Tenacia e determinazione
DI WALTER RIVADopo la cover story del numero di aprile, dedicata a Samantha Cristoforetti, che si accinge a volare con la Crew Dragon “Freedom” di SpaceX mentre scrivo queste righe e che, quando le leggerete, si troverà già a bordo della Stazione spaziale, questo mese focalizziamo la nostra attenzione su un altro grande personaggio dell’astronautica di casa nostra: Paolo Nespoli. Per tre volte a bordo della Iss, Paolo è un raro esempio di tenacia e di determinazione, qualità dimostrate più volte nel corso della sua vita. Dapprima per arrivare a coronare il suo sogno di volare nello spazio, per raggiungere il quale si laureò alla soglia dei 30 anni, poi nell’affrontare e tenere a bada la malattia che lo ha condizionato non poco negli ultimi tempi. Ma che non gli ha fatto passare la voglia di lottare e di tornare protagonista. Facendo nostro il suo esempio, non ci deve dunque abbattere questo periodo faticoso oltre ogni previsione, nel quale le prospettive di un futuro di pace, progresso e prosperità sembrano messe in discussione. Non sappiamo quando, ma in redazione siamo convinti che presto o tardi la collaborazione internazionale, nello spazio come in altri campi, tornerà a far sentire la sua voce e aiuterà a superare le tensioni e le divisioni di questi ultimi mesi. Del resto, questo numero ci parla anche di come, sempre con tenacia e determinazione, la missione Hayabusa-2 sia riuscita nello scopo di portare a terra un po’ di terreno dell’asteroide Ryugu, rivelatosi un mucchio di sassi e rendendo quindi particolarmente difficile il prelievo dei campioni. O di come ci vorranno, appunto, queste stesse qualità per assistere al fenomeno astronomico del mese, quell’eclisse totale di Luna che manca da più di tre anni nel nostro Paese e che avverrà poco prima dell’alba del 16 maggio, una notte che, per di più, cade fra una domenica e un lunedì. Sarà quindi un’eclisse faticosa per chi vorrà provare a godersela. Nella speranza che le nuvole, almeno per questa volta, si fermino a guardarla anche loro e non si presentino puntuali all’appuntamento.
ANNO 4 - NUMERO 28 mensile registrato presso il Tribunale di Milano al n° 137 del 6 giugno 2019
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CONTENTS
SPAZIO
4 SPACE NEWS
12 COVER STORY LA NUOVA VITA DI PAOLO NESPOLI
20 SPACE ECONOMY SPACE WARS
24 DAL CONFLITTO A SPACEX
26 L’OCCHIO ITALIANO DI ARTEMIS
28 IL CIBO OLTRE LA TERRA
32 SPACE IN ITALY: OLTRE AL VENTURE C’È DI PIÙ
34 LARES 2: QUANDO LA TRADIZIONE SEGNA IL FUTURO
36 I MESTIERI DELLA (NEW) SPACE ECONOMY
UNIVERSO
38 TEMA DEL MESE DKIST CI SVELA IL VOLTO DEL SOLE
44 SISTEMA SOLARE I VENTI AMMINOACIDI DELL’ASTEROIDE RYUGU
50 CIELO E TERRA ATTENZIONE: CADUTA ASTEROIDI
54 PERSONAGGI IN RICORDO DI NANNI
CIELO
60 FENOMENO DEL MESE ECLISSE TOTALE DI LUNA (ALL’ALBA)
64 CIELO DEL MESE
72 OSSERVAZIONI NAVIGHIAMO TRA LE GALASSIE DELL’ORSA MAGGIORE
EXPERIENCES
76 LE VOSTRE STELLE
86 DOMANDE E RISPOSTE
88 MOSTRE STEM*LAB BASE MARTE
92 EVENTI SOTTO IL CIELO
94 RECENSIONI
96 SPACE MARKETS THE SUSTAINABILITY OF SPACE
Inquadra con la fotocamera o con la App Scan del tuo smartphone o tablet i simboli QR che trovi in allegato agli articoli di questo numero per accedere a numerosi contenuti multimediali (video, simulazioni, animazioni, podcast, gallery).
JAMES
“Abbiamo guardato la prima immagine diffraction-limited prodotta dal James Webb Space Telescope (Jwst) e quello che abbiamo visto è che si tratta dell’immagine infrarossa a risoluzione più alta di sempre”. Con queste parole, Scott Acton, scienziato del Goddard Space Flight Center della Nasa, ha descritto il completamento dell’ultima fase di allineamento degli specchi. Jwst è il primo telescopio spaziale dotato di uno specchio primario segmentato: le sue dimensioni totali di 6,5 metri non gli consentivano di entrare in un razzo per il lancio nello spazio e per questo è stato progettato in 18 segmenti esagonali. È stato quindi piegato come un origami per il lancio, poi dispiegato nello spazio. Infine, ogni specchio è stato regolato, con la precisione del milionesimo di millimetro, per formare una singola superficie.
L’ultima fase di questo lungo processo si è conclusa lo scorso 11 marzo, quasi tre mesi dopo il lancio, quando l’imager primario della Near-Infrared Camera (NirCam) è stato completamente allineato agli specchi di Webb Nelle settimane successive, il team ha proceduto con le operazioni di allineamento degli altri strumenti (lo spettrografo nel vicino infrarosso, il Near InfraRed Imager e lo spettrografo Slitless). In questo lavoro in remoto (ricordiamo che Webb orbita a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra), il team è supportato da un algoritmo che valuta le prestazioni di ogni strumento e calcola le correzioni necessarie per ottenere un telescopio ben allineato con tutti gli strumenti.
Siamo sulla buona strada per completare tutte le fasi di preparazione tecnica di Jwst. Secondo le previsioni, queste operazioni dovrebbero concludersi entro il mese di maggio, per poi dedicare altri due mesi alla preparazione degli strumenti scientifici. Le prime immagini a piena risoluzione di Webb e i dati scientifici saranno quindi rilasciati nella prossima estate.
Nell’immagine sopra, la stella usata per valutare l’allineamento delle ottiche di Webb e della NirCam (Nasa/Stsci). Inquadra il QR per un video MediaInaf sulle prime immagini del Webb
UNO ZOOM DA RECORD DA SOLAR ORBITER
Mentre il Sole sta entrando nel vivo del suo ciclo di attività n. 25 (con un’evoluzione più veloce del previsto) e mentre si inaugura un nuovo grande osservatorio solare terrestre (vedi a pag. 38), le sonde solari ci stupiscono con le loro prestazioni da record. Il 7 marzo scorso, la Solar Orbiter dell’Agenzia spaziale europea ha realizzato l’immagine a più alta definizione che sia mai stata realizzata del disco e della corona solare Mentre si trovava a circa 75 milioni di chilometri dal Sole, l’Etreme Ultraviolet Imager di Solar Orbiter ha ripreso un’immagine da oltre 83 milioni di pixel, che si può “navigare” nella sua interezza inquadrando il QR. Si tratta di un mosaico di 25 riprese da 10 minuti ciascuna, realizzate una dopo l’altra nell’ultravioletto estremo. I dettagli della corona, lo strato più esterno dell’atmosfera solare, sono sbalorditivi: a ore 2 (vicino alla riproduzione della Terra utilizzata per indicare la scala) e a ore 8 si vedono dei filamenti scuri che si allontanano dalla superficie: plasma caldissimo lanciato nello spazio interplanetario, che può causare tempeste geomagnetiche sul nostro pianeta. Il 26 marzo, Solar Orbiter ha raggiunto il suo primo perielio, il punto di massimo avvicinamento al Sole. Ma è solo l’inizio: nei prossimi anni, la sonda volerà sempre più vicino alla nostra stella, modificando gradualmente il suo orientamento per osservare da vicino anche le regioni polari del Sole.
RICORDIAMOCI CHE C’È ANCHE ZHURONG
Il 2021 è stato un anno di visite terrestri per Marte. Tre missioni e due rover, nell’arco di pochi mesi, hanno portato nuovi obiettivi e nuove tecnologie sul Pianeta rosso. Affascinati dalle esplorazioni del rover Perseverance della Nasa e dal suo elicotterino Ingenuity, rammaricati dai continui rimandi della missione europea ExoMars, non dobbiamo trascurare Zhurong, il rover della missione cinese Tianwen-1, che si è posato sul pianeta il 14 maggio di un anno fa. Zhurong si aggira nelle pianure settentrionali di Marte, nella valle Utopia Planitia. Un luogo ideale per la sua topografia, di origine vulcanica, ma anche per la ricerca scientifica: la sua età superficiale è stimata più di tre miliardi di anni e potrebbe aver ospitato un grande bacino di acqua liquida.
La recente pubblicazione dei primi risultati ottenuti da Zhurong riguarda le analisi del terreno, a bassissimo attrito, e dell’ambiente circostante (foto), che presenta creste modellate dal vento e ricoperte di polvere e tanti piccoli crateri (con diametri inferiori a 10 metri), con segni di erosione atmosferica e processi di erosione chimica legati alla presenza di acqua. Così come il cratere Jezero di Perseverance ospitava, probabilmente, un grande lago, Utopia Planitia potrebbe avere un passato oceanico. Confermando l’ipotesi che il Pianeta rosso, anticamente, sia stato molto più “blu”.
HOLOTHEATER, UN TEATRO OLOGRAFICO PER LA SCIENZA
“L’Holotheater è la prima installazione dedicata alla divulgazione scientifica – e in particolar modo all’astrofisica – che sfrutta il principio dell’olografia”. Con queste parole, l’ologramma del direttore dell’Osservatorio astronomico di Roma dell’Inaf, Lucio Angelo Antonelli, ha salutato il pubblico presente nel museo Astrolab dell’Osservatorio, dove si inaugurava la nuova installazione, che consente di realizzare esperienze immersive e altamente realistiche, restituendo al visitatore l’impressione di trovarsi a pochi passi da corpi celesti lontanissimi. Davanti al pubblico si materializzano slides e scritte con le quali si può interagire, per attivare animazioni di galassie, simulazioni di resti di supernove (realizzate da Salvatore Orlando dell’Inaf di Palermo) e la rappresentazione fedele di un buco nero supermassiccio al centro di una galassia, realizzata da Jeremy Schnittman della Nasa. Si tratta di un’installazione hi-tech dalle enormi potenzialità, che si va ad aggiungere alle decine di exhibit già presenti nel museo Astrolab, attraverso i quali le scuole e i visitatori privati possono apprendere l’astronomia “toccandola con mano”. Inquadra il QR per un servizio di Media-Inaf dedicato all’Holotheater di Roma.
NUOVO BANDO NASA PER LANDER LUNARI
La Nasa selezionerà entro fine anno un nuovo veicolo per portare gli astronauti dal Lunar Gateway alla superficie della Luna. L’agenzia spaziale americana ha più volte confermato che sarà la navicella Starship di SpaceX a trasportare sul suolo selenico l’equipaggio di Artemis III, cioè coloro che riporteranno la presenza umana sul nostro satellite dopo più di 50 anni (figura).
Tuttavia, ha indetto nuove selezioni per un lander lunare che affiancherà Starship nelle missioni successive ad Artemis III, attualmente prevista non prima dell’aprile 2025. Il bando ufficiale sarà pubblicato quest’estate e le selezioni dureranno diversi mesi.
“La competizione è fondamentale per il nostro successo sulla superficie lunare e oltre” ha dichiarato l’amministratore della Nasa Bill Nelson, “ci assicurerà la capacità di svolgere missioni con regolarità nel prossimo decennio”.
L.UNA DANZA COSMICA CHE DURERÀ 10MILA ANNI
Due buchi neri super-massicci orbitano l’uno attorno all’altro ogni due anni. Hanno masse pari a centinaia di milioni di masse solari e distano tra loro circa 2000 volte la distanza Terra-Sole. Quando, tra circa 10mila anni, la coppia si fonderà, la titanica collisione farà tremare lo spazio-tempo, originando onde gravitazionali che si propagheranno attraverso l’Universo. In realtà, questa collisione è già avvenuta prima della nascita della Terra, perché la coppia si trova a nove miliardi di anni luce di distanza, e i segnali emessi sono già in viaggio verso di noi alla velocità della luce. Ma al momento possiamo osservare solo i preparativi dello spettacolo cosmico. Che è in programma nel quasar Pks 2131021, un nucleo galattico attivo che contiene i due grandi buchi neri in orbita reciproca. Le prove sono arrivate grazie a osservazioni radio compiute da radiotelescopi a terra e dallo spazio, che si estendono per ben 45 anni. I primi sospetti sono sorti nel 2020, quando sono state notate variazioni regolari nelle emissioni di Pks 2131-01: i ricercatori hanno quindi esaminato i dati radio d’archivio, risalendo fin al 1976 per verificare il ripetersi di queste variazioni. Inquadra il QR per un video di Media-Inaf sulla danza cosmica dei due super buchi neri.
LANCIARNE I SATELLITI PENSERÀ
SPACEX
Gran parte dei satelliti che avrebbero dovuto raggiungere l’orbita a bordo dei Sojuz russi, ma che è rimasta sulla rampa, finirà nelle mani di SpaceX. Fra essi c’è anche la mega costellazione per Internet veloce dell’inglese OneWeb, concorrente diretta di Starlink. Con 60 lanci previsti fra Falcon 9 e Falcon Heavy, Elon Musk ha stimato che della massa complessiva che nel 2022 raggiungerà lo spazio, la sua SpaceX trasporterà circa il 70%. Nel frattempo, Starlink ha raggiunto i 250 mila iscritti e punta a installare i propri servizi a bordo di aerei civili. Musk ha infatti dichiarato che per l’autunno del 2023 ci saranno 4200 Starlink attivi, circa due terzi di tutti i satelliti oggi in funzione attorno alla Terra. Si ferma invece a quattro esemplari la produzione di capsule Crew Dragon. La quarta e ultima è quella usata da Samantha Cristoforetti per tornare sulla Iss. Questo darà spazio allo sviluppo della navicella Starship.
TESTATI SATELLITI ITALIANI A COMUNICAZIONE OTTICA
È stato sperimentato con successo un prototipo di satellite che comunica con la luce. Il test, svoltosi a Roma nei laboratori Fablab di Thales Alenia Space, è parte del progetto Tows (Transmission of Optical Wireless Signals for Telecom Spacecrafts) finanziato dall’Esa con circa 700mila euro La tecnologia Optical wireless communication (Owc), su cui si basa il prototipo, permette il trasferimento di dati mediante segnali luminosi e utilizzando dispositivi ottici. Si bypassa, in questo modo, il ricorso ai cavi.
“I cavi a bordo di un satellite sono molti, costano, occupano spazio e pesano. Ridurne il numero consente di liberare spazio, ridurre il peso e i tempi di produzione” ha dichiarato il coordinatore del progetto Ernesto Ciaramella, docente di Telecomunicazioni dell’Istituto TeCIP (Tecnologie della Comunicazione, Informazione, Fotonica) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. L’istituto universitario è infatti coordinatore del progetto e l’azienda Thales Alenia Space (joint venture fra Thales al 63% e Leonardo al 33%) ne è partner.
D. L.LA COREA DEL NORD RAGGIUNGE I 6000 CHILOMETRI DI QUOTA
Il 24 marzo la Corea del Nord ha testato il suo missile balistico intercontinentale più potente, chiamato Hwasong-17 (foto). Con una spinta stimata di 160 tonnellate al primo stadio, non solo il vettore sarebbe ampiamente in grado di trasportare una testata nucleare su un altro continente, ma è anche il più potente missile balistico a propellente liquido mai lanciato. A poco è servito l’accordo del 2017 con gli Stati Uniti, secondo il quale la Corea del Nord non dovrebbe eseguire test del genere. Hwasong-17 è un missile a due stadi con un’altezza di circa 25 metri e un diametro fra i 2,4 e i 2,9 metri. Lo scorso marzo ha superato i 6000 chilometri di quota per poi tornare sulla Terra, a 70 minuti e 1100 chilometri dalla partenza, ammarando a soli 150 chilometri dalle coste giapponesi. Il test è stato condannato dai Paesi più filo-occidentali dell’area (Giappone e Corea del Sud) e dagli Stati Uniti, che attraverso una nota del Pentagono lo hanno definito “una sfacciata violazione di molteplici risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che aumenta inutilmente le tensioni e rischia di destabilizzare la situazione della sicurezza nella regione”. In risposta al lancio e in previsione di future eventualità simili, Washington ha approvato nuove sanzioni a nordcoreani, siriani e iraniani
D. L.Per Paolo Nespoli, per molti anni astronauta italiano dell’Esa, è iniziata una seconda vita. Una pagina del tutto nuova, perché riguarda la sua vita post-astronautica dopo un’attività spaziale davvero intensa, con tre missioni in dieci anni (“Ho atteso a lungo, ma ne è valsa la pena…”ci dice). E poi perché è iniziata una nuova vita in senso generale, dopo il tumore che lo aveva colpito alla fine del 2020. Ma oggi Paolo vede la luce in fondo al tunnel, sempre più vicina, ed è anche tornato a farsi vedere in pubblico. Tra gli astronauti italiani è noto per le sue conferenze brillanti, cariche di divulgazione scientifica, di racconti coinvolgenti, ma anche di aneddoti curiosi, spesso conditi da ironia. Ed è molto amato dai giovani, per il quale è stato e resta un mito. Ora, passata la tempesta, Paolo ha ripreso le sue attività, innanzitutto come docente al Politecnico di Milano, dove ogni lunedì e giovedì tiene il corso (in inglese) di Human Spaceflight and Operations. A questo impegno si aggiungono le conferenze via web e stanno riprendendo (Covid permettendo) anche quelle in presenza. Una partecipazione pubblica è prevista al Trento Film Festival il 6 maggio (vedi la rubrica Eventi a pag. 92); per aggiornamenti su altri eventi si consiglia di consultare il suo sito all’indirizzo www.astropaolo.space/
BUONGIORNO PAOLO. INNANZITUTTO, COME STAI?
Adesso mi sento abbastanza bene. Ho fatto da poco degli esami di controllo che hanno confermato che sono sulla buona strada. Sono esami che si fanno ogni tre mesi, per adesso. Poi, in seguito, ogni sei mesi. Certo, bisogna sempre non trascurarsi, perché questa brutta bestia per adesso l’ho messa in un angolo, e se ne sta lì in disparte e dorme, ma c’è sempre la possibilità che ritorni e quindi,
» Paolo Nespoli mostra come si prepara a fotografare l’eclissi di Sole il 21 agosto 2017 dalla Iss con un obiettivo da 400 mm dotato di un filtro solare (cortesia Esa).almeno per adesso, non posso dire di averla sconfitta. Ma al momento le cose vanno abbastanza bene.
TORNIAMO ALLO SPAZIO, CHE È DIVENTATO TERRENO
DI CONQUISTA DELLE COMPAGNIE PRIVATE: COME VEDI IL FUTURO DELL’ASTRONAUTICA
CHE È GIÀ INIZIATO?
Le compagnie private si inseriscono perfettamente nel contesto attuale e futuro delle attività spaziali. Per il turismo tra le stelle si fanno passi avanti importanti, da Virgin Galactic con i suoi spazioplani, ai voli del tutto diversi di Bezos con Blue Origin, fino alle più complesse e vere e proprie missioni orbitali di Space X. Mentre, più in ambito generale, i privati stanno portando avanti molti programmi in linea con la nuova space economy. E il futuro è non solo nell’orbita terrestre, ma oltre.
Il ritorno sulla Luna rientra proprio nella nuova filosofia dell’astronautica, che non è solo per l’esplorazione, ma anche per la ricerca delle risorse che lo spazio ci potrebbe fornire, a partire proprio da quelle che caratterizzano la superficie lunare.
E IL TURISMO SPAZIALE?
I VOLI ATTUALI LI
POSSIAMO DEFINIRE SPAZIALI? E I PASSEGGERI,
COME LI POSSIAMO DEFINIRE?
Direi “astro-turisti”. Ma non astronauti. Ho sempre pensato che fosse un peccato precludere lo spazio alla stragrande maggioranza degli abitanti della Terra e resto convinto che tutti dovrebbero provare questa fantastica esperienza dell’assenza di
peso, e vedere il nostro meraviglioso pianeta da lassù, perché sono cose che ti cambiano dentro. Ma non diventi astronauta professionista solo per aver fisicamente superato la cosiddetta linea di Kármán - sopra i 100 chilometri dalla superficie terrestre - così come era stata convenzionalmente definita dagli americani negli Anni 60. Se paghi il biglietto di un volo Milano-New York non diventi automaticamente pilota dell’aeroplano, ma resti un passeggero: per diventare pilota c’è una strada lunga da fare e lo stesso vale per l’astronauta. Quindi sarei contrario alla definizione applicata a chi supera una certa altezza, senza togliere niente ai civili che fanno questa scelta coraggiosa. Sono iniziative che giudico anzi favorevolmente. E dico di più: mi sarebbe piaciuto, un giorno, fare un girettino anch’io… tanto per rivivere qualcosa di quelle imprese straordinarie, ma faticose. In questi casi te ne stai comodo nella navicella e ti godi il viaggio e i panorami.
HAI NOSTALGIA DELLO SPAZIO? QUANDO SEI STATO IN CLINICA AVRAI PENSATO MOLTO AI TUOI 313 GIORNI INCREDIBILI TRA LE STELLE…
Sì e no, non era un pensiero fisso. Mi ritornavano comunque in mente le cose della mia vita, la mia giovinezza, l’Esercito, l’Università in America, l’attività di ingegnere all’Esa, la vita nella Stazione spaziale… Ho sempre iniziato come apprendista, lo dico da tempo. Apprendista paracadutista, apprendista militare nell’Esercito, apprendista astronauta…
Ho imparato molto e ho raggiunto tutti i miei obiettivi. Quando arrivai alla Nasa, in una sorta di Hall of Fame, mi emozionai al fatto che c’era la mia foto, anche se un po’ più piccola e in basso, tra tanti miei miti di quando ero ragazzino, come Armstrong, Aldrin, Shepard. È anche in quei momenti che ti rendi conto che, un po’ alla volta e con tanti sacrifici, hai realizzato un sogno.
QUEST’ANNO CON ARTEMIS-1 INIZIA IL NUOVO PROGRAMMA CHE RIPORTERÀ GLI UOMINI (E LE DONNE) SULLA LUNA. CHE COSA NE PENSI?
Artemis è un programma importante, che finalmente ci riporterà sulla Luna. Ed è stato avviato e finanziato dalla precedente amministrazione americana, con l’obiettivo di riportare astronauti sulla Luna nel 2024, proprio nell’anno in cui sarebbe terminato il mandato del precedente presidente Trump. Un allunaggio, il primo della serie, nel quale era previsto ci fosse una donna, la prima a camminare sulla Luna. Sebbene a rilento, specialmente con l’insediamento del nuovo Presidente, il programma prosegue e sono convinto che assisteremo a questo ritorno a piccoli passi per creare una base permanente che servirà anche per portarci più vicino a Marte. Che da anni resta sempre la prossima, grande frontiera della futura esplorazione spaziale umana.
AEROSPAZIALE E COLLABORA CON DIVERSE TESTATE NAZIONALI.
*ANTONIO LO CAMPO È UN GIORNALISTA SCIENTIFICO SPECIALIZZATO PER IL SETTORE » Paolo Nespoli manovra dalla Iss il robot Justin in uno scenario marziano ricostruito nel Centro aerospaziale Dlr a Oberpfaffenhofen, in Germania, nell’ambito del progetto Meteron dell’Esa (cortesia Esa).DAL 2028
LA STAZIONE SPAZIALE INTERNAZIONALE SARÀ PRIVATIZZATA, MA SI PENSA DI ABBANDONARLA NEL 2031. PERCHÉ?
La Iss resta un’impresa straordinaria, la più grande opera di ingegneria spaziale mai realizzata. È anche un magnifico laboratorio in orbita: ho vissuto lassù 313 giorni davvero fantastici, faticosi ma al tempo stesso eccitanti. Quando andai per la prima missione di lunga durata, tra il 2010 e il 2011, la trovai come un complesso orbitale che sapeva di nuovo, anche se ancora incompleto. Quando vi tornai nel 2017, la trovai più ampia, più funzionale, ma allo stesso tempo dopo sette anni già
mi accorsi che alcune tecnologie cominciavano a essere superate. Già dal 2028 potrebbe essere ceduta a privati, e questo va benissimo, ma poi dovrà essere mantenuta in funzione. E non sarà semplice. È come se uno ti dicesse “ti regalo questa splendida automobile, che è un vecchio cimelio”. E quindi quell’automobile poi andrà mantenuta bene, curata e fatta funzionare, altrimenti la fai rottamare. La Stazione spaziale dovrà essere ceduta in mano a chi potrà e saprà mantenerla operativa, considerando che la sua tecnologia sarà ormai superata. Altrimenti davvero verrà fatta deorbitare dopo pochi anni. E sarebbe un peccato, perché un complesso spaziale simile potrebbe ancora essere utile per
molto tempo in molteplici campi, non solo scientifici.
VENIAMO A QUESTIONI PIÙ “TERRESTRI”.
DOVE VIVI ADESSO? E DI CHE COSA TI OCCUPI? Non lontano dal lago di Como, con la mia famiglia, mia moglie e i nostri figli, e ho ripreso a svolgere un po’ di attività. Quella che mi occupa maggiormente è un corso di ingegneria aerospaziale che tengo come docente con il Politecnico di Milano. E poi ho ripreso un po’ alla volta a fare presentazioni e conferenze. Per adesso più che altro via web, anche dato il periodo di pandemia, ma conto di tornare a farle presto in presenza, magari proprio
» Il ritorno a terra di Paolo Nespoli (insieme a Randy Bresnik della Nasa e Sergei Ryazansky di Roscosmos) dopo la missione di lunga durata Vita sulla Iss (cortesia Esa).mentre i vostri lettori staranno leggendo queste pagine.
RECENTEMENTE
È MANCATO TITO STAGNO, GRANDE TELECRONISTA
CON LUI, VERO?
Sì, Tito è sempre stato un caro amico. È davvero una grande perdita per il mondo della cultura in Italia, oltre che per il giornalismo. Ho trascorso del tempo con lui, ero stato ospite anche a casa sua a Roma, da lui e la sua gentile moglie Edda. È colui che ci ha trasmesso in qualche modo la passione per l’astronautica.
Il primo sbarco lunare lo ricordo bene: ero a Viareggio, avevo solo 12 anni ed ero diviso tra l’emozione e
» Qui sotto e nella pagina a destra: Paolo Nespoli in attività sulla Iss nella sua ultima missione spaziale (cortesia Esa).
PAOLO NESPOLI, UNA CARRIERA SEMPRE AL TOP
Nato il 6 aprile 1957 a Milano, cresce a Verano Brianza (Milano). Ottiene un Bachelor of Science in Aerospace Engineering nel 1988 dalla Polytechnic University of New York e, nel 1989 riceve, sempre dalla stessa università, un Master in Aeronautica e Astronautica. L’Università degli Studi di Firenze gli conferisce, nel 1990, una Laurea in Ingegneria Meccanica e ottiene l’abilitazione all’esercizio della professione di ingegnere. Nella sua vita è stato paracadutista, istruttore di paracadutismo e direttore di lancio. Ha ottenuto l’abilitazione al lancio d’alta quota, la qualifica di incursore, il brevetto di pilota di aereo con qualifica per volo strumentale, il brevetto avanzato d’immersione subacquea con abilitazione all’immersione NitrOx.
Entrato nell’Esercito Italiano nel 1977, diventa sottufficiale e lavora come istruttore di paracadutismo presso la Scuola Militare di Paracadutismo di Pisa. Dal 1982 al 1984 è inviato a Beirut, in Libano, con il Contingente Italiano della Forza Multinazionale di Pace. Rientrato in Italia, diventa ufficiale e rimane a disposizione del Comando Battaglione Incursori. Nel 1985 riprende gli studi universitari e nel 1987 lascia l’esercito. Dopo aver ottenuto un Master di Scienza all’estero, nel 1989, ritorna in Italia e inizia a lavorare come ingegnere progettista alla Proel Tecnologie di Firenze, dove ha eseguito analisi meccaniche e fornito il supporto per la qualifica delle unità di volo del “cannone elettronico”, uno dei principali componenti del
sistema elettrodinamico del “satellite al guinzaglio” dell’Agenzia spaziale italiana. Nel 1991 entra a far parte del corpo astronautico europeo dell’Esa, a Colonia, in Germania, in qualità di ingegnere per la formazione degli astronauti. Nel 1995 viene assegnato al progetto EuroMir presso lo stabilimento Estec dell’Esa, a Noordwijk nei Paesi Bassi, dove assume la responsabilità del team che prepara, integra e supporta il Payload and Crew Support Computer utilizzato a bordo della stazione spaziale russa Mir. Nel 1996 è assegnato al Johnson Space Center della Nasa, a Houston, in Texas, dove lavora nella Spaceflight Training Division per la formazione per il personale di terra e per gli equipaggi in orbita a bordo della Stazione spaziale internazionale (Iss).
SPAZIALE DELLA RAI E PRIMO EDITORIALISTA DI “COSMO”. AVEVI UN RAPPORTO SPECIALE
lo stupore dell’evento che seguii in TV, e dal divertimento delle vacanze estive. Il vero sogno però partì con le missioni successive, quando gli astronauti facevano le derapate sulla Luna con la jeep, ed era sempre Tito a raccontarci quelle dirette indimenticabili. Non dimentico inoltre che lui tornò in TV, a 80 anni, solo una volta per fare una telecronaca spaziale, e fu per il lancio della mia missione con una Sojuz il 15 dicembre 2010.
ALCUNI PENSANO CHE LA TUA MALATTIA SIA STATA CAUSATA DALLA LUNGA PERMANENZA NELLO SPAZIO: PENSI CHE SIA VEROSIMILE?
È possibile, anche se non vi è alcuna certezza. Sappiamo bene che nello spazio la dose di radiazioni è più elevata che sulla Terra, e che più si sta in orbita e più il rischio è elevato. E che andando oltre l’orbita terrestre è peggio.
Per cui non abbiamo prove affidabili, finora. È una delle tante cose che stiamo cercando di capire, per fornire risposte certe ai futuri esploratori spaziali.
CHE COSA VUOI FARE “DA GRANDE”, IN QUESTA TUA SECONDA VITA DA POST-ASTRONAUTA? Come ti ho già detto, mi sento alla fine di un tunnel, guardo avanti e vedo la luce. Mi aspetto di tornare ad avere la maggior parte delle capacità che avevo prima, per continuare a viaggiare, a fare le conferenze, a parlare con i ragazzi, a spronarli a fare l’impossibile. Però adesso ho ripreso comunque a svolgere attività che mi soddisfano e ciò che spero è solo che il brutto mostro non si risvegli, poi tutto quello che verrà andrà comunque bene. Grazie, Paolo
Nel luglio 1998 è selezionato come astronauta dall’Agenzia spaziale italiana e un mese dopo è aggregato al Corpo astronautico europeo dell’Esa, nella base del Centro astronautico europeo (Eac) di Colonia, in Germania. Nell’agosto 1998 è trasferito presso il Johnson Space Center della Nasa e assegnato alla classe di astronauti 17. Nel 2000 consegue le qualificazioni di base per essere assegnato a una missione a bordo di uno Shuttle e alla Iss. Nel luglio 2001 completa il corso di addestramento per comandare il braccio robotico dello Shuttle e nel settembre 2003 completa il corso avanzato per le attività extraveicolari. Dal 23 ottobre al 7 novembre 2007 parte come “specialista di missione” con il volo STS-120 dello Shuttle Discovery
verso la Iss. Durante questa missione viene consegnato e installato il Nodo 2, un importante elemento strutturale essenziale per l’ulteriore ampliamento della Iss. Un altro importante compito è la ricollocazione di uno dei pannelli solari che forniscono energia alla Stazione.
Durante questa missione, chiamata Esperia, Nespoli ha un ruolo chiave in supporto alle passeggiate spaziali. Inoltre, porta a termine per la comunità scientifica europea una serie di esperimenti nel campo della biologia e della fisiologia umana e prende parte ad attività di istruzione.
Nel novembre 2008 viene assegnato al suo secondo volo nello spazio: la Expedition 26/27, una missione di lunga durata sulla Iss, lanciata il 15 dicembre
2010. In qualità di ingegnere di volo, i suoi compiti durante la missione MagISStra comprendono la conduzione di esperimenti scientifici e dimostrazioni tecnologiche, nonché l’esecuzione di attività educative.
Dopo 159 giorni nello spazio, rientra a Terra il 24 maggio 2011.
Il 28 luglio 2017 parte con una Soyuz MS-05 per la sua terza missione, grazie a un contratto bilaterale tra la Nasa e l’Agenzia spaziale italiana che coinvolge gli astronauti dell’Esa. Porta a termine oltre 60 esperimenti durante la missione Vita (Vitalità, Innovazione, Tecnologia e Abilità) e torna sulla Terra il 14 dicembre 2017, dopo 139 giorni nello spazio. Nel novembre 2019 ha lasciato il corpo astronauti dell’Esa.
SPACE WARS
UNA PANORAMICA SULLE CONSEGUENZE SPAZIALI DEL CONFLITTO IN UCRAINA, NELLA SPERANZA DI NUOVE OPPORTUNITÀ
Per chi lavora in ambito spaziale, le ripercussioni politiche della crisi in Ucraina vanno ben oltre i complicati equilibri sul pianeta Terra. I venti di guerra stanno soffiando nello spazio e hanno già raggiunto Venere e Marte, la cui esplorazione, prevista in un futuro più o meno prossimo, era basata su una collaudata collaborazione tra l’agenzia spaziale russa, Roscosmos, con la Nasa e l’Esa.
Forte dello straordinario successo dei lanciatori Sojuz, il cui look non è cambiato dai tempi dello Sputnik, e del più recente e potente Proton, Roscosmos ne aveva fatto “merce di scambio” nell’ambito di collaborazioni con l’ente spaziale statunitense e l’agenzia europea. Le istituzioni occidentali mettevano
la strumentazione delle sonde e l’agenzia russa forniva il lanciatore in cambio dell’accesso ai dati degli strumenti. Qualche esempio? La missione dell’Agenzia spaziale europea Integral, dedicata all’astronomia gamma, è partita dalla base di Baikonur in Kazakistan nel 2002 a bordo di un Proton. In cambio del lancio, gli scienziati russi hanno diritto a una porzione garantita di tempo di osservazione. Nel 2003 e 2005 è stato il turno di Mars Express e Venus Express, sempre dell’Esa, lanciate in direzione di Marte e di Venere a bordo di un lanciatore Sojuz. E la lista potrebbe proseguire: non è un caso che, deciso il pensionamento dello Space Shuttle nel 2011, la Nasa abbia fatto affidamento su Roscosmos per il trasporto dei suoi astronauti
alla Stazione spaziale internazionale, che è un progetto congiunto russo americano, figlio della caduta del muro di Berlino e della fine della Guerra fredda. Certo, la stazione ha un segmento russo e uno americano, ma i portelloni sono sempre aperti perché gli astronauti occidentali e i cosmonauti vivono gomito a gomito. Affidarsi alla Sojuz (la navetta per gli astronauti ha lo stesso nome del lanciatore) era stata una scelta obbligata, visto che solo i russi potevano fornire servizi di lancio certificati per il trasporto degli equipaggi. Il monopolio aveva fatto lievitare i prezzi, ma non c’era scelta. Sebbene le navicelle russe non concedano niente al confort, sono estremamente sicure anche grazie al lanciatore collaudatissimo. Proprio la grande affidabilità aveva
aperto le porte a una collaborazione commerciale tra Roscosmos e ArianeSpace per lanciare i Sojuz dallo spazioporto europeo di Kourou, in Guyana Francese. Una base di lancio equatoriale apriva un nuovo mercato per i lanciatori russi che, commercializzati da ArianeSpace, avevano smesso di essere concorrenti temibili dei vettori europei. La crescita della space economy ha progressivamente aumentato la richiesta di lanci del vettore Sojuz, sia dalla Guyana che da Baikonur, e questo ha pareggiato i buchi di bilancio aperti dalla mancanza degli astronauti occidentali, che dal 2020 possono fare affidamento sulle capsule Dragon di Elon Musk. In più, Roscosmos ha ricominciato a vendere i posti sulla navetta Sojuz ai turisti spaziali. Un panorama che la guerra e le sanzioni hanno scosso dalle fondamenta. Quello che non era mai successo durante gli anni bui della Guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica è avvenuto nel volgere di qualche giorno alla fine di febbraio a seguito dell’invasione dell’Ucraina.
Per rispondere alle sanzioni occidentali che colpiscono gli import tecnologici russi, Roscosmos ha ritirato il suo personale dalla base di Kourou. Una decisione che, di fatto, impedisce di usare i Sojuz dallo spazioporto europeo. In effetti, anche i lanci commerciali del vettore Sojuz dal cosmodromo di Baikonur sono stati cancellati. Ne ha già fatto le spese OneWeb, che ha visto annullare il lancio di un carico di 36 satelliti già sulla rampa, pronti a partire. Medesimo destino per i due satelliti della costellazione Galileo - il cui lancio, previsto a inizio aprile,
è stato annullato anzitempo – e per la missione ExoMars, che avrebbe dovuto partire da Baikonur a bordo di un vettore Proton a fine settembre.
L’Esa ha sospeso la missione a data, e a nuova compagine collaborativa, da definirsi. Con Marte non si scherza: le finestre di lancio si aprono ogni 26 mesi, quando il pianeta è più vicino alla Terra, tecnicamente, in opposizione. La prossima opportunità sarà nel novembre 2024, quindi nel 2026, ma le due scadenze saranno rispettabili solo a fronte di una riconfermata partnership con i russi. Altrimenti, sarebbe difficile ipotizzare una missione europea che diriga su Marte prima del 2030. L’interruzione dei voli di rifornimento alla Iss, minacciata via Twitter dal capo di Roscosmos, renderebbe problematica anche la gestione della stazione, che è un progetto che si regge sulla sinergia russo-americana. Senza le Sojuz (e le navette cargo Progress) che portano anche il carburante per stabilizzare l’orbita, la gigantesca struttura perderebbe quota e, anche se non nell’immediato, sarebbe destinata a deorbitare. Per fortuna, le pesanti minacce verbali non sembrano avere avuto conseguenze: la manovra del reboost orbitale della Iss è stata fatta l’11 marzo, come da programma prestabilito, così come il rientro di due cosmonauti russi insieme con un collega americano con la navicella Sojuz, atterrata regolarmente nella steppa kazaka lo scorso 30 marzo.
Mi chiedo quale sia lo stato d’animo a bordo, ma non dubito sulla professionalità dell’equipaggio internazionale, un gruppo in cui tutti si conoscono e sono
abituati a lavorare e a vivere in strettissimo contatto. Se la Iss sembra sopravvivere ai tweet inferociti del direttore generale di Roscosmos, Dmitry Rogozin, di sicuro la solidissima collaborazione tra l’agenzia spaziale russa e quella tedesca (Dlr) ha subito un duro colpo.
Insieme con l’annuncio delle sanzioni, la Dlr ha cancellato tutte le collaborazioni spaziali con la Russia venendo prontamente ricambiata. Una decisione che ha implicato lo spegnimento del telescopio X eRosita a bordo della missione russa Spektr-RG che si trova nel punto lagrangiano L2 a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra. Lo strumento, pur perfettamente funzionante, è stato messo in safe mode, una sorta di ibernazione che interrompe le normali operazioni. Curiosamente il governo americano è stato meno perentorio di quello tedesco e, ad eccezione della Iss, le collaborazioni sono state interrotte senza, però, venire cancellate. È un panorama inedito, che ha colto di sorpresa la comunità spaziale convinta che lo spazio fosse un (non) luogo privilegiato, lontano dalle insensatezze terrestri. Invece stiamo vedendo vacillare tutte le collaborazioni stabilite nel corso di decenni, sia a livello scientifico che commerciale.
Questa situazione di penosa incertezza mi ha riportato alla mente gli avvenimenti della primavera del 2014, quando il mondo assisteva alla prima crisi della Crimea, non grave come l’attuale, ma molto sentita a livello internazionale specialmente dopo l’abbattimento accidentale (ma non per questo meno tragico)
PATRIZIA CARAVEOdell’aereo della Malaysia Airlines, avvenuto il 24 marzo. Volare sulla Russia era considerato pericoloso da molti colleghi. Ci si chiedeva se fosse il caso di annullare la partecipazione al grande meeting che il Cospar, il Comitato per la ricerca spaziale, aveva pianificato per l’agosto di quell’anno a Mosca.
Per chi avesse un vuoto di memoria, ricordo che il Cospar è stato fondato nel 1958, nel pieno della Guerra fredda, proprio per facilitare il dialogo tra scienziati che vivevano nei due blocchi contrapposti.
L’Unione Sovietica, ora Russia, è sempre stata un socio di maggioranza dell’organizzazione, insieme con Stati Uniti, nazioni europee, Cina, India e Giappone.
Per evitare il fallimento del congresso al quale erano iscritte molte migliaia di scienziati da tutto il mondo, i colleghi russi chiesero aiuto a mio marito, Giovanni (Nanni) Bignami, all’epoca presidente del Cospar (vedi l’articolo a pag. 54). Un vecchio amico russo gli aveva confidato che solo un incontro con Vladimir Putin avrebbe potuto sbloccare la
situazione. Ricordo quanto Nanni fosse scettico sulla possibilità che Putin gli concedesse udienza, ma non si oppose al tentativo.
La convocazione, invece, arrivò: l’incontro sarebbe avvenuto al museo dello spazio a Mosca, dove Putin sarebbe andato per farsi riprendere a parlare con gli occupanti della Iss in occasione di un collegamento programmato da tempo, a beneficio di una platea di studenti.
Dopo lo show, Nanni ebbe un faccia a faccia con Putin. Ovviamente con l’interprete, sebbene Nanni conoscesse il russo abbastanza per seguire dal vivo le parole di Putin; che si disse seccatissimo dall’atteggiamento dell’Ucraina, visto il risultato schiacciante del referendum in Crimea. Parlò più della crisi in Crimea che del Cospar, ma alla fine garantì non ci sarebbero stati pericoli e che tutti i partecipanti alla conferenza sarebbero stati i benvenuti. Nanni tornò a casa con un cofanetto con l’opera completa di Tolstoj, una bottiglia di vodka (che divenne la “Vodka di Putin” nel nostro lessico famigliare) e
una sensazione di freddo alla schiena. Lo sguardo del suo interlocutore non l’aveva rassicurato ma, in qualità di Presidente del Cospar, aveva deciso di procedere con l’organizzazione del congresso e di non mettere a repentaglio un’occasione di incontro internazionale più che mai necessaria. Sarei curiosa di conoscere il suo parere sulla situazione attuale. Purtroppo Nanni non c’è più ed è in momenti come questo che sento maggiormente la sua mancanza. Credo sarebbe stupefatto e rattristato, molto rattristato: la sua visione era profondamente internazionale e considerava le collaborazioni tra scienziati di nazioni diverse un bene fondamentale. Forse avrebbe colto l’occasione per proporre qualcosa di nuovo. In fondo, in ogni crisi c’è un’opportunità di rinascita
*PATRIZIA CARAVEO
È DIRIGENTE DI RICERCA ALL’ISTITUTO
NAZIONALE DI ASTROFISICA (INAF) E LAVORA ALL’ISTITUTO DI ASTROFISICA SPAZIALE E FISICA COSMICA DI MILANO.
SPACE ECONOMY » Giovanni (Nanni) Bignami e Vladimir Putin.DAL CONFLITTO A
SPACEX
PERCHÉ LE CONSEGUENZE DELL’INVASIONE IN UCRAINA POTREBBERO AVVANTAGGIARE LA COMPAGNIA DI ELON MUSK
L’invasione russa in Ucraina e le conseguenti sanzioni internazionali contro Mosca con ogni probabilità cambieranno gli equilibri a breve termine anche nel settore spaziale. SpaceX di Elon Musk, infatti, potrebbe presto diventare il lead player a livello europeo sul versante dei lanciatori, nonostante l’Unione possegga gli ottimi Vega e Ariane e si appresti, entro l’anno, a lanciarne la prossima generazione.
Per capire il perché di questo possibile e improvviso shift, bisogna analizzare cosa è successo in ambito spaziale a seguito dell’offensiva di Mosca contro Kiev: l’Agenzia spaziale europea, dopo una movimentata riunione del Consiglio in cui si ipotizzava di tenere aperta la porta alla Russia come gesto di buona volontà verso la pace,
ha invece congelato la missione congiunta ExoMars per l’esplorazione di Marte. La Svezia si è quindi rifiutata di lanciare il satellite scientifico Mats con un Sojuz. In parallelo, il direttore dell’agenzia spaziale della Federazione, Roscosmos, Dmitry Rogozin, si è reso protagonista di diversi attacchi – da molti interpretati come minaccealla comunità internazionale. Il governo russo ha subito richiamato in patria tutto il suo personale dalla base spaziale europea di Kourou, in
*FRANCESCO BUSSOLETTI È GIORNALISTA PROFESSIONISTA E INVIATO DI GUERRA EMBEDDED IN DIVERSE AREE DI CONFLITTO. DAL 2003 SI OCCUPA DEI TEMI LEGATI ALLA DIFESA E ALLA SICUREZZA, A CUI NEGLI ULTIMI ANNI HA AGGIUNTO LA CYBERSECURITY E LO SPAZIO.
Guyana Francese, e ha bloccato tutti i lanci dal cosmodromo di Bajkonur e da quelli associati che coinvolgessero le nazioni che hanno aderito alle sanzioni. Tra questi, i satelliti della britannica OneWeb. Rogozin, aperto sostenitore del presidente Vladimir Putin e della sua “operazione speciale militare”, ha infine rilanciato affermando che la Russia andrà da sola su Marte Di fatto, almeno in teoria, c’è il rischio che la maggior parte delle operazioni spaziali civili e commerciali europee si paralizzi o almeno rallenti. Anche perché il motore del quarto stadio del Vega è prodotto in Ucraina e la guerra in corso ha bloccato ogni fornitura all’Esa, sebbene il produttore del lanciatore in Italia, Avio, abbia già confermato la disponibilità di uno “stock strategico” a garanzia dei lanci
previsti fino al 2026 (e consegnato prima dell’escalation in Ucraina). Beninteso, l’Unione Europea, l’Italia e l’Occidente in generale non possono permettersi ritardi eccessivi e men che meno stop. Congelare o rallentare i numerosi programmi in corso causerebbe perdite economiche e competitive gravi, anche perché la Russia sta cercando di rafforzare le partnership spaziali con quei Paesi che si sono espressi a sostegno di Mosca, o sono rimasti neutrali nell’offensiva contro Kiev: e cioè la Cina, l’India, il Pakistan e il Brasile. Fino a poco tempo fa c’era anche Israele, ma le ultime dichiarazioni dello Stato ebraico hanno indispettito Putin. È doveroso ricordare, tuttavia, che anche prima dell’inizio dell’invasione russa, l’Unione Europea era ricorsa ai servizi di SpaceX in due occasioni: a dicembre 2021, per inviare rifornimenti alla Stazione spaziale internazionale, e a febbraio 2022, per lanciare il secondo satellite della second generation di Cosmo SkyMed. Entrambe le operazioni sono andate bene, nonostante i tempi stretti nell’organizzazione dei lanci, e si è anche dimostrato che i vettori di Elon Musk sono particolarmente economici da impiegare. Questi elementi hanno portato ad aprire un dibattito in Europa sulla possibilità di usare SpaceX, almeno per il momento, in via continuativa.
Per il prossimo futuro, in effetti, le alternative scarseggiano: le conseguenze della guerra in Ucraina non sembrano destinate a esaurirsi nel breve periodo e le sanzioni alla Russia
probabilmente proseguiranno anche in caso di raggiungimento della pace. È probabile che normalizzare le relazioni con Mosca, anche nel migliore dei casi, richiederà anni. Tempo che l’UE non può permettersi di perdere aspettando di poter avere nuovamente accesso ai Sojuz e ai cosmodromi.
Per molti osservatori questa sembra l’occasione giusta per staccarsi –anche sul versante spaziale – dalla dipendenza dalla Federazione.
In primis per quanto riguarda la Iss: gli astronauti internazionali, infatti, arrivano e tornano dall’avamposto orbitante “ospitati” a bordo dei lanciatori russi. L’ultimo è stato lo statunitense Mark Vande Hei, atterrato con un Sojuz in Kazakistan il 30 marzo nonostante le tensioni tra Washington e Mosca. Peraltro, è stato lo stesso Rogozin a fornire involontariamente un assist in questo senso, con una lettera in cui annuncia il probabile congelamento della cooperazione russa sulla Stazione orbitante - dopo 23 anni dall’inizio - a causa delle sanzioni internazionali. Il capo di Roscosmos, da una parte loda le Agenzie Spaziali occidentali - Nasa, Csa ed Esa – per essersi espresse verso lo stop alle misure punitive legate ad alcune aziende del settore spaziale di Mosca, nell’ottica di mantenere viva la cooperazione in particolare sulla Stazione spaziale internazionale. Dall’altra, accusa i governi occidentali di non voler agire in tal senso e afferma perciò che “la Iss morirà per sua stessa mano”, in quanto la Russia vi ha un ruolo fondamentale. Di conseguenza, Rogozin afferma
in un comunicato che chiederà alla leadership politica della Federazione di indicare le modalità e i tempi con cui porre fine alla cooperazione per l’avamposto orbitante. SpaceX, che ha appena aiutato OneWeb a lanciare la sua costellazione di satelliti dopo lo stop russo (come scriviamo nell’articolo a pagina 22), oltre all’economicità e alla capacità di fornire un buon servizio in tempi ridotti, ha anche un’altra freccia al proprio arco, di particolare interesse per l’UE: sta sviluppando un vettore “heavy” per le missioni nello spazio profondo. Se l’azienda americana riuscisse a “metterlo in linea” per tempo, l’Unione Europea potrebbe addirittura ipotizzare di riavviare ExoMars in autonomia E a differenza di eventuali tentativi della Russia ci sono elevate possibilità di successo. Mosca, infatti, fornisce i motori e i componenti non intelligenti della missione. Tutta l’alta tecnologia del progetto è invece prodotta in Europa e soprattutto in Italia con la Altec di Torino. Sebbene, al momento, non ci sia alcunché di certo per quanto riguarda l’uso continuativo di SpaceX nel Vecchio Continente, è possibile dire che in ambito UE c’è un forte trend di interesse verso l’azienda di Musk, un interesse rafforzato dalla guerra in Ucraina e dall’urgenza di rispettare i tempi programmati per i lanci dei satelliti. E un interesse che coinvolge anche l’Italia, visto che il Piano nazionale per la ripresa e la resilienza prevede un sostanzioso capitolo di spesa dedicato allo spazio
SPACE ECONOMY » La capsula Crew Dragon di SpaceX a sinistra e un razzo Sojuz a destra.L’OCCHIO ITALIANO DI
ARTEMIS
ARGOMOON, L’UNICO SATELLITE EUROPEO A BORDO DELLA PRIMA MISSIONE LUNARE, È DELLA TORINESE ARGOTEC. NON SERVIRÀ SOLO ALLA LUNA
Il passeggero italiano dentro al razzo più potente mai costruito è pronto a volare in direzione della Luna.
Lo Space Launch System, il vettore della Nasa che fra maggio e giugno dovrebbe ricevere il battesimo del cielo per la prima missione del programma Artemis, è uscito allo scoperto a marzo, per gli ultimi test sulla rampa di lancio 39B del Kennedy Space Center, in Florida. Finalmente completo, con in testa la capsula Orion, è il sistema di lancio che utilizzeranno gli equipaggi nelle missioni verso il nostro satellite. Un elemento importante della navicella, il modulo di servizio, è stato costruito in Europa, grazie alla partnership con l’Esa. Ma c’è una missione nella missione, tutta made in Italy, in questa prima avventura lunare: Argomoon è il cubesat sviluppato e costruito da Argotec, in partnership con l’Agenzia spaziale italiana (Asi).
Grande come una valigetta, sarà il testimone oculare di una delle fasi del trasvolo. Poi farà storia a sé: arriverà
in autonomia a poche migliaia di chilometri dalla Luna per testare nuove tecnologie da applicare anche in altri settori strategici nella new space economy, dall’Osservazione della Terra all’in orbit servicing.
“La Nasa già ci conosceva come provider di payload secondari: qualche anno fa abbiamo realizzato la macchina del caffè Lavazza arrivata sulla Stazione spaziale internazionale - afferma Silvio Patruno, capo della Ait & Design unit di Argotec - Argomoon è un payload secondario di Sls. Abbiamo partecipato al bando Asi e abbiamo sviluppato Argomoon per le esigenze della Nasa: testimoniare un evento che altrimenti non avrebbero potuto osservare. Siamo orgogliosi che sia l’unico satellite europeo insieme con quelli americani e giapponesi. Un riconoscimento per l’alta affidabilità della tecnologia italiana”. Il lavoro di Argomoon inizierà poche ore dopo il lancio, alloggiato all’interno dell’Icps (Interim Cryogenic Propulsion Stage), l’ultimo stadio del vettore, quello che darà la spinta a
Orion per raggiungere la Luna.
Una volta rilasciato, Argomoon dovrà guardarsi attorno e individuare il suo obiettivo tra tutto quello che osserverà nel suo campo visivo, nel quale compariranno la Terra, la Luna e altri oggetti, forse la stessa Orion: “Argomoon eseguirà manovre orbitali automatiche per orientarsi nel buio e riconoscere lo stadio del lanciatore grazie all’algoritmo di intelligenza artificiale allenato per questo. Scatterà foto storiche del distacco e di ispezione di avvenuta separazione di Orion” specifica Patruno. “Il satellite sarà in grado di classificare gli oggetti per identificare lo stadio lanciatore - spiega Simone Simonetti, a capo della System Engineering Unit di Argotec - con manovre automatiche, senza intervento da terra. E si avvicinerà per scattare immagini ad alta definizione”.
La tecnologia sviluppata da Argotec è piaciuta alla Nasa, tanto che un’altra sonda sta già volando con la missione Dart dell’agenzia spaziale americana nello spazio profondo. Liciacube è
stata selezionata dopo Argomoon per un compito simile: scattare foto dell’impatto contro un asteroide previsto nel 2022.
Gli ingegneri di Argotec non saranno a Cape Canaveral per il lancio di Artemis I. Il cubesat dovrà infatti agire in fretta e con precisione, quindi seguiranno tutto dal control center di Torino. La missione però non si esaurirà subito, anche Argomoon si farà vedere dalle parti della Luna. Durante i successivi sei mesi resterà su un’orbita ellittica attorno alla Terra, molto allungata, che lo porterà ad arrivare a circa 10mila chilometri dalla superficie del nostro satellite: “Incontrerà diverse volte la Luna e produrrà immagini ad alta definizione della superficie da inviare a Terra - continua Simonetti - stiamo seguendo diverse strade con l’Asi, vogliamo incrementare la valenza scientifica della missione”.
L’altro obiettivo è testare le tecnologie in un ambiente difficile: lo spazio profondo: “Finora abbiamo lavorato soprattutto in ambiente terrestre; nello spazio profondo occorre una diversa resistenza alle radiazioni. Valuteremo queste tecnologie avanzate che potranno essere usate in missioni come Andromeda, il progetto della costellazione per un servizio commerciale di comunicazione e navigazione sulla superficie della Luna” sottolinea Simonetti.
Alla gloria di partecipare alla più
*MATTEO MARINI GIORNALISTA SCIENTIFICO, EX ARCHEOLOGO, SCRIVE DI ASTRONOMIA, MISSIONI SPAZIALI E AMBIENTE. ALLEVA GIOVANI REPORTER ALLA SCUOLA DI GIORNALISMO DI URBINO.
» A sinistra: il mini satellite Argomoon; a destra: il team di Argotec. Sotto, da sinistra Silvio Paturno e Simone Simonetti.
importante missione di esplorazione spaziale degli ultimi decenni si aggiunge la prospettiva commerciale che, per un’azienda come Argotec, è l’orizzonte. L’intelligenza artificiale, allenata per danzare nello spazio più buio con Artemis e Dart, collegata alle camere per l’osservazione della Terra da satellite, andrà a beneficio di applicazioni per riconoscere incendi, lo scioglimento dei ghiacci e la deforestazione. Ma anche per un settore ancora tutto da esplorare, come quello dell’in orbit servicing:
“L’algoritmo di riconoscimento delle immagini potrà servire a un satellite per avvicinarsi a un altro e verificare eventuali guasti” sottolinea il capo della System Engineering Unit .
“Verranno validate tecnologie di IA come React - prosegue Simonettiin pratica, i piccoli satelliti hanno tre ruote per orientarsi. Quando se ne guasta una non è più possibile il
controllo d’assetto. Gli algoritmi riconoscono il guasto e trovano la soluzione ottimale per orientare il satellite con sole due ruote”. In questo momento storico, in cui costellazioni di migliaia di piccoli satelliti affollano le orbite basse, ogni oggetto fuori controllo riportato ad almeno parziale operatività significa un proiettile in meno che vaga minacciando di colpire qualcos’altro. “Argomoon è un pioniere e l’intelligenza artificiale la farà da padrone - conclude Patruno - sappiamo che il futuro è nei grandi numeri e nelle piccole dimensioni dei satelliti. Quelli più grossi hanno sistemi ridondanti, più ruote per orientarsi o più batterie in caso di guasti, ma costano molto di più. Queste soluzioni di recovery automatica del guasto potrebbero essere un game changer per ridurre i costi anche delle grandi piattaforme”.
Il cibo nello spazio ha sempre occupato un ruolo fondamentale nel sostentamento degli astronauti in missione.
Mangiare sospesi fra le meraviglie dell’universo significa, in circostanze di microgravità, prendersi un momento per recuperare energie, rifocillarsi, ma anche portare avanti esperimenti scientifici.
Negli anni, lo spazio ha permesso di sperimentare tecniche di coltivazione in ambienti estremi e di lavorare dalla Terra su prodotti alimentari che potessero essere consumati e gustati in piena sicurezza sulle stazioni orbitanti. Quello tra il cibo e l’universo è dunque un rapporto di estrema discendenza, perché sinonimo di energia e vita Sono molteplici i progetti deputati alla produzione di cibi e bevande ideali da consumare nello spazio e altrettanti quelli che sfruttano ricerche e condizioni spaziali per migliorare l’alimentazione sul nostro Pianeta (alla questione
è dedicata una sezione specifica della mostra Gusto! Gli italiani a tavola. 1970-2050, curata da Laura Lazzaroni e Massimo Montanari e allestita fino al 25 settembre al Museo del ‘900 M9 di Mestre).
Anche in virtù del fatto che, oltre l’atmosfera, i fluidi del nostro corpo iniziano a distribuirsi in modo differente, la percezione del gusto cambia e la produzione delle cellule ossee cala sensibilmente. Visto che in orbita non è ancora possibile cucinare, i cibi provenienti dal suolo terrestre devono, prima di arrivare a bordo, subire una serie di processi preventivi, quali la disidratazione, la liofilizzazione, la termostabilizzazione, la precottura e la sterilizzazione. Una volta trattato,
tutto viene spedito in appositi contenitori in alluminio, o dentro buste sottovuoto dotate di apposite cannucce e con una shelf-life di 1824 mesi. Caratteristiche che pongono fine ai rischi del cibo nello spazio.
LE AZIENDE CHE STUDIANO E PRODUCONO CIBO SPAZIALE
I pasti devono resistere ai processi conservativi mantenendo intatte le caratteristiche nutritive. A occuparsi di queste ricerche, ci sono – tra i centri più importanti – i laboratori dello Space Food System per le missioni legate allo Space Shuttle e alla Stazione spaziale internazionale (Iss), oppure la torinese Argotec, che ha collaborato più volte con l’Agenzia spaziale europea.
Una volta seguito l’intero iter, è possibile che gli astronauti italiani gustino un piatto caldo di orecchiette alle cime di rapa di Tiberino 1888 – marchio di eccellenza italiana per l’export di pasti extra-atmosferici
SPACE ECONOMY DI FABIOLA FIORENTINO*– oppure bevano una spremuta d’arancia. Oppure, ancora, sorseggino un caffè italiano, grazie alla collaborazione tra Argotec e Lavazza, capace di portare sulla Iss l’autentico espresso. È una collaborazione nata per analizzare il comportamento dei fluidi in microgravità, il convogliamento pressurizzato dell’acqua e la distribuzione del calore dentro la stazione orbitante.
Anche Altec si prende cura del gusto in orbita degli astronauti.
E lo fa attraverso i bonus food europei, previsti dal programma Human Space Flight, che portano in orbita cibi che simulano i sapori terresti e rispecchiano le preferenze alimentari. Controllando, inoltre, che seguano alla lettera l’apporto di vitamine e minerali previsti dalla dieta degli astronauti.
Un altro importante accordo è quello stipulato tra l’Agenzia spaziale italiana, Coldiretti, Crea e Unaprol, finalizzato all’invio sulla Iss anche di una selezione di oli extravergine di
oliva, provenienti da quattro regioni italiane e distinti per tipologie di consumo. “Il progetto ha lo scopo di sottolineare l’importanza del patrimonio agroalimentare italiano, valorizzare e sensibilizzare un asset nazionale strategico per l’export del Paese, oltre che promuovere i principi di una corretta alimentazione”, ha evidenziato la stessa Asi.
SPACE FARM E SERRE IN AMBIENTI ESTREMI: L’EVOLUZIONE DEL CIBO NELLO SPAZIO
Oggi una missione spaziale ha una durata massima di circa sei mesi, durante i quali gli astronauti dispongono delle scorte ricevute a bordo. Ma cosa accadrebbe se una missione dovesse prolungarsi per anni, come nel caso di un viaggio verso Marte? Sarebbe possibile, a bordo, ottenere carne animale o coltivare piante per sopravvivere al tempo? Alla risposta affermativa si sta lavorando: infatti, mentre lo
scorso autunno sono stati raccolti sette peperoncini verdi maturi Hatch a bordo della Iss, sulla Terra, ricreando le condizioni spaziali, si sta lavorando su sistemi sostenibili a circuito chiuso per combattere le emissioni di gas serra e per potere, un giorno, dislocare la stessa catena di produzione nello spazio. In questa direzione, il business di Orbital Farm è un esempio emblematico: fondata da Scot Bryson, l’azienda combatte gli effetti del cambiamento climatico progettando grandi fattorie chiuse e serre autonome – all’interno del Virgin Galactic Spaceport America in New Mexico. Le quali convertono materiali di scarto in energia e permettono la coltivazione di agricoltura cellulare, vaccini, frutta e verdura fresca, energia pulita e rinnovabile. A tal proposito, è in corso l’esperimento chiamato Space Hummus, iniziato con la diciassettesima missione di rifornimento di Northrop Grumman
SPACE » Alcune immagini della mostra “Gusto” al museo del ’900 di Mestre. Cortesia M9 - Museo del ’900, Giorgia Rorato.sulla Iss il 19 febbraio, a cura dello scienziato Yonatan Weintraub della Stanford University.
Per quanto concerne la carne, invece, Zvika Tamari, capo del programma spaziale di Alph Farm, sta analizzando l’effetto della microgravità sulla proliferazione e la differenziazione cellulare. Processi alla base della formazione del tessuto muscolare. Gli esperimenti in orbita sono già in atto e le premesse sembrano dare voce a una nuova frontiera di mercato, solida e forte, soprattutto in relazione ai prossimi viaggi spaziali.
DEEP SPACE FOOD CHALLENGE
In collaborazione con la Canadian Space Agency, anche la Nasa finanzia progetti di sviluppo di nuovi sistemi di produzione alimentare per lo spazio, incluse tecniche di coltivazione e nuove tecnologie. Lo fa con il concorso Deep Space Food Challenge, che mette in palio un premio di un milione di dollari destinato, in primis, ai partecipanti statunitensi, quindi ai candidati
internazionali. La premiazione è prevista il prossimo settembre.
“Il nostro approccio all’esplorazione umana dello spazio profondo è rafforzato dai nuovi progressi tecnologici e dai diversi contributi della comunità. Questa sfida ci aiuta a spingere i confini delle capacità di esplorazione in modi che potremmo non riconoscere da soli”, ha dichiarato durante l’edizione dell’anno scorso Jim Reuter, amministratore associato dello Space Technology Mission Directorate della Nasa. Edizione che, tra l’altro, ha visto eccellere anche un’azienda italiana, la Jpworks
Con sede a Milano, l’azienda è stata premiata per aver sviluppato “Chloe NanoClima”, un metodo per coltivare nano-piante e micro--green in un unico ecosistema a prova di contaminazione.
IL PROGETTO SATURNALIA
Tra gli ultimi progetti sbarcati nello spazio, spicca Saturnalia che, in collaborazione con Esa, ha reso possibile per tutti gli amanti del vino un’esperienza immersiva e unica tra i
vigneti del Brunello di Montalcino. Nato dall’azienda Ticinum Aerospace, spin-off dell’Università degli Studi di Pavia, il progetto ha dato vita a un primo atlante digitale, che permette la navigazione in tre dimensioni delle zone vitivinicole più amate e apprezzate in Italia, direttamente dal pc di casa.
Non è tutto: grazie all’utilizzo di satelliti e sensori spaziali, Saturnalia è in grado di fornire informazioni precise e dettagliate sui prezzi e la qualità dei vini di alta gamma. In sintesi, i grandi amanti del vino potranno accedere alle informazioni attraverso un abbonamento mensile, che permetterà loro di ottenere voti, rapporti sulle vendemmie, mappe dinamiche, aggiornamenti e previsioni sui prezzi del Liv-ex.
È una dimostrazione ulteriore di come le frontiere dell’innovazione agroalimentare siano potenzialmente infinite. Così come l’immaginazione e le possibilità dell’uomo. Perché sempre ciò che ci accomuna di più è l’imprevedibile desiderio di spingerci oltre il noto.
» Alcune immagini della mostra “Gusto” al museo del ’900 di Mestre. Cortesia M9 - Museo del ’900, Giorgia Rorato.FRIENDLY
ZERO INQUINAMENTO LUMINOSO
L’illuminazione posizionata a 40 cm da terra garantisce un inquinamento luminoso pari a 0 e costi di manutenzione molto + contenuti rispetto all’illuminazione tradizionale, grazie all’eliminazione dei lampioni.
SPACE IN ITALY
OLTRE AL VENTURE C’È DI PIÙ
LUCI E OMBRE DELL’ECOSISTEMA DI START-UP SPAZIALI ITALIANE E DELLE STRATEGIE PER FARLO SBOCCIARE
Negli ultimi due anni in Italia c’è stata un’imponente campagna sugli investimenti seed ed early stage su startup del mondo della space economy
Il claim di questa reclame narra un aumento di competitività e traino industriale della filiera mediante lo sviluppo di nuove aziende, sia di downstream che upstream
La realtà è un po’ diversa: in un censimento informale le startup italiane spaziali non sono più di sessanta. Le chiacchiere da rampa di lancio - versione spaziale delle chiacchiere da banchina - parlano di almeno tre o quattro fondi di investimento dedicati, oltre a Primo Space, che si muoveranno per fare fundraising sulla scia dei recenti annunci di Cassini (fondo di fondi gestito da Eif) e di Cdp Venture Capital
Si è dimenticato qualcosa: volontariamente o involontariamente in tutto questo pregevole concerto per archi non si prende in considerazione la galassia delle piccole e medie imprese, che lavorano a vari livelli con
tradizionalità, innovazione e leadership intorno alle grandi società come Thales Alenia Space, Airbus, Leonardo e le altre europee. Imprese che costituiscono quel famoso 1% di Pil, citato spesso quando si presentano i numeri del settore.
Alla base manca una politica industriale alla francese, un’educazione alla competitività e uno slancio per uscire da alcune malattie patologiche come sottocapitalizzazione, approccio padronale e scarsa diversificazione delle fonti di finanziamento.
Questo tesoro di inestimabile valore industriale e umano è racchiuso sicuramente nei 13 distretti italiani, che potrebbero essere un attore fondamentale non solo per creare aggregazione, ma anche per creare attrazione degli investimenti e per agevolare i fondi nella creazione di pipeline. Esiste una scarsa o forse nulla sensibilità da parte dei vertici sul reale fabbisogno finanziario
*ALESSANDRO SANNINIdelle aziende che compongono questi cluster/distretti, in quanto si tende soprattutto a una mappatura tecnologica. La miopia arriva al punto da ritenere che le aziende dello spazio non abbiano bisogno di finanza fresca, alternativa ai canali tradizionali, per affrontare commesse lunghe e un settore tipicamente capital intensive. Tutto questo in un momento in cui viviamo un’impennata straordinaria di voci di costo come energia elettrica, gas e carburanti, unita a una pressione fiscale che certamente non agevola chi fa impresa in Italia.
Qual è il cocktail per potenziare, sviluppare e finanziare le nostre aziende spaziali? Qual è la propulsione ibrida per far volare le nostre imprese? Di certo si inizia con l’assunzione di una consapevolezza della situazione, su una fotografia della realtà senza filtri e una mappatura dei territori, non solamente in chiave tecnologica ma finanziaria. Tale presa di coscienza può partire dai distretti/cluster, ma
ADVISOR DI CO.SI.MO - DISTRETTO AEREOSPAZIALE DEL VENETO. PRESIDENTE DI TEXPO S.R.L E DEPLY CHAIRMAN DI TWIN ADVISOR&PARTNERS LIMITED LONDONdeve essere soprattutto un lavoro interno aziendale volto a un salto culturale. La capacità aggregante dei distretti dovrebbe tradursi nel sollecitare percorsi e cammini in cui diverse realtà industriali possano, con varie modalità più o meno profonde, trarre vantaggio dalle economie di scala, guardando come traguardo la creazione di multinazionali tascabili più attrattive per gli investitori, che possono essere quelli dei mercati di capitale o del private equity.
La clusterizzazione si può anche tradurre, per esempio, nella creazione dei cosiddetti basket bond, in cui c’è la possibilità a fronte di un plafond elevato sottoscritto da Bei o Cassa Depositi e Prestiti di poter far accedere a forme alternative di finanziamento, come le obbligazioni, anche aziende più piccole. Tecnicismi finanziari a parte, questo sistema consente di far emergere i territori, creare traiettorie e avere una linea di finanziamento che può essere utilizzata su progettualità specifiche, come la partecipazione a una o più commesse che implicano un certo impegno economico.
Il supporto e il sostegno alle pmi spaziali italiane, che sono circa un migliaio, dovrebbe partire da una politica industriale alla base e da un presidio di intelligence economica.
Attualmente in Italia non esiste alcun ente di ricerca universitario che si occupi di mappatura di fabbisogno finanziario, di market intelligence tra imprese italiane e mondo e nemmeno di creazione di traiettorie, tipo le americane Sbir (Small Business Innovation Reserch).
È stato poi osservato come in certe situazioni legate al Pnrr il mondo universitario si sia rivelato autoreferenziale e incapace di avere un rapporto impresa-territorio, a causa delle patologie della ricerca italiana, che spesso è fine a se stessa e non ha collegamenti industriali, che comporterebbero un mutuo vantaggio. In altri casi, le aziende italiane del settore space possono diventare poco attrattive per i fondi di private equity o per investitori dei capital market se quotate in Borsa troppo presto per quattro soldi, pur avendo dei business interessanti, a causa di governance poco equilibrata o sbagli strategici. Questi ultimi possono essere dovuti ad advisor con scarsa conoscenza del mondo aerospaziale e ingiustificata paura della diluizione e di perdita di controllo dell’officina, che riporta a quel modo di fare, anomalo, della pmi italiana del “piccolo è bello”, il quale dimentica che nel ciclo di investimento ci sono
round incrementali e non tutto si basa sull’autofinanziamento.
Quindi, oltre al venture capital in Italia c’è molto di più. Ci sono eccellenze e tradizione che possono crescere, aggregarsi, diventare target per fondi d’investimento e quotarsi in Borsa, sfruttando la federazione di Euronext. In questo caso, gli investitori dovranno fare anche i coach e i preparatori “atletici” di manager e aziende cercando di farli diventare competitivi a livello globale anche nella loro organizzazione interna, più rigorosi nelle policy e più bravi nella gestione della comunicazione finanziaria e del proprio storytelling. Per molte pmi italiane dello spazio si tratta, pur avendo qualche anno e tradizione, di una fase di re-startup In questo sforzo di promozione e di attrazione d’investimento, i distretti/ cluster dovranno necessariamente ispirarsi ad alcune best practice europee, come quelle francesi, per aumentare la possibilità di attrarre capitali, senza aspettare sempre i soldi pubblici. Solo così faranno diventare protagonisti i territori in un’ottica di global vision e local action. Tutto questo cambiamento passa per la definizione di una politica industriale nazionale, unita a un’intelligence che aumenti la competitività.
SPACE ECONOMY » Il nuovo impianto di saldatura per attrito di Thales Alenia Space a Torino che amplierà le capacità produttive per i moduli pressurizzati.LARES 2: QUANDO
LA TRADIZIONE SEGNA IL FUTURO
PRONTO AL LANCIO IL SATELLITE ITALIANO CHE MISURERÀ
LA DEFORMAZIONE SPAZIOTEMPORALE CON UNA PRECISIONE SENZA PRECEDENTI
Lares 2 è un satellite atipico. Niente pannelli solari, nessuna traccia di elettronica a bordo e nemmeno strumenti scientifici. Una “semplice” sfera di nickel ad alta densità: 300 chilogrammi racchiusi in 42,4 centimetri di diametro. La missione, finanziata e gestita dall’Agenzia spaziale italiana, punta a usare Lares 2 come bersaglio per i raggi laser che, inviati dalla Terra, verranno riflessi dai 303 specchi retroriflettenti del satellite. Misurando il tempo impiegato dalla luce per raggiungere la sfera perfetta e per tornare indietro alle stazioni dell’International Laser Ranging Service, di cui fa parte anche il Centro di Geodesia Spaziale dell’Asi di Matera, sarà possibile misurare la posizione del satellite con una precisione di meno di un centimetro. Tracciare minuziosamente l’orbita di Lares 2 (acronimo di Laser Relativity Satellite) sarà vitale per raggiungere l’obiettivo scientifico della missione: misurare la
deformazione spaziotemporale conosciuta come frame dragging, cioè il “trascinamento” del reticolo dello spazio-tempo causato dalla rotazione di corpi massicci, come, in questo caso, la Terra. Questa bizzarro gioco gravitazionale prende anche il nome di effetto Lense-Thirring, in quanto fu per la prima volta ipotizzato dai fisici austriaci Josef Lense e Hans Thirring nel 1918, basandosi sulle formule della teoria della relatività generale, pubblicata tre anni prima da Albert Einstein Nel 2015 fu raccolta la prima prova sperimentale di un altro effetto derivato dai calcoli di Einstein, le onde gravitazionali. Tuttavia, i dati raccolti dai giganteschi interferometri laser non possono ancora fornire informazioni dettagliate sui corpi che si scontrano a miliardi di anni luce di distanza facendo tremare la trama del cosmo fino a noi. La colpa è (anche) dell’incredibile velocità a cui ruotano questi oggetti estremamente densi: centinaia di volte al secondo L’effetto del frame dragging attorno a
buchi neri e a stelle di neutroni è così grande da impedirci di interpretare con sicurezza i dati raccolti dagli interferometri. Anche il frame dragging terrestre, seppur minimo, altera i risultati delle indagini rivolte al nostro Pianeta. Il calcolo preciso dei suoi effetti permetterà di raffinare i dati raccolti da strumenti che misurano i cambiamenti gravitazionali sulla Terra, per effetto dello scioglimento dei ghiacciai, oppure dei movimenti tettonici. Le misure sugli effetti del frame dragging che Lares 2 andrà a migliorare sono quelle di Lares 1, anch’esso realizzato dall’Asi e lanciato nel 2012. Come per il suo predecessore, anche per Lares 2 il responsabile del progetto del satellite è la Scuola di Ingegneria Aerospaziale dell’Università La Sapienza di Roma in collaborazione con il Centro Ricerche Enrico Fermi, che partecipa al progetto con Ignazio Ciufolini, responsabile scientifico della missione.
“Ho ideato l’esperimento quando
lavoravo alla University of Texas” ha raccontato Ciufolini “e ho continuato a studiarlo con collaboratori in campo internazionale sotto la mia responsabilità scientifica, tra cui il noto matematico e fisico Roger Penrose. Poi ho proposto l’esperimento all’Agenzia spaziale italiana, che lo ha approvato qualche anno fa”.
La realizzazione è stata invece effettuata dell’Istituto Nazionale di Fisica nucleare (Infn). “La selezione e la certificazione del materiale da adottare, le complesse lavorazioni meccaniche con i corrispondenti controlli dimensionali, hanno rappresentato le fasi fondamentali della progettazione e realizzazione di Lares 2”, ha spiegato Adriano Pepato della sezione Infn di Padova. “La vasta esperienza sviluppata all’Infn nella progettazione e nella realizzazione di rivelatori, nonché di acceleratori di particelle, e i contributi alla realizzazione di apparati fondamentali del programma di fusione nucleare hanno rappresentato la chiave del successo del contributo, che ha visto l’Infn sostituirsi al ruolo precedentemente assunto da aziende
specializzate”. Lares 1 era stato infatti realizzato da Ompm, industria aerospaziale di Angri, Salerno.
“A queste attività condotte presso la sezione di Padova”, continua Pepato, “si sono infine aggiunte quelle svolte presso i Laboratori Nazionali di Frascati, responsabili del coordinamento del progetto e dei 303 riflettori che compongono l’ottica del satellite, dell’integrazione di quest’ultimo e dei test volti a verificare la sua idoneità al volo spaziale“.
A questo punto è entrata in gioco Ohb Italia, che nei suoi laboratori milanesi ha progettato e realizzato il sistema che vincolerà il satellite al razzo durante la fase di lancio e che lo rilascerà una volta raggiunta l’orbita, a una quota di circa 6000 chilometri, circa cinque volte più lontana dalla superficie (e dall’atmosfera) di quella di Lares 1
Il compito di Ohb Italia è stato particolarmente gravoso visto che il design del razzo è mutato nel corso della realizzazione del progetto.
Lares 2 verrà infatti lanciato dalla Guyana Francese con un razzo Vega C, un vettore a quattro stadi per 35 metri di altezza prodotto dalla azienda italiana Avio. A bordo trovano spazio anche sei cubesat, scelti dall’Agenzia spaziale europea, di cui tre italiani. Questo sarà il volo inaugurale di Vega C, come il lancio di Lares 1 del 2012 fu il primo test sul campo del suo predecessore Vega. Una missione tutta italiana, che a dieci anni di distanza vuole migliorare i risultati già raggiunti e costruirsi una posizione di tutto rispetto nel Pantheon dell’industria aerospaziale e della ricerca astrofisica. “Questi studi - nota Simone Pirrotta, responsabile del progetto in Asisono una tradizione forte della ricerca italiana ormai rinomata a livello internazionale”.
SPACE ECONOMY *DAVIDE LIZZANI GIORNALISTA SCIENTIFICO, ASTROFILO E PLANETARISTA DI STANZA A TOKYO. » Due immagini di Lares 2.MESTIERI
DELLA (NEW) SPACE ECONOMY
“N
on plus ultra”. Questa era l’iscrizione che Eracle fece incidere sulla tavoletta retta dalla statua che egli pose sulle celeberrime colonne, quelle d’Eracle, appunto. Nel mito hanno rappresentato i limiti dell’esplorazione, persino le soglie dell’ambizione umana che il desiderio di varcarle trasforma in tracotanza, antico motore della tragedia. Gli ultimi decenni, sebbene in un’altalena di ottimismo e pessimismo congiunturali, ci hanno visto polverizzare un confine dopo l’altro. Quali che siano i limiti della specie umana, c’è un importante vincolo che condiziona i nostri progetti di esplorazione e
colonizzazione spaziale: non potendo trasferire risorse dalla Terra allo spazio, dobbiamo imparare a estrarle e valorizzarle sul posto: in situ resources utilization, è la definizione, Isru, l’acronimo.
I sistemi tecnologici finalizzati all’estrazione e allo sfruttamento di risorse in situ costituiscono una delle principali frontiere della ricerca e un pilastro sia delle strategie di esplorazione spaziale sia dei modelli di business. Tali sistemi tecnologici sono, per convenzione, ripartiti in tre sfere: produzione in situ di propellenti e altri consumable, costruzione in situ, produzione manifatturiera.
La prima area coinvolge tutti i sistemi finalizzati a individuare, isolare,
estrarre e processare le materie prime direttamente in situ (a cominciare dalla Luna), ricavando materiali per realizzare infrastrutture (a cominciare dalla regolite), ossigeno, acqua e combustibili. Parliamo, anche in questo caso, di sottosistemi tecnologici e non di singole tecnologie.
L’estrazione di acqua su Marte, per esempio, avverrà secondo almeno tre modalità diverse, in relazione alle differenti fonti di estrazione.
L’area delle costruzioni è, probabilmente, la più ampia e complessa, andando dal terraforming fino alla realizzazione di una gamma molto articolata di infrastrutture. Esse dovranno accogliere i coloni, certo, ma anche ospitare una serie di servizi
cruciali, a cominciare dagli impianti deputati ad accogliere gli stessi sistemi Isru. L’ultima area compendia non solo i sistemi di produzione, ma anche e soprattutto quelli di manutenzione. Lo sviluppo di catene di produzione sempre più complesse e distanti imporrà la creazione di sistemi di manutenzione avanzati, in grado di produrre ricambi, di riparare asset danneggiati e di effettuarne la cura periodica. Tali tecnologie avranno un tasso elevato, prossimo al 100%, di automazione e robotizzazione. Come si osserverà, i tre domini presentano significative aree di contiguità e, persino, di sovrapposizione. In realtà non vanno considerati come tre comparti separati, ma come un unico ecosistema integrato, ricomposto ex post a partire dalle necessità della colonizzazione, dal risparmio di massa e costi di lancio. La possibilità di reperire acqua (pesantissima, quindi costosissima da trasportare), materie prime e ossigeno libererà maggior carico utile per trasferire asset, tecnologie e altre attrezzature. Sarà possibile costruire in loco infrastrutture complesse, capaci di resistere alle pesanti escursioni termiche, per esempio su Marte, e dotate di scudi - anch’essi prodotti lìper schermare le radiazioni. Grazie alle tecnologie Isru muterà il concetto stesso di ciclo di vita delle missioni, con un vantaggio anche per la sicurezza di astronauti e coloni: si ridurrà via via la necessità di missioni di rifornimento dalla Terra, sarà possibile preparare infrastrutture ottimali per il decollo e l’atterraggio, risolvendo numerosi problemi tecnologici e abbattendo il costo delle missioni. Si ridurrà il pericolo di un calcolo
sbagliato nell’approvvigionamento di carburante, poiché ve ne sarà di disponibile, estratto e stoccato negli outpost
A proposito, questi sistemi reificheranno il concetto di outpost, che oggi è poco più che un’intenzione, configurando le colonie lunari e marziane come insediamenti stabili, in grado di svolgere un ruolo di basi per ulteriori salti in avanti e capaci di tutelare e riparare le infrastrutture spaziali a essi connesse. Che cosa ci separa da questa realtà? Quanto distano le prossime colonne d’Ercole? Ci viene in soccorso, per determinarlo, un’indagine condotta con la metodologia Delphi (e cioè tramite il coinvolgimento e l’attivazione di un gruppo di esperti) da alcuni ricercatori della The Open University, pochi mesi fa: dopo aver scelto, dalle considerazioni degli scienziati coinvolti, venti temi di interesse principale nel determinare l’evoluzione di queste tecnologie, l’indagine ha identificato tre sfide tecnologiche e tre sfide politiche, in grado di condizionare e rallentare o, al contrario, di agevolare la diffusione di questi sistemi tecnologici. Sul versante tecnologico, i tre nodi principali riguarderanno la capacità di sviluppare infrastrutture energetiche ad alta potenza, le capacità tecnologiche dei lander e dei veicoli ascent (un
*DOMENICO MARIA CAPRIOLI
È PARTNER DI YOURSCIENCEBC LTD, ATTIVA NELLA RICERCA SULLE APPLICAZIONI SPAZIALI E SULLE TECNOLOGIE DI FRONTIERA, CON LA QUALE - OLTRE ALL’ATTIVITÀ DI RICERCA - FORNISCE CONSULENZA A ISTITUZIONI E AZIENDE INTERESSATE A COMPRENDERE LE OPPORTUNITÀ LEGATE ALLO SPAZIO E ALLA RICERCA.
sistema costituito da un lander che trasporta un vettore, il quale trasferisce il materiale raccolto sulla superficie, nell’orbita - per esempio marziana - ove effettua un ancoraggio a un satellite, trasferendovi il carico) e, infine, la componente organizzativa e strategica.
Significative le sfide politiche attese, così come evidenziate dallo studio, l’instabilità in primis, che potrebbe portare a un ulteriore rinvio delle missioni connesse alla creazione dell’avamposto lunare. Un altro tema, anch’esso di drammatica attualità, riguarda l’approvvigionamento energetico. La necessità di infrastrutture energetiche ad alta potenza e, di contro, la preoccupazione di molti governi per il nucleare nello spazio, cui non sono estranee ragioni di sicurezza militare, potrebbero realizzare un binomio in grado di osteggiare lo sviluppo del progetto, sebbene gli esperti prevedano che la principale voce del mix energetico a supporto di un avamposto lunare sarà il fotovoltaico Esiste, infine, un gap di conoscenza che andrà colmato, principalmente relativo alla nostra lunga permanenza in ambienti profondamente diversi da quello che ha costituito, per qualche centinaio di migliaia di anni, la culla della nostra specie.
Non sarà, quindi, un solo Eracle a spostare in avanti i confini dell’esplorazione, ma lo sforzo condiviso e congiunto di ricercatori, imprese e governi di tutto il mondo, uno sforzo collaborativo che appare, a volte, un’ambizione più grande e remota della colonizzazione spaziale e che, però, l’atavica fascinazione dell’uomo per le stelle remote è già stata in grado di realizzare.
SPACE ECONOMYDKIST CI SVELA IL
IL NUOVO TELESCOPIO ALLE HAWAII REALIZZA IMMAGINI AD ALTA RISOLUZIONE DELLA SUPERFICIE SOLARE SENZA PRECEDENTIÈun po’ la rivincita del telescopio solare a terra. Le affascinanti immagini fisse e in movimento della nostra stella trasmesse negli ultimi trent’anni dalle sonde solari, come Soho (Solar and Heliospheric Observatory) e Sdo (Solar Dynamic Observatory), avevano messo in ombra le possibilità visuali e di studio degli osservatori terrestri. Ma le immagini della faccia del Sole riprese dal nuovo telescopio hawaiano Dkist (Daniel Ken Inouye Solar Telescope), ora in piena operatività scientifica, hanno conquistato gli astronomi per i finissimi dettagli, che offrono inedite possibilità di osservazione e studio dei molteplici e complessi fenomeni a piccola scala spaziale e temporale che caratterizzano la turbolenta superficie solare.
SULLA CIMADI UN MONTE SACRO
Dkist è un telescopio destinato allo studio integrato per via ottica (a molte lunghezze d’onda) e magnetica della superficie e dell’atmosfera solare. Realizzato dalla National Science Foundation per conto del National Solar Observatory, è gestito dalla Association of Universities for Research in Astronomy, tutte istituzioni americane di ricerca scientifica.
Si trova a 3000 metri di altezza, alla sommità del vulcano quiescente
Haleakala nell’isola Maui, la seconda dell’arcipelago delle Hawaii, regione che gode di un seeing molto favorevole per la trasparenza e la stabilità del cielo. La costruzione, iniziata nel 2012, si è protratta oltre i tempi previsti per l’opposizione degli abitanti dell’isola, che considerano questa montagna sacra e inviolabile. Non sappiamo quali “compensazioni” siano state offerte ai locali per mandare avanti i lavori, conclusi nel 2020. Il costo totale dell’opera, a carico del Nso, è stimato in 340 milioni di dollari.
E GIORNALISTA DEL SETTORE
TECNICO-SCIENTIFICO, SI OCCUPA
DI FISICA SOLARE E DI RELAZIONI
SOLE-TERRA.
Il telescopio, inserito in una costruzione alta 23 m, comprende uno specchio primario da 4,24 metri e un secondario da 65 cm su una montatura altazimutale pesante 3 tonnellate. Insieme assicurano una risoluzione angolare di 0,1 secondi
*GIUSEPPE BONACINA LAUREATO IN CHIMICA INDUSTRIALE»
In questa pagina: una macchia solare ripresa dal Dkist a 530 nm il 28 gennaio 2022. In basso, per confronto, le dimensioni degli Usa (Nso/Aura/Nsf).
Nella pagina a destra: Dettaglio della granulazione fotosferica ripresa da Dkist a 705 e 789 nm, con dettagli di 30 km (Nso/Aura/Nsf).
d’arco e un campo visivo di 5 minuti d’arco in una diagnostica spettrale da 380 a 5000 nanometri (dall’UV al vicino IR). Lo specchio primario dispone di un’ottica adattiva che permette di compensare l’effetto di sfuocatura causato dall’atmosfera terrestre, mentre uno schema ottico
fuori asse consente di minimizzare la luce diffusa. Un notevole problema costruttivo ha riguardato la dispersione dell’enorme quantità di calore generato dalla luce sullo specchio: 13mila watt concentrati in un’area di circa 40 cm2, migliaia di volte più
dell’irraggiamento solare al suolo. Diverse le soluzioni adottate: un complesso sistema di raffreddamento di tutta la struttura con 10 km di tubazioni percorse da un liquido refrigerante; la riduzione della luce sulle ottiche secondarie mediante un anello metallico che consente il
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GLI STRUMENTI DI DKIST
Il nuovo telescopio solare dispone di una batteria di strumenti che possono operare separatamente o insieme e sono disposti su una tavola rotante di
metri di diametro, che
• Vbi (
trova sotto
Broadband
specchi:
due telecamere a frequenza diversa che
passaggio solo della piccola porzione del disco solare in esame; la copertura della cupola con sottili piastre isolanti che possono essere aperte per favorire la circolazione dell’aria. Le prestazioni del Dkist superano abbondantemente quelle del telescopio McMath-Pierce, realizzato nel 1962 a Kitt Peak, in Arizona, sinora il più grande al mondo, con uno specchio primario di 1,61 metri e risoluzione di 0,7”. Una supremazia già minacciata da altri grandi telescopi solari terrestri in progetto: l’European Solar Telescope (Est) con specchio da 4,07 m alle isole Canarie per conto dell’European Association Solar Telescope (consorzio di 15 nazioni, tra cui l’Italia); il Large Solar Telescope con specchio di 3 m presso il Sayan Solar Observatory a Buryatia, nella Russia siberiana; il National Large Solar Telescope, con specchio di 2,5 m a Merak in Ladakh, in India; fino al Chinese Giant Solar Telescope, con specchio di 8 metri in Cina.
DETTAGLIATE MAPPE
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DELLA FOTOSFERA
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Sono straordinarie le prime immagini di macchie solari riprese dal Dkist in questa fase ascendente del ciclo di attività n. 25. L’elevata risoluzione evidenzia le strutture ultrafini del campo magnetico superficiale, intrecciate con i flussi del plasma convettivo caldo. Le parti scure, come l’umbra della macchia e i filamenti che si diramano all’esterno, indicano zone relativamente più “fredde” rispetto alla fotosfera (4500 K contro i 6000 K), perché l’intenso campo magnetico ostacola il trasferimento di calore dall’interno del Sole verso la superficie.
Stupefacenti sono anche le mappe dettagliate della granulazione fotosferica al centro del disco solare, ottenute sovrapponendo sequenze ravvicinate di immagini riprese a 705 e 789 nm. Le grandi bolle brillanti di plasma convettivo caldo hanno un diametro medio di 7000 km, temperature di 6000 K, velocità verticali di 7 km/s, vita di 20 minuti. Tra di esse sono visibili filamenti scuri e “freddi”, che indicano la presenza di un intenso campo magnetico che “fluisce” negli spazi intergranulari. Si ritiene che proprio queste interazioni dinamiche a piccola scala spaziale e temporale favoriscano l’innesco di eventi solari a lunga evoluzione, come le macchie, ed esplosivi, come i flare e le emissioni di massa coronale. Queste immagini dettagliate sono rese possibili anche grazie a un complesso di strumenti con avanzate capacità di diagnostica elettromagnetica e spettropolarimetrica di precisione, che consente di seguire le variazioni in direzione e intensità del campo
magnetico superficiale e le sue interazioni con il plasma.
PREZIOSE COLLABORAZIONI
Particolarmente interessante appare il possibile scambio di dati tra il Dkist e le sonde Parker Solar Probe e Solar Orbiter, che si trovano in orbita intorno al Sole. La prima, lanciata dalla Nasa nel 2018, è destinata a percorrere orbite sempre più strette, penetrando nella corona solare sino a 6 milioni di chilometri dal Sole nel giugno 2025. Una missione “suicida”, volta a studiare le caratteristiche strutturali e chimico-fisiche del vento solare osservandolo alle sue sorgenti, prima delle modifiche a cui va incontro nello spazio interplanetario. La seconda, lanciata dall’Esa nel 2020, dispone di telescopi “classici”, di un coronografo e di strumenti per l’analisi del vento solare. Si spingerà sino a 45 milioni di km dal Sole, dando uno sguardo anche sulle regioni polari.
» La ripresa della granulazione fotosferica al centro del disco solare.
Nei prossimi decenni potranno aprirsi collaborazioni anche con gli altri grandi telescopi solari attualmente in progetto. L’insieme dei dati di provenienza terrestre e spaziale potrebbe assicurare una continuativa e dettagliata osservazione della superficie solare e del vento solare, cercando di cogliere con sempre maggior tempestività i precursori degli eventi esplosivi che diffondono nello spazio radiazioni elettromagnetiche e flussi corpuscolari molto energetici, in grado di danneggiare le nostre infrastrutture tecnologiche nello spazio e a terra.
UN SENATORE HAWAIANO CHE ANCHE L’ITALIA RINGRAZIA
chirurgo. Congedato nel 1947 con menzione d’onore, Inouye torna in Patria e si laurea in Scienze politiche. Dal 1953 si dedica alla politica, dapprima come Rappresentante territoriale delle Hawaii e dal 1962 come senatore del Partito democratico, carica che manterrà senza interruzioni sino alla morte, che lo coglie a Bethesda, nel Maryland, il 17 dicembre 2012. Inouye è sempre stato molto legato alla sua terra d’origine e nella sua attività politica si è molto speso per lo sviluppo infrastrutturale e culturale delle Hawaii. Oltre all’osservatorio, dopo la morte al suo nome sono state intitolate diverse strutture, tra cui l’aeroporto internazionale di Honolulu, una grande nave portacontainer e vari ambienti della locale Università.
GIUSEPPE BONACINA Team, composto per lo più da volontari americani di origine giapponese, Seconda guerra mondiale. In una azione militare sul Colle Musatello, in Liguria, il tedesca che gli procura l’amputazione del braccio destro sino al gomito eNell’ottobre 2005 la sonda giapponese Hayabusa-1 raggiunse i dintorni dell’asteroide Itokawa, un oggetto pericoloso di tipo Apollo, che interseca l’orbita della Terra al perielio e l’orbita di Marte all’afelio. Itokawa è una specie di sigaro di poche centinaia di metri, costituito da un mucchio di rocce, dal quale Hayabusa-1 riuscì con difficoltà a prelevare e portare a Terra qualche milligrammo di materia, comunque sufficiente per dimostrare una stretta parentela con i più comuni asteroidi rocciosi, le condriti ordinarie.
La scarsità del materiale fu provocata da un guasto del sistema di prelievo, che ricorreva al lancio di un proiettile, ma fu comunque un’esperienza utile, che permise ai giapponesi di imbarcarsi nel più ambizioso progetto Hayabusa-2, destinato a prelevare e portare a terra dei campioni da un altro oggetto che si avvicina al nostro pianeta (Neo).
Si voleva chiarire l’origine delle più interessanti tra le rocce cosmiche che piovono al suolo: le condriti carboniose, ricche di composti complessi del carbonio (amminoacidi, zuccheri e, addirittura basi del Dna), che potrebbero avere innescato la vita sulla Terra primordiale.
LA MISSIONE DI HAYBUSA-2
La scelta è caduta su Ryugu, un altro asteroide Apollo largo 865 m, che ruota su sé stesso in 7,5 ore. Su circa 8000 Neo conosciuti, solo cinque sono carboniosi: su di essi, oltre ai giapponesi, sta lavorando anche la Nasa, che ha raggiunto l’asteroide Bennu (grande la metà di Ryugu) alla fine del 2018 con la
sonda Osiris-Rex, prelevando dei campioni che arriveranno a terra alla fine del prossimo anno. Hayabusa-2 è stata lanciata nel dicembre 2014 e ha raggiunto Ryugu nel giugno 2018, scoprendo un altro mucchio di sassi, di forma tondeggiante e schiacciata. Il sistema di prelievo era simile a quello di Hayabusa-1, ma dotato di più proiettili, per prelevare sia materiale in superficie che in profondità. La difficile ricerca di un sito privo di grandi massi ha fatto slittare il prelievo fino al 22 febbraio 2019. Quel giorno la sonda ha lasciato la sua orbita a 20 km di altezza, per scendere fino a 45 m dalla superficie. A questo punto ha sparato un proiettile e ha ripreso il polverone formatosi dopo il primo prelievo superficiale. La procedura per il prelievo in profondità è stata più complessa. Per prima cosa, il 5 aprile è stato creato un cratere artificiale con un proiettile esplosivo, operazione ripresa dalla camera di un minisatellite. Per evitare di essere investita dai detriti, Hyabusa-2 si è portata per due settimane dall’altra parte dell’asteroide, poi si è riportata a 1,7 km di altezza sopra il luogo dell’impatto, dove si osservava il nuovo cratere di circa 10 metri.
Pochi mesi dopo, l’11 luglio, Hayabusa-2 ha toccato e prelevato un campione all’interno del cratere artificiale: era l’agognato “campione profondo”, quindi più primitivo rispetto a quello superficiale. Un mese dopo, i due campioni (superficiale e profondo) sono stati rinchiusi nella piccola capsula di rientro (40 cm di diametro), che ha iniziato il lungo viaggio di ritorno. Conclusosi il 5 dicembre 2020,
quando Hayabusa-2, transitando a 220mila km dalla Terra, ha rilasciato la capsula, atterrata nei pressi del Woomera Range Complex, una base dell’esercito australiano. Intanto, riprendeva il viaggio di Hayabusa-2: grazie al combustibile
ancora disponibile, la sonda è ora destinata a incontrare due oggetti scelti tra 350 candidati: “2001 CC21” nel 2026 e “1998 KY26” nel luglio 2031. Quest’ultimo è un monolite di soli 30 metri, ricco di acqua e rotante come una trottola,
che fa un giro su sé stesso in soli 10 minuti. Un proiettile rimasto a bordo di Hayanusa-2 sarà sparato contro questo strano oggetto per cercare di comprendere la sua misteriosa origine.
L’APERTURA DELLA CAPSULA
La capsula di rientro è stata aperta il 14 dicembre 2020 presso l’Extraterrestrial Sample Curation Center (Escuc) nella sede Jaxa di Sagamihara: nello scomparto del campione superficiale c’erano poco più di 3 grammi di granuli scuri, delle dimensioni di chicchi da caffè, mentre nello scomparto del campione profondo c’erano 2 grammi di granuli scuri, di dimensioni un po’ maggiori.
I primi dati analitici sono stati pubblicati un anno dopo. Per entrambi i campioni, il colore appariva molto scuro (albedo di 0,02 contro lo 0,06 della cometa 67P/ CG). La densità media dei frammenti è risultata di 1,28 g/cm3 (ma con inclusioni che arrivano a 1,8 g/cm3), coerente con il valore globale per Ryugu di 1,19 g/cm3 e maggiore della densità media della cometa 67P/CG (0,47 g/cm3).
Alcune analisi sono state eseguite all’Escuc con uno spettrometro infrarosso; per altre analisi, i giapponesi si sono rivolti all’Istituto di Astrofisica Spaziale di Orsay (in Francia). Sia il campione superficiale che quello profondo mostrano un forte assorbimento a 2,71 micron, che mostra la presenza del radicale ossidrile (OH, forse dovuto a un antico contatto con acqua). È anche presente una banda intensa centrata a 3,4 micron, dovuta a una miscela di
» Hayabusa Inquadra il QRcomposti organici carboniosi.
A livello sub-millimetrico sono stati individuati dei granuli chiari di carbonati, un ulteriore indizio dell’antica presenza di acqua. Sono presenti granuli chiari di probabili carbonati anche in immagini ad alta risoluzione di Bennu, l’asteroide visitato da Osiris-Rex. Su Ryugu sono inoltre presenti granuli con prevalenti assorbimenti a 3,06 e 3,24 micron, attribuibili al gruppo amminico (NH2), tipico di molti composti organici contenenti azoto.
ALLA RICERCA DI NOMI E COGNOMITutte informazioni interessanti, ma fondamentalmente qualitative. Era però importante identificare tutti questi composti organici.
Una risposta è venuta lo scorso marzo 2022 durante la 53a Lpsc (Lunar and Planetary Science Conference).
Dove sono stati forniti dati precisi su distribuzione, quantità e tipologia del materiale carbonioso di Ryugu.
Un’impressionante quantità di analisi effettuate dai giapponesi ha mostrato, grazie a immagini ottenute con il microscopio elettronico, che il materiale organico è presente sia in forma diffusa che globulare, senza molte differenze tra il prelievo superficiale e quello profondo.
L’estrazione con solventi (esano, cloruro di metilene, metanolo, acqua) ha indicato una quantità di organici simile a quella di molte condriti carboniose, dove il forte eccesso di isotopi pesanti (deuterio e azoto-15) esclude l’origine biologica, dato che la vita (non sappiamo per quale motivo) predilige gli isotopi leggeri.
Le analisi di gascromatografia, accoppiata alla spettrometria di massa, hanno individuato molti idrocarburi aromatici policiclici ed eterociclici (ossia con anelli di carbonio e azoto): si tratta di alcuni tra i composti più comuni degli spazi interstellari. La sorpresa più grande è però arrivata quando un frammento del campione superficiale è stato sottoposto alla ricerca di amminoacidi, tramite un reagente che permette di separare
le forme destrogire dalle forme levogire. Infatti, gli amminoacidi si comportano come la mano destra (forma D) e la mano sinistra (forma L): in quelli di origine non biologica, le due forme sono presenti contemporaneamente, mentre nei sistemi biologici domina la forma L. La miscela di sostanze estratta dal materiale di Ryugu è stata analizzata infine con uno strumento di ultima generazione presso il Goddard Space Flight Center della Nasa, che ha individuato almeno venti amminoacidi diversi. Di questi solo tre sono “proteici” (ossia presenti nelle proteine biologiche): glicina, α-alanina, α-valina. Tutti sono comunque presenti in forma mista (D e L), il che esclude qualunque ipotesi biologica. Decine di amminoacidi misti sono contenuti anche nelle condriti carboniose, per cui è plausibile una parentela genetica tra queste rocce ricche di carbonio e gli asteroidi tipo Ryugu.
COMETE ESTINTE Secondo un gruppo di scienziati planetari dell’Università giapponese di Nagoya, Ryugu sarebbe una cometa estinta. Lo dimostrerebbe l’elevato contenuto di carbonio (tipico delle comete), l’elevata velocità di rotazione e la scarsità di acqua attualmente presente (vedi la news di Giuseppe Donatiello su Bfcspace, bit.ly/3iFTEEN). Ryugu sarebbe nato come un impasto di rocce e di ghiaccio, ma i numerosissimi passaggi al perielio (rivoluziona ogni 1,3 anni, avvicinandosi fino a 0,96 Unità Astronomiche dal Sole) avrebbero fatto sublimare tutto il ghiaccio. A questo punto, i frammenti
SISTEMA SOLARE » La sassosa superficie di Ryugu ripresa da Hyabusa-2 da circa 60 metri di distanza.»
In alto a sinistra: i campioni di materiale prelevati da Hayabusa-2 in superficie (sinistra) e in profondità (destra).
La freccia indica un probabile frammento del proiettile usato per il prelievo.
Sopra: le molecole carboniose del materiale prelevato su Ryugu sono presenti sia in maniera diffusa sia in globuli concentrati, come si vede in queste mappe dei singoli elementi (carbonio in rosso) realizzate al microscopio elettronico.
rocciosi sono collassati su loro stessi, conferendo a Ryugu l’attuale aspetto di un “mucchio di sassi”. La contrazione del volume globale sarebbe anche la causa dell’alta velocità di rotazione, per la conservazione del momento angolare. Questa idea avvalora anche l’ipotesi che siano proprio le comete la fonte primaria delle condriti carboniose e quindi degli ingredienti che sul nostro pianeta hanno consentito la nascita della vita.
Un amminoacido è un composto del carbonio nel quale sono presenti i gruppi NH2 (amminico) e COOH (acido). Gli amminoacidi biologici hanno i gruppi NH2 e COOH sullo stesso atomo di carbonio (indicato con la lettera α). Questi α-amminoacidi possono presentarsi in due forme geometriche: D (destrogira) e L (levogira), non sovrapponibili, come la mano destra e sinistra. L’amminoacido più semplice è la glicina, scoperta anche sulla cometa 67P/CG dalla sonda Rosetta I MATTONI DELLE PROTEINEUna roccia cosmica di circa un metro che entra in atmosfera non è un evento eccezionale: una decina di oggetti in quest’ordine di dimensioni ogni anno collide con l’atmosfera terrestre, sviluppando meteore molto luminose. Oggetti di questo tipo sono di norma inoffensivi e al più producono minuscoli meteoriti. Aver intercettato un oggetto di questo tipo circa due ore prima dell’impatto è invece
qualcosa di davvero notevole ed è accaduto con l’oggetto denominato “2022 EB5”. È la quinta volta che un asteroide con dimensioni dell’ordine del metro viene avvistato prima del suo ingresso in atmosfera.
In realtà, chiamare asteroidi questi oggetti grandi come una lavatrice è esagerato: il termine più corretto è “meteoroidi”.
La rilevazione di oggetti del genere ha quindi dello straordinario e indica le capacità dall’attuale tecnologia
nell’intercettare oggetti pericolosi con congruo anticipo.
Alle 19:24 UTC dell’11 marzo 2022, l’astronomo Krisztián Sárneczky identificava un oggetto luminoso in rapido movimento in immagini CCD prese al telescopio Schmidt da 60 cm all’osservatorio Piszkéstetò, in Ungheria. Con quattro misure astrometriche ottenute in sequenza ha potuto determinare che l’oggetto seguiva una traiettoria in avvicinamento e in soli 14 minuti ha comunicato al Minor Planet Center (Mpc) la sua scoperta. I dati sono stati subito pubblicati e utilizzati dai sistemi di valutazione automatica d’impatto dislocati in tutto il mondo. Nei primi minuti, l’orbita provvisoria sembrava escludere la collisione, stimata con una probabilità inferiore all’1%. Lo stesso scopritore ha però eseguito altre dieci osservazioni e ne ha comunicato i dati al Mpc. Come risposta all’allerta, osservatori professionisti e amatoriali in Europa e Asia si sono messi alla ricerca dell’oggetto, non senza difficoltà, perché era debole e molto veloce. Grazie al buon numero di misure, la traiettoria è stata ricalcolata e lo scenario è cambiato, mostrando che l’oggetto era diretto verso la Terra.
LA DIFESA PLANETARIA
Valutare la potenziale minaccia di asteroidi e oggetti vicini alla Terra (Neo) è un processo complesso. Presso il Near-Earth Object Coordination Center (Neocc) sono tenuti in conto vari fattori, prima di determinare se un oggetto rappresenti un pericolo. Questi comprendono la traiettoria dell’oggetto, le sue dimensioni, la massa stimata e la composizione.
» Una cupola protegge un sensore di terra della rete Galileo sulla desolata isola artica di Jan Mayen (Esa).CIELO E TERRA
Alle 20:25 UTC il sistema di monitoraggio Meerkat dell’Esa ha diffuso un avviso al Neocc in cui la possibilità d’impatto era stimata del 100%. È stato anche possibile valutare il punto di entrata, in una piccola striscia di territorio a circa 140 km sud di Jan Mayen, un’isola vulcanica norvegese nell’Oceano Artico, con impatto atteso tra le 21:21 e 21:25 UTC.
L’impatto è poi avvenuto alle 21:22:42 UTC alle coordinate +70,47° latit. nord e 10,71° long. ovest. L’esplosione ha prodotto un boato infrasonico con proprietà compatibile con l’esplosione di 2,3 chiloton (quanto un terremoto
di 4,0 gradi Richter), impattando alla velocità di 15 km al secondo. Secondo questi dati, le dimensioni dell’oggetto erano di 3-4 metri, poco superiori a quelle stabilite dai dati fotometrici. Essendo una regione lontana da centri abitati, non ci sono immagini convincenti del bolide.
IL PERICOLO MAGGIORE
È NELLE TAGLIE MEDIE
2022 EB5 era innegabilmente un oggetto speciale. Pochissimi oggetti sono stati scoperti prima di entrare nell’atmosfera e per buona sorte di dimensioni modeste. Per essere osservati, devono essere intercettati quando il cielo è buio. Una grossa percentuale di essi sfugge perciò al potenziale rilevamento.
Un esempio recente è il superbolide di Celjabinsk (KEF-2013) che il 15 febbraio 2013 apparve in pieno giorno, accompagnato da una lunga scia luminosa e una serie di esplosioni avvenute tra 30 e 50 km di quota.
Le esplosioni produssero un’onda d’urto che provocò molti danni in una vasta area attorno al punto di entrata e ferendo un migliaio di persone. Le sue dimensioni furono calcolate in circa 15 metri di diametro, con una massa originaria di 10mila tonnellate. Del meteoroide – forse un pezzo dell’asteroide 86039 (1999 NC43) – sono stati ritrovati alcuni frammenti, il maggiore dei quali pesava 570 kg.
KEF-2013 era comunque un “peso leggero”, con pericolosità molto locale e circoscritta. Si stima che sia già stato identificato circa il 90% di tutti gli oggetti vicini alla Terra maggiori di un chilometro. Quelli potenzialmente pericolosi sarebbero già catalogati e non sussiste
alcun rischio d’impatto per almeno un secolo. Anche il temutissimo Apophis, con diametro di 340 metri, non è più una minaccia, poiché le misure radar ottenute durante l’ultimo avvicinamento hanno permesso di definire l’orbita con la precisione sufficiente per escludere che l’oggetto colpisca la Terra nei prossimi cento anni. Tuttavia, il rischio d’impatto non è nullo, perché queste previsioni non contemplano oggetti come le nuove comete e gli oggetti interstellari, che possono arrivare all’improvviso da qualsiasi direzione. Molti nuclei cometari, anche con diametri di centinaia di metri, transitano nel Sistema solare interno e vengono avvistati solo quando sono nel campo visivo degli osservatori solari spaziali come Soho e Sdo.
QUESTIONE DI TEMPISMO
L’identificazione di un oggetto come 2022 EB5 è rassicurante: significa che le capacità tecnologiche sono ormai adeguate a registrare anche oggetti inoffensivi. Ancor più quelli potenzialmente pericolosi, con dimensioni superiori ai 30 metri. Se un oggetto piccolo è stato scoperto due ore prima dell’entrata in atmosfera, c’era, in via ipotetica, il tempo per provare ad allertare la popolazione, invitandola a mettersi al riparo in caso di percolo. Un potenziale impattatore di dimensioni più grandi può essere intercettato con un anticipo ancora maggiore. Potrebbero anche essere organizzati dei tentativi di deflessione dell’oggetto a debita distanza dalla Terra.
Operazioni di questo tipo non sono più futuristiche. La Difesa Planetaria
DI GIUSEPPE DONATIELLO » Il piccolo segmento al centro è la traccia lasciata da 2022 EB5 in una delle immagini riprese l’11 marzo 2022 (Esa).è una disciplina che vede coinvolti molti ricercatori che si occupano del rischio collisionale. Presto o tardi il pericolo si presenterà per davvero: la popolazione sarebbe pronta ad affrontare una tale allerta?
Purtroppo, non sono mai stati approntati e divulgati protocolli di comportamento, come già si fa per i rischi sismici, vulcanici e da tsunami.
L’assenza di un piano di difesa e reazione verso un evento ritenuto improbabile rende la popolazione impreparata e vulnerabile, come è accaduto con la pandemia.
Per gli asteroidi di grandi dimensioni, almeno nel breve termine, ci sarebbe ben poco da fare, ma per impatti a carattere regionale può essere predisposta una certa difesa. Un ruolo non secondario lo riveste la prevenzione, identificando in
anticipo gli oggetti pericolosi. L’attenzione è riposta verso oggetti tipo Celjabinsk o Tunguska, con diametri delle decine di metri, in grado di portare grave rovina a persone e cose (vedi l’articolo su Sodoma e Gomorra, Cosmo n. 25).
SERVONO TANTI OCCHI Attualmente, l’unica forma di salvaguardia è rappresentata dalle survey a risposta rapida come Atlas e Pan-Starrs con cui può essere
*GIUSEPPE DONATIELLO RESPONSABILE DELLA SEZIONE PROFONDO CIELO/UAI, OPERA ATTIVAMENTE ALLO STUDIO DEI FLUSSI STELLARI IN GRUPPI RICERCA INTERNAZIONALI. È SCOPRITORE DI CINQUE GALASSIE NANE VICINE, QUATTRO DELLE QUALI PORTANO IL SUO NOME.
monitorato l’intero cielo osservabile in breve tempo. Ma questo potrebbe non essere abbastanza e occorrono installazioni specificamente predisposte per completare una scansione della volta celeste nel giro di poche ore.
La vera sfida è quella di conoscere e mappare tutti gli oggetti più piccoli, sino a circa 140 metri. A tale scopo, vari progetti di nuova concezione sono in fase di realizzazione, tra cui quello del Wide Field Mufara Telescope, promosso dall’Esa. Lo strumento - soprannominato Flyeye - sarà presto operativo sul Monte Mufara a 1850 m di quota, nel complesso delle Madonie in Sicilia (vedi Cosmo n. 20). Flyeye è un telescopio automatizzato predisposto per rilevazioni del cielo notturno, il primo di una futura rete in grado di scansionare completamente il cielo in una sola notte e identificare automaticamente nuovi asteroidi e comete che potrebbero rappresentare una minaccia per la Terra. Flyeye riprenderà ogni volta un con l’ampiezza di circa 45 gradi quadrati: in ogni ripresa troverebbero posto 170 lune piene! Nel telescopio, un singolo specchio di 1 m di apertura equivalente raccoglie la luce dall’intero campo visivo e alimenta un divisore di fascio poliedrico a 16 facce. L’intero campo visivo viene quindi ripreso da 16 astrocamere indipendenti, dotate di una propria ottica, come l’occhio di una mosca. Per la costruzione di Flyeye l’Esa ha siglato un contratto con un consorzio guidato da Cgs SpA (Italia), composto da Creotech Instruments SA (Polonia), SC EnviroScopY Srl (Romania) e Pro Optica SA (Romania).
» Modello del telescopio Flyeye in costruzione sulle Madonie in Sicilia (Esa).Quando si parla di un uomo con una personalità poliedrica come quella di Giovanni Bignami (“Nanni” per tutti quelli che lo hanno conosciuto), bisogna chiedersi: come avrebbe voluto essere ricordato Nanni? Come un astrofisico di successo, oppure un manager di caratura internazionale? Come uno sportivo accanito, oppure come cultore della cultura classica e poliglotta abilissimo? Come padre di tre figli che adorava, oppure come personaggio pubblico con forti opinioni politiche?
L’EPOPEA DI GEMINGA Il suo nome è legato indissolubilmente all’epopea dell’identificazione di Geminga, che lui ha vissuto dall’inizio insieme ai colleghi del Goddard Space Flight Center, dove era andato per un periodo di studio attratto dalla possibilità di lavorare sui dati della missione Sas-2. Si trattava di un telescopio per raggi gamma, all’interno del programma della Nasa chiamato Small Astronomical Satellites. Il lancio era avvenuto nel 1972 dalla base italiana di Malindi in Kenya per avere i vantaggi di un’orbita equatoriale più protetta dalle interferenze dei raggi cosmici. La missione aveva funzionato per meno di sette mesi, ma aveva prodotto una mappa del cielo gamma che permetteva di vedere, per la prima volta, qualche dettaglio. Stiamo parlando di poche migliaia di fotoni di energia superiore a 50 MeV; la mappa era un insieme di puntini, ognuno dei quali corrispondeva a un fotone. I puntini non erano distribuiti uniformemente
nel cielo, ma tracciavano il piano della Galassia, dove l’interazione tra i raggi cosmici e la materia interstellare produce raggi gamma, e si notava un deciso addensamento in corrispondenza del centro della Galassia.
Guardando nella direzione dell’anticentro galattico, si era notato che, vicino alla sorgente che si pensava legata alla Crab Nebula c’era un altro agglomerato di fotoni. All’epoca non c’erano programmi sofisticati per analizzare le immagini: Nanni aveva preso una moneta e aveva disegnato un cerchietto sopra l’addensamento di fotoni e poi aveva ripetuto l’operazione in un’altra direzione e aveva contato i fotoni nei due cerchietti per avere un’idea del flusso della sorgente misteriosa. Era subito apparso evidente che si trattava di una sorgente brillante. Il passo successivo era stato cercare di capire l’oggetto celeste responsabile dell’emissione.
Nel 1973 non c’erano molti esempi di sorgenti gamma, ma questa brillante sconosciuta non corrispondeva con nessun oggetto degno di nota. Venne chiamata Y195+5 dove i numeri erano i valori grossolani della posizione della sorgente a 195° di longitudine e +5° di latitudine, in coordinate galattiche. Terminata la borsa di studio al Gsfc, Nanni era tornato a Milano per occuparsi della partecipazione al satellite Cos-B che sarebbe stato lanciato nel 1975 e avrebbe fatto la storia dell’astronomia gamma. Cos-B migliorò il posizionamento di Y195+5, ma non risolse il problema dell’identificazione. Nanni si convinse che, per risolvere l’enigma, l’astronomia gamma non bastava,
ma bisognava chiedere l’aiuto di altre astronomie capaci di una migliore localizzazione delle sorgenti. Prima tentò la strada della radioastronomia. Nel 1976 Nanni era a Leiden e cercava ispirazione per rispondere alla richiesta che gli avevano fatto i radioastronomi che gestivano il radiotelescopio di Westerbork, dove aveva ottenuto del tempo di osservazione per puntare la sorgente misteriosa. I radioastronomi volevano un nome da collegare all’osservazione. Così è nata Geminga, a significare una sorgente gamma nella costellazione dei Gemelli (Gemini). Questo nome, letto dai tedeschi, diventò “Gheminga”, che ha una chiara e irresistibile assonanza con l’espressione milanese gh’è minga che indica una cosa che non esiste. Nanni ha sempre sostenuto
che inventare il nome di Geminga è stato il suo più grande contributo all’astrofisica.
LA PRIMA CAMPAGNA DI OSSERVAZIONE
MULTI-LUNGHEZZA D’ONDA L’osservazione radio non portò a niente, ma fu il tassello iniziale della prima campagna di osservazione multi-lunghezza d’onda della storia. Quando, nel 1978, lo Einstein Observatory introdusse il concetto di Guest observer, per indicare una persona che, pur non avendo contribuito alla costruzione, può utilizzare il satellite per osservare qualche oggetto celeste, Nanni non ebbe esitazioni a chiedere di osservare Geminga insieme ad altre sorgenti che cominciavano ad apparire dai dati Cos-B.
» Un’immagine nei raggi X di Geminga e delle sue “code” ripresa da Xmm-NewtonLe osservazioni del telescopio Einstein furono il punto di svolta, perché rivelarono una sorgente X che non corrispondeva a nessun oggetto ottico e questo ci convinse a spingerci anche a utilizzare i più grandi telescopi disponibili negli anni 80 per cercare la controparte. Infine, trovammo una debole sorgente che, grazie a una sequenza di osservazioni fatte nell’arco di qualche anno, rivelò di essere in rapido movimento. Una caratteristica che, insieme alla estrema debolezza del flusso, puntava in una sola direzione: una stella di neutroni. In contemporanea la missione X Rosat aveva rivelato la presenza di una pulsazione nell’emissione X, pulsazione che venne immediatamente vista nei dati gamma raccolti in contemporanea dal telescopio Egret della Nasa e che noi fortunosamente ritrovammo anche nei dati Cos-B. I tasselli del puzzle erano andati a posto, Geminga era una stella di neutroni che non rivolge verso di noi il suo fascio di emissione radio, mentre il fascio gamma, intrinsecamente più grande, ci colpisce.
Geminga è stata per anni un esempio unico, ma era chiaro che nella Galassia ci dovevano essere moltissime altre stelle di neutroni con comportamento analogo. La missione Fermi, attualmente in corso, ne ha scovate settanta, che vengono chiamate sorgenti Geminga-like.
LE NUOVE SFIDE
Per fare astronomia di punta, occorrono strumenti innovativi e potenti: per questo Nanni, alla fine degli anni 80, decise di dedicarsi allo strumento Epic a bordo di Xmm-Newton, il grande osservatorio
X dell’Agenzia spaziale europea. Come principal investigator di Epic (European Photon Imaging Counter, nome che aveva inventato lui, naturalmente), Nanni doveva coordinare scienziati e industrie, ma doveva anche interagire con le agenzie che dovevano garantire il flusso dei finanziamenti. Trovava i contatti con l’Agenzia spaziale italiana (Asi) particolarmente difficili, per la mancanza di un interlocutore. Le sue critiche arrivarono alle orecchie del nuovo presidente Sergio De Julio che gli chiese se volesse diventare direttore scientifico dell’Asi, una posizione nuova pensata proprio per migliorare le interazioni tra il mondo scientifico e l’Agenzia.
Nanni decise di accettare la sfida, ben sapendo che le nuove responsabilità gli avrebbero lasciato poco tempo per la scienza. In compenso, sperava di dare nuovo slancio alla ricerca spaziale italiana. E così è stato. Se adesso la comunità italiana partecipa a progetti come Swift e Fermi è grazie agli accordi firmati alla fine degli anni 90. E non si può dimenticare che Nanni aveva lanciato l’idea di finanziare un programma di piccole missioni scientifiche.
Tra le proposte inviate all’Asi in risposta al bando, venne selezionato Agile, un telescopio gamma compatto e innovativo con l’idea che presto ci sarebbero state altre opportunità. Purtroppo, la serie delle piccole
PATRIZIA CARAVEOmissioni non è continuata; così, Agile, pur coronato dal successo, è rimasto l’unico esempio.
Durante il periodo come direttore scientifico, Nanni si era appassionato alla planetologia, e la sua spinta è stata importante per la partecipazione italiana alla missione europea Rosetta Da “marziano” convinto, aveva molto spinto perché Esa avesse un programma di esplorazione di Marte attraverso una serie di missioni che dovevano formare il Programma Aurora. L’idea della missione ExoMars è nata grazie agli sforzi della delegazione italiana all’inizio del 2000 ed è veramente triste vedere che il lancio previsto a settembre 2022 sia stato cancellato. Purtroppo, le ripercussioni della guerra in Ucraina
sono arrivate fino a Marte. Finito il suo contratto in Asi, nel 2003 Nanni divenne direttore di un grande istituto di ricerca a Toulouse. Nel frattempo, Nanni era diventato presidente dello Space Science Advisory Committe dell’Esa, proprio quando doveva essere preparato il nuovo progetto per la scienza europea. Le missioni Juice, Athena, Plato e Ariel sono la materializzazione del documento Cosmic Vision, Space Science for Europe 2015-2025
Fu Nanni a insistere per avere in copertina un adattamento spaziale dell’astronomia dipinta da Raffaello nelle stanze Vaticane. Il globo celeste di Raffaello è stato sostituito da un mix tra Marte e un’immagine del cielo X prodotta da Xmm-Newton
Nel 2007, Nanni tornò in Italia come presidente di Asi, giusto in tempo per assistere al lancio di Agile dalla base indiana di Shriharikota. Aveva grandi piani, ma il suo mandato venne interrotto da una crisi di governo. Tornò a insegnare, ma nel 2010 la passione per lo spazio lo portò alla presidenza del Cospar, poi nel 2011 venne nominato presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), dove la sua prima preoccupazione fu assicurare la partecipazione italiana all’Extremely Large Telescope, il più grande progetto di astronomia ottica da terra dello European Southern Observatory. Nel 2014 Nanni ottenne un finanziamento speciale dal Ministero per lo Sviluppo Economico per un programma che chiamò “Astronomia Industriale”. Grazie a questo finanziamento (del quale era orgogliosissimo), Inaf divenne un partner importante dei progetti Square Kilometer Array (Ska) e Cherenkov Telescope Array (Cta), i due più grandi progetti per l’astronomia da terra nel campo della radioastronomia e dell’astrofisica delle altissime energie. Benché lui si sentisse sempre un astronomo gamma, si entusiasmò talmente per il progetto Ska che cercò di portare i quartier generali a Padova. Non riuscì nell’intento, ma il suo impegno venne riconosciuto da tutti i partner internazionali che lo elessero presidente dello Ska Board. Finito il suo mandato in Inaf, Nanni ha lavorato per Ska fino al suo ultimo respiro. Quando il cuore lo ha tradito, il 24 maggio 2017, era a Madrid, dove avrebbe dovuto incontrare il Ministro della ricerca spagnolo.
» Le antenne del sistema Meerkat in Sudafrica, precursori già attivi del progetto Ska.Finalmente, dopo più di tre anni (la precedente risale al 21 gennaio 2019), si verifica un’eclisse totale di Luna visibile dall’Italia. Il fenomeno avviene nella notte fra domenica e lunedì, nelle ore (scomode per le nostre abitudini) che precedono l’alba del 16 maggio. In tabella sono riportati, in orario legale estivo, gli orari dei punti salienti dell’evento. Il fenomeno si verifica con la Luna proiettata nella costellazione della Bilancia, in una regione spoglia di pianeti e, con l’eccezione di Antares, anche di stelle luminose. La Luna sarà prossima al tramonto. Anzi, con il Sole che sorge in media in Italia alle 5h e 40m e la Luna che tramonta alla stessa ora, la fase massima per il nostro Paese non è osservabile, ma si giunge solo all’inizio della totalità.
In questa circostanza le regioni più favorite sono quelle situate più a sud-ovest (in particolare la Sardegna), mentre le meno favorite sono quelle a est (e a nord, a parità di longitudine), come la Puglia e il Friuli.
Durante la fase massima, la Luna si troverà già sotto l’orizzonte per l’Italia, ma dalle regioni più favorite si potrà seguire il fenomeno fino all’inizio della totalità, con il nostro satellite molto basso sull’orizzonte di sudovest. Quindi, per seguire l’eclisse nel modo migliore, occorre situarsi in una posizione dalla quale l’orizzonte sia ben sgombro in quella direzione.
Le eclissi di Luna sono tra i fenomeni
astronomici più facili da seguire; si vedono benissimo anche a occhio nudo e non occorrono filtri. Con un binocolo l’evento si segue meglio, e un piccolo telescopio con 50-60 ingrandimenti è il massimo auspicabile. L’ingrandimento non deve essere elevato, per avere sott’occhio tutto il disco lunare e non solo una porzione. Oltretutto, con la Luna così bassa sull’orizzonte, è improbabile che un ingrandimento oltre i 50x consenta di far distinguere dettagli più minuti.
LA CRONACA DELL’ECLISSE
Osservando la Luna, la prima avvisaglia che stia per verificarsi qualcosa fuori dell’ordinario è una specie di nebbia fuligginosa sul bordo sinistro (occidentale), quello dove si trovano formazioni come il cratere Gassendi. Poiché la penombra è molto sfumata, in genere si riesce a notarla solo dopo una mezzora dall’inizio, che per questa eclisse vuol dire verso le 4 del mattino (ma dipende dagli occhi dell’osservatore e dalla trasparenza del cielo). La fase di penombra non presenta grande interesse; per un selenita, si tratta di un’eclisse parziale di Sole provocata dalla Terra, cioè un osservatore sulla Luna vedrebbe il Sole in parte ricoperto dalla Terra. Quando il disco lunare sta per raggiungere l’ombra, il lembo prossimo ad essa appare molto scuro, finché, con l’entrata nel cono d’ombra, si nota ben netta una zona scura ricurva che, lentamente, si ingrandisce a spese del resto del disco.
Osservando a occhio nudo, sembra che la Luna sia priva di una sua parte, ma attraverso un buon binocolo si segue il contorno in ombra. In questa prima fase, l’ombra non mostra un colore deciso, ma appare semplicemente grigia scura. Solo quando inizia a coprire circa la metà o poco meno del disco lunare (intorno alle 5, per questa eclisse), si nota quella colorazione rossastra cuprea caratteristica delle eclissi di Luna. Talvolta si ha un rosso-cupreo intenso, mentre in altre occasioni si ha un rosso-smorto scuro tendente al grigio. Sarà interessante osservare come si classificherà il colore dell’eclisse del 16 maggio. A un certo punto, l’ombra raggiunge il lembo orientale (i mari Crisium e Foecunditatis) e inizia la totalità. Generalmente, durante questa fase la Luna rimane sempre visibile, con un debole colore rosso-smorto e una regione più scura, che nel nostro caso è quella nord (più vicina al centro dell’ombra), in quanto la Luna passa leggermente a sud dell’eclittica. Talvolta, però, in eclissi praticamente centrali, è accaduto che per alcuni minuti la Luna sia scomparsa del tutto, come le cronache riportano per quella del 18 maggio 1761. Un’altra eclisse in cui la Luna divenne eccezionalmente scura fu quella del 4 ottobre 1884. In quella occasione l’ombra venne vista con una forma un po’ appuntita e molti segnalarono che appariva con una tonalità di
*WALTER FERRERI
SI È OCCUPATO DI RICERCA SCIENTIFICA, DI TELESCOPI E DI ASTROFOTOGRAFIA PRESSO L’OSSERVATORIO ASTROFISICO DI TORINO. NEL 1977 HA FONDATO
LA RIVISTA ORIONE
» L’ombra della Terra sta per coprire il Sole nell’eclisse del 16 maggio vista dalla superficie lunare. Più in alto splendono le Pleiadi (Stellarium).FENOMENO DEL MESE
“verde fosforescente”. Un’ombra strana si ebbe anche nell’eclisse dell’agosto 1887. In questi casi la spiegazione risiede nel materiale proiettato nell’atmosfera dalle eruzioni vulcaniche del Krakatoa, avvenuta circa 13 mesi prima dell’eclisse del 1884 e del Tarawera (Nuova Zelanda), che avvenne nel 1886. In entrambi i casi i gas e le polveri in parte bloccarono e filtrarono la luce solare nell’atmosfera terrestre che venne riflessa sulla Luna.
Fase Ora
Inizio fase di penombra 03h32m
Inizio fase d’ombra 04h27m
Inizio della totalità 05h29m
Fase massima 06h11m
Fine totalità 06h54m
Uscita dall’ombra 07h55m
Uscita dalla penombra 08h50m
Comunque, anche se il nostro satellite naturale rimane ben visibile nella totalità, la sua luminosità scende di circa 10mila volte rispetto a quella fuori eclisse e la sua magnitudine diventa circa –2,5, contro i –12,7 della Luna piena non eclissata, permettendo così l’osservazione di deboli stelline prossime ai suoi bordi. Un’impressione che generalmente si prova seguendo visualmente le eclissi lunari al telescopio è che siano queste stelle a muoversi, anziché la Luna. Ricordiamo, come avvenuto in eclissi recenti, che il disco lunare eclissato favorisce la visione di bagliori provocati dalla caduta di meteoriti sul suolo lunare.
Pochi minuti dopo la totalità, l’occhio umano si abitua alla debole luce che il disco lunare ci invia e tende a giudicarla maggiore di quanto in realtà non sia.
La conseguenza è che quando la
totalità termina, il primo falcetto di Luna illuminato direttamente dal Sole appare abbagliante. Ma questa è un’esperienza che dall’Italia non potremo sperimentare con questa eclisse. Invece chi si trova più a ovest del nostro Paese potrà verificare che via via questa zona si allarga, finché tutto il disco esce dall’ombra. Ancora circa un’ora e anche la penombra abbandona la Luna, determinando la fine dell’eclisse totale.
COME IL SOLE AGGIRA
LA TERRA
Molti si chiedono perché la Luna non scompaia del tutto durante la totalità. Questa illuminazione residua, un po’ sorprendente, è dovuta all’atmosfera terrestre. I raggi solari che rasentano il globo terrestre attraversano la nostra atmosfera per il lungo e subiscono una rifrazione che li fa penetrare più o meno all’interno del cono d’ombra. Così possono illuminare il disco lunare eclissato, sia pure debolmente. Questi raggi subiscono maggiormente gli effetti dell’assorbimento atmosferico quanto più bassi sono gli strati attraversati, così si trovano privati delle radiazioni a minori lunghezze d’onda, che vengono maggiormente diffuse. È lo stesso motivo per il quale il Sole e la Luna appaiono arrossati quando sorgono e quando tramontano. Questo fenomeno spiega anche perché verso i margini dell’ombra la luce meno debole è meno rossa. In linea di massima, il disco lunare eclissato mostra notevoli differenze di luminosità e colorazione, in genere variabile dal giallo-arancio al rossastro scuro, secondo che esso attraversi le zone più o meno centrali del cono d’ombra.
DI WALTER FERRERI » Grafico dell’eclisse totale di Luna del 16 maggio. ECLISSE TOTALE DI LUNA DEL 16 MAGGIOda eventuali obblighi di legge. Sulla base del legittimo interesse come individuato dal Regolamento EU 679/2016, il titolare del trattamento potrà inviarti comunicazioni di marketing diretto fatta salva la tua possibilità di opporsi a tale trattamento sin d’ora spuntando la seguente casella o in qualsiasi momento contattando il titolare del trattamento. Sulla base invece del tuo consenso espresso e specifico, il titolare del trattamento potrà effettuare attività di marketing indiretto e di profilazione. Il titolare del trattamento ha nominato DIRECT CHANNEL SPA, responsabile del trattamento per la gestione degli abbonamenti alle proprie riviste. Il DPO del titolare del trattamento è Denis Masetti, contattabile a +39023032111. Potrai sempre contattare il titolare del trattamento all’indirizzo e-mail info@bluefinancialcommunication.com nonché reperire la versione completa della presente informativa all’interno della sezione Privacy del sito www.abbonamenti.it, cliccando sul nome della rivista da te prescelta, dove troverai tutte le informazioni sull’utilizzo dei tuoi dati personali, i canali di contatto del titolare del trattamento nonché tutte le ulteriori informazioni previste dal Regolamento ivi inclusi i tuoi diritti, il tempo di conservazione dei dati e le modalità per l’esercizio del diritto di revoca. rilascio nego il consenso per le attività di marketing indiretto rilascio nego il consenso per le attività di profilazione
la LUNA
Il pallino rosso sulla circonferenza lunare mostra il punto di massima librazione alle 0h di Tempo Civile del giorno considerato: le sue dimensioni sono proporzionali all’entità della librazione il cui valore massimo è di circa 10°
fenomeni LUNARI
il 9 alle 2h 21m
il 16 alle 6h 14m
il 22 alle 20h 43m
il 30 alle 13h 30m
il 7 giugno alle 16h 48m
Massime librazioni in latitudine
il 9 alle 10h - visibile
il Polo sud
il 22 alle 4h - visibile
il Polo nord
il 5 giugno alle 16h - visibile
il Polo sud
Massime librazioni in longitudine
l'11 alle 19h - visibile
il lembo orientale
il 24 alle 12h - visibile
il lembo occidentale
il 9 giugno alla 1h - visibile
il lembo orientale
Apogeo 405.285 km il 5 alle 14h 46m
Perigeo 360.298 km il 17 alle 17h 27m
Apogeo 406.192 km il 2 giugno alle 3h 13m
CIELO DEL MESE
SOLE e PIANETI
SOLE
Sta percorrendo il ramo boreale ascendente dell’eclittica tra Ariete e Toro: all'inizio la sua declinazione celeste è di poco inferiore a 15°, ma nel corso del mese sale fin quasi a raggiungere i 22° nord. Si allunga, di conseguenza, l'arco diurno percorso dall'astro, e le ore di luce aumentano di 59 minuti.
MERCURIO
Inizialmente visibile al tramonto alcuni gradi a est delle Pleiadi nell’apparizione più favorevole dell’anno, nei primi giorni del mese scende sotto l’orizzonte nordorientale alcuni minuti dopo la fine del crepuscolo astronomico. La frazione di disco illuminata dal Sole e la sua luminosità vanno calando rapidamente e il 9 diviene inosservabile, nonostante tramonti 1h 25m dopo il Sole. Il giorno 11 è stazionario, poi assume moto retrogrado e si avvicina velocemente al Sole, con cui è in congiunzione inferiore il 21; il 28 è all'afelio.
VENERE È visibile all'alba: sorge da 1h 30m a 1h 40m prima del Sole, con la presenza in cielo delle prime luci del crepuscolo. All’inizio del mese si trova nei Pesci, nelle immediate vicinanze di Giove, dal quale va rapidamente allontanandosi; il giorno 8 si sposta temporaneamente nella Balena, ma il 12 è nuovamente nei Pesci, dove la mattina del 27 è in congiunzione, 23’ più a sud, con la stella di 4a magnitudine Omicron Piscium. Il 15 è all'afelio, il 31 entra nell’Ariete.
Posizioni eclittiche geocentriche del Sole e dei pianeti tra le costellazioni zodiacali: i dischetti si riferiscono alle posizioni a metà mese, le frecce colorate illustrano il movimento nell’arco del mese. La mappa, in proiezione cilindrica, è centrata sul Sole: i pianeti alla destra dell’astro del giorno sono visibili nelle ore che precedono l’alba, quelli a sinistra nelle ore che seguono il tramonto; la zona celeste che si trova in opposizione al Sole non è rappresentata. Le posizioni della Luna sono riferite alle ore serali delle date indicate per la Luna crescente e alle prime ore del mattino per quella calante.
DI TIZIANO MAGNICIELO DEL MESE
MARTE
Visibile al mattino, al centro di una spettacolare parata di pianeti: a inizio mese è quasi equidistante da Saturno, che lo precede, e dalla brillante coppia costituita da Giove e Venere, che lo segue a poco più di un’ora; il suo moto diretto lo porta a superare Nettuno, osservabile con difficoltà 34' più a nord, il giorno 18 e il 19 entra nei Pesci, rincorrendo, nell’ultima decade, il più brillante Giove che raggiunge il 29, transitando 38' più a sud.
Effemeridi geocentriche di Sole e pianeti alle 00h 00m di Tempo Civile delle date indicate. Per i pianeti sono riportati fase e asse di rotazione (nord in alto, est a sinistra).
Levate e tramonti sono riferiti a 12°,5 E e 42° N: un asterisco dopo l’orario indica l’Ora Estiva. Nella riga Visibilità sono indicati gli strumenti di osservazione consigliati: l’icona di “divieto” indica che il pianeta non è osservabile. Le stelline (da 1 a 5) misurano l’interesse dell'osservazione.
GIOVE
Visibile al mattino nei Pesci: all’inizio sorge tra le luci dell’alba, preceduto da Venere, che va allontanandosi verso oriente. A occidente è seguito da Marte, che si avvicina e il 29 lo supera, passando 38’ più a sud. La visibilità è in miglioramento e dalla seconda decade la levata anticipa l’inizio del crepuscolo astronomico.
SATURNO
Visibile al mattino vicino a Deneb Algedi (congiunzione il giorno 3): può essere osservato prima dell’alba sull’orizzonte sudorientale. Lo seguono, a distanze variabili tra 20° e 60°, gli altri pianeti, eccetto Mercurio e Urano. Il 15 è in quadratura con il Sole; a fine mese la levata segue di poco la mezzanotte.
URANO È in congiunzione superiore con il Sole il giorno 5 ed è quindi inosservabile per l’intero mese.
NETTUNO
Visibile al mattino sin dall'inizio del mese nella costellazione dei Pesci. Inizialmente 5° a sud di Lambda Piscium, è preceduto di alcuni gradi da Giove e da Venere.
Nella seconda decade è affiancato da Marte, con cui è in congiunzione il 18. A fine mese la levata anticipa di un'ora l'inizio del crepuscolo.
Visibilità dei pianeti. Ogni striscia rappresenta, per ognuno dei cinque pianeti più luminosi, le ore notturne dal tramonto alla levata del Sole, crepuscoli compresi; quando il pianeta è visibile la banda è più chiara. Le iniziali dei punti cardinali indicano la posizione sull'orizzonte nel corso della notte.
FENOMENI del mese
2LUNA, MERCURIO E PLEIADI AL TRAMONTO
All’inizio del mese, dopo il tramonto del Sole, in prossimità dell’orizzonte nord-occidentale è visibile con relativa facilità Mercurio, nell’apparizione serale più favorevole dell’anno. Il pianeta, che cala poco dopo il termine del crepuscolo astronomico, si trova nelle immediate vicinanze delle Pleiadi, 1°,5 a sud delle quali è transitato lo scorso 29 aprile.
La sera del 2, meno di due giorni dopo il Novilunio, pianeta e ammasso vengono affiancati da una sottilissima falce di Luna, come viene mostrato nel disegno, che raffigura l’orizzonte alle 21:20 di Tempo Civile, pochi minuti dopo il termine del crepuscolo nautico.
6SCIAME DELLE ETA AQUARIDI
Nelle ore che precedono l’alba, è osservabile lo sciame meteorico delle Eta Aquaridi, le cui particelle derivano dalla cometa 1P/ Halley. Si tratta di uno sciame abbastanza attivo, con valori dello Zhr (il tasso orario di attività con il radiante allo zenit) attorno a 50, ma osservabile con qualche difficoltà dalle nostre latitudini, a causa della bassa altezza sull’orizzonte del radiante; le meteore sono molto veloci e spesso di elevata luminosità. Il massimo di attività è abbastanza prolungato, con valori dello Zhr superiori a 30 per tutto il periodo compreso tra il 3 e il 10 maggio; le osservazioni potranno essere condotte senza alcun disturbo da parte della Luna, la cui presenza illuminerà il cielo solo nella prima parte della notte.
OCCULTAZIONE DI ETA LEONIS
All’inizio della sera, tra le luci del tramonto ancora piuttosto forti per gli osservatori delle regioni nord-occidentali, è possibile seguire l’occultazione della stella Eta Leonis, di magnitudine +3,5, individuabile 5° circa a nord di Regolo. L’evento, visibile dall’intera Penisola, inizia tra le 20:45 (AO) e le 21:11 (LE) di Tempo Civile con la scomparsa della stella dietro il lembo oscuro del disco lunare poche ore dopo il Primo Quarto e illuminato per il 58%. Più facile dovrebbe risultare l’osservazione della ricomparsa della stella da dietro il bordo della Luna illuminato dal Sole, che si verifica tra le 22:01 (AO) e le 22:27 (CT), con il nostro satellite naturale contemporaneamente in congiunzione in Ascensione Retta con Regolo. La minima distanza apparente di 4° tra la Luna e Alfa Leonis viene raggiunta alcune ore più tardi, con i due protagonisti che stanno per calare sotto l’orizzonte occidentale.
OCCHIO NUDO CON BINOCOLO CON TELESCOPIO PERICOLO SOLE NON VISIBILE DI TIZIANO MAGNI13
LA LUNA OCCULTA GAMMA VIRGINIS
Nelle prime ore del giorno la Luna gibbosa crescente, illuminata per l’87%, occulta la stella Gamma Virginis, di magnitudine +2,8, una ben conosciuta stella doppia, le cui componenti, entrambe di magnitudine +3,5, sono separate da 2”,5.
La scomparsa della coppia dietro il lembo lunare oscuro è visibile senza alcuna difficoltà da tutto il Paese tra le 3:11 (Aosta) e le 3:27 (Catania). Lievemente più difficile da seguire la riapparizione della stella sul bordo illuminato dal Sole del disco lunare a partire dalle 4:01 di Tempo Civile (Aosta), con il nostro satellite naturale in prossimità dell’orizzonte per le regioni centro-meridionali.
14-15
OCCULTAZIONE DI LAMBDA VIRGINIS
In un mese in cui è possibile assistere a numerose occultazioni lunari, un terzo evento degno di nota è quello che si verifica la notte tra il 14 e il 15 maggio, quando il nostro satellite naturale, un giorno prima del Plenilunio, occulta la stella Lambda Virginis, di magnitudine +4,5.
Anche se il disco lunare è quasi completamente illuminato, la stella scomparirà dietro la sottilissima falce oscura del lembo orientale tra la 23:44 (Aosta) e le 0:02 (Catania), per riapparire, circa un’ora più tardi, sul bordo lunare illuminato dal Sole tra le 0:48 (Aosta) e la 1:08 (Catania) di Tempo Civile; quest’ultima fase del fenomeno risulta però osservabile con maggiore difficoltà, a causa della elevata luminosità del nostro satellite naturale.
16
ECLISSE TOTALE DI LUNA
La mattina del 16 maggio tra le stelle della Bilancia ha luogo un’eclisse totale di Luna, di magnitudine 1,414, visibile nelle fasi iniziali anche dall’Italia.
Dal nostro Paese risultano visibili in particolare l’ingresso della Luna nei coni di penombra e d’ombra della Terra, così come l’inizio della totalità, alle 5:29 TC, anche se quest’ultima si verifica quando la Luna è ormai in prossimità dell’orizzonte e il cielo risulta notevolmente rischiarato dalle luci dell’alba: il Sole sorge infatti tra le 5:30 e le 6:00 TC, a seconda della località d’osservazione.
Il fenomeno è invece completamente visibile dall’America meridionale, la frazione orientale dall’America settentrionale e gran parte del continente Antartico (vedi l’articolo di Walter Ferreri a pag. 60, Ndr).
NOTTE DI LUNA CON ANTARES
Con la scomparsa delle ultime luci del tramonto sull’orizzonte sud-orientale, tra le “chele” della mitologica figura dello Scorpione, spicca la luminosa presenza della Luna Piena e, una manciata di gradi a sud-est, della rossa scintilla di Antares. La notte tra il 16 e il 17 maggio, con il transito del nostro satellite naturale nella costellazione, è possibile seguire il progressivo avvicinamento della Luna ad Alfa Scorpii: la congiunzione tra la stella e, 2° più a nord, il nostro satellite naturale, non è direttamente osservabile, poiché si verifica dopo la levata del Sole e con i due protagonisti ormai in prossimità della linea dell’orizzonte.
(26) PROSERPINA IN OPPOSIZIONE
Nella seconda metà del mese il pianetino (26) Proserpina risulta sufficientemente luminoso per poter essere seguito con l’aiuto di un binocolo o di un telescopio amatoriale. In opposizione al Sole il giorno 21, quando raggiunge la magnitudine visuale +10,3, (26) Proserpina è rintracciabile nella zona di cielo compresa tra Beta e Delta Scorpii e la vicina costellazione della Bilancia. All’inizio del mese il pianetino si trova 2° a nord-ovest dell’ammasso globulare M80 e 2°,3 a est di Dschubba (Delta Scorpii), 44’ a nord della quale transita nelle prime ore del 12 maggio. L’asteroide, animato da moto retrogrado, si sposta verso la Bilancia, attraversando il confine il giorno 26 per poi passare, nei primi giorni di giugno, nell’ampio spazio che separa le due stelle di 5a magnitudine Kappa Librae e 42 Librae La mappa è completa fino alla magnitudine +11,0.
22
LUNA E SATURNO PRIMA DELL’ALBA
Visibile al mattino un paio di gradi a nord di Deneb Algedi (Delta Capricorni), Saturno apre la lunga sfilata di pianeti che precedono l’arrivo dell’astro del giorno. Il 22 maggio, nelle ore comprese tra la levata dell’Ultimo Quarto di Luna e le prime luci dell’alba, è possibile seguire il progressivo avvicinamento del nostro satellite naturale a Saturno. La congiunzione tra i due, con la Luna poco più di 5° a sud del pianeta inanellato, è inosservabile, poiché si realizza quando il Sole è ormai ben al di sopra dell’orizzonte.
25
LUNA, MARTE, GIOVE E NETTUNO PRIMA DELL’ALBA
Nell’ultima decade del mese, nel cielo che precede l’alba, sull’orizzonte orientale si dipana una lunga sfilata di pianeti, alcuni molto luminosi, altri meno. Tra Saturno che apre la sfilata e Venere, la cui comparsa annuncia l’imminente levata del Sole, spicca la presenza di Giove inseguito da vicino da Marte, meno brillante del primo ma dotato di maggiore velocità; alcuni gradi a ovest della coppia, è presente il ben più debole Nettuno, rintracciabile con qualche difficoltà con l’ausilio di un binocolo. La mattina del 25 i tre pianeti vengono raggiunti dalla falce calante della Luna, che nelle ore precedenti si è trovata in congiunzione rispettivamente con Nettuno, Marte e Giove, 4° circa a sud di ciascun pianeta. Il disegno mostra la configurazione celeste che è possibile ammirare alle 4:00 di Tempo Civile, quando vanno accendendosi le prime luci dell’alba.
LUNA E VENERE ALL’ALBA
Dopo aver superato gran parte dei pianeti che popolano il cielo mattutino, la Luna calante, la cui frazione illuminata si fa via via più sottile, affianca infine anche Venere, l’ultimo e più luminoso protagonista della spettacolare parata che anima l’orizzonte orientale. La mattina del 27 maggio alle 4:30 TC, all’inizio del crepuscolo nautico, pochi gradi sopra la linea dell’orizzonte è possibile notare la falce lunare accompagnata, un grado più in alto, dalla splendente Venere; 25’ sopra quest’ultima, si può cogliere la presenza della stella di 4a magnitudine Omicron Piscium. La bella ed effimera configurazione celeste, raffigurata nel disegno, si verifica un’ora dopo la congiunzione in Ascensione Retta, con Venere occultato dalla Luna per parte del Madagascar, Oceano Indiano e Asia sudorientale.
CONGIUNZIONE MATTUTINA MARTE-GIOVE
Un’altra notevole configurazione celeste che vede protagonisti due dei pianeti visibili nelle ore che precedono la levata del Sole è quella che si concretizza negli ultimi giorni del mese, quando Marte, animato da un più veloce moto diretto, affianca e supera il più lento Giove. La mattina del 29 i due pianeti si trovano in congiunzione in Ascensione Retta, con Marte 35’ a sud di Giove. Nei giorni che seguono, il Pianeta rosso si sposta rapidamente a est di Giove, e la mattina del 2 giugno la distanza che li separa è di 2°,2. Nel disegno la posizione dei due pianeti sull’orizzonte orientale alle 4:00 TC del 29 maggio.
NELLA PRIMA DECADE DI GIUGNO CI ATTENDONO
testi completi dei fenomeni sul prossimo numero di Cosmo e sul sito bfcspace.com
MAGNI
DEL MESE GIUGNO: CONGIUNZIONE LUNA-SPICAQuando si cura una rubrica che deve rispettare uno spazio fisso, spesso non è facile imporsi delle scelte, se si vuole evitare una noiosa… lista della spesa. È un problema che si presenta nel caso dell’Orsa Maggiore (UMa), una costellazione famosa per la ricchezza di galassie che racchiude.
L’Orsa Maggiore è molto vasta e si estende ben oltre le sette stelle che formano il suo asterismo più evidente, il Grande Carro; ma in queste pagine ci limitiamo a scrutare attorno al quadrilatero costituito dalle stelle Alfa, Beta, Gamma e Delta Già al primo sguardo, si nota che Alfa (o Dubhe, che in arabo significa “Orso” o “Dorso dell’orsa”) ha una colorazione più ambrata rispetto alle altre stelle del Carro: è infatti una gigante di classe spettrale K0, con temperatura superficiale di 4500 kelvin (quella del Sole è di 5800 kelvin), situata a una distanza di 124 anni luce; le altre stelle del Carro, esclusa Eta (Alkaid), sono tutte bianche e si trovano a circa 80 anni luce. Dubhe è una stella quadrupla: alla distanza di 23 unità
astronomiche (poco più della distanza Sole-Urano) ha una compagna più calda, ma molto meno luminosa e massiccia, che le orbita attorno in 44 anni; una seconda compagna, a sua volta doppia, si trova oltre 400 volte più lontana. Se da un suo pianeta potessimo osservare la stella principale, la vedremmo come un punto arancione intensamente luminoso di magnitudine -12,7, come la Luna piena.
UNA CURIOSITÀ ASTRONOMICA
Prima di addentrarci nel mondo delle galassie, andiamo a visitare uno strano raggruppamento di sette stelle, situato un grado e mezzo a ovest di
Beta UMa, che non costituisce un vero e proprio ammasso aperto. Nel 1993 lo scrittore, costruttore di telescopi, nonché esperto osservatore Maury Barlow Pepin, aveva parlato di questo oggetto nel giornale della British Astronomical Association, accreditandone la scoperta a Johannes Sachariassen, figlio di Sacharias Janssen, ritenuto da alcuni l’inventore del telescopio. L’alchimista, medico e botanico Petrus Borellus (nome latinizzato di Pierre Borel) aveva documentato l’osservazione di Sachariassen, che aveva voluto rappresentare nelle stelle dell’asterismo le sette province unite del regno d’Olanda, da lui definite le “Sette Frecce”. Siamo così di fronte
» A sinistra: la stella Dubhe (Alfa UMa) ripresa con il telescopio di monte Palomar. Si noti la compagna (Dubhe C) subito in basso a destra del disco di Airy. Sotto: la galassia M108 in un’immagine dell’Aop (Advanced Observing Program). OSSERVAZIONIa uno dei primi asterismi telescopici registrati nella storia.
La prima volta che ho osservato questo gruppo di stelle con un binocolo 20x80, ho notato anche una coppia di stelle abbastanza stretta (un paio di primi d’arco) subito a ovest.
L’impressione visiva può essere molto varia: un piccolo appendino, oppure una barchetta con la vela di mezzana gonfiata dal vento. In questo periodo, con il Grande Carro che transita praticamente sopra le nostre teste, la si vede capovolta: per vederla diritta, occorre osservare a settembre attorno alle 10 di sera.
GALASSIE E NON SOLO
Nei pressi di Beta UMa troviamo la galassia M108, situata 1,5° a ESE della stella ed equidistante con una stellina arancione di 7a grandezza ubicata nel mezzo. M108 è già osservabile in piccoli telescopi da 10 cm come un fuso finemente screziato, orientato da est a ovest e di dimensioni 6’×1,5’: è uno dei casi nei quali l’aspetto fotografico non differisce molto da quello visuale. Una stellina relativamente brillante si trova quasi nel centro, mentre una di 12 mag. è situata subito all’esterno del bordo occidentale. Un telescopio da 25 cm mostra
diversi dettagli in più, ma per avere un’impressione simile a quella fotografica occorre uno strumento da 40 cm a ingrandimenti elevati, uniti a un ottimo seeing; è possibile così osservare un insieme caotico di nubecole scure e regioni chiare di formazione stellare.
In piccoli telescopi a bassi ingrandimenti, dove sia possibile mantenere un campo apparente di
Oggetto AR (2000) Dec. (2000) Dim. Mag.
Dubhe (Alfa UMa) 11h03,7m +61°45’
Sette Frecce 10h50,6m +56°08’ 15’×10’ 6,8
M108 (NGC 3556) 11h11,5m +55°40’ 8’×2’ 10,0
M97 (NGC 3587) 11h14,8m +55°01’ 3,4’ 9,8
circa un grado, assieme alla M108 farà capolino anche M97, una nebulosa planetaria già osservabile in un binocolo 12x50, a dispetto della 12a magnitudine riportata su molti cataloghi (in tabella mi sono attenuto a un valore più realistico). È talvolta possibile scorgerla nei buoni cercatori. In piccoli telescopi è più facile da vedere di M108 e appare come un piccolo dischetto
Tipologia
1,8 Spettro K0 III (comp. principale)
Asterismo
Gx spirale
Neb. planetaria
M109 (NGC 3992) 11h57,6m +53°22’ 7’×4’ 9,8 Gx spirale
NGC 3718 11h32,6m +53°04’ 9’×4’ 10,8 Gx spirale
NGC 3729 11h33,8m +53°08’ 3’×2’ 11,4
UGC 6527 11h32,7m +52°57’ 30”×15” 14,8
Gx spirale
Sistema multiplo
STELLE E PROFONDO CIELO ATTORNO AL GRANDE CARRO » La galassia M109 in un’elaborazione cromatica da un’immagine del Poss (Palomar Observatory Sky Survey).» Il gruppo compatto Hickson 56 in un’immagine dell’Osservatorio Kopernik nello stato di New York (Usa).
relativamente compatto, con il diametro di circa 3’. Le due piccole formazioni scure che le hanno conferito l’appellativo di Owl Nebula (“Civetta” o “Gufo”) sono visibili con un filtro OIII che ne aumenta fortemente il contrasto sul fondo cielo.
Il nome della nebulosa era stato coniato da Lord Rosse, che ne aveva fatto un disegno forse più adatto a una maschera di carnevale che a un oggetto astronomico. In una serata tranquilla con buon seeing è possibile scorgere, all’interno, una piccola zona brillante, ma non bisogna pensare che si tratti della stellina centrale: questa è intatti di 16 mag., fuori dalla portata di piccoli telescopi. M97 è distante circa 2000 anni luce, molto meno dei 46 milioni di anni luce del suo vicino di campo.
Proseguendo verso la terza stella del quadrilatero, la Gamma, e spostandosi poco più di mezzo grado verso sud-est, incontriamo un’altra galassia, la M109. È uno degli oggetti Messier più difficili da osservare al binocolo, non tanto per la sua luminosità intrinseca, quanto per la vicinanza angolare con la stella Gamma di seconda grandezza. In questi casi, un buon binocolo
12x50 si rivela vincente. Mettendo la Gamma UMa fuori campo, la galassia è facilmente osservabile in un piccolo rifrattore da 10 cm a 50 ingrandimenti, anche se sarebbe più indicato un riflettore da 15 cm a 100 ingrandimenti: appare allungata da ENE a WSW, di dimensioni 5’×3’ e con un piccolo nucleo brillante ovale, a ridosso del quale si nota una debole stellina. Un’altra stella poco più brillante è situata al bordo orientale della galassia, mentre una terza si trova al margine opposto. Osservando attentamente, si noterà che la barra centrale della galassia non è parallela all’asse maggiore, ma un po’ ruotata in senso orario (da NE a SW).
Circa 3 gradi a ovest di Gamma UMa, c’è un’interessante coppia di galassie in probabile interazione: NGC 3718 e NGC 3729, inserite con il numero 214 del catalogo di galassie interagenti redatto da Halton Arp. La prima è talvolta definita come “spirale barrata”, ma la sua barra è soltanto una banda di assorbimento. Sono entrambe visibili in piccoli telescopi; la prima delle due appare grosso modo rotonda, con diametro poco superiore ai 2’; solo in strumenti superiori è possibile
scorgere cenni di bracci sotto forma di due tenuissimi “baffi” che si dipartono a nord e a sud della zona brillante centrale.
Una coppia di stelline di 12 mag., separate da mezzo primo d’arco, è situata subito a SSW e orientate quasi a perpendicolo con l’asse maggiore della galassia. NGC 3729, situata una dozzina di primi a ENE, appare diffusa, poco allungata da NNW a SSE con dimensioni 2’×1,5’ e gradatamente più brillante verso l’interno; c’è una stellina a ridosso verso SSW.
PER I PIÙ AGGUERRITI
Sette primi d’arco a sud di NGC 3718 c’è un piccolo gruppo compatto di galassiette estremamente deboli, noto come Hickson 56
Una vaga chiazza lattescente si può già scorgere in telescopi da 30 cm, ma per risolvere le singole componenti occorre un’apertura decisamente superiore; chi possiede uno strumento da 40 cm, utilizzato ad almeno 300 ingrandimenti, può individuare la componente più brillante Hickson 56B, nonché la coppia irrisolta Hickson 56C e 56D situata a ridosso della precedente. Con uno strumento da 60 cm è infine possibile cogliere l’evanescente Hickson 56A. A 570x appare come una debolissima lama di luce orientata da nord a sud ed estesa circa 45”.
*PIERO MAZZA MUSICISTA DI PROFESSIONE, È UN APPASSIONATO VISUALISTA, CON MIGLIAIA DI OSSERVAZIONI DEEP SKY CONSULTABILI DAL SITO WWW.GALASSIERE.IT.
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Riprese dai monti Nebrodi (Sicilia) nell’estate 2021. Telescopio ED80 Sky-Watcher con spianatore Sky-Watcher (0,87x) e filtro Optolong L-pro Somma di 65 pose da 15 min con CCD a colori QHY-10 raffreddata a -15 °C Somma ed elaborazione con DeepSkyStacker, PixInsight, Adobe Photoshop La sovraesposizione delle stelle prodotta dall’elaborazione dello sfondo è stata ridotta con mascheratura alternata stelle-sfondo e con il trattamento separato dell’immagine privata di stelle con StarXTerminator di PixInsight. Dimensione delle stelle ridotta con EZ Star Reduction di PixInsight Autore: Giuseppe Marino.
La ricerca amatoriale
Giancarlo Cortini, Stefano Moretti
Super-occhi per
Walter Ferreri, Piero Stroppa
I pianeti e la vita Cesare Guaita
I giganti con gli anelli Cesare Guaita
Alla ricerca della
Cesare Guaita
Oltre Messier Enrico Moltisanti
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In viaggio nel Sistema Solare Francesco Biafore
Come funziona l'Universo Heather Couper, Nigel Henbest
Come fotografare il cielo Walter Ferreri
L'osservazione dei pianeti Walter Ferreri
Cento meraviglie celesti Gabriele Vanin
LE FOTO DELLA SN1987A
Nel numero di Cosmo di febbraio, una Space News era dedicata a SN1987A, la supernova apparsa nella Grande Nube di Magellano 35 anni fa. Ho cercato su Internet le foto di questa supernova e in particolare come risultasse visibile in pieno giorno e ancora meglio di notte, ma senza esito.
È possibile che nessuno abbia fatto delle foto? Ne avete qualcuna in archivio?
La supernova del 1054 fu visibile di giorno per circa un mese e di notte per circa due anni e penso che anche questa supernova abbia dato spettacolo. Che però non ho potuto ammirare, perché avevo solo 14 anni e nessun docente mi aveva sollecitato a guardare il cielo (purtroppo l’astronomia è snobbata nei programmi ministeriali). Chiedo dettagli circa la magnitudine raggiunta dalla SN1987A e altri parametri importanti e infine se abbia generato un’esplosione di raggi gamma.
Non si deve rammaricare per non aver visto la SN1987A, né lamentarsi con i suoi insegnanti per non avergliela indicata, in quanto questa celebre supernova – la più vicina e luminosa apparsa nei tempi moderni - non era visibile dall’Italia, essendo molto australe. È apparsa nella Grande Nube di Magellano, profondamente annidata nel cielo meridionale (a una declinazione di -69°).
Inoltre, poiché la sua distanza da noi è nell’ordine dei 170 mila anni luce, pur essendo intrinsecamente molto luminosa, è apparsa brillare al massimo, durante il suo parossismo visuale, all’incirca quanto la stella più debole del Grande Carro (Megrez, Delta Ursae Majoris), ovvero di terza magnitudine.
La supernova del 1054 era molto più vicina: a circa 6500 anni luce, 26 volte di meno. Se fosse stata alla stessa distanza, la 1987A sarebbe apparsa tanto luminosa quanto il pianeta Venere. Della prima oggi, a quasi mille anni di distanza, osserviamo la piccola nebulosa Crab che rappresenta il suo “resto” e che vanta molte riprese amatoriali come quella di Matteo Fratesi (vedi pag. 86).
La SN1987A è stata catalogata di tipo II e aveva come stella progenitrice una supergigante blu.
Di essa sono state ottenute molte fotografie nei giorni successivi all’apparizione; eccone una qui sopra, dove la supernova appare come la stella più brillante, leggermente a destra del centro.
Sulla sinistra in alto è visibile la celebre nebulosa Tarantola. Della SN1987A non sono state registrate esplosioni di raggi gamma (Gamma Ray Burst), eventi peraltro rivelabili soltanto dallo spazio, in quanto la nostra atmosfera blocca queste radiazioni a cortissima lunghezza d’onda.
Leonardo sbarca ancora una volta su Marte. Dopo la copia dei Codici sul volo portato sul Pianeta rosso dal rover Curiosity della Nasa, il Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, intitolato al grande scienziato e inventore italiano, apre una sezione didattica tutta dedicata a Marte. Dopo l’inaugurazione per i media, che si è svolta alla presenza di Amalia Ercoli-Finzi, prima donna ingegnere aerospaziale in Italia, che ha lavorato su molte, importanti missioni spaziali europee, dallo scorso 12 marzo il Museo “Leonardo Da Vinci” apre al pubblico Stem*Lab Base Marte, un nuovo spazio educativo che ricrea una base marziana come scenario innovativo per sperimentare le Stem (Science Technology Engineering Mathematics) attraverso un inedito gioco di ruolo dal vivo.
COME IN “THE MARTIAN” Pensato in particolare per ragazzi dai 10 ai 14 anni, il laboratorio è un ambiente di ricerca in cui mettersi nei panni dell’equipaggio di astronauti in missione sul Pianeta rosso per garantire la sopravvivenza della base: “Base Marte chiede alle ragazze e ai ragazzi di prendere decisioni complesse, impattanti. Ciascuno si rende conto contemporaneamente di avere bisogno del giudizio di tutti i membri del gruppo e che il gruppo ha bisogno anche del suo giudizio. Il contesto di gioco stimola un
*ANTONIO LO CAMPO
È UN GIORNALISTA SCIENTIFICO SPECIALIZZATO PER IL SETTORE AEROSPAZIALE, COLLABORA CON DIVERSE TESTATE NAZIONALI.
protagonismo intelligente, rispettoso e solidale, un protagonismo di testa e di cuore. Il che è quello di cui abbiamo bisogno” - afferma Paola Dubini, vicepresidente del Museo.
I ragazzi possono partecipare a una missione sul Pianeta rosso: divisi in cinque gruppi, come veri e propri team di ricerca, dovranno svolgere attività sperimentali per gestire in modo concreto situazioni ed eventi che si susseguono sulla base marziana, dedicata all’astronomo Giovanni Schiaparelli, pioniere delle osservazioni marziane, portando in salvo l’equipaggio. Una trama narrativa, stile film The Martian, ambientata sulla base, motiva le esplorazioni di elementi scientificotecnologici, come coltivare vegetali per assicurare l’approvvigionamento del cibo, provvedere alla manutenzione e alla produzione di energia, mantenere in buona salute fisica e mentale i propri compagni, gestire i supporti vitali della struttura, esplorare con i rover la superficie esterna del Pianeta.
IL PROGETTO STEM*LAB
Il laboratorio è parte del progetto nazionale Stem*Lab (“Scoprire Trasmettere Emozionare Motivare”), selezionato dall’impresa sociale “Con I Bambini” nell’ambito del Fondo per il Contrasto della Povertà Educativa Minorile e coordinato dal consorzio Kairòs di Torino.
L’iniziativa coinvolge scuole, soggetti del terzo settore, amministrazioni locali e fondazioni, con l’obiettivo di creare un contesto scolastico aperto che utilizzi metodologie innovative per l’educazione alle discipline Stem come leva di crescita e superamento dello svantaggio socioculturale ed
IL MEETING NAZIONALE DELLA COMMISSIONE DIDATTICA DELL’UAI
Lo scorso 20 febbraio è stato organizzato il meeting nazionale della Commissione Didattica dell’Unione astrofili italiani (Uai). L’incontro, aperto a insegnanti e ad associazioni di astrofili, si è svolto a Firenze nel palazzo che ospita la Fondazione Osservatorio Ximeniano, situato tra la chiesa di San Lorenzo e Santa Maria del Fiore. Il palazzo anticamente era un convento dove visse il gesuita Leonardo Ximenes (1716–1786), di origine siciliana, grande astronomo, ingegnere e geografo che costruì la cupola per posizionare un telescopio, che si trova ancora oggi nello stesso posto. Nel palazzo si trovano anche una biblioteca, con antichi libri regalati da Leonardo Ximenes e altri aggiunti dai suoi successori, e un museo ricco di strumenti astronomici e scientifici settecenteschi e ottocenteschi.
Al meeting, la relazione esposta da Paolo Colona, presidente della Sezione Uai “Astronomia culturale”, ha segnalato l’importanza dell’aspetto multidisciplinare dell’astronomia, che è collegata con tantissime discipline scientifiche e umanistiche. Un aspetto che tutti i docenti dovrebbero conoscere, per poterlo esporre ai loro allievi e appassionarli. Una parte del meeting è stata dedicata alla didattica dell’astronomia. La responsabile della Commissione, Maria Antonietta Guerrieri, ha presentato lo stile delle scuole estive organizzate dalla Commissione Didattica Uai e ha illustrato le attività didattiche che i docenti possono far svolgere agli studenti in modo da convincerli a studiare anche le parti teoriche.
Alla fine del meeting si è deciso quindi di ripetere l’esperienza ogni anno nel mese di febbraio: nel 2023 al Planetario di Ravenna
Le registrazioni delle sessioni del meeting sono disponibili sul canale YouTube dell’Uai, inquadra il QR per accedervi.
DI ANTONIO LO CAMPO A.G.economico dei minori: “Stem*Lab Base Marte è una risorsa permanente nell’offerta educativa del Museo che per i prossimi anni sarà aperta a tutto il nostro pubblico, con l’obiettivo in particolare di sostenere e supportare lo sviluppo delle competenze e dei talenti in ambito Stem di ragazze e ragazzi come strumento di cittadinanza attiva e leva di sviluppo sociale. La nostra missione è quella di spronare e stimolare i giovani a trovare nuove soluzioni per andare avanti, farsi sempre domande e diventare adulti migliorandosi ogni giorno” - spiega Fiorenzo Galli, direttore generale del Museo. “Immaginate che in questo
laboratorio, dove ci si trova sul pianeta Marte e dove l’equipaggio deve affrontare molte difficoltà, arrivino un ragazzo di seconda generazione proveniente da un paese straniero in difficoltà. E immaginate poi un ragazzo che vive in una famiglia con un solo genitore, che deve fare tutto il possibile per poter continuare a studiare dopo la terza media. Immaginate questi due ragazzi che entrano nel laboratorio Base Marte e scoprono di avere un’inclinazione, una capacità di leadership che permette loro di far cooperare i coetanei, guidando il loro lavoro, e una predisposizione al ragionamento scientifico che magari
un domani li farà diventare scienziati. Base Marte è un laboratorio che unisce sapere scientifico e sapere pedagogico: i bambini apprendono più rapidamente se inseriti in contesti, aguzzano il pensiero e sono spinti a collaborare”, spiega Marco Rossi-Doria, presidente di “Con i Bambini”, durante la conferenza stampa di presentazione del progetto. Stem*Lab coinvolge 4 regioniLombardia, Piemonte, Campania e Sicilia - con 38 soggetti partner coordinati dal consorzio Kairos.
EDUCATION
SULL’ESPLORAZIONE
SPAZIALE
“Base Marte è un laboratorio immerso in un gioco, un gioco di ruolo dal vivo. Ogni partecipante si trova in un contesto preciso con un ruolo definito e le sue azioni sono guidate da quel contesto. In questo modo la lettura di una tabella, l’interpretazione di un grafico, lo svolgimento di una attività sperimentale hanno un senso chiaro e immediato” - aggiunge Enrico Miotto, curatore attività didattiche del Museo. Con Stem*Lab Base Marte, il Museo aderisce alla rete “Affido Culturale”. un progetto attivo nelle città di Napoli, Roma, Modena e Bari, selezionato dall’impresa sociale “Con i Bambini” nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Dal 2021 è presente anche a Milano, grazie a Mitades Aps con il contributo di Municipio 8 Comune di Milano. Il progetto rivolto a bambini, ragazzi e adulti favorisce la coesione e il potenziamento sociale, promuovendo l’accesso ai luoghi culturali come opportunità di crescita.
Le attività nella nuova base marziana del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano sono incluse nel biglietto d’ingresso al museo, sito in via S. Vittore 21. Il programma completo di giorni e orari di Stem*Lab Base Marte, insieme a un approfondimento su Giovanni Schiaparelli e l’area Spazio del Museo è disponibile al sito del museo www.museoscienza.org Altre informazioni e news sui social media: Facebook, facebook.com/museo scienza, Twitter, @Museoscienza; Instagram, museo scienza; Youtube, youtube. com/museo scienza Inquadra il QR per un video di presentazione di Stem*Lab Base Marte. COME ACCEDERE ALLA NUOVA BASE MARZIANA » Da sinistra: Lezione “marziana” a una classe di bambini in visita a Stem*Lab Base Marte. Amalia Ercoli Finzi all’inaugurazione della nuova sezione didattica del Museo della scienza e della Tecnologia di Milano. MOSTRE E MUSEIASTROBIOLOGIA
GIUSEPPE GALLETTA
PADOVA UNIVERSITY PRESS, 2021
PAGINE 252 ILLUSTRATE
FORMATO 18X26,5 CM
PREZZO (EDIZIONE CARTACEA): € 18,00
Non sono molte le Università italiane che offrono un corso di Astrobiologia e credo che Giuseppe Galletta, docente all’Università di Padova, sia stato un precursore in questo campo che sta crescendo freneticamente: l’interesse del pubblico aumenta di pari passo al numero di pianeti scoperti. Tutti pensano a una Terra 2.0, ma trovare un pianeta con massa simile al nostro, che orbita nella zona abitabile della sua stella non è sufficiente. Per arrivare a qualsiasi risultato, occorre procedere in modo interdisciplinare, combinando lo studio dei pianeti del Sistema solare e di quelli extrasolari con le scienze della vita (biologia, biochimica e genetica), con quelle della terra (geologia, geofisica e climatologia) e con la chimica. Tuttavia, questo menu non esaurisce gli argomenti trattati nell’opera di Galletta, il cui sottotitolo è La ricerca di vita nello spazio, che inizia con un quadro storico e termina con considerazioni filosofiche-antropologiche sull’impatto che la scoperta di altre civiltà avrebbe sulla nostra vita.
Un argomento ricchissimo di innumerevoli sfaccettature che Galletta conosce molto bene, dato che lo studia e lo insegna da 44 anni. Il libro è la riscrittura di Astrobiologia: le frontiere della vita, pubblicato da Galletta insieme a Valentina Seri con la casa editrice Hoepli nel 2005. In 15 anni il panorama dell’astrobiologia si è arricchito di molte scoperte ed era tempo di aggiornare quello che era diventato il testo di riferimento italiano sull’argomento. Disponibile gratuitamente per il download in formato pdf ed e-book dal sito della casa editrice (bit.ly/3p6JyR8, inquadra il QR per scaricarlo), il libro spazia dalle forme di vita sulla Terra (comprese quelle che si sono sviluppate negli ambienti più estremi), ai corpi del Sistema solare, per arrivare ai pianeti extrasolari e alla ricerca di vita aliena, con tutti i problemi di comunicazione che questa scoperta implicherebbe. Non occorre aver dato l’esame di astrobiologia per apprezzare la chiarezza di questa trattazione.
Patrizia CaraveoNAVIGATORI E STELLE
LORIS LAZZATI
NOVARA, LIBRERIA GEOGRAFICA, 2021
PAGINE 288
FORMATO 19 X 25,5 CM
PREZZO € 28,00
Conoscere la posizione è un’informazione strategica, in passato come oggi. Il Sole e le stelle sono stati i cardini dell’orientamento nei secoli passati, come ci racconta Loris Lazzati in quest’opera, il cui sottotitolo è I grandi viaggi della storia e l’orientamento con gli astri. Seguendo lo scorrere del tempo, il libro racconta i grandi viaggi di esplorazione e i metodi utilizzati dai marinai per trovare la giusta rotta. Basati su strumenti quali l’astrolabio, la bussola, e il quadrante. Viene così ripercorsa l’epopea delle grandi esplorazioni: i viaggi di Cristoforo Colombo, Giovanni da Verrazzano, Amerigo Vespucci, Ferdinando Magellano, Andreas de Urdaneta, Abel Tasman, fino a James Cook sono descritti in modo avvincente, con splendide mappe per illustrare le rotte seguite e una ricca iconografia. Da appassionato di astronomia, l’autore aggiunge delle digressioni sul cielo australe e non mancano riferimenti storici come quello relativo alla Raya, la linea che sanciva la spartizione del Nuovo Mondo tra Spagna e Portogallo. È per questo che in
Brasile si parla il portoghese, mentre il resto dell’America del sud parla spagnolo. Essersi spartiti il Nuovo Mondo non implicava collaborazione, ma le esplorazioni producevano mappe, e il loro valore era inestimabile. Fare il punto in mare era sempre più importante; nel 700 fu realizzato l’ottante, poi evoluto nel sestante, ma rimaneva il problema della stima della longitudine, che richiedeva la misura dello scorrere del tempo. Nel 1707, dopo un terribile naufragio, il parlamento inglese varava il Longitude Act, promettendo un premio in denaro a chi avesse trovato il modo di misurare la longitudine. Da una parte si schierarono gli astronomi, che usavano le tabelle degli almanacchi, dall’altra i maestri orologiai, che trovarono il loro eroe e vincitore in John Harrison, l’inventore del cronometro marino. I due metodi non erano antitetici, ma un cronometro preciso era più semplice e liberava il capitano dalla schiavitù delle nubi.
Patrizia CaraveoOSSERVIAMO LE STELLE
GIOVANNI ANSELMI
CORNAREDO (MI), IL CASTELLO, 2020
PAGINE 96
FORMATO 24,5 X 24,5 CM
PREZZO € 19,00
Questo lavoro si rivolge soprattutto a lettori molto giovani ed è ideale per i ragazzi delle scuole medie, grazie alle innumerevoli immagini che rendono il libro davvero molto bello. L’opera è essenzialmente divisa in due parti di uguale lunghezza: la prima fornisce un quadro generale di informazioni astronomiche, mentre la seconda è dedicata alla guida del cielo notturno, mese per mese. Un aspetto molto apprezzato è la notevole capacità dell’autore di adattare il discorso agli adolescenti, una caratteristica non facile da trovare. La parte migliore del libro sono comunque le immagini, ottime e sempre appropriate: per esempio, passando in rassegna gli astri, da quelli del Sistema solare fino ai più remoti, vi sono fotografie che mostrano, per paragone, come tali astri si vedano al binocolo e al telescopio. Tra le due parti dell’opera, sei pagine sono dedicate alla pratica astronomica. L’autore consiglia dapprima di orientarsi in cielo a occhio nudo, quindi con un binocolo e solo in un secondo
tempo con un telescopio. Quando si arriva a questo strumento, si consiglia come primo acquisto un semplice rifrattore da 60 mm, più facile a usarsi di un riflettore newtoniano dello stesso ordine di prezzo. Nella seconda parte del volume, a ogni mese sono dedicate quattro pagine. Nelle prime due troviamo una mappa del cielo visibile, con tre orari per l’inizio, il centro e la fine del mese. Le mappe (a colori e ottimizzate per l’Italia Centrale) riportano le stelle fino alla quarta magnitudine, i nomi delle stelle principali e delle costellazioni. Le due pagine seguenti traboccano di immagini con lunghe didascalie e comprendono una stuzzicante rubrica dal titolo “Sapevi che…”. Nella terza di copertina del libro si trova un astrolabio progettato per la latitudine di +42° (Roma), che riporta stelle fino alla quarta magnitudine. Questo strumento, insieme alle bellissime immagini e al grande formato, giustifica ampiamente il prezzo dell’opera.
Walter FerreriINSEGUENDO UN RAGGIO DI LUCE
AMEDEO BALBI
MILANO, RIZZOLI, 2021
PAGINE 228
FORMATO 21,7 X 14,2 CM
PREZZO € 17,00
La teoria della relatività è uno dei pilastri della fisica moderna ed è alla base di molti suoi settori, dalla fisica delle particelle elementari all’astrofisica e alla cosmologia. Si tratta forse della teoria fisica più popolare e conosciuta fra il grande pubblico, grazie anche alla figura del suo ideatore, il grande Albert Einstein. Tutti conosciamo l’equazione E = m c2, ma siamo coscienti della sua portata, pur nell’apparente semplicità? Inoltre, tutti abbiamo sentito dire che “tutto è relativo, come diceva Einstein”. Ma siamo sicuri che sia così? È davvero questo il vero messaggio della teoria della relatività? Amedeo Balbi risponde a queste e a molte altre domande con questo nuovo saggio alla scoperta della teoria della relatività, come recita il sottotitolo.
Ricordiamo che quando parliamo di relatività, ci riferiamo a due teorie, quella della relatività speciale pubblicata nel 1905, seguita dopo dieci anni dalla relatività generale, che rappresenta la migliore descrizione della gravità e dei fenomeni a essa legati. Tutto è cominciato con una riflessione di Einstein quando aveva
16 anni, che si chiedeva cosa avrebbe potuto vedere inseguendo un raggio di luce, e proprio questa domanda è stata scelta dall’autore come titolo del libro.
Amedeo Balbi è professore associato all’Università di Roma Tor Vergata e oltre all’attività di ricerca si occupa da anni di divulgazione scientifica. In questo libro ci accompagna alla scoperta delle due teorie della relatività, spiegandone i fondamenti e mostrando come abbiano cambiato la nostra visione dell’Universo, fino alle manifestazioni più estreme come i buchi neri e le onde gravitazionali. Non manca poi una discussione sul ruolo della relatività nello studio della struttura e l’evoluzione del cosmo. I diversi aspetti legati a queste teorie sono discussi in modo chiaro e scorrevole e grazie e questo l’opera risulta adatta a tutti coloro che desiderano capire come il lavoro di Einstein abbia plasmato le nostre attuali conoscenze sulla struttura e sul divenire dell’Universo.
Massimiliano RazzanoMARKETS
THE SUSTAINABILITY OF SPACE
needs to stay in space after reaching its purpose.
For the growing segment of in-orbit demonstration and physical and biological experiments, reusability is possible by sending a payload into orbit, conducting an experiment or test, and then bringing it back to Earth for the retrieval and repurpose of the payload. Currently, this cycle is only possible thanks to the ISS and resupply vehicles like the Dragon, however, new options will be commercially available very soon, for example, ESA’s Space Rider. A new european, reusable, orbital vehicle that will fly on Q2, 2024 on top of a Vega-C.
Most of the commercial space industry today is supported by satellites placed on the Low Earth Orbit. There are currently 6,500 satellites in space, of which almost half are inactive, and by 2030, the industry will launch 17,000 more satellites.
Every object launched, potentially increases the risk of collision and thus the creation of more space debris. As of today, there are 27,000 pieces of debris larger than a softball traveling in space at a speed of 28,000 km per hour. This threat puts a risk not just the limited orbit space, but a 450 billion dollar industry that is expected to grow to 1 trillion in the next 10 years. Even though there are already some companies trying to mitigate this problem, the rate at which we launch satellites is rapidly increasing, just in 2020, the industry registered
the highest number of satellites launched per year in history, with 1,283 satellites.
Most of the key players in the space industry are aware of this situation and although subjects like “space debris management” and “space traffic management” are now included in every space summit, the solution is a complex combination of technology, government leadership, and a business case Reusability is however one of the key pieces that are shifting the mindset of the industry and better preserving Earth’s orbit. Reusability not only has a strong economic incentive but also challenges the premise that hardware supporting space activities
Space Rider’s maiden flight will last two months, and it will land at Kourou spaceport. This versatile free flyer has a hatch that opens while in space to provide payloads with radiation exposure, and also with the ability to test sensors and other systems.
The re-entry component of Space Rider opens new possibilities for inorbit demonstration and in-orbit manufacturing, where companies can now test their technology or built something in space and retrieve it back on Earth, avoiding the pollution of LEO and with the chance to reuse their payload.
Although Space Rider is an initiative from the European space agency, it has a commercial component, which means that is customer and partner agnostic, so the industry can benefit from it. Besides Space Rider, other interesting initiatives include SNC’s Dream Chaser, Space Forge’s ForgeStar, and all the sustainable activities powered by the upcoming private space stations.
DI JOSE SALGADO* *JOSE SALGADO IS A SPACE INDUSTRY ADVISOR AND FOUNDER OF D-CONSTRUCT SPACE CONSULTING.