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Serra
from L'Espresso 41
by BFCMedia
Meloni allarga il “C erchio Ma ggic o”
Giorg ia Meloni ha cambiato numero di telefono per non rispondere più a Berlusconi, e ha fatto annu llare da Wind il contratto telefonico di Salv ini per impedirg li di telefonare. Irrintracciabile dai suoi alleati, vede solo Mattarella e Draghi, con i quali sta concordando la formazione di un governo di alto profilo, formu la che tag lierebbe f uori in partenza i suoi due alleati. Secondo indiscrezioni, Salv ini av rebbe insistito su l basso profi lo, se non altro per dare ai suoi elettori l ’ impressione di contare ancora qualcosa.
Berlusconi Viene tenuto costantemente aggiornato dai suoi collaboratori: lo hanno già informato, con delicatezza, che ci sono state le elezioni, che lui ha perso una montagna di voti e che ha v into la Meloni. Per ammortizzare la brutta notizia gli è stato fatto credere che Giorgia sia una sua creatura, una ex valletta di Gerr y Scotti. È dunque conv into di essere lui l ’artefice del nuovo governo, e passa le giornate assegnando ministeri ad amici e parenti, con un plaid sulle ginocchia. Dicono che punti alla presidenza del Senato ma non per mire politiche: pare che gli piaccia una impiegata di Palazzo Madama e stia cercando un pretesto per av v icinarla.
I tecnici Ecco il vero problema di Meloni: come far conv ivere, nello stesso Consiglio dei ministri, persone di grande competenza e ministri di Fratelli d ’Italia. Per l ’Economia, per esempio, sono in ballo il v icerettore di Har vard, l ’italoamericano Manfredo Stewart Lodi, in corsa per il prossimo Nobel, e Romolo Menicacci, v icesindaco di Frascati, tra i fedelissimi di Giorgia dai tempi di Atreju e del mitico “Cerchio Maggico”. Del Cerchio Maggico fa parte anche Nando Bambacci, presidente della Comunità Montana del Terminillo, in ballottaggio per il Ministero degli Esteri con Marcaurelio Origoni, già ambasciatore a Pechino, Tok io e Parigi.
Prov incialismo L’accusa di prov incialismo è quella che ferisce di più la futura premier. Negli ultimi mesi delle elezioni aveva allargato la sua cerchia, fino allora limitata a personalità del circondario di Roma e della prov incia di Latina, includendo anche esponenti della destra di Frosinone e Rieti. Anche il sito internet del Cerchio Maggico, su suggerimento dello staff di comunicazione, era stato corretto, finalmente, in “Maggic Circle”. Non è bastato, e Giorgia sa bene di dover uscire dal cliché romanesco che potrebbe svantaggiarla nei summit internazionali, dove ordinare bucatini cacio e pepe darebbe nell ’occhio. Berlusconi, per aiutare l ’amica Giorgia a darsi un tono internazionale, le ha suggerito di presenziare alle partite del Monza, insieme all ’amico Galliani con il quale condiv ide il plaid.
Vox La partecipazione della Meloni alle adunate del partito neofranchista preoccupa l ’Europa, e lei lo sa bene. Nei prossimi comizi, dunque, prov vederà a un sensibile ritocco degli argomenti in chiave moderata. Il famigerato “Dio Patria e Famiglia”, motto fascista ancora v isibile, con lettere corrose dal tempo, su fienili e pollai di mezza Italia, diventerà probabilmente “Dio, Patria e un terzo valore a scelta”, in omaggio al pluralismo. Gli ideologhi di Giorgia tentano di av valorare la tesi che la corretta grafia dello slogan sia “Dio! Patria e Famiglia”. Dio non sarebbe dunque una rivendicazione di fede, ma una esclamazione di sorpresa di fronte all ’adunata oceanica. Per esteso, lo slogan andrebbe dunque così interpretato: “Dio, quanta gente! Che bella rimpatriata, sembra di stare in famiglia”. Nessuna indicazione ideologica, solo una frase cordiale.
La frase Anche la celebre frase «Sono Giorgia, sono donna, sono madre, sono italiana» è sotto analisi per una rev isione che sia più accettabile dall ’establishment europeo e da Mario Draghi. Una soluzione è l ’uso del condizionale: «Sarei Giorgia, sarei donna, sarei madre, sarei italiana». Un’altra è continuare a dire le stesse identiche cose, ma a bassa voce, soluzione che Meloni e il suo entourage vorrebbero adottare anche nell ’attiv ità di governo.
Tra i collaboratori non più solo personalità di Roma e Latina, ma anche di Viterbo e Frosinone. E il nome diventa “Maggic Circle”
e cose che vanno male: guerra,
Lprezzi, tassi, debito, crescita, inflazione. Le cose che vanno bene: nessuna. Non ci sono brandelli di ottimismo e speranza per il governo di Giorgia Meloni, soltanto scenari apocalittici e però non ci possono essere alibi. Ecco otto questioni da appuntarsi per far in modo che ciò che va male non vada malissimo.
INFLAZIONE Le previsioni sul futuro prossimo sono incerte, ma pare difficile che la fiammata inflazionistica si spenga nell’arco di pochi mesi. In Italia siamo all’8,9 per cento e nell’area dell’Euro il mese scorso la crescita dei prezzi ha già toccato il 10 per cento su base annua. I costi elevati dell’energia, prevedono gli analisti, continueranno a trainare al rialzo i prezzi di gran parte dei beni di consumo e dei servizi. Il nuovo governo si troverà quindi a dover gestire la diminuzione del potere d’acquisto di salari e stipendi causato dall’aumento del costo della vita, mentre migliaia di aziende in difficoltà potrebbero essere costrette a far ricorso alla cassa integrazione. Non è un caso che Confindustria sia tornata alla carica chiedendo un “patto per l’Italia” che preveda nuovi aiuti contro il caro energia e anche una riduzione del cuneo fiscale, per ridurre il costo del lavoro a carico degli imprenditori, aumentando allo stesso tempo le retribuzioni dei dipendenti. Entrambe queste misure costano decine di miliardi. Il solo taglio di cinque punti del cuneo fiscale per i redditi sotto il 35 mila euro annui assorbirebbe risorse per almeno 16 miliardi, secondo i calcoli resi noti nei mesi scorsi da Fratelli d’Italia. Almeno 40 miliardi dovrebbero invece essere stanziati per le bollette. Per finanziare questi interventi il governo sarà quindi costretto a risparmiare su altre voci di spesa. In caso contrario diventerebbe difficile tenere sotto controllo il deficit.
CONTI PUBBLICI La buona notizia è che il 2022 si chiude meglio di quanto previsto solo sei mesi fa, nel Documento di economia e finanza (Def ) pubblicato in aprile dal governo di Mario Draghi. Giorgia Meloni parte con un debito pubblico al 145,4 per cento sul Pil contro il 147 per cento ipotizzato dal Def in aprile. E anche il deficit per quest’anno dovrebbe fermarsi al 5,1 per cento, cinque decimi di punto in meno rispetto alle previsioni dell’esecutivo uscente. Questo significa che il nuovo governo potrà spendere una decina di miliardi in più senza sforare l’obiettivo di disavanzo al 5,6 per cento fissato in primavera. Il miglioramento si spiega in buona parte con l’aumento delle entrate fiscali, che tra gennaio e agosto (ultimo dato disponibile) sono lievitate del 13,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021. Deficit e debito vengono misurati in rapporto al Pil e se quest’ultimo continua a crescere a buon ritmo (più 3,3 per cento previsto per il 2022) i conti pubblici migliorano di conseguenza. Tutto bene, dunque? Proprio no, purtroppo. A parte il dato del debito misurato in valore assoluto, che non smette di lievitare e ha raggiunto quota 2.770 miliardi, in prospettiva le incognite più pesanti sono due. La prima riguarda il rialzo dei tassi d’interesse. Secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di bilancio ogni punto percentuale in più nel rendimento dei titoli di Stato costa 19 miliardi al Tesoro. Nel 2022 la spesa per interessi arriverà a 76 miliardi, circa 10 in più del previsto. Una previsione tutto sommato ottimistica, costruita sul presupposto di una frenata dell’inflazione nei primi mesi del prossimo anno. È quasi certo, invece, che la crescita del Pil rallenterà notevolmente già a partire da questo autunno. Secondo le previsioni del governo, il prodotto interno lordo aumenterà solo dello 0,6 per cento nel 2023, con il rischio di avvicinarsi a quota zero se l’instabilità causata dalla guerra dovesse prolungarsi a lungo. Stretta tra interessi in rialzo e possibile recessione, per Giorgia Meloni diventerebbe molto difficile far quadrare i conti. E a Bruxelles tornerebbe a crescere la preoccupazione per la tenuta dell’Italia, con prevedibile allargamento dello spread. Una spirale da evitare a ogni costo.
FISCO Meno tasse per tutti. Questo in sintesi il programma elettorale del centrodestra alla voce fisco, un programma da declinare con una serie di misure che vanno dalla
Foto: Agf (2), Getty Images, FotoA3
Vittorio Malagutti Giornalista
Carlo Tecce Giornalista
flat tax incrementale fino a nuovi condoni, pudicamente descritti come «accordi tra cittadini ed Erario per la risoluzione del pregresso». Facile a dirsi, ma passare dalla propaganda agli atti concreti di governo appare più che mai complicato. È questo il caso, per esempio, della riforma bandiera di Fratelli d’Italia, cioè la tassa piatta sui soli incrementi di reddito da un anno all’altro. Una misura che oltre a essere di complicata applicazione, secondo molti specialisti si presterebbe anche a seri rilievi di costituzionalità, visto che all’aumentare del reddito l’aliquota media diminuirebbe. Tutto il contrario della progressività delle imposte sancito dall’articolo 53 della Costituzione. Tra le promesse della campagna elettorale del centrodestra rientra anche la flat tax per i lavoratori autonomi con entrate fino a 100 mila euro, versione riveduta e corretta di quella già in vigore sui ricavi inferiori a 65 mila euro. L’ipotesi potrebbe essere quella di far pagare un’aliquota unica del 20 per cento agli autonomi con introiti compresi tra 65 mila e 100 mila euro. Come a suo tempo è stato calcolato dall’Ufficio parlamentare di bilancio, la riforma proposta dal partito di Giorgia Meloni favorirebbe i titolari di partita Iva rispetto ai dipendenti, creando anche in questo caso un problema di costituzionalità poiché soggetti di pari capacità contributiva verrebbero tassati in modo diverso. Quanto ai condoni, i dati confermano che i proventi della cosiddetta pace fiscale sono quanto meno aleatori, perché chi non ha pagato a suo tempo quanto dovuto si sente garantito dal fatto che prima o poi ci sarà un’altra amnistia fiscale e quindi preferisce aspettare il prossimo giro.
NOMINE I cosiddetti boiardi già scalpitano per le nomine nelle aziende a controllo statale che si terranno in primavera. Questa tornata offre, tra le altre, Eni, Enel, Enav, Poste, Terna e Leonardo. Però il governo di Giorgia Meloni è chiamato a una prova di livello internazionale che può certificare anche il suo vero tasso di patriottismo. Dopo una proroga e ben otto anni di mandato, il norvegese Jens Stoltenberg sta per lasciare la guida della Nato. In un semestre la Nato è passata dal disastro afghano al ruolo centrale nella guerra in Ucraina. Il candidato italiano che può riscuotere più consensi - se Mario Draghi conferma la sua indisponibilità - è Paolo Gentiloni, attuale commissario europeo, già presidente del Consiglio e ministro degli Esteri. Il suo profilo è perfetto per la Nato, ma il governo di centrodestra dovrebbe supportare un protagonista del centrosinistra. Complicato, però istituzionale. Invece è scontata la conferma per la quarta volta di Claudio Descalzi in Eni che, durante l’ultimo periodo, ha gestito le strategie energetiche del Paese. Per Poste e le altre il governo farà degli innesti, in particolare in Leonardo, ma la linea sarà quella di non stravolgere le aziende e di scegliere con la piena sintonia del Quirinale.
ITA Il 31 ottobre scade la proroga per la trattativa in esclusiva di Ita Airways (la ex Alitalia) con il fondo americano Certares per la vendita del suo 50 per cento più un’azione oggi in mano al ministero dell’Economia. È assodato che l’azienda aspetti il nullaosta del governo di Giorgia Meloni per ratificare il negoziato. Ita Airways fu fondata nel novembre 2020 dalle spoglie di Alitalia con uno stanziamento di 1,35 miliardi di euro pubblici e al costo sociale di 7.800 esuberi. Al momento il ministero ha versato 750 milioni, altri 400 vanno bonificati entro il 2022 e sono necessari per compensare le perdite e infine
CAROVITA
Un pensionato davanti a un Caf a Roma, nella zona di casal Bruciato. A destra: un supermercato. Il costo della vita sta diventando un problema soprattutto per le persone con redditi bassi
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dali e le inchieste sui finanziamenti pubblici, con le feroci critiche alla legge (e all’ex ministra) ha drenato parecchi consensi. Il governo gialloverde di Giuseppe Conte (prima versione) ha introdotto quota 100 (somma tra anni di contribuzione e di impiego) poi diventata quota 102, una misura che scade il 31 dicembre. Non ci sono tesoretti segreti per replicare. Al massimo si potrebbe varare, lo propongono i leghisti, una quota 41 (anni di contribuzione) e sfangare il 2023 in attesa di tempi migliori. E per gli altri lavoratori il governo potrebbe prorogare l’Ape sociale che apre una finestra a 63 anni e l’opzione donna con i suoi 58/59 anni: entrambe le formule sono due tipologie di pensione anticipata con assegni notevolmente ridotti rispetto ai 67 anni fissati dalla Fornero. Questi tre piccoli interventi potrebbero costare circa 5 miliardi di euro. Il conto più grosso, però, dipende dall’inflazione che nel triennio farà aumentare di 46 miliardi euro - di
cui 23,5 miliardi nel 2023 - la spesa per il sistema previdenziale.
ENERGIA Il tormento è l’energia. Anzi è un doppio tormento: le bollette e le risorse. Ormai da un anno, i costi per le famiglie e le imprese sono ingestibili. L’ultimo rialzo è del 54 per cento per l’elettricità, il 74 per il gas e l’inverno sta per portare inevitabili maggiori consumi. Il governo uscente di Mario Draghi ha tentato di contenere l’impatto sui cittadini con una serie di decreti per un totale di 66 miliardi di euro. Il governo entrante di Giorgia Meloni dovrà adottare provvedimenti simili e però si trova in una situazione economica ancora peggiore: i nuovi aiuti andranno finanziati con uno scostamento di bilancio, cioè creando altro debito in un contesto di tassi assai più alti del passato. Nel frattempo resterà in cima all’agenda anche la questione degli
250 milioni sono disponibili nel primo trimestre del prossimo anno. A complicare ancora di più il percorso verso la privatizzazione nei giorni scorsi è esploso anche il conflitto tutto interno al consiglio della compagnia. Un conflitto che vede schierati da una parte gli amministratori con l’ad Fabio Lazzerini, espressione del governo 5s-Pd, e dall’altra il presidente Alfredo Altavilla indicato da Draghi. Mercoledì 12 ottobre il cda ha tolto le deleghe operative al presidente aprendo una nuova crisi. Questo fa intendere quanto sia complesso definire il futuro della giovane Ita Airways. Il fondo americano Certares, che potrebbe stringere sinergie con la compagnia connazionale Delta e con la francese Air France assieme a Klm, ha ottenuto la trattativa in esclusiva, ma non è detto che il governo Meloni prosegua nella stessa direzione. Potrebbe rallentare o esplorare altre ipotesi. La vendita è un obbligo perché lo Stato si è già impegnato con Bruxelles per la privatizzazione.
PENSIONI Se non dovesse accadere nulla, a Capodanno potrebbe tornare in vigore la legge pensionistica che porta il nome dell’ex ministra Elsa Fornero. Un danno politico enorme per il centrodestra e soprattutto per la Lega di Matteo Salvini che in passato, dopo gli scan-
IL CANDIDATO CON IL CURRICULUM GIUSTO PER LA NATO È PAOLO GENTILONI. MA LA MAGGIORANZA DI CENTRODESTRA SI TROVEREBBE A DOVER APPOGGIARE UN UOMO DEL CENTROSINISTRA
approvvigionamenti, conseguenza diretta dell’invasione russa dell’Ucraina e delle sanzioni al regime di Vladimir Putin. Per sostituire le forniture in arrivo dalla Russia, il governo di Draghi ha firmato accordi per l’import via mare da Stati Uniti, Egitto, Congo e via tubo da Azerbaijan, Algeria e Qatar. Il gas che arriva per nave è allo stato liquido e dunque va rigassificato. Snam, un’azienda di Stato, ha quindi acquistato due piattaforme mobili per lavorare circa 7,5 miliardi di metri cubi all’anno (il fabbisogno italiano è di oltre 76 miliardi): nessun ostacolo per le operazioni al largo di Ravenna, mentre a Piombino i politici locali fanno le barricate. Intanto, gli stoccaggi sono arrivati al 90 per cento della capienza totale. Quanto basta per arrivare a primavera, ma il futuro è più che incerto. Tant’è che Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, ha dichiarato che l’inverno più difficile sarà l’anno prossimo. Di certo questo sarà il più costoso per gli italiani. Per ora.
PNRR Giorgia Meloni lo ha ripetuto più volte durante la campagna elettorale: il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) va aggiornato, perché la guerra in Ucraina, il boom delle quotazioni dell’energia e in generale l’impennata dell’inflazione hanno cambiato il contesto economico in cui andranno realizzati gli investimenti concordati con la Commissione europea. Sui costi finali ha un forte impatto, per esempio, l’aumento dei prezzi dei materiali da costruzione. Per modificare il programma delle opere, Meloni dovrà bussare a Bruxelles che, in teoria, potrebbe dare via libera sulla base del regolamento Ue del 2021 che include l’aumento dei prezzi come «circostanza oggettiva» tale da giustificare un aggiornamento del Piano. Cambi in corsa a parte, il nuovo governo sarà chiamato a rispettare la tabella di marcia degli investimenti, su cui l’esecutivo uscente ha accumulato qualche ritardo. È vero, infatti, che nel 2021 e nel primo semestre del 2022 sono stati raggiunti traguardi e obiettivi, sotto forma di riforme, previsti dagli accordi con la Commissione. E infatti l’Italia ha già ricevuto, in due tranche, i primi 45,9 miliardi dei 191 miliardi che spettano al nostro Paese fino al 2026. Il fatto è, però, che entro la fine dell’anno verrano spesi non più di 15 miliardi rispetto ai 24,9 miliardi previsti. Numeri, questi ultimi, che emergono dalla Nota di aggiornamento al Def (Nadef ) pubblicata dal governo a fine settembre. «I ritardi sono evidenti e difficili da recuperare», ha messo le mani avanti la premier in pectore nei giorni scorsi attaccando il suo predecessore Draghi. Adesso però il tempo delle polemiche è scaduto. Meloni è attesa alla prova dei fatti, sul Pnrr come sul resto del programma di governo.
CONFERMA
Il presidente dell’Eni Claudio Descalzi è tra i pochi manager pubblici a poter contare su una riconferma da parte del nuovo governo
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L’INIZIATIVA
Stefano Disegni firma sei vignette da completare a tema disuguaglianze a sostegno della campagna di raccolta fondi “Insieme per la giustizia sociale e ambientale” del Forum Disuguaglianze e Diversità su Produzioni dal Basso. La quarta battuta vincitrice è di Letizia Aprile nella vignetta che pubblichiamo qui. Ogni settimana, per le prossime due settimane, una nuova vignetta di Stefano Disegni da riempire verrà pubblicata sul sito e sui canali social del ForumDD. Per partecipare con la propria battuta, bisognerà essere già sostenitori e sostenitrici della campagna del ForumDD o decidere di diventarlo senza nessuna soglia minima o massima (la donazione alla campagna è assolutamente libera). Tutte le informazioni sull’iniziativa e le modalità per partecipare su www.forumdisuguaglianzediversita.org
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