore a quanto fatto da Hulse e Taylor. Quanto alle novità, è stato possibile misurare come i fotoni radio emessi da una delle due pulsar si propagano all’interno del campo gravitazionale dell’altra. In questo si è visto come l’emissione, oltre a essere ritardata dalla curvatura dello spaziotempo intorno alla compagna, sia deflessa di un angolo di 2,4 primi d’arco, risultante dall’effetto di trascinamento dovuto alla rotazione del campo gravitazionale, un fenomeno mai visto prima. Per finire, sono ammirata dalla straordinaria precisione nella determinazione della massa delle due stelle di neutroni, il cui valore è misurato con un errore di pochi millesimi di masse solari. Possiamo proprio affermare che due stelle di neutroni sono meglio di una.
DI PATRIZA CARAVEOAlla fine degli anni 70 non erano ancora passati due decenni da quando era iniziata l’esplorazione del nostro sistema planetario.
Proprio in quegli anni pionieristici le due sonde Voyager partirono alla volta dei giganti gassosi e ghiacciati, messaggeri terrestri nel Sistema solare esterno. Quando la Voyager 1 compì il suo fly-by di Giove, osservò dei segnali inaspettati provenire dalla sua atmosfera. Erano i primi fulmini extraterrestri.
CRISTALLI DI AMMONIACA TRA LE NUBI DI GIOVE
La Voyager 1 rilevò dei segnali radio molto diversi in frequenza da quelli terrestri, ma con caratteristiche che ne rivelavano la loro natura.
Le sonde Galileo e Cassini osservarono altri segnali radio da fulminazione, ma gli strumenti di queste due missioni erano inadatti per studiarli nel dettaglio. La svolta c’è stata con Juno, la sonda che dal 2016 studia il gigante gassoso. Juno è equipaggiata con il Microwave Radiometer Instrument, uno strumento radio che solo nelle sue prime otto orbite ha osservato ben 377 scariche elettriche.
I fulmini gioviani sono simili a quelli terrestri, ma con molte differenze: le loro frequenze radio sono diverse e si verificano per lo più nell’emisfero nord, mentre sulla Terra si verificano soprattutto all’equatore, dove le temperature sono più alte e le masse d’umidità atmosferica sono maggiori. Non sappiamo il motivo di queste differenze: probabilmente dipendono dai diversi meccanismi che guidano la circolazione atmosferica su Giove e sulla Terra.
Sul nostro pianeta, un ruolo chiave nella dinamica dell’atmosfera è giocato dalla superficie solida, con la sua topografia e i suoi cicli termici, mentre su Giove una superficie solida non esiste; perciò, la meteorologia è legata soprattutto alla dinamica interna dei gas gioviani e all’interazione tra atmosfera e campo magnetico. Come se non bastasse, su Giove ci sono diverse tipologie di fulmini: alcuni si originano nelle nubi d’acqua nell’atmosfera più profonda; altri si verificano nell’alta atmosfera, in presenza di cristalli
di ghiaccio d’ammoniaca e acqua (le cosiddette mushball, “palle di poltiglia”), che potrebbero essere legati a questa tipologia di fulmini, svolgendo un ruolo simile a quello della grandine sulla Terra.
I POTENTI FULMINI DI SATURNO
Nel 2013 la sonda Cassini e vari osservatori terrestri rilevarono intense emissioni radio provenire da Saturno. Era in corso una grande tempesta sul Signore degli anelli, la più intensa mai osservata nel Sistema solare.
» A sinistra: Un’illustrazione artistica dei fulmini di Giove, basata sui dati della sonda Juno. Inquadra il QR per un volo simulato tra i fulmini di Giove. In questa pagina: la grande tempesta formatasi su Saturno nel 2010 e durata parecchi mesi; qui ripresa dalla sonda Cassini il 25 febbraio 2011.Per indagare i fulmini extraterrestri, occorre conoscere quelli terrestri. Perché si formi un fulmine, servono pochi ingredienti. Per cominciare, si devono formare degli accumuli di particelle di carica opposta, che siano tenuti separati tra loro da un mezzo isolante, come l’aria della nostra atmosfera. Occorre che questa separazione sia abbastanza ampia, per creare una sufficiente differenza di potenziale elettrico. Il fulmine è il fenomeno di scarica elettrica tra questi accumuli, un meccanismo che consente alle cariche di passare rapidamente da una parte all’altra della barriera atmosferica con un fenomeno catastrofico.
Quando si verifica un fulmine, avvengono emissioni di impulsi di luce alle frequenze visibili (la saetta e il bagliore), ai raggi X, gamma e alle frequenze radio, oltre a impulsi magnetici e acustici (i tuoni). Per rilevare i tuoni e misurare le variazioni del campo magnetico, occorre trovarsi in loco, il che costituisce un problema nel caso di studi da remoto. Tramite le sonde spaziali, dalla distanza orbitale, possiamo quindi tenere traccia delle sole radiazioni, visibili e no, e sono pertanto i lampi di luce che vengono cercati per studiare i fulmini nelle atmosfere degli altri pianeti.
I fulmini emettono una parte significativa della loro radiazione alle frequenze radio, tra 1 Hz e i 300 MHz, con un picco tra i 5 e i 10 kHz. Il flusso di elettroni e ioni della scarica attraversa l’aria, riscaldandola a temperature altissime, trasformandola localmente in un plasma. Questo plasma emette energia sotto forma di luce come tutti i corpi caldi, ma in più le sue molecole sono ionizzate e quando tornano allo stato neutro rilasciano l’energia che avevano accumulato sotto forma di radiazione elettromagnetica, sia alle frequenze radio che a quelle visibili e ultraviolette. In assenza di processi che assorbano la radiazione, tutti questi segnali possono essere registrati da remoto dalle sonde spaziali.
Anche su Saturno, proprio come su Giove, i fulmini furono rilevati per la prima volta dalla sonda Voyager 1 nel 1980. E, proprio come per Giove, la Voyager 1 osservò unicamente le emissioni radio legate a questi fulmini.
I bagliori visibili furono osservati per la prima volta dalla missione Cassini, nel 2009, quando Saturno si trovava vicino al suo equinozio di primavera. Si ritiene che i fulmini saturniani si formino nel livello di nubi d’acqua che si trova oltre i cento chilometri di profondità, dove le condizioni ambientali sono adatte per una formazione dei fulmini con modalità simili a quelle terrestri, ma i segnali radio emessi da questi fulmini possono essere anche 10mila volte più intensi di quelli terrestri. Un aspetto interessante è che, al contrario di quelle gioviane, le tempeste di fulmini su Saturno non sono continuative: possono durare anche per mesi, ma si presentano solo ogni tanto. Nel dicembre 2010, per esempio, la sonda Cassini ha osservato un’intensa tempesta di fulmini nell’emisfero nord di Saturno, associata alla cosiddetta “Grande Macchia Bianca”, una tempesta che si forma ogni anno saturniano attorno ai 35° di latitudine nord.
CHE CI SIA ALMENO UN’ATMOSFERA DECENTE Senza un’atmosfera, è davvero difficile avere fulmini atmosferici… Quindi, non possiamo avere fulmini sui pianeti rocciosi o sui loro satelliti privi di atmosfera, come la Luna, gli asteroidi o Mercurio, ma anche su quelli che ne hanno troppa poca, come Plutone.
Sugli altri corpi rocciosi, ogni atmosfera fa storia a sé. Titano, la luna più grande di Saturno, ha un’atmosfera piuttosto densa, con una dinamica complessa e delle nubi, ma sembra difficile che vi si possano produrre fulmini,
perché le sue nubi sono costituite soprattutto da metano, che non è un buon conduttore. Anche se la questione non è definitivamente risolta, né la sonda Cassini né il suo lander Huygens che è atterrato sulla superficie di Titano, hanno
individuato fulmini sulla grande luna di Saturno.
Su Marte l’atmosfera c’è, ma è molto debole, forse troppo per poter originare fulmini: sulla superficie, il livello dove la pressione atmosferica è maggiore, la densità è comunque
SISTEMA SOLARE » L’emisfero notturno di Venere ripreso in infrarosso dalla sonda Akatsuki (che in giapponese significa “alba”) l’11 giugno 2016.SISTEMA SOLARE
un centesimo di quella terrestre sul livello del mare. Non sono quindi mai stati osservati fulmini marziani, ma non è escluso che le turbolenze generate durante le tempeste di polvere, che periodicamente raggiungono proporzioni tali da ricoprire l’intero pianeta, possano generare le cariche necessarie alla produzione di fulmini in modo simile a ciò che avviene durante le eruzioni vulcaniche terrestri. Un discorso simile si potrebbe fare anche per Io, la luna di Giove dominata dalle eruzioni vulcaniche.
I MISTERIOSI WHISTLERDI VENERE
Venere merita un discorso a parte: il pianeta più brillante possiede l’atmosfera più densa tra quelle dei pianeti rocciosi; è quindi lecito aspettarsi fenomeni di fulminazione. Eppure, la presenza di fulmini su Venere resta un’incognita, nonostante le numerose sonde che hanno studiato il pianeta nei decenni passati.
All’inizio dell’era spaziale, le missioni sovietiche Venera e la Pioneer Venus Orbiter hanno osservato emissioni radio da Venere che potrebbero essere associate a fulmini. La sonda Venus Express ha osservato e monitorato i cosiddetti whistler, segnali radio della durata di 100 millisecondi che per proprietà e frequenza ricordano i fulmini terrestri. Ma non ne abbiamo
IN ATTESA DI SONDE PER URANO E NETTUNO
Per quanto concerne i più lontani “giganti ghiacciati” (Urano e Nettuno), ci mancano dati precisi e aggiornati. Durante il fly-by di Urano la Voyager 2, l’unica sonda che abbia mai visitato il settimo pianeta, ha osservato emissioni radio molto simili a quelle osservate dalla Voyager 1 su Saturno. Erano forse tracce di fulmini, ma non ne furono osservati a frequenze visibili.
Per Nettuno (figura), la faccenda si fa ancora meno certa: mentre su Urano si osservarono le emissioni di circa 140 eventi di scarica, su Nettuno la Voyager 2 ne osservò soltanto cinque, un numero troppo piccolo per poter affermare qualcosa dal punto di vista statistico e scientifico. Potrebbero essere osservazioni legate a errori di misura, oppure essere originate da altri fenomeni.
Questo è solo uno dei tanti misteri che potremmo provare a risolvere inviando nuove sonde spaziali verso questi mondi ghiacciati (vedi Cosmo n. 17).
OCCUPA
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mai visto neanche uno in maniera chiara e inequivocabile. Neanche la Akatsuki giapponese, che si trova in orbita attorno a Venere dal 2015, ne ha trovato traccia alle frequenze visibili, il che è molto strano. Uno strano bagliore è stato avvistato dalla sonda il 1° marzo 2020, ma così come una rondine non fa primavera, una parvenza di fulmine non fa una tempesta…
I fulmini di Venere potrebbero essere un fenomeno raro e localizzato, oppure potrebbero non formarsi affatto, e in tal caso i whistler dovrebbero essere ricondotti a qualche altro fenomeno fisico ancora da scoprire. Forse potremmo imparare qualcosa in più a riguardo con le prossime missioni venusiane in progetto, Davinci+ e Veritas (vedi Cosmo n. 20).
DI LUCA NARDINARDI
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Scoprire che una nuova forma di aggregazione della materia esiste in natura e non è soltanto frutto di una sintesi in laboratorio. E raccontare la storia di questa incredibile scoperta, fra incontri causali, intuizioni geniali, ostacoli geo-politici e viaggi in Siberia. Di tutto questo ci narra il libro Quasicristalli: l’avventura di una scoperta (Tab edizioni, 2021, 260 pagine illustrate, prezzo 22,80 euro), scritto dal protagonista, il geologo Luca Bindi, direttore del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze. Un libro che, come si legge nella prefazione della divulgatrice scientifica Barbara Gallavotti, ha il grande pregio di raccontare il lavoro dello scienziato e non soltanto la scoperta in sé. Come dice Gallavotti, forse buona parte della distanza fra il cittadino comune e la scienza – di cui abbiamo avuto innumerevoli esempi negli ultimi due anni – è dovuta anche al non sapere che cosa implichi il lavoro quotidiano di chi fa ricerca e che invece in quest’opera emerge prepotentemente nei suoi aspetti positivi, ma anche in quelli più sofferti,
come doversi difendere dagli attacchi di colleghi increduli o dover trovare il denaro per proseguire i propri studi. Abbiamo chiesto proprio a Luca Bindi di accompagnarci nella presentazione del suo libro, impreziosito da altre due prefazioni illustri, di Luciano Maiani e di Marco Tavani; un’opera che è anche il racconto di un percorso che parte dall’Italia, attraversa gli Stati Uniti, arriva fino all’Estremo Oriente russo e strizza infine l’occhio allo spazio siderale.
CHE COSA SONO I QUASICRISTALLI
E PERCHÉ SONO COSÌ IMPORTANTI?
I minerali sono sempre stati descritti come materiali cristallini, ossia dotati di strutture in cui gli atomi hanno una disposizione periodica che si ripete regolarmente. Gli esagoni in un reticolo a nido d’ape o le piastrelle quadrate di un pavimento sono esempi di disposizioni periodiche bidimensionali. Circa una trentina di anni fa, Dov Levine (Technion, Israele) e Paul J. Steinhardt (Princeton University, Usa) ipotizzarono
l’esistenza di una via di mezzo tra lo stato cristallino e quello vetroso, un materiale con caratteristiche impossibili che i due autori chiamarono quasicrystals
In questi materiali, due o più gruppi atomici dovevano ripetersi a intervalli diversi, e il rapporto fra tali periodi di traslazione doveva essere irrazionale, cioè non esprimibile come frazione. Le caratteristiche peculiari dei quasicristalli producono conseguenze insolite sulle proprietà fisiche (specialmente la resistività e alcune proprietà elastiche) dei metalli che li costituiscono.
NELLA SUA SCOPERTA HA AVUTO COME COMPAGNO, IL COSMOLOGO PAUL STEINHARDT. QUAL È STATO IL SUO RUOLO IN QUESTI STUDI?
Paul Steinhardt, della Princeton University, è noto per i suoi studi in cosmologia, dove ha formulato la teoria dell’Universo ecpirotico, secondo la quale il cosmo è nato da una sorta di collisione fra due
» Rappresentazione artistica di uno scontro tra asteroidi ai primordi del Sistema solare, per quanto ne sappiamo l’unico sistema naturale di produzione dei “quasicristalli”.CIELO E TERRA
protouniversi.
Direi che Paul è il vero coprotagonista della storia.
Dal 2007 abbiamo lavorato spalla a spalla per procurare nuovi dati e sconfiggere l’incredulità della comunità scientifica. Paul è stato fondamentale in molti momenti e il suo background ci ha aiutato varie volte per coinvolgere personaggi che avrebbero potuto aiutarci ad andare avanti. Paul è colui che ha introdotto il concetto di quasicristallo dal punto di vista teorico nel 1984, qualche mese prima che il team del fisico israeliano Daniel Shechtman riuscisse a realizzare questi materiali in laboratorio.
LEI SI È APPASSIONATO
modificando drasticamente la classificazione tradizionale dei minerali. Trovare un quasicristallo naturale avrebbe rappresentato un modo per studiarne la stabilità in condizioni non riproducibili in laboratorio. Inoltre, la scoperta avrebbe potuto suggerire nuove condizioni chimico-fisiche per la formazione dei quasicristalli, legate a processi naturali terrestri o extraterrestri.
Nel 2008, dopo essere entrato in contatto con Paul e dopo una prima serie di insuccessi, decidemmo di cercare se in natura esistesse qualcosa di simile ai quasicristalli prodotti in laboratorio. Tentammo di vedere se i quasicristalli sintetici conosciuti presentavano qualcosa in comune. La risposta era semplice: quasi tutti i quasicristalli artificiali hanno alluminio nella loro struttura e molto spesso alluminio legato al rame. Esistevano già minerali descritti con questa composizione? Dalle nostre ricerche nei database mineralogici emersero due minerali naturali con composizione simile a quella che noi stavamo cercando, la khatyrkite (CuAl2) e la cupalite (CuAl), due leghe cristalline descritte per la prima volta nel 1985 da scienziati russi, ritrovate setacciando concentrati pesanti alla ricerca di platino nei torrenti delle montagne del Koryak, nella Chukotka, la parte nord-orientale della Kamchatka.
Museo di Firenze da un commerciante di minerali nel 1990 e catalogato come proveniente dalla stessa regione esplorata dai russi nel 1985.
UNA CONFERMA ARRIVA A CAPODANNO
DEL 2009: BIZZARRI QUESTI SCIENZIATI CHE FANNO ESPERIMENTI INVECE DI FESTEGGIARE L’ANNO NUOVO!
Scoprire un quasicristallo naturale avrebbe aperto un nuovo capitolo nello studio della mineralogia,
Verificammo se uno di questi campioni fosse presente nelle collezioni mineralogiche del Museo di Storia Naturale dell’Università degli Studi di Firenze: nonostante la rarità di queste specie, un campione di khatyrkite era presente davvero nel Museo fiorentino. Venduto al
Ci mancava la prova definitiva per poter rendere pubblica la scoperta. Per questo motivo, nel novembre 2008, i due piccoli frammenti estratti dal campione fiorentino furono portati a Princeton per studiarne la struttura cristallina mediante diffrazione di elettroni con microscopia elettronica in trasmissione. Era il primo giorno dell’anno 2009 quando ebbe inizio l’esperimento. Dopo qualche ora, vedemmo l’immagine di una delle simmetrie tipiche previste per i quasicristalli. La fissammo a lungo e in silenzio. In un mix di commozione
DI WALTER RIVAALL’ARGOMENTO DOPO AVER LETTO UN ARTICOLO DI STEINHARDT. E C’È UNA PRIMA COINCIDENZA FORTUNATA, NASCOSTA A FIRENZE…» Paul Steinhardt (foto Sleepy Geek). » La copertina del libro di Luca Bindi.
ed emozione ci abbracciammo, felici e consci dell’importanza di ciò che avevamo scoperto. La nostra festa era quella!
UN GRANDE RISULTATO SCIENTIFICO, CHE PERÒ CREA TANTI PROBLEMI, SOPRATTUTTO CON LA NASA; MA CHE COSA C’ENTRA L’AGENZIA SPAZIALE AMERICANA?
La cosa più difficoltosa era tentare di capire che tipo di processo geologico potesse aver formato un qualcosa di così esotico come un quasicristallo naturale. Quest’ultimo, infatti, evidenzia nella sua struttura la presenza di alluminio non legato all’ossigeno. L’alluminio metallico tende a ossidarsi con estrema facilità con l’ossigeno e lo si riesce a ottenere solo in laboratorio o nei processi industriali e per questo motivo fu presa in considerazione l’ipotesi che il campione fosse una scoria o un sottoprodotto di una industria. Quest’ultima possibilità fu sposata dai geologi della Nasa che mi chiesero addirittura di ritrattare. Fu un periodo molto duro per me: mi sentivo accerchiato e messo in discussione.
COME AVETE RISOLTO IL PROBLEMA?
L’analisi isotopica del minerale gli attribuiva una origine extraterrestre, che fu indentificata con una meteorite caduta circa 15mila anni fa sui monti Koryak. A questo punto, l’unica soluzione era andare a cercare altri reperti nel luogo di origine del frammento custodito a Firenze. Una spedizione molto costosa. Ma a questo punto è capitato l’incontro con un benefattore,
durante una cena negli Usa. La storia è ricca di coincidenze e colpi di scena. Grazie alla partecipazione a un evento nella più esclusiva Fondazione statunitense, abbiamo incontrato Dave (giuro che non so ancora il cognome…), e grazie a lui abbiamo trovato le risorse per la spedizione ai confini del mondo.
COME SI È SVOLTA
LA SPEDIZIONE?
Abbiamo formato una squadra internazionale di esperti e siamo partiti per la remota regione di Chukotka. Sono stati 40 giorni davvero intensi, sia dal punto di vista scientifico che personale. Essere sempre sotto esame e lavorare spalla a spalla con i più grandi del settore in condizioni estreme ti mette davvero a dura prova. Altra cosa importante è stata la mancanza della famiglia: zero comunicazioni per tutto il periodo.
PERÒ IL RACCONTO DELLA SPEDIZIONE È APPASSIONANTE
E TALVOLTA DIVERTENTE
Abbiamo avuto a che fare con un orso
bruno e abbiamo dovuto attraversare un fiume, il Khatyrka, all’interno di un cingolato con l’acqua che arrivava fino ai finestrini… Poi abbiamo avuto una grande sorpresa, per chi non è abituato a quei luoghi: un’infestazione di zanzare! Passi l’orso bruno a qualche metro di distanza ma avere centinaia di migliaia di zanzare intorno a ogni ora del giorno e della notte credo che sia una cosa che destabilizzi chiunque.
POI, SUL CAMPO, LA SCOPERTA TANTO ATTESA, GRAZIE ANCHE ALL’INTUIZIONE.
SI PUÒ PARLARE
DI UN “SESTO SENSO” DELLO SCIENZIATO?
Per quanto mi riguarda mi sento di dire di sì. Sono capitati vari episodi in questa storia in cui io immaginavo una cosa e poi la vedevo realizzare. Non so come possa essere successo, ma è successo davvero, ripetutamente. A volte, forse quello che io ho creduto essere guidato dal sesto senso è stato solo intuito dovuto all’esperienza e a tutto il tempo speso sul progetto. Non saprei dirlo.
» Il frammento di khatyrkite conservato nel Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze da cui tutto è iniziato.
CIELO E TERRACIELO E TERRA
DOPO LA CONFERMA DEI QUASICRISTALLI NATURALI, AVETE SCOPERTO CHE SI POSSONO FORMARE SOLO NELLO SCONTRO FRA ASTEROIDI. COME LO AVETE PROVATO? Esistono laboratori in cui si può riprodurre artificialmente lo scontro tra asteroidi. Siamo andati al Caltech, dove si trova un enorme strumento con un lungo tubo (tipo la canna di un fucile), in cui un proiettile viene accelerato alla velocità di 1000 metri al secondo. Il proiettile viene fatto impattare su un target e si studiano le fasi generate nello scontro. Il primo esperimento che abbiamo fatto nel 2016 ha prodotto un quasicristallo di composizione chimica e struttura praticamente identico a quello trovato nella meteorite. È stato un successo enorme, perché in un colpo solo abbiamo individuato un fenomeno che è in grado di generare quasicristalli e dimostrato che il meccanismo in grado di produrli si può realizzare nello spazio, grazie allo scontro tra asteroidi, e non sul nostro pianeta.
ARRIVANO QUINDI I RICONOSCIMENTI, COME IL PREMIO DAL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Un successo incredibile e inaspettato. Nel 2015, al Quirinale, con il presidente Mattarella, è stata una soddisfazione unica, una gratificazione infinita.
CHE COSA DESIREREBBE ANCORA RIUSCIRE A SCOPRIRE
NEI PROSSIMI ANNI?
L’ultimo capitolo della saga dei quasicristalli si è sviluppato studiando
il materiale formatosi all’alba del 16 luglio 1945, quando gli Stati Uniti dettero il via al Trinity Test, il primo esperimento atomico condotto nel deserto del New Mexico nell’ambito del Progetto Manhattan. Il fungo atomico causò anche la creazione del primo quasicristallo prodotto involontariamente dall’uomo e identificato nei detriti depositatisi quel giorno nell’enorme cratere creato dalla bomba. La detonazione causò la fusione della sabbia circostante, della torre di prova e delle linee di trasmissione in rame, andando a formare un materiale vetroso noto come trinitite. Proprio studiando i frammenti di trinitite è stato scoperto un quasicristallo con una composizione chimica finora sconosciuta, legata alle condizioni in cui si è formato, e la cui data di creazione è indelebilmente impressa nella storia dell’umanità. Fino a oggi sapevamo che i quasicristalli in natura si formano in condizioni estreme di temperatura e pressione: gli unici due documentati erano quelli ritrovati sulle montagne
del Koryak. Le condizioni in cui i due quasicristalli si erano formati, probabilmente in collisioni tra asteroidi nello spazio agli albori del Sistema solare, sono paragonabili a quelle prodotte in esplosioni atomiche. Per questo era stato deciso di studiare attentamente il materiale del Trinity Test. Uno dei risvolti della scoperta ha a che fare con le azioni di contrasto alla proliferazione nucleare. Perché, diversamente da quella degli altri detriti che si formano in seguito a esplosioni nucleari, la composizione dei quasicristalli rimane stabile nel tempo e potrebbe quindi testimoniare lo svolgimento delle esplosioni stesse. Ma la nostra scoperta apre soprattutto nuovi orizzonti di ricerca legati alle condizioni straordinarie in cui i quasicristalli possono essere creati e dà nuovi input al progetto con possibili nuove idee: si possono formare quasicristalli in scariche di fulmini su materiale terrestre? In materiali terrestri che hanno subito impatti da corpi extraterrestri? Questi sono solo due dei punti su cui stiamo lavorando adesso, in attesa di nuove scoperte.
DI WALTER RIVA » La “compagnia del quasicristallo” ripesa durante la spedizione in Chukotka. Luca Bindi è al centro della fotografia.Talvolta accade che due pianeti vengano a trovarsi prospetticamente vicini. Queste disposizioni prendono il nome di “congiunzioni” e quando avvengono tra pianeti luminosi, e in posizione agevolmente osservabile, sono dei fenomeni spettacolari. Ricordiamo che due pianeti (o un pianeta e una stella, o la Luna e un pianeta) si dicono “in congiunzione” quando hanno la stessa Ascensione Retta (AR) o la stessa longitudine celeste. Normalmente, gli almanacchi astronomici si riferiscono all’AR perché è la coordinata più usata, ma sarebbe più logico considerare la longitudine celeste (detta anche longitudine eclittica), dato che i pianeti si muovono approssimativamente lungo l’eclittica e non lungo l’equatore celeste.
Uno di questi fenomeni si verifica la sera di sabato 30 aprile, tra i pianeti Venere e Giove: i più brillanti!
La congiunzione ha luogo nella parte anteriore (occidentale) della costellazione dei Pesci, in prossimità dell’equatore celeste. L’orario in cui i due astri sono più vicini è compreso
fra le ore 20 e 21 (in orario legale estivo) con una distanza che arriva a soli 0,2°! Purtroppo, a quest’ora, l’evento non è osservabile dall’Italia, perché i due pianeti sono sotto l’orizzonte. Ma è visibile al mattino precedente e in quello seguente, circa un’ora prima del sorgere del Sole. Poiché il Sole sorge mediamente alle ore 6, sempre in orario legale estivo, il periodo migliore di osservabilità si situa tra le 4 e 30 e le 5 e 30. Grazie all’elongazione dal Sole di 42° e alla declinazione sui –2°, a quell’ora i due pianeti sono sufficientemente alti sull’orizzonte per essere ben osservabili e non immersi tra i veli e le foschie dell’orizzonte, mentre il cielo presenta ancora un buon gradiente di oscurità.
COME SI MANIFESTA IL FENOMENO
A occhio nudo si vede un astro molto brillante, cioè Venere, prossimo a un altro, anch’esso notevolmente luminoso. Benché Giove ci appaia più brillante di qualsiasi stella, la sua luminosità è inferiore a quella di Venere, che splende di magnitudine –4,3, ben 6-7 volte di più.
» Venere e Giove accoppiati nel cielo sull’orizzonte di sud-est del 30 aprile verso le 5 e 30, prima del sorgere del Sole. Sono visibili anche Marte e Saturno, più a sud (Stellarium).FENOMENO DEL MESE
La vicinanza molto maggiore di Venere a noi e al Sole, nonché la sua albedo maggiore, spiegano questo divario di luminosità.
Così, Giove, che in piena notte e da solo appare come un astro magnifico, vicino a Venere è soltanto “un astro abbastanza luminoso” e scompare per primo quando il fondo del cielo raggiunge un certo grado di luminosità. Tra il 30 aprile e il 1° maggio Venere dista dalla Terra 149 milioni di km, mentre Giove è a 848 milioni di km, quasi sei volte più lontano. Molte congiunzioni planetarie lo sono un po’ per modo di dire, poiché la coppia rimane relativamente distanziata. In questo caso, invece, Venere e Giove arrivano a essere davvero molto vicini, sia la mattina del 30 aprile che in quella del 1° maggio; in entrambi i casi, la distanza è soltanto nell’ordine del mezzo grado, quanto il diametro della Luna piena. Questa congiunzione è tanto stretta da consentire la visione contemporanea dei due pianeti in un telescopio con un oculare comune fino a 60-70x. È interessante seguire il fenomeno già dal 28-29 aprile, verificando come Venere, molto più rapido, raggiunga Giove da sud-ovest e, passando a sud di questo, si venga poi a trovare, dal 1° maggio in avanti, a est e in seguito anche più a nord. La congiunzione è resa più pittoresca dalla presenza, a ovest, di altri due pianeti luminosi: Marte e Saturno. Il primo si trova nella costellazione dell’Acquario, il secondo in quella del Capricorno. Entrambi splendono come astri di prima grandezza, ciò che li rende ben visibili un’ora prima del sorgere del Sole. Come se questo affollamento di pianeti non fosse
OCCULTAZIONI PLANETARIE
DI WALTER FERRERI Congiunzioni tra pianeti così strette da provocare delle occultazioni, ovvero sovrapposizioni apparenti dei rispettivi dischi sono fenomeni rarissimi; l’ultima è avvenuta il 3 gennaio 1818 (Venere davanti a Giove) e la prossima è prevista per il 14 settembre 2123 (ancora Venere che passa davanti a Giove). Il fatto che queste occultazioni interessino soprattutto Venere e Giove non è casuale, ma è dovuto alle maggiori dimensioni angolari che questi pianeti presentano per un osservatore terrestre. Più rare ancora le occultazioni in cui Giove passa davanti a Saturno: le date riportate in figura sono eloquenti (simulazioni prodotte da P. Hartigan, Rice University). » Giove e tre satelliti galileiani (da sinistra: Ganimede, Europa, Io) ripresi da Cabras (OR) il 17/10/2021, telescopio Celestron Newton 114/900 su Celestron EQ2, camera QHY CCD QHY5L-II-C con filtro IR UV cut, video da 2 minuti elaborato con Pipp, Autostakkert 3, Registax 6 e Camera Raw (Roberto Ortu).sufficiente, ci si mette anche Nettuno tra la coppia in congiunzione e Marte, ma la sua magnitudine di 7,8 lo mette fuori gioco in questo quadretto celeste mattutino. Un comune binocolo, tipo un 8x30, mostrerà due astri distinti, più lontani l’uno dall’altra di quanto non si veda a occhio nudo, ma non rivelerà la loro natura planetaria. Per una persona inconsapevole potrebbe trattarsi di due stelle luminose, in quanto anche Venere con la sua fase è difficile da mettere in evidenza, non solo per il diametro (16,7”), ma anche per l’abbagliamento che produce. Il carattere planetario dei due astri inizia a emergere osservando con un potente binocolo o con un cannocchiale. Allora si vede che Venere in questa circostanza ha la forma di una Luna quasi piena (fase di 0,675), mentre Giove mostra chiaramente un dischetto, con un diametro equatoriale di 34,8 secondi d’arco, accompagnato dai satelliti galileiani. Guardando con uno strumento, sarà impressionante notare quanto Venere sia decisamente più brillante di Giove, soprattutto come luminosità superficiale, cioè a parità di superficie. Con un ingrandimento di 40-50x e un oculare a grande campo, si ha la possibilità non solo di avere nello stesso campo entrambi i pianeti, ma anche di tenerli lontani dai bordi, dove la qualità dell’immagine decresce.
*WALTER FERRERI SI È OCCUPATO DI RICERCA SCIENTIFICA, DI TELESCOPI E DI ASTROFOTOGRAFIA PRESSOL’OSSERVATORIO ASTROFISICO
DI TORINO. NEL 1977 HA FONDATO
LA RIVISTA ORIONEFOTOGRAFARE
LA CONGIUNZIONE
La congiunzione, oltre che facilmente visibile, è anche molto facile da fotografare, grazie alla brillantezza dei due pianeti. Per riprenderla vanno già bene uno smartphone o una fotocamera compatta. Da un punto di vista estetico, le luci dell’alba, quando il cielo inizia a diventare chiaro, consentono di ottenere immagini più gradevoli. In queste circostanze, gli automatismi delle fotocamere (e degli smartphone) assolvono egregiamente allo scopo. Per migliorare la visibilità dei pianeti rispetto allo sfondo, è utile sottoesporre un po’, di uno o due stop. Orientativamente, la posa può essere di un secondo con aperture e impostazioni Iso usuali. È comunque consigliabile appoggiare la fotocamera a un supporto; l’ideale è utilizzare un treppiede fotografico. L’uso di teleobiettivi o zoom impostati su focali lunghe rivela meglio i due pianeti, ma oltre un certo limite, cioè con focali telescopiche, si perde l’effetto congiunzione.
Vale la pena di riprendere una serie di immagini con focali via via crescenti. Per esempio, con uno zoom 5x si possono utilizzare le focali estreme più altre intermedie, come quelle da grandangolare a focale normale e da quest’ultima al teleobiettivo. Anche con teleobiettivi o
zoom potenti, come quelli che ingrandiscono una decina di volte rispetto alla focale normale, non è necessario un movimento compensatore della rotazione terrestre, purché le pose non siano maggiori di pochi secondi. Purtroppo, il grande divario in luminosità superficiale tra i due pianeti fa sì che un’esposizione corretta per Venere renda Giove sottoesposto, mentre un Giove esposto correttamente produce una sovraesposizione di Venere. Tra le due opzioni è preferibile esporre correttamente Giove, perché i sensori elettronici (soprattutto quelli di piccole dimensioni) forniscono un’immagine leggibile più con una sovraesposizione che non viceversa. Benché i due pianeti appaiano molto vicini tra loro se osservati a occhio nudo, non è possibile averli entrambi in una stessa immagine se si vogliono riprendere ad alta risoluzione, poiché quando si lavora con queste finalità di rado il campo eccede i 10’-15’. Comunque, questa non è l’occasione buona per riprendere al meglio Giove, sia perché il suo diametro è minore di 35”, sia perché è basso sull’orizzonte. Quest’ultimo aspetto sconsiglia anche la fotografia ad alta risoluzione di Venere, che è preferibile quando il pianeta è più alto, anche se questo significa avere il Sole già sopra l’orizzonte.
FENOMENO DEL MESE » La congiunzione Venere-Giove del 30 aprile in un campo di vista largo poco più di mezzo grado. Giove è attorniato dai satelliti galileiani: da sinistra, Ganimede, Io, Europa e Callisto. La mattina successiva i due pianeti saranno ancora più vicini, con Giove “sopra” Venere.la LUNA
Il pallino rosso sulla circonferenza lunare mostra il punto di massima librazione alle 0h di Tempo Civile del giorno considerato: le sue dimensioni sono proporzionali all’entità della librazione il cui valore massimo è di circa 10°
fenomeni LUNARI
il 1° alle 8h 24m
il
alle 8h 47m
il 16 alle 20h
il 23 alle 13h 56m
il 30 alle 22h
il 9 maggio alle 2h 21m
Massime librazioni in longitudine
il 1° alla 1h - visibile
il lembo occidentale
il 13 alle 17h - visibile
il lembo orientale
il 27 alle 10h - visibile
il lembo occidentale
Massime librazioni in latitudine
il 12 alle 3h - visibile
il Polo sud il 24 alle 23h - visibile
il Polo nord
il 9 maggio alle 10h - visibile il Polo sud
Apogeo 404.438 km il 7 alle 21h 10m
Perigeo 365.143 km il 19 alle 17h 13m
Apogeo 405.285 km il 5 maggio alle 14h 46m
CIELO DEL MESESOLE e PIANETI
SOLE
Si sposta rapidamente verso declinazioni sempre più boreali: aumentano quindi le ore di luce diurna con un guadagno complessivo nell'insolazione compreso tra 65 minuti (Meridione) e 96 minuti (Settentrione); per una località media della Penisola, a fine mese l’astro trascorre 14 ore sopra l'orizzonte.
MERCURIO
È in congiunzione superiore con il Sole il 3 aprile e risulta inosservabile fino al giorno 8, quando riappare tra le luci del tramonto per la migliore apparizione serale dell’anno: il 10 si sposta nell’Ariete e dal 14 cala dopo il termine del crepuscolo nautico. Il 25 entra nel Toro, dove il 29 è in congiunzione con le Pleiadi, 1°,5 a sud dell’ammasso; lo stesso giorno raggiunge anche la massima elongazione est dal Sole di 20°,6 e scende sotto l’orizzonte nord-orientale alcuni minuti dopo il termine del crepuscolo astronomico.
VENERE
È visibile all'alba in compagnia di Marte e Saturno, dai quali si allontana muovendosi velocemente in direzione di Giove, che raggiunge a fine mese; nonostante si trovi a 45° dal Sole, solo nella prima metà del mese la sua levata anticipa, di poco, l’inizio del crepuscolo. Il 3 si sposta dal Capricorno nell’Acquario, il 27 entra nei Pesci, transitando 30" a sud di Nettuno, ma il fenomeno è difficilmente osservabile, per la debole luminosità di quest’ultimo. Il 30 è in congiunzione con Giove, 15' a sud del pianeta.
Posizioni eclittiche geocentriche del Sole e dei pianeti tra le costellazioni zodiacali: i dischetti si riferiscono alle posizioni a metà mese, le frecce colorate illustrano il movimento nell’arco del mese.
La mappa, in proiezione cilindrica, è centrata sul Sole: i pianeti alla destra dell’astro del giorno sono visibili nelle ore che precedono l’alba, quelli a sinistra nelle ore che seguono il tramonto; la zona celeste che si trova in opposizione al Sole non è rappresentata. Le posizioni della Luna sono riferite alle ore serali delle date indicate per la Luna crescente e alle prime ore del mattino per quella calante.
CIELO DI TIZIANO MAGNIMARTE È visibile al mattino insieme a Venere, che lo precede, e Saturno con il quale è in congiunzione il giorno 5, 19' a sud del pianeta inanellato. Grazie al veloce moto diretto da cui è animato il 7 transita 1°,4 a nord di Deneb Algedi, Delta Capricorni, e il giorno 11 entra nell’Acquario dove il 30 è in congiunzione con Lambda Aquarii, 1°,2 a sud della stella.
GIOVE
Chiude la parata di pianeti visibili all’alba: all’inizio la levata anticipa di soli 40 minuti il sorgere del Sole, ma la visibilità va migliorando. Il 30 viene oltrepassato 15’ più a sud da Venere e sorge circa dieci minuti dopo le prime luci del crepuscolo. Il 14 si sposta nei Pesci.
SATURNO
Visibile al mattino nelle vicinanze di Delta Capricorni, è preceduto da Venere, in rapido allontanamento, e seguito da Marte, che il 5 lo supera 19’ più a sud; il giorno 8 è in congiunzione con Gamma Capricorni, 1°,7 a nord della stella. A fine mese la sua levata anticipa di oltre un’ora l’inizio del crepuscolo.
URANO È marginalmente visibile di sera fino al 13, quando la sua calata arriva ad anticipare il termine del crepuscolo, quindi diviene inosservabile.
NETTUNO È a tutti gli effetti inosservabile per l’intero mese; il 27 viene superato, ad appena 30" di distanza, da Venere.
Effemeridi geocentriche di Sole e pianeti alle 00h 00m di Tempo Civile delle date indicate. Per i pianeti sono riportati fase e asse di rotazione (nord in alto, est a sinistra).
Levate e tramonti sono riferiti a 12°,5 E e 42° N: un asterisco dopo l’orario indica l’Ora Estiva. Nella riga Visibilità sono indicati gli strumenti di osservazione consigliati: l’icona di “divieto” indica che il pianeta non è osservabile. Le stelline (da 1 a 5) misurano l’interesse dell'osservazione.
Visibilità dei pianeti. Ogni striscia rappresenta, per ognuno dei cinque pianeti più luminosi, le ore notturne dal tramonto alla levata del Sole, crepuscoli compresi; quando il pianeta è visibile la banda è più chiara. Le iniziali dei punti cardinali indicano la posizione sull'orizzonte nel corso della notte.
CIELO DEL MESEDEL MESE
FENOMENI del mese
TIZIANO MAGNI5VENERE, MARTE E SATURNO ALL’ALBA
Il trio di pianeti che da alcune settimane spicca tra le prime luci dell’alba sull’orizzonte sud-orientale va allargandosi: Venere, il più veloce dei tre, si allontana da Saturno, che nel frattempo viene raggiunto da Marte. La mattina del 5 i due sono protagonisti di una spettacolare ed effimera congiunzione, con il Pianeta rosso in transito 19' a sud di Saturno; due mattine dopo la distanza tra loro ha già superato il valore di 1°,4 e ogni giorno tende ad aumentare di oltre 0°,6. Nel disegno è raffigurata la configurazione celeste osservabile alle 5:30 di Tempo Civile, una ventina di minuti dopo l’accendersi delle prime luci dell'alba.
5OCCULTAZIONE DI UPSILON TAURI
Poco prima della mezzanotte tra il 5 e il 6 aprile la falce crescente della Luna, illuminata per il 20%, occulta la stella Upsilon Tauri, di magnitudine +4,3, rintracciabile 6°,5 a nord della brillante Aldebaran (Alfa Tauri). La scomparsa si verifica dietro il lembo lunare oscuro intorno alle 23:45 TC, ma l’istante preciso può variare di qualche minuto a seconda della località d’osservazione. L’evento, che risulta inosservabile dalle regioni meridionali, può essere seguito con qualche difficoltà a causa della bassa altezza della Luna sull'orizzonte nord-occidentale.
6-12
(8) FLORA E (52) EUROPA IN OPPOSIZIONE
Per l’intero mese è possibile osservare, con l’aiuto di un binocolo, i pianetini (52)
Europa e (8) Flora, in opposizione al Sole rispettivamente il 6 e il 12 aprile, quando raggiungono la magnitudine visuale +10,8, e +9,8.
Entrambi sono rintracciabili con relativa facilità nella costellazione della Vergine, una dozzina di gradi a nord di Spica (Alfa Virginis). Il secondo, il più luminoso, si muove di moto retrogrado nelle vicinanze della stella di 3a magnitudine Zeta Virginis, 1° a nordest della quale transita la mattina del giorno 12.
(52) Europa si trova invece nella zona compresa tra Sigma e Delta Virginis, rispettivamente di magnitudine +4,8 e +3,4; in particolare, nella prima decade di maggio lo si può ammirare 1°,5 a nord di quest’ultima. La mappa riporta tutte le stelle fino alla magnitudine +11.
OCCHIO PERICOLO13
OCCULTAZIONE DI 46 LEONIS
Nelle prime ore del giorno la Luna gibbosa crescente, illuminata all’83%, occulta la stella 46 Leonis, di magnitudine +5,4. La scomparsa dietro il lembo lunare oscuro si verifica tra le 0:53 (Aosta) e la 1:16 (Lecce); il fenomeno, visibile dall’intero Paese, si conclude tra la 1:52 (Aosta) e le 2:14 (Catania) di Tempo Civile con la riapparizione della stella da dietro il bordo illuminato del disco lunare, osservabile però con difficoltà, a causa della non elevata luminosità dell’astro.
9-10
LUNA, POLLUCE, CASTORE E PRESEPE DI SERA
Il transito, tra la prima e la seconda decade di aprile, del disco lunare illuminato “a metà” nelle costellazioni dei Gemelli e del Cancro produce alcune configurazioni celesti osservabili nelle prime ore serali. Il giorno 9 alle 21:45 TC, mezz’ora circa dopo il termine del crepuscolo, il nostro satellite naturale si trova esattamente “in linea” con Polluce e Castore, i gemelli Dioscuri, poco più di 3° a sud-est di Beta Geminorum. La sera seguente la Luna, divenuta gibbosa, è invece in congiunzione con l’ammasso stellare M44 (Presepe), dal quale andrà progressivamente allontanandosi dopo essere transitata 3°,5 a nord di esso poco prima del tramonto del Sole.
22-23
MASSIMO DELLO SCIAME DELLE LIRIDI
Nella seconda parte del mese è attivo lo sciame meteorico delle Liridi, le cui particelle originano dalla cometa C/1861 G1 (Thatcher), osservata in un solo passaggio e con un periodo di oltre 400 anni. Si tratta di uno sciame moderatamente attivo, con valori dello Zhr (il tasso orario di attività con il radiante allo zenit) compresi tra 14 e 23, ma che in passato ha riservato qualche sorpresa. Quest’anno il massimo dovrebbe verificarsi la sera del 22 aprile, mentre le condizioni di osservabilità risultano favorevoli per tutta la prima parte della notte, per poi diminuire al levare, intorno alle 2:30 TC, dell’Ultimo quarto di Luna.
25-26
LUNA, SATURNO E MARTE ALL’ALBA
Negli ultimi giorni del mese a oriente, nel cielo che va rischiarando per l'approssimarsi dell'alba, distesi su 30° di eclittica sono visibili ben 4 pianeti: Saturno, Marte, Venere e Giove. Il passaggio nella zona della Luna calante produce diverse belle configurazioni celesti, osservabili prima del levar del Sole: la mattina del 25 aprile, alcune ore dopo la reciproca congiunzione in Ascensione Retta, il nostro satellite naturale si trova 5°,6 a sud-est di Saturno, dal quale va allontanandosi. La mattina seguente la Luna si è spostata 4°,7 “sotto” Marte, dopo essersi trovata in congiunzione con il Pianeta rosso poco prima della mezzanotte. Nel disegno le configurazioni osservabili alle 5:00 TC, poco prima dell’inizio del crepuscolo nautico.
27
(51) NEUMASA IN OPPOSIZIONE
NEI PRESSI DI PHI VIRGINIS
Il 26 aprile il pianetino (51) Neumasa si trova in opposizione al Sole ed è anche protagonista di un incontro ravvicinato con Phi Virginis: il pianetino, la cui luminosità si aggira intorno alla mag. +10,2, è osservabile, preferibilmente con l’aiuto di un telescopio dotato di un ampio campo visivo, 13’ a sudovest della stella di magnitudine +4,8. Osservazioni ripetute nel corso di alcuni giorni consentiranno di evidenziare il moto retrogrado del pianetino.
LUNA, VENERE E GIOVE ALL’ALBA
La Luna calante continua a produrre, giorno dopo giorno, delle belle configurazioni celesti, in grado di attirare l’attenzione di chi sia disposto ad “alzarsi” prima del Sole. L’ultima rappresentazione sul palcoscenico celeste è osservabile la mattina del 27, quando in prossimità dell’orizzonte orientale spicca, nel cielo che va rischiarando, la presenza della falce lunare accompagnata, 4° più a nord, da Venere e, 3°,4 a est di quest’ultimo, Giove.
Tra i due è presente un terzo, inosservabile pianeta: si tratta di Nettuno, che va lentamente emergendo dalle luci dell’alba.
Nel disegno le posizioni dei pianeti più luminosi e della Luna alle 5:10 TC, alcuni minuti dopo l’inizio del crepuscolo nautico (vedi l'articolo di Walter Ferreri a pag. 64).
MESE
CONGIUNZIONE MERCURIO-PLEIADI AL TRAMONTO
Nella seconda parte del mese dopo il tramonto del Sole è possibile ammirare Mercurio in prossimità dell’orizzonte nordoccidentale, nell’apparizione serale più favorevole dell’anno. Per tutto il periodo il pianeta cala dopo il termine del crepuscolo nautico; il giorno 29, quando raggiunge la massima elongazione orientale di 20°,6, risulta osservabile nelle migliori condizioni nei pressi delle Pleiadi, 1°,5 a sud dell’ammasso, come mostrato nel disegno che raffigura l’orizzonte alle 21:20 di Tempo Civile, poco dopo il termine del crepuscolo nautico.
29/4 - 2/5
CONGIUNZIONE VENERE-GIOVE ALL’ALBA
Venere e Giove, gli attori più luminosi della spettacolare parata che anima il cielo mattutino, negli ultimi giorni del mese sono protagonisti di uno spettacolare “sorpasso”: il giorno 30 Venere supera il più lento Giove, transitando 14' a sud di quest’ultimo nelle ore serali. L’evento non è direttamente osservabile, ma nelle mattine tra il 29 aprile e il 2 maggio è comunque possibile ammirare il rapido cambiamento giornaliero nella posizione reciproca dei due pianeti, come rappresentato nel disegno che mostra le configurazioni osservabili alle 5:00 TC delle date indicate, all’inizio del crepuscolo nautico. Da notare, in particolare, Venere 20’ a sud-est di Giove la mattina del 1° maggio.
30/4 - 1/5
ECLISSE PARZIALE DI SOLE
Inizia alle 20:45 TC con il primo contatto tra il cono della penombra lunare e la superficie terrestre in pieno oceano Antartico, 30° a oriente della linea del cambiamento di data in prossimità del circolo polare, un’eclisse parziale di Sole invisibile dall’Italia. La zona di visibilità interessa principalmente l'oceano Pacifico meridionale, parte dell’America meridionale, tra cui Cile e Argentina, e una frazione
NELLA PRIMA DECADE DI MAGGIO CI ATTENDONO
E PLEIADI AL TRAMONTO
molto marginale delle coste Antartiche. La massima grandezza dell’eclisse, la 66-esima del ciclo di Saros 119, con il disco solare coperto dalla Luna per poco meno del 64%, si verifica alle 22:41 TC nel canale di Drake, che divide Capo Horn dalla penisola Antartica, con il Sole appena sopra l’orizzonte locale. Il fenomeno si conclude alle 0:38 del 1° maggio, con l’ultimo contatto del cono di penombra con la superficie terrestre al largo delle coste Cilene settentrionali.
OCCULTAZIONE DI ETA LEONIS
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*TIZIANO MAGNI
DI MECCANICA CELESTE, ELABORA LE PREVISIONI DI FENOMENI ASTRONOMICI CON SOFTWARE APPOSITAMENTE REALIZZATI (WWW.TIZIANOMAGNI.IT).
Aprile è uno dei mesi migliori per osservare una piccola costellazione poco nota: il Sestante (Sex). È una delle sette costellazioni introdotte da Hevelius nel suo Prodromus Astronomiae del 1680.
L’astronomo polacco aveva voluto riunire alcune stelle, in verità piuttosto deboli, per rappresentare il Sextans Uraniae, il sestante astronomico, uno strumento molto utile alla navigazione e di cui si era servito, negli anni precedenti, per rilevare le posizioni degli astri. Secondo un’altra tradizione, invece, nel Sestante vi sarebbe raffigurata Urania, la musa dell’astronomia. La costellazione stava per cadere nell’oblio, quando nel 1643 il cappuccino boemo Antonio de Rheita, dopo aver mirato il volto di Gesù sul sudario della Veronica, aveva creduto di scorgerne le sembianze nella disposizione delle stelline principali. Rheita era un mistico privo di cognizioni scientifiche, tant’è che Flammarion, nella sua celebre opera Les Etoiles et les curiosités du ciel, edita a Parigi nel 1872, pubblicò la riproduzione del “Volto della Veronica”, accompagnandola con un commento ironico.
Riguardo a Hevelius, la musica è invece ben diversa: ricordiamo che, oltre a essere dotato di vista acutissima (si dice che preferisse osservare a occhio nudo piuttosto che in rudimentali telescopi otticamente imperfetti!) e ad aver redatto una mappa lunare migliore dei disegni e delle stampe dell’epoca, era stato anche il primo a presentare un progetto del “telescopio binoculare”, antesignano del nostro binocolo, introducendo i termini “oculare”
e “obiettivo” che sarebbero successivamente entrati nel lessico dell’ottica.
Non è facile trovare in cielo il Sestante: la stella più brillante, la Alfa Sex, è di 4a grandezza e solo dai cieli di montagna si può facilmente vedere a occhio nudo: è una stella bianca distante poco meno di 300 anni luce e circa un centinaio di volte più brillante del Sole. Si trova al vertice più acuto di un piccolo triangolo rettangolo, nel quale il cateto maggiore è disposto in direzione est-ovest e quello minore in direzione opposta. Il cateto minore è formato
dalla Beta Sex, bianco-azzurra di 5a grandezza e dalla Gamma Sex, di spettro simile e magnitudine 5,2. Per trovare velocemente questo piccolo triangolo, conviene partire da Regolo, spostandosi poi esattamente verso sud di 12 gradi (che corrispondono circa alle cinque dita serrate della mano, viste col braccio teso).
GALASSIE PER STRUMENTI AMATORIALI
Nel Sestante ci sono alcune galassie alla portata di strumenti amatoriali. La più evidente è NGC
» La galassia NGC 3115 ripresa con un Ritchey-Chrétien da 14,5” RC Optical System (Astrosurf).3115, chiamata Spindle Galaxy (“Galassia Fuso), per la sua forma caratteristica che appare tale anche nell’osservazione visuale. Si può considerare il prototipo delle “lenticolari”, galassie di struttura intermedia tra le spirali e le ellittiche (ma visualmente è difficile distinguere un’ellittica da una lenticolare). Questi oggetti si presentano con un disco uniforme, privo di formazioni oscure dovute a polveri, in quanto il materiale interstellare si è da tempo esaurito. NGC 3115 è comodamente visibile in strumenti da 25 cm: si presenta di aspetto molto regolare, molto allungata da NE a SW, di dimensioni 4’×1’, con un rigonfiamento centrale (bulge) evidente e un nucleo stellare abbastanza marcato. In strumenti maggiori, se non vi è turbolenza, appare debolmente screziata, soprattutto nella regione dell’alone. Una coppia famosa è costituita da NGC 3166 e NGC 3169, due galassie scoperte nel 1783 da W. Herschel; sono anche queste alla portata di telescopi relativamente modesti e per di più presenti nello stesso campo oculare, dato che sono separate da meno di 8 primi in direzione ENE-WSW. La prima è di aspetto molto regolare, allungata da
est a ovest, di dimensioni 3,5’×1,5’ e con piccola condensazione centrale molto pronunciata; la seconda è poco meno estesa, diffusa, orientata da NE a SW, di dimensioni 3’×1,5’ e con condensazione centrale pure ben visibile. C’è una stellina di 11 mag. a ridosso verso est e un’altra di 14
STELLE E PROFONDO CIELO IN APRILE
Oggetto
55 Canc (Rho1) 08h52,6m +28°20’
Canc 08h52,5m +28°15’
Cnc 08h46,7m +28°46’
Alfa Sex 10h07,9m -00°12’
NGC 3115 10h05,2m -07°43’
mag. (al limite di un telescopio da 25 cm ad alti ingrandimenti) subito a NE. In telescopi di almeno 40 cm è possibile individuare una stellina di 15 mag. al bordo SW. Ancora, nello stesso campo di queste due galassie, se ne trova una terza, appena 4,5 primi a SE di NGC
NGC 3166 10h13,8m +03°26’ 4,5’×2’ 10,4 Gx S(B)a
NGC 3169 10h14,2m +03°28’ 4’×2’ 10,2
NGC 3165 10h13,5m +03°23’ 1’×0,5’ 14,0 Gx sadm
PIERO MAZZA » Il trio di galassie NGC 3165 (quella piccola in basso a destra), NGC 3166 e NGC 3169 in una immagine dell’Osservatorio Europeo Australe.3166: si tratta della debolissima NGC 3165, osservabile in strumenti da 40 cm; è allungata da nord a sud con dimensioni 60”×30” e di luminosità uniforme. La si può scovare partendo dalle due stelline di 12 mag. distanti 3’ in direzione nord-sud e situate rispettivamente a 3’ WSW e a 5’ SW dal centro di NGC 3166. Congiungendo le due stelline e spostandosi un poco verso ovest, si arriva alla galassia. Qualche ardito vuole provare a osservarla in un telescopio da 25 cm?
DUE DOPPIE BINOCULARI
NEL CANCRO
Il binocolo è uno strumento estremamente versatile per le osservazioni a grande campo o per contemplare oggetti angolarmente molto estesi: basti pensare alle Pleiadi e alla delusione che invece trapela osservandole al telescopio. Oppure a M44 (il “Presepe”), ancora alto sull’orizzonte e poco a ovest del meridiano attorno alle 10 di sera. Ma per quanto sia importante iniziare a osservare con il binocolo, per sondare le costellazioni in maggior profondità, questo strumento si scontra con la sua naturale limitazione: il basso ingrandimento.
Non si può quindi impiegare il binocolo nell’osservazione planetaria, ma neppure in quella della maggior parte delle stelle doppie; infatti, se una lente da 50 mm ha potenzialmente un potere risolutivo poco inferiore ai 2 secondi d’arco, per risolvere all’oculare una doppia del genere ci vorrebbero almeno un centinaio di ingrandimenti, soprattutto se le componenti sono poco brillanti o molto sbilanciate
» Il pianeta di massa gioviana 55 Cancri b. Nell’immagine realizzata dal software Celestia si vedono (deformate) le Pleiadi e in basso le Iadi; da quel pianeta, Castore appare una delle stelle più brillanti del cielo
in luminosità (ricordiamo che il potere risolutivo dell’occhio cala drasticamente nell’oscurità).
Esistono, tuttavia, alcune doppie tipicamente binoculari, ma per osservarle dobbiamo cambiare costellazione. Una è nel Cancro (Cnc) ed è la coppia 53 e 55 Cancri, la seconda delle quali è conosciuta anche come Rho1 Cnc ed è famosa perché è stata una delle prime stelle attorno alla quale, nell’aprile del 1996, è stato scoperto un pianeta extrasolare. Dal 2005 i pianeti di Rho1 sono diventati cinque, le cui masse sono paragonabili a quelle dei giganti gassosi del Sistema solare.
La 55 Cnc è una stella simile al Sole, ma leggermente più fredda, distante 40 anni luce e con temperatura superficiale di 5000 °C; visualmente, appare come un astro di 6a grandezza. La 53 Cnc è situata a poco più di 4’ verso SSW, ma la presunta correlazione con la precedente è solo prospettica, in quanto si tratta di una gigante rossa distante ben 886 anni luce. Al di là della separazione binoculare, abbiamo qui un utile esercizio da effettuarsi anche dai cieli cittadini: montate preferibilmente il binocolo su uno stativo e osservate
attentamente la coppia: riuscite a scorgere una lieve differenza di colore e soprattutto di luminosità? Se siete in dubbio, provate a sfocare l’immagine e cercate di scorgere quale delle due va in estinzione per prima. Una seconda doppia binoculare la troviamo a poco più di un grado verso WNW: è la Yota Cnc. Qui la difficoltà è maggiore, innanzi tutto perché la separazione è di appena 30 secondi d’arco, ossia abbastanza al limite per un 10x50; in secondo luogo, perché le componenti sono sbilanciate in luminosità: la primaria è di 4a grandezza ed è una stella gialla di spettro simile alla 55 Cnc; la compagna è bianco-azzurra di magnitudine 6,5, ossia dieci volte più debole. Anche in questo caso sarebbe meglio fissare il binocolo, altrimenti la secondaria potrebbe sembrare un semplice e lieve aggetto di luce della principale, invece che un astro separato.
*PIERO MAZZA MUSICISTA DI PROFESSIONE, È UN APPASSIONATO VISUALISTA, CON MIGLIAIA DI OSSERVAZIONI DEEP SKY CONSULTABILI DAL SITO WWW. GALASSIERE.IT.
OSSERVAZIONICONGIUNZIONE LUNA-GIOVE
Ripresa da Marina di Modica (RG) il 03/02/2022
Fotocamera Canon Eos RA con obiettivo Sigma Art 85 mm f/1,4 a f/4 su cavalletto Manfrotto Pose: 1,7 s a 800 Iso per il cielo, 13 s a 320 Iso per il primo piano Elaborazione: Photoshop Autore: Gianni Tumino, Ragusa.
LE
STELLE
I FANTASMINI DI CASSIOPEA (IC59 E IC63)
Ripresi da Vaste di Poggiardo (LE) il 29/09/2021
Rifrattore Night Technology Apo Ed 90/500 mm su montatura Sky-Watcher HEQ5
Fotocamera Canon Eos 600D full spectrum con filtri Optlong L-eNhance e L-pro Guida Sky-Watcher Synguider N. 20 pose da 7 min con L-eNhance e 43 da 3 min con L-pro, elaborate con Dss, PixInsight, PS CC.
Gamma Cassiopeiae, al centro dell’immagine, è una variabile eruttiva distante 549 anni luce, al centro dell’asterismo a “W” di Cassiopea. Sta per esaurire l’idrogeno nel suo nucleo e si appresta a trasformarsi in una “gigante”; le sue radiazioni hanno ionizzato i gas circostanti formando le due nebulose a riflessione chiamate “Fantasmini di Cassiopea”.
Autore: Fernando De Ronzo, Gruppo Astrofili del Salento, San Cassiano (LE).
IL 55º CONGRESSO DELL’UAI
TORNA IN PRESENZA A CONVERSANO (BARI)
L’APPUNTAMENTO ANNUALE DEGLI ASTROFILI ITALIANI
Dopo due anni di sessioni remote, il Congresso dell’Unione Astrofili Italiani (Uai) torna a svolgersi in presenza. Sarà il Castello degli Acquaviva D’Aragona di Conversano, in provincia di Bari e a pochi chilometri dalla costa adriatica, a ospitare quest’anno, dal 20 al 22 maggio, il 55º Congresso della Uai: il più importante appuntamento
degli appassionati di astronomia in Italia, dedicato all’aggiornamento, allo scambio di idee ed esperienze e alla definizione dei programmi di attività nei settori della divulgazione, della tecnica e della ricerca amatoriale astronomica. Il Congresso sarà reso disponibile anche in modalità online, per consentire la partecipazione degli astrofili impossibilitati a raggiungere la sede congressuale. L’edizione 2022
del Congresso si avvarrà del prezioso supporto organizzativo della Società Astronomica Pugliese, delegazione territoriale dell’Uai della provincia di Bari. “Il Congresso - spiega il presidente dell’Uai Luca Orrù - è ormai dal lontano 1968 il più atteso e privilegiato momento di incontro, condivisione e socializzazione di tutta la comunità degli astrofili, delle associazioni, degli osservatori,
» La Via Lattea ripresa da Claudio Costa, astrofilo e astrofotografo Uai.dei planetari e dei musei a tema astronomico e scientifico che si riconoscono nella Uai.
Un fine settimana per fare il punto della situazione, promuovere attività e condividere esperienze, offrire nuovi stimoli e anche per vivere momenti di grande divulgazione scientifica”. Parteciperanno all’appuntamento congressisti afferenti alle oltre 60 Delegazioni della Uai, distribuite in maniera capillare sul territorio nazionale, e tutti gli astrofili interessati a dare il proprio contributo ai lavori del Congresso.
RELAZIONARE PER PROGETTARE
Ricca e complessa l’articolazione del Congresso, che prevederà in primo luogo momenti di condivisione e discussione dei progetti realizzati nell’ambito dei vari settori di attività della Uai: didattica e divulgazione - anche in chiave inclusiva - delle scienze astronomiche, monitoraggio e contrasto dell’inquinamento luminoso, osservazione e studio degli oggetti celesti, promozione dell’uso della strumentazione astronomica e delle tecniche osservative più innovative. Ma il Congresso, come sottolinea Orrù, sarà anche l’occasione per “riflettere sulle sfide e opportunità da affrontare, e quindi per definire le principali attività su cui concentrarsi nell’anno successivo; in sintesi, un incontro in cui portare, con concretezza, le proprie esperienze, le proprie idee e la propria progettualità per definire assieme il futuro dell’astrofilia in Italia”.
In particolare, sono previste, nell’ambito del Congresso, sessioni di lavoro a cura delle tre nuove Commissioni nazionali dell’Uai,
istituite per decisione del Consiglio nazionale in occasione delle riunioni del 21 novembre e del 13 dicembre 2021: la Commissione Outreach, articolata nelle Sezioni nazionali di didattica, divulgazione, storia e archeoastronomia, divulgazione inclusiva, la Commissione Ricerca, suddivisa in nove sezioni, e la Commissione Tecnica, che comprende l’ex Commissione Inquinamento luminoso.
I PREMI AL CONGRESSO
In occasione del Congresso, come da tradizione, verranno assegnati il premio “Gian Battista Lacchini” e il premio “Guido Ruggieri”.
Il premio “Lacchini” è il più importante riconoscimento che l’Unione Astrofili Italiani conferisce ad astronomi e astrofili di fama mondiale che, oltre a essere all’avanguardia nella ricerca astronomica e astrofisica, dedicano una parte rilevante delle proprie energie alla divulgazione dell’astronomia, attraverso la pubblicazione di libri, la partecipazione a conferenze e a trasmissioni televisive. Il Premio “Ruggieri” viene invece assegnato all’astrofilo più meritevole per specifiche attività di ricerca effettuate o per l’insieme delle attività realizzate nel corso della propria carriera astrofila. Nel corso del Congresso verrà decretato anche il vincitore del bando Astroiniziative 2022, riservato alle delegazioni della Uai.
Il bando, con cadenza annuale, vuole sostenere le iniziative in ambito
divulgativo e didattico, eventualmente anche incentrate su attività di ricerca amatoriale, allo scopo – da un lato – di diffondere l’astronomia e la scienza nella società, e – dall’altro – di incoraggiare la creatività e la progettualità delle delegazioni. La Uai ha scelto di dedicare l’edizione 2022 del bando al tema del recupero del cielo perduto, per diffondere la sensibilità verso il contrasto all’inquinamento luminoso nell’anno della ripartenza dopo la pandemia e per invitare tutti all’azione, a partire dagli astrofili.
Sono previste nell’ambito del Congresso anche la consueta assemblea dei soci e le elezioni degli organi sociali della Uai e, in particolare, del Presidente, dei quattro Consiglieri elettivi, membri della Giunta, e dei Coordinatori delle Commissioni/Strutture della Uai. Non mancheranno infine le attività per il pubblico e le occasioni di incontro con le scuole del territorio, per diffondere la cultura astrofila e della scienza in generale, come spiega Orrù: “Crediamo che l’astronomia, con il suo carico di storia millenaria e di fascino universale, sia lo strumento ideale per veicolare la cultura scientifica, ancora troppo poco diffusa nel nostro Paese, da valorizzare e accrescere. Con il suo ricco programma di attività, il Congresso dell’Uai - conclude - si conferma anche quest’anno come la migliore occasione per condividere e approfondire la passione per l’osservazione del cielo e per la scienza, in un contesto - la cittadina di Conversano - di grande valore storico e naturalistico”.
Per maggiori informazioni vedi il sito www.uai.it.
UAI INFORMA *AZZURRA GIORDANI GIORNALISTA, È MEMBRO DELLO STAFF DI COMUNICAZIONE DELL’UNIONE ASTROFILI ITALIANI. » Alcuni membri del Consiglio Nazionale della Uai.interattive
CIELO IN UNA STANZA TUTTE LE DOMENICHE, ORE 15:00 Il Planetario, situato nel giardino del Museo Civico di Scienze e Archeologia, riproduce un cielo realistico, proiettando i diversi oggetti celesti e i loro moti apparenti. Gli spettacoli sono aperti a bambini e adulti. bit.ly/3gVycKZ
ORE 21:00 Conferenza divulgativa al Palazzo Comunale a cura di Luca Molinari, docente di Fisica teorica presso l’Università degli studi di Milano, organizzata dalla Società Astronomica “G.V. Schiaparelli”. bit.ly/3rXj8Tz
SOVICILLE (SI)
DI OSSERVAZIONE ASTRONOMICA
8 E 22 APRILE, ORE 21:30
L’Osservatorio astronomico di Montarrenti, gestito dall’Unione Astrofili Senesi, apre le porte al pubblico per offrire una serata di osservazione del cielo al telescopio. bit.ly/355WLCd
Città della Scienza
nel
LUNA IN PIAZZA BRA
APRILE, ORE 21:00
Astrofili Veronesi offre al pubblico di curiosi e appassionati di astronomia l’osservazione al telescopio della fascinosa Luna. bit.ly/33rnQ2m
ROCCA DI PAPA (RM)
ASTROINCONTRO AL PARCO ASTRONOMICO
1 APRILE, ORE 20:45
Evento divulgativo per adulti e bambini, dedicato alla scoperta e all’osservazione delle meraviglie del cielo, a occhio nudo e al telescopio, con gli esperti dell’Associazione Tuscolana di Astronomia bit.ly/3H48bUI
FAENZA (RA)
LA LUNGA STRADA VERSO MARTE
14 APRILE, ORE 21.00
Conferenza di Pierdomenico Memeo presso la sede del Gruppo Astrofili Faenza; può essere seguita anche online astrofaenza.it
22 APRILE, ORE 21:00
di Gianluca Rinaldi al Palazzo Comunale,
cura dell’Associazione Astronomica del
bit.ly/356sRhd
SIDEREUS NUNCIUS 2.0
PATRIZIA CARAVEO
MILANO; MONDADORI, 2021
PAGINE 200
FORMATO 14,5 X 20,5CM
PREZZO 14,00 €
Ogni scoperta astronomica spalanca una nuova finestra su orizzonti sconosciuti: dall’espansione accelerata del cosmo ai pianeti extrasolari, le nuove conquiste dell’astronomia moderna testimoniano che stiamo vivendo un periodo straordinario per lo studio dell’Universo. Gli strumenti oggi a disposizione degli scienziati consentono di studiare il cielo in modo davvero completo, come ci racconta questo nuovo saggio di Patrizia Caraveo. Il titolo è un omaggio all’opera di Galileo, che con il suo cannocchiale ha rivoluzionato l’osservazione e lo studio dell’Universo. Questo Nuncius nasce in versione 2.0, decisamente adatta a raccontare come si è evoluta l’astronomia dai tempi del grande fisico pisano fino a oggi.
Accanto ai tradizionali telescopi che osservano la luce visibile, abbiamo a disposizione strumenti per ogni banda dello spettro elettromagnetico, dalle onde radio fino ai raggi gamma. Possiamo rivelare i raggi cosmici e i neutrini, le elusive particelle subatomiche
che attraversano stelle e pianeti come fossero trasparenti e che ci consentono di sondare l’interno delle stelle e delle supernovae. Di recente abbiamo imparato a captare anche le onde gravitazionali, aprendo una nuova finestra sulla fisica dei buchi neri finora inaccessibile ai normali telescopi. Tutti questi messaggeri celesti della nuova astronomia, come recita il sottotitolo dell’opera, ci permettono di studiare i corpi celesti in una prospettiva nuova e affascinante. Ad accompagnarci nel racconto è la penna di Patrizia Caraveo – nota ai lettori di Cosmo per le sue doti divulgativeche nella carriera di astrofisica ha vissuto e condiviso molte delle avventure raccontate in questo libro. Scritto in modo chiaro e coinvolgente, per portarci, pagina dopo pagina, fino alle conoscenze più recenti dell’astronomia multi-messaggera. Un saggio adatto a tutti, soprattutto ai più curiosi di conoscere le sfide dell’astrofisica di oggi e la strada che ci ha portato fin qui.
Massimiliano RazzanoPELLEGRINI DELL’UNIVERSO
PIERO BIANUCCI
MILANO, SOLFERINO, 2021
PAGINE 379
FORMATO 21,5 X 14 CM
PREZZO 19,00 €
Il 2021 è stato l’anno del “turismo spaziale”. Hanno iniziato i miliardari volanti: in rapida successione, abbiamo visto prendere il volo Richard Branson con il suo StarShipOne e poi Jeff Bezos con la capsula New Shepard. Si tratta di due diversi approcci al volo suborbitale: mentre StarShipOne di Virgin Galactic è un simil aereo che parte attaccato a un altro velivolo e poi, una volta sganciato in quota, accende i motori per arrivare all’altezza di 80 chilometri, la New Shepard di Blue Origin è una capsula spaziale che parte spinta da un razzo fino a superare i 100 chilometri di quota, la linea ideale oltre la quale inizia convenzionalmente lo “spazio esterno”. Poi ci sono stati i turisti in orbita, vuoi sulla capsula di SpaceX, vuoi sulla Stazione spaziale internazionale, che ha anche ospitato un’attrice russa per girare scene del primo film “spaziale”. Anche l’avventura dei passeggeri di SpaceX è stata raccontata in una miniserie su Netflix, con particolare attenzione alle sue originalità, visto che dell’equipaggio faceva parte anche una giovane donna disabile.
La grande copertura mediatica ha alzato il livello di attenzione del pubblico sui viaggi umani nello spazio, tanto che il New York Times ha definito il 2021 The year space got sexy all over again (“L’anno in cui lo spazio torna di nuovo sexy per tutti”). È quindi con perfetto tempismo che Piero Bianucci ha prodotto quest’opera, che porta il sottotitolo: L’uomo nello spazio fra esplorazione e turismo Si tratta di una impressionante carrellata sul passato, presente e futuro dell’avventura umana nello spazio. Storia, fisica, missilistica, propulsione, biologia, chimica, bioritmi, medicina: un libro ricchissimo di informazioni e aneddoti su tutti i problemi che si possono incontrare nello spazio. Anche se pensate di essere esperti in qualcuno dei temi trattati, Bianucci vi sorprenderà e imparerete qualcosa. A me è successo proprio così e consiglio caldamente la lettura di questo libro a tutti gli aspiranti turisti spaziali: almeno… sapranno a che cosa vanno incontro.
Patrizia CaraveoFOREVER YOUNG
JOHN W. YOUNG E JAMES R. HANSENBOLOGNA, CARTABIANCA, 2022
PAGINE 474 CON 220 FOTO IN B/N
FORMATO 24X17 CM
PREZZO 19,90 €
John Young è l’astronauta dei record. Che potevano essere molti di più, senza il disastro del Challenger, nel 1986. Era già in addestramento per la missione che avrebbe dovuto mettere in orbita il Telescopio Spaziale Hubble. Ma dopo il tragico incidente, tutte le missioni vennero rinviate a tempo indeterminato, e lui che era anche a capo dell’Ufficio astronauti Nasa fu rimosso da quel ruolo e assunse un incarico al Centro di Houston: “Non mi hanno ascoltato. Era da tempo che avevo preparato dei documenti che mettevano in dubbio la sicurezza ed evidenziavano il pericolo per i nostri equipaggi” – ricordò Young. Che però resterà alla Nasa fino a quasi 74 anni, dopo 42 anni di servizio attivo dal 1962. L’autobiografia del mitico astronauta, deceduto nel 2018 a 87 anni, è un vero capolavoro, perché tale è stata la sua incredibile carriera. E la casa editrice Cartabianca, fondata e guidata con passione dai giornalisti Diego Meozzi e Paola Arosio, ci ha regalato la traduzione in italiano (di Meozzi) di un libro che contiene, oltre alla vita
di Young, carica di aneddoti e curiosità, un po’ tutta la storia dell’astronautica americana. Young andò nello spazio sei volte e si addestrò come riserva per altre quattro, più i due voli Shuttle: in tutto 12 missioni. Nel libro Young parla molto anche della sua vita privata: un fatto raro per una leggenda dello spazio che amava poco e affrontava con timidezza interviste e apparizioni TV. Una vita al massimo, anche nelle regole. Unico eccesso: fumare la pipa. Paradossalmente, Young divenne una celebrità non con le sue missioni Apollo, compresa quella che lo portò sulla superficie lunare. Ma fu l’eroe del primo Shuttle, il Columbia che portò in orbita nell’aprile 1981 con Bob Crippen, prima e unica astronave ad andare nello spazio con a bordo un equipaggio, senza eseguire dei test in volo precedenti. La sua gioia sfrenata all’atterraggio è rimasta nel cuore di tutti gli appassionati, e Forever Young ce la fa rivivere tutta. Raccontata da lui.
Antonio Lo CampoPICCOLA GUIDA AL CIELO
WALTER FERRERI
MILANO, IL CASTELLO, 2021
PAGINE 155 CON FOTO E MAPPE A COLORI
FORMATO 24 X 17 CM
PREZZO € 18,00
L’osservazione del cielo ha un fascino intramontabile. In un’epoca dove a far notizia sono le grandi scoperte nel campo dell’astrofisica, come le onde gravitazionali, la semplice osservazione di stelle e pianeti desta comunque interesse e stupore, come dimostrano gli eventi collegati alle eclissi e alle Perseidi. Nonostante la presenza dell’inquinamento luminoso, che ha notevolmente limitato l’osservazione del cielo a occhio nudo, ormai anche lontano dai centri abitati.
Per chi inizia a orientarsi a riconoscere stelle, costellazioni e pianeti, ma anche per chi si ritiene già esperto, è utile consultare una guida, pratica, semplice e bene illustrata, anche per predisporsi alle osservazioni con la strumentazione necessaria. Se poi a guidarci in una Piccola guida al cielo c’è uno dei massimi esperti italiani, come Walter Ferreri, possiamo davvero immergerci con passione tra mappe astrali e un percorso del cielo che, attraverso le stagioni, ci porta a scoprire le principali costellazioni e gli oggetti celesti di maggiore rilievo del cielo boreale. Un testo
agile, ricco di schede, mappe e spettacolari immagini a colori, oltre che di informazioni sui miti legati agli astri e sulla storia dell’astronomia.
D’altra parte, Walter Ferreri, oltre che astronomo è anche un fine divulgatore: è stato responsabile pubbliche relazioni dell’Osservatorio astrofisico di Torino dell’Inaf e fondatore nel 1977 della rivista Orione, la cui eredità è infine confluita in Cosmo, che lo vede ancora tra i suoi assidui collaboratori.
Attualmente direttore scientifico del Polo astronomico di Alpette (in provincia di Torino), Ferreri introduce il lettore in un viaggio tra le stelle, per poi andare in dettaglio su come osservare il cielo.
A dispetto del titolo, la Piccola guida è in realtà una guida completa, sia pure essenziale, che contiene, oltre che una ricca documentazione, anche venti mappe astronomiche. Pensata per osservatori dalle latitudini italiane o simili, ma che comprende anche informazioni sul cielo australe.
Antonio Lo CampoSPACE MARKETS
SPACE INFRASTRUCTURE
electron-beam welded. Once the spheric platform is built, a crew arrives to set up the station to the customer’s specifications.
The company sees potential for their space platform in LEO, GEO, Moon, and even for asteroid mining. As Orb2 is a scalable product, pressurized and nonpressurized configurations will be available. “Use cases for our Orb2 platform include humanrated space station augmentation, in-space mining repository, fuel storage, manufacturing, and debris management,” says Sebastian Asprella, CEO and Co-founder. Their target is to have a subscale prototype ready by 2024, followed by a minimum viable product by 2026, and the launch of a full-scale Orb2 by 2028.
20 years ago, sending a kilo of payload to low earth orbit using the Space Shuttle cost $55,000 dollars, nowadays, thanks to SpaceX’s Falcon 9 the cost per kilo has decreased by 95%. That is why 2020 stands as the year with the highest number of satellites launched in history, with over 1,283.
This increase of satellites also means new opportunities for collateral services like refueling, satellite servicing, space situational awareness, and debris management for example. According to Northern Sky Research, forecast demand for GEO life extension mission by 2030 will represent a cumulative market opportunity of $3.2 billion dollars.
Cheaper access to space will also enable a more robust human presence in space. Although Nasa has announced the intention to deorbit the International space station by
2031, new private space stations are currently under development by companies like Axiom Space, Blue Origin, Nanoracks/Voyager, and Northrop Grumman.
As we continue creating the in-space economy, building infrastructure is a key factor. That is why the US-based company ThinkOrbital is proposing the Orb2, a space platform that is designed as a single-launch on-orbit assembly model, capable of delivering an internal spherical volume of up to 4,000 square meters.
Orb2 is comprised of a series of octagon-shaped pieces that a robotic arm assembles in space and gets
According to Sebastian, “historically, the bottleneck in the space industry was the launch cost and capability. This is changing with SpaceX’s Starship, which will open the floodgates through its cost and capability, the bottleneck will shift from launch to space infrastructure. We expect a lot of demand for diverse infrastructure, from private space tourism, space manufacturing for both material and life sciences, as well as storage and on-orbit assembly and servicing of space assets”. Sebastian is right to mention SpaceX’s Starship as the enabler for more space infrastructure. Starship is not only the rocket that aims to take humans back to the Moon and Mars but also the rocket that will be capable of delivering 150 tons of payload to low earth orbit, ten times cheaper than any available option in the market.
DI JOSE SALGADO* *JOSE SALGADO IS A SPACE INDUSTRY ADVISOR AND FOUNDER OF D-CONSTRUCT SPACE CONSULTING.