L'Espresso 36

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Settimanale di politica cultura economia N. 36 • anno LXVIII • 11 SETTEMBRE 2022 Domenica 3 euro L’Espresso + La Repubblica In Italia abbinamento obbligatorio alla domenica. Gli altri giorni solo L’Espresso 4 euro ELEZIONI Cinque domande ai candidati dei partiti SANITÀ Con Moratti ministro i privati esultano IDEE Due autrici in dialogo su identità e scrittura Con il ricatto di Putin sul gas arrivano recessione e inflazione. Imprese che rischiano di licenziare e chiudere, famiglie con i bilanci in rosso. Il nuovo governo dovrà affrontare la crisi più dura da decenni  Ottobre nero

11 settembre 2022 3 Altan

Editorialepinioni Arriva una recessione chiamata Putin LirioAbbate 11

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#Musica 118

Il sacrificio di Marcone, eroe borghese di Foggia

COPERTINA Elaborazione su Getty Images Contrasto

Altan 3 Makkox 8 Manfellotto 24 Serra 37 Riva 69 Valli 122

ORubriche

Prima Pagina

Dante, quanto ci manchi

accese sui tesori nei depositi dei musei

Idee

88 numero 36 - 11 settembre 2022 11 settembre 2022 5 Abbonati a SCOPRI L’OFFERTA ILMIOABBONAMENTO.ITSUL’Espresso fa parte in esclusiva per l’Italia del Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi Ricevi la rivista a casa tua per un anno a poco meno di €6,00 al mese (spese di spedizione incluse) Le inchieste e i dibattiti proseguono ogni giorno sul sito e sulle pagine social de L’Espresso. UNISCITI ALLA NOSTRA COMMUNITY lespresso.it @espressonline @espressonline @espressosettimanale 44

Sommario 64 114 78

Una, nessuna e centomila colloquioconE.HakuzwimanaeA.SimioneldiS.Minardi 88 Attenti ai burattini colloquioconGisèleViennediFrancescaDeSanctis 94 Apolidi avanguardia dei popoli DonatellaDiCesare 96 Film Commission sotto i riflettori colloquioconCristinaPriaronediEmanueleCoen 100 colloquioconPupiAvatidiClaudiaCatalli 102 DanieleNalboneeYleniaSina 106 SaraDellabella 110 Luci AntoniaMatarrese 114

Ho visto cose 118

Cinque domande ai candidati 12 L'autunno più nero VittorioMalagutti 14Che affare per l’Italia EileenKeller 22 Se mi lasci ti cancello SusannaTurco 26 Viva Putin, anzi la Nato CarloTecce 30 Così sogna Unione Popolare LoredanaLipperini 34 La campagna dell’odio SimoneAlliva 38 Perché l’imputato Salvini rischia grosso LorenzoTondo 42 Ministra delle cliniche GloriaRiva 44 Difendiamo la legge 194 chiunque sia a vincere FilomenaGallo 46 Il Covid diffonde anche ingiustizia colloquioconWalterScheideldiChiaraSgreccia 50Petrolieri padroni di mare e aria AntonioFraschilla 52 Case con vista sui depositi chimici EricaManna 58 Il cambio di strategia SabatoAngieri 64Il gulag di Navalny SabrinaPisu 70 Texas Holdem, il poker di Beto LucianaGrosso 72 Polveriera Iraq MartaBellingreri 76Tutto il potere ai tecnocrati SimonePieranni 78 Telebanditi, lo squillo molesto AlessandroLongo 80Il padrino che si salvò dalla strage EnricoBellavia 84

La parola 7 Taglio alto 20 Bookmarks 105

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Storie Guatemala, così il governo censura i giornalisti

Scritti al buio 119 Noi e voi 120

LAURA PUGNO

La parola più adatta all’estate, anche a un’estate feroce come è stata questa al termine, la parola a cui comunque non riusciamo a rinunciare, che teniamo cucita in tasca perché sia più vicina al corpo, o forse scritta sulla pelle come un tatuaggio, tanta è la voglia di fare a meno di tutto, e apparire come siamo. Armati fino ai denti e allo stesso tempo Leindifesi.maestre e i maestri di tutto il mondo ci suggeriscono che potremmo tradurla, questa famosa gioia, come pleine conscience, coscienza piena nel senso di intatta e intera, mindfulness, attenzione portata senza sosta e senza colpa a tutto quello che stiamo facendo, qualsiasi cosa sia, e anche se non stiamo facendo nulla

La parola gioia

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(e non far nulla, come sa chiunque ci abbia provato, in realtà è difficilissimo). Il momento in cui, in mezzo a un bosco o in città, sospesi in volo o su una barca che taglia l’acqua, o anche solo fermi in mezzo alle nostre normalissime vite, non siamo più soggetto, siamo una cosa sola con quello che è, non ci distinguiamo dal flusso con la nostra nostalgia del passato – l’infanzia, i primi amori, le estati di tanti anni prima – o la paura del futuro – l’autunno che è in arrivo, i giorni che abbiamo ragione di temere terribili – l’instante in cui c’è solo il presente, e noi in lui. Senza rimorso, senza rimpianto, senza aspettativa o condanna, con tutta l’assoluta potenzialità di uno stato che è sempre iniziale, è sempre il big bang. Che cosa c’è, in fondo, ci dicono i poeti, e tra questi Vittorio Sereni nei bellissimi versi di Appuntamento a ora insolita, di più rivoluzionario?: “È a questo che penso se qualcuno//mi parla di rivoluzione”//dico alla vetrina ritornata deserta.”

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Se abbiamo finalmente compreso cos’è la felicità, e oggi sappiamo che potremmo tradurre questa difficilissima parola con un’altra non meno inquieta, destino– a patto che si tratti di un destino personalissimo, scelto, inventato, solo per noi – cos’è allora, cos’è invece, la gioia?

8 11 settembre 2022

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Attraverso l’arma del gas la Russia

Noi siamo alla vigilia di un voto importante, quello del 25 settembre, quando andremo ad eleggere un Parlamento ridotto rispetto al passato. Una riduzione voluta da un referendum che ha avuto la meglio puntando sul fatto che in tempo di crisi economica ogni sforbiciata ai costi della politica è benvenuta. A questo si è aggiunta la più che decennale polemica contro la Casta. Con gli esponenti della nomenclatura vecchia e nuova che hanno continuato ad occupare, lottizzare, spartire il potere, in Rai e negli enti pubblici, nei ministeri e nelle burocrazie. Nulla sembra essere cambiato, tranne il numero dei parlamentari che andremo ad eleggere. Sono invece aumentate le emergenze che questo Paese deve affrontare, a partire da quella sanitaria: il Covid incombe ancora e impatta su un servizio sanitario nazionale indebolito. In

Q © RIPRODUZIONE RISERVATA

L

EditorialeLirio Abbate

sta cosaaiconcrisi. L’Italial’economiamettendoeuropeaindovràaffrontarla conunnuovogovernoeunParlamentodinominatidaipartiti.Abbiamodecisodirivolgerecandidati cinquedomandeperfarcicapirechisonoeintendonofare

e interruzioni del gas russo di Vladimir Putin devastano i mercati energetici europei, e i prezzi stanno rasentando il surreale. Due domande stabiliranno il clima politico di questo inverno: quanto aumenteranno ancora i prezzi dell’energia? E cosa faranno il governo e il Parlamento futuri per proteggerci?

Molti economisti prevedono una recessione nei prossimi mesi e la moneta europea sta flirtando con il suo livello più basso nei confronti del dollaro. La prospettiva di disordini e litigi tra gli Stati membri incombe. La crisi energetica richiede dalla politica una risposta coraggiosa. Ma immediata. Occorre evitare che il disfacimento dell’energia in Europa si trasformi in un crollo dell’economia.

I politici scelti dai capipartito nella cerchia di amici o dei fedelissimi hanno eliminato alla radice l’idea di rappresentanza. C’è un totale appiattimento dei futuri 600 parlamentari (400 alla Camera, 200 al Senato) alle decisioni del partito di appartenenza. È uno dei maggiori effetti collaterali della legge elettorale con cui ci apprestiamo ad andare al voto: si dà poco spazio al candidato, molto al partito d’appartenenza. Come evitare questo rischio? Chiedendo agli aspiranti parlamentari di raccontare chi sono, da dove vengono, dove intendono andare e con quali risorse. Solo così gli elettori potranno votare per il candidato del proprio collegio che più li rappresenta. Per questo L’Espresso invita i candidati a rispondere alle domande che pubblichiamo nelle pagine che seguono per conoscere i valori in cui crede chi sarà eletto, e comprendere la sua capacità di interpretare, territorio per territorio e con lungimiranza, le paure e le speranze dei cittadini e di tradurle in un serio lavoro parlamentare, di proposta e mediazione.

È una iniziativa che arriva anche dalla collaborazione con il Forum Disuguaglianze e Diversità che in queste settimane ha ascoltato i timori e i suggerimenti della rete di associazioni, organizzazioni, professori e ricercatori della società civile che rappresenta e che ha a cuore la giustizia sociale ed ambientale. Da qui l’idea di chiedere ai candidati, una volta eletti, di lavorare nell’interesse dei cittadini, sulla base degli impegni assunti.

moltissime regioni non si riesce a trovare medici per l’assistenza di base. E poi c’è l’emergenza economica, in cui siamo completamente immersi.

Arriva una recessione chiamata Putin

i fronte alla babele di proclami, annunci, reboanti promesse che non tengono conto della realtà, della ragionevolezza, né, tantomeno, del rigore e dei vincoli di bilancio, L’Espresso si rivolge ai candidati con pochi interrogativi. Le risposte verranno pubblicate su lespresso.it

In che modo si impegna a rimanere libero o libera da interessi e condizionamenti?

Quali sono le due proposte

12 11 settembre 2022 Prima Pagina Verso il voto

Le domande riguardano impegni precisi, non un elenco sterminato, ma due obiettivi per i quali spendere il proprio mandato. Partendo, magari, da qualche successo già conseguito, a dimostrazione di un radicamento territoriale che dovrebbe essere la premessa del consenso. Anche contro una certa idea che sia sufficiente l’acquiescenza al leader per vedersi paracadutare in luoghi nei quali non si è mai operato. Infine, ultima ma non meno importante questione, di fronte a una politica ipocrita sul tema dei costi: chi paga i candidati? Chi sostiene la macchina elettorale? E, soprattutto, quali garanzie offrono donne e uomini in corsa di rimanere immuni dalle lusinghe, se non al ricatto, dei propri finanziaAttendiamotori? vostre all’indirizzo espresso@espressoedit.it

sull’relazioneràInpropriodedicheràore,QuantidipropriocontinuounepensaoSecomeindasuadeirrinunciabilill’agendadellacoalizioneaffrontareParlamentoprioritarie?saràelettoeletta,comedicostruiremanteneredialogoconilterritorioelezione?giorni,settimanealterritorio?chemodo

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Chi sono i finanziatori della sua attivitàneldiCosapolitica?hafattoconcreto territorio nel quale candidato?è

CINQUE DOMANDE AI CANDIDATI

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attività svolta? In quali luoghi?

La crisi economica L’AUTUNNOPIÙNERO DI VITTORIO MALAGUTTI BOLLETTE IMPAZZITE. CAROVITA ALLE STELLE. MUTUI PIÙ CARI. IMPRESE IN CRISI PRONTE A LICENZIARE. BILANCI FAMILIARI IN ROSSO. SI ANNUNCIA UNA STAGIONE DIFFICILE SENZA PRECEDENTI 14 11 settembre 2022

Prima Pagina 11 settembre 2022 15

si prepara ad affrontare la più grave crisi energetica a memoria d’uomo è costretta a navigare a vista, in attesa che l’Europa trovi un accordo per dare un taglio ai prezzi del gas naturale, a cui sono agganciate anche le bollette elettriche.

16 11 settembre 2022

Il tempo stringe. All’inizio di ottobre, l’Arera, l’autorità di regolazione sul mercato dell’energia, aggiornerà le tariffe del gas e dell’elettricità sulla base delle nuove quotazioni di mercato, mai così alte. Le imprese si preparano già al peggio, rallentando la produzione oppure fermandola del tutto nel tentativo di contenere i costi, mentre le famiglie frenano sui consumi anche per effetto dell’aumento generalizzato dei prezzi. È questo lo scenario peggiore possibile, uno scenario che ci riporta indietro nel tempo alla metà degli anni Settanta del secolo scorso, segnati dalla recessione economica associata a un’inflazione a doppia cifra. In una parola, la stagflazione. E intanto, l’Italia che

La crisi economica

MalaguttiVittorio Giornalista

e aziende in difficoltà che prenotano la cassa integrazione per migliaia di dipendenti. I prezzi di gas e luce fuori controllo. La spesa di tutti giorni sempre più cara, mentre tornano ad aumentare i tassi su mutui e prestiti personali. Ecco a voi l’autunno che verrà. La guerra ibrida di Vladimir Putin ha mandato fuori giri l’economia europea. Il ricatto, ora esplicito, di Mosca, via le sanzioni oppure niente gas, ha messo fine alle illusioni. A due anni di distanza dalla grande crisi del Covid una nuova recessione è alle porte. Con una differenza sostanziale, però, rispetto al 2020. Allora il motore produttivo del continente era stato semplicemente spento in attesa che la pandemia facesse il suo corso. Adesso l’impennata dei costi dell’energia, amplificata dalla speculazione, ha inne-

scato una serie di reazioni a catena che né la politica né i banchieri sembrano in grado di controllare. L’Europa appare indifesa, in balia della tempesta. E nell’Italia in piena campagna elettorale, l’unico argine al caos sono i provvedimenti tampone varati da un governo dimissionario.

LUCI SPENTE

La spirale al rialzo delle quotazioni dell’energia avrebbe già mandato al tappeto milioni di imprese e famiglie se dall’inizio dell’anno il governo non fosse intervenuto a più riprese garantendo sgravi fiscali, bonus e rateizzazioni dei pagamenti. Una serie di misure che fino ad agosto hanno raggiunto un valore pari al 3 per cento del Pil, circa 50 miliardi di euro. Di fatto, lo scudo pubblico ha protetto i consumatori dagli effetti più nefasti dell’impennata dei costi energetici e

L I PROVVEDIMENTI DEL GOVERNO PER ALLEGGERIRE IL CARO ENERGIA NON BASTERANNO. SE LA RUSSIA CHIUDERÀ LE FORNITURE SARÀ INEVITABILE IL RAZIONAMENTO

«L’impennata senza precedenti dei prezzi imporrà a tutti di cambiare le abitudini e

nell’immediato futuro anche il nuovo esecutivo, quello che uscirà dalle urne del 25 settembre, non potrà fare altro che proseguire sulla stessa strada inaugurata da MarioFinoraDraghi.l’aumento delle entrate, garantito in parte dal boom turistico estivo e in parte dall’effetto inflazione, ha coperto le spese supplementari senza ricorrere a nuovo deficit pubblico, ma nei prossimi mesi andranno trovate altre risorse nelle pieghe del bilancio dello Stato e con ogni probabilità si restringeranno ancora i margini di manovra per la riduzione del debito in rapporto al Pil. Se poi la Russia chiuderà del tutto il flusso di metano verso Ovest, il prossimo inverno sarà inevitabile ridurre di molto i consumi. I sacrifici, però, saranno necessari anche se le forniture garantite dal Cremlino dovessero restare allo stesso livello di quelle attuali, cioè l’80 per cento della media del 2021.

CONSUMI

Images;Getty/CarrellaImages,G.GettyContrasto,/CristofariA.Foto: (2)Contrasto(3),ImagesGetty14-15:pag. Prima Pagina

consumi consolidati nel tempo», prevede Gilberto Dialuce, nominato un anno fa presidente dell’Enea, l’ente pubblico di ricerca che si occupa di energia, ambiente e sviluppo sostenibile. Nelle settimane scorse l’Enea ha pubblicato uno studio che elenca una serie di “buone pratiche” da adottare nelle nostre case con l’obiettivo di ridurre il peso delle bollette. Secondo il rapporto, il risparmio potrebbe arrivare fino a 240 euro in un anno per la famiglia media, quella che consuma 1.400 metri cubi di gas e 2.700 chilowattora di elettricità. Si va dall’uso efficiente di elettrodomestici e dell’illuminazione fino ai risparmi di gas per cottura cibi e acqua calda. Gran parte di questi interventi sono stati recepiti dal “Piano contenimento dei consumi di gas naturale” presentato martedì 6 settembre dal ministro Roberto Cingolani. Tra i comportamenti virtuosi indicati nel piano c’è la diminuzione a 19 gradi, con due gradi di tolleranza, della temperatura massima in edifici pubblici

Una veduta notturna di Napoli. Nella foto grande: la spesa in un supermercato. In alto: la sala di controllo di una centrale elettrica

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IN CADUTA Quotazione euro contro dollaro negli ultimi dodici mesi CARISSIMO GAS Andamento quotazione dei futures sul gas alla borsa Ttf ELETTROSHOCK 281,24 224,50 211,69 308,07 245,97 230,06 271,31 441,65 543,15 112,40158,59217,63225,95553,92 21Ago 21Set 21Ott 21Nov 21Dic 22Gen 22Feb 22Mar 22Apr 22Mag 22Giu 22Lug 22Ago 22Set elettricimercatiGestoreFonte: Nov2022MarMagGiuSet 1,2 1,15 1,10 1,05 1 300 200 100 0 Nov2022MarMagGiuSet 1 Andamento del prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica alla Borsa elettrica italiana 18 11 settembre 2022

L’efficacia dei provvedimenti evocati dal governo è ovviamente legata alla loro effettiva applicazione. Chi controllerà che, per esempio, i condomini regolino davvero la temperatura come prescritto dalla nuova legge? Dati alla mano, inoltre, si scopre che i risparmi ipotizzati (da 2,7 miliardi di metri cubi a 3,2 miliardi) corrispondono al 4 per cento circa del consumo complessivo di gas in Italia (dati del 2021). L’anno scorso la Russia ha garantito il 40 per cento circa del metano distribuito nel nostro Paese. Va da sé, quindi, che se Vladimir Putin proseguisse nel suo ricatto all’Europa, i risparmi domestici da soli non basterebbero a evitare il

collasso del sistema. Da tempo il governo è alla ricerca di fornitori alternativi, ma l’aumento degli acquisti in Algeria e Azerbaijan, sommato al gas liquido supplementare in arrivo dal Qatar e dagli Stati Uniti, non potranno sostituire del tutto la materia prima di Mosca.

e nei condomini, riducendo di un’ora al giorno il tempo di accensione dei caloriferi. Secondo l’Enea con queste ultime misure amministrative si potrebbe tagliare il consumo di gas di 2,7 miliardi di metri cubi, per il ministero si arriverebbe a 3,2 miliardi se ai risparmi nei consumi domestici si aggiungono quelli negli uffici e nei negozi.

Ecco perché appare sempre più probabile che alla fine il governo sia costretto a imporre una qualche forma di razionamento. È da escludere che i tagli vadano a colpire il gas destinato alla produzione di elettricità (47 per cento del totale) o per il riscaldamento (30 per cento). Se non si troveranno soluzioni alternative, saranno quindi le imprese a farsi carico dai risparmi imposti dalla penuria di metano. Intanto, però, l’aumento continuo dei costi energetici sta già costringendo centinaia di aziende di ogni dimensione a rallentare la produzione o addirittura a programmare delle chiusure più o meno pro-

La crisi economica

LAVORO A RISCHIO

EURO

tendenza del mercato del lavoro, in fase di ripresa dopo lo stop della pandemia. A rischio sono soprattutto i lavoratori a termine e part time, categorie che da tempo ormai trainano la crescita del numero degli occupati. Come se non bastasse sui prossimi mesi gravano anche gli effetti di un dollaro mai così forte negli ultimi vent’anni in rapporto all’euro. Nel solo 2022 la moneta europea ha perso il 12 per cento su quella Usa. Un calo che favorisce gli esportatori verso il mercato americano, ma crea nuove difficoltà per le imprese che devono pa-

TORNANO INFLAZIONE E RECESSIONE COME NEGLI ANNI SETTANTA. MA SALARI E STIPENDI SONO FERMI. A ESSERE COLPITI SARANNO SOPRATTUTTO I MENO ABBIENTI  Fonte: Istat LA SALITA DEI PREZZI Andamento indice dei prezzi al consumo nell’ultimo anno Fonte: Istat Fonte: Standard and Poor’s LA BOLLA DELLE COMODITIES Andamento dei prezzi per categoria di materie prime DOVE CORRE L’INFLAZIONE Aumento dell’indice dei prezzi al consumo per tipologia di spesa 300 150 0 2020 2021 2022 EnergiaMetalli industrialiMaterie prime agricole Ago21 Set 21Ott 21Nov 21Dic 21Gen 22Feb 22Mar 22Apr 22Mag 22Giu 22Lug 22Ago 22 -0,4% -3,8% 31,5% 10,6% 10,3% 6,5% 5,9% 2,4% 1,7% 1,6% 1,5% 0,8% Abitazione, Acqua, elettricità e combustibili Prodotti alimentari e bevande analcolicheTrasporti Servizi

Prima Pagina

Servizi

+10,0 +6,0 +2,0 0 Infografica: Bahut studio 11 settembre 2022 19

Ricreazione, spettacoli e cultura sanitari e spese per la ComunicazioneIstruzionesalute

lungate nelle prossime settimane. Le associazioni degli industriali di Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, il cuore produttivo del Paese, hanno calcolato in 41 miliardi i costi supplementari nel 2022 legati all’aumento dei prezzi di gas ed elettricità. Nelle settimane scorse i sussidi del governo hanno in parte attutito gli effetti della crisi sui conti delle aziende, ma adesso è l’estrema incertezza sul futuro a condizionare le scelte degli imprenditori, che preferiscono tirare i remi in barca in attesa che la tempesta si allontani. E così, in vista di una nuova stretta, si allunga la lista delle imprese che aprono in via precauzionale le procedure di cassa integrazione. Secondo i calcoli dei sindacati, nella sola provincia di Brescia, dove abbondano le fabbriche del settore siderurgico ad alto consumo di energia, sono almeno una sessantina le richieste di Cig provenienti da altrettante aziende.

La cassa in arrivo potrebbe essere solo il primo segnale evidente di un’inversione di ricettivi e di ristorazione articoli e servizi per la casa

Mobili,

Altri beni e servizi Abbigliamento e calzature Alcol e tabacchi

PIANO

Il ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani. Ha elaborato il piano per ridurre i consumi di energia durante l’inverno

20 11 settembre 2022

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che nel prossimo autunno-inverno», dice Marco Pedroni, presidente di Coop Italia.

L’inflazione però non è uguale per tutti: colpisce in primo luogo i meno abbienti. «I beni i cui prezzi stanno salendo più rapidamente, cioè energetici e alimentari, hanno infatti una maggiore rilevanza nel paniere della fascia di a reddito più basso», come ricorda l’ultimo Bollettino economico della Banca d’Italia. Anche l’aumento dei tassi d’interesse deciso dalla Bce già a partire dal giugno scorso ha già innescato un primo ritocco al rialzo del costo dei mutui, un ostacolo in più per giovani e famiglie che vogliono comprare casa.

gare in dollari i loro contratti di fornitura. Costerà di più, per esempio, il gas liquefatto che arriva dall’America in sempre maggiori quantità per sostituire quello russo, ma vale lo stesso discorso anche per molte materie prime.

TAGLIO ALTO MAURO BIANI

Prima Pagina La crisi economica AGF/AntonelliLauraMariaFoto:

PIÙ POVERI

La nuova crisi minaccia quindi di allargare il divario tra ricchi e poveri nel nostro Paese, una tendenza pressoché costante negli ultimi 15 anni. Già nel marzo scorso, l’Istat segnalava che senza la crescita dei prezzi al consumo del 2021, il numero di famiglie in povertà assoluta sarebbe inferiore di 0,5 punti percentuali: il 7 per cento contro il 7,5 rilevato dalle statistiche. Non sono disponibili dati più recenti, ma la situazione non può che essere di molto peggiorata, visto che l’anno scorso l’incremento dei prezzi si era fermato all’1,9 per cento, mentre nei primi otto mesi del 2022 siamo già all’8,4 per cento, il dato peggiore dal 1986. Nell’autunno della crisi energetica, insieme ai prezzi aumenta anche la disuguaglianza, il divario tra ricchi e poveri in un’Italia sempre più spaccata in due. Q

I prezzi aumentano e i salari restano al palo. E così, secondo un rapporto appena presentato da Coop in collaborazione con Nomisma, la perdita del potere d’acquisto per una famiglia con due figli ha già raggiunto il 7,3 per cento del totale della spesa annua. Alcuni beni alimentari, influenzati anche dai forti movimenti speculativi sui mercati internazionali delle materie prime, fanno segnare da settimane aumenti a doppia cifra. Ecco qualche esempio. Per l’olio d’oliva l’aumento è del 33 per cento nell’arco di dodici mesi, la pasta di semola costa il 31 per cento in più dell’estate scorsa mentre la carne di bovino adulto è rincarata del 25 per cento. Nel complesso, secondo i dati diffusi da Coop, l’incremento medio dei listini della grande distribuzione supera il 9 per cento su base annua. Il commercio si prepara una riduzione della domanda. Perché se i prezzi aumentano, e con i prezzi anche l’incertezza per il futuro prossimo, le famiglie non possono fare altro che tagliare i consumi in attesa di tempi migliori. «È già successo nei mesi scorsi e prevediamo che questi risparmi forzati proseguiranno an-

È stata professoressa all’Istituto Europeo di Fiesole ed alla James Madison University.

L’AUTORE

DI EILEEN KELLER

B

Anche se Roma fornisce a Bruxelles più fondi di quanti ne riceva essere nell’Ue conviene. Fuori dall’Unione sarebbe stato impossibile affrontare pandemia e crisi

Europa Oggi 22 11 settembre 2022

Il suo ultimo libro sulla crisi bancaria è stato pubblicato dalla Oxford University Press

ruxelles sperperatrice di soldi, amministrazione gonfiata, troppe decisioni sovrannazionali: per molti l’immagine dell’Ue non è buona quando si pensa ai soldi dei contribuenti mandati alla capitale europea. Ciò che vale per ogni singolo Paese vale anche per l’Unione Europea: appena si comincia a parlare di denaro le cose si complicano. Questo è particolarmente vero per le trattative intorno al budget dell’Ue. L’attuale budget pluriannuale (2021-2027) è stato votato nel 2020. Un risultato notevole, ma per arrivarci, dovendo tener conto degli interessi e delle sensibilità dei 27 membri, è stato necessario uno dei vertici più lunghi della storia dell’Ue. Questa lentezza esasperante risulta dalla volontà di tutti gli Stati di difendere i propri interessi nazionali specifici.Fin

dall’inizio il progetto di integrazione europea disponeva di un budget comune. Ai fondatori sembrava evidente che per fare politica insieme ci volevano mezzi all’altezza delle ambizioni. Durante i primi decenni dopo il trattato di Roma del 1957 veniva finanziata principalmente la politica agricola comune, un progetto chiave soprattutto per la Francia. Nella misura in cui altre competenze venivano trasferite a livello europeo e nuovi membri raggiungevano l’unione, aumentavano anche i mezzi a disposizione delle istituzioni

Inoltre le istituzioni europee sono relativamente parsimoniose: solo il 7% del budget viene utilizzato per l’apparato istituzionale comunitario. La maggior parte dei mezzi torna agli Stati stessi attraverso vari strumenti di sostegno e programmi di sviluppo, permettendo a molti cittadini europei di approfittarne. Il programma più conosciuto è l’Erasmus che permette ai giovani di stare in un altro paese durante gli studi o l’apprendistato. Chi viaggi attraverso l‘Europa scoprirà anche che parchi naturali, monumenti restaurati o altri impianti turistici sono stati sovvenzionati da programmi europei. I fondi europei contribuiscono anche a grandi opere di infrastruttura, progetti di ricerca o allo sviluppo di imprese start-up. Il budget comune dell’Ue ha un doppio obiettivo: garantire una perequazione tra gli Stati e aumentare la competitività dell’insiemeMentredell’Unione.igoverni nazionali dispongono di tasse e altri strumenti per garantire le risorse, l’Ue ha scarsissime risorse proprie. Si finanzia invece attraverso i contributi degli Stati, calcolati principalmente in base alla potenza economica di ogni Paese. Ne segue che alcuni pagano più di

Eileen Keller è specializzata in economia e finanze dell’Ue.

CHE AFFARE PER L’ITALIA

L’attualecomuni.budget dell’Ue è di 1.074,3 miliardi di euro, che sono a disposizione per un periodo di sei anni. In aggiunta a questo budget “regolare” i governi degli Stati membri dell’Ue hanno votato l’eccezionale strumento di rilancio Next Generation Eu (Ngeu) che, con un volume di 750 miliardi, si prefigge di far fronte alle conseguenze economiche e sociali della pandemia.Aprima vista sono cifre impressionanti, è vero. Ma, pensandoci bene, sono piuttosto modeste se si mettono in confronto con le spese degli Stati membri a livello nazionale. Il budget regolare dell’Ue rappresenta solo l’1% dell’insieme del Pil degli Stati membri, mentre le spese pubbliche dei governi nazionali arrivano al 50% del Pil, talvolta anche di più.

esistenti, i margini di manovra per definire la priorità nazionale negli scambi con la commissione sono nettamente più grandi e lasciano spazio a scelte politiche. Grazie ai fondi europei si è potuto avviare il Piano di rilancio, il più grande programma di investimenti nel futuro del paese nella storia recente dell’Italia. Dimenticarlo significa nascondere quanta solidarietà è possibile tra europei.

Un altro esempio di come, proprio nei periodi di crisi, i mezzi comuni dimostrano la loro forza è il programma Sure che ha messo a disposizione, durante la pandemia, crediti a basso interesse per miliardi di euro per permettere di mantenere in attività (ridotta) molti impiegati. 30 milioni di persone hanno potuto evitare la disoccupazione grazie a questo strumento.

Prima Pagina

quello che ricevono direttamente indietro dalla Commissione: il che provoca a volte delle insoddisfazioni in alcuni Paesi, anche in Italia. Rispetto alla popolazione i più grandi “contributori netti“ sono Danimarca, Germania, Svezia, Olanda e Austria. Anche Francia e Italia sono tra i “contributori netti”, come tutti i Paesi fondatori.Bisogna

Vista in questo modo, l’Ue è un ottimo affare.

I banchi del Parlamento Europeo di Bruxelles

11 settembre 2022 23

tenere presente però, e questo si dimentica spesso quando viene stigmatizzato il costo dell’Europa, che una buona parte dei fondi non viene distribuita direttamente ai singoli Paesi, ma vi arriva indirettamente tramite programmi di sostegno, aperti a tutti attraverso appalti (come nella ricerca ad esempio). La quantità di denaro che arriva da Bruxelles dipende dunque anche dalla capacità delle amministrazioni, delle imprese, delle università, della società civile di presentare progetti competitivi.

Chiedersi il perché dei contributi all’Ue è legittimo, soprattutto se il proprio Paese contribuisce più di quello che riceve. Ma il calcolo da fare è più complesso. Indipendentemente dal contributo, sia esso più alto o più basso delle sovvenzioni ricevute, ogni Paese membro dell’Ue gode dei vantaggi che risultano dal mercato interno comune e in modo più generale del peso che l’Ue ha rispetto ad altri attori mondiali. Sono proprio le più grandi potenze economiche dell’Ue, Germania, Francia e Italia, che approfittano, grazie alla loro competitività, del mercato comune e della posizione dell’Ue sulla scena internazionale.Questovale anche per la valuta comune, l’euro, che ha dato una stabilità all’insieme della zona che le singole valute nazionali non avrebbero potuto garantire. La polemica italiana intorno agli svantaggi per l’industria domestica dall’introduzione dell’euro è comprensibile, perché infatti toglieva alle imprese italiane là possibilità di mantenere la competitività grazie alla svalutazione della lira. Ricordiamo invece che l’Italia voleva far parte del club a tutti i costi. La lira da sola sarebbe difficilmente sopravvissuta alla pressione dei mercati nella crisi finanziaria e bancaria. In un sistema stabile l’Italia e la sua industria hanno tutto per essere competitive.

Le relazioni dell'Italia con l'Unione Europea sono state tese per anni. Una delle ragioni decisive è, come spesso accade, il denaro. In effetti, L’Italia è un paese contributore netto per il budget comune dell’Ue e sono in molti a chiedersi se questo sia un investimento fruttuoso. Quali sono i veri flussi dei fondi monetari comuni?

AGFFoto:

Quali interventi permettono (oltre il Next Generation Eu)? Quale ritorno sugli investimenti ha l'Italia?

Traduzione : Amélie Baasner Q

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IL TEMA

Tutto un altro discorso vale per l’Italia quando si guarda al fondo di rilancio Next Generation Eu. Insieme alla Spagna l’Italia appartiene, con 69 miliardi di sovvenzioni e 123 miliardi di crediti a tasso facilitato garantiti dall’Ue, ai maggiori fruitori del fondo. Rispetto ad altri programmi

Eppure Meloni è Meloni. Basta leggere “Io, Giorgia”, autobiografia-manifesto, o il programma della destra, o ascoltarla quando si lascia andare - succede - per ritrovare la sovranista che è in lei. L’afflato nazionalista che

più che agli altri purché avviasse riforme e aderisse a progetti comuni. Si dirà: vantiamo il record del debito, ma non siamo nel 2011, cresce la quota di titoli pubblici in mano alle banche centrali e cala quella degli investitori esteri pronti a scappare quando c’è maltempo. Ma stavolta c’è in più un rischio recessione che avvolge l’Europa intera, Germania compresa (le “nuvole” che Draghi vedeva all’orizzonte); di ricette per la crescita non si parla (produttività, lotta all’evasione fiscale, riforma della burocrazia toccano interessi e rendite che in campagna elettorale meglio di no…); e proposte come le pensioni minime a mille euro (costo, secondo Boeri e Perotti, 33 miliardi), la flat tax, il blocco dei prezzi in cambio di sovvenzioni pubbliche o l’alt alla vendita della fu Alitalia lasciano intravedere un futuro di statalismo, conservazione e scostamenti di bilancio che farebbe la gioia della speculazione internazionale. Per fermarla non basta stare con la Nato. Né invocare Draghi. Dopo averlo osteggiato e licenziato. Q

Di questo, però, si parla poco, c’è solo la corsa di tutti perché della causa principale del carovita, il gas russo, l’arma strategica di Putin, si occupi Mario Draghi: altro dettaglio esaltato per dimostrare l’affidabilità di Meloni, oltre a «la destra al potere perché no… Giorgia non è fascista… c’è Crosetto a frenarla… è la più filoatlantica di tutti… il problema è Salvini… lei parla con Draghi… è piaciuta un casino sia al popolo del Meeting sia al gotha di Cernobbio». Alleluia.

ultima volta che l’Italia è stata costretta a convivere con l’inflazione a due cifre - la feroce tassa sui poveri - correva l’anno 1984. A Palazzo Chigi c’era Craxi e al Tesoro il buon Goria che Forattini disegnava senza volto, come l’uomo di Magritte. L’anno prima le cose era andate peggio tanto che per arginare l’aumento incontrollato dei prezzi (+14,7) si usò la mano forte: prima l’accordo di governo che impegnava i sindacati a sospendere la contrattazione integrativa e la Confindustria ad accettare il rinnovo dei contratti fermi da tempo; poi il blocco degli affitti, la semestralizzazione della scala mobile e il taglio di tre punti di contingenza che spaccò l’unità sindacale e la sinistra. Così nel 1985 l’inflazione scese sotto il dieci (9,2), non lontana dall’8,5 che l’Italia sfiora oggi, presente di guerra, vigilia di elezioni e di possibili, epocali svolte.

A Meloni non bastano le parole per convincere i mercati

alimenta la fiammella di Fratelli d’Italia può generare sogni autarchici, come rivela la critica alla globalizzazione (Le Pen docet), ma suona paradossale in un Paese le cui imprese macinano almeno la metà del loro fatturato esportando all’estero. Sovranismo è anche il tormento dello stare in Europa. Del resto, a differenza sceltainreprireèci,allaCernobbio,diricattavasulnovezonamoèripeteconunaperfinodiBerlusconi,Melonivienedaculturachehapocoachespartireildisegnounitario.Èverochenonpiùaffermazionichoc(«L’eurounamonetasbagliata…proponia-loscioglimentoconcordatodellaeuro»,febbraio2018),masolomesifaallaCamera,discussioneMes,haurlato:«PrimaBruxellesciconlospread,oraconisol-perilCovid».EunasettimanafaaapropositodellesanzioniRussia:«Cichiamavanoautarchi-maavevamoragionenoi».EinfattinellefermeintenzionidiMeloniria-latrattativasulPnrr,perchiede-dipiù(efarepiùdebito)espenderepienaautonomia:ilcontrariodellaUecheall’Italiahadatomolto

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Il MariodelpresidenteConsiglioDraghi

L’

24 11 settembre 2022 Prima Pagina Il commento  di BRUNO MANFELLOTTO

26 11 settembre 2022 Verso il voto SE MI LASCI TI CANCELLO

C PRIMA ZINGARETTI, POI BONINO E LETTA. DOPO AVER MOLLATO TUTTI GLI ALLEATI CALENDA RITENTA CON RENZI. UN TERZO POLO CHE LAVORA PER IL BIG BANG DEL SISTEMA  Cesura/ValliP.M.Foto:

Susanna Turco Giornalista

Matteo Renzi

ho’ ma lo vedi che è pieno de gente che con Calenda s’è attaccata ar tram?». Esterno giorno, martedì 6 settembre alle 18, pieno centro di Roma. Alle spalle di piazza Santi Apostoli, dove il Pd sta celebrando l’avvio di una faticosa campagna elettorale, un ultracinquantenne, a spasso con un barboncino bianco, indica col dito un autobus di passaggio sulla strada, direzione stazione Termini. Sulla fiancata c’è il volto di Emma Bonino, +Europa, candidata all’uninominale col Pd, mollata da Carlo Calenda dopo che «per mesi abbiamo lavorato a una federazione»: «Il 22 luglio abbiamo sottoscritto un patto, dopo una settimana se ne è andato», ha raccontato lei al Corriere. Subito dopo il tram con Bonino - a farlo apposta non ci si sarebbe riusciti - passa un altro bus, appiccicato sul lato sinistro un enorme Nicola Zingaretti che stringe una mano, mentre sta ridendo («ma che avrà mai da ridere», è uno dei tormentoni che accompagnano il governatore del Lazio): da segretario del Pd, fece in tempo a candidare Calenda alle Europee 2019 e anche a vederlo salutare i dem poco dopo l’elezione a Bruxelles, per contrarietà al governo coi Cinque Stelle. Passato (in foto) Zingaretti, il tempo del transito (in foto) di un Matteo Salvini ed ecco il gran finale della saga: il faccione sul retro di un autobus di Enrico Letta. Segretario del Pd, vittima forse non dell’ultimo ma certamente del più clamoroso voltafaccia tra i molti targati Calenda: quello in cui il leader di Azione l’ha lasciato una domenica d’agosto, in diretta tv, formalmente per colpa di Fratoianni e Bonelli.

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e Carlo Calenda

Sarà forse per questo che l’ex premier ha scelto la campagna di comunicazione binaria rosso/nero, tipo ripetizione di un trauma. SUSANNA TURCO

Ed è proprio così, avanzando brillanti proposte e seminando (politicamente) morti e feriti Carlo Calenda, campione di trasversalismo in nome del fare, faro del mondo produttivo (il più applaudito al Forum Ambrosetti di Cernobbio), un carattere che lo sovrasta («vengo a farla accanto a te per fare pace», ha sussurrato a Tajani alla toilette di Villa D’Este, dopo uno scontro), cavalca in questi giorni l’apoteosi del suo sogno più recente. Frontman del cartello Azione più Italia Viva, alleato a Matteo Renzi sotto le insegne di Renew Europe e la sorveglianza che è tutto un programma di uno come Sandro Gozi, cognome nel simbolo e appellativo di «leader del terzo polo», i sondaggi in crescita addirittura sopra a Forza Italia (prossimo agognato obiettivo: le due cifre e il superamento anche dei Cinque Stelle), l’ex sottosegretario, viceministro, ministro, dopo aver strappato al Cavaliere due fedeli inamovibili come Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini sogna di «aprire un cantiere vasto» che chiama «fronte

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Il 2 agosto lui ha scelto di farsi baciare dal leader di Azione cui cedeva il 30 per cento dei seggi uninominali e il 7 agosto, solo cinque giorni dopo, si è visto trasformare quell’accordo principesco in rospo. Così adesso dagli autobus, enorme, intima a chiunque lo guardi: «Scegli» (in una delle copie del manifesto qualcuno ha aggiunto a pennarello: «Meglio di me». Scegli meglio di me).

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normaVedovaBonino,cordova25esattamenterepubblicano»comefacevailluglioquandobattezza-allaStampaEsteral’ac-(poistracciato)conBenedettodellaeMatteoRichetti.Sinquisaremmonelladelgiàvisto:Car-

AL COMUNE DI ROMA IL GRUPPO IV-AZIONE È DURATO SOLO QUATTRO MESI. ORA GLI SCOMMETTITORI SI ESERCITANO SU CHI DEI DUE SARÀ IL PRIMO A TRADIRE

28 11 settembre 2022

Verso il voto

L’altra particolarità è quella dell’alleanza di Calenda con Renzi: uno aveva il simbolo elettorale (Iv), l’altro i voti sufficienti a scavallare il tre per cento. Insieme formano un duo che tocca forse l’apice politico dell’efficacia come comunicatori e dell’inaffidabilità come alleati. Una coppia perfetta. Un giorno sono i tuoi principali sponsor, il giorno dopo: puf, gli acerrimi nemici. Specializzati nel creare enormi aspettative e, nel caso, tradirle. Questione di vivacità intellettuale, di cinismo. O di «carattere», come ebbe a dire una volta uno dei traditi.

Se di Calenda s’è detto, neanche Matteo Renzi scherza quanto a lista di sedotti e abbandonati: oltre a quelli che coincidono (come Letta e Zingaretti) ricordiamo uno dei primi, Pippo Civati. Rottamatore della prima ora e leader della Leopolda 2010, della quale fu traino, rapidamente fagocitato da Renzi che alla fine della kermesse gli rubò il palco per le conclusioni e che l’anno dopo, alla seconda Leopolda, neppure l’invitò. L’allora sindaco di Firenze era un «passo indietro», come dice adesso per Calenda, e finì per fare rapidamente dieci passi oltre: stavolta, dodici anni dopo la prima Leopolda,

lo Calenda che insegue forsennatamente e con buon risultato un qualche obiettivo politico, pronto però ad abbandonarlo in favore del successivo, come in una sete mai doma. Ci sono però due particolarità, che rendono questa corsa praticamente unica. La prima è una specie di paradossale eversività del progetto: questo terzo polo, a differenza di tutti i suoi molti predecessori, non aspira ad unirsi a uno degli altri due poli, bensì a spaccarli entrambi. Teorizza insomma un big bang del sistema. E punta a riportare a Palazzo Chigi Mario Draghi. Vuole cioè rifare un governo nel quale l’unico escluso è Fratelli d’Italia, il partito che tutti i sondaggi predicano il 25 settembre arriverà primo. Peculiare obiettivo, per certi versi. Anche se ovviamente non è l’unico: convive infatti con ipotesi mitologiche come una «nuova maggioranza Ursula» che tecnicamente non sarebbe una maggioranza Ursula perché nell’idea di Calenda non comprenderebbe i Cinque Stelle; e finisce per contemplare (ma solo per amore di paradosso) l’eventualità di governare persino con Giorgia Meloni, se a lei andasse bene Draghi e «un’agenda di buonsenso» (ma in pratica «non lo farà mai, amen»).

ha spostato l’appuntamento per il 2022 che aveva fissato per l’inizio di settembre. Spostò pure quella del 2019, l’edizione della scissione dal Pd e nascita di Italia Viva: segnali, chissà. Su chi tradirà chi si esercitano del resto già gli scommettitori professionisti. Bisogna ricordare infatti che c’è un precedente recentissimo, circa il funzionamento dell’alleanza tra Calenda e Renzi. Quello di Roma, dove il leader di Azione un anno fa si candidò sindaco sfiorando il 20 per cento (19,8) e arrivando, come lista, addirittura primo (19,1 per cento) sopra Fratelli d’Italia e Pd. Per quel risultato, decisivo a lanciare Calenda come leader nazionale, pesò non poco l’alleanza con Renzi: e infatti due dei cinque eletti della lista civica, i più votati, erano in quota Italia Viva. Ma durò poco. Il primo scricchiolìo arrivò una settimana dopo i ballottaggi, quando Calenda pronunciò le ultime parole famose: «La lista rimarrà compatta anche con Iv». Lo strappo invece arrivò quattro mesi dopo, il 23 febbraio,

Allegri siparietti e ironie sugli «ego ingombranti» al lancio della campagna elettorale a Milano. Al Superstudio che ogni anno ospita il Fuorisalone venerdì 2 settembre c’è stato sold out e la ressa per entrare (su questo punto ha un debole Matteo Renzi, i cui eventi straripano di gente assai più di quanto le urne straripino di voti per lui). Calenda ha fatto un intervento conclusivo rutilante, da Sturzo a Salvini, da Rosselli ed Einaudi a Letta passando addirittura per una citazione di Giuseppe Mazzini - non gli manca certo la parlantina. E ha dedicato persino un passaggio all’«innominabile» riforma costituzionale renziana, «unica vera riforma istituzionale proposta a questo Paese», bocciata via referendum, ma valida: «Non c’è un’oncia di vergogna nell’aver perduto. Quei temi sono lì, sono tutti lì, non è una sconfitta che li porta via», ha detto L’inclinazioneCalenda.al«Sì»del cartello del terzo polo somiglia del resto in maniera inquietante a quella dei comitati per il Sì sconfitti nel 2016. Matrice renziana pura: «Al passato grazie, al futuro sì», era lo slogan all’ingresso della prima Leopolda. Renzianismo coniugato con calendismo. Al grido di «sì all’Italia dei sì» mercoledì scorso, 7 settembre, i leader si sono lanciati in una specie di tg streaming con collegamenti da tutta Italia: Calenda dalla banchina del porto di Piombino con polo blu e occhiali da sole diceva sì al rigassificatore (tre giorni prima, intervistato dal Corriere di Torino aveva promesso che si sarebbe collegato dalla Val di Susa, l’uomo è così); Raffaella Paita da Genova diceva sì alla Gronda; Teresa Bellanova da Melendugno magnificava la Tap, Mario Polese dalla valle del Sauro gli impianti Tempa Rossa; a Roma Maria Elena Boschi davanti a un cassonetto del XII Municipio invocava il termovalorizzatore; ad Acerra Francesco Carpano, al posto di Mara Carfagna assente per problemi di salute, spiegava che l’idea per il termovalorizzatore per Roma era venuta proprio «sul modello di questo, che ha risolto i problemi di Napoli». Da Brescia Matteo Renzi, con una faccia invero abbastanza schifata, si scusava per il ritardo e ringraziava Maria Stella Gelmini per essersi sorbita più a lungo di lui la puzza del termovalorizzatore lì accanto («non è un eau de parfume»). Del resto, per citare Calenda, «il lavoro di un politico è dire la verità».

11 settembre 2022 29 FotogrammaAg.-GrecoC.Images,GettyviaBloombergAgf,-FotiaF.Foto: Prima Pagina

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Maria Elena Boschi, Mariastella Gelmini e Mara del SenatogovernoconAdelSopra:elettorale.duranteCarfagnalacampagnailsegretarioPdEnricoLetta.sinistra:MarioDraghiiministridelsuosuibanchi

Anzi per adesso i due paiono filare d’amore e d’accordo persino oltre le aspettative. Telefonate continue, suggerimenti reciproci.

quando i due renziani al Campidoglio, Valerio Casini e Francesca Leoncini uscirono dal gruppo perché i consiglieri di Azione avevano votato per Virginia Raggi come presidente della commissione Expo 2030 («rottura profonda», denunciava la nota, «ennesima decisione che viene presa sopra le nostre teste, senza alcuna condivisione, né prima né dopo»). Emblematica anche la storia del XV Municipio, piena Roma nord: a novembre l’ex candidato presidente della Lista Calenda, Tommaso Martelli, appena sconfitto, era diventato assessore dell’ex rivale dem; a marzo lo stesso Martelli aveva annunciato nel Municipio la nascita del gruppo consiliare Italia Viva, con la migrazione in Iv dei due consiglieri eletti nella Civica di Calenda, e quindi la sparizione dei calendiani dalla zona Foro Italico-Ponte Milvio. Roma farà scuola? Presto per dirlo.

LA RECENTE SVOLTA ATLANTISTA NON BASTERÀ A GIORGIA MELONI PER AVERE LA FIDUCIA DEI PARTNER EUROPEI. E INTANTO RECLUTA I “SUOI” DIPLOMATICI VIVA PUTIN ANZI LA NATO

Carlo Tecce Giornalista

DI CARLO TECCE C

Oggi Giorgia Meloni indossa una politica estera impeccabile, ben stirata sulle posizioni degli Stati Uniti, in tinta con l’alleanza militare Nato. L’ha presa in prestito da Mario Draghi. Oggi. Ieri era diverso. Non più tardi di ieri. «Putin ha idee molto più chiare di Renzi in politica estera, difende l'interesse nazionale mentre Renzi è in balia degli eventi». Parole chiavi: “idee molto chiare”. «Complimenti a Vladimir Putin per la sua quarta elezione a presidente della Federazione russa. La volontà del popolo appare inequivocabile». Parole chiave: “volontà del popolo”. «Guardiamo con interesse a realtà come la Russia di Putin o all'India di Modi. Serve un coordinamento, sapere che

30 11 settembre 2022 ImagesGetty/MasielloA.Foto: Verso il voto

he fatica rovistare nella memoria. Quella cosa lì, no dai, per davvero è successa? E però che noia, scusa, ti ricordi pure di quel giorno infausto? I politici non frequentano con piacere la memoria. La propria soprattutto.

La politica estera sgangherata è preziosa per mietere consensi, la politica estera convenzionale - tralatizia - è necessaria per governare. Et voilà. Quando l’armata di Mosca ha

non siamo soli e che altri condividono le nostre idee. Propongo l'adesione all'associazione “The Movement” di Steve Bannon. È una grande occasione per mettere in relazione le nostre idee con quello che sta accadendo nel resto del mondo. L'idea di una confederazione di Stati liberi e sovrani che decidono di cooperare su materie comuni senza il giogo dei burocrati che vogliono normare tutto». Parole chiavi: “grande occasione”. E i modelli di società, l’Ungheria di Viktor Orban, la Polonia di Mateusz Morawiecki, i neofranchisti spagnoli di Vox, l’Europa di «nazioni indipendenti» che Fratelli d’Italia propugna a Bruxelles e Strasburgo.

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Prima Pagina

Gioventù, capo di Fdi per la provincia di Roma, il 24 febbraio 2022 ha emanato una direttiva per esporre la linea di Giorgia (ci si chiama per nome) e impedire qualsiasi tipo di contestazione. Alcuni hanno scelto la formula orale, Silvestroni ha preferito scrivere e con rigore: «La scelta della Russia di attaccare in Ucraina costringe ad una assunzione di responsabilità che una forza patriottica come la nostra non può eludere. Di fronte a un attacco militare all’Occidente, al di là delle responsabilità, ci si schiera con i propri alleati. La ferma condanna espressa da Giorgia - si legge nel documento visionato dall’Espresso - non lascia spazi a equivoci o distinguo che non potrebbero essere tollerati. Informate tutti che la linea del partito è questa e non condividerla avrà conseguenze immediate. Per tanto è necessario monitorare le azioni dei propri iscritti, per non incorrere in azioni disciplinari». Silvestroni si ritiene soddisfatto. La meticolosa sorveglianza ha funzionato. La base

invaso l’Ucraina con i primi scarponi dei parà all’aeroporto di Kiev, lo stesso 24 febbraio 2022, Meloni ha trascinato Fdi nel gruppone americano contro l’ex ispiratore Putin. Una rapida giravolta che ha denudato le contraddizioni e ancora di più le esitazioni dei vecchi amici di Vlad, Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e i rispettivi partiti. Meloni ha sfruttato la “grande occasione”, non si è consegnata più alle teorie di Bannon, nel frattempo arrestato per frode, graziato da Donald Trump e di nuovo incriminato, ma ha fornito una prova di assoluta lealtà a Washington. Ordinata la manovra di inversione, c’erano i militanti da avvisare, quelli che fino a ieri, appunto, erano invitati a “guardare con interesse” alla Russia di Putin. Così l’esecutivo nazionale e locale di Fdi ha diffuso la bolla papale - Meloni è sovrana di un partito sovranista - nei territori di competenza. L’onorevole uscente e sicuro rientrante Marco Silvestroni, consulente di Meloni quand’era ministro per la

La leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni

na, però, dipende di più da Scholz e Macron che da Biden. In primavera il prossimo segretario generale del ministero degli Esteri verrà da Berlino, lì risiede da un anno l’ambasciatore Armando Varricchio dopo il mandato a Washington e l’esperienza di consigliere diplomatico a Palazzo Chigi con Matteo Renzi. Non ci sono affinità culturali fra Meloni e Varricchio, ma sanno che potrebbero condividere un percorso. Al momento gli interpreti della politica estera di Fdi sono due ex feluche: l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, il ministro plenipotenziario (non ha ottenuto il grado più alto) Stefano Pontecorvo. Ex ministro alla Farnesina con i tecnici di Mario Monti, in passato legato a Gianfranco Fini, ambasciatore negli Stati Uniti e anche in Israele, una doppietta che definisce la sua collocazione internazionale, Terzi ha allevato i dirigenti di Fdi che si occupano del mondo, ha aderito quando il partito era piccino, e stavolta è candidato per un posto ga-

La politica estera di Fdi si trova al punto 25 di 25, cioè l’ultimo, del programma elettorale. Non una pagina striminzita, una metà: «Culla della civiltà occidentale, potenza economica e culturale, Stato fondatore dell’Unione europea e dell’Alleanza Atlantica: dopo troppi anni di marginalità sotto i governi di sinistra, l’Italia deve tornare protagonista in Europa, nel Mediterraneo e nello scacchiere internazionale. Per una politica estera incentrata sulla tutela dell’interesse nazionale e sulla difesa della Patria. Pieno rispetto delle nostre alleanze internazionali, anche adeguando gli stanziamenti per la Difesa ai parametri concordati in sede di Alleanza Atlantica. Al fianco dei nostri alleati internazionali nel sostegno all’Ucraina di fronte all’aggressione della Federazione Russa. Rilanciare il sistema di integrazione europea, per un’Europa delle Patrie, fondata sull’interesse dei popoli e capace di affrontare le sfide del nostro tempo». Ampi messaggi di conforto per gli americani, che Meloni ha conosciuto con le sue trasferte alle conferenze dei repubblicani e ha rassicurato già in ogni modo, deliziosi cioccolatini per la Nato che guerra o non guerra invita a fare incetta di baionette, munizioni, fregate, carri armati e adora lo sferragliare delle fabbriche belliche. Fdi è più timida con l’Unione. Va bene la conversione, però con prudenza, graduale, perché altrimenti si instilla il dubbio che forse era soltanto propaganda, anche a buon mercato, comoda, facile e di bella resa.

32 11 settembre 2022

EX FELUCHE

Le righe equivoche e scolastiche sull’Europa delle Patrie non bastano a intaccare (non mutare) le opinioni (o pregiudizi) di francesi e tedeschi. Per il presidente Emmanuel Macron e il cancelliere Olaf Scholz, i copiloti d’Europa, Fdi rimane il partito nipote dei fascisti e un pericolo per l’Unione. Non sorprende. Ciò che sorprende, invece, è che Meloni non sia riuscita a recuperare un minimo di considerazione dei (probabili) futuri colleghi. Ha sottovalutato la questione. Per mancanza di classe dirigente e di lungimiranza. Gli americani non potrebbero accettare mai un governo filorusso o filocinese in Italia, ma possono accettare volentieri, o comunque non se ne fanno un cruccio, un governo con pessime relazioni a Berlino e Parigi. La tenuta economica italia-

Stefano Pontecorvo, già ministronelSopra:Natorappresentante dellaaKabul.GiulioTerzi,governoMontieradegliEsteri

Verso il voto ha accettato, ha compreso, ha approvato. Non ha protestato.

Q © RIPRODUZIONE RISERVATA UN DOCUMENTO INTERNO “ORDINA” AI MILITANTI DI ADERIRE ALLA NUOVA LINEA. E MINACCIA “AZIONI DISCIPLINARI” SE QUALCUNO NON SI ADEGUA

Nell’altraMacron.

con Fdi e con la carica di presidente del Copasir, il comitato parlamentare che vigila sull’operato dei servizi segreti. Questa combinazione istituzionale e politica gli permette di ambire a un ruolo rilevante in un governo di destra. Non è un dettaglio che durante la campagna elettorale abbia svolto un viaggio fra Ucraina e Stati Uniti. Ci si attende una parte da protagonista per il diplomatico Mario Cospito, già collaboratore di Urso viceministro, ambasciatore in Romania e da un anno e mezzo vicepresidente di Avio (aerospazio). Da un paio di settimane il diplomatico Bruno Archi è arrivato alla Fao (organizzazione Onu) dopo il breve servizio col ministro Mariastella Gelmini: assai caro a Gianni Letta, ex viceministro forzista agli Esteri, in un governo di centrodestra (non destracentro) potrebbe fare un altro balzo verso gli uffici di Palazzo Chigi. Niente è precluso, niente è incoerente. Basta disattivare la memoria.

11 settembre 2022 33 Getty/Afp,GEtty/AlliancePictureAgf,/FrassinettiFoto: Prima Pagina

Sopra: Giorgia Meloni con Steve Bannon. A sinistra: Emmanuel pagina: Olaf Vladimir Putin

rantito di senatore. Pontecorvo ha concluso la sua carriera all’ambasciata italiana in Pakistan e poi da rappresentante “civile” della Nato in Afghanistan. S’è ritrovato all’aeroporto di Kabul nei giorni della drammatica evacuazione (fuga) degli occidentali dopo il ritorno dei talebani, sospinto dai media ne ha ricavato in visibilità, quasi protagonista di una quasi epica, interviste, seminari e di recente un libro, però lo scorso anno L’Espresso ha raccontato le inefficienze Nato proprio in quella fase. Nonostante la popolarità, a febbraio la Farnesina l’ha congedato al compimento dei 65 anni sprovvisto del titolo di Ancheambasciatore.AdolfoUrsosi prepara alla consacrazione con un corredo di agganci negli ambienti internazionali. Fu due volte viceministro nei governi di Berlusconi e sempre con delega al Commercio Estero. Dopo la dissoluzione di Alleanza Nazionale e la fugace avventura di Futuro e Libertà, Urso ha saltato una legislatura e ha ricominciato

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Verso il voto

34 11 settembre 2022

A rievocare questa vicenda è uno studioso, scrittore e filosofo che va nominato nel raccontare il programma elettorale di Unione Popolare: si tratta di Mark Fisher, autore fra l’altro del famoso “Realismo capitalista” ma anche di un testo meno noto ma importante come “The weird and the eerie” (grossomodo, lo strano, il fuori posto). Ecco, Fisher dice delle due ragazze scomparse che sono in grado di compiere il passaggio e di saltare nell’ignoto, mentre Irma, che torna indietro, non riesce a liberarsi dalla pesantezza del già noto e del quotidiano.

La metafora sembra perfetta per le dichiarazioni di intenti di Unione Popolare: perché una volta letto attentamente il programma spunta sulle labbra l’antica interiezione romanesca: che je voi dì?

zione di 10.000 ispettori del lavoro, eliminazione dell’Iva su prodotti di prima necessità e ripristino della scala mobile. Altro che “eerie”, altro che sognante: alloggi pubblici, aumento del reddito di cittadinanza e delle pensioni, sostegno alle aree interne. Si legge e si sogna, cullati dalle parole di una scrittrice come Sandra Newman, autrice del bellissimo “I cieli”, che non molto tempo fa mise in guardia dall’abuso di distopie: «non c’è nulla di vergognoso, infantile e irrealistico nel volere un mondo migliore. Dobbiamo lasciarci alle spalle la superstizione che ogni tentativo di risolvere i nostri problemi finisca nella distopia di Orwell. La storia ci insegna che le buone intenzioni non sono un segno di fallimento: dobbiamo permetterci di ragionare in

C’è tutto quel che si può sognare e di certo c’è il salto nell’ignoto. Cito: «è l’unico programma pacifista e contro le guerre, per la fratellanza universale, la giustizia sociale, economica ed ambientale, contro corruzioni e mafie». Ed è solo l’inizio. Perché le 120 proposte elencano tutto il desiderabile: salario minimo legale di almeno 10 euro lordi e riduzione dell’orario di lavoro, ritorno al contratto a tempo indeterminato e abolizione del Jobs Acts, assun-

Nel programma del gruppo di sinistra c’è tutto il desiderabile. Pace, lavoro, giustizia sociale e ambientale. Ma niente, invece, su come raggiungere gli obiettivi

icordate “Picnic at Hanging Rock”? È un bellissimo, inquietante romanzo scritto da Joan Lindsay nel 1967, poi film di Peter Weir nel 1975, e più recentemente serie televisiva. La storia, che per un po’ è passata per vera, è quella di un gruppo di studentesse del collegio australiano di Appleyard, che il giorno di San Valentino del 1900 va in gita fino al gruppo roccioso della Hanging Rock. Tre di loro, Miranda, Irma e Marion, più la professoressa di matematica Greta McCraw, si allontanano e scompaiono. Irma riapparirà, ma priva di memoria. Delle altre non si saprà più nulla.

Loredana Lipperini Giornalista

COSÌ SOGNA UNI LOREDANA LIPPERINI

DI

Una manifestazione di Unione Popolare

E dunque ragioniamo. Spesa pubblica nella sanità che non scenda sotto la media europea, cure dentistiche a prezzi economici o gratuite, rafforzamento dei centri antiviolenza, estensione del congedo di paternità, consultori gratuiti e laici, applicazione della 194, approvazione dello ius soli e della cittadinanza ai figli degli immigrati, abrogazione della Bossi-Fini.

Però a un certo punto ci si fanno un paio di domande: perché nei fatti il programma, ripreso in gran parte da quello del francese Mélenchon e da Sinistra Europea, prevede l’autonomia dell’Italia, sia dall’Unione europea («superamento delle politiche di bilancio stabilite dall’accordo di Maastricht e dal semestre europeo») che dalla Nato. E qui ci si chiede: si può fare sul serio? Bisogna essere uto-

Q ©RIPRODUZIONE RISERVATAAgf-MarfisiN.Foto: Prima Pagina

termini utopistici, e di agire pragmaticamente per farli diventare realtà».

pistici, questo è vero: ma fino a che punto? E, soprattutto, con quali coperture?

11 settembre 2022 35

Sorge il sospetto che nel programma sia finito tutto quello che ci si può mettere per immaginare un mondo diverso, ma senza vincolo di fattibilità: un po’ il contrario politico dell’OuLiPo e della sua letteratura potenziale, che invece poneva vincoli proprio per stimolare gli scrittori. O quasi tutto. Perché per esempio nella parte che riguarda la scuola (dove finalmente si parla di eliminazione delle classi pollaio e di stabilizzazione del personale precario), magari si poteva accogliere la molto più strutturata proposta di legge di iniziativa popolare “Per la scuola della Costituzione” (Lip), firmata da oltre 100.000 cittadini, che ha soggiornato in parlamento tra il 2006 e il 2017 senza uscire dalla commissione Istruzione per essere discussa in aula. E allora ci si chiede: perché non affidarsi a un progetto saldo per farne un altro? Perché pensare di poter fare tutto da soli?

ONE POPOLARE

Ancora. So perfettamente che la cultura sembra faccenda marginale. E non lo è: come ha ricordato a fine agosto Nicola Lagioia su La Stampa, non solo «offre un’identità a un popolo che con fatica ne trova una nello Stato, è uno dei (non inesauribili) motivi per cui ci rispettano all’estero», ma «rappresenta un formidabile strumento di emancipazione per chi vi ha accesso, non da ultimo genera ricchezza economica e lavoro». Vale per i libri, in particolare, laddove il mercato editoriale «genera in Italia oltre tre miliardi di fatturato». Nell’elenco delle meraviglie la cultura è trattata in modo sbrigativo: si dice, certo, che gli investimenti devono raggiungere «almeno l’1% del Pil»: ma non è un grande obiettivo. Secondo l’ultima elaborazione Openpolis su dati Eurostat, il paese che spende di più, l’Ungheria (!) investe l’1,3. L’Italia è al quartultimo posto con lo 0,3% , davanti a Irlanda, Grecia e Cipro. Inoltre: benissimo il vincolo sul cambio di destinazione d’uso di tutti i luoghi della cultura (sale cinematografiche, teatrali, biblioteche, librerie, musei). Ma non è, se paragonato al resto, un po’ poco?

E, soprattutto, se la narrazione dev’essere nuova e potente e ribaltare quella preesistente, ancora una volta non vale la pena insistere sulla teorizzazione del progetto insieme alla sua attuabilità? Perché alla fine, chiuso il documento, resta quella perplessità che Jonathan Swift conferisce al suo Lemuel Gulliver quando arriva nell’isola degli Houyhnhnms (non provate a pronunciarlo, è impossibile): i cavalli pacifici e un po’ snob che non hanno termini linguistici per quel che deprecano. Ma a forza di scarnificare le parole, quanto riescono a essere efficaci le utopie?

Cuoceremo la pasta in acqua fredda

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Enterteinment  Girare i pollici, guardare i piccioni dalla finestra, sgridare i bambini, contare le piastrelle della cucina, tentare di catturare le mosche con un bicchiere, dormicchiare: sono solo alcune delle offerte speciali del nuovo, prestigioso pacchetto Sky-Dazn-Netflix, totalmente gratuito. Non richiede decoder né connessione né abbonamento, non richiede nemmeno computer, televisore, Ipad. Per gli abbonati da più di dieci anni, l’offerta comprende anche una passeggiata con il cane.

La moda  La moda grunge finto povera (capi costossimi con l’aspetto di luridi stracci) cederà il passo alla moda finto ricca: capi di poco prezzo che però simulano un grande prestigio sociale. Il frac di plastica, le felpe di terital con la scritta “cachemire”, le pantofole bucherellate con un punteruolo per sembrare scarpe inglesi, le pellicce sintetiche di zerbino sono le proposte più attese alle prossime sfilate milanesi. Faranno furore i tacchi a spillo virtuali: camminando sempre in punta dei piedi, anche con sneakers dozzinali, si avrà lo stesso effetto che si ottiene con un tacco dodici. Il prestigioso rosso delle suole Louboutin sarà alla portata di tutte grazie al sanguinamento del piede. Previsto anche un grande sviluppo dell’abbigliamento gender flou, grazie al fatto che tutta la famiglia, indipendentemente da genere e orientamento sessuale, dovrà uscire di casa con i pochissimi abiti disponibili, senza stare tanto a sottilizzare. Vedendo in metropolitana un uomo in tailleur, o una donna con la divisa da alpino del nonno, non si penserà più alla fluidità di genere, ma al fatto che nell’armadio era rimasto solo quello.

L

Michele

Migranti  Le condizioni di indigenza cambieranno radicalmente il nostro rapporto con i migranti. I barconi, al loro arrivo, saranno accolti da una folla festosa di italiani, nella speranza che chi sbarca abbia portato dall’Africa qualche bene di conforto da dividere con noi.

CanuIvanIllustrazione:

Satira Preventiva Serra

L’evoluzione  Ottima anche la pasta senz’acqua, da sgranocchiare ben croccante davanti alla tivù spenta per mancanza di energia elettrica. Ma il must è la pasta senza pasta: ci si siede a tavola e se ne parla, evocan-

Le vacanze  Troppo costose le vacanze in casa, con i contatori di lu-

Q © RIPRODUZIONE RISERVATA

ce e gas che continuano a girare, ci si potrà trasferire per una decina di giorni nel cortile condominiale, dormendo all’aperto, guardando le stelle, rivivendo a qualunque età i giochi dell’infanzia: l’altalena, lo scivolo, mosca cieca, nascondino dietro le macchine abbandonate in panne. I suggerimenti per questo tipo di vacanza, non molto riposante ma pieno di sorprese e di momenti rievocativi, sono nell’inserto “Hurted Knees” (ginocchia sbucciate) di Repubblica.it

Pasta in acqua fredda  È ancora più economica della cottura senza gas. Basta immergere la pasta in una pentola di acqua fredda e lasciarla a mollo per almeno quindici giorni. Si formeranno gustose alghe e saporite muffe, per un’ottima pasta fredda da consumare con gli amici ridendo di Putin e delle sanzioni. Un ottimo bicchiere di vino di cocomero, ottenuto dalla fermentazione delle bucce sull’asfalto rovente (brevetto della nettezza urbana di Roma) accompagnerà la cena. Per evitare l’uso del lavastoviglie, che nel frattempo avrete trasformato in una pratica scarpiera, niente posate. Mangiare con le mani è più divertente e consente anche ai neonati e ai vegliardi di non sentirsi discriminati quando si rovesciano addosso una buona metà del pasto.

a pasta senza gas è la prima di una lunga serie di soluzioni ingegnose che dovremo adottare per sopravvivere al gelo, alla fame e alla riduzione del campionato di serie A a tre sole squadre a causa della penuria di palloni. Potranno presentarsi in campo solo le squadre molto ricche, in grado di portare il pallone da casa.

do le amatriciane e le carbonare della giovinezza. Un esercizio di memoria, un invito al racconto, ma soprattutto il superamento intellettuale del volgare stimolo della fame.

Gelo, fame e povertà costringeranno a trovare soluzioni ingegnose. Vino di cocomero, frac di plastica e vacanze nel cortile del palazzo

Soltanto negli ultimi tre mesi (da maggio a luglio) si registrano 671 episodi di discriminazioni, 457 avvenuti in luogo fisico. Mentre 214 sono minacce e insulti che viaggiano attraverso la Rete. L’odio di una campagna elettorale - iniziata con le prime crepe al governo Draghi e ufficializzata a fine luglio -

ronto, sono stato aggredito», dall’altro capo del telefono la voce è rotta dalle lacrime e dalla paura. Il vaso di pandora si apre così. Prima di guardarci dentro però bisogna leggere i dati. Incrociarli. Verificarli. I numeri non sono la misura esatta di quello che c’è fuori ma aiutano a mettere a fuoco cosa sta succedendo tutto attorno a noi. E dentro di noi.

38 11 settembre 2022 Verso il voto / La violenza

I TONI DELLA PROPAGANDA SI RIFLETTONO NEL PAESE. E CRESCONO LE AGGRESSIONI FISICHE E VERBALI. IN TRE MESI GIÀ REGISTRATI 671 EPISODI DI SIMONE ALLIVA ILLUSTRAZIONE DI IRENE RINALDI P LA DELL’ODIOCAMPAGNA

L’Espresso ha analizzato in esclusiva i dati raccolti dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) del dipartimento per le Pari opportunità della presidenza del Consiglio dei ministri.

Prima Pagina

lievita nel Paese reale. Bisogna distogliere lo sguardo dai video di una politica ferma ai challenge su Tik Tok e rivolgerlo alle cronache locali: dall’invito alla «riapertura dei forni» per gay, ebrei e rom alle persone trans suicide, dalle coppie lesbiche massacrate perché si tenevano per mano al «vietato l’ingresso ai neri» in piscina. Dagli insulti ai calci, dalle offese alle aggressioni. Razzismo, omotransfobia, antisemitismo. Sono 209 le persone aggredite in quanto “stranieri”, 45 per il colore della pelle, 126 gli episodi di omotransfobia, 54 di antisemitismo.

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Simone Alliva Giornalista

I numeri dell’odio raccolti dall’Unar - segnalazioni pervenute attraverso i diversi canali come numero verde 800 901010, e-mail, sito web - non riescono tuttavia a portare in superficie la campagna di caccia al “diverso” che si è intensificata in soli novanta giorni. Il sommerso non emerge neanche con l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad), istituto presso il ministero dell’Interno, al quale vengono inviati le segnalazioni di reati subiti in relazione alla razza/etnia, credo religioso, orientamento sessuale e identità di genere. Le rilevazioni dell’Oscad vengono abitualmente citate allo scopo di rappresentare il fenomeno dell’odio come marginale, di cui si contano pochissimi casi e quindi certamente non di dimensioni preoccupanti. Una lettura strumentale e pregiudiziale. L’Oscad non raccoglie notizie di reato, ma segnalazioni ulteriori che la vittima può decidere di inviare, oltre e separatamente alla presentazione della denuncia presso l’autorità di prossimità (polizia o carabinieri), prima o dopo avere sporto regolare denuncia o querela per il reato subìto. Un fenomeno di under-reporting ben specificato da tutti i documenti del dipartimento. Sulla pagina web del ministero dell’Interno dedicata al monitoraggio dei crimini d’odio si legge: «I dati relativi alle segnalazioni Oscad non consentono di valutare il fenomeno dei crimini d’odio da un punto di vista statistico». O ancora: «I dati comunicati non forniscono un quadro avente valore statistico sul fenomeno in Italia: incrementi e diminuzioni dei dati comunicati non sono correlabili con certezza a una proporzionale variazione dei crimini d’odio nel Paese».

Il PorporaNgaso e,medico Nandiadestra,Marcasciano

durante una campagna elettorale. Prima nel 2018, quella più recente ad agosto». Racconta Nandi Ngaso nato in Camerun, è arrivato in Italia a 19 anni. Ha studiato, si è laureato in Medicina e chirurgia, ha lavorato con la Croce Rossa per anni e infine ha deciso di dedicarsi alla medicina d’urgenza. Noto alle cronache per aver denunciato un’aggressione razzista al punto di primo soccorso di Lignano, in Friuli-Venezia Giulia. «Preferivo due costole rotte che farmi visitare da un negro», gli ha urlato contro un paziente arrivato nel cuore della notte con fratture multiple a causa di una rissa. «Ogni parola violenta di un politico arma un cittadino in un modo o nell’altro. Pensiamo al video di Giorgia Meloni che durante un comizio spiega che si dovrebbe fare una vera e propria selezione di migranti prediligendo quelli in Venezuela perché bianchi. Oppure a quello in cui Salvini e Meloni parlano di “sostituzione etnica”. Questo è il lin-

Difficile anche fare una classifica delle città che registrano più casi di discriminazioni. A voler prendere una cartina dello Stivale e appuntare in ogni singola città una denuncia, una violenza, un episodio discriminatorio si ottiene un Paese frammentato che non rispecchia il dualismo Nord-Sud, ossia la contrapposizione tra un Nord progredito e un Sud arretrato, è un approccio che non sta in questa Italia attraversata dall’odio verso il “diverso”. A Pordenone a due ragazzi di origine marocchina che frequentano un istituto superiore della zona di Sacile, viene rifiutato l’accesso all’alternanza scuola-lavoro in più di una azienda, diversamente da tutti i loro compagni, a causa delle loro origini. Mentre Porpora Marcasciano, attivista storica lgbt, viene aggredita con un coltello il 24 agosto, su una spiaggia della costa Adriatica, due di pomeriggio. È lei stessa a raccontarlo: «Frequento quella spiaggia da dieci anni. Il branco si è violentemente palesato senza darmi il tempo e il modo di pensare alla fuga. Venti minuti di terrore, in balia di cinque balordi. Il capo branco ha cominciato in modo soft, quasi gentile ad avviare un discorso che diventava man mano sempre più brutto, minaccioso, violento. Il gergo era quello omofobo con tutti gli epiteti che risparmio. Poi il brutto ceffo si è avvicinato, quasi a toccarmi e con un coltello continuava a ripetere che appena lo avessi sfiorato mi avrebbe tagliato la gola. Cercava l’appiglio ed io ero certa, certissima che lo avrebbe trovato da lì a poco. Non so dire ancora oggi a distanza di sei giorni cosa mi abbia permesso di essere qui a raccontarlo». Il candidato del Pd a Sesto San Giovanni, Emanuele Fiano, viene preso di mira dall’odio antisemita. Scritte sono apparse sui muri della Sapienza di Roma contro il deputato dem, figlio del sopravvissuto di Auschwitz, Nedo Fiano. È un filo nero che corre dentro questi giorni di campagna elettorale. Eppure, il tema non è, ancora oggi, l’odio. Non è la spaventosa assuefazione a un linguaggio e a un comportamento violento che si fonda sulla paura dell’invasore straniero o del gender nelle scuole. Sul nero che ti toglie il lavoro e che violenta le tue donne. Sul gay che vuole corrompere i tuoi figli o farti chiamare “genitore 1”, “genitore«Ho2”.subito due episodi di razzismo molto violento in ambito lavorativo, entrambi

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Verso il voto / La violenza

11 settembre 2022 41 Agf/LucaDeR.Foto: Prima Pagina

vendicazioni dei partiti di destra (“sono una donna, sono una madre, sono cristiana” è uno dei leimotiv che rimbomba maggiormente) trasformano in istanza politica il risentimento e il senso di rivalsa “naturalizzando” i confini di genere e sessualità, una retorica ideologica che fa di questa “compattezza” in sé una arma, una motivazione politica in sé e per sé, una naturalizzazione delle rivendicazioni politiche». Il mantra di una politica pura, identitaria, relazionale e nazionale (la famiglia eterosessuale, i ruoli “naturali” di uomini e donne, l’integrità territoriale e la sovranità nazionale) è pericolosissimo perché immette nel linguaggio e nell’agire comune parole e gesti indecenti, spiega Rinaldi: «Si tratta di un fenomeno noto nelle scienze sociali e che sostiene che gli individui siano motivati a mantenere un’identità sociale positiva e lo fanno confrontando lo status dei gruppi con cui si identificano con quello di altri gruppi. Quando, per via della presenza di altri gruppi “concorrenti”, alcuni percepiscono che il proprio status privilegiato è sottoposto a “minaccia” sperimentano forme frustrative che sfociano verosimilmente in forme di pregiudizio, aggressività e violenza. La minaccia dello status di gruppo predice un aumento della discriminazione nei confronti dei gruppi “outsider” e prevede che l’aumento delle differenze rappresenti una minaccia per i bianchi etero-cis, una minaccia reale alle loro “risorse” e, al contempo, una minaccia simbolica per i loro “valori”. In questo modo compiere violenza - dai crimini di odio alle parole di odio - significa partecipare a messinscene in cui l’individuazione di vittime ha sia l’obiettivo che l’effetto drammaturgico di rafforzare l’identità e i valori egemonici degli aggressori, riportando tutto alla “normalità” ».

guaggio che attraversa la mia vita. Se mi trovo davanti una persona che mi aggredisce in quanto nero e musulmano, questa è la grammatica che usa. Per usare un’espressione cara alla leader di Fratelli d’Italia: la matrice è chiara».

Q ©RIPRODUZIONE RISERVATA I dati del Contact center Unar delle segnalazioni di discriminazione da MAGGIO a LUGLIO 2022 126 OMOTRANSFOBIA 96 RELIGIONE 92 DISABILITÀ I FENOMENI DI DILACENSITIOMOTRANSFOBIARAZZISMO,E ANTISEMITISMODALL’UNAR SONOSPIADIUNCLIMASOMMERSOINTOLLERANZA 299 RAZZIALE LE SEGNALAZIONI

Per Cyrus Rinaldi, professore associato di Sociologia del diritto della devianza e mutamento sociale al dipartimento Culture e Società dell’Università di Palermo «le recenti campagne politiche (tra cui Ungheria, Polonia, Turchia, Usa, Russia, Filippine, Brasile e adesso l’Italia) hanno sfruttato le emozioni di chi “si sente lasciato indietro”, promuovendo una nostalgia per un passato nazionale immaginato e contrapponendosi a nemici interni (le élite) e nemici esterni (nazioni, organizzazioni sovranazionali,) ed individuando “altri” non degni di riconoscimento (femministe, Lgbtqi+, membri di minoranze etniche e comunità migranti). Gran parte delle ri-

L’EMERGENZA UMANITARIA

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PERCHÉ L’IMPUTATO

Lorenzo Tondo Giornalista del Guardian, scrive per L’Espresso

l 17 aprile del 2021, Matteo Salvini è finito sotto processo con l’accusa di omissione di atti d’ufficio e sequestro di persona, per aver negato, due anni prima, lo sbarco a Lampedusa dei richiedenti asilo soccorsi da un’imbarcazione della Ong spagnola Open Arms. Sono passati più di tre anni e altrettanti governi, e, salvo colpi di scena alle elezioni del 25 settembre, il leader della Lega, dalle prossime udienze, situazioneArms fannoSalvinisobia. Dopozioni,Arms,rischiadivietoche,difesaprocessatoresuoinecessitàposto ichetrasformarsiniallaosteggiataca,genere,Salviniterno,potrebbesedersisulbancodegliimputatidaministrodell’In-lastessacaricachericoprivanel2019.Nemmenoilpiùottimistaavrebbeimmaginatounoscenariodelquellodidimostrareaigiudici eall’opinionepubbli-apochigiornidalvoto,chelastrategiadeiportichiusi,dalleleggi,godedelconsensodegliitaliani.Così,prossimaudienzaaPalermo,il16settembre,anovegior-dalvoto,l’aulabunkerdelcapoluogosicilianorischiadinell’ennesimopalcoelettorale.PerchéilSalvinipuntaari-fareilministrodell’Interno damesiharipro-ritornellisullaspettrale«invasionedimigranti»,sulladichiudereiportiela promessadire-introdurreidecretisicurezza.Qualemiglioreoccasioneperricorda-agliitalianiche,perla«difesadeiconfini»,Salvinivieneenellastessaauladeimafiosi? Pocoimportaseladeiconfinic’entripocoonullaconquestoprocessoealeggerebenelecarte,Salvini,adifferenzadeicasideldisbarcoimpostoallenaviGregorettieDiciotti,qui,davverogrosso.Andiamoconordine.LanavedellaOngspagnolaOpeniprimidiagostodel2019,soccorre,indiverseopera-164richiedentiasilo,moltideiqualitorturatiinLi-averavutonotificatoilconsuetodivietod’ingres-nelleacqueitaliane(laprassiduranteilgovernoincuierailcapodelViminale),gliavvocatidellaOpenricorsoalTardelLazio.Denunciano lagraveumanitaria,psicologicaesanitariaabordo,con

SA PER L’ACCUSA, IL NO ALLO SBARCO DEI MIGRANTI DELLA OPEN ARMS FU UNA SUA SCELTA. CHE IGNORÒ

DI LORENZO TONDO

42 11 settembre 2022 Il leader a processo

decine di persone stremate dal viaggio, dal caldo e dalla fatica. E, con buona sorpresa di molti, il Tar dà loro ragione. Un tribunale amministrativo crea dunque un precedente importantissimo: un gruppo di richiedenti asilo in viaggio dalla Libia, a bordo di una nave umanitaria, non può rappresentare un pericolo per la sicurezza nazionale. Nessun decreto sicurezza o scelta personale può impedire loro, dunque, di sbarcare. A ribadire il concetto, arriva l’inchiesta della procura di Agrigento, guidata dal procuratore Luigi Patronaggio, che, volato d’urgenza in elicottero a Lampedusa con alcuni medici, parla di «situazioneL’inchiesta,esplosiva». perlanatura dei reati ipotizzati, passa a Palermo. E si arriva all’udienza preliminare da cui è scaturito il processo incentrato sulla presunta responsabilità personale di Salvini nella

Una decisione, dunque, di cui il solo Salvini porterebbe la responsabilità. Ne è convinto anche Michele Calantropo, legale di parte civile per conto dell’Arci Sicilia: «Credo che il Tribunale dei ministri abbia svolto un certosino lavoro di ricostruzione fattuale nell’elencare le ragioni che hanno determinato il rinvio a giudizio di Salvini. Se si leggono le deposizioni testimoniali, nessuno ha smentito che il divieto di sbarco dei migranti sia stato determinato dall’esclusiva, cosciente e volontaria azione dell’imputato». All’udienza del prossimo 16 settembre, saranno chiamati a deporre gli ex ministri Elisabetta Trenta (Difesa) e Danilo Toninelli (Infrastrutture e Trasporti). Entrambi non avrebbero firmato il decreto di divieto allo sbarco che Salvini aveva chiesto loro di riproporre dopo la pronuncia del Tar. Tra i testimoni ammessi c’è anche la star di hollywood Richard Gere, che in quei giorni, colpito dalla vicenda, mentre si trovava in vacanza in Italia, decise di comprare scorte di cibo e acqua e di recarsi a bordo della Open Arms. Salvini ha invitato l’attore a ospitare i migranti nelle sue ville. Eppure, la testimonianza dell’attore, come sostiene l’accusa, non è una trovata mediatica, bensì il tentativo di avere dalla viva voce di un osservatore obiettivo, in grado di riferire sulle condizioni reali in cui versavano i richiedenti asilo, costretti a rimanere a bordo per 19 giorni prima di vedersi riconosciuto il diritto di sbarcare. Un diritto che, ha sottolineato il pm Ferrara, «lo Stato Italiano non può violare». Perché il nostro Paese «è vincolato ai principi di diritto internazionale universalmente riconosciuti tra cui quello che impone ad ogni Stato l’obbligo di salvare la vita di chi si trovi in pericolo in mare. E tale obbligo prevale su ogni altra norma nazionale o su ogni altro accordo tra Stati», ha concluso Ferrara.

«La Open Arms aveva necessità, per la situazione in cui si trovava, di ottenere un luogo sicuro ed entro un tempo ragionevole da parte di una autorità?», si è chiesta davanti al gip la procuratrice reggente di Palermo Marzia Sabella. «La risposta non può che essere positiva. A bordo vi erano soggetti con varie patologie per i quali sono stati necessari diversi interventi di evacuazione medica», ha proseguito.

A differenza degli altri casi Gregoretti e Diciotti, secondo i pm del capolougo sicliano Marzia Sabella, Francesco Lo Voi, ex procuratore capo, poi nominato alla guida della Procura di Roma e Gery Ferrara, questa volta, la decisione di impedire ai migranti di sbarcare, non sarebbe il risultato di una scelta condivisa da tutto il governo, come l’ex ministro aveva sostenuto in precedenza, ma ascrivibile al solo ed unico Salvini. «C’è un dato che è fuori discussione», ha detto il procuratore Lo Voi sempre in udienza preliminare: «Il rilascio del

noto Pos (luogo sicuro di sbarco) compete esclusivamente ed unicamente al ministro dell’Interno. E le conclusioni a cui ci portano le testimonianze raccolte sono che non si tratti affatto di un atto politico».

Matteo Salvini depone durante il processo per diffamazione contro la band dei 99Posse

AgencyIpa/FotogrammaFoto:

Q © RIPRODUZIONE RISERVATA

scelta che non fu collegiale ma individuale, secondo la ricostruzione dell’accusa.

11 settembre 2022 43 Prima Pagina

LVINI RISCHIA GROSSO

Durante il processo, la comunicazione di Salvini ha provato a dirottare l’attenzione sulle inchieste aperte a carico delle Ong, contro le quali si è abbattuta una bufera giudiziaria che ha bloccato i salvataggi. Ma tutte le inchieste, eccetto una, sono state archiviate. L’unico caso pendente, ma il processo per presunti accordi tra trafficanti e volontari è sospeso a causa di errori procedurali, è il primo, risalente al 2017 e riguarda la controversa vicenda della nave Iuventa, della Ong Jugend Rettet. Dalle carte verrebbe fuori un’altra verità sui rapporti tra l’Italia e la Guarda costiera libica, foraggiata dalle intese strette con il nostro governo. Emblematica l’intercettazione in cui un ufficiale libico risponde a un sos di Roma: «Per me oggi è giorno libero».

Verso il voto DEMINISTRALLECLINICHE 44 11 settembre 2022

Contrasto-CaccuriR.Foto: Prima Pagina

LA SALUTE NEL GOVERNO DELLA DESTRA.

DI GLORIA RIVA

ratti come possibile ministro ha già raccolto il pieno consenso della triade Meloni-Salvini-Berlusconi che punta a “lombardizzare” il Servizio Sanitario Nazionale, nonostante il Covid ne abbia drammaticamente reso evidente l’inadeguatezza, in quanto orientata a privilegiare ospedali privati a fronte di una marginalizzazione della medicina territoriale. Del resto è proprio quello che sta avvenendo in Abruzzo, dal 2019 governato da Marco Marsilio di FdI, che ha affrontato la pandemia e l’allungamento delle liste d’attesa ricorrendo ad accordi con i privati.

LETIZIA MORATTI POTREBBE  GUIDARE

I PRIVATI A SCAPITO DELLE STRUTTURE PUBBLICHE. SAREBBE LA FINE DEL SSN

11 settembre 2022 45

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el palazzo di vetro e acciaio della Regione Lombardia c’è chi s’appresta a fare gli scatoloni, con entusiasmo. Sono passati due anni da quando il pompiere della sanità lombarda planò sul Pirellone per salvare la faccia alla giunta leghista di Attilio Fontana, dopo gli scivoloni dell’assessore al Welfare, Giulio Gallera. Letizia Moratti, 73 anni a novembre, già presidente Rai nel primo governo Berlusconi, ministra dell’Istruzione ed ex sindaca di Milano oggi è vicepresidente e assessora alla Sanità lombarda, anche se ufficiosamente è la commissaria di tutta la baracca. In questi ultimi mesi al Pirellone si è occupata delle modifiche alla legge regionale in materia di sanità e della creazione delle case e degli ospedali di comunità previste dal Pnrr. A giugno, in previsione delle elezioni regionali del 2023, la Moratti si era detta pronta a candidarsi, Salvini le ha però risposto a stretto giro: «Squadra che vince non si cambia», ovvero «noi, si punta su Fontana». Tant’è che Calenda aveva pure pensato di portarsela in Azione. Moratti contro Fontana, uno scontro elettorale interessante, che tuttavia non andrà in scena, perché la destra ha una migliore soluzione per lei: il ministero della MentreSalute.ilpresidente della Simeu, la società di emergenza e urgenza, Fabio Deiaco, hanePnrr,dellamediciProntoServiziognasisgolaneldireche«finorainquestacampa-elettoralenonsièparlatodelladifesadelSanitarioNazionale»,nonostanteiSoccorsosianoall’ossoemanchinoeinfermieriperfarfunzionarelecasecomunitàegliospedalifinanziaticonilmaanchequelliperlanormalegestio-delSsn,ladestraalfuturodellasanitàcipensato,eccome.IlnomediLetiziaMo-

Gloria Riva Giornalista

COME IN LOMBARDIA, FAVORIREBBE

Per capire l’approccio morattiano alla Salute è necessario partire dalla nuova Legge 22 del 2021, creata appunto dall’assessora, che si basa sull’equivalenza fra servizio pubblico e privato. In pratica è la conclusione del percorso iniziato nel 1996 da Formigoni con il principio di medicina convenzionata, poi perseguito da Maroni con la sua riforma che ha progressivamente tolto risorse alla sanità pubblica, convogliandole verso la sanità privata accreditata. «Anche il ministero dell’Economia, nelle sue osservazioni alla Legge Moratti, ha espresso perplessità rispetto alla formulazione di equivalenza tra pubblico e privato perché, di fatto, scardina i principi della Legge del dicembre del 1978, quella che ha dato vita al Servizio Sanitario Nazionale, fondato su universalismo e solidarietà», spiega il medico e reesseretariooricamentedelmoltotorioMedicinadell’OsservatorioresponsabileSalutediDemocraticaVit-Agnoletto,ingeneralecriticoneiconfrontimodellolombardo:«Te-ilServizioSani-Nazionaledovrebbeingradodisoddisfa-iLea,ovveroilivelli

Certo, il rischio di fare passi indietro esiste. Ma credo anche che questo interrogativo ci porti fuori strada rispetto alla necessità di un approccio concreto alla difesa delle nostre libertà e dei nostri diritti già conquistati e di quelli ancora da conquistare. Diritti e libertà non possono continuare a essere soltanto evocati all’interno di logiche di posizione - di partito, di schiera-

Verso il voto di FILOMENA GALLO

essenziali di assistenza e, dove il Ssn non ci riesce, allora dovrebbe puntare ad accreditare le strutture private. In Lombardia lo schema è un altro: qui ogni privato ottiene l’accreditamento, a patto di possedere basilari requisiti tecnici, e gareggia contro le strutture pubbliche che, dovendo rispondere a regole, protocolli e contratti più stringenti, risultano spesso perdenti sul mercato sanitario lombardo», chiosa Agnoletto.

Lo strascico più pesante della pandemia è l’allungamento delle liste d’attesa che l’assessora al Welfare Letizia Moratti ha affrontato con piglio thatcheriano, ovvero con una delibera che prevede premialità e penalizzazioni per chi eroga ricoveri chirurgici oncologici, prime visite ambulatoriali e diagnostica per immagini. Le strutture che non riusciranno a riportare le liste d’attesa entro la soglia di normalità subiranno una riduzione dal cinque al 50 per cento del valore della prestazione e del ricovero. E i maggiori risparmi saranno ripartiti fra gli ambulatori, le cliniche e gli ospedali più puntuali ed efficienti. «Concretamente le strutture pubbli-

n molti si chiedono quale sarà il destino della legge 194/78 sull’interruzione volontaria della gravidanza se Giorgia Meloni andrà al Governo. Quale sarà il futuro dei diritti civili e della democrazia se, con la destra al potere, anche altre Regioni seguiranno l’esempio delle Marche, che da anni ormai boicotta non solo l’accesso all’aborto ma anche altri diritti fondamentali, come quello a vedere rispettata la scelta del suicidio assistito (ricordiamo i tre pazienti marchigiani costretti dall’inerzia della Azienda Sanitaria regionale a dolorose attese e a lunghe battaglie giuridiche). Alla fine, proprio in quella regione, Fede-

Il diritto all’interruzione di gravidanza è legge dal 1978, ma come i dati e l’attualità ci dimostrano è un diritto messo a repentaglio da sempre, e probabilmente continuerà a esserlo chiunque sarà al Governo.

Luca

SantagostinoAAgnoletto.Sopra:Foresti.Vittoriodestra: ilcentroaMilano 46 11 settembre 2022

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Con l’Associazione Luca Coscioni è ormai più di un anno che chiediamo all’attuale ministro della Salute Ro-

rico Carboni, dopo mesi di battaglie giudiziarie, ha potuto scegliere di morire premendo un pulsante, con il suicidio assistito, come previsto dalla Corte costituzionale con la sentenza “Cappato”.

Difendiamo la legge 194 chiunque sia a vincere

mento - ma dovrebbero essere difesi nel concreto, dovrebbero essere declinati e affermati nella pratica, ogni giorno. Un diritto sarà sempre a rischio se lo diamo per scontato e non lo difendiamo con la stessa forza con cui ci battiamo per conquistarne di nuovi.

berto Speranza di pubblicare dati aperti e aggiornati sulla legge 194 (quanti sono i medici obiettori in ogni regione, quante le strutture che, nonostante il 100% di obiezione, garantiscono il servizio di interruzione volontaria di gravidanza, dove è davvero disponibile l’aborto medico e tutti i requisiti che ci sono nella relazione di attuazione della legge - ma chiusi in un pdf e per me-

MENTRE MANCANO MILLE MEDICI DI FAMIGLIA NELLA REGIONE ARRIVA IL SERVIZIO DI GUARDIA MEDICA OFFERTO DA AMBULATORI PRIVATI Una manifestazione in difesa della legge 194 11 settembre 2022 47

Lalli e Sonia Montegiove hanno reso noto, con l’Associazione, l’indagine “Mai dati”, basata su un accesso civico generalizzato per chiedere a tutte le aziende sanitarie e ospedaliere d’Italia i dati sull’applicazione della legge 194. I dati aperti e la conoscenza sono un patrimonio fondamentale per capire le criticità di un fenomeno e per individuare le soluzioni. Come possiamo tutelare una legge se non ne conosciamo la reale applicazione?

medici di base. In regione mancano all’appello mille medici di famiglia: tradotto significa che un lombardo su dieci non ha un medico di base o deve accontentarsi di un dottore che accetta di andare oltre la soglia dei 1.500 pazienti, quindi diventando introvabile per un consulto o una visita. Si è fatta quindi avanti la sanità privata. Pioniere è il Centro Medico Santagostino, che per 45 euro offre il servizio di Guardia Medica privata, dove si può accedere senza prenotazione, tutti i giorni, sabato compreso. A Varese il Gruppo Beccaria è andato in scia, offren-

In mancanza di dati aperti forniti dal ministero, le giornaliste Chiara

Dunque, il “grande inverno” sui diritti civili in Italia potrà anche arrivare con la vittoria della destra, e sarà l’occasione per ricordare che lottare per i diritti vuol dire battersi per conquistarne di nuovi ma anche e soprattutto per difendere e rendere “esigibili” quelli già conquistati. Q

La criticità maggiore, in Lombardia ma non solo, si riscontra nella porta d’accesso al Servizio Sanitario Nazionale, ovvero nella carenza di medici di Pronto Soccorso e di

Prima Pagina

Agf-BiagiantiA.Fotogramma,Ag.-PassaroM.Fotogramma,Ag.-MatarazzoL.Berti,DeU.Foto:

che, che hanno maggiore rigidità sia nella gestione del personale (già sotto organico) sia nella pubblicazione dei bandi per l’acquisto di macchinari, difficilmente potranno competere con la sanità privata più agile nello spostare personale da un settore all’altro. Si rischia di penalizzare le aziende ospedaliere pubbliche e trasferire ulteriori risorse al privato che in Lombardia già riceve il 40 per cento delle risorse», dice Agnoletto. Del resto in Lombardia anche i fondi pubblici per la riduzione delle liste d’attesa sono stati spartiti in parti uguali fra pubblico e privato, nonostante le criticità maggiori siano nel primo, perché il personale medico è fuggito dai reparti dopo il burnout provocato dal super lavoro portato dal Covid e chi è rimasto respinge categoricamente la possibilità di estendere il turno di lavoro fino a tardi e nei prefestivi per scorrere le liste d’attesa senza un’adeguata compensazione economica.

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dia regionale). Chiediamo anche l’inserimento di un indicatore specifico sulla 194 nel sistema di valutazione dei parametri Lea, mentre siamo al lavoro per proporre un aggiornamento della norma. A oggi, da agosto 2021, non ci è arrivata ancora nessuna risposta.

L’appellogratuitamente.deimedici alla politica per rimettere al centro il Ssn potrebbe risultare lettera morta se il futuro governo dovesse approvare l’autonomia differenziata nelle forme richieste da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, consegnando definitivamente l’organizzazione e la gestione del Ssn alle singole regioni, che potrebbero anche decidere di spingere l’acceleratore sulla privatizzazione, ad esempio istituendo fondi di copertura integrativa regionale, come ha proposto Moratti in Lombardia, e ampliando la presenza del privato nella medicina di base.

do un servizio analogo per chi non riuscisse a raggiungere il proprio dottore. Nel lecchese la Clinica San Martino è andata oltre con un abbonamento annuale a “soli” 69 euro per visite di controllo. Un affare, non fosse che in Italia i cittadini avrebbero diritto al medico di base e al servizio di guardia medica

di lavorare in team offra migliori e maggiori prestazioni per i cittadini.

Prima Pagina Verso il voto

Quest’ultima è una soluzione auspicata, fra gli altri, da Luca Foresti, amministratore delegato della Santagostino, rete di 31 ambulatori nati per conciliare tariffe accessibili e qualità di prestazione, che rivolgendosi al ministero della Sanità e alla luce della scarsità di personale sanitario (che diventerà ancora più evidente quando le Case e gli Ospedali di Comunità finanziate con il Pnrr dovranno trovare il personale per funzionare), ha avvertito: «Per un reale cambio di passo il dottore di famiglia dovrebbe essere arruolato in un team, anche dal punto di vista contrattuale». Tuttavia il sindacato difende a spada tratta il regime libero-professionale dei medici di base, nonostante la possibilità

medico di base, si affidano alle cure a pagamento delle cliniche».

Dunque, se la destra dovesse andare al governo è chiaro che darà maggiore impulso all’autonomia differenziata. E se dovesse vincere la sinistra o il centro? Il Terzo Polo e Potere al Popolo sono categorici: vogliono favorire la centralizzazione della sanità. Mentre il Pd ha le idee confuse: nel programma sostiene l’autonomia differenziata, ma poi candida il microbiologo Andrea Crisanti che ha definito il federalismo sanitario «una iattura». Q

Partendo dalle reali carenze di personale e dall’elevato bisogno di cura della popolazione, Foresti propone di sperimentare, almeno per un anno, l’affidamento di una percentuale di abitanti alle cure di una struttura privata accreditata e di valutare i risultati in base al gradimento degli utenti e agli esiti di salute. Una prova che si potrebbe fare se la Regione Lombardia avesse le mani libere sul fronte della medicina di base, che invece resta vincolata alla centralità del Ssn. Per ora. Ma quando Letizia Moratti sarà ministro della Sanità qualcosa potrebbe cambiare, ad esempio convenzionando anche le strutture private alla medicina di base. Su questo punto Vittorio Agnoletto è categorico: «Se le chiavi della porta d’entrata al Servizio Sanitario vengono offerte al privato, allora il servizio pubblico ha chiuso. Perché se sotto al camice del medico di famiglia c’è il dipendente da una struttura privata, allora quest’ultimo sarà sollecitato a invitare i pazienti a eseguire accertamenti ed esami negli ambulatori (privati) in cui lavora. Del resto è quello che sta già succedendo oggi con i servizi di guardia medica privata, dove i pazienti che non riescono ad accedere al

©RIPRODUZIONE RISERVATA L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA CHIESTA DAL VENETO COME ANCHEDAREBBEDALL’EMILIA-ROMAGNA ILCOLPOFINALEALLAMEDICINADIBASE  Il presidente della regione Lombardia Attilio BergamoGiovanniSopra:Fontana,l’ospedaleXXIIIdi ImagesGettyviaBloomberg-VolpiF.Ansa,-CornerMatteoFoto: 48 11 settembre 2022

er alcuni il mondo avrebbe dovuto essere migliore. Per altri poteva andare molto peggio di così. Ma, per capire come il Covid-19 ha cambiato le società non basta guardare all’oggi. «Se ci si limita a analizzare i singoli eventi, o i brevi periodi o i luoghi specifici, non si vedono gli schemi e le tendenze che attraversano la Storia», spiega Walter Scheidel, storico austriaco che insegna alla Stanford University, in California. Per il professore ci sono due fattori principali che nel corso del tempo sono stati in grado di ridurre in modo significativo le disuguaglianze economiche: il crollo degli Stati e delle strutture governative, perché portano al disfacimento delle élite che sono al potere facendo sì che i più facoltosi perdano una parte della loro ricchezza. E le pandemie.

Come è successo, ad esempio, con la peste nera nel Medioevo, le grandi epidemie hanno causato la morte di milioni di persone: la manodopera ha iniziato a scarseggiare, i salari sono aumentati, la domanda di terra è diminuita e si è ridotto il suo valore. Così le masse che vendevano il loro lavoro si sono trovate meno povere mentre i ricchi che controllavano il capitale hanno perso una parte del reddito. «Ma questi violenti livellamenti, questi aggiustamenti per catastrofe, non sono mai durati. Quando gli Stati sono stati ricostruiti, le élite avide sono tornate. Con lo svanire delle piaghe, la popolazione si è ripresa, i salari sono nuovamente diminuiti e il potere dei più potenti è tornato forte. Nonostante questo, però - aggiunge Scheidel - gli intervalli egualitari sono serviti da raro sollievo, perché, almeno, hanno dimostrato al mondo che la vita non doveva essere sempre com’era di solito».

IL COVID DIFFONDE

Chiara Sgreccia Giornalista

CON LA PANDEMIA LE DISUGUAGLIANZE SONO AUMENTATE. UNO STORICO SPIEGA COME IL MONDO REAGISCE ALLE CATASTROFI

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Nell’epoca moderna, secondo il professore, altri due fattori hanno dimostrato di avere la capacità di livellare le disuguaglianze: le grandi guerre e le rivoluzioni trasformative. Come

Così sembra che le grandi catastrofi storiche, per quanto potenti, non siano in grado di generare cambi di rotta radicali e duraturi nelle società. Piuttosto esacerbano le tendenze che sono già in atto, agiscono come catalizzatori dei cambiamenti in corso. «Le guerre mondiali e la Grande Depressione

quelle avvenute nell’Unione Sovietica o in Cina dove i regimi, anche se con l’obiettivo di perseguire l’uguaglianza hanno generato nuove gerarchie. «La compressione della distribuzione della ricchezza e del reddito è persistita solo finché i regimi violenti sono sopravvissuti o sono rimasti impegnati in quell’obiettivo. Nel momento in cui le restrizioni sono state allentate, la disuguaglianza materiale è salita a livelli precedentemente sconosciuti. In Occidente dove l’equalizzazione era stata meno radicale anche il suo capovolgimento è stato più tenue. Ma altrettanto persistente. Dagli anni Ottanta, grandi politiche e processi economici come la globalizzazione, la deregolamentazione, la finanziarizzazione e l’automazione hanno premiato alcuni più di altri, per usare un eufemismo. Negli Stati Uniti, questo processo è andato oltre, creando disparità economiche che non si vedevano dagli anni Venti».

COLLOQUIO CON WALTER SCHEIDEL DI CHIARA SGRECCIA

50 11 settembre 2022 La lezione della crisi

subito i più ricchi non è durato a lungo: il benessere è tornato nel giro di pochi mesi grazie alle misure dei governi e delle banche centrali. Mentre le conseguenze per i più poveri sono state diverse sulla base delle volontà degli Stati nel sostenere gli strati più vulnerabili della popolazione.

Le crisi, quindi, sono servite per dare un enorme impulso alle iniziative già in corso, fungendo anche da acceleratori e amplificatori. A volte il cambiamento è stato percepito come talmente duro da sembrare improvviso, ad esempio il passaggio allo smartworking e alle lezioni a distanza nel 2020. Ma anche quell’apparente rottura era già radicata nel progresso tecnologico che aveva preparato il terreno. Così il mondo post Covid-19 per Scheidel, «non è catastroficamente peggiore di quello che era, come avremmo potuto temere due anni e mezzo fa quando non sapevamo ancora che cosa aspettarci dalla pandemia, quanto sarebbe stata letale, dirompente. È peggiore ma non in modo drammatico. Le disuguaglianze erano già elevate anche prima e la pandemia è servita da catalizzatore». Lo shock economico che hanno

11 settembre 2022 51 AGF/Serrano’AlessandroFoto: Prima Pagina

«È aumentata anche la disuguaglianza tra Paesi. Una tendenza in atto dagli anni Ottanta che, sebbene si stesse affievolendo, è tornata per allontanare gli Stati. Complice anche l’inflazione, i redditi reali dei lavoratori sono sotto pressione e più bassi di prima. In linea di massima pare che la pandemia abbia peggiorato la situazione in diversi modi: ha reso i lavoratori meno abbienti e aggravato le condizioni dei Paesi a basso reddito.» Ma non è chiaro quanto questo trend sia destinato a durare. Anche perché, come spiega lo storico, il Covid-19 per più ragioni è differente dalle grandi catastrofi che hanno segnato la storia. «È stato terribile perché ha portato la morte di milioni di persone. Che, però, sono solo una piccola parte degli 8 miliardi che ci sono nel mondo. La maggior parte era di età avanzata, quindi già fuori dal mondo del lavoro. Dal punto ventateagguatomerendendoloilSassuolo,ilpandemiaché,versoimponentereazionesocietàmentoaltrigiasarivirus.Matà,grammimoltoprofessoremassicciadivistaeconomicolarotturaperilsistemaèstatamoltomenodiquantosarebbestatainpassato».Inoltre,perildellaStanfordUniversity,lesocietàmodernesonopiùresilientigrazieallosviluppoeconomico,aipro-diwelfarepensatipersostenerelepersoneindifficol-agliinterventidellebanchecentralinelsettorefinanziario.soprattuttograzieallosvilupposcientifico.«LasorprendenterapiditàconcuièstatosequenziatoilConcuisonostatisviluppativaccinieifarmacineces-adattutireglieffettidelCovid-19.Maanchelatecnolo-checihapermessodicontinuareacomunicarecongliancheselontani,perfinoduranteimomentidiisola-piùduro,sonostatifattorichehannopermessoalledirisponderemeglioall’urto.Ehannoinnescatounaacatenachehaportatoglistessisettoriavivereunsviluppo».Malamodernizzazionenonèunastradaasensounicounamaggiorecapacitàdiresilienzadellesocietà.Per-comescriveScheidelnellalectio“Covid-19.Effettidellasudiseguaglianzaeingiustizia”cheterràduranteFestivalFilosofiadal16al18settembreaModena,Carpie«mentresostienel’ordinestabilitoconlacrescita,benessere,lafinanzaelascienza,minaanchelostatusquo,piùfragilesocialmenteeeconomicamente,co-risultatodirettodelprogresso».Lafragilitàormaièinovunque.Ancheleeconomiepiùavanzatesonodi-vulnerabiliinmodinuovi.

Q ©RIPRODUZIONE RISERVATA laRomanelAUniversity.StanfordstoricoScheidel,Walterdellasinistra:centrodidurantepandemia

hanno generato una mobilitazione di massa senza precedenti e shock sociali e economici. Le tasse sono aumentate vertiginosamente, il diritto di voto si è allargato, gli imperi coloniali hanno tremato e gli Stati assistenziali sono fioriti. Il capitalismo è stato temporaneamente domato, sospeso e talvolta persino abolito. Ma niente di tutto questo è venuto fuori dal nulla. Ben prima del 1914 c’erano già pensioni, tassazione progressiva, sindacati, scuole pubbliche, le suffragette e i movimenti indipendentisti».

ANCHE INGIUSTIZIA

Veduta dal mare del polo petrolchimico di Siracusa, il più grande d’Italia

52 11 settembre 2022

Inquinamento / Siracusa

Prima Pagina PETROLIERI PADRONI DI MARE E ARIA DI ANTONIO FRASCHILLA FOTO DI STEFANO SCHIRATO DEPURATORI FERMI, CARTE TRUCCATE, CONTROLLI INESISTENTI. MA NEPPURE L’INCHIESTA SICILIANA FERMA IL DISASTRO DEL PETROLCHIMICO

L'inchiesta ruota attorno alla gestione della società mista pubblico-privato “Industria acqua siracusana” (Ias), che gestisce la depurazione nel polo petrolchimico. La parte pubblica con Regione e Comuni ha la maggioranza, i privati sono rappresentati dalle grandi aziende. La politica negli anni si è accontentata di gestire le nomine dei presidenti dei cda: in questo ruolo dagli anni Ottanta si

l depuratore funziona perché il laboratorio scrive numeri a minchia!…se si viene a sapere fuori, che noi non abbiamo controllato mai un cazzo!». È l’ottobre del 2019 e due dirigenti dell’impianto di depurazione del più grande polo petrolchimico d’Italia, e tra i più grandi d’Europa, vengono intercettati dalla procura di Siracusa. Inizia così una indagine che ha portato il mese scorso al sequestro di una struttura che per quarant’anni non ha mai funzionato nonostante lì le più grandi aziende chimiche e petrolifere d’Europa - e non solo -  abbiano scaricato, e scarichino ancora, fanghi e agenti inquinanti: per intenderci, Eni, i russi della Lukoil, i sudafricani della Sasol, gli indiani della Sonatrach.

I NELLA SOCIETÀ MISTA REGIONEPRIVATI PER GESTIRE GLI SMALTIMENTI, I COLOSSI HANNO AVUTO MANO LIBERA. IN CAMBIO DI ASSUNZIONI E INCARICHI

L’indagine della procura aretusea per disastro ambientale guidata da Sabrina Gambino, arrivata a normalizzare uffici infestati dal sistema del corruttore di giudici Piero Amara, alza il velo sull’inquinamento di un pezzo del Paese avvenuto in maniera incredibile con una serie di azioni superficiali di chi doveva controllare e della politica concentrata solo a spartire qualche posto di sottogoverno. L’Espresso ha potuto leggere

lia, l’impianto di depurazione non ha mai funzionato per smaltire i reflui industriali che infatti venivano, e vengono, mischiati a quelli civili. Ma è solo un «escamotage», come scrivono i sostituti procuratori Tommaso Pagano e Salvatore Grillo. Il risultato è che secondo i periti della procura solo negli ultimi anni sono state emesse in atmosfera abusivamente 77 tonnellate di idrocarburi e agenti inquinanti all’anno, fra le quali 13 tonnellate di benzene. E in mare sono finite 1.500 tonnellate di agenti inquinanti mischiate ai fanghi per usi civili.

Inquinamento / Siracusa 54 11 settembre 2022

FraschillaAntonio Giornalista

nella sua completezza tutta la documentazione alla base di un’inchiesta che lascia davvero senza parole. Sembra incredibile che questo sia avvenuto negli anni Duemila, eppure le intercettazioni e le analisi dei periti incaricati dalla procura lasciano poco spazio ai dubbi: per decenni, e ancora oggi come vedremo, si è «compromessa la qualità dell’aria e del mare» dove insistono diversi agglomerati urbani, da Siracusa a Priolo, Melilli e anche alcuni paesi interni.

In questo polo, dove ogni anno si lavorano 14 milioni di tonnellate di greggio, il 26 per cento della raffinazione complessiva in Ita-

E come funzionava questo impianto? Lo ha “scoperto” la procura quando ha inviato lì i suoi consulenti tecnici, che in una relazione scrivono: «I dati rilevati postulerebbero una capacità depurativa dell’impianto pari al 90 per cento degli idrocarburi immessi dagli utenti…Tuttavia l’impianto non è ontologicamente in grado di smaltire neanche un microgrammo di idrocarburi. Non risultano presenti sezioni espressamente dedicate alla separazione degli oli e della loro rimozione. Analogamente non risultano flussi in uscita relativi agli idrocarburi».

sono alternati i principali politici della zona dai tempi della Dc, dall’ex presidente della Regione Santi Nicita al comunista Salvatore Raiti. Ultimamente era diventata terreno di pascolo per gli uomini e le donne legate al sistema di Antonello Montante, l’ex vicepresidente di Confindustria condannato in secondo grado per associazione a delinquere: come Maria Grazia Brandara (unica indagata tra gli ex componenti cda Ias), a processo in uno dei filoni di inchiesta su Montante; oppure Maria Battiato, moglie del colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata, anche lui coinvolto in un secondo processo in corso per i «servigi» offerti all’ex leader degli industriali; e, ancora, la procura fa rientrare nell’orbita Montante le nomine nei cda Ias di Gianluca Gemelli, compagno dell’ex ministra dello Sviluppo economico Federica Guidi, e del sindacalista Salvatore Pasqualetto, che in una intercettazione di Battiato veniva definito uno «che non capiva nulla degli argomenti trattati». Ma c’è un motivo che forse spiega queste nomine e lo racconta interrogata la stessa Maria Battiato: «La società formalmente è a maggioranza pubblica, ma è

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AnsaFoto: Prima Pagina

totalmente in mano al volere dei soci privati…posso dire che era interesse dei privati quello di continuare a gestire l’impianto così come si era sempre fatto, senza intervenire per migliorare le problematiche ambientali pure da me segnalate».

L’INDAGINE

A sinistra, serbatoio della raffineria Isab. In alto, spiaggiaSiracusa.procuratriceSabrinaConfindustria.nazionalevicepresidenteMontante,AntonelloexdiSopra,Gambino,diAdestraladelpolo

Resta quindi una domanda: con quale tecnicismo alla fine le soglie di legge venivano rispettate sulla carta? La risposta, in maniera incredula, la scrivono gli stessi pm: «Una parte degli idrocarburi calcolata in 77 tonnellate all’anno si disperde nella matrice aria mediante evaporazione dalla superficie

12.000

MILIONI

tonnellate di idrocarburi diluite in fanghi e poi immesse in mare

13

26

Per filtrare il benzene, che arrivava e arriva in quantità enormi, occorreva e occorre cambiare costantemente i filtri. Ma nessuno, né i privati né il pubblico, ha affrontato questa spesa. Così «è stato scelto consapevolmente e dolosamente di staccare l’impianto e proseguire nonostante il suo mancato funzionamento..Ias è dunque attual-

tonnellate di agenti inquinanti immessi in atmosfera ogni anno

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addetti diretti e indiretti del polo petrolchimico di Siracusa

14

valore in termini di raffinazione del polo in tutto il Paese

tonnellate di benzene disperse in mare e nell’aria ogni anno

Ma chi doveva controllare questo im-

Inquinamento / Siracusa

pianto? Se una piccola azienda ha bisogno di 24 autorizzazioni per poter iniziare la sua attività, come è possibile che sia stato dato così l’ok al più importante depuratore del sistema industriale italiano? La procura ha scoperto che l’impianto non ha mai avuto una Autorizzazione integrata ambientale nazionale. Ha solo una autorizzazione regionale perché considerato un depuratore per usi civili, quando invece l’80 per cento riguarda reflui petroliferi e industriali. Ma c’è di più: l’Autorizzazione regionale si basa su un secondo impianto mai entrato in funzione: «L’intera progettazione e il sistema autorizzatorio hanno come presupposto il funzionamento dell’impianto di deodorizzazione che non risulta essere mai entrato in esercizio».

1.500

delle vasche, a causa dell’assenza di un impianto di convogliamento delle emissioni. La restante parte che, stando alle autorizzazioni potrebbe addirittura superare le 1.500 tonnellate all’anno, sarà inevitabilmente quasi totalmente presente nel refluo in uscita…Se tuttavia queste enormi quantità di idrocarburi finiti in mare vengono diluite, grazie al mescolamento con i reflui civili con carico inquinante bassissimo, esse magicamente rientreranno nei limiti previsti dalla legge. È chiaro che si tratta di un escamotage, di un trucco buono a gettare fumo negli occhi e che non avrebbe potuto ingannareper circa 40 anni - tutti gli enti deputati al controllo e alla tutela ambientale…Alla luce dei deficit strutturali si ritiene di poter serenamente affermare che dall’inaugurazione dell’impianto biologico consortile si fa sostanzialmente finta di depurare i reflui provenienti dai processi produttivi delle grandi aziende della zona industriale, immettendo inquinanti non smaltiti in atmosfera e nel mare Ionio, in quantitativi tali da produrre un vero e proprio disastro ambientale».

77

tonnellate di greggio lavorate ogni anno

mente priva di un sistema di abbattimento delle emissioni in atmosfera e ciò nonostante continua nell’esercizio del depuratore, come se nulla fosse».

Un altro elemento incredibile di questa storia è che la Regione per oltre un decennio non si è accorta che quel depuratore non smaltiva solo reflui civili: «La Regione avrebbe dovuto rilasciare un’autorizzazione allo scarico di sostanze pericolose, l’unica che può avere senso di esistere in relazione al depuratore che dovrebbe smaltire i rifiuti di uno dei poli petrolchimici più grandi d’Europa…e invece l’impianto viene autorizzato a scaricare in mare come se in esso confluissero solo reflui domestici, facendo magicamente scomparire gli ingombranti serbatoi e le sterminate tubazioni delle aziende petrolchimiche che occupano il litorale fra Siracusa e Augusta». La procura ha quindi chiesto aiuto a dei consulenti per rispondere anche a un’altra banale domanda: «È stata o meno compromessa la qualità dell’aria e del mare?». La risposta dei tecnici, dopo analisi e la consultazione di una miriade di documenti, è secca: «La risposta è affermativa».

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IL RICATTO ENERGETICO NON BLOCCA IMPIANTI. PER METTERSI IN REGOLA LE SOCIETÀ PRETENDONO

E

Resta allora ancora un’altra domanda: ma dopo il sequestro, cosa è successo? La procura ha nominato un amministratore giudiziario con il compito di chiudere l’impianto. Ma per far questo occorre trovare un accordo con i colossi energetici presenti, che hanno chiesto dai 5 ai 7 anni di tempo per fermare gli impianti senza creare ulteriori danni irreversibili. In questo momento il polo petrolchimico marcia come prima, perché la vera questione di fondo è che non si può fermare la più grande industria di raffinazione del Paese dove lavorano quasi 12 mila persone tra diretti e indotto. E non si fermerà. C’è però un elemento chiave, che non ha nulla di penale, ma è so-

Prima Pagina

La verità comunque è che tutti gli attori di questo romanzo incivile erano consapevoli dello stato dell’arte. Scrive la procura dopo aver letto mail e intercettazioni di scambi tra componenti cda Ias e dirigenti delle società private: «È provato che tutti, esponenti Ias e soci privati, siano perfettamente informati del mancato funzionamento dell’impianto: essi sono quindi tutti consapevoli della impossibilità per il depuratore di garantire una tutela dell’ambiente equivalente nel suo insieme».

OCCUPAZIONALE E

GLI

FINO A SETTE ANNI DI TEMPO

A sinistra pecore al pascolo nei terreni che circondano il polo petrolchimico di Siracusa che ospita gli impianti di Eni, Lukoil, Sonatrach e Sasol. Sopra uno studente pendolare, senza queste industrie la tutta la provinciapuntisalirebbedisoccupazionedi diecipercentualiin

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stanziale: davvero i privati dai fatturati miliardari non possono investire per realizzare un vero depuratore che salvaguardi la salute dell’ambiente, dei cittadini e di chi là dentro lavora? La procura calcola l’investimento minimo necessario in 21 milioni di euro. E la politica, nazionale e regionale, cosa dice? A quest’ultima domanda possiamo in realtà già rispondere: nulla. Nemmeno in campagna elettorale qualcuno ha detto qualcosa su come questo disastro sarà fermato. D’altronde parliamo solo del più grande polo petrolchimico del Paese.  Q

ché le navi non potranno più accostare a quelle banchine - con perdite indirette Laesponenziali.battagliasui depositi chimici, a Genova, è appena iniziata: il Comune, guidato dall’amministrazione di centrodestra del sindaco Marco Bucci, fresco di riconferma, ha deciso di trasferire lo stoccaggio di prodotti solventi e vinilici per l’industria chimica delle aziende Carmagnani e Superba dal quartiere di Multedo a Ponte Somalia. Settantacinque serbatoi su 77 mila metri quadrati: nel porto che genera 54 mila occupati in Liguria, 122 mi-

è una bomba sociale innescata, al centro del primo porto italiano. Sulla quale pendono un esposto alla Procura, quattro ricorsi al Tar e il parere del Consiglio nazionale dei lavori pubblici, che ancora non si è espresso. «Una mina vera e propria, altro che metafore: materiali corrosivi e infiammabili a trecento metri dalle case», secondo gli abitanti del quartiere di Sampierdarena scesi in piazza per chiedere al sindaco di fare marcia indietro. Di sicuro, per i sindacati Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uil Trasporti Liguria, sarà un’ecatombe lavorativa: calcolata in almeno 10 mila chiamate in meno per la Compagnia unica - per-

58 11 settembre 2022 Shutterstock/TunasSamuelDoralinFoto: Inquinamento / Genova

Erica Manna Giornalista

DI ERICA MANNA CASE CON VISTA SU IL SINDACO DEL CAPOLUOGO LIGURE VUOLE SPOSTARE GLI IMPIANTI DI STOCCAGGIO DA MULTEDO A SAMPIERDARENA. INSORGONO I RESIDENTI. E CON LORO I SINDACATI C’

mabili come glicoli, metanolo, solventi idrocarburici, acetone, soda caustica, biodiesel e oli vegetali. Il Dipartimento di scienze politiche e internazionali dell’Università di Genova, in accordo con l’Autorità portuale, aveva condotto nei mesi scorsi incontri e interviste sul tema della rilocalizzazione: un percorso pubblico che ha coinvolto municipi, cittadini e sindacati. Ma le quattro soluzioni ipotizzate - ex carbonile Enel, terminal Messina, banchina Ansaldo e Diga foranea - non comprendevano Ponte Somalia: progetto che si è concretizzato a incontri già conclusi. «Uno scempio che non permetteremo. Dovranno passare sul nostro corpo». Quella dei depositi chimici è «la battaglia della vita» per Gianfranco Angusti: da sempre in

la a livello nazionale e impegna quasi 3.200 lavoratori in banchina. Con alle spalle un quartiere, Sampierdarena, che con i suoi 50 mila abitanti è il più popoloso della città, ha visto in vent’anni dimezzare il valore a metro quadro delle case e il reddito medio è tra i 18 e i 19 mila euro: il prezzo pagato alla servitù industriale e, ora, alla vicinanza con l’area del ponte Morandi crollato quattro anni fa. Con la beffa che il nuovo polo chimico potrebbe essere realizzato proprio con 30 milioni di euro del Decreto Genova: fondi stanziati dal governo Conte per risollevare l’economia delle zone più colpite.

Una veduta dell’area del porto di Genova

I DEPOSITI CHIMICI

È dal 1987 che si discute della necessità di spostare i depositi di Carmagnani e Superba che contengono sostanze liquide infiam-

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Prima Pagina

porto, prima come operaio dell’Ansaldo, poi sindacalista nazionale della Filt e oggi presidente del comitato Officine Sampierdarenesi, è diventato il simbolo della lotta, alla testa della manifestazione di piazza di aprile. «Noi siamo per l’opzione zero: è giusto spostare i depositi da Multedo, ma folle pensare di collocarli qui. Sampierdarena ha già pagato tanto, in quanto a servitù industriale, traffico, inquinamento: non permetteremo che diventi una cloaca». La sfida si combatterà anche in tribunale. Angusti, infatti, ha appena depositato un esposto alla Procura della Repubblica che porta in calce la sua firma. Per «alterazione documentale»: perché nella relazione inviata dall’Autorità portuale al Consiglio superiore dei lavori pubblici che si pronuncerà al riguardo è stato omesso il no della commissione consultiva, l’organismo di garanzia partecipato da aziende, enti locali e sindacati. Che ha bocciato il piano, con dodici voti a tre. «Il parere della commissione – precisa Angusti – non è vincolante: ma certo non basta solo accennare che è stata sentita: avevano il dovere di relazionare sulla bocciatura».

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Dall’altro versante della barricata, è proprio sul tema della strategicità dell’operazione che puntano le aziende Carmagnani e Superba. «Non siamo un petrolchimico: sia-

Inquinamento / Genova

dizione del 26 aprile alla commissione trasporti alla Camera. «Qui, nel primo porto italiano, si contano 4.400 addetti occupati nell’intero sistema – spiega Enrico Poggi, segretario di Filt-Cgil – e Ponte Somalia è un punto ad alta concentrazione. La nostra preoccupazione, oltre alle questioni ambientali e di sicurezza, è che l’effetto sia una drastica riduzione degli accosti nave: nel 2021 sono stati 270, solo dalla parte del Somalia. Di questi, il 41 per cento era costituito da traghetti, principalmente Grimaldi. Il calo di lavoro potrebbe essere drammatico: calcoliamo 10 mila chiamate in meno per la Compagnia unica dei portuali. E poi, ci sono 110 dipendenti al terminal San Giorgio, e sulla stessa area insiste anche il terminal Forest, che di fatto verrebbe cancellato. Con un effetto a catena sull’indotto a livello locale. E nazionale». Anche il nodo della sicurezza spaventa. «Cosa succederebbe se un fulmine cadesse su un bidone di sostanze infiammabili e corrosive?

Marco Bucci, sindaco Genova. In alto, il corteo dei cittadini di Sampierdarena contro lo spostamento dei depositi chimici in porto. A destra, l’area di Ponte Somalia

– continua Poggi – senza contare che qualsiasi emergenza, anche una piccola perdita, finirebbe per bloccare tutto lo scalo».

I dubbi non sono solo degli abitanti: oltre a quello presentato dal comitato e dal municipio, ci sono anche tre ricorsi alla giustizia amministrativa dei terminalisti. A essersi rivolto al Tar infatti è stato Beppe Costa, seguito dal gruppo Grimaldi, primo armatore italiano, ed Ettore Campostano del gruppo omonimo. Ad oggi, infatti, le navi Grimaldi operano a Ponte Somalia al terminal San Giorgio di proprietà del gruppo Gavio: il timore dell’armatore è che lo spostamento causi danni al traffico portuale. Campostano controlla invece il terminal Forest, che si trova sempre sulla banchina del Somalia: se il trasferimento avvenisse, dovrebbe traslocare la propria attività altrove. Ad aver espresso forti perplessità c’è anche Enac, l’autorità che regola l’aviazione civile: perché il sito in questione si trova vicino all’aeroporto, e una porzione rientra all’interno del cono aereo. Dunque, in caso di incidente, si rischierebbe la catastrofe.

E poi c’è tutta la partita del lavoro: le promesse di investimenti da parte di Carmagnani e Superba da un lato e, dall’altro, le proiezioni fosche dei sindacati. «Non accetteremo mai un’operazione che porti a un saldo negativo dell’occupazione», è l’allarme unitario di Cgil, Cisl e Uil, lanciato a Roma durante l’au-

IN PIAZZA

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Un altro nodo riguarda la Diga foranea. Perché c’è un’ordinanza della Capitaneria di Porto tutt’ora in vigore, la 32 del 2001, che vieta navigabilità, accosto e scarico nel canale di calma. Per rendere possibile il progetto, dovrebbe essere stralciata. «In fase di autorizzazione – ha risposto il presidente dell’Autorità Portuale Paolo Signorini incalzato in commissione – si valuteranno eventuali decisioni dell’autorità marittima sul suo superamento». Quanto all’area di Ponte Somalia che interferisce con il cono aereo, in quel punto – ha rassicurato Signorini –«saranno realizzati depositi per prodotti non infiammabili e non ormeggeranno chimichiere». Signorini appare fiducioso sul via libera: «Il progetto definitivo sarà compatibile con le attività portuali, e il comitato tecnico regionale svolgerà controlli con rife-

11 settembre 2022 61 AnsaBalostro,M.Pambianchi,D.Foto:

stoccaggio. Quanto al tema della sostenibilità, teniamo conto che per i nostri clienti l’alternativa sarebbe far arrivare navi dal Nord Europa che sbarcano ad Anversa, ad Amsterdam, e poi trasportare il carico fin qui su gomma».

mo un deposito chimico, è ben diverso. I nostri dati Inail sugli incidenti sono paragonabili a quelli del settore bancario – rassicurava Alessandro Gentile, amministratore decercanostra:laattesonell’imminenzagligioretaturaaziendaralecaravavolte».lente:formazionedelqueinamovibili,nicuiledetergenza,prodottiallalegatodiSuperba srl,nelcorsodell’audizioneCamera–movimentiamoestocchiamoperlastampaelecartiere,perladestinatialtriangoloindustria-delNordovest.Manonlilavoriamo,perilrischioèminore.Investiremo50milio-dieurodicapitaliprivatiinstrutturefissecreeremooccupazione.Dun-noncistiamoasentirparlarediservitùquartiere».Quantoallasicurezza,«ladeinostridipendentièeccel-ogniannoglielarifacciamoquattro«Mettetevinellenostrescarpe–rin-EmilioCarmagnani,direttoregene-dellaAttilioCarmagnani“A.C.”spa,radicataaGenovadal1904chefat-30milionidieuroall’annoconquaran-addettialtamentespecializzati–lamag-difficoltàèl’incertezzanelpianificareinvestimenti:gestiamounimpiantodiuntraslococheinveceèdaanni.Nonsiparlaabbastanzadel-strategicitàdiunastrutturacomelano-dialoghiamocongrandiaziendechespazi,hannobisognodicapacitàdi

rimento alla direttiva Seveso». Intanto Sampierdarena aspetta il verdetto della commissione lavori pubblici, che era atteso alla fine luglio. E si prepara a scendere ancora in piazza. «Mi incatenerò, se necessario», giura Gianfranco Angusti. Lo striscione alla testa della manifestazione scandiva: «Non siamo una Genova di serie B». «Dire che non c’è rischio significa mentire – riflette Pietro Pero, presidente dell’associazione I Cercamemoria della locale biblioteca Gallino che tiene viva la storia del quartiere, sede delle dimore dove la nobiltà genovese andava in villeggiatura, ora stritolate dal cemento – siamo stufi di pagare il prezzo più alto delle trasformazioni della città». Q

Prima

©RIPRODUZIONE RISERVATA I LAVORATORI DELLE BANCHINE DEL PORTO TEMONO DI VEDERE RIDIMENSIONATO IL TRAFFICO DELLE NAVI. DUBBI PER LA SICUREZZA DELLO SCALO AEREO

redo che la settimana prossima sarà cruciale per l’offensiva verso Kherson», ci aveva raccontato un ufficiale ucraino di nome Vassily a fine marzo nei pressi di un checkpoint in direzione di Mykolaiv. La guerra in Ucraina era ancora nella cosiddetta “prima fase”, i russi erano intorno a Kiev e nell’Est l’obiettivo primario sembrava Kharkiv.

I RUSSI A RIPOSIZIONARSI

IN UN TERRITORIO MENO FAVOREVOLE DEL DONBASS

Guerra in Ucraina

Contrasto/NYT-BerehulakD.Foto:

vasione) alla necessità di far fronte a un conflitto di lunga durata. In entrambi i casi i difensori hanno ottenuto dei successi parziali ma sostanziali.

DI SABATO ANGIERI

L’arrivo dei sistemi lanciarazzi multipli a medio raggio americani, i famosi Himars, dei cannoni semoventi inglesi M-777, di altri droni Bayraktar dalla Turchia e di diversi tipi

IL CAMBIO

C

L’ANNUNCIO DI KIEV SU UNA A SUD COSTRINGE

64 11 settembre 2022

DI STRATEGIA

Sabato Angieri Giornalista

di armamenti dagli Stati della Nato ora permette ai generali ucraini di progettare azioni dalle retrovie o di colpire obiettivi al di là delle linee nemiche. Così si risparmiano soldati, non più costretti ad avvicinarsi troppo al nemico, e si costringe l’avversario a impegnare uomini per difendere le posizioni conquistate. Ovvero, meno fanti morti e meno nemici al fronte. È vero che l’Ucraina chiedeva, e continua a chiedere, lanciarazzi a lunga gittata, richiesta alla quale per ora gli Stati Uniti si oppongono paventando il rischio di un allargamento del conflitto se il suolo russo dovesse essere attaccato direttamente con armamenti occidentali. Ma è altrettanto vero che nessuno è obbligato a fornire armi a Kiev, la Nato si è intestata la difesa indiretta del Paese e questo Zelensky lo sa. Di conseguenza il presidente ucraino agisce co-

CONTROFFENSIVA

La previsione di Vassily non si è avverata. Non solo la controffensiva primaverile nel Sud non c’è stata, ma la guerra ha cambiato volto. Tuttavia, le sue intuizioni sulle debolezze delle forze armate ucraine si sono rivelate corrette. Se circoscriviamo per praticità la potenza di due schieramenti opposti alla quantità di uomini in armi disponibili e addestrati e alla dotazione di cui questi dispongono, è plausibile supporre che Kiev ha trascorso gli ultimi mesi a preparare il terreno per un cambio di strategia. Da un lato i politici ucraini, Zelensky in testa, hanno insistito senza sosta per ricevere pezzi d’artiglieria a lungo raggio; dall’altro l’organizzazione dei volontari e dei richiamati si è fatta più seria passando dalla risposta a un’emergenza (l’in-

Dopo aver fatto segno di accostare, come fanno i militari di guardia quando vogliono controllare il bagagliaio delle auto in transito, si era appoggiato al finestrino e aveva continuato, in tono confidenziale. «Non potrà essere un’operazione diretta, probabilmente i russi faranno saltare il ponte sul Dnipro, credo che riprenderemo tutta la parte a ovest della città, questo sì, ma l’intera Kherson…». Si era interrotto per un attimo e poi aveva ripreso, meno conviviale, quasi cupo: «Non abbiamo i mezzi dei russi e neanche la stessa quantità di uomini, noi non possiamo affrontare battaglie campali e neanche permetterci di stare trincerati fronte contro fronte troppo a lungo».

Un soldato ucraino di pattuglia vicino a una chiesa distrutta dalle forze russe nei pressi della linea del fronte nella regione di Mykolaiv

11 settembre 2022 65

Prima Pagina

Un esercito per combattere una guerra ha bisogno di uomini. Si stima che la Federazione Russa prima dell’invasione avesse a propria disposizione tra 850 e 900 mila soldati di professione e fino a due milioni di riservisti. L’Ucraina, dal

66 11 settembre 2022

Guerra in Ucraina

Innanzitutto, bisogna considerare che i tempi della guerra non sono i tempi di un incontro sportivo, nonostante la narrazione minuto per minuto alla quale siamo stati abituati dal 24 febbraio a oggi. In secondo luogo, è necessario tenere conto dell’importanza del piano mediatico dello scontro, fatto di informative dell’intelligence, di annunci altisonanti e di mosse atte a confondere il nemico, parallelo al piano militare. Terzo, nonostante i carri armati, i missili e le trincee, ogni esercito porta avanti una strategia che deve, giocoforza, fare i conti con le disponibilità economiche e militari del Paese. Solo tenendo insieme questi tre piani nell’alveo delle informazioni a nostra disposizione è possibile fare un po’ di chiarezza.

Ma come siamo passati ad occuparci della controffensiva ucraina lungo il fronte Sud quando poche settimane fa la preoccupazione principale era per i civili bloccati nei sotterranei di Severodonetsk e l’imminente caduta del Donbass?

me sempre si fa in questi casi, chiede cento per avere almeno cinquanta. E finora sta funzionando, gli Usa hanno di recente annunciato un pacchetto di altri tre miliardi di dollari di aiuti e i dinieghi sulle armi a lunga gittata si stanno lentamente ammorbidendo.Intanto,neldistretto di Kherson, gli Himars e i nuovi armamenti a medio raggio continuano a colpire i depositi di munizioni e le postazioni russe. Secondo fonti ucraine il computo sarebbe di 25 casematte distrutte, senza contare la base di Saki, in Crimea, dove un attacco non rivendicato ha messo fuori combattimento almeno sette caccia. Il comandante della flotta del Mar Nero è stato liquidato senza troppi convenevoli, forse in seguito all’attacco di un drone alla base russa di Sebastopoli, proprio il giorno della festa della Marina russa. Le navi da guerra non si avvicinano più alla costa come facevano finché l’Isola dei Serpenti era occupata e l’incrociatore Moskva la presidiava. Inoltre, alcuni report ufficiosi, rivelano che diversi convogli militari sono partiti alla volta della Crimea assieme a batterie di difesa antiaerea e lanciarazzi. Molto probabilmente, i generali russi hanno preso sul serio le minacce ucraine al ponte e alle basi militari presenti sulla penisola.

Q ©RIPRODUZIONE RISERVATA

ImagesGEtty/NurPhoto-Arce(2),Contrasto/NYT-BerehulakD.Foto: Prima Pagina

Soldati ucraini all'ingresso della regione di Kherson, molto vicino alle postazioni russe, in prima linea a Mykolaiv. A sinistra, un militare controlla un veicolo distrutto. In basso, donne sfollate preparano reti mimetiche con gli indumenti, vicino a Mykolaiv

IL DIVARIO NUMERICO DI FORZE È PARZIALMENTE COLMATO DALL’ARRIVO DI ARMAMENTI CHE FANNO LA DIFFERENZA IN UN CONFLITTO DI LUNGA DURATA 11 settembre 2022 67

Nel Sud le truppe ucraine hanno riportato qualche successo nei villaggi a nord e a ovest di Kherson ma, per condurre un’offensiva su larga scala, la principale necessità è avere unità ben addestrate. In una guerra che si dilata nel tempo diventa sempre più importante formare soldati che siano in grado di usare e curare la manutenzione dei diversi armamenti ricevuti dall’Occidente. In questo senso aggiornare un militare di professione necessita di un tempo relativamente breve, come nel caso delle truppe ucraine attualmente nel Regno Unito. Addestrare da zero un volontario è tutt’altra questione, soprattutto se si vuole insegnargli ad

avanzare e non a tenere la posizione in trincea. Forse anche per questo, Josep Borrell, l’Alto rappresentante della Ue per gli Affari esteri, nelle ultime settimane ha insistito affinché gli istruttori militari europei iniziassero l’addestramento diretto degli ucraini sul loro stesso territorio.

canto suo, contava circa 200 mila effettivi e un numero di riservisti che si ritiene vicino alle 200 mila unità. Ora, secondo quanto diramato delle autorità ucraine stesse, i richiamati di Kiev arriverebbero a sfiorare il milione, considerando i battaglioni di difesa territoriale, la guardia nazionale e i gruppi autonomi costituitisi dopo l’invasione.

Si potrebbe spiegare in questo modo l’insistenza martellante della parte ucraina e dei servizi americani e britannici sulla «controffensiva imminente». Una narrazione creata ad arte per attrarre il nemico in un punto specifico e dargli battaglia da una posizione meno svantaggiosa. Senza considerare che un eventuale successo ucraino a Kherson (o, addirittura, in parte della Crimea) sarebbe uno smacco senza precedenti per il Cremlino, al netto delle conquiste territoriali degli ultimi mesi.

Alla luce di questi elementi acquista sempre più credibilità la tesi secondo la quale annunciare la controffensiva è stato un modo per attirare l’esercito russo in una sorta di trappola. Combattere nell’Est per gli ucraini è stato un duro colpo, c’era un momento in cui i funzionari di Kiev dichiaravano che in Donbass morivano «100 soldati al giorno». Infatti, in sei mesi i militari del Cremlino sono riusciti a chiudere la regione da tre lati e a organizzare linee di approvvigionamento efficienti grazie alla vicinanza della frontiera de facto con le repubbliche indipendentiste del Lugansk e di Donetsk e del territorio russo stesso. In questo contesto neanche gli Himars bastano a cambiare la situazione.

Costringere i russi a dislocare le proprie truppe al Sud in modo da allentare la pressione sul Donetsk, ad allungare di nuovo di centinaia di chilometri la catena dei rifornimenti in un territorio al centro dell’Ucraina nel quale, tra l’altro, non potrebbero avere le spalle coperte, insomma, a combattere in un contesto estremamente meno vantaggioso del Donbass, potrebbe essere il vero capolavoro strategico di Kiev. Senza contare la rete di sabotatori o di “cellule dormienti” filo-ucraine che a un momento dato potrebbero collaborare da dietro le linee nemiche. Il tutto in un contesto di preparazione militare e di disponibilità di armamenti superiore a tre mesi fa.

Il 29 agosto, a sorpresa, gli ucraini hanno annunciato l’inizio della controffensiva, ma finora gli equilibri nei pressi della costa del Mar Nero non sono mutati. Kiev sostiene di aver sfondato in più direzioni, i russi di aver tenuto uccidendo 1.200 soldati ucraini in meno di una settimana. Nel grande scacchiere del fronte sud dell’Ucraina al momento sono ancora le informazioni a suscitare più clamore dei colpi di cannone.

11 settembre 2022 69 Prima PaginaL’opinione di GIGI RIVA

Missili e cannoni dello Zar puntati sulle nostre Borse

Gas e petrolio diventano così uno strumento di geo-politica, arma di ricatto contro la vasta area del Vecchio Continente che non dispone di risorse proprie nel sottosuolo. E la lezione di Vladimir Putin fa scuola se l’Iran ne approfitta per accodarsi e avanzare lo stesso baratto: ma ve lo diamo noi il gas e il petrolio se ci togliete le sanzioni, varate per l’annosa questione dell’arricchimento dell’uranio che potrebbe fornire l’atomica agli ayatollah di Teheran.

Putin ha trasparentemente individuato nell’Europa l’anello debole della coalizione pro Ucraina, blocca l’export anche a costo di impoverire il proprio erario perché considera maggiore il danno inflitto ai nemici, confida sulle quinte colonne in Occidente rappresentate da partiti che,

credendo di lucrare un dividendo elettorale, si mostrano benevoli verso la Russia e insofferenti verso Kiev perché si ostina a rispondere all’aggressione del suo suolo così provocando, indirettamente, le sofferenze ai propri cittadini. Mette gli Stati davanti al dilemma se sia più giusto difendere un bene primario come la democrazia minacciata dallo zar di Mosca o trascorrere una stagione fredda con il gas che scorre copioso e le mille luci accese nelle nostre città. Dualismo che dovrebbe essere risolto a priori con la prima scelta se non ci fosse una certa riluttanza a rinunciare ai lussi e agli agi costi quel che costi.

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La via d’uscita, la scappatoia, poteva essere rappresentata dalle fonti rinnovabili se ci fossimo attrezzati per tempo a implementarle. Ed è assai difficile oggi prevedere un loro clamoroso sviluppo, intanto per i tempi tecnici e poi perché la transizione ecologica ha un prezzo che disastrate economie, come quella italiana, non possono permettersi se non scaricando ulteriori costi sulle giovani generazioni già gravate da un debito mostruoso prodotto dai loro padri. Un circuito perverso, un labirinto da cui è difficile uscire. Siamo dunque alla tempesta perfetta, originata dall’invasione del 24 febbraio. Si abbatte, la tempesta, sulla fragilità di un sistema economico che ha difettato in lungimiranza e creduto, pagando, di potere nei tempi lunghi attaccarsi alla tetta di gasdotti e oleodotti manovrati da una persona sola. Finché quella persona, per hybris di potere e ubriacatura imperiale, ha abbassato la manovella precipitandoci nell’inverno del nostro scontento.

on potendo vincere con carri armati e missili una guerra che è stata fin dall’inizio ideologica e di conquista, Vladimir Putin mette in campo armi meno cruente ma non meno devastanti: gli indici di Borsa e una potenziale crisi alimentare. Dal Cremlino si gode lo spettacolo di mercati che crollano, di risparmiatori disperati per il loro gruzzolo che si depaupera. Di famiglie in grave difficoltà per le bollette di luce e gas, di governi che litigano su come contrabisognomaterienecessitàaumentoPaesidiaggiunge,dellaperstarelapandemiaenergeticaehannonemicoancheunalleatostoricoRussia:ilgeneraleinverno.Epersovraccarico,l’idealimitarel’exportdicerealiversoiUe,conconseguenteulterioredeiprezzidibenidiprimacomeilpane,lapasta.Leprimedicuil’Occidentehasonolasuarisorsaestrema.

L’Unione europea è l’anello debole perché in tempi non sospetti non si è mai posta il problema che poteva essere foriera di sciagure la dipendenza energetica da un impero in ricostruzione e con mire belliciste evidenti almeno dal conflitto con la Georgia del 2008 e conclamate con l’annessione della Crimea del 2014. Non così gli Stati Uniti, ad esempio, che dal 2017 hanno raggiunto l’autosufficienza energetica grazie al gas e al petrolio ricavati dalle rocce di scisto.

Q © RIPRODUZIONE RISERVATAAnsa-EpaFoto: DAL CREMLINO SI GODE LO SPETTACOLO DEI MERCATI CHE CROLLANO E AGGIUNGE L’IDEA DI LIMITARE L’EXPORT DI CEREALI

i detenuti sono spesso altri detenuti su ordine degli agenti che rimangono così impuniti: «Formano squadre di reclusi che obbediscono a tutto, molti hanno subito torture e umiliazioni e si sono disumanizzati, sono anche loro vittime del sistema. Ci sono tanti casi di suicidio», dice Savelyev.

IL PRINCIPALE

È una cella di isolamento all’interno della colonia penale IK-6 di Melekhovo, nella regione di Vladimir, 250 chilometri a est di Mosca, dov’è stato trasferito il 15 giugno dalla colonia penale IK-2 di Pokrov, per scontare la condanna ad altri 9 anni di carcere, inflittagli a marzo per “frode su larga scala” e “oltraggio alla corte”. Questo «isolamento nell’isolamento» è stato deciso dopo che Navalny aveva creato un sindacato dei prigionieri e denunciato le condizioni dei detenuti.

Le torture obbediscono a svariate necessità del sistema, controllato da Servizio federale penitenziario (Fsin) e dal Servizio federale per la sicurezza della Federazione russa (Fsb). Sono inflitte per un’infrazione, per estorcere informazioni, soldi o la totale disponibilità del condannato a farsi

N

VITTIME DIVENTANO CARNEFICI

REGIME È IN UNA DELLE COLONIE PENALI EREDITÀ DELL’URSS. TRA

iente visite, niente lettere, niente pacchi. Questo è l’unico posto della prigione in cui è vietato fumare. Mi danno carta e penna solo 1 ora e 15 minuti al giorno. Ho solo una tazza e un libro»: così il leader dell’opposizione russa Alexei Navalny ha denunciato attraverso Twitter il 15 agosto di essere stato messo in una «unità abitativa speciale (Shu)».

Sabrina Pisu Giornalista

IL GULAG DI NAVALNY

DI SABRINA PISU

70 11 settembre 2022 La Russia

La battaglia del maggior oppositore di Vladimir Putin va avanti anche per cambiare le condizioni «mostruose» delle colonie protette da un muro di impunità. A scalfirlo ci ha provato Sergey Savelyev, 32 anni, bielorusso, condannato nel 2013 a nove anni per droga. Rilasciato nel 2021 ha consegnato a Gulagu.net, il gruppo russo per i diritti umani, fondato dall’attivista Vladimir Osechkin, un dossier e oltre mille video che documentano torture e abusi, soprattutto sessuali, sui detenuti. Savelyev adesso è ricercato in Russia OPPOSITORE DEL TORTURE E VIOLENZE, LE

e continua a ricevere «minacce di morte». Vive in una località segreta francese. Per cinque dei sette anni e mezzo da detenuto è stato all’Ospedale penitenziario n.1 della colonia penale di Saratov, 800 chilometri a sud-est di Mosca. «Mi hanno picchiato, torturato per mesi, con l’acqua e l’elettricità. Ho desiderato morire». Poi lo hanno assegnato al Dipartimento di sicurezza per lavorare al computer: «È un sistema molto corrotto, nelle prigioni utilizzano il lavoro gratuito dei detenuti, un lavoro da schiavi. Ho accettato perché hanno promesso di liberarmi con la condizionale il prima possibile. Stampavo documenti, lavoravo con le videoregistrazioni delle camere di sorveglianza e così ho avuto accesso ai file che documentano quel che succede lì dentro».Atorturare

Altra storia portare a processo le torture. Gulagu.net ci prova: «Ora si sta indagando sull’omicidio di un condannato spacciato per suicidio», dice Sergei Saveliev. «È molto complicato smascherare tutte le montature, ma non ci fermiamo».

La repressione politica in Russia si nutre di accuse false che schermano le ragioni vere della condanna di un oppositore. Proprio come in Urss. E come nel caso Navalny che Davidis ha difeso testimoniando al processo. «È un caso assolutamente politico, tutte le prove della sua colpevolezza sono false».

«Nelle prigioni il sistema politico crea, di fatto, una serie di Putin a tutti i livelli», dice Sergei Davidis, al fianco di Navalny, ora esule in Lituania e per dieci anni direttore del programma di sostegno ai prigionieri politici e membro del consiglio della Ong russa Human Rights Center “Memorial”, classificata nel 2016 come “agente straniero” e chiusa, il 29 dicembre 2021 su ordine del tribunale di Mosca. «L’attenzione nei confronti di Alexei Navalny è troppo alta e quindi, probabilmente, non oseranno fargli del male. Ma rederanno la sua permanenza il più difficile possibile», continua

strumento di altri piani, ai quali collaborano spesso boss della criminalità organizzata.

Dall’inizio della guerra sono 15.413 i manifestanti pacifici arrestati secondo Ovd-Info, Ong russa per i diritti umani. Secondo Memorial il numero dei detenuti politici dal 2015 è aumentato di dieci volte, i prigionieri politici sono 1.300 su 466mila detenuti.

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«In epoca sovietica esistevano degli articoli che punivano la dissidenza ideologica e politica, nella Russia di oggi si formulano accuse e sentenze che non sono formalmente politiche ma per corruzione, vandalismo e pedofilia come nel caso dell’attivista Jurij Dmitriev, condannato solo per aver tentato di dare un nome ai resti umani del terrore staliniano», dice Savino.

Il pregiudizio accusatorio è profondamente radicato all’interno del sistema giuridico russo dove il ruolo decisivo è svolto dalla procura. E Putin ha il diritto di nominare il Procuratore generale della Federazione russa. «Meno dell’1 per cento di tutte le persone processate è scagionato, l’assoluzione è vista come un fallimento dalle forze dell’ordine», spiega Vladimir Kudriavtsev, ricercatore russo in criminologia all’Università Statale della Florida. La tortura nelle fasi investigative è la regola. Il 90 per cento dei casi arriva in tribunale con una confessione. «Per i crimini meno gravi, c’è una sorta di “patteggiamento” alla russa, applicato nel 60 per cento dei casi: l’imputato non contesta l’accusa e il giudice timbra la decisione, infliggendo non più di due terzi della pena massima possibile», conclude Kudriavtsev.

Il tasso di incarcerazione in Russia è il più alto d’Europa: 328 detenuti per 100mila abitanti (fonte, Consiglio d’Europa) e le condanne medie sono quattro volte superiori a quelle degli altri Paesi europei.

«NienteDavidis.assistenza sanitaria, 12 ore di lavoro al giorno, tutti i giorni, per 2 euro al mese: questo il regime nelle colonie penali», spiega da Mosca Olga Podoplelova, responsabile legale per Russia Behind Bars, Ong che lavora per migliorare le condizioni dei prigionieri.

11 settembre 2022 71 Prima Pagina XxxxxxXxxxxFoto:

Alexei Navalny collegato in video durante l’appello contro la condanna a nove anni

Sergei Davidis ha sperimentato direttamente i metodi di repressione politica con 10 giorni di arresto per aver ritwittato la notizia di una manifestazione a sostegno di Navalny. «Quasi tutti quelli impegnati nella difesa dei diritti umani o nell’opposizione politica sono finiti dentro per una o due settimane, si viene privati dalla libertà, si hanno 15 minuti al giorno per telefonare alla famiglia e si possono vedere gli avvocati. Nulla di paragonabile alla colonia penale».

Storia dell’Europa orientale all’Università di Parma, che ha insegnato a Mosca per dieci anni ed è tornato in Italia, come atto di dissenso dopo l’invasione dell’Ucraina: «Proprio Navalny ha denunciato che all’interno delle strutture c’è una modalità di controllo fondata sulla creazione di una gerarchia tra i detenuti. Un sistema che va inquadrato nella storia del Paese e nel tentativo di creare una permanenza dell’ordine statale anche a livello carcerario».

Le colonie penali, istituite nel 1929 nella Russia di Stalin, sono sostanzialmente rimaste immutate. Baracche di legno e mattoni in luoghi remoti dove i detenuti lavorano per lo Stato. Oggi in Russia di luoghi così «che ricordano i gulag» ce ne sono 670, nota Giovanni Savino, docente di

TEXAS HOLDEM IL POKER DI BETO IL DEMOCRATICO O’ROURKE È DIETRO L’USCENTE REPUBBLICANO ABBOTT MA ABORTO, LATINI, CENTRI RURALI E POSSONO RIBALTAREARMITUTTO

ha a disposizione per la sua campagna circa 50 milioni di dollari, il doppio secco di Beto. Ma a alimentare le speranze di O’Rourke e del suo staff ci sono altre cose. Anzi: a essere precisi, le stesse cose: i numeri (i sondaggi lo danno sì, indietro, ma di pochissimo), l’inerzia elettorale, che sì, tira verso i repubblicani, ma che da anni vede i numeri dei democratici crescere; infine la popolarità del governatore Abbott che è ai minimi storici (solo il 42 per cento degli elettori ne ha un’opinione favorevole). Quanto ai soldi, O’Rourke li ha raccolti a tempo di record (appena tre mesi) e per lo più in piccole donazioni da 5 o 10 dollari. Poi c’è il fattore carisma: Abbot ne è poco dotato; Beto, invece, ne ha da vendere, con le sue camicie sudate, la capacità di rispondere a braccio per ore a centinaia di domande e contestazioni durante gli incontri pubblici, la sua storia e le sue movenze da

Anche a questo giro, tutto lascia pensare che potrebbe perdere ancora. Contro di lui ci sono i numeri (i sondaggi lo danno indietro), l’inerzia elettorale che tira tutta verso i conservatori (il Texas non elegge un governatore democratico dal 1994), la popolarità del governatore in carica Greg Abbott e, visto che siamo in America, i soldi: il governatore

Stati Uniti

N DI LUCIANA GROSSO

72 11 settembre 2022

Luciana Grosso Giornalista

on succede, ma se succede…»: è più o meno questo lo spirito della campagna elettorale, condotta, contro l’evidenza stolida della realtà e quella un po’ pigra dei numeri, da Beto O’Rourke, candidato democratico a governatore in Texas, lo Stato repubblicano per antonomasia. In realtà per O’Rourke (che tutti chiamano familiarmente Beto) si tratta della seconda corsa: la prima, la condusse nel 2018, candidandosi al Senato contro Ted Cruz. E, come era scritto, perse. Di un soffio,ma perse. Con il miglior risultato mai ottenuto da un democratico in Texas dopo il 1994.

ex chitarrista punk rock, il suo amore tutto texano per il barbecue e i cappellini e la sua passione, vagamente fanciullesca, per lo skate.Per

11 settembre 2022 73 Prima Pagina

Il Washington Post ha contato che, nell’ultimo mese, la campagna di Beto ha organizzato una media di tre incontri pubblici al giorno, tutti i giorni, concentrandosi soprattutto sulle città rurali. Posti nei quali, per dirne una, Trump, nel 2020, ha mietuto percentuali dell’80 o del 90 per cento. Quella zona è la cosiddetta “Texas Panhandle”, il “manico di padella” del Texas, ossia la parte più settentrionale, la cui forma ricorda quella di un manico. È lì, nei posti più repubblicani dello Stato, che Beto cerca i suoi voti. Non nelle città come Dallas, Austin, San Antonio e Houston, dove i democratici già da tempo godono di buona salute. Ma in posti come Quanah, una città di 2.272 abitanti, in cui nel 2020 i voti per Biden sono stati meno di 15 ma all’incontro con O’Rourke si sono presentati in 64, o come a Whitesboro, posto di 4.217 anime, nessuna delle quali ha degnato di una sguardo Biden, ma 400 delle quali si sono sono presentate all’incontro con Beto. Per questo, la convinzione di Beto O’Rourke e del suo staff è che i voti vanno cercati nell’ultimo posto in cui un democratico potrebbe sperare di trovarli: nel Texas rurale. In teoria, in quelle microcittà super conservatrici, di voti per i democratici non ce ne dovrebbe essere. In pratica però, scrive Washington Post, «Beto sta rivoltando i cuscini per trovarli», consapevole del fatto che per vincere gliene servono meno di 500 mila. E i bacini di potenziali elettori di Beto O’Rourke sono molti. Si potrebbe partire da chi non vota. Il recupero dell’astensione è una specie di Sacro Graal: milioni di voti, nel caso del Texas circa 7. Se Beto ne ottenesse solo il 10 per cento, sarebbe fatta. Lo stesso vale per il voto femminile: la questione aborto potrebbe pesare moltissimo. In base alla nuova legge texana l’aborto non solo è vietato in ogni caso (con la sola eccezione del rischio di vita della gestante) ma impone anche pene severissime, fino l’ergastolo. La legge, sostenuta da Abbott e dallo zoccolo più duro della base trumpiana, in realtà sembra essere piuttosto impopolare: un recente sondaggio pubblicato da Npr riporta che il 60 per cento degli elettori è contrario, mentre solo l’11 per cento è con Abbot su questo tema. Un altro segmento determinante sono i latini, circa il 40 per cento della popolazione, concentrati per lo più nel Sud. Si tratta di un blocco

Voti che Beto sta andando a raccogliere uno per uno, a differenza di Abbott, che, in-

ImagesFlores/GettyS.Foto:

questo, perché in teoria le carte per farcela ci sono tutte, negli uffici dei comitati elettorali della sua campagna, si respira l’aria frizzante ed eccitata delle sfide difficili, ma possibili. Inoltre, visto il momento storico plasmato dall’ombra di Trump e della violenza verbale e pratica che si trascina dietro, per i democratici, espugnare il Texas sarebbe un modo per iniziare, davvero, ad archiviare un periodo incredibilmente buio.

Il adNeighborhoodalBetodemocraticogovernatorecandidatoO'RourkePanAmericanParkAustin,inTexas

vece, confida molto nel traino del suo partito e del suo ruolo di governatore uscente.

A separarli da quest’obiettivo, secondo i sondaggi, c’è un divario sottilissimo: i pessimisti parlano di 8 punti; gli ottimisti di appena 4. Possono sembrare tanti, ma in realtà sono solo poche migliaia di voti. Nel 2018, quando corse per il Senato contro Cruz, Beto O’Rourke perse solo per il 2,6 per cento, ossia circa 200mila voti

74 11 settembre 2022 ImagesGetty/BellB.Contrasto,/Redux-MorrisonM.Foto:

Tra due mesi sapremo se le congiunture astrali che potrebbero portare Beto, primo democratico dopo 28 anni, al Campidoglio di Austin, si verificheranno e se si verificheranno a sufficienza. Perché in politica, non esistono le «quasi vittorie».

Il governatore del Texas Greg Abbott a un evento con l'ex presidente Donald Trump. A sinistra, una strettaO'RourkeorganizzatamanifestazionedaBetocontrolaanti-abortista

bia cambiato le carte in tavola. La strage di 19 bambini delle elementari, uccisi con un’arma da guerra ha inevitabilmente colpito la società texana che, come al solito, ne è uscita divisa. I repubblicani ritengono che la soluzione sia armare, per esempio, anche gli insegnanti. I democratici sono per limitare il più possibile la circolazione delle armi. Nell’America di oggi, il principio del secondo emendamento (quello che prevede il diritto a possedere e portare armi) è più che radicato, anche tra i democratici (si stima che il 30 per cento degli elettori dem possieda un’arma), ma in questa campagna, in un Texas più scosso di quel che vuole ammettere dalla strage di Uvalde, Beto ha trovato due messaggi efficaci: il primo è la proposta di vietare non le armi in toto, ma solo le armi d’assalto (uno dei suoi slogan è “verremo a prendere il tuo AK47”); il secondo è che il governatore Abbott non sta facendo niente per proteggere le persone dall’ipotesi che possano uscire di casa per fare la spesa e non farvi più rientro. Non è solo uno slogan, ma è quello che Beto ha urlato a Abbott facendo irruzione durante una conferenza stampa (e rubandogli la scena).

che per varie ragioni, dal forte cattolicesimo a un radicato anticomunismo, storicamente si colloca a destra. Eppure, anche lì, qualcosa sta cambiando. Le politiche sociali di Abbott hanno impoverito la comunità che nel frattempo, e nonostante tutto, si è fatta più giovane e istruita, tanto che, nel 2020, la maggioranza dei latini ha votato per Joe Biden.Infine

ci sono i nuovi texani, ossia l’enorme fetta di persone che, di recente, si è trasferita in Texas da altri Stati, in particolare dalla democraticissima California. Si stima che negli ultimi dieci anni, almeno 250 mila californiani siano sbarcati in Texas, attratti dalle imposte più basse e dal costo della vita nettamente inferiore. I loro voti liberal hanno traslocato con loro e stanno contribuendo a rendere lo stato «purple» ossia una via di mezzo tra il rosso acceso dei repubblicani e il blu dei democratici. Potrebbero fare la differenza, soprattutto se sommati ai repubblicani non trumpiani che, in dissenso, potrebbero astenersi.

Dall’altra parte è inutile fare finta che la strage di Uvalde, poche settimane fa, non ab-

Q © RIPRODUZIONE RISERVATA Prima Pagina Stati Uniti

Ma non è tutto: a poter tirare la volata c’è la questione armi, forse la più delicata: sia perché per i Texani il diritto a possedere qualunque arma è più che sacrosanto, sia per cultura, machismo e repubblicanesimo spinto, sia per ragioni che considerano pratiche e necessarie, visto che molti di loro abitano in fattorie sperdute in mezzo al nulla.

«Abbiamo passato 24 ore molto dure», racconta a L’Espresso Ibtisam Aziz, che lavora nell’ufficio del dipartimento del primo ministro, e che abita nella stessa Green Zone, considerata per molto tempo inattaccabile, essendo A DAR

VITA A UN GOVERNO. MENTRE PROFILANO NUOVE ELEZIONI, I LEADER ACCENDONO LA PIAZZA E INNESCANO LA VIOLENZA

SI

76 11 settembre 2022 Medio Oriente

l’area più militarizzata della capitale irachena e sede delle ambasciate, simbolo del potere e dei privilegi contro cui i cittadini iracheni continuano a protestare. «Non abbiamo dormito tutta la notte a causa dei combattimenti e del caos, oltre ai danni che sono stati fatti alle fogne, ai serbatoi dell’acqua e alle finestre». Nelle stesse lunghe ore di Aziz, i sostenitori di Moqtada al-Sadr hanno anche nuotato nella piscina del palazzo presidenziale, tuffi che ricordano l’irruzione nel palazzo presidenziale dello Sri Lanka, per protesta contro la crisi economica del Paese, solo due mesi fa. Qui, però, al netto di tuffi e passeggiate, si sono riversati gli uomini di milizie armate fino ai denti e che possono in poche ore far piombare il fragile Paese nell’incubo della guerra civile. Da un lato, Saraya al-Salam, le “Brigate della Pace”, fedeli ad al-Sadr; dall’altro l’esercito e i paramilitari filoiraniani di Hashd el-Shaabi, le “Forze di mobilitazione popolare”,

Marta Bellingreri Giornalista

I PARTITI NON RIESCONO

POLVERIERA

A

I seguaci di Moqtada al-Sadr si ritirano dopo gli scontri alla Green Zone di Baghdad

IRAQ DI MARTA BELLINGRERI

lmeno 30 morti e 380 feriti in meno di 24 ore. È questo il bilancio del 29-30 agosto a Baghdad, giorni in cui il leader sciita Moqtada al-Sadr della coalizione vincente alle ultime elezioni di ottobre 2021, ha premuto il tasto “play” e poi “stop” con la sua abituale sequela di annunci, richieste e dichiarazioni, spesso in forma di tweet. Prima, comunicando il suo ritiro dalla vita politica, che ha scatenato l’irruzione dei suoi sostenitori nella Green Zone e quindi attorno ai palazzi governativi, e lo scontro in strada con le forze armate e le milizie sciite pro-Iran rivali; e il giorno dopo, chiedendo il ritiro e la fine della violenza, richieste alle quali i suoi sostenitori hanno prontamente obbedito, liberando la Green Zone nel giro di un’ora.

11 settembre 2022 77 Contrasto/ReutersFoto: Prima Pagina

La società civile irachena, così come riunita nel gruppo “Iniziativa di solidarietà della società civile irachena”, vede le sfide politiche, ambientali, sociali molto urgenti e scottanti, e però non si arrende, ribadendo nell’ultimo comunicato che l’unica cosa che vogliono gli iracheni è la pace. «Gli iracheni vogliono la pace! La società civile irachena fa appello al governo e alle forze politiche irachene affinché scelgano la strada del dialogo, del disarmo e della pace. Chiede il rispetto delle richieste sollevate durante la rivolta del 2019, da parte dei giovani iracheni, per chiedere che il settarismo sia eliminato dalla politica irachena». E non dimentica chi, proprio in nome di un futuro migliore per l’Iraq, non è più tra loro: «Chiediamo al governo iracheno di riconoscere le libertà civili (…) in memoria di tutti quei giovani che hanno perso la vita nel 2019». Q

Fuori dalla Green Zone invece, la testimonianza di Husam Sobhi, riferisce di una tensione non ancora terminata: «Le strade di Baghdad sono nervose, piene di paura che la violenza possa riesplodere da un momento all’altro», dice l’attivista e ambientalista che ha preso parte per mesi alle proteste di ottobre 2019, la rivoluzione di ottobre in piazza Tahrir, repressa fortemente dalle forze di sicurezza irachene con centinaia di morti e migliaia di feriti. «Adesso, e sottolineo queste mie parole, fino ad adesso, non è più successo niente, ma viviamo sul chi va là. Io abito non distante dalla Green Zone: è stato un giorno terrificante, sentivamo spari, granate, missili, tutto il tempo fino alle 4 del mattino».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Queste ore sono il risultato di mesi di stallo politico a seguito delle elezioni in cui la coalizione vincente di al-Sadr, che voleva creare una maggioranza con il partito sunnita Taqqadum, guidato da Al-Halbusi e il Partito democratico del Kurdistan (Kdp), guidato da Masoud Barzani, non è riuscita a formare il governo. I partiti che non hanno ottenuto un numero sufficiente di voti (principalmente le forze sostenute dall’Iran) non erano soddisfatti dei risultati e hanno rifiutato la formazione di una maggioranza di governo che non li comprendesse, alleandosi nel “Quadro di coordinamento”, al fine di aumentare i propri numeri e sostituire il movimento di al-Sadr. Così, a giugno il politico e leader religioso ha chiesto un ritiro di massa dei suoi parlamentari e a fine luglio ha incitato all’occupazione del Parlamento che è durata oltre un mese. I lavori in aula sono ripresi solo il 4 settembre, e il giorno seguente i vertici dell’esecutivo iracheno e i principali partiti hanno concordato, in una riunione boicottata da al-Sadr, di lavorare per indire elezioni anticipate. L’ufficio del primo ministro ancora in carica Mustafa al-Kadhemi ha scritto in un comunicato che i rappresentati politici dei partiti hanno «concordato di formare un comitato tecnico che comprenda le varie forze politiche (…) per arrivare a elezioni anticipate», una delle richieste anche di al-Sadr e dimostranti. Per quanto l’Iraq post-2003 non sia stato estraneo a crisi politiche infra-sciite, quest’ultima ha rappresentato uno dei momenti più gravi, in un periodo storico in cui la fiducia dei cittadini verso il mondo politico è ormai perduta, come ha provato la bassissima affluenza alle urne dello scorso ottobre. Cosa che rischia di ripetersi alle prossime, ennesime, elezioni anticipate. La figura di al-Sadr incarna in parte gli ultimi decenni di storia irachena: figlio di uno dei chierici sciiti uccisi dal regime di Saddam Hussein, si è fatto leader della lotta armata contro l’invasione americana post-2003 che ha buttato giù il regime di Saddam. Da allora, non ha mai abbandonato la scena politica, rendendosi protagonista di terremoti e volendo testare costantemente il suo consenso tra la popolazione più povera.

le stesse che hanno combattuto a Mosul contro l’Isis e che sebbene formalmente integrate nelle truppe regolari, mantengono un loro potere di milizia su diversi territori. «Hamdulilla, grazie a Dio un milione di volte, è finito tutto in un giorno», conclude Aziz: «Perché se si fosse prolungato ancora, sarebbe stato ancor più difficile fermarlo: come la guerra civile in Libano, che è durata 15 anni».

quella di Hu Jintao, che ha ereditato il potere da Jiang Zemin nel 2002 (benché il vecchio Jiang abbia impiegato un po’ di tempo prima di abbandonare la carica di capo della commissione militare) e poi proprio quella di Xi: indicato come il probabile leader già nel 2007, nel 2012 ha assunto le tre funzioni (incarnate per la prima volta proprio da Jiang Zemin durante gli anni ’90) che ne contraddistinguono il potere: segretario del Partito, capo delle forze armate, Presidente della Repubblica popolare. A quanto pare, nonostante un 2022 terribile per la Cina tra rallentamento economico, bolla immobiliare, siccità, terremoti e una politica “Zero Covid” che continua a tenere chiusi in casa milioni di cinesi, Xi Jinping terrà tutte e tre le cariche. A essere contesa, al momento, è la carica di premier. Se è vero che in Cina quello del premier solitamente è un ruolo secondario rispetto a quello di segretario del Partito, è altret-

TECNOCRATI

l 16 ottobre il Partito comunista cinese si riunirà nel Congresso, il Ventesimo. Si tratta di un appuntamento quinquennale, che di volta in volta si ammanta di mistero, supposizioni, rumors, specie per quanto riguarda la composizione della Commissione permanente del Politburo, ovvero il cuore del potere politico cinese composto, al momento, da nove uomini. A Pechino, dove la politica pesa, si respira l’aria del Congresso da settimane prima, manifestata da divieti bizzarri (negli anni scorsi era proibito anche il volo dei piccioni viaggiatori) e da un dispiegamento di polizia perfino superiore a quanto avviene in tempi normali. È il momento più alto della politica cinese ed è stato spesso segnato da scontri interni ferocissimi.

Il conunaJinping durantecineseleaderXiriunioneilgoverno

AI UNA NUOVA GENERAZIONE. LA STRATEGIA

È

78 11 settembre 2022 Cina

DI SIMONE PIERANNI

DI XI PER RESTARE AL COMANDO

I

Il Ventesimo è un Congresso sui generis, perché sarà caratterizzato dalla più che probabile conferma di Xi Jinping alla guida del paese: una possibilità che sembra confermata dai documenti usciti dal Partito in queste ultime settimane e che costituisce un’eccezione alla consuetudine di un massino di due mandati, dieci anni, per la leadership del Paese. Xi Jinping durante questo decennio ha infatti provveduto a modificare il dettame costituzionale che imponeva il limite a due mandati, senza per altro indicare un proprio successore. Dopo la turbolenta successione di Deng a Mao, “il piccolo timoniere” aveva provato a stabilire alcune regole per una “guida collettiva” del Partito, individuando con largo anticipo i futuri leader del paese. In realtà l’unica successione “regolare” è stata

IL CONGRESSO DEL PARTITO SANCIRÀ L’ARRIVO

PROSSIMO

TUTTO IL POTERE AI

VERTICI DI

Simone Pieranni Giornalista

11 settembre 2022 79 ImagesGetty/K.FreyerFoto:

Prima

A questo proposito, nonostante i cambiamenti che avverranno, chi rimarrà al suo posto sarà proprio “l’ideologo” cinese Wang Huning, artefice di quella parte “epica” che sembra contraddistinguere questi dieci anni di Xi (“il sogno cinese”, “il futuro dal destino comune”, la stessa Via della Seta). Come la può la politica mantenere il potere durante trasformazioni epocali? Wang Huning ha una risposta: attraverso la cultura da intendersi come quel sistema valoriale, tradizionale, che permette di fornire alla società, alla popolazione, una bussola di orientamento. Wang Huning naturalmente ha adattato questa sua risposta al contesto cinese, diventando un punto di riferimento dei leader di Pechino da Jiang Zemin in avanti, la cui principale preoccupazione era utilizzare strumenti economici occidentali ma rimanere distanti dai valori occidentali

Un aspetto importante è infine quello relativo alla politica estera: entrambi i massimi diplomatici cinesi - il membro del Politburo Yang Jiechi e il ministro degli Esteri Wang - avranno superato l’età pensionabile quando si terrà il congresso. Yang ha 72 anni, mentre Wang compirà 69 anni ad ottobre e il limite dei funzionari solitamente è 68 anni (limite che non vale per il numero uno). Secondo molti osservatori, però, Wang Yi probabilmente sarà confermato. In attesa che dal Congresso esca anche un documento che definirà la nuova politica cinese su Taiwan, alla luce della crisi agostana dovuta alla visita della speaker del Congresso americano Nancy Pelosi.

Xi e quella dei suoi timidi oppositori. Ma Xi Jinping, naturalmente, si è già mosso in anticipo. A questo proposito ci sono due aspetti importanti: comunque vada, nelle sfere apicali del Partito arriveranno tanti nati negli anni ’60 (“la sesta generazione di leader”). Significa persone che non hanno vissuto la Rivoluzione Culturale come i loro predecessori e che anzi, sono cresciuti in una Cina già inserita all’interno di un contesto globale e in grande crescita. Questo potrebbe significare una “apertura” mentale più ampia rispetto alle generazioni precedenti. In secondo luogo, come hanno osservato i ricercatori di Macropolo, «il pendolo sta tornando a favore dei tecnocrati perché Xi ha dato la priorità al progresso tecnologico rispetto alla crescita. Con queste strategie ambiziose i tecnocrati sono necessari». Nel corso di questi ultimi due anni Xi Jinping quindi ha già provveduto ai due obiettivi: rinnovare le fila dei funzionari del Partito e indicare una strada. Un esempio perfetto è quello della regione dell’Hunan, diventato nel tempo un importante centro di ricerca di progetti aeronautici e tecnologici. Lì Xi Jinping ha messo Xu Dazhe, nominato governatore nel 2016 e promosso segretario del partito nel 2020. «È come se un ex ingegnere della Nasa diventasse il governatore di uno stato», hanno scritto gli analisti di Macropolo. E non è l’unico caso: in questo modo Xi ha creato una sorta di “fazione” di tecnici, molti dei quali giovani, in grado di portare avanti la sua agenda governativa, senza sgarrare a livello ideologico.

il Congresso determinerà la postura politica interna e internazionale della Cina, specie se il ricambio generazionale che ci si aspetta nel Comitato Centrale del Partito, porterà a un maggiore equilibrio tra la fazione di

Pagina

InJinping.generale

tanto vero che alcuni premier hanno saputo “segnare” il proprio periodo in carica più di altri. Senza andare troppo indietro nel tempo, nel decennio 2002-2012 tra il segretario Hu Jintao e il premier Wen Jiabao, è stato senz’altro il secondo a essersi conquistato più visibilità e popolarità. L’ipotesi più accreditata per la sostituzione di Li Keqiang (l’attuale premier che potrebbe finire per ricoprire qualche ruolo istituzionale) parla di una sfida a due tra Wang Yang, veterano e già nel Comitato Permanente del Politburo (Wang è il numero 4) e Hu Chunhua, vice premier, “eterna” stella della politica cinese che in questo Congresso dovrebbe finalmente entrare nel Comitato Permanente a 63 anni. Wang Yang è considerato un riformista, Hu di recente sembra essere finalmente entrato nelle grazie di Xi

Q © RIPRODUZIONE RISERVATA

80 11 settembre 2022 La privacy negata TELEBANDITI LO SQUILLO MOLESTO

NONOSTANTE L’AVVENTO DEL REGISTRO DELLE OPPOSIZIONI SEI UTENTI SU DIECI RICEVONO ANCORA CHIAMATE

P

suo funzionamento. È il primo strumento con cui possiamo rendere illecite tutte le telefonate pubblicitarie a qualsiasi numero di telefono (fisso o mobile). Basta appunto iscriverlo al registro. Quest’azione ha anche l’effetto di eliminare ogni consenso “privacy” che l’utente aveva dato in precedenza a ricevere quel tipo di telefonate. Questo è il punto chiave. Prima del 27 luglio non c’era un modo effettivo per togliere un consenso telemarketing, che potevamo avere dato anche per errore iscrivendoci a un negozio online, a una carta fedeltà o a un’offerta telefonica (ad esempio). Di fatto quindi potevamo ricevere telefonate “lecite”, sulla base di quel consenso dato. Non riuscivamo a toglierlo perché era impossibile scoprire quale soggetto contattare a tal scopo, dei tanti che ci chiamavano sotto falsa identità. E anche se avessimo trovato il canale giusto per negare il consenso, non avremmo avuto un modo chiaro e oggettivo per dimostrare di averlo fatto. Questo modo ora c’è ed è il nuovo registro, appunto. Ci si iscrive telefonando, dal numero in questione, al numero verde 800 957 766 per le utenze fisse e allo 06 42986411 per i cellulari. Possibile anche farlo tramite sito web Registrodelleopposizioni.it (con un modulo che possiamo inviare via web o via mail).

DI ALESSANDRO LONGO

Un call center per attività telemarketing.di La deregulation del settore e la irresponsabilità dei committenti per le attività in subappalto rende inefficace l’argine posto dal Registro delle opposizioni

Alessandro Longo Giornalista

Esperienza comune di milioni di italiani. Il problema: da agosto speravamo ormai che non sarebbe più stata così comune. Il 27 luglio, infatti, ha debuttato il nuovo Registro delle opposizioni, strumento finalmente lanciato dal governo dopo un parto normativo lungo cinque anni. La speranza era che il registro avrebbe eliminato il telemarketing molesto.

E DI UN MERCATO CHE È IL FAR WEST

Chi ci vuole chiamare per motivi pubblicitari è obbligato dalle norme a consultare il registro ogni 15 giorni ed escludere i numeri lì presenti. Ci sono altrimenti sanzioni privacy fino a 20 milioni di euro o al 4 per cento del fatturato (per leggi in vigore dal 2018). Sanzioni che non colpiscono solo i contact center. Il Garante della privacy negli anni scorsi ha sanzionato, per milioni di euro alla volta, tutti gli operatori telefonici, Enel e

11 settembre 2022 81 Contrasto/Redux-BacaniX.Foto: Prima Pagina

DI TELEMARKETING. COLPA DEI RITARDI

ronto, siamo Tim, vi offriamo la nostra fibra…». «Pronto, siamo Enel, volete risparmiare sul costo dell’energia? Vi mandiamo un tecnico a casa…». Macché: sono telefonate illecite e vengono da parte di soggetti ben diversi rispetto alle grandi aziende citate.

E invece, nei giorni scorsi, la delusione: il 62,8 per cento di chi si è iscritto al registro riceve ancora queste telefonate; anche se per il 57,5 per cento l’assillo si è almeno ridotto (e per il restante 37,2 per cento è cessato del tutto). Sono dati raccolti ad agosto dall’Unione nazionale consumatori e confermano quanto molti iscritti al Registro - in tutto 2,4 milioni al 31 agosto - stanno vivendo in questi giorni. Delusione, appunto. Oltre che fastidio. Gli esempi di Tim e di Enel sono stati raccolti da L’Espresso e quello di Enel in particolare la dice lunga, sull’inganno: «Perché certo nessuno manda un tecnico a casa per attivare l’offerta di energia; era certo un agente commerciale», spiega Lelio Borgherese, presidente di una delle principali associazioni di contact center, Assocontact. Telefonata ricevuta proprio dalla sua anzianaInsomma,madre.lodicono i dati: iscrivere il numero al registro è utile - ci sono solo vantaggi, dato che è gratis, in effetti - perché riduce le chiamate indesiderate; ma non è ancora la soluzione che si sperava.

L’efficacia di questo registro è collegata al

altri soggetti per non aver vigilato abbastanza sul rispetto delle norme da parte dei contact center con cui facevano affari. E adesso che con il nuovo registro la violazione delle norme diventa palese, le sanzioni dovrebbero essere implacabili.

«Si è messo di mezzo anche il tardivo arrivo di alcuni decreti attuativi - usciti solo a fine agosto - il che ha rallentato le procedure di accreditamento», spiega Eugenio Prosperetti, avvocato specializzato in telefonia.

Ci sono però anche problemi che si risolveranno, nel caso, solo nel lungo periodo. Uno è quello della lunga filiera dei contact center, come riferiscono a L’Espresso dal ministero, da Assocontact e dall’Agcom (Autorità garante delle comunicazioni). Ne parla anche un’indagine del Garante della privacy del 2021. Le aziende affidano la vendita a contact center noti, che però poi possono subappaltare parti della commessa ad aziende minori, che a loro volta possono fare lo stesso. Fino così ad arrivare a un sottobosco di contact center irregolari, a volte posti in un sottoscala; anche nei Paesi dell’Est o del Nord Africa. Soggetti che operano in barba a ogni legge e anche difficili da individuare o sanzionare. A tal proposito, Tim riferisce che la chiamata citata all’inizio di quest’articolo (registrata da L’Espresso) non proviene da un contact center da lei autorizzato e che denuncerà l’accaduto alle autorità, come fatto in Unapassato.soluzione ipotizzata è un “codice di condotta”, su cui ora lavora Agcom (con tutte le aziende del settore e il Garante della

Un altro problema, riferiscono dal ministero, è che ormai molti call center usano software per falsificare il numero chiamante. Ecco perché ci capita di ricevere chiamate pubblicitarie da numeri fissi o mobili italiani che risultano poi non validi o inesistenti. Sono stati generati “virtualmente”, ad hoc, dal call center per sfuggire a controlli delle autorità e a sistemi di blocco pubblicitario attivi sui cellulari degli utenti. Di fatto è una violazione delle norme del settore.

La sfida sarà fare aderire al codice di condotta l’intera rete vendita del settore, per non dare nemmeno un appiglio agli irregolari.

Q © RIPRODUZIONE RISERVATA UN CODICE DI CONCHEPERVINCOLEREBBECOMPORTAMENTOLECOMPAGNIEICONTACTCENTEROPERANOINSUBAPPALTO.SANZIONIRADDOPPIATE 2,4

MILIONI DI EURO

E allora perché continuano a chiamarci? I motivi sono numerosi. Dal ministero competente (Sviluppo economico) fanno sapere che ci vorrà ancora del tempo per andare a regime: non tutti i soggetti del settore si sono accreditati al nuovo registro (anche se è obbligatorio). A fine agosto solo 500.

È la percentuale di utenti che hanno iscritto i propri numeri al Registro ma che ricevono ancora chiamate di telemarketing PER CENTO

Agcom lavora anche a questo problema. Lo fa dal 2019, ma sta accelerando nelle ultime settimane. Ad agosto ha chiesto (per la seconda volta) agli operatori di filtrare le chiamate con numeri fasulli. Per la prima volta ha ottenuto da loro l’impegno a farlo nei prossimi sei mesi a cominciare da quelle che sono più facilmente riconoscibili (quelle che arrivano dall’estero ma si presentano con numeri italiani). Serviranno più tempo e investimenti degli operatori sulla rete per intercettare i tipi più sofisticati di chiamate illecite e gli sms dotati di identificativo fasullo. Tecnica usata anche da truffatori che si spacciano per la nostra banca e mirano così a rubarci soldi o dati personali, per un danno stimato in 10milioni di euro annuali agli italiani dal Crif, la Centrale rischi finanziari.

La

Già perché lo spam telefonico non è solo un fastidio. Cela in realtà illeciti di vario tipo (sulla privacy, il diritto del lavoro…); anche reati. «Gli irregolari stanno distruggendo il valore di questo mercato», inoltre, spiega Prosperetti. Perché spingono gli utenti a non rispondere più nemmeno ai call center regolari. Con un danno anche per l’occupazione nel settore, che dà lavoro a 185mila persone, spesso giovani, donne e al Sud (dati Ambrosetti-Assocontact del 2022).

privacy). Tutti gli operatori di questo mercato si impegneranno, in base al codice, a non fare affari con soggetti irregolari; con forti sanzioni Agcom in caso di sgarro (eventualmente da sommare a quelle privacy). Il codice sarà attivo forse già da quest’autunno (riferiscono da Agcom)

82 11 settembre 2022

Attualmente è la sanzione massima per violazione della privacy degli utenti iscritti al Registro delle opposizioni

L’Italia ha sottovalutato il problema, rimandando per anni le norme contro lo spam. Adesso c’è stata la svolta, ma il lavoro dovrà continuare nei prossimi mesi.

Il numero degli utenti che si sono iscritti al Registro delle opposizioni per arginare il telemarketing DIMILIONIISCRITTI

20

62,8

Prima Pagina privacy negata

84 11 settembre 2022 Montagna Longa

Enrico

Bellavia Giornalista

Ofelia, non aveva cuore di svegliare il figlio. E l’uomo al telefono dovette insistere, era urgente, c’era da pianificare un viaggio imprevisto e Armando avrebbe dovuto darsi una mossa per riuscire a partire in tempo. Di malavoglia, la donna andò in camera del figlio che, frastornato, trascinò i piedi in corridoio e prese la cornetta. La madre lo sentì solo annuire. Quando mise giù, annunciò che doveva andare a Roma con il primo volo utile, consegnare dei documenti impor-

IL CONTABILE DEI BOSS VITO ROBERTO PALAZZOLO DOVEVA ESSERE SULL’AEREO SCHIANTATOSI NEL ’72. MA ALL’IMPROVVISO CAMBIÒ IDEA

L IL DALLA CHEPADRINOSISALVÒ

DI ENRICO BELLAVIA

a telefonata arrivò il venerdì mattina molto presto. Era il 5 maggio del 1972, il giorno della strage di Montagna Longa, la strage Armandodimenticata.era a letto nella sua casa di Terrasini. Aveva tirato tardi la sera prima. Erano giornate convulse di campagna elettorale per le Politiche della domenica e lui, come da tradizione familiare, si dava da fare per sostenere quella galassia che fuori dal Pci ingaggiava battaglie a sinistra e provava a erodere il granitico consenso dei democristiani, gonfi dei voti portati in dote dai mammasantissima.

STRAGE

tanti e riprendere un aereo per tornare la sera stessa: «Lui non se la sente, ha paura dell’aereo, devo andare io». Ofelia avrebbe ripassato per il resto dei suoi giorni la sequenza di quella mattina. Nessun dubbio, nessun sospetto, allora. Mai e poi mai, lei che era nipote del giornalista e scrittore Girolamo Ragusa Moleti, «ribelle dei ribelli», secondo la definizione di Benedetto Croce, vissuta in una famiglia nutrita a intransigenza e rigore, se ne starebbe stata in silenzio a subire. Per questo il suo cruccio era semmai quello di non aver capito. E il rovello acuiva il dolore della perdita.

L’uomo al telefono era Vito Roberto Palazzolo, da Terrasini, allora venticinquenne imprenditore e datore di lavoro di Armando. Nello spazio di due lustri si sarebbe guadagnato la fama mondiale di broker del riciclaggio del cartello siciliano della mafia. La vera mente finanziaria della scalata corleonese al vertice dell’organizzazione, il custode dei segreti di un’ascesa che i killer pianificavano versando fiumi di sangue sulle

Incidente, secondo la sbrigativa versione ufficiale consacrata in una sentenza da liberi tutti nel 1984. Casualità: forse guasto, forse errore umano, soluzione pilatesca e indimostrata, comunque funzionale a smontare gli argomenti dei detrattori di uno scalo fortemente voluto in un sito inadeguato e a fugare altre ombre sinistre in un Paese che preferisce spedire i fatti nel confino delle supposizioni.

Anche secondo Alberto Stefano Volo, neofascista e controverso testimone della stagione in cui esponenti di primo piano dell’eversione nera, a partire da Pierluigi Concutelli fecero base in Sicilia a ridosso dell’omicidio del presidente della Regione Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980), Montagna Longa fu una strage. Raccontò di averne avuto un vago sentore quando era in preparazione e di aver consigliato a una sua amica hostess destinata a quel volo di cambiare turno. Non fu prodigo di elementi ma quelli che offriva ascrivevano la strage agli stessi ambienti indicati da Peri.

Il carrello del Dc 8 precipitato a Montagna

strade e lui plasmava con la forza dei numeri: miliardi e conti cifrati, tutto passava dalle sue mani di contabile tanto scrupoloso quanto interessato a ritagliarsi una fetta cospicua di quelle fortune.

Strage deliberata nel quadro della strategia della tensione, sostengono in molti, di fronte a una magistratura riottosa a fare piena luce e a una mole di elementi che concludono verso la tesi dell’attentato. Ci riprova la commissione antimafia sul finire di questa legislatura, come raccontato da L’Espresso (numero 33 del 21 agosto).  E lo fa riprendendo in mano la ricostruzione del vicequestore Giuseppe Peri che già cinque anni dopo, nel 1977, accreditò la pista dell’attentato dimostrativo di matrice mafiosa e neofascista: una bomba a bordo che doveva scoppiare ad aereo già atterrato e vuoto e che un ritardo trasformò in una carneficina, a quel punto impopolare da rivendicare.

Longa il 5 maggio del 1972

In un mondo di pastori e contadini arricchiti, il cui orizzonte estero coincideva con le rotte d’approdo degli emigranti, Vito Roberto Palazzolo giocava con la geografia del denaro. Pronto a spostarsi lì dove era possibile appostarlo senza troppe complicazioni. Dall’Europa all’Africa all’Estremo Oriente, proprio come un vero uomo d’affari. Brillante spigliato e ricchissimo. Inseguito dalla nomea di imprendibile, abile a giocare a scacchi con i giudici a qualsiasi latitudine, prontissimo alla fuga e disinvolto nell’aprirsi vie d’uscita dove altri avrebbero visto solo strade sbarrate.

raggio, l’aereo che avrebbe dovuto riportarlo a casa tagliò in fiamme l’abitato di fronte al golfo e finì su Montagna Longa, depositando su quel crinale, tra Carini e Cinisi, il suo carico di morte: 115 vittime, il primo e più grave disastro dell’aviazione civile italiana, superato in numero di morti solo dalla sciagura di Linate. Il più rimosso tra i capitoli oscuri della nostra storia recente. Concentrato di interrogativi che si inseguono da allora in una danza macabra contro la verità.

Un rapporto insabbiato all’epoca e l’autore emarginato fino alla Eppurepensione. allatesidell’attentato è giunta anche una perizia commissionata dai familiari delle vittime di Montagna Longa. L’ingegnere Rosario Ardito Marretta, a distanza di anni, nel 2017, ha confermato l’intuizione di Peri e collocato in una bocchetta dell’ala destra l’ordigno, concludendo per la bomba a bordo forse attivata da un radiocomando. La relazione di Marretta, snobbata dalla magistratura catanese che ha «cestinato» l’ennesima richiesta di riapertura delle indagini e ora pubblicata in lingua inglese, è già stata acquisita dalla commissione che si avvale della consulenza del magistrato di Milano Guido Salvini, tra i massimi esperti di terrorismo nero. L’audizione di Marretta dovrebbe essere il passo successivo.

11 settembre 2022 85 Prima Pagina

Poco dopo l’alba del 5 maggio 1972, quella sua telefonata spalancò una di quelle porte girevoli che per qualcuno sono la salvezza e per altri la condanna. E Armando che prese il posto di Vito Roberto Palazzolo in quel viaggio da Roma fu consegnato nel suo ultimo giorno a un destino forse non proprio casuale. Quella stessa sera a pochi minuti dall’atter-

Probabile che la voce dell’attentato in preparazione fosse arrivata anche ad altre orecchie, in quell’area di interessi convergenti frequentata da neofascisti e mafiosi,

86 11 settembre 2022 Prima Pagina Montagna Longa

lì dove bombe e delitti erano strumenti per far politica, mezzi per dosare attraverso l’arma della paura, una certa idea di Paese funzionale agli affari in corso.

La sentenza per mafia è la ragione che ha riportato in Italia Palazzolo dalla Thailandia dopo una precipitosa fuga da Città del Capo in direzione Hong Kong. Il Sudafrica lo ha protetto e coccolato garantendogli libertà e opportunità ma su tutte una sfacciata impunità, costruita mettendo a libro paga anche i più blasonati investigatori che dovevano perseguirlo, ma poi anche lì la rete di protezione si è sfaldata e il mafiomanager aveva preferitoIneclissarsi.passato ha schivato un’accusa di droga e il coinvolgimento in due omicidi di mafia. Ha dosato mezze ammissioni inevitabili, provando sempre a scrollarsi di dosso l’accusa di essere la longa manus economica della mafia, l’ha buttata in politica, provando ad allontanare i sospetti dall’imprenditore che gli avrebbe fatto da prestanome per Kartibubbo, tirando in ballo semmai amministratori corrotti per le autorizzazioni. Il villaggio, acquisito definitivamente dallo Stato, è oggi un esempio di gestione fruttuosa dei beni confiscati, soprattutto di fronte allo scandalo della lobby delle amministrazioni giudiziarie che hanno mandato in rovina aziende sventolando la bandiera di una legalità posticcia.

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Armando lavorava per la società costruttrice, una nebulosa di sigle, anche straniere, dietro le quali, ma sarebbe stato scoperto parecchio tempo dopo, c’era Cosa nostra.

Kartibubbo, a Campobello di Mazara, era a quel tempo poco più di un progetto avanzato, un cantiere per la costruzione di uno di quei cubi scagliati a sfregiare la costa in nome della pretesa vocazione turistica della Sicilia e per placare le smanie imprenditrici di una mafia gonfia di soldi che aveva fame di cemento e brama di aree edificabili.

I resti sul crinale della montagna. A destra, Armando Pappalardo

Quarant’anni e una montagna di fascicoli processuali dopo, Vito Roberto Palazzolo, scarcerato nel 2019, ha praticamente finito di scontare una condanna a 9 anni per mafia. In primo grado a infliggergliela era stato il tribunale di cui faceva parte Vittorio Alcamo, figlio di Ignazio, il magistrato che aveva spedito al soggiorno obbligato la moglie di Riina, Ninetta Bagarella, morto su quello stesso volo di Montagna Longa.

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Armando Pappalardo aveva 26 anni. Anche lui era cresciuto a Terrasini, a due passi dall’aeroporto, ed era il secondo di quattro fratelli. Il padre lo aveva perso 12 anni prima, morto in un incidente stradale. Aveva continuato gli studi di geometra, poi si era iscritto a Matematica. La laurea era ormai alle porte ma intanto gli era toccato pure togliersi dai piedi l’impiccio della naia, nonostante commi e leggine gli riservassero una parziale esenzione. Aveva una fidanzatina con la quale flirtava da qualche mese. E un impiego, ottenuto mettendo a frutto il diploma.

Custode della cassaforte quando Mafia spa aveva il monopolio della droga sulla rotta Europa-America.

La storia di Vito Roberto Palazzolo che in Sudafrica ha costruito un impero, in gran parte ora in mano ai figli, ha molte zone d’ombra che ne hanno accresciuto la fama e la reputazione di potente. La paura di volare che il 5 maggio del 1972 lo spinse a chiedere ad Armando Pappalardo di sostituirlo deve averla superata. E di quel miracoloso scambio che gli ha risparmiato la vita non ha mai parlato. Chissà se tra le molte informazioni che costituiscono il suo capitale c’è qualcosa su quella telefonata. La commissione antimafia, se davvero ha intenzione di andare a fondo su quella strage dimenticata, potrebbe intanto chiedergli di rinfrescarsi la memoria.  RIPRODUZIONE

E proprio con uno dei suoi pezzi più pregiati: Vito Roberto Palazzolo, basi in mezzo mondo e collegamenti al massimo livello, uomo di fiducia per gli investimenti personali di boss come Totò Riina e Bernardo Provenzano.

Voci letterarie Le radici spezzate, la lingua da conquistare. E la scrittura come vera patria. Tra paure e difficoltà, due autrici ripercorrono il loro cammino per l’integrazione. E spiegano perché abbiamo tutti identità complesse Siamo una, nessuna e colloquio con Espérance Hakuwzimana e Andreea Simionel  di Sabina Minardi illustrazione di Andrea Calisi centomila

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“Volevo raccontare ma mi mancavano le parole. La padronanza linguistica è stata un corpo a corpo, una lotta feroce con un animale selvaggio”

a vita mi ha messo in mano una torcia e mi ha detto: “Siediti e scrivi!”. Io ho obbedito». Kader Abdolah, iraniano rifugiato in Olanda dagli anni Novanta, e autore di romanzi indimenticabili, primo fra tutti “Il viaggio delle bottiglie vuote” (Iperborea), ha consegnato alla letteratura la necessità di colmare con la scrittura lo straniamento e il silenzio dei senza patria. L’imperativo di scrivere riecheggia nelle parole di Espérance Hakuzwimana e Andreea Simionel, 26 anni entrambe, tutte e due residenti a Torino, storie diverse alle spalle, ma percorsi emotivi che si incrociano di continuo. A partire dalla scrittura, appunto: che scandisce un percorso di consapevolezza sulla loro identità complessa. Hakuwzimana l’ha raccontato in “E poi basta. Manifesto di una donna nera italiana” (People), ed è ora in libreria con il romanzo “Tutta intera” (Einaudi). Simionel rievoca la sua storia di migrazione, con l’Italia come luogo d’approdo fin troppo mitizzato, nel libro “Male a Est” (appena pubblicato dalle edizioni Italo Svevo). Le due narratrici saranno tra le protagoniste di Pordenonelegge, festival del libro dal 14 al 18 settembre, dialogando a distanza su temi come lingua, razzismi, voci nuove in una società che cambia. Noi le abbiamo messe insieme. Cominciamo dall’infanzia. Se ripensate a quando eravate bambine, c’è un ricordo che vi racconta meglio?

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A. S.: «L’ho capito solo scrivendo. Il mio ro-

Espérance Hakuwzimana: «È difficile parlare della mia infanzia, non c’è stata. Sono

Andreea Simionel: «Mi viene in mente un’intervista di Stephen King, che alla domanda “hai avuto una brutta infanzia?”, visti i libri ad alta tensione che scrive, risponde: “No, ho avuto un’infanzia bellissima”. Nonostante le difficoltà di cui tante volte parlo, ho avuto un’infanzia serena, scuola, giochi, amici. Sono nata in Romania, a Botoúani, e sono arrivata in Italia a undici anni, un’età privilegiata, in cui puoi ancora imparare perfettamente un’altra lingua. Ero felice, è dopo che è avvenuto il rovesciamento emotivo». Cosa è successo?

Voci letterarie manzo parla di quella bambina che arriva in Italia. Non fuggivamo dalla guerra, apparentemente non c’era alcunché di traumatico. Ma se ripenso al bullismo dei bambini, a quando non sai il significato di una parola e diventi oggetto di scherno, capisco come la crepa si è formata in me. Ricordo bene quando un gruppetto di ragazzini si avvicinò per domandarmi: “Lo sai cosa vuol dire cazzo?”. Io sento ancora la paura di rispondere: perché se avessi detto di sì avrebbero riso, se avessi detto di no, idem. Il trauma ha portato a una reazione: a espellere da me tutto ciò che ero, per cercare di integrarmi. A perdere le radici, a nasconderle. Quando io e mia sorella parlavamo non nominavamo mai la Romania: la chiamavamo Ground X, come se non esistesse. Puoi sperimentare il male, il bullismo, la discriminazione. Ma la ferita più grande è quando rifiuti e rinneghi ciò che sei per paura. Ritrovandoti anni dopo con un enorme buco dentro e con la necessità di ricucire i legami recisi: il carico emotivo resta invisibile. E fa male».

Torna dal 14 al 18 settembre il festival Pordenonelegge.  Andreea insieme conSimionel,Silena Santoni, porterà il pubblico “In altri luoghi” il 15 settembre (ore 19,30, Auditorium Largo San Hakuzwimana dialogheràGiorgio). Espérance con Djarah Kan venerdì 16 (ore 19, spazio Gabelli), “Storie di afrodiscendenti in Italia”.

IPA/Alamy-DestafanisM.Buenavista,-D’OttavioM.Foto: Idee

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vavo nulla. Per liberarmi da queste gabbie sono dovuta uscire dalla mia famiglia adottiva, e cercare di “essere vista” nella mia vera identità. Che non è una sola: sono ruandese, sono una persona afrodiscendente, sono una ragazza adottata, sono una donna nera, cose diverse anche se nella stessa persona. Quando ho capito che dovevo raccontare anche se in giro non c’erano voci simili alla mia, ho intrapreso un percorso faticoso. Sono felice che oggi l’editoria dia spazio a voci diverse. Ma molto deve ancora essere fatto».

romanzileSotto:Hakuzwimana.Dora; EspéranceAndreeaSimionel;copertinedeinuovidelleduescrittrici

Da sinistra: Torino, festa al Parco

A. S.: «Io me la sono creata la paura. Se leggevo articoli che parlavano male dei rumeni, temevo sempre che qualcuno se la prendesse con me. Chiedevo scusa per la volgarità di quelli che facevano gesti violenti. Dicevo io per prima di essere rumena, quasi a voler mettere le mani avanti».

cresciuta in provincia di Brescia, tutti conoscevano la mia storia perché sono arrivata dal Ruanda nel 1994 con altri 40 bambini, sopravvissuti al genocidio: non era una cosa che poteva passare inosservata. Ma il fatto che la mia storia fosse la storia di un’intera comunità, che la raccontava, la manipolava, se ne sentiva parte, ha reso la scoperta della vera me davvero complicata. Nella mia famiglia adottiva non potevo dire neppure di essere una persona nera, e questo ha ostacolato la consapevolezza della mia identità». Chiamare le cose col nome, anziché negarle. Riempire la propria identità con le origini che mancavano. Parla di questo? E. H.: «Sì, me ne stavo in disparte e riversavo tutto nella scrittura, ho cominciato piccolissima. In un contesto dove la maggioranza era bianca, era il mio modo di adattarmi. Non alzavo mai la mano, tendevo a subire, a un certo punto è diventato intollerabile. Allora ho cominciato a riflettere su quanto ciò fosse legato all’essere nera. Ma il mondo fuori non mi dava riscontri. Io dicevo: voglio scrivere storie come “Matilde” di Roald Dahl però con la protagonista nera, e in biblioteca non tro-

C’è stato un momento in cui vi siete sentite in pericolo per il fatto di provenire da mondi diversi?

E. H.: «Nell’estate del 2018 mi sono ritrovata a scrivere una lettera aperta. Per la prima volta mi sono resa conto di essere cresciuta con una paura sottopelle, mentre tutti la consi-

APPUNTAMENTO A PORDENONELEGGE

Voci letterarie

A. S.: Mia madre è stata una figura decisiva. Anche se non in senso del tutto positivo. Fino a 11 anni sono cresciuta in un ambiente autoritario, sia a scuola che a casa. E io la cultura rumena dell’obbedienza ce l’ho nel sangue: mia madre mi diceva di leggere, io lo facevo. Dovevo leggere moltissimi libri». Dall’imposizione poteva nascere un grande disamore.

A. S.: «L’ultimo anno di liceo arrivò una casa editrice per realizzare un’antologia di racconti. Io proposi una storia su una madre migrante, e piacque molto. Mi ricordo quando al liceo mi chiesero: cosa vuoi fare da grande? Di fronte alla mia risposta - la scrittrice -

deravano autosuggestione. Ho dovuto fare i conti, ad esempio, con il modo in cui il genocidio è interpretato dal pensiero occidentale. E quando accadevano episodi di violenza che coinvolgevano “l’uomo nero” - terrificante espressione - io sentivo una specie di senso di colpa. L’unico modo per sconfiggere questa paura è stato quello di tirarla fuori e confrontarmi con altri». Scrivere è stata la vostra terapia. C’è qualcuno che vi ha trasmesso il gusto del racE.contare?H.:

A. S.: «Però io vedevo lei felice, innamorata dei suoi libri, e sognavo di poterli leggere anch’io. Hemingway, per esempio». La scrittura come strada per acquistare consapevolezza e sanare ferite. Quando è diventata altro?

E. H.: «Sono affascinata da chi ha la capacità di passare da una lingua all’altra, perché parlare più lingue è un modo per avere pensieri nuovi. Io ho avuto una vera ossessione per le parole. Un’estate mi ero messa in testa di imparare tutte le parole contenute nello Zanichelli. Volevo averne il controllo assoluto, cosa che non puoi raggiungere mai, non foss’altro che perché la lingua continua a cambiare. Ma capire che la lingua ti dà il po-

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l’insegnante di italiano mi raggelò: sì, questo è un sogno, ma cosa vuoi fare veramente? Leggevo tantissimo, scrivevo racconti come una pazza, partecipavo a concorsi. Ho frequentato la Bottega di narrazione. E lì mi sono resa conto con dolore che non possedevo la lingua in cui scrivere. Usavo la parola “baba”, che in rumeno identifica un particolare tipo di vecchia, quella col fazzoletto in testa e la gonna lunga, ma in italiano non significava nulla. Dicevo che le pecore “belululavano”, perché in rumeno il verbo per dire il verso delle pecore prende l’onomatopea e la porta avanti. Non avevo una lingua, dovevo trovarla. Ho lavorato molto su questo: è stata una lotta con una bestia selvaggia».

E.H.: «Io ho frequentato la scuola Holden. Ma per arrivarci ho fatto un giro lunghissimo. Sono cresciuta in un contesto con il culto del lavoro pratico, dove qualunque gesto creativo era considerato un passatempo della domenica. Quindi potevo scrivere, ma prima di tutto imparare a fare qualcosa e trovare un lavoro. Volevo fare il liceo classico e i miei mi hanno iscritto all’istituto tecnico aziendale. Ho girato per università, ho provato diversi mestieri. Prima di arrivare a Torino, fare il test di ammissione di nascosto da tutti, superarlo e frequentare la scuola. Non mi vedevo in nessun altro posto se non a scrivere».

«Per me scrivere è sempre stato un modo per fuggire. Ora che non devo più scappare, la difficoltà che sento è nel trasformare la mia passione in un’espressione più libera e professionale. Mi viene in mente mia madre adottiva che mi metteva libri sotto il cuscino. Voleva che leggessi, ma non lo facevamo assieme».

Ci sono autori che amate e che stanno allargando lo sguardo dei lettori?

E. H. «C’è un linguaggio sotterraneo fatto di microagressioni, di discriminazioni che posso affrontare solo con gli altri. Con altre ragazze afrodiscendenti: basta uno sguardo in giro per le strade, per capirci. Con il pretesto di trovare qualcuno per domare i miei capelli afro ho creato un gruppo di amiche, che mi ha aiutato a recuperare le mie origini rimosse. Quel gruppo è un mondo: io sono italo-ruandese, ma ci sono persone somale, nigeriane, congolesi... Sono i miei alleati».

E. H.: «Io confido sui più giovani. Vado nelle scuole, leggo le cose bellissime che scrivono i ragazzi di elementari e medie: saranno loro che, bypassando l’editoria tradizionale, racconteranno il mondo».

A. S.: «Io invece ho sempre rifuggito dalla comunità rumena. Solo quest’anno per la prima volta in vita mia ho parlato in rumeno con persone conosciute in vacanza».

tere di creare qualsiasi cosa, mi ha mandato fuori di testa. Quel senso di potere che sento quando rileggo una frase bella, in cui tutto si incastra alla perfezione, mi dà una gioia che non provo in nessun altro modo». Siamo alla vigilia di elezioni. Che rapporto avete con la politica? Pensate che i programmi elettorali si stiano facendo carico delle esigenze del Paese e dei giovani? E. H.: «La sensazione è di non esserci, di non essere presa in considerazione, di non essere rappresentata. È frustrante, ci si sente sempre al punto di partenza. Prendiamo lo ius soli: com’è possibile che dal 2017, quando lo chiedevamo con presidi permanenti in tutte le città, non sia cambiato nulla? Vivo il conflitto costante di infischiarmene della politica e di continuare a lottare».

A. S.: «Mi piace molto Elvis Malaj, di origine albanese. Ma anche una come Valentina Maini è una boccata d’aria su certi temi».

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“I ragazzi più piccoli, quelli che oggi frequentano la scuola elementare e media, scrivono cose bellissime. Saranno loro  a portare fuori storie nuove”

A. S.: «Anch’io mi sono informata, ed è davvero sconcertante l’assenza di impegni verso le minoranze: verso chi ha difficoltà di integrazione, la comunità Lgbt, la cura degli animali o altri temi che interessano alla mia generazione. Io ho la cittadinanza italiana, perché “non si sa mai quello che potrebbe succedere”: è inquietante averla presa per questo».

ImagesBridgeman/Opale-CannarsaB.GettyImages,-RomanoI.Luz,/Panos-TorfinnS.Foto: Idee

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A sinistra: la scrittrice Jana Karsaiova, di origini slovacche; lo scrittore Elvis Malaj, nato in Albania; Kigali, capitale del Ruanda

E. H.: «Credo che ci accomuni l’attaccamento alla lingua, la ricerca di un modo di narrare nel modo più preciso possibile. E sono certa che quando ci incontreremo avvertirò la vibrazione di chi sa di appartenere alla stessa grandissima comunità».

Che punti di contiguità avete colto tra voi in questo dialogo?

A. S. :«Mi piace la parola suddivisione. Siamo tutti divisi in tanti frammenti. L’editoria sta dando risalto a voci nuove, e mi viene in mente Jana Karsaiova. Ma mi ha dato molto fastidio, nel dibattito intorno a lei, un’espressione ricorrente: “a cavallo tra due mondi”. Il mondo è uno solo».

Siamo tante cose, non si può più ragionare per singole battaglie, è l’intersezionalità che conta, la sovrapposizione di identità sociali diverse. L’essere donna complica ancora?

94 11 settembre 2022 Teatro ciò che percepiamo come oggetto, o a trattare come oggetti i corpi viventi. Che differenza c’è se rompiamo un vetro o un oggetto che ha forma umana? Cosa accade se strappiamo un braccio a una bambola? Credo che sia per questo che ho deciso di studiare per diventare marionettista. La posta in gioco è chiara se parliamo di sessismo e razzismo, quando una persona viene considerata una cosa o niente».

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colloquio con Gisèle Vienne di Francesca De Sanctis

burattini

Bambole crudeli. Robot inquietanti. Creature ibride che mimano violenze.

ambole dai volti bianchissimi macchiati da lacrime o sangue, marionette che mimano alla perfezione torture e abusi, creature ibride immerse in universi crepuscolari. Attraversare il mondo di Gisèle Vienne - artista, coreografa, regista e soprattutto burattinaia franco-austriaca - è come intraprendere un viaggio fra i pezzi di uno specchio rotto della nostra società. E a volte i frammenti possono far sanguinare, causare ferite capaci però di rimarginarsi anche dopo grandi dolori. «Non c’è forse un tema politico nei modi in cui siamo educate a sentire o non sentire certe cose, specialmente quando si tratta di corpi, materialità e sensibilità? Con il mio lavoro cerco di carpire le strutture della percezione per mostrare il progetto politico che le determina, e nello stesso tempo provare a trasformarle», ci spiega Gisèle Vienne, che ha intrapreso il suo percorso di artista partendo dalla musica e dall’arte visiva, per poi proseguire con la filosofia e la coreografia, la fotografia e il cinema. «Sono convinta che rumore e musica, testo e movimento, natura e architettura siano collegati in ogni aspetto con i corpi». Gisèle Vienne è a Roma, ospite di Short Theatre, il festival internazionale dedicato alla creazione contemporanea e alle performing arts con la direzione artistica di Piersandra Di Matteo (fino al 18 settembre). Si intitola “Inventario di bagliori. Gisèle Vienne a Roma” il focus a lei dedicato e si articola attraverso una mostra al Mattatoio di Roma (“40 Portrait 2003-2008”), due spettacoli – di cui uno al Teatro Argentina (“Crowd”, 17 e 18 settembre) e uno al Teatro Vascello (“L’Etang”, l’11 e il 12) – e un film al Cinema Troisi (“Jack”, il 12).

«Sono sempre stata affascinata dai movimenti degli oggetti. Mi affido alla mia sensibilità e al lavoro a livello teorico, e capisco cosa sto cercando solo mentre

lo faccio. E poi arrivano diversi livelli di contaminazione. La questione della rappresentazione dei corpi, e dei modi in cui li guardiamo, per me è centrale, soprattutto come strumento di analisi dei comportamenti umani. Rappresentare il corpo, attraverso la fotografia o con delle bambole, è un modo per mettere in discussione la nostra percezione. Nella cultura occidentale c’è una tendenza a proiettare una coscienza su

I suoi spettacoli sono spesso popolati da bambole, esseri zoomorfi del folklore popolare, robot umanoidi: perché è così attratta da questa contaminazione fra attori/danzatori e oggetti inanimati?

Attenti ai

Arriva in Italia l’artista francese. E porta  in scena le ferite aperte della società

La violenza secondo lei va sempre raccontata, anche nel dettaglio, come fa nel film “Jerk”, monologo per

burattini basato su un testo letterario di Dennis Cooper?

“Crowd” è il trionfo della lentezza. «L’esperienza fisica del pubblico è centrale. Lo spettacolo ha a che fare con l’amore, con l’alterazione della percezione per via di forti emozioni. Il modo in cui i quindici performer si muovono sul palco è piacevole, gioioso, sollecita le forme dell’attenzione sottile. Per questa creazione abbiamo lavorato sul tempo, sulle sensazioni e i sistemi di controllo. Specialmente dopo la pandemia, “Crowd” solleva un tema importante riguardo lo spazio della festa (rave, techno party) e al tipo di cultura che lo circonda. Sei mesi dopo aver presentato “Crowd”, nel dicembre 2020, in Francia e in Inghilterra durante feste con musica techno la polizia ha fatto irruzione, distruggendo gli impianti musicali, facendo male alle persone. coloaDopoquestieventi,tornaticon“Crowd”Parigi, ilmododiassistereallospetta-ècambiato».

Che cosa è per lei il corpo, un territorio da manipolare?

«“Jerk” tratta di una storia vera, un omicidio di massa, un evento extra-ordinario, avvenuto negli anni Settanta negli Stati Uniti ad opera di un serial-killer e di due adolescenti. In “Jerk” la violenza si costruisce, davanti ai nostri occhi, tramite un solo interprete, Jonathan Capdevielle, che dà vita alle vicende attraverso i pupazzi da lui manovrati. Con effetti di dissociazione, il corpo dell’attore/burattinaio è colto da voci che, abitandolo, mettono all’opera una tensione disumanizzante che lo conduce fino alla totale distruzione».

«Quando lavoro con attrici, danzatrici e performer cerco di guardare sempre oltre il confine del corpo, il corpo stesso è uno spazio, è molto chiaro in “L’Etang”, dove la luce e lo spazio all’interno del quale i personaggi sono calati si sintonizzano con ciò che loro sentono. Se pensi a una persona devi considerare che è anche il suo contesto, la sua storia, la sua cultura, e penso sia effettivamente un atto di violenza tagliare dei pezzi. È evidente in “Jerk” dove si vedono chiaramente le relazioni di potere e il sistema che lo determina e per mostrarlo sono innescate voci dissociate dal corpo, diverse qualità ritmiche che si sovrappongono, così da svelare il sistema di incorporazione».

Si è mai scontrata con un rifiuto dei suoi lavori, che sono molto spiazzanti, da parte dei suoi spettatori? «Di fronte ai miei lavori il pubblico è colpito a livello emotivo. La maggior parte delle esperienze sono positive e belle. Può succedere che ci siano persone che reagiscono in modo molto forte. Ogni tanto qualcuno esce e penso sia assolutamente legittimo. Dal momento che sono lavori molto intensi, capisco che può non essere il momento giusto, ed è giusto che ognuno si senta libero di uscire dalla sala». (traduzione Beatrice Del Core)

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Parliamo di “L’Etang” (Lo Stagno). Lo spettacolo racconta la storia di un ragazzo che non si sente pienamente amato dalla madre e finge di suicidarsi per mettere alla prova il suo amore. È soprattutto una storia di incomunicabilità e di violenza, sul male che si fa strada con lentezza. «Di cosa parliamo quando parliamo di violenza? Di esseri umani che non considerano altri esseri viventi o non garantiscono il loro diritto a vivere. Per me è violento anche mantenere con la forza un ordine costituito, per questo considero il sistema di sicurezza in Francia estremamente violento. Non vedere qualcuno, invisibilizzarlo, non considerarlo è un atto di violenza. Quello che chiamo “violenza” in “L’Etang” è la struttura di disuguaglianza che deriva dal sistema di percezione che si costruisce nello spazio familiare. Anche non disporsi all’ascolto - il silenziare una serie di voci - può essere inscritto in questo sistema. Non possiamo lavorare sul razzismo senza farlo a partire da come percepiamo. Nello spettacolo ciò che viene detto attraverso il corpo è silenziato: credo che questo sia uno degli aspetti più violenti del lavoro, ha anche a che fare con le molestie sessuali e con la nostra capacità di non vederle».

© RIPRODUZIONE RISERVATA In alto, a sinistra: una scena dello spettacolo “L’etang”. Sopra: due immagini dalla mostra “40 Portrait 2003-2008”; l’artista Gisèle Vienne

11 settembre 2022 95 Idee BiswellK.P.di:concessionegentileperFoto

olo negli anni più bui del Novecento, quando la migrazione diventa un fenomeno di massa, a dare voce agli apolidi, ai senza-patria, agli ebrei europei, che non sembrano più trovare posto nel mondo, è una rifugiata d’eccezione: Arendt Arendt.

avanguardiadeipopoli

Arendt solleva così la questione dell’accoglienza: come far posto, come dare diritto, a coloro che, in un’umanità globale, sempre più organizzata, vengono lasciati ai bordi, privati della possibilità di partecipare al mondo comune?

È grazie alle linee indicate nelle sue pagine che oggi è possibile riflettere sul tema epocale della migrazione. Da allora lo scenario non è mutato e, anzi, le tensioni si sono acuite: mentre gli Stati nazionali continuano a discriminare e respingere, aumentano per numero ed estensione i campi a cui

Il suo saggio del 1943 “Noi rifugiati” non è solo una testimonianza esistenziale, ma è anche e soprattutto un manifesto politico, che segna un prima e un poi nel pensiero sulla migrazione.

I rifugiati sono coloro che non possono più far ritorno alla propria casa e non riescono più a trovarne una nuova. La novità non sta nel venire espulsi, bensì nel non essere più accolti. Di qui la preoccupazione di Arendt per la sorte riservata a quella nuova specie umana che va emergendo nell’ordine mondiale: i “superflui”. Presi tra le frontiere nazionali come corpi estranei, i rifugiati appaiono esseri inutili, rifiuti ingombranti. Lo Stato esercita la propria sovranità consegnandoli alle zone di transito e ai campi di internamento, l’unica patria che il mondo sa ancora offrire a quei paria dell’umanità.

Filosofia

di Donatella Di Cesare

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Arendt scorge nei rifugiati, quegli esseri umani privi di copertura politica e in cerca di asilo, una figura che appare fuori luogo nell’ordine territoriale degli Stati nazionali. Non si tratta, però, di limitarsi a constatarne l’esclusione. Al contrario, per Arendt questa figura, nella sua irriducibile estraneità, prelude a un futuro assetto mondiale, a una nuova comunità a venire. La prospettiva tradizionale viene rovesciata: banditi ovunque, i rifugiati non sono un un’eccedenza sterile, un resto indesiderabile, ma rappresentano piuttosto l’avanguardia dei popoli.

ropee, per cifre e proporzioni sarebbe diventato globale. Ne ha ricostruito le coordinate storiche, ha indicato i nodi teorici, ha sollevato le questioni politiche dirimenti. Che fare della massa di rifugiati in un mondo spartito fra Stati nazionali? Ogni evento ulteriore fa accrescere quella massa e moltiplica le categorie dei rifugiati. A ciò si aggiunge il rifiuto delle nazioni sovrane a ospitare al proprio interno quell’umanità alla deriva.

L’angolazione di Arendt è quella di chi guarda il mondo dalla riva, dal confine dove coloro che fuggono, senza protezione, devono affrontare la sovranità statuale. La questione dei diritti umani è allora ineludibile, mentre l’apolidia diventa il grande tema del nuovo scenario politico.

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Apolidi

Arendt è stata la prima a riconoscere nella sua complessità un fenomeno inedito che, al di là delle frontiere eu-

Relegati nei luoghi del bando, nelle banlieue delle metropoli, nei campi ai confini delle nazioni, i rifugiati sono allora per definizione fuorilegge, illegali. Risiedere su un territorio senza autorizzazione diventa un delitto, a riprova che la legge dello Stato è radicata più profondamente dei diritti umani. Quando viene a contatto con l’apolidia, con quella illegalità che è solo mancanza di protezione, la politica tocca il suo limite esterno e lo Stato consegna i rifugiati all’azione della polizia, dotata di una sovranità eccezionale.

Torna in libreria il saggio di Hannah Arendt “Noi rifugiati”, del 1943, spartiacque del pensiero sulla migrazione. Un manifesto politico su un fenomeno inedito e epocale

illustrazione di Alice Iuri

Idee 11 settembre 2022 97

Se “Noi rifugiati” ha ormai ovunque la fama che merita ed è assurto al rango di un classico, quelle idee pionieristiche sono state ben poco riprese nel dibattito sulla migrazione. Mentre Arendt anticipa i tempi, la filosofia arriva in ritardo adeguandosi all’opinione diffusa. Vede nel rifugiato la figura che può compromettere l’ordine costituito e si assume perciò il compito o di legittimare la moralità sottesa ai trattati internazionali o di fornire le norme per governare i cosiddetti “flussi migratori”. Come se si trattasse di stabilire i criteri selettivi per ammettere o respingere. L’accoglienza viene prevista solo secondo il dettato di una sedicente etica che dovrebbe mitigare o edulcorare le durezze di una politica che si prepara a innalzare muri.

Non si tratta solo di quella spaesatezza che, minando già sempre al fondo l’esistenza umana, viene alla luce nell’età della tecnica planetaria. E neppure si tratta di ricostruire semplicemente vite spezzate, di ricomporle, di riannodarne i fili. Dietro i singoli drammi esistenziali occorre riconoscere il fenomeno politico.

sono relegate le vite di coloro che fuggono dal groviglio inestricabile di guerre, persecuzioni, carestie, catastrofi ambientali, violenza.

Un gruppo di donne attraversa il campo profughi di Maroua, in Camerun

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“Noi rifugiati” di Hannah Arendt (Einaudi, pp. 112, euro 12). Esce il 13 settembre

GettyImages/Afp-ObomoB.D.Foto:

Non mancano significative eccezioni, da Jacques Derrida a Giorgio Agamben. Ma le linee di una politica dell’o-

venire a capo di quella condizione di esclusi che li rende estranei persino nelle comunità di ebrei ospitanti, dove finiscono per approdare. Chiedono un rifugio senza poterlo motivare. L’onta di essere estromessi da ogni legame diventa per molti insopportabile. I suicidi sono all’ordine del giorno.

La vita dei rifugiati non è solo spezzata, bensì è bandita, respinta ai margini della pólis, fuori dal mondo comune e condiviso, dove è grottesco continuare a parlare di patria. È una vita che galleggia fuori dalla storia, priva di legami, spoglia di relazioni, non tanto alienata, quanto amondana o, se si vuole, acosmica. Ma come Aristotele insegna, l’essere umano è “zoon politikón”, animale della pólis. Chi potrebbe sopravvivere al di fuori? È il tema che affronta Arendt. La novità è che gli ebrei rifugiati non sono stati espulsi solo da una nazione. La loro esclusione è ben più profonda e totalmente inedita: non hanno più un posto nel mondo. Sono indesiderati e indesiderabili. Il mondo non sa che farsene. Ecco come la storia contemporanea ha creato una «nuova specie di esseri umani», quelli che vengono messi nei campi di concentramento dai loro nemici e nei campi di internamento dai loro amici. Quasi inorridita dall’abisso intravisto, Arendt tuttavia non indietreggia. Comprende che la condizione dei rifugiati ebrei, destinata a estendersi, prelude a quella degli apolidi.n Questo testo è un estratto del libro “Noi rifugiati” di Hannah Arendt, a cura di Donatella Di Cesare © 2022 GIULIO EINAUDI EDITORE S.P.A., TORINO

Tanto più sorprende che il saggio di Arendt sia stato a lungo dimenticato. All’indomani dell’uscita non vi furono quasi reazioni. Nell’antologia di articoli raccolta nel 1964, due anni dopo la chiusura della rivista Menorah, il testo di Arendt non compariva. Anche quando l’editore Ron Feldman lo diede nuovamente alle stampe, nel 1978, il silenzio fu altrettanto assordante. Il saggio veniva considerato solo una testimonianza autobiografica.

spitalità non bastano a far sì che il tema dei rifugiati scuota dal profondo la filosofia, mentre nella “nuda vita”, al cospetto del potere sovrano, il motivo del migrare passa sullo sfondo. Benché il dramma dei rifugiati si sia acuito negli ultimi anni soprattutto a cause delle numerose guerre, la filosofia sembra ostinarsi a non accogliere questa figura nel suo inventario. Dal testo di Arendt occorre, dunque, ripartire, perché a non aver trovato seguito sono non tanto le sue intuizioni e i suoi moniti, quanto la sua impostazione politico-esistenziale.Arendtvede nei rifugiati una nuova figura che non ha precedenti. Senza aver commesso alcuna colpa, per il solo fatto di essere ebrei, sono stati costretti a una fuga incessante, ai loro stessi occhi inesplicabile. Non sanno dire perché abbiano perso d’un tratto tutto quello che avevano, la casa, il lavoro, la lingua, e neppure perché abbiano dovuto lasciare amici e parenti nei ghetti oppure nei campi. Dopo essere stati salvati, anche più volte, hanno ricominciato a vivere dimenticando in fretta il passato, immaginando che tutta la loro precedente esistenza non fosse stata altro che un lungo esilio, convincendosi che solo nella nuova patria avrebbero potuto sentirsi finalmente a casa. Così non avviene e la fuga li attanaglia. Non riescono perciò a

FilosofiaIdee

dispongono le Film Commission regionali?

colloquio con Cristina Priarone  di Emanuele Coen sotto i riflettori Film Commission

ra che il Festival di Venezia ha chiuso i battenti, il mondo del cinema deve affrontare la sfida più grande: riempire le sale, svuotate dall’onda lunga del Covid-19, dalle nuove abitudini degli spettatori e adesso appesantite dal caro bollette, che sta mettendo in ginocchio decine di esercenti. Paradossalmente, però, in Italia nelgionimuovecommissionediFilmCristinaconflittualità.ruolotionli,sviluppareincaricateMoliseleambientatacomedycentevisivenonsièmaigiratocosìtanto.Serietele-efilm,italianiestranieri,dire-lasecondastagionedelladarkdellaHbo“TheWhiteLotus”,inSicilia.UnsistemaincuiventiFilmCommissionregionali(ilèl’unicaRegioneanonaverne)dipromuovereiterritori,coproduzioniinternaziona-aiutareiproduttoriatrovareleloca-eottenereipermessi,giocanounchiave,malgradoinefficienzeeNeabbiamoparlatoconPriarone,presidentediItalianCommissionsedirettoregeneraleFilmCommissionRomaLazio,lacheamministraepro-ilbudgetpiùaltodituttelere-italiane,circa19milionidieuro2022.

O

«L’approccio al settore delle Film Commission deve diventare strutturale. Le commissioni hanno bisogno di stabilità, programmazione pluriennale, certezza delle risorse, senza essere condizionate dall’andamento ondivago delle Regioni. Molto è stato fatto per favorire l’internazionalizzazione, la promozione dei territori, il sostegno ai progetti, la creatività, tuttavia resta ancora molto da fare. Alcuni territori hanno instaurato rapporti virtuosi con le loro Film Commission di

Promuovono territori e coproduzioni, attirano investitori esteri. Tra burocrazia e conflittualità. Parla la presidente dell’ente che coordina le commissioni regionali

Dottoressa Priarone, di quali fondi

100 11 settembre 2022 I soldi del cinema

«Non abbiamo un budget ma solo piccole quote associative. Svolgiamo un’attività di presenza nei mercati: per esempio, a Venezia abbiamo organizzato “Cappuccino with the Italians”, un’attività di networking che portiamo anche a Cannes e alla Berlinale, dove invitiamo produttori esteri e italiani. Abbiamo alcuni tavoli di lavoro presso la Dg (Direzione generale del cinema e dell’audiovisivo, ndr) del Mibact: uno per facilitare l’accesso ai beni culturali italiani per le produzioni; un altro per l’armonizzazione dei fondi regionali, affinché i produttori non impazziscano dietro a mille linguaggi e modalità diversi; un altro ancora per l’internazionalizzazione e, infine, uno sui Festival, anche quelli più piccoli, perché riteniamo che siano agorà fondamentali». Un punto debole del sistema delle Film Commission, secondo alcuni, consiste nella scarsa capacità di assumere addetti a livello locale. Come si può invertire la rotta? «Nella loro azione le Film Commission si ispirano a un principio fondamenta-

riferimento, altri non ancora». Lei presiede l’Italian Film Commissions, l’associazione di coordinamento delle venti commissioni regionali. A cosa serve?

«Sono due le linee di investimento: i fondi destinati direttamente al cinema e all’audiovisivo, complessivamente più di 50 milioni di euro per il 2022, in leggera crescita rispetto all’anno scorso. E poi la dotazione delle Film Commission per il loro lavoro, il servizio costante alle produzioni: non si tratta di un aiuto economico diretto, ma solleva le società da molti problemi. Alcuni fondi vengono gestiti direttamente dalle commissioni, altri dalle Regioni, altri ancora da enti deputati». Dopo le elezioni del 25 settembre si insedieranno un nuovo Parlamento e un nuovo governo. Che cosa si aspetta?

Le Film Commission rappresentano un riferimento per le produzioni internazionali. È giusto che i fondi pubblici vengano destinati a soggetti che non pagano tasse in Italia, a scapito di autori e produttori indipendenti?

Qui sopra: backstage delnel film “Il signore delle formiche” di Gianni Amelio. A CristinaAdi“TiElodie nelsinistra:filmmangioilcuore”PippoMezzapesa.fianco:Priarone

le: promuovere l’economia locale e coinvolgere il più possibile maestranze e risorse del territorio. Che poi si possa migliorare è probabile, soprattutto per la formazione».

«È una semplificazione errata, i fondi regionali sono sempre legati agli operatori del territorio. La presenza di produzioni internazionali in Italia, mai così consistente, è dovuta all’exploit delle piattaforme digitali, che portano sul territorio una notevole quantità di ingredienti internazio-

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nali. Ma bisogna precisare che le Film Commission, rispetto all’estero, svolgono un lavoro di promozione e attrazione ma non di finanziamento. Anzi, mantengono un’attenzione forte alla produzione e alla creazione nazionale e locale: una buona commissione fa crescere il proprio settore audiovisivo, non lavora solo per dare soldi ai produttori. Gli operatori americani si attirano andando ai festival, con una presenza consolidata e rispettabile, oggi le Regioni italiane sono riconosciute nei mercati internazionali. Dieci anni fa, al Festival di Cannes, la parola Lazio non aveva lo stesso peso di oggi». A proposito di Lazio, un’inchiesta della procura di Roma ha evidenziato come alcune organizzazioni criminali, in particolare personaggi vicini alla camorra e ai Casamonica, ripuliscono il denaro sporco infiltrando le loro aziende nelle produzioni di film e spot pubblicitari... «Le procedure previste nei bandi regionali sono molto rigide e prevedono numerosi controlli. Il lavoro delle Film Commission si ispira a criteri di massima trasparenza. Se poi sussiste un illecito, questo attiene a una sfera che non dipende da noi».  Q

Cosa si può fare? «È un momento particolarmente positivo: le persone lavorano, riescono a pagare i mutui, risulta difficile trovare professionisti liberi. Tutto questo è bellissimo, ma è molto importante lavorare sulla formazione. Oggi esistono nuovi mestieri, come il green manager, e le professioni digitali legate alla meccatronica e agli effetti speciali. E poi ci sono i “vecchi mestieri”, in cui l’Italia eccelle: tagliatori, sarte, costruttori. Basti pensare che le parrucche per i film di Hollywood vengono fatte nel nostro Paese. Bisogna cambiare mentalità, non celebrare il passato ma puntare sulla formazione. Da questo punto di vista Cinecittà e Centro sperimentale possono fare molto. Le Film Commission sono leve di promozione del territorio ma servono anche a sostenere il cinema in connessione con l’estero, perché non è più possibile agire in un’ottica locale». I produttori stranieri che girano film in Italia beneficiano del credito di imposta al 40 per cento, attraverso le imprese italiane di produzione

11 settembre 2022 101 Idee

esecutiva. Un abbattimento dei costi molto allettante per Hollywood. «Il meccanismo del tax credit non impatta sul sistema delle Film Commission dal punto di vista economico. Tuttavia, si tratta di una carta fondamentale che le commissioni promuovono. Noi agiamo in collaborazione con Dg Cinema del Mibact, Ice, Enit e le associazioni di settore come Anica. Il credito di imposta è un importante jolly a livello internazionale, ma le Film Commission lavorano tutti i giorni e ricevono tutti: dall’autore al grande produttore, dal giovane che vuole intraprendere una carriera al catering che intende proporsi alle produzioni».

Un ragazzo pieno  di talento che lotta, soffre, fa l’amore. È il Sommo Poeta nel film che ha realizzato il regista bolognese. Dopo diciotto anni di tentativi

«Non l’avevo mai fatto prima, non ci avevo neanche mai pensato. A fine film Mattarella si è precipitato ad abbracciarmi e mi sono messo a piangere».

Il suo Dante è anche un poeta scomodo, dissidente, quasi un intellettuale militante.

«Non era solo un poeta, ma un poeta dentro il suo tempo. Volevo insistere sul suo impegno politico, sulla condizione di estrema difficoltà in cui si trovava, sulla sua sofferenza nell’essere esiliato dalla sua amata Firenze. Emilio Pasquini, emerito dantista tra i consulenti del film purtroppo venuto a mancare causa Covid a fine sceneg-

giatura, insisteva tanto: “Mi raccomando, racconta quanto l’esilio l’avesse umiliato”».

Come mai nel Paese che ha dato i natali a Dante la cultura non è mai la priorità, neanche in campagna elettorale?

Per questo ha voluto mostrarlo al Presidente della Repubblica?

«Ci sono responsabilità precise di chi lavora nelle istituzioni preposte a occuparsi di cultura. È curioso, siamo conosciuti nel mondo per i nostri artisti e geni del passato, ma il presente sembra non esistere. Oggi Dante farebbe di nuovo la fame».

U

ciQuantomanchi Dante

Il suo Dante, interpretato da Alessandro Sperduti, è un ragazzo pieno di sogni che si infrangono con il reale. Finisce esiliato, povero, frustrato, sposato con la donna “sbagliata”...

Dante è morto lontano da casa, senza mai aver ottenuto quel riconoscimento pubblico che gli spettava. Trova che dal Medioevo ad oggi l’Italia abbia cambiato atteggiamento verso gli intellettuali?

n ragazzo pieno di talento che ama, sogna, compone poesie, poi va in battaglia, soffre, si dispera, fa l’amore e lotta per quello in cui crede. È il Dante che propone Pupi Avati nel nuovo film tratto dal suo romanzo “L’alta Fantasia - Il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante” (ed. Solferino) e realizzato dopo diciotto anni di tentativi: «Più lo proponevo, più i committenti si rivelavano spaventati dalla figura di Dante, invece questo per me non è un film, è il film». Lo sottolinea più volte il cineasta bolognese nel corso di quest’intervista, per la quale si precipita da Todi a Roma, facendo aprire appositamente una sala proiezioni. Non è stanco di rivedere il suo “Dante”, dal 29 settembre nelle sale italiane: «Potrei guardarlo all’infinito, è un unicum nella mia filmografia: ha qualcosa di speciale che nessuno dei miei film aveva e nessuno avrà più».

«No. Troppi incompetenti ricoprono ruoli per cui non hanno né vocazione né  competenza. Incontro spesso persone che ricoprono cariche importanti e mi chiedo come ci siano arrivate e perché possano decidere della mia vita».

colloquio con Pupi Avati di Claudia Catalli

«È un Dante inedito, molto fragile. Essere fragili è una preziosa qualità della vita. Me lo insegnò Ugo Tognazzi, che raccontava tutte le cose che gli erano andate male ed era divertentissimo».

102 11 settembre 2022 Protagonisti

Ricorda il suo primo approccio con i testi danteschi?

La fine della sua vita ha coinciso con il culmine della sua opera. A me stava a cuore togliergli di dosso la polvere dell’Accademia. La scuola produce una distanza enorme da lui, insegna quanto sia incomprensibile la sua dismisura poetica e la sua onniscienza, quanto sia distante da noi. Quando la scuola dice Dante dice la nostra inadeguatezza.

Anche questo anno delle celebrazioni non ha aiutato ad avvicinarlo, anzi fanfare, tricolori e appropriazioni indebite l’hanno reso ancora più distante».

«Il viaggio di Boccaccio incaricato di portare dieci fiorini d’oro come risarcimento simbolico a Suor Beatrice Alighieri, figlia del poeta, era un pretesto per raccontare un Dante inedito, che defeca, va in guerra, va con le donne, che fosse un lussurioso Boccaccio lo ripete più volte. Mi colpiva la dedizione di Boccaccio verso Dante, l’amore che prova è lo stesso mio, certe sue battute sono mie».

Si sente ancora un outsider?

gazza consapevole, non una Barbie come altri l’hanno descritta. In una scena addirittura suggerisce a Dante uno dei sonetti più famosi, “Tanto gentile e tanto onesta pare”».

«Difficile trovare un regista più alternativo di me: ho iniziato nel ‘68 e non sono mai stato di moda. Il protagonista del mio film precedente “Lei mi parla ancora” è un comico ottantenne che non aveva mai fatto un film drammatico (Renato Pozzetto, ndr). Scommetto sulle storie, punto sulle emozioni, su quello che mi commuove e che mi sembra bello. È un impegno che assumo con me stesso. A volte ci riesco, altre meno».

Q © RIPRODUZIONE RISERVATA

«Dante ai miei occhi resta un enigma, non c’è nulla nel suo albero genealogico che facesse prevedere il suo genio.

11 settembre 2022 103 Idee LocchiF.GerttyImages,-CendamoL.Foto:

Il segreto per trasformarle in realtà? «Bisogna avere i sogni grandi e nessun piano B, altrimenti il piano A non funzionerà mai».

«Credere di esserlo. Sono un quattordicenne, l’età in cui un ragazzo è convinto di poter inventare ogni giorno un futuro e la vita è sinonimo di infinite possibilità».

Sopra: Alessandro Sperduti nel film “Dante”. A sinistra: il regista Pupi Avati, 83 anni

«Non solo una parete, ho anche un file nel pc che aggiorno. Tutte le sere, come fosse un breviario, leggo i nomi di chi non è più con me. L’ultimo è Piero Angela, che conoscevo bene. Un jazzista vero: non è meraviglioso che a novant’anni sia rimasto così ragazzo da voler incidere un album?».

Era indigente, eppure geniale.

C’è un modo per rimanere così giovani?

«Da bambino mia zia Rina aveva un enorme testo in pelle illustrato de “L’Inferno”, me lo lasciava in cucina squadernato sul tavolo e io con la lente d’ingrandimento andavo a cercare le donne nude. Poi la storia me l’ha fatto odiare».

Nel suo film Dante scrive una serie di personaggi sul lenzuolo: è vero che lei a casa ha la Via degli Angeli, una parete con i nomi dei suoi cari venuti a mancare?

«Perché ci manca il sublime, la sacralità. Vengo dalla cultura contadina che educa al sacro in ogni cosa, non allo spreco e allo scarto, ma a rendere prezioso il poco che si ha. Il sacro è nei nostri occhi e nel modo di guardare le cose, oggi manca questa ambizione. Specie al nostro cinema».

Boccaccio, suo primo biografo, nel

Ad esempio?

«“Nello sguardo di Dante e Beatrice c’è l’emozione del mondo”. Non l’ha detto Boccaccio, è un mio pensiero, perché quello tra Dante e Beatrice è un innamoramento simile a quello che ho vissuto io con mia moglie. Da giovani c’è l’attrazione fisica, poi nel tragitto siderale che compiono due persone che vivono le varie sfumature dell’amore si affievoliscono certe pulsioni. Resta però una consapevolezza di fondo, un legame speciale. Per questo la mia Beatrice (Carlotta Gamba, ndr) è una ra-

Nel finale del film Castellitto con le lacrime agli occhi interpreta il sentimento di chi guarda: siamo tutti orfani di Dante.

film viene interpretato da Sergio Castellitto.

Bookmarks/i libri

Maryse Condé ha ammesso che ad assolverla dal senso di colpa rispetto a una materia tanto delicata sono stati i precedenti: il “Caino” di Saramago, ma anche le riscritture della vita di Gesù di J. M. Coetzee e di Amélie Nothomb. E la libertà della scrittrice si respira bene: la sua ironia, il gusto per il soprannaturale e il magico, la passione per l’umanità. Che risplende nel sorprendente epilogo, come una trama parallela che illumina l’altra. Immaginare l’autrice mentre tesse la sua storia e la detta, parola per parola, a causa dell’età e della malattia, è sentire l’emozione di una vita di scrittura. E amarne l’infiaccabile ottimismo verso il futuro. Q

QUEL MESSIA VENUTO DAI CARAIBI

In uscita “Il Vangelo del Nuovo Mondo”, testamento spirituale di Maryse Condé

SABINA MINARDI

Maryse

Giunti

e di modelli antimulticulturali che si tramandano da tempo immemorabile. Da Rembrandt alle vignette dell’Ottocento, dalla propaganda fascista ai trattati pseudoscientifici, un viaggio dentro la micidiale tentazione di creare ineguaglianze tra gli esseri umani.

18

Federico Faloppa Utet, pp. 248, € 18 “A GiulioCorradoSALERNO”DeRosaPerroneeditore, pp. 284, € 20 “PAURA

o mantenere una dimensione di provincia. Un dilemma che consuma, frena il cambiamento, influenza il temperamento della sua gente: quella dello stadio, delle strade-salotto, degli adolescenti coi sogni grandi, dei personaggi più noti. Per esplorare Salerno da una prospettiva insolita.

Spargendo profumo di rose - la rossa Cayenne, nella più scarmigliata versione di Guadalupe –la scrittrice francese da Pointe-à-Pitre, Maryse Condé, consegna ai lettori, che ogni anno ne sognano il Nobel, il suo testamento. Anzi, “Il Vangelo del nuovo mondo” (in uscita per Giunti il 21 settembre, nella traduzione di Silvia Rogai): la subliminale evocazione del Nuovo Testamento - nei fatti storici, gli incontri, le parabole - in una laica e contemporanea riscrittura del viaggio di un messia nel cuore dell’uomo. Si comincia con la scena di un presepe: un bambino meticcio, “affinché nessuna razza fosse avvantaggiata”, che riposa scaldato da un asino - la mucca è morta di afta epizootica. Ad adottare quel trovatello, piovuto dal cielo il giorno di Pasqua, è una coppia senza figli, africano lui, con Dna vichingo lei, entrambi dediti a un vivaio chiamato Le Jardin d’Éden. È nella piccola comunità dell’isola caraibica, tra piantagioni di caffè, macachi in libera uscita e proteste operaie, che Pascal cresce, compie miracoli, incontra Lazare, Marthe, Maria e tutti gli altri. Coltiva, soprattutto, il sospetto di essere un dio: ma quale? L’orgoglioso Dio dei cristiani, che divide in due la storia dell’u-

Un uncontribuisceloroloroluoghiabitudini,razzistainvolontariamentepersinoimmaginarioèfattodifrasi,comuni.Alformarsi,allaresistenza,bagagliodistereotipi

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Da uno metropolitraedtracittàpsicologiaprocessidellaimpegnatopsichiatra sull’usofollianeidimafia ladiunasospesa:indolenzaefficienza,l’essereunacosmopolita

“IL VANGELO DEL NUOVO MONDO” Condé Editore, pp. 312, €

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L’età della sfiducia, dal della promessacheprivatizzata). Coni rischisenzaInperchéchigliComeversopiùaartificiale,all’intelligenzacreazionismoanalizzatapartiredall’ostilitàrecente:quellaivaccini.siattaccanoesperti,finanziaquestimovimenti,affiorailnegazionismo.un’indagineatuttocampoetabù(comenelsottolinearediunaricercasemprepiùunaprospettiva:l’intelligenzaartificiale,condirisolvereiproblemimondo, diventil’unicascienza.

“SBIANCARE UN ETIOPE” DELLA SCIENZA”

Enrico Treccani,Pedemontepp.281, € 21

manità? L’autoritario Allah, l’umanissimo Buddha? Come ogni ragazzo adottato, poi, scoprire le sue origini diventa un’ossessione. E Pascal si mette in viaggio, da New York al Brasile, per conoscere il mondo da salvare.

Libertà di stampa False accuse, arresti pretestuosi, fonti bruciate, perquisizioni e hater scatenati ad arte. La vendetta della politica contro i cronisti più impegnati nella lotta alla corruzione. E nel mirino finiscono anche i magistrati DIRITTO DI INFORMAZIONE Prove di bavaglio in Guatemala Così il governo applica la censura ai giornalisti che sfidano il potere di Daniele Nalbone e Ylenia Sina 106 11 settembre 2022

11 settembre 2022 107

ImagesGetty/AFP/OrdonezJohanFoto: Storie

E

è stata praticamente espulsa. Molti colleghi mi hanno confidato di avere paura», racconta Evelyn Blanck, giornalista e direttrice di Centro Civitas, organizzazione che difende la libertà di espressione. Per capire quanto sta accadendo bisogna tornare al gennaio del 2019 quando l’allora presidente Jimmy Morales non rinnovò il mandato della Commissione internazionale contro l’impunità (Comisión internacional contra la impunidad en Guatemala – Cicig, ndr), un organismo anticorruzione sostenuto dalle Nazioni Unite, nato nel 2006 in accordo con il Guatemala. Le indagini della Cicig arrivarono a coinvolgere anche tre degli ultimi quattro presidenti, Molina, Morales e Giammattei (che ancora non era stato eletto), ed ebbero l’effetto di un terremoto nella classe dirigente del Paese, dove la ricchezza e il potere sono storicamente concentrati nelle mani di una ristretta élite di imprenditori e metà della popolazione vive in povertà. Il lavoro della Cicig fornì anche materiale d’inchiesta per la stampa. Per questo, l’ondata di criminalizzazione che ha colpito pubblici ministeri e giudici anticorruzione, 24 dei quali oggi sono in esilio, ha riguardato anche i giornalisti. In sei sono usciti dal Paese. «Da allora giudici e pubblici ministeri che hanno occupato le posizioni dei colleghi che seguivano casi importanti di corruzione hanno iniziato a criminalizzare anche i giornalisti generando censura e un restringimento degli spazi di libertà di espressione», spiega Claudia Ordóñez Viquez dell’Ong Artículo 19.

Giornalisti guatemaltechi protestano contro l'arresto di José Rubén Zamora Marroquín, direttore de elPeriódico

della polizia, l’apertura di un’indagine legata ai contenuti di un’intervista. I firmatari non potevano prevedere, anche se in pochi l’avrebbero escluso, che un mese più tardi «No nos callarán» sarebbe diventato uno slogan virale per esprimere dissenso contro l’arresto di uno dei giornalisti più conosciuti nel Paese per i suoi articoli sulla corruzione: José Rubén Zamora Marroquín, direttore de elPeriódico, quotidiano nato nel 1996, anno in cui il Guatemala si è lasciato alle spalle 36 anni di una guerra civile che oltre a duecentomila morti e quarantamila desaparecidos aveva reso difficile anche il lavoro dei giornalisti, con 340 reporter assassinati e 126 scomparsi. Zamora è stato arrestato il 29 luglio, dopo perquisizioni in casa e in redazione durate per ore, con l’accusa di vari reati, tra cui riciclaggio di denaro, e oggi è in carcere in custodia cautelare. Con lui è stata arrestata anche Samari Carolina Gómez Díaz, procuratore aggiunto della Procura speciale contro l’impunità, accusata di divulgazione di informazioni riservate. La denuncia è partita da Ronald García Navarijo, ex dirigente della Banca dei lavoratori, arrestato nel 2018 per associazione illecita finalizzata a drenare fondi dall’istituto, fuori dal carcere dal 2020. Navarijo sostiene che Zamora, che rigetta le accuse e ha dichiarato al ragua,qualcosaunsaprocedimentodronelPeriódicomaall’importanzanazionale.poliziottiquotidianostica,nonlaversarlilatico»,giudicedisentirsiun«prigionieropoli-gliabbiaconsegnatocirca38mi-dollariincontanticonlarichiestadisuunodeisuoiconti.Ancheseprocurahasottolineatochel’arrestoèlegatoallasuaattivitàgiornali-l’immaginedeldirettorediuninmanettecircondatodahaattiratol’attenzioneinter-IlmotivononèlegatosolodellafiguradiZamora,anchealfattocheildirettorede el-nonèilprimogiornalistaGuatemaladelpresidenteAlejan-Giammatteiaessereoggettodiungiudiziario.«Sièdiffu-lasensazionechequestoarrestosiapuntodisvoltaechesenoncambiadiventeremocomeilNica-dovelastampaindipendente

Tra i giornalisti in esilio c’è Juan Luis Font, conduttore e direttore di programmi televisivi e radiofonici, per anni al fianco di Zamora nella redazione de elPeriódico, del quale è stato anche direttore. Font ha lasciato il Guatemala a marzo dopo che Alejandro Sinibaldi, imprenditore ed ex ministro delle Comunicazioni coinvolto in più di un caso di corruzione, lo ha accusato di riciclaggio. Dopo Font, anche Erika Aifán, tra i giudici più in vista dello Stato e premiata a livello internazionale per la sua attività, è

ra il 28 giugno quando in Guatemala ottantuno giornalisti e ventidue realtà tra testate indipendenti e associazioni diffusero un comunicato per chiedere al governo e alle autorità giudiziarie di fermare «la censura, la violenza e la criminalizzazione che limitano la libertà di espressione». Il testo terminava con queste tre parole: «No nos callarán», «Non ci faranno tacere». La denuncia era scattata perché nelle due settimane precedenti cinque giornalisti avevano subito aggressioni di vario genere: un arresto arbitrario, un tentato omicidio, la distruzione di macchine fotografiche e telecamere da parte

mero del passaggio costituzionale che difende la libertà di espressione: tra il 2011 e il 2020 sono state registrate 820 aggressioni, soprattutto minacce, ma anche 49 omicidi e nonostante undici anni fa sia stata istituita una procura speciale per i crimini contro i giornalisti, solo il 6 per cento delle denunce è arrivato a sentenza. I giornalisti guatemaltechi, a differenza di quanto accade in altri Paesi dell’America Latina, non possono nemmeno contare su un programma di protezione, nonostante l’impegno che il loro Stato ha assunto nel 2012 davanti alle Nazioni Unite. Per questo nel 2020 un gruppo di organizzazioni locali e internazionali, tra le quali quelle che hanno redatto il rapporto, hanno creato la Red rompe el miedo, che letteralmente significa “Rete spezza la paura”, mutuando l’esperienza dal Messico, con l’obiettivo di monitorare i rischi ed elaborare protocolli operativi in caso di allerta per l’incolumità di un collega. «Le aggressioni più preoccupanti

Il giornalista José Rubén Zamora Marroquín, a sinistra, accompagnato da suo figlio José, al termine di un'udienza in tribunale

Evelyn Blanck, direttrice di Centro Civitas

108 11 settembre 2022

uscita dal Paese dopo essere stata accusata di abuso di potere per aver deciso, come prevede la legge, di unire i casi relativi al giornalista e all’ex ministro sotto la sua giurisdizione. «Non c’erano le garanzie per un giusto processo», ha spiegato Font, intervistato pochi giorni dopo l’arresto di Zamora. «Sinibaldi mi accusava di aver ricevuto il denaro per pubblicare servizi a lui favorevoli, ma io ho aperto i miei conti bancari e mostrato le pubblicazioni critiche verso l’ex ministro. Questo non è bastato a far archiviare le accuse». Font ha avuto paura di finire in carcere, proprio come è accaduto a Zamora: «Non avrei più potuto parlare mentre dall’estero continuo a informare su ciò che sta accadendo». Per Font «le inchieste della Cicig avevano colpito gli interessi di potenti attori economici e politici che ora si stanno vendicando di tutti coloro i quali hanno appoggiato la lotta alla corruzione».Anchesela criminalizzazione dei

Libertà di stampa

giornalisti non è un fenomeno recente in Guatemala, dove fin dai primi anni duemila molti comunicatori delle radio indigene sono stati portati in tribunale per cavilli legali, nel 2020 è diventato «uno dei fenomeni più preoccupanti». Lo si legge nel rapporto Guatemala: lo Stato contro la stampa e la libertà di espressione redatto dall’Ong Artículo 19 e dalle associazioni guatemalteche Centro Civitas e Artículo 35, nome che deriva dal nu-

Il presidente del Guatemala Alejandro Giammattei durante un tour latino americano sulla migrazione

Il giornalista Sonny Figueroa

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Storie PhotoAP/CastilloMoisesImages,Getty/DecaveleJosueFoto:

e incarcerato per venti ore sulla base di accuse infondate. Otto mesi dopo, nel maggio 2021, del Cid e Figueroa sono stati denunciati per violenza psicologica contro le donne dalla moglie e dalla sorella dell’ex direttore del gabinetto di governo, Luis Miguel Martínez Morales, al tempo il funzionario più vicino al presidente Giammattei, per aver pubblicato un’inchiesta sulle proprietà di lusso in cui si erano trasferite. «Come è possibile che un giudice accetti di procedere in merito a una denuncia per violazione della legislazione sui femminicidi per contrastare un giornalista nell’ambito del suo lavoro?», si chiede Figueroa. «Il vero intento era censurarci: il giudice ci ha condannato a non pubblicare nulla su quelle persone per sei mesi». Per la loro sicurezza del Cid e Figueroa nel 2021 si sono trasferiti in Costa Rica: «Ma siamo tornati dopo tre mesi. Sentiamo che il nostro Paese ha bisogno del nostro lavoro». RIPRODUZIONE

RISERVATA

sono quelle dei funzionari pubblici, soprattutto poliziotti ma anche sindaci e membri dei consigli municipali», spiega Evelyn Blanck, tra le creatrici della Red. I più vulnerabili sono i giornalisti che lavorano in provincia, dove gli interessi delle multinazionali o della criminalità nello sfruttamento e nel controllo del territorio sono molto forti. «Con gli ultimi due governi sono state però proprio le alte cariche del Paese a dequalificare costantemente il lavoro della stampa», conclude Blanck. Lo sanno bene i giornalisti Marvin del Cid e Sonny Figueroa, rispettivamente fondatori di Artículo 35 e del sito Vox Populi, che con le loro inchieste su corruzione e abusi di potere sono diventati una spina nel fianco del governo di Alejandro Giammattei. Proprio il presidente della Repubblica nel corso di una conferenza stampa li ha soprannominati el combo, alludendo al fatto che da un paio di anni i loro articoli sono sempre a doppia firma. «Così facendo, ci ha reso identificabili

e quindi più vulnerabili perché la gente che lo sostiene da allora ha iniziato a diffamarci in rete», sottolinea del Cid. Negli anni, del Cid e Figueroa sono stati calunniati, ripetutamente fermati dalle forze dell’ordine, minacciati di morte da anonimi. A settembre 2020, Figueroa, dopo aver chiesto aiuto a una volante della polizia per denunciare uno scippo avvenuto davanti al Palazzo nazionale a Città del Guatemala, è stato picchiato dagli agenti

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110 11 settembre 2022 conto della situazione», riflette Daniela

Il 23 maggio del 1992, tre anni prima che lo ammazzassero, come milioni di italiani anche Francesco Marcone, aveva visto in tv le immagini del cratere di Capaci, a Palermo, causato dalla bomba che aveva ucciso il giudice Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti della scorta. Accanto a lui c’era Daniela. «Gli chiesi: “Possibile che le mafie siano capaci di fare questo?”. E poi aggiunsi: “Per fortuna qui non corriamo questi pericoli”. Lui mi rispose semplicemente: “Ne sei proprio sicura?”. Tante volte mi sono chiesta cosa sentisse, se avesse già capito che qualcosa si stava muovendo contro di lui», racconta la figlia. «Erano anni cruciali per il suo impegno lavorativo. Era arrivato a Foggia nel 1990 e immagino che nel 1992 si fosse già reso

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rentuno marzo 1995, è un venerdì sera, Francesco Marcone, 57 anni, ha appena aperto il portone del palazzo in cui abita. Ha le mani occupate: in una tiene la busta della spesa con la carne appena ritirata in macelleria e nell’altra ha la cartella con le pratiche di lavoro che si è portato a casa. Da una parte il padre, dall’altra il funzionario dello Stato. Lo uccidono con due colpi di pistola. All’agguato sfugge per un soffio la figlia Daniela, prossima alla laurea in Giurisprudenza che proprio in quell’istante sta tornando a casa. Siamo a Foggia e l’uomo che si accascia nell’atrio è il direttore dell’Ufficio del Registro della città che solo qualche settimana prima ha denunciato in Procura i faccendieri che promettono di facilitare le pratiche e intascano mazzette. Non si è limitato a presentare un esposto. Ha mandato una lettera ai notai e ai commercialisti per metterli in guardia, diffidandoli dal dare credito a chi millanta scorciatoie burocratiche. E la cosa è finita sul giornale. In solitudine ha rivisto fascicoli su fascicoli, bloccato pratiche irregolari e denunciato anomalie. Ha imposto il rigore formale sugli atti che arrivavano alla sua firma. E, come ha calcolato l’allora vicepresidente della commissione Antimafia Nichi Vendola, lo Stato ha recuperato grazie a Marcone imposte

PerchéMarcone.lastoria del padre si intreccia con quella delle connivenze della sua città, nella quale Francesco Marcone, dopo alcuni anni al Nord, era tornato alla testa di un ufficio con una sessantina di dipendenti non tutti ligi alle regole. Il sistema tenta subito di blandirlo. Qualcuno all’inizio,

per 3 miliardi di lire. Una cifra enorme per l’epoca.

La vita esemplare di un eroe borghese dimenticato è ora ricordata in “Storia di Franco” (La Meridiana), riedizione del libro scritto dalla sorella Maria e nel graphic novel “Francesco Marcone, un uomo onesto” di Ilaria Ferramosca e Giuseppe Guida (Round Robin). Ne viene fuori il ritratto di un funzionario integerrimo, cresciuto in una Foggia ferita dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale e in una famiglia segnata anche economicamente dalla prematura scomparsa del padre.

VITTIMA DI MAFIA

La memoria

Isolato perché onesto Il sacrificio di Marcone eroe borghese di Foggia

Da direttore dell’Ufficio Registro denunciò faccendieri e corrotti. La figlia non trovò nessun medico disposto ad assisterla per l’autopsia  di Sara Dellabella

funzionario è conscio di essersi esposto sempre di più ed è consapevole dei rischi.«Negli ultimi tempi lo vedevamo amareggiato. Si raccomandò con me e mio fratello Paolo di prendere sempre l’ascensore quando uscivamo e guardare chi ci fosse nel portone. Questa cosa mi ha dato la sensazione che lui avesse il sentore che tutti fossi-

Dopo l’omicidio, la famiglia, insieme con il dolore, sperimentò sulla propria pelle l’ostilità di una città. «Ho capito subito quale sarebbe stata la mia vita quando mi chiamarono dall’ospedale per chiedermi di nominare un medico legale di par-

si legge nel libro della sorella, prova ad avvicinarlo, ad ingraziarselo con dei regali e lui, per tutta risposta, denuncia. Perché non ha a cuore soltanto la propria integrità, vuole lasciare il segno, provare a moralizzare l’intero ufficio, blindarlo dai maneggi di funzionari infedeli. E a questi principi consacra l’intera sua attività, diventando suo malgrado un bersaglio. Il

Storie

Il murale in memoria di Francesco Marcone nel bene confiscato fiscato gestito dalla cooperativa Pietra di Scarto

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mo un po’ in pericolo, anche se non lo disse mai esplicitamente a nessuno», ricorda la figlia.

ulla scia della vicenda personale che l’ha colpita e con l’esempio del padre, per sei anni è stata vicepresidente e oggi è responsabile dell’area memoria dell’associazione.«Incertimomenti, nella battaglia contro le mafie non basta l’ordinarietà dell’impegno ma servono sforzi straordinari. Perché la mafia è uno stato dentro lo Stato ed è proprio la ragione per cui ha il connotato dell’invincibilità. Stando dentro Libera quella rabbia iniziale me la sono ingoiata, perché ho incontrato magistrati che hanno speso la loro vita per cercare di cambiare le cose e ho maturato l’amarezza di chi ha visto ritrarsi persone che avrebbero potuto fare la differenza nella mia vita se solo avessero voluto», spiega. Nelle sue parole ricorre spesso la parola solitudine. Ricorre in riferimento a quello che per anni, con il distacco necessario, indispensabile per non cedere alla disperazione, ha chiamato il «caso Marcone». Ma ritorna quando tiene a ribadire che di uomini come suo padre negli uffici della pubblica amministrazione ce ne sono tanti.

E quando l’allora ministro Renato Brunetta nel 2008 bollò come fannulloni i dipendenti pubblici, c’era anche Daniela Marcone a insorgere rivendicando con orgoglio la propria storia e quella della maggioranza dei tre milioni e mezzo di dipendenti, spesso mandati allo sbaraglio e lasciati senza mezzi a rappresentare lo Stato.  Q

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olo dopo la morte di Marcone, nel 1996, arrivarono gli avvisi di garanzia all’indirizzo di dirigenti dello Stato e imprenditori locali sospettati di essere coinvolti nelle vicende oggetto delle denunce del direttore dell’Ufficio Registro. Mentre l’inchiesta sull’omicidio si è infranta sulle archiviazioni. Nessuna pista ha portato ai mandanti e agli esecutori, nonostante Marcone sia stato riconosciuto "vittima del dovere” dal ministero dell’Interno, insignito della medaglia d’oro al valor civile e il suo nome figuri nell’elenco delle vittime della mafia stilato da Libera. «Anche se non c’è una sentenza a

La memoria

certificarlo, la stessa sera del delitto, sul portone di casa, un poliziotto mi disse che dovevo essere forte perché mio padre era stato ucciso dalla mafia», racconta Daniela. La matrice era chiara ma le indagini non brillarono per solerzia. «Per otto mesi a parte i rilievi nell’androne, non è stato fatto nulla. Non siamo stati mai chiamati e neppure i suoi colleghi. È stato un ritardo dannosissimo. Anche perché durante quel lungo lasso di tempo alcune pratiche che avrebbero potuto offrire spunti potrebbero essere sparite. Poi, grazie ad alcuni magistrati, il contesto mafioso è venuto fuori, pur senza risultati concreti. Eppure, quando riprendo in mano le carte vedo una tale evidenza di meccanismi mafiosi che davvero mi chiedo come sia stato possibile che allora si avesse così paura di leggere i fatti», riflette Daniela. Le sue domande senza rispo-

sta sono quelle del gip Lucia Navazio nell’archiviazione: «Un contributo alle indagini poteva essere dato in prima battuta da soggetti inseriti nel circuito sano della società civile, chiaramente venuti meno a quel dovere civico di collaborazione». Un atto d’accusa al clima di omertà che ha coperto la fine di Marcone. Daniela Marcone ha invocato giustizia e bussato alle porte di chi doveva dargliela, ha poi provato a dare un senso quotidiano al proprio dolore, impegnandosi quotidianamente con Libera.

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te per l’autopsia. Non sapevo a chi rivolgermi, provai con il nostro medico di famiglia che ebbe il terrore di esporsi e declinò. Lo chiesi a tanti altri professionisti senza ricevere alcuna risposta. Ero disperata e mi chiedevo: “Possibile che non ci sia nessuno disposto a darci una mano?”. Avevano tutti paura. Il giorno del funerale ebbi netta la percezione che la mia esistenza di prima finiva lì e iniziava un capitolo nuovo», racconta Daniela. Dopo il clamore delle esequie di Stato anche gli amici si dileguarono. Qualcuno ha impiegato anni prima di riallacciare i rapporti. «Una mia cara amica mi confidò che i genitori le avevano sconsigliato di frequentarmi perché mio padre era stato ucciso. Qualcun altro disse che dovevo piangere mio padre in privato perché stavo mettendo Foggia in cattiva luce». La stessa idea che anche Foggia fosse ostaggio di un sistema criminale era messa in discussione. In tanti negavano l’esistenza di quella mafia locale che solo dal 2021 ha portato allo scioglimento del Comune e di altri cinque amministrazioni dell’hinterland. Una dura presa di coscienza che passa anche per la memoria della morte senza colpevoli di Marcone, definito «l’Ambrosoli del sud», ma la cui storia non ha mai superato i confini della provincia, complice la voglia di rimozione alimentata dai troppi silenzi dei suoi concittadini per i quali si era speso.

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“Storia di Franco” (La uccisoRegistrodell’UfficioMarcone,IndalladelriedizioneMeridiana), libroscrittosorella Maria.alto,FrancodirigentedeldiFoggia,nel1995

Storie

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Itinerari

Il deposito del Boijmans Van Beuningen di Rotterdam

CAPOLAVORI ALLA LUCE

In mostra o in tour Luci accese sui tesori nei depositi dei musei

Sempre in Europa, il progetto più all’avanguardia nasce a Rotterdam in un momento di emergenza successivo all’inondazione del 1999: il deposito del museo Boijmans Van Beuningen doveva essere trasferito. Cosa si pensa di fare? Realizzare un deposito pubblico totalmente fruibile battezzato Open art Depot Boijmans Beuningen. Una costruzione immersa in

un parco, a forma di tazza, ricoperta di pannelli specchiati, sostenibile, ideata dallo studio Mvrdv per esporre oltre 150 mila pezzi distribuiti su sei piani suddivisi in cinque zone climatiche. Wunderkammer 3.0 con tanto di bosco sul «Parliamotetto.diun’importante istituzione pubblica, fondata nel 1861, con una collezione che parte dal tardo Medioevo e arriva al contemporaneo. Prima il Depot era sotto il livello del mare, completamente a rischio. Ora è diventato una sorta di menu e, come al ristorante, il visitatore può scegliere gli ingredienti», spiega Francesco Stocchi, romano, responsabile e curatore del dipartimento arte contemporanea del museo olandese. «Abbiamo superato le stime più rosee e viaggiamo intorno ai 200 mila ingressi l’anno (costo del biglietto, 20 euro, gratuito per i ragazzi, ndr). Tutto è visibile. Un safari attraverso l’arte. Se il museo espone il risultato, il Depot svela la metodologia, il meccanismo».

di Antonia Matarrese

Vale la pena preservare l’eternità di un’opera d’arte penalizzando il presente? Se lo chiede Stocchi non senza provocazione. «Il Depot si fonda su tre aspetti identitari: prendersi cura del manufatto, ridefinire il rapporto del pubblico col patrimonio, offrire un altro paradigma alla pratica curato-

Nuovi allestimenti dal Vancouver a Londra, da Rotterdam a Milano e Roma. E il mercato dei prestiti internazionali alimenta i bilanci

Ossipdi:concessionegentileperFoto Storie 11 settembre 2022 115

fare da apripista, nel 1976, è stato il Museo etnografico della British Columbia University di Vancouver che decise di non lasciare opere in zone inaccessibili ai visitatori. Nessun deposito, dunque. In un Paese come l’Italia, dal patrimonio storico artistico smisurato, le esposizioni permanenti rappresentano spesso il 5/10 per cento delle collezioni custodite dai singoli musei. Musei ospitati in spazi preesistenti, talvolta vincolati. Giocoforza il dibattito attorno ai depositi e alla loro gestione e valorizzazione suscita un grande interesse. Anche oltre i confini nazionali. Il Victoria and Albert Museum di Londra inaugurerà nel 2024 una storehouse avveniristica, nell’area dell’ex parco olimpico, in cui si intrecceranno spazi di ricerca e sale di lettura, laboratori di restauro e caffetteria. All’interno, 260 mila oggetti, 915 archivi e 350 mila libri.

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tenendone la funzionalità e permettendo così al pubblico di partecipare alla vita del museo.

he è un po’ quello che è capitato ad Andy Warhol chiamato nel 1969 dal Rhode Island school of design museum per valorizzare le collezioni custodite nei depositi. «Prendendo alla lettera la richiesta, l’artista seleziona 404 oggetti diversissimi fra loro e appartenenti a varie epoche. Mettendo in atto una vera e propria sovversione curatoriale, Warhol espone l’intera collezione divisa per tipologie, esattamente come l’aveva trovata nei magazzini. Così facendo, interroga la nozione di valore e la politica di giudizio in ambito artistico», sottolinea Simone Ciglia, storico dell’arte docente alla University of Oregon. Che cita un esempio simile in Italia: la mostra “-2+3” al Museion di Bolzano dove gli artisti Stefano Arienti e Massimo Bartolini trasferirono fisicamente una sezione dei depositi all’interno delle sale espositive, man-

Senza i depositi, non c’è il museo. «Quando si varca la porta della Galleria si ha l’impressione che sia tutto lì, davanti ai nostri occhi. Non è così», esordisce Cristiana Collu che, dal 2015, guida la Gnam (Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea) di Roma. In deposito oltre 30 mila pezzi di cui 2 mila esposti a rotazione durante il suo mandato. Cosa mai accaduta prima. «Il nucleo storico è fatto di donazioni e acquisizioni. Tantissimi gli archivi: da quello della Galleria L’Attico di Fabio Sargentini a quello Bragaglia fino ad arrivare al più recente, in comodato, appartenuto alla scrittrice e critica Carla Lonzi. Tutti consultabili e digitalizzati. Nei nostri depositi climatizzati si può studiare e restaurare opere d’arte. Inoltre siamo molto attivi con i prestiti e alimentiamo le collezioni dei piccoli musei per periodi più o meno lunghi», conclude Collu. Che

Il deposito della Galleria nazionale d’arte moderna di Roma

Itinerari d’arte

anticipa per l’autunno una mostra su migrazioni e cambiamenti climatici con protagonisti molti quadri finora inaccessibili.Museogratuito gestito dall’Azienda speciale Palaexpo, il Macro di Roma si confronta con un pubblico variegato, ripensando la propria identità in modo costruttivo. «Una rivista fuori formato», lo definisce il direttore artistico Luca Lo Pinto, già curatore alla Kunsthalle di Vienna. «Invece di fare la rotazione delle opere, circa un migliaio, di artisti italiani che vanno dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, ho scelto di riflettere sulle opere che stanno al buio. Opere fotografate da Giovanna Silva ed esposte sotto forma di un gigantesco wallpaper che verrà continuamente aggiornato con l’inserimento di nuovi lavori», racconta Lo Pinto. «L’obbiettivo è di costruire una geografia di giovani artisti, in progress». E la fotografia va a braccetto anche con l’archeologia. In questo caso per un progetto in evoluzione che riguarda il Mann di Napoli (800 mila

riale. Cercando una cosa, ne trovi mille altre. Una scoperta continua».

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Fra le mostre in cantiere, una sulla vetrina che nasce per conservare le opere ma, al tempo stesso, le allontana dalla loro funzione originaria. Un po’ come i depositi vecchia maniera. Q RIPRODUZIONE

L’allestimento delle sale del Cinquecento di Palazzo Barberini. A destra, il Mudec di Milano

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saranno inferiori alle collezioni esposte e si trasformeranno sempre più in ponti con il resto del mondo», afferma Giulierini.

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visitatori l’anno in media nel periodo pre-pandemia). Qui, gli storici depositi nel sottotetto battezzati “Sing Sing” per via dei lunghi corridoi con cancellate che ricordano il carcere di massima sicurezza americano, racchiudono oltre 30 mila oggetti riportati alla luce grazie al lavoro di Luigi Spina (visitabile fino a tutto settembre, catalogo edito da 5 Continents Editions): immagini in bianco e nero che svelano reperti di Pompei ed Ercolano sopravvissuti all’eruzione del Vesuvio. «Il deposito del Mann è il risultato della dismissione di molte sale pompeiane negli anni Sessanta e oggi rappresenta una miniera di possibilità soprattutto per quanto riguarda i prestiti internazionali», spiega il direttore Paolo Giulierini, che ha visto rinnovato il suo mandato. «Tutto questo ci permette di fare cassa con introiti pari a circa 600 mila euro l’anno. Prossime trasferte, a Monaco di Baviera e a New York. Inoltre su Sing Sing c’è un progetto importante per quanto riguarda la sismicità. I depositi del futuro non

a i depositi sono anche luoghi di lavoro. Come racconta Flaminia Gennari Santori, direttrice delle Gallerie nazionali di arte antica di Roma: «Stiamo concludendo la digitalizzazione di tutti i 5.200 pezzi parte della collezione realizzata dal Consorzio Glossa nell’ambito del progetto WeAct e, a latere, abbiamo commissionato una campagna fotografica con oltre 5 mila scatti, compresi gli arredi di Palazzo Barberini (dove è appena tornata a casa la Fornarina di Raffaello, prestata alla National gallery di Londra, ndr). Inoltre, un milione di euro è stato destinato alla climatizzazione e messa in sicurezza dei depositi. Anche la giusta illuminazione o i carrelli funzionali fanno la Diversodifferenza».ildiscorso per un museo creato ex novo come il Mudec di Mi-

Storie StipariNovelli,A.Siragusa,M.di:concessionegentileperFoto

lano in zona Tortona, nell’area dell’ex Ansaldo: 8.500 oggetti in deposito e circa 500 esposti. «Il deposito è una sorta di backstage chiuso da una porta blindata che conduce alla scoperta di un luogo altro, periodicamente accessibile al pubblico», dice la direttrice Marina Pugliese che lo ha inaugurato nel 2015. «Dal prossimo anno partiremo con progetti in situ di giovani artisti proprio nel deposito, che è distribuito per aree geografiche. Dagli strumenti musicali alle armature, dai cappelli alle monete, dai manifesti pubblicitari alle cineserie, dai monili alle canoe, tutto racconta la vita reale del museo. L’allestimento è invece una messinscena. In particolare, per i musei delle culture il superamento di una narrazione univoca comporta la necessità di sperimentare diverse letture delle collezioni».

essere fragile figuriamoci poi se non riesce ad utilizzare neppure un preservativo di taglia S. Il corpo dell’uomo è, uguale e contrario a quello della donna, un canone da rispettare, una calcomania da replicare all’infinito, il forziere in cui si preserva l’idea stessa dell’intoccabile virilità. Tutto quel che punta a minarne la potenza prestabilita è indicibile. Ed è proprio questo non detto il vero nemico esplorato episodio dopo episodio, la tenda da squarciare per invertire le caselle al di là degli inutili schemi, per accettarsi come si è. E seguendo questo filo rosso persino noi adulti possiamo capire la potenza seriale di questo prodotto, del perché, oltre al già visto accessorio dei baci e delle bravate tra liceo e università, degli sguardi complici, e dell’amicizia come valore unico e assoluto, abbia avuto una tale presa sul giovane pubblico, fino a renderlo fenomeno. È il silenzio a creare il grido. Il silenzio che si trascina nelle case e nelle scuole, che contagia come un virus e miete vittime quotidiane, figlio illegittimo delle strade già battute da cui è stata esclusa la complessità del vivere. E che diventa l’ostacolo principe all’inclusività, unico cibo per la costruzione di un futuro sano, capace di opporsi, appunto, alla vergogna.

GINO CASTALDO#musica

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Dylan che spiega l’arte della canzone è a tutti gli effetti una notizia clamorosa, e per il pubblico italiano è ancora più sorprendente perché tra le 66 canzoni che Dylan ha scelto come esempi da

Il libro si intitola con piglio solenne e vagamente accademico “The philosophy of modern song”, e sarà pubblicato a novembre dalla casa editrice Simon & Schuster che l’ha annunciato con queste parole: «È una classe di perfezionamento sull'arte e la tecnica della scrittura di canzoni: Dylan esamina quella che lui stesso chiama la “trappola delle rime facili”, analizza come l'aggiunta di una sillaba può sminuire una canzone e spiega come il bluegrass

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perché, come disse all’annuncio del conferimento, «grazie ma purtroppo quella sera ho già un impegno».

Datemi un’accetta e vi taglierò il mondo, avrebbe detto un novello Archimede al primo colpo d’occhio di questa triste società in cui si va avanti a blocchi. Tutti i belli da una parte, i magri dall’altra, bocciati e disoccupati insieme, affetti da conflitti, disordini e incapacità relazionali infine, nel medesimo angolo. Insomma, siamo talmente abituati a provare di capire quel che ci circonda sforzandoci unicamente di trovare la casella giusta, che la lettura d’insieme generalmente sfugge. Come un cruciverba in cui si guardano solo le definizioni anziché ai numeri a cui corrispondono. Da qui l’utilità, rara, di una serie televisiva come “Skam Italia” (Netflix), che si pone, con le dovute cautele e nonostante i suoi difetti, come una sorta di ventilatore su fogli di carta velina, sparigliando, mischiando, smontando certezze granitiche imposte dalle generazioni precedenti ed ereditate in maniera del tutto malsana con un automatismo feroce. Quando si è scoperto che dopo la sessualità, le dipendenze, le scelte religiose, la salute mentale e le discriminazioni al centro della quinta stagione lo showrunner italiano Ludovico Bessegato avrebbe messo il tema delle dimensioni del pene di Elia (gran bella prova d’attore di Francesco Centorame), il brusio ridanciano si è diffuso con fastidiosa metodicità. Perché il maschio non può

sia parente dell'heavy metal. Sono una meditazione sulla condizione umana». Inutile dire che l’attesa è febbrile, Dylan si è deciso, piuttosto tardi va detto, a scrivere il suo personale Vangelo, molti anni dopo la pubblicazione della sua autobiografia, uscita col provocatorio titolo di “Chronicles Vol.I”, alla quale ovviamante non ha mai fatto seguito, almeno per ora, un secondo volume.

C’è anche “Volare” nel Vangelo di Dylan

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C’è qualcosa che ancora non abbiamo capito di “Nel blu dipinto di blu”, meglio nota come “Volare”? A spiegarcelo sarà addirittura Bob Dylan, che alla veneranda età di 81 anni continua a stupire. Sta per uscire un libro che potremmo idealmente immaginare come la lectio magistralis sull’arte della canzone che Bob Dylan avrebbe dovuto pronunciare alla consegna del Nobel per la letteratura, ma non pronunciò

BEATRICE DONDI

Ho visto cose/tv CARI ADULTI IMPARATE DA SKAM

©RIPRODUZIONE

L’accettazione di sé oltre la vergogna: la bella lezione della serie di culto

Anche se siamo a Roma infatti gli italiani, quelli per cui le protagoniste lavorano, quasi non si vedono. Sono quasi sempre sfocati, fuori campo, inquadrati di sguincio, seminascosti dai computer. Hanno un peso ma non uno sguardo. Alcuni di loro vivono nei racconti delle protagoniste, e non sempre sono bei ricordi («Possono essere molto educati, ma non si mettono mai nei nostri panni»). Il punto però non è questo. Non è come “loro” ci vedono, perché alla fine se ne infischiano. Il punto è la forza, l’umorismo, l’allegria. La capacità di stare e giocare insieme, cadendo e rialzandosi, usando ognuna la sua lingua o il suo italiano (c’è anche chi viene dalla Cina, dal Marocco, da Capo Verde). Portandoci dentro un mondo quasi invisibile ai nostri occhi ma molto più ricco, diversificato, vitale di quanto immaginiamo. Con una leggerezza che non contraddice ma arricchisce e completa il quadro. E forse deve qualcosa, oltre che alla bravura delle registe Isabel Achával e Chiara Bondì, al produttore Nanni Moretti, che si concede anche un ironico e mecenatesco cameo. Q RIPRODUZIONE RISERVATA “LAS LEONAS” di Isabel Achával e Chiara Bondì Italia, 80 ‘

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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UNITE E ALLEGRE IN NOME DEL PALLONE FABIO FERZETTI

Bob Dylan

Scritti al buio/cinema

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Tre donne migranti e il loro mondo invisibile. Il bel film prodotto da Moretti

Le protagoniste di “Las Leonas” hanno due cose in comune. Giocano a calcio, chi bene, chi meno. E hanno storie difficili alle spalle. Ma questa, attenzione, è una falsa pista. Melisa ha lasciato il suo bar in Perù agli usurai e oggi fa la badante dal signor Enzo, 92 anni, allenandosi con lui appena ha un momento. Elvira ha scoperto il pallone da piccola perché la mamma stava a servizio da diplomatici in Ecuador. Casa enorme, di rappresentanza. Lei poteva uscire dalla loro stanza solo quando i padroni uscivano. Così se ne stava in giardino a giocare a palla con i cani. A ricordarlo oggi, 48 anni, ancora piange. Non ha più visto sua madre. Però ha un sorriso che scalda il cuore ed è uno degli elementi migliori della sua squadra, il Paraguay. Ana, moldava, 40 anni, gioca da quando ne aveva cinque e sognava di diventare una professionista. In Italia dal 2005 («i primi tempi sono stati i peggiori, mi hanno salvato le sudamericane»), ha fatto mestieri di ogni tipo. Oggi assiste bambini in difficoltà e studia scienze motorie. Gioca nella Estrellita Juvenil ed è un po’ la coscienza critica di questo documentario appena visto a Venezia alle Giornate degli Autori. Che come tutti i bei documentari racconta più di ciò che mostra.

analizzare c’è il capolavoro del 1958 scritto da Franco Migliacci e Domenico Modugno, l’unica canzone italiana, cantata in italiano, che abbia realmente spopolato in America, vincendo un Grammy dopo aver vinto Sanremo e l’Eurovision. In linea col suo stile arguto e imprevedibile, la lista delle 66 canzoni è tutt’altro che scontata. A classici come “Blue moon” (ma nella versione di Presley) e “Strangers in the night” si alternano molti pezzi che risulteranno ai più del tutto sconosciuti, come “By the Time I Get to Phoenix” di Glen Campbell oppure “Old and Only in the Way” di Charlie Poole. Elvis, Johnny Cash, Ray Charles e Sinatra vantano il sommo onore di comparire ben due volte, e ci

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sono classici più noti e rassicuranti, tipo “Don’t let me be misunderstood” di Nina Simone o “London calling” dei Clash. E poi Little Richard, Roy Orbison, Jackson Browne, gli Who. L’elenco è già in sé una piccola lezione di storia della musica, o meglio della sua varietà, della sua infinita ricchezza, attraverso percorsi che vanno da Ray Charles ai Platters fino a Domenico Modugno, unico italiano. Ancora più singolare considerando che la lista è in nettissima prevalenza americana e che tra le 66 canzoni in grado di spiegare la filosofia moderna della canzone non c’è neanche una canzone dei Beatles. Dei Beatles no, ma di Modugno sì.  Q

I tribunali, in mancanza di leggi che regolino nuovi comportamenti sociali, cercano di inseguirli come e quanto possono. Da parte loro è forse l’unica cosa da fare, fosse soltanto per spronare il legislatore a occuparsene seriamente. Lei pone gli stessi interrogativi che sono emersi via via che veniva scossa la struttura della famiglia tradizionale. Che ne sarà dei figli? Come gli si potrà spiegare la loro origine? Ne avranno dei danni psichici? Naturalmente non sono io ad avere risposte, posso però raccontarle una storia che conosco. Molti anni fa, quando questi comportamenti cominciavano ad emergere, una giovane donna che era tranquillamente bisessuale rimase incinta. Tenne per sé il nome dell’inconsapevole padre e allevò il bambino con la sua compagna. Erano i meravigliosi anni Settanta in cui tutto appariva possibile, ma qualcuno le chiese che cosa avrebbe risposto in futuro alle domande del bambino. «Gli mostrerò» rispose, «una piantina con un fiore e gli dirò che nel vaso sono stati gettati tanti semini. Vai a sapere qual è quello che ha fatto nascere il fiore!». Risposta che lasciò perplessi anche i disinibiti ragazzi di quel decennio, ma il bambino è poi cresciuto in sufficiente armonia con il mondo. Certo fu un caso raro e strano, mentre oggi è uno dei tanti modi di fare famiglia. Che lo si consideri regresso o progresso è una valutazione personale, ma è di interesse pubblico che il diritto di famiglia venga aggiornato al mutamento dei tempi.

Salvatore Sisinni, Squinzano (Lecce)

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Cara Rossini, una recente sentenza del Tribunale dei minori di Bologna ha autorizzato l’adozione di una bambina da parte di una coppia gay, formata da due donne, una delle quali è la madre biologica che l’aveva concepita con la procreazione eterologa, cioè con il seme di un donatore (credo) sconosciuto. La motivazione di una simile coraggiosa sentenza: consentirebbe alla minore di «godere della continuità affettiva, educativa ed emotiva di una famiglia solida e stabile, nella quale la stessa ha potuto costruire la propria identità». Il problema è molto serio perché solleva questioni di bioetica. Ora, esserlo,lesempreere,purdovutostatoregolarmenteranonchequalcheavendostudiatotaledelicatamateria,mipermettodiporresommessamentedomanda.Quellabambina,quandoarriveràall’etàdellaragione,an-seèstatacresciutanell’agioecircondatadatantoaffetto,cioèdall’affettodiunasolamammamadidue,nonchiederàqualediessasialasuave-mamma?Eancora,quandochiederàaunadelleduedonnedellacoppia,iscrittaalComunesulregistrodelleunionicivili,qualeèoèilsuopapà,qualerispostariceverà?Dicoquestocontuttoilrispettoallecoppiegayoaquellechevivonoinsiemecomemaritoemoglieessendodellostessosessosenzaessersiiscrittealregistro.Perconclude-quandosidicechelascienzaelatecnologiahannocompiutodeimiracolicheicostumisonocambiatiradicalmente,sidevepurammetterechenonsisonofattipassiavantinellastoriadellaciviltàumana.Nonsempre“novità”,lepiùmirabolantisonoindicediprogressooevoluzione.Possonoparadossalmente,anchediregressoeinvoluzione.

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N. 36 11 SETTEMBRE 2022 TIRATURA COPIE 206.800 N. 36 - ANNO LXVII - 11 SETTEMBRE 2022 Certificato ADS n. 8855 del 05/05/2021 Codice ISSN online 2499-0833

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e fuoriBernardo Valli

CanuIvanIllustrazione:

H

Newsweek ma senza affiliazioni, per me era un autentico democratico. Le loro redazioni erano attigue, al primo piano dell’Hotel Continental, nel cuore di Saigon ancora capitale del Sud anticomunista. Nella mia memoria i due personaggi riassumono parte del lungo conflitto. Erano saldati da un’amicizia autentica, ma erano nemici. Solo uno di loro lo sapeva. Ed era appunto An.

Un conflitto in tre tempi che si conclude quasi mezzo secolo fa. Clara con le sue poche parole mi ha riportato al ricordo di due amici dell’epoca americana e post americana. Due amici in apparenza fedeli uno all’altro, ma in realtà divisi della guerra civile senza che entrambi ne fossero coscienti. Cao Giao non lo sapeva che Pham Xuan An era in realtà un nemico. Pham Xuan An sapeva di esserlo per Cao Giao. An era un importante esponente clandestino del Viet Nam comunista, e al tempo stesso un redattore del settimanale americano Time. Cao Giao era un collaboratore del settimanale americano

a venticinque anni e si chiama Clara. È una nipote appena rientrata dal Viet Nam dove ha passato due settimane percorrendolo da Nord, da Hanoi, a Sud, a Saigon (Ho Chi Minh Ville). È più che contenta del suo viaggio. Esprime di fretta giudizi positivi su quel che ha visto. Le immagini sono tante, le impressioni sono vive. La giovane Clara non può capire quel che risvegliano in me le sue parole. Al Viet Nam appartengono almeno sei anni della mia vita. Non li ho contati: lunghi periodi della guerra coloniale francese; altrettanti della guerra americana di “contenimento” del comunismo, si diceva; poi quelli della sfida finale tra vietnamiti, con la vittoria del Nord comunista, nel 1975. È stato un susseguirsi di massacri, di eroismi, di tradimenti, di illusioni spentesi nel sangue, ma in me ha quasi sempre prevalso l’affetto per il paese in guerra da decenni e per i suoi abitanti coraggiosi nella lotta fratricida.

so per il Viet Nam che volevano costruire. Dopo l’università restò alcuni anni negli Stati Uniti come redattore di un quotidiano, prima di ritornare in patria. Agente segreto si era infiltrato con ammirevole abilità nel campo nemico. In quella sofisticata categoria di combattenti era un campione. Suo padre era un proprietario terriero. E lui, An, era stato un giovane rispettoso dei rigidi principi confuciani della famiglia. Quando li infranse fu mandato a lavorare per punizione come contadino in un villaggio vicino a Hué. Ed è là che si formarono le sue prime idee politiche. Durante la Seconda guerra mondiale, che l’allora colonia francese d’Indocina (il Viet Nam) visse sotto l’occupazione giapponese, fu testimone dei maltrattamenti inflitti alla popolazione. Torture e fucilazioni. Dopo avere cospirato contro i giapponesi, cominciò a cospirare contro il colonialismo francese restaurato. An si arruolò clandestino nel Viet Minh, il movimento comunista armato. I francesi erano meno spietati dei giapponesi, ma erano pur sempre degli occupanti. Al tempo stesso, non sospettando la sua affiliazione al Viet Minh, i francesi lo arruolarono di forza nell’esercito vietnamita che formavano per combattere i comunisti. Essendosi rivelato un militare esemplare An fece carriera, restando clandestinamente, al tempo stesso, un militante del Viet Minh. La sua vera identità politica per il resto della vita. Cao Giao apparteneva a un’aristocrazia intellettuale insofferente dei vari regimi autoritari, comunisti o anticomunisti. Era un liberale che gli americani faticarono a recuperare.

Lavoravano fianco a fianco. Cao Giao, un vero democratico, collaborava con Newsweek. An scriveva per Time, ma era in realtà un agente comunista

122 11 settembre 2022

Henry Kamm del New York Times, Tiziano Terzani allora di Der Spiegel, Jean-Claude Pomonti di Le Monde e altri colleghi hanno conosciuto sia Cao Giao sia An, senza sapere che quest’ultimo era un agente segreto nordista e non, come appariva, un esemplare vietnamita americanizzato. Tutti quei colleghi citati ed io stesso abbiamo scritto di Cao Giao e di An nel secolo scorso. La giovane nipote turista in Viet Nam mi ha spinto a rispolverare un ricordo che spiega alcuni aspetti di quella guerra. An si era anche laureato negli Stati Uniti, dove era stato mandato con una borsa di studio perché giudicato dalle autorità americane un elemento prezio-

nAmici-nemicielVietNamdiviso

La vittoria finale comunista portò col tempo Cao Giao in prigione. Vi passò anni, quando ne aveva 61 visse tredici mesi in compagnia dei topi che occupavano la cella buia. Poi, colpito da un cancro, ebbe il permesso di andare a morire in Europa dove vivevano i figli. Non vedeva da dieci anni l’amico-nemico, nel frattempo diventato un generale nel Viet Nam unificato e comunista. Ma An venne a salutare Cao Giao ai piedi dell’aereo in partenza. Il nemico sconfitto restava un amico.

Q ©riproduzione riservata

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