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Prof precari per un pugno di punti Chiara Sgreccia
from L'ESPRESSO 33
by BFCMedia
avorano gratis pur di prendere L punti. Sono i docenti precari italiani costretti a sopportare condizioni umilianti a causa di un sistema di reclutamento che non funziona da anni. Perché, per insegnare nelle scuole statali o si accumula punteggio per scalare le graduatorie dei precari oppure si vince un concorso. Ma quello ordinario per la scuola secondaria, bandito nel 2020, iniziato a marzo 2022, è il primo dal 2012 per i docenti non abilitati. E per alcune classi di insegnamento è ancora in corso a causa delle difficoltà nel comporre le commissioni, errori nelle prove scritte,
Primo giorno di lezioni in presenza, dopo la lunga parentesi del lockdown, al liceo scientifico Alessandro Volta di Milano ritardi nella pubblicazione delle graduatorie. Come aveva già segnalato L’Espresso il 31 luglio 2022 e come testimoniato dai racconti dei docenti pubblicati su lespresso. it. Così, a settembre molte cattedre resteranno vuote. E ci sono insegnati che sebbene abbiano superato le prove del concorso rimarranno precari un altro anno.
Tra questi anche molti giovani che aspettano una possibilità per accedere all’insegnamento da quando si sono laureati. Visto che, data la poca esperienza in aula, nelle graduatorie per le supplenze hanno punteggi bassi che raramente permettono loro di essere chiamati dalle scuole e quindi di lavorare. Succede soprattutto per le classi di insegnamento più numerose, nel sud Italia dove c’è un consistente squilibrio tra gli iscritti in graduatoria e l’effettiva necessità di docenti che coprano supplenze a lungo termine.
In questo modo l’ultima speranza che rimane a chi vuole entrare nella scuola è la Mad. Cioè la messa a disposizione, una candidatura spontanea con cui ogni insegnante può presentare il curriculum e offrire la disponibilità per assunzioni temporanee negli istituti che individua. E se le scuole pubbliche rispondono con difficoltà perché devono attendere l’esaurimento delle graduatorie ordinarie, le paritarie sono più propense a contattare direttamente i docenti che in questo modo bypassano i limiti e le tempistiche delle liste dei precari e accumulano Chiara Sgreccia punteggio valido anche per Giornalista accedere agli istituti statali. «Avevo mandato circa un centinaio di Mad ma l’unica scuola che mi ha richiamato è quella per cui ho lavorato gratis fino allo scorso giugno», racconta Marco, nome di fantasia per un docente precario di trent’anni, laureato in filosofia, per proteggerlo da eventuali ritorsioni.
Si riferisce a un istituto paritario in provincia di Napoli che presentandosi come «scuola giovane e con poche risorse», chiede al personale docente di lavorare senza percepire lo stipendio. Marco ha firmato un contratto per una retribuzione di 16 euro l’ora che non ha mai ricevuto. Stesse condizioni anche per gli altri insegnati della scuola. «Una ventina circa. Infatti, c’è un ricam-
bio incredibile. A volte per la stessa materia si susseguono due o tre insegnanti nello stesso anno. Senza nessuna cura per la formazione degli studenti. Tanti giovani ma non solo, anche professionisti più avanti con l’età che decidono di dedicarsi all’insegnamento». Che accettano di lavorare gratis qualche anno nelle scuole paritarie, perché accumulare punteggio è l’unico modo per arrivare alle statali. Realizzare il sogno di diventare un insegnante. Percepire uno stipendio regolare tutti i mesi. «Ferie pagate, malattia e i benefit di cui godono i docenti della scuola pubblica in quanto dipendenti statali», dice Luca, un altro docente precario di poco più di trent’anni che ha accettato di insegnare gratis in un istituto paritario di Palermo.
«È stata un’esperienza terrificante. Dopo aver mandato la Mad mi hanno chiamato per un colloquio. Mi sono trovato in uno stanzone con altri docenti che come me speravano di essere selezionati per l’insegnamento. Ci hanno subito detto che non ci avrebbero pagato: “Non ci sono fondi”, aveva dichiarato, con tono che pretendeva di essere cupo, il preside. Alcuni sono andati via, pochi. Tra quelli rimasti sono stato scelto per insegnare italiano e storia. Non ho notato particolare interesse per le mie competenze, solo la necessità, nello sguardo e nei comportamenti del preside, che accettassi l’incarico. Perché se avessi declinato avrebbe dovuto contattare un altro al mio posto». A Luca è stata affidata una quinta classe, un ruolo di responsabilità per un docente che invece era alle prime esperienze, appena arrivato in una scuola nuova: «Ho terminato l’anno con un livello di stress altissimo. Sia perché lavorare senza percepire lo stipendio comporta delle dinamiche che, seppur inconsciamente, ti rendono meno disponibile nei confronti degli studenti, sia per la consapevolezza che mi stavo piegando a un sistema illegale. Ma non avevo alternative». Luca, dopo due anni di lavoro non pagato negli istituti paritari, è riuscito a scalare abbastanza la graduatoria da aver accesso alla scuola pubblica.
A quanto spiega, e da quanto emerge dalle testimonianze dei docenti arrivate a lespresso.it, «è come se fosse una gavetta. Che chi sceglie di voler fare l’insegnante deve accettare in silenzio». Per i primi anni «si deve» lavorare gratis o ricevere uno stipendio molto basso: c’è chi racconta di aver lavorato per 50 euro al mese a fronte di 6 ore di insegnamento alla settimana. Chi dice di aver dovuto restituire perfino quelli. Perché sono serviti «per far figurare il pagamento» e affinché ci fosse una somma minima sui cui gli istituti potessero versare i contributi. Vanessa racconta di essersi sentita dire: «Hai visto? Ti abbiamo fatto avere anche un premio», a proposito dell’indennità Covid-19 che ha percepito in seguito al decreto legge Cura Italia, a sostegno dei lavoratori. Stessa storia per chi segue gli studenti durante l’esame di Stato, «è fortunato perché può beneficiare dei fondi erogati dal ministero dell’Istruzione, come se fossero un regalo». Dopo un anno di lavoro gratis. Che i docenti possono permettersi o perché chiedono alle famiglie di essere sostentati anche dopo la fine degli studi, o perché nelle ore libere dall’insegnamento svolgono altri lavori, in nero, oppure facendo attenzione a non su-
Un’insegnante alla cattedra al liceo artistico Ripetta di Roma. A destra, studenti al ritorno in classe al liceo Visconti di Roma
L’ALTERNATIVA È VINCERE SUBITO UN CONCORSO CHE ASSEGNA UN POSTO FISSO, MA LA PRIMA SELEZIONE ATTESA DAL 2012 È ANCORA IN CORSO
perare il limite orario massimo consentito dalla legge.
Come spiega Paolo Latella, insegnante da quarant’anni, ex sindacalista, che si è dedicato a lungo a raccogliere le testimonianze dei docenti sfruttati dagli istituti paritari: «Quello che emerge è inquietante. Moltissime scuole del sud, alcune del nord, alcune scuole religiose non pagano gli insegnanti. Il problema parte da una legge del 2000 che ha equiparato le scuole paritarie alle pubbliche. Che così ricevono finanziamenti e sussidi dallo Stato. Avrebbe dovuto avere conseguenze positive, riordinare il sistema scolastico nazionale mettendo dei paletti nella definizione di “scuola paritaria”. Ma di fatto ha aperto all’illegalità anche perché mancano gli ispettori che certifichino la regolarità degli istituti». Così, visto che a differenza delle scuole pubbliche, quelle paritarie non assumono gli insegnanti prendendo in considerazione le graduatorie ma attraverso contatti diretti con il docente con cui contrattano compenso e condizioni lavorative, per tanti giovani alle prime armi diventano l’unica via di accesso all’insegnamento.
Latella oltre ad aver raccolto le testimonianze di tanti docenti che pur di accumulare punteggio sono costretti ad accettare condizioni di lavoro penose in un dossier che ha consegnato agli ex ministri dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza e Stefania Giannini, aveva mappato le segnalazioni degli insegnanti e creato una cartina che evidenzia quali sono le scuole paritarie note per non pagare o sottopagare i lavoratori. Eppure, nonostante le numerose segnalazioni che aveva raccolto tra il 2011 e il 2014, non è successo nulla. Le scuole paritarie, secondo gli ultimi dati del ministero dell’Istruzione, sono più di 12 mila, con oltre 800 mila studenti frequentanti, tra scuole per l’infanzia, primarie, medie e superiori. E ricevono ogni anno fondi dallo Stato per circa 500 milioni di euro. La maggior parte di queste paga correttamente il proprio personale ma resistono anche quelle che si arricchiscono sulle spalle dei precari. Che in pochi casi denunciano. In molti subiscono. Perché temono che se venisse rivelata l’illegalità su cui gli istituti basano la propria sopravvivenza anche i punti, 12 al massimo ogni anno, per cui hanno faticosamente lavorato, fondamentali per scalare le graduatorie, verrebbero annullati.
Ma non tutti si piegano. Per alcuni docenti la differenza tra gavetta e sfruttamento è netta e chiara. Come per Rosa che vorrebbe insegnare inglese e spagnolo alle scuole medie o superiori. Ha preferito cambiare regione invece di accettare condizioni di lavoro umilianti. Si è trasferita in Abruzzo e lo scorso anno ha lavorato come assistente di laboratorio in un istituto alberghiero. «Non ho ancora raggiunto il mio obiettivo ma con l’impegno ci arriverò». Quando la preside di un istituto paritario in Campania con cui era a colloquio le ha detto: «Noi però non diamo alcun tipo di retribuzione, solo punteggio», lei ha risposto: «Io ho pagato per laurearmi. Ho fatto sacrifici per studiare. Non vengo a lavorare gratis per la bella faccia che avete». E se n’è andata. Fiera di aver dato il suo contributo per opporsi a un sistema marcio. Che dovrebbero essere le istituzioni a demolire, mentre da anni sopravvive indisturbato. Q