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La versione di Franca Stefania Auci

Al centro: riprese a Palermo, in piazza Pretoria, per il film tratto da “I Leoni di Sicilia”; la scrittrice Stefania Auci; uno scatto storico di Franca Florio, con le figlie uante Franca Florio sono esistite? C’è stata la donna, con le sue gioie e le sue sofferenze. C’è stato il mito, fatto di sussurri e di perle. C’è stata l’icona, la musa di pittori e scrittori (d’Annunzio su tutti). C’è stata la maschera, forse autoimposta, di certo vissuta sino in fondo, d’inarrivabile eleganza, di perfezione mondana. E il tutto sullo sfondo di una realtà imprevedibile come quella dell’inizio del Novecento, un’epoca troppo veloce per salvare il passato e troppo lenta a capire il futuro.

Di certo, Gesualdo Bufalino aveva davanti a sé tutte queste immagini – e forse molte altre – mentre, nel 1994, scriveva la sua sceneggiatura sulla vita di Franca Florio – «Io, Franca Florio» – commissionatagli dall’americano Edward R. Pressman, produttore, tra l’altro, di «Wall Street» e «Talk Radio» di Oliver Stone, ma anche del «Cattivo tenente» di Abel Ferrara e del «Corvo» di Alex Proyas. Un film grandioso nelle intenzioni, ma poi scomparso nel nulla. Un po’ come la memoria della vera Franca Florio.

Scorrendo le pagine ritrovate di quella sceneggiatura (curata con sensibilità e precisione da Andrea Traina e pubblicata dalla casa editrice Archilibri), si è portati a immaginare il tormento che Bufalino deve aver provato nel confrontarsi con la figura di Franca Florio, anzi nell’entrare direttamente in lei, come quell’audace titolo – «Io, Franca Florio» – suggerisce. La ricerca della «versione di Franca» appare tormentata e incerta: appunti, notazioni, rimandi, battute di dialogo alternate a commenti personali… Bufalino non era nuovo al cinema, non soltanto perché, fin da giovanissimo era stato uno spettatore assiduo (con tanto di «voto» a ogni film), ma anche perché aveva fatto da consulente a Sandro Bolchi e a Lucio Mandarà per l’adattamento televisivo dei «Viceré» di Federico De Roberto e aveva iniziato a scrivere la sceneggiatura di un film basato sul suo romanzo «Argo il cieco». «Bufalino sa pensare visivamente. Sa narrare per immagini», ci ricorda Gianni Canova nella sua

Donna di fascino dolorosamente umano e tragicamente concreto. Forse entrambi abbiamo sentito che di lei non si poteva cogliere altro che il riflesso

illuminante prefazione al volume. Eppure qui sembra rassegnato (costretto?) a dar ragione a Jean-Luc Godard quando dice: «Una storia deve avere un inizio, un centro e una fine, ma non necessariamente in quest’ordine». Già, perché dove comincia davvero la storia di donna Franca? Quando va sposa, ingenua diciannovenne, allo sciupafemmine Ignazio Florio? E qual è il suo punto centrale? La gloria mondana, l’ammirazione dell’Europa intera o la morte dei figli? E il finale dov’è? Ma c’è davvero un finale, per una donna così complessa?

Forse proprio per questo Bufalino ci mostra in primo luogo una Franca quasi sessantenne, che però «conserva sotto le rughe un bagliore dell’antica bellezza». E ci fa ascoltare la sua voce mentre gli operai portano via mobili pignorati e suppellettili, svuotando fisicamente una casa già privata dell’anima. Ma non completamente: «come soldati morti», Franca allinea infatti sulla scrivania i relitti della sua vita, dagli scrigni vuoti di gioielli, ai «vassoi colmi di fatture e conti non pagati» da un ventaglio a un carnet di ballo. E proprio come in «Carnet di ballo» di Julien Duvivier, delicato film sulla maledizione nel tempo perduto, Franca allora torna indietro, vertiginosamente: «sullo schermo sfilano in specchi d’ogni forma-

to immagini di Franca, bambina, adolescente, donna, con acconciature varie e abiti vari, come in una galleria di ritratti che riassume la sua vita».

Ecco, gli specchi: «Lo sai quanto io ami gli specchi. Quando mi guardo e mi ammiro, sono quelli i soli istanti in cui credo di esistere», dice Franca a Ignazio in una sera a Venezia, poco prima che lui consumi l’ennesimo tradimento con Vera Arrivabene. E ancora: «Mi guardavo allo specchio per non essere sola, per amarmi», commenta Franca, guardandosi nell’ultimo specchio rimasto dopo il sacco di Villa Florio. E Bufalino avrebbe voluto chiudere il film con una voce fuori campo (o con un cartello) che, tra l’altro, dice: «(Franca) evitava gli specchi per non vedersi disfatta e vinta dagli anni».

Devo confessare che anch’io, nell’«Inverno dei Leoni», ho messo molte volte Franca davanti a uno specchio. Forse sia Bufalino sia io abbiamo distillato questo particolare da una fonte comune e cioè dall’unica, vera biografia di Franca Florio, scritta da Anna Pomar che, negli anni Ottanta aveva raccolto la testimonianza di Giulia, la figlia di Franca e Ignazio… Forse invece abbiamo sentito entrambi che, di questa donna, non si poteva cogliere altro che il riflesso, che nessuno poteva arrogarsi il diritto di presentare al mondo una versione a tutto tondo di Franca Florio. E non perché il fascino di Franca sia sfuggente, ma proprio perché è un fascino dolorosamente umano e tragicamente concreto, fatto di lacrime e tradimenti, di umiliazioni e assenze.

Non trascura, Bufalino, la concretezza della vita siciliana del tempo, la sua durezza: descrive, per esempio, l’omicidio di Joe Petrosino e racconta in modo diretto le connivenze tra la famiglia Florio e la mafia. E quando la durezza avvolge Franca, la imprigiona nel suo ruolo, le chiede di continuare a vivere dopo che suoi tre figli sono morti nel giro di poco più di un anno, non può fare a meno di raccontarla. È in questa tensione tra il riflesso di Franca nello specchio – prima desiderato e alla fine respinto – e il peso inevitabile della realtà che emerge la forza di Bufalino, la sua intima connessione con la storia che sta sceneggiando: anche qui, come sempre nella sua narrativa, l’impossibilità di conoscere la verità ha come inevitabile conclusione una poco rassegnata soggettività: «Io, Franca Florio», appunto. Titolo di un’esistenza che, come tutte le esistenze, è inafferrabile, forse addirittura indicibile. Di certo, purtroppo, di un film che non vedremo mai.

Q U E L F I L M MA I R E A L I Z Z AT O

Ritrovata tra le sue carte autografe, la sceneggiatura intitolata “Io, Franca Florio” di Gesualdo Bufalino è pubblicata da Archilibro (pp. 93, € 12). Il testo fu commissionato all’autore da Edward Pressman nel 1993. Soggetto: il racconto della vita di una donna, simbolo di un mondo ricco ed elegante

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