L'Espresso 35

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Settimanale di politica cultura economia N. 35 • anno LXVIII • 4 SETTEMBRE 2022 Domenica 3 euro L’Espresso + La Repubblica In Italia abbinamento obbligatorio alla domenica. Gli altri giorni solo L’Espresso 4 euro SOCIALE Arrivano i soldi del Pnrr  e mancano gli asili nido DOSSIER CLIMA Nella transizione green siamo ultimi in Europa IDEE Israele. La letteratura per superare lutti e conflitti 4,70£Inghilterra-5,90€Olanda-6,80Sfr.Svizzera-6,60Sfr.C.T.-5,50€Spagna-Slovenia-MonacodiPrincipato-Portogallo-Lussemburgo-Grecia-Germania-Francia-Belgio-Austria-Roma1-DCBart.1comman.46)27/02/04legge(conv.inA.P.-D.L.353/03s.p.a.sped.inItalianePoste DALESCLUSIVOTO Sono sei milioni. Giovani fuori sede o figli di immigrati. Il Parlamento li tiene ai margini di una delle elezioni meno partecipate della storia

4 settembre 2022 3 Altan

Sommario 72 92 numero 35 - 4 settembre 2022 4 settembre 2022 5 Abbonati a SCOPRI L’OFFERTA ILMIOABBONAMENTO.ITSUL’Espresso fa parte in esclusiva per l’Italia del Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi Ricevi la rivista a casa tua per un anno a poco meno di €6,00 al mese (spese di spedizione incluse) Le inchieste e i dibattiti proseguono ogni giorno sul sito e sulle pagine social de L’Espresso. UNISCITI ALLA NOSTRA COMMUNITY lespresso.it @espressonline @espressonline @espressosettimanale 46 Rubriche Altan 3 Makkox 8 Manfellotto 23 Riva 28 Corleone 41 Serra 122 Opinioni COPERTINA GettyFoto: Images (12) Editoriale La parola 7 Taglio alto 51 Bookmarks 103 Ho visto cose 118 #Musica 118 Scritti al buio 119 Noi e voi 120 LirioAbbate 11 84 Prima Pagina Sei milioni esclusi GabrieleBartoloni 12 Ora sì che sono sereno colloquioconEnricoLettadiCarloTecce 18Fantasma Viminale SusannaTurco 24 Conte, dei democratici vuole la base colloquioconGiuseppeContediAntonioFraschilla 30Cinque Stelle, parole sbagliate LoredanaLipperini 34Al Sud è difficile farsi un nido GloriaRiva 36 Gli asili non bastano, facciamo come in Francia colloquioconAndreaGarnero 38L’ossessione del contante VittorioMalagutti 42Transizione, indietro tutta S.Alliva,A.FraschillaeC.Sgreccia 46 Somalia, i costi umani della siccità colloquioconSallyHaydendiSabinaMinardi 52La sterzata verde di Biden ManuelaCavalierieDonatellaMulvoni 54 Movida, le notti poco magiche MassimilianoSalvo 58 Dogland, Paese di cani, giungla di cifre RobertoOrlando 64 Levrieri adottati nel Nordest, proteste anti-cinodromo AngiolaCodacci-Pisanelli 66Unione sovrana Jean-DominiqueGiuliani 70La trincea, il fronte di Slovyansk PietroGuastamacchia 72 Diari di guerra graphicnoveldiNoraKrug 76Mercurio rosso, la megatruffa SaraLucaroni 80 Idee Riparare l’universo colloquioconZeruyaShalevdiWlodekGoldkorn 84L’editoria? Una Babele SandraPetrignani 90L’ora della donna drago MargheritaMarvasi 92Ero e resto pecora nera AndreaPorcheddu 96 A Paolo Sorrentino il premio L’Espresso EmanueleCoen 99 Un mondo fuori controllo colloquioconJohnLandisdiClaudiaCatalli 100 Storie Olimpiadi, così una generazione ha perduto l’innocenza GigiRiva 104Gli schiavi d’America stanno nelle prigioni M.CavalierieD.Mulvoni 108 Quando i marittimi inglesi boicottarono la nave fascista AlfioBernabei 112 Razionato il gas e anche gli elettori 24

scostamento

4 settembre 2022 7 La parola MASSIMILIANO PANARARI

Mario Draghi si è ripromesso di lasciare al suo successore i conti quanto più possibile in ordine. Ma da alcuni partiti – tra cui, in maniera particolarmente roboante, Lega e Movimento 5 Stelle – gli viene richiesto a gran voce uno scostamento (dal pareggio) di bilancio, il cui ammontare dovrebbe aggirarsi intorno ai 30 miliardi di euro, per far fronte alla situazione economica emergenziale. Uno sforamento che metterebbe in allarme i mercati, ingigantirebbe ulteriormente il debito pubblico (su cui gravano i sostegni dispiegati durante le varie fasi acute della pandemia, e il “sistema dei ristori e dei bonus” contiano) e gli interessi da versare, e che suscita infatti perplessità anche dalle parti di Giorgia Meloni, che si sente premier in pectore. Dal momento che siamo in Italia, il Paese che ha inventato la commedia dell’arte a inizio Cinquecento, colpisce ma non troppo il fatto che a invocare lo scostamento siano gli stessi leader politici che hanno staccato la spina al governo, accompagnando Draghi – tra molte ipocrisie e non detti – alla porta di palazzo Chigi. E adesso, come nulla fosse, esigono che tolga loro le castagne dal fuoco (e dal gas). A testimonianza, oltre che di uno di quei paradossi che costellano (o, per meglio dire, infestano...) la postpolitica e l’antipolitica contemporanee praticate dai populisti, di una serie di ulteriori scostamenti, che travalicano l’economia e il caro energia. A cominciare dalla crisi di legittimità politica, che continua a galoppare anche per direttissima responsabilità dei partiti: ovvero, lo scostamento di buona parte del ceto politico dai problemi quotidiani delle persone. Ed esso, a sua volta, genera lo scostamento dalla vita pubblica di quote crescenti dell’elettorato, che si rifugiano nell’astensionismo (o nel rancore antisistemico). Uno scostamento che si fa secessione dalla politica, alimentando ancor più la depoliticizzazione della società.

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8 4 settembre 2022

4 settembre 2022 9 Makkox

Occorre regolare il termostato e l’illu minazione pubblica viene ridotta, le docce fredde incoraggiate. Non solo in Italia. Emmanuel Macron, presidente della Francia, ha chiesto la volontà di «pagare il prezzo della nostra libertà e dei nostri valori». Il premier belga ha avvertito che ci attendo no inverni difficili. È il prezzo per sostenere la democrazia e difendere chi è aggredito.

C

Sei milioni di giovanirischianoelettori di essere esclusi da undoveun’elezionesiannunciaastensionismorecord.Mentresiavvicinauninvernodoveilcaro-energiaimporràdurisacrifici.Maipartitiincampagnaelettoraleparlanod’altro

Razionato il gas e anche gli elettori

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4 settembre 2022 11 EditorialeLirio Abbate

Il Parlamento tiene questi milioni di cittadini ai margini di una delle elezioni che si annunciano meno partecipate del la sua storia.

La campagna elettorale macina parole su parole mentre l’imposta sugli extra profitti delle società energetiche non è stata ancora versata da molte aziende. Ri sorse stimate intorno ai dieci miliardi che possono essere utilizzate per finanziare le misure di sostegno per famiglie e imprese in difficoltà.

Quello che emerge è razionare. È un termine che in questo periodo viene sempre più spesso utilizzato da esponenti del governo, da parlamentari, e di conseguenza da imprenditori e commercianti. E chi ne fa le spese sono i cittadini. Mentre siamo in campagna elettorale e si pensa di razionare, abbiamo ancora una guerra alle porte della Ue. L’Ucraina in que sti sette mesi si è difesa dal suo invasore Putin in modo più efficace di quanto molti in Europa pensassero possibile. E mentre l’inverno incombe, i Paesi dell’Unione Europea iniziano a sentire i forti effetti collaterali della guerra a cominciare dalla lievitazione dei prezzi dell’energia. La Russia ha reagito alle sanzioni occidentali limitando il flusso di gas da cui dipende l’Europa. Putin ha an nunciato che il suo gasdotto Nord Stream 1 sarà sottoposto a ulteriore “manutenzione” dal 31 agosto, suscitando sospetti che po trebbe non essere mai riaperto. In alcune parti d’Europa il gas viene ora scambiato a quello che equivarrebbe a oltre mille dollari per barile di petrolio, un livello as surdo. I governi si trovano di fronte a una scelta: o pagare le bollette elettriche che altrimenti spezzerebbero molti bilanci familiari, o subire una recessione poiché i consumatori sono lasciati al verde. A peg giorare le cose, l’euro è sceso al di sotto della parità con il dollaro, il livello più basso degli ultimi due decenni. Per la maggior parte delle persone e delle imprese, la vaga prospettiva estiva di dover pagare di più per mantenere in inverno le case calde e il ronzio delle fabbriche sta per diventare una dura realtà per i prossimi mesi. Con ricadute anche sui posti di lavoro.

i sono almeno sei milioni di cittadini italiani, tra studenti e lavoratori, che il 25 settembre rischiano di essere esclusi dal voto. Gli universitari fuori sede, in quel periodo, saranno impegnati lontano dalla loro residenza ad affrontare la ses sione d’esame straordinaria. È una condizione che si traduce nell’impossibilità di esercitare il diritto di voto. Tempi stretti, costi di viaggio e lunghe distanze rendono complicato il ritorno verso il seggio di appartenenza. Per l’Istat la platea dei fuorisede, tra studenti e lavoratori, è di circa cinque milioni di elettori, il dieci per cento degli aventi diritto. A questi si aggiunge un altro milione di italiani senza cittadinanza. Nella maggior parte dei casi si tratta di giovani tra i 18 e 35 anni. Una fetta di potenziali elettori che di volta in volta contribuisce ad allargare la crescen te percentuale degli astensionisti. La legge prevede metodi alternativi al voto solo in alcuni casi: per chi è residente all’estero o per coloro che si trovano temporaneamente fuori dall’Italia per motivi di lavoro, salute o studio. Queste categorie possono esprimere la propria preferenza per corrispondenza. È più facile votare per chi vive dall’altra parte del mondo rispetto a chi si trova a poche ore dal seggio. Il no stro Paese è rimasto l’unico in Europa, insieme a Malta e Cipro, a non consentire una qualche forma di voto a distanza.

L’Europa non ha altra scelta che rimanere salda su questi punti. Sarebbe pericoloso spingere l’Ucraina alla capitolazione affin ché la Russia ripristini i suoi flussi di gas.

SEI MILIONI DI ESCLUSI DI GABRIELE BARTOLONI Verso il voto SONO STUDENTI E LAVORATORI FUORI SEDE. GLI SCONTI SUI VIAGGI FINORA NE HANNO PORTATI AI SEGGI SOLO 330 MILA. E POI CI SONO I FIGLI DEI MIGRANTI AI QUALI È NEGATA LA CITTADINANZA 12 4 settembre 2022

Prima Pagina

IPA-NardoneM.14-15:pagine(14),GettyImages12-13:pagineFoto ome accade ad ogni tornata elettorale, alcune categorie di cittadini si ritroveranno tagliate fuori dalle urne. Non per volontà, ma a causa di una legislazione considerata dagli stessi esclusi come «anacronistica e discriminatoria». Si tratta degli italiani senza cittadinanza, degli studenti e dei lavoratori fuori sede: potenziali elettori che per ragioni diverse, di volta in volta, si ritrovano impossibilitati ad esercitare il diritto di voto. «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età», recita l’articolo 48 della Costituzione. «Tutti i cittadini», appunto. Un principio di uguaglianza declinato in chiave discriminatoria dalla politica, incapace di mettere mano alle vecchie normative che regolano l’accesso al voto, per chi vive lontano dal seggio o per chi non può ottenere la cittadinanza italiana, requisito fondamentale per godere appieno dei diritti politici. Votare e essere votati. «Quest’anno mi hanno anche chiesto di candidarmi, ma essendo senza cittadinanza italiana ho dovuto rispedire la proposta al mittente». Insaf Dimassi, 25 anni, fa politica attivamente ma non può votare, né partecipare alla competizione elettorale. Si è trasferita in Italia dalla Tunisia quando aveva appena nove mesi. Qui ha frequentato tutti i cicli scolastici: asilo, elementari, medie, superiori e università; parla italiano con una leggera inflessione modenese. A causa della legge che regola l’ottenimento della cittadinanza non è ancora riuscita a diventare italiana a tutti gli effetti. «Quando mio padre ha raggiunto i requisiti di reddito io avevo compiuto 18 anni da soli venti giorni, ed essendo già maggiorenne sono stata tagliata fuori». Poco dopo, i genitori divorziano e Dimassi finisce nel nucleo della madre, con un reddito troppo basso per avanzare di nuovo la richiesta di cittadinanza. Quello di avere una certa disponibilità economica, infatti, è uno dei criteri più escludenti previsti dalla legge attuale, la 91 del 1992. Per chi non nasce da genitori italiani, sono due le vie principali per ottenere la cittadinanza: aspettare il compimento di diciotto anni

C BartoloniGabriele Giornalista LE PROPOSTE PER ESERCITARE IL DIRITTO ELETTORALE A DISTANZA SI SONO ARENATE. COSÌ COME LO IUS SCHOLAE CHE RIGUARDA 280 MILA ITALIANI NON REGOLARIZZATI Verso il voto 14 4 settembre 2022

Prima Pagina (solo se si è nati in Italia) oppure raggiungere i 10 anni di residenza con una certa soglia di reddito, variabile in base alla composizione del nucleo. Un’asticella troppo spesso difficile da raggiungere. «Ho dovuto iniziare a lavorare per pagarmi gli studi», racconta. «Tutti lavoretti sporadici che però non mi hanno consentito di ottenere i requisiti di reddito».  Da attivista le sarebbe piaciuto portare le battaglie sull’integrazione fino in Parlamento. «Anche perché oltre ad una totale avversione della destra, non ho mai trovato un vero appoggio neanche da parte di una certa sinistra», ammette. Il riferimento è ai numerosi tentativi (tutti andati a vuoto) di approvare una nuova legge che allargasse le maglie della cittadinanza a coloro che, nei fatti, sono italiani a tutti gli effetti. Oltre a quello andato in scena sul finire della legislatura precedente, l’ultimo risale a qualche settimana fa, prima che la caduta dal governo di Mario Draghi provocasse lo stop al percorso delle leggi di iniziativa parlamentare. Tra queste c’era anche il cosiddetto Ius scholae, una proposta sostenuta da Pd e M5s e che avrebbe consentito l’ottenimento della cittadinanza ai figli dei migranti che avessero portato a termine un ciclo scolastico di almeno 5 anni. La riforma era sostenuta anche da una parte (molto ristretta) del centrodestra, proprio perché considerata meno incisiva e più tollerabile rispetto allo Ius soli, il quale, sul modello statunitense, prevede la concessione della cittadinanza a tutti i nati sul territorio italiano.

settembre 2022 15

INCUBO ILI RILUTTASTENSIONIANTISFIORANOTRENTA PERCENTO

L’astensionismo, è qui che si giocherà la partita di queste elezioni. Ci pensano tutti, e qualcuno a pensarci lo nomina, con preoccupazione. Emma Bonino ha recentemente illuminato il problema «dei 5 milioni di fuori sede». Silvio Berlusconi ha bollato come: «inaccettabile l’astensionismo al 40 per cento». Eppure è una costante della storia italiana. Fatta eccezione per i primi anni di vita della Repubblica che videro una partecipazione politica senza precedenti. Uscita dagli orrori della guerra e della dittatura fascista l’Italia segnò affluenze record. Il massimo livello di partecipazione si raggiunse nel 1953: in quell’occasione, la Dc di De Gasperi ottenne poco più del 40 per cento, contro il 22,6 del PCI e il 12,7 del PSI di Pietro Nenni. L’inizio del calo corrisponde, approssimativamente, al lento sfinimento della Democrazia cristiana. L’astensione arriva in doppia cifra nel 1987, 11,2 per cento. Tra il 1994 e il 2001 – elezioni che marcano l’auge del Cavaliere – l’astensione tocca quota 18,6 per cento. E alle elezioni del 4 marzo 2018 è già al 27,1 per cento. S.A. 4

Secondo il Rapporto annuale dell’Istat, i minorenni nati in Italia da genitori stranieri sono oltre un milione. Solo il 22,7 Flashmob per la riforma della cittadinanza a luglio 2021. Ai parlamentari veniva donato un vaso con dei semi di senape per chiedere loro di occuparsi della legge sui nuovi italiani

La data del 25 settembre coincide con un appuntamento altrettanto importante per un’altra categoria di elettori. Nel mese di settembre migliaia di fuori sede faranno ritorno presso la città in cui ha sede la propria università per affrontare la sessione d’esame straordinaria. Una condizione, quest’ultima, che spesso si traduce nell’impossibilità di esercitare il diritto di voto. Tempi stretti, costi di viaggio e lunghe distanze rendono complicato il ritorno verso casa. Secondo l’Istat, la platea dei fuori sede - tra studenti e lavoratori - conta circa 5 milioni di elettori, il 10 per cento degli aventi diritto. Nella maggior parte dei casi si tratta di giovani tra i 18 e 35 anni, principalmente residenti al Sud. Una fetta di potenziali elettori che di volta in volta contribuisce ad allargare la crescente percentuale degli astensionisti.

Ansa-PercossiM.Fotogramma,-CarofeiS.Buenavista,-D’OttavioM.Foto:

La legge italiana non prevede metodi alternativi al voto tradizionale. O meglio: li prevede solo in determinati casi, come per i cittadini che risiedono stabilmente all’estero o per coloro che si trovano temporaneamente fuori dall’Italia per motivi di lavoro, salute o studio. Queste categorie possono esprimere la propria preferenza per corrispondenza. Il risultato, però, è una situazione al limite del paradosso: diventa più facile votare per un cittadino che vive dall’altra parte del mondo rispetto a chi si trova a poche ore dal seggio. L’Italia è rimasto l’unico Paese europeo, insieme a Malta e Cipro, a non consentire una qualche forma di voto a distanza. Il governo ha cercato di ovviare al problema offrendo sconti sul costo dei mezzi di trasporto. Una soluzione che non ha portato a grandi risultati. I prezzi rimangono comunque alti e spesso le distanze da percorrere sconsigliano un viaggio di andata e ritorno in pochi giorni. Di più: negli ulti-

SECONDO L’ISTAT, I MINORENNI NATI IN ITALIA DA GENITORI STRANIERI SONO OLTRE UN MILIONE. MA SOLTANTO IL 22,7 PER CENTO È RIUSCITO A FARSI RICONOSCERE I DIRITTI 16 4 settembre 2022

Verso il voto per cento, però, è riuscito ad acquisire la cittadinanza. I potenziali beneficiari dello Ius scholae, invece, sempre secondo l’istituto di statistica, sarebbero 280 mila. Ragazzi e ragazze che finiscono per ritrovarsi impigliati in una giungla burocratica e privati del diritto di voto una volta compiuta la maggiore età. «La legge prevederebbe dai due ai tre anni di attesa, ma nella pratica si può arrivare anche a sei», spiega Ihsane Ait yahia. Arrivata dal Marocco all’età di sei anni, assiste gli avvocati nella gestione delle pratiche legate all’immigrazione. I motivi per cui non ha potuto ottenere la cittadinanza sono gli stessi: mancanza di reddito una volta compiuti i 18 anni. Ait yahia ha avanzato la richiesta nel 2014 per poi ottenere il rigetto definitivo nel 2020. «La mancata possibilità di votare e di candidarsi sono le principali limitazioni che incontra una persona senza cittadinanza. A me piacerebbe molto partecipare alla vita politica in maniera attiva, ma purtroppo non posso». Anche se lo Ius scholae fosse stato approvato, sia Insaf Dimassi che che Ihsane Ait yahia non avrebbero comunque potuto partecipare al voto. «La proposta in discussione non prevedeva la retroattività», spiega Ait yahia. «Esclude dalla possibilità di fare richiesta tutti coloro che hanno già portato a termine un ciclo di studi».

me per chiedere al Parlamento di intervenire. L’appello è stato firmato da più di 20 mila persone. Con l’avvicinarsi delle elezioni è partita un’altra sottoscrizione, questa volta promossa da +Europa. L’obiettivo è quello di chiedere un intervento rapido alla ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese. Del resto, il tempo per una legge ordinaria è ormai scaduto, ma è altrettanto difficile che il Viminale riesca a sciogliere tutti i nodi tecnici entro il 25 settembre. «Come spesso accade, di questo argomento si torna a parlare a pochi giorni dal voto invece di affrontare la questione con le dovute tempistiche», commenta Martina Turola di “The good lobby”. Alla Camera, durante la legislatura, sono state depositate ben cinque proposte di legge, nessuna delle quali è riuscita a fare un solo passo verso l’approvazione. Giuseppe Brescia, relatore dei provvedimenti e primo firmatario di uno dei ddl depositati, è scettico: «Al Viminale c’è una drammatica allergia all’innovazione». Il riferimento è alla decisione di rinviare la sperimentazione del voto elettronico per i fuori sede. Una misura che avrebbe potuto avviare la digitalizzazione del processo elettorale.

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Prima Pagina MOBILITAZIONE dell’Universitàedisedeil campusNell’altradelladaorganizzatoInodeglidirittoMontecitorioSaltamuridell’associazioneManifestazioneinpiazzaperildicittadinanzaimmigratinaticresciutiinItalia.alto,flashmobaRomaReteperlariformacittadinanza.paginaLuigiEinaudidellefacoltàScienzepoliticheGiurisprudenzadiTorino

Q © RIPRODUZIONE RISERVATA mi dieci anni lo Stato ha speso più di 60 milioni di euro, con un ritorno - in termini di partecipazione alle urne - a dir poco esiguo. Un esempio: nel 2018 la “politica degli sconti” ha prodotto appena 330 mila viaggi, tra elezioni nazionali, regionali e comunali. Un numero decisamente basso rispetto alla platea dei fuori sede stimati dalle statistiche. «Si tratta di un problema che riguarda soprattutto chi proviene dalle regioni del Mezzogiorno», dice Stefano La Barbera, presidente del comitato “Io voto fuori sede”: «In più la liquidità che ormai caratterizza il mercato del lavoro porta a continui spostamenti che non consentono al lavoratore di trasferire la propria residenza in maniera stabile». Insieme all’associazione no-profit “The good lobby”, da tempo, il comitato presieduto da La Barbera ha avviato una raccolta fir-

Verso il voto ORA SÌ CHE SONO SERENO 18 4 settembre 2022

Adesso arriva al combattimento elettorale molto compatto. Il partito è un mosaico a più tinte, non l’abito monocolore di un leader. Il Pd o accoglie - è grande - o non è: non serve. Per questo ho indicato facce che sappiano raccontare la nostra pluralità e il nostro domani come Elly Schlein». Disse “ho un’altra vita, un altro mestiere”, poi ha accettato. «Ero davvero scettico. Ero impegnato con la sessione di esami. Il Pd non era una prospettiva a breve. Appresi la notizia in un seminario a distanza con Maurizio Landini della Cgil. Ho riflettuto due giorni e due notti. Mi sono venuti tre pensieri. Il primo sollecitato dall’istinto: mi piace la politica, è una passione incontenibile, la faccio dal ginnasio, non riesco a sottrarmi. Il secondo e il terzo si riferiscono al senso del dovere, un altro sentimento che sfugge al controllo. Dovere verso la mia parte e verso la mia patria». La sua parte cioè il Pd. «Nei mesi di gennaio e di febbraio 2021 la situazione era gravissima per la politica e le istituzioni. Il Pd stava per crollare, l’ipotesi che venisse fagocitato da spinte centriste e populiste era concreto. Io provengo dal cattolicesimo democratico e non avrei potuto accettare che il mio spazio politico venisse smantellato senza il coraggio di provarci. E aggiungo che al progetto di salvezza nazionale del presidente Sergio Mattarella, che aveva schierato l'ultima risorsa a disposizione della Repubblica cioè Mario Draghi, l’adesione del Pd fu a dir poco prudente. Era mio dovere, eccoci a un argomento fondamentale, supportare lo sforzo di Mattarella per l’Italia». osa accadrà il 26 settembre al Pd? «Un attimo. Ce la giochiamo punto su punto senza tregua per vincere. L’esito di questa elezione non è già scritto e possiamo ribaltare le cattive previsioni con il voto dei giovani, il sociale, l’ambiente, i diritti. Comunque la forza del Partito democratico è nella sua storia, nelle sue radici e nei suoi orizzonti europei. Per tale ragione vi assicuro che il Partito democratico c'è oggi, ci sarà domani e ci sarà in ogni circostanza, sia al governo sia all'opposizione. È una confortante sicurezza che abbiamo conquistato, non era scontato. Qualche anno fa, dopo il trattamento Renzi, il Pd ha rischiato di fare la fine del Partito socialista francese e del Pasok greco. Allora la stessa esistenza del Pd era in pericolo perché avevano provato a distruggerlo». E invece cosa accadrà al segretario Enrico Letta? «La mia fortuna è che ho sempre avuto un rapporto non isterico con le cose che faccio. Ho ricoperto incarichi che mai avrei immaginato. Come quest’ultimo. Il mio futuro lo decide il voto degli italiani, io però mi dichiaro soddisfatto di un anno e mezzo di lavoro creativo. Mi riconosco in questo partito e non perché si riconosca totalmente in me. Non è un mio feudo. Oggi siamo vicini ai progressisti che guardano con fiducia alla modernità ben saldi nella cura dei diritti sociali come succede ai nostri amici spagnoli, tedeschi, americani». Ha capito perché Nicola Zingaretti si vergognava così tanto da dimettersi?

C ASSICURA CHE IL PD PUÒ RIBALTARE LE PREVISIONI DI SCONFITTA. DICE DI NON PORTARE RANCORE A RENZI NÈ A CALENDA. SOSTIENE CHE IL PARTITO HA PAGATO TROPPO PER STARE SEMPRE AL GOVERNO. ENRICO LETTA SI CONFESSA  Carlo Tecce Giornalista 4 settembre 2022 19

AGF/AntonelliLauraMariaFoto:

COLLOQUIO CON ENRICO

«La vera questione era la vita interna al Pd. Non è semplice organizzare il territorio e fondere le varie anime. Il partito ha subito scissioni, polemiche, scandali.

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LETTA DI CARLO TECCE

Il segretario del Pd Enrico Letta

Fu la scomparsa di Enrico Letta politico. «Ho staccato, non volevo tornare. Decisi di non rimanere per non adeguarmi più ai compromessi».

Verso il voto Romano Prodi ha influito? «Ci sentiamo spesso, c’è una grande sintonia. Mi consulto con Romano e l’ho fatto anche nel periodo di Parigi. L’ho invitato varie volte a tenere lezioni ai miei studenti». Sette anni prima della chiamata al Nazareno, consegnata la campanella del governo a Matteo Renzi nella cerimonia più algida di sempre, prese un volo per Londra lasciando a terra la sua carriera politica. «È stata una fortuna. Niente scivoli, niente soccorsi. Ricominciare davvero».  Suvvia, non era contento. «Certo, sono partito con enorme fatica. Solitamente si diventa presidenti del Consiglio per completare un percorso. Io ero ancora giovane. Ho sfruttato l’occasione. Ho vissuto una sfida con me stesso, riuscire in un altro ambito, trasferire conoscenze e saperi, inoltrarmi in un mondo nuovo. E la fortuna, ripeto, mi ha premiato con la direzione dell’Istituto di studi politici di Sciences Po a Parigi».

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È un privilegio confrontarsi con uno scomparso che ricompare. «Non proprio. Non sono più quello di sette anni fa. Sono profondamente cambiato. E mi sento molto più giovane». In che modo ce l’ha fatta? «Ho analizzato i miei errori e le occasioni mancate. Ho interpretato in maniera sbagliata il mio ruolo al governo. Troppo timido, difensivo, istituzionale. Ero un minimo comun denominatore, un federatore per risolvere un problema complesso. Stare per starci è deleterio. Non capiterà mai più di rinunciare alle mie idee. Voglio colori marcati come nei quadri di Van Gogh. Al Pd ho tentato di applicare questo modello, non di imporre le mie candidature». Però al ritorno l’hanno accolta pure quelli che l’hanno tradita nel 2014. Come si fa a fidarsi di chi ha tradito e anche con una certa ostentata soddisfazione? «Non voltandosi più indietro. Dimenticando. Non c’è altra strada. Non serbo rancore. Non ho eseguito vendette». La vostra classe dirigente sarà capace di stare all’opposizione dopo 10 anni su 11 passati al governo con chiunque?

«Noi siamo l’alternativa a una destra sovranista e dannosa per l’Italia. Non mi candido a perdere, ma questo vuol dire che siamo preparati a fare politica anche all’opposizione». C’è troppa consuetudine col potere? «È il nostro rischio: essere percepiti come il partito che sa gestire strategie e poltrone. Il Pd si è caricato grosse responsabilità per l’Italia, è stato al servizio delle istituzioni e ne ha pagato un prezzo molto alto. È senz’altro il nostro punto debole. Non scapperemo mai dalle responsabilità, ma non possiamo sacrificare ancora le nostre idee». Quali idee, soprattutto? «In questi anni ho conosciuto centinaia di giovani. Le nostre discussioni mi hanno obbligato a comprendere una genePERCEPITI COME IL PARTITO CHE SA GESTIRE POLTRONE E STRATEGIE. NON FUGGIREMO DALLE RESPONSABILITÀ, MA NON POSSIAMO PIÙ SACRIFICARE LE NOSTRE IDEE”

“SIAMO

RenziChigidiAsegreteriapredecessoreZingaretti,Sopra:promossi.NicolasuoalladelPd.sinistra:ilpassaggioconsegneaPalazzotraLettaeMatteonel2014 4 settembre 2022 21

PROFESSORE Letta con gli studenti di Sciences Po durante uno degli Youth&Leader Summit da lui

AGF/FotiaFrancescoFotoA3,/ScattolonA.Foto: razione molto estremista su temi come ambiente e diritti. Assieme al lavoro che significa sconfiggere la precarietà e anche estendere l’obbligo scolastico per avere più strumenti, io in cima alla nostra lista ho ambiente e diritti. Si è fatta parecchia ironia, ma sono fermo sul mio proposito di concludere la campagna elettorale con un minibus elettrico per dimostrare quanto sia difficile spostarsi senza inquinare in Italia oggi. Mancano persino le piazzole per la ricarica del mezzo! I giovani sono i nostri interlocutori e i sondaggi già ci premiano e ci dicono che siamo il primo partito nella fascia sotto i 35 anni». Può garantire ai suoi elettori che non ci sarà mai un’alleanza di governo con Fdi di Giorgia Meloni nella prossima legislatura? «Sì. Questa legge elettorale e la riduzione del numero degli eletti ci conducono alla stabilità. Non assisteremo alla replica della passata legislatura perché i Cinque Stelle, che erano ondivaghi, non saranno più determinanti in Parlamento. Il Pd e Fdi sono i due perni di due campi ben distinti. Una premessa: nessuno di noi è un novizio». Al buio tutti i gatti sono bigi. «Tutti i protagonisti di questa campagna elettorale hanno avuto un ruolo di governo negli ultimi 15 anni, tutti noi abbiamo delle responsabilità e magari dei trascorsi che vorremmo migliorare. La stessa Meloni era ministra nel governo dello sfascio di Berlusconi. Per questo motivo invito tutti i leader a focalizzarsi sul futuro e non sul passato». Ha proprio introiettato il concetto di rimozione del passato. «Nella sua versione di ostacolo al futuro». Con inconsolabile scoramento di Matteo Salvini e del Terzo Polo, la campagna elettorale è impostata su Letta contro Meloni e Pd contro Fdi. «Ci attaccano da centro e da destra, c’è già una polarizzazione nei fatti». Perché vuole gli occhi della tigre?

Prima Pagina

22 4 settembre 2022

Prima Pagina Verso il voto

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Agf/MinichielloC.Foto: «Li ho chiesti alle comunali per trasmettere un messaggio di lotta a ciascun candidato e abbiamo vinto a valanga. I collegi blindati o dati per persi possono infiacchire. In molti collegi del maggioritario siamo testa a testa col centrodestra e anche in questo momento occorre il feroce impegno di tutti. Come ci insegna il nostro allenatore Mauro Berruto, in una partita di pallavolo conta sempre pensare alla prossima palla da giocare senza rimuginare o lasciarsi distrarre dagli eventi». Nel maggioritario i Cinque Stelle potevano essere utili se l’avversario è davvero la destra. «Non aveva senso forzare, rimettere le cose in ordine dopo ciò che hanno causato al governo». Col tempo è migliorato il suo rapporto con Draghi? «È stato un rapporto tra due persone adulte, che si stimano, ma in due ruoli diversi e con diverse missioni da compiere. La sua era quella di salvare il Paese. La mia era quella di contribuire al suo governo col Pd». E per il trasloco al Quirinale? «Per andare al Colle è necessario avere un legame trasversale e consolidato con il Parlamento. Compreso che Draghi non aveva

l’appoggio di Cinque Stelle e Lega, la nostra opzione era soltanto il secondo mandato di Mattarella. Era di lato, non esposta, perché il presidente non voleva». La figura di Draghi ne esce sgualcita? «No, a sentire gli appelli a darsi da fare di queste settimane che giungono persino da Salvini». Da esperto del settore espatrio, gli suggerisce di lasciare l’Italia? «Le condizioni politiche e anagrafiche sono differenti, non mi permetto di dare consigli. Penso però che l’Italia avrà ancora bisogno di Draghi». “Viè qua Enrico che te bacio”. Non voleva quel bacio, poi Carlo Calenda ha stracciato il vostro accordo. Le ha sbloccato un ricordo renziano? «No, ho imparato ormai come si reagisce. Continuo a pensare che le parole in politica siano importanti». In un corridoio della vostra sede, laddove in passato era effigiato unicamente Renzi, adesso ci sono le fotografie degli ex segretari. Era il solo modo per riportarlo dentro? «Ho davvero cercato una relazione costruttiva con gli ex segretari che hanno lasciato la nostra casa e hanno fondato due partiti. Con Bersani e Speranza ha funzionato, con Renzi no». Palazzo Chigi è ancora un’ossessione? «Lo è stato prima per l’altro Enrico, oggi non è tra le mie priorità, non è una mia aspirazione, lo rifarei esclusivamente per senso del dovere. Non è il lavoro che amerei fare di più nella vita». Gioiosa macchina da guerra (Achille Occhetto) o Smacchiamo il giaguaro (Pier Luigi Bersani)? «No, no, non ci casco». Ha già un biglietto per Parigi? «Mi concentro sul 25 settembre». Q © BACIO Carlo Calenda. Dopo aver detto “Vie’ qua Enrico che te bacio” dell’alleanzaall’annuncio col Pd, il fondatore di Azione ha rotto l’accordo “NOI E FRATELLI D’ITALIA SIAMO PERNI DI DUE CAMPI BEN DISTINTI. ASSICURARE CHE NON FAREMO ACCORDI PER GOVERNARE INSIEME DOPO LE ELEZIONI”

I

POSSO

el pieno di una campagna elettorale di transizione tanto tesa quanto povera di argomenti forti, aiutano le prese di posizione quasi contemporanee di due intellettuali di scuola diversa molto attenti all’evoluzione del sistema istituzionale, che meritano di non passare inosservate. La prima è di Stefano Passigli, scienziato della politica e più volte parlamentare del Pri e dell’Ulivo, autore di un saggio dal titolo inequivocabile: “Elogio della Prima Repubblica” (La Nave di Teseo); l’altra viene da un articolo puntuto e documentato di Sabino Cassese, amministrativista, ex ministro e giudice della Corte costituzionale, dal titolo altrettanto esplicito: “C’erano una volta i partiti” (“Corriere della Sera”, 22-8-22).

Intendiamoci, i due contributi non si segnalano per vane nostalgie, piuttosto sembrano scritti per guardare avanti, in positivo, nel senso di tentare di recuperare per domani ciò che di buono c’era ieri e che è stato cancellato da ventate di demagogia e populismo; e pure per ovviare agli errori commessi, e attrezzarsi a contrastare i rischi che potrebbero arrivare dopo il 25 settembre. Insomma parlano di attualità. Secondo Passigli i trent’anni della Prima Repubblica, chiusa con l’assassinio di Aldo Moro che bloccò nel sangue il processo politico che doveva portare all’alternanza Pci-Dc, si è distinta soprattutto per aver avviato riforme importanti pur tenendo sotto controllo il debito (esploderà solo negli anni Ottanta) e favorito la crescita economica. Tutto questo anche grazie a tre scelte strategiche: in economia l’accettazione del regime di libero scambio dopo anni di autarchia; in politica estera l’adesione al Patto Atlantico e all’Europa unita, entrambe d’intesa con il Pci che non ha mai tradito il suo sì né mai tramato contro; infine la scelta del sistema elettorale proporzionale. Tre pilastri che oggi traballano: la destra in pole position ripropone protezionismo e isolazionismo; strizza l’occhio a Putin e si identifica con l’Europa di Orban e dei quattro di Visegrad; ama il maggioritario e, dopo aver accusato Draghi di eccesso di potere, sogna un presidente eletto dal popolo, una qualche forma di presidenzialismo che, nota Passigli, con forze politiche divise sulle scelte di fondo, a cominciare dalla politica estera e dalla giustizia, porterebbe solo confusione e rischi.

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RINNOVARLI

4 settembre 2022 23 Prima PaginaL’intervento di BRUNO MANFELLOTTO Tornare ai partiti forti per salvare la democrazia N

Il “j’accuse” di Cassese è invece tutto dedicato ai partiti ridotti ormai a piccoli gruppi di potere. L’analisi è impietosa e in qualche modo integra le tesi di Passigli perché in fondo la crisi dei partiti è figlia (se non concausa) del declino della Prima Repubblica: dal dopoguerra gli iscritti si sono ridotti di dieci volte, diminuiscono militanti e votanti; non si tengono quasi più congressi di partito, momenti di confronto di idee e di uomini su programmi e strategie oggi calati invece dall’alto;  l’assenza di organi di controllo e la funzione burocratica di direzioni e comitati non garantiscono una vera democrazia interna; i gruppi dirigenti sono oligarchie che, senza alcun confronto reale con la base e con l’alibi di una legge elettorale cervellotica, decidono in splendida solitudine i candidati, blindano i big presentandoli in più collegi, e mettono in lista “esterni” di richiamo per supplire alle carenze di iscritti e militanti o per giochi di potere; al web, infine, si ricorre non per favorire partecipazione e informazione, ma per esaltare questo o quel leaderino. È la politica dei pochi che occupano cariche e istituzioni, generano sfiducia, allontanano i cittadini.  E invece partiti forti e partecipati, come sono stati per anni, sono garanzia del buon funzionamento della democrazia. Ora che il populismo si è attenuato, e cerca in qualche modo di istituzionalizzarsi e farsi governo, è necessario cominciare a riflettere sui partiti senza pregiudizi di sorta. Convincendosi che essi non sono la sentina di tutti i vizi e che partiti più democratici rendono più democratici la politica e lo Stato. E dunque sono il primo argine a degenerazioni, deviazioni, autoritarismi. Che sono sempre in agguato. RISERVATA

MACCHINE DI POTERE AL SERVIZIO DEI LEADER, SENZA LEGAMI CON LA SOCIETÀ. È NECESSARIO

noncelovuole.Erailprimoagostoquandoilleaderleghistatornòadaccarezzarepubbli-camenteilpropositoditornare,erail4ago-stoquandorilanciòlasuacandidatura,inmezzoaunavisita-spotaLampedusa.Masarebbestata,inpratica,l’ultimavolta.Giàlaprimasera Meloniavevainfattiiniziatoadiffonderepertamtamlapropriacontra-rietàaunritornodell’exministroalpostodiprima,anchefacendoemergere,nellechiac-chieredeifedelissimi,ildubbiogiudiziariosudilui,valeadire:nonèchelasentenzasuOpenArms ciarrivatraipieditroppopre-sto?(infopergliappassionati:ilprocessochevedeimputatoSalvinièaitestimonidell’accusa,vo-lendofareunastimaaspan-necidovrebberovolereal-menootto/diecimesiperlasentenza).Moltimotividifondo,perMeloni:troppacontinuitàcolgovernogial-loverdeguidatodaGiusep-peConte,troppoaltoilrivoto

Verso il

n fantasma si aggira sul (probabile) governo Meloni: quello di Matteo Salvini. Molto prima dei selfie con gli abbracci sorridenti a sfondo mare dello Stretto, di stantii patti fondati su un qualche tipo di cibo (stavolta le braciolette messinesi) che come al solito durano sei minuti, molto prima delle discussioni sui blocchi navali per fermare i migranti (idea sua) o sul ripristino dell’immunità parlamentare per fermare i magistrati (idea di Carlo Nordio), una domanda di fondo attanaglia la leader di Fratelli d’Italia: Matteo dove lo metto?

Le ipotesi fluttuano, la faccenda è tutt’altro che una banale questione di poltrone: riguarda gli equilibri della prossima maggioranza di governo e, a braccetto con la perenne lite fra i due leader giovani del centrodestra, percorre sottotraccia la campagna elettorale fin dall’inizio. Si sa infatti che Salvini non sta nella pelle all’idea di tornare al Viminale: il fatto è che lei, Giorgia Meloni,

24 4 settembre 2022

DIVISI SU IMMIGRAZIONE E GIUSTIZIA, UNITI NEI SELFIE. COSÌ BATTAGLIANO SALVINI E MELONI. CON UN PROBLEMA IRRISOLTO: TROVARE UN POSTO ALL’EX MINISTRO NEL PROSSIMO GOVERNO VIMINALE FANTASMA DI SUSANNA TURCO U TSusannaurco Giornalista

AnsaImages,GettyFoto:

4 settembre 2022 25 tinuo citare i decreti sicurezza, tutto in lui lo trasudi) e abbia invece imboccato la strada dell’iperbole: «Se gli italiani vogliono andrò a Palazzo Chigi e da lì ogni tanto telefonerò anche a chi sta al Viminale», dice ora quando glielo chiedono («vado ad allenare il Milan», ha sospirato una volta come rassegnato).Ebbene,ma se il Viminale no, Matteo dove si potrà sistemare? Nel cerchio magico di Fratelli d’Italia ci si riflette, mentre solenne la leader dichiara dalla piazza di non parlare di liste di ministri neanche con sé. Di solito, a stare ai precedenti, il leader di un alleato minore lo si alloca agli Esteri, come accaduto con Luigi Di Maio, o anche in passato con Gianfranco Fini, ministro degli Esteri del governo Berlusconi. Ma qui viene il secondo, grosso nodo della questione: il fronte internazionale, la credibilità e la reputazione fuori dai confini. In Europa anche i vertici del Ppe hanno infatti incominciato a distinguere tra Meloni e Salvini, come notava l’altro giorno Repubblica: il leader leghista, a partire dai rapporti con la Russia, viene considerato fuori dal circuito democratico e atlantico dell’Unione. Giorgia Meloni è al contrario ritenuta per così dire convertita all’europeismo: e del resto l’atteggiamento tenuto da Fdi sin dall’aggressione a Kiev, con l’adesione alle scelte del governo Draghi, l’invio delle armi, il sì deciso all’adesione alla Nato di Finlandia e Svezia (laddove Salvini ha abbaiato finché ha potuto) fino al no allo scostamento di bilancio di 30 miliardi chiesto dalla Lega (e appoggiato da Tajani) per fare fronte alla crisi energetica, hanno portato Meloni molto più su anche nella considerazione oltreoceano, come si è visto in modo cristallino nei giudizi positivi su di lei espressi già nella serata per l’Indipendence day all’ambasciata americana a Roma, il 30 giugno.

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Questa costellazione, il percorso cioè di accreditamento di Meloni e invece quello del leader leghista che ancora pochi giorni fa invocava da Porta a porta la fine delle sanzioni alla Russia, finisce per rendere poco praticabile immaginare Salvini in un ruolo nel quale sia previsto un rapporto diretto con l’Unione, con le cancellerie, con la Nato. Lo stesso discorso della Farnesina vale quindi per la Difesa: un ministero prestigioso ma - anche volendo accantonare il toto-governo che vedrebbe schio di strappetti continui, tra blitz a Lampedusa e proclami su un terreno che anche Fratelli d’Italia considera suo. Insomma ogni giorno il dibattito nel governo somiglierebbe a questi che viviamo. Non molto rassicurante.Certo il Viminale, l’altra volta, a Salvini era piaciuto assai: di lì, infatti, si può fare molta propaganda e lavorare poco, come aveva potuto sperimentare lui stesso passando fuori dai suoi uffici sessanta dei primi novanta giorni da ministro, nell’ormai lontano 2018: mentre a comandare c’era il suo capo di gabinetto, Matteo Piantedosi, oggi prefetto di Roma, l’altro Matteo, il ministro, era in giro per l’Italia, da Pinzolo a Furci Siculo, tra sagre, pranzi, moto d’acqua, selfie, vassoi di fritti. Vorrebbe tornare a quell’equilibrio, ma nel corso dell’agosto appena concluso ha «capito che non potrà», sussurrano ora i meloniani facendo notare come il capo della Lega abbia smesso del tutto di evocare l’incarico ministeriale (per quanto, dai manifesti 6 per 3 al con-

SELFIE Matteo Salvini e Giorgia Meloni si fanno fotografare a Messina. Nella foto grande: il selfie a Spinaceto dell’anno scorso

FotoA3Agf,Carotenuto,G.Foto:

Q RIPRODUZIONE RISERVATA in quella casella il ritorno di Ignazio La Russa - come si fa a metterci un uomo che viene da molti considerato tanto vicino a Vladimir Putin? Ci sarebbe in teoria una terza possibilità. Anche qui, il precedente Di Maio aiuta: da capo del Movimento, nel 2018, fu messo a guidare sia Lavoro che Sviluppo economico. Ma ecco, qui torna la variante Viminale: così come, a differenza della tradizione e di quasi tutti i suoi predecessori (basti pensare a una figura come Giuseppe Pisanu), da ministro dell’Interno non si è murato vivo nei suoi uffici dalle otto di mattina fino a notte fonda, tanto meno Salvini sarebbe adesso il tipo capace di sgobbare da mane a sera su tavoli, trattative, proteste, relazioni, equilibri, compromessi, scocciature. Una attività la cui fatica si può sobbarcare un Giancarlo Giorgetti o, al limite, un Andrea Orlando - per quanto il grado di divertimento talvolta si sia letto in faccia persino a un  imperturbabile come lui. Questione di attitudine, carattere, di preferenze: tutte cose che vedono Salvini assai distante dai ministeri di via Veneto. Allocarlo lì rasenterebbe la provocazione, per lui e  per le controparti. Nemmeno si può immaginare per Salvini un vicepremierato senza deleghe, come fu sempre per Fini con Berlusconi: Giorgia Meloni non è il Cavaliere e, a tutto concedere, Salvini non è l’ex capo di An. E così, esaurito il giro dei ruoli di maggior peso, il problema (enorme) resta sul

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tavolo come un macigno e Salvini resta sui temi che frequenta più volentieri. E così, nel derby sulla linea da tenere sugli sbarchi dei migranti che ha visto  opporsi blocco navale (soluzione auspicata da lei) e decreti sicurezza (soluzione auspicata da lui) l’elemento più importante è nel fatto in sé: due dei tre leader del centrodestra hanno già aperto un dissidio, su un tema centrale come la sicurezza, a meno di un mese dal voto. L’avevano già fatto tre settimane fa (il 6 agosto), stesso spartito, giusto semmai con toni meno aspri. Stavolta, vista la malaparata, Salvini e Meloni sono corsi ad abbracciarsi per finta, al Circolo del tennis di Messina, per far vedere che, assolutamente, non c’è nessuna lite (è durata qualche ora, il tempo necessario a Giulia Bongiorno, l’avvocata-senatrice che dà la linea alla Lega sulla Giustizia, per discostarsi da una buona metà delle posizioni espresse in materia da Carlo Nordio, in predicato per il ministero di via L'avevanoArenula).giàfatto un anno fa, il selfie abbracciato della pace, ai tempi della tragicomica corsa di Enrico Michetti verso il Campidoglio. In quel caso si trovavano a Spinaceto per la chiusura della campagna elettorale, era sempre la fine dell’estate, non erano d’accordo quasi su nulla, come oggi accade per immigrazione e giustizia. Ma gli equilibri erano assai diversi. Nei sondaggi il Pd era ancora il primo partito, Fratelli d’Italia e Lega erano al testa a testa, sostanzialmente alla pari sul 19/20 per cento ciascuno. E quando davanti a un murales scrostato della periferia romana Salvini aveva provato a prendere in braccio stile sposa Meloni, replicando il gesto che era stato di Guido Crosetto, pensava di fare il gentile con una che non si sarebbe mai risollevata dal disastro della corsa al comune di Roma, nelle quali Fdi si giocava molto. E invece, per meccanismi tuttora non spiegati, nonostante l’errore Michetti (che fu scelto dal partito di Meloni, e segnatamente da Francesco Lollobrigida via Paolo Trancassini), Fratelli d’Italia effettuò il sorpasso di lì a poco. Adesso, insomma, se fa un selfie con Salvini è lei che fa l’accondiscendente con lui. Forse la spinge la domanda alla quale tutt’ora non ha trovato una risposta: Matteo dove lo metto?

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Carlo Sopra:Nordio.Giulia Bongiorno In alto: migranti sulla banchina del porto di Lampedusa avviati verso un centro di accoglienza

26 4 settembre 2022

Almenoall’erario,diunmeseedamungere,assiemeallec’èilconsensonelleurne.GiorgiaMeloninonchie-

Sulle macerie della quale riemerge la figura del buon vecchio Keynes, semquandoc’èseMatevacchepreriesumatodalcassettointempidimagreperessereprontamen-ripostoquandoilpeggioèpassato.nemmenoluipuòfareimiracolivienechiamatoincausaquandodapagareevienedimenticatoc’èdariscuotere. Bonomi

statalisti seall’italianac’èdaincassare

E dunque a scaricare questi ulteriori costi sulle future generazioni già gravate da un debito pubblico mostruoso. Ma, si sa, le elezioni sono tra meno

de di sforare il budget, ben conscia che, se toccherà a lei la poltrona di palazzo Chigi come è possibile, si troverà a sedere su una montagna di deficit difficilmente governabile.

Le bollette astronomiche hanno fatto riesplodere le contraddizioni dei liberisti a corrente alterna di casa nostra, sempre pronti a privatizzare gli utili e a socializzare le perdite. La loro fede in Adam Smith e nella “mano invisibile del mercato” capace di creare l’equilibrio economico generale vacilla davanti al prezzo del gas schizzato da venti a oltre trecento euro. Dunque eccoli riscoprirsi seguaci di John Maynard Keynes per reclamare disperati l’intervento di quello Stato tanto bistrattato come era già successo, recentemente, per i sussidi nei momenti più drammatici della pandemia. Sia chiaro: la visibilissima mano pubblica è necessaria in questa situazione emergenziale estrema, tanto per le famiglie quanto per le imprese. Sarebbe bene però ricordarsi delle virtù dell’economia mista anche nei tempi delle vacche grasse quando volano guadagni e indici di Borsa. Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, tra i primi a reclamare un decreto del governo per aiutare le imprese in difficoltà, potrebbe già da subito spendere qualche parola sulle aziende gonfiate dagli extra-profitti che avrebbero dovuto versare in totale 10,5 miliardi di euro in seguito al decreto Aiuti bis, hanno dato invece poco più di un miliardo e hanno fatto ricorso all’ Autorità per l’energia e al Tar: udienza prevista l’8 novembre quindi fuori tempo massimo perché, in caso di sentenza favorevole all’esecutivo, quel denaro possa essere usato per lenire i dolori dei consumatori che si sono visti decuplicare i costi. Ora, non a novembre. Ma su questo Bonomi tace. Come tace Silvio Berlusconi, per la verità un liberista sui generis se ha costruito le sue immense fortune grazie a una concessione di Stato e ora, dopo aver contribuito a far cadere Mario Draghi, lo implora di intervenire per correggere le storture di un mercato che si è dimenticato la sua magica mano chissà dove. Analogamente Matteo Salvini, campione se ce n’è uno tra i fautori del primato del privato sul pubblico, sempre dalla parte delle imprese e delle partite Iva contro lo Stato vessatore iniquo e la Roma ladrona, impegnato a perorare la causa di una spesa in deficit da 30 miliardi.

Q © RIPRODUZIONE RISERVATA A3FotoFoto: Il presidente di Confindustria Carlo

I liberisti

Però reclama un tetto comune al prezzo del gas, chiamando in causa quell’Europa da sempre considerata matrigna da lei e dai sovranisti suoi alleati nel Continente.

28 4 settembre 2022 Prima Pagina Il commento di GIGI RIVA

Nel bailamme della tempesta perfetta tra post-Covid, guerra in Ucraina, inflazione galoppante e maxi-bollette, la prima vittima è la coerenza.

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DEI DEMOCRATICI  CONTE VUOLE LA BASE

Di contro ci siamo ritrovati con interventi inadeguati e non sufficienti che non hanno fatto altro che rinviare la soluzione di problemi che sono adesso visibili a tutto il Paese. Quindi nulla di cui pentirci» Lei cosa ha fatto per salvare l’alleanza con i dem, visto che adesso con questa legge elettorale solo il centrodestra è competitivo nei collegi uninominali? «Nel governo Conte-due

I RIVENDICA I RISULTATI DELL’ALLEANZA GIALLO-ROSSA, ATTRIBUISCE A LETTA LA ROTTURA, CHIUDE A INTESE A DESTRA. E SI OFFRE ALL’ELETTORATO PD. DIALOGO CON IL LEADER CINQUE STELLE

30 4 settembre 2022 Verso il voto

COLLOQUIO CON GIUSEPPE CONTE DI ANTONIO FRASCHILLA

«Il Movimento fin dall’inizio ha chiarito di volere sostenere il governo Draghi per fare gli interessi dei cittadini. Ed è evidente che la possibilità di continuare era legata alla risoluzione dei problemi, alcuni dei quali come quelli sul salario minimo e il caro energia, urgentissimi e da mesi segnalati.

FraschillaAntonio Giornalista

l presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte si dice convinto della scelta di aver dato il la alla caduta del governo Draghi. E in un ampio colloquio con L’Espresso manda messaggi di apertura al dialogo con il Pd: non ai vertici, bensì alla sua comunità con la quale «abbiamo condiviso scelte di governo importanti». Assicura che non dialogherà con Fratelli d’Italia e la Lega dopo il 25 settembre e propone misure drastiche in economia: come quella di tassare gli extraprofitti non solo delle aziende energetiche, ma anche di quelle assicurative e farmaceutiche. Presidente Conte, considerando l’autunno caldo che attende il Paese, si è pentito di alcune scelte fatte prima della caduta del governo Draghi, come il mancato voto al decreto Aiuti che ha dato il la alla crisi?

insieme al Pd abbiamo salvato un milione di cittadini dalla povertà in piena pandemia. Quando i dem hanno accettato di lavorare con noi abbiamo ottenuto risultati, come un più 6,6 per cento di Pil, e permesso a 1,8 milioni di cittadini, fra cui molti giovani e donne, di firmare un contratto di lavoro grazie agli sgravi alle imprese da noi avviati. Il segretario Enrico Letta prima ha imposto una norma come quella sull’inceneritore a Roma che dubito si potrà mai costruire, e poi ha interrotto il dialogo che avevamo costruito nel corso del tempo. Per finire con il preferire Di Maio, Tabacci, Calenda e Gelmini a noi per un mero calcolo elettorale. Letta ha così gettato a mare un dialogo costruito nel tempo e fermato riforme che il Paese attendeva da tempo. Giustificando il tutto con l’obiettivo di perseguire l’agenda Draghi, una agenda di cui anche Draghi è ignaro evidentemente. Non credo che tutto questo entusiasmi la comunità stessa del Partito democratico con la quale avevamo lavorato bene. Ma grazie a Dio saranno gli elettori a giudicare le scelte del Movimento e non Letta». Parliamo del futuro del Paese: lei teme un governo guidato da Giorgia Meloni? «Temo un governo che non appare capace di dare risposte al Paese. Le ricette del centrodestra e il loro programma, tra l’altro contraddittorio, sono un incubo reale per l’Italia». Cosa la preoccupa di più? «L’esperienza che ho maturato durante la pandemia deve essere di insegnamento: loro volevano aprire tutto quando il contagio era nella fase più acuta, e al contrario mettevano in discussione i presidi di protezione civile e sanitari necessari per rafforzare la tutela della salute e, direi, della vita di molti italiani. Hanno anche insinuato

Giorgiacondialogoche25accadràfuturoLega.Veneto, roccaforte dellapartendo dalParlandodelediquellochedopoilvotodelsettembreassicuranonapriràalcunconSalvinieFratellid’ItaliadiMeloni

Il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha iniziato il suo tour elettorale

4 settembre 2022 31 A3-MinnellaM.Foto: Prima Pagina

di una forza politica che vorrebbe identificarsi anche nel nome, Fratelli d’Italia, con l’intera nazione e invece alimenta una politica divisiva fondata sulla paura e destinata a polarizzare l’azione politica. La polarizzazione peraltro è un errore nel quale sta cadendo anche Letta, e questo fa il gioco di Meloni». Andiamo al cuore del programma del Movimento che lei sta cercando di rilanciare: sul reddito di cittadinanza, messo nel mirino da Meloni, Salvini e Berlusconi, cosa proponete? «Nel 2019 abbiamo messo a disposizione delle Regioni un miliardo di euro per migliorare le politiche attive e assumere addetti ai centri per l’impiego. Va detto che le Regioni hanno fatto appena tremila assunzioni sulle 11 mila previste, e che 14 regioni su 20 sono in mano al centrodestra. Due domande me le farei. Poi andiamo al tema degli sfaticati, tanto caro alla destra: due terzi dei percettori del reddito non è

EMAPROFITTI DELL’ENERGIAANCHEDIASSICURAZIONIFARMACEUTICA

LA

32 4 settembre 2022 Verso il voto dubbi sulla validità dei vaccini. Inoltre ci hanno diffidato dal prendere soldi in Europa, soldi necessari per realizzare il Pnrr. Oggi poi propongono una irrealizzabile tassa unica che ha come obiettivo quello di avvantaggiare i più ricchi. Come possiamo dare fiducia a questa destra e stare tranquilli sul futuro degli italiani?». Sulla polemica riguardo al simbolo di Fdi con la Fiamma tricolore dell’ex Msi, partito post fascista, e sul rapporto tra pensaestremadestraeFratellid’Italia,leicosadavvero?

«Giorgia Meloni ha ripulito la sua immagine dai grotteschi imbarazzi di gioventù ma rivendica la Fiamma come consapevolezza storica di una tradizione chiara che si rifà al fascismo. Io comunque non voglio agitare lo spauracchio di una nuova marcia su Roma cento anni dopo. Preferisco denunciare l’assoluta inadeguatezza in condizione di lavorare e tra loro ci sono 700 mila minori e 200 mila disabili. Tra gli idonei al lavoro un buon trenta per cento ha sottoscritto contratti di lavoro e quasi il 50 per cento di questi non arrivava a fine mese con gli stipendi che percepiva. La misura va migliorata, certo, soprattutto sul fronte dell’incrocio tra domanda e offerta di lavoro. Ma il reddito di cittadinanza ha dato risposte vere ai poveri».

Politica estera. Secondo lei l’Italia come dovrebbe affrontare la guerra in Ucraina? Cosa risponde all’accusa riguardo ai suoi governi, soprattutto quello gialloverde, di aver offerto sponde a Russia e Cina? «Dopo un iniziale sostegno chiaro all’Ucraina il Movimento 5 Stelle ha detto che le armi dovevano tacere in cambio di un maggiore sforzo diplomatico. Questa idea non è cambiata. Non possiamo inseguire una chimerica vittoria dell’Ucraina e la sconfitta della Russia. Dobbiamo invece ottenere una vittoria politica e diplomatica. L’Italia può essere promotrice di questa azione di buonsenso indirizzando le parti belligeranti verso un trattato di pace. Su Russia e Cina rivendico con orgoglio che i miei governi hanno avuto come bussola solo l’interesse nazionale attraverso un riequilibrio della bilancia commerciale». Tema energetico causato dalla guerra: cosa propone il Movimento per aiutare FLAT TAX PREMIA I RICCHI. TASSIAMO GLI EXTRA

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«Io sto alle decisioni del vertice attuale del Pd. Non mi permetterei mai di criticare una intera comunità politica per delle scelte fatte dall’alto incomprensibili e contraddittorie: come quella sull’inceneritore, mentre a parole si sostiene la transizione ecologica. E non è contraddittorio parlare di agenda Draghi e poi allearsi con Fratoianni e Bonelli che non hanno mai sostenuto un atto di questo esecutivo? Io penso che la comunità del Pd abbia apprezzato il governo con noi e che questa sintonia rimanga. Ma questi vertici hanno fatto le loro scelte».

Guardando al dopo 25 settembre, se dovessero mancare i numeri per una maggioranza chiara, lei con chi sarebbe disposto a dialogare?

Affrontiamo l’argomento immigrazione: con il governo gialloverde lei ha avallato i decreti sicurezza proposti da Salvini e abbiamo assistito alle scene delle navi che restavano in rada per i problemi che poneva il ministro dell’Interno, sotto processo adesso a Palermo. Lei rifarebbe quelle scelte? E per il futuro cosa propone?

«Con le forze di destra che si accaniscono contro i poveri, che vogliono cancellare il reddito di cittadinanza, ripropongono la leva militare e hanno una concezione della donna piuttosto datata, credo che non abbiamo nulla da condividere. Con il Pd la delusione per il comportamento dei vertici, parlo di delusione politica e non personale, è tale che non intravediamo all’orizzonte possibilità di collaborazione». Il problema quindi è l’attuale classe dirigente dei dem?

«Quando si parla di immigrazione si fa spesso riferimento solo ai decreti sicurezza fortemente voluti dalla Lega e che io ho contribuito a rivedere e a modificare rispetto alla versione originale che mi aveva presentato Salvini: una versione fortemente indigesta. Ma noi siamo anche quelli che abbiamo imposto in sede europea subito, già nel 2018, una condivisone comune dei flussi migratori. È grazie a questa iniziativa del mio governo che si è iniziato a parlare di una visione comunitaria non solo nei soccorsi, ma anche nella redistribuzione dei migranti. E su questa strada occorre proseguire».

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A sinistra il presidente del Consiglio Mario Draghi. Conte si dice convinto ancora della scelta di non aver votato il dl aiuti dando il la alla crisi. In alto Luigi Di Maio, che ha lasciato il Movimento per continuare a sostenere Draghi e adesso è alleato dei dem. Per il presidente dei 5 stelle, Enrico Letta ha preferito l’ex grillino e Tabacci a un vero dialogo con lui e ne paga adesso le conseguenze

imprese e famiglie alle prese con il caro bollette senza far saltare i conti dello Stato? «Occorre una vera tassazione degli extra profitti delle aziende energetiche, per recuperare i 9 miliardi di mancato gettito e rendere poi pubblici gli elenchi delle società che si stanno sottraendo alla legge. Dobbiamo estendere questa misura anche al settore farmaceutico e assicurativo colpendo le speculazioni fatte durante la pandemia. Inoltre siamo per l’azzeramento dell’Iva per i beni di prima necessità. Chiediamo poi al governo Draghi un importante scostamento di bilancio per trovare le risorse necessarie ad aiutare le imprese e le famiglie» Restando sul tema energetico, che soluzioni proponete per rendere autonoma l’Italia dal gas russo? Siete pentiti di certe posizioni contro i gasdotti o i rigassificatori? «Vorrei ricordare che io sono il presidente del Consiglio che ha sbloccato i lavori del Tap in Puglia che adesso sono avviati a conclusione. Detto questo, per noi l’orizzonte è quello delle rinnovabili, che vanno sostenute e autorizzate: c’è un recente studio della Lut, università finlandese, che conferma che davvero possiamo arrivare ad approvvigionarci interamente da fonti rinnovabili entro il 2050, ed è questa la data che abbiamo inserito nel nostro simbolo».

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Francesco De Sanctis. A destra: Giuseppe Conte

Ora, immaginate il giovane Francesco De Sanctis che legge il programma del Movimento 5 Stelle, lo scorre fino in fondo e poi dice: «bello, ma potevate spiegarlo almeno un po’?» (lo so, non avrebbe detto esattamente così, ma siate indulgenti). Perché i contenuti di “Dalla parte giusta” sono nei fatti elencazioni. In certi casi assai lodevoli, sia detto: la parità salariale, l’equiparazione dei tempi di congedo di paternità e maternità, il cohousing per gli anziani, matrimonio egualitario e legge contro l’omotransfobia, educazione sessuale e affettiva nelle scuole, Ius Scholae. Ma non viene enunciato il progetto, l’intento ultimo (Cuore e Coraggio, le parole del sottotitolo, non costituiscono un progetto, ma una postura). Né si spiega come si intende attuare quel che si propone. Per esempio, sul capitolo amIl programma del Movimento elenca molte buone intenzioni senza spiegare come attuarle. Oppure avanza proposte in contrasto con i duri fatti

S LipperiniLoredana Giornalista CINQUE STELLE, P DI LOREDANA LIPPERINI

biente (che dovrebbe essere il centro di tutti i discorsi, ora come ora), si legge: «Tendere a un modello sostenibile di consumo energetico per ridurre le emissioni annue di gas serra». Bello, direbbe De Sanctis, ma come? Sulla cultura, che è inclusa nel capitolo turismo, si legge: «Misure di protezione e valorizzazione del patrimonio culturale italiano», e De Sanctis perderebbe la pazienza esclamando ad alta voce: va benissimo, ma quali? Delle due l’una. O gli estensori del programma sono lettori accaniti dello “Zibaldone” di Giacomo Leopardi («le orazioni fatte oggi a’ parlamenti o da niuno si leggono, o si dimenticano di là a due dí») e non si curano di precisare. Oppure non ci sono ancora idee concrete su come realizzare il programma. Suppongo che molti elettori protesteranno perché qui si sta dando importanza alle parole e non ai fatti. Giustissimo (o olo la dittatura non ha bisogno di retorica” è il titolo della prefazione di Umberto Eco a un libro importante che uscì nel 2011, “Parole al potere”. Lo scrisse un fine critico letterario come Gabriele Pedullà, antologizzando sessanta discorsi politici italiani tra il 1861 e il 1994. Il concetto espresso in quel titolo viene da lontano: lo enunciò, in una delle prolusioni all’Università di Pavia del 1804, Vincenzo Monti, ricordando che il recte dicere è il correlativo indispensabile del recte agere: «l’arme della parola è una potenza conservatrice dei diritti del cittadino». L’arme della parola politica ha spesso affascinato i letterati: Carlo Dossi voleva scrivere un’opera sulle discussioni parlamentari, e Francesco De Sanctis, in “La giovinezza”, confessava le ore passate a leggere quei discorsi: «Quelle letture mi facevano tanta impressione, ch’io ne parlavo con tutti, in ogni occasione, e faceva dei soliloqui, perché nessuno leggeva i giornali. Io avevo tale memoria, che spesso ripetevo punto per punto qualcuno di quei discorsi… io stesso sentivo un’ammirazione letteraria per quei potenti oratori».

Verso il voto 34 4 settembre 2022

Primo fatto: il M5S ha governato per l’intera legislatura (tuttora non ha ritirato la sua rappresentanza nel governo, e ha ancora, per dire, una sottosegretaria all’Istruzione) e l’ex presidente del Consiglio ha scritto, o recepito, le prime due versioni del Pnrr, che è rimasto molto simile, se non quasi identico, a quello del suo oggi dimissionario successore (Mario Draghi, rompiamo la regola del nominare i politici per una volta). L’osservazione non è peregrina, come si vedrà.

Terzo fatto. Il penultimo punto parla di migranti, proponendo genericamente di predisporre un meccanismo comunitario per definire la gestione dei flussi migratori, di combattere la tratta di esseri umani, di rafforzare le politiche di inclusione. Però nei due governi del candidato leader sono stati reiterati gli accordi con la Libia sottoscritti da Marco Minniti, che non sono esattamente un modello di cui far vanto (chiedere a papa Francesco un parere in proposito, e già che ci siamo chiedere anche a De Sanctis, che, condannato all’esilio, riuscì a riparare da profugo prima in Piemonte e poi in Svizzera, e forse di questi tempi sarebbe stato riconsegnato ai Borboni). Il quarto fatto riguarda la scuola (ci si perdoni se si insiste spesso su questo punto, ma qui si ha la convinzione che sia centrale). Le proposte sono: adeguamento degli stipendi degli insegnanti ai livelli europei, psicologi e pedagogisti, una scuola dei mestieri per valorizzare e recuperare la tradizione dell’artigianato italiano, aumentare i fondi per università e ricerca. Ora, nel secondo mandato il candidato leader, se non ricordiamo male, ha messo nel Pnrr 28,5 miliardi di euro, meno della metà dei fondi necessari alla scuola per il dimensionamento delle classi, l’assunzione del personale necessario, appunto l’adeguamento degli stipendi. Solo per la messa in sicurezza degli edifici servivano, e servono, oltre 19 miliardi. Inoltre, 11,77 miliardi erano sotto la voce “Dalla ricerca all’impresa”, che sembra essere la solita caramellina avvelenata della scuola come riserva di caccia dell’industria. Il che ad alcuni potrà anche sembrare “produttivo”, ma che contraddice, ancora una volta, quello che la scuola dovrebbe essere, e forse la società stessa dovrebbe essere, invece di reiterare un sistema che fa credere agli individui di essere gli unici responsabili della propria sorte: se la tua vita va bene, sei un bravo imprenditore di te stesso, se va male, è ovviamente colpa tua. Questo non è un fatto? Fingiamo che non lo sia: ma per tornare alla parte del programma che riguarda la scuola, sembra buffo parlare di adeguamento degli stipendi se prima sono stanziati pochissimi fondi. Ed è non buffo ma sconcertante che non si parli, di nuovo, di liceo di 4 anni, di tagli futuri agli organici, aggiornamento a punti, classi pollaio, precarietà strutturale di una parte importante del personale docente, eccetera. Insomma, come si fa a proporre qualcosa che non è stato fatto quando si poteva farlo? In base a quale finalità? A quale progetto?

quasi), guardiamo i fatti.

Per questo le parole servono: per spiegare, illustrare e anche rispondere alle contraddizioni. Le parole sono uno sciame d’api, scrisse la poetessa Anne Sexton. A non volerle usare, e usare bene, pungono.

Q © RIPRODUZIONE RISERVATAImagesGettyA3,Foto/MinnellaM.Foto: Prima Pagina 4 settembre 2022 35

Secondo fatto. Nel programma si propone il limite dei due mandati esteso a tutti i partiti. Non so cosa ne pensino i costituzionalisti, ma a chi scrive viene in mente che forse un elettore dovrebbe avere il diritto di scegliere chi può rappresentarlo, se rimaniamo tutti dell’idea che il Parlamento sia il luogo delle migliori professionalità e competenze: inclusi coloro che sono presenti da tre o cinque legislature e dunque hanno acquisito quelle competenze con la pratica.

AROLE SBAGLIATE

Disuguaglianze italiane DI GLORIA RIVA AL UNFARSIÈ DIFFICILESUDNIDO

4 settembre 2022 37 Prima Pagina nrico Letta lancia l’idea di estendere la scuola dell’obbligo dai tre ai 18 anni. La terzopolista Mara Carfagna gli risponde che i nidi - che accolgono bambini fino a tre anni, ndr - non ci sono per tutti e quindi l’idea del Pd è follia. Il dialogo surreale tra i due candidati viene coronato dall’intervento di Matteo Salvini che, limpidamente, propone di copiare il modello ungherese di Orban, dove la donna, dopo il terzo figlio, ha un sacco di vantaggi fiscali: e addio parità di genere. Ciliegina sulla torta: Giorgia Meloni promette più soldi alle famiglie con figli, in barba alle finanze pubbliche. Scuola e famiglia diventano strampalati slogan elettorali che la dicono lunga sulla distanza siderale della politica romana dalla vita reale. Non un candidato che si sia preoccupato di verificare se l’assegnazione dei 4,6 miliardi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per la creazione di asili nido, che si è materializzata con la pubblicazione delle graduatorie da parte del ministro dell’Istruzione lo scorso 16 agosto,centra l’obiettivo, ovvero garantire il diritto a un posto in un asilo nido ad ogni bambino da zero e tre anni. Ci ha pensato L’Espresso, andando a verificare se la ripartizione dei fondi ridurrà le disuguaglianze fra aree come l’Emilia Romagna, dove c’è una copertura pubblica del 28 per cento, e la Sicilia, che ha 6,7 posti ogni 100 bambini. I piccoli di Palermo, grazie agli interventi del Pnrr, avranno gli stessi diritti di quelli emiliani? La risposta è no. In base ai dati elaborati per L’Espresso da Christian Morabito, esperto internazionale di politiche educative per l’infanzia presso Nazioni Unite, Ocse e Commissione Europea, la Sicilia potrebbe arrivare al 15 per cento circa di copertura pubblica, mentre l’Emilia Romagna supererà abbondantemente la soglia del 33 per cento. La pioggia di miliardi del Pnrr migliora la condizione del Sud, perché il 55 per cento delle risorse è stanziato da Roma in giù, ma non riduce in modo sostanziale le disuguaglianze non solo fra regioni, ma anche all’interno di uno stesso territorio. Come succede in provincia di Imperia, all’estremo ponente ligure, proprio al confine con la Francia, che storicamente ha una copertura molto bassa di servizi per l’infanzia. Fino a un decennio fa c’era un solo nido privato a Dolceacqua, gestito da una cooperativa di donne che ha alzato bandiera bianca perché i costi di gestione erano improponibili e i genitori non potevano permettersi tariffe da 600 euro al mese. Ora si scopre che in quell’area un solo comune ha fatto richiesta. Si tratta di Camporosso, poco più di cinquemila abitanti, con oltre 200 bambini nella fascia zero-tre anni che, promette il sindaco Davide Gibelli, entro il 2024 avranno un nido da trenta posti. Ma bisogna andarci piano con le promesse. La fase di progettazione è andata liscia, soprattutto perché Gibelli è un architetto e quindi non ha trovato problemi nella presentazione dell’opera, come invece è avvenuto in molti altri comuni: «Il primo scoglio che hanno incontrato molti piccoli comuni è di tipo progettuale», spiega Morabito: «Chi ha già un asilo nido o chi ha un buon ufficio tecnico in grado di formulare correttamente la domanda è stato agevolato nella partecipazione al bando», non a caso, in base ai dati elaborati da Morabito per L’Espresso, le Regioni che superano la soglia minima del 33 per cento di posti al nido per bambini residenti sono il Trentino, l’Emilia Romagna (entrambi con una storia importante di nidi e progettazione) e il Molise. Quest’ultimo per un motivo diverso: «Le regioni con pochi abitanti sono state avvantaggiate per un errore di calcolo. Proprio così: i criteri di accesso al bando non pesano correttamente la dimensione geografica. Il risultato è che regioni grandi, come la Campania, sono svantaggiate rispetto alle zone meno popolate», accusa Gianfranco Viesti, docente di Economia all’Università di Bari. La Campania vede migliorare del 250 per cento la propria posizione (anche perché partiva dal 4,5 per cento bambini), ma per arrivare alla soglia del 33 per cento mancano più di 22mila posti. Viesti conclude: Bambini all’asilo nido “Latte e biscotti” di Roma E PARTONO I PROGETTI FINANZIATI DAL PNRR PER LE STRUTTURE DESTINATE AI PICCOLISSIMI. MA LA BUROCRAZIA IMPEDISCE A CHI STA INDIETRO DI COLMARE IL DIVARIO

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Gloria Riva Giornalista

Disuguaglianze italiane

38 4 settembre 2022 «Avevamo a disposizione molti soldi per una misura fondamentale di equità civile, per combattere la disuguaglianza di genere e invertire la rotta della decrescita demografica. Poi si è deciso di affidare i criteri di assegnazione alla bizantina macchina burocratica del ministero dell’Istruzione e questo è il risultato». Ed è stato necessario riproporre il bando tre volte per riuscire a destinare almeno la metà dei fondi al Sud, dove il bisogno di dicola,nelavorobollette,deitantesarannodalpercrescenticomunalesindaci.chesogliatirestatohacheriescedell’infanzia,betesi«Siamonostrutturapassolainchiedersigestionemune,intendetenimentolo,todovebito.blicichetecentoinfrastruttureèmaggiore.«Destinareil55perdellerisorsealMeridioneèsicuramen-positivo,manonsufficientesesiconsideraattualmenteil70percentodeinidipub-siconcentraalNord»,commentaMora-MatorniamoalcomunediCamporosso,ilsindaco-architetto,chesièaggiudica-oltreunmilionedieuroperrealizzarel’asi-dovràpoioccuparsidellagestione.Ilman-costa7.670euroabambino.CosafareGibelli?«Siamounpiccoloco-nonabbiamotuttequellerisorse.Lasaràperforzaprivata».VienedaseigenitoridiCamporossoavrannotascaquei698euroalmeseperpagarsela,rettaalnidoprivato.ForseGibellihafattoilpiùlungodellagamba,realizzandounachenonavràutenti?Disicuroilvici-sindacodiDolceacquaèstatopiùcauto:soloduemilaabitantietantigenitoriorganizzanodiversamente,connidifaidanelleabitazioniprivate.Volendosipotreb-trovareunospazionellanuovascuolamaicostisonoeccessivi,nonsiamantenerlo»,diceFulvioGazzola,propriodifrontealloscogliogestionaledecisodinonpresentarealcunadomanda.Eppurenellafinanziariadiquest’annoèintrodottounappositofondopergaran-lagestionedeinidiachinonraggiungeladel33percentodipostinido:peccatoquestacomunicazionenonsiaarrivataaiDaquest’annoilFondodisolidarietàfinanziapergliasilinidosommefinoa1,1miliardidieuronel2026circacinquemilacomunieassicurache,2027inavanti,cioèquandoinuovinidicostruiti,verrannogarantitealtret-risorseannualiperlagestioneordinarianidi,ovveroperpagareleeducatrici,leipasti.L’assegnazioneèfruttodiuncertosinorealizzatodallaCommissio-TecnicaperiFabbisogniStandardchecal-perciascuncomuned’Italia,ilnumerobambiniconmenoditreanniinrelazione

Economista Ocse, Andrea Garnero, 36 anni, da 20 mesi ha cambiato le sue “policy raccomandation”, ovvero i suggerimenti strategici ai governi. Perché?

«La nascita di mio figlio ha stravolto la mia prospettiva di analisi. Se prima ritenevo sufficiente un asilo nido per garantire buoni livelli occupazionali, oggi mi rendo conto che questa misura non basta». Spenderemo un quinto dei soldi del Pnrr per i nidi, nell’ottica di favorire l’occupazione femminile e migliorare la qualità di vita dei piccoli. Sta dicendo che la strategia non darà i frutti sperati? «Premesso che l’applicazione di quel piano continua ad essere complessa, dico che la creazione dei nidi non risolverà il gender gap e la disoccupazione femminile». Dunque, cosa ha scoperto in questi 20 mesi di paternità? «Che con gli inverni sono lunghi e costellati di malattie di varia natura. Che ci si sveglia la mattina e il bimbo ha la febbre o l’ennesimo virus e al nido non ci può andare. E se i nonni non

COLLOQUIO CON ANDREA GARNERO

GLI ASILI NON BASTANO, FACCIAMO COME IN FRANCIA

Tutti costi che ricadono sulla famiglia.

«E in base ai dati Ocse l’Italia ha il record di spesa per la cura di un figlio a carico: il 27 per cento del reddito famigliare serve ad accudire i piccoli. Contro il 25 della Gran Bretagna, il 20 degli Usa, il 15 della Francia (valore allineato alla media dei paesi Ocse) e il 2 per cento della Germania. I nidi italiani costano troppo rispetto ai redditi medi e questo scoraggia fortemente le famiglie a farvi ricorso. È vero, c’è il bonus nidi, ma copre solo una piccola quota».

«Creare policy a favore delle donne è utile ma non sufficiente. È dal lato maschile che è necessario intervenire. Perché quando un uomo chiede il part time è additato come un fannullone, mentre, se è la donna a chiederlo, allora è una buona madre?

Le babysitter pagate in nero. Un classico. «Esiste il Libretto di famiglia dell’Inps, che ha sostituito i voucher. Non si tratta di una soluzione complessa, ma non è neppure il modo più semplice di gestire una piccola collaborazione».

«Si è provato a mettere una pezza con lo smartworking, ma stare a casa ad occuparsi di qualcuno non è né smart né working. La verità è che da noi il problema ricade interamente sulle spalle delle famiglie (troppo spesso delle madri) che, alla disperata, ricorrono al lavoro nero».

La parità di genere si raggiunge investendo su politiche di conciliazione sia per le donne sia per gli uomini».            G.R. momento della refezione all’asilo nido “Latte e biscotti”

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Ovvero? «All’estero funziona diversamente. In Lussemburgo e in Belgio c’è un sistema di emergenza babysitting. In Francia ci sono gli assistent maternel. A Parigi si organizzano fiere per la piccola infanzia che funzionano da open day per far incontrare domanda e offerta nei quartieri e creare rapporti stabili fra assistenti di cura e famiglie. In generale, al di là delle Alpi c’è un approccio più tollerante verso le malattie dei bambini, accolti anche con qualche linea di febbre, monitorati e tenuti in ambienti dedicati. Insomma il nido offre un servizio al genitore, che ha il problema di dover mantenere il posto di lavoro».

«In media attorno alle 19, ma affronterei la questione da un altro punto di vista. Se in Italia è necessario lavorare h24, come dice la stilista Elisabetta Franchi, allora non è possibile avere una famiglia. Uscire dall’ufficio alle 17 continua ad essere un demerito, mentre nel centro e nord Europa non è accettabile programmare una riunione dopo le 16. In Italia manca un dibattito serio sul time management. È una cosa seria, perché senza quel tempo a disposizione i giovani non possono avere figli».

C’è poi il problema degli orari. In Italia il nido chiude alle 17, quando va bene. All’estero?

stati destinati ai comuni con reali necessità», spiega Morabito. Ad essere escluse, infatti, sono soprattutto le aree interne, le periferie, le zone più soggette a situazioni di disuguaglianza e i comuni che faticano a intavolare una logica di collaborazione con i municipi limitrofi. È il caso del comune di Pigna, nell’entroterra ligure, meno di mille abitanti, dove il sindaco Roberto Trutalli si dice profondamente deluso: «È mancata l’attenzione verso le piccole realtà. Ad esempio, qui da noi si sarebbe potuta realizzare una piccola sezione primavera per i piccolissimi, legata alla scuola materna, ma non abbiamo avuto le risorse per partecipare al bando e non possiamo permetterci i costi di gestione». Trutalli è critico rispetto all’intero Pnrr: «In Italia ci sono centinaia di piccoli comuni come il nostro che non sono minimamente stati presi in considerazione. È mancata totalmente la vodelusionelontàdiascoltarciefraicittadinic’èprofondaversoquestapoliticadaslogan».

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E in Italia?

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sono disponibili, recuperare una babysitter all’ultimo minuto è impresa complessa. Dunque, partendo dall’analisi del bisogno concreto, serve qualcosa in più dell’asilo nido».

Liberare gli orari serali dagli obblighi di lavoro: basta questo a ridurre il gender gap?

4 settembre 2022 39 ai posti nidi oggi disponibili e alla necessità economica del municipio per raggiungere la soglia minima del 33 per cento quando i nidi saranno costruiti. Il capo della Commissione Tecnica è Alberto Zanardi, docente di Scienfabbisognologicaligureèvichedipononidi.comepazioniperònegnita:allazadelleFinanzeall’UniversitàdiBologna,chelucedellagraduatoriadeinidicommen-«Nonc’èunacorrispondenzafraifabbiso-standarddispesacorrenteel’assegnazio-dellerisorsedapartedelPnrr.Ilfondorispondeaunadellemaggioripreoccu-deisindaci,cheèproprioquelladigestirelafuturagestionediqueinuoviLescadenzestringentidelPnrrnonhan-peròfacilitatolacomunicazionepertem-aisingolicomunidellafuturadisponibilitàquesterisorse,ilchepuòaverfrenatoqual-sindacodalpresentareprogettiperinuo-nidi».Inalcunicasilacomunicazionenonproprioarrivata,comenelcasodelcomunediCamporosso.«Seanzichéseguireladelbando avesserousatolatabelladelstandard queifondisarebbero

Prima Pagina

I soggetti coinvolti potrebbero trarne beneficio, attraverso specifici momenti formativi e di apprendimento linguistico, oltre che di adeguata collocazione abitativa.

Riprendiamo il modello Rossi Serve un esercito del lavoro

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Nel 1946 pubblicò un saggio dal titolo evocativo: Abolire la miseria (Casa Editrice La Fiaccola di Milano, poi ripubblicato da Laterza a cura di Paolo Sylos Labini).

4 settembre 2022 41 Prima PaginaL’opinione di FRANCO CORLEONE

Ernesto Rossi, politico ed economista radicale, dopo il confino a Ventotene, dove scrisse con Altiero Spinelli e Eugenio Colorni il famoso Manifesto per l’Europa si dedicò alla costruzione di un programma per la Repubblica.

Ne trarrebbe vantaggio l’economia, l’ambiente, il territorio, la qualità della vita sociale e la sicurezza dei cittadini. Un ulteriore beneficio, forse anche maggiore, sarebbe di ordine morale, civile e culturale. Perché, come scriveva Ernesto Rossi, «il servizio nell’esercito del lavoro farebbe sentire ad ogni individuo in modo immediato i rapporti di solidarietà che lo avvincono agli altri membri del consorzio civile». Una follia? Sarebbe ora.  RIPRODUZIONE RISERVATA

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Da sinistra, Nello Traquandi, Tommaso Ramorino, Carlo Rosselli, Ernesto Rossi, Luigi Emery e Nello Rosselli

ccorre uno sforzo smisurato per non arrendersi a una campagna elettorale senza senso e offrire contributi di riflessione. Non ci si può arrendere a una polemica strumentale sul reddito di cittadinanza che può trovare invece una soluzione attingendo al giacimento di idee preziose che la storia politica ci offre, con carica utopica e concrete suggestioni, e soprattutto con soluzioni credibili e attuali.

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In un vero e proprio programma dettagliato, veniva ipotizzata la costruzione di un «esercito del lavoro». Una proposta fondata su un’etica del lavoro e su un modello non assistenzialista che, per certi versi, si può anche considerare anticipatoria del servizio civile e della possibilità alternativa al servizio militare. Alla base vi era e, pur nelle mutate caratteristiche, vi è una cultura della solidarietà sociale, della cittadinanza attiva e dell’apporto che i singoli, in determinate circostanze, possono e talvolta debbono portare al benessere collettivo, anche in termini di lavoro per la comunità. La proposta e la carica ideale e utopica di Ernesto Rossi possono tornare ad essere una suggestione concreta. Certo da attualizzare, assicurando criteri e diritti, in modo che non rischi di sfociare in una sorta di «lavoro obbligatorio» o di lavoro surrettiziamente gratuito e senza turbare o alterare le normali regole del mercato del lavoro. Derive già presenti in molte forme dei lavori di pubblica utilità. È una sfida per economisti che vogliano cimentarsi su un terreno Perchépragmatico.non applicare la ricetta di Rossi per un Servizio civile del lavoro esteso e mirato ai profughi e ai rifugiati, oltre che ai giovani italiani? È facile intuirne i risvolti positivi: sarebbe più facile l’integrazione sociale e la comprensione umana se a queste persone venisse proposto di partecipare a un esercito del lavoro per compiere interventi di manutenzione ambientale nei boschi, di pulizia delle rive dei fiumi e delle coste del mare. Lavori di ripristino delle zone degradate o abbandonate. Nelle zone montane sarebbe urgente un lavoro massiccio per arginare l’avanzata del bosco, ripulire i sentieri e recuperare terreni per l’agricoltura e i pascoli. Anche riguardo al patrimonio artistico e culturale si potrebbero prevedere interventi di manutenzione e salvaguardia di situazioni degradate o a rischio.

42 4 settembre 2022

Economia e regole

l deputato leghista Claudio Borghi, paladino No euro temporaneamente in sonno, l’ha spiegato a modo suo qualche mese fa. «Secondo voi, se io sono una persona onesta che vuole comprare una collana all’amante che cosa posso fare con il limite degli acquisti in contanti a mille euro?», andava chiedendosi Borghi. Per poi rispondersi a favor di telecamere: «Vado a Lugano e pago cash». Divertente? Non molto, ma la storiella illustra alla perfezione un cavallo di battaglia della destra nostrana. Quasi un’ossessione, un obiettivo irrinunciabile dei tre partiti alleati: Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Già quattro anni fa, nelle prime settimane del governo gialloverde, Matteo Salvini illustrò il suo pensiero con l’enfasi che meriDEL CONTANTE

ISE LA DESTRA VINCE LE ELEZIONI PROMETTE DI INNALZARE IL LIMITE DI USO DEL CASH. COME FA DA ANNI, ALIMENTANDO COSÌ I PAGAMENTI IN NERO DI VITTORIO MALAGUTTI ILLUSTRAZIONE DI GIOVANNI GASTALDI L’OSSESSIONE

4 settembre 2022 43 ta una scelta scolpita nella pietra. «Ognuno è libero di usare i soldi del suo conto corrente come vuole, dove vuole e pagando quello che vuole», disse l’allora ministro degli Interni davanti a una platea di commercianti della Confesercenti. Più chiaro di così. E allora stop a ogni vincolo sul denaro liquido. Carte, di credito, di debito e bonifici bancari? Li usi chi vuole, ma nessun obbligo imposto per Questo,legge.inbreve, il pensiero unico del centrodestra, che giusto sei mesi fa fece fronte comune per togliere di mezzo la norma che dal primo gennaio di quest’anno aveva abbassato da duemila a mille euro la soglia massima per i pagamenti in contanti. Lega e Forza Italia si schierarono contro il governo di cui facevano parte, per appoggiare un emendamento del deputato salviniano Massimo Bitonci votato anche da Fratelli d’Italia. Niente da fare, quindi. Le nuove regole, quelle che dimezzano il tetto massimo gli acquisti cash, entreranno in vigore nel 2023. Non è finita qui: se a fine settembre lo schieramento di centrodestra uscirà vincente dalle urne, pare molto probabile che la riforma verrà rinviata a data destinarsi. Un copione già andato in scena due volte nel recente passato. Nel 2002 e poi ancora nel 2008, Silvio Berlusconi da poco tornato a Palazzo Chigi corresse al rialzo il tetto stabilito dai precedenti governi di centrosinistra. Matteo Renzi fece loGiornalista

MalaguttiVittorio

Prima Pagina

IL GOVERNO DRAGHI HA

Economia e regole stesso nel 2016. E anche tra poche settimane, con la destra di nuovo al potere, basterebbe un decreto legge per fare retromarcia. Tra i punti del programma della coalizione compare infatti anche «l’innalzamento del limite all’uso del denaro contante». Con buona pace dell’Unione Europea, che da tempo invita i Paesi membri a promuovere l’uso degli strumenti di pagamento tracciabili (carte o bonifici) come mezzo di contrasto al riciclaggio e all’evasione fiscale. Risale a luglio dell’anno scorso un pacchetto di proposte della Commissione di Bruxelles che, tra l’altro, fissa a 10 mila euro il massimale per le operazioni in contanti, lasciando la possibilità agli Stati membri di stabilire un tetto più basso. In Grecia, altro Paese come l’Italia dove il nero va alla grande, siamo addirittura a 500 euro, in Spagna e Francia a mille, in Portogallo e Polonia a tremila, mentre altrove, come in Germania, Austria e Olanda, non c’è limite di legge al cash. Anche la Banca d’Italia, in uno studio pubblicato a ottobre dell’anno scorso (titolo: Pecunia Olet), ha segnalato che allargare le maglie nell’uso del denaro contante finisce per alimentare l’economia sommersa, pari, secondo le più recenti stime dell’Istat (2019), a oltre il 10 per cento del Pil nazionale. Uno spazio sterminato, dove prospera l’illegalità e il pagamento delle tasse resta un optional. Questione di opinioni. Secondo Giorgia Meloni, per dire, le norme che favoriscono gli strumenti di pagamento elettronici sarebbero un regalo alle banche, che lucrano su ogni operazione grazie a un complesso sistema di commissioni. A febbraio, quando la maggioranza si spaccò sui nuovi limiti al contante, la leader di Fratelli d’Italia esultò per la vittoria del centrodestra, descrivendola come la «dimostrazione che un’alternativa alla deriva tecnofinanziaria dell’ultimo decennio è possibile». Di recente, Meloni è tornata all’attacco contro la norma, in vigore dal 30 giugno, che stabilisce una sanzione (30 euro, più il 4 per cento del valore della transazione rifiutata) a carico di commercianti, professionisti e artigiani che non accettano pagamenti con carta di credito, di debito (tipo Bancomat) o prepagata. È una svolta importante, almeno sulla carta. L’obbligo del dispositivo Pos (point of sale) era infatti già in vigore dal 2014, ma l’eventuale violazione non era punita a termini di legge. La novità rientra tra le misure previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) varato per accedere ai 191,5 miliardi del recovery fund europeo. Uno dei traguardi intermedi del piano prescriveva - si legge nei documenti ufficiali - l’entrata in vigore entro il secondo trimestre del 2022 di una riforma legislativa che garantisse «sanzioni amministrative efficaci in caso di rifiuto da parte di fornitori privati di accettare pagamenti elettronici».Ilgoverno uscente ha quindi soddisfatto le richieste dell’Europa. In pratica, però, la legge offre molte comode scappatoie per chi non rispetta i nuovi obblighi. Per evitare la sanzione il commerciante potrà sempre appellarsi a problemi di connessione o altri malfunzionamenti del dispositivo. Al cliente, allora, per far valere le sue ragioni non resterà che sporgere denuncia, con relativa perdita di tempo e

44 4 settembre 2022

Sopra: dialll’usoInmercatoelettronicopagamentoinundiBarcellona.Spagnaillimitedelcontanteèmilleeuro

INTRODOTTO SANZIONI PER I COMMERCIANTI CHE RIFIUTANO DI USARE IL POS. MA RESTANO ANCORA MOLTE SCAPPATOIE

Q © RIPRODUZIONE RISERVATA ILLEGALITÀ ll deputato leghista Claudio paladinoBorghi,delNo euro e del eprosperaredeldimostra“Pecuniadell’istitutorecente studioIgnaziodellaSopra:contante.ilgovernatoreBancad’ItaliaVisco.Unintitolatoolet”comel’usocash facciasommersoillegalità ITALIANI A TUTTO CASH (numero

nei principali Paesi della Ue) 0 50 100 150 200 250 300 350

4 settembre 2022 45

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(2)FotoA3Images,GettyviaGarcia/BloombergAngelFoto: denaro. Ecco perché molti esperti dubitano che le sanzioni riescano davvero a scoraggiare i furbetti del Pos. In compenso, la riforma è destinata a portare nuovi ingenti profitti ai grandi gruppi finanziari. Questa la tesi del centrodestra, con cui sono schierate anche le associazioni di categoria dei commercianti. In sostanza, i gestori della moneta elettronica forniscono i loro servizi a negozianti e artigiani, costretti a sopportare oneri aggiuntivi per l’installazione e l’uso dei dispositivi di pagamento. «Basta commissioni», insiste Fratelli d’Italia, che ha lanciato una campagna per i Pos a costo zero. D’altra parte, è difficile immaginare chi dovrebbe farsi carico delle ingenti spese per la gestione dei pagamenti elettronici. Un’attività complessa e molto delicata che viene svolta dalle banche e da altre società di servizi finanziari. Tra queste ultime, il leader di mercato in Italia è Nexi, un’azienda quotata in Borsa con oltre 2 miliardi di giro d’affari nel 2021 che ha come secondo azionista lo Stato italiano con una quota del 17 per cento circa divisa tra Cassa depositi e prestiti (13,5 per cento) e Poste (3,5 per cento).

Le statistiche però confermano anche che l’Italia, pur in forte recupero, resta indietro rispetto alla media europea. Nel nostro Paese, il numero di operazioni pro capite con carte di pagamento è ancora pari alla metà, o anche meno, rispetto a quello registrato in Francia, Olanda o Belgio. In Svezia la diffusione dei Pos è addirittura in calo perché questi dispositivi diventano sempre più spesso obsoleti rispetto a sistemi più innovativi, basati per esempio sugli smartphone. In Italia invece, la destra che punta al governo è pronta a innestare la retromarcia: contante è meglio, parola di Meloni. di operazioni procapite con carte di pagamento nel 2020

Non è facile stabilire con precisione il valore delle commissioni che gravano su ogni singola transazione. La struttura dei costi è complessa e spesso entrano in gioco operatori diversi: le banche, le società di servizi, i circuiti internazionali come Visa o Mastercard, ognuno con un proprio listino. La tendenza generale, però, è a un ribasso degli oneri che gravano sui commercianti, se non altro per effetto della concorrenza tra piattaforme diverse. In genere, il prelievo può essere compreso tra l’1 e il 2 per cento del valore dell’acquisto, a cui, a volte, va ad aggiungersi una fee supplementare di un euro o due. Va detto che di recente, proprio per favorire la diffusione dei pagamenti elettronici in chiave anti evasione fiscale, gli ultimi governi hanno varato alcuni provvedimenti per alleggerire i costi a carico di commercianti e professionisti. Dall’autunno del 2019, con il governo Conte 2, è previsto per legge un credito d’imposta del 30 per cento sulle commissioni legate all’uso e all’installazione dei Pos. Lo sgravio fiscale è stato portato al 100 per cento tra luglio 2021 e 2022, quando è tornato al 30 per cento. Per effetto anche di questi incentivi, e nonostante le proteste dei partiti di destra, negli ultimi anni la moneta elettronica ha guadagnato terreno sul contante. In base ai dati più recenti diffusi dalla Banca d’Italia, nel 2020 l’85,3 per cento delle famiglie possedeva almeno una carta di debito contro il 75,8 per cento registrato nel 2016. Per le carte di credito la quota è passata dal 30 al 36,1 per cento. Nell’arco di un decennio, tra il 2011 e il 2021, il numero dei Pos è aumentato da 1,5 a 4,1 milioni, Nel solo 2021, come segnala Bankitalia, è stato registrato un incremento del 12 per cento dei dispositivi per i pagamenti elettronici, mentre, sempre l’anno scorso, il valore degli acquisti pagati con moneta digitale è cresciuto del 21 per cento in confronto al 2020.

Ambiente / L’involuzione ecologica TRANSIZIONE INDIETRO TUTTA DI SIMONE ALLIVA, ANTONIO FRASCHILLA E CHIARA SGRECCIA PIÙ EMISSIONI DI CO2, CONSUMO DI CARBONE. LA BATTAGLIA CLIMATICA ARRETRA. E NELLA RIDUZIONE DI ENERGIA DA FONTI FOSSILI SIAMO ULTIMI NELLA UE  46 4 settembre 2022

Prima Pagina La centrale termoelettrica dell’Enel a Civitavecchia utilizza il carbone  4 settembre 2022 47

L’Italia, nel primo trimestre, ha registrato un aumento di emissioni di CO2 pari all’8 per cento. A metterlo nero su bianco è l’Enea nell’ultimo dossier sul sistema energetico italiano: «Si tratta di una variazione più che tripla di quella della domanda di energia primaria, dovuta all’aumento del consumo di fonti fossili (più 6,7 per cento), per di più concentrato su carbone e petrolio, più carbon intensive del gas naturale. La ripresa delle emissioni è riconducibile per circa il 40 per cento ai settori trasporti e civile, per la ripresa dei consumi di petrolio nei trasporti dopo i lockdown». Il dato allarmante è un altro: mai come negli

zione ecologica e lotta alla crisi climatica, come si può rispondere alla richiesta fatta sul nostro giornale dai ragazzi di Fridays For Future: «La richiesta principale ai partiti in corsa - e poi al nuovo Parlamento - è che la parola d’ordine epicentro di ogni processo decisionale non sia più “profitto” ma “benessere della collettività”: non può esistere giustizia climatica senza giustizia sociale», ha scritto il portavoce Mathias Mancin.

he fine ha fatto la transizione energetica in Italia? Già, «transizione energetica»: il nome dato a un ministero per segnare la svolta nella lotta al cambiamento climatico; una frase che invece sembra ormai dimenticata. Il risultato è che non solo l’Italia non ha fatto più passi in avanti su questo fronte, ma sta addirittura tornando indietro, con un incremento delle emissioni di CO2 e l’aumento dell’energia da fonti fossili nonostante i costi alle stelle del gas per la crisi Ucraina. Mentre resta escluso dall’agenda dei partiti il grande tema: come conciliare transizione e rispetto dei diritti, il primo quello al lavoro? Il vero spauracchio di aziende e sindacato, le prime che temono gli investimenti necessari, i secondi che temono la perdita di migliaia di posti di lavoro in un Paese che è già in difficoltà sull’occupazione.Dicertoc’èche i dati raccolti da L’Espresso dimostrano che in questo momento l’Italia è il peggior paese dell’Ue in termini di riduzione di energia da fonti fossili, inquinamento, emissioni di gas serra e consumi di suolo. Il 2022 che doveva segnare l’anno del grande passo in avanti per rispettare la tabella di marcia che l’Unione europea si era data con l’accordo “Fit for 55”, segna invece un pericoloso arretramento. E anche un silenzio assoluto da parte della politica che non dice davvero cosa vuol fare e al massimo parla genericamente di «ambiente» come colonna del suo programma e promette soluzioni spesso impraticabili al caro bollette. Proprio per questo abbiamo chiesto anche ad addetti ai lavori e rappresentanti di categorie sociali coinvolti in prima persona dalle scelte in termini di transi-

Ambiente / L’involuzione ecologica

INQUINAMENTO IN CRESCITA

C CRESCE IL CONSUMO DI SUOLO. IN DIECI ANNI ALTRI 50 MILA ETTARI COPERTI DAL CEMENTO, COME SE AVESSIMO OCCUPATO 71 MILA CAMPI DA CALCIO Il 23 settembre sarà il giorno del Global strike dei Fridays, lo sciopero generale per il clima, promosso personecorporationamovimento Fridaysdalforfuture:«Continuiamochiedereaileaderdigovernoedellegrandidimettereleprimadeiprofitti».  IL 23 SCIOPEROSETTEMBREPERILCLIMA 48 4 settembre 2022

Prima Pagina

Chiara Sgreccia Giornalista Antonio Fraschilla Giornalista Simone Alliva Giornalista

ultimi venti anni è cresciuta l’emissione di CO2 da produzione di energia, a causa della riattivazione a pieno regime delle centrali a carbone. Scrive l’Enea: «In controtendenza con il trend degli ultimi anni, nel primo trimestre hanno avuto un balzo le emissioni della “generazione elettrica”, per la quale si stima un incremento tendenziale delle emissioni di oltre il 25 per cento: la variazione tendenziale più marcata dell’ultimo ventennio. Anche nel caso delle emissioni l’aumento registrato in Italia nel primo trimestre 2022 è maggiore di quello dell’insieme dell’Eurozona, dove pure è in forte crescita il carbone». Non sorprende quindi che proprio nella misurazione dell’indice di transizione energetica l’Italia abbia registrato un crollo: «La combinazione dei forti incrementi delle emissioni dell’ultimo anno (per di più in un contesto di obiettivi climatici sempre più ambiziosi) e di prezzi record di tutte le fonti di energia, ha determinato una nuova netta contrazione dell’indice della transizione energetica che nel trimestre si è ridotto del 29 per cento ed è arrivato a collocarsi sul minimo assoluto della serie storica».

GAS SERRA L’Italia, nel primo trimestre del 2022, ha registrato un aumento record di emissioni di Co2. In gran parte per la crescita dei consumi di petrolio raffinato per trasporti e produzione di energia da centrali a l’Enea dell’Eurozonailserra dell’8incrementoilComplessivamentecarbone.Paesesegnaundigaspercento,datopeggioresecondo

Ma ci sono altri dati che dimostrano come il Paese stia correndo, ma in direzione opposta alla lotta al cambiamento climatico. Secondo l’Ispra, negli ultimi dieci anni si è registrata una continua crescita del consumo di suolo nel nostro Paese: le aree sottratte alla natura sono passate dal 6,9 per cento del 2012 al 7,13 per cento del 2022. Significa 50 mila ettari coperti da cemento in più. È come se in dieci anni fossero stati costruiti 71 mila campi da calcio. GOVERNO LUMACA In questo scenario gli ultimi due governi, il giallorosso di Conte e l’esecutivo attualmente in carica di Draghi, avevano promesso un cambio di passo verso la transizione energetica, soprattutto aumentando la produzione di energia da fonti rinnovabili, eolico e fotovoltaico su tutti. Grazie anche all’utilizzo delle risorse messe a disposizione dall’Europa all’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza, dove sono state previste per questa voce investimenti pari a 60 miliardi di euro. Ma dai propositi, allo stato attuale dell’arte, la distanza è enorme. Ad esempio sulla reale capacità di produzioni installate nella nostra rete nazionale da eolico e fotovoltaico: il Gestore dei servizi energetici ad aprile ha messo a gara 3.500 megawatt, alla fine ne sono stati assegnati soltanto 440, poco più del 13 per cento. Mancano le autorizzazioni alla realizzazione degli impianti. Ad oggi il ministero non ha definito le linee guida per l’individuazione delle aree idonee e mancano i regolamenti per realizzare parchi eolici off shore. Inoltre il ministero aveva promesso di individuare prioritariamente tra le aree idonee quelle industriali o ex industriali: in entrambi i casi occorre sbloccare e investire nelle bonifiche, e anche su questo fronte tutto è fermo. Perfino in settori dove si può subito investire

GettyImages/LightRocket-CampoN.48-49:pagineAgf,-AntonelliM.L.46-47:pagineFoto 4 settembre 2022 49

asfalto negli ultimi dieci anni in

calcio 200 Le domande per la realizzazione di

71.000

8% L’aumento complessivo di emissioni di CO2 registrato dall’italia nel primo trimestre del 2022 25% L’aumento di emissioni di CO2 soltanto nella produzione di energia 29% Il calo registrato dall’Italia nell’Indice europeo di transizione energetica 50.000 Gli ettari di terreno coperti da cemento

Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura, chiede regole chiare per «sfatare il mito del rischio per il paesaggio o per l’agricoltura se si installano impianti da fonti rinnovabili»: «Il ritardo accumulato dall’Italia nel percorso di transizione energetica ha pesanti ripercussioni sia sociali che ambientali. L’emergenza energetica e climatica sono le due facce della stessa medaglia. Noi continuiamo a sollecitare la pubblicazione del quadro delle aree del territorio su cui installare i nuovi impianti, le cosiddette aree idonee. La tutela del paesaggio e la crescita delle rinnovabili sono complementari ed è un falso mito quello che vede le rinnovabili sottrarre terreni all’agricoltura o deturpare il paesaggio, a rischio desertificazione se l’Italia e il mondo non ridurranno le emissioni di CO2 proprio attraverso la diffusione di impianti rinnovabili. È fondamentale per la tutela del paesaggio e per la sicurezza del sistema che lo sviluppo della nuova capacità sia rapido e ben governato, attraverso un processo partecipato con lo Stato e le Regioni che parta proprio da una chiara identificazione dei terreni su cui costruire gli impianti. E anche quello occupazionale non è un problema: stimiamo 470 mila nuovi posti di lavoro entro il 2030». Restando sul tema del paesaggio, secondo Franco Arminio, scrittore e paesologo «visto che l’Italia ha bisogno delle energie rinnovabili, dobbiamo abituarci al cambiamento del territorio, ma dando ricchezza a quest’ultimo»: «Quanto è accaduto fino ad ora, ad esempio con il posizionamento degli impianti eolici, è vicino alla truffa. I benefici per i territori non soe Italia, a campi da parchi risposta

perché ci sono le risorse, come quello delle comunità energetiche, mancano i decreti attuativi: così a esempio per i piccoli Comuni restano congelati 2 miliardi di euro del Pnrr. In questo momento sono comunque fermi 200 parchi eolici e migliaia di impianti di fotovoltaico. Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani aveva stimato in 8 Gigawatt all’anno la produzione necessaria da rinnovabili, ne abbiamo installati poco più dello 0,8 nel 2021.

8 I Gigawatt che dovrebbe installare l’Italia da fonti rinnovabili. Nel 2021 ne ha installati 0,8 Ambiente / L’involuzione ecologica 50 4 settembre 2022

eolici attualmente pendenti e in attesa di una

pari

RICETTE PER LA TRANSIZIONE I ritardi dell’Italia sul fronte della transizione ecologica e delle politiche per coniugare lotta ai cambiamenti climatici e diritti sono enormi. Ma come si dovrebbe cambiare rotta? Legambiente con il suo presidente Stefano Ciafani dà una possibile risposta a questa domanda: «Il governo dovrebbe promuovere una giusta transizione in quei territori al centro di vertenze ambientali e occupazionali molto pesanti (come, ad esempio Taranto, Brindisi, il Sulcis, Gela, il Siracusano, Sulcis, Ravenna e la Val d'Agri) o dove sono attive ancora oggi le centrali a carbone da chiudere entro il 2025, senza sostituirle con nuovi impianti termoelettrici a gas. Per la riconversione dell’industria caratterizzata da produzioni e prodotti inquinanti è fondamentale promuovere l’innovazione tecnologica con cicli produttivi che riducano l’uso delle risorse e pratichino esperienze di simbiosi industriale, con la costruzione di impianti della bioeconomia e della chimica verde completamente integrati alle produzioni agroalimentari del territorio, con progetti per la decarbonizzazione degli impianti siderurgici (a partire dall’ex Ilva di Taranto) e della filiera degli idrocarburi attraverso la produzione e l’uso di idrogeno verde, con adeguate misure di accompagnamento al lavoro».

Fotogramma-BiancoLoA.GettyImages,/Corbis-GranatiS.Agf,-AresuG.Foto: no abbastanza e gli interessi delle aziende che realizzano gli impianti prevalgono su quelli dei paesi e della popolazione. C’è una colonizzazione degli spazi da parte delle multinazionali ma non una vera ridistribuzione della ricchezza prodotta. SerTAGLIO ALTO MAURO BIANI

Prima Pagina

virebbe un piano regolatore che definisse le condizioni su cui basare l’installazione degli impianti e affinché le conoscenze dei privati e la salvaguardia dello spazio pubblico lavorino insieme». La transizione riguarda chiaramente anche le fabbriche. A partire da quelle automobilistiche, con il passaggio all’elettrico che rischia di ridurre il numero di occupati attuali nel settore. Come evitare un disastro sociale e occupazionale, rispettando però anche qui una vera transizione ecologica? Risponde Michele Del Palma, segretario generale Fiom: «Da tempo abbiamo affrontato nelle assemblee dei lavoratori la questione. Pensiamo al problema degli stabilimenti dove si producono motori endotermici, in particolare quelli a gasolio. Avevamo individuato il tema della transizione già con un confronto molto duro con Stellantis di Pomigliano d’Arco perché ritenevamo che senza investimenti sul prodotto e quindi prodotti di vettori ecocompatibili, rischiavamo di pagare conseguenze molto ampie rispetto ad altri sistemi industriali come quello tedesco e francese. Se non facciamo transizione corriamo il rischio di chiudere gli stabilimenti e fare comunque un danno occupazionale oltre che industriale». Il vero freno alla transizione ecologica va ricercato, secondo De Palma, nell’immobilismo della politica: «Ho avuto modo di discutere con gli ultimi ministri allo Sviluppo economiI VOLTI In alto il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani. Sotto, Stefano di LegambienteCiafani

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COLLOQUIO CON SALLY HAYDEN DI SABINA MINARDI

La rivista scientifica Pnas, della United States National Academy of Sciences, lo ha messo in chiaro già da tempo: per ogni grado di temperatura in più, un miliardo di persone si troverà a vivere in condizioni insostenibili. Un Paese come la Somalia, colpito da una terribile siccità, sintetizza in modo potente la relazione tra crisi climatica e costi umani. Lo sa bene Sally Hayden, giornalista e fotografa irlandese, firma di apprezzati reportage, dall’Africa specialmente, per testate come Washington Post, The Guardian e Al Jazeera, e autrice di saggi come “My Fourth Time, We Drowned”, vincitore dell’Orwell Prize for Political Writing (4th Estate, HarperCollins, non ancora tradotto in italiano). Esperta di migrazioni, Hayden denuncia i diritti umani messi alla prova da guerre ed emergenze climatiche. Temi di cui parlerà a Modena, in occasione del DIG Festival, il festival internazionale di giornalismo investigativo, dal 22 al 25 settembre (https://dig-awards. org), in un appuntamento intitolato: “Unhuman trafficking. Lives in the waterline” (24 settembre, 11,30-13, Complesso San Carlo).

Inondazioni, incendi, fenomeni estremi stanno determinando nuovi nomadismi, anche da luoghi non tradizionalmente coinvolti nelle rotte migratorie. Dove ha registrato le fragilità più preoccupanti? «Ho da poco raccontato quanto sta avvenendo in Somalia: il Paese sta affrontando una siccità da record, che si ritiene correlata al cambiamento climatico. Sembra che più 7 milioni di persone abbiano urgente bisogno di assistenza alimentare. Ci si aspetta che a breve sia dichiarata la condizione di carestia». Un’urgenza che si innesta su un Paese piegato dalla guerra. «A causa del conflitto e delle insurrezioni in corso le agenzie umanitarie possono lavorare solo in certi territori. Dall’inizio della siccità, più di un milione di persone ha abbandonato la propria casa in cerca di aiuto. Moltissimi sopravvivevano grazie alla pastorizia, ma ora tutti gli animali sono morti. Alla periferia di un campo per sfollati a Dolow, nel sud-ovest della Somalia, ho visto dozzine di carcasse di capre sparse sulla sabbia e mi è stato spiegato che erano morte di sete e di fame. C’erano anche due cammelli, debolissimi ma vivi: il

SOMALIA, I COSTI UMANI DELLA SICCITÀ

©RIPRODUZIONE

PROGETTI BLOCCATI E FONDI INUTILIZZATI. I “MIGLIAIAPERDELL’INDUSTRIALAVORATORIPREMONOLARICONVERSIONE:DIPOSTIARISCHIO” 52 4 settembre 2022

Ambiente / L’involuzione ecologica

co, Giancarlo Giorgetti e Carlo Calenda, e penso che questa classe dirigente abbia perso l’idea della programmazione industriale. Ma ci rendiamo conto che non abbiamo neanche un sistema integrato nel Paese che consenta la ricarica delle auto elettriche? E che con il prezzo attuale è impossibile per un lavoratore dipendente con lo stipendio di Mirafiori acquistare un’auto elettrica?». Nelle fabbriche il problema della transizione e del rispetto dei lavoratori, e della loro salute, è molto discusso come racconta Matteo Moretti, del collettivo di Fabbrica Gkn di Campi Bisenzio a Firenze: «Tra le discussioni che portiamo avanti c’è la battaglia climatica che è guidata dallo stesso principio della lotta di classe: una battaglia contro i padroni che decidono cosa e dove produrre. Sembra singolare che una fabbrica si preoccupi dell’ambiente ma non è una novità. Basta pensare alla battaglia portata avanti dai lavoratori dell’Ilva di Taranto. O quello che è successo con l’amianto: sono stati gli operai a individuare la sua pericolosità e a impegnarsi affinché venisse riconosciuta, protestando e facendo esperimenti. Grazie alla convergenza con le altre lotte siamo stati in grado di elaborare un piano pubblico per la mobilità sostenibile: noi lavoratori insieme a ricercatori abbiamo ridisegnato il futuro dello stabilimento, anche per riposizionare Gkn nel settore dell'energia rinnovabile, con la produzione, ad esempio, di impianti fotovoltaici. Così da trasformare una crisi in una opportunità per abbracciare la transizione verde, in un settore ad alta innovazione. E garantendo la stabilità occupazionale».  Gli operai sono già più avanti di buona parte della politica che ci governa. Q RISERVATA

Prima Pagina HaydenSallyFoto: 4

«I miei servizi si concentrano sugli effetti dannosi dell'Unione europea e della politica migratoria italiana nel cercare di fermare le persone che attraversano il Mediterraneo. Il mio nuovo libro esamina cosa è successo a molti degli oltre 100 mila uomini, donne e bambini intercettati mentre cercavano di raggiungere l'Europa dalla guardia costiera libica sostenuta dall'Ue e spesso rinchiusi a tempo indeterminato nei centri di detenzione che papa Francesco ha definito campi di concentramento. Luoghi dove sono soggetti ad abusi, torture, omicidi, stupri. L'Unione europea continua a spendere miliardi in Africa nel tentativo di fermare l’emigrazione, ma non c'è una supervisione di queste spese, e i miei resoconti mostrano che una parte di questi soldi sta sostenendo milizie o dittature che aumentano oppressione e disuguaglianza, accrescendo le ragioni per le quali le persone vogliono fuggire. Le voci di persone intrappolate in situazioni contro l’umanità sono messe a tacere. Dobbiamo iniziare ad ascoltarle».

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Un’immagine della Somalia, dal libro di Sally Hayden “My Fourth Time, We Drowned”. A destra: la giornalista settembre 2022

resto della mandria era morto di sete. Le persone ancora in vita non hanno niente da mangiare o da bere. A volte bevono acqua fangosa dal letto di un fiume vicino e chiedono cibo a chiunque. Molti mi hanno detto che i loro figli o coniugi sono morti andando verso i campi, ma nessuno ufficialmente li ha contati. Le condizioni meteorologiche sono sempre più irregolari in gran parte dell'Africa, il che ha un impatto diretto sui mezzi di sussistenza in quanto colpisce i raccolti, l'agricoltura, ma anche altre attività: pensiamo alla produzione di mattoni nelle stagioni secche». Con milioni di persone al di sotto della sicurezza alimentare, la situazione in Somalia è catastrofica. Secondo le Nazioni Unite quasi un milione e mezzo di bambini dovrà affrontare una malnutrizione acuta. Lei osserva e racconta. Ci sono dati e fonti ufficiali sui quali si basa, per mettere in collegamento migrazioni e cambiamenti climatici? «Le mie cronache non si sono focalizzate sul cambiamento climatico, ma sulla popolazione: in Somalia ho visto centinaia di persone presentarsi ogni giorno nei campi profughi, costrette a lasciare le loro abitazioni. Più di un milione di persone sono state sfollate nella zona da me visitata dall'inizio dell'ultima siccità. Molti mi hanno raccontato che tutto il bestiame era morto e che non possedevano nulla. Nelle varie città, ho parlato con somali che mi hanno riferito di un aumento delle persone che vanno in “Tahriib”: il termine con il quale indicano il viaggio in Europa. Ho letto i rapporti dell'Ipcc sull'Africa, e conosco le previsioni che dicono che per ogni grado di temperatura della Terra in più ci sarà un miliardo di sfollati. Ciò che mi interessa sono gli abusi ai confini dell'Europa contro chi tenta di attraversarli». Favorire le migrazioni per aiutare i Paesi in difficoltà, ha scritto. Può spiegare meglio? «Sono una giornalista, non tocca a me proporre soluzioni politiche. Tuttavia, in base a quanto ho visto in Somalia, l’aiuto più efficace è il denaro inviato direttamente dalla diaspora: da parenti o da somali generosi, che risiedono in Paesi occidentali e guadagnano abbastanza soldi da poterne rimandare a casa. Le organizzazioni internazionali sciupano denaro per le spese generali e, per ragioni di sicurezza del personale, non riescono a raggiungere aree in cui le persone soffrono. Mentre ero in Somalia, non ho visto alcuna organizzazione internazionale distribuire cibo, anche se migliaia di persone stavano morendo di fame, mentre il denaro inviato attraverso le rimesse era concretamente utilizzato dalle imprese locali per cibo e pacchi di cura agli sfollati. Per questo ho iniziato a pensare che consentire la migrazione possa essere una forma pratica per aiutare le persone colpite dai cambiamenti climatici». Il tema è politico. Ma davanti alla previsione di gigantesche perdite umane, possiamo fare qualcosa?

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PER UNA SCOSSA ENERGETICA ALL’ECONOMIA io padre era un agricoltore. I contadini sono conservatori in termini di attenzione e cura della terra, si assicurano che sia ben preservata. Perché oggi un partito conservatore, appunto, sia contrario a fare qualcosa per l’ambiente per me è incomprensibile. Il cambiamento climatico potrebbe essere la questione più importante che l’umanità abbia mai affrontato». Il professor Donald Wuebbles, uno dei massimi esperti americani in materia di clima, non si capacita. Gli sembra assurdo che l’Inflation reduction act, firmato da Joe Biden lo scorso 16 agosto, sia passato senza neppure un voto repubblicano, non al Senato e nemmeno alla Camera. Il più grande balzo in avanti sul clima mai fatto dagli Usa – un pacchetto da 750 miliardi di dollari – è dunque un successo personale per il presidente Biden la cui popolarità, dopo aver raschiato i minimi storici, sembra recuperare terreno toccando il 44 per cento. Lo è anche per il partito democratico, in vista dell’appuntamento alle urne del prossimo novembre con le elezioni di metà mandato. «C’è chi si oppone a qualsiasi tipo di investimento in questa direzione, eppure si tratta di interventi essenziali per trasformare il sistema energetico e di trasporto. Non solo qui, ma in tutto il mondo», dice Wuebbles. Nel 2007 vinse il Premio Nobel per la pace con i colleghi dell’Intergovernmental panel MANUELA CAVALIERI E DONATELLA MULVONI

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54 4 settembre 2022 Ambiente / Le scelte degli Usa il reductionfirmaCasaJoedeglipresidenteStatiUnitiBiden allaBiancal'Inflationact

LA STERZATA

L’INFLATION REDUCTION ACT METTE SUL PIATTO 350 MILIARDI DI INCENTIVI.

on climate change, il comitato intergovernativo internazionale dell’Onu per i cambiamenti climatici (quell’anno il riconoscimento fu condiviso anche con Al Gore, ex vicepresidente e profeta del movimento ecologista americano). «La situazione è già critica, ma le conseguenze saranno molto più gravi se non prendiamo davvero sul serio la questione. In questo senso, l’Inflation reduction act è un avanzamento significativo», spiega l’esperto, oggi in forze presso l’università dell’Illinois.Ilpianocomplessivo punta a ricalibrare l’industria energetica, ma anche ad offrire all’americano medio alternative ai combustibili fossili. La Casa Bianca assicura che la misura sarà in grado di affrontare di petto l’inflazione indirizzando l’economia verso politiche energetiche più sostenibili. Un macro programma che interviene anche nel campo dell’assistenza sanitaria, limitando i costi per le fasce a reddito medio-basso. Prevista inoltre un’aliquota fiscale del 15 per cento per le compagnie con profitti superiori a un miliardo di dollari annuale. Il messaggio dei democratici alla classe media è chiaro: i soldi verranno dalle tasche di paperoni e corporation, non da quelle dei lavoratori. «Tutte cose che avremmo dovuto fare prima, ma sono comunque soddisfatto. Sostengo da anni politiche di questo tipo», aggiunge Wuebbles. Un passo deciso, forte dei 370 miliardi indirizzati specificamente a combattere il cambiamento climatico. L’obiettivo è quello di ridurre del 40 per cento entro il 2030 (rispetto al 2005) le emissioni di gas serra. Nonostante all’inizio della presidenza, Biden si fosse impegnato a ridurre le emissioni tra il 50 e il 52 per cento per poi arrivare a zero entro il 2050, si tratta di un’inver-

MulvoniDonatella Giornalista CavalieriManuela Giornalista

4 settembre 2022 55 ImagesGettyFoto: Prima Pagina

ERDE DI BIDEN

sione decisa di marcia se si considera che la previsione attuale si ferma intorno al 25 per cento. Punto focale, le agevolazioni fiscali per i consumatori che scelgano l’energia verde: generosi crediti di imposta e incentivi a chi acquista un veicolo elettrico, ma anche a chi produce e a chi consuma energie rinnovabili come quelle solari, eoliche e Unanucleari.versione indubbiamente stemperata del rivoluzionario Green new deal sognato dalla sinistra del partito, protestano gli ambientalisti. E più modesto dell’ambizioso Build back better proposto da Biden appena messo piede nello studio ovale. «Certo, vorremmo politiche ancora più forti, che includano ad esempio una carbon tax o altri mezzi per compiere la transizione più rapidamente, ma dovremmo celebrare quello che abbiamo piuttosto che lamentarci di quello che avremmo voluto», taglia a corto Wuebbles, che ha lavorato con Barack Obama come vicedirettore dell’Ufficio per le politiche scientifiche e tecnologiche. In quegli anni, osserva, si tentò di lavorare ad una simile legislazione, ma senza successo. Secondo le stime della Casa Bianca, l’Inflation reduction act potrebbe ridurre i costi sociali del cambiamento climatico fino a 1.900 miliardi di dollari entro il 2050. «Se si considerano gli ultimi anni, l’impatto sull’economia statunitense dei cambiamenti climatici e dell’aumento dell’intensità dei fenomeni atmosferici è compreso tra i 150 e i 200 miliardi di dollari. Non ci vorrà molto per risparmiare mille miliardi». Interessante, ora, vedere come il piano verde verrà attuato. «Penso che sarà piuttosto semplice, per via delle agevolazioni fiscali. Negli ultimi tempi, molta gente ha già iniziato a installare impianti solari in casa (io ne ho uno, ad esempio), ma anche le città. Ne vedremo tanti di più». Dei temi in ballo, in casa democratica si parlava da tempo. La legge è stata in incubazione per oltre un anno. Al Senato è passata 51 a 50, con il voto favorevole di tutti i democratici e quello decisivo della vicepresidente Kamala Harris. Dopo trattative sfiancanti, alla fine anche il senatore centrista Joe Manchin si è allineato alla traccia del suo partito, trovato l’accordo con il capogruppo Chuck Schumer. Alla Camera, dove i dem mantengono una solida maggioranza, ha avuto vita più facile con 220 favorevoli e 207 contrari. Nessun repubblicano a favore. Nonostante

56 4 settembre 2022 Prima Pagina Ambiente / Le scelte degli Usa

l’assertività del nome, il partito dell’elefante è convinto che l’Inflation reduction act non solo non rispecchi i bisogni reali del Paese, ma gioverà poco o niente all’economia. Per James Stock, professore di economia e responsabile del comparto clima e sostenibilità di Harvard, il problema è squisitamente politico. «Abbiamo un sistema a due partiti completamente disastrato. Se il voto fosse stato segreto, la normativa sarebbe passata con un sostegno più consistente. Ma i repubblicani non potevano fare altrimenti per ragioni politiche. Ha a che fare puramente con le divisioni del Paese e l’eredità di Trump». Un lascito inconsistente, almeno in tema di ambiente. «Peggio di zero, perché ha politicizzato queste questioni. È diventato semplicemente un altro problema su cui i repubblicani non possono scendere a compromessi», sentenzia Stock, che ha alle spalle un’esperienza alla Casa Bianca come membro del gruppo dei consiglieri economici del presidente Obama. Per l’economista, l’Inflation reduction act ha tutte le carte in regola per giocare un ruolo decisivo nella prossima tornata elettorale. «Produrrà un abbassamento dei prezzi dell’elettricità; tutte le stime, francamente, indicano che ridurrà l’inflazione; produrrà un abbassamento dei prezzi dell’elettricità, ma soprattutto farà davvero qualcosa di significativo per il clima», sostiene. «Sarà più economico costruire impianti eolici e solari, che a gas naturale e ancor meno a carbone. Per la prima volta nella storia, ci troviamo in una situazione in cui è possibile immaginare di decarbonizzare il settore dell’energia elettrica e di risparmiare denaro. Siamo in grado di fare politica climatica senza che costi una fortuna». Il piano, spiega, stimolerà lo sviluppo di nuovi mercati e tecnologie, generando posti di lavoro e favorendo la produttività. «Un esempio: c’è un buon sussidio per le pompe di calore. In passato ho cercato di metterne una a casa mia, ma la ditta che avrebbe dovuto istallarla non sapeva nemmeno cosa fosse. C’è un enorme mercato potenziale, questa legge farà scendere i prezzi e insegnerà alla gente come usare le fonti alternative». Basterà a convincere gli elettori in autunno? Stock è cauto. «L’ambiente politico è fortemente polarizzato, le persone non ascoltano le stesse fonti di notizie. Vedremo cosa succederà a novembre».

climaticiperinternazionaleintergovernativochange,paneldell’IntergovernmentalpacePremio2007dell’Illinois. docenteWuebbles,all’universitàNelvinseilNobelperlaconicolleghionclimateilcomitatodell’Onuicambiamenti

PREMIO NOBEL Donald

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58 4 settembre 2022 I luoghi dei giovani

MOVIDA: LE NOTT

Genova ha vinto la linea dura: in tutta la città, da quest’estate, è vietato passeggiare con una birra in mano dopo mezzanotte. Si può bere solo nei locali o nei dehors, per chi sgarra 500 euro di multa. Nel centro di Trieste la musica va spenta alle 22,30 in settimana e alle 23,30 nei weekend, salvo deroghe, mentre l’alcol d’asporto è illegale dalle 22; a Cervia e Milano Marittima, nella riviera romagnola, addirittura dalle 21. In centro a Lecce basta musica alle 24, in molte località del Salento stop ad alcol e balli alle 2 di notte, e pazienza se sono il succo dell’estate. Tra raccolte firme a Napoli, lettere appello a Messina ed esposti a Palermo, il nemico è sempre lo stesso: la movida. Nella prima estate di pandemia senza limitazioni, l’intera penisola è infatti attraversata da proteste contro il ritorno della vita serale e notturna. «Non ne possiamo più di ubriachi, risse, spaccio, urla», protesta Dina Nascetti del Comitato vivere Trastevere, che sta preparando un class action contro il Comune di Roma: la guerra dell’amministrazione ai minimarket e la promessa di istituire un sindaco della notte non è bastata a calmare gli abitanti. Stesso discorso a Milano, dove un comitato ha chiesto i danni all’amministrazione ispirandosi al successo di iniziative simili a Torino e Brescia. E

A

pensare che quando negli anni ’90 il termine «movida» è entrato nella lingua italiana - ispirandosi al movimento della movida madrileña, nato dopo la caduta del regime franchista – indicava situazioni divertenti e animate. Oggi non è più così, o almeno non solo. A parte città come Trento, Bologna e la stessa Roma che hanno inserito l’economia della notte nell’agenda politica, a monopolizzare i discorsi sono soprattutto le polemiche e i conflitti: da una parte la voglia di divertirsi e fare commercio, dall’altra l’esigenza di riposare per chi abita intorno i locali. TUTTI SCONTENTI «Nella prima fase di pandemia la situazione si era tranquillizzata», spiega Simonetta Chierici, paladina degli antimovida torinesi e fondatrice del “Coordinamento nazionale No degrado e mala movida”. «Ma negli ultimi mesi c’è stata un’escalation pazzesca». Gli spazi all’aperto dei locali si sono infatti moltiplicati ovunque, e a Torino poco è servito il divieto di alcol d’asporto dopo le 21 nei quartieri più movimentati. Anche nel centro storico di Genova - dove il divieto in vigore da un anno dopo le 24 è stato esteso in tutta la città - le proteste dei residenti non si sono mai fermate. Anzi, i limiti

FOLLA, RUMORE, RISSE. E DIVIETI. NELL’ESTATE POST-LOCKDOWN STRETTA SU ORARI, ALCOL E MUSICA. MA I LOCALI RIVITALIZZANO IL CENTRO. E LE CITTÀ ESCOGITANO NUOVE FORMULE DI MASSIMILIANO SALVO SalvoMassimiliano Giornalista

4 settembre 2022 59 Prima Pagina I diilcheovveroMurazzi,learcatecosteggianoPonelcentroTorino TI POCO MAGICHE

60 4 settembre 2022 hanno creato malumori pure tra commercianti e frequentatori della movida. «Quello che accade dopo le 24 ormai è un tabù», protesta Lorenzo Azzolini di “Genova dopo che osa”, associazione che ha portato in piazza centinaia di giovani a favore della vita notturna. «Si consente solo il consumo in chiave commerciale, con una visione superata della città». «Prima di pensare alla repressione bisogna chiedersi quali sono le alternative», attacca Fabio Parodi, 31 anni, barista della Negroneria genovese e vicepresidente della rete Contatto Genova. «Dopo la pandemia, i club notturni sono scomparsi e i piccoli eventi culturali pure. Noi gestori teniamo vivo il centro storico e siamo accusati di portare degrado». Fa un discorso simile Paolo Sassi, titolare del Leccomilano a Milano, locale simbolo della movida di Porta Venezia e protagonista del Milano rainbow district. «Gli abitanti ci odiano, ma si dimenticano che grazie alla movida i loro appartamenti hanno raggiunto un valore di 8mila euro al metro quadro».

AnodistrictMilano,ripensarecondivisaterno,deidosuicinoassicura.noninfattiTaminidipazionelocali,commercianti,coto.«EèpacitàdiUrbanisticaalPolitecnicodiMilano,laca-dellamovidadirigenerareiquartieriindubbia,comequelladicreareconflitti.infattinonbastanoleordinanzedidivie-Serveuninterventointegrato,trapubbli-eprivato»,spiega.«Bisognacoinvolgereabitantiefrequentatorideiparlaredimobilità,acustica,occu-dellospaziopubblico».Trattandosiunfenomenospontaneoperilprofessorlamovidaèdifficiledapianificare,enonèsemplicespostarlainareedovepossadarefastidio.«Masipuògestire»,«Sappiamocheidehorsproduco-unterzodirumorerispettoaitavolini.Esonostrumentipermigliorarel’impattoquartieri:fonometricheavvisanoquan-c’ètropporumore,laclimatizzazionelocaliperfavorirelapermanenzaall’in-lapresenzadisteward,unagestionedeirifiuti,l’unionetralocaliperlospaziopubblico».Sperimentazionicosìsonogiàincorsoadovei17localidelMilanorainbowsisonodotatidisteward,maesisto-anchestrategiedi“riduzionedeldanno”.TorinoilprogettoPindell’Aslprevedeun

L’OBIETTIVO È EVITARE CHE LA SOCIALITÀ SERALE SI CONCENTRI IN AREE RISTRETTE. A TRENTO SI USA UN PARCO. REGOLE CONDIVISE A BOLOGNA I Navigli, fulcro della movida milanese I luoghi dei giovani

L’URBANISTA:“REGOLE CONDIVISE”  Secondo il professor Luca Tamini, docente

4 settembre 2022 61

“VENT’ANNI DI STRETTA” Il sociologo Enrico Petrilli, assegnista di ricerca alla Bicocca di Milano, autore di “Notti tossiche” (Meltemi, 2020), si spinge oltre: le tensioni legate alla movida sono anche l’effetto delle politiche di securitizzazione della notte. «La distruzione della vita notturna è frutto di vent’anni di attacchi verso questo genere di locali e di chi li frequenta», spiega. Petrilli individua i germogli della movida odierna con la reazione repressiva Uno dei luoghi della movida romana, in centro

verso le stragi del sabato sera: dall’inizio degli anni Duemila lo Stato ha infatti emanato leggi restrittive sulla guida in stato di ebbrezza - utili come deterrente - senza però prevedere una mobilità alternativa in orario notturno. «E così la vita notturna si è concentrata nel luogo più facile da raggiungere: il centro». Ma mentre la socialità serale da movida si basa «sul consumo di alcol e cibo, in spazi ristretti che danno problemi di ordine pubblico», la socialità notturna comprende anche cultura, musica live e performance di artisti. Ed è per questo che in una economia della notte che va dalle 18 alle 6, secondo Petrilli, bisogna supportare l’offerta di club e discoteche nella fascia dalle 24 alle 6, perché aiutano a far «abbassare la pressione» nei quartieri della movida.

Agf/FotiaF.Fotogramma,/M.Alberico60-61:PagineD’Ottavio.M.58-59:PAgine Prima Pagina

IL SINDACO DELLA NOTTE Questi temi entrano nell’agenda politica in casi rari. A Roma la nomina del sindaco della notte sembra imminente, a Trento esiste già da un anno: è la 25enne consigliera comunale Giulia Casonato. «Lavoro con i locali e la comunità studentesca. Insieme abbiamo creato una nuova movida all’interno di un parco, in modo da non dare fastidio ai residenti», racconta.Mostrainteresseal tema anche la vicesindaca di Bologna Emily Clancy, 31 anni, che studia le città attive 24 ore con un’economia della notte molto sviluppata, come New York, Amsterdam o Londra, e le confronta con quelle ancorate a una vita di 18 ore, con un buco di attività tra le 24 e le 6. «Una città delle dimensioni di Bologna, europea e universitaria, deve mescolare i due modelli», spiega. In autunno, Bologna comincerà un percorso partecipato con i protagonisti della vita notturna (dai commercianti ai residenti, dalle forze dell’ordine alle attività culturali), per arrivare a un “Piano sulla notte” che individui la figura che se ne occupi. Potrebbe essere un delegato del sindaco, una figura del mondo della cultura, oppure una consulta. «Davanti ad attività notturne in gran parte a gestione privata, le amministrazioni devono cercare un bilanciamento degli interessi in gioco», spiega Clancy. «Il conflitto è presente, perché sinora i problemi della notte sono stati messi sotto il tappeto. Ma finché una politica non è impostata, è difficile regolarla». Q RIPRODUZIONE RISERVATA camper nelle piazze per misurare il tasso alcolemico, fornire acqua e informazioni su alcol, droghe e sesso, oltre a organizzare spettacoli di artisti per sensibilizzare. A Firenze esiste una “chill out”, ovvero uno “spazio di decompressione” dove rilassarsi e ricevere aiuto in un momento di difficoltà dopo l’uso di alcol e droghe. A Napoli l’Università Federico II e il Comune hanno sperimentato incontri notturni con un team di psicologi. «Molti minorenni stanno scoprendo una socialità deformata dal Covid-19 e dalla comunicazione digitale», spiega la professoressa Maria Clelia Zurlo, docente di Psicologia Dinamica all’Università Federico II. «E tutto questo senza mediatori culturali come il cinema, il teatro, i concerti. La movida è diventata un fenomeno di massa, estremo, è facile che degeneri. Bisogna evitare che migliaia di ragazzi si incontrino solo per bere».

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ALLARME ABBANDONI

DOGLAND RESIDENTI, I DATI MA È

uesto è un Paese per cani. Anzi si può affermare, senza correre il rischio di offendere qualcuno, che l’Italia è un Paese di cani. E anche di gatti. La banca dati dell’anagrafe animali da affezione del ministero della Salute ne conta ufficialmente quasi 13 milioni e mezzo, vale a dire un cane ogni 4,4 umani residenti. Già così non è poco, ma alcune stime autorevoli indicano proporzioni ancor più considerevoli: secondo il decimo rapporto “Animali di città” di Legambiente, per esempio, i cani in Italia sarebbero tra i 19,8 milioni e i 29,8 milioni, cioè 2 o 3 per ogni residente; l’Eurispes conferma e calcola che il 44,7 per cento degli italiani ha almeno un cane in casa; Altroconsumo accredita un’indagine secondo la quale tra cani, gatti e compagnia gli animali da affezione nelle no-

UFFICIALI. PIÙ DEL DOPPIO, LE STIME. COLPA DI UN’ANAGRAFE DISOMOGENEA. IL PET FOOD VOLA

PAESE DI CANI

DI ROBERTO

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OrlandoRoberto Giornalista ORLANDO

DICONO

UN FIDO OGNI 4

POST COVID E PER EFFETTO DELLA CRISI stre case sarebbero 62 milioni, cioè più della popolazione del Paese che si attesta quota 59,5Insommamilioni.i numeri sono una gran cagnara, tanto per restare in tema. Il problema sta nel meccanismo di raccolta dei dati, che fa capo alle Regioni, che a loro volta li inviano, più o meno aggiornati ogni mese, al ministero della Salute. Il quale nel suo sito web pubblica una mappa che comprende i cani, i gatti e, chissà perché, i furetti: niente pesci e rettili, pappagalli e canarini, conigli e criceti. «Le stime del nostro rapporto si basano sui numeri forniti dalle amministrazioni comunali o regionali e poi sull’osservazione del trend negli ultimi dieci anni. Abbiamo notato in particolare una grande dispa-

GIUNGLA DI CIFRE

64 4 settembre 2022 Animali d’affezione

cessori e prodotti per l’igiene degli animali. E, scavando dietro queste cifre, si trovano storie straordinarie. Storie di paese, soprattutto. Come quella di Baldassarre Monge, che del pet food italiano è di fatto l’inventore: la sua famiglia cominciò negli anni Sessanta a produrre alimenti per cani e gatti, utilizzando gli avanzi della macellazione dei polli che allevava. La storia dell’azienda, tuttora familiare, che ha sede a Monasterolo di Savigliano, in provincia di Cuneo, è ancora più simbolica se si pensa che, prima della linea di prodotti per gli animali, Monge ne aveva avviata una di omogeneizzati per i bambini. Una bella intuizione negli anni del baby boom, ma ancora più lungimirante appare ora quella del pet food. I bimbi fino a tre anni nel 2020 erano circa un milione e mezzo e muovevano un mercato alimentare di 548 milioni (fonte Il Sole 24 Ore), mentre cani e gatti erano già intorno ai 40 milioni.

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Un cane si riposa dopo una all’idroscalocorsadiMilano

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rità tra le diverse amministrazioni e laddove la gestione dell’anagrafe è più scrupolosa, come in Emilia Romagna e in Friuli Venezia Giulia, dove viene gestita direttamente dai comuni, il numero delle registrazioni è spesso più prossimo al rapporto di un cane per ogni abitante», spiega Antonino Morabito, curatore di “Animali di città” edizione 2022. È un indicatore, non un valore assoluto. Però, chiarisce Morabito, lascia ipotizzare a ragion veduta che in Italia vivano almeno 20 milioni di cani e altrettanti gatti. Per i quali, tra l’altro, l’iscrizione all’anagrafe è obbligatoria soltanto in Lombardia. Ma se i numeri ufficiali disponibili e quelli stimati non vanno d’accordo, il discorso cambia se si guarda all’andamento del mercato dei prodotti per gli animali di casa: il mercato del pet food italiano fattura circa 2,4 miliardi di euro (nel 2007 era la metà), cui va aggiunto un altro miliardo scarso tra ac-

Contrasto/VenturiRiccardoFoto:

66 4 settembre 2022 d’affezione Ed è puntando tutto su di loro che Monge nel 2021, secondo la speciale classifica delle aziende produttrici compilata ogni anno dalla rivista americana Petfood Industry, ha fatturato 385 milioni di dollari collocandosi al 22° posto nel mondo. Ma forse fa ancora più effetto sapere che - non per amore di calembour o per uno scherzo del destino - l’azienda leader nella produzione di alimenti per cani si sia insediata a Piazzetta Cuccia, con una quota superiore all’1 per cento nel capitale di Mediobanca. Un’altra storia di successo è quella di Arcaplanet, fondata nel 1995 dall’ex pasticcere Michele Foppiani a Carasco, in Val Fontanabuona, provincia di Genova. Una volta aperto il primo negozio a Chiavari, l’azienda è cresciuta fino a diventare la prima catena italiana di supermarket di prodotti per gli animali: duemila dipendenti, 390 store in 17 regioni. Nel 2021 il giro d’affari è stato di circa 400 milioni. Ora fa capo al gruppo finanziario Cinven. Foppiani era l’ad fino all’aprile scorso, poi ha lasciato l’azienda. Sbaglia però chi pensa che si tratti soltanto di business, perché a fronte di queste performance straordinarie, ci hanno guadagnato pure gli animali: «L’industria oggi garantisce mangimi bilanciati, di alta qualità. I cani vivono più a lungo e in salute. E poi ci sono vantaggi anche per chi ha tanti animali da accudire: prima preparare le pappe era un vero e proprio lavoro a sé. Ora basta aprire un sacchetto», spiega Maurizio Sodini, allevatore genovese di bracchi italiani, tra cui molti campioni mondiali. Se i numeri dell’anagrafe sono un po’ ballerini, i costi pubblici per i servizi dedicati a cani e gatti sono una certezza: quasi 193 milioni di spese per Comuni e Asl. E se i costi possono variare anche sensibilmente da una zona all’altra del Paese, l’amore per cani e gatti è equamente distribuito al Nord, al Centro e al Sud, come risulta dal rapporto di LaLegambiente.differenza più rilevante riguarda invece i canili. Se sono sempre meno le strutture-lager che nel Sud accolgono fino a 1000-1.500 animali (molte sono state chiuse dalla magistratura), resistono i rifugi spesso gestiti da privati in grado comunque di ospitare fino a 800 cani. Ma va decisamente peggio con i canili sanitari: sono previsti per legge, ma al Sud non esistono o esistono solo formalmente.

LEVRIERI ADOTTATI NEL NORDEST

PROTESTE ANTI-CINODROMO

DI

Animali

Quando arriva la sera, Hope sale in macchina: nel senso che si arrampica sul tetto di un’automobile nella villa del Trevigiano in cui abita, e lì aspetta il ritorno a casa di quelli che ormai sono parte della sua tribù. Faceva qualcosa di simile, forse, nella sua vita precedente: allora però scalava una duna per l’avvicinarsi di persone amiche o, più spesso, nemiche. Di uomini violenti che si divertono a prendere a sassate i cani. Un passatempo purtroppo comune, in Qatar. Hope è un levriero, uno dei tanti adottati in Italia grazie a privati e associazioni che si occupano di questi cani, che sono oggi tra i più maltrattati al mondo. Un paradosso, per una delle razze più antiche, amata da re e potenti, immortalata in un ventaglio di Tutankhamon, nei quadri di Diego Velasquez, nelle opere di Gabriele D’Annunzio, che per quelli che chiamava “Lunghi musi” ebbe una vera passione. «Nelle regioni del Nord il randagismo è stato debellato, i cani abbandonati sono rari», spiega Andrea Zanoni, consigliere regionale del Pd veneto: «Quindi chi vuole salvare un cane dalla strada deve andare a cercarlo lontano». Si spiega così la presenza di tanti levrieri che si scatenano nei parchi e nei giardini del Nordest. E si spiega forse anche il fatto che qualcuno abbia avuto l’idea di realizzare un anello di sabbia dove farli correre. Scatenando le proteste degli animalisti, visto che in Italia le corse di cani sono vietate da vent’anni. È dal 2002, quando fu chiuso il cinodromo di Roma, che associazioni come la Gaci o la PetLevrieri trovano casa agli animali strappati alle corse. I levrieri adottati che si incontrano in Italia provengono da tre filoni. Ci sono cani non più adatti alle corse, ancora permesse in Gran Bretagna e Irlanda: hanno alle spalle una vita grama, sempre chiusi in gabbia tranne che per allenamenti e gare. Poi ci sono i galgos spagnoli, usati per la caccia: quelli che arrivano in Italia, portati da associazioni come Progetto Galgo, hanno il corpo segnato da morsi e cicatrici. La via di adozione più recente è quella dalla penisola araba. «Il mio primo cane, che ho tenuto con me, l’ho salvato da un uomo che voleva bruciargli le zampe», ricorda Alessandra Picchio, italiana trapiantata in Qatar che del recupero dei cani maltrattati ha fatto una missione. «È purtroppo comune qui mettere post su Facebook con cani malmessi, chiedere donazioni con la scusa di aiutarli e poi intascarle». Tra i cani che lei propone ci sono slougi, saluki (i leggendari cani degli sceicchi), e molti meticci «perché qui non c’è una politica ANGIOLA CODACCI-PISANELLI

Q ©RIPRODUZIONE RISERVATA Prima Pagina Un

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ImagesGettyviaPressEuropa/ValienteGustavoFoto: di sterilizzazione: quando viene abbandonato un cane, dopo pochi mesi per strada ce ne sono dieci». Il nostro Paese ha una grande tradizione di levrieri: dal levriero italiano amato dai pittori del Rinascimento all’esemplare di Città di Castello appena premiato a New York. Di corse, da vent’anni non se ne parlava più. Poi, qualche mese fa, l’annuncio di un nuovo percorso a Maserada sul Piave (Treviso): proprio a due passi da dove è arrivata Hope. Gli animalisti hanno fatto manifestazioni e raccolte di firme, fino ad arrivare a un ricorso al Tar. Anche se il sindaco Lamberto Marini ha detto e ripetuto che è tutto un abbaglio: «Non è un cinodromo ma un anello di sabbia per far correre i cani in sicurezza. Non si faranno corse ma “racing” – che, sì, in inglese vuol dire correre, ma è il termine con cui si indicano le “prove di lavoro” stabilite dall’Enci per tenere in forma cani di questa razza». È all’Enci, l’ente nazionale per la cinofilia, che Marini rimanda per le proteste: «Hanno tre impianti in cui queste prove vanno avanti da decenni. Ora li stanno chiudendo e hanno cercato un posto per realizzarne uno nuovo. Ci hanno contattati perché hanno saputo che avevamo un’area adatta. È una zona ex demaniale che stiamo recuperando: prima ci passavano i carri armati, ora ci sono un parco e dei campi sportivi. E da ottobre ci saranno i levrieri. All’inaugurazione ci sarò anche io, con veterinari e guardie zoofile. E se ci accorgeremo che l’Enci farà cose diverse da quelle per cui ha firmato la convenzione, dovrà fare le valigie». Il problema è che di queste rassicurazioni gli animalisti non si fidano. Molti, come Zanoni, sono proprietari di levrieri adottivi: «Le posso garantire che 99 su cento non li porterebbero mai a correre in un impianto come quello di Maserada. Possono dire quello che vogliono ma sono gare vere e proprie: fanno parte di un calendario che copre tutto l’anno, i proprietari si prenotano con mesi di anticipo. È un’iniziativa pericolosa perché si presta a ispirare attività illecite: davvero pensano di poter impedire che sui risultati delle gare si facciano scommesse?». Quella che sembrava una bella storia d’amore tra gli amanti dei cani dell’Italia del Nord e i levrieri maltrattati si sta tingendo di pericoli di sfruttamento. «Certo che amano correre, sono nati per questo», commenta Picchio. «I saluki in particolare hanno i muscoli delle gambe sviluppati in modo da usare soprattutto le zampe anteriori per darsi più spinta ed essere più veloci. Ma una cosa è farli correre in un parco, un’altra è metterli in un cinodromo. Solo l’idea mi fa orrore, dai Paesi in cui si fanno arrivano storie terribili: gli danno gli steroidi, gli tagliano le orecchie, durante le gare ci sono Intanto,incidenti…».dopoMaserada, un altro scandalo è scoppiato a Varese. Anche lì era stata annunciata una corsa di levrieri in uno spazio dell’ippodromo locale. Alle proteste, uno dei dirigenti ha risposto: «Noi amiamo gli animali, che si tratti di cavalli, cani o altre specie. Quella in programma era solo una dimostrazione per presentare al pubblico una disciplina poco nota». La manifestazione alla fine è stata annullata. Quindi, in attesa di vedere se a Maserada si andrà fino in fondo, a chi vuole vedere una corsa di cani non resta che andare sul web. Lì è facile trovare i cinodromi virtuali dei siti di scommesse legali. Alcuni offrono corse realizzate completamente in computer grafica, altri ripropongono filmati di corse vere. Con levrieri che corrono, si sforzano, si superano, si scontrano: che la loro sofferenza non sia in diretta non è una grande giustificazione. maltrattatiesemplariamanifestazione durantelevrierounadifesadegli

68 4 settembre 2022 Prima Pagina Animali d’affezione ImagesGettyFoto:

Infine, ma non ultima, c’è la questione abbandoni, piaga tipica dell’estate che ora rischia di diventare un problema non più stagionale. Nel 2021 sono stati 72.115 i nuovi ingressi nei canili sanitari e 29.194 nei rifugi. Numeri in leggero calo secondo il ministero della Salute, che in occasione della nuova campagna di sensibilizzazione contro gli abbandoni segnala una triste novità: tra i cani restituiti ai canili molti erano stati adottati durante il lockdown per il Covid-19 e poi«Ancheaddio.se è più diffusa la cultura del rispetto per gli animali purtroppo i numeri restano alti. E c’è il timore che possano aumentare in previsione di una maggiore criticità economica nel Paese. Un animale da compagnia ha un costo mensile minimo difficile da ridurre. E se una famiglia monoreddito si trova in difficoltà il primo a subirne le conseguenze è il cane. Nei prossimi anni c’è il rischio che la comunità si debba far carico di 200mila animali. Bisogna studiare politiche non tanto per la loro gestione, ma per aiutare le famiglie a non abbandonarli: costa meno ed evita di creare ulteriori traumi dovuti all’interruzione della relazione tra persone e animali, questione affettiva che aggrava la perdita del reddito», dice Morabito. Anche il veterinario Pier Luigi Castelli, della Lega difesa del cane, insiste sulla necessità di una revisione dell’anagrafe: «Così com’è non funziona: ogni Regione la gestisce come crede e orientarsi è complicato. Inoltre noi veterinari e le stesse guardie zoofile non abbiamo accesso ai dati del microchip. Quindi se mi portano un cane che non conosco, io non posso sapere subito se, per esempio, sia stato rubato. L’anagrafe unica nazionale servirebbe anche a modificare alcuni aspetti della gestione dei cani abbandonati, soprattutto al Sud. I canili scoppiano e hanno costi rilevanti: così i Comuni preferiscono pagare dei volontari che si occupano di farli adottare in altre regioni. Si tratta di brave persone che hanno a cuore il bene degli animali, però si è creato anche un giro d’affari a volte poco trasparente».

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Una curiosità, infine, conferma che sbrogliare la matassa dei numeri anagrafici ufficiali non è semplice. Secondo il rapporto Legambiente il paese con più cani è San Possidonio, provincia di Modena: lì ne vivono 2 per ciascun abitante e ci si può credere. Meno plausibile invece è il numero che arriva da Pescara: 1 cane ogni 1.697 residenti. Chissà, forse i pescaresi, gente di mare, preferiscono i gatti? È possibile, ma per ora non è dato saperlo con certezza. Q RIPRODUZIONE RISERVATA

Cani a passeggio che giocano

«Eppure dovrebbero essere obbligatoriamente il primo punto di contatto per un animale trovato in strada», dice Morabito. Avere numeri precisi sarebbe utile anche per risolvere questi problemi o comunque provarci: «Ci sembra una follia che l’anagrafe canina non sia unica, nazionale e condivisa da tutte le amministrazioni pubbliche. Dovrebbe anche riguardare tutti gli animali: i pesci, che sono tantissimi, ma anche conigli, criceti, uccelli... Non possiamo non sapere quanti e quali animali ci siano nelle nostre case perché, esattamente come noi nel caso del Covid-19, sono tutti potenzialmente ospiti di virus pericolosi». E poi la pulizia dei luoghi pubblici, che è spesso motivo di scontro tra chi ama i cani e chi invece condivide senza entusiasmo gli spazi urbani con loro e, in particolare, con le loro urgenze liquide e solide. Perché, inutile nasconderlo, le condizioni igieniche di molti marciapiedi delle nostre città sono al di sotto del livello minimo di decenza. «La maggior parte dei proprietari di cani è attenta, poi ce n’è una percentuale che invece proprio non ci riesce. Ma anche in questo caso. se un’amministrazione non sa quanti cani ci sono nel suo territorio come può organizzare un servizio mirato di pulizia delle strade?», si chiede Morabito.

SOVRANA

La guerra in Ucraina ha evidenziato la dipendenza dell’Europa dal gas e dal petrolio russi, cioè dal regime di Putin, il nemico dichiarato che ha reintrodotto la guerra nel continente. Un nemico che usa le sue risorse naturali come armi per ricattare gli europei. Il conseguente aumento dei prezzi dell’energia e il rischio di scarsità hanno dimostrato che l’Europa e i suoi Stati membri devono scegliere con maggiore attenzione e ridurre le loro dipendenze, anche rispetto ad altri poteri. Questo è sempre stato vero nel settore della difesa. Ora è vero in tutti i settori politici ed economici. Il mondo globalizzato ha creato molteplici legami e reti commerciali che possono mettere a rischio la sicurezza dell’approvvigionamento per tutti. Un elemento chiave per l’indipendenza è la valuta comune. Il rafforzamento del ruolo internazionale dell’euro e il completamento del mercato europeo dei capitali sono condizioni essenziali per l’indipendenza finanziaria dell’Europa. Lo stesso vale per la tecnologia, l’agricoltura e la sanità. Tra gli altri, anche i nostri principali rivali economici si ritrovano al centro di queste dipendenze. Per questo esse devono essere identificate e ridotte. È anche vero, che a volte, i nostri alleati sono fautori di una sovranità molto problematica. I loro interessi non sempre coincidono con i nostri. Prendiamo l’esempio di un esercito europeo: per molto tempo la Nato e gli Stati Uniti non hanno incoraggiato la costruzione di una difesa europea credibile. Fortunatamente, visti i crescenti pericoli provenienti da Stati non democratici, questa fase sembra essere finita. L’Europa deve rendersi più autonoma e acquisire maggiori capacità militari, sia operative sia industriali. Ancora oggi il 60% dell’equipaggiamento militare degli eserciti europei è di origine straniera. Il Fondo europeo per la difesa, che è ancora molto modesto, dovrebbe fare in modo che gli sforzi di riarmo dell’Europa vengano reindirizzati princi-

UNIONE

L’AUTORE Jean-Dominique Giuliani è fondatore e presidente della Fondazione Robert Schuman. Ha occupato varie funzioni importanti nell’amministrazione francese. È autore di numerosi libri sull’Europa, l’ultimo è “Européens sans complexes”, Parigi (2022).

DI JEAN-DOMINIQUE GIULIANI

Europa Oggi 70 4 settembre 2022

e politiche europee tradizionali sono state sconvolte dal Covid-19 e poi dalla guerra in Ucraina, che hanno messo in evidenza una dipendenza oggi più forte che mai da alcuni attori dell’economia globale. Prendiamo l’esempio della pandemia: per far fronte al virus, l’Unione europea ha dovuto rilocalizzare sul suo territorio parte della produzione di vaccini e di attrezzature mediche. Per affrontare la crisi energetica, sta riorientando le sue forniture e riorganizzando le sue catene di produzione. Inoltre, più generalmente, sta incentivando la produzione di beni essenziali sul proprio territorio. La necessità di una maggiore sovranità europea è diventata evidente. Si tratta di rendere, in sintesi, più autonoma un’Europa la cui prosperità ha origine nella sua apertura e che è ormai totalmente intrecciata al commercio mondiale. La sovranità, nota anche come autonomia strategica, non è autarchia, né una paurosa ritirata o una rinuncia alle alleanze. È semplicemente la libertà di decidere in base ai propri interessi economici o politici. I nostri interessi, quelli dell’Ue, sono ora in aperto conflitto con quelli dei nostri nemici o rivali geopolitici. Non sono neppure sempre coincidenti con quelli dei nostri alleati.

La pandemia e ora la guerra dimostrano la necessità per gli europei di decidere in base ai propri interessi. Che non sempre coincidono con quelli degli alleati

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Contrasto/ReutersFoto: palmente verso la sua industria che possiede le L’Unionetecnologie.Europea si è resa conto solo recentemente delle sue dipendenze. La reazione non è mancata. È stata lanciata un’agenda europea per la sovranità. Lo dimostrano i grandi programmi di investimento economico congiunto (Jeip), che la Commissione europea autorizza, avvia, incentiva e finanzia. L’obiettivo è quello di riportare in patria parte della produzione europea nei settori della salute, del digitale, dell’enesovranitàobiettiviprogrammacloudfonticomunità;èchippersituazionereralmente,nergia,dell’agricoltura,dellospazioe,natu-delladifesa.L’obiettivoègaranti-chegliStatimembrinonsitrovinoinunadicarenzainsettoriessenzialiilfunzionamentodell’economia.Così,l’obiettivodiprodurreil20%deisemiconduttoriconsumatiinEuropastatovelocementeadottatocomepriori-l’acquistocongiuntodigas,gliobiettiviperilsuostoccaggio,losviluppodienergetichealternative,maancheuneuropeooilperseguimentodiunspazialeautonomo,sonostrategicidestinatiarafforzarelaeuropea,cioèlalibertàdidecisio-deisuoiStatimembri.

Q (Traduzione di Amélie Baasner) e Susi de Pretis) © RIPRODUZIONE RISERVATA IL TEMA Nella grande competizione tra democrazie e regimi autoritari, l’Unione Europea si è resa conto delle imperativo condivisoeconomiche,proprie dipendenzeenergeticheepolitiche.Pergarantirelasopravvivenzadelmodelloeuropeodisocietà,lasovranitàèdiventata undatutti Prima Pagina Il cancelliere tedesco Olaf Scholz a Praga il 29 agosto scorso 4 settembre 2022 71

internazionalebertàremondo.tamentogradualmenteconcettostoScholz,territoridelleavevavranitàterpretandoconsiderazionepioniarbitrio.nonconsapevoliropea”,rapidamentesuocettodamocratichelibertàinsopravvivenzaessenzialericattotalelativoUcrainaziementesespettateileconomicopiùvadivisioneL’eradella“globalizzazionefelice”,incuilainternazionaledellavorononave-limiti,stalasciandoilpostoarelazioniequilibrateincuiogniattorepolitico,ocommercialevuolepreservarepiùpossibileilliberoarbitrio.Alungoso-diprotezionismoeripiegamentosustessi,questepolitichesonooraampia-condiviseall’internodelcontinente.Nellagrandecompetizionetrademocra-eregimiautoritari,dicuiilconflittoinèsoloilprimoesempio,l’impera-dellasovranitàèlaprotezionecontropoliticadelfattocompiuto,controilbru-equilibriodipotereopersinocontroilpolitico.Sitrattaquindidiunalezionenuova,maperglieuropeipergarantireladelloromodellodisocietà,armoniaconilorovalori.Garantireladidecisionedelleloroautoritàde-èoggiunimperativocondivisotutti.EmmanuelMacronhalanciatoilcon-diautonomiastrategicanel2017neldiscorsoallaSorbona.Questoèstatotrasformatoin“sovranitàeu-poichégliStatimembrisonobencheladimensionenazionaleèsufficienteagarantireilloroliberoGlistessitedeschi,alungocam-delcommerciosvincolatodaognigeopolitica,stannorein-ilvalorediunconcettodiso-chelaloroCorteCostituzionalegiàformalizzato,anchesenessunacostituzioniinvigoredasecolineitedeschilohamaiutilizzato.OlafnelsuodiscorsoaPragail29ago-2022,hadatograndeimportanzaaldisovranità,cheèquindiemersocomel’indispensabileadat-dellepoliticheeuropeealnuovoL’obiettivoèquellodisalvaguarda-laliberavolontàdeglieuropei,laloroli-diazioneedidecisioneinun’arenapiùduraecompetitiva.

SCAVATA NELLA

IL FRONTE DI SLOVYANSK S

72 4 settembre 2022 donato l’abito da parlamentare per un maglia grigio verde e un cappello da pescatore.

GLI UOMINI DEL DNIPRO-1 FRONTEGGIANO I RUSSI. CON L’AUSILIO DEI DRONI E DEI SISTEMI FORNITI DA ELON MUSK Guerra in Ucraina GuastamacchiaPietro Giornalista DI PIETRO GUASTAMACCHIA DA SLOVYANSK FOTO DI ALFREDO BOSCO

Ma dopo gli accordi di Minsk del 2015, la fine della cosiddetta Ato: l’operazione antiterroristica nell’est del Paese, e con la demilitarizzazione della regione, il battaglione Dnipro-1 finì invischiato nella lotta politica interna. A pesare sull’immagine anche la reputazione del suo finanziatore principale, l’oligarca israelo-ucraino Ihor Valerievitch Kolomoïsky, e le sue divergenze con Kiev. Anche l’esperienza da deputato di Berioza si chiuse dopo un solo mandato e il comandante finì poi anche implicato nelle conseguenze di alcune azioni disciplinari nei confronti dei suoi uomini. «Sono successe tante cose ma un nucleo di noi è sempre rimasto a Slovyansk, ci hanno presi per pazzi ma per noi la guerra con i russi qui non è mai finita», taglia secco Berioza che ha abban-

LA TRINCEA

NELLA ROCCAFORTE TERRA

Con l’inizio del nuovo conflitto ai veterani si sono aggiunte nuove leve da Dnipro come Vadym il cuoco, che fino a gennaio gestiva un ristorante a Dubai e che racconta di essere rientrato in Ucraina a metà febbraio per vedere i parenti e di essere rimasto bloccato dalla legge marziale, rimettene vogliono prendere il Donbass, devono prima prendere Slovyansk, ma finché qui ci saremo noi il Donbass non sarà mai russo». La missione del Dnipro-1, uno dei più vecchi battaglioni volontari della guardia nazionale ucraina, si racchiude in queste parole del suo comandante Iuri Berioza, un mantra che l’ufficiale ripete dal 2014. Creare una roccaforte inespugnabile per fermare l’avanzata russa in Donbass infatti è la missione che il Dnipro-1 porta avanti dalla sua fondazione, da quando in mezzo allo sfaldamento delle forze armate ufficiali, Berioza venne messo a capo di un battaglione di volontari della regione di Dnipropetrovsk alla dipendenza diretta del ministero degli Interni. Gli uomini del Dnipro-1 si lanciarono nella celebre battaglia di Ilovaisk, e mentre l’esercito regolare fuggiva senza ordini precisi a causa della corruzione del vecchio corpo ufficiali, i volontari resistettero all’assedio dei russi. Berioza e i suoi uomini fuggirono poi in maniera rocambolesca dall’assedio e il video dell’impresa rese il comandante celebre e gli valse una carriera politica e un posto alla Rada, il Parlamento ucraino.

La profezia si avvera la notte del 24 febbraio con l’invasione russa su vasta scala del Paese. Questa volta però la catena di comando dell’esercito ucraino non si sfalda, gli ordini scorrono precisi e tutti sanno cosa fare. Lo sanno bene anche gli uomini del Dnipro-1 il cui scopo da 8 anni non è mai cambiato: difendere Slovyansk. Tra marzo e giugno, infatti, mentre i russi avanzavano prima su Izuym e poi Lyman i volontari iniziano a scavare la loro Fortezza Bastiani a nord della città, una rete di 10 km circa di trincee con diversi bunker anti artiglieria, dormitori interrati e un ospedale da campo. Tra gli uomini di guardia alla trincee uno porta il nome in codice “Deduska”, ovvero nonno. Deduska è nel battaglione dal 2014 e racconta di non aver mai smobilitato, «per noi è sempre stato ovvio che tutto questo sarebbe successo prima o poi».

Un volontario del Dnipro-1 in trincea nella regione del Donbass. Il battaglione è presente in Donbass dal 2014 Prima Pagina

Guerra in Ucraina che però «col passare dei mesi i ragazzi dell’IT squad hanno imparato a trapassare», spiega il volontario. Altro salto di qualità è stato l’arrivo di “Elon”, come lo chiamano i volontari, ovvero il cubotto nero di Starlink, il sistema di connessione satellitare ideato dal patron di Tesla: diverse unità sono state donate da Musk stesso all’esercito ucraino. Starlink ha risolto così i limiti legati all’assenza di una banda sufficientemente larga per garantire il monitoraggio e la gestione dei droni. Tra i compiti dei ragazzi infine anche rastrellare i social per cercare video che possano compromettere le posizioni nemiche. «I più imbecilli sono i ceceni», racconta un ragazzo col kalashnikov poggiato sul monitor: «Qui li chiamiamo “i tiktokers di Allah”, gente che passa la giornata a farsi video mentre spara a vuoto per far vedere ai parenti che è in guerra, e se dai video si capisce la posizione, se non è troppo lontano proviamo a mandare un drone con un regalino».

All’inizio del conflitto però sul fronte del Donbass gli ucraini si trovarono in forte svantaggio digitale, i russi infatti erano dotati del sistema cinese di intercettazione droni AeroScope,

Chi non ha competenze informatiche o esperienze in cucina invece scava, come Viktor che dopo alcuni mesi in prima linea con l’esercito regolare si è arruolato volontario nel battaglione: «Ho posato il kalashnikov e ho preso la pala, e dio solo sa quando mi manca il kalashnikov»,, racconta a torso nudo sotto il sole mentre lavora alla seconda uscita di un bunker che ospita 8 cuccette e che è pensato specialmente per proteggere gli uomini dalle munizioni al fosforo «che i russi usano di continuo», racconta il volontario. L’artiglieria infatti è l’altra grande protagonista di questo fronte: «Fino ad aprile abbiamo avuto problemi drammatici di munizioni e di carburante per spostare i corazzati, mentre i

74 4 settembre 2022 doci il lavoro. «Ci ho perso tanti soldi… ma proprio tanti… ma la vita è così, qui almeno a tavola si lamentano meno dei figli degli sceicchi», scherza mentre sfiletta una verza per il borsch. Ma i rinforzi che hanno fatto fare il salto di qualità al Dnipro-1 non sono né in cucina né in trincea bensì dietro le tastiere. «Ci sono in corso due grandi battaglie in Donbass», spiega Dmytro Podvorchansky, che ha gestito l’arruolamento dei giovani programmatori: «Una si gioca con l’artiglieria e l’altra con i droni». E per non perdere questa sfida una squadra di studenti di informatica ha messo in piedi la centrale operativa di sorveglianza a nord di Slovyansk. Nascosti in un capannone i ragazzi del “IT-squad”, come si fanno chiamare, hanno installato telecamere e sensori su una zona di copertura che supera i 15 chilometri quadrati. Da lì osservano «tutto ciò che vola, cammina o striscia nella nostra direzione», spiega uno dei volontari che fino a gennaio lavorava a Dnipro per una start up. L’IT squad usa dei piccoli droni DJI generalmente per compiti di ricognizione «ma con l’aggiunta di un pezzo che si stampa facilmente con una stampante 3D questi droni possono caricare fino a mezzo chilo di esplosivo», spiegano. Con le telecamere wi-fi sistemate nella foresta, invece, mostrano quanto accade sulla linea del fronte, di recente sono stati in grado di avvistare alcuni droni russi di grande dimensione, come gli Orlan, e avvisare la contraerea ucraina per favorire l’abbattimento.

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4 settembre 2022 75 un assalto di 500 persone». «È questione di settimane se non di giorni ma l’assalto su Slovyansk arriverà e noi dobbiamo farci trovare pronti», gli fa eco Viktor. Se Slovyansk dovesse cedere, non solo l’intera regione potrebbe vacillare, ma sarebbe anche una vittoria simbolica per Mosca, la città infatti fu la prima ad essere presa dai separatisti nel 2014 decretando l’inizio del conflitto che si combatte ancora oggi. In attesa della battaglia, il Dnipro-1 si occupa anche della gestione dei checkpoint all’ingresso ed all’uscita della città, un modo di controllare anche la popolazione locale con cui il rapporto ultimamente «è complicato», racconta Viktor. «C’è un decreto del governo che chiede l’evacuazione e alcuni invece di andare via addirittura tornano», spiega il soldato: «Di oltre 100 mila abitanti a Slovyansk ne sono rimasti circa 20 mila, molti di questi sono pensionati disperati, ma tra questi si nasconde anche qualche traditore». In città rimangono due mercati aperti e diversi negozi si rifiutano di chiudere nonostante l’evacuazione, «hanno tagliato il gas, appena arriva l’inverno vedrai che scapperanno tutti a ovest», sbuffa Deduska col volto nascosto da un cannocchiale: «Qui rimarremo solo noi e i russi a spararci in mezzo alla neve, meglio così, l’inverno gioca dalla nostra parte, l’inverno aiuta sempre chi si difende e questo i russi dovrebbero saperlo bene».

A cambiare gli equilibri, infatti, l’arrivo dell’artiglieria a lungo raggio tra cui i cosiddetti Himars con cui gli ucraini hanno iniziato a martoriare depositi di carburante e la catena logistica delle truppe russe.

Oltre alle postazioni scavate per l’artiglieria cingolata, larghi buchi in cui i mezzi si nascondono per poi scappare subito dopo aver sparato il colpo, la piccola fortezza ha più linee di fuoco e postazioni di difesa, separate da intervalli di spazio. «I russi mandano avanti i loro uomini a ondate come bestie al macello», spiega Deduska: «Con più linee di difesa si contiene l’assalto, con 50 di noi riesci a respingere

L’AVAMPOSTO Dall’alto, in senso orario, armi e munizioni in trincea, lo stemma dei combattenti del Dnipro-1, uno dei militari segue un’azione alla radio, la preparazione dei pasti in trincea.

Prima Pagina

Nell’altra pagina il cratere causato da un razzo a Lyman russi erano superiori a noi in potenza di fuoco», racconta Podvorchansky. «La situazione però ora si è ribaltata, siamo dotati di artiglieria moderna con anche pezzi in arrivo dall’Europa, i nostri depositi munizioni sono pieni e lo sono anche quelli carburante, siamo pronti a resistere per mesi».

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Settimane 23 e 24

“Sento che sto invecchiando. Da quando è scoppiata la guerra ho notato nuove rughe intorno agli occhi. Anche i miei amici sembrano diversi: la pelle è più pallida, i loro occhi sono diventati più scuri, la loro voglia di vivere è sparita”. È il momento della stanchezza, della solitudine, dell’impotenza per una fine che non si intravede. E K., giornalista ucraina, fa per la prima volta i conti con quanto fisicamente la guerra l’abbia cambiata. Prosegue “Diaries of war”, il reportage di parole e immagini che l’illustratrice Nora Krug sta realizzando dall’inizio della guerra in Ucraina, e che L’Espresso sta pubblicando in esclusiva per l’Italia, contemporaneamente ad altre testate internazionali. Il resoconto della quotidianità, stravolta e intrappolata nella violenza, di chi vive nel Paese invaso, ma anche tra gli oppositori alla guerra nel Paese invasore. È D., artista, a incarnare il dissenso russo. In cerca di un trasferimento della sua famiglia in Lettonia, per vivere senza la continua minaccia di censure, si interroga sulla sua generazione, costretta ad addossarsi la responsabilità del conflitto, e sugli effetti sui bambini: tra disinformazione e quella parola insistente“guerra”- che prima a casa non usavano mai. n Sabina Minardi ©

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76 4 settembre 2022 Graphic novel

80 4 settembre 2022 L’incubo atomico DI SARA LUCARONI ILLUSTRAZIONE DI STEFANO D’ORIANO MERCURIO ROSSO LA MEGATRUFFA IL CONTRABBANDO LEGALIZZATO DELLA FANTOMATICA SOSTANZA NUCLEARE DAGLI ARSENALI EX URSS. L’OMBRA DELL’EX KGB. E LA REGIA DEL GIOVANE PUTIN

4 settembre 2022 81

Sara Lucaroni Giornalista

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Alla rivelazione del blitz se ne accompagna un’altra: i vertici della “Alkor technologies Inc” di San Pietroburgo, a commento della notizia, spiegano ad un quotidiano moscovita che, insieme ad altre imprese dell’ex Leningrado, da tempo, ricevono commesse di produzio-

Prima Pagina

Il valore stimato è di 20 milioni di dollari.

ra i tanti fantasmi che l’invasione russa in Ucraina ha resuscitato, c’è il balletto del terrore intorno alle centrali e l’uso di armi nucleari. Gli allarmi delle intelligence occidentali, alimentati dalla propaganda dei media russi sono appena mitigati dalle parole dello stesso Vladimir Putin in occasione della Decima conferenza del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari. «Non ci possono essere vincitori in una guerra nucleare e non dovrebbe mai essere scatenata», ha detto. Tuttavia in Occidente la diffidenza è massima, considerando che l’interesse russo per questo simbolo di onnipotenza più che di deterrenza è antico. Lo rivela una storia emblematica. Esattamente trent’an-

A ricostruire la vicenda del mercurio rosso sono Sergei Dobrynin e Robert Coalson per un progetto investigativo sugli scandali del futuro presidente e dei suoi funzionari negli anni ’90. C’è una data chiave ed è quella del 29 agosto 1991. Quel giorno le forze speciali del governo cecoslovacco mettono a soqquadro l’aeroporto di Mosnov. Cercano 60 chilogrammi di mercurio rosso dall’ex Urss.

ni fa servizi segreti e cancellerie di mezza Europa, Italia compresa, sperimentarono che il sogno della “mini bomba sporca fai da te” era alla portata di Stati canaglia, mafie, Paesi in via di sviluppo e terroristi. Ad alimentarlo era la caduta dell’Urss. Funzionari dell’apparato, presunti pezzi dell’ex Kgb, e, soprattutto, criminali e truffatori diedero vita al mercato nero di armi e al traffico di materiale strategico dismesso dai depositi dell’ex Armata rossa. Ma anche di terre rare, di plutonio e uranio, provenienti da laboratori e complessi nucleari ad Est. E di una misteriosa sostanza radioattiva rosso ciliegia, liquida o in polvere, il “red mercury”. Inesistente come materiale bellico, hanno giurato gli scienziati. E tuttavia al centro di ricorrenti traffici che arrivano fino ai giorni nostri. Il mercurio rosso è un fantomatico composto ideato dagli scienziati sovietici a Dubna nel ’68, utile come “vernice” anti sistemi radar, innesco per un processo di fusione, stabilizzatore di sistemi di puntamento missilistici, detonatore di bombe e infine refrigerante per un reattore sperimentale autofertilizzante al plutonio, messo a punto in Russia negli anni ’80. La sua leggenda è arrivata fino ad oggi, perché tra i presunti protagonisti di quella che è stata definita come “l’ultima grande truffa del XX secolo”, ci sarebbe stato proprio l’attuale presidente Putin a proprio agio in uno scenario, quello del post Guerra Fredda che ha visto muoversi nell’ombra ma non troppo, mediatori, trafficanti e, naturalmente, spie.

Il sindaco di San Pietroburgo Anatoly Sobchak (in primo piano) dopo la nomina di Vladimir Putin (alle sue spalle) a capo del Comitato per le relazioni esterne della città, nel giugno 1991

dai confini russi si arriva a conclusioni non diverse. Il Dipartimento Usa per l’energia parla di una bufala. E lo stesso fa l’Aiea, Autorità internazionale per l’energia atomica dell’Onu. Il business è una truffa con contorni da spy story. Perché il traffico di materiali radioattivi è una realtà nella quale si innesta il raggiro condotto da uomini dell’apparato che in un sistema di porte girevoli partecipano all’uno e all’altro, salvo poi utilizzare le proprie conoscenze anche per indagare sulla rete di export, avendo cura di selezionare le teste da far rotolare. «È stata una truffa nata in Russia per far uscire soldi e ottenere capitali puliti», spiega a L’Espresso una fonte che all’epoca collaborò col Sismi: «Un meccanismo truffaldino utilizzato poi in maniera più intelligente per scovare i trafficanti interni ed esterni di armamenti». Lo spiega lo stesso futuro presidente della Commissione europea Martin

TRENT’ANNI DI INDAGINI SUL TRAFFICO DI MATERIALE RADIOATTIVO. “UN RAGGIRO INNESTATO NEL CIRCUITO DEL BUSINESS DEGLI ARMAMENTI”

L’incubo atomico ne dall’estero. Ad acquistare il prodotto, al prezzo di 300 mila dollari al chilo, non meglio specificate «imprese arabe». Ed è proprio Alkor, l’anello di congiunzione tra l’affare del mercurio e Putin. La società, ancora oggi operativa, produce vetri ottici ma per il business del red mercury avrebbe creato la società Palmer che per il 16 per cento appartiene al Comitato per le relazioni esterne di San Pietroburgo. A presiedere il Comitato c’è proprio l’ex agente del Kgb e futuro presidente. In quel periodo, è il governo nato dalle ceneri della disciolta Urss a favorire il commercio di quote di materie prime con l’estero, a condizione di reperire derrate. Marina Salye, leader radicale e consigliere comunale di San Pietroburgo, scomparsa nel 2012, la prima in assoluto a investigare sulle origini opache delle fortune di Putin, chiede di metterlo sotto indagine: niente cibo e cento milioni di dollari scomparvero per quote assegnate dal suo comitato a società fantasma. Visto il volume di affari, in molti vogliono commerciare il mercurio rosso. C’è anche la Alkor, per la fornitura all’Ungheria di 400 chili di mercurio rosso per 30 milioni di dollari. L’affare sta a cuore al vice di Putin che con due lettere sollecita l’autorizzazione speciale prevista per i materiali bellici ma qualcosa va storto e l’Accademia delle Scienze, chiamata ad esaminare il presunto composto strategico, sentenzia che si tratta di antimoniato di mercurio, privo di implicazioni militari. Il responso scientifico mette a nudo che il contrabbando legalizzato è una gigantesca frode su cui i riflettori a quel punto, siamo già nel 1992, si accendono. La ditta non pubblicizza più il composto perché nel frattempo diventa di dominio pubblico il lavoro della commissione speciale guidata dal vicepresidente russo Aleksandr Rutskoj: il “red mercury” non esiste. La relazione della commissione elenca le imprese più attive nella promozione della truffa, tra cui la Promekologia, autorizzata da Boris Eltsin. Alkor non figura, ma i suoi vecchi fondatori creano nel 1993 la potente Tavrichesky Bank, finita in amministrazione controllata nel 2015 per la scomparsa di 520 milioni di dollari. «È possibile che con il pretesto del mercurio rosso siano stati esportati preziosi materiali strategici (platino, oro, osmio, indio, uranio, plutonio e altri)», scrive la commissione. Anche fuori

82 4 settembre 2022

Prima Pagina

a sollecitare che gli venisse rilasciato un visto era stato un parlamentare italiano. E sulle tracce del mercurio rosso si incrociano altri intrighi. La Digos di Udine scopre un presunto traffico verso Libia e Cina di elicotteri e uranio e arresta cinque persone, Kuzin viene fermato a Montecarlo il 10 ottobre 1992. Nel gigantesco puzzle compaiono mediatori di armamenti dell’ex Urss. Tra questi c’è Aldo Anghessa, faccendiere e confidente del Sisde, che agiva come agente-provocatore. Ma anche Marco Affatigato, ex terrorista di Ordine Nuovo, arrestato in passato per tentata ricostituzione del partito fascista, traffico di armi e ritenuto vicino ai servizi francesi. All’inviato del Tg1 Ennio Remondino racconta di avere un mandato a vendere il prodotto ex Urss da parte dell’Ucraina: 15 mila dollari al grammo, scadenza sei mesi, consegna attraverso la dogana di Ginevra. Ma al “mercato dell’usato” dopo il crollo dell’Urss quella del mercurio rosso fu solo una trovata per fare quattrini, capace di resistere negli anni cavalcando la smania di nucleare di regimi e terroristi dopo il disgelo tra Urss e Usa, che, come spiega Maurizio Simoncelli, vice presidente dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, «lavorarono in modo abbastanza coordinato perché il timore che quelle armi potessero prendere la via che avevano preso quelle convenzionali era forte». Periodicamente però non sono mancate nuove fiammate di interesse sul mercurio rosso. Nel 2009 la Reuters raccontò la caccia in Arabia Saudita a una partita nascosta in vecchie macchine per cucire. E nel 2015 il premio Pulitzer CJ Chivers sul New York Times rivelò che i trafficanti in Siria e Turchia cercavano di procurarlo allo Stato Islamico. Tre anni fa a Kiev furono arrestate quattro persone per la tentata vendita di due litri per 250 mila euro. E di mercurio rosso a bordo della Latvia parla anche la relazione parlamentare sulla morte, nel 1995, del capitano Natale De Grazia che indagava sulle “Navi dei veleni”. Q ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Un flacone contenente la sostanza nota come mercurio rosso e il carteggio dei traffici inchiestedocumentatiinternazionalinelle

4 settembre 2022 83 Schulz il 20 giugno del 1996 a Strasburgo, quando presenta un’interrogazione sul traffico illecito di materiali nucleari. Cita l’Euratom, la Comunità europea dell'energia atomica che esamina 34 casi di materiale nucleare sequestrato dal 1991, di cui 30 nella sola Repubblica federale di Germania, uno in Belgio, tre in Italia e a proposito del più ingente sequestro di plutonio avvenuto a Monaco rivela: «Non ha senso che il servizio segreto tedesco incarichi dei malviventi spagnoli di recarsi in Russia per importare plutonio in modo che gli stessi funzionari di polizia che hanno incaricato i criminali possano arrestarli». A Trieste, spuntano certi traffici tra le carte della Sovit Trade di Trieste acquisite nel 1992 dal comandante del Gico della Guardia di Finanza Vincenzo Cerceo. Tra partite di cetrioli, tabacchi e legname, risultano in vendita due bottiglie di mercurio rosso da cinque chili depositate in una banca di Dusseldolf, insieme con altro materiale bellico e tracce di un forte traffico di rubli. Dietro alla Sovit c’è Daniel Abramovic, indicato come braccio destro di Alexandr Vicktorovich Kuzin, cittadino russo con presunti trascorsi da colonnello nel Kgb e ritenuto uomo chiave per i traffici europei dall’ex Urss. Scavando su Kuzin si scopre che l’anno prima

colloquio con Zeruya Shalev di Wlodek Goldkorn illustrazione di Lavinia Fagiuoli La narrativa come cura. Per superare lutti e conflitti. Coltivare la memoria. E liberare i desideri e le passioni. Parla la “terapista letteraria di Israele” lRiparare ’universo Verso Festivaletteratura 84 4 settembre 2022

Idee

“Questa terra è un mosaico di traumi. La Shoah, i rapporti coi palestinesi, gli attentati continui. Tutto ciò è dolore. Ma anche fonte di incredibile energia”

ullo schermo del computer la faccia di Zeruya Shalev, scrittrice israeliana, autrice di bestseller tradotti in una ventina di lingue e che nei suoi romanzi (il più celebre “Dolore”) parla spesso dei traumi e di come i traumi e i lutti veri e immaginari, e quindi altrettanti veri, possono convivere con il desiderio e perfino con la passione; sullo schermo del computer dunque il volto di Shalev è quello di una signora simpatica, sorridente, dagli occhi vivaci e intelligenti. Per lei, lo ripete più volte nel corso di questa conversazione, la letteratura è uno strumento non solo per indagare la realtà in tutte le sue contraddizioni e ambivalenze ma può essere una specie di terapia e perfino un mezzo di riparazione dell’universo, nell’intimo delle persone ma anche su scala dei rapporti fra comunità in conflitto. Ci torneremo. Intanto, Shalev (che sarà presente al Festival della Letteratura di Mantova) è nata sessantatré anni fa, padre critico letterario fra i più importanti del Paese, madre poeta, ambedue ex militanti di un’organizzazione clandestina armata Lekhi (combattenti per la libertà di Israele), minoritaria nella Palestina ai tempi del mandato britannico, e che riuniva attivisti di estrema destra e di estrema sinistra, considerata terrorista dagli inglesi (la chiamavano la banda Stern) e dai laburisti egemoni allora nella società ebraica. Questo accenno biografico è necessario perché nel suo romanzo in uscita con Feltrinelli, “Stupore”, nella traduzione di Elena Loewenthal, due dei protagonisti sono appunto ex militanti di Lekhi, mentre un’altra è figlia di uno di loro. Il tema del libro: i conti con il lutto, la memoria e la Storia, i rapporti fra figlie e padri e fra due donne di due generazioni diverse, ambedue vittime traumatizzate dello stesso uomo.

A destra: Israele 1955, Kibbutz Gesher HaZiv; aprile scrittriceDajan,avamposticontroCisgiordania, palestinesi2022,lacreazionediisraelianiaBeitaestdiNablus;laZeruyaShalev

S Verso Festivaletteratura 86 4 settembre 2022

La conversazione - non solo e non tanto sul libro, quanto su Israele che nel romanzo è altrettanto presente come le persone e sulla scrittura - comincia con una citazione di Amos Oz (cui fa un omaggio in “Stupore”, ma non lo sveleremo). Oz, dunque, diceva che per essere vero scrittore occorre avere una ferita. Per questo, perché in Israele quasi tutti sono reduci di un qualche trauma, la letteratura è così forte e fiorente? Risposta: «Sì. Israele è una specie di mosaico di traumi. Non solo la Shoah, con i reduci e i loro figli e figlie. Traumatizzati erano pure gli immigrati arrivati prima della seconda guerra mondiale. Avevano alle spalle i pogrom, le manifestazioni di antisemitismo, l’ansia di non poter sopravvivere in Europa. Li attendevano altri traumi: il conflitto con i vicini e con i palestinesi, gli attentati, le esperienze nelle forze armate. E anche la narrazione palestinese è incentrata sul trauma, la Nakba, l’esodo del 1948. Tutto questo significa dolore ma è pure origine di un’enorme energia creativa». Quando sente la domanda se si considera la terapeuta della nazione ride. Poi dice: «Vorrei citare Nachman di Breslov. Ora, Nachman di Breslov era un rabbino e uno dei

più grandi cabalisti di tutti i tempi, vissuto fra fine Settecento e primi dell’Ottocento in quella che oggi è l’Ucraina. Diceva che con Dio occorre conversare come si fa con un intimo amico. Secondo Nachman raccontare è una via verso il riscatto e la Redenzione», spiega Shalev: «Quindi una cura, oggi diremmo terapia. Lui intendeva sia chi racconta sia chi ascolta, io credo però più nella funzione terapeutica della lettura che non della scrittura». Continua: «La scrittura richiede molta forza, anche fisica. Talvolta mi chiedo se la scrittura non sia fisioterapia». Ride di nuovo. Poi si fa seria e spiega la metafora: «Dopo essere stata ferita in un attentato suicida di un palestinese a Gerusalemme nel 2004 ho fatto tanta fisioterapia. Era dolore e fatica. In questo senso la scrittura le assomiglia». Guarda dritta nello schermo: «Ma scrivere è un mestiere meraviglioso. Molti lettori mi dicono che i miei libri li hanno aiutato a capire se stessi e a superare difficoltà». Usa un termine ebraico molto bello: «persone che soffrivano di dolore dell’anima». Il racconto, quindi, come strategia per sopravvivere – ne sapeva qualcosa Sheherezade delle “Mille e una notte”, che se avesse smesso di raccontare sarebbe morta. In “Stupore” una delle protagoniste sopravvive per poter raccontare le gesta dei suoi compagni di lotta caduti. Un’altra è architetta che si occupa della conservazione di vecchi edifici, fa narrare a quelle costruzioni il loro passato. «Mi chiede cosa è la memoria?», reagisce Shalev: «Noi siamo il popolo della memoria. È la memoria che ci fornisce il senso. Però, quando si vive in questo Paese, talvolta la memoria si impadronisce della vita delle persone e perfino dei romanzi». Continua: «Faccio un esempio concreto. In questo libro tutti i protagonisti soffrono della sindrome post traumatica. A salvarli è la memoria. Nel caso dell’architetta, lei non ricostruisce il passato ma dà agli edifici un’altra vita in cui racchiude il passato”. Riflette: «La memoria non è nostalgia ma un tentativo di capire in che direzione vogliamo andare e perché». Quando sente dire che la memoria in fondo è immaginazione e rappresentazione di noi stessi, si dice d’accordo. E a questo punto parliamo dell’amore. In tutti i suoi libri Shalev racconta di amori impossibili, amori che si sfasciano, tentativi di tornare ai vecchi amori, senZeruya Shalev sarà a Mantova, ospite

Feltrinelli.libro,“Stupore”,sarà con GaialetterariavenerdìsacrosulElsaTendaincontri:protagonista7Festivaletteratura (daldelall’11settembre),diduegiovedì8 alladeilibri,conRiccadonna,tema“Ilfuocodellascrittura”;9“LaterapistadiIsraele”Manzini.ilsuoultimoèpubblicatoda APPUNTAMENTO  A MANTOVA ContrastoImages,GEttyContrasto,/Magnum-Bar-AmM.Foto: Idee 4 settembre 2022 87

Sopra: ultraortodossi;ebrei edifici ridotti in cenere nel quartiere ebraico di Gerusalemme  Verso Festivaletteratura 88 4 settembre 2022

za successo. E sempre in questo romanzo è citata un’altra storiella di Nachman di Breslov: della fonte e del cuore che si rincorrono a vicenda ma non si incontrano mai perché se il desiderio fosse venuto al compimento il mondo perderebbe l’anima. E allora la passione è bella finché non è appagata? «Ci sono varie interpretazioni di questa storia», risponde Shalev, «ma non penso che passione e desiderio siano più importanti dell’appagamento. È bene che l’amore si compia. Però in varie tappe dell’innamoramento c’è qualcosa di non compiuto che permette all’amore di essere più bello». Riflette sull’idea (sempre di Oz) di quanto l’amore fosse un sentimento egoistico perché tendente a rendere il partner simile a noi. Dice: «Il nucleo dell’innamoramento è spesso egoista ma più ci apriamo e più siamo in grado di dare, meglio stiamo. Capita che il sogno dell’uno diventi l’incubo dell’altro. Nei miei libri lo racconto. Non fossi scrittrice sarei psicologa». Spiega come in “Stupore” c’è un momento di riconoscimento reciproco del dolore fra le due protagoniste. Lo dice non per raccontare la trama ma per introdurre un altro concetto fondamentale della memoria e spiritualità ebraica, il Tikkun. Tikkun vuol dire riparazione. Spiegazione: durante la creazione dell’universo è successo un incidente, una catastrofe e per questo il mondo è luogo di sofferenza bisognoso della riparazione. Ecco il riconoscimento reciproco fra persone diverse è un Tikkun, il recupero dei torti subiti. Ma allora, il romanzo con i suoi forti accenni biografici è anche un riconoscimento di suo padre? Lui faceva parte, come si diceva, di un’organizzazione che praticava violenza. Erano persone che si consideravano votate alla morte. Giovani che professavano una mistica della redenzione attraverso gesti e retorica estremi. I militanti di quel gruppo clandestino nutrivano molte illusioni e molte fantasie che non si sono avverate, come spesso accade nella storia ai ragazzi radicali. Lei interviene: «Molti di loro pensavano sinceramente di avere una causa comune con gli arabi e contro lo stesso nemico, l’Impero britannico». Tace, cerca le parole: «È ovvio che si sono sbagliati, è ovvio che hanno commesso errori. Erano ingenui, la storia è andata diversamente, ma non erano solo una banda di terroristi come qualcuno continua a dire». In Israele indipendente alcuni di que-

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Ride: «Ovviamente, oltre al Monte Carmelo e al mare». Ha toccato la Nakba, l’esodo, la storia più rimossa in Israele. È il Tikkun? «Non saprei. Ma sì, un po’ lo è. È un investimento in un futuro insieme. Per mezzo della letteratura, il mio mestiere». Poi riflette: «Però, attenzione, non possiamo ignorare il fatto che oggi sono gli estremisti a dettare i termini del discorso. E anche che Israele ha ancora tanti nemici. Ma qui siamo nel regno della politica».

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Feltrinelli.di Ingeperdell’impegnostraordinariaonoreIngeedizionesettembre,Mantova,annuncianoGruppoFeltrinelliGiangiacomoFondazioneeFeltrinelliail7laprimadelPremioFeltrinelli, indellavitaelaculturaSchönthal 4 settembre 2022 89

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raccontare». E ancora: «Ho restituito la vita a queste persone. Alle donne. La letteratura è un mezzo migliore per affrontare questioni complesse perché usa strumenti che sono l’opposto di quelli della politica. La letteratura racconta, non si schiera». Si conclude con una domanda. La migliore amica dell’architetta ebrea 50enne del romanzo è un’araba. Ambedue vivono a Haifa, città in cui gli arabi e gli ebrei abitano gli uni accanto agli altri. Shalev, a sua volta, pochi anni fa si è trasferita da Gerusalemme a Haifa, cosa che aveva fatto pure il recentemente scomparso Abraham Yehoshua (per non vivere in un luogo intriso di fanatismo, diceva lui). Il personaggio dell’amica araba è un messaggio politico? «È speranza», è la risposta, e il sorriso torna sul volto della scrittrice. «A Haifa si tocca con mano la possibilità di una vita comune fra ebrei e arabi. Non è idillio, ci sono difficoltà. Ma in fin dei conto è un modello di come potrebbe essere questo Paese. Volevo dare testimonianza concreta delle mie amicizie con gli arabi. Questo aspetto del libro è per me importante proprio per la memoria di quello che qui è successo tra il 1947 e il 1948, l’esodo della stragrande maggioranza della popolazione araba (una storia traumatica). Volevo far vedere che ci sono sempre arabi a Haifa e che questa convivenza è la cosa più bella di questa città».

Un premio a chi racconta il mondo, a chi difende i diritti.

Due amiche, una araba, l’altra ebrea. Entrambe residenti a Haifa. Un messaggio politico? “Una speranza. Un investimento in un futuro insieme”

sti ex ragazzi diventarono attivisti di sinistra altri di destra, dopo la guerra del 1967 alcuni erano contro l’occupazione, altri per una Grande Israele, uno è diventato premier. Ma comunque le loro gesta erano percepite come imbarazzanti, da non citare (e non ne faremo qui la storia). Ecco, Shalev voleva riscattare i miti in cui credevano: sangue versato per la patria, utopia messianica di un nuovo Regno (non proprio democratico) ma anche fratellanza? Voleva entrare nel cuore delle ambivalenze della Storia e farlo risalire alla fonte? «Io sono cresciuta in quei miti», risponde. Cerca le parole: «Quei miti mi hanno influenzato molto di più di quanto pensassi. Mi imbarazza confessarlo». Tace. China la testa: «La mia scrittura è molto intuitiva e spesso inconscia. Mentre scrivevo cominciavo a fare i conti con la vicenda di mio padre». Tace di nuovo e riprende: «Intanto, finora nessuno ha scritto un vero romanzo sulle vicende di questi giovani e soprattutto non sulle donne combattenti. Ho voluto capire cosa significhi essere una donna dedita alla lotta armata, per la vita e per la morte. Faccio la scrittrice e come scrittrice non volevo essere giudicante. Volevo solo capire e(2)ImagesGettyFoto:

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Mi pare - gli dico - che fra le righe de “La mia Babele” corra sempre questo sottotesto: la profonda consapevolezza di una differenza, quella fra essere e voler essere, fra serietà e dilettantismo… «Sai, nessuno oggi sembra aver voglia di fare la differenza fra chi pubblica e chi scrive. Noi siamo cresciuti fra gente che ti obbligava a lasciare a casa il dilettante, mentre adesso si mette il dilettante addirittura al governo. È l’epoca di un qualunquismo generico, trionfa l’idea che importante sia l’università della vita, non lo studio e la competenza. Insomma, lo avevano già annunciato Fruttero e Lucentini: il trionfo del cretino…». Si sta infervorando, è un tipo polemico Marcello, e se ci mettiamo a parlare di politica ci allontaniamo dal libro e dal ragionamento che stavamo affrontando sullo stato attuale della letteratura. «Allora ti parlo della mia inquietudine. Se penso a un me che si fosse trovato a esordire oggi, penso che nessuno mi avrebbe pubblicato».

L’italiano e i dialetti. Lo scontro tra studio e qualunquismo. Il ruolo dei traduttori nel memoir letterario di Marcello Fois. “Scrivere? Meglio insegnare a leggere” dotto in altre lingue. Come spesso accade, poi la struttura si è allargata a comprendere anche altro». Ed è l’amalgama fra idea iniziale e il molto altro il fascino particolare di questo libro. Dal bambino Marcello, nato a Nuoro il 20 gennaio del 1960, dall’infanzia incantata in Barbagia, alla strenua lotta per apprendere “l’altra” lingua, al distacco per andare a studiare all’università di Bologna, alla difficile decisione di restarci a vivereche da genitori e paesani è sentito come un tradimento - per mettere su famiglia in quell’ “altrove”. E intanto la consapevolezza di voler diventare scrittore, anzi di essere uno scrittore proprio partendo dal personale rapporto con la lingua.

Effettivamente Fois può essere considerato uno scrittore “difficile”, per i tempi che corrono difficilissimo, ma è solo complesso come è l’arte più interessante, quella che devi un po’ faticare per capirla nel suo senso profondo, quella che ti costringe a una ricerca interiore, a una scoperta personale, a un’emozione. Però – gli faccio notare –persino i tuoi primi libri, “Picta” che vinse il Calvino, e “Ferro Recente”, sono

siste una forma particolare di bilinguismo che è il rapporto non fra due lingue diverse, parlate in Paesi diversi, ma fra un dialetto e la lingua nazionale. E quando è uno scrittore a essere bilingue in questo senso, le cose si complicano parecchio. È il caso di Marcello Fois che dedica al tema il nuovo libro, “La mia Babele” (edito da Solferino). Un racconto ricchissimo che riesce a essere autobiografia, saggio, approfondimento sentimentale sulle proprie radici e l’inevitabile distacco (anche linguistico per Fois), riflessione sulla letteratura e l’editoria, relazione complicata e quasi intima con i traduttori delle tante lingue del mondo in cui la sua opera è stata proposta. «Credo che questo tipo di rapporto molto privato con i miei traduttori derivi proprio dal fatto che sono sempre stato inevitabilmente traduttore di me stesso. E l’idea del libro all’inizio era questa: capire il legame fra il me traduttore di se stesso – che è la storia del mio essere scrittore – e il me tradi Sandra Petrignani

L’editoria? UnaBabele

90 4 settembre 2022 Vita e scrittura

«Un’idea ce l’ho, sì. Perché la buona letteratura esiste ancora e non va lasciata senza ascolto. I buoni lettori si educano a scuola. In una scuola seria, non quella in cui non è più chiaro il confine fra formazione e intrattenimento». Fois da giovane è stato anche insegnante precario: «Precarissimo», dice: «E guarda che spesso non sono i ragazzi i primi a non voler faticare. Ma i loro genitori, cui preme soprattutto salvare la settimana bianca. Investire sull’istruzione, sull’autorevolezza della scuola, salverebbe il Pil del paese. Sarebbe fondamentale sottrarre la scuola a questa apparente democrazia in cui spadroneggiano i genitori. Guarda caso oggi i primi della classe sono gli extracomunitari, che sanno sulla propria pelle quanto sia importanteNell’emozionanteimparare». finale del libro, Fois dice che Boccaccio fa «sentire l’ombra dei boschi». Ecco cos’è un grande scrittore: uno che ti fa sentire, vedere l’ombra delle cose. E conclude: «Saper descrivere “l’ombra dei boschi” è esattamente quella fiammella che ti rende comprensibile in contrade dove si parlano lingue lontanissime dalla tua. Non è l’idioma dunque. È “l’ombra” che conta». Tolstoj resta Tolstoj anche in pessime traduzioni, insomma, grazie a quell’ombra, perché è l’emozione di una storia, che ti resta dentro e ti fa comprendere la grandezza di un autore. Ho ancora un’ultima domanda. Non è contraddittorio per uno scrittore che la pensa così, insegnare in una scuola di scrittura? Quella faccenda dell’ombra mica la si può insegnare… «Ah, infatti, hai ragione. Per questo io cerco di insegnare a leggere. Ce n’è urgente bisogno».

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C’è un altro punto de “La mia Babele” che mi ha colpito, il rapporto nutriente, determinante e spinosissimo di Marcello con un grande Maestro, Ezio Raimondi, all’università di Bologna nei primi anni ’80, «Una specie di san Girolamo in un antro del sapere». Un antico detto zen dice: quando l’allievo è pronto, il Maestro appare. Che succede oggi? I maestri non esistono più, perché nessuno è all’altezza di esserlo? O perché nessuno li cerca, nessuno è pronto per averne uno? «La seconda che hai detto. Formarsi è faticoso. Ottenere la tesi da Raimondi sembrava un’impresa impossibile. Sono stato sfrontato e testardo, ho accettato di essere messo alla prova. Mi sono piegato alle sue indicazioni, diciamo pure imposizioni. E alla fine ce l’ho fatta: sono diventato un suo allievo, ho avuto la tesi, mi sono laureato con lui. Ecco, non so oggi quanti possano capire quel mio entusiasmo in un paese in cui non c’è vero dibattito, né culturale né politico. Come fai a educare un lettore che non sa leggere, che non sa distinguere, a cui fra l’altro vengono proposti scrittori che non sanno niente della scrittura, perché loro stessi non sanno leggere? A volte non sanno proprio l’italiano».

stati ristampati… Certo, sulla base di un profilo di scrittore già consolidato. «Appunto. Oggi, ne sono convinto, nessuno avrebbe corso il rischio di pubblicarli per primo. E non lo dico in termini snobistici, ma con la pena di chi osserva la rottura del contratto fra lettori ed editori. Le scelte editoriali, lo vediamo tutti i giorni, si orientano su ciò che è ritenuto “sicuro”: le possibilità di vendita, il gusto di lettori non-lettori. Nessun rischio, nessuna riflessione sul bello, sul nuovo». E in questa linea di pensiero s’inserisce la recente polemica a proposito dello Strega, fatta proprio sulle pagine di questo giornale ai primi di luglio in cui Fois sosteneva fra l’altro: «Il Premio Strega ormai offre una cassa di risonanza notevole solo ai libri che già funzionano… non è più in grado di determinare un’alternativa all’attuale, generare un Pantheon, consacrare una carriera letteraria».

Idee E non perché si esprimono in dialetto, vorrei aggiungere per tornare al cuore del libro. Ma invece l’argomento è troppo importante per lasciarlo cadere, e allora domando: hai idea di come si potrebbe fare per creare i lettori che vorremmo e che sono sempre meno, malgrado gli affollamenti ai festival e le scalate alle classifiche?

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"La mia Babele”, in uscita il 6 (pp.editosettembre,daSolferino144, € 16)

L’ora della donna drago

Battaglie del nostro tempo

Hong Kong e le rivolte per i diritti. In un romanzo che intreccia il cammino per l’autonomia femminile alla lotta per le libertà democratiche. 92 4 settembre 2022

Un’anticipazione I

l giorno di San Valentino del 2018, a Taipei, la capitale di Taiwan, successe una cosa destinata a cambiare tutta la mia vita. Ma io allora non lo sapevo, non ne avevo idea, dato che ero altrove, immersa in altre faccende romane e d’amore, e quella piccola nazione insulare non rientrava nella mia personale geografia. Lo capii soltanto un anno e mezzo dopo, il primo pomeriggio di un’estate umida e ardente, mentre camminavo, insieme a un milione di manifestanti che reclamavano i loro diritti, per le strade di Kowloon, il quartiere dello shopping di Hong Kong, e dal cielo piovevano gas lacrimogeni come stelle filanti. Fu lì, a Hong Kong, che imparai il valore della dignità e della forza. E quella lezione mi infuse un nuovo sguardodi Margherita Marvasi

A guidarmi, come un faro, furono lo spirito e l’amicizia di Limi, una ragazzina di diciannove anni che rivendicava, come me, la propria identità, ed era di-

sul mondo, fu come una seconda nascita. Ma ci volle tempo e sofferenza perché si compisse: una specie di incubo, in cui mi ritrovai spettatrice di mondi terribili e senza regole; vidi cadere le persone che amavo, venni tradita, ingannata, e fui costretta ad attraversare, insonne, terre aride e solitarie. Notti buie, in cui dovetti fuggire, nascondermi, perdermi, mettere in discussione tutto quello che pensavo di sapere e, infine, ritornare sui miei passi. Intravedendo, a tratti, il crinale della vita. Finché, un giorno di sole, la disperazione si dissolse e realizzai di essere libera. Libera di muovermi e libera dentro. E cambiò tutto.

Idee Manifestanti con la bandiera Free Hong Kong Revolution Now, a Edinburgh Place, Hong Kong, novembre 2019. A destra: una scena da “Revolution of our times” di Kiwi Chow ImagesGettyviaBloomberg/ChinJustinFoto:

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dy suggeriti dalle guide turistiche. Lei con la gonna corta e lui con i jeans neri a gamba stretta. Una coppia di giovani in amore. Una delle tante. Si svegliavano, facevano l’amore, poi si perdevano tra le strade della capitale, compravano qualcosa, si parlavano all’orecchio, e passeggiavano fino a tarlancandodelrivelandorata,puntobeccatonottegiornideaperchéfannochecapitochemire.vatagioavevavanoteerasa,avevatentigrigliadeldasera.Cenavanoinqualcheristorantecentrocheprofumavadipesceallaeandavanoalettopresto,con-diesserecosìvicini. Mei,laseraprimadelvolodiritorno,compratounagrossavaligiaro-semirigida,perchéquellaconcuiarrivatanoneraabbastanzacapien-daconteneretuttiisouvenircheave-accumulato(...).All’unadinotte,mandatoallamadreunmessag-confermandolechesarebbeatterra-aHongKonglaserasuccessiva.Ave-spentol’abat-jourpermettersiador-Taoeraancorasveglioe,perqual-motivo,insofferente.Nonhomaiesattamentelaragione,mafinìsimiseroadiscutere,forsecomequellichepiantanogranesoloinconsciamentespaventatiall’i-disepararsi,dopoaverpassatodiunionetotale.FattostacheladiSanValentinoavevanobatti-eitonisieranoalzatifinoalincuiMei,miimmaginoesaspe-avevacommessounerrorefatale,aTaochenoneraluiilpadrebambino.Eraincintadelsuoex.Luil’avevaguardatastralunato,spa-gliocchi,incredulo.Non sposta a tutto pur di non sacrificarla. Marciando al suo fianco, per le strade in fiamme di Hong Kong, vedendola combattere, durante quell’estate e poi l’autunno, mi resi conto che anch’io avevo una scelta: potevo arrendermi al risentimento e alla mia vigliaccheria, sentirmi inutile e finita, oppure riprendere in mano la mia vita, credere ancora una giusta,giusto.dafiaccolato,puredaronosassofragilità:tranonminatigazziassolutovoltainmestessaeandareavanti.Fuunprivilegioincontrarequeira-fieri,indomiti,ilorosguardideter-epienidivita.Lalorovolontàdisoccombere.Eforse,piùdiognial-cosa,sentirelapotenzadellaloroarmatisolodiideali,equalche–comeDavidecontroGolia–sfi-unnemicotroppopotente.Ep-scelserodilottare,ediederotutto.QuellocheHongKongmihainsegna-allafine,èchebisognaaccendereladellasperanza,tenerlabensal-ebattersiperquellocheriteniamoEchequandounabattagliaèvacombattutafinoinfondo.Matorniamoindietro,aTaipei,ilgiornodiSanValentinodel2018.C’era-noquestiduestudentiventenni,hon-gkongers,MeieTao.Eranocariniein-namoratieavevanodecisodipassareunweekendromanticoaTaiwan. Quan-doeranoarrivatialPurpleGardenho-teldiTaipei,Meieraincintadiquattromesi,eancheselapancianonsivede-va,Taolosapeva.Avevanotrascorsotregiorniaesplorarelacittà.Melisonoimmaginaticheridevanoesitenevanopermano,traimercatinieilocalitren-

BatistaRobinFoto: Idee Battaglie del nostro tempo

È dedicato “agli indomiti ragazzi di Hong Kong” il nuovo romanzo di Margherita Marvasi, giornalista e viaggiatrice, che da quasi vent’anni vive tra l’Italia e Zanzibar, da dove esplora i Paesi asiatici. Ed è tra le strade infuocate dalle rivolte contro gli attacchi della Cina alle libertà democratiche che l’autrice approda nel 2019.

Le autorità di Taiwan cercarono allora di ottenere la sua estradizione, per processarlo nel loro Paese, ma senza successo: le leggi di Hong Kong non lo permettevano. Così venne proposto un emendamento alla legge sull’estradizione che, se approvato dal parlamento locale, avrebbe avuto delle ricadute politiche su tutti gli hongkongers, consentendo di processare nella Cina continentale gli accusati di alcuni crimini gravi, come lo stupro e l’omicidio. Ma anche reati politici. Fu questa la miccia che accese le proteste. Era l’inizio di giugno e due milioni di persone si riversarono nelle strade affinché la legge venisse ritirata. Fu la più grande sfida popolare al presidente Xi Jinping. C’ero anch’io, al fianco di Limi, a marciare con loro. Q RIPRODUZIONE RISERVATA 2022 GIUNTI EDITORE S.P.A.

Sogni spezzati nel Porto dei profumi

Il Porto Profumato lotta per scongiurare ciò che sta per accadere: l’introduzione della Legge sulla sicurezza nazionale, che porrà fine all’autonomia da Pechino. La storia di Lavinia e di Marek, expat in una città tanto affascinante quanto tentacolare, si fonde alla repressione delle proteste, alle incarcerazioni, alla scomparsa di centinaia di ragazzi in rivolta. E il romanzo si trasforma in un appassionato, intenso faccia a faccia su cosa sia la libertà, a Oriente e a Occidente: sui limiti, sui costi per difenderla. Come sanno gli hongkongers, fiaccati da violenza, pandemia, censura: lo racconta, senza retorica e con coraggio, il documentario di Kiwi Chow, “Revolution of our times”. Presentato a Cannes, bandito in Cina, è ora finalmente sugli schermi italiani. Sabina Minardi “La donna drago” di settembreInpp.GiuntiMarvasiMargheritaEditore,264,€15,90uscitail7 Margherita Marvasi 94 4 settembre 2022

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Un’ora dopo uscì di nuovo, questa volta col suo bagaglio. Come se niente fosse, si avvicinò a un ATM e prelevò l’equivalente di seicento euro con il bancomat di Mei. Poi sollevò una mano, fermò un taxi e si fece portare in aeroporto. Solo un mese più tardi, il tredici marzo, interrogato per l’ennesima volta dalla polizia cinese, Tao si dichiarò colpevole di omicidio e ricostruì tutta la storia.

era sicuro di aver capito. Aveva balbettato qualcosa, senza articolare bene. Allora lei, in preda a un demone sciagurato, ebbe l’improvvida sfrontatezza di sbattergli il telefono sotto il naso e mostrargli un video in cui era nuda e gemeva mentre faceva sesso con l’altro ragazzo. Apriti cielo.

Tao ora tremava di rabbia, la salivazione era abbondante, e gli arti scattarono come quelli di una tarantola, veloce. Afferrò la testa di Mei e la sbatté ripetutamente contro la testata di ottone del letto. Una, due, tre, quattro volte, sempre più forte. Lei cercò di divincolarsi e, in un tonfo, finirono sul pavimento. Ne seguì una breve colluttazione finché Tao, travolto da qualcosa più grande di lui, le afferrò il collo con entrambe le mani, e lì in ginocchio, sopra di lei, strinse, strinse, sempre più forte, con le nocche che diventavano bianche e la bocca che gli tremava per lo sforzo. La strangolò. Forse senza rendersene conto. Forse solo per farla tacere. Ecco, Mei smise di respirare. A quel punto in lui avvenne una trasformazione portentosa, spaventosa. Prese la valigia rosa, la sdraiò a terra, accartocciò in qualche modo il corpo minuto di Mei, ce lo ficcò dentro e richiuse la cerniera. Dopodiché andò in bagno, fece pipì, si lavò le mani e andò a dormire. La mattina si svegliò intorno alle dieci e ordinò la colazione in camera per due, con uova strapazzate, caffè americano e frutta. Per la valigia rosa aveva in mente un altro piano. La tra-

L’autrice

scinò sulla metropolitana, scese alla stazione di Zhuwei, ai margini settentrionali della città, e l’abbandonò dentro un grande cespuglio verde, ben nascosta. Le telecamere dell’albergo lo ripresero quando rientrò alle 18.30.

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96 4 settembre 2022 Teatro e regime

nerapecora

Ero e resto

“White Rabbit” è una dolorosa testimonianza della impossibilità ad essere presenti, un monologo per un interprete diverso sera dopo sera, che scopre il testo all’ultimo momento e instaura così un “dialogo” con l’Autore assente. Non si può svelare molto di più, il gioco a incastro deve restare una sorpresa. Lo spettacolo vanta allestimenti in tutto il mondo, a legger l’elenco si rimane sbalorditi, e continua a girare: nelle prossime settimane è in scena a Nashville, al ro a Teheran nel 2011 per il festival teatrale Fadjr: un giovane, Nassim Soleimanpour, aveva il compito di curare la giuria internazionale di cui facevo parte. La città era scossa da tensioni, il clima era teso. E lui, con qualche intraprendenza, ci invita a vedere un suo spettacolo, fuori programma, quasi clandestino, sfuggendo ai sistematici controlli dell’organizzazione. Era “White Rabbit Red Rabbit”: capimmo subito che si trattava di qualcosa di speciale. Da allora, quel testo anomalo, curioso, drammatico, è stato presentato centinaia di volte, in quasi venti lingue diverse da attori come Whoopi Goldberg, F. Murray Abraham, Ken Loach, Nathan Lane. E in Italia, prodotto dalla agenzia 369gradi, da attori e attrici come Antonio Catania, Daria Deflorian, Vinicio Marchioni, Alessandro Benvenuti. Insomma, un caso mondiale. Ma Nassim, all’epoca, non poteva lasciare il Paese. Ci consegnò il copione dicendo di farne quel che ne volevamo e potevamo.Lo ritrovo a Berlino, cittadino tedesco, fresco di altri successi. È allegro, ironico come lo ricordavo. Ci sediamo in un bar davanti alla Volskbhüne e chiacchieriamo. Prima di tutto di Salman Rushdie, notizia troppo grave per passare sotto silenzio. «Quel che è accaduto è un disastro, non bisogna essere brillanti per commentare: qualcuno ha scritto un libro, e qualcun altro lo ha attaccato con un coltello», scuote la testa Soleimanpour: «Che aggiungere? È di Andrea Porcheddu

Drammaturgo coraggioso e ironico, Nassim  Soleimanpour ha lasciato l’Iran per sfuggire alla censura. E il suo “White Rabbit Red Rabbit” gira ancora per il mondo un assoluto disastro. Non so cosa abbiano pensato in Iran: la mia sensazione è che non ci siano coinvolgimenti diretti, soprattutto in questo periodo di negoziati complicati per il regime. Con Rushdie abbiamo raggiunto l’apice di qualcosa che, però, è esistito sempre e ovunque: “Non sono d’accordo con te, ti elimino”. Meglio provare a riderci su: dobbiamo avvisare gli artisti che la realtà è dura, e ci tocca sopravvivere!».

L’approccio di Nassim è sempre ironico: scherza anche sui problemi per ottenere il passaporto. «Mi era stato ritirato perché avevo rifiutato di fare il servizio militare. È parte di quel che racconto in “White Rabbit”. Dopo anni, ho rifatto le visite mediche e si è scoperto che sono

quasi cieco da un occhio! Risolto il problema. Ma restava quello del visto: servivano inviti ufficiali. Il mio agente, Wolfgang Hoffmann, è di Berlino: si è preso la responsabilità, così in pochi mesi abbiamo lasciato l’Iran».

Idee esaurito, pubblico attento e curioso. Certo non mancano le contraddizioni, a partire dalla occhiuta censura: però, essendo il Paese sciita, è previsto il concetto di “rappresentazione” (mentre è impossibile per i sunniti “rappresentare” il divino) tanto da poter vantare una straordinaria forma tradizionale di sacra rappresentazione, il Tazieh, che narra l’assedio di Karbala e l’eccidio dell’Imam Hussein e della sua famiglia nel 680 d.C. Oggi, poi, non sono pochi gli artisti iraniani conosciuti e amati ovunque: al di là dell’ampia scuola cinematografica, per il teatro basti citare Amir Reza Koohestani.  «C’è tanta passione, ci sono talenti e una nuova generazione di giovani oggi è alla guida delle istituzioni teatrali», dice Soleimanpour: «Ma il teatro ha bisogno di piattaforme, sussidi, fondi per una buona organizzazione. Quando però il governo è conservatore, tutta la cultura ne soffre». Il  primo compromesso è la libertà di espressione, fare i conti con la censura. In Iran sanno bene come “aggirare” le norme, come far arrivare il messaggio attraver-

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4 settembre 2022 97

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Verge Theatre; al Proarts Playhouse a Maui, nelle Hawaii; a Claremore in Oklahoma; alla TeatrerÌa di Mexico City (dove ha raggiuto le 100 repliche) e in Cina, all’Inside-out Theatre di Pechino. E il meccanismo perfetto, per nulla scontato, si è moltiplicato nei lavori successivi, come “Nassim”, prodotto dal Bush Theatre di Londra: «Non ho mai potuto fare i miei spettacoli in Iran, in lingua farsi. Per “Nassim”, muovendoci da un Paese all’altro, incontro diversi attori e attrici. Nella prima parte sono nascosto, dialogo con gli interpreti locali, nella loro lingua, e insegno loro il farsi. Per l’Italia, al Festival Inteatro nel 2018, c’erano Neri Marcorè, Marco Baliani, Lella Costa, Arturo Cirillo e Lucia Mascino. Bravissime e bravissimi. La cosa bella è che, alla fine, si capisce che faccio tutto ciò per mia madre, che non ha mai potuto vedere i miei spettacoli: la chiamiamo in diretta, e parliamo farsi. È l’unico modo per recitare nella mia lingua». Ho ricordi meravigliosi dell’Iran e della sua attenzione per il teatro. Spettacoli sempre all’insegna del tutto

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a TeheranSoleimanpourSotto: NassimaRedin "WhiteGoldbergdestra: WhoopiinVakillasinistra:moscheaaShiraz,Iran.ArecitaRabbitRabbit"NewYork.

so metafore taglienti. Soleimanpour ha una sua posizione: «Non voglio cedere a compromessi. Sono sempre stato “la pecora nera” e faccio di testa mia. Poi, il gioco è cambiato: la scena internazionale mi ha accettato, e non voglio lamentarmi per il teatro iraniano. Penso di aver ottenuto qualcosa di concreto in questi anni, però nessuno dall’Iran mi intervista, nessun artista iraniano mi ha chiamato, anche solo per un caffè. Non so perché abbiano paura. Sono un tipo socievole, non credo di incutere terrore! Magari mi ameranno quando sarò vecchio o postumo». A chiedergli se il suo è un teatro politico, lui sorride e aggira la questione: la politica è come un vento che invade tutto. Anche se il suo approccio non è direttamente politico, raccontare di un giovane che non può viaggiare, di una madre che non può vedere il lavoro del proprio figlio, non è politica? Il teatro può unirci, ridurre le distanze, farci stare vicini. Su Netflix vediamo storie molto ben fatte, perché dovremmo andare a teatro? Eppure continuiamo a sceglierlo per vivere, per ridere Radicalmenteinsieme».iraniano per essere tedesco, e ormai troppo tedesco per essere iraniano, vive come un cittadino del mondo del teatro: «Non voglio essere il “povero iraniano fuggito e immigrato”. Mi piace passeggiare con il mio cane, bere un caffè, chiacchierare. Andare a teatro è come uscire insieme, scambiare i punti di vista, tu mi insegni qualcosa e io ti insegno qualcosa. Tutto qua: non ci sono “poveri iraniani” da accogliere, non c’è il mercato di immigrazione». Finiamo il caffè parlando di matrimoni, di figli, di calcio, di brutti spettacoli. E a chiedergli chi siano i suoi maestri, Nassim demistifica: «I miei colleghi, i teatranti che conosco. Puoi essere tu, il mio regista italiano Omar Elerian, il collettivo Gob Squad, il drammaturgo Chris Torpe a Londra o il fantastico Tim Crouch. Ma il mio maggior maestro è il mio cane, Eco: a lui importa mangiare, dormire, giocare, uscire per pisciare, riprodursi. Non gli interessano né il successo né i soldi». Piccole conquiste che fanno la libertà.

Nei giorni del Festival del cinema di Venezia un incontro sulla rivoluzione digitale nella cultura con il direttore Liro Abbate e l’editore Danilo Iervolino Sorrentino il premio

no concluderà l’incontro e consegnerà il premio a Sorrentino. In questi giorni si può cogliere il lavoro del regista da un’angolazione inattesa, attraverso le foto di scena di Gianni Fiorito. Si intitola “È stata la mano di Dio – Immagini dal set” la mostra, a cura di Maria Savarese (fino al 5 settembre) al Mann, Museo Archeologico Nazionale di Napoli: 51 scatti, nella sala del Toro Farnese, realizzati dal fotografo che collabora con Sorrentino da vent’anni. Una sorta di viaggio nell’immaginario del regista, da Marechiaro a Posillipo, dal Vomero ai Quartieri Spagnoli, dallo Stadio Diego Armando Maradona a piazza del Plebiscito. Temi e personaggi che ricorrono nel film girato nella città partenopea: San Gennaro e o’ munaciello, Napoli anni Ottanta, la famiglia, la passione, la ricerca della felicità, il cinema. Tornano in mente le parole di “Napule è”, la canzone di Pino Daniele che accompagna la scena finale del film: «Napule è mille culure, Napule è mille paure/ Napule è a voce de’ creature che saglie chianu chianu». Sul filo dell’Amarcord e della nostalgia. Q

A Paolo

©RIPRODUZIONE RISERVATA tien’ ’na cosa a raccuntà? E chenodelRisuonanodimmélla!».leparoleregistanapoleta-AntonioCapuano,inrivaalmare esorta Fabietto, giovane protagonista del film di Paolo Sorrentino “È stata la mano di Dio”, Leone d’Argento Gran Premio della Giuria all’edizione 2021 della Mostra del cinema di Venezia, a tirare fuori tutto quello che ha da dire. «Sì!», urla con tutta la voce che ha in gola Fabietto, alter ego adolescente di Sorrentino, prefigurando davanti al mentore il proprio futuro artistico, in una delle scene cult del film. Di cose ne ha dette e raccontate tante Sorrentino attraverastoseriesue“Lasottoboscosuoilinconia.ni,solesuepellicolenegliultimivent’an-conironia,sarcasmo,sottilema-Haraccontatolapoliticaeiriti,ipersonaggideipalazziedelromanone“Ildivo”enegrandebellezza”,ilpoterenellemillesfumatureinvisibilinella“TheYoungPope”,conilsuogu-surreale,disincantato,grottesco,trattispietato.NeigiornidelFestivaldelcinemailregista,52anni,riceveràaVeneziailpremioL’EspressoallaCultura2022,laprimaedizionedelricono-

L’Espresso

di Emanuele Coen A scimento che il settimanale assegnerà d’ora in poi a personalità del mondo della cultura. A consegnare il premio al regista sarà Danilo Iervolino, editore de L’Espresso, a conclusione dell’incontro, organizzato da L’Espresso Media, dal titolo “Il digitale nel mondo della cultura: presente e futuro”, martedì 6 settembre (ore 18,30) a Venezia all’Hotel Aman, Palazzo Papadopoli. Il direttore de L’Espresso, Lirio Abbate, dialogherà con Pif, regista e autore; Fedez, cantante e produttore musicale; Francesca Fagnani, giornalista; Pietro Valsecchi, produttore Taodue Film; Nerio Alessandri, presidente e fondatore di Technogym; Francesco Fimmanò, professore e avvocato, componente del Consiglio di presidenza della Corte dei Conti. Iervoli-

4 settembre 2022 99 Il riconoscimento

umorismo nella vita è tutto, se non ce l’hai meglio che ti spari subito...

Parola di John Landis, cineasta arguto di 72 anni, autore di film-cult sopravvissuti al grigiore del tempo come “The Blues Brothers”, “Animal House”, “Una poltrona per due”, “Il principe cerca moglie” e il celebre videoclip “Thriller” con Michael Jackson. Recentemente ha diretto Arnold Schwarzenegger per doppiare una serie animata (“Superhero Kintergarden”) e ha ricevuto un premio alla carriera al Magna Graecia Film Festival, di cui ha presieduto la Giuria Internazionale.

“Irishman” di Martin Scorsese... «Martin è un mio caro amico, ce l’ha a morte con i film di supereroi della Marvel, ma è vero, ha collaborato con Netflix. Riguardo alle piattaforme penso questo: è positivo che permettano ai film di circolare in tutto il mondo, ma è triste vedere un film in tv, noi registi giriamo i film pensando al grande schermo con un audio di altissimo livello». Nel frattempo il trend dei sequel al cinema sta andando forte: Top Gun 2 è andato bene in tutto il mondo. Non mi sorprende, Jurassic Park è arrivato al quinto capitolo e continua a fare soldi. A me hanno proposto diversi sequel che ho rifiutato, lavorare mi piace, ma i film che mi piacerebbe fare non sono gli stessi che piacciono agli Studios. Mi propongono cose stupide e avendo avuto successi alle spalle non ho voglia di sprecare un solo anno della mia vita».

John Belushi e John Landis nel 1978. A destra: un ritratto del regista statunitense Hollywood? Al collasso. L’Italia? Senza produttori. Ma il cinema non morirà, dice il regista dei mitici “Blues Brothers”  colloquio con John Landis di Claudia Catalli

L’ Protagonisti controllo Un mondofuori 100 4 settembre 2022

Godard diceva che tutto il cinema è politico: oggi tra terrapiattisti, novax e nuove guerre c’è parecchio materiale per il cinema, non trova? «Non per una commedia, c’è poco di cui ridere, il mondo è diventato un posto assai bizzarro. Siamo sulla soglia di uno scontro nucleare, Putin è pazzo». Concorda quindi con Abel Ferrara che ha detto a L’Espresso che siamo sull’orlo di un olocausto nucleare? «Molto, ci siamo più vicini di qualsiasi altro momento storico, dal tempo della crisi dei missili cubani. Viviamo un periodo folle e fuori controllo, mi ricorda gli anni Trenta. Il fatto che Putin abbia invaso l’Ucraina non è casuale, poi, è un Paese che produce più del 50 per cento del grano mondiale». Il cinema ci salverà? «Magari, mi piacerebbe, ma sappiamo che non è così. In America abbiamo avuto una serie di problemi con Trump che si ripercuotono tuttora, è spaventoso vedere tanti politici nel mondo più simili ai cartoni dei Looney Tunes che a governanti di spessore». Che cosa la spaventa di questi politici, oltre al fatto che siano spesso ridicoli?

«Mi preoccupa l’avanzata dell’estrema destra nel mondo. Pensiamo all’assurdità dell’Inghilterra con la Brexit, un’idea profondamente stupida che è diventata realtà. Lo trovo allarmante». Torno a dire che un regista di commedie corrosive come lei ne avrebbe di materiale da portare sullo schermo. Perché non lo fa? «Perché anche ad un regista come me occorrono soldi per girare un film. Persino le piattaforme oggi tremano a rischiare i propri soldi per finanziare i film. Per non parlare della qualità: su Netflix trovi quattrocento film, ce ne fossero due buoni».

«Dai capolavori di Fellini a “I soliti ignoti” passando per i film di Totò ho amato tutto, avete sempre avuto un grande cinema in casa che ha fatto scuola nel mondo. Più che di maestri ed eredi, oggi parlerei dei produttori: dove sono i produttori italiani di qualità del livello di Dino de Laurentiis? Forse sta qui il nocciolo del problema».  Q © RIPRODUZIONE RISERVATA

Ha rifiutato anche il sequel di “Una poltrona per due”? Certo, la sceneggiatura che mi avevano proposto faceva pena. A me hanno rifiutato di produrre il sequel di “Un lupo mannaro americano a Londra”, dicendo che era troppo forte». Ne farà mai una serie? «Mi piacerebbe molto, vediamo. Nulla è reale finché non è reale. Mi fa ridere pensare che l’idea mi è venuta quando avevo 19 anni e ancora mi entusiasma. Vampiri e lupi mannari sono idee idiote ma divertenti. E al cinema funzionano». Tornando a “Una poltrona per due”, 4 settembre 2022 101

E Hollywood come sta? «È al collasso. Prima c’era una decina di major, studios che di fatto erano industrie prolifiche che producevano film di qualità incredibile. Poi è arrivata la televisione e tutto è cambiato.

«Mi piace pensare a un futuro pieno di giovani talenti. Per i cineasti non ci sono più scuse, oggi è possibile realizzare un film professionale con il proprio celErannolulare,perquestoitalenticheracconte-storiecontinuerannoacrescere.ilcinemanonmorirà».

Il cinema sopravviverà all’avanzata delle serie tv? «Ma certo, pensiamo a Bollywood che continua a sfornare successi nel mondo, o al mercato cinematografico cinese che è molto florido».

È stato il pioniere delle metamorfosi al cinema con “Un lupo mannaro americano a Londra”, cosa prova oggi a vedere i tanti film con protagonisti mutanti pronti a trasformarsi? «Un po’ li invidio: noi ci mettemmo una settimana intera a girare quella scena in ogni minimo dettaglio, oggi con la CGI (computer generated imagery per scene, effetti e immagini creati con un software per computer, Ndr.) è tutto più facile».

sa che è un cult amatissimo in Italia? «Merito della sceneggiatura originale, molto intelligente, l’ho amata a prima vista. Era un tipo di commedia screwball alla Frank Capra che mi divertiva, sono felice abbia divertito anche il resto del mondo». Che cosa prova quando riguarda “The Blues Brothers”? «Per dieci anni non l’ho più visto, poi qualche mese fa ero a Bologna, insieme a undicimila persone per Il Cinema Ritrovato a piazza Maggiore. L’ho rivisto e ho pensato: Ma guarda che razza di film strano che ho fatto». Che cosa le manca di più di Belushi?

Idee

Andare al cinema è diventato un evento, non so come evolverà, nessuno lo sa, è un caos». Il futuro del cinema secondo Landis? Coraggio, osi una profezia.

Parliamo del cinema italiano. Ha detto più volte di amarlo molto e da sempre, ma anche che i grandi maestri non si sono curati di lasciare eredi. Lo pensa ancora?

ImagesGettyImages,GettybyContour/GhilardiRiccardoFoto:

«La sua amicizia. John era divertente e caloroso, gli volevo un gran bene e sono ancora furioso con lui per la stupida dipendenza dalla droga che lo ha ucciso».

La guerra, il disastro ambientale, il rifiuto L’autoreperfattedicampimoltissimiscienza...Sarebberodellaiprivilegiatinarrazioniappostaconfondere.americanoallinea

Q RIPRODUZIONE RISERVATA

da palcoscenico”. E gli intrecci con altri protagonisti del tempo: Agrippina, Messalina, Claudio, Seneca.

Come lo storytelling cementa le società e talvolta le distrugge, in un saggio denso e colto, che chiama alla grande avventura del nostro tempo: esercitare un eroico senso critico.

Hans Magnus Enzensberger  Einaudi, pp. 184, € 19

“ARTISTI DELLA SOPRAVVIVENZA”

esempi, dalla storia all’attualità, partendo da un presupposto: raccontare storie è il principio velenoso dell’umanità.

Jonathan Gottschall (trad. Giuliana Oliveto) Bollati Boringhieri, pp. 257, € 24

più calunniato della storia”: un minuzioso racconto dell’uomo, con l’obiettivo di trasmetterne la consensol’anticonformismo, lacomplessità,ricercadeldaautentico“animale

4 settembre 2022 103 Bookmarks/i libri SOPRAVVIVERE È UN’ARTE

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“EX SašaFIGLIO”Filipenko (trad. Claudia Zonghetti) Edizioni e/o, pp. 190, € 18 A cura di Sabina Minardi

“IL LATO OSCURO DELLE STORIE”

Giunti,Silvia“NERONE”Stucchipp.381, € 14,90

Dai suoi saggi impari tantissimo, sempre. Con la sua penna così lieve, e quell’istrionico candore che a ogni pagina ti strappa un sorriso. Anche il suo ultimo libro, “Gli artisti della sopravvivenza” (Einaudi, nell’ottima traduzione di Isabella Amico di Meane), ha l’inconfondibile profumo dissacrante che Hans Magnus Enzensberger sparge in “sessanta vignette letterarie del Novecento”. Chi sono questi grandissimi - da Hamsum a Gor’kij, da Pasternak a Moravia e Ingeborg Bachmann - che hanno attraversato l’ecatombe delle guerre mondiali restando in piedi? Come sono sfuggiti alle purghe di Stalin, agli sgherri di Hitler o ai morsi della fame? Sono degli imboscati, dei funamboli o degli eroi? Per appurarlo l’unica è godersi i lucidissimi mini-ritratti che Enzensberger dedica all’illustre schiera di autori e Nobel. D’annunzio ad esempio, “un clown contro la sua volontà”, con quella villa a Gardone “monumento alla più spudorata sfacciataggine”, ne esce maluccio. Stroncati senza riguardi sia i Cantos di Ezra Pound che “la monotonia e il furore cieco della ripetizione” nei Tropici di Henry Miller, la cui lettura è “un’impresa deprimente”. Stupendo e più in sintonia con la sua vena anarcoidale il ritratto di Jaroslav Hasek: per “Le vicende del bravo soldato Svejk” l’attributo geniale non è spoporzionato”. Le pagine poi dedicate alle poesie di Anna Achmatova, alla vita e al coraggio di Boris Pasternak e soprattutto ai suoi vivi ricordi di Nelly Sachs vibrano di calore. Da questa donna, Nobel nel 1966, “leggera come un uccellino, emanava un’intensità che mi intimidiva”, scrive lui. Sferzanti e caustici i ritratti dei grandi cinici come Céline e Malaparte, Brecht o Ernst Jünger. Centosessantasette densissime pagine in cui, tra tic e manie, Enzensberger ci dona una fulminante storia della letteratura del ventesimo secolo. Una fenomenale galleria di “artisti della sopravvivenza”, capaci di attraversare, sfornando opere indimenticabili, il più tetro “secolo dei lupi”, come lo battezzò Nadezda Mandel’stam.

Tic e manie dei più geniali letterati del ventesimo secolo.Visti da Enzensberger

per le libertà perdute. Arriva in Italia il primo romanzo dell’autore bielorusso (che scrive in russo), già apprezzato per “Croci rosse”. E senza mai citare i luoghi d’origine, immerge nella nonvita della Bielorussia. Affidandosi alla passione dei più giovani per non perdere la  speranza.

STEFANO VASTANO

Eccessivo, vitaArrivadelNeronehacheistinti.disanguinario,corrotto,predaincontrollabiliIlraccontolastoriaciconsegnatodiènetto,etuttonegativo.ora“Veritàedell’imperatore

La storia struggente di un sedicenne che, nellasonno,Paesemetaforaanniindallacalpestatofolla,finiscecomaperlunghidiventaladiunimmersonelnelgrigiore,sconsolatamalinconia

Sangue sulle Olimpiadi Così una generazione ha perduto l’innocenza

nella specialità regina, i cento metri piani; l’esotico ugandese Akii-Bua, oro e primato del mondo nei 400 ostacoli; la ginnasta sovietica tascabile Olga Korbut, anche per l’umanità delle sue lacrime dopo un errore alle parallele asimmetriche; il magnifico pugile cubano Teofilo Stevenson. Le giornate di Olimpia erano un conto alla rovescia prima dell’inizio dell’anno scolastico, se non avevamo «neanche un prete per chiacchierare», ci regalavano una passione collettiva per eroi estranei alle figurine Panini, con il fermento dello stupore per la prima partecipazione consapevole a un evento mondiale. Finché arrivò lui, l’uomo mascherato, a simboleggiare che la festa era finita. Entrarono nel nostro vocabolario, e anche sui muri delle città persino (!) a fini elogiativi, parole come “Settembre nero”, l’organizzazione terroristica palestinese a cui apparteneva l’incappucciato. Parole come “Israele”, che conoscevamo solo per semplici cognizioni geografiche. Spostammo, repentinamente, la nostra attenzione dalle piste, dalle palestre e dai campi alla politica internazionale. Spinti da quell’immagine, al contempo luciferina e affascinante, che le televisioni mandavano e rimandavano, che ci impauriva ma ci soggiogava. Chi era il terrorista, che si affacciava a un balcone, guardava di sotto con un gesto di quotidiana banalità, che era prepotentemente entrato nei nostri giochi di ragazzi neanche fosse il cattivo delle fiabe? Di più: aveva violato la tregua olimpica, un tabù per noi che eravamo ignari circa quanto era successo quattro anni prima in Messico con gli spari sui manifestanti nella capitale che ospitava la precedente edizione. “Settembre nero” era il nome di un gruppo terroristico che prese il nome dal mese dell’offensiva scatenata nel 1970 da re Hussein di Giordania contro la guerriglia palestinese presente nel suo Paese, resterà attivo fino al Monaco 1972, Villaggio olimpico. diventatadel terroristaL’immaginepalestinesecelebrenelmondo

104 4 settembre 2022

Anniversari MONACO 1972

Cinquant’anni fa i terroristi palestinesi di Settembre Nero sequestrarono e uccisero gli atleti israeliani. Sotto gli occhi del mondo che seguiva i Giochi di Gigi Riva Ogni generazione, o frazione di essa, ha la sua perdita dell’innocenza. Per noi, nati alla fine degli Anni Cinquanta e troppo piccoli per piazza Fontana a differenza dei fratelli maggiori (l’avremmo dolorosamente scoperta a posteriori), fu il 5 settembre 1972 di Monaco di Baviera. Sugli schermi delle televisioni, Borzov,mentarecheamericano,sollecitavanovamosultatoneiEravamogliana,alneine,persino.adecidell’“Azzurro”sierata,l’ultimoolimpicodallacalzamaglia.apparveiancorainbiancoeneromentresoloperpiùfortunatimuovevapassiilcolore,unuomotravisatoconunaEraBelfagorcheuscivafictionperincarnarsinelvillaggiodellacittàtedescaarovinarescorciofelicedell’estatespen-dinoiaecicale,sullafalsarigadiAdrianoCelentano.Ilcalciononeraancoracosìinvasivo,sipotevaappassionare,oaffezionare,nonsoloperilbrevespaziodeltrionfo,atletidialtrisport.ImmedesimarsiEnoieravamoAngeloScalzo-oroneltirofossa,Dibiasi-Cagnottotuffi.Eravamolaminutaefragile,cospettodelleAmazzonidapisci-NovellaCalligarisprimameda-femminile,unargento,inpiscina.PietroMennea,unbronzo200metri,ePaolaPignistessori-nei1500metri.Nédisdegna-icampionistranierichepurelafantasia.IlMarkSpitz,setteori,record,nelnuoto,regalòunafortunacriticasupple-aibaffigiàindeclino;Valerijrusso,ilpiùvelocealmondo

erano improntate alla fratellanza e alla gioia. Non fu dunque difficile, poco dopo le 4 del mattino del 5 settembre, per un commando di otto persone intrufolarsi, scavalcando la rete di recinzione, e raggiungere la palazzina degli israeliani in Connollystrasse. Al primo piano trovarono la resistenza dei 132 chili dell’arbitro di lotta greco-romana Yossef Gutfreund che bloccò la porta i secondi necessari perché il suo compagno di stanza Tuvia Sokolovski riuscisse a sfondare una finestra e scappa4 settembre 2022 105

MorningSydneyMcphedran/TheR.Foto: ImagesGettyHerald/ Storie 1973. Contribuirono a fondarlo alcuni dirigenti di al-Fatah, come Abu Jidah, tra i principali collaboratori di Yasser Arafat, o come Abu Daoud che in seguito confessò il suo ruolo nell'ideazione dell'attacco di Monaco. I suoi dirigenti presero come un affronto il rifiuto del Cio di rispondere a una lettera della Federazione Giovanile della Palestina di partecipare con una delegazione ai Giochi estivi tedeschi. A metà luglio, seduti al tavolo di un bar di piazza della Rotonda a Roma, pianificarono l’attentato. La frase chiave e inquietante: «Se non ci permettono di partecipare, perché non prendervi parte a modo nostro?». La sorveglianza al villaggio degli atleti era piuttosto lasca, per scelta. La Germania voleva cancellare dall’immaginario collettivo le Olimpiadi naziste del 1936, il rigore militare teutonico, una proverbiale rigidità di modi. L’operazione simpatia era arrivata a inventare una mascotte dell’evento come il bassotto Waldi, le parole d’ordine

Anniversari re dal retro. Due israeliani morirono subito, perché tentarono di ribellarsi, Moshe Weinberg e Yossef Romano. Altri nove furono fatti prigionieri. Alle 4,47 una donna delle pulizie che udì degli spari diede l’allarme. Un poliziotto si recò sul posto e chiese cosa stesse succedendo. Non ebbe una risposta verbale ma una più eloquente: il corpo di Weinberg venne gettato in strada. Alle 5,08 il commando fece cadere dal terrazzo un foglio con le richieste: la liberazione di 234 detenuti nelle carceri israeliane e dei terroristi tedeschi della Rote Armee Fraktion Andreas Baader e Ulrike Meinhof. Il tutto doveva essere fatto entro le 9, altrimenti sarebbe stato ucciso un ostaggio ogni ora. Quando il mondo si svegliò ghiotto di gare sportive si trovò catapultato in un thriller. C’era già stato il colpo di scena e ora si annunciava una lunga e logorante suspense. Per una capriola della storia, i tedeschi dovevano salvare gli ebrei, mentre si muovevano dietro le quinte personaggi che legavano l’ingombrante passato con l’angosciante presente: proprio quanto nelle intenzioni si voleva evitare. Il presidente del Cio era l’ottantacinquenne Avery Brundage, sospetto di simpatie naziste e di antisemitismo, il quale da boss dello sport americano nel 1936 si era tenacemente battuto contro il boicottaggio delle Olimpiadi di Hitler e si era schierato invano contro l’esclusione per razzismo della Rhodesia (attuale Zimbabwe) dai Giochi di Monaco dove viceversa era stata ammessa la Cina di Taiwan e non la Repubblica popolare di Pechino: un contenzioso tra le due Cine che richiama l’attualità.

L’attenzione era tuttavia rapita dal terrorista con la calzamaglia sul viso che andava e veniva dal balcone. Mentre, lentamente, si cominciavano a riconoscere alcuni membri del commando che avevano scelto abbigliamenti stravaganti per essere distinguieleBrandtBrunoJugoslavia)efautoreGenscherfederaleMonacocontemplavaGheddafi.earruolatilo“Tony”,giolavoratoapadreco,scarpe,negoziatore,bili.ComeLuttifAfifdetto“Issa”,ilcapovoltoanneritoallucidodiocchialidasoleecapellobian-natoaNazarethdamadreebreaepalestinese-cristiano,laureatoBerlinoechecomeingegnereavevaallacostruzionedelvillag-olimpico.OcomeYussufNazzal,cappellodacowboy,cuocodel-stessovillaggio.GlialtrieranostatinelcampoprofughidiShatilaaddestratinellaLibiadelcolonnelloL’unitàdicrisideitedeschiilcapodellapoliziadiManfredSchreiber,ilministrodegliInterniHans-Dietrich(poiministrodegliEsteriedell’indipendenzadiSloveniaCroaziaduranteladissoluzionedellaeilsuoomologobavareseMerk.IlcancelliereeraWillychecontattòlapremierdiIsra-GoldaMeirlaqualerifiutò,oggi Le

Manifestanti chiedono l’interruzione dei giochi dopo il sequestro degli atleti israeliani.

Olimpiadi proseguirono 106 4 settembre 2022

ImagesGetty/Afp(2),ImagesGetty/ShimbunA.Foto:

Storie

Chiese la liberazione dei tre terroristi di Monaco in cambio dei passeggeri. Il governo di Bonn acconsentì probabilmente per cautelarsi da nuovi attentati sul proprio suolo. I tre furono condotti in Libia dove furono accolti con tutti gli onori. Il governo di Israele varò l’operazione “Ira di Dio” per eliminare tutte le persone coinvolte a vario titolo nel massacro di Monaco. Spielberg ne ha ricavato un film di grande successo, “Munich”. Cinquant’anni dopo il conflitto israelo-palestinese continua. L’antisemitismo è sempre più presente in Europa. Dove sono anche risorti diversi gruppi filo e neo-nazisti. L’innocenza perduta esattamente 50 anni fa ha aperto gli occhi alla mia generazione. Ci ha costretto ad abbandonare le figurine degli eroi e a prendere atto che sì, il mondo è cattivo. Un filo rosso che parte dalla Baviera, fa il giro del pianeta e finisce poco distante, in Ucraina.

La commemorazione degli atleti uccisi nello stadio Olimpico di Monaco. A destra: un poliziotto tedesco sul tetto della palazzina del sequestro diremmo senza se e senza ma, qualunque concessione ai terroristi. Il pregiudizio positivo sull’efficienza tedesca induceva noi spettatori della maratona televisiva ante-litteram a pronosticare una felice conclusione della vicenda. Un blitz perfetto, un’irruzione con gas narcotizzanti e la convinzione si rafforzava con gli ultimatum che diventavano penultimatum, rimandati di ora in ora. Fino a quando, ed era già sera, era già buio, si arrivò a una mediazione. Terroristi e ostaggi furono trasferiti con due elicotteri alla base aerea di Furstenfeldbruck dove era in attesa un Boeing 727 per portarli al Cairo. Era stato pianificato l’attacco proprio all’aeroporto e tutto andò storto. Gli agenti posizionati attorno alla pista non avevano elmetti, giubbotti antiproiettile, visori notturni, ricetrasmittenti. I veicoli corazzati di supporto erano rimasti imbottigliati nel traffico e uno addirittura sbagliò strada. Un terzo elicottero con altri rinforzi atterrò a più di un chilometro di distanza. Nonostante questo fu dato l’ordine di aprire il fuoco. I terroristi uccisero con bombe a mano e raffiche di mitra tutti i nove ostaggi. Furono alfine sopraffatti ma in tre furono catturati vivi. All’1,30 del 6 settembre era tutto finito. Si sparse la notizia falsa che gli israeliani erano stati liberati ed erano in buona salute. La verità si fece largo solo alle 3,45 e a comunicarla fu la rete televisiva Abc. Dopo una cerimonia funebre allo stadio olimpico Brundage annunciò tra le polemiche che lo spettacolo doveva continuare. Il fallimento del blitz che contraddiceva tutti i cliché indusse la Germania a costituire un nucleo di forDamasco-Francofortecommandoterrorismo.zespecialidipoliziaperinterventianti-Ilsuccessivo29ottobreundirottòsuZagabriaunvolodellaLufthansa.

Q © RIPRODUZIONE RISERVATA 4 settembre 2022 107

Carceri e diritti Vigili del fuoco detenuti lavorano per l'incendioconteneredi 108 4 settembre 2022

In una popolazione di circa 1,2 milioni di persone dietro le sbarre delle prigioni statali e federali, 800mila hanno un impiego. L’80 per cento si occupa delle strutture: pulizie, bucato, ma anche cucinare, smistare la posta, aggiustare le tubature o ristrutturare parti dell’edificio. Tanti altri, però, lavorano anche all’esterno; sono

I detenuti lavorano praticamente gratis, ma producono, secondo Aclu, 11 miliardi di dollari: due riguardano la produzione di beni, gli altri nove i servizi di manutenzione delle carceri.

4 settembre 2022 109

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DETENUTI SFRUTTATI

Storie

Al lavoro per uno snack Gli schiavi d’America stanno nelle prigioni

Occupazione obbligatoria, punizioni per chi si sottrae. E una paga da fame. Mentre i penitenziari si auto-sostengono e macinano profitti Ore di fatica e solo un mucchio di monetine a fine giornata. Per il lavoro che svolgono dentro e fuori le carceri, i detenuti americani guadagnano spiccioli, nonostante producano miliardi di dollari in beni e servizi. E spiccioli non è un eufemismo: la media va dai 13 ai 52 centesimi all’ora. Meno di cinque dollari al giorno. Alcuni Stati - Alabama, Arkansas, Florida, Georgia, Mississippi, Carolina del Sud, Texas - addirittura non prevedono retribuzione per i reclusi. Sono gli schiavi dell’era contemporanea, denunciano gli attivisti che da tempo si battono per una riforma del sistema. «Gli Stati Uniti spesso puntano il dito contro le condizioni di lavoro in altri Paesi, come la Cina, ad esempio, senza tener conto di quello che succede nelle prigioni di casa nostra», dice Jennifer Turner, autrice di uno studio recente, per conto dell’Aclu (American civil liberties union), che ricostruisce la realtà dello «sfruttamento dei lavoratori incarcerati». Nulla di illegale. Nonostante la schiavitù sia stata abolita centocinquantasette anni fa, il tredicesimo emendamento della Costituzione - che nel 1865 sancì la fine della pratica - prevede un’eccezione per chi sia dietro le sbarre a scontare un crimine. «Noi ci battiamo perché i carcerati vengano trattati come lavoratori a tutdi Manuela Cavalieri e  Donatella Mulvoni

ti gli effetti. Chiediamo che il lavoro sia volontario, con lo stesso salario minimo di chi è libero (in Usa, a livello federale è di 7,25 dollari all’ora, ndr) e le stesse garanzie di sicurezza. È una questione di dignità, non di colpa», continua Turner. La paga, irrisoria, è stagnante da oltre vent’anni. «Detratte le spese legali, con i pochi soldi che restano, i detenuti devono comprare beni di prima necessità come carta igienica, sapone o cibo da integrare a quelli insufficienti passati dalle istituzioni», spiega Jacalyn Goldzweig, attivista della Legal aid society di New York, l’organizzazione più antica degli Usa che fornisce servizio legale gratuito. «Questi beni vengono venduti a prezzo di mercato o spesso maggiorato. Una famiglia su tre si indebita per aiutare il parente in cella», continua.

Da quel momento sono diventato una spesa. Molti penitenziari prevedono solo due pasti, alle nove e alle cinque. Spesso non basta e hai bisogno di acquistare altro cibo e tutto costa caro. Per un periodo sono stato costretto a comprare l’acqua, perché per via di un batterio, si ammalava chiunque bevesse quella del rubinetto. Lavoravo per un po’ d’acqua», ricorda commosso. Garcia porta alla luce un altro problema fondamentale delle carceri americane, quello del lavoro forzato.

Le attività non sono state sospese nemmeno durante la pandemia. I reclusi lavavano la biancheria degli ospedali, operavano nelle camere mortuarie, producevano mascherine e igienizzanti. «Noi però non potevamo usarli», ricorda Wilfredo Laracuente, originario di New York. È uscito dal carcere il 19 luglio 2021, dopo esserci entrato 20 anni fa, quando aveva 25 anni, con una condanna per omicidio e spaccio di droga. «Per otto mesi, non ci è stato permesso di indossare la mascherina per ragioni di sicurezza, ma intanto noi rischiavamo la vita». Oggi, fa parte di 13th Forward, una coalizione impegnata per promuovere la fine del lavoro forzato nelle prigioni. «Inizialmente, ero stato assegnato a Corcraft (le industrie statali presenti in quasi tutti i penitenziari del Paese, ndr). Imbottivamo sedie; non ho mai avuto una protezione, inalavo le esalazioni dei liquidi chimici, non c’era ventilazione adeguata. Tutto veniva venduto a prezzo pieno, mentre io guadagnavo 15 centesimi all’ora. Era il 2002. Dopo sette anni, sono riuscito a raggiungere 45 centesimi. Il loro profitto era immenso, noi invece non riuscivamo a comprare neanche uno snack. Pagavo 33 centesimi per poter inviare un’email». Dopo la fabbrica, un periodo come assistente amministrativo per un’organizzazione non governativa, mentre studiava per laurearsi. «Guadagnavo 28 dollari al mese per un lavoro che a una persona libera ne avrebbe fruttati 40milaEsperienzaall’anno».simile, quella di Kathy Heinzel, originaria del Minnesota e arrestata dopo un tragico incidente automobilistico in California per guida in stato di ebbrezza e omicidio colposo: «Ho scontato la pena nel 2020, dopo cinque anni e mezzo dietro le sbarre. Nel periodo finale, ero nel corpo dei vigili del fuoco. L’addestramento non era sufficiente, rischiavamo la vita per un dollaro all’ora e qualche sconto di pena. Impossibile mettere da parte risparmi per il dopo carcere, dove ti aspetta lo stigma. Nonostante la mia esperienza, ho trovato lavoro solo nei magazzini di Amazon. È durata poco, avevo 61 anni e non reggevo. Per fortuna mi ha assunta un amico come segretaria».Molti,però, non ce la fanno e spesso rientrano nella spirale del crimine. Non servono statistiche per capire che con qualche dollaro in più sul conto, potrebbe essere più facile comprare un po’ di tempo per provare a reintegrarsi nella«Durantesocietà.le ricerche per l’Aclu, mi ha scioccato vedere quanto le amministrazioni pubbliche si affidino ai detenuti per svolgere lavori vitali. Vengono generati miliardi, gli Stati e il sistema dei penitenziari sono i primi beneficiari. Potrebbero assolutamente permettersi una paga dignitosa», riprende Jennifer«LoroTurner.guadagnano, noi viviamo da indigenti», sintetizza polemico Martin Garcia, ex recluso e oggi membro del Marshall project, organizzazione giornalistica no-profit che si occupa del sistema di giustizia penale: «Anche per le famiglie è difficile. Prima dell’arresto per aggressione di primo grado, ero quello che portava i soldi a casa.

Carceri e diritti impegnati come vigili del fuoco a spegnere gli incendi in California, ad esempio, o a ripulire le strade dopo il passaggio di un uragano, come successo in Florida. Molti lavorano negli stabilimenti che producono le targhe delle macchine o le sedie e i banchi usati dagli studenti in aula.

«Si agisce sotto minaccia di punizione. Ero assistente insegnante, c’erano giorni in cui proprio non riuscivo ad Detenuti della contea di Brevard preparano sacchi di sabbia  in vista dell'uragano Irma in Florida

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A lla moderna schiavitù è intrecciato il filo rosso del razzismo. Gli Stati Uniti sono il Paese con il numero più alto di detenuti al mondo. Gli afroamericani hanno un tasso di incarcerazione cinque volte più alto dei bianchi nelle prigioni statali. In dodici Stati, costituiscono più della metà, nonostante non raggiungano il 13 per cento della popolazione nazionale. «In Arkansas, a un afroamericano era stata assegnata la raccolta del cotone in una piantagione in cui un tempo lavoravano gli schiavi», ricorda ancora l’autrice dello studio, Jennifer Turner: «Si è rifiutato, avrebbe fatto qualsiasi altra cosa.

ImagesGettyContrasto,/TimesYorkNewThe/HeislerToddFoto: alzarmi dalla branda. Avevo due figli piccoliacasa,capitavachemiassalisselatristezza.Sesaltiilturno,amenodigraviproblemidisalute,timandanoinisolamento.Perdituttiiprivilegi:nonpuoichiamareituoicari,riceverepo-sta,farelaspesa».InItaliaillavorodeidetenutinonèobbligatorio;queipochicheriesco-noasvolgerneuno,sonoremunerati,hannodirittoamalattiaretribuitaeacontributipensionistici.InUsa,nonsoloèobbligatoriolavorare,nonpuoineanchesceglierelamansione.Enonsitrattadiessereschizzinosi.«Quandotiassegnanoicompitinonbadanoallacostituzionefisica,all’età»,raccontaJaneDorotik,arrestataingiustamenteinCaliforniaescagionatadopo20an-nigrazieall’impegnodell’associazioneLoyolalawschoolprojectfortheinno-cent:«Hovistounadonnaramazzareincarrozzella.Sestaimaleelocomu-nichi,capitachetirispondanodopo48ore».JaneDorotikeraassegnataalgiardinaggio,trailavorimenopagati.Colorado,Utah,Nebraskasonosta-

ti i primi ad abolire il lavoro forzato. «Hanno cambiato la loro Costituzione. Stiamo vivendo una presa di coscienza generale», sostiene ancora Jacalyn Goldzweig della Legal aid society: «Alle prossime elezioni di metà mandato, anche in Oregon, Vermont, Alabama e tiTennessee,glielettorisarannochiama-adecidereseabolirequestapratica».

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Invece, ogni anno, durante la raccolta viene mandato in isolamento. È un esempio del perché ci battiamo per la fine del lavoro obbligatorio».

Cassare la schiavitù per la seconda volta è possibile, sperano i militanti abolizionisti. «Basterebbe che il Congresso si decidesse ad agire», dice determinata Lisa Zucker, che segue gli aspetti legali della New York civil liberties union. «Questo tema è molto difficile da sostenere per due ragioni: i detenuti sono invisibili, non sono una priorità. Inoltre, viviamo in un’epoca in cui si avverte l’incremento della delinquenza e per questo è politicamente pericoloso difendere le istanze dei carcerati. Ma i crimini che una persona ha commesso, non c’entrano: c’è già una punizione. Si tratta della dignità esistanolainrelegislatoridell’essereumano.Abbiamobisognodicoraggiosi,capacidichiede-avocealtacomesiapossibilevivereunPaesechesidefiniscelaterradel-libertà,mentrepermetteancorachepersoneinschiavitù». I detenuti Lamar Gaskin e Joshua Molina, alla macchina per caffè a New York, nell’ambito di un progetto di formazione per baristi

La violenza del Ventennio Alla vigilia della marcia su Roma, nel 1922, uomini del Pnf si impossessarono del piroscafo Accame e fecero rotta su Cardiff. Il sindacato britannico gli impedì l’attracco ma poi il governo decise la marcia indietro L’AVVENTO DEL REGIME Quando i marittimi inglesi boicottarono la nave fascista contro i raid degli squadristi  di Alfio Bernabei L’Emanuele Accame in una foto del 1920 112 4 settembre 2022

rati con “skull and bones” (teschio).

ue mesi prima della marcia su Roma, nel 1922, Mussolini si trovò davanti a un ostacolo imprevisto con il rischio di inciampare e trovarsi in imbarazzo davanti al mondo intero. Dovette temere una battuta d’arresto ai propri piani per avvicinarsi al governo e reagì con furia. L’ostacolo si manifestò a più di mille chilometri di distanza - la prima protesta contro il fascismo al di fuori dei confini italiani e di riverbero internazionale. Un veroRiunitishock.aLondra, i principali sindacati tra cui quelli di portuali, ferrovieri e trasportatori ordinarono il boicottaggio della prima nave a far rotta oltre Manica con un equipaggio formato interamente da fascisti. L’ordine era preciso: niente carico o scarico. Nessun benvenuto ai nuovi “pirati” deco-

Nella sede del Partito fascista a Roma scattò l’allarme. Prima increduli, poi furenti, Mussolini e i vertici del suo partito reagirono con minacce e propositi vendicativi. Proprio quando tutto pareva andare a gonfie vele e la marcia su Roma veniva annunciata sulla stampa italiana come già «in atto», ecco un segnale che, se replicato nei maggiori porti del mondo come Le Havre e New York, avrebbe potuto far deragliare i piani di conquista del potere. Davanti alla prospettiva di possibili boicottaggi di navi italiane equipaggiate da fascisti membri della neonata corporazione marinara, difficilmente Re Vittorio Emanuele III avrebbe potuto chiamare al governo un leader che si dimostrava incapace di assicurare il flusso del commercio marittimo verso l’estero.

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L’Emanuele Accame, un piroscafo di circa 10 mila tonnellate, andava respinto e rispedito in Italia. Un enfatico «no» al fascismo riportato dai giornali più importanti, incluso il Times.

A cento anni esatti da un caso che assunse proporzioni tali da richiedere l’intervento sia del governo italiano che di quello inglese, non è ancora certo a chi venne l’idea di far salpare un piroscafo con 44 fascisti a bordo diretto a Cardiff, nel Galles, all’epoca uno dei principali scali del mondo. Di sicuro c’è che intorno al 20 agosto a Napoli, squadre fasciste capitanate da Aurelio Padovani, membro del Comitato centrale del Pnf, sferrarono attacchi contro «organizzazioni rosse» che culminarono con l’occupazione della sede della Federazione dei lavoratori del mare (Film). Si trattava dell’ennesimo episodio che replicava scon-

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Prima di quell’agosto del ’22, Giulietti aveva avuto rapporti discretamente buoni sia con Gabriele D’Annunzio che con Mussolini quando nei due vedeva ancora tracce di socialismo. Adesso il Mussolini fascista giocava a tirare Giulietti dalla sua parte per puro disegno strategico. Per l’avventura della marcia su Roma non poteva permettersi di inimicarsi troppo il più potente sindacalista nel campo della marina, ma, tra una promessa di collaborazione e l’altra, serpeggiava nel futuro dittatore l’istinto di sbarazzarsi di lui alla prima occasione. Giulietti era uomo troppo furbo e fu tra i primi a sospettare che dietro l’occupazione dell’Accame ci fosse un piano

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A Mussolini, che dipendeva per le finanze al partito anche dai soldi degli armatori da tempo in guerra acerrima contro Giulietti, interessava poter dimostrare che un equipaggio composto interamente da fascisti veniva accolto senza nessun ostacolo in uno dei principali porti del mondo. Oltre a costituire ottima propaganda per il partito sul piano internazionale, contava la prova che i sindacati esteri erano ben disposti ad avere con equipaggi fascisti gli stessi rapporti un tempo avuti dagli uomini di Giulietti.

premeditato per screditarlo.

La notizia fu riportata il giorno dopo dai giornali italiani con la circostanza, errata, che il boicottaggio fosse in atto e che il capitano stesse cercando di far marcia indietro per evitare guai.

Forse tutto sarebbe andato a buon porto se non fosse stato per un articolo apparso la mattina del 23 agosto sul Daily Herald, il quotidiano nazionale inglese dalla parte dei sindacati e del partito laburista. “Fascisti in rotta verso Cardiff” recitava un titolo. “Viaggio di pirati”, un altro. Quello stesso pomeriggio i titoli furono ripresi dai giornali gallesi come l’Evening Express. Sullo sfondo dei resoconti della violenza delle squadre fasciste in Italia, specie contro le sedi sindacali e i centri socialisti, il dilemma su come accogliere il primo equipaggio formato da “blackshirts”. A suggerire una decisione fu il sindacalista Robert Williams, in rappresentanza della Federazione nazionale dei lavoratori nei trasporti. Partecipando alla conferenza nazionale dei portuali e dei fluviali, il venerdi 25 agosto a Londra, ricordò ai delegati la situazione in Italia e suggerì il boicottaggio dell’Accame a sostegno dei sindacati socialisti italiani sotto attacco. In poche ore venne stilato un comunicato congiunto di vari sindacati in cui l’Accame veniva descritta come una «nave pirata»: nessuna assistenza doveva esserle prestata nei porti britannici.

Benito Mussolini nella sua stanza all'Hotel Vesuvio di Napoli nell’ottobre del 1922

tri in atto in altre città portuali tra aderenti alla Film di cui era capo il capitano Giuseppe Giulietti, noto socialista, e quelli appartenenti alla corporazione marinara appena istituita dal fascio. Terminata l’occupazione della sede della Film, i fascisti si impossessarono dell’Emanuele Accame di proprietà dell’armatore Angelo Parodi. Il capitano Umberto Mortola e i suoi uomini annunciarono trionfalmente dal ponte: «Andiamo a Cardiff!», anche se privi della necessaria documentazione, tanto che dalla capitaneria venne sporta immediata denuncia. La notizia della partenza venne riportata dai giornali il mercoledì 23 agosto. Ecco dunque l’Accame in rotta verso l’Inghilterra con a bordo rappresentati del nuovo sindacato fascista, a tutti gli effetti marinai diventati ambasciatori anche di un partito politico sostenuto da bande armate. E adesso? Che accoglienza c’era da aspettarsi a Cardiff? Fino a quel momento nei porti esteri erano giunti equipaggi italiani appartenenti in buona parte a membri della Film di Giulietti, noto all’estero e con tutte le credenziali di un socialista agguerrito. Celebre la sua affermazione rivolta ai compagni meno militanti: «Voi fate del socialismo a chiacchiere e perciò fantastico ed inconcludente, mentre io faccio del socialismo con dei fatti, cioè lo realizzo. Non disturbatemi, altrimenti mi costringerete di mettervi la prua addosso».

In realtà la nave era ancora al largo di Gibilterra.Nellasede del partito nazionale fascista a Roma toccò al suo segretario, Michele Bianchi, farsi carico di sca-

ImagesGettyLibrary/PictureAgostiniDeFoto:

A Cardiff, i rappresentanti di tre sindacati, stivatori, ferrovieri e lavoratori nei trasporti, diramarono ordini ai loro iscritti di «non toccare la nave».

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Vittorio Emanuele III con il presidente Usa Thomas Woodrow Wilson a Roma nel 1919 tenare la controffensiva alludendo alla prospettiva di «inesorabili rappresaglie» nei porti italiani contro le navi inglesi. Non solo diramò comunicati alla stampa ma, sfidando quasi l’impossibile, chiese un incontro urgente con l’ambasciatore inglese a Roma.  Sfrontata, ma evidentemente ritenuta necessaria dal Foreign office, la richiesta venne accolta. Al posto dell’ambasciatore Ronald Graham, «fuori Roma», fu accolto dall’incaricato d’affari, William Kennard. Bianchi si presentò in ambasciata lunedì 28 agosto minacciando gravissime ritorsioni e inevitabili conseguenze sulle relazioni commerciali marittime tra i due Paesi. Nel frattempo, Mussolini si preparava a pubblicare su Il Popolo d’Italia la minaccia più esplicita come se già fosse capo di governo: «Sappiano i leaders delle Trade unions inglesi e sappiano i capi responsabili del governo e dell’opinione pubblica inglese che ogni affronto fatto a quel vapore pregiudicherebbe al massimo grado le relazioni fra popolo inglese e popolo italiano».Dallecarte conservate negli archivi inglesi, si desume che il Foreign office, ovviamente in contatto con Downing Street, prese le minacce molto sul serio. Non è dato sapere se furono attivate pressioni sui sindacati, ma sta di fatto che proprio alla vigilia dell’arrivo dell’Accame, martedi 29, dal quartier generale della National railway union, l’unione dei ferrovieri, la stessa che, secondo il Times, coordinava il boicottaggio, venne diffusa la notizia che c’era stato «un malinteso». E si invitavano i rappresentanti sindacali di Cardiff a salire sulla nave per intervistare il capitano e verificare come stessero le cose. Dapprima a Cardiff il boicottaggio venne attuato e mantenuto, tanto che l’Accame poté avvicinarsi al molo solo quando alcuni marinai italiani di un’altra nave, la Silvio Pellico, si presentarono in aiuto. Ma il giorno dopo, i sindacalisti si recarono a bordo per la verifica come richiesto da Londra. Mentre il console italiano a Cardiff auspicava una rapida soluzione. Il capitano Mortola che parlava un ottimo inglese ci tenne a far valere che era stato addirittura insignito di una medaglia al valore dal capitano Alexander Grant della Royal Navy. Scherzò con i giornalisti: «Abbiamo forse l’aspetto di pirati?».

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D’accordo con i loro quartier generali a Londra, i sindacalisti pervennero ad un compromesso per allentare la tensione. Il boicottaggio poteva essere sospeso, ma solo a patto che capitano ed equipaggio fossero disposti a giurare su un documento che conteneva alcune clausole in forma di obblighi: astenersi da ogni rappresaglia contro i lavoratori d’Italia e a non sminuire il prestigio dei sindacati italiani; rinunciare ad ogni atto di violenza contro gli organizzatori dei sindacati nelle loro attività; non prendere parte a qualsiasi tentativo di distruzione e di violenza contro locali adibiti a pubblicazioni sindacali e contro giornali proletari. Su questi obblighi riportati sia sui giornali inglesi che italiani si tenne una vera e propria cerimonia con tanto di giuramento a bordo sul documento scritto. E la risoluzione dell’impasse venne salutata con giubilo dal partitoAlcunifascista.giorni dopo ,durante il primo congresso marinaro delle organizzazioni fasciste a Genova del 3 e 4 settembre, presenti Bianchi e Parodi, si parlò in tono trionfante di splendido futuro per la corporazione marinara con pesanti allusioni alla fine di Giulietti. Già nei giorni precedenti sia Bianchi che Mussolini avevano incolpato direttamente i «socialisti nostrani» di avere istigato i sindacati inglesi ad istituire il boicottaggio e promesso di dare «severe lezioni» ai responsabili della «macchinazione». A chi erano rivolte queste minacce? A Giulietti? A Giacomo Matteotti che era già noto per i contatti che aveva con i socialisti inglesi e il Labour party? Sta di fatto che, il 7 settembre Giulietti venne braccato da un gruppo di fascisti e scampò per poco a un tentativo di assassinarlo.AdessoMussolini poteva vedere la strada più libera davanti a sé. La prima protesta nata all’estero contro il fascismo era finita con un solenne giuramento su promesse prese per buone dai sindacati inglesi, nessuna delle quali sarebbe mai stata mantenuta.

Lo show di Milly Carlucci è una tentazione irresistibile. Anche per il giornalismo Non toccare, ti dicono quando sei piccolo, non toccare che ti sporchi, che ti bruci, che ti ferisci. Non toccare, fidati e basta. Poi tu ovviamente tocchi e va a finire male. D’altronde non sei ancora adulto, e il rischio è il tuo mestiere, anche se a fondo perduto. Ma quando diventi grande le cose in teoria cambiano. Tranne che in televisione. Appena la sirena canticchia in troppi si precipitano a toccarla, e anche se qualcuno aveva ben raccontato quanto potesse andare male, si fa finta di credere che possa finire bene. L’esempio principe è quello del giornalismo, mestiere antico e onorevole, che è caduto malamente nel calderone del varietà con risultati spesso dubbi. Siamo praticamente circondati dall’informazione gigiona, sguaiata, artefatta, e talmente affamata di toni circensi che quei pochi lavoratori rimasti integri bisognerebbe conservarli come dei panda in via di estinzione, proteggerli in teche protette e volergli anche un po’ bene. Invece il travaso continua, e mentre i talk cercano di sopravvivere con gag di risulta puntando sull’equilibrismo dello show, lo show implacabile pesca tra i talk, giocando ai vasi comunicanti con risultati di gusto ai limiti del dubbio. Giampiero Mughini si era già perso per strada, Michele Cucuzza si è palesato in mutande tra i grandi fratelli,

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#musica L’incubo trent’anni dopo Woodstock

Cecchi Paone ha sbucciato cocchi sull’Isola prima di entrare anche lui nella Casa, di Brosio inutile dire oltre e via così, di male in peggio. Così mentre infuriano morbide polemiche sulla papabile presenza di Enrico Montesano, dovrebbe fare assai più rumore la strana scelta di Luisella Costamagna, il cui nome sarebbe nella lista dei partecipanti di “Ballando con le stelle”, che come ogni anno di questo periodo viene guardata con la stessa circospezione delle carte in una mano di poker in cantina per misurare l’entità del danno. E puntualmente si perde. Giornalista di razza, autrice, scrittrice, prima con Michele Santoro, poi dritta per la sua strada sino al recente Agorà da cui è stata salutata con imbarazzante leggerezza, Costamagna secondo le indiscrezioni firmate Dagospia potrebbe scendere nella pista di Milly Carlucci a passo di rumba, come un’Iva Zanicchi qualsiasi, sedotta dal rumore di un tipo di fama di cui non dovrebbe sentire il bisogno. E soprattutto incurante del fatto che tra un lustrino, un sorriso e una canzone, il mondo dell’informazione perderebbe un altro granello di credibilità, in cambio del gusto basico provato al tocco di quella lucina rossa.

GINO

118 4 settembre 2022 Ho visto cose/tv IL BALLO DELLE SIRENE

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Il fatto che si sia svolto a Rome, in provincia di New York, non fa che sottolineare la grandiosità del disastro che fu l’improvvido tentativo di ricostruire la leggenda di Woodstock, trent’anni dopo. Un istruttivo e drammatico documentario visibile su Netflix col titolo “Trainwreck: Woodstock ’99”, racconta di questa impresa folle e male organizzata, che in realtà aveva avuto un preludio nel 1994 quando fu immaginata un’edizione del venticinquennale alla quale ho avuto la fortuna, o sfortuna a seconda del punto di vista, di partecipare. Per motivi anagrafici avevo bucato l’edizione del 1969, quindi pensai che sarebbe stata una buona occasione, ma anche lì le cose non andarono tutte per il verso giusto: arrivarono 250mila persone, ci fu la pioggia di rito, c’era un cast di tutto rispetto e perfino alcuni dei reduci dell’edizione originale. C’era anche Bob Dylan, e insomma ci furono momenti esaltanti, era interessante vedere una nuova generazione di ragazzi che voleva vivere a suo modo lo spirito di Woodstock. Erano i giovani a renderla attuale e non pateticamente revivalistica. Ma eravamo consapevoli che la storia non fosse giusto ripeterla, e infatti al terzo giorno la maledizione si abbatté con feroce puntualità sotto forma di un disastro organizzativo di proporzioni inaudite. Era finito il cibo, i bagni chimici erano esplosi, l’organizzazione era completamente saltata, ci salvammo attraversando guadi di liquami puzzolenti e arrivando agli alberghi, piuttosto distanti, a piedi. Fu una dura lezione che riguardava soprattutto il falso mito dell’organizzazione CASTALDO

BEATRICE DONDI

“UN’OMBRA SULLA VERITÀ (L’HOMME DE LA CAVE)” di Philippe Le Guay FRANCIA, 114’ aaacc americana. Compresi che al confronto in Italia siamo impeccabili, maestri di efficienza e senso di responsabilità. In America al contrario erano irresponsabili e cialtroni, mettevano in moto eventi di proporzioni gigantesche senza averne il controllo. Non successe nulla di grave, per pura fortuna. Senza aver imparato nulla da questo disastro, hanno deciso di riprovarci nel 1999. Per fortuna quella volta ho resistito alla tentazione di andarci e il documentario di Netflix arriva oggi a confortare la scelta di allora. Le tre puntate sembrano più che altro una serie horror, la prova di come un sogno di pace amore e bella musica possa trasformarsi in un incubo di violenze, droga andata a male, anarchia selvaggia, una sorta di regressione collettiva tipo “Il signore delle mosche”, colpa soprattutto dell’organizzazione che pensò a un’immensa piana di cemento che diventava bollente sotto il sole, con le bottigliette d’acqua a quattro dollari, pochissima sicurezza, nessun servizio di pulizia dell’area, una scaletta musicale poco ragionata e una generale disattenzione che fomentò la progressiva incazzatura del pubblico. Successero cose brutte, ma anche qui solo la buona stella della musica ha impedito che si trasformasse in qualcosa di ancora più tragico. Una lezione su come si può fare a pezzi un mito.

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Una foto di “Trainwreck: Woodstock ’99”

4 settembre 2022 119 AnsaFoto: Scritti al buio/cinema QUEL NEGAZIONISTA IN CANTINA

A Parigi, un professore di liceo si barrica nel sottosuolo. E propala le sue teorie Il cappotto è liso, i modi cortesi, lo sguardo febbrile. Si capisce: quello sconosciuto di mezz’età deve sgombrare la casa della madre morta, alcuni imprevisti rendono il compito ancora più ingrato. Dunque affare fatto: ecco l’assegno, ecco la cantina, porti pure subito le sue cose, concede il venditore. Così il pacato monsieur Fonzic, che insegna storia in un liceo della banlieue, si piazza armi e bagagli in quella cantina sotto un bel palazzo parigino (“L’homme de la cave” recita il polanskiano titolo originale). E non se ne va più, anzi si blinda e ruba anche luce e gas Perchécondominiali.noneravero niente. La cantina gli fa da casa, da rifugio, da covo, come scoprono sgomenti l’ex-proprietario e sua moglie, i signori Sandberg, giovane coppia borghese con qualche brutto ricordo sepolto nel passato. Il capofamiglia infatti è di origini ebraiche, alcuni suoi parenti non tornarono dai lager, anzi quell’appartamento... ma sono cose di cui non ama parlare, e anche questo si capisce. Il capzioso monsieur Fonzic però disdegna le verità ufficiali. Il discorso dominante cela sempre qualcosa, spiega ai condomini incuriositi e alla vulnerabile Justine, figlia adolescente dei Sandberg. Facile, per voi che avete tutto, emarginarci, zittirci, umiliarci. Ma chi dice che le cose debbano andare così? Anzi che siano andate - lager compresi - davvero Già.così?Con i suoi modi cortesi, l’inquilino del sottoscala è un negazionista fuso a un populista. Un blogger che sparge veleno camuffandosi da vittima (anzi, con ribaltamento atroce, da ebreo dei ghetti). Una brutta bestia per i Sandberg, costretti a scoprire che tra i vicini c’è chi è pronto a prendere le sue difese. Dunque a reagire. Anche con violenza... Peccato che Le Guay, già autore di piccoli ordigni implacabili come “Molière in bicicletta” o “Le donne del sesto piano”, così incisivo sul fronte della minaccia, lo sia meno su quello della cosiddetta normalità, come spesso accade. Perché questo film ispirato a una storia vera risalente a una decina d’anni fa, allegoria di un contagio che ormai invade indisturbato tutti i canali, sarà pure laborioso, a tratti convenzionale (le musiche), forse datato. Ma una volta visto resta dentro e scava. Come un tarlo. Come un parassita che resiste a tutto (ma non era un argomento degli antisemiti?). Come monsieur Fonzic.

FABIO FERZETTI

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TIRATURA COPIE 212.300 N. 35 - ANNO LXVII - 4 SETTEMBRE 2022 Certificato ADS n. 8855 del 05/05/2021 Codice ISSN online 2499-0833

Roma

120 4 settembre 2022 L’ESPRESSO VIA IN LUCINA, 17 - 00186 ROMA PRECISOCHE@ESPRESSOEDIT.ITLETTEREALDIRETTORE@ESPRESSOEDIT.IT-ALTRELETTERE E COMMENTI SU LESPRESSO.IT Noi e Voi IO NON MI SENTO ITALIANO RISPONDE STEFANIA ROSSINI [ STEFANIA.ROSSINI@ESPRESSOEDIT.IT ]

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PHOTOEDITOR: Tiziana Faraoni (vicecaporedattrice) RICERCA FOTOGRAFICA: Giorgia Coccia, Mauro Pelella, Elena Turrini SEGRETERIA DI REDAZIONE: Valeria Esposito (coordinamento), Sante Calvaresi, Rosangela D’Onofrio CONTROLLO DI QUALITÀ: Fausto Raso OPINIONI: Altan, Mauro Biani, Massimo Cacciari, Lucio Caracciolo, Franco Corleone, Donatella Di Cesare, Roberto Esposito, Luciano Floridi, Bernard Guetta, Sandro Magister, Marco Dambrosio Makkox, Bruno Manfellotto, Ignazio Marino, Ezio Mauro, Michela Murgia, Denise Pardo, Massimo Riva, Pier Aldo Rovatti, Giorgio Ruffolo, Michele Serra, Raffaele Simone, Bernardo Valli, Gianni Vattimo, Sofia Ventura, Luigi Vicinanza, Luigi Zoja

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Cara Rossini, con le parole dell’indimenticato Giorgio Gaber (“Mi scusi Presidente, ma io non mi sento più italiano”), inizio questa mia breve riflessione che porta alla stessa conclusione: io non mi sento più italiano! Non si appartiene ad un popolo solo perché si è nati casualmente lì, ma perché di un popolo si condividono ideali e storie comuni. Oggi in questa povera Italia non vedo cosa ci sia da condividere. Facciamo morire un bel numero di operai con gli incidenti sul lavoro e tutto tace, per non parlare delle donne assassinate, anche lì nell’inerzia assordante delle leggi e della politica tranne le ridicole parole di circostanza. Viaggiamo tra un mojito e una pizza allegramente verso il baratro economico-finanziario ma mettiamo su una campagna elettorale a suon di dentiere gratuite e mille euro a tutti. Bruciamo migliaia di ettari di boschi e non si fa assolutamente nulla per prevenire gli incendi. Abbiamo ridotto la scuola a un parcheggio e adesso con l’abolizione delle rarissime bocciature la ridurremo ad una farsa. Continuiamo a devastare un territorio sempre più fragile ed indifeso consegnando almeno quattro regioni alla criminalità organizzata che continua nella sua opera di distruzione e cementificazione. Continuiamo a gioire se aumenta la vendita delle auto ma le nostre strade sono sempre più cimiteri pieni di croci. I vecchi sono parcheggiati in attesa del loculo e se ne ignorano completamente possibilità e capacità in nome di un retorico e falso “largo ai giovani” che viene quotidianamente disapplicato. Insomma di questo paese appollaiato sulla tolda del Titanic mentre la nave affonda io non so che farmene, non mi ci riconosco più e constato, con dispiacere ma non posso farci niente, che una vita di impegno come la mia, pur nel mio piccolo non è servita a nulla. A questo punto non posso fare altro che guardare la catastrofe con un bicchiere di vino in mano anche perché non posso fare nulla per impedirlo visto che anche il più sacro dei diritti in una democrazia, il voto, è stato trasformato in farsa. Marco Masolin Caro Masolin, non dimentichi però che la canzone di Gaber chiude così: «Io non mi sento italiano / ma per fortuna o purtroppo / per fortuna lo sono». Un modo per contraddirsi e ricordarci che siamo il Paese delle cadute rovinose e delle rinascite inaspettate. La storia remota e recente ci documenta un’Italia capace di toccare il fondo e di mettere in moto capacità collettive e singole per ridarsi una dignità di nazione. Come dopo il fascismo, dopo il terrorismo o dopo i tanti momenti di crisi economica. Certo, in questo periodo grande è la confusione sotto il cielo e, a dispetto del detto, la situazione non è eccellente, ma grottesca se non tragica. Ed è soprattutto la politica a dare uno spettacolo desolante con una campagna elettorale affrettata e più strumentale del solito. Comunque, se la consola, non siamo gli unici a vivere un momento drammatico: mentre lei sorseggia annichilito il suo vino, altri, con tazze di tè, pinte di birra o bicchieri di vodka in mano, osservano impotenti la discesa agli inferi dei loro Paesi. N. 35 4 SETTEMBRE 2022

DIRETTORE RESPONSABILE: LIRIO ABBATE CAPOREDATTORI CENTRALI: Leopoldo Fabiani (responsabile), Enrico Bellavia (vicario) UFFICIO CENTRALE: Beatrice Dondi (vicecaporedattrice), Sabina Minardi (vicecaporedattrice) REDAZIONE: Federica Bianchi, Paolo Biondani (inviato), Angiola Codacci-Pisanelli (caposervizio), Emanuele Coen (vicecaposervizio), Antonio Fraschilla, Vittorio Malagutti (inviato), Antonia Matarrese, Mauro Munafò (caposervizio web), Carlo Tecce (inviato), Gianfrancesco Turano (inviato), Susanna Turco ART DIRECTOR: Stefano Cipolla (caporedattore) UFFICIO GRAFICO: Martina Cozzi (caposervizio), Alessio Melandri, Emiliano Rapiti (collaboratore)

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Un

Michele Serra Satira Preventiva

L’arte La restaurazione della pittura figurativa, ponendo fine all’arte debosciata dell’ultimo secolo e mezzo (dagli impressionisti in poi), sarà l’inevitabile approdo del grande fermento culturale delle retroguardie che, in tutto il mondo, stanno finalmente spodestando le avanguardie. Tra i più illustri esponenti retroguardisti il francese Joel Delapochette, appena uscito di prigione dopo avere corretto in senso figurativo, con il suo pennarello, le Demoiselles d’Avignon di Picasso, e il russo Igor Popov, che ripropone le icone medievali su legno utilizzando una speciale vernice, di sua invenzione, che attira i tarli.

Il ritorno al passato domina il mondo. Negli Usa il Far West rivive in scuole e parcheggi. In Russia vanno le spie, i preti pazzi e gli avvelenamenti

Sparare

sulla folla col pianista dal vivo

Le sparatorie nei saloon, da sempre molto amate, si sono spostate nei parcheggi dei supermercati e nei corridoi delle scuole, ma conservano intatto lo spirito pionieristico, il fevelocemente.cominciaunapdunquesparo,vettotroedeirededomestosocrepitiodellepallottole,levitti-chestrabuzzanogliocchicaden-all’indietro,ilbecchinochepren-lemisuredelcadavere.Perrende-ancorapiùverosimilel’atmosferabeivecchitempi,gliattentatoriikillerpiùavvedutisiportanodie-unpianista,chesuonaunmoti-introduttivoescappaalprimocomeneimiglioriwestern.SevitrovateinAmerica,enelarcheggiodiunsupermercatooinscuolavedeteunpianistacheasuonare,scappatemolto

CanuIvanIllustrazione:

122 4 settembre 2022 I l remake della spia russa giovane e avvenente che seduce il generale minchione è solo l’ennesimo tocco, molto raffinato, del ritorno al passato che contraddistingue questo scorcio di secolo, così povero di novità e così ricco di suggestioni antiche: Mata Hari, la pestilenza, la soldataglia che saccheggia le città, l’inverno al freddo con i geloni sulle mani, il pericolo giallo, la guerra di Crimea, l’imminente bis della Marcia su Roma. Tutto ritorna. Secondo gli esperti l’assalto ai forni, al grido di «vogliamo il pane», già nella prossima primavera farà felici gli appassionati delle tradizioni più genuine, vecchie di secoli e messe in ombra dalla cosiddetta modernità. Per le cariche di cavalleria, il ritorno della tisi e il rilancio del corsetto di stecche di balena per le fanciulle, è questione di un paio d’anni al massimo. I russi Droni, hackers e algoritmi hanno fatto il loro tempo. Il ritorno della spia in carne e ossa, seducente e ambigua, che nasconde i microfilm nel reggiseno, come nei fumetti degli anni Settanta, dimostra che i russi per primi hanno capito che l’umanità ha inserito la marcia indietro. Il primato di Mosca, in campo reazionario, è schiacciante. Si va dal prete pazzo con la barba lunghissima che maledice il nemico levando al cielo le dita ossute; alla riscoperta del veleno come arma politica, in disuso dai tempi di Lucrezia Borgia; alla quasi totale mancanza di industrie e di attività produttive, che nella mentalità della Russia profonda sono considerate poco spirituali e dunque volgari; alla guerra, con razzie e stupri nei villaggi, come passatempo popolare, in alternativa all’alcol o anche in compresenza.

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Gli americani La risposta americana, benché tardiva, promette bene.

Religione Quanto ai preti pazzi, l’America regge bene il confronto con la Russia. Il reverendo che si barrica in una fattoria con centinaia di fedeli, annuncia la fine del mondo e invita al suicidio collettivo, è ormai una figura tradizionale della vita quotidiana negli States. I predicatori che non si barricano e non predicono l’apocalisse sono pochi e malvisti. I cristiani rinati propongono la prigione per le donne che hanno abortito e la reclusione preventiva per quelle che, essendo incinte, potrebbero farlo. L’obbligo della lettura della Bibbia prima e dopo i pasti fa parte del programma elettorale del senatore ultraconservatore O’Dooley, che ancora oggi, in omaggio all’epopea della Frontiera, ogni mattina va caccia del bisonte malgrado sia estinto.

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