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La mia musica per il pianeta colloquio con Ludovico Einaudi di Emanuele Coen

La mia musica per il pianeta

epopea dei migranti, le L’ guerre, l'emergenza ambientale. Sente l'urgenza dei temi del nostro tempo Ludovico Einaudi e la sua musica, anche se meditativa, sognante, strumentale, a suo modo è impregnata di passione civile. Pianista e compositore tra i più noti al mondo, 66 anni, Einaudi ha firmato oltre ottanta colonne sonore tra cui quella del film

“Nomadland”, Leone d’oro a Venezia nel 2020, Golden Globe e tre premi

Oscar. Il compositore non viene da una famiglia qualsiasi: figlio dell’editore Giulio e della pianista Renata

Aldrovandi, nipote dell’ex presidente della Repubblica Luigi, è cresciuto a

Torino e ha studiato al conservatorio di Milano con Luciano Berio, uno dei grandi maestri dell’avanguardia europea. Oggi spopola su YouTube e

TikTok.

Per concludere l’anno musicale, il pianista ha in programma quindici concerti quasi sold out, dal 1 al 18 dicembre al Teatro Dal Verme a Milano, assieme a lui sul palco Redi Hasa al violoncello, Federico Mecozzi al violino e Francesco Arcuri, elettronica e percussioni. Negli stessi giorni nel teatro si terrà “Climate Space”, la terza edizione della rassegna di cortometraggi d'autore sulla crisi climatica, selezionati da Francesco Cara. Storie provenienti da ogni parte del mondo sulla relazione tra natura e città, raccontate da giovani attivisti di ogni parte del mondo. «Non è vero che se hai un impegno ecologista la tua mu-

Le colonne sonore da “Nomadland” a “La tresse”. L’impegno ambientale. Gli amici musicisti in Iran e Ucraina. “Il mio piccolo contributo per l’umanità”

colloquio con Ludovico Einaudi di Emanuele Coen

sica debba essere dissonante. Non avevo previsto che le mie composizioni potessero avere un rapporto con la meditazione. La musica è come un romanzo, appartiene a chi l’ascolta, ciascuno a modo suo», dice su Zoom Einaudi, cappello di feltro marrone, panciotto blu scuro, lunghe basette bianche. Abita a Torino ma in queste settimane si ferma spesso a Dogliani, nella casa di famiglia nelle Langhe, dove si trovano i suoi pianoforti e lo studio di registrazione. A quale progetto sta lavorando? «Entro novembre devo ultimare la colonna sonora del film francese "La tresse”, diretto da Laetitia Colombani e tratto dal suo omonimo romanzo tradotto in 45 lingue (edito da Nord col titolo “La treccia”, ndr). La storia di tre donne di tre diversi continenti che si ribellano alla sorte loro assegnata e decidono di lottare». Cosa significa scrivere musica per il cinema? «Devo trovare un colore che si adatta alla mia visione artistica ed è in sintonia col film. Sono tenuto a rispettare le costrizioni dettate dalla storia, ma riesco ad esplorare atmosfere che non avrei esplorato altrimenti. Sono obbligato a uscire dalla mia comfort zone». Lei ha composto la colonna sonora di “Nomadland” di Chloé Zhao, film pluripremiato. Come è nata l’idea? «Le musiche sono basate integralmente sul mio repertorio esistente. Eravamo in pieno Covid, non c’è stato neanche modo di incontrarci con la regista. Ho visto come erano stati inseriti i brani e ho approvato le scelte. Per altri film il lavoro è stato molto più complesso». Quali ad esempio? «“Fuori dal mondo” di Giuseppe Piccioni, parecchi anni fa, una bellissima

Ludovico Einaudi, 66 anni

collaborazione anche con la montatrice, Esmeralda Calabria, molto brava nel dare un ritmo al film costruito sulla musica. E poi “This is England” di Shane Meadows, un’altra esperienza memorabile. I miei brani erano legati alle parti più drammatiche del film, funzionava tutto molto bene». Come emerge dal film "Ennio" di Giuseppe Tornatore, Morricone aveva un certo complesso di inferiorità rispetto ai compositori di musica colta. Le colonne sonore sono musica di serie B? «Credo che la sua convinzione fosse il frutto della sua visione personale.

Le musiche che Morricone ha scolpito, quei colori così forti li ha tirati fuori nel cinema. Le sue composizioni più seriose risentono di un aspetto accademico che forse le rendono meno interessanti». Esistono film che ha molto amato di cui avrebbe voluto scrivere le musiche? «Certo. Film epocali come “Blade runner”, con la colonna sonora di Vangelis. E molte pellicole di fantascienza, da “2001 Odissea nello spazio” a “Interstellar”. Poi ammiro molto lo studio sul suono in “Dunkirk”, film di guerra di Christopher Nolan. Mi intriga il rapporto tra musica e suono in generale, il desiderio del regista di creare un affresco sonoro che mescola rumore d’ambiente e musica». Cosa ascolta nel tempo libero? «Sono onnivoro, ascolto musica con libertà, senza pregiudizi. Mi appassiona una nuova registrazione dell’Arte della fuga di Bach, ma anche le canzoni di Jon Batiste o Harry Styles: ho una figlia quasi teenager che lo ascolta e dunque lo ascolto con piacere. E poi ho amato molto i Radiohead. Non mi piace ascoltare i compositori che fanno cose analoghe alle mie, preferisco avere la mente sgombra». Per l'Underwater Tour ha fatto decine di concerti in tutto il mondo, in Italia sono stati ospitati in riserve naturali, parchi, anfiteatri. Non è pericoloso portare il pubblico in spazi incontaminati? La scorsa estate Jovanotti è stato duramente criticato dagli ambientalisti per il Jova Beach Party. «Abbiamo raccomandato agli spettatori di arrivare a piedi, con un accesso contingentato. Ogni volta che si organizza un concerto bisogna porsi la questione dell’impatto ambientale. I concerti vengono organizzati da associazioni locali che rispettano il territorio, per far scoprire al pubblico luoghi da valorizzare». Tra le 2.500 proposte in risposta al vostro bando per la rassegna di cortometraggi “Climate Space” sulla piattaforma FilmFreeway, una su cinque viene dall'Iran, dove lei ha suonato nel 2018. Cosa pensa della situazione attuale? «Siamo rimasti sorpresi dalla quantità di risposte, la gente cerca un’occasione creativa per andarsene, con lo spirito o fisicamente. Dei concerti ho un ricordo fantastico, un pubblico caloroso come poche volte ho visto nella mia carriera. Oggi mi scrivono in tanti dall’Iran, vorrebbero scappare, sono in contatto con alcuni amici musicisti. E mi scrivo anche con amici musicisti in Russia e in Ucraina. Sono diversi i fronti aperti, nel mio piccolo sono pronto a offrire aiuto». La musica può fare qualcosa per avvicinare i popoli? «Forse è un’ambizione troppo alta. Mi fa piacere sapere che la mia musica è di conforto in situazioni drammatiche, che possa lasciare qualcosa nell’animo delle persone. È questo il mio piccolo contributo per l’umanità».

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