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Se decide Ursula Federica Bianchi
from L'Espresso 41
by BFCMedia
gni volta che l’Unione euro-O pea è sul punto di collassare in seguito alle divisioni degli Stati membri, ricircola a Bruxelles la domanda attribuita a Henry Kissinger quando era segretario di Stato degli Usa: «Quale numero devo fare per parlare con l’Europa?». Che poi Kissinger quella domanda dica di non averla mai fatta e, anzi, a suo tempo cercasse di dividere l’Unione per influenzarla meglio, è irrilevante. A mezzo secolo di distanza, ancora in vita sulla soglia dei cento anni, finalmente ha un numero da chiamare: quello di Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione Europea, la figura più vicina a una premier comune che abbia oggi l’Europa. Prima donna ad assumere il timone della complessa macchina di Bruxelles, frutto di un inglorioso compromesso tra capi di Stato che nel 2019 hanno ignorato le richieste di rappresentanza del Parlamento Europeo e da questo approvata per soli 9 voti, nel gi-
COME SI È VISTO CON IL PNRR, AL NOSTRO PAESE CONVIENE QUANDO I SOLDI EUROPEI SONO GESTITI DIRETTAMENTE DA BRUXELLES PIUTTOSTO CHE DAGLI STATI MEMBRI
ro di poco più di mezzo mandato è diventata il volto iconico dell’Unione. Una crisi epocale alla volta.
«Le due grandi crisi precedenti, quella dell’Euro del 2011 e poi quella migratoria del 2014 avevano indebolito il ruolo della Commissione e riaperto l’involuzione verso un’Europa intergovernativa», dice Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto di Affari Internazionali e autrice di “A green and global Europe”: «Queste ultime due, pandemia e guerra, invece stanno rafforzando i poteri della Commissione e ridando slancio a un’Europa interdipendente». Grazie a due fattori: la portata epocale degli eventi esterni, che nemmeno la Germania è riuscita a gestire in solitaria in un mondo sempre più
basato sul potere e sempre meno sulle regole, e la capacità della Commissione di trasformarli in uno strumento con cui rafforzare le sue prerogative e incrementare il suo bilancio. Ma, elemento spesso sottovalutato, un budget comune più grande non è solo d’interesse per Bruxelles: lo è anche per l’Italia. I destini di Bruxelles e di Roma viaggiano sugli stessi binari, indipendentemente da chi guidi le rispettive locomotive. Quando la Commissione era in difficoltà, come durante la crisi dell’Euro, anni in cui la famigerata Troika mise piede sul Vecchio Continente e ogni Stato decise di andare per conto suo senza offrire sostegno comune, l’Italia fu ad un passo dall’andare a gambe all’aria. Oggi che la presidente dorme addirittura in un mini appartamento costruito per lei all’interno del Berlaymont (il palazzo della Commissione) così da essere presente ad ogni accadimento, e la Commissione gestisce un budget sempre più ampio e ambisce ad una visione strategica e geopolitica del suo mandato, l’Italia ne beneficia ampiamente. Tanto che le proposte economiche italiane, seppure in ritardo, sono attentamente considerate. Con i nostri giganteschi vincoli di bilancio, «abbiamo bisogno dei soldi tedeschi», sottoliFederica nea Tocci: «L’unica via di accesso è quella che
Bianchi passa per la Commissione europea e per la sua Giornalista capacità di spesa».
Scoppiata a soli 100 giorni dall’inizio del suo mandato, la pandemia è stata il primo, inaspettato banco di prova di Von der Leyen. Dopo un primo momento di incertezza, quando sembrava che gli interessi economici tedeschi avrebbero spezzato l’Europa, iniziando da un’Italia già in ginocchio, Von der Leyen ha rilanciato sull’iniziativa franco-tedesca a favore di un inedito indebitamento comune con cui finanziare la ripresa delle economie più colpite dal virus aggiungendo altri 250 miliardi di euro ai 500 messi sul tavolo da Angela Merkel e Emmanuel Macron. Poi ha gestito in semiautonomia sia l’acquisto e la distribuzione dei vaccini, coadiuvata dalla responsabile della direzione generale sanità, l’italiana Alessandra Gallina, sia l’implementazione del Green pass, il cui algoritmo è stato sviluppato da un altro italiano, Roberto Viola, direttore generale della direzione generale Connect. Il tutto sebbene i Trattati non dessero deleghe a Berlaymont in materia di sanità. Ma l’emergenza (e il successo nel risolverla) ha creato de facto la funzione e stabilito un precedente.
Non ancora chiusa quella che fino all’anno scorso era considerata la crisi peggiore dell’Europa contemporanea, la Russia ha invaso l’Ucraina, provocando il più grande sconvolgimento all’architettura della sicuINFLUENZA
Il presidente del Consiglio Mario Draghi. La sua influenza si è fatta sentire spesso nelle decisioni della Commissione di Bruxelles rezza europea dalla Seconda guerra mondiale. Ancora una volta la Commissione si è incaricata di gestire la situazione, mediando e coordinando otto pacchetti di sanzioni economiche contro la Russia e l’assistenza militare all’Ucraina, mentre gli Stati membri organizzavano un riarmo concordato. Ursula von der Leyen, ex ministra tedesca della Difesa, con il suo caschetto biondo pulcino e le giacchette monocolore strette intorno alla figura minuta, è così diventata non tanto il volto della Vecchia Europa ma addirittura quello della “Zeitenwende”, della “Svolta epocale” dell’Europa. Una svolta di proporzioni ben maggiori di quella già enorme che lei si era imposta a inizio mandato con gli obiettivi della transizione ecosostenibile e digitale.
Quando nelle ultime settimane, con lo scoppio del caos sul mercato dell’approvvigionamento energetico e con la fiammata dell’inflazione, l’attivismo della Commissione è sembrato venire meno, anche le sorti dell’Italia hanno preso una piega poco felice. Il tanto atteso tetto al prezzo del gas proposto in primavera dal premier Mario Draghi è stato prima snobbato, poi deriso, infine rallentato. E nonostante le riserve di gas al 90 per cento, l’Italia soffre. Troppo alti i prezzi del gas, insopportabile l’inflazione, solo parzialmente compensata dagli interventi consentiti da un debito pubblico che ha superato il 150 per cento della ricchezza nazionale.
Il coordinamento comune europeo a Roma sembrava l’unica, indispensabile soluzione. Ma Bruxelles nicchiava mentre questa volta la Spagna, scollegata energeticamente dal resto d’Europa e campione delle rinnovabili, seguiva regole e modalità a noi lontane. Con il volgere dell’estate, il cancelliere tedesco Olaf Scholz si era messo di traverso: lui il tetto al gas proprio non lo voleva, in nessuna sua forma. Avrebbe messo a rischio il rifornimento certo di una Germania gas-dipendente che ad agosto era stata disposta ad acquistarlo anche a 300 euro al megawattora (un prezzo che probabilmente non rivedremo più) e magari l’avrebbe ancora una volta costretta a sussidiare le esigenze dei suoi vicini. Forte di un’economia-formica, Scholz ha invece varato all’inizio di ottobre, tra lo sconcerto generale, un piano di sussidi domestici da 200 miliardi di euro, lo stesso valore del Pnrr italiano: un’impresa finanziariamente impossibile per il