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Vite da Po in secca Tommaso Giagni 62 Il Sarno ha l’acqua marrone Lorenzo Fargnoli 70 Sulle sponde di città Antonia Matarrese

SULLE S P O N D E D I C I T TÀ

DI ANTONIA MATARRESE

Gli antichi li veneravano. Consapevoli della loro forza distruttiva in seguito alle inondazioni ma anche degli elementi positivi quali approvvigionamento di acqua, pulizia, trasporto. Nelle società attuali, i fiumi sono spesso dimenticati, mortificati dal cemento e dall’incuria, intrappolati fra argini inaccessibili ai più.

«Le città, grandi e piccole che siano, vedono l’acqua come un nemico, estranea al tessuto urbano. Abbiamo imparato a gestire e controllare la portata dei fiumi ma ci siamo scordati di rispettarli», esordisce Edoardo Borgomeo, ricercatore all’università di Oxford e autore del libro “Oro Blu – Storie di acqua e cambiamento climatico” (Laterza). «Prendiamo per esempio i centri abitati degli Stati Uniti: non hanno fontane e i corsi d’acqua sono stati incanalati. Eppure l’acqua non sparisce. Anzi. Ha una memoria formidabile e torna sempre dov’era. Se cerchiamo di nasconderla non facciamo altro che aumentare il rischio che si ripresenti con una forza ancora più distruttiva».

Ora, però, la crisi climatica e la siccità invertono la tendenza, portando alla riscoperta dei fiumi e del loro ruolo vitale.

«La nuova relazione con l’acqua passa dall’urbanistica e sono sempre più numerose le realtà che si ricollegano a questo elemento», osserva Borgomeo. «A Monaco il fiume Isaar, che la percorre per 14 chilometri, è l’oasi verde più importante con una riviera balneabile per fare attività sportive. Stessa cosa lungo il Danubio a Vienna. Dall’altro capo del mondo, a Seoul, il fiume Cheonggyecheon, coperto da un viadotto negli anni ’70, è tornato alla luce come parco lineare. In tutti questi casi, i benefici sono ambientali perché i fiumi e la vegetazione portano alla riduzione delle temperature, economici in quanto attirano turisti e pure psicologici. Vivere in prossimità di un corso d’acqua contribuisce al benessere mentale».

Insomma un fiume, più che dividerla, può unire una città. Come nel caso di Torino che, di corsi d’acqua, ne conta ben quattro: Po, Sangone, Dora Riparia e Stura. «I torinesi amano il fiume e lo vivono: dalle piste ciclabili alle aree per picnic passando per gli sport acquatici come il canottaggio nei circoli storici quali Esperia, Caprera, Amici del Fiume, tutti con accesso da Corso Moncalieri sulla sponda destra del Po», racconta Michela Rota, architetto esperto in sostenibilità dall’animo green. «La vegetaAntonia zione è composta da tigli e platani, la fauna Matarrese conta cormorani, gru cenerine, rondini, anaGiornalista tre, gallinelle d’acqua. La siccità si percepisce

Il Terzo Giardino di Firenze

dall’aumento delle alghe». E il fiume Po è tornato protagonista anche grazie ai Murazzi, dove tirar tardi nei locali come Giancarlo uno o mangiare sano nel nuovissimo Porto Urbano. Per assaporare una movida all’insegna della lentezza. In un prossimo futuro, potrebbe arrivare una zattera galleggiante.

Anche a Verona, sulle rive dell’Adige, la percezione del fiume è cambiata: «Durante la pandemia, il parco dell’Adige è stato letteralmente preso d’assalto. Hanno inaugurato un’equivia per promuovere forme di mobilità alternativa e sostenibile, si piantano gli alberi dei Nuovi Nati, si trovano siti di interesse storico, naturalistico e culturale come Villa Buri o l’antico Lazzaretto di Porto San Pancrazio», dice l’assessore all’Ambiente uscente del Comune, Ilaria Segala. «A disposizione di turisti e residenti c’è un museo virtuale che racconta il fiume e, proprio in questa area, si è tenuto il Festival Heroes organizzato dalla cantante Elisa per la salvaguardia del pianeta. Nella stessa direzione si snoda anche il progetto Fiumeggiando che proseguirà per i prossimi due anni e coinvolge famiglie e detenuti in semilibertà del carcere di Montorio».

Si chiama Terzo Giardino ed è un polmone verde sulla riva dell’Arno a Firenze. Vi si arriva dal Lungarno Serristori e, in questi mesi, è protagonista di un progetto collettivo intitolato “Il Respiro dei sogni”. Nella doppia installazione finale, che sarà inaugurata a settembre, il pubblico potrà riascoltare tutti i sogni accompagnati da video dell’artista Jacopo Baboni Schilingi. «Dopo la tragica alluvione del 1966 la vita lungo il fiume era finita. Da alcuni anni il network Riva lavora sul tema della valorizzazione del parco fluviale e sulla memoria popolare», spiega Valentina Gensini, direttore artistico Mad, Murate art district, spazio del Comune di Firenze gestito da Mus.e. in quel complesso che è stato carcere e ancor prima monastero, a monte dell’antico Ponte alle Grazie. «Sviluppato su diecimila metri quadri, il Terzo Giardino è una sorta di giardino all’italiana in negativo che disegna mediante la falciatura i reticolati tipici delle ville medicee. Questo porta a osservare con occhi diversi l’ecosistema della riva dell’Arno dove è ricomparso il gamberetto di fiume mentre la plantago lanceolata insieme alle canne di palude sono state trasposte in una partitura sonora per sottolineare l’interazione umano-vegetale», conclude Gensini. A Roma, le sponde del Tevere fanno da quinte a rassegne culturali (Isola Cinema, Bibliobar), concerti, lezioni di yoga e di padel, gare di canottaggio. «Da cinque anni lavoriamo per riportare i romani sul fiume, collaborando con decine di associazioni», spiega Alberto Acciari, presidente “Tevere Day” che, nell’ultima edizione, ha contato oltre cinquantamila presenze. «È aumentato il numero delle persone che usa la pista ciclabile (10 km da Ponte Milvio e Ponte Marconi, ndr) e molti hanno rispolverato i pattini a rotelle. Se, da un lato, i muraglioni hanno diviso il Tevere dalla città, dall’altro fungono da protezione contro traffico e rumori», conclude Acciari, che conferma l’appuntamento con “Tevere Day” per il 9 ottobre prossimo. Fa rotta sul fiume anche l’iniziativa ideata dalla regista e sociologa Francesca Chialà, battezzata “Festa delle 7 Arti”, che mette insieme danza e pittura, solidarietà e sostenibilità, adulti e bambini. «È necessario riappropriarsi del Tevere, penalizzato da un annoso conflitto di competenze fra Regione e Comune. Se la Senna costituisce Pil per la Francia perché non potrebbe essere lo stesso qui? Magari con i battelli che portano in giro i turisti e integrano le linee della metropolitana. Il Tevere può collegare il centro alla periferia, il Serpentone di Corviale al Teatro Antico di Ostia. TrasformarDA FIRENZE A TORINO, DA PESCARA A ROMA, INIZIATIVE E INTERVENTI PER RIQUALIFICARE GLI ARGINI DEI FIUMI CHE ATTRAVERSANO LE AREE URBANE

Piazza Tevere, area relax lungo la riva del fiume. Sotto: il pub City Barge sul Tamigi

si in luogo di lavoro grazie alle banchine dell’innovazione free wi-fi. Ospitare in alcuni tratti un orto fluviale», sostiene Chialà. Che anticipa una staffetta sportiva di plogging ovvero raccolta di rifiuti mentre si cammina a passo veloce.

Dal lato opposto della Penisola, a Pescara, si tenta di fare pace con l’omonimo fiume che, per decenni, è stato sinonimo di disastro ambientale nel processo Bussi-Montedison. «Qui il corso d’acqua è ampiamente urbanizzato con strade, parcheggi, galene: un canale stretto nel cemento», esordisce Augusto De Sanctis del Forum H2O. «Sarebbe invece auspicabile la realizzazione di un parco naturale urbano eliminando i due lungofiume. Sono tornati cormorani, anatre, aironi, cinerini e spuntano piccoli canneti, pioppi neri e salici bianchi. Il fiume è in stretta connessione con la falda e, avere sopra gli alberi, fa la differenza». Ci sono poi i problemi di tipo economico legati alla storica marineria pescarese: «I pescatori vogliono restare nel fiume perché l’acqua dolce danneggia meno le barche rispetto a quella salata ma, ad oggi, il piano regolatore portuale prevede la darsena a mare. Alla foce del fiume si formerà

una grande barra di sedimenti quindi poco profonda», conclude De Sanctis. Sarà perché sia D’Annunzio che Flaiano sono nati sul Lungofiume, il mondo culturale pescarese con la sua scoppiettante movida ha sempre guardato con interesse al corso cittadino dell’Aterno-Pescara. «Questo fiume è stato sempre divisivo e rappresentava una cesura fra Castellammare Adriatico e Pescara», racconta Daniela Pietranico, curatrice ed esperta di arte contemporanea. «Dove ora sorge un condominio di lusso vicino alla foce del fiume un tempo c’era il cementificio: finiti i turni di lavoro, il parcheggio si trasformava in balera. Lungo le mura del vecchio Bagno Borbonico hanno lasciato tracce famosi street artist fra i quali Ericailcane e Millo». Da oltre vent’anni, l’attore Milo Vallone organizza il festival “Il fiume e la memoria”, la performer Sibilla Panerai con “Attraverso la tendenza” porta danza e video bordo fiume mentre Marcella Russo, operatrice culturale specializzata in arti visive, cura residenze per artisti all’interno del progetto Matta#texture. “Hub Aterno: di pietre e di acque” prevede durante la permanenza dell’artista l’approfondimento della storia del fiume dalla sorgente fino all’area urbana di Pescara e il suo rapporto con il quartiere», sottolinea Russo. Tessere legami e riconnettere le persone con i fiumi. Anche nelle metropoli. Come ha fatto Marinella Senatore, artista campana di caratura internazionale: è in corso una sua mostra alla Battersea Power Station di Londra, ex centrale termoelettrica a carbone sulla riva sud del Tamigi. «L’arte è per me una piattaforma orizzontale sulla quale elementi diversi generano movimento energetico e quindi narrazione condivisa. Immagino le mie opere come contenuti fluidi, concepiti tenendo conto dello specifico ambiente nel quale si sviluppano e basati su un’inclusione potenzialmente infinita degli elementi in gioco. L’acqua come la luce è una costante nel mio lavoro, in particolare quello performativo, perché è energia allo stato puro. Anche nel progetto londinese Afterglow (promosso da Mazzoleni Art, ndr) la struttura del movimento del pubblico ha seguito l’andamento del fiume”, chiosa Senatore. Q ©RIPRODUZIONE RISERVATA SUL MODELLO DELLE GRANDI CITTÀ SI IMMAGINANO PARCHI LINEARI. NELLA CAPITALE SI DISCUTE DEL TEVERE COME RISORSA PER I COLLEGAMENTI

Una lezione in Dad al liceo artistico statale Ripetta, a Roma, durante il periodo di chiusura delle scuole per il Covid-19

GRADUATORIE NON PUBBLICATE, DOCENTI IN ATTESA DELL’ORALE, QUIZ ERRATI. I PRECARI ASPETTANO DI CONOSCERE IL LORO DESTINO E LE CATTEDRE RESTANO VUOTE

DI CHIARA SGRECCIA

idurre il precariato per dare

Rstabilità alla scuola. Nelle intenzioni, era questo l’obiettivo del concorso per reclutare docenti da destinare ai posti comuni e di sostegno della scuola secondaria di I e di II grado, ovvero medie e superiori. Ma gli errori trovati nelle prove scritte, i ritardi nello svolgimento degli orali e le difficoltà nel comporre le commissioni, hanno fatto sì che per alcune classi di concorso non siano ancora state pubblicate le graduatorie. Così, anche chi ha superato i test resta in attesa un altro anno e la continuità didattica per gli studenti passa, ancora una volta, in secondo piano.

«Oltre il danno anche la beffa», spiega Ivan

Corrado trentenne, laureato in Storia e filosofia, che ha partecipato al concorso per la classe A19 in Campania. «Per come stanno adesso le cose, non solo non sarò di ruolo per l’anno 2022/2023 ma neppure ho potuto sciogliere la riserva per essere inserito in prima fascia, tra gli abilitati. Con il risultato che, nonostante abbia superato tutte le prove del concorso, mi ritrovo esattamente come un anno fa: con l’impossibilità di lavorare perché, avendo poca esperienza, sono tra gli ultimi della graduatoria per le supplenze».

Corrado non è l’unico in questa situazione. Ci sono altri insegnanti per i quali il concorso si è trasformato in una mancata occasione a causa di ritardi puramente tecnici che vanificano l’abilitazione conseguita. Secondo il ministero dell’Istruzione, interpellato da L’Espresso, «si tratta di casi marginali, che riguardano poche classi di concorso. Gli aspiranti che

avevano interesse a sciogliere la riserva in prima fascia Gps (Graduatorie provinciali per le supplenze ndr) hanno manifestato le loro necessità e, a quanto ci risulta, questa problematica è stata comunque risolta in tempo». Ma non ci sono dati certi che dimostrino l’effettivo numero di insegnanti rimasti senza una graduatoria a cui fare riferimento, per cui «continua la nebulosa», aggiunge Corrado, amareggiato. «Credo sia irrispettoso far perdere un anno di vita alle persone. Soprattutto visto che aspettavamo il concorso da anni. Mi sono laureato nel 2016, questo è il primo che viene bandito da allora. Ho investito tanto nel preparami. La selezione è stata dura. E adesso, per una colpa che non ho, rimango in panchina a guardare». Secondo quanto raccontano gli insegnanti, sono diverse le ragioni della mancata pubblicazione delle graduatorie. In alcuni casi, come per chi ha partecipato al concorso in Lombardia per la classe AD24 - tedesco come seconda lingua comunitaria nella scuola secondaria di II grado - «le difficoltà sono state nella formazione della commissione: non si trovavano i docenti. Così le prove orali devono ancora iniziare, nonostante gli scritti si siano tenuti ad aprile», racconta uno dei malcapitati che preferisce rimanere anonimo. Per altri, il ritardo è causato dal grande numero di candidati da valutare sia per titoli, sia in base ai punteggi conseguiti durante le prove. C’è poi il gruppo dei riammessi che ha provocato altre lentezze. Si tratta di docenti che hanno avuto accesso all’orale solo dopo che è stato ricalcolato il loro punteggio, visto che il Ministero ha riconosciuto errori nei quesiti della prova scritta. Chiara Sgreccia Per altri ancora la motivazione è sconoGiornalista sciuta. Così è, ad esempio, per i docenti

DOCENTI SUL PIEDE DI GUERRA IN SARDEGNA PER I RITARDI NELLA PUBBLICAZIONE DEGLI ELENCHI DEGLI IDONEI. STRADA SBARRATA ANCHE PER LE SUPPLENZE D’ORO

della classe di concorso A11 - Lettere e latino - in Sardegna. «La classe non è stata oggetto di rivalutazione e le prove, scritte e orali, sono terminate circa un mese fa», lamentano gli aspiranti insegnanti. Che in una lettera a L’Espresso chiedono di conoscere il perché la graduatoria latiti. Non è stato di aiuto lo scambio di email con l’Ufficio scolastico regionale. L’ex provveditorato mette le mani avanti: «Nulla può essergli addebitato in relazione alle procedure concorsuali per le quali non si riuscirà a pubblicare la graduatoria di merito in tempo utile». Perché, come conferma anche il ministero dell’Istruzione, «il concorso e l’aggiornamento delle Gps sono due procedure del tutto indipendenti e non è prevista alcuna consequenzialità temporale dell’una rispetto all’altra».

Ma l’inghippo resta. «Il fatto che alle commissioni non sia stato dato un termine per pubblicare gli elenchi dei docenti che hanno superato il concorso ordinario è parte del problema», ribatte Andrea Degiorgi, rappresentante dei Cobas scuola per la Sardegna: «Perché non c’è alcun raccordo tra le scadenze per le immissioni in ruolo, l’accesso alla prima fascia e la pubblicazione delle graduatorie di merito che ufficializzano chi ha superato il concorso. Questo ha generato ulteriore incoerenza in quanto in base alla regione e alla classe di concorso di appartenenza ci sono docenti che possono far valere l’abilitazione conseguita e altri no». Gli uffici scolastici regionali potrebbero aprire nuove finestre per il reclutamento degli insegnanti ma non c’è alcuna certezza che accada e la decisione avrebbe senso solo se le graduatorie venissero pubblicate entro la fine di agosto.

Degiorgi cita un altro paradosso: mentre per la classe A11 mancano ancora le graduatorie a prove già terminate, per la classe A41 - Scienze e tecnologie informatiche - sono invece pubblicate. I docenti hanno potuto sciogliere le riserve per la prima fascia e potranno partecipare alle immissioni in ruolo 2022/23, sebbene chi è stato ammesso in ritardo all’orale, per via degli errori negli scritti, debba ancora svolgere la prova. «Come faranno a inserirli? È scontato che prendano un punteggio inferiore a quelli che nel frattempo saranno immessi in ruolo?», si chiede Degiorgi.

Il problema discende dal fatto che non tutti coloro i quali hanno superato il concor-

so sono vincitori di cattedra. Alcuni, quelli con il punteggio più basso tra prove e titoli, risultano idonei ma non vincitori. E avendo comunque conseguito l’abilitazione all’insegnamento, potrebbero passare in prima fascia di supplenze. Ma, visto che alcune graduatorie non sono state pubblicate entro lo scorso 20 luglio, termine ultimo per sciogliere le riserve, resteranno un anno in più nella stessa situazione in cui erano prima di fare il concorso.

«Aspettavo quest’occasione da tanto. Il concorso ordinario è stato bandito nel 2020, poi a causa del Covid-19 rimandato fino al 2022. Quando, all’improvviso, è iniziata una vera e propria corsa contro il tempo: ci hanno chiesto di mettere da parte gli impegni familiari e personali, le vacanze, la vita che ci siamo costruiti in questi due anni di attesa, perché l’obiettivo era di concludere le procedure entro l’anno. In modo da avere il nuovo personale in cattedra a settembre. E invece ancora non ci sono le graduatorie. Per me questo concorso era l’evento della vita», racconta Francesca Deleo che ha 45 anni e fa parte della classe A19 in Sicilia.

«C’è stata disparità di trattamento tra i docenti che potranno entrare di ruolo perché hanno avuto le graduatorie in tempo utile e quelli che le aspettano. Ma il problema è più profondo: per alcune classi di concorso non si conosce ancora il calendario degli orali», spiega Silvia Casali dei Cobas scuola di Bologna. «In Emilia-Romagna riguarda gruppi consistenti di insegnanti come quelli della A22: Italiano, storia, geografia, nella scuola secondaria di I grado. Questo fa sì che a settembre saranno i precari, come al solito, a dover coprire le mancate immissioni in ruolo. Il punto è che il bisogno di docenti nella scuola c’è ma manca un piano di reclutamento che tenga conto della realtà dei numeri, delle diverse situazioni da cui arrivano gli insegnanti e dei diritti dei lavoratori che hanno esperienza sul campo».

Per Casali il concorso è partito male e sarà un flop in termini di assunzioni. Da un lato, il metodo scelto per la selezione, quello del test a crocette. «Errori a parte, viene da chiedersi se il sistema non obbedisca più all’obiettivo di falciare una parte dei concorrenti che di assumerli», sostiene Casali. Al 31 luglio 2020, termine ultimo per la presentazione delle domande, per 33 mila posti erano state presentate più di 430 mila domande. C’è poi una questione di merito. A ingrossare i numeri sono anche i docenti già abilitati e in corsa solo per la cattedra, «come nel caso del sostegno: ha partecipato chi aveva già superato il Tfa (il tirocinio formativo attivo, corso universitario finalizzato all’abilitazione all’insegnamento, ndr). Ogni volta sembra che si apra la possibilità di riabilitare la scuola che, invece, alla fine, resiste sempre grazie alle spalle dei precari».

Perché, come aveva scritto sui social l’allora ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, nel 2020, il giorno in cui il Governo aveva trovato uno dei tanti accordi sulle modalità che avrebbero dovuto ridurre il precariato nella scuola, «le scelte che facciamo oggi avranno ripercussioni nei prossimi anni. Abbiamo 78 mila insegnanti da assumere nel primo e secondo ciclo fra concorsi ordinari e concorso straordinario. Fra gli aspiranti anche migliaia di giovani che si preparano da tempo e vogliono avere la loro occasione per cominciare ad insegnare. Sono numeri importanti e dobbiamo fare presto. La scuola ha bisogno di stabilità e programmazione. In passato tutto questo è mancato». E il futuro può ancora attendere. Q

Lezione in presenza al liceo artistico Ripetta di Roma. A sinistra, Patrizio Bianchi, coordinatore del Comitato nazionale degli esperti del Ministero dell’Istruzione per il rilancio della scuola, dopo l’emergenza Covid-19

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