10 minute read
Cabina 82 Viola Ardone
from L'ESPRESSO 30
by BFCMedia
Ho conser vato una foto di noi due, stampata su carta satinata e un po’ sbiadita: tu sei un principe in pescura beige con la bandiera tricolore sulle spalle che ti fa da mantello, io una aspirante K im Basinger con la frangetta bionda, gli orecchini di stoffa colorata e le guance paffute dipinte di blu. 11 luglio dell ’82: l ’Italia stava per vincere i mondiali, noi eravamo ancora vergini e le foto si scattavano premendo l ’indice su un cilindretto di metallo. - Ho sfilato le chiavi a mia madre, - mi dicesti facendomi oscillare sotto al naso il ciondolo a forma di stella marina. Mi tolsi i finti Ray-Ban presi su una bancarella di via Roma prima di partire e scossi la testa. - Nemmeno se segna Rossi? - Macchè. - E se segna Tardelli? - E che v uol dire? Tardelli è certo che seg na . - E se invece segna A ltobelli e ci portiamo a casa la coppa, ci vieni con me sulla spiaggia stanotte? Quella partita di quarant’anni fa cominciò alle 20, l ’ora esatta in cui stasera mi sono infilata il mio vestito sabbia, mi sono guardata allo specchio e mi sono messa a piangere. Cinquanta minuti dopo, quando la finale dell ’82 era ormai al termine del primo tempo, mi sono sciacquata il viso, aggiustata il trucco e ho tirato fuori dall ’armadio l ’abito rosso. A lle 21, mentre il signor Arnaldo César Coelho esattamente quarant’anni prima fischiava la ripresa del gioco, mi sono svestita di nuovo, ho appallottolato il vestito rosso e l ’ho gettato sulla poltrona accanto alla finestra. Che stupida. Che stupida vecchia bambina mai cresciuta. Quaranta anni sono una vita, ci passano in mezzo matrimoni, figli, separazioni, malattie, dolori. Perché sto andando a questo appuntamento? Per una promessa fatta quarant’anni fa? O per la voglia di essere ancora quella, la ragazzina
Non ci riuscimmo. Perché il corpo è un territorio che si impara a decifrare con pazienza, e la mappa del piacere si decodifica con l’intelligenza degli anni
con la permanente bionda e le lentiggini?
E perché no, mi dico poi frugando nell ’armadio, d ’altra parte è stato lui a proporlo: qualsiasi cosa accada, qualsiasi cosa sarà successo nelle nostre vite, noi ci ritroveremo qui, davanti alla cabina 82 del villaggio vacanze Stella maris, nella stessa notte in cui l ’Italia vinse i mondiali.
La cabina era scomoda, buia e sapeva di salmastro, lui iniziò a fischiettare Anna e Marco, la nostra canzone, poi mi sfiorò le labbra, prima a fior di pelle e poi mettendoci la lingua, sentivo il sapore di MS morbide e Peroni scivolare dentro la mia bocca, le sue dita farmi il solletico sulla pelle abbrustolita, le stringhe del costume mi si arrotolavano sulle scapole e né io né lui riuscivamo a liberarle, sotto la lingua e tra le gengive scrocchiavano i granelli di sabbia che il sudore ci aveva attaccato addosso e l ’eccitazione era una bocca spalancata nel-
la carne che chiedeva solo di mordere e tenere e non finire più.
Così provammo a fare l ’amore per la prima volta la notte dell ’11 luglio 1982, in piedi e al buio di una cabina che puzzava di vernice e di antiruggine. Mentre il resto dell ’Italia celebrava in strada la coppa del mondo noi officiavamo di nascosto dal mondo la nostra iniziazione al sesso.
E non ci riuscimmo. Non ci riuscimmo perché la prima volta non si riesce mai. Perché il corpo è un territorio sconosciuto che si impara a decifrare con pazienza, perché la mappa del piacere si decodifica via via con l ’intelligenza degli anni, e le ragioni del desiderio ci mettono tempo per farsi valere. E poi perché ogni corpo ha una sua storia e una sua geografia che è necessario studiare a lungo e con passione, prima di poterla percorrere agilmente.
Forse è che eravamo troppo giovani, che nella cabina 82 c’era solo una panca, che io avevo uno spigolo conficcato nella natica destra, che le zanzare ci tormentavano le gambe, che nessuno dei due sapeva ancora bene che cosa fosse quella verginità né precisamente dove si trovasse. Tutto finì in fretta, ancora prima di capire da dove si dovesse cominciare.
Ci rivestimmo goffamente e pieni di imbarazzo, come se all ’improv viso vederci senza il costume fosse un’oscenità, Adamo ed Eva che dopo aver addentato il frutto proibito si scoprono nudi e provano vergogna. Serrò a chiave la cabina 82 e mi girò un braccio attorno al collo con esitazione, come se fino a pochi minuti prima quel mio corpo non fosse stato una porta schiusa al suo desiderio, come se non gli avessi appena concesso la mia “nuda proprietà ”. - Che dici, Anna, ce lo facciamo un Calippo? - mi chiese ridendo. - A lmeno quello, - sospirai e ce ne andammo al bar.
“Anna come sono tante, Anna permalosa…”, riprese a canticchiare. Il freddo del ghiacciolo mi invadeva la bocca pizzicandomi la lingua. Forse era ancora quello il piacere intenso e innocente che cercavo a quell ’età, non altri.
Quarant’anni dopo, all ’inizio del secondo tempo di quella partita storica, mi ritrovo nuda davanti allo specchio. Ecco quello che sono. Una donna di 55 anni, una donna di una certa età, come si diceva una volta. Ma di che età, precisamente? Sono di certo più grande dei miei genitori all ’epoca della promessa che ci scambiammo io e Marco, e infinitamente più giovane di quanto potessero apparire mia madre e mia nonna quando erano mie coetanee.
Madrid, 11 luglio 1982, Marco Tardelli e Antonio Cabrini esultano per la vittoria dell’Italia sulla Germania, alla finale della Coppa del mondo. Sopra: l’autrice del racconto, la scrittrice Viola Ardone, 48 anni
Mi guardo: è una donna bella, quella che mi guarda dallo specchio, le rivolgo un sorriso e lei ricambia. Possiede, a questa età, una bellezza senza scuse e senza ipocrisie: il seno più abbondante, i fianchi larghi ma il ventre non troppo prominente, il sesso depilato, una albicocca maturata al sole di molte estati, i capelli più biondi di allora e meno ricci, gli occhi uguali, con qualche segno in più in direzione delle tempie. Indosso il mio corpo nudo come se fosse una divisa, la maglia della mia vittoria, quella che ho custodito nel tempo. La vita, per il resto, ci si è squagliata addosso, come un Calippo che non si è fatto in tempo a succhiare ed è già nient’altro che acqua colorata. Solo il corpo rimane, solo la carne ci tiene compagnia.
In questa notte di quarant’anni fa l’arbitro soffia tre volte nel fischietto: Pertini esulta, canta Cabrini insieme a Bruno Conti, Antognoni solleva i pugni contro il cielo e la Germania si inabissa, beffata, negli spogliatoi.
Infilo canotta bianca e pantaloncini sopra al costume ancora impregnato di sale dal bagno di stamattina, e mi av vio all’appuntamento, il vialetto che porta alle cabine è solitario, la staccionata è sbiadita, la notte silente.
Mi siedo con le spalle poggiate alla cabina 82 a cercare una luna che l’anno della vittoria c’era e oggi non più. Ma mentre quella tornerà tra qualche giorno sempre uguale, seguendo il suo perenne ciclo di mesi e di stagioni, io invece no. Non torneranno i quindici anni, non tornerà l’amore eterno e nemmeno la cotta di un’estate, non tornerà la permanente né la frangetta liscia, gli zaini a strisce bianche e gialle o blu. Non torneranno la nazionale dell’82, il tempo delle mele, When I’m with you it’s paradise, superclassifica show e il Commodore 64.
Poi un rumore dal fondo mi riporta qui, a oggi. Abbasso gli occhi e scruto il fondo del vialetto, ti riconosco subito dal passo dondolante e dalla percussione ritmica degli zoccoli in legno sulle mattonelle. Mi prendi per mano e mi sollevi, mi poggi un bacio sulla fronte, poi mi sventoli davanti agli occhi la chiave della cabina 82, con la stella marina rossa. Sei sempre tu, uguale e diverso, nello stesso modo in cui lo sono io.
L’interno è buio e umido come a quel tempo, la panca in legno è stata sostituita da una in metallo, scomoda uguale. - Grazie, - mi sussurri all’orecchio. - Grazie di cosa, - gli carezzo una g uancia. - Di essere tornata qui. - Sono come la luna, - dico, e mi sento ridere come quella ragazza di quindici anni che sono stata e che mi osserva dal buco della serratura dei miei anni maturi. Vedi, non cambia niente, le spiego con pazienza, tutte le età felici si somigliano: il cuore batte forte mentre le mani stringono e carezzano, il corpo diventa docile per aderire all’altro. Il sesso, cara ragazza dell’82, è caldo e umido e odora di salsedine come questa vecchia cabina. Il resto è narrativa.
I vestiti sono ammucchiati a terra sul pa-
Sicilia, foto matrimoniali in spiaggia. A destra, dall’alto: una prospettiva di cabine a Sestri Levante; l’attrice Sophie Marceau nel film “Il tempo delle mele”
A questa età, è una bellezza senza scuse e senza ipocrisie. Indosso la mia nudità come se fosse la maglia della mia vittoria, che ho custodito nel tempo
vimento sporco, Marco siede sulla panca, io sono a cavalcioni su di lui, gli cingo i fianchi con le cosce e, mentre punto le ginocchia contro la superficie in ferro e mi adeguo al suo ritmo, mi torna in mente di cosa odorava quel giorno la sua pelle: di latte e liquerizia. Poi non penso più a niente: né al tempo passato né a quello che verrà, né al corpo che piano piano se ne va per fatti suoi, né ai figli né al fisco né alle scadenze né ai soldi né a mio marito e neanche più a me. Nel sesso c’è un istante in cui ci si dimentica di sé. Si può tradire tutto per raggiungerlo.
Poi, sarà lo spazio angusto, sarà il caldo afoso, la pelle che si appiccica, la posizione scomoda, dopo qualche minuto la presa di Marco si fa debole, lui smette di agitarsi sotto di me e mi affonda la fronte in mezzo ai seni, av verto il suo sudore che mi goccia addosso. - Scusami, è l ’emozione, - dice staccandosi, e cerca nella penombra gli abiti, come Adamo dopo il morso alla mela.
Mi sdraio sulla panca, esausta, il fresco del metallo mi ristora. - Vabbè, ci riproviamo a casa, con l ’aria condizionata e le lenzuola pulite, poi ci facciamo anche due pomodori all ’insalata? Ti va? – gli propongo. - Se i ragazzi non sono già tornati dalla disco, - risponde, e si rimette i boxer.
“Marco grosse scarpe e poca carne, Marco cuore in allarme”, mi metto a cantare soprappensiero mentre mi infilo la maglietta e scuoto i capelli per liberarli dalla sabbia. Sgattaioliamo fuori dalla cabina, alzo gli occhi verso le stelle e mi sorprendo a trovarci anche la luna, libera finalmente dalle nuvole. - Però alla fine ci sei venuta, - mi sorride. - Me lo ricordi ogni anno, - gli mollo un buffetto sulla guancia ancora accaldata. - Era un modo carino per festeggiare il nostro anniversario. - Ce ne sono anche di meno scomodi.
Ci av viamo sul vialetto in direzione del residence, lui ciabattando rumorosamente, io silenziosa. Poi all ’improv viso si ferma e mi prende per mano. - Anna, ma che ne dici, prima di ritornare a casa ce lo facciamo un Calippo? – mi trascina verso il bar dei mondiali. La lingua mi pizzica di un nuovo desiderio di freschezza. - Eh, almeno quello! Q