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Armano gli eserciti e blindano la Ue Giulia Bosetti

na crescita annua tra il 7 e il 9 per cento, un fat-

Uturato che oscilla tra i 65 e i 68 miliardi di euro all’anno. Sono i numeri di un settore che non conosce crisi: il gigantesco complesso industriale del controllo delle frontiere. Una gamma sconfinata di tecnologie impiegate per difendere i confini dell’Occidente, un esercito di droni, sensori, robot intelligenti, sistemi di videosorveglianza e intelligenza artificiale, prodotti da quegli stessi colossi su cui oggi più che mai puntano gli occhi e investono soldi i governi di tutto il mondo: le società produttrici di armi.

Proteggere le frontiere è diventato il grande mantra degli Foto: Getty Images Stati occidentali e in particolare dell’Europa, dove la crescita di mercato doppia quella degli altri Paesi: 15 per cento l’anno. Più la guerra minaccia il cuore del vecchio continente, più aumentano i rifugiati e i migranti e più si attrezza l’industria militare: «Le aziende fanno profitti grazie ai muri fisici e virtuali che sono diventati parte integrante delle politiche dell’Unione europea a causa delle pressioni delle aziende, che hanno trasformato la migrazione da un problema umanitario a un problema di sicurezza». Mark Akkerman, ricercatore di Stop Wapenhandel, organizzazione indipendente olandese che monitora il business degli armamenti, ha indagato il ruolo dell’industria nella militarizzazione delle politiche di frontiera. Nel suo piccolo ufficio di Amsterdam, circondato di report e dossier, parla senza mezzi termini: «I produttori di armi hanno influenzato il dibattito pubblico facendo passare l’idea che i migranti siano una minaccia, per poi proporre come soluzione le loro tecnologie e i loro servizi. L’Europa e gli Stati membri sono molto sensibili alle richieste della lobby delle armi». A giudicare dalle somme che l’Ue ha deciso di investirci, Akkerman non sbaglia. Nel report “A quale costo”, le organizzazioni Statewatch e Transnational Institute analizzano le spese dell’Unione europea: tra il 2021 e il 2027 gli investimenti per i settori sicurezza e difesa ammontano a 43,9 miliardi di euro, un aumento di budget del 123 per cento. Il Fondo per la gestione del controllo delle frontiere cresce del 131 per cento, passando a 6,2 miliardi di euro e i finanziamenti di Europol e di Frontex, l’agenzia per la sicurezza dei confini, sfiorano i 10 miliardi di euro: un aumento del 129 per cento.

Grazie a una lunga serie di richieste di accesso agli atti, l’osservatorio Corporate Europe di Bruxelles ha scoperto come l’industria privata e i suoi gruppi di pressione hanno influenzato le decisioni politiche dell’Unione europea: «Il budget di Frontex è cresciuto a dismisura e l’agenzia ha ottenuto maggiori poteri nella gestione degli appalti per le frontiere, senza un adeguato sistema di trasparenza e controllo dell’attività di lobby», spiega la ricercatrice Margarida Silva. In tre anni, Frontex è stata in contatto con 108 società private, con cui ha organizzato diciassette meeting. Hanno partecipato le principali compagnie di armi in Europa: la francese Airbus, le spagnole Indra e Gmv, l’italiana Leonardo. «Le aziende hanno cercato di convincere Frontex e gli Stati membri a spendere più soldi in tecnologie di sorveglianza e controllo delle frontiere», conclude Silva. E ci sono riuscite. Per Hannah Neumann, eurodeputata tedesca dei Verdi relatrice della Risoluzione sull’export di armi del Parlamento europeo del 2020, è un circolo vizioso: «Le aziende vendono armamenti a Paesi terzi che li utilizzano per fare la guerra, costringendo le persone a fuggire dalla loro patria. Poi le stesse società vendono ai governi europei tecnologie e attrezzature per impedire a quelle persone di entrare in Europa». L’industria militare vanta un accesso privilegiato alla Commissione e ai governi europei, che in alcuni casi ne sono anche azionisti. Vedi Leonardo, partecipata al 30 per cento dal ministero dell’Economia italiano, o Thales, dello Stato

Una giovane all'interno del nuovo campo profughi nell'isola di Samos creato in Grecia con il sostegno della Ue

Giulia Bosetti Giornalista

francese per il 25 per cento. «Recentemente la Commissione europea ha creato lo Strumento per la stabilità e la pace e c’è stata una fortissima pressione dell’industria delle armi per includere nei suoi finanziamenti la fornitura di attrezzature per la sicurezza delle frontiere come telecamere nascoste o recinzioni di filo spinato», rivela Neumann.

La partita cruciale si gioca sui confini esterni dell’Ue. Dal 2015 ad oggi, la Croazia ha ricevuto dall’Ue 163 milioni di euro per acquistare dispositivi di imaging termico, telecamere a infrarossi, apparecchiature che rilevano i battiti cardiaci, droni a lungo e medio raggio che trasmettono dati in tempo reale, fuoristrada con termocamere mobili su rimorchio ed elicotteri tra i più avanzati al mondo: due Eurocopter francesi prodotti da Airbus e due AW139 dell’italiana Leonardo, con tanto di termocamere che possono riprendere fino a 10 chilometri di distanza. Tecnologie che hanno portato a un’escalation di violenza nei respingimenti illegali della polizia croata. Lo attesta un rapporto di Border violence monitoring network del 2021. E lo vivono sulla propria pelle i rifugiati afghani che ogni giorno tentano il “game” sulla rotta balcanica, giocando a nascondino con la polizia di frontiera croata per poi essere respinti. Picchiati, derubati, denudati. A Velika Kladusa, piccolo comune della Bosnia nord-orientale, ne ho incontrati a decine. Con i piedi fasciati, le dita spezzate, le schiene sfregiate. Famiglie con bambini, ragazzini strappati ai genitori. Come Hadi e Nabi, 17 e 14 anni. Spuntati dal bosco con lo zaino in spalla e la paura negli occhi. «La polizia croata ci ha catturato grazie alle telecamere nascoste sugli alberi. Ma dobbiamo riprovarci, per arrivare ad Amburgo dalla mamma e chiedere la protezione umanitaria». Il difensore civico dell’Ue ha avviato un’indagine ufficiale sulle responsabilità della Commissione nell’utilizzo di fondi pubblici per operazioni della polizia di frontiera che violano i diritti dei rifugiati: «Quando i poliziotti mi hanno arrestato, indossavano visori a infrarossi, avevano droni e geolocalizzatori. A qualcuno han-

no rotto le braccia, a qualcun altro le gambe. Questo ci sta facendo l’Europa», si sfoga un giovane afghano. Dai boschi della Croazia alle isolette greche nel Mar Egeo, la parola «accoglienza» fa sempre rima con «sorveglianza». Isola di Samos, 1.200 metri dalle coste della Turchia. Spiagge candide, acque cristalline e un campo rifugiati videosorvegliato h24, con sistema di sicurezza a raggi X e autenticazione in due fasi: tesserino di riconoscimento e impronte digitali. Doppia recinzione militare in stile Nato, una società privata incaricata della siLunedì 17 ottobre alle 21.20 Presadiretta su Rai Tre con l’inchiesta “Armi di controllo curezza, Samos è il primo dei cinque campi di massa”, realizzata da Giulia Bosetti e Eleonora Tundo. profughi altamente tecnologici che la Grecia In alto, la sala controllo del Centro di coordinamento di Atene per i migranti e i rifugiati sta allestendo sulle isole del Dodecaneso con i soldi dell’Unione europea. Tutto viene monitorato dal centro di massima sicurezza di Atene grazie a Centaur, un sistema di sorveglianza elettronica futuristico dotato di algoritmi di analisi del movimento: «Stila anche il report delle emergenze. Comunichiamo al campo quello che sta succedendo e facciamo intervenire la polizia o la Guardia Costiera», racconta Manos Logothestis, Segretario generale per l’accoglienza dei richiedenti asilo, di fronte a decine di telecamere puntate sui rifugiati: «Avremo droni e visori a lungo raggio e tutti gli operatori possono mandarci in tempo reale immagini girate con i loro smartphone». La Commissione europea ha definito il campo di Samos una pietra miliare nella gestione LE EMERGENZE UMANITARIE TRASFORMATE IN ALLARMI SULLA SICUREZZA. E IL VECCHIO CONTINENTE IN SEI ANNI HA SPESO IL 130 PER CENTO IN PIÙ PER PROTEGGERE I CONFINI della migrazione, ma in una lettera aperta i rifugiati siriani che ci vivono lo paragonano alla prigione di Guantanamo: «Stiamo impazzendo. Ci sono atti di autolesionismo, persone che si tagliano con il coltello e sbattono la testa contro il muro». Gabriel Feldman dell’Png Still I Rise, è seriamente preoccupato per le loro condizioni psicologiche: «Ci sono stati raid notturni della polizia, molti abitanti del campo sono sotto shock e tutti vivono nel terrore». Europe Must Act e il Samos Advocacy Collective, una rete di attivisti e organizzazioni che lavorano sull’isola, hanno denunciato le detenzioni illegali dei rifugiati e la violazione dei diritti umani fondamentali e hanno scritto una lettera alla Commissione europea. «La Commissione sta monitorando da vicino la situazione e continuerà ad affrontare la questione con le autorità greche competenti», è stata la risposta. L’Europa continua a sorvegliare.

RESISTERE AGLI ALGORITMI

DI FABIO CHIUSI

erve «un approccio antifascista all’intelligenza S artificiale», scrive Dan McQuillan nel suo recente volume intitolato “Resisting Ai” (Bristol University Press). Non perché l’Ia sia di per sé fascista, ragiona il docente di Computing sociale e creativo al Goldsmiths College dell’università di Londra, ma in quanto motore di dinamiche congruenti, e in modo strutturale, con politiche fasciste. Lungi dall’essere una mera tecnologia, l’Ia è infatti un “apparato” che somma tecnica, istituzioni e ideologia. E se ne comprendiamo le “operazioni di base”, e le situiamo nell’attuale momento storico, è impossibile ignorare che il cambiamento di paradigma sociale portato dall’Ia «non farà che amplificare politiche di austerity e sviluppi autoritari», si legge nel testo, agile ma durissimo di McQuillan. La critica non parte, come in molti altri casi, dalle distorsioni degli algoritmi social. Per l’autore, che vanta un dottorato in fisica delle particelle e un passato come direttore delle comunicazioni digitali di Amnesty, il legame tra fascismi e Ia si salda prima, all’incrocio tra le crescenti richieste di efficienza e risparmi nella gestione della cosa pubblica e l’ideologia che fa dell’intelligenza artificiale la panacea, infallibile e oggettiva, di ogni male. È il cosiddetto “soluzionismo”, che riduce problemi sociali complessi - la pandemia, l’emergenza climatica, la questione energetica - a questioni tecnologiche, risolvibili tramite Ia. Tutto diventa materia di “ottimizzazione” statistica. E, in fondo, questo è l’Ia secondo McQuillan: non “intelligenza” - l’autore sembra fare sua la fortunata espressione della ricercatrice Kate Crawford, per cui l’Ia «non è né intelligente né artificiale» - ma «elaborate congetture statistiche», informate da una visione «astrattamente utilitarista» che finisce per insieme nascondeFabio re, riprodurre e amplificare ingiustizie e Chiusi storture sociali, automatizzandole. Le stesGiornalista se premesse di quei metodi statistici a base dell’Ia, si legge, si sono accompagnate storicamente a progetti discriminatori, congruenti - come già rilevava lo studioso Yarden Katz nel suo testo del 2020, “Artificial Whiteness” - con i desideri di reazione e mantenimento di uno status quo imbevuto di razzismo e supremazia bianca del ceto dominante. Così, applicando le più avanzate forme di apprendimento automatico a ogni cosa, le persone diventano numeri da gestire come variabili in una lunga equazione contenente i loro diritti sociali, la loro affidabilità creditizia, il rischio che le espressioni del loro volto celino intenzioni criminali, e via predicendo. Questo impasto di cattive premesse e potenza di calcolo, come ci dice una letteratura sempre più vasta, finisce per colpire di più chi ha già di meno, gli emarginati, le minoranze. Perché l’Ia non si limita a “rappresentare” il mondo, aggiunge McQuillan: “produce” un nuovo ordine materiale e sociale, anche. E il nuovo ordine algoritmico è in realtà una nuova forma di “apartheid”, scrive, solo più inesorabile, fredda, disumana. Perché? «L’Ia crea stati di eccezione», dice McQuillan a L’Espresso in una conversazione via Zoom, perché nella sua smania di categorizzare, separare, dividere, «produce riduzioni semplicistiche», e crea «proprio le categorie che sono

Il libro di Dan McQuillan “Resisting AI”. A sinistra: controllo facciale su una folla

certe categorie di persone), così come dei software “intelligenti” per distribuire sussidi sociali utilizzati in diversi Paesi anche in Europa (e che troppo spesso assumono fattori discriminatori tra i criteri di assegnazione, con esiti catastrofici per migliaia di famiglie). Che fare? McQuillan, sollecitato da L’Espresso, si dice “abolizionista”, ovvero pronto a considerare l’idea che “resistere” all’Ia significhi rimuoverla dall’esistenza. Ma il punto, si affretta a precisare, non è abolire l’Ia tutta, ma mettere in questione le fondamenta ideologiche e pratiche che ne informano l’attuale configurazione. Se l’Ia è riduzionista, individualista, razzista, pronta a servire qualunque progetto autoritario, ecco l’autore proporre una rivoluzione in cui le parole d’ordine diventano “solidarietà”, “mutualità”, “relazione”; un approccio antifascista, e dunque insieme femminista e anti-colonialista, che vada oltre perfino i tentativi di governare l’Ia tramite la legge (strutturalmente insufficienti, secondo McQuillan) e porti la contestazione e la resistenza al livello più elementare: quello in cui ci si domanda «quale sia il ruolo della computazione avanzata» in una società democratica contemporanea. Insomma, per l’autore «resistere all’Ia» significa prima di tutto «riposizionare quella resistenza, mettendone in luce il lato positivo; perché abolire non significa solamente liberarsi di qualcosa», ci dice, «ma soprattutto rimpiazzare l’esistente con strutture alternative». Ed è un’altra ribellione essenziale allo status quo: sottrarsi all’incanto di utili alla segregazione sociale». Noi, imbevuti del pregiudizio di neutralità della macL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE È SPESSO china, pensiamo siano discriminazioni in nocue, astratte e imparziali; anzi, credia AL SERVIZIO DI PROGETTI AUTORITARI mo lo siano necessariamente più di quelle CHE ACCRESCONO LE DISUGUAGLIANZE umane. E invece McQuillan, seguendo un filone sempre più nutrito di eredi di Lang- E METTONO A RISCHIO LA DEMOCRAZIA. don Winner e dell’idea secondo cui anche gli artefatti sono politica, ribadisce che PARLA LO STUDIOSO DAN MCQUILLAN l’Ia è inseparabile dal contesto storico e materiale in cui viene utilizzata. E se il contesto parla di quello che, parafrasando Mark Fisher, McQuillan chiama un ritorno dell’estremismo di destra e dei nazionalismi «realismo dell’Ai», ossia l’incapacità di immaginare arsulla scena internazionale, ecco il potenziale dell’Ia di- rangiamenti sociali radicalmente diversi da quelli esispiegarsi al servizio di progetti estremisti e nazionalisti. stenti. E per quanto la prospettiva abolizionista dell’autoQuel migrante mente o dice la verità, quando sostiene di re sia radicale, estrema (alcune applicazioni dell’Ia, per scappare da un Paese in guerra? Un progetto finanziato esempio alla scoperta scientifica, non sembrano risentire dall’Unione Europea voleva fosse una macchina “intelli- dei problemi qui esposti), il provocatorio testo di McQuilgente” a stabilirlo. Ma lo stesso si può dire del riconosci- lan ha il pregio di solleticare la fantasia, rimetterla al servimento facciale usato dalle forze di polizia (sbaglia in mo- zio di domande più radicali rispetto a quelle che troppo do sproporzionato con le persone di colore), degli stru- spesso si leggono nel campo dell’Ia. Non si tratta di innovamenti di polizia predittiva (si concentrano proprio nelle zione, dice a ragione McQuillan, ma di democrazia. aree più povere, dove certi reati vengono commessi da

MONDIALI IN QATAR LA FRANCIA VACILLA

DI CAMILLE VIGOGNE LE COAT

n generale, la prospettiva dei mondiali di calcio I rappresenta, in Francia, una parentesi serena per l ’opinione pubblica. Per un po’ più di un mese, una parte importante del nostro Paese si focalizza sulle partite e sui risultati nazionali, e parla meno di potere d ’acquisto, crisi energetica, e riforma delle pensioni. Nel 2018, la v ittoria del mondiale in Russia ha anche dato l ’occasione a Emmanuel Macron - allora giovane presidente della Repubblica francese, eletto un anno prima - di g uadagnare qualche giorno di tranquillità, celebrando l ’unità nazionale e sfruttati, pagati male (certe volte non pagati affatto), e che soff rono di problemi di salute. Una cifra che sarebbe molto soprav valutata, secondo le Ong specializzate.

Le proteste sono partite inizialmente dalla società civ ile. L’ex calciatore Eric Cantona ha incitato al boicottaggio (parlando di «grande farsa»). Il popolare attore francese Vincent Lindon, a inizio settembre, ha anche lui dichiarato in telev isione : «Non g uarderò il mondiale. È pura follia!». La sequenza, ev idenziata sui social, è diventata v irale in poche ore. E i responsabili politici, soprattutto di sinistra, hanno reagito. L’ intera coalizione

la grandezza dell ’Esagono.

Cinque anni sono passati. Oggi, il mondiale 2022 in Qatar - il cui fischio d ’ inizio è prev isto per il 20 novembre - non promette giornate spensierate, e provoca invece smorfie imbarazzate da parte dei ministri e dei responsabili della maggioranza. Il mondiale più anomalo di sempre non fa più ridere nessuno a Parigi.

Come potrebbe essere altrimenti? In effetti, la competizione mondiale ha tutti gli attributi del disastro ecologico. Con delle partite che si svolgeranno in enormi stadi effimeri, climatizzati in pieno deserto. Il mondiale produrrebbe 3,6 milioni di tonnellate di CO2 secondo la FIFA (come termine di paragone, basti pensare che si tratta del montante globale di produzione dell ’Islanda per un anno). A questa cifra bisogna aggiungere i v iaggi per i tifosi : almeno 160 voli quotidiani sono prev isti, ossia un volo ogni dieci minuti. Per finire, c’è anche il tema dei diritti umani. Secondo l ’ inchiesta del Guardian, ci sarebbero stati 6.500 morti, direttamente legati ai lavori sui cantieri. Dei migranti, reclutati soprattutto in Bangladesh, Nepal e India, che vengono

INQUINAMENTO, DIRITTI UMANI, SFRUTTAMENTO. ABBASTANZA PER IMBARAZZARE L’ELISEO E FOMENTARE IL BOICOTTAGGIO. MA C’È L’ATTRATTIVA DEL GAS E L’EFFETTO SA RKOZ Y rosso-verde - il partito socialista, gli ecologisti, ma anche i sostenitori di Jean-Luc Mélenchon - hanno tutti dichiarato di essere indignati davanti a «uno spettacolo intollerabile». Una petizione è anche stata lanciata dall ’eurodeputato Raphaël Glucksmann: «Gentile presidente, non partecipate alla coppa del mondo in Qatar». Il testo spiega: «Non andate in Qatar, non mandate nessun responsabile del governo e spiegate perché: bisogna dire che ci sono conseg uenze a disprezzare i diritti e la dignità umana. Dite no». L’ iniziativa ha raccolto 65.000 firme in una settimana: un risultato modesto, ma che mostra una preoc-

Camille cupazione crescente nell ’opinione pubblica, e che si farà Vigogne Le Coat sentire di più mano a mano che l ’ inizio della competi-

Giornalista zione sportiva si av v icina. In un recente sondaggio, il 65

Il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron tifoso scatenato durante i Mondiali del 2018

per cento dei francesi si è dichiarato pronto a boicottare la competizione.

Le conseg uenze politiche sono già v isibili. Molti sindaci francesi hanno deciso recentemente di annullare gli eventi pubblici organizzati per trasmettere le partite della World Cup. A Lille, Bordeau x, Reims, Nancy, Marsiglia e anche Parigi, le autorità hanno spiegato la loro volontà di non installare ma x ischermi (una misura anche più facile da fare accettare in pieno inverno).

Dall ’Eliseo, sull ’organizzazione del mondiale di calcio, è calato un silenzio imbarazzato. Si preferisce non parlare dell ’argomento. Emmanuel Macron è sempre stato un grande appassionato di calcio. Per la scorsa coppa del mondo era partito in Russia, per la finale contro i croati. Ma anche per la semifinale, che opponeva Francia e Belgio.

Il dilemma sembra irrisolv ibile per il potere francese. Da un lato, Emmanuel Macron ha promesso di fare della lotta contro il riscaldamento climatico una priorità (qualche settimana prima l ’elezione del 2022, in un grande comizio a Marsiglia, ha promesso che il suo quinquennio «sarà ecologico o non sarà affatto»). Ma dall ’altro, il boicottaggio ufficiale, con una presa di posizione del presidente della Repubblica, sembra impossibile in un contesto di g uerra in Ucraina, e nel bel mezzo di una crisi energetica che coinvolge tutta l ’Europa. Il Qatar possiede la terza più grande riser va di gas del pianeta. L’ impresa energetica francese Total ha annunciato, quest’estate, la sua partecipazione allo sv iluppo del più grande giacimento di gas al mondo nell ’Emirato. Una sfida strategica: si tratta per gli europei di limitare la dipendenza dalla Russia.

R imane una domanda complicata: come far accettare alla popolazione stadi giganteschi con l ’aria condizionata mentre il governo francese ha chiesto ai cittadini di indossare «il dolcev ita» e di abbassare la temperatura per ev itare interruzioni di corrente elettrica? «Dobbiamo prestare attenzione ai simboli, e limitare i v iaggi di deputati o senatori a Doha», ha confidato all ’Express un ministro, imbarazzato.

Per il resto della classe politica, il disagio è notevole. Il presidente del Senato, Gérard Larcher (membro del partito di destra Les Républicains), si è lamentato della situazione, ma senza inv itare al boicottaggio. Sulla destra francese, plana ancora l ’ombra di Nicolas Sarkozy, l ’ex presidente che ha contribuito ad affidare il mondiale al Qatar, dodici anni fa. Un accordo sul quale gravano accuse di corruzione (i processi sono ancora in corso). Inoltre, il giovane pensionato della v ita politica è stato colui il quale ha permesso al Qatar di costruirsi un’ immagine rispettabile sulla scena internazionale. Ha anche giocato un ruolo di facilitatore per l ’acquisto del Paris Saint Germain (Psg), ormai proprietà dei qatari.

Un’altro “ex” è uscito della sua (relativa) riser va. François Hollande ha dichiarato: «Se fossi ancora capo di Stato, non parteciperei». I suoi consigli, normalmente, non sono ben accolti dall ’attuale capo di Stato. Ma tra la partecipazione o l ’astensione, rimane una terza v ia per Emmanuel Macron. Che la Francia si faccia eliminare dalla competizione prima dei quarti di finale. Una buonissima ragione per non prendere l ’aereo.

ROMA GIOCA LA CARTA EXPO

DI GIANFRANCESCO TURANO

a corsa per l’Expo 2030 è partita da un mese.

LL’Italia c’è di nuovo, sette anni dopo la chiusura di Milano 2015. Stavolta ci giochiamo la carta della capitale, e non è detto sia un vantaggio dopo che la candidatura ai Giochi olimpici del 2024 è sprofondata in un caos di divergenze politiche interne quando era sindaca di Roma Virginia Raggi, contraria alle olimpiadi come il suo successore Roberto

Gualtieri che, pochi giorni fa, ha detto no alla corsa per l’edizione 2036.

Per ora il fronte sembra compatto. Gualtieri ha chiesto il sostegno delle vincitrice delle elezioni Giorgia Meloni dopo avere ottenuto l’investitura del greco Dimitri Kerkentzes, numero uno del Bie (Bureau International des Expositions), a Parigi lo scorso 7 settembre. A giugno del 2021 Mario Draghi aveva dato il suo nulla osta al compattissimo schieramento dei quattro candidati al

Campidoglio: oltre a Gualtieri del Pd, risultato vincitore, l’uscente Raggi per il M5S,

Carlo Calenda di Azione e Enrico Michetti per il centrodestra. L’appello di Gualtieri non dovrebbe rimanere inascoltato dal prossimo esecutivo. Non si vede motivo perché proprio Meloni, nata e cresciuta alla

Garbatella, dovrebbe opporsi a Roma 2030.

Sul piano della concorrenza la delegazione italiana guidata dall’ambasciatore

Giampiero Massolo deve battere altre tre proposte. Quella di Busan in Corea del Sud sembra la più debole perché sarebbe la terza città asiatica in fila dopo Dubai 2020 e Osaka 2025. Quella di Odessa è suggestiva perché sarebbe un contributo alla ricostruzione. Purtroppo è improbabile, a meno che il conflitto russo-ucraino non si concluda da qui al momento dell’assegnazione dell’expo, fissata nel mese di novembre del 2023. Al momento il rischio maggiore si chiama Riad. Per la capitale del regno saudita dovrebbe valere

LA CAPITALE IN GARA PER IL 2030, RIVALI RIAD E ODESSA. OCCASIONE ESTREMA PER RILANCIARE L’ECONOMIA DELLA CITTÀ. MA BASATA TUTTA SU UN SOLO SETTORE: L’EDILIZIA la stessa pregiudiziale asiatica applicata a Busan ma il principe Mohammed bin Salman detto Mbs vanta l’appoggio di Emmanuel Macron, non proprio un ammiratore della leader di Fdi, a dispetto del caso Khashoggi, della guerra in Yemen e della faida dinastica senza esclusione di colpi in corso in Arabia Saudita. La squadra messa in campo dall’Italia per superare le tre concorrenti ha la sua punta di diamante in Massolo, che ha declinato l’invito dell’Espresso a commentare. Amba-

ni, Massimo Scaccabarozzi, ex numero uno di Farmindustria che presiede la Fondazione Expo 2030. Il coordinatore della campagna per la candidatura romana è Sebastiano Cardi, che è stato nella rappresentanza permanente dell’Italia all’Onu e, da maggio 2021, capo di gabinetto alla Farnesina con Luigi Di Maio ministro. Gaetano Castellini Curiel, consulente culturale ed ex del comitato per Milano 2015 con Letizia Brichetto Moratti sindaca, guida la task force per Roma 2030. La comunicazione è affidata a Livio Vanghetti, con un passato in Adn Kronos e Philip Morris e un presente da Vicepresident for Global Partnership and Cooperation del think-tank Concordia, di base a New York. Come ambasciatore speciale e fiore all’occhiello della candidatura è stato mobilitato Muhammed Yunus, economista bengalese profeta del microcredito e vincitore del Nobel per la pace nel 2006. Si spera che basti a ottenere la nomina da qui a poco più di un anno. Per una Roma che sembra capace soltanto di organizzare giubilei pontifici, e quello del 2025 sarà il terzo del millennio, l’esposizione del 2030 potrebbe essere davvero l’ultima spiaggia per recuperare almeno in parte il divario infrastrutturale e amministrativo nei confronti delle altre metropoli. Come sempre per le grandi manifestazioni internazionali, sportive o commerciali, si prospettano benefici irrinunciabili. Nei sei mesi sono previsti 30 milioni di visitatori ai padiglioni, 8 milioni in più rispetto a Milasciatore e figlio d’arte, Massolo ha 68 anni. I primi ventuno no 2015. L’università Luiss ha calcolato che a fronte di 2 anni li ha trascorsi a Varsavia, oltre la cortina di ferro. Nel miliardi di denaro pubblico investito ci sarebbero 45 mi1994 è stato il capo della segreteria politica del neopremier liardi di euro di ritorno economico nel quinquennio sucSilvio Berlusconi. Con perfetto equilibrio diplomatico nel cessivo all’evento. Di questa cifra, oltre 24 miliardi sarebbe2007 è diventato segretario generale al ministero degli Af- ro fatturati dalle attività di ristorazione e oltre 11 miliardi fari Esteri, presidente del consiglio Romano Prodi. Cinque finirebbero a incrementare il patrimonio immobiliare. anni dopo ha sostituito Gianni De Gennaro alla guida del Va detto che la cifra da investire sembra stimata con il Dis (dipartimento informazione per la sicurezza) e nel beneficio dell’ottimismo. I parametri delle expo più recenti 2017 è diventato presidente dell’Ispi (istituto studi di poli- dicono che a Milano sono stati spesi 2,4 miliardi di euro in ta internazionale) e di Fincantieri. È mem- un periodo che non doveva fare i conti con inflazione, crisi bro delle sezioni italiane della Trilaterale e pandemica ed energetica, materie prime in eccesso di rialdell’Aspen institute. Il suo nome è stato zo e una probabile stag flazione. L’esposizione di Dubai è nella lista dei papabili alla guida di palazzo costata 7 miliardi di dollari, nonostante i costi bassissimi Chigi all’indomani della vittoria grillina al- della manodopera e in Giappone, dove si è voluta realizzare le politiche del 2018 ed è stato citato fra i un’isola artificiale per accogliere i padiglioni, i budget sono possibili successori di Sergio Mattarella al fuori controllo più di quelli delle Olimpiadi disputate nel Gianfrancesco Quirinale prima che il presidente si con- 2021 dopo il rinvio per il Covid.

Turano vincesse a fare il bis. Ma per i conti veri ci sarà tempo. L’attrattiva principale

Giornalista Con Massolo c’è il direttore della Menari- resta quella dello sviluppo immobiliare. Roma 2030, al

Un rendering parte della presentazione della candidatura di Roma all’Expo 2030

Una “Vela” di Calatrava nell’incompiuta Città dello Sport di Roma. A destra: il sindaco di Roma Roberto Gualtieri (sopra) e l’ambasciatore Giampiero Massolo

di là degli aspetti ideologici su sostenibilità e dintorni, è logie e la mobilità leggera. Per la scelta dell’area espositiva vista come un’opportunità di creare valore molto diversa la sindaca Raggi aveva indicato il quadrante Pietralata-Tida Dubai 2020, visto che l’esposizione emiratina è stata burtina, più centrale e meglio collegato. Poi Pietralata è diquasi del tutto rasa al suolo, e abbastanza differente anche ventata la culla del sempre nuovo stadio dell’As Roma. Tor da Milano 2015 dove la riconversione dell’area di Rho nel Vergata, sede di uno dei tre atenei pubblici romani, è una progetto Mind (Milan Innovation District), realizzato da delle ferite urbanistiche della capitale. Il suo simbolo sono Lendlease, è stata avviata in modo farraginoso e da poco, le Vele dell’archistar Santiago Calatrava, l’incompiuta procome sa Carlo Ratti, l’architetto che ha lavorato per l’avven- gettata dalla giunta di Walter Veltroni come elemento della tura del 2015 e ora lavora per il progetto 2030. Città dello sport, affidata alla Vianini Lavori di Francesco «Abbiamo seguito un approccio radicale», dicono Ratti Gaetano Caltagirone. e il socio Italo Rota. «No brick will go to waste. Tutti gli Sarebbe Vianini, che guida il consorzio Metro C, con Weedifici e le strutture dovranno essere realizzati avendo già Build, a realizzare il cosiddetto sfioccamento, ossia lo snodefinito il loro uso dopo la fine di Expo: dal riciclo dei materiali per nuove costruzioni in altre parti di Roma, fino alla conversioTUTTE LE INFRASTRUTTURE ne dei padiglioni per servizi e attività di quartiere». DI TRASPORTO PREVISTE NEL PROGETTO

I padiglioni tematici hanno nomi più SONO DESTINATE A FINIRE NEL NULLA consoni a un’esposizione di arte contemporanea che a un’iniziativa essenzialmente NEL CASO IN CUI LA CANDIDATURA commerciale. Ai Fori Imperiali sorgerà il Teaser, la base di partenza per le visite con ITALIANA FOSSE BOCCIATA un percorso verde fino a Tor Vergata dove i visitatori troveranno il padiglione Ecosistema 0.0, il Pale do ferroviario di 3,5 chilometri che andrebbe a collegare la Blue Dot dedicato alla sostenibilità, il Roomscape con cen- fermata di Torre Angela con Tor Vergata. L’approssimazioto sale a tema sulla storia dell’umanità e, alle Vele di Cala- ne delle stime di spesa, fra 400 e 800 milioni di euro, già intrava, il polo All Together/Alt Together. Altre idee sono in dica un’incertezza notevole. È invece certa la bocciatura fase di elaborazione. Fra queste, si distingue la ricostruzio- del progetto alternativo, un collegamento con la linea Mene del colosso dal quale l’Anfiteatro Flavio ha preso il nome tro A da Anagnina, valutato oltre 1 miliardo di euro. un po’ meno di duemila anni fa. L’idea è dell’architetto sa- Ovviamente, le infrastrutture si faranno a condizione di lentino Antonio Romano, fondatore di Inarea, e di Luca Jo- vincere la corsa fra un anno. Lo ha spiegato l’assessore ai si, consigliere della Fondazione Tim. trasporti della giunta Gualtieri, Eugenio Patanè: la zona è

A chiusura dell’evento, il quartiere dei padiglioni dovreb- quasi deserta. Senza expo resterà così. be essere trasformato in un centro ricerca sulle nanotecno-

COMING OUT SOLO IL MIO INIZIO

DI MARCO GRIECO ILLUSTRAZIONE DI EMILIANO PONZI

on è fare pace con sé stessi né

Ncol mondo circostante. Fare coming out è la tappa finale di un lungo percorso di consapevolezza che non dovrebbe mai diventare un compromesso al ribasso. Eppure, ancora oggi in Italia dichiarare il proprio orientamento sessuale equivale a tracciare una linea su una spiaggia soggetta alle mareggiate della politica e della società. A ricordarlo non sono soltanto i disegni di legge contro l’omolesbobitransfobia e le terapie di conversione, accantonanti rispettivamente in Senato e in Parlamento nel 2020 e 2016. A due anni dalla presentazione della Strategia europea per l’uguaglianza Lgbt, soltanto lo scorso 6 ottobre il ministero delle Pari Opportunità ha comunicato l’adozione di una strategia nazionale di prevenzione per «rafforzare la tutela dei diritti delle persone Lgbt» e «promuovere la parità di trattamento e la non discriminazione». Un testo che non fornisce l’entità delle risorse da utilizzare né una finestra temporale: un’occasione mancata in un Paese dove chi fa coming out ne paga spesso il prezzo con l’espulsione dalla famiDICHIARARE L’ORIENTAMENTO SESSUALE COSTITUISCE ANCORA UNA BARRIERA. INNESCA DISCRIMINAZIONI, PAURE E TRAUMI. EPPURE NON È SOLO DARSI UN NOME MA VIVERE LA PROPRIA VITA

glia o l’ostracismo sociale.

Alessandro Commisso ricorda con serenità il suo coming out : «Mi rendo conto di essere stato fortunato», ammette oggi a 35 anni. Qualche anno fa ha scelto di prendere posizione pubblicamente, dichiarandosi gay, in un contesto lavorativo aperto come quello anglosassone: «Parlare di questo in una società che ti accetta è un sollievo. Spesso le aziende non sono consapevoli di quanto un ambiente che non discrimina vada a beneficio dell’azienda stessa: chi vuole lasciare sé stesso a casa ed essere un personaggio diverso sul luogo di lavoro?». Per il suo impegno oltremanica con campagne aziendali a sostegno di attivisti come Gay is ok, nel 2015 è stato annoverato fra i futuri leader Lgbt dal Financial Times: «Per me fare coming out ha significato poter parlare liberamente, perché ho avuto il supporto dei miei cari. Ammetto, però, che, quando ero giovane, il panorama era molto diverso. Oggi i social media aiutano ad abbattere il sospetto per ciò che non si conosce. E ciò, unito alla fluidità della GenZ, ha cambiato la percezione delle persone».

In Italia, però, per una persona su tre fare coming out può voler dire essere discriminata sul luogo di lavoro. Lo certifica l’ultima indagine Istat-Unar sulle discriminazioni lavorative che ha stimato come, negli anni 2020-2021, una

Marco persona Lgbt su cinque ab-

Grieco bia dichiarato di aver subito

Giornalista un’aggressione o di aver

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