Settimanale di politica cultura economia N. 32 • anno LXVIII • 14 AGOSTO 2022 Domenica 3 euro L’Espresso + La Repubblica In Italia abbinamento obbligatorio alla domenica. Gli altri giorni solo L’Espresso 4 euro POLITICA Letta alle corde si gioca la carta Elly Schlein INCHIESTA Quattro anni dopo il Morandi rischiano i ponti, non le carriere IDEE La voce dei millennial e il corpo dei giovani
14 agosto 2022 3 Altan
SabrinaPisu 76 Diari di guerra graphicnoveldiNoraKrug 80Si apre il fronte dei diritti nell’Ucraina martoriata
AntonioFraschilla 12 Mare bollente RobertoOrlando 18 Mississippi burning LucianaGrosso 22 Per Letta una papessa straniera SusannaTurco 30 Sinistra sconfitta ma con le proprie idee GigiRiva 34 Ecco l’armata Tajani VittorioMalaguttieCarloTecce 36Giorgia oscura il programma LoredanaLipperini 40 Propaganda social GabrieleBartoloni 42 Militanti della paura armati di talk GiandomenicoCrapis 44Sull’ergastolo ostativo serve una legge,non slogan
Idee
Sul corpo dei giovani
colloquioconCarlottaVagnolidiChiaraValerio 90La sposa americana AnildaIbrahimi 96 Factory sul Tevere colloquioconNicoVascellaridiEmanueleCoen 100 Amo la scienza e i superpoteri colloquioconNataliePortmandiValentinaAriete 102Il vetro di Scalfari soffiato con leggerezza LeopoldoFabiani 105
Sommario 30 72 58
Acqua sprecata
Storie
Editoriale
Prima Pagina
EmilioCozzi 72 Il rebus sicurezza nella corsa satellitare colloquioconGiuliaPavesidiG.Capozzoli 74 “Ecco perché Putin è impazzito”
Contro inflazione e sanzioni Usa, il Venezuela si converte ai Bitcoin ChiaraSgreccia 106Rotta su Dacca per la sopravvivenza AngeloLoyeMartinoMazzonis 110Alla riscoperta dell’asino nel borgo che fece da set del Padrino
FilippoRossi 64 Pax cosmica, l’alleanza Usa-Russia
MaurizioDiFazio 114 Rubriche Altan 3 Makkox 8 Serra 29 Pieranni 70 Valli 122 Opinioni COPERTINA diIllustrazioneMauroBiani La parola 7 Taglio alto 15 Bookmarks 104 Ho visto cose 118 #musica 118 Scritti al buio 119 Noi e voi 120 90 Abbonati a SCOPRI L’OFFERTA ILMIOABBONAMENTO.ITSU numero 32 - 14 agosto 2022 14 agosto 2022 5 L’Espresso fa parte in esclusiva per l’Italia del Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi Ricevi la rivista a casa tua per un anno a poco meno di €6,00 al mese (spese di spedizione incluse) Le inchieste e i dibattiti proseguono ogni giorno sul sito e sulle pagine social de L’Espresso. UNISCITI ALLA NOSTRA COMMUNITY lespresso.it @espressonline @espressonline @espressosettimanale 64
Acqua: perduta in Italia, avvelenata negli Usa LirioAbbate 11
JenniferGuerra 84 Spiati, perseguitati digitali AlessandroLongo 86
PietroGrasso 48 Crollano i ponti, non le carriere GianfrancescoTurano 50 Sanità, medico di base cercasi FrancescaSironi 54 Il mondo ha sempre più fame EugenioOccorsio 58Afghanistan abbandonato
consumati, e irrecuperabili. Un tempo di parsimonia coatta può seguire a quello dello sperpero disinvolto; un’età di privazioni può succedere alla stagione di un finto carnevale dell’abbondanza. Ma lo spreco è comunque e sempre un’offesa, come si insegnava a tavola, cominciando dal pane. Il peccato presuntuoso di chi non valuta i limiti, di chi ha per misura del mondo sé stesso. E pretende di vivere un eterno, gretto e dunque cieco presente.
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spreco
La storia delle occasioni sprecate sarebbe un’affascinante, e disperante, controstoria d’Italia. Il racconto di un Paese abituato, verrebbe da dire vocato, allo sperpero. C’è una dimensione oggettiva, concretissima: riguarda non solo le mani sporche ma soprattutto quelle bucate. Decenni di risorse economiche male impiegate, fiumi di denaro investiti in modo avventato, incongruo, criminale; fondi congelati dai lunghi inverni della più imbecille e ottusa burocrazia. Ma c’è anche una dimensione ideale: uno spreco di pensiero e di visione che mai riesce a concretarsi; il professionismo della fumisteria, il trionfo della promessa mai mantenuta, l’abitudine alla deroga, al rinvio, l’appello a un futuro che non arriva mai, ed è sempre qualche anno - una vita - più in là. Lo spreco diventa così dispendio di energie creative, intellettuali, perfino morali. Diventa tempo che si dilapida, obliterato. Il fermo immagine metaforico di un guasto idraulico che nessuno si perita di riparare. E intanto, nell’indifferenza, nell’inerzia, goccia dopo goccia litri d’acqua e di possibilità sono
La parola
PAOLO
DI PAOLO
La verità minacciosa della crisi ambientale è ancora respinta da miliardi di coscienze: la specie umana, anche in forza di una capacità di adattamento (psichico e fisico) impressionante, teme solo ciò che la tocca direttamente. E reagisce solo a quanto ha sotto gli occhi. Salvo una minoranza più avvertita, più sensibile, più preoccupata, che qualcuno direbbe di visionari o di allarmisti: ma che intanto riesce a cogliere, nella distrazione, lo sgocciolio insistente. Quella - si dice per l’appunto così - perdita. Lo spreco ingiustificato della nostra stessa sopravvivenza.
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Acqua: perduta in Italia avvelenata negli Usa
Negli
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stanziamentidecenniultimigliperammodernarelareteidricanazionalesonostatipariazero.Oraarrivanoquattromiliardi,macenevorrebberosessanta.C’èchistapeggio:negliStatiUnitiitubidipiomboprovocanoilcancro
Lirio Abbate Editoriale
N che equivalgono al 20 per cento dell’utilizzo di acqua in Italia. Lo Stato, però, ne ha stanziati quindici volte di meno e di questo passo, secondo Utilitalia, ci vorranno 150 anni per mettere in sicurezza il nostro Paese da una siccità che nel frattempo avanza a grandi passi. I consumi sono fuori controllo e per la mancata depurazione fognaria paghiamo 60 milioni di euro l’anno di sanzioni europee e presto arriverà anche la scure sull’assenza di piani sul reimpiego in industria e agricoltura.
tubi esistenti rimanessero nel terreno. Il problema adesso è che nessuno è sicuro di dove sia tutta questa rete. L’Environmental Protection Agency stima che ci siano tra sei e dieci milioni di linee di servizio in America, ma non pubblica una mappa di dove sono interrate. All’inizio di quest’anno il National Resources Defense Council, un ente di beneficenza ambientale, ha chiesto agli stati di fornire stime per i loro tubi di piombo. Solo dieci stati e il Distretto di Columbia sono stati in grado di fornire stime complete. Altri 23 stati hanno affermato di non aver tracciato il numero di tubi di piombo. La gente del Michigan conosce i pericoli. Nel 2014 la città di Flint ha subito un disastro per la salute pubblica dopo che il suo governo municipale ha iniziato a estrarre acqua dal fiume Flint, che era contaminato da piombo, avvelenando la gente del posto e i bambini. Più recentemente l’attenzione si è rivolta a Benton Harbor, a sole tre ore da Flint, dove l’acqua ha superato i limiti federali di piombo. Emerge che i luoghi in cui i redditi sono più bassi sono spesso i più colpiti dal piombo. Uno studio della rivista Jama Pediatrics, ha scoperto che i bambini nelle aree povere avevano una probabilità 2,5 volte maggiore di avere tumori rispetto a quelli nelle aree più ricche. Il disegno di legge bipartisan sulle infrastrutture, firmato in legge dal presidente Joe Biden il 5 novembre, stanzia 15 miliardi di dollari per la sostituzione dei tubi di piombo. E un altro disegno di legge potrebbe fornire quasi dieci miliardi di dollari in più, per la sostituzione dei tubi e le tattiche di mitigazione come i filtri destinati alle scuole. Ma il Paese ha ancora molta strada da fare. Anche una stima precedente della Casa Bianca calcola che la sostituzione di tutte le linee di servizio principali nel Paese costerebbe 45 miliardi di dollari. E il compito sarà ancora più difficile se gli Stati non sapranno nemmeno dove cercare.
Sull’acqua e la sua gestione, non so chi stia peggio fra i paesi occidentali.
Negli Stati Uniti uno slogan di qualche decennio fa recitava: «il piombo è forte, malleabile e non perde». In America e in altri luoghi, il piombo era considerato come un materiale pregiato con cui fabbricare tubi per portare l’acqua nelle case. Sfortunatamente, il piombo è anche altamente tossico e può penetrare nell’acqua mentre si corrode. Alti livelli di piombo causano problemi di salute: malattie cardiache, danni cerebrali, tumori. È particolarmente pericoloso per i bambini. Già negli anni Venti del secolo scorso molte città e stati americani limitavano o vietavano l’uso del piombo nei tubi. Ma il governo federale non ha vietato completamente l’installazione di nuovi tubi di piombo fino al 1986. Anche allora ha consentito che i
egli ultimi vent’anni per far fronte alla crisi idrica, alle perdite delle condotte, al risanamento delle reti, e a nuovi progetti, lo Stato ha fatto un buco nell’acqua. Ogni governo in passato ne ha parlato, ha lanciato idee, ma alla fine se ne è dimenticato, e così se si scorrono i bilanci degli ultimi vent’anni alla voce acqua e conduzioni idriche la cifra stanziata è pari a zero. Un buco nell’acqua. Adesso arrivano 4,3 miliardi di euro dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per tutto il comparto, dalle reti idriche alla depurazione passando per la manutenzione degli invasi (gli ultimi realizzati sessant’anni fa). Un rapporto dettagliato di Antonio Fraschilla sugli sprechi lo leggete nelle pagine seguenti e svela che servirebbero 60 miliardi di euro per ammodernare le reti, secondo i piani presentati dagli Ambiti territoriali ottimali, solo per le conduzioni per uso civile
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RETI COLABRODO, POZZI NON CENSITI, RIUSO AL SULRAPPORTOINESISTENTILUMICINO, CONTROLLI ETARIFFEBALLERINE.SUVENT’ANNIDIINERZIAFRONTEDELL’EMERGENZA ACQUA SPRECATA DI ANTONIO FRASCHILLA Crisi idrica / Gli investimenti L’illustrazione di questa doppia pagina è stata realizzata interamente con l’Intelligenza Artificiale. Il software utilizzato è Midjourney. Si ringrazia Emiliano Ponzi 12 14 agosto 2022
Prima Pagina 14 agosto 2022 13
Crisi idrica / Gli investimenti
o Stato si è dimenticato dell’acqua e lo ha fatto negli ultimi venti anni. Anche durate il governo Draghi e quando ormai era evidente che la crisi climatica avrebbe coinvolto pesantemente il Paese, come denunciato da moltissimi esperti e scienziati. Basta un numero per spiegare bene perché lo Stato si è dimenticato dell’acqua: se si scorrono i bilanci degli ultimi venti anni alla voce acqua e conduzioni idriche la cifra stanziata è pari a zero. Sì, zero. Adesso arrivano 4,3 miliardi dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per tutto il comparto, dalle reti idriche alla depurazione passando per la manutenzione degli invasi (gli ultimi realizzati sessant’anni fa). Sapete quanto servirebbe per ammodernare le reti, secondo i piani presentati dagli Ambiti ottimali solo per le conduzioni per uso civile che equivalgono al 20 per cento dell’utilizzo di acqua in Italia? Sessanta miliardi di euro. Lo Stato ne
il rischio è già elevato per un livello di riscaldamento globale di 1,5 gradi e diventa molto alto nel caso di un innalzamento di 3 gradi. In queste regioni, la domanda di risorse idriche eccede già oggi le disponibilità. Questo divario sta aumentando a causa dei cambiamenti climatici e degli sviluppi socio-economici. Nel caso di un innalzamento di temperatura di 3 gradi il rischio di scarsità di risorse idriche diventa alto anche nell’Europa centro-occidentale. Nel caso di un livello di riscaldamento elevato, è richiesto un ampio portafoglio di interventi che tuttavia potrebbe non essere sufficiente a evitare la mancanza di adeguate risorse idriche nell’Europa meridionale».
ha stanziati quindici volte di meno e di questo passo, secondo Utilitalia, ci vorranno 150 anni per mettere in sicurezza l’Italia da una siccità che nel frattempo avanza a grandi passi. Un paradosso che dimostra come chi ha governato, partiti di tutti gli schieramenti, sull’acqua non abbia fatto nulla. Ma proprio nulla.
I NUMERI DEL DISASTRO
A questo scenario il Paese si presenta nel caos gestionale, con intere province che non hanno nemmeno un ente gestore e, come vedremo, restano fuori perfino dal Pnrr, ma anche con le reti colabrodo: per uso civile con perdite intorno al 40 per cento e per uso agricolo e industriale con perdite indefinite e nemmeno ben quantificate vista l’assenza totale di controlli. Basti pensare che dopo l’abolizione delle Province in molte Regioni non c’è più nemmeno l’uffi-
Così il Paese si presenta impreparato nel pieno di una grande siccità che nessuno sa quanto durerà e se è solo l’inizio di una nuova era. Secondo l’Istituto intergovernativo sul cambiamento climatico, nell’ultimo report appena consegnato anche a Palazzo Chigi, alla voce «rischi di scarsità di risorse idriche», si legge: «Nell’Europa meridionale
L FraschillaAntonio Giornalista PER AMMODERNARE LE CONDUTTURE PER USO CIVILE OCCORREREBBERO 60 MILIARDI, IL TOTALE DEI FONDI DEL PNRR È 4,3 MILIARDI. ATTUALMENTE IL 40 PER CENTO DELLE RISORSE SI PERDE 14 14 agosto 2022
(2)FotogrammaContrasto,Magnum/-GruyaertH.Foto: 14 agosto 2022 15
ACQUEDOTTO L’acquedotto di Laterza, Taranto. A destra, in alto, Metaponto, Matera e, in basso, un impianto di irrigazione a pioggia a San Daniele Po, in provincia di Cremona
Prima Pagina
TAGLIO ALTO MAURO BIANI
cio che dava le autorizzazioni all’utilizzo dei pozzi e li censiva. L’Italia quindi è il Paese in Europa con la più alta dispersione idrica per uso civile, agricolo e industriale e dopo essere stata condannata a pagare 60 milioni di euro all’anno (165 mila euro al giorno) perché non depura l’acqua di fogna che va nei fiumi e nel tanto decantato mare del Belpaese, a breve ne riceverà un’altra di
condanna perché non riutilizza l’acqua da depurazione e da altri usi agricoli e industriali. «Questo è il risultato di vent’anni di abbandono assoluto del settore e di una sorta di grande privatizzazione con la creazione degli Ambiti ottimali e le famose tariffe che dovrebbero coprire tutto, anche la manutenzione delle reti», dice Erasmo D’Angelis, segretario generale dell’Auto-
per cento a 70 anni fa: «Ci sarebbero immediatamente da sostituire 220 mila chilometri di reti e dovremmo crearne 50 mila di nuove subito per avvicinarci un minimo alla media di dispersione europea che è pari al 15 per cento», continua D’Angelis. Non va meglio sul fronte della capacità di immagazzinare l’acqua: nel 1970 l’Italia riusciva a conservare il 14 per cento dell’acqua da pioggia, oggi ne raccoglie appena l’11 per cento perché non si realizzano più dighe e invasi e quelli già costruiti prima degli anni Settanta ormai sono vecchi. I consorzi e i vari enti gestori, Regioni comprese, hanno già pronti progetti per invasi per una spesa di 223 milioni di euro: ma lo Stato in cassa non ha mai messo un euro su questo settore.
Crisi idrica / Gli investimenti
rità di bacino centro Italia ed ex responsabile della Struttura di missione creata dal governo Renzi e poi smantellata dal governo gialloverde di Giuseppe Conte e MatteoDopoSalvini.l’introduzione della legge Galli, che ha portato alla creazione degli Ambiti ottimali (dovevano essere 92 e affidare il servizio ai privati, dopo trent’anni ne sono attivi molti di meno), tutta la spesa per investimenti nelle grandi infrastrutture è stata demandata alla tariffa: cioè, nella bolletta dell’acqua che cittadini e aziende pagano dovrebbe essere già conteggiata la parte per investimenti. Ma, innanzitutto, l’Italia è l’unico Paese in Europa che non ha una tariffa media di riferimento, ma fin dall’inizio sono state create 92 diverse tariffe. Solo per fare degli esempi: perché la spesa per abitante per l’acqua è pari a 34 euro all’anno in Italia, in Sicilia scende a 8 euro e la media Ue è di 120 euro? E, ancora, perché se in media una famiglia europea paga 800 euro (in Olanda 900, in Inghilterra 800, in Germania 700), in Italia si pagano 550 euro? La risposta è semplice: perché dell’acqua al nostro Paese non è mai interessato nulla. Il risultato è il seguente: su 550 mila chilometri di tubazioni idriche, il 60 per cento risale a 30 anni fa, il 25
4,3 60 550 245 Soldi stanziati nel Pnrr per il sistema idrico: Soldi per ammodernare le reti e gli invasi Chilometri di reti idriche nel Paese Consumo di acqua pro-capite in Italia. In Europa 145 litri MILIARDI DI EURO MILIARDI DI EURO MILA 34 Costo medio per i cittadini dell’acqua in Italia. In Europa 120 euro all’annoEUROLITRI 16 14 agosto 2022
CONSUMI FUORI CONTROLLO
Altro tema chiave, proprio nel bel mezzo della grande siccità del 2022, è quello dei consumi. In Italia non c’è alcun controllo né sull’utilizzo per abitazioni né su quello per attività produttive. Per uso civile in Italia si consumano 245 litri di acqua pro-capite, 100 litri in più rispetto alla media dell’Unione europea. Ma questo dato riguarda soltanto l’uso civile, che complessivamente vale appena il 20 per cento del prelievo di
Prima Pagina AgfFotogramma,/GrandisDeS.AGF,/PortoLoG.Foto:
L’OCCASIONE PERDUTA DEL PNRR
acqua da fiumi e invasi. Il restante 80 per cento è senza alcun controllo: il settore agricolo, che da solo pesa per il 53 per cento dei prelievi, non ha, come detto, nemmeno un chiaro censimento dei pozzi e dei punti di approvvigionamento: il risultato, con dati presi a spanne, è che su circa 16 milioni di metri cubi di acqua prelevata per uso agricolo, ne vengono poi effettivamente impiegati nei campi 12 milioni. Non va meglio sul fronte industriale, che vale il 21 per cento dei prelievi. Qui «non esistono nemmeno norme per obbligare le aziende ad impiantare sistemi di recupero delle acque sia da falda sia da pioggia, e ricordo a tutti i nostri governanti che l’Italia ha le piogge più abbondanti d’Europa, anche se può sorprendere, ma è così», dice D’Angelis. Infine l’Italia getta in mare 9 miliardi di metri cubi di acqua da depurazione, un’altra follia in tempi di siccità: in diverse realtà europee questa acqua, filtrata, viene riutilizzata perfino per uso civile.
I governi degli ultimi venti anni non hanno investito un solo euro nel settore idrico, il presidente del Consiglio Mario Draghi proprio nelle comunicazioni sulle sue dimissioni in Parlamento ha ribadito la ne-
cessità di invertire la rotta e sottolineato che nel Pnrr sono stati previsti 4,3 miliardi di euro per il comparto: nel dettaglio, 2 miliardi per infrastrutture, 900 milioni per riduzione perdite nelle reti, 880 milioni per migliorare l’utilizzo in agricoltura e 600 milioni per fognature e depurazione. Cifre assolutamente insufficienti, non solo all’interno del Pnrr (valgono meno del 2 per cento dell’intero piano, a dimostrazione dell’attenzione sul settore), ma anche in termini assoluti. Sono una goccia nel mare necessario a far avvicinare l’Italia al resto dell’Unione e ad affrontare gli anni futuri che si annunciano tremendi. Ma c’è di più, ed è qui la beffa. Neanche a dirlo è al Sud che la situazione comunque è peggiore: ad eccezione della Puglia, tra Sicilia, Calabria e Campania si arriva anche a punte del 60 per cento di dispersione dell’acqua per uso civile, mentre sul fronte agricolo c’è il caos assoluto. E proprio i Comuni e gli enti locali del Mezzogiorno non riescono nemmeno a partecipare ai bandi del Pnrr. Il
motivo? Non solo perché non hanno progetti adeguati (la Sicilia ha perso così il treno da 350 milioni di euro del Pnrr per i suoi consorzi di bonifica), ma molte province non hanno nemmeno l’Ato idrico affidato a norma di legge e costituito. «Il paradosso è che il mio Comune, Erice, è in infrazione europea per la mancata depurazione, ma non possiamo partecipare al bando per i fondi della depurazione del Pnrr perché in provincia di Trapani (e anche in quelle di Siracusa e Messina, ndr) non esiste l’Ato idrico. Ma ci rendiamo conto?», dice con un tono quasi disperato Orazio Amenta, responsabile progetti Ue di Erice e anche della Provincia di Palermo. Scene da un Paese che si è dimenticato completamente di un bene prezioso, forse il più prezioso.
Q ©RIPRODUZIONE RISERVATA 4 9 Acqua sprecata per uso agricolo ogni ano Acqua da depurazione gettata in fiumi e nel mare e non riutilizzata MILIONI DI METRI CUBI MILIONI DI METRI CUBI PER LA MANCATA DEPURAZIONE FOGNARIA PAGHIAMO 60 MILIONI L’ANNO DI SANZIONI EUROPEE. PRESTO LA SCURE SULL’ASSENZA DI PIANI SUL REIMPIEGO IN INDUSTRIA E AGRICOLTURA CONDUTTURE Erasmo D'Angelis. In alto, un TarantoSinnipotabilizzazionel’impiantomilanese.nell’acquedottocantiereAsinistra,didelcheserve Barie 14 agosto 2022 17
Non va meglio nel resto del Mediterraneo, come dimostrano i rilevamenti del sistema satellitare Medfs, gestito dalla Fondazione centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc), nata nel 2005 con il suppor-
SEGNA
OrlandoRoberto Giornalista
MARE BOLLENTE
CON UNA
TEMPERATURE RECORD NEL MEDITERRANEO PUNTA DI 29 GRADI. RISPETTO AL PICCO DEL 2003, IL TERMOMETRO CINQUE PUNTI IN PIÙ. E IL LIVELLO 20 CENTIMETRI IN 138 ANNI
l tracciato pare quello di un elettrocardiogramma che sembra molto regolare, se non fosse che i picchi sono sempre un po’ più alti. Il grafico si compone instancabilmente dal 1910 dentro una casupola con le inferriate alle finestre, costruita sul ciglio di un molo del Porto Antico di Genova che verso la fine del secolo scorso è diventato un quartiere residenziale con posto barca sotto casa. Vista da qui, da Ponte Morosini, Genova sembra una minuscola Venezia con i suoi canali stretti. Proprio su uno di questi, tra il dehors di un bar e le vetrine di un parrucchiere si affaccia la piccola costruzione che da qualche anno è anche meta turistica segnalata con tanto di cartelli didascalici. Perché questo è il luogo in cui si custodiva la pietra miliare dell’altitudine. Quella che a partire dal 1954 servì a indicare
DI CALDO EUROPEO
È CRESCIUTO DI
18 14 agosto 2022 Crisi idrica / Il clima
DI ROBERTO ORLANDO
per convenzione il “livello zero” da cui misurare con buona approssimazione l’altezza di montagne, colline e altri rilievi naturali dell’Italia continentale. La prima misurazione, eseguita su un altro molo non distante da qui dall’Istituto idrografico della Marina tuttora titolare dei rilevamenti, risale addirittura al 1884, quando un mareografo in ottone di tipo Thomson cominciò a registrare meccanicamente con galleggiante, pennino e rulli di carta bianca, le variazioni del livello del mare.
Lo stesso mare che quest’estate ha toccato una temperatura senza precedenti da queste parti: 29 gradi, registrati il 13 luglio scorso dai termometri sistemati dall’Arpal ligure a Punta Chiappa, tra Camogli e Portofino. Temperatura forse piacevole per il bagno, ma disastrosa in prospettiva per l’andamento climatico.
I
Il primo dato da prendere in considerazione è il livello medio: dal giorno della misurazione di 138 anni fa a oggi è aumentato di oltre 20 centimetri, secondo i rilevamenti storici genovesi.
Un uomo in sella alla sua bicicletta lungo un tratto allagato della pista duranteSausalito/MillciclabileValleyil"KingTide" a Mill Valley, in California
Per tornare dai monti al mare, l’altro elemento da tenere in considerazione è la nuova tendenza. Dal 2010 le misurazioni idrografiche ufficiali sono cambiate radicalmente e il vecchio mareografo di Genova - prima af-
In sostanza, ragionando per assurdo, se oggi si utilizzassero gli stessi strumenti e lo stesso metodo di calcolo la vetta del Monte Bianco non sarebbe più a 4.810 meri di altitudine come ci insegnavano a scuola un bel po’ di anni fa, ma a 4.809,80. Certo, sarebbe comunque sbagliato perché lo spessore della calotta ghiacciata in vetta è mutevole come le maree del Mediterraneo, ma anche perché secondo l’ultima misurazione ufficiale eseguita nel 2017 con un complesso sistema di rilevamento satellitare il Bianco risulta alto 4.807,81 metri.
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Il primo effetto del surriscaldamento del mare è inevitabilmente l’aumento del suo livello, sia per effetto della dilatazione dell’acqua sia per lo scioglimento dei ghiacci. Fenomeni ormai drammaticamente dimostrati e che procedono con un ritmo di crescita mai registrato prima.
14 agosto 2022 19 ImagesEDELSON-AFP/GettyJ.Foto:
to finanziario del ministero dell’Istruzione e di quello dell’Ambiente: il Mare Nostrum è bollente un po’ ovunque: si avvicina ai 28 gradi in Toscana, a Napoli, nella costa settentrionale della Sicilia, nel nord dell’Adriatico. La rappresentazione grafica della situazione, a tinte di fuoco e liberamente consultabile sul sito del Medfs, è davvero inquietante. La Fondazione aveva peraltro già segnalato che questo sarebbe stato un anno speciale per il mare, proprio come nel 2003, l’anno del caldo record in tutta Europa: nel giugno scorso infatti sia nel Mar Ligure che nel Golfo di Taranto le temperature dell’acqua erano superiori di cinque gradi rispetto ai circa 23 mediamente accertati in quel periodo dell’anno.
Dato confermato da Fabrizio Antonioli, ricercatore del Cnr che da molti anni studia il livello del mare e che, tra l’altro, è autore con Thalassia Giaccone, geologa e subacquea, di un docufilm di successo dedicato ai rischi dell’innalzamento delle acque dal titolo quasi profetico: “2100”.
20 14 agosto 2022
LE MISURAZIONI IDROGRAFICHE AFFIDATE AL MAREOGRAFO DI GENOVA SONO ORA GESTITE DALLA RETE DELLE 36 STAZIONI DELL’ISPRA CHE FORNISCE LA MAPPA DEI CAMBIAMENTI AMBIENTALI
tutti gli altri, danno una certezza: negli ultimi 100 anni il mare si è sollevato di 13,5 centimetri. Il divario è maggiore a Venezia dove invece nello stesso periodo temporale il livello è salito di 24 centimetri perché in Laguna l’acqua sale e contemporaneamente la città sprofonda», spiega il professore Antonioli.
Crisi idrica / Il clima
Ma se i 20 centimetri di dislivello rilevati in 138 anni a Genova possono sembrare pochi, è la prospettiva che deve preoccupare. La Nasa, utilizzando i dati dell’Ippc (istituzione del’Onu per la valutazione della scienza relativa ai cambiamenti climatici) ha messo in rete una sorta di Google Maps delle zone a rischio inondazione. Basta cliccare sul pallino di una qualunque città costiera nel mondo per scoprire di quanto si potrebbe alzare il livello del mare da qui al 2100, cioè tra 78 anni, che a ben pensarci non sono poi così tanti. Ecco, cliccando per esempio su Genova, Napoli e Palermo si può vedere che, salvo ravvedimenti da parte dell’umanità, il mare sarà 61 centimetri sopra la quota attuale, a Trieste 58, a
Strade allagate a in Bangladesh.Chittagong A destra, acqua alta a Venezia
fiancato da altri strumenti e poi, nel 2012, sostituito da un’apparecchiatura digitalenon segna più il “livello zero” da cui calcolare ufficialmente tutto ciò che va verso l’alto nella Penisola. I rilevamenti sono affidati a una rete di 36 stazioni uniformemente distribuite lungo le coste italiane che si avvale di sensori radar di precisione millimetrica e di altri sistemi sofisticati. La rete fa capo all’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca Ambientale, ente pubblico che dipende dal ministero della Transizione Ecologica. L’istituto ha un ruolo molto importante nella valutazione dei cambiamenti climatici: elabora annualmente e rende disponibili le statistiche e gli indicatori del clima italiano; stima le tendenze delle emissioni di gas serra in funzione delle politiche in atto oppure soltanto previste; tiene l’inventario delle emissioni per verificare il rispetto degli impegni che l’Italia ha preso a livello internazionale.
E sul sito web dell’Istituto tutti possono intuire a colpo d’occhio, grazie a grafici e istogrammi aggiornati quasi in tempo reale, che nel volgere di una decina d’anni la tendenza è cambiata molto rapidamente, confermando le diverse analisi della più lunga serie storica di rilevamenti disponibile in Italia, quella genovese appunto. In base a uno studio firmato da Maurizio Demarte e pubblicato dall’Istituto idrografico della Marina, l’aumento del livello medio del mare tra il 1884 e il 2006 era stato di 1,1 millimetri l’anno. L’esame dei dati raccolti sempre a Ponte Morosini dal 1999 al 2015 ha invece evidenziato che il valore tendenziale è quasi triplicato, ossia 3,2 millimetri l’anno.
«Sì, la tendenza è quella a livello globale ma nel Mediterraneo è leggermente inferiore perché per nostra fortuna il mare ha una forte evapotraspirazione e i fiumi, soprattutto il Nilo dopo gli anni Sessanta, apportano una quantità d’acqua minore. Quindi ora c’è una sorta di scalino a Gibilterra, dove il Mediterraneo risulta di 15-20 cm più basso dell’Oceano Atlantico. A livello locale vuol dire poco. Però i mareografi di Genova e Marsiglia, in funzione da un periodo di tempo più lungo di
Q ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Antonioli: «In pratica le altezze delle strutture portuali dal pelo dell’acqua calcolate dagli ingegneri progettisti dovevano essere aumentate di 2 e in alcuni casi addirittura di 3 metri. Per i calcoli abbiamo tenuto conto anche di situazioni di ulteriore rischio in momenti particolarmente sfortunati, come il devastante evento meteorologico che nel 2018 ha distrutto il porto di Rapallo. Lì si era verificato un concorso di cause: bassa pressione, quindi il mare un po’ più alto, e poi vento forte da Sud che aumentava la potenza del moto ondoso». Evento estremo, certo, ma ormai sempre più probabile.
«Lo studio riguarda una ventina di località italiane dove la pianura costiera si trova già appena un metro sopra il livello del mare o addirittura sotto di 0,5. Le nostre proiezioni, che partivano dai dati di Ippc leggermente rivalutati per il Mediterraneo e dai movimenti della Terra, ipotizzano per queste le località prese in esame uno scenario da qui al 2100, in assenza di interventi come la co-
ONDATE DI CALORE MARINO MEDITERRANEONEL
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Prima
La mappa indica la superficialetemperaturadel mare per il 25 giugno 2022. L’anomalia è la differenza tra le temperature previste e quelle medie (cioè, il rosso indica una temperatura più calda del normale). Il contorno rosso scuro evidenzia il punto in cui è stata superata la soglia Mhw (ondata di calore marino) per quel giorno -6-4-20246
14 agosto 2022 21 ImagesGetty/Pattaro/AFPA.Images,Getty/Asad/NurPhotoFoto:
Lo stesso studio era stato rielaborato nel 2019 a uso di Confcommercio che dall’Enea voleva sapere come progettare una serie di porti che fossero sicuri almeno per i successivi 50 Raccontaanni.
struzione di dighe o di centrali che aspirano l’acqua, peraltro molto costose. Per dirla in breve, secondo il nostro studio gli incrementi del livello del mare potrebbero essere in queste zone tra gli 80 e i 130 centimetri. Gli effetti? Per esempio, nelle saline di Marsala le acque salirebbero di 1 metro e 3 centimetri, cioè quel luogo non sarebbe più una laguna, ma sarebbe mare aperto e avremmo perso definitivamente una delle zone di biodiversità più importanti del Mediterraneo», spiega Antonioli, che all’epoca faceva parte del gruppo di ricerca dell’Enea .
Cagliari 68. Chi è facilmente impressionabile eviti invece di cercare le proiezioni per il 2150: perché, tanto per citare il caso più spaventoso, si prevede che il livello dell’Adriatico a Venezia possa crescere addirittura di quasi due metri (1,94 per l’esattezza). È vero che il Mose è progettato per arginare maree fino a 3 metri, ma ammesso che esisterà ancora tra 78 anni, le sue barriere dovrebbero restare sempre alzate. Calcoli scientifici inquietanti che confermano peraltro le proiezioni elaborate nel 2017 dall’Enea (ente pubblico di ricerca per le nuove tecnologie e lo sviluppo sostenibile), in collaborazione con 10 università.
uesta è la storia di un Pnrr finito male. Questa è la storia di quel che succede quando la piccola politica affonda le migliori speranze. Questa è la storia di quando, pur avendo un sacco di soldi a disposizione, non si hanno né progetti né progettualità, né visione né ambizione. Questa è la storia di come una pioggia di milioni, destinata a dare nuova linfa vitale e nuova vita all’economia di un’area devastata da un disastro ambientale, è stata usata come se fosse una mancia per spesucce e progettini da niente. Questa è la storia di come invece di investire sul futuro, si è rincorso per il presente.
Luciana Grosso Giornalista
stro ambientale della storia, nella stessa categoria di catastrofi come quella di Bophal e Chernobyl. L’avvio di quel disastro ebbe l’aspetto, anche scenico, di una piaga biblica: mentre la piattaforma Deepwater Horizon, un gigante di 100 metri per 80, attivo nel Golfo del Messico, stava lavorando alla perforazione del Macondo Prospect (in termini volgari, un prospetto è una specie di sacca nella crosta terrestre dove si accumulano gli idrocarburi) ci fu un’esplosione: un enorme pennacchio di gas fango e acqua schizzò fuori dal pozzo di perforazione innescando un gi-
Questa, insomma, è la storia di come i fondi messi a disposizione da British Petroleum in forma di risarcimento e sanzioni per il disastro della piattaforma Deepwater Horizon, in realtà non stanno venendo gestiti, almeno dallo Stato del Mississippi, per quello per cui erano stati concepiti, ossia ridare slancio all’economia dell’area, ma solo per finanziare l’agenda contingente e immediata del governo locale.
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Per capire cos’è successo occorre riportare il nastro indietro veloce fino al 20 aprile del 2010, giorno in cui iniziò quello che è considerato forse il più grande disa-
MISSISSIPPI
Crisi idrica / L’inquinamento
DODICI ANNI FA IL DISASTRO DELLA DEEPWATER HORIZON: DUE GIORNI DI FUOCO E 800 MILIONI DI LITRI DI PETROLIO IN MARE. TRE STATI IN GINOCCHIO NONOSTANTE I RISARCIMENTI
22 14 agosto 2022
DI LUCIANA GROSSO
Contrasto/Widmer/ReduxW.Foto:
Quell’anno, 5 anni dopo il disastro, Bp, arrivò a un accordo con il Governo degli Stati Uniti in base al quale era tenuta a pagare 18,7 miliardi di dollari in sanzioni e risarcimenti (più altri 43,8 miliardi per sanzioni penali e civili e per i costi di pulizia), buona parte di questi soldi, poi sarebbero stati destinati ai singoli Stati affacciati sul Golfo (Louisiana, Alabama, Mississippi, Florida e Texas) che più e peggio di tutti avevano patito i danni di Deepwater Horizon.
RISANAMENTO
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Solo che, anche se ormai era chiuso, quell’enorme “buco nel tubo” aveva fatto danni enormi: in meno di tre mesi, finirono in mare più o meno 800 milioni di litri di Lepetrolio.ricadute di quel disastro sono impossibili da quantificare, e non sono solo ambientali. Quell’enorme falla, infatti, ha di fatto capitozzato l’economia della zona, che, specie per gli Stati più poveri tra quelli affacciati sul Golfo (Louisiana, Alabama e Mississippi) fondamentalmente si reggeva su pesca e turismo, così centinaia di migliaia di persone hanno perso il lavoro e di conseguenza la casa, le abitudini, la possibilità di mandare i figli all’università o di avere cure mediche decenti, cosa che, come è facile intuire si è ripercossa sul loro equilibrio psicologico e sulla condizione sociale dell’intera regione.
BURNING
gantesco incendio. Undici persone morirono subito; diciassette rimasero ferite; nel cielo si disegnò una enorme sagoma di fumo e fuoco visibile da 60 chilometri di distanza. Dopo due giorni di incendio impossibile da estinguere, la piattaforma collassò su se stessa, arsa dalle fiamme, e affondò in mare. Da uno dei suoi condotti iniziò a sgorgare greggio. Migliaia di litri, senza sosta, notte e giorno, in continuazione, ogni giorno, per 89 giorni. Fino a luglio, quando, in qualche modo, si riuscì a fermare quel fiume nero che sfociava nel mare.
La raffineria di petrolio Phillips 66 sulla riva del fiume risanamentoaLouisianavicino,dinella parrocchiaMississippiPlaquemines,areadellainteressataunprogrammadi
14 agosto 2022 23
Prima
Secondo una ricerca dell’università della Florida, solo per quel che riguarda il settore pesca, il petrolio uscito da quel tubo si è portato via, tra il 2010 e il 2020, circa 25.000 posti di lavoro, 2,3 miliardi di dollari di produzione industriale e 700 milioni di reddito da lavoro. Stesso discorso vale con l’economia del turismo e, a cascata, su tutto il resto, dai mille rivoli dell’indotto al settore dei servizi, da quello dell’edilizia fino a quello, inevitabilmente fermato, delle estrazioni petrolifere.
Ma questo è solo l’inizio della storia. Per sapere come va avanti occorre prendere il nostro ipotetico nastro, schiacciare sul tasto avanti veloce, e arrivare fino al 2015.
Bene. Adesso ancora avanti veloce ancora, fino a Oggi,oggi.come sempre in America, la gestione di quei fondi è lasciata all’autonomia dagli Stati che, da soli, ognuno con la sua procedura, decidono con quali priorità investirli, su cosa puntare, dove metterli, quali progetti approvare. Alcuni Stati, come la Florida o l’Alabama, lo fanno meglio. Altri, come il Texas, sono così ricchi da farlo come fanno tutto il resto; altri ancora, come il Mississippi (cui sono stati destinati, da qui al 2031, 750 milioni di dollari per danni economici e 1,3 miliardi di dollari per progetti di ripristino ambientali), lo fanno malissimo.
Prima Pagina
«Molti dei progetti che hanno ricevuto sovvenzioni sono il genere di cose che vedresti in un bilancio del governo locale: 2,1 milioni per un argine per proteggere 200 case in una suddivisione di Gulfport; 500 mila dollari per migliorare una carreggiata fatiscente nella contea di George; 1,9 milioni di dollari per il Friendship Park a Picayune. Diversi legislatori hanno riconosciuto che non esiste un piano generale che guidi le loro decisioni. Hanno detto che distribuiscono denaro nei loro distretti e si rivolgono al fondo quando non riescono a trovare denaro altrove.
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In una recente inchiesta di ProPublica, il giornale premio Pulitzer, si mette in luce come il governo repubblicano del Mississippi di fatto, con questi soldi, non stia facendo altro che spese di cortissimo respiro, trascurando i progetti a lunga scadenza, quelli che dovrebbero e potrebbero ristrutturare il modello economico delle zone più depresse dello Stato.
«I legislatori mettono nelle proprie mani il potere di spendere i soldi e li distribuiscono senza un piano generale. Stanno usando il denaro per colmare le lacune nei budget del governo locale e finanziare progetti con pochi parametri di successo. Hanno ignorato il contributo di un comitato consultivo composto da leader aziendali locali, un comitato che i legislatori hanno creato per delineare come dovrebbero essere spesi i soldi», scrive ProPublica.Irisultati di questo approccio ai piani di spesa è, dunque, assolutamente conseguente: se investi in progetti di ampio respiro, avrai effetti di ampio respiro e durevoli; se investi in progetti di corto respiro, avrai effetti di corto respiro ed effimeri.
ImagesGetty(2),Contrasto/Welch/ReduxN.Foto:
Crisi idrica L’inquinamento
O meglio: lo fanno per lo scopo sbagliato.
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L’idea era quella di usare i soldi di Bp per finanziare il Restore Act (Restore è acronimo di Resources and ecosystems sustainability, tourist opportunities and revived economies) un piano approvato dal Congresso nel 2012 con l’intento di avviare, proprio nelle aree più colpite dal petrolio di Bp, e per tanto destinatarie della pioggia di soldi dei risarcimenti, una serie di progetti a medio lungo termine che potessero trasformare l’economia della costa del Golfo, riconvertirla, attrarre nuove industrie, creare posti di lavoro e aumentare i salari.
Senza un piano per guidare le loro azioni, i legislatori hanno risposto a richieste come quella che proveniva dal capo del sistema sanitario della contea di George. Greg Havard, Ceo del George regional health system, si è rivolto direttamente ai legislatori per assicurarsi una sovvenzione di 1 milione di dollari per espandere la sua caffetteria. In cambio, l’ospedale ha garantito di creare quattro posti di lavoro», continua Pro Publica.
Anche perché anche negli altri Stati ci sono le elezioni ogni due anni, e anche negli altri Stati i deputati locali sono in costante affanno. La realtà è che c’è anche altro.
A quel che risulta, solo parte dei fondi arrivati è stata usata e quando lo è stata, lo ha fatto con conseguenze e ricadute minime. «Solo 33 posti di lavoro a tempo pieno sono stati promessi dai 24 progetti per i quali sono state finalizzate le sovvenzioni del Gulf coast restoration fund. Questi progetti hanno ricevuto 53,3 milioni di dollari, una media di 1,6 milioni di dollari per posto di lavoro». Ora, però, sarebbe impreciso (e forse anche ingeneroso) considerare questo modo di fare erratico, disorganizzato, contin-
Questo, però, per quanto vero spiega solo in parte la dispersione dei fondi in mille rivoli.
Il Mississipi (con l’eccezione dell’indigente Puerto Rico) è lo stato più povero d’America. Lì, il 19 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà (nel 2012, subito dopo l’incidente, la percentuale era arrivata al 24 per cento) e ha sacche di degrado gravi e ampie, come la scarsità di istruzione, l’impossibilità di curarsi, l’altissimo tasso di criminalità e delinquenza. Dunque, in uno Stato che di fatto ha pochissime entrate e enormi spese sociali, ha senso che la politica abbia deciso di cogliere questa inaspettata pioggia di fondi per gestire la contingenza e pagare i conti che, in condizioni normali non avrebbe potuto pagare.
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SOLO LA PESCA HA PERSO IN DIECI ANNI 25 MILA POSTI DI LAVORO. IN FUMO GLI OLTRE 60 MILIARDI PAGATI DA BRITISH PETROLEUM CHE DOVEVANO SERVIRE A RISANARE L’ECONOMIA DELL’AREA L'acqua del fiume delpetrolioraccolta didisabbialettereChandeleur.formatabarrierapassaunal'acquaMississippi incontradelmareechiazzadipetrolioall'internodellaprotettivadalleisoleInalto,leBP,incisenelladaunattivistaGreenpeaceelacampionidilungolafoceMississippi GettyAfp-Getty,/MooreJ.Presse,-AP/LaRiedelC.Foto: 26 14 agosto 2022
Per avere senso, ce l’ha. Il problema, però, è che è un senso paradossale. Perché questo
modo di agire e di investire, di fatto, non avrà effetti reali e si tradurrà in uno spreco e in una non soluzione. Non risolverà nessuno dei problemi e delle ragioni della miseria del Mississippi. Non creerà nuovi impieghi; non permetterà a più persone di studiare, comprare una casa, avere stabilità. Non lenirà nessuno dei mali che affliggono lo Stato. I soldi di Bp sarebbero dovuti servire per riparare il danno fatto e anche quello che c’era già. Per costruire da zero un’economia che non c’è. Altrimenti, non serviranno a niente. Q
Progetti piccoli, ricadute piccole.
Prima Pagina Crisi idrica / L’inquinamento
gente, come se figlio solo dell’insipienza e della non progettualità dei deputati e degli amministratori locali che, pro domo loro, a grandi investimenti a lungo termine ne preferiscono di minori ma di immediata ricaduta elettorale (in America si vota ogni due anni, e dunque i legislatori hanno sempre bisogno di risultati immediati).
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S
del leader leghista, ma per evitare passi falsi non c’è più lo staff. La Bestia, d’ora in poi, è Salvini in prima persona.
Salvini si arrende nella gara per le promesse a vanvera: Silvio è imbattibile. I Cinque Stelle dopo Rousseau passano alla piattaforma Casaccio
iamo stati a Calendia, il paese di Calenda, dove tutte le case sono fatte a calenda, si parla calendese, si mangiano gli squisiti calendoni ripieni e nella capitale, Calendopoli, i ritratti di Calenda adornano ogni strada e i suoi tweet sono dipinti sui muri dai pittori di strada e prendono il nome di calendografie. La locale fabbrica di automobili Calenda produce la Calend, dinamica vetturetta a trazione nucleare, e nell’elegante teatro Calenda si rappresentano, con successo, le commedie di Calenda e le opere liriche di Calenda. Il locale festival della canzone è stato vinto dal brano “Calendario”, di Calenda-Calenda, cantato da Carlo Calenda, e il campionato di calcio, a girone unico e con due sole squadre iscritte, lo Sporting Calenda e l’Atletico Calenda, viene vinto, ad anni alterni, dall’una o dall’altra compagine. Ma veniamo, ora, alle notizie politiche di un altro Paese, l’Italia.
Centrodestra La campagna elettorale entra nel vivo. Prosegue, senza esclusione di colpi, il duello interno tra Berlusconi e Salvini sulla flat tax. Sono partiti entrambi dal 23 per cento di aliquota, Salvini è sceso fino al 15 per cento, Berlusconi propone il 10, Salvini rilancia al 7, Berlusconi, con un colpo
Pd L’epidemia di letargia virale, i cui primi sintomi risalgono agli anni Novanta, è finalmente sotto controllo, e dunque le donne e gli uomini del Pd possono finalmente mostrarsi in pubblico come se fossero, almeno in apparenza, in stato di veglia e con il metabolismo ben funzionante. Se le cose si mettono per il meglio, riusciranno a partecipare con il necessario vigore agli ultimi due giorni di campagna elettorale, con il solo rincrescimento che uno dei due, sabato, è il giorno del silenzio elettorale. Puntano tutto sul venerdì.
CanuIvanIllustrazione: SUPERATA LA LETARGIA VIRALE CHE HA COPITO IL PD. ALCUNI DI LORO SEMBRANO SVEGLI
Satira Preventiva Michele Serra
Berlusconi: “Le tasse le pagherà lo Stato”
Cinque Stelle La piattaforma Rousseau è stata dismessa e il disco rigido è custodito nel comodino di Casaleggio, e dunque le parlamentarie saranno decise dalla nuova piattaforma Casaccio, più aderente alle esigenze del Movimento. I nomi per l’uninominale vengono estratti a sorte da una lista di centomila candidati, già divisi in partenza, per comodità, tra Scissionisti, Transfughi di Destra, Transfughi di Sinistra, Incerti, più un numero molto ristretto di persone intenzionate a rimanere nel Movimento anche dopo l’elezione. Quanto al programma, al reddito di cittadinanza sarà aggiunta la Laurea ad honorem per tutti i richiedenti, più un viaggio in pullman a San Giovanni Rotondo con vendita agevolata di batterie di pentole durante la sosta in autogrill.
di teatro, promette un’aliquota del 5 per cento però a carico dello Stato: sarà l’agenzia delle Entrate a dover versare a ciascun contribuente, ogni anno, l’Irpef, che diventerà dunque la prima imposta a rovescio nella storia dell’umanità. Non contento, Berlusconi promette, oltre alle dentiere gratuite per mamme e nonne, anche parrucche per zie e suocere, protesi per cugini, creme solari per cognate e cognati, tutto a spese del servizio sanitario nazionale.
Migranti Salvini si arrende alla lunga esperienza di Berlusconi in tema di promesse a vanvera, e concentra la sua campagna elettorale sul tema, a lui così caro, dei migranti, per i quali propone, allo sbarco, un’aliquota fissa del 75 per cento, seguita da espulsione immediata dopo il pagamento in contanti. Il blocco navale, con navi dotate di rostro come nella battaglia di Salamina, è l’altra misura difensiva prevista dalla Lega, la cui ala moderata, capitanata dal deciso Giorgetti, uomo tutto d’un pezzo, propone però, a scopo umanitario, di erigere a Lampedusa una cappella per celebrare ogni anno un requiem per gli affogati. Salvini è disposto a cedere a patto che le spese della funzione siano a carico delle famiglie delle vittime. Torna anche la Bestia, voce social
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Verso il voto PER LETTA UNASTRANIERAPAPESSA DI SUSANNA TURCO PER IL PD COMINCIA LA CAMPAGNA ELETTORALE PIÙ DRAMMATICA DI SEMPRE. PARALLELA AL VOTO CORRE GIÀ LA CACCIA AL SEGRETARIO. CHE SI AFFIDA PER IL DOPO A ESTERNI COME ELLY SCHLEIN 30 14 agosto 2022
Prima Pagina Il segretario del Pd Enrico Letta 14 agosto 2022 31
CANDIDATA
LO HA ABBANDONATO. DONNE, GIOVANI, SCUOLA, LAVORATORI, TERZO SETTORE
il voto
Seggi sicuri pochissimi, qualcosa in Emilia-Romagna, qualcosa in Toscana, qualcosina a Roma (centro e Parioli), rari
Susanna Turco Giornalista
LA DELL’EMILIAROMAGNA È IL VOLTO SUI CUI PUNTA PER RICONCILIARE IL PARTITO CON CHI
Verso
rima sognavamo di vincere, ora sogniamo di arrivare primo partito - come la gioiosa macchina da guerra di Occhetto nel 1994. Di questo passo, il prossimo obiettivo sarà evitare che il 25 settembre la destra prenda il novanta per cento». In quel mercato mediorientale che è diventata la zona attorno a largo del Nazareno, sede nazionale del Pd, da giorni presa d’assalto da parlamentari uscenti e parlamentari aspiranti, capicordata e capicorrente, per comporre il puzzle delle liste da presentare entro il 22 agosto, le stime dell’Istituto Cattaneo, aggiornate dopo l’addio di Calenda, sono piombate lo scorso martedì pomeriggio come l’ennesima conferma di una stagione che era meglio evitare. E la battuta, raccolta nei bar affollati di anime in pena, rende perfettamente l’idea della disfatta imminente, il senso appiccicoso di rovina prossima ventura.
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puntini rossi in un mare di blu, e di bianco (gli incerti): 23 uninominali alla camera e 9 al senato, 80 proporzionali alla Camera, 40 al Senato. Totale 158 seggi, contro i 372 del centrodestra. Un disastro annunciato con cinque settimane d’anticipo. Un disastro persino peggiore delle previsioni precedenti, già tragiche. Il weekend più nero nella storia del Pd di Enrico Letta, con la rottura traumatica di Carlo Calenda («no alle ammucchiate») a sole 120 ore dall’accordo del 70/30 tra Pd e Azione, la formazione del Terzo polo con Renzi e invece il premio di
In effetti, mentre è appena partita la campagna elettorale più drammatica di sempre, segnata in partenza da un distacco di quasi venti punti che è quasi il doppio di quello registrato nelle ultime tornate elettorali (compresa quella del 2008, quando Berlusconi trionfò), parallela è cominciata la suddivisione delle spoglie del fu centrosinistra, oggi casualmente ancora esistente, verso la costruzione del futuro che comincerà, per chi vuole e per chi no, il 26 settembre. Il giorno dell’inizio della ricostruzione, diciamo. Nulla infatti pare destinato a restare in piedi. Ecco, per partire dal centro, che Carlo Calenda e Matteo Renzi tentano una qualche forma di unificazione: la facile previsione è che,
Elly Schlein, vice presidente dell’Emilia Romagna sarà candidata alle politiche per il Pd. A destra: Stefano Bonaccini
VICEPRESIDENTE
consolazione dell’accordo con Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, ha lasciato infatti sulla riva dopo la mareggiata un centrosinistra ammaccato e in vena di spaccature come non lo si vedeva dai tempi dell’ultimo berlusconismo vincente, dieci anni fa, prima dell’arrivo dei Cinque Stelle. E un Pd - alleato con i rossoverdi e Insieme per il futuro di Luigi Di Maio - tramortito come non lo si è visto forse mai.
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L’addio di Carlo Calenda al Pd ha aumentato il vantaggio previsto per il centrodestra sul
Nel suk attorno a largo del Nazareno, sede del Pd, in effetti, quasi nessuno ha fatto caso a una frase che Enrico Letta, all’indomani dell’addio di Azione, ha seminato dentro la sua intervista con La Stampa «Ho preso il testimone da Zingaretti e lo passerò al mio successore, che spero sarà una donna. Ho imparato nella vita che non si sta bene solo a capotavola. In politica bisogna saper fare anche i numeri due, tre o attaccare manifesti». Parole che, ol-
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UNINOMINALI ADDIO
referendumCostituzioneaParlamento necessarisottoMadama,ilaperarriverebbeilquotacalcolandoaBerlusconi,Meloni-Salvini-piùcollegiquantificabileCattaneo,leelezioni.allecentrosinistraprossimeSecondostimedell’Istitutolarotturaèin28uninominaliinperlacoalizionearrivando185 su221totali:anchelaproporzionale,centrodestracosìal61centodeiseggiMontecitorioe63,5aPalazzorestandoperòidueterzidelmodificarelasenza 14 agosto 2022 33
tre ad essere l’opposto esatto dell’egotismo machista tipico di un certo progressismo, dicono quanto il segretario del Pd corra la campagna elettorale pensando già al post voto. Anche i politici più vicini al segretario ammettono del resto che il congresso si aprirà un’ora dopo la chiusura delle urne. La resa dei conti, già probabile, è diventata certa proprio con lo strappo di Calenda, punto finale di una strategia di alleanze che oggi mostra tutti i suoi limiti: a partire dalla circostanza, piuttosto bizzarra se vista con gli occhi di oggi, che Letta si è tenuto stretto per un anno e mezzo l’alleanza coi Cinque Stelle, ereditata da Zingaretti, per poi all’ultimo miglio volgere gli occhi verso la scissione di Luigi Di Maio e, di conseguenza, mandare al naufragio l’accordo con l’unico alleato di un qualche peso elettorale, il M5S, l’unico che avrebbe potuto (almeno teoricamente) rendere plausibile una rincorsa sul centrodestra.Inestrema
per citare il film “Highlander”, ne resterà soltanto uno (o forse neanche quello). Ecco che la sinistra-sinistra, quella rossoverde di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, punta tutto su Ilaria Cucchi e Aboubakar Soumahoro, lanciati capilista e anche nei collegi uninominali, per essere i volti e la carne della nuova sinistra in parlamento (secondo le stime attuali l’Alleanza darà al massimo otto eletti). Ed ecco, per piombare sulla questione più consistente, che nel Pd si va aprendo il prossimo congresso. Con una tempistica che sembrerebbe assurda nel resto d’Europa (e del mondo), ma si sa che il partito democratico è una creatura peculiare, non da oggi.
sintesi: Letta si è tenuto Conte quando gli conveniva mollarlo, e l’ha poi mollato quando gli conveniva tenerlo. Per andarsi a cercare Calenda, che ha
Si può piangere sull’accordo mancato, sul Calenda versato. Oppure trasformare un limite in un’opportunità, guardare a una prospettiva più lunga delle elezioni di domani. Meglio perdere con le proprie idee che vincere con le idee altrui diventa allora uno slogan che non allude alla volpe e l’uva ma potrebbe essere la base di un progetto di respiro largo. Enrico Letta aveva bisogno di più tempo per tessere la tela del suo campo largo, epigono, anche se i paragoni sono tutti zoppi, dell’Ulivo degli Anni Novanta. Romano Prodi lo ebbe, quel tempo, quando fu indicato come il “papa straniero” capace di federare il centro-sinistra, vincere la competizione con Berlusconi, plasmare la sua creatura arborea. La fretta, in questo caso invero obbligata, non è buona consigliera quando si tratta di tentare una fusione fredda tra sensibilità molto diverse. Davanti a sondaggi catastrofici che
SINISTRA, SCONFITTA SÌ, MA CON LE PROPRIE IDEE
Per questa via il congresso del Pd, che ancora non è stato convocato, in pratica cammina parallelo a una campagna elettorale che per essere trasformata in vittoriosa avrebbe bisogno, anche visto il punto di partenza, di una specie di miracolo laico. A riprova, ecco puntuale la ri-scesa in campo di Stefano Bonaccini. Il governatore emiliano-romagnolo, detto anche dal Foglio «Mario Balotelli» per il suo essere una specie di eterna promessa, è tornato a farsi sentire immediatamente dopo lo strappo di Azione. Con due no, pronunciati a “In Onda” la sera stessa: «Non ci sto a lasciare il riformismo a Calenda» e «no ai candidati paracadutati in Emilia-Romagna». Parole sparate contro la segreteria Letta e dirette a titillare gli animi di tutta la fascia ex e post renziana del Pd, lasciata stavolta abbastanza a secco di candidature e anche traumatizzata dallo strappo centrista. Critiche alla segreteria Letta che Bonaccini aveva peraltro già lanciato prima della frattura, intervistato da Luca Bottura alla festa dell’Unità di Casalgrande, quando aveva puntato il dito, ripetutamente, contro l’impasse del Pd sulle alleanze e contro la generale sua tendenza al tafazzismo.Gestiletti unanimemente come primi passi verso una corsa alla prossima segreteria. Si tratta del resto di una auto-candidatura stoppata già nella primavera del 2021, proprio per l’arrivo di Enrico Letta da Parigi: quello dell’ex premier fu uno di quei nomi di fronte ai quali persino Bonaccini, all’epoca arrembante, dovette chinare il capo (anche per questo Zingaretti, uscente, lo favorì). Una corsa che oggi è ovviamente ancora tutta da costruire. Proprio la campagna elettorale sarà il terreno dove Bonaccinifarlo.non sarà l’unico. E, di certo, un anti-Bonaccini servirà. Non è esattamente un caso, in questo senso, che Enrico Letta abbia pescato sempre in Emilia
Verso il voto
Scelte di alleanza che Letta ha avuto, fino all’ultima, la cura di condividere con tutte le varie componenti dem. Ma che saranno puntualmente rinfacciate soprattutto a lui.
Romagna, previo attento corteggiamento, una candidatura pensata per andare oltre i confini regionali: quella di Elly Schlein. Vice di Bonaccini in Regione, reginetta delle preferenze, tante volte in predicato di costruire una sua propria lista, non iscritta al Pd, Schlein è stata coinvolta già un anno fa da Letta nel vasto e litigioso mondo del Pd. È stata chiamata infatti tra i sei garanti delle Agorà, la creatura politica prediletta del segretario dem. Il luogo cioè nel quale ha provato a ricucire con mondi che il Pd negli anni si è perso per strada - il terzo settore, i giovani, le donne, l’accoglienza, la scuola - ma anche la piattaforma che ha preso come base per cominciare a costruire il post-Pd. Una prospettiva che il segretario dem non ha mai nascosto, fin dal discorso di investitura. Che ha portato avanti anche un anno fa, scegliendo ad esempio per il collegio di Siena di correre senza simboli di partito. Una prospettiva che adesso, come allora, passa per un rimodellamento da sinistra dell’impostazione del Pd: Democratici
mollato lui. E Di Maio, che invece non lo mollerà affatto, anzi: gli resterà attaccato ai pantaloni fin quando non sarà in qualche modo eletto.
34 14 agosto 2022
DI GIGI RIVA
Prima Pagina
e progressisti, si chiama non a caso la lista costruita al Nazareno per il voto del 25 settembre. E che, in un ragionamento lettianamente abbastanza leggibile, passa per volti come quelli di Schlein.
negli Stati Uniti. Se si vuole persino Mélenchon in Francia che ha sfiorato il miracolo rianimando una sinistra sfiatata persino nella sua componente socialista.
Agf-SerranòA.Foto: 14 agosto 2022 35
davano e danno la destra sola al comando, Letta ha tentato l’azzardo contando che fossero uomini di buona volontà quelli desiderosi di fermare l’onda sovranista, costasse quello che costasse, persino ingoiando i rospi di alleanze contro natura davanti al pericolo incombente. Dimenticandosi, tuttavia, che doveva essere il suo Pd il magnete, il polo d’attrazione, grazie a un programma che ne delineasse l’identità oltre un’agenda Draghi oltretutto senza Draghi. E non facendo i conti con la “pipolizzazione” (la riduzione a puro spettacolo) di una politica troppo legata all’egolatria di leader e leaderini peraltro assai lontani dal consenso del democratici. Sarebbe stata proprio la forte caratterizzazione identitaria a raggrumare attorno al partito-forte della coalizione i più prossimi, come naufraghi allo scoglio di una salvezza. Ora, ristrettosi il campo largo, è il momento giusto per definire una proposta politica autonoma, grazie ad alcune circostanze favorevoli. Ridotta alla marginalità la sinistra estrema, resta il Pd di Letta come unico partito portatore con qualche chance di successo, se lo vorrà, di istanze di sinistra a cui aveva rinunciato. Partendo da alcune considerazioni inoppugnabili. Nel recente passato, in Occidente, la sinistra ha vinto solo quando si è presentata con un programma radicale: Tsipras in Grecia, Zapatero e Pedro Sanchez, in Spagna, Antonio Costa in Portogallo, tutti Paesi del Mediterraneo. E allagando gli orizzonti, Obama
Il percorso politico della leader di Coraggiosa già si è incontrato in passato con quello del segretario dem, e più di una volta. Ai tempi dell’ascesa a Palazzo Chigi, nella primavera 2013, quando Schlein con il movimento di Occupy Pd protestava contro le larghe intese, cioè praticamente contro il governo Letta. E, poi, l’anno dopo ai tempi della defenestrazione: nella Direzione in cui Matteo Renzi mandò l’avviso di sfratto all’allora presidente del consiglio, il voto di Schlein fu uno dei dodici contrari. Era l’inizio del 2014, di lì a poco sia lei che Letta lasciarono il Pd, accomunati da un rapporto diversamente tempestoso con il renzismo. Non sorprenderebbe che, otto anni dopo, facessero un staffetta per continuare su quella linea. Le premesse, per lo meno, ci sono tutte. Q
SINISTRA
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Ilaria Cucchi e Aboubakar Soumahoro, candidati per Sinistra Italiana
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Il combinato disposto di pandemia e guerra in Ucraina ha allargato la forbice ricchezza-povertà, riprodotto una divisione in classi, rilanciato la necessità di una redistribuzione del reddito contro il mercatismo imperante. Il terreno ideale per riscoprire valori antichi mai passati di moda e per sfidare una destra che insiste nei regali ai ricchi avanzando ad esempio, e senza vergogna, l’idea della flat tax. Sarebbe, questa, una sinistra che riprende finalmente a parlare al suo elettorato naturale, in larga parte scippato dalla destra delle vane promesse della prosperità per tutti. Sarebbe un buon modo intanto per presentarsi con un volto rinnovato alle elezioni imminenti. E dovesse anche andare male il 25 settembre, come da pronostici pressoché unanimi, sarebbe l’inizio di una semina destinata a dare frutti nel futuro grazie a una coerente distinzione rispetto alle altre proposte politiche, tutte simili in materia di economia: il settore in cui normalmente si gioca il consenso alle urne. Perdere con le proprie idee non piace a nessuno, perdere con quelle degli altri è ancora peggio. E con un elettorato sempre più volatile, comunque non è detto che si perda.
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Verso il voto
MalaguttiVittorio Giornalista NUMERO DUE DI FORZA ITALIA A DRAGHI SUOI DI PARTITO. ALZA LE SUE AMBIZIONI, GRAZIE ANCHE A UNA RETE DI SOTTOPOTERE VITTORIO MALAGUTTI E CARLO TECCE
HA NEGATO LA FIDUCIA
NEMICI
per sfiorare il quarto di secolo; imprenditore e azionista di circoli e piscine sportive; deputato e prima ancora senatore con una coda di capogruppo alla Camera sul finire di Perlegislatura.contodi
Tajani, l’amico Paolo garantisce la sorveglianza su Roma e dintorni quando il capo è affaccendato in questioni noiose e però prestigiose che riguardano l’Europa. Più a nord, invece, agisce la colonna etrusca. Il senatore viterbese Francesco Battistoni è un ex assicuratore partito come capo ufficio stampa della Viterbese di Luciano Gaucci, già focoso presidente del Perugia una ventina d’anni fa. Le cronache locali narrano l’ascesa del futuro senatore: sinda-
atece largo che passamo noi». Ecco la variopinta armata di Antonio Tajani che s’appresta a conquistare il governo d’Italia. Per decenni ha arrancato nelle retrovie oppure si è esercitata nella lontana Europa, adesso il capo Tajani, ufficiale militare figlio di un ufficiale militare, coordinatore nazionale di Forza Italia, da sempre accanto a Silvio Berlusconi finché non è rimasto quasi solo, può condurre sé stesso e i suoi uomini alla vittoria che li consacra per sempre. Le ambizioni di Antonio oscillano fra la presidenza del Consiglio come mente posata e riposata di una coalizione di centrodestra a ministro di Esteri o di Difesa per rappresentare i moderati nel mondo. Paolo Barelli è il più fido scudiero di Tajani, il rapporto ha origini antiche, è ben ancorato nel presente, pure in famiglia, e si proietta nel futuro. L’ex atleta Barelli è poliedrico o polivalente: come eterno presidente federale del nuoto (in sigla Fin) sta
IL
Carlo Tecce Giornalista
ECCO TAJANIL’ARMATA
PER COLPIRE I
ORA
DI
co di Proceno, un minuscolo paese del Lazio al confine con la Toscana, poi consigliere e assessore provinciale a Viterbo sino al consiglio regionale del Lazio dove nel 2010 si accomoda sulla poltrona di assessore all’Agricoltura. Una carriera sempre al fianco di Tajani, di cui diventa la spalla fissa in tutti gli eventi politici nel Lazio. In parlamento invece molti lo ricordano guardingo e taciturno mentre si aggira per il salone Garibaldi di Palazzo Madama, con un incarico preciso, quello di sentinella di Tajani presso la capogruppo Anna Maria Bernini. Nel 2021 la ghiotta occasione. Battistoni ha esordito al governo da sottosegretario all’Agricoltura con l’esecutivo di Mario Draghi, non s’è notato al ministero se non per le iniziative con il collega deputato Raffaele Nevi di Terni e per la nomina a consulente all’ortofrutta (che è fra sue le deleghe) di Stefano Bandecchi, patron dell’università telematica Unicusano e della squadra di calcio Ternana. Bandecchi ha assunto la guida di Alterna-
tiva Popolare (discendente di Ncd di Angelino Alfano), frequenta la politica e ne è affascinato, una volta pare destinato a candidarsi al comune di Terni di cui è cittadino onorario e dove ha molteplici interessi tra stadio e una clinica da costruire, un’altra è in procinto di assurgere a senatore. Ha contatti con Nevi, Tajani, Battistoni e anche Barelli, poiché Unicusano è “partner” di Villa Flaminia Sport, il centro sportivo di cui è amministratore Luigi Barelli, il fratello di Paolo, e lo stesso capogruppo di Forza Italia è azionista con una quota del dieci per cento. C’è un simpatico aneddoto che unisce i protagonisti diciamo così “etruschi” dell’armata Tajani. Quando la Ternana passò dai Longarini a Bandecchi (2017), l’allora sindaco Leopoldo Di Girolamo fu costretto a smentire che l’operazione fosse un successo di persuasione della coppia Nevi-Tajani.
Prima Pagina MantuanoC.Foto:
L’armata Tajani è venuta su con pazienza. Il governo Draghi l’ha colpita duramente. Dopo la lunga stagione da cervello in fu-
Antonio dievicepresidenteTajani,coordinatoreForzaItalia
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Ansioso di andare alle elezioni e al contempo di ottenere altri trionfi, Tajani s’è occupato di nomine, non ne ha riscosse molte, se non quella rivendicata - e da condividere con Letta - di Augusta Iannini moglie di Bruno Vespa nel consiglio di Snam. Poi dal governo ha reclutato la sottosegretaria Valentina Vezzali, entrata con le stimmate di tecnica e la benedizione leghista e uscita con una candidatura blindata in Forza Italia. Chissà se ha inciso il parere di Barelli, che ha iniziato Tajani alla passione per il nuoto: nel 2018 l’allora presidente del Parlamento europeo fu l’ospite d’onore al congresso di Len, la federazione europea all’epoca guidata da Barelli. La riunione si tenne a Budapest per omaggiare Viktor Orban e Barelli si esibì in una eulogia del presidente magiaro: «L’Ungheria è un paese molto fortunato. Viktor è un leader che crede fattivamente nello sport».
ga coronata con la presidenza del Parlamento europeo, una volta tornato in patria Tajani s’aspettava di scegliersi il ministero più comodo. Mai previsione fu più disattesa. Renato Brunetta, Mara Carfagna, Mariastella Gelmini, i ministri di Draghi li ha suggeriti col suo fare invisibile e discreto Gianni Letta infliggendo una cocente umiliazione a Tajani, che nel frattempo aveva avocato a sé le relazioni - da cui Letta s’è sempre tenuto fuori per congenita diversità da quei toni destrorsi - con la Lega di Matteo Salvini e stretto un patto di reciproca convenienza con Licia Ronzulli, la nuova tuttofare di Berlusconi.
emotiva di Salvini, che in pubblico si mostra ancora duro, ruvido, perentorio, ma che nelle trattative private, soprattutto col premier Draghi, è timido, introverso, parecchio involuto. Lo scaltro Antonio, noncurante di Ronzulli ancora impegnata a interpretare le smorfie del Berlusconi e come non mai iperattiva sulla linea telefonica fra le residenze di Silvio e Palazzo Chigi, ha sospinto Matteo al voto con la promessa che soltanto un ribaltone avrebbe tutelato la sua stagione ai vertici del fu Carroccio.
SOTTOSEGRETARIO
Francesco Sopra:PolitichesottosegretarioBattistoni,alleAgricole.SilvioBerlusconi C’È VALENTINA VEZZALI, CHE SARÀ CANDIDATA. IL CAPO DEL NUOTO BARELLI. IL PATRON DELLA TERNANA CALCIO CHE È ANCHE CONSULENTE DEL GOVERNO PER L’ORTOFRUTTA 38 14 agosto 2022
Col tempo, volitivo e tignoso, Tajani ha risalito la corrente: la bandierina Battistoni nel sottogoverno, la rivincita su Gianni Letta nell’indicazione del capogruppo Barelli, le trame per sabotare l’ascesa di Draghi al Quirinale e quel profondo piacere nel vederlo cadere. La sera prima della mancata fiducia al governo, il presidente del Consiglio ospitò a Palazzo Chigi la delegazione di centrodestra composta da Salvini, Tajani, Maurizio Lupi e Lorenzo Cesa. Salvini era seduto alla sinistra di Draghi, Tajani alla sinistra di Salvini. Il leghista, muto, annuiva con la testa, il coordinatore forzista dirigeva l’incontro e al solito si rivolgeva a Draghi col “tu”, unico tra gli esponenti di partito e pure tra i dipendenti e i collaboratori di Palazzo Chigi (escluso il consigliere e amicissimo Francesco Giavazzi). Dopo la memorabile gaffe che i resoconti giornalistici hanno già consegnato al gran libro della politica («Mario, nessuno di noi ha mai messo in dubbio la tua malafede»), Tajani ha sbattuto sul tavolo l’epitaffio del governo: «Anche se ci dai tutto, se c’è Giuseppe Conte in maggioranza, noi ce ne andiamo». È stato lo strappo che ha estromesso Ronzulli e che ha saldato il patto fra Tajani e Salvini che mira a diluire Forza Italia nella sua Lega. Tajani ha sfruttato la debolezza
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scina facciano da scudo alla raffica di guai che lo inseguono da mesi. La sconfitta che brucia di più è quella subìta nelle stanze della Federazione europea di nuoto, la Len, che a febbraio ha nominato un nuovo presidente in sostituzione di Barelli, al vertice dal 2013. C’è di peggio, perché da mesi la magistratura svizzera indaga su una serie di presunte irregolarità finanziarie attribuite all’ex numero uno. Non è neppure da escludere che nelle prossime settimane possa avviarsi un procedimento interno alla Federazione europea. E se l’indagine della giustizia sportiva dovesse concludersi con una sanzione, per Barelli potrebbe diventare molto difficile difendere la poltrona in Federnuoto da una possibile richiesta di commissariamento avanzata dal Coni di Giovanni Malagò, con cui i rapporti sono pessimi almeno dal 2009, dai tempi dei mondiali di nuoto a Roma.
Comincia proprio con una denuncia del Coni un’altra vicenda che macchia l’immagine del candidato azzurro. Con una sentenza emessa il 10 marzo scorso, Barelli è stato infatti condannato in appello dalla Corte dei Conti a pagare 495 mila euro per rimborsare il danno causato alle casse pubbliche. In pratica, il ministero dell’Economia ha pagato per due volte gli stessi lavori di ristrutturazione della piscina del Foro Italico, concessa in uso alla Federnuoto. La sentenza dei giudizi contabili descrive Barelli come «l’unico, reale dominus dell’intreccio di eventi che ha portato (…) al doppio pagamento delle stesse fatture». Ora al presidente Fin non rimane che sperare di capovolgere la sentenza con un annunciato ricorso in Cassazione oppure promuovendo un giudizio di revocazione davanti alla stessa Corte dei conti. In caso contrario Barelli dovrà metter mano al portafoglio e saldare un conto da quasi mezzo milione di euro. La stangata arriva in un momento non proprio felice per le finanze di famiglia del politico azzurro. Luigi Barelli, fratello e socio di Paolo, si è visto pignorare le quote in svariate società, comprese quelle nel Villa Flaminia sport, per una storia di debiti bancari non saldati. E così Luigi è andato sott’acqua. E pure Paolo non se la passa troppo bene. Ma la storia continua. I Barelli sono campioni di galleggiamento, in piscina e anche fuori. Le elezioni sono vicine. E l’armata Tajani marcia compatta verso il potere.
Valentina Vezzali, già pluriolimpionica di scherma e ora candidata alle elezioni per Forza Italia Sopra: Viktor Orbán e Paolo Barelli
Partito nel lontano 1994 come candidato alle politiche (trombato) nelle liste di Mario Segni, il presidente Fin ora può permettersi di sognare in grande. Il traguardo di una poltrona di governo sembra ormai a portata di mano. Obiettivo massimo: un posto da sottosegretario, o da viceministro, sempre con delega allo sport. Pure la fortuna sta dalla sua parte. A luglio i nuotatori azzurri hanno fatto man bassa di medaglie ai mondiali. Un successo senza precedenti.
Agf-AntonelliM.L.LaPresse,/AP-OfficePressMinister’sPrimeHungarian-MTIA3,-TreP.Agf,-MarfisiN.Foto:
Insomma Tajani avrà apprezzato, e Barelli ancora di più, i 77 milioni di euro che gli uffici di Vezzali hanno stanziato a beneficio delle piscine sportive penalizzate dalla pandemia e dalle bollette. Ristori. 30 milioni liberati a gennaio e 47 aggiunti a luglio che sono distribuiti dalla federazione di cui Barelli è il presidente alle singole associazioni e che arrivano fino ai circoli sportivi di cui Barelli è azionista. Un bel contorno della portata principale degli Europei di nuoto che si svolgono a Roma a cavallo di Ferragosto e che hanno ricevuto dallo Stato un generoso contributo di 5 milioni di euro. Ogni gruppo ha la sua base. A Roma l’armata Tajani si ritrova al ristorante Lola che ha in affitto i locali nell’aerea di Villa Flaminia Sport. Lì atleti e dirigenti di Fin consumano tanti pasti, lì Tajani e anche Nevi allestiscono eventi politici e Barelli in ogni sua veste ne gode.
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Barelli incassa e spera che i successi in pi-
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CANDIDATA
n uno dei suoi libri più famosi, “Allucinazioni”, Oliver Sacks non si limita a catalogare le medesime, ma sostiene che «dovremmo chiederci in quale misura l’arte, il folclore e perfino la religione abbiano avuto origine da esperienze allucinatorie». Lui si riferiva a Edgard Allan Poe e Guy de Maupassant, noi al programma di Fratelli d’Italia. I famosi 15 punti letti e commentati negli ultimi giorni erano sì frutto di una precedente elaborazione, ma sono rimasti sul sito ufficiale e su quelli delle sezioni locali fino alla settimana scorsa. Poi sono scomparsi, sostituiti dalla scritta “Programma in elaborazione. A breve on line”. Non è un’allucinazione collettiva, evidentemente, bensì la necessità di proporsi come partito di governo: una questione di toni, come ben sapeva Lionel Logue mentre istruiva re Giorgio VI per il suo discorso alla nazione nel 1939 (era la dichiarazione di guerra alla Germania, e il film era “Il discorso del re”, su sceneggiatura di David Seidler).
Mentre l’elaborazione procede, il web serba tracce di un preludio: è un documento dello scorso aprile, Appunti per un programma conservatore. Il tono è effettivamente diverso, la sostanza no. Nel programma oscurato il secondo e il terzo punto riguardavano l’italianità e la sicurezza. Nel primo caso, si andava giù pesanti: precedenza agli italiani nell’accesso ai servizi sociali e alle case popolari, no allo ius soli, albo degli imam e «obbligo di sermoni in italiano», fiera opposizione a chi vuole vietare il presepe e rimuovere i crocifissi, tetto di alunni stranieri per classe. Insomma, di che dar da scrivere a Margaret Atwood per i prossimi vent’anni.
cello Pera sul liberalconservatorismo, inteso come difesa della tradizione cristiana per salvaguardare «la dignità della persona, la patria, l’ordine, la legalità, la famiglia, il matrimonio, la vita, la sicurezza». Insomma, i liberalconservatori respingono come «conquiste false e dannose» i «nuovi modelli di famiglia, di matrimonio, di procreazione, di educazione, di genere, di fine vita». Pensoso ma chiarissimo: solo ripulito, come fa il professor Higgins con Eliza Doolittle in My fair
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Difesa sempre legittima, tortura consentita, chiusura dei campi rom. Questo e altro nel testo online di Fratelli d’Italia sulla sicurezza. Che ora è sparito
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punto sulla sicurezza, che nella vecchia versione annunciava fra l’altro: revisione «della cosiddetta legge sulla tortura. Controllo del territorio anche con il contributo dell’esercito. Chiusura dei campi nomadi anche per eliminare il fenomeno dei roghi tossici nelle grandi città, legge che dica che la difesa è sempre legittima».
LipperiniLoredana Giornalista
GIORGIA OSCURA
Gli appunti, invece, sono affidati agli interventi di una serie di esperti, che usano parole assai più sfumate: quindi tutta la vicenda sul crocifisso insidiato e sui sermoni da tradurre si trasforma in una pensosa riflessione di Mar-
DI LOREDANA LIPPERINI
Verso il voto
Negli Appunti, è Paolo Del Debbio a oc-
Passiamolady.al
Casasoli/A3A.Foto:
causato un incremento dei crimini maggiori.
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Questa faccenda del decoro come motore primo contro il degrado, però, fa parte anche della cattiva coscienza della sinistra. Nel 2017, quando viene varato il Decreto Minniti in materia di “Sicurezza delle città”, si comincia a usare la parola decoro come equivalente di «decenza di facciata», nello stesso modo in cui lo intendevano gli appartenenti al movimento della Quality of life che di Rudolph Giuliani furono i supporter. Come ricorda in un lungo articolo su Giap lo scrittore Wolf Bukowski, cominciò tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta con i volontari che invece di sollecitare l’incremento dei servizi di giardinaggio pubblici, che erano stati decurtati, cominciarono a fare da soli. Ma, dopo aver messo a dimora i ciclamini, si accorsero che nei parchi abitavano gli ultimi, i senzatetto, le prostitute, gli alcolisti, e pretesero e ottennero ringhiere e cancelli: «Si realizza così quella fusione tra risposta al disagio sociale e architettura ostile che ancora oggi è tipica delle politiche del decoro». Ovvero: le panchine anti-homeless, lo sgombero dei migranti dalle stazioni per collocare fioriere anti-uomo e tutto quello che privilegia l’apparenza alle politiche di accoglienza e convivenza.
Manifesti elettorali di Giorgia Meloni
IL PROGRAMMA
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cuparsi dell’Italia delle periferie. E per la lotta al degrado, alla spazzatura e alle scritte sui muri evoca la Teoria delle finestre rotte. Ora, la Teoria delle finestre rotte non è un film horror (o forse è horror ma non è un film). È una tesi di George L. Kelling e James Q. Wilson apparsa su The Atlantic nel 1982: sostiene, in pratica, che una finestra rotta ne chiama un’altra, e che quindi la criminalità, anche micro, si combatte con il decoro. Il sindaco di New York, Rudolph Giuliani, se ne servirà nel 1994 per la famigerata strategia della tolleranza zero (che rose e fiori non fu: Amnesty Internazional ricorda che le richieste di risarcimento per danni causati da perquisizioni violente della polizia e le denunce per i loro comportamenti arbitrari aumentarono rispettivamente del 50 e del 41%, e che soprattutto tra il 1993 e il 1994 il numero di civili uccisi nel corso di operazioni di polizia crebbe del 35%). Soprattutto, la teoria venne contestata radicalmente in uno studio su Nature del 2017, che dimostra come semmai la repressione dei piccoli crimini abbia
Negli Appunti si va morbidi, si sostiene che lo Stato deve garantire sicurezza perché «non è possibile accettare che una donna non possa tornare a casa da sola senza essere importunata» (vecchia storia, quella dei corpi delle donne usati a fini securitari e identitari). Ma vale la pena di ricordare che confondere sicurezza con decoro è faccenda pericolosa, così come lo è cavalcare l’onda della paura. Alla paura ci si abitua. Ci si abitua a tutto, ricordava Peppino Impastato ne “I cento passi”: «All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, e ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore». Parole simili a quello di un secondo fantasma da evocare, quello di Luca Rastello, che in “Dopodomani non ci sarà” scrisse: «Se c’è un augurio che posso farvi, allora, è di non cadere mai nella trappola della rassegnazione e dell’accettazione. Non è mai finita. Mai. C’è sempre almeno ancora una svolta imprevista, sempre».
In quella parentesi temporale Matteo Salvini riuscì a raddoppiare i consensi senza stare all’opposizione, bensì occupando due incarichi di primo piano all’interno del governo con il Movimento 5 Stelle: quello di vicepremier e, soprattutto, quello di responsabile del Viminale. Una posizione, quest’ultima, che gli permise di spingere sui temi intorno ai quali la “nuova Lega” - meno federalista e più sovranista - decise di reimpostare la propria identità. Non è un mistero che ancora oggi Salvini voglia ritornare a occupare la stessa poltrona che lo portò all’apice dei consensi. Le elezioni anticipate (data fissata al MELONI
Verso il voto Il centrodestra
D SALVINI E
BartoloniGabriele Giornalista
PROPAGANDA SOCIAL
corsa a riaccendere i temi che scaldarono il cuore dell’elettorato sovranista durante la stagione d’oro del populismo europeo e che consegnarono alla Lega un risultato senza precedenti: 17 per cento nel 2018 e 34 per cento appena un anno dopo.
FANNO A GARA CON GLI SLOGAN SOVRANISTI. TORNANO LE INVETTIVE CONTRO I MIGRANTI, LE ACCUSE ALLA MINISTRA LAMORGESE E I RICHIAMI ALLA FAMIGLIA ANTI-DIRITTI
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iciotto maggio 2019, Matteo Salvini conclude la campagna elettorale per le europee nella sua città: Milano. In piazza Duomo la Lega ha allestito un grande palco da cui si alternano i discorsi dello stato maggiore del partito. In cima alla struttura è appeso un maximanifesto con il simbolo del Carroccio e la scritta “Prima l’Italia”. A distanza di più di tre anni, quello slogan è ancora la parola d’ordine che orienta l’agenda sovranista, impostata su sicurezza e immigrazione. In quell’occasione Salvini pronunciò un discorso pieno di riferimenti religiosi. «Affido l’Italia al cuore immacolato di Maria», disse agitando il rosario stretto nella mano destra. Qualche mese dopo Giorgia Meloni, da Piazza San Giovanni, a Roma, urlerà la celebre frase che - come ha ammesso nel suo libro - la trasformò «da noioso esponente politico a curioso fenomeno pop»: «Io sono Giorgia, sono una madre, sono cristiana». Sui media e sui social è già partita la
DI GABRIELE BARTOLONI
Da quando è iniziata la campagna elettorale, “la bestia” ha cominciato a sfornare le solite grafiche colorate con i classici slogan anti-immigrazione stampati a caratteri cubitali. Il giorno dopo la caduta del governo guidato da Mario Draghi, Salvini ha pubblicato un fotomontaggio che lo ritrae sorridente con alle spalle un barcone carico di migranti e la scritta «torna la sicurezza, torna il coraggio». Non bastasse questo per rimarcare le ambizioni del Capitano, ci sono anche i rilanci dei titoli di giornale che parlano di una «Lampedusa al collasso» o delle Ong che «se la prendono con Salvini». La campagna contro Lamorgese, in realtà, era già partita da tempo. Anche durante il governo-Draghi, il segretario leghista non ha mai perso occasione per screditare la ministra dell’Interno, immigrazione,sononosoprattuttosulcapitolosbarchi.Dainizioan-suiprofiliInstagrameFacebookdiSalvinistatisponsorizzatiben4postatematuttiindirizzaticontrola
torio perfetto per la comunicazione sovranista. E le pagine social della Lega ne sono la dimostrazione.
25 settembre) sono l’occasione giusta per (ri)tentare l’impresa, nonostante i tempi siano ormai cambiati. Non soffia più il vento populista del 2018: in mezzo c’è stata una pandemia, lo scoppio di una guerra alle porte dell’Europa e una crisi economica che ora rischia di manifestare i suoi effetti peggiori all’indomani della partita elettorale. In tutto ciò l’ex ministro ha già programmato i suoi viaggi a Lampedusa, da sempre terra di approdo dei migranti in partenza dalle coste africane. Quest’anno l’assist alla propaganda glielo offrono i numeri in aumento sugli sbarchi: quasi 40 mila a partire dall’inizio dell’anno, secondo i dati del Viminale.
Il bersaglio è entrato nel mirino ormai da tempo. Si tratta di Luciana Lamorgese, la ministra dell’Interno che sostituì Salvini per effetto della crisi innescata dal segretario leghista nell’estate del 2019. Lamorgese è anche colei che smantellò (in parte) i cosiddetti decreti sicurezza varati da Salvini. Insomma, l’attuale responsabile dell’Interno rappresenta il capro espia-
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Il leader della Lega Matteo Salvini, durante un comizio a Milano, durante la campagna elettorale per le Europee del 2019
MILITANTI DELLA PAURA ARMATI DI TALK
oltre che nelle scelte della Rai, che di questi programmi era stata la fucina (come non ricordare il compianto Angelo Guglielmi), trova magari una spiegazione nel tramonto definitivo di Berlusconi, che per vent’anni ha alimentato le performance di conduttori e comici. E tra questi ultimi rappresenta davvero un caso quello di Benigni, che fu l’irrinunciabile punto di riferimento dell’antiberlusconismo d’antan, ma che con l’avvento del nuovo secolo ha finito per abbandonare completamente i tratti politici irriverenti, “maleducati” e sovversivi della sua comicità, che lo avevano consacrato vero idolo delle folle progressiste. Oggi, insomma, la “sinistra televisiva” appare difficilmente reperibile, salvo qualche evanescente epigono in alcuni dei salotti tv, vedi Berlinguer e Formigli o a volte Gruber e Floris. E a far satira resta solo Crozza. Quel che è scomparso del tutto, però, è il ruolo mobilitante che un tempo fu dei talk politici o dei programmi comici,
politica di Lamorgese. Secondo la libreria inserzioni di Facebook, l’ammontare speso dal partito per la sponsorizzazione degli ultimi due post ammonta a più di 10 mila euro. Guardando a Twitter, nei primi giorni di campagna elettorale la macchina social del Carroccio ha cominciato a spingere di nuovo sull’acceleratore: la galassia di account riconducibili alla Lega è quella che, rispetto agli altri partiti, ha generato il numero più alto di tweet. Secondo l’Osservatorio italiano sui media digitali (Idmo), il Carroccio ha prodotto il 25 per cento (la fetta più consistente) dei tweet presi in esame. Sicurezza e immigrazione la fanno da padrone, all’interno delle bacheche sovraniste. Comprese quelle di Fratelli d’Italia che, sempre secondo Idmo, ha prodotto l’11 per cento dei tweet, la metà rispetto al partito di Salvini. Che la macchina social di Fratelli d’Italia non sia rodata tanto quanto quella del Capitano non è una novità. Eppure, rispetto alle scorse elezioni, ora il partito di Giorgia Meloni risulta essere il favorito.
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Nel corso dell’ultima legislatura anche Meloni ha più volte messo nel mirino La-
Ora che è già cominciata una campagna elettorale che si annuncia al calor bianco viene da chiedersi cosa ne sarà della sinistra (più o meno alleata col centro) orfana di quella che una volta era la sua componente, diciamo, “televisiva”: intendiamo quel mondo di personaggi dello spettacolo e dell’informazione, star e conduttori del piccolo schermo che spesso in passato hanno avuto una funzione quasi di supplenza rispetto al vuoto politico lasciato dalle forze progressiste. Quella “sinistra televisiva” adesso non c’è più: sono scomparsi, da un lato, programmi come quelli condotti da Santoro o da Lerner, vittime della più generale crisi dei talk politici dopo il 2014, ma non sono nemmeno rintracciabili quelle trasmissioni di satira i cui divi, dai fratelli Guzzanti, alla Dandini, dal Chiambretti prima maniera a Paolo Rossi, sono stati pure essi per lunghi anni, a partire dalla fine del secolo scorso, parte essenziale di questa “sinistra del video”. Il fenomeno,
DI GIANDOMENICO CRAPIS
Verso il voto Il centrodestra
morgese. Incalzandola - al pari di Salvinisu immigrazione e sicurezza, senza però mai cadere nella contraddizione che caratterizzava l’alleato leghista: quella di sedere tra i banchi del governo. Oggi come ieri Meloni sostiene il blocco navale contro gli sbarchi e pubblica video di risse da marciapiede per criminalizzare l’immigrazione. Anche sul tema dei diritti gli slogan sono identici a quelli utilizzati nel 2019 durante il comizio andato in scena alla manifestazione romana di Piazza San Giovanni. Di più: quell’«io sono Giorgia» è stato replicato appena due mesi fa, nel giugno scorso, durante la manifestazione di Vox, in cui Meloni fu invitata a parlare davanti ai militanti dell’estrema destra spagnola. «Si alla famiglia naturale, no alla lobby Lgbt», gridò dal palco allestito in occasione della campagna elettorale in Andalusia. «Sì all’identità di genere, no all’ideologia gender». E ancora: «Sì alla cultura dalla vita, no alla cultura della morte». Il discorso ottenne lo stesso clamore di quello pronunciato poco meno di tre anni prima. Non tanto, questa volta, per l’ironia che suscitò; quanto per le polemiche che mosse non appena quelle
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parole arrivarono ai media italiani. Quegli slogan vennero considerati come un manifestato di estrema destra. Perché se la presidente di FdI nel 2019 era ancora una leader in fase di ascesa, ora è accreditata come la frontwoman dello schieramento che potrebbe vincere le prossime elezioni. Le parole d’ordine - le stesse che lanciava Salvini nel 2018 - potrebbero trasformarsi in programma di governo. Rimane l’incognita legata al periodo storico, profondamente mutato rispetto al clima che ha caratterizzato l’inizio della legislatura. Gli slogan sovranisti sono ancora capaci di persuadere Sullal’elettorato?pandemia Meloni ha preferito martellare il governo su lockdown e
ELETTORALE DEL CAPO LEGHISTA HA INVESTITO 10 MILA EURO PER SPONSORIZZARE DUE DEI QUATTRO POST COMPARSI SU FACEBOOK
SULL’EMERGENZA SBARCHI LA MACCHINA
14 agosto 2022 45 Prima Pagina
un declino cui ha corrisposto l’emergere, dopo il 2015, di una “destra del video” sempre più agguerrita e strillante con i suoi divi e i suoi conduttori (Paragone, Del Debbio, Giordano, Porro). Una neonata “destra televisiva” che in alcuni casi ha riesumato, avvalendosi non di rado di fasulle messe in scena, i modelli di rappresentazione della tv militante degli anni ’90: i collegamenti esterni, la piazza, la gente. Ma più che dare la parola alla gente, questa la differenza, essa ha amplificato le parole d’ordine delle forze conservatrici e reazionarie del Paese, accentuando spesso le componenti teatrali o addirittura buffonesche della rappresentazione mediatica della politica. Il percorso di avvicinamento della destra al video in cerca di propri conduttori non è stato semplice: lo dimostrò la fallimentare esperienza di Socci, chiamato con Excalibur in Rai a sostituire nel 2002 Santoro dopo la cacciata, programma meteora interrotto dopo alcune puntate. Né su Mediaset, dopo il blitz propagandistico elettorale del ’94, si erano consolidate qualificate esperienze di giornalismo partizan destrorso: quasi un’incapacità ad esprimere professionalità autorevoli e autonome, come accadeva invece per l’altra parte politica. Questo almeno fino a tutto il primo decennio dei Duemila, al termine
del quale qualcosa si muove, a cominciare da Gianluigi Paragone, che dà vita a L’Ultima parola dal 2010 su Rai2 con percentuali d’ascolto anche del 15 per cento. Il giornalista replicava a La7 l’esperienza (ma non gli ascolti) con La Gabbia, per poi nel 2018, fulminato dal grillismo, diventare senatore del Movimento 5 stelle. Accanto a Paragone sono comparsi via via altri conduttori come Porro, già vice del Giornale, (In Onda, La7, 2011; Virus, Rai2, 2013; Matrix, Canale 5, 2016). Oggi Porro conduce Quarta Repubblica su Rete4, la rete berlusconiana che più di altre ha ampliato l’offerta informativa arruolando anche altri giornalisti tra i quali, ai fini del nostro discorso, soprattutto Giordano e Del Debbio, che oggi, il primo con Fuori dal coro, il secondo con Dritto e Rovescio e prima con Quinta colonna, costituiscono il cuore di questa “destra televisiva”, che ha puntato sempre con insistenza sui temi di immigrazione e sicurezza, almeno prima del Covid-19 e della guerra; regalando inoltre (si guardino i dati Agcom) un quasi monopolio di spazio e di parola a Salvini e Meloni, vere superstar dei loro programmi. L’impostazione antipolitica e la rilevanza riservata ai contenuti filoleghisti creavano sì qualche fugace imbarazzo alla stessa Mediaset e all’entourage berlusconiano dopo il risultato elettorale
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La presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, durante una manifestazione del 2019 in piazza san Giovanni a Roma
La ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese
momento delicato: alzate di testa che avrebbero potuto pregiudicare la credibilità di Meloni in vista delle elezioni. Ad oggi è lei l’unica leader del centrodestra ad essersi distanziata in maniera netta dall’intervento russo, ad aver preso le distanze dallo Zar . Silvio Berlusconi - impegnato in una campagna elettorale costruita come un revival delle promesse del passato - non è ancora riuscito a condannare il vecchio amico Vladimir. E Matteo Salvini, dal canto suo, non ha mai smesso di strizzare l’occhio a Mosca, programmando viaggi di pace con l’ambasciata russa e schierandosi contro l’invio delle armi all’esercito Ucraino. Q
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46 14 agosto 2022
Q ©RIPRODUZIONE RISERVATA
obbligo vaccinale. Con la guerra in Ucraina e l’avvicinarsi delle urne, però, la presidente di FdI ha dovuto iniziare ad accreditarsi come leader responsabile, pro-Ucraina e filoatlantica. Il tutto nonostante gli elogi spesi negli anni precedenti in favore del modello-Russia. Gli archivi social ne conservano la memoria: «Giusto che sul futuro della Crimea si esprima il popolo con un referendum», twittava la leader sovranista nel 2014. Oggi Meloni critica Vladimir Putin, si schiera con l’Occidente e incontra l’ambasciatore di Taiwan in chiave anti-cinese. Ma non appena partì l’invasione russa (24 febbraio), il quartier generale di FdI fu costretto ad impartire un ordine di scuderia indirizzato a tutti i militanti: «Di fronte a un attacco militare all’Occidente, al di là delle responsabilità, ci si schiera con i propri alleati», era l’incipit delle lettere indirizzate alle sedi romane del partito. «Pertanto è necessario monitorare le azioni dei propri iscritti, per non incorrere in azioni disciplinari» Il timore, forse, era che le vecchie simpatie putiniane della base potessero riemergere in un
E SI VEDE SULDALL’ANTAGONISTA-ALLEATOSURCLASSATANUMERODITWEET
È MENO ATTIVA SULL’ONLINE
molto meno dotata di capacità di argomentazione critica e di autonomia dalle forze di riferimento, le cui issues supporta, ricostruisce e rappresenta in maniera del tutto subalterna. Mentre la prima si era caratterizzata spesso come una spina nel fianco per la parte politica ad essa più vicina, pungolo critico capace di scatenare polemiche e conflitti anche feroci con la sinistra, la nuova “destra del video” non si arroga mai questo ruolo: piuttosto si accontenta di fare da megafono, da vero e proprio house organ, al centrodestra e ai suoi leader. Anche per questi aspetti potremmo concludere che se la Rai si è caratterizzata storicamente per la lottizzazione tra i partiti, viceversa Mediaset è sembrata nel tempo, tranne alcune pur presenti eccezioni, un inattaccabile latifondo nella piena disponibilità della destra. P.S.: la vedremo presto all’opera, questa “destra del video”, in campagna elettorale e nonostante la par condicio. La tecnica è sempre quella: ai leader della destra che spadroneggiano contrapporre qualche giornalista non omogeneo o qualche politico di seconda linea dello schieramento avverso, così fingendo di pareggiare i conti.
Prima Pagina Verso il voto / Il centrodestra
del 2018 (del resto il balzo in avanti della Lega di oltre 10 punti e il tracollo di Forza Italia forse qualche rapporto con questo tipo di informazione ce l’avevano), ma il tentativo di rinnovare il giornalismo di Rete4 all’indomani del voto, sostituendo Giordano e Del Debbio durava davvero poco. Tanto che i due rientravano più belli e più forti che pria, sempre assecondando supinamente gli argomenti cari alle destre, senza mai un distinguo, una critica, un giudizio contrastante. A volere fare un paragone potremmo dire che la sicurezza e l’immigrazione stanno ai programmi di questa giovane “destra televisiva” come il Sud, la mafia o la corruzione stavano a quelli di Santoro e Lerner: ne hanno in fondo sostanziato l’humus mediatico che ha fatto da fertilizzante alla destra sovranista. Con la differenza, però, che mentre il giornalista salernitano portava sulla scena delle sue trasmissioni realtà del Mezzogiorno e del Paese nascoste o sottorappresentate nei media rispetto alla loro rilevanza, i programmi della “teledestra” hanno fatto l’esatto contrario, sovra-rappresentando una realtà di furti e delitti, più o meno legati all’immigrazione, del tutto sproporzionata rispetto all’incidenza vera dei fatti. Nata dunque con vent’anni di ritardo rispetto alla “sinistra televisiva”, la “teledestra” si presenta dunque però
L’ASPIRANTE PREMIER
48 14 agosto 2022 Prima Pagina L’intervento di PIETRO GRASSO*
a sciagurata crisi di governo e il conseguente scioglimento delle Camere ha impedito la conclusione dell’iter legislativo del disegno di legge sull’ergastolo ostativo, o meglio sui reati ostativi alla concessione di benefici penitenziari. È una materia complessa, gravata da trenta anni di interventi che hanno snaturato l’iniziale impianto. L’obbligo di intervenire a seguito dell’indicazione della Corte Costituzionale poteva essere l’occasione per rivederne l’impianto complessivo e mettere finalmente ordine tra le norme, ma non è andata così.
conseguenti impossibilità applicative. Non è chiaro sia per i condannati, che devono presentare le istanze, sia per i giudici, quale sia il regime istruttorio, l’onere probatorio, nonché l’orpubblicaciazionenereatimantenereCosìciazionemenoclandestinadiritturariduzionestituzionelacomediinformazioniganocompetenteafornireiparerieleperidentichetipologiereatisecommessiinassociazione,adesempiolatrattadipersone,violenzasessualedigruppo,lapro-epornografiaminorile,lainschiavitùecosìvia.Ad-perilreatodiimmigrazionesiarrivaaunadisciplinaseverasecommessoinasso-rispettoalreatoindividuale.comeperplessitàsorgononelunregimepiùlieveperidiomicidio,rapinaedestorsio-aggravatarispettoaformediasso-finalizzateareaticontrolaamministrazione.
Sono fermamente convinto che non si possa approvare il testo della Camera senza modifiche, come sostengono alcune forze politiche pur di utilizzare il tema in campagna elettorale. Sottoporre al vaglio della Corte Costituzionale una legge con tali contraddizioni rischia di produrre una nuova dichiarazione di incostituzionalità.
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*Senatore di LeU, ex nazionaleprocuratoreantimafian
IL TESTO ARRIVATO AL SENATO
ERA CONTRADDITTORIO. LA CRISI HA INTERROTTO UN ITER CHE IL PARLAMENTO DEVE RIPRENDERE
Il testo pervenuto al Senato dalla Camera lo scorso aprile ha il merito di intervenire sui principi di incostituzionalità enunciati dalla Suprema Corte, tuttavia presenta, come ho osservato in commissione Giustizia sin da subito, importanti e inaccettabili criticità, determinate probabilmente dalla necessità di trovare un compromesso politico a scapito della chiarezza tecnica. Infatti, l’introduzione di un nuovo comma (1-bis.2) e la mancata modifica o abrogazione di un comma previgente (1-ter), hanno finito col creare delle insanabili contraddizioni logico-giuridiche con
Sull’ergastolo ostativo serve una legge, non slogan
Sarebbe stato più giusto, come ho proposto e come aveva indicato la commissione Antimafia, mettere ordine tra reati associativi e reati individuali, mentre col testo in esame si crea addirittura una paradossale disparità, per cui i condannati per tali ultimi reati dovranno sottostare a criteri più severi.
Auspico che i parlamentari della prossima legislatura possano far tesoro di tutti i lavori svolti per migliorare questa legge anche su altri punti che ho messo in evidenza con la presentazione di puntuali emendamenti. Sono abbastanza sicuro che la Consulta, nelle more di una procedura parlamentare avviata, potrà concedere un ulteriore rinvio fino alla definitiva approvazione di un buon testo. Del resto il rischio è chiarissimo: non costruire un sistema sufficientemente rigoroso, pur nel rispetto dei principi costituzionali, può riportare senza le dovute certezze fuori dal carcere mafiosi del calibro dei Graviano. Il dovere del legislatore, nel trentesimo anniversario delle stragi di mafia, è quello di adeguare le norme alle indicazioni della Corte Costituzionale senza togliere a esse la loro incisività nel contrasto alle mafie. In tempi di utilizzo di ingenti fondi pubblici per fronteggiare le diverse emergenze che si presentano, è un obiettivo politico irrinunciabile e per questo mi aspetto che sia enunciato con chiarezza nelle proposte di tutti i partiti agli elettori. Q
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50 14 agosto 2022 Autostrade fragili
A QUATTRO ANNI DALLA TRAGEDIA MORANDI I BENETTON
DEL
ESCONO DI SCENA MA I LORO
TOP MANAGER SOTTO PROCESSO HANNO NUOVI INCARICHI
CROLLANO I PONTI TURANO
DI GIANFRANCESCO
uattro anni dopo i quarantatré morti per il crollo del viadotto sul torrente Polcevera a Genova il 14 agosto 2018 chi vive si dà pace. La famiglia Benetton ha ceduto Autostrade per l’Italia (Aspi) per 8,17 miliardi di denaro in gran parte pubblico ed è uscita dal business delle concessioni autostradali. Nel processo iniziato il 7 luglio, e subito rimandato al 12 settembre 2022 per vagliare circa trecento costituzioni di parte civile oltre alle trecentotrenta già ammesse, non ci saranno né Aspi né la controllata Spea, la società di progettazione del gruppo, che hanno patteggiato un risarcimento da 30 milioni di euro, un’elemosina pari allo 0,37 per cento
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un decennio uomo di punta del gruppo di Ponzano Veneto su mandato di Gilberto Benetton, scomparso due mesi e otto giorni dopo la tragedia del viadotto Polcevera. Lui e gli altri hanno scelto la linea difensiva del vizio strutturale ai danni del sessantesimo imputato, il convitato di pietra Riccardo Morandi, morto il giorno di Natale del 1989.
14 agosto 2022 51 AGF/MarfisiN.Foto: Prima Pagina
Chi è dovuto uscire dal gruppo Autostrade dopo i morti e gli arresti ha cercato nuove vie professionali. È il caso di Antonino Galatà, ex ad Spea, che a novembre 2019 ha fondato la società An Consulting o del suo ex collega Massimiliano Giacobbi, in Spea dal 2000 fino a raggiungere l’incarico di “gestione dei progetti complessi”, come si legge nel suo curriculum. Nel febbraio
NON LE CARRIERE
Sono le parole di Egle Possetti, portavoce del comitato delle vittime del ponte MoranAtlantiadeistonedaAtlantiaspihadi,quandoil18marzo2022laCortedeicontidatoilviaallacessionediAutostrade-A-dallasubholdingdellafamigliaBenettonaHra,unasocietàveicologuidataCassadepositieprestiticonifondiBlack-eMacquarie.Rimangonoleresponsabilitàindividuali59imputati,acominciaredall’exaddiediAspiGiovanniCastellucci,per
Il ponte Morandi di Genova, 59indelcrollatosulautostradaleviadottoA10torrentePolcevera,il14agosto2018.Aprocessocorsosonoallasbarraimputati
dell’assegno di buonuscita.
«È la più grande vergogna mai vista in Italia. Evidentemente era già tutto pianificato. Se fossi uno degli azionisti di Autostrade per l’Italia starei nascosto in casa per il resto della mia vita e invece ricevono il plauso per il loro “magnifico lavoro”».
L’Anas guidata da Aldo Isi ha dichiarato di avere portato a termine oltre 86 mila controlli nel 2021 sulle 18 mila opere di scavalco della sua rete, la più estesa d’Italia. Ai 32 mila chilometri verificatii dalla società, controllata dal gruppo Fs, si sono appena aggiunti i circa trecento km della Roma-L’Aquila, dopo che Strada dei parchi del gruppo Toto si è vista togliere la concessione per disposizione di Felice Morisco, il responsabile ministeriale. Le accuse di scarsa manutenzione sono state respinte al mittente per bocca dell’amministratore delegato di Strada dei parchi. È Riccardo Mollo, ex dg di Aspi imputato nel processo per il Morandi, che è stato nominato nel giugno del 2020 con «il caloroso benvenuto» dell’azionista.
Sul fronte dell’ex Mit ribattezzato Mims, il ministro Enrico Giovannini ha attivato un fitto colloquio con la stampa a colpi di cifre colossali. L’ex numero uno dell’Istat ha annunciato 104 miliardi di euro di investimenti complessivi di cui quasi 16 nell’anno corrente. Una quota di 2,7 miliardi di euro è destinata alla sicurezza di ponti, viadotti e gallerie.
I CONTROLLI
52 14 agosto 2022
La prima iniziativa è stata la creazione dell’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria stradale e autostradale, in breve Ansfisa, costituita con il decreto legge 109 del settembre 2018 dal governo gialloverde e dal ministro delle Infrastrutture grillino Danilo Toninelli, autore di duri attacchi alla gestione Benetton. Ma già con il ministro grillino l’Ansfisa ha rallentato. Il primo direttore, Alfredo Principio Mortellaro, si è dimesso a fine 2019 perché non aveva personale. Lo statuto dell’authority è entrato in vigore il 1° maggio del 2020. Soltanto ai primi di agosto di quest’anno l’agenzia, che dal maggio 2021 è guidata da Domenico De Bartolomeo, ex dirigente regionale dei vigili del fuoco in Friuli Venezia-Giulia, ha chiuso un bando di concorso per l’assunzione di quindici dirigenti di seconda fascia.
ti su 87 di fatturato, c’è l’avvocato Marco Annoni, che nella sua lunga carriera ha assistito la Stretto di Messina, Astaldi, Quadrilatero Umbria-Marche, la Siremar, due linee metro a Milano e, per variare, l’Ilva.
Aldo Fossano,crolloneloltreaveresocietà ha23generaledelegatoIsi, amministratoreedirettorediAnasdaldicembre2021.Ladichiaratodiportatoatermine86milacontrolli2021.Inalto,ildelviadottodiCuneo
Autostrade fragili
Intanto che Ansfisa si attrezza, controlli e ispezioni sono stati divisi fra lo Stato e i privati. Le verifiche sulla rete Aspi che hanno miaProger,mascherinedellarenocdaall’ospedalestrapasqua,tebra unchedell’altrapartecipatafidamentogergoEnelsiedutostateconsentitounlautoincassoaiBenettonsonoaffidateallaProger,unthinktankpre-dall’exLegambienteedexpresidenteChiccoTesta,laureatoinfilosofia.Neldeilavoripubblicisiparlerebbediaf-inhousevistocheProgerèunadiCdp,lacontrollantediAspi,eholdingpubblicaSace-Simest.PiùunasocietàingegneristicaProgersem-salottodellapolitica.Ilvicepresiden-èl’exnumerounodell’InpsAntonioMa-agiudizioperirimborsitruffaIsraeliticodiRoma.ÈstatonelRobertoDeSantis,imprenditoresalenti-vicinoaMassimoD’Alema.Lostampato-VittorioFarinautilizzavalasederomanaspaperisuoicolloquinell’affaredelleanti-Covid.Fragliazionistidicheprosperanonostantelapande-conoltre5milionidieurodiprofittinet-
2021 Giacobbi ha costituito e finanziato la sua società di engineering Poliedrica. In Poliedrica lavora Lucio Ferretti Torricelli, imputato anche lui, che in Spea era responsabile dal 2016 delle opere d’arte, cioè i ponti eCheviadotti.lostato delle opere d’arte stradali fosse pessimo i tecnici Aspi lo sapevano anche da prima del 14 agosto 2018. Lo shock della voragine, i bambini sulla strada delle vacanze precipitati per decine di metri, lo scandalo hanno imposto allo Stato una replica all’insegna dell’ammuina borbonica.
A Genova l’omicidio colposo plurimo e l’occultamento di prove sono reati più difficili da prescrivere. Soprattutto la visibilità mediatica è molto maggiore rispetto alle altre sciagure, salvo forse l’incidente ferroviario di Viareggio del 29 giugno 2009. Anche lì il top manager, Mauro Moretti, si era riciclato alla guida di Finmeccanica. Tredici anni dopo è arrivata la condanna nell’appello bis. Q
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Enrico Giovannini, già presidente MorandiimputatoadGiovannitrasporti.Infrastruttureministro delledell’Istat, èedeiInalto,Castellucci,exdiAtlantiaediAspi,perilcrollodel
Sorte simile attende il processo per il crollo del viadotto di Fossano piombato su una macchina dei carabinieri il 18 aprile 2017, miracolosamente senza vittime. A giugno 2022 è iniziato il dibattimento per dieci imputati. Due tecnici Anas sono già stati assolti con il rito abbreviato.
Se tanti accusati del crollo del Polcevera si sono già riciclati non c’è da stupirsi e non solo per la presunzione di innocenza. Nel campo disastri stradali la rubrica delitto e castigo è parecchio sbilanciata a favore delle difese fra perizie tecniche, archiviazioni e prescrizioni.L’elencodegli ultimi dieci anni è impressionante. In ordine cronologico, il primo incidente grave porta la data del 28 luglio 2013 ed è avvenuto sul viadotto dell’Acqualonga a Monteforte Irpino lungo l’A16 Napoli-Canosa. La sciagura più grave prima del Morandi con quaranta morti è arrivata in appello. In primo grado la condanna più pesante, dodici anni, è toccata a Gennaro Lametta, proprietario del pullman precipitato con i turisti di ritorno dal santuario di San Pio a Pietrelcina. Il dirigente di Autostrade per l’Italia Paolo Berti, a processo anche a Genova, è stato condannato a cinque anni e dieci mesi insieme ad altri cinque colleghi mentre l’ad di Aspi Castellucci è stato assolto e il 9 giugno scorso si è presentato per la prima volta in aula a Napoli a testimoniare. La sentenza è prevista per il prossimo febbraio.
Per il viadotto Scorciavacche sulla statale Palermo-Agrigento, crollato senza vittime una settimana dopo la sua inaugurazione nel dicembre 2014, ci sono tredici imputati inclusi i vertici dell’Anas del tempo, il presi-
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Non si ha notizia nemmeno del procedimento contro ignoti per disastro ambientale avviato dopo il crollo del ponte sulla statale 195 Sulcitana fra Cagliari e Capoterra il 10 ottobre 2018.
dente Pietro Ciucci e il condirettore tecnico Alfredo Bajo. Il processo si è perso fra conflitti di competenza territoriale fra i tribunali di Palermo, Termini Imerese e Roma. Nel 2023 scatterà la prescrizione. Idem per il viadotto Himera a Scillato sulla Palermo-Catania, crollato il 10 aprile 2015 e arrivato in primo grado a marzo 2022 con due condanne a un anno per un dirigente regionale Anas e uno della protezione civile.
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IL MINISTRO
14 agosto 2022 53 (2)A3/FotoTreP.Ansa,/R.SassoFoto:
La prescrizione incombe anche sul crollo della galleria Bertè dell’A26 il 30 dicembre 2019 con ventuno indagati fra i quali Castellucci, Berti e Michele Donferri Mitelli, direttore manutenzione Aspi arrestato per il Polcevera a novembre 2020. Il processo è rallegrato, se così si può dire, dall’intercettazione di un colloquio fra i due ispettori che, invece di ispezionare, intonavano un brano di Loredana Bertè, solo omonima dellaUngalleria.meseprima, il 24 novembre 2019, altri due incidenti. In Val Bormida, tra Savona e Altare, una frana ha spezzato in due l’A6, senza vittime ma con conseguenze imponenti per il traffico sul quadrante di nord-ovest, già messo in crisi dalla voragine del Morandi. A gennaio 2021 l’inchiesta è stata archiviata. Nella stessa domenica si è aperta una voragine sull’A21 Torino-Piacenza a Villafranca d’Asti. La Procura astigiana ha aperto un fascicolo modello 45, senza indagati né ipotesi di reato.
MEDICO
54 14 agosto 2022 Salute
DI BASE CERCASI SANITÀ
Visita domiciliare ad un’anziana
DALL’ALBA PER LE PRESCRIZIONI. E SI RIVOLGONO PURE AGLI OSPEDALI
La provincia di Bergamo ha pagato un tri-
ultima arrivata resta in piedi, di fianco alla porta da cui entrano le fiamme di agosto. Da giorni la pianura padana è un microonde: muoversi è boccheggiare nell’afa inedita per intensità e durata che il cambiamento climatico impone. La signora appena entrata vacilla. «Chi viene prima di me?», chiede, poi si appoggia allo stipite. Ha una busta di plastica in una mano, nell’altra un plico di fogli bianchi e rossi. Sono ricette di farmaci, «devo solo ripeterle», spiega, deve cioè rinnovare delle prescrizioni per una malattia cronica. La sala d’aspetto dell’unico studio medico di base aperto, a Levate, è gremita. In questo borgo della provincia bergamasca, case nuove e abitanti in crescita lungo l’asse Milano-Bergamo-Brescia, la piazza e le strade sono vuote, fa troppo caldo. Mentre qui, sopra i gradini del dottore, sembra un ritrovo, quasi non ci si muove dalla gente che c’è. Non sono qui perché fa fresco. Ma perché a Levate l’emergenza è la sanità, più che la temperatura. Metà degli abitanti del paese è senza medico di base, senza una persona di fiducia a cui rivolgersi. Sono andati in pensione due dottori e da allora tremila cittadini si muovono nel caos. «Mia madre ha 91 anni, ieri non stava bene. Siamo partite e siamo andate al pronto soccorso dell’ospedale di Treviglio. Codice Bianco. Abbiamo aspettato tutto il giorno. Finalmente entriamo e il dottore scocciato ci fa: “Eh ma per queste cose deve andare dal suo medico di base”. Ma se io non ce l’ho il medico di base! Cosa devo fare eh?», racconta una donna, capelli ricci, leggins rosa, ogni parola che passa detta con più rabbia: «Adesso sono qui per chiedere se ci fanno le ricette, anche se non siamo pazienti registrati, perché altrimenti...».
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DI FRANCESCA SIRONI
SironiFrancesca Giornalista
IN LOMBARDIA, NELL’AREA PIÙ COLPITA DALLA PANDEMIA L’ASSISTENZA È IN TILT. GLI ANZIANI FANNO LA FILA
L’
buto di vite e sofferenza altissimo alla prima ondata della pandemia. Sono passati due anni dal 3 marzo del 2020 e la paura non si è sciolta. A Nembro gli “Andrà tutto bene” sono ancora appesi, sbiaditi, alle finestre. Ad Alzano Lombardo, luogo della mancata zona rossa, si commemorano ogni marzo le vittime in piazza. In questa provincia di Bergamo, insomma, che nel pieno dell’epidemia urlava al Paese l’importanza della medicina del territorio, della cura di prossimità, che chiedeva di non lasciare indietro i fragili perché quando una catena di casi impatta gli ospedali è troppo tardi, in questa provincia di Bergamo, insomma, ci sono ventiduemila abitanti senza medico di riferimento. 22.079, per l’esattezza, come ricordava a luglio la stessa direzione sanitaria. Mancano 105 professionisti, per completare gli ambiti scoperti, aggiungendosi ai 559 medici di base attualmente in servizio. Risultato: ci sono 22mila residenti che sono rimasti del tutto senza figura di fiducia. Per ogni medico che è andato via, in pensione o a fare altro, è saltata la copertura dell’ambito. La mancanza di medici territoriali è sintomo di una carenza strutturale che riguarda tutta la Lombardia, come mostrava L’Espresso qualche settimana fa. Questo problema di organico, strutturale, se vissuto paese per paese è smarrimento, nervosismo, e un’Istituzione che arretra. L’Azienda sanitaria di Bergamo ha provato a rispondere all’emergenza potenziando all’inizio la “Continuità assistenziale diurna”, l’ex guardia medica. Prima era uno sportello aperto solo durante i weekend. In primavera è stato esteso e potenziato per i comuni più scoperti. A Treviglio, trentamila abitanti, un
La campagna per la distribuzione del vaccino anti-influenzale a Bergamo. A destra, visita a domicilio ad una paziente in quarantena
terzo dei residenti era senza medico: sei andati via, nessun passaggio di testimone. Per loro la continuità assistenziale ha significato stare al telefono su due numeri di centralino, disponibili due ore al giorno, dalle 9,30 alle 11,30 di mattina, per essere smistati da medici che di volta in volta si rendevano disponibili a una ricetta o a un controllo. «Ho chiamato, sa cosa mi hanno detto? Che c’erano 70 pazienti prima di me. Ho rinunciato», commenta una signora che alla fine è venuta qui: «A un mio parente l’hanno mandato a 15 chilometri da casa sua». «Senta, può portare dentro lei queste ricette se la chiamano? Grazie!», chiede una vicina: «Così intanto vado a ritirare i sacchi per l’umido in Comune». La gente si organizza. «Si prega di non introdurre in questo ufficio buste di ricette in assenza della segreteria», è scritto in stampatello fuori dalla porta della Continuità assistenziale di Treviglio, di fianco alla farmacia. «Io ho paura a portare mio papà al Pronto Soccorso. Piuttosto vengo qui alle sette, come ho fatto l’altro giorno, e aspetto fino alle due per esser ricevuta. Anche se devo chiedere le ferie», dice una donna dall’aria mite (sono tutte donne nella sala d’attesa di Levate, questa mattina). Dal primo agosto anche l’Azienda territoriale di Bergamo ha accantonato la Continuità assistenziale, sostituita da un servizio che permette ai senza-medico di andare in farmacia e consultare i dottori che si sono resi disponibili quel giorno, attraverso un portale, per andare nelle relative sale d’attesa con i propri plichi di ricette, i problemi da risolvere, i dubbi di salute.
Salute
56 14 agosto 2022
A luglio un bando della Direzione sanitaria ha ricevuto però la risposta positiva di 15 nuovi medici di base, neo-vincitori di concorso. Da soli potrebbero coprire, prendendosi carico di 1.500 pazienti a testa, 22mila cittadini, ovvero l’intero fabbisogno della provincia scoperta. Tutto risolto? Non proprio. Perché come spiega Michele Sofia, direttore sanitario dell’Agenzia di tutela della salute di Bergamo, i medici di base sono liberi professionisti: non può essere il servizio pubblico a decidere dove prenderanno sede. Per quanto ci siano aree disperate, dove gli abitanti hanno urgenza di avere risposte, ed altre dove in qualche modo invece ci si è arrangiati, saranno i neo vincitori a decidere dove aprire il proprio studio. «Possiamo giusto provare con la
moral suasion», spiega Sofia: «Niente di più». Il 28 luglio avrebbe dovuto essere pubblicata la mappa dei luoghi scelti dai nuovi professionisti di ruolo, ma ancora non se ne ha notizia. «Stiamo parlando con i sindaci», spiegano dalla direzione. Il tentativo è probabilmente quello di individuare servizi e strutture che possano convincerli a trasferirsi dove c’è più bisogno. Ma se 15 medici potrebbero risolvere la questione, perché ne mancano 105 per completare l’organico previsto?
IL SUPPORTO
Perché in questi ultimi mesi molti hanno fatto come Roberto Longaretti, il dutùr della Val Cavallina, studio a Borgo di Terzo, certezza granitica del territorio. Longaretti questa mattina si è alzato alle sette, ha acceso il telefono, e iniziato a rispondere. La prima chiamata è stata alle 7,15, con un collega, per organizzare una trasfusione a domicilio per un paziente oncologico. Alle otto e mezzo è arrivato in studio e ci è rimasto fino alle due. Nel pomeriggio andrà alle visite domiciliari. Longaretti è una risposta perché vista la mancanza di colleghi ha alzato il proprio bacino a 2.000 pazienti, rispetto ai 1.500 della media. «Non è impossibile, se ci si organizza bene, con un ufficio di segreteria che dia una mano, e una infermeria dove appoggiarsi. L’importante è riuscire a dedicare più tempo possibile alle visite». Arianna Alborghetti ha 37 anni e si è inserita ad aprile del 2019 in uno studio medico di Bergamo: «Per me la soluzione è la medicina generale di gruppo», racconta: «Qui siamo cinque colleghi, condividiamo le spese per segreteria e l’infermeria, ci diamo supporto sulle sostituzioni... è utile e funziona». An-
DA QUANDO DUE PROFESSIONISTI SONO ANDATI IN PENSIONE
zione. Ma per quanto potrà andar bene, è una proiezione che ci vede inseguire i vuoti ancora per 4/5 anni». Marinoni ha una lunga esperienza, ed è concreto nelle risposte che immagina: «Lo stipendio di un medico è buono - sono circa tremila euro al mese, detratte le spese. Se potenziassimo gli strumenti per i servizi di supporto - per affitti, assunzione di personale amministrativo e infermieristico, gestione delle sostituzionipotrebbe essere più invitante anche per le giovani generazioni, magari, che invece dopo anni di studi universitari sono ovviamente più affascinate da altre specializzazioni». Melania Cappuccio è passata da 30 anni di esperienza nei reparti di Geriatria e nella direzione di una Rsa a uno studio di medicina di base ad Albino. «Vorrei diventare una sorta di “geriatra territoriale”, perché è un bisogno fortissimo», racconta: «Se ben affrontata, la medicina generale è una bellissima professione, che permette di spaziare nelle branche. Instradare il paziente verso i giusti quesiti diagnostici è fondamentale, così come aiutare ad avere informazioni rispetto alle possibilità di cura». Anche Cappuccio lamenta il carico di adempimenti burocratici, fra ricette e fascicoli, che deve seguire, «ma se ci si organizza bene, si alleggeriscono». La Regione adesso sta seguendo la via delle Case e gli Ospedali di comunità, luoghi dove medici di base e specialisti dovrebbero essere disponibili a una presenza ambulatoriale, così da permettere ai pazienti di trovare soluzioni diverse in un solo luogo, senza approdare alle strutture ospedaliere. Il Pnrr ci ha investito 3,2 miliardi di euro. Le inaugurazioni delle nuove sedi si susseguono anche nella Bergamasca, ma la percezione cittadina è ancora confusa e l’adesione effettiva dei professionisti resta un’incognita su cui lavorare sede per sede. Si vedrà. «Intanto vuole sapere come funziona veramente, qui?», chiede una donna sulla cinquantina, accendendosi una sigaretta, sul muretto fuori dallo studio medico di Levate: «Funziona che il medico che è andato in pensione riceve ancora, a casa sua. Da libero professionista, in forma privata. Sono quaranta euro per una visita di giorno, 80 se la telefonata è notturna. Non può più firmare le ricette, però, per cui alla fine andiamo da lui per la visita, e poi facciamo la coda qui la mattina per avere le carte».
«L’unica soluzione», aggiunge Marinoni: «È aumentare gli accessi ai corsi di forma-
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che lei ha alzato il bacino a 1.600 pazienti, «ma oltre non riesco, non potrei più fare le visite a domicilio, che dopo il Covid-19 sono raddoppiate, perché comunque il carico burocratico è alto e non possiamo affidarlo ad altri». «Ho avuto l’incredibile fortuna di trovare un sostituto, e fra poco potrò andare in vacanza. Ma non è scontato», racconta Marco Agazzi, dottore di Ponte San Pietro, 12mila abitanti nella bassa Bergamasca: aveva 1.300 pazienti a carico, ora è salito a 1.700: «Gli ambiti scoperti sono tanti. Sia in cittadine come Treviglio, che nelle valli, dove gli anziani restano soli. Sono dieci anni che facciamo presente il problema nei palazzi della Regione. Non possono dire “non lo sapevano”». Il medico di base, dice Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo, «è la porta d’ingresso al Sistema sanitario nazionale. La continuità e la fiducia nel rapporto medico-paziente dovrebbero essere la base della nostra professione. E adesso in molte zone è praticamente impossibile. È inaccettabile».
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IN PROVINCIA DI BERGAMO 22 MILA SONO SENZA UN DOTTORE. A LEVATE, METÀ DEGLI ABITANTI
CRESCE A DECINE DI MILIONI
OGNI ANNO IL NUMERO DELLE PERSONE CHE NON RIESCE A NUTRIRSI. L’ALLARME DELL’ONU
DI EUGENIO OCCORSIO
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e cifre fanno paura e salgono in modo esponenziale: 828 milioni di persone, il 10% della popolazione mondiale - più degli abitanti di Stati Uniti e Unione europea sommati - soffrivano la fame alla fine del 2021: 46 milioni in più dalla fine del 2020 e 150 milioni dallo scoppio della pandemia. Quando si tireranno le somme del 2022, il calcolo, che emerge da un rapporto appena coordinato dalla Fao e realizzato insieme con altre agenzie dell’Onu (Oms, Unicef, Wfp e Ifad), sarà aggiornato in modo altrettanto straziante: la guerra in Ucraina mette a rischio 323 milioni di persone che dalle forniture alimen-
NELL’INDIFFERENZA MONDIALE
tari dai due Paesi dipendono, e si aggiunge alla siccità, all’inflazione, alle carestie e alle ondate di calore che rendono questo l’anno più caldo e più secco di tutti i tempi. Per non parlare del Covid che è tutt’altro che scomparso. La Banca Mondiale calcola che 100 milioni si aggiungeranno nel 2022 al numero delle persone «in povertà estrema». Sarà, dopo il 2020, il secondo anno peggiore della storia. Non è finita: la Fao aggiunge che 2,3 miliardi di persone (29,3%) sono in «insicurezza alimentare moderata o grave», 350 milioni
L OccorsioEugenio Giornalista
IL HAMONDOSEMPRE PIÙ FAME
Sono le quattro “C” dell’infamia, dice David Beasley, direttore esecutivo del World Food Programme: «Cost, Covid, Conflicts, Climate. Tutte insieme, una congiunzione di sciagure quale mai si era abbattuta sull’umanità, hanno creato la crisi attuale». Eppure, neanche tanto tempo fa sembrava imboccata la via dell’eliminazione della fame. Fra il 2005 e il 2014 le persone denutrite erano scese del 30% da 806 a 572 milioni. «La soluzione sembrava a portata di mano, al punto che in un summit del 2015 fu fissato il 2030 come data per questo risultato, straordinario ma allora realistico», spiega
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in più rispetto allo scoppio della pandemia. La cifra sale ancora a 3,1 miliardi, sempre secondo la Fao, se si considerano coloro che «non possono permettersi una dieta sana ed equilibrata» in conseguenza dell’inflazione sui prodotti alimentari, anch’essa dovuta alle ripercussioni economiche del Covid, in aumento di 112 milioni rispetto al 2019. Sempre nei due anni e mezzo di pandemia, la Fao stima che 45 milioni di bambini sotto i 5 anni abbiano sofferto di deperimento da carenza cronica di nutrienti essenziali nell’alimentazione, il che in età infantile e in ambiente ostile aumenta 12 volte il rischio di morte. Inoltre, 149 milioni di bambini di meno di
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Sud Sudan: a Karam, nella contea di Uror, addetti della Oxfam consegnano gli aiuti del Wfp (World Food Program)
cinque anni hanno subito un ritardo di crescita e di sviluppo.
Per avere un’idea della tragedia, prendiamo la Somalia (posizione 192 su 193 ex aequo con la Sierra Leone nella classifica 2021 del Fondo Monetario con 314 dollari di Pil pro capite su 11.100 di media globale): 7 milioni di abitanti (metà della popolazione) sono in stato di insicurezza alimentare grave secondo il Wfp, 1,5 milioni di bambini sotto i 5 anni soffrono di malnutrizione acuta, 386mila di loro grave. Nella zona controllata con metodi mafiosi dai jihadisti di Al-Shabaab, 800mila persone sopravvivono senza possibilità di uscita in un territorio arido e improduttivo, in cui neanche
l’Onu riesce a entrare. Tutti rischiano la vita senza cure urgenti e cibo. Da quattro stagioni delle piogge non cade una goccia, la peggior siccità da quarant’anni, peggiore di quella che nel 2011 costò la vita a 250mila persone. Il Paese per colmo di sventura dipende al 100% dal grano russo/ucraino: per il 70% dall’Ucraina e per il 30% dalla Russia. Trenta Paesi africani hanno una dipendenza superiore al 50% dalle forniture dei due belligeranti. L’Egitto dipende dai due Paesi per l’80% del fabbisogno alimentare (20% Ucraina, 60% Russia), il Sudan per il 75%, il Congo (dove il 22 febbraio 2021 l’ambasciatore Luca Attanasio fu ucciso mentre andava a visitare un campo del Wfp) per il 70%, e poi il Senegal al 68%, la Tanzania al 66, il Madagascar al 65 e così via. «È un dramma nel dramma della guerra, una catastrofe sopra un’altra catastrofe», riprende il direttore Wfp, Beasley, che ha ritirato nel dicembre 2020 il Nobel per la pace assegnato all’agenzia. Non solo il grano ucraino viene spedito via Mar Nero ma anche quello russo, a sua volta quasi fermo per la tensione internazionale (anche se le sanzioni non vietano a Mosca l’export alimentare) e per la complicazione nei finanziamenti al commercio e nelle assicurazioni navali. Quel poco di cereali che la Russia esporta viene veicolato
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Somalia: il campo di Kabasa dove sono accolti i cosiddetti “sfollati interni”, vale a dire le persone costrette a lasciare i luoghi di residenza restando nel Paese
3% India Kazakistan
Fonte: Usda,
Ing Research 18% Unione Europea 17% Russia 12% Ucraina 12% Australia 11% USA 9% Altri 7% Canada 7% Argentina
Stime delle esportazioni di grano per il 2022 per paese di produzione
4%
DA DOVE VIENE IL GRANO
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Maurizio Martina, vice direttore generale della Fao. «Invece le cose sono andate tutte nel verso sbagliato. Il cambiamento climatico ha portato conseguenze sempre più devastanti, ai tanti conflitti locali si è aggiunta la guerra in Ucraina, l’inflazione ha reso prodotti come grano e fertilizzanti semplicemente irraggiungibili per enormi fasce di umanità». Secondo le previsioni aggiornate, nel 2030 quasi 670 milioni di persone (l’8% della popolazione) soffriranno ancora la fame, dato simile al 2015. Quindici anni che dovevano essere risolutivi e che invece andranno sprecati.
La Fao, nata nel 1945 insieme all’Onu, funge da agenzia di coordinamento per monitorare e intervenire nelle situazioni a rischio. Il Wfp «è il braccio operativo, che interviene nelle zone più sventurate per salvare vite e portare aiuti materiali», dice Beasley. «Dei nostri 21mila effettivi, il 90% è dislocato sul campo in 120 Paesi ». È un lavoro durissimo: «Ci troviamo a volte costretti - racconta Beasley - a scelte tremende, come togliere cibo a chi ha fame per darlo a chi di fame sta morendo: stiamo passando dalla difficoltà di accesso al cibo perché i prezzi sono inavvicinabili al rischio di indisponibilità vera e propria». Non è teoria: è successo a Sri Lanka, Haiti, Burkina Faso, Afghanistan, Indonesia. «Cinquanta milioni di persone - avverte Beasley - sono sull’orlo della carestia in 45 Paesi». Conferma Martina: «Se esiste un problema di accesso al cibo per via degli alti prezzi, l’anno prossimo rischiamo un problema di disponibilità per via del cambio climatico. Tutti i modelli agricoli del mondo sono chiamati a un cambiamento epocale e le agricolture più fragili dei Paesi in via di sviluppo sono ancora una volta la frontiera più esposta».
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via terra verso la Bielorussa e i Paesi amici dell’Asia centrale. Ma al di là della provenienza, il problema è che il grano è venduto a prezzi di mercato, del 56% più alti di un anno fa. Il G7 ha annunciato un’apposita linea di credito da 4,5 miliardi per aiutare i Paesi più poveri ad acquistare il grano e a investire nella loro agricoltura, ma non basteranno. «Intanto il nostro lavoro sul campo in Ucraina va avanti», racconta Martina. «Ora siamo concentrati nella realizzazione di strutture per lo stoccaggio dei prossimi raccolti. Abbiamo lanciato una gara internazionale per questo con l’obiettivo di fornire una capacità di stoccaggio di almeno 4 milioni di tonnellate di cereali, il 25% del deficit stimato». Non è finita: «C’è poi da considerare l’impatto che l’aumento del prezzo dei fertilizzanti sta avendo sulla sicurezza alimentare globale, altrettanto devastante». Nonsolo Ucraina. I conflitti spazzano ogni angolo del mondo, dall’Afghanistan dove metà della popolazione vive in condizioni di indigenza, fino all’Ecuador colpito da un’ondata di cicloni e siccità alternate. Ma la situazione più grave resta nell’Africa sub-sahariana, dove la sofferenza va al di là della fame. La Fao analizza parametri come la “low birthweight”, i bambini che nascono
con un’altezza insufficiente rispetto alle medie del loro ceppo etnico, problema che interessa il 15% dei neonati nelle aree a rischio, 21 milioni. Sale al 22% (150 milioni) lo “stunting”, la condizione di essere troppo bassi lungo lo sviluppo. E meno della metà (43,8% ovvero 59,4 milioni) sono allattati al seno, il che in zone particolarmente difficili attribuisce una provvidenziale difesa immunitaria.Nontutto succede per le bizzarrie della natura e neanche per le guerre. Andrea Boitani, un economista della Cattolica, ha scritto un libro, “L’illusione liberista” (Laterza) che documenta come nel recente passato molti economisti abbiano avallato le spaventose disuguaglianze che hanno aggravato la situazione: «Il mondo cresce e prima o poi la povertà si elimina, quante volte lo abbiamo sentito dire?», accusa. «Oppure la trickle-down economy: lasciate che i ricchi diventino sempre più ricchi e poi qualcosa “sgocciolerà” (trickle-down) anche per i poveri. Ancora: ci hanno raccontato che la globalizzazione ha fatto bene perché milioni di persone sono uscite dalla povertà assoluta. Vero, ma ne ha lasciate altrettante se non di più a rischio: sono in parte usciti dalla fame ma le condizioni sanitarie sono tali per cui al minimo stormir di fronde cadono di nuovo in una condizione disperante». Riflette amaramente Boitani. «L’atteggiamento negazionista sulle sofferenze di tanta gente è diffuso, basta guardare all’ottusa opposizione a una più ampia diffusione dei vaccini contro il Covid. Il risultato è che, come documenta l’Oxfam, per la prima volta dagli anni ’90 peggiora non solo lo standard medio di vita ma gli investimenti nelle zone più povere e oltretutto più esposte ai cambiamenti climatici». Un mondo abbandonato, oltre che affamato.
n © RIPRODUZIONE RISERVATA 828 le persone che soffrono la fame, il 10% della popolazione mondiale (8 miliardi) MILIONI 150 l’incremento di quanti soffrono la fame nei primi due anni di Covid, 2020 e 2021 MILIONI 670 soffriranno ancora la fame nel 2030: nei programmi dell’Onu per quell’anno il numero doveva essere azzerato MILIONI ALLA PANDEMIA SI È AGGIUNTA LA GUERRA. ALCUNI PAESI AFRICANI PRODOTTOTOTALMENTEDIPENDONODALGRANODARUSSIAEUCRAINA Fonte: Fao-Wfp
DOPO UN ANNO DI GOVERNO TALEBANO L’ECONOMIA È FERMA. POVERTÀ
no non riconosciuto, il paese ha sofferto un “brain drain” difficile da digerire. La maggior parte di coloro che avevano conoscenze e studi, sono stati portati in occidente penalizzando ancora di più la ricostruzione. Tutti si scagliano solamente contro i talebani, quando anche la comunità internazionale porta grandi responsabilità. E tutti dimenticano che sono sempre gli afghani a pagarne le «Cerchiamoconseguenze.di aiutare il governo, ma ora ci ascoltano sempre meno. Siamo frustrati ma sappiamo che cercano di lavorare per il paese, diminuendo la corruzione rispetto al governo precedente», continua Haji Zirack. I talebani stanno cercando di porre fine al commercio illegale di oppio e di legname pregiato. Ma è difficile quando la gente ha fame ed è mercato che fa gola a molti.
AFGHANISTAN
E FAME NELL’INDIFFERENZAAUMENTANO.DELL’OCCIDENTE
DI FILIPPO ROSSI FOTO DI LORENZO TUGNOLI
L’economia non gira. Tante persone hanno perso il lavoro, spesso creato da Ong occidentali, da istituzioni internazionali e dal governo precedente. E nessun nuovo posto di lavoro è stato creato. Uscire dalla dipendenza è difficile. I salari sono dimezzati per tutti e i prezzi si sono alzati. Molti non riescono ad avere abbastanza cibo, dipendendo dagli aiuti umanitari che «Sescarseggiano.primapiù del 70 per cento delle entrate di-
arai Shahzada, l’edificio della “borsa” di Kabul, è in fibrillazione già di primo mattino. La gente corre, urla, esce dagli uffici stracolmi. È il centro nevralgico dell’economia del paese. Zirack Abdul Rahman, il responsabile, è oberato. Si ferma un attimo per parlare: «Lo scorso 15 agosto, l’economia è collassata. Il sistema bancario era a terra, niente funzionava. Abbiamo dato una mano al nuovo governo per importare beni di prima necessità. È crudele ciò che l’occidente e gli americani hanno fatto al paese. Hanno messo a terra il popolo afghano, i commercianti, le donne, l’ambiente accademico. Questa è democrazia? Distruggere l’anima di un paese?». Un anno è passato da quando i talebani sono tornati al potere. L’Afghanistan boccheggia, viaggiando a due velocità differenti. Kabul soffre ancora dei retaggi del cambiamentounico centro dove alcune influenze esterne hanno cominciato a circolare - vivendo una situazione di paralisi economica e sociale e faticando ad abituarsi ai nuovi padroni. Molti talebani sono impreparati a una vita di città dopo anni passati in isolamento. Sono diffidenti. Ci vorrà tempo. Nel resto del paese, perlopiù rurale, si è sentito il collasso economico anche se non molto è cambiato rispetto a prima.
Haji Zirack è sincero. E non ha torto. Oltre aun’economiadebole,lesanzionieungover-
S
64 14 agosto 2022 ContrastoFoto: Ritorno a Kabul
Filippo Rossi Giornalista
14 agosto 2022 65 Prima Pagina
ABBANDONATO
Kabul, l’area di Ghazi
Le ragazze dai 7 ai 13 anni e le studentesse universitarie invece, sono tornate normalmente sui banchi, sebbene con regole più «consone ai valori culturali afghani e alla religione islamica, che gli afghani mettono come priorità», come spiega il rettore dell’Università di Kabul Osama Aziz. Lo storico ateneo ha riaperto le porte a 12 mila ragazzi e 8 mila ragazze lo scorso 6 marzo. 3 giorni dedicati alle ragazze e 3 ai ragazzi. «Speriamo di ampliare gli spazi così da permettere a tutti di venire ogni giorno», continua il rettore.
Ma il nodo più difficile da sciogliere fra chi ha imposto il proprio diktat per anni, l’occidente - volendo quasi ricattare il governo talebano e gli afghani in cambio di allentamenti delle sanzioni - e chi vuole difendere i propri valori culturali, è la questione femminile. Se le donne hanno un posto marginale nella società afghana, e fuori dalle città niente è
I talebani, inoltre, sono accusati a livello internazionale di non voler creare un governo inclusivo e di non rispettare i diritti umani. Con la scusa della sicurezza infatti, come dice una fonte anonima, «molte persone spariscono nel nulla, accusate di essere membri dello Stato Islamico». Ma non è confermato.
In coda davanti a una banca di Kabul
È lunedì mattina. Uno dei tre giorni predisposti per le ragazze. Escono a gruppi, ri-
Ritorno a Kabul
Ma i 9 miliardi congelati dagli Stati Uniti devono tornare qui. Il 30 per cento non appartiene allo stato ma ai commercianti afghani. È un crimine», commenta Abdul Rahim Habib, portavoce del Ministro dell’Economia.
ContrastoFoto:
A Kabul, come nel resto del paese ci si sveglia allontanandosi ogni giorno di più dai ricordi della guerra, della paura, dalle esplosioni e i raid che hanno terrorizzato tutti per quasi 20 anni. Gli attentati non sono terminati, vista la presenza di gruppi dissidenti. Ma sono casi isolati, spesso sono rivendicati dallo Stato Islamico, sempre più debole. Nel nord del paese e in Panshir invece, una resistenza irrisoria è tenuta sotto controllo.
davvero cambiato rispetto a 50 anni fa, dopo l’arrivo dei talebani, è soprattutto Kabul a sentire il contraccolpo. Molte ragazze hanno perso il posto di lavoro - sono tornate ai loro posti precedenti solo in ospedali, banche, in alcuni ministeri e le professoresse - e le adolescenti fra i 13 e i 18 anni ancora non possono tornare a scuola (anche se in alcune provincie e alcuni distretti tutto è stato riaperto).
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pendeva dal budget occidentale, oggi per la prima volta siamo autosufficienti. Lavoriamo per essere il meno dipendenti dall’esterno. Esportiamo tanto carbone e altre risorse.
Il ritorno all’attualità di Al-Qaeda ha riportato a galla non solo i fantasmi del passato ma anche i problemi interni alla leadership del paese, divisa come non mai su più aspetti. Una lotta di potere, quella fra il network Haqqani (radicali e vicini ad Al Qaeda) e il clan Durrani - meno conservatore e aperto al cambiamento - che potrebbe anche incrinare le già fragili relazioni con l’occidente.
“I NOVE MILIARDI DI DOLLARI CONGELATI DAGLI STATI UNITI DEVONO TORNARE NEL PAESE. SONO NOSTRI, APPARTENGONO AL NOSTRO POPOLO”
Tuttavia, dopo l’uccisione del leader di Al-Qaeda al-Zawahiri - residente da tempo nel centro di Kabul - ci sono timori che tutto possa crollare di nuovo. Che una nuova guerra stia per cominciare e che ora gli Stati Uniti impongano sanzioni più dure. Molti si chiedono quale sia la vera relazione fra talebani e altri movimenti terroristici. Proprio quando l’Emirato Islamico sembra organizzarsi, riuscendo a portare quella sicurezza tanto agognata e un minimo di organizzazione statale, tutto sembra di nuovo in sospeso.
Marzia e sua sorella Zahra si sono assunte il compito sin dall’epoca della pandemia di istruire le ragazze. «Se non potevano studiare per motivi finanziari, ora fra il 7 e il 12 grado non possono andare a scuola del tutto. Ci bastano libri, maestre e ragazze motivate. 3 materie al giorno più 3 libri da studiare in casa. Tutto qui. Se impediranno alle ragazze di continuare a studiare, le educherò io per farle passare il concorso universitario», continua Marzia. «Siamo forti e non riusciranno adComeimpedircelo».quelladi Marzia, centinaia di scuole informali hanno aperto in sordina. Difficile che i talebani non se ne siano accorti. Secondo alcune fonti, in alcuni casi ci sarebbe una sorta di accordo tacito.
Prima Pagina Ritorno a Kabul
dono e scherzano. Portano tutte l’Abaya, un lungo vestito nero. Sotto, i vestiti normali e tacchi. In testa un velo. Ma niente coperture aggiuntive (il burqa non è obbligatorio). Dietro le vesti nere, si cela la tristezza del cambiamento.Fraloroc’èMarzia, studentessa di farmacia: «Ero incredula quando hanno riaperto l’università, non me l’aspettavo. Ma niente è come prima. Il nero rappresenta la sofferenza. I professori non ci considerano come prima. La sera prima di riprendere gli studi mi sono chiesta cosa farò dopo se non potrò lavorare. I talebani hanno distrutto i nostri sogni». Vicino a dove vive, nel quartiere popolare di Dasht-e-Barchi, ci accoglie in un piccolo appartamento umido e caldo. Le finestre sono velate. L’entrata è una qualsiasi. Ma all’interno, decine di ragazze entrano ed escono. In una piccola stanza, una lavagna è stata attaccata al muro. Impartisce una lezione di inglese a delle giovani ragazze. Con lei sembrano distrarsi. Marzia è molto solare,
CONTINUA LA DISCRIMINAZIONE FEMMINILE. LE RAGAZZE POSSONO ANDARE A SCUOLA FINO A TREDICI ANNI, E POI ALL’UNIVERSITÀ. MA IL LICEO È PROIBITO
prova a tirare su il morale ma avverte: «Se i talebani ci scoprono, ci farebbero chiudere».
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Ecco come nasce il caos, secondo il direttore: «Il ministro dell’Educazione superiore, per riaprire le scuole, ha ignorato il consiglio religioso. L’avrebbero bocciato. Mentre quello dell’educazione ha fatto quest’errore. Ecco perché in alcune province hanno riaperto anche alle adolescenti, perché seguono prima la Sharia e non quello che viene loro detto dal «L’Emiratoconsiglio».Islamico dell’Afghanistan vuole relazioni pacifiche e amichevoli con la comunità internazionale», è lo slogan pitturato sulla porta principale del ministero degli Esteri a Kabul. A un anno, sembra però che ci sia poco dialogo lasciando l’Afghanistan errare nell’incertezza del suo destino. Q
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A lezione nella scuola femminile Malalai di Kabul
Ma è proprio questo che crea una grande contraddizione, soprattutto dopo l’apertura delle università pubbliche anche alle ragazze, il che ha dato un po’ di speranza. «È un concetto non chiaro se visto dall’esterno: il leader supremo, Amir al-Mu’minin Haibatullah Akhunzada, decide tutto attraverso un consiglio di Shuyukh, leader religiosi. In questo consiglio ci sono personalità molto conservatrici che hanno più influenza di quelle di stampo più moderno. E nessuno osa toccarli. Così consigliano Akhunzada su quello che deve imporre», spiega il direttore di una grande università privata di Kabul. «Se la Sharia sostiene l’educazione femminile, significa che questo è un problema culturale afghano. Pensano che le ragazze nell’età adolescenziale siano facilmente manipolabili e che perderebbero i loro valori. Follia».
LA FINE DEL DIALOGO SUL RISCALDAMANTO GLOBALE AVRÀ CONSEGUENZE GLOBALI
La rottura Usa-Cina su Taiwan è un pericolo per tutti
se - tante volte ricordato durante i concitati giorni di esercitazioni militari - esiste ed è un’arma nelle mani di Xi Jinping. Ma Pechino ha già dimostrato più volte di sapersene servire a seconda dei propri bisogni: quando è necessario, quando il rischio è che il nazionalismo porti a possibili instabilità, il Partito comunista spegne con estrema cautela ogni eccesso.
Ma le esercitazioni sono state, prima di tutto, una “dimostrazione”: nonostante lo show militare a Pechino pochi sono convinti che la strada militare sia la più ovvia; molti sanno che si tratta di una trappola nella quale Pechino non dovrà cadere. E questo nonostante la retorica del presidente Xi Jinping sia stata indirizzata - fin dal suo arrivo al potere - a una “riunificazione” da non rimandare più “di generazione in generazione”. Il nazionalismo cine-
zione di Taiwan. Le spedizioni hanno totalizzato più di 16 miliardi di dollari a luglio, rispetto a quasi 7 miliardi di dollari di esportazioni totali negli Stati Uniti». Per questo motivo la risposta economica cinese è stata meno potente di quanto sbandierato da alcuni media: Pechino sa che non può spingere a fondo un eventuale blocco commerciale con Taipei, perché è ancora troppo dipendente dai microchip dell’isola. Se Taiwan chiudesse quel rubinetto sarebbero guai, grossi.
70 14 agosto 2022 Prima Pagina Il commento di SIMONE PIERANNI
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Il risultato più importante di questo agosto 2022 è dunque l’interruzione delle relazioni tra Cina e Stati Uniti, che interroga anche sulla reale volontà del viaggio di Nancy Pelosi e sulla possibilità di fratture interne al mondo democratico Usa su come trattare con Pechino. Il riavvicinamento registrato nell’ultimo anno è già dimenticato, a dimostrare, probabilmente, un calcolo dei falchi all’interno del partito democratico americano: bloccare un riavvicinamento con la Cina e testare la tenuta interna di Xi Jinping. Ma le conseguenze finiremo per doverle affrontare anche noi: lo stop al dialogo sul riscaldamento globale - infatti - ci riguarda e non poco.
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Lo sfoggio di forza militare (benché siano gli stessi organi di stampa dell’esercito a specificare che i militari cinesi ancora non sono pronti a un’invasione di Taiwan) ha nascosto i veri rischi e le vere conseguenze di questa crisi. Da un lato l’azione di “accerchiamento” dell’isola ha indicato la possibilità da parte di Pechino di bloccare ogni tipo di rifornimento a Taiwan. Anche in questo caso siamo di fronte a una simulazione, perché secondo il governo di Taipei le navi cinesi non hanno impedito il traffico commerciale. Questo ci permette di sottolineare un dato di fondo spesso ignorato: Cina e Taiwan hanno rodati rapporti commerciali; Bloomberg ha specificato che Cina e Hong Kong insieme «rimangono di gran lunga il più grande mercato di esporta-
a prova di forza di Pechino a seguito della visita della speaker del Congresso degli Stati Uniti Nancy Pelosi, ha modificato gli assetti asiatici e internazionali, dando vita a un “new normal” dalle molte sfaccettature. Innanzitutto: le esercitazioni cinesi, le più vaste, più imponenti anche rispetto all’ultima “crisi di Taiwan” del 1995, sono state una grande dimostrazione di forza e proseguiranno per lungo tempo a bassa intensità. In questo modo Pechino esercita una pressione costante sull’isola, provando a fiaccare e snervare l’opinione pubblica taiwanese (come richiesto dalle strategie di “smart war” sviluppate negli ultimi anni dall’esercito cinese).
Cina e Taiwan dunque, nonostante la grande tensione, sono più realisti di tutti e lo status quo rimane l’opzione migliore per entrambi, pur inserito in un nuovo contesto dove i momenti di crisi aumenteranno.
72 14 agosto 2022 La geopolitca dello spazio NESSUN DISIMPEGNO DI MOSCA DALL’ISS E MISSIONI COMUNI. ALMENO FINO AL 2028. SCONGIURATO IL GELO PER GLI EFFETTI DELLA GUERRA L’ALLEANZA USA-RUSSIA DI EMILIO COZZI PAX COSMICA
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data: che cosa succederà alla Iss dopo il 2024? Prima di rispondere è opportuno un passo indietro, al 27 luglio, cioè a quando Yuri Borisov, subentrato a Rogozin nella direzione di Roscosmos, ha comunicato a Vladimir Putin la decisione di ritirarsi dal programma alla scadenza degli impegni attutali, cioè «dopo il 2024». Una volontà corredata dall’intenzione, da parte russa, di concentrarsi subito sulla realizzazione e la messa in orbita di una stazione propria, la Russian orbital service station, o Ross.
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In molti si sono affrettati a ridimensionare gli allarmi, dando un senso più preciso a quel «dopo il 2024» detto da Borisov: poche ore dopo l’esplosione del “caso”, Kathy Leuders, a capo del direttorato delle Operazioni spaziali della Nasa, ha dichiarato di essere stata informata dai funzionari dell’agenzia spaziale russa che è intenzione di Mosca restare nel programma almeno a fino a quando la Ross sarà operativa. Vale a dire non prima del 2028, secondo quanto stimato da Vladimir Solovyov, il direttore di volo per il segmento russo della Iss, pronto a ricordare anche quanto sarebbe controproducente non avere un avamposto abitato in orbita. A esclusione di quello cinese, bisognerebbe ag-
acciano gli allarmi, almeno quelli cosmici: la Russia non abbandonerà la Stazione spaziale internazionale (Iss) nel 2024. Men che meno la userà come arma in risposta alle sanzioni occidentali per l’invasione dell’Ucraina: uno scenario paventato da molti lo scorso marzo, dopo alcune dichiarazioni quantomeno incaute di Dmtry Rogozin, l’allora numero uno di Roscosmos, l’agenzia spaziale della Federazione. Al contrario, in base a un accordo reso pubblico il 15 luglio, dal prossimo settembre Roscosmos e Nasa riprenderanno voli “misti” con astronauti e cosmonauti seduti nella stessa capsula: i russi voleranno con le Crew Dragon della statunitense SpaceX, mentre gli americani raggiungeranno la Iss a bordo delle Soyuz. Lo scambio avverrà alla pari, nerdistrarreratobioValoriunanologieTerradovutaapparente”cercazialedalCostruitadellauntembredivennegantridom”,Clinton,1994,ilgrandebuonae Csaziasianazionale,neÈsenzapassaggididenarotraledueagenzie.laprimavoltanellastoriadicooperazio-allabasedellaStazionespazialeinter-chedaoltrevent’annivede Rus-e StatiUniticollaborareconEsa(Agen-spazialeeuropea),Jaxa(giapponese)(canadese).Costituitada16modulipressurizzati-partedeiqualirealizzatiinItalia-equantouncampodicalcio,laIssèfruttodellariconversione,frail1993eildapartedell’allorapresidenteBilldeglisforzipercostruire“Free-unavampostoacirca400chilome-dallaTerra,propostodaRonaldRea-unadecinadianniprima.LaRussiapartnerdelprogettogiànelset-del1993.Ladecisionediiniziareprogrammacongiuntofuunsimbolocooperazionepost-guerrafredda.dal1998eabitataincontinuità2novembredel2000,laStazionespa-internazionaleèunlaboratoriodiri-lacuicondizionedi“microgravità-inrealtàl’assenzadipesoèalsuoperennecadereattornoalla-permettedistudiarelefuturetec-spazialieglieffettisull’uomodilungapermanenzaoltrel’atmosfera.tecnico-scientificiaparte,èindub-cheilprogrammaabbiaancheavvalo-laleadershipstatunitense,capacedil’impegno(elerisorse)deipart-daobbiettividiversi.Laquestione,però,sembrasoloriman-
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ISSNAsaFoto:
Inevitabile la notizia abbia avuto un’eco internazionale e generato fraintendimenti, incendiari e non sempre in buona fede, vista la congiuntura internazionale: la Iss non è solo il progetto ingegneristico più complesso mai realizzato oltre l’atmosfera; è l’esempio supremo di una diplomazia spaziale virtuosa, capace di anticipare, e a volte facilitare, distensioni politiche dalle benefiche conseguenze terrestri. È, inoltre, un progetto interdipendente: sebbene gli Stati Uniti stiano studiando un modo per mitigarne le conseguenze, l’abbandono della Russia oggi condannerebbe la Iss. Al segmento “non occidentale” sono infatti deputate le periodiche manovre di riposizionamento orbitale dell’infrastruttura. Sapere che il programma venga compromesso o interrotto anzitempo dai riverberi della guerra in Ucraina significherebbe rinnegare rapporti pacifici costruiti, oltre il cielo, in quasi mezzo secolo.
Emilio Cozzi Giornalista
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Anche l’Agenzia spaziale europea è intervenuta per gettare acqua sul fuoco: «Che la Russia lasci la Iss dopo il 2024 e costruisca un’infrastruttura propria non sono una novità», si legge in uno statement ufficiale. «Roscosmos ha anche confermato che adempirà a tutti i suoi obblighi nei confronti dei partner internazionali. I team continueranno quindi a realizzare missioni di successo sulla Iss a beneficio delle comunità scientifiche di tutto il mondo. L’Esa prevede di continuare a far funzionare il suo modulo Columbus (un laboratorio della Stazione, ndr) fino al 2030».
Al centro, CristoforettiSamantha
La responsabile del programma di voli spaziali umani della Nasa, Kathy Lueders. Nella pagina a fianco, l’equipaggio posa durante una cena all’interno dell’Iss.
Va però precisato che sull’estensione del programma oggi non esiste un accordo internazionale: sebbene lo scorso dicembre la Nasa abbia formalmente deciso di continuarlo fino al 2030, anche per preparare il campo alle prime stazioni commerciali - in questo momento in fase di sviluppo progettuale negli stabilimenti di Blue Origin, Nanoracks e Northrop Grumman -, «l’Esa scioglierà la questione a novembre, al prossimo Consiglio ministeriale. Csa e Jaxa stanno lavorando per arrivare a un’approvazione governativa», spiega Frank de Winne, responsabile per l’ente europeo del Gruppo di esplorazione dell’orbita bassa (Leo exploration group).
IL REBUS SICUREZZA NELLA CORSA SATELLITARE
giungere: Pechino ha infatti lanciato il 24 luglio il secondo modulo della sua stazione orbitante, Tiangong, che in caso di dismissione della Iss rimarrebbe l’unica stazione abitata oltre l’atmosfera. «Non abbiamo ricevuto alcuna indicazione che qualcosa sia cambiato», ha detto Leuders in un’intervista alla Reuters, aggiungendo che le relazioni tra Nasa e Roscosmos stanno procedendo «come al solito» malgrado la tesa situazione geopolitica.
«Sempre più Paesi riconoscono lo spazio extra-atmosferico come “competitivo, congestionato e contestato”: l’espressione riflette l’evoluzione e l’accelerazione che questo ambiente ha sperimentato negli ultimi due decenni. Con il fenomeno del New Space, nato negli Stati Uniti, si è assistito ad una significativa riduzione dei costi e ad una diversificazione degli attori e dei prodotti. Un numero crescente di Paesi ha cominciato a ricercare e sviluppare nuovi sistemi per proteggere le proprie capacità spaziali ma anche, potenzialmente, per adottare un approccio aggressivo nei confronti dei propri avversari». Stiamo assistendo ad una corsa agli armamenti spaziali?
Un’ordinarietà ribadita anche dall’attività extraveicolare di Samantha Cristoforetti, che lo scorso 21 luglio, prima astronauta dell’Esa a farlo, ha “passeggiato nello spazio” in compagnia del cosmonauta Oleg Artemyev, e proprio per lavorare sul braccio robotico “Era”, posizionato sul segmento russo della Iss.
La geopolitca dello spazio
Giulia Pavesi, lei è ricercatrice in diritto e sicurezza spaziale al Leuven centre for global governance studies, in Belgio, e borsista della Fondazione per la ricerca delle Fiandre, come si sta evolvendo l’ambiente spaziale?
segnare né astronauti né merci», ha ribadito la volontà di abbandonare il programma adducendo motivi scientifici, tecnici e politici: «Dal punto di vista scientifico abbiamo completato i nostri esperimenti. In questo senso, rimanere fino al 2030 non porterebbe alcun vantaggio alla Russia, ma richiederebbe fondi enormi. Non è e non era un segreto: inizieremo il nostro programma di uscita dalla Stazione, un programma che i nostri specialisti stimano possa durare fino a due anni. Che lo si cominci a metà del 2024 o l’anno successivo dipende dallo stato di salute dell’infrastruttura». Un tema, quest’ultimo, non secondario, visto che la Iss è costituita da moduli in alcuni casi in orbita da oltre vent’anni. «Oggil’intensità di vari tipi di emergenze, guasti alle apparecchiature, la comparsa di microfessure inizia ad aumentare è un processo naturale alla fine del ciclo di vita di qualsiasi prodotto. È improbabile che uno specialista in qualsiasi Paese del
COLLOQUIO CON GIULIA PAVESI DI GIANCARLO CAPOZZOLI
LA MISSIONE
Ancora più preciso è stato proprio Borisov: il 29 luglio, in un’intervista al canale televisivo Rossiya 24, dopo aver rivendicato gli sforzi russi nel programma Iss, soprattutto nelle sue fasi iniziali «quando i nostri colleghi non erano in grado di con-
«No, lo spazio ha un suo regime giuridico. Il Trattato sullo spazio extra-atmosferico è del 1967. Impone importanti limiti alla militarizzazione dello spazio, vietando la collocazione e lo stazionamento in orbita di qualsiasi oggetto vettore di armi nucleari o di qualsivoglia tipo di armi di distruzione di massa (ma non del loro transito) e imponendo la totale demilitarizzazione di alcune aree. Inoltre, in seno alle Nazioni unite, la prevenzione di una corsa agli armamenti nello spazio (Paros) è stata sull’agenda delle Conferenza sul disarmo già dalla fine degli anni ’70 e recepita in una serie di risoluzioni Onu dai primi anni ’80».
perché limitano le libertà di esplorazione e utilizzo, sancite dal Trattato del ’67. A livello unilaterale, interessante è la dichiarazione dello scorso aprile degli Stati Uniti sul divieto auto-imposto di testare armi anti-satellitari. A livello multilaterale tra le più interessanti vi è poi l’Open-ended working group (Oewg) sulla riduzione delle minacce spaziali attraverso norme, regole e principi di comportamento responsabile istituito con risoluzione dall’Assemblea generale delle Nazioni unite».
Q © RIPRODUZIONE RISERVATA
NELL’EVENTUALITÀ DI DISMISSIONE DELLA STAZIONE INTERNAZIONALE LA CINESE TIANGONG RIMARREBBE L’UNICA ABITATA OLTRE L’ATMOSFERA
Giulia Pavesi
Che ruolo potrebbe avere l’Unione europea nella sicurezza? «L’Ue detiene una propria competenza spaziale. La esprime attraverso programmi come Galileo e Copernicus e nel progressivo riconoscimento dello spazio come politica orizzontale. Nel 2021 è stata creata una specifica direzione generale Industria della difesa e spazio (Defis) e, nel 2022, la Commissione e l’Alto rappresentante hanno adottato congiuntamente un documento condiviso e programmatico in tema di gestione del traffico spaziale. E, sempre nel 2022, il Consiglio ha approvato la bussola strategica volta a rafforzare la politica di sicurezza e difesa dell’Unione europea: lo spazio fino ad ora trattato solo in termini civili e commerciali dall’Unione, viene riconosciuto come un settore con forti implicazioni in materia di sicurezza e di difesa».
«È un fatto che sempre più Stati siano entrati nel ristretto club di nazioni che possiedono o hanno testato capacità Asat (anti-satellite weapons) di natura cinetica (in ordine cronologico, India, 2019, e Russia, 2021) e di natura non cinetica. C’è poi la questione dell’uso duale della tecnologia spaziale. Molti satelliti sono utilizzati per scopi civili e militari, rendendo talvolta difficile distinguere tra i due utilizzi».
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Dal punto di vista del diritto internazionale, lo spazio è una sorta di Far West?
mondo sia in grado di prevedere con precisione quando questo processo diventerà una valanga e creerà una minaccia per l’equipaggio. Ma secondo l’autorevole parere di molti esperti, è molto probabile succederà dopo il 2024, motivo per cui ho annunciato questo periodo», ha continuato Borisov. Che è stato anche più perentorio circa gli aspetti politici dell’abbandono della Iss: «Inesistenti», li ha definiti. «Il progetto Iss ha arricchito la scienza mondiale nel campo della conoscenza dell’Universo e della Terra, ha fornito nuove conoscenze a tutti i partecipanti e, in una certa misura, ci ha uniti. Mi dispiace molto che, in questo momento difficile, alle nostre attività congiunte nello spazio talvolta si dia un colore politico. Non è corretto». Converrebbe chiedersi a chi giovi diffondere l’idea che qualcuno minacci la fine (non tanto) prematura del progetto ingegneristico più complesso e collaborativo della storia spaziale.
Si può fare di più?
14 agosto 2022 75 Prima Pagina
«Gli Stati non sono propensi a regolamentare le loro interazioni nella sicurezza spaziale attraverso strumenti vincolanti come trattati,
Militari ucraini sulla strada nell’area di Donetsk
“ECCO PERCHÉ LO ZAR È IMPAZZITO”
DI SABRINA PISU Guerra in Ucraina PUTIN
Q Prima Pagina ContrastoSatolli/E.Foto:
«Se non avessi abbandonato quei servili, pazzi e guerrafondai, non sarei stato mai più capace di definirmi un uomo»: racconta Boris Bondarev a L’Espresso, in un’intervista che per motivi di sicurezza è fatta per iscritto. Dopo le dimissioni, è stato messo sotto alta protezione della polizia svizzera, della sua attuale condizione non può parlare. Boris Bondarev, 42 anni, si è lasciato alle spalle una lunga carriera diplomatica iniziata nel 2002 al servizio del ministero degli Esteri russo, dopo una laurea in Relazioni internazionali a Mosca. Il primo incarico all’estero a ventidue anni, in Cambogia, poi tra il 2009 e il 2013 in Mongolia. Nel 2019 arriva all’Onu a Ginevra, in Svizzera, dove si occupa di disarmo e non proliferazione: «Ho lavorato soprattutto per la Conferenza sul disarmo (Cd) e ho anche partecipato alla preparazione degli incontri russo-statunitensi sulla stabilità strategica, incluso il vertice Biden-Putin che si è tenuto nel giugno 2021». Questo è il suo impiego fino a quel 24 febbraio che ha segnato «il punto di non ritorno». Nelle settimane che seguono si sente solo tra i colleghi diplomatici: «Parlavano, come se nulla fosse, di attacchi nucleari e uso di armi chimiche contro l’Ucraina o gli Stati Uniti. I loro occhi brillavano, letteralmente. Sembrava un manicomio». Boris Bondarev è convinto che a condividere le sue opinioni nel servizio diplomatico «siano una minoranza»: «La gran parte di loro ha lasciato il ministero degli Esteri russo in silenzio dopo l’inizio della guerra, e li rispetto, ma credo che non siano pochi quelli scontenti perché ritengono che Putin sia troppo debole e indeciso. Preferirebbero usare armi nucleari contro l’Ucraina per spaventarla al punto tale
da farle accettare le condizioni di Mosca. Sono soprattutto giovani, cresciuti a latte e “culto della personalità” di Putin. Hanno imparato da lui che vale la legge del più forte. Chi ha denaro o connessioni può permettersi quasi tutto e godere dell’impunità. È questa l’orribile corruzione morale della società russa di cui Putin è responsabile».
È stato un lungo e graduale processo involutivo che, secondo Bondarev, ha fatto sì che «la propaganda prendesse il posto della professionalità». Il cambiamento più importante è avvenuto dopo l’annessione della Crimea nel 2014: «In quel momento l’Occidente ha scatenato quella che è stata vista come “un’improvvisa” e “insidiosa” campagna anti-russa e molti diplomatici di lungo corso hanno pensato di rispolverare il lessico dell’era sovietica, usando dozzinali cliché propagandistici, una modalità ben accolta dalla “corte” di Mosca e adottata dal ministero degli Affari esteri Bondarevrusso».eraconvinto che l’annessione della Crimea e i combattimenti nel Donbass nel 2014-15 facessero parte di una strategia di Putin per arrivare a una soluzione diplomatica. Ha pensato fino alla fine che la guerra non potesse essere il suo obiettivo, perché sarebbe stata «una follia totale».Seguarda indietro non si pente di essere stato al servizio della politica estera del Cremlino: «Ho sempre cercato di mitigarla con il mio lavoro personale. A differenza di molti miei colleghi che credono che la diplomazia sia sferragliare sciabole, ho sempre pensato che parlare sia molto meglio che combattere. È stato grazie a questa esperienza che sono stato finalmente in grado di vedere che le politiche di Putin sono sbagliate, inadeguate e criminali».
Sabrina Pisu Giornalista
uando la Russia di Putin ha invaso l’Ucraina, Boris Bondarev ha capito che non poteva più mentire a sé stesso. Quel 24 febbraio è stato chiaro che il solo gesto possibile, di dignità, per non essere complice di «questa ignominia sanguinosa», era quello di lasciare l’incarico di diplomatico russo della Missione permanente russa alle Nazioni unite di Ginevra. Doveva andarsene e ad alta voce. È stato il diplomatico russo di più alto livello a dimettersi pubblicamente. Il 23 maggio ha affidato a righe nette il suo grido di verità: «La vergogna mai provata verso il mio Paese per la guerra aggressiva scatenata da Putin contro l’Ucraina, un crimine contro il popolo ucraino e quello russo». Una lettera aperta di dimissioni «in ritardo», inviata ai suoi colleghi e condivisa sui social media anche da Hillel Neuer, avvocato internazionale e direttore esecutivo di Un watch, che è finita sulle prime pagine in tutto il mondo.
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PARLA BONDAREV, ENFANT PRODIGE DELLA DIPLOMAZIA FUGGITO IN SVIZZERA. “PROVO VERGOGNA. UNA CRICCA DI SERVI TIENE IN PIEDI IL REGIME”
Secondo Bondarev, Putin può essere solo fermato sul campo di battaglia: «L’esercito ucraino ha già dimostrato di essere in grado di difendere il Paese. Con armi più moderne dall’Occidente sarà in grado di sconfiggere gli invasori. Per Putin la sconfitta è un incubo, si è giocato tutto con questa guerra e non gli deve essere permesso di vincerla». La politica dell’appeasement, secondo Bondarev, non funziona mai e non bisogna prendere in considerazione chi spinge per un dialogo con Putin, per dargli quello che chiede: «Chi parla di questo tipo di “accordi di pace” a spese del sangue e del suolo ucraino è in realtà con Putin. Nessuna concessione territoriale intermedia, come il controllo del Donbass o l’annessione di un paio di nuove regioni, può soddisfarlo
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Q © RIPRODUZIONE RISERVATA “NON VOLEVO ESSERE COMPLICE DI QUESTA IGNOMINIA CONTRO IL MIO PAESE. HO SENTITO I COLLEGHI PARLARE DI ARMI NUCLEARI”
tico russo, sarà la fine del suo governo: «Non può permettersi di perdere perché la sua immagine di leader forte, costruttore di un impero, andrebbe in pezzi e dovrà trovare un capro espiatorio, qualcuno vicino a lui. Quando il suo stretto entourage comincerà a sentirsi minacciato, lo scenario di un colpo di Stato sarà molto più probabile di quanto non lo sia ora». Il regime di Putin è molto personale, con la sua caduta non riuscirebbe a restare in piedi: «Non è un’esagerazione dire che Putin incarna lo Stato per molti russi. Ufficiali, ministri e generali sono sconosciuti alla maggioranza della popolazione. Quando Putin sarà fuori gioco, in un modo o nell’altro, nessun governo sarà legittimo. Il nuovo presidente dovrà spiegare ai russi i motivi della crisi economica e sociale, sarà allora logico e tentante dare la colpa a Putin per tutti gli errori, i crimini e questo minerà quello che resta della legittimità del regime che inizierà a sgretolarsi».
Un sistema che potrebbe essere smantellato dalle nuove generazioni: «Vedo molti giovani in Russia che ancora protestano contro la guerra. Sono indipendenti, sono la speranza per il rinnovamento». Il futuro di Boris Bondarev è lavorare per la pace e la Russia che verrà: «Tutti noi, alla fine, torneremo a casa e ricostruiremo il nostro Paese, da capo».
L’ex russo Boris Bondarev
Se Putin sarà sconfitto in Ucraina, secondo l’ex diploma-
Prima Pagina Guerra in Ucraina
Questa guerra ha provocato una spaccatura profonda nella società russa, con una parte che è a favore e l’altra contraria, una lacerazione che ha diviso intere famiglie, anche quella di Bondarev: «Mio padre mi ha detto che “non vedo il quadro generale”, mia sorella invece mi ha sostenuto». Un conflitto sociale che si inserisce in una sofferenza economica: «Oggi oltre 20 milioni di russi vivono sotto la soglia di povertà che è di 12.916 rubli al mese, circa 215 euro. Lo stipendio mensile medio è di circa 600 euro. È vergognoso per un Paese ricco di risorse come la Russia. L’instabilità è spiegata con la macchinazione di un nemico esterno, come l’Ucraina o, più in generale, l’Occidente».
perché ha promesso di conquistare e annettere l’intera Ucraina». Lo scopo principale della guerra, continua Bondarev, è «la distruzione dell’Ucraina come soggetto della politica mondiale e come entità indipendente». Il secondo obiettivo è umiliare l’Occidente: «Putin vuole vendicarsi del disprezzo che lui e la sua cerchia ristretta hanno». Un’eventuale sconfitta di Kiev sarà vista dal Cremlino come la sconfitta della Nato e l’indebolimento dell’Occidente. «Putin colpirà, molto probabilmente, la Moldavia, facendo affidamento sulla sua base in Transnistria. Le annessioni della Bielorussia e del Kazakistan settentrionale sono del tutto possibili in quanto “territori nativi russi con una popolazione di lingua russa”. In seguito sarebbero gli Stati baltici che potrebbero trovarsi in prima linea». Putin dovrà, quindi, continuare a fare la guerra per «spiegare al popolo russo perché la situazione economica e sociale è disastrosa. La guerra è, come pensano al Cremlino, una risposta universale a tutte le domande. Putin ha solo costruito la sua dittatura personale privando milioni di persone di speranze e prospettive per il Borisfuturo».».Bondarev si sofferma anche sulle responsabilità all’interno dell’Onu che è «paralizzato perché i principali antagonisti in questo conflitto, Russia e Stati Uniti, hanno un potere di veto nel Consiglio di sicurezza. Gli è, in realtà, impedito di fare cose importanti e la colpa è di alcuni governi. L’Onu sta facendo un lavoro umanitario enorme ma ha bisogno di una riforma vera che ne migliori l’efficienza».Unaseconda ondata di russi sta, intanto, lasciando il Paese, sarebbero già almeno 200mila, secondo le ultime stime, di metà marzo, dell’economista russo Konstantin Sonin. «Sono la parte migliore della Russia: giovani, persone colte, professionisti e creativi», spiega Bondarev. «Senza di loro Putin può facilmente rimanere al potere perché si affida ai gruppi sociali più poveri e non istruiti che sono stati sottoposti al lavaggio del cervello dalla sua stessa propaganda». Putin isolerà la Russia dal resto del mondo e questo la renderà ancora più sottosviluppata: «La guerra renderà questo processo più semplice per lui, per questo è un crimine anche contro la Russia».
La miseria porta all’indifferenza verso la politica e il governo: «È opinione diffusa in Russia che non spetti ai cittadini decidere perché incapaci di capire, mentre il governo è composto da persone ritenute le più intelligenti e colte. Questa mentalità è stata il pilastro che ha sostenuto l’Impero russo, l’Urss e ora il regime di Putin».
diplomatico
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«La vita continua, ma è accompagnata da una costante sensazione di profonda tristezza».
80 14 agosto 2022 Graphic novel
l’Italia, in contemporanea ad altre importanti testate internazionali. In dialogo una giornalista ucraina e un artista russo, l’una in prima linea nel suo lavoro di testimone del conflitto e delle sue atrocità, l’altro in cerca di un luogo dove cambiare vita, di fronte a un Paese invasore che non garantisce più libertà. «Ci sono nuovi manifesti a San Pietroburgo», racconta D., alla settimana:ventiduesima«Sonoritratti di
Q ©RIPRODUZIONE RISERVATA SubinNinaFoto:
soldati russi che combattono in Ucraina. I manifesti li chiamano eroi, ma non sono i miei eroi». C’è una patria da lasciare, una nuova da trovare. E una terra da difendere dall’altra parte: «All’improvviso mi sento a pezzi», confessa K., pensando alla Crimea: «Ricordo ogni centimetro della mia strada, ogni casa, ogni albero, ogni aiuola. E non posso ancora tornare nella mia patria».
Prosegue “Diaries of war”, il racconto della guerra firmato da Nora Krug, l’illustratrice e scrittrice nata in Germania ma naturalizzata americana, già autrice del graphic novel ”Heimat” (Einaudi). Un progetto che si aggiorna settimana dopo settimana, e che L’Espresso sta pubblicando in esclusiva per
Settimane 21 e 22
I
Si apre il fronte dei diritti nell’Ucraina martoriata
I soldati Lgbtq+ al fronte sono i primi ad avere bisogno del matrimonio gay o delle unioni civili, per essere considerati legalmente una famiglia se uno della coppia venisse ucciso. Quindi Zelensky non può tradire chi ci protegge». A chi obietta che ci sono cose più importanti a cui pensare, KyivPride risponde che «non è mai il momento sbagliato per proteggere i diritti umani».
Il Pride ucraino che si è tenuto a Varsavia
È stata proprio la guerra ad accelerare il processo: soldati e soldatesse gay e lesbiche, e i loro partner, non godono delle stesse tutele di quelli etero e, in caso di morte, non possono ottenere la pensione di reversibilità. L’organizzazione KyivPride ha lanciato sulla piattaforma All Out una petizione per la legalizzazione del matrimonio fra persone dello stesso sesso, che fa seguito alla petizione formale, già presentata al presidente Zelensky, che ha raggiunto il numero minimo di firme per essere presa in considerazione dal governo. Il presidente ha ventilato l’ipotesi di approvare le unioni civili, pur ribadendo che finché è in vigore la legge marziale non è possibile cambiare la Costituzione.
Il conflitto in corso ha avuto tra i suoi effetti inaspettati quello di rinvigorire i movimenti civili e sociali che da anni cercano di invertire la rotta di un Paese finora conservatore, in cui gli attivisti si scontravano quotidianamente con l’estrema destra. Se nel 2016 oltre il 60 per cento degli ucraini aveva sentimenti negativi nei confronti delle persone Lgbtq+, nel 2022 la percentuale è scesa al 38 per cento. Negli ultimi cinque anni, la popolazione convinta che i gay debbano avere gli stessi diritti è aumentata dal 33 al 64 per cento. L’Ucraina resta però ancora indietro dal punto di vista legislativo: secondo il Rainbow index dell’Ilga, il coordinamento europeo delle associazioni arcobaleno, solo il 19 per cento dei diritti delle persone gay, lesbiche e trans è rispettato. L’Ucraina non ha leggi contro l’omofobia e non riconosce le unioni civili, ma per
84 14 agosto 2022 Prima Pagina L’opinione di JENNIFER GUERRA
l 20 giugno scorso, l’Ucraina ha ratificato la Convenzione di Istanbul sulla violenza di genere. Una notizia passata in sordina rispetto alle notizie sulla guerra, ma per certi versi epocale: solo due anni fa, quando l’Ucraina aveva firmato ma non sottoscritto la Convenzione, il Consiglio delle chiese e organizzazioni religiose faceva sapere che «la maggioranza delle persone in Ucraina» non supportava la ratifica perché il testo «impone l’ideologia gender» e «nuoce gravemente ai principi morali e ai valori della famiglia della società ucraina». Una posizione condivisa da molti altri Paesi dell’Europa centrale e orientale, come l’Ungheria, la Slovacchia, la Bulgaria e la Polonia. Ma le cose stanno cambiando, anche tra quella maggioranza di persone.
KyivPride è fiduciosa del sostegno di Zelensky: gli ucraini «vogliono essere il più vicini possibile gli uni agli altri, abbiamo bisogno di pari diritti e il presidente e il governo lo sanno.
gli attivisti questo è il momento giusto per fare pressione su questi temi.
«Abbiamo una chance di ristrutturare la società e di chiedere diritti per coloro che prima erano oppressi», aggiunge Alona Liascheva, sociologa. «Anche se non si arriverà a ottenerli tutti, andrà comunque meglio che in Russia e nei territori occupati, perché lì per le persone Lgbtq+ non c’è nemmeno la possibilità di sopravvivere, figuriamoci di fare attivismo. È una delle ragioni per cui noi minoranze supportiamo la resistenza ucraina: se vincerà l’Ucraina avremo la possibilità di proteggere i diritti, se vincerà la Russia per noi sarà la fine».
Q © RIPRODUZIONE RISERVATA ImagesMoskwa/GettyM.Foto:
PERSEGUITATI SPIATI
è il giornalista yemenita a cui il regime ha “hackerato” la pagina Facebook, dove parlava dei crimini del governo. Se l’è trovata sommersa di messaggi pro-governativi, a suo nome, come se li avesse scritti lui. O l’attivista cinese, per i diritti umani, che, all’arrivo in una conferenza all’estero, ha scoperto con orrore che tutti i partecipanti avevano foto dove lei appariva nuda. Opera di Pechino, si presume, che aveva costruito falsi fotografici con il suo volto e il corpo nudo di altre donne. Collaboratori del governo le avevano messe su diversi forum online, certo per screditarne il lavoro.
86 14 agosto 2022 Cyber sorveglianza
Fino al caso del giornalista spagnolo che ha scoperto di essere intercettato dal governo del Marocco - su cui aveva fatto diverse inchieste - tramite uno speciale
C’DATI RUBATI, FONTI BRUCIATE, SCREDITAMENTO. CON GLI SPYWARE I REGIMI COLPISCONO OVUNQUE. MA A USARLI SONO ANCHE LE DEMOCRAZIE DI ALESSANDRO LONGO ILLUSTRAZIONE DI STEFANO D’ORIANO
DIGITALI
software-spia installato sullo smartphone a suaInternetinsaputa.ei nuovi strumenti digitali hanno dato agli Stati autoritari un nuovo potere. Quello di colpire attivisti, dissidenti, giornalisti ovunque si trovino. Anche da noi. Il giornalista yemenita Khatab Alrawhani e l’attivista cinese Liu (nome di fantasia per proteggerne l’identità) – i due casi citati - vivevano da anni in Canada, proprio per sfuggire al regime. Le loro storie sono in un rapporto pubblicato quest’anno da The citizen lab, un gruppo di ricerca dell’università di Toronto. I ricercatori hanno notato che il fenomeno della «repressione digitale transnazionale», come la chiamano, è in crescita.
Google, invece, a giugno ha fatto un annuncio che ci tocca da vicino: in un rapporto internazionale accusa la società italiana Rcs Lab di fare strumenti di hacking usati per spiare cellulari Android e iPhone in Italia, Kazakistan, Siria. Le vittime sono ignote, ma si sospetta ci siano anche at-
tori londinesi di Forensic architecture, che ha stimato 326 attacchi di questo tipo tra il 2019 e il 2021: il triplo rispetto al triennio precedente.L’iniziodi un’epidemia. Se n’è accorta anche Apple, che a luglio ha svelato funzioni speciali di protezione sugli iPhone contro il rischio di spionaggio di Stato, a danno appunto di attivisti o giornalisti. Con pochi clic, l’utente che sospetta di essere spiato potrà isolare del tutto l’iPhone contro questo tipo di minaccia. Apple sta pure stanziando 10 milioni di dollari per sovvenzionare la ricerca nel settore.
Sono d’accordo i ricerca-
Prima
LongoAlessandro Giornalista
14 agosto 2022 87
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Ora, e sempre più, il problema si allargato a una vasta platea di dissidenti, attivisti e giornalisti comuni. E si è strutturato in azioni di vario tipo. Ad esempio con la molestia online organizzata e automatizzata sui social (anche con bot, software che si fingono
Il problema, in generale, ha cominciato a emergere nel 2016 con il caso Pegasus. Uno spyware (software spia), dell’israeliana Nso, in grado di infilarsi negli smartphone per rubare dati, foto, conversazioni, password. Diverse inchieste, anche negli anni successivi, di testate giornalistiche come anche di Citizen lab e Amnesty international, hanno rivelato che molti Paesi usavano Pegasus per sorvegliare soggetti considerati pericolosi o comunque meritevoli di attenzione. In patria e altrove. L’hanno fatto i governi dell’Arabia Saudita, del Ruanda, degli Emirati Arabi, di India e Messico tra gli altri. Spiati così 50mila smartphone, di giornalisti (180), politici (tra cui Romano Prodi), oltre che di attivisti e autorità religiose. Uno di questi è Ignacio Cembrero, il giornalista spagnolo che si è inimicato il Marocco per le sue inchieste. A luglio ha avuto persino la beffa di essere denunciato per diffamazione da quello stesso governo, per aver riferito dell’intercettazione subita.
Il punto però, emerso dagli ultimi fatti e nei rapporti, è che il fenomeno si è allargato. Non riguarda più solo vittime eccellenti dai nomi noti; non si esercita più solo con strumenti sofisticati che arrivano a costare milioni di dollari ai regimi, per superare anche le barriere presenti su smartphone di utenti esperti e super-attenti.
utenti), come capitato ad Ali, attivista saudita emigrato nel 2017. O l’hackeraggio di account di posta o social con tecniche più semplici, come accaduto al già citato giornalista yemenita, alla giornalista siriana Aliana e all’attivista siriano Amir, che gestiva vari siti pro-democrazia in Siria. Sono altre storie riferite da The citizen lab (Ali e Aliana sono pseudonimi).
«Gli ultimi fatti dimostrano una tendenza preoccupante: in nessun Paese si è al riparo
Il caso più noto è forse però quello del noto giornalista saudita Jamal Khashoggi. Anche dopo essere andato in esilio volontario negli Usa, Khashoggi rimaneva la principale voce critica del regime, finché non è stato assassinato nell’ambasciata saudita della Turchia nel 2018; per ordine del principe ereditario Mohammed bin Salman, secondo il sospetto di molti, tra cui l’intelligence americana in un rapporto del 2019. Il principe nega, fatto sta che ci sono evidenze dell’uso di Pegasus sul cellulare di Khashoggi e di sua moglie, forse per coordinare le attività di intelligence ai suoi danni.
Lo status di «perseguitati digitali» sta diventando comune. E ha caratteristiche particolari: non lascia scampo. Tutte le vittime riportano, a The citizen lab, un senso di frustrazione, impotenza, paura, che porta all’auto-censura. Proprio quello che i potenti persecutori volevano ottenere. Come non essere terrorizzati, se la lunga mano del potere può raggiungerti ovunque, colpire invisibile te e i familiari all’altro capo del modo.
APPLE E GOOGLE PROVANO A BLINDARE I DISPOSITIVI.
tivisti curdi in Siria. Rcs Lab ha ribattuto assicurando che i suoi software sono usati solo nel rispetto delle leggi e contro reati gravi.
Cyber sorveglianza
88 14 agosto 2022
L’USO DEI SOFTWARE DA LA MESSADELL’INTELLIGENCE OSTACOLAPARTEALBANDO
Un edificio del gruppo Nso a Herzliya, Israele che utilizzava Pegasus per acquisire dati, foto, conversazioni e password
SORVEGLIATI
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dal regime», spiega Carola Frediani, autrice del libro “Guerre di Rete” (Laterza, 2017), che parla di questi problemi. «In questi anni si è visto il fenomeno di giornalisti, residenti in Paesi democratici come Francia, Regno Unito, Stati Uniti, colpiti via Internet da regimi di Paesi su cui fanno inchieste», continua Frediani. Il risultato è che non possono sentirsi tutelati da nessuna parte. E chi non vuole farsi intimorire è comunque ostacolato nel proprio lavoro, perché gli attacchi mirano anche a scoprire le fonti riservate usate nei giornalisti, all’interno dei loro cellulari. Persone che spesso risiedono proprio in quei Paesi dittatoriali e che, per effetto o solo per paura di ritorsioni, smettono di collaborare alle inchieste. Lo spionaggio cyber distrugge le fonti e quindi il lavoro dei giornalisti. Allo stesso modo sgretola l’anonimato di possibili collaboratori di attivisti anti-regime.
14 agosto 2022 89 ImagesGettyeyevine/contrasto,Contrasto,/NYTElkayam/A.Foto:
Prima Pagina
«QualchePollicino.governo occidentale comincia a combattere il fenomeno, ma con poca convinzione, come emerso da una recente Commissione d’inchiesta del Parlamento europeo», dice Frediani. E con pochi risultati: gli Usa hanno elevato sanzioni contro Nso, mettendola in crisi, ma altre società di spyware hanno preso il suo posto; tra le più note Intellexa, con sedi in Europa e Medio-Oriente. «Il punto è che anche i governi occidentali si servono degli stessi software per indagini, come riflette il Parlamento europeo», dice Frediani. Non sempre legali, come le intercettazioni che faceva il governo della Spagna tramite Pegasus su politici, attivisti e giornalisti catalani (come rivelato dal New Un’inchiestaYorker).di Mit technology review quest’anno ha scoperto che le forze dell’ordine del Minnesota hanno condotto un vasto programma di sorveglianza digitale sugli attivisti in protesta dopo l’omicidio dell’afro-americano George Floyd da parte di un poliziotto nel 2020. Hanno tracciato i loro cellulari, scandagliato profili social media. Schedato i loro volti con sistemi automatici di riconoscimento facciale (basati su algoritmi di intelligenza artificiale), durante le manifestazioni.Nemmenol’Occidente è immune alle lusinghe della sorveglianza digitale. Per il libero pensiero nel mondo, non c’è notizia peggiore.
Yahya Assiri, attivista per i diritti umani dell'Arabia Saudita. In alto a destra, il iluccisoJamalCembrero.giornalista IgnacioAsinistra,Khashoggi,aIstanbul2ottobre2018
«Si è scoperto che ora Internet consente all’autoritarismo di colpire ovunque il libero pensiero, anche in esilio. Una persecuzione che diventa per la prima volta senza confini», dice Oreste Pollicino, ordinario di Diritto Costituzionale all’università Bocconi, co-fondatore di DigitalMediaLaws. «All’inizio, pensavamo che Internet, motore di globalizzazione, potesse mettere in crisi gli Stati nazione, in particolare quelli autoritari, con una ventata di apertura. Siamo poi passati, già una decina di anni fa, alla fase della disillusione. Abbiamo scoperto che Internet e tecnologie digitali consentono ai regimi un migliore e più fine controllo, sorveglianza, sui propri cittadini. Ora scopriamo di stare entrando in una terza fase: addirittura la Rete può consentire agli Stati nazione autoritari di estendere il proprio potere censorio oltre confine», aggiunge
90 14 agosto 2022 La voce dei Millennial
14 agosto 2022 91 Idee L’educazione sessuale che non c’è. E la definizione di influencer, da guardare con meno snobismo. “Che brutta malattia la competizione generazionale” illustrazione di Francesca Gastone colloquio con Carlotta Vagnoli di Chiara Valerio Sul corpo dei
Il corpo è ancora politico?
“Futile, femminile, superficiale. Chi viene dal web, pur avendo la possibilità di influenzare moltissime persone in tanti argomenti, è per definizione screditato”
«È incredibilmente curiosa e ha a disposizione una enorme quantità di controinfor-
sti che possono controllare gli altri: mi vengono in mente le politiche riproduttive, la 194, il fine vita, lo ius soli. Ma c’è di più: alcuni corpi sono politici semplicemente esistendo. Pensiamo alle persone con disabilità, alle persone trans, alle persone razzializzate, ad esempio. Solo negli ultimi anni iniziamo ad avere istanze civili che chiedono riconoscimento di diritti e visibilità di alcune categorie marginalizzate. Pensiamo anche ai corpi femminili, ogni giorno esposti alla violenza di genere. Insomma, ogni corpo appartenente a una categoria marginalizzata è politico semplicemente esistendo, perché vive la disuguaglianza sulla propria pelle. E la sua rappresentazione – sia in politica che sui media - diventa fondamentale per ampliare, allargare la politica stessa».
A che serve l’educazione sessuale?
arlotta Vagnoli, al suo terzo libro, è seguita su Instagram da più di trecentomila persone. Dal vivo è una ragazza mora ed elegante, che ride in modo coinvolgente, e parla velocemente guardandosi intorno, legge molto, si accalora, critica. L’accento toscano e marino aggiunge al suo modo di parlare un tono interrogativo. Carlotta Vagnoli fa le domande e ascolta le risposte. Ogni tanto, come in queste pagine, accetta anche di farsi fare le domande. Ho visto giovani esseri umani fermarla per strada e chiederle tutto ciò che si potrebbe chiedere a qualcuno che ha fatto un pezzo di strada in più e ha la generosità di raccontarlo. Carlotta Vagnoli non spiega, racconta. E raccontare è l’unica prassi educativa che ritengo efficace.
«A tutelare e rendere consapevoli i giovani, mica noi adulti. Solo che i giovani, in Italia, non sono mai stati tutelati. La possibilità di educare le generazioni minori al sesso e all’affettività è sempre esistita, solo che non è mai stata vista da un lato di buon occhio e buon costume – viviamo nella cattolicissima Italia, giocare con la Chiesa in casa e soprattutto inserita così bene nell’istituzione scolastica non aiuta di certo - dall’altro come utile e formativa. Considerata una categoria di serie B, non è mai stato interesse ministeriale inserirla nei POF nazionali, lasciando così il fardello alle singole scuole, che spesso si trovano bloccate da orde di genitori imbufaliti perché “certe cose ai nostri figli non gliele dovete dire”. La possibilità di insegnare educazione sessuale c’è, e avrebbe una bellissima corsia preferenziale ovvero quella ministeriale, se solo non avessimo un sistema educativo fermo al dopoguerra e pieno di contraddizioni».
92 14 agosto 2022 C La voce dei Millennial
«Per definizione. Pensiamo sia alla presenza dei corpi nello spazio di lotta che all’esclusione o al controllo su alcuni di questi proprio per eliminarli dal gioco politico. La forma del corpo è da sempre stata il primo passaporto per accedere alla pratica politica: corpi maschili, bianchi, abili, cisgender. Nella società della performance patriarcale, i corpi validi sono davvero pochi e sono que-
La generazione Z sente il bisogno di educazione sessuale?
Chiara Valerio
«La parola “giovane”, nella nostra società deliziosamente paternalista, è quell’arma a doppio taglio che da un lato ti ricorda che hai tempo e sei ancora meravigliosa, dall’altro ti esclude dai giochi».
«Sì. E credo sia finita da un pezzo l’età della gioventù, ma questo permette di non prendere il mio lavoro troppo sul serio, le mie istanze in maniera rigorosa, la mia voce con la dovuta attenzione. Se sei giovane, sei automaticamente inesperta, fumantina, sopra le righe: prima o poi ti passerà. Giovane però vuol dire che dimostri meno anni di quelli che in realtà hai e questo è ancora lo scopo primario di una società dell’apparenza come la nostra: invecchiare? Giammai. Fingere sempre. Arrendersi mai. Ed ecco qui spie-
Autrice, content creator, attivista, Carlotta Vagnoli, 35 anni (foto in alto), (si occupa sulle piattaforme social di temi come la violenza di genere, la lotta agli stereotipi, il linguaggio da rifondare. Il suo ultimo libro si intitola “Memoria delle mie puttane allegre” (edito da Marsilio). In basso, a sinistra: Chiara Valerio
GENERAZIONECONTRO
mazione – che arriva anche e soprattutto dal web: le fortune dei nativi digitali sono immense in questo senso - e questo le permette di essere anni luce avanti rispetto alla mia generazione – millennial - o quella ancora precedente - X - in termini di formazione indipendente. Il problema rimane però il solito: responsabilizzare il singolo individuo per la propria informazione è quanto più lontano dal significato di “cultura” che ci sia». Pensa ancora alla scuola. «Penso a politiche ministeriali mirate e sveglie, che eliminino le disuguaglianze e creino spazi di confronto, ad oggi totalmente assenti nelle nostre scuole. Abbiamo lasciato da soli anche questa generazione di giovani, e sta a noi, alla nuova generazione di adulti, cercare di non commettere l’errore che da troppo tempo va avanti e che isola ragazze e ragazzi in una bolla di silenzio e mancato ascolto».
E il revenge porn?
Idee
Quindi lei è una giovane scrittrice di 35 anni?
«Non solo, anche la brutalità del linguaggio digitale, l’aumento di casi di condivisione non consensuale di materiale intimo tra i giovanissimi, l’aumento della violenza e del bullismo, direi che sì, c’è tanto bisogno di
Che significa giovane?
14 agosto 2022 93 Contrasto/Tania(2),LorussoSAraFoto:
educazione sessuale. Soprattutto per creare cultura laddove cultura sembra non esserci, ovvero in tutti quegli spazi digitali che ancora sono terra di nessuno e non hanno regole precise e tantomeno tutele da parte delle compagnie private che gestiscono le piattaforme».
Qualcuno le ha chiesto di entrare in politica?
«Mi voglio troppo bene per la politica, non ci entrerei mai. Trovo ci siano meccanismi di poltrona terrificanti, a cui non vorrei mai sottostare. Mi rende triste la scena del nostro Paese, mi mortifica profondamente e credo che il mestiere di chi si definisce intellettuale sia proprio quello di rimanere distaccato dalla politica, per poter vedere con lucidità e disinteresse quel di cui abbiamo bisogno, senza sfruttare le tematiche culturali e sociali a proprio favore: chi lo fa, appunto, è un politico che ha interesse per sé e per il proprio partito, e non un intellettuale, il cui interesse è invece rivolto verso la collettività e il suo pensiero».
me social che ha il potere di influenzare gli spettatori in determinati settori e su determinati argomenti. È un lavoro, ben poco codificato e spesso - molto spesso - pieno di speculazione e woke washing delle aziende - ma è anche un ambiente in piena espansione. Il termine influencer ha preso accezione negativa perché appunto abbinato a qualcosa di futile, femminile, superficiale. Quindi, per proprietà transitiva, tutte le donne con un po’ di seguito, anche se di professione non sono influencer, quando dovranno essere screditate verranno chiamate influencer».
Siamo un paese vecchio e maschilista?
94 14 agosto 2022 La voce dei Millennial gato l’ultimo governo Berlusconi. Credo che giovane sia chi ha bisogno della nostra attenzione. Una persona giovane ha bisogno di ascolto e fame di apprendimento, di spazio e respiro. Per questo il lavoro di noi adulti dovrebbe essere in funzione dei giovani, non viceversa: per dare spazio e accogliere, formando, nuove voci».
Influencer è usato in accezione dispregiativa, perché?
Ha mai pensato di entrare in politica?
mo gesto dell’ombrello».
Si sente un simbolo?
«Influencer nasce come un mestiere prettamente femminile. E già questo ci potrebbe far capire perché venga preso così poco seriamente. Nello spazio digitale, le donne e le giovani donne della prima decade dei 2000 si sono ritagliate uno spazio lavorativo che potesse conciliare la vita familiare, quella domestica e sociale. I settori in cui si trovano più influencer sono quelli reputati femminili dalla nostra società patriarcale: beauty, moda, fitness, cucina. Insomma, secondo stereotipo, sono i settori ritenuti futili. La figura dell’influencer, dai blog del 2010, si è evoluta ed è diventata quella che oggi conosciamo tutti: una persona molto nota sulle piattafor-
«Di certo, screditare chi arriva dal web avviene anche perché le vecchie generazioni non comprendono il potenziale del digitale e reputano ancora tutto ciò che è collegato ai social e a Internet una grande cazzata da ragazzini. Che brutta malattia la competizione generazionale».
«Non mi sento un simbolo, mi sento una normalissima millennial. La mia storia è quella di gran parte dei miei coetanei: anni di lavori in nero, co. co. co, voucher Inps, stage pagati come delle goleador, affitti alle
“Non mi sento un simbolo, sono una normalissima millennial: lavori in nero, co. co. co, voucher Inps, affitti alle stelle, questione di genere e divario salariale”
«Sì, e io ho riso di gusto, facendo un sobrissi-
«Partiamo da un assunto: il femminismo è necessariamente di sinistra. Dunque, per proprietà transitiva – mi corregga se sbaglio, la matematica è cosa sua e ahimé non miail femminismo soffre spesso di quelle patologie tipiche della Sinistra, ovvero la iper frammentazione. Alcuni di questi femminismi sono poi arretrati, assolutamente anacronistici e lontani decenni dai concetti a noi contemporanei (mi vengono in mente le “terf“ e le “swerf”). Di base però, ogni femminismo parte da una radice comune e mira - tranne i due esempi di cui sopra - all’intersezionalità. La Sinistra l’abbiamo persa tra le barche in Costa Smeralda, i giochetti di Renzi, il classismo sfrenato e i finanziamenti alla guardia costiera libica. Credo che la cosa più di sinistra sulla sinistra italiana l’abbia detta Nanni Moretti in “Aprile”, quando intima a D’Alema di dire qualcosa di sinistra. Sono passati quasi 25 anni da quel film e direi che la situazione è sempre quella: sinistra, dì qualcosa di sinistra, ascolta il femminismo».
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14 agosto 2022 95 LorussoSaraFoto: Idee
stelle, partite Iva come se piovessero, questione di genere e divario salariale. Non mi sento un simbolo perché appunto io sono la norma di una generazione. Io parlo, ma non più di altri: ci sono miei coetanei che lo fanno con altrettanta costanza e bravura. Io so però come fare infuriare le persone. E questa, che altro non è che una forma di manipolazione, è una dote a cui tengo molto». Abbiamo fatto un libro insieme, “Memoria delle mie puttane allegre” (Marsilio, 2022). Le sue puttane sono femministe? «Involontariamente femministe. Sono infatti donne che non conoscono e non conoscevano la teoria femminista, spesso non conoscevano neanche il mondo esterno – vedi mia nonna Iselda -, ma a livello inconscio, quasi primordiale e istintivo, si manifestavano nella loro pienezza caratteriale, in una complessità meravigliosa e priva di stereotipi, libera, che è quanto di più femminista ci sia. Le mie donne di Macondo arrivano al femminismo senza saperlo, senza neanche sapere cosa sia: ci arrivano in maniera del tutto naturale. E questo mi spinge a pensare ancor di più che il femminismo sia davvero l’unica salvezza possibile per la nostra società».
Il femminismo non le ricorda un po’ la sinistra? Molte discussioni interne, intendo...
Le immagini pubblicate in queste pagine sono della fotografa Sara Lorusso, che ha indagato il senso del maschile e femminile con il servizio “My generation” e l’amore libero di esprimersi con il progetto “Love is love”
L 96 14 agosto 2022
La casa è messa a puntino, ha chiamato Valeria un mese fa: passeremo l’estate lì quest’anno, così la donna haportato suo marito a curare il giardino e pulire la piscina. In veranda i grandi divani bianchi e il tavolino di vimini hanno l’aria dell’attesa, i padroni americani finalmente si sono decisi a ritornare per un lungo tempo.
La sposa americana
Un amore estivo, che travolge le previsioni.
All’imbrunire si mettono sedute e con aria dismessa osservano il mondo che passa davanti alla loro casa, il vento serale accarezza le rughe sui volti segnati, fino ad ampia luna. Le sedie posizionate di lato lasciano il passaggio libero verso le porte sempre aperte. Le persiane verdi con le peonie fiorite in ogni stagione le fanno sembrare un quadro fermo nel tempo.
Nei prossimi giorni farà un giro per i vicoli, chissà se la riconosceranno, gli anni dopotutto sono passati anche per lei. Se girerà con l’Americano, non dovrà porsi il problema, nei paesini così lo straniero diventa un segno distintivo. Qui chiamano in questo modo tutti, è arrivato mio fratello svizzero, diceva al bar suo padre quando era bambina. Suo zio era emigrato in Svizzera ed era lo Svizzero per tutti.
La malinconia per un amore mai dimenticato.
L’Eros in un racconto
Continua la nostra serie di inediti d’autore
a notizia del loro arrivo sarà volata senz’altro, oggetto non solo della stampa locale ma anche delle vecchie, sentinelle di ciò che accade in paese.
Da bambina, quando non pensava che un giorno sarebbe andata via, si era promessa che da vecchia avrebbe comprato una sedia nuova. Camminavano di vita in vita, quelle sedie, con segni indelebili di vernici diverse, un chiodo qua e là, capaci di tenere non solo il peso delle loro carni ma di tutte le storie del paese. Sarà passata anche la sua storia nelle loro bocche per arrivare a tempi irraggiungibili, dopo di lei, senza di lei. È quella che ha sposato l’americano, lui si era spinto fino a qui per trovare l’ispirazione giusta per il suo romanzo, e invece aveva trovato moglie.
di Anilda Ibrahimi illustrazione di Antonio Pronostico
Vent’anni fa nessuna comprava casa così vicino al mare, solo gli stranieri, e lei lo era diventata.Nonècosi ricco anche se è famoso, diceva la gente in giro, i veri ricchi comprano le case dell’Ottocento al centro del paese, anzi i castelli di quei nobili decaduti dei quali i figli avevano sperperato tutto, tra liti di famiglia e figli illegali, ma legali erano stati i testamenti dopo la loro morte. Lo scrittore
Idee 14 agosto 2022 97
Due ragazzi giovani sono seduti a pochi metri da lei, il vento fruscia le loro risate, chissà se non hanno passato la notte fuori, a vederli non sembrano stanchi, la stanchezza è privilegio degli anziani. Anche degli infelici. Ne hanno di tempo quei due per arrivare a certi privilegi.
Si era tolta il vestito ed era corsa verso il mare, non frignare americano, aveva urlato dal buio delle onde, il bagno notturno è la cura migliore. Lui l’aveva raggiunta, contro cosa? Le aveva detto stretto nelle spalle per il freddo.Contro
niero che era arrivato da oltre oceano in un paesino al tacco dello stivale, voleva fare colpo su di lei con parole sfarzose.
Benjamin non aveva risposto. I giorni successivi aveva provato a scrivere poesie, per lei era disposto a riordinare il mondo. Che cosa sciocca, aveva riso lei leggendo. Tu non sei un poeta! Loro non hanno altro motivo per vivere che la poesia, è questo che vorresti fare?Aveva rinunciato, meglio fare lo scrittore,
Con Anilda Ibrahimi, 50 anni, scrittrice originaria di Valona, in Albania (“Volevo essere Madame Bovary”, Einaudi, è il suo ultimo romanzo), prosegue la serie di racconti dedicati all’eros, che L’Espresso ha inaugurato il 31 luglio scorso.
americano aveva preferito una villetta del boom economico, l’aveva costruita un macellaio che non aveva fatto in tempo ad andare in pensione perché era morto prima. Ma si sa, gli americani di case non capiscono granché, per loro basta che siano vicino all’oceano e che abbiano una piscina. Anche l’angolo barbecue, grigliare grosse salsicce con gli amici nel weekend era il loro passatempo preferito, o forse lo era degli altri americani, loro avranno un cuoco, anzi uno chef, magari di origini italiane per far sentire a casa la Passerannomoglie.l’estate nella casa che hanno comprato da giovani sposi, era rimasta ad aspettarli per oltre vent’anni, i crepuscoli invecchiati come ragnatele passeggiano per le stanze vuote. Dalle finestre si vedono le dune sabbiose che separano il litorale turchese dalla spiaggia bianca, lì l’americano la vide per la prima volta e perse la testa perSilei.sveglia all’alba, Benjamin ancora dorme, fa le ore piccole anche d’estate lui, del resto per gli scrittori non esistono le vacanze, una volta quando lei si era lamentata lui le aveva detto che non sapeva come mandare i personaggi del suo nuovo romanzo in vacanza, il suo lavoro non era una bottega dove si mette un cartello fuori: “Chiuso per ferie”.
Voi tutti, gli scrittori. I poeti mettono ordine nel mondo, voi lo scompigliate con le vostre storie che non sono altro che la remissione dei vostri peccati.
In apertura, Viola Ardone ha raccontato un amore giovanile nella notte dei Mondiali dell’82. Matteo Nucci ha proseguito con “L’abisso del desiderio”.
PAROLE D’AMORE
98 14 agosto 2022
L’Eros in un racconto
Il sole nascente sottrae ogni pensiero, ora sta illuminando le case calcinate sparse oltre l’uliveto. Benjamin lo ha conosciuto su questa spiaggia, vedi, le aveva sussurrato lui, la luna sonnambula si sbatte sugli ulivi e disturba la loro antica preghiera. Aveva provato una certa tenerezza per lui, questo stra-
tutto, aveva detto lei e a questo punto lui si era reso conto che doveva solo nuotare e smettere con le chiacchiere da poeti, anche se in realtà era uno scrittore.
Io? E perché? Aveva chiesto lui stupito.
Quindi sei un poeta fallito, le aveva detto lei nel vasto mare con il nulla attorno.
Cammina verso la spiaggia, il mare, lastra d’argento che a breve, con il nascere del sole, diventerà d’oro. Si siede sulla sabbia umida, non è mai stata una donna nostalgica, il passato non le interessa, la vita va come deve andare e gli inutili sentimentalismi sono cose da personaggi di suo marito. Vuole solo godersi l’estate, nuotare nel mare dell’infanzia, andare per le masserie a comprare la verdura e la frutta fresca, di volta in volta portare un mazzo di fiori alle tombe dei suoi genitori.
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Valeria, dice girando verso la donna, che ci faiLaqui?sua amica d’infanzia, quella che gestisce la casa in sua assenza le viene incontro con un certo imbarazzo.
In alto: la spiaggia di Cefalù, vicino a Palermo
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A questo punto Nicola per quanto fosse diventato di mondo non poteva rispondere, sì amore mio viviamolo, vivere in tre un
Invece a settembre si erano sposati, lei e l’americano. Avevano scelto un paese vicino, il suono dell’organo, l’Ave Maria di Schubert sarebbe entrato nella casa di Nicola di fronte alla chiesa. Dobbiamo andare altrove per il matrimonio di nostra figlia, come scappati di casa, e siamo qui dalla notte dei tempi, aveva detto la madre affranta. Avevano portato con loro il prete, almeno questo.
Si era tolta il vestito ed era corsa verso il mare. Un bagno notturno è la cura migliore, aveva urlato lei. Lui l’aveva raggiunta: “Contro cosa?”. Contro tutto
È solo un amore estivo, passerà… aveva balbettato lui.
I pettegolezzi su quel loro matrimonio erano stati sulla bocca di tutti per mesi, una
Si è fatta l’ora di tornare, il bar della spiaggia sta aprendo, sente il trambusto dei tavoli e delle sedie. Quanti ricordi in quel posto, ballava a piedi nudi sulla sabbia, l’americano la guardava incantato dalla sua Vuolegrazia.uncaffè, non ha con sé il portafoglio, indicherà la sua casa al barista, ritornerà a pagare più tardi.
amore, anche se è stagionale, è possibile solo se il terzo ne è ignaro.
Magari hai ragione, aveva risposto lei pensosa. Ma lo voglio vivere lo stesso.
L’aveva odiata quel giorno, che senso aveva andare da lui e dire, sono stata a letto con l’americano? Non poteva parlare con le sue amiche come fanno tutte le donne? Avrebbe potuto dirlo a Valeria ad esempio, visto che erano inseparabili quelle due.
È diventata americana anche in questo, qui il caffè è solo l’espresso.
Sta in vacanza? Chiede l’uomo portando il caffè.Inun certo senso, risponde e non finisce la frase. Sto a casa, aggiunge annusando il caffè, una delle poche cose che le manca negli Usa.
Amore, la macchina dell’espresso fa i capricci di nuovo, sente dietro le spalle la voce di una donna che le sembra familiare.
Una settimana dopo lei era andata a casa di Nicola, stavano seduti nella sua stanza, ricorda l’odore dei friggitelli di sua madre che arrivava dalla cucina.
cosa da film avevano detto le vecchie sedute fuori, hanno ballato fino ad albeggiare, la brezza del mare sollevava il suo abito da sposa, erano rincasati il giorno dopo, quando la gente scendeva al mare.
Non era andato su tutte le furie, lui che una volta aveva dato un pugno sul naso ad un tizio che si era avvicinato a lei in discoteca. L’idea di perderla lo stava rendendo un uomo di mondo, come definiva lui i cornuti, io sono di paese, così diceva quando si parlava di altri uomini traditi in giro. È così che diventano gli uomini d’un pezzo quando odorano il pericolo, di mondo.
Lo guarda con più attenzione, come aveva fatto a non riconoscere il suo Nicola?
Quando arriva a casa Benjamin dorme ancora. Si siede sul divano e guarda il gelsomino azzurro che adorna la sua terrazza. Il pensiero che è stato curato da Nicola, l’amore della sua gioventù che aveva abbandonato per un amore estivo, la fa sorridere.
Si siede, un uomo e una donna stretti in un abbraccio stanno fermi sulla porta, la testa dell’uomo nell’incavo della spalla di lei. Si danno coraggio per la lunga giornata di lavoro che li aspetta, qui si lavora senza sosta per tuttaDopol’estate.unpo’ l’uomo arriva con un straccio in mano, lo ripassa sulla superficie già lucida.
Rosebud2/BianchiR.Images,GEttyFoto: Idee
in fondo aveva mille motivi per vivere, il primo stava diventando lei. Si erano amati in mezzo a quegli scarabocchi, i fogli di carta spiegazzata sul letto testimoni della sua scelta, il mondo andava bene così disordinato come era.
Questo è il nostro bar, dice la donna. Fa una pausa e indicando l’uomo aggiunge, Nicola è mio marito.
Sei già sveglia? Benjamin socchiude gli occhi dalla luce accecante.
UnDesidera?espresso, dice lei.
Ti faccio subito il caffè amore mio, dice lei e corre in cucina con passi leggeri. Q
«Questo riferimento non mi dispiace, conledovutedifferenzedicontestoedi
sitivo, un ufficio, un magazzino e un palco aperto a musicisti, artisti, perfor-
Factory Artista, musicista, spiazza pubblico e critici. Ora prepara il suo nuovo quartier generale: “Sento vicino l’approccio di Andy Warhol” colloquio con Nico Vascellari di Emanuele Coen
Nico Vascellari, 46 anni
100 14 agosto 2022 Protagonisti
Con quale spirito nasce lo spazio Codalunga?
«L’ho individuato dopo varie ricerche, sarà il mio quartier generale. Ospiterà mostre e interventi di altri artisti ma anche un negozio Codalunga. Lo spazio verrà inaugurato con tre giorni di eventi».
ster”merda”,t-shirtveCentrale,laporaneiintoconcinomentrehardcoresole,nunciameràmer.Esoprattuttoalpubblico.«Sichia-Codalunga,perilmomento»,an-VascellarisuZoom,occhialidacapellinoneroet-shirtdellabandcalifornianaUniformChoice,viaggiaintrenoversoNola,vi-aNapoli,dovesitrovalafonderiacuicollabora.Perlafactoryhascel-ilnomedelsuoprogettopiùlongevo,piedidal2005,edeiduenegozitem-apertiinquestesettimanenel-StazioneTerminienellaStazionenelcapoluogolombardo,do-sivendonofelpe,poster,pelucheeleconglianagrammi“Dream“Milanolimona”e“Resistsi-chelohannoresofamoso.
Tevere sul
SiispiraallafactorydiAndyWarhol?
A
rtista, performer, musicista, imprenditore, da sempre Nico Vascellari fuoriscolaspettiscespiazzailpubblico,indi-icritici,me-lecarte,simuoveedentroilsistema
dell’arte contemporanea. Ha deciso di non farsi rappresentare da alcuna galleria ma le sue opere fanno parte delle collezioni di importanti musei sparsi per il mondo. E ama le sfide. Come quando con la sua band tribal-punk, i Ninos Du Brasil, l’anno scorso in pieno lockdown, mentre club, teatri e musei erano chiusi, ha organizzato un tour in venti tappe in altrettante regioni d’ItaLogiaTevereredisuagettonelte.film,abitanti:regolelia.ConcertinellecasenelrispettodelleCovid-19,comespettatoriisoliunesperimentodiventatoun“Ionoi”,andatoinondasuSkyAr-A46annil’artistadiVittorioVeneto,trevigiano,staperrealizzareilpro-piùambizioso:apriràaottobrelanuovafactory,unexufficiopostaleoltre400metriquadratinelquartie-Marconi,aRoma,unazonavicinoalconunpatrimoniodiarcheolo-industrialeancoradavalorizzare.spaziocomprendeunospazioespo-
Lei ha sempre dato importanza al rapporto con il pubblico. Sono molto distanti il mondo underground,
tempo. Ho sempre guardato con interesse alla storia di Andy Warhol, sento vicino il suo approccio così versatile. È stato un grande precursore, come dimostra la celebre frase “In futuro ognuspecchionosaràfamosoperquindiciminuti”.Lodellasocietàincuiviviamo».
Musica, performance video, arte contemporanea, pop up store. La sua produzione artistica è un modo per sfuggire alle etichette?
Cosa avete in comune?
Codalunga è un progetto con una spiccata vocazione commerciale. Nel mondo dell’arte contemporanea qualcuno ha storto il naso.
nuo persone che non sapevano nulla di arte contemporanea ma erano curiose di sapere cosa accadeva lì dentro. Da allora a Codalunga hanno partecipato 250 artisti di tutto il mondo».
lavoro a un pubblico eterogeneo: da sempre chi mi segue per la musica trova le performance artistiche fighette o snob, mentre il mondo dell’arte contemporanea considera la musica semplici concerti. A me interessa stare in quella zona di mezzo dove non soddisfo nessuno del tutto ».
«L’interesse per lo scambio di energia tra il performer e il pubblico nel momento in cui si trovano a condividere lo stesso spazio. Per il resto esistono enormi differenze».
«Posso essere d’accordo ma non è una novità e riguarda anche altri Paesi. Basti pensare alle collaborazioni di Damien Hirst, Jeff Koons, Anne Imhof. Il punto è un altro: non credo che il sistema dell’arte sia in grado di garantire la libertà espressiva degli artisti. Sarebbe interessante capire perché tanti artisti collaborano con le maison di moda, viste le enormi difficoltà che hanno le istituzioni italiane nel sostenerli».
Di recente, Achille Bonito Oliva ha scritto su Robinson: «Oggi il sistema riesce a inglobare qualsiasi tentativo di rottura e di novità, sia che si tratti di gesti diretti come la politica che di gesti indiretti come la cultura». Si trova d’accordo?
«Marina Abramovic presiedeva la giuria, conoscevo i suoi lavori ma per la prima volta l’ho incontrata di persona.
«Commerciale? La maggior parte delle persone che critica non è mai venuta e non ha mai dimostrato interesse nel corso degli anni. Sta di fatto che è il primo spazio aperto da artisti negli anni Duemila e a oggi è il più longevo. Codalunga nasce nel 2005 a Vittorio Veneto, il mio studio era un negozio con ampie vetrine su strada, passavano di conti-
Negli ultimi anni il rapporto tra moteun’aggressionesostienespeciegini,Loventificato.daeartecontemporaneasièintensi-Vengonoinmentegliinter-diPistoletto,Turcato,Pesce.storicodell’arteGabrieleSimon-nelsaggio“Arteeidentitàdellaumana”(Manfrediedizioni),che«l’arteèoggettodiparassitariadapar-dellamoda».Cosanepensa?
14 agosto 2022 101 Idee ZoppellaroMattiaFoto:
Tra noi è nato un dialogo che ha attraversato questi anni».
«Mi interessa unire cose che sembrano distanti, se non addirittura opposte. È una parte emblematica della mia pratica artistica, un po’ come l’anagramma “Dream merda”. Fin dall’inizio ho capito che mi interessava proporre il mio
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«Non mi curo delle etichette. In questo modo riesco a lavorare rivendicando la mia indipendenza intellettuale, poetica ed economica. Mi colpiscono lo stupore e l’incomprensione della critica, ma è un prezzo che sono disposto a pagare».
«Diverso tempo fa venivo invitato alle sfilate di Fendi, Silvia Fendi conosceva e stimava il mio lavoro. Nel corso degli anni, per le note ragioni, la vicinanza alla maison è cresciuta. Con Silvia Fendi ci siamo trovati a parlare di aspetti creativi degli show, le ho parlato di un’idea che poteva stravolgere l’uso del suono nelle sfilate, le è piaciuta e così abbiamo cominciato a lavorare insieme. È entusiasmante».
che segue la band Ninos Du Brasil, e i fruitori dell’arte contemporanea. Vuole far entrare in collisione i due sistemi?
«Sì, il mercato funziona così. Ma fuori esistono tantissime cose che il sistema dell’arte non riconosce proprio perché non hanno mercato. Da sette anni, ad esempio, non ho una galleria che mi rappresenti, ma non significa che il mio lavoro non venda o non sia riconosciuto all’interno delle collezioni pubbliche e private».
La prima opera che fece innamorare del suo lavoro Marina Abramovic fu Nico & the Vascellaris, la performance e la scritta al neon con cui a Trento, nel 2005, vinse il Primo Premio Internazionale della Performance. Cosa vi lega?
Da diversi anni lei è il compagno di Delfina Delettrez Fendi, figlia di Silvia Venturini Fendi, oggi cura la direzione artistica degli show della maison. Come è nata questa collaborazione?
«Ho letto i fumetti di Jason Aaron sulla Potente Thor. Ho parlato molto con Taika di come avremmo potuto portarla sullo schermo. Ero pronta a tutto sul set: Taika è molto spontaneo. Erano gli inizi dello studio e fu tutto una grande sorpresa. Purtroppo le donne sono ancora poco rappresentate nel campo della scienza, della tecnologia, ingegneria e matematica. Poter interpretare qualcuno che ama e trasmette passione per la scienza in film come questi è molto entusiasmante per me. Poter interpretare poi un personaggio
Il ruolo della Potente Thor, l’amicizia, i figli. L’attrice americana si racconta: “Adoro leggere, ha un effetto purificatore”
attore. Ha anche un grande senso dell’umorismo: sa intrattenere chiunque. Nonostante le trappole del successo che ha avuto, è una persona ancora migliore di quando ci siamo visti l’ultima volta. Taika è riuscito a creare un genere molto particolare: unisce cose che non ci immagineremmo mai possano funzionare insieme. Ha sia un senso dell’umorismo bizzarro che una grande profondità emotiva. È per questo che una storia d’amore piena d’azione, che possiede perfino ele-
Come ha ritrovato la sua Jane Foster?
«È una gioia far parte del Marvel Cinematic Universe. Questo è stato un set speciale. Penso si veda: tutti ridevano sempre. È bellissimo sentire l’affetto del pubblico per questi film. Ormai conoscono la mitologia ed è bello farne parte».
Amo la scienza e i superpoteri E Portman
Thor si è trasformato molto negli anni: da eroe shakespeariano è diventato quasi un comico. È il segreto del suo successo?
Una scena del film “Thor: Love & Thunder”. A destra, Natalie Portman, 41 anni
rano dieci anni che Natalie Portman non tornava nel Marvel Cinematic Universe. Grazie a “Thor: Love & Thunder” di Taika Waititi, quarto film dedicato al dio del tuono interpretato da Chris Hemsworth, non solo ha fatto pace con il personaggio di Jane Foster, l’astrofisica che fa innamorare il figlio di Odino, ma gli ha anche preso il martello, il Mjöllnir, diventando la Potente Thor. Insieme devono affrontare Gorr, il macellatore di dei (nome che è tutto un programma), interpretato da un Christian Bale che si è sottoposto all’ennesima trasformazione fisica estrema.Ilpremio Oscar Natalie Portman ha accettato di indossare il costume da supereroina soprattutto per i suoi bambini: «È rarissimo che i figli amino davvero il lavoro dei genitori!», ha detto a Roma, dove non soltanto ha presentato il film, ma ha anche girato un video epico negli scavi di Ostia Antica, posando come una divinità tra le rovine, mentre una band di sole musiciste donne suona “Sweet Child O’Mine” dei Guns N’ Roses, pilastro della colonna sonora di “Thor: Love & Thunder”. E ancora: «In genere i miei figli non sono mai interessati ai progetti che faccio. Stavolta è stato diverso, tanto che sono venuti con me sul set. C’erano i figli di tutti: di Taika, Chris, Christian, i miei. Correvano tutti insieme sul set». Le era mancato il Marvel Cinematic Universe?
«Credo che Thor piaccia così tanto grazie a Chris Hemsworth: è una di quelle persone che catturano l’attenzione. È carismatico e un bravissimo
colloquio con Natalie Portman di Valentina Ariete
menti horror, funziona così bene. Ha un’immaginazione e una sensibilità in grado di far amalgamare bene tutto questo. Il suo senso dell’umorismo è straordinario: non è mai a spese di qualcuno. Mai».
CinemaCinema
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che è sia un’astrofisica che un’eroina è davvero eccezionale».
«Valchiria di Tessa probabilmente è il mio supereroe preferito. Non vedo l’ora di vedere un film dedicato completamente a lei. Abbiamo lavorato insie-
Pensa che fare film come questo, possedere una squadra di calcio, oggi possa essere una forma di attivismo?
«Non posso dire niente perché non so davvero niente! Quando abbiamo visto il film a Londra con Taika, e abbiamo visto quella scena finale, ci siamo guardati anche con Chris dicendo: ah, davvero?! Nessuno ne sapeva niente. Una cosa e certa: ci sarà il quinto film su Thor».
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me in “Annientamento” (film di Alexander Garland su Netflix, ndr), subito prima che facesse “Thor: Ragnarock”, e siamo rimaste amiche. Ritrovare un’amica sul set è stato straordinario. È brillante e ha un grande senso dell’umorismo. Le mie scene con lei nel film sono quelle che preferisco. Il mio amore per lei è eterno». Una cosa che Jane Foster approverebbe sicuramente è il suo club del libro, Natalie’s Book Club, che ha anche un account Instagram con quasi 60mila follower, dove lei consiglia libri e fa dirette con scrittori e scrittrici. Leggere è un superpotere?
«Amo moltissimo leggere. Penso che abbia un effetto quasi purificatore. Passiamo talmente tanto tempo con gli occhi sugli schermi che un libro è un’occasione per concentrarsi. Ci so-
no poche esperienze così, che permettono di immergersi completamente nel tuo mondo e nella tua immaginazione grazie alla guida di un autore». Siamo in Italia, il Paese del calcio. Lei ha una squadra: Angel City FC. nelloleQuantoèimportantefarvederecheragazzepossonoesserebravesport?
In “Thor: Love & Thunder” esistono molti tipi di famiglie. Cos’è la famiglia per lei?
«Qualcuno mi ha detto che arte e attivismo sono la stessa cosa: immaginiamo un mondo che non esiste. Sono sentieri gemelli».
«Le ragazze e le donne lo sanno. Devono soltanto avere l’attenzione che meritano. Abbiamo atlete incredibili da secoli: bisogna soltanto dar loro il giusto palco, il giusto compenso e spazio televisivo. È un momento molto entusiasmante: abbiamo tante giocatrici che sono vere leader».
E come riesce a bilanciare questo con il “self branding” e il marketing? È anche un tema del film: il marketing a volte può portare al Lato Oscuro. Come mantiene un equilibrio tra queste cose?
14 agosto 2022 103 Krasnigof:courtesyFoto Idee
«Cerco di non pensarci ed essere me stessa. È tutto ciò che posso essere! Certamente ognuno di noi presenta al mondo una versione di se stesso che è diversa da chi siamo davvero. Non mostro i miei difetti più grandi in pubblico, ovviamente. Ma allo stesso tempo siamo esseri umani, non siamo oggetti: è il meglio che possiamo fare».
A proposito di amore tra amici: in questo film ha ritrovato anche Tessa Thompson, che ha il ruolo di Re Valchiria.
Ogni film del Marvel Cinematic Universe non è mai davvero terminato fino alla fine dei titoli di coda. E qui c’è una scena post credit che la riguarda. Sa già che futuro avrà il suo personaggio?
«Anche io, come Jane, ho una buona dose di stacanovismo ma per fortuna ho anche la mia famiglia, che mi dà tanta gioia e mi ricorda tutto ciò che mi sta a cuore. Apprezzo che Taika nel film esplori ogni forma d’amore: amore tra amici, amore romantico, amore per se stessi, amore tra genitori e figli. Il senso della vita sta lì».
ESSERE E SCRIVERE
palude del delta del Po. Una comunità di donne, lasciate sole da uomini partiti per la guerra e reduceinvisibili”.divenuti “defuntiEuncheaccetta
Realtà e letteratura, nell’incontro tra due scrittori di generazioni diverse
Lo Governo,ciclostraordinariodelBuondipinto nel 1338 da eStoriaattente studioseunaraccontatoLorenzetti a Siena,Ambrogiodadellepiùdimedievalediprezioseeredità
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Bookmarks/i libri
Claudio Magris – Paolo Di Paolo
La nave di Teseo, pp. 189, € 15
Gabriella Piccinni Einaudi, pp. 336, € 55
“INVENTARSI UNA VITA. UN DIALOGO”
“OPERAZIONE BUON GOVERNO”
cittadine. Un programma politico espresso in 36 metri di pittura, nella sala dei Nove del Palazzo Pubblico che, mostrando gli effetti del Buono e del Cattivo governo, descrive una civiltà modernissima e una capacità profonda di catturare il consenso e innovare la comunicazione.
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Una lettura per ragazzi, ma non solo, dal grande politico produzionelanelperanche premioinglese, chee statistafuNobellaletteratura1953persuaintensadastorico.
Qui in un romanzo giovanile, di cui per primo ammetteva i limiti, che curiosamente oggi fa da metafora del potere e delle sue tentazioni. Dietro la storia di un Paese, la Laurania, sull’orlo di una guerra civile a causa di un dittatore spietato e ingiusto. E di un eroico oppositore.
Winston“SAVROLA”Churchill (trad. di Daniele Tinti) Gallucci, pp. 224, € 14,50
Di Paolo, curioso, implacabile, incalzato dal desiderio di risalire alle origini della scrittura di autori amati (come ha già fatto con Antonio Tabucchi), ascolta, sottolinea, si ad-
Matteo Mondadori,Cavezzalipp.175, € 19
di indagare su un mistero che attanaglia quella terra: un assassinio, una corsa contro il tempo, una nebbia che avvolge ogni cosa e confonde. Tra fango, odore di umidità, e l’acqua che tutto allaga minacciando qualunque solidità, un altro suggestivo viaggio dell’autore, tra verità storica e fiction.
“Non è un’intervista, come tante. Non è nemmeno o non è soltanto un dialogo sui miei libri né sui tuoi. Semmai è un dialogo sulla pre-scrittura...”. È Claudio Magris stesso a dare una definizione di “Inventarsi una vita” (La nave di Teseo), libro in forma di conversazione con Paolo Di Paolo: un faccia a faccia sul senso della scrittura e della lettura, sull’esperienza della parola esatta e, soprattutto, su questo tempo. Tempo curvo, per citare uno degli ultimi libri dello scrittore triestino (“Tempo curvo a Krems”), racconti su un tempo circolare, unica corrente di un fiume che conduce alla foce e alla sorgente. Frammenti di un genere misto, impuro, insomma: com’è l’intero mondo letterario di Magris (“è del resto quello della nostra esistenza: siamo lirici se guardiamo un tramonto, epici se raccontiamo a qualcuno la storia di un amico, saggisti se ci confrontiamo con le idee di questo amico, drammatici se viviamo l’esistenza come conflitto di passioni e di valori”).
Un immaginariovillaggio nella
SABINA MINARDI
“IL LABIRINTO DELLE NEBBIE”
dentra, pone le domande giuste: cosa si perde, scrivendo? (“La parola esatta ferisce sempre”...), c’è un diritto alla letteratura (“scrivere è anche violazione, necessaria all’amore e a un vero rapporto con gli altri”), come si vince l’angoscia sui tanti libri da leggere (“Occorre un motivo per fare una cosa, non per non farla”).
Caustico, generoso, emozionante, Magris entra ed esce dai ricordi, allinea le sue fortune: il mare, l’amicizia, l’appartenere a una generazione con meno ansie di esclusione dei giovani di oggi. Generazione digitale che si infervora per insulsi tentativi di “parlare in corsivo”. Ai quali involontariamente replica proponendo altre ambizioni. La vita “al congiuntivo”, come Musil: “La vita vera non è tanto ciò che accade ma ciò che potrebbe, dovrebbe, sarebbe dovuto accadere e, in questo senso, è accaduto veramente”.
Per Scalfari la rubrica su L’Espresso è una sorta di discorso diverso e parallelo a quello tenuto la domenica su la Repubblica commentando l’attualità della politica, dell’economia, dei fatti del mondo. È un modo per dialogare con i lettori sugli argomenti che più lo appassionano e che spesso costituiscono la materia dei libri che sta scrivendo nel corso degli anni. Anche se non manca di offrire ai suoi lettori ritratti puntuti e fulminanti di personaggi come Andreotti, Berlusconi o Grillo. Per ricordare a un mese dalla scomparsa questo grande giornalista, figura unica nel panorama del Novecento, i lettori troveranno in edicola, in libreria e su Amazon al prezzo di 9 euro e 90 una scelta (introdotta da un articolo di Eco che presenta il suo illustre dirimpettaio) agile e significativa degli articoli che per vent’anni hanno rappresentato la sua vena creativa più intima e autentica dove i grandi interrogativi dell’esistenza umana si intrecciano alla vita di tutti i giorni, ai personaggi del momento, ai mutamenti sociali, alle passioni politiche. Sempre con leggerezza.
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Agf/ScalfariE.Foto:
Il vetro di Scalfari soffiato con leggerezza
di Leopoldo Fabiani
“IL VETRO SOFFIATO DI EUGENIO L’EspressoSCALFARI”Media,pp.164, €9,90
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L’iniziativa Idee
n una società in cui tutto o quasi tutto fosse diventato comunicazione, esisterebbe soltanto il presente, cioè il tempo reale; il passato sarebbe stato cancellato insieme alla solitudine, al dialogo con sé stessi e alla memoria. Non resterebbe che ribellarsi a una vita così congegnata e appiattita». Così scriveva Eugenio Scalfari nel suo “Vetro Soffiato” del 5 novembre 1998 quasi profetizzando quello sarebbe accaduto molto tempo dopo, nell’epoca che stiamo Allavivendo.rubrica quindicinale che da quell’anno aveva cominciato a tenere su L’Espresso, alternandosi nell’ultima pagina con Umberto Eco, Scalfari ha affidato riflessioni, che vanno al di là degli eventi quotidiani da cui prendono spunto, sui temi che più gli erano cari: l’etica pubblica e privata, la classe dirigente italiana, la storia, la religione, l’economia, i mutamenti del costume. Affrontati senza troppa seriosità, come scrive lui stesso nella rubrica d’esordio, spiegando la scelta del titolo: «Il vetro soffiato vuole essere un'indicazione di leggerezza».
A un mese dallagiornalistadelscomparsagrande un libro raccoglie una scelta della rubrica tenuta per vent’anni su L’Espresso. I temi che gli erano più intrecciaticari ai fatti della vita di tutti i giorni
La perdita del potere d’acquisto del bolívar ha dato impulso alle criptovalute. Il governo è intervenuto con il Petro, snobbato dagli utenti in favore di altri sistemi. E con il basso costo dell’energia ne beneficia l’export
L’ufficio tecnico della Doctor Miner fondata nel 2016 da Theodoro Toukoumidis e Juan Jose Pinto
anzionare doveva servire a reprimere. Così da rovesciare il sistema. Ma il governo di Nicolás Maduro Moros, presidente della Repubblica bolivariana del Venezuela dal 2013, non è crollato sotto il peso dell’embargo imposto gli Stati Uniti. Non è successo nel 2019 e non sembra possibile adesso che la popolazione allevia le conseguenze delle sanzioni (alleggerite dall’amministrazione americana di Joe Biden dopo lo scoppio della guerra in Ucraina) grazie all’utilizzo delle criptovalute. L’incremento dei pagamenti in cripto e del mining, il processo di creazione delle monete digitali, fanno la loro parte per la ripresa economica, sia pure fragile, del Venezuela. Grazie al basso costo dell’energia e all’esigenza degli abitanti di relazionarsi con il resto del mondo, dal quale altrimenti sarebbero isolati.
di Chiara Sgreccia foto di Pietro Paolini
“Più liberi con i risparmi al sicuro”
Sudamerica portati, dall’altro è un modo per portare i capitali all’estero e aggirare le sanzioni». Convertire i propri risparmi in criptovalute per un venezuelano è una garanzia di sicurezza perché le oscillazioni sul mercato delle valute digitali sono inferiori a quelle del bolívar. In più, secondo Fantacci, le criptovalute sono come un bene di esportazione, prodotte a basso costo grazie ai prezzi agevoli dell’energia, entrano a fare parte delle transazioni internazionali, diventando fonte di guadagno per il Paese.Ilmining, l’attività attraverso cui le valute digitali vengono create, o meglio estratte, avviene con la risoluzione di un insieme di calcoli molto difficili che servono a chiudere ciascun blocco che compone la blockchain. Per elaborare codici così complessi, i computer necessitano di molta energia (le mining farm sono strutture, di solito molto grandi, piene di computer dotati di schede grafiche potenti, che hanno bisogno di essere raffreddate per evitare il surriscaldamento) a cui i miners venezuelani accedono con costi bassi sia perché utilizzano quella che avanza dall’estrazione di petrolio e di gas, materie prime di cui il Paese è ricco, sia grazie alle fonti rinnovabili, come l’acqua. La blockchain è un registro di informazioni digitali unico, immutabile ma condiviso e accessibile a tutti gli utenti. Di cui nessuno può
Contro inflazione e sanzioni Usa il Venezuela si converte ai Bitcoin
ne possibili come estrarre la moneta digitale. «Oggi moltissime persone usano Binance, la piattaforma di scambio di valute digitali più conosciuta al mondo, come se fosse la loro banca principale. Così è possibile convertire la moneta fiat in valuta digitale con un click. Io apro l’app almeno dieci volte al giorno. Se organizzo una festa e devo comprare da bere pago direttamente in cripto, proprio come quando vado a fare la Comespesa».spiega Luca Fantacci, condirettore dell’unità di ricerca sull’innovazione monetaria Mints dell’università Bocconi, «il successo delle criptovalute in Venezuela ha due principali motivazioni: da un lato serve per superare la perdita di potere d’acquisto della moneta locale che rende difficoltoso soprattutto il pagamento per i beni im-
«Ho creato l’azienda perché i bolívares soberanos, la valuta locale, non valevano più nulla a causa della crisi economica che ha fatto crescere l’inflazione e svalutare la moneta fiat. Non avevamo più soldi né per il cibo, né per le medicine, mentre le criptovalute ci hanno dato la possibilità di pagare», spiega Theodoro Toukoumidis, Ceo trentunenne di Doctor Miner, un pool di professionisti accomunati dalla volontà di produrre Bitcoin. Che punta a guidare il movimento spagnolo dei miners, per insegnare a quante più perso-
MONETA DIGITALE
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Storie
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Fonti di alimentazione in un ufficio tecnico dell'azienda Doctor Miner
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Sudamerica
Alexander Castrillon, fondatore di Coin Factory, lanciata nel 2020 e Jourbeth, 18 anni, operatore di un’azienda per il mining di Bitcoin
n Venezuela c’è il Petro, la criptovaluta lanciata nel 2018 dal governo del Paese per risollevare l’economia. Il suo valore dovrebbe essere ancorato a quello del petrolio ma non c’è trasparenza su come avviene l’emissione. Se gli investitori internazionali l’avessero considerata una buona opportunità di investimento avrebbe potuto portare notevoli entrate nelle casse dello Stato.
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Ma, il Petro non è entrato a far parte del mercato internazionale. «Alcune persone utilizzano la petromoneda per acquistare beni, servizi, cibo. Ma è una valuta creata dal governo, così si perde l’idea alla base del mondo cripto, la decentralizzazione. L’indipendenza del denaro da un’autorità unica», dice Toukoumidis. Che, invece, ha pensato al Bitcoin come possibilità per superare l’inflazione. «Una moneta smart, che non ha un capo ma deriva dal sostegno di tutti coloro che concorrono a crearla. Doctor Miner è una porta attraverso cui raggiungere la libertà. Perché il Bitcoin è libertà». Neanche il crollo della più importante moneta digitale al mondo, che in meno di un anno ha perso oltre il 65 per cento del suo valore, tornando ai minimi storici del 2020, ha fermato l’estrazione di criptovalute in Venezuela. Perché l’obiettivo, per molti, non è solo il guadagno ma anche sanare le ferite che
attraversano la società. Doctor Miner concorre a migliorare le infrastrutture del Paese sia in maniera diretta, investendo parte dei proventi, sia perché l’innovazione tecnologica necessaria per far funzionare la blockchain porta benefici anche in altri settori, come in quello della produzione e dell’utilizzo dell’energia. In più crea posti di lavoro a cui accedono soprattutto i più giovani. «Nella mia azienda lavorano 70 persone e l’età media è 30 anni», conclude il ceo di Doctor Miner.
Sono soprattutto i più giovani a interessarsi alle criptovalute anche secondo Carmen Salvador, ceo dell’accademia Fintech 4.0 e di Bitcoin Café Venezuela. L’accademia offre servizi di consulenza e formazione finanziaria e tecnologica, Bitcoin Café è il primo spazio di incontro pensato per le persone entusiaste dell’economia digitale e delle criptovalute: «Ma non sono soltanto under 30, il Cafè è frequentato
modificare le specifiche che ne determinano l’esistenza. La ricompensa per chi chiude un blocco di codice è la criptovaluta. Ne esistono tante, basate sui differenti registri. Il Bitcoin è la più popolare ma ci sono anche Ether, Ripple Xrp, Litecoin. E poi ci sono le stablecoin, cioè le valute digitali caratterizzate da una minore volatilità, il cui valore è ancorato a quello della moneta fiat. Ad esempio, al dollaro, o al prezzo delle materie prime.
gement di Roma e amministratore di CoinBar spa, la piattaforma italiana per comprare e vendere criptovalute, «Nella produzione di monete digitali e per quanto riguarda la capacità di creare le infrastrutture collegate, il Venezuela è uno stato all’avanguardia. Rimane il problema politico, per cui i partner internazionali faticano a considerare la nazione affidabile per gli investimenti. Però, l’incremento della tecnologia blockchain e cripto è sicuramente un modo per attirare l’attenzione del resto del mondo sulla Repubblica bolivariana, dare alle persone una libertà finanziaria che altrimenti sarebbe improponibile e un incentivo per lo sviluppo e l’accesso alla tecnologia». E forse potrebbe essere anche il modo per promuovere una trasformazione sociale che non sia il risultato della politica estera di un altro Stato.
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per cento della popolazione possiede e utilizza asset digitali. Cioè beni che grazie alla tecnologia blockchain possono essere sviluppati da tutti coloro che hanno le competenze. Così fa Cacica Honta, artista e attivista venezuelana, che da un anno è entrata nel mondo degli Nft, gettoni unici, non riproducibili, che certificano la proprietà e l’originalità di un’opera d’arte digitale. «Pensare che esista un mondo parallelo, costruito con la tecnologia, che permette alla mia arte di essere conosciuta, di rendere visibile l’identità afro-indigena, le nostre radici, la nostra storia, mi affascina. Ho sempre creduto che l’arte sia un bene sociale comune, fare in modo che sia accessibile anche dall’angolo più improbabile del pianeta serve per spronare le persone a riflettere e aprire spazi di conoscenza sulle culture».
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nche perché il Venezuela, come si legge in un report delle Nazioni Unite pubblicato a giugno 2022, è il terzo Paese al mondo per l’adozione e l’utilizzo di criptovalute: oltre il 10
Come spiega Antonello Cugusi, docente alla Blockchain school mana-
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da persone di tutte le età. Anche professionisti e anziani vogliono studiare digitalil’estrazionelezadatosformazioneding».tivalore,comeluta,cas.alvenezuelanal’argomentoperaggiornarsi.Lasocietàsièadattatavelocementecambiamento,soprattuttoaCara-Viviamoinun’economiamultiva-incuilecriptovengonoutilizzateformadipagamento,riservadirimessa.Eoffrononuovefon-diredditograziealminingealtra-Perregolamentarequestatra-repentinailgovernohavitaaSunacrip,laSoprintenden-nazionaleperibenicrittograficieattivitàcorrelate,chesistematizzael’utilizzodellemonetenelPaese.
Cacica Honta, artista e attivista venezuelana, entrata nel mondo degli Nft e Nestor, 29 anni, lavora come saldatore presso Coin Factory
LO SPETTRO DELLA FAME
Bangladesi in fuga Rotta su Dacca per la sopravvivenza
Rehana dimostra una cinquantina d’anni, vive in un villaggio circondato da risaie del demanio pubblico concesse in comodato ai contadini migranti interni. «Vengo dalla provincia di Mymensingh dove non avevamo spazi da coltivare, qui ce ne sono tanti. Sono stati i nostri genitori, miei e di mio marito
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Il Paese cresce nelle previsioni internazionali ma il raccolto è compromesso e a milioni si riversano sulla capitale lasciando le risaie
Migrazioni
di Angelo Loy e Martino Mazzonis
a venire quando eravamo bambini». Per qualche anno è andata bene, le inondazioni erano regolari e avvenivano dopo i raccolti, ma non è più così. La capanna con il tetto di latta dove vive Rehana è posta per precauzione su un piccolo terrapieno, è rialzata rispetto al livello delle coltivazioni come tutto il resto del villaggio. Una sola stanza, un letto, delle mensole di legno, qualche cesta, dei sacchi da 25 chili di riso, bacinelle
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giuridica che non esiste, sebbene il clima che cambia produca la necessità di lasciare la propria terra in misura crescente. In Bangladesh si scappa dalla terra che scompare da sotto ai piedi perché l’intensità delle tempeste tropicali nel Golfo del Bengala è in aumento e le esondazioni dei grandi fiumi che attraversano questa immensa pianura sono divenute irregolari, frequenti e più devastanti che in passato. Lo scorso giugno, l’acqua ha invaso le case di 7 milioni di famiglie producendo 10 miliardi di dollari di danni. La siccità dell’inizio dell’anno e gli allagamenti dell’estate hanno falcidiato i raccolti di riso nell’anno in cui l’invasione russa in Ucraina ha fatto mancare cereali alla dietaTraplanetaria.icontadini colpiti ci sono anche Rehana e Bibi, donne contadine, che incontriamo in un villaggio a un’ora di viaggio da Sunamganj. Per arrivarci si viaggia su strade lungo le quali il riso raccolto prima che l’acqua dei fiumi cominci a salire è messo a seccare sull’asfalto, l’unico luogo davvero asciutto. Il furgoncino a tre ruote su cui viaggiamo a volte è costretto a passarci sopra.
ietro al bancone della scarna hall dell’albergo il portiere, un ragazzo sulla ventina, è in videochiamata. Si avvicina sorridendo e mostra lo schermo dove un signore dall’altra parte del mondo dice «Forza Roma». Siamo a Sunamganj, nel nord del Bangladesh, e Ali, il giovane, spiega che suo zio vive nella capitale italiana da anni e che lui partirà per la Libia per poi raggiungerlo. «So che è pericoloso, ma mi sento che andrà tutto bene», dice sorridendo. Se tutto andrà per il meglio, Ali potrà considerarsi molto fortunato. Non tutti i bangladesi hanno la possibilità di pagarsi il viaggio fino in Libia o famiglie pronte a indebitarsi con qualcuno all’estero che possa facilitarlo. Dunque la migrazione è quasi sempre interna, almeno all’inizio. La maggior parte dei concittadini di Ali che lascia il proprio villaggio non parte in cerca di una prospettiva migliore come capita al giovane portiere di albergo ma perché non ha scelta. Il viaggio dei migranti interni è molto meno caro e meno pericoloso, ci si sposta verso altre zone del Paese o verso la capitale Dacca, dove, tra le migliaia di passeggeri che sbarcano ogni giorno dai traghetti nell’enorme porto fluviale, molti hanno in mente di restare, cercando una qualche forma di sopravvivenza e un giaciglio. Migranti interni e chi parte per l’Europa o la Penisola araba sono un misto tra il migrante economico e il rifugiato ambientale, una categoria
Le storie di famiglie che hanno visto la loro casa spazzata via dall’acqua e l’hanno dovuta ricostruire indebitandosi tornano in tutti i villaggi che si incontrano nel Nord e nel Sud del Paese. In ogni casa dal tetto di latta ondulata c’è qualcuno che è partito per cercarsi qualcosa da fare. Nel minuscolo villaggio tra le risaie che costeggiano il fiume
piante), i baccelli erano vuoti». La verità è che per salvare il raccolto dalle inondazioni premature si sono raccolte piante acerbe con chicchi non formati. «Neppure le arachidi stanno crescendo. Nella stagione in cui dovevano crescere non c’erano nuvole e non ha piovuto. E così le piante non hanno messo radici. Sono solo piante, ma senza arachidi», aggiunge Rehana scuotendo la testa. Le due donne scendono verso
Baulai, sono rimasti quasi solo donne e bambini. «Mio marito lavora sul fiume, carica e scarica la sabbia o fa altri lavori pesanti. Quando trova lavoro come bracciante nella stagione del raccolto del riso, fa anche quello. A volte lavora come macellaio. Fare solo i contadini è quasi impossibile, quest’anno il riso non è cresciuto a causa del vento cattivo (una credenza, come se ci fossero demoni nel vento che avvelenano le
Una cava sommersa nel fiume Jadukata a Sunamganj, Bangladesh
Contrasto/eyevine-XinhuaFoto: Storie
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e pentole di latta. Si cucina col carbone su due piccoli fornelli di argilla.
il campo, sradicano alcune piante e mostrano le radici. Dove dovrebbero trovarsi i baccelli delle arachidi, ci sono solo dei piccoli ispessimenti. «Tutto da buttare», dicono.
una rete in città, se si è intraprendenti e fortunati, la megalopoli da 20 milioni di abitanti può significare un futuro decente; se non va bene, ti aspetta una vita da mendicante o, al meglio, una passata a spingere coi pedali un risciò, dormendo all’ombra di una zanzariera sulla tua unica proprietà. Va bene se sei un maschio solo, non se hai una famiglia o se sei donna sola. Eppure Rehana e la sua amica sanno che bisognerà continuare a partire, magari come stagionali, come fanno la maggior parte dei maschi. «Torneranno a giorni a raccogliere le poche arachidi che sono maturate e il riso lavorando nei campi che coltiviamo noi o come braccianti per qualcun altro: se il raccolto è magro come adesso bastano poche braccia. Poi ripartono».
l contesto è quello di una regione agricola in cui i mestieri alternativi a disposizione sono pochi. C’è chi fa il pescatore sui pescherecci dei fiumi come il figlio più grande di Rehana: «Non puoi andare con la tua barchetta perché ci vuole una licenza che in pochi riescono a ottenere. Era andato a Dacca con la moglie e i figli, ma non ha trovato niente e ho dovuto mandargli i soldi per tornare». Se si ha
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I fiumi sono sempre cresciuti nella stagione delle piogge, che dava un ordine allo svolgersi della vita agricola e contribuiva a rendere la pianura del
«Prima le inondazioni arrivavano Lataperzioniberilecedereognidueoquattroanni,adessopuòsuc-piùdiunavoltal’anno.Untempocoseandavano.Abbiamopiantatoal-epiante,masearrivanoleinonda-rovinanotutto.Viviamoevivremomesicircondatidalfango»,raccon-Rehanaimmaginandoimesiavenire.suaamicaaggiunge:«Avoltel’acqua
Bangladesh fertile. Non mancavano i fenomeni estremi, ma da qualche anno a questa parte le esondazioni arrivano inattese, più violente e frequenti. Nei giorni in cui eravamo nella regione nord del Bangladesh erano previste piogge sulle montagne dell’Himalaya, oltre il confine indiano, e i contadini si affannavano a raccogliere in fretta e furia tutto quel che si poteva: uomini, donne, anziani, bambini piegati sulle piantine di riso, a trafficare sulle trebbiatrici che separano i chicchi dalla pianta o a camminare sul riso messo a essiccare per separare la pula dai chicchi.
Un'area sommersa danneggiata dalle inondazioni improvvise a Sunamganj, in Bangladesh, il 23 giugno scorso
Per un villaggio che vive di due colture, un raccolto che va a male è un disastro. «Se le arachidi crescessero e il riso non andasse a male, avremmo un raccolto e lo lavoreremmo. Non abbiamo né l’uno né l’altro e per questo dobbiamo andare altrove».
Migrazioni
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Abitanti in attesa di materiale di soccorso vicino all'area allagata a seguito delle forti piogge monsoniche a Sunamganj
dei Brics, gli Stati destinati a diventare colossi dell’economia come Brasile e Indonesia. Con tutte le speranze e le contraddizioni del caso.
«Ero riuscita a far entrare i miei figli nella scuola pubblica, poi mio marito ha avuto l’incidente e ha dovuto lasciare», racconta Bibi: «Non poter mandare i miei figli a scuola mi fa soffrire, anche adesso mentre sto parlando stanno lavorando. Per loro non ci sarebbe altro lavoro in questa zona, non hanno mai potuto imparare altri mestieri».
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arriva fino alla cintola, quando ci entra in casa non possiamo nemmeno cucinare. Dobbiamo procurarci del cibo secco come il riso soffiato o biscotti. Siamo continuamente di fronte al dubbio se rimanere o lasciare i campi e andare a Dacca a cercare lavoro. Che altro dovremmo fare? Se avessimo soldi compreremmo un pezzetto di terra altrove, invece dobbiamo rimanere e cavarcela fino al prossimo raccolto. Passeremo sei mesi sott’acqua e altri sei sperando che non ci siano inondazioni».
Storie ImagesGetty/Chowdhury/NurPhotoHasnainZ.Images,Getty/Razu/NurPhotoSalahuddinK.Foto:
La storia di Bibi è simile ma più sfortunata. «Ho quattro figli, tre se ne sono andati in altri villaggi non lontani e uno è rimasto, guadagna qualcosa e ci aiuta. Gli altri devono badare alle loro famiglie. Mio marito lavorava sul fiume, trasportavano la sabbia. Poi ha avuto un incidente, si è rotto una gamba e si è dovuto fermare», racconta Bibi guardando le nuvole che si addensano in lontananza sulle montagne. «Per sei mesi
orse la preoccupazione principale di queste donne è l’istruzione dei figli. L’istruzione è considerata, a ragione, una chiave di volta per il futuro in un Paese che, per quanto povero, cresce a ritmi sostenuti ed è prossimo a uscire dalla categoria del sottosviluppo. Goldman Sachs ha incluso il Bangladesh nella categoria dei “Next 11”, i prossimi undici Paesi destinati a seguire il percorso
Interviene Rehana: «Non riusciamo a far diventare i nostri figli adulti, facendoli studiare. Servono soldi. Uno dei miei figli ha finito le medie, gli altri nemmeno quelle, tutti a lavorare via da qui. Se avessimo l’opportunità di lavorare qui i nostri figli e i nostri mariti non dovrebbero lasciare il villaggio. Farei qualsiasi cosa pur di poter rimanere qui tutti assieme».
non poteva fare nulla senza il mio aiuto, poi ci è stato offerto un lavoro nella fornace di mattoni: il padrone mi disse: tu e tuo marito potrete lavorare facendo quel che riuscite a fare e i tuoi figli faranno i facchini. Così siamo andati. I miei figli, di 16 e 21 anni, trasportano mattoni dalla zona in cui li modellano fino al forno. Anche quello di 12 ha dovuto lasciare la scuola perché non ce la potevamo permettere. I miei figli sono là adesso, io sono qui qualche giorno».
Borghi d’Italia A Savoca, nel Messinese, i donkey tour organizzati da Salvo Moschella. Ha salvato “don Pippino” dal macello e da allora si è votato alla salvaguardia dell’animale simbolo dell’economia rurale, soppiantato da trattori e 4X4 LA MEMORIA Alla riscoperta dell’asino nel borgo che cinquant’anni fa fece da set del Padrino
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di Maurizio Di Fazio
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Contrasto/PhotosMagnum/SciannaF.Images,GettyFoto: Storie
aranno pure più lenti, e meno cinematografici, dei cavalli ma il loro passo è saldo, agile, tenace, resistente, assuefatti come sono a sopravvivere in contesti estremi. E se fiutano un pericolo, per sé stessi o noialtri, si impuntano. Razza umile e stoica, libera e intelligente, con buona pace di De Amicis e della vulgata medievale da cui quest’ultimo aveva tratto linfa. In Italia erano giunti al seguito dei fenici. Hanno servito devotamente per millenni gli esseri umani, gli asini, sgobbando e rimpiazzandoci nelle operazioni più impervie. Immolati come animali da lavoro, bestie da soma, sull’altare dell’agricoltura vintage: tiravano gli aratri, facevano girare i mulini. Fondamentali anche nei nostri modi pre-tecnologici di muovere le persone, le cose e le merci. Nulla ci era precluso grazie a simili servigi gratuiti, nemmeno il terreno di montagna più dissestato e tortuoso. Se non fossero apparsi sulla faccia della terra
non avremmo forse edificato le nostre città, le nostre civiltà. Poi sono arrivati i boom economici, le automobili, la meccanizzazione nelle campagne, le strade carrabili al posto delle mulattiere. E ci siamo dimenticati di loro. Il segno di un passato ignominioso, da scrollarsi di dosso. Ma c’è chi prova a contrastare questa deriva culturale e morale. Siamo a Savoca, a un pugno di chilometri da Taormina, con affaccio panoramico sullo Ionio e l’Etna. Qui vennero girate scene capitali de “Il Padrino” di Francis Ford Coppola, nel pantheon dei film più rilevanti di sempre e che festeggia, proprio quest’anno, cinquant’anni sul grande schermo. Da altrettanto tempo il piccolo centro siciliano è meta di un incessante flusso cine-turistico internazionale, che rende omaggio alla pellicola di culto. Qui vive Salvo Moschella, fondatore de “Il sentiero dell’asino”. 41 anni, tanti mestieri e sacrifici pregressi per sbarcare il lunario («iniziai da ragazzino racco-
gliendo i limoni, muratore, giardiniere»), il sogno coronato di una casa-vacanze tutta sua dove ha sperimentato l’embrione dei successivi donkey tour. «È nato tutto per caso, io cresciuto in mezzo ai cavalli, ne ho cavalcati a centinaia. Non ne avevo mai visto uno: anzi pensavo, vittima dei soliti pregiudizi, che fossero animali stupidi. Se svogliato o testardo, se andavi male a scuola eri un asino». Intorno ai dieci anni il suo primo rendez-vous. Accidentale. Un’epifania. «Ero in macchina dalle mie parti con mio padre e un suo amico, che esclamò: “Guardate don Pippino, l’ultimo sciccaro di Antillo”. Mi affacciai dal finestrino e vidi questo signore anziano, con la gobba e la giacca di un paio di misure più ampia, il viso e le mani solcati da rughe profonde, una coppola bassa sulla fronte. Anche il suo asino sprigionava un’espressione stanca, vecchio e smagrito. Provai un sussulto». Qualche anno e la storia si ripete. «Indicandolo, mi dissero:
Un maniscalco al lavoro. Nella pagina accanto, un asino alle grotte di Mangiapane, a Custonaci, in provincia di Trapani
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Il paese di Savoca nel parco dei Nebrodi, in provincia di Messina. Al centro, una scena del Padrino girata a Savoca
Borghi d’Italia
“Non appena muore don Ciccio nessuno utilizzerà più l’asino”. Ci fermammo a fare due chiacchiere ed ebbi una nuova fitta al cuore a osservarli insieme, entrambi ingrigiti e appassiti, mesti». Salvo accarezza Peppino, tenero, distaccato e fiero, lo sguardo velato di gratitudine. «È stato il primo asino che ho salvato dal macello. Con lui si è instaurato un legame così viscerale che comunichiamo senza parole: ci lega un rispetto reciproco, un grande affetto, un vincolo invisibile». Lo acquistò da un amico macellaio, evitandogli il mattatoio. «Li aveva comprati pochi mesi prima, magrissimi, per ingrassarli, fargli pulire il terreno senza dover ingaggiare qualcun altro e infine macellarli. Stava per imperversare la stagione degli incendi e nella sua proprietà non c’era più un filo d’erba, tutto pulito. Mi vennero incontro, dall’altro lato della recinzione, cinque puledri d’asino, con le orecchie tese verso di me. Mi fissavano con i loro occhi enormi. Lo dissi a mia moglie e tornammo insieme per Peppino». Dopo ne ha rilevati altri. La
famiglia è cresciuta, «attualmente ho quattro asini, tutti ragusani, di una razza che era stata selezionata e adoperata nella Prima e nella Seconda guerra mondiale per il trasporto degli armamenti sulle Alpi». Anche Napoleone e altri celebri condottieri li prediligevano per queste mansioni. «Quando ho avviato i donkey tour, i “tour dell’asinello” per la valle e il centro storico, la gente mi fermava e si congratulava con me. Soprattutto le persone più avanti con l’anagrafe, che mi raccontavano le loro avventure novecentesche.
dell’Istat. La ritirata è impressionante. Nella nostra penisola siamo scesi dalle 125 mila unità del 1941 alle 30 mila del 2000. Alcune specie si sono pressoché estinte. Oggi gli asini vengono impiegati per lo più nella pet-therapy, nel cosiddetto onoturismo, nei trattamenti di bellezza. E pensare che li nominavano la Bibbia, il Corano e il Talmud. Gesù li scelse come veicolo naturale per recarsi a Gerusalemme. I ciuchi campeggiano in pietre miliari della letteratura (da Apuleio a Pinocchio) e dell’arte (Lorenzo Lotto e Piero della Francesca, per esempio). «Faccio pochi giri, non voglio sfruttarli oltremodo. I turisti rimangono in genere meravigliati, sbalorditi. Un gigantesco e romantico salto indietro delle lancette dell’orologio. Specialmente gli italo-americani, figli e nipoti di emigranti che li avevano allevati con queste memorie preziose. Vogliono ripercorrere le gesta dei loro parenti e dei loro avi, si emozionano. Un turismo delle radici, dell’anima». Salvo Moschella riecheggia un po’ la parabola di uno dei protagonisti de “Il
lle volte i loro visi si rigavano di lacrime. Mi mettevano a parte di vicende sepolte: per loro quest’animale era stato una macchina, un fedele compagno di mestiere e di sudore. Vivevano giorno e notte in compagnia degli asini; ci dormivano, letteralmente, insieme. Poi il progresso li ha sostituiti con i trattori, le quattro ruote a benzina. E si è spenta, progressivamente, questa tradizione secolare». Parlano i numeri
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Animali da lavoro al rientro in paese, a Corleone, in provincia di Palermo, dopo una giornata nei campi
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inapplicabile in una metropoli. Ma torniamo a Savoca. Salvo non si compiace della sua ascensione nell’immaginario collettivo perché set de “Il Padrino”. Il processo è stato tuttavia implacabile. Con un climax nei mesi a venire, complice l’anniversario del mezzo secolo. Coppola vi trasportò le maestranze tecniche e artistiche di “The Grandfather” ravvisandovi un’immagine ancora autentica e rurale della Sicilia. Il suggerimento era stato del barone Gianni Pennisi. E a Corleone sarebbe stato troppo forte il rischio di infiltrazioni mafiose. Furono 320 le comparse indigene coinvolte. Il ciak più famoso è il matrimonio di Michael Corleone (Robert De Niro), figlio del boss don Vito (Marlon Brando), con Apollonia: se ne innamorò a discapito dell’avvertimento della sua guardia del corpo, «in Sicilia i fimmini sunnu comu ’a lupara». Abbiamo conosciuto Vincenza Cicala, adesso 86enne, “la mamma di Apollonia”. Ha ammiccato auto-ironica alla sua parentesi gloriosa. I turisti continuano a chiederle autografi e selfie-ri-
cane che andava per mare”, uscito per Neri Pozza una ventina d’anni fa. Stefano Malatesta narrava di Ulli, un tedesco della Bassa Sassonia trapiantatosi nell’isola Ginostra per vestire i panni del mulattiere. Era uno degli “eccentrici siciliani” tratteggiati magistralmente nel libro: la loro segreta differenza stava «in quella forma mentale che si chiama insularità, un atteggiamento dello spirito, un carattere, un modo di vedere le cose per estremi, prima ancora di essere un dato geografico». Sempre nell’isola del Gattopardo (a Castelbuono, in provincia di Palermo), dal 2007 sei femmine d’asino attraversano quotidianamente le viuzze del paese con delle gerle sul dorso. Si prendono carico della raccolta differenziata dei rifiuti. Altro che i rumorosi e inquinanti autocompattatori. Un’idea economica ed efficace: da quando hanno ricevuto l’“appalto”, la qualità e la quantità del servizio sono migliorate sensibilmente. Il modello è stato ripreso in seguito da diversi borghi tricolori, da Riace a Montalto Ligure. Sarebbe però
cordo. Un altro sacrario di celluloide-realtà è il bar Vitelli, cristallizzato all’alba degli anni Settanta. Si racconta che Francis Ford Coppola ingurgitasse fino a quindici granite al giorno. Il caldo opprimeva quasi come oggi. Anche Robert Louis Stevenson, per il suo “Viaggio nelle Cévennes” optò, come da prosieguo del titolo, per la compagnia di un asino. Di sesso femminile, si chiamava Modestine. Sguardo affabile e mascella risoluta. Si intesero seduta stante. Condivisero le vertigini delle vallate della Francia meridionale. Lo scrittore introdusse un dialogo uomo/ animale intessuto di sole carezze. Funzionava meglio degli attrezzi di pungolo. Quando al termine del voyage, precursore della letteratura all’aperto, fu costretto a venderla, avvertì un dolore insanabile. La figura di Modestine non l’avrebbe abbandonato più, come l’eco dolcissimo del suo raglio. Se questo è un somaro. «Un amico è un regalo che fai a te stesso». Fu la sua prima isola del tesoro.
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Ho visto cose/tv
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Premessa obbligata: “Sex”, neonato di seconda serata su Rai Tre, è un programma giusto, utile, concreto, doveroso, ben condotto e come si dice in questi casi, da vero servizio pubblico. Perché sentir parlare in uno studio televisivo di piacere, identità di genere, orientamento, body shaming, disfunzioni, prevenzione, sesso-dipendenza, pornografia, masturbazione e chi più ne ha più ne metta, merita un plauso a prescindere. Immersi come siamo in una appiccicosa campagna elettorale che si divide con equità tra spettro gender, famiglia tradizionale e matrimoni a prima vista in cui gli sposi giunti all’altare scoprono nell’altro lo stesso appeal di uno slip bianco, è indubbio che la necessità di una sonora spolverata dall’ignoranza sessuale sia di primaria importanza. Ma, come spesso accade guardando la tv, c’è sempre un ma. Visto il tema e le sue cinquanta sfumature, sarebbe stato gradito anche quel pizzico di eccitazione in più, una velata ironia, un salto fugace fuori dall’intento educativo in senso strettissimo. Invece, quel che salta agli occhi è che rendere così ingessati 50 minuti e rotti di palinsesto mentre campeggiano falli tridimensionali non è impresa facile. Nello studio accogliente governato con agio da Angela Rafanelli e il suo sorriso ci
Morgan, caro, amabile e tenerissimo Morgan. Ormai oltre certe banalità quotidiane tipo essere un personaggio “che fa discutere” ovvero che divide. Perché un conto è dividere, un conto è far saltare il banco. Morgan di solito predilige la seconda che ho detto, e già solo per questo andrebbe protetto a oltranza, anche perché oggi dividere è diventato ovvio, è normale, basta postare “buongiorno” su un social e
#musica
BEATRICE DONDI
SEX, CHI SI ACCONTENTA GODE
sono giovani, musica, esperti, ospiti di pregio e dibattito. Eppure il risultato ricorda da vicino l’amplesso di Corrado Guzzanti con Carla Signoris alla “Tv delle ragazze”, alla fine del quale dopo una manciata di gemiti chiedeva «Ti è piaciuto?», anche se lei era in bagno a incipriarsi il naso. Perché se è vero che è sacrosanto sdoganare il tema, e vedere impugnare un clitoride in silicone seppur ampiamente dopo la mezzanotte inorgoglisce gli animi, al tempo stesso viene da chiedersi perché mai l’educazione sessuale debba essere trattata con lo stesso entusiasmo con cui si accoglie una poesia di Carducci alle medie. Così, dimentichiamoci il genio di “Sex education”, niente paragoni con le serie tv ci mancherebbe, non è il caso. Facciamo finta di non aver visto nel passato remoto “Loveline” dell’irraggiungibile Camilla Raznovich. Sorvoliamo sulla forma nervosa di parlare ai giovani che hanno bisogno di seguire la strada che la televisione si sente di indicare. E godiamoci (giusto per restare in tema) un’alfabetizzazione di base, confidando nell’arrivo di un brivido inaspettato. Alla fine non verrà una gran voglia di fumare, ma pazienza, ed è proprio il caso di dirlo, chi si accontenta gode.
scoprire che anche su questo c’è chi ha da dire la sua, dunque l’attitudine a dividere non è più garanzia di dinamica e discussione, anzi. Il fatto è che Morgan, anche se se ne accorgono in pochi, e lui stesso fa molto per coprire questa verità, è un uomo di sfumature, e non di bianchi e neri netti e contrapposti. La prova è un pezzo uscito in questi giorni, intitolato “Battiato (mi spezza il cuore)”. E sul titolo niente da dire. Chi potrebbe mai non essere d’accordo? Ma andiamo al punto. La canzone, ampia, respirante, lievemente sinfonica, è un omaggio,
anzi no, è una dichiarazione di amore, inizialmente di disarmante semplicità. Come in un sillabario delle emozoni e dei debiti artistici, Morgan canta: «Battiato mi spezza il cuore, e non ci posso pensare, Battiato mi riporta bambino, è sempre stato speciale, così diverso da tutti», niente di più, niente di meno, ma è tutto quello che c’è da dire, soprattutto quando c’è una melodia che riempie di significati anche la più semplice delle frasi. Poi però c’è da rendere la complessità del Maestro e allora arriva una strofa da convivio filosofico: «L’intelligenza
Tenerissimo Morgan, anzi Morganetto
Su Rai Tre un doveroso programma di alfabetizzazione sessuale. Peccato la noia
GINO CASTALDO
“FAYA DAYI” di Jessica Etiopia-Usa-Qatar,Beshir 118’ aaacc
Morgan
Morgan si affaccia così sulle piattaforme digitali con un Ep in cui appaiono cinque differentibenversionidellostessobrano.MorganconBattiatohasemprevantatounlegamespeciale,riconoscendol’autoritàdelMaestro,eBattiatoharicambiato
Scritti al buio/cinema
LE MILLE FACCE DEL KHAT
Il film di Beshir sulla droga diffusa in Etiopia e nel Corno d’Africa. Un po’ ridondante
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Non manca uno sguardo più ravvicinato e molto affascinante, costruito con toni sempre obliqui e non certo da denuncia, sulle donne e i giovani dell’altopiano di Harar, divisi tra il richiamo delle radici e la tentazione di emigrare. Mentre i meglio informati troveranno, specie nell’ultima parte, accenni alla rivolta degli Oromo che fra il 2014 e il 2018 scosse il Paese. Anche qui però senza andare a fondo, come se l’eleganza sempre un poco ostentata con cui Beshir dilata i tempi e interseca gli spazi fosse di gran lunga la parte più importante del lavoro. Mezz’ora in meno, e qualche piccolo riguardo in più per lo spettatore comune, avrebbero aggiunto, non tolto smalto al tutto. Presentato al Sundance e in molti festival del documentario, acclamato dalla critica più à la page, “Faya Dayi” è in streaming su Mubi.
Ci sono film che si rifiutano ostinatamente di assumere una forma riconoscibile per immergerci in una sorta di ammaliante terra di nessuno, col rischio talvolta di confondere le piste. Diretto (nonché scritto, prodotto e fotografato in un sontuoso bianco e nero) dalla etiope-messicana Jessica Beshir, il molto artistico “Faya Dayi” ruota interamente intorno al khat, una droga diffusa in Etiopia e in tutto il Corno d’Africa. Ma lo fa senza mai sposare uno schema di racconto preciso, forse perché il consumo di questa foglia euforizzante, che si può masticare o fumare, è così radicato nella storia, nella cultura e nell’economia etiope da farne un prisma a molte facce. Tutte sapientemente intrecciate con passo avvolgente se non Eccoipnotico.dunque la pista diciamo sociale (e assai fotogenica) che segue la coltivazione, il raccolto e il commercio del khat, una delle principali fonti di reddito per gli agricoltori etiopi. Ma anche, come “Faya Dayi” lascia intuire, la prima causa della loro dipendenza non solo economica, visto che i coltivatori sono i primi consumatori di questa pianta che porta assuefazione e danni alla salute. Ecco in un sussurro la leggenda dell’emiro Azurkherlaini e della fonte della vita eterna, la Maoul Hayat (spoiler: arrivato per ultimo, quan-
con la sua attitudine a condividere, a spiegare, a proteggere i nuovi artisti. Morgan alla scomparsa di Battiato postò questo messaggio: «Battiato era uno degli ultimi veri uomini di cultura in questa Italia mediocre e spenta. Finché è stato al mondo potevo dire che c’era qualcuno che mi capiva. Adesso sia io che la maggior parte del mondo che mi circonda siamo alla deriva, abbiamo quasi esclusivamente cattivi esempi di egoismo utilitarismo e ignoranza». Battiato lo chiamava Morganetto, perché poi Battiato era anche un uomo di rara simpatia. Caro, amabile Morgan, possiamo chiamarti così anche noi?
do la fonte era stata ormai prosciugata, il povero Azurkherlaini pregò Dio di sfuggire all’oblìo e Allah lo accontentò creando appunto il khat: “D’ora in poi chiunque ne mangerà si ricorderà di te”).
FABIO FERZETTI
GettyImages-D’AlessandroS.Foto:
è l’arte di associare campi disuguali, solo all’apparenza, ironia è il a«Medianico,seccatentapocoquasi,perdell’assenza»,risvoltopazienzadell’orgasmo,conquista,l’entusiasmodidall’oggettodistaccoalloscoposopravvivenza,èsetedipremessaèilcompulsivoechiudereolapartitapiùavantiladefinizioneeoriginale:alieno,volteradicale,Don
Chisciotte, mesocratico», chiuso il discorso, meglio di un saggio analitico e per di più cantato.
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Pasquale Del Giudice (Magenta)
Cara Rossini, sono depresso, sia perché non posseggo un selfie con Salvini sia perché non mi sono nutrito della pizza di Briatore. Per consolarmi, accendo la televisione e mi imbatto nell’accesa diatriba tra alcuni dei nostri giganti della politica, impegnati a risolvere i problemi dell’Italia disquisendo sul dilemma se sia maggiore il numero delle zampe del millepiedi o il numero degli aculei del porcospino. E non mancano alcuni funamboli espertissimi nel volare da un trapezio all’altro, sempre che, novelli Marcelli di dantesca memoria, non si ingegnino a fondare trapezini oscillanti non si sa dove... e nel frattempo Draghi, vaso di ferro, è stato costretto a viaggiare tra vasi di terracotta rabberciati peggio della giara di Zi’ Dima. E intanto stragi ed uccisioni avvolte ancora nella nebbia, discriminazioni in tante direzioni, morti sul lavoro, infanzia non tutelata, guerre insensate, speculazioni economiche a danno dei più deboli. Quanto possiamo sperare in «un mondo meno rotondo ed un poco più quadrato» come sognava il Sindaco del Rione Sanità?
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Il signor Del Giudice fa un giro largo per accompagnarci alla denuncia del disservizio che gli sta a cuore: una visita medica di cui avrebbe bisogno subito e che potrà fare tra circa due anni. È un tempo enorme ed è uno scandalo. Abbiamo uno dei migliori sistemi sanitari universalistici del mondo e ne siamo beffati in questi modi. È anche giusto però non dimenticare che la nostra sanità pubblica accoglie e cura tutti senza discriminazioni di nazionalità e provenienza, sopporta la carenza di medici e infermieri, subisce la scarsità di fondi o il loro spostamento ad altre strutture. Infatti è alla politica che bisognerebbe chiedere conto delle scelte sanitarie fatte in questi ultimi decenni che vanno indebolendo lo spirito e il potere della grande riforma che ci permette di curarci gratis (o quasi) e che porta il nome di Tina Anselmi. Ma il giro largo del nostro lettore ci ha almeno deliziato di dotte citazioni buttate là con disinvoltura, come se tutti noi cogliessimo al volo (e senza wikipedia) che Marcello appare nel VI Canto del Purgatorio, che la giara con Zi’ Dima è quella di Pirandello, che il Sindaco del Rione Sanità non può che riguardare Eduardo De Filippo e anche il film di Mario Martone. In quanto al trasferimento nello spazio, sceglierei Saturno, perché su Marte si corre già il rischio di incontrare Elon Musk o Jeff Bezos, e allora tanto vale rimanere sulla Terra. Nel bagaglio, invece, non rinuncerei a Sibelius, ai noir degli anni Quaranta e all’opera omnia di Schulz.
CAPOREDATTORI CENTRALI: Leopoldo Fabiani (responsabile), Enrico Bellavia (vicario)
COLLABORATORI: Simone Alliva, Erika Antonelli, Viola Ardone, Silvia Barbagallo, Giuliano Battiston, Marta Bellingreri, Marco Belpoliti, Caterina Bonvicini, Ivan Canu, Gino Castaldo, Giuseppe Catozzella, Manuela Cavalieri, Rita Cirio, Stefano Del Re, Alberto Dentice, Francesca De Sanctis, Cesare de Seta, Roberto Di Caro, Paolo Di Paolo, Fabio Ferzetti, Alberto Flores d’Arcais, Marcello Fois, Antonio Funiciello, Giuseppe Genna, Wlodek Goldkorn, Marco Grieco, Luciana Grosso, Helena Janeczek, Stefano Liberti, Claudio Lindner, Francesca Mannocchi, Gaia Manzini, Piero Melati, Luca Molinari, Donatella Mulvoni, Matteo Nucci, Eugenio Occorsio, Marco Pacini, Massimiliano Panarari, Gianni Perrelli, Simone Pieranni, Paola Pilati, Sabrina Pisu, Laura Pugno, Marisa Ranieri Panetta, Mario Ricciardi, Gigi Riva, Gloria Riva, Stefania Rossini, Evelina Santangelo, Elvira Seminara, Caterina Serra, Chiara Sgreccia, Francesca Sironi, Leo Sisti, Elena Testi, Chiara Valentini, Chiara Valerio, Stefano Vastano
del BFCgruppoMEDIA
Io, ad ogni buon conto, ho prenotato il volo su Marte: nello zaino metterò la “Divina Commedia”, i dischi di Beethoven e De André, le interviste a Falcone e Borsellino, i discorsi di papa Francesco, alcune copie de L’Espresso... Ah, dimenticavo, nello zaino metterò anche l’impegnativa del 7 giugno 2021 della Sanità lombarda per visita oculistica fissatami dopo 20 mesi per il 7 febbraio 2023. Può darsi che i marziani mi visiteranno prima.
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Non penso che, a parte l’Italia, ci siano molti altri luoghi sulla terra simili all’isola di Taiwan (grande poco più indipendented’arte.inditrentaseimilachilometriquadrati),cuisianoconcentratetanteopereQuellaprovinciaautonomaoorepubblicachesia,è
quattordici ritratti coprono una parete della mia camera da letto. L’ultimo sguardo prima di addormentarmi è d’istinto verso di loro. E al risveglio il primo è altrettanto naturalmente per loro. Non c’è nulla di religioso, di filosofico o di romantico. Il fatto è che chiudendo o spalancando gli occhi li ho proprio davanti. Mia moglie li trova inquietanti, si sente osservata, spiata. Ma a me quelle facce sono ormai familiari. Sono le quattordici copie dei ritratti di Confucio e dei suoi seguaci comperati a Taipei tanti anni fa, che ho fatto incorniciare e che da allora ho sempre sotto gli occhi. Sono un ricordo. Un prezioso ricordo dell’Asia, della Cina. Su un’altra parete c’è la copia di un altro dipinto, un rotolo (scroll) proveniente sempre da Taipei, purtroppo in parte lacerato, ma pur sempre di grande valore per me. Questi ritratti, cimeli che riassumono lunghi soggiorni in Estremo Oriente, sembrano a volte, ad esempio adesso, prendere vita. La fantasia di un vecchio viaggiatore fa questi scherzi. Si confonde con la memoria dell’anziano reporter. L’attualità riacciuffa i ricordi. Nel nostro caso la Storia. In questi giorni Taipei, Taiwan, sono su teleschermi e prime pagine.
Per Pechino è stato un furto. Ma Taipei risponde che in quel modo il tesoro nazionale si è salvato dalla furia iconoclasta della rivoluzione culturale. Quando i giovani esortati dal potere distruggevano quel che ricordava il passato, opere d’arte comprese. La Cina tanto più potente e più “saggia” non può che avere tra i suoi obiettivi il recupero completo di quell’immenso patrimonio. E il recupero integrale passa attraverso la sottomissione di Taiwan.
Nel 1948 i nazionalisti sconfitti da Mao portarono sull’isola migliaia di opere d’arte e oggetti preziosi fino allora custoditi nel Museo di Pechino
CanuIvanIllustrazione: Dentro e fuoriBernardo
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Il paese al tempo di Mao non era ancora una super potenza. Oggi viene subito dopo gli Stati Uniti. La Russia di Putin, amica della Cina di Xi, una volta apparteneva a un rango superiore. Oggi ha perso peso. Ma questo non sembra dare a Pechino una libertà d’ azione sufficiente a sfidare Washington e attaccare Taiwan.
il poco che resta territorialmente di un impero sconfitto: la Cina nazionalista. La quale ritirandosi, dopo la disfatta, in esilio sull’isola a 180 chilometri dalla madre patria diventata comunista, ha perso il paese, ma fuggendo - umiliata dalla rivoluzione maoista - ha portato con sé uno dei più grandi bottini di guerra. Nel novembre 1948, di fronte all’insurrezione, furono noleggiate tre navi per trasferire a Taiwan i pezzi più belli e pregiati. Dapprima il convoglio scaricò quel che aveva a bordo in varie grotte, in particolare in quelle di Wufeng, vicino a Taichung. Negli anni successivi le opere d’arte arrivarono via via, senza fretta, a Taipei. Quel bottino (697.490 pezzi e oggetti antichi) sottratto in gran parte al Museo del Palazzo, cioè alla Città proibita di Pechino, prima della disfatta con l’arrivo delle truppe maoiste nemiche, finì nell’isola rimasta nelle mani del Kuomintang.
Il tesoro della Cina si trova a Taiwan Valli
Quest’ultima su un piano industriale ha una notevole importanza: ospita centri modernissimi, tra i più avanzati nel mondo. L’informatica vi è sovrana. L’ alta tecnologia è a tal punto sviluppata da avere tra i suoi clienti paesi come gli Stati Uniti e il Giappone, e al primo posto la stessa Cina. Taiwan è anche uno dei paesi che ospita collezioni d’arte di valore inestimabile. Il tesoro che la Cina di Mao si è vista soffiare sotto il naso nel novembre 1948.
I
giorno Pechino potrebbe azzardare un’operazione rischiosa.
Il governo di Pechino ha come obiettivo di unificare l’impero; quindi, di recuperare le terre rimaste fuori dal suo controllo. La flotta che nelle ultime settimane navigava minacciosa violando le acque territoriali dell’isola secessionista, era anche frustrata dal non potere allungare impunemente la zampa come ha già fatto con Hong Kong. Taiwan è un osso più duro. Alle spalle ha gli Stati Uniti, oltre a possedere un sistema difensivo efficace e un braccio di mare abbastanza ampio che lo separa dalla Cina. Mentre scrivo questa sembra la situazione, ma un
122 14 agosto 2022