Settimanale di politica cultura economia N. 44 • anno LXVIII • 6 NOVEMBRE 2022 Domenica 3 euro L’Espresso + La Repubblica In Italia abbinamento obbligatorio alla domenica. Gli altri giorni solo L’Espresso 4 euro POLITICA Letta indeciso a tutto e il Pd nel guado INCHIESTA Il cemento divora la Bologna modello IDEE Donne, libri e libertà L’Iran di Azar Nafisi Hanno talento ma li costringiamo a volare basso. Lasciano scuole inadeguate, esposti al rischio criminale. Senza prospettive e aiuti, cercano lavoro. Precario. Rapporto su chi sono davvero i tre milioni di Neet. Altro che sdraiati Sprecati Poste Italiane s.p.a.sped.in A.P.-D.L.353/03 (conv.in legge 27/02/04 n.46) art.1comma 1-DCB RomaAustriaBelgioFranciaGermaniaGreciaLussemburgoPortogalloPrincipato di MonacoSloveniaSpagna € 5,50C.T. Sfr. 6,60Svizzera Sfr. 6,80Olanda € 5,90Inghilterra £ 4,70
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Gloria Riva 12 Segregazione
Ludovico Albert 18 Flessibilità
perverso da spezzare Chiara Saraceno 21 Il sonno della satira colloquio con Fabrizio Barca e Stefano Disegni di Emanuele Coen 22 Enrico Letta indeciso a tutto Antonio Fraschilla 26 Ergastolo ostativo da cambiare Pietro Grasso 30 Contro la “paura della firma”regole chiare e trasparenti Tommaso Miele 33 Gratta e ricicla Rosaria Capacchione 34 La giustizia secondo Nordio, mix di idee contraddittorie Nicola Graziano 37 Governati da un ologramma Fabio Chiusi 38 Che fine ha fatto il “green deal” Eugenio Occorsio 40 Energia verde quanto mi costi Alessandro De Pascale 44 I forzati delle politiche migratorie Andrea Segre 48 Parigi-Berlino, l’asse spezzato Michel Derdevet 52 Il patto immobiliare francese per rifilare un palazzo alla Ue Federica Bianchi 57 I proiettili che mi hanno cambiato Aristide Barraud 58 “Siamo sopravvissuti, non reduci per sempre” Leonardo Petrini 60 Il terrore casa per casa Sabato Angieri 64 Diari di guerra graphic novel di Nora Krug 68 Se l’America chiude i rubinetti Manuela Cavalieri e Donatella Mulvoni 72 Medio Oriente in volo a Kiev Alberto Stabile 76 Ecomostri alla bolognese Paolo Biondani 78
Idee
Donna Libri Libertà
colloquioconAzarNafisidiSabinaMinardi 82 Gesti estremi per salvare il pianeta colloquio con A. Ghosh e E. Kolbert di C. Sgreccia 88 Cari giovani fate politica JoséSaramago 92 Dolce vita sul Nilo WlodekGoldkorn 96 A casa di Mariù SandraPetrignani 98 Fantasma a testa in giù colloquio con Maria Chiara Gianolla di Angiola Codacci-Pisanelli 100 Scacco ai dittatori colloquioconRicardoDaríndiClaudiaCatalli 102
Storie
La diaspora dei prof, quando il precariato fece riunire l’Italia Chiara Sgreccia 106 La battaglia di Batool Haidari contro i pedofili talebani Simone Alliva 110 Il film sulla vita di Benjamin e Joshua, persone oltre ogni barriera Valerio Millefoglie 114
Sommario numero 44 - 6 novembre 2022 Abbonati a SCOPRI L’OFFERTA SU ILMIOABBONAMENTO.IT L’Espresso fa parte in esclusiva per l’Italia del Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi Ricevi la rivista a casa tua per un anno a poco meno di €6,00 al mese (spese di spedizione incluse) Le inchieste e i dibattiti proseguono ogni giorno sul sito e sulle pagine social de L’Espresso. UNISCITI ALLA NOSTRA COMMUNITY lespresso.it @espressonline @espressonline @espressosettimanale Rubriche Altan 3 Makkox 8 Manfellotto 25 Serra 51 Riva 55 Alberti 122 Opinioni COPERTINA Illustrazione di Emiliano Ponzi Editoriale La parola 7 Taglio alto 19 Bookmarks 105 Ho visto cose 118 #musica 118 Scritti al buio 119 Noi e voi 120 Le priorità degli italiani e quelle del governo Lirio Abbate 11
Pagina
Prima
Si fa presto a dire Neet
scolastica
non precariato, circuito
82 48 64 72 40
interesse nazionale
Non c’è espressione in apparenza più ovvia. Nessuno potrebbe mai dire di non volere l’interesse nazionale in ogni ambito. Niente di problematico dunque. E invece niente di più problematico. Perché l’espressione nella sua genericità non è così ovvia e neutra scandita nel modo assoluto in cui la pronuncia la premier Giorgia Meloni (e uso il femminile nell’interesse nazio nale di emancipazione delle donne). Una tale espressione infatti implica un’idea di nazione e un’idea di interes se: una visione conservatrice, impe gnata a mantenere tradizionali dinamiche socioeconomiche ormai obsole te e discriminanti oppure una visione progressista, cioè sensibile allo spirito e alle istanze dei tempi che esigono al largamentodidiritti,equità,unanuova giustizia sociale ed economica, un’idea ecosostenibile di innovazione, nonché il rispetto dei trattati internaziona li ispirati alla convenzione universale dei diritti dell’uomo, visto che le nazio-
ni sono fatte di persone. Così, passare dal ministero della Transizione ecolo gica al ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica che dichiara di voler «diversificare le risorse» tornan do a sfruttare risorse fossili «bloccate dall’ideologia ambientalista» significa esprimere una visione dell’interesse nazionale che non tiene conto del pia neta di cui qualsiasi nazione fa parte. E nel salvaguardare un’idea di famiglia tradizionale talmente limitata che la stessa Meloni fatica a costruirsi, l’inte resse nazionale coincide con la discriminazione della maggior parte delle «famiglie» fatte da diverse forme di unione. È con espressioni del genere, in apparenza neutre e universalmente condivisibili, che si creano i presup posti per fare precipitare un Paese nel peggior passatismo facendo finta di esser mossi dal più neutro bene comune: la nazione. La peggiore trappola in cui cadere. Che si esigano parole precise, compromettenti, divisive.
6 novembre 2022 7 La parola © RIPRODUZIONE RISEVATA
EVELINA SANTANGELO
Cronache da fuori 8 6 novembre 2022
Makkox 6 novembre 2022 9
Le priorità degli italiani e quelle del governo
Ci sono delle priorità che il governo di Giorgia Meloni do vrebbe iniziare ad affrontare. A cominciare dagli aiuti in favore di famiglie e imprese per far fronte al caro bollette e carbu rante. E quindi il sostegno all’occupazione. Rispetto ai primi mesi del 2021, oggi una famiglia spende per quanto riguarda le bollette di luce e gas una cifra triplicata e registriamo una crescita continua dei prezzi al dettaglio. A cominciare da questi temi sarà valu tato il governo da tutti gli italiani. Il resto, introdotto nei giorni scorsi dall’esecutivo, appare come un diversivo per tentare di non concentra re l’attenzione sui principali problemi che attanagliano il Paese. Ci so no tante contraddizioni nell’esecutivo. E c’è la libertà dei cittadini che viene messa in discussione con il decreto sui Rave. Per il Viminale «la norma interessa una fattispecie tassativa che riguarda la condotta di invasione arbitraria di gruppi numerosi tali da configurare un pericolo per la sa lute e l’incolumità pubbliche». Ma Matteo Salvini esulta: «Indietro non si torna, le leggi finalmente si rispettano». Però toc ca al ministro dell’Interno Piantedosi, con una lunga esperienza di ordine pubblico, spiegare che questo provvedimento non si applica ad altri contesti diversi dai ra ve illegali «in cui si esercitano diritti co stituzionalmente garantiti a cui la norma chiaramente non fa alcun riferimento». Al decreto si deve rimettere mano, per chia rire meglio l’ambito di azione in cui sarà applicato. Perché altrimenti si può pensa re male, e come hanno iniziato a spiegare importanti giuristi e costituzionalisti, in questo modo possono essere penalizzati, processati e forse anche condannati a pe ne fino a sei anni gli studenti che organiz zano l’occupazione di un istituto scolasti co, tanto per fare un esempio che è quello più attuale. Già lo scorso anno il direttore dell’Ufficio scolastico regionale aveva im posto a tutti i presidi degli istituti di Roma e del Lazio di denunciare «formalmente il reato di interruzione del pubblico servi zio e di chiedere lo sgombero dell’edificio, avendo cura di identificare, nella denun cia» gli studenti che avevano occupato e quindi organizzato la protesta.
Bollette, inflazione, lavoro. Queste sono le emergenze che attanagliano il Paese . L’esecutivo invece sceglie di cominciare da questioni come i Rave o il ponte sullo stretto. Forse vuole distogliere l’attenzione dai problemi che non sa come affrontare
Mi chiedo a questo punto come si com porteranno le forze dell’ordine della Ca pitale il prossimo 7 gennaio quando sap piamo, fin da adesso, che centinaia di neo fascisti si daranno appuntamento in vari luoghi della città per l’anniversario dei tragici fatti di Acca Larentia. Un raduno anche quello, come purtroppo abbiamo registrato ogni anno, in cui vengono mes si in pratica gesti e azioni che violano il Codice penale. Ma già nei giorni scorsi ne abbiamo avuto un cenno: il cimitero del Verano è stato chiuso per motivi di sicu rezza perché una cinquantina di militanti di CasaPound, in occasione del centesimo anniversario della marcia su Roma, han no deposto una corona di fiori per ricor dare i morti di via Acca Larentia. E sempre a proposito di priorità e contraddittorietà c’è ancora una volta il vice premier e mini stro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, Matteo Salvini, che ha contat tato i governatori di Calabria e Sicilia per organizzare un incontro al dicastero di Porta Pia per fare il punto della situazio ne con particolare riferimento al proget to del Ponte sullo Stretto. Anche volendo fare quest’opera miliardaria, si prevedo no tempi lunghissimi per la fattibilità del vecchio progetto o di un nuovo che verrà. Mi chiedo se Salvini, oppure il neo gover natore siciliano, hanno mai pensato di percorrere l’autostrada Palermo-Catania (che come dice Rosario Fiorello è il posto in cui si allenano i concorrenti della Pari gi-Dakar) o ancora la Palermo-Messina, o se hanno mai raggiunto Ragusa o Trapa ni. Viaggi dell’avventura. Per non parlare della rete ferroviaria. Quindi, il ponte a una o due campate che senso avrebbe se poi in Sicilia non puoi facilmente viaggia re? Questo è lo scollamento fra realtà e la politica del dire.
EditorialeLirio Abbate 6 novembre 2022 11
La leva dei dimenticati SI FA PRESTO A DIRE NEET DI GLORIA RIVA FOTO DI ROCCO RORANDELLI NON STUDIANO E NON LAVORANO: SONO TRE MILIONI. TUTT’ALTRO CHE SDRAIATI. FRAGILI, PREDA DEL CRIMINE, DISOCCUPATI E SFIDUCIATI. DOSSIER SU UNA GENERAZIONE ESCLUSA DA TUTTO
6 novembre 2022 13 Prima Pagina
Studenti del Liceo scientifico sportivo Torricelli di Milano
on mi hanno rinnovato il contratto», la voce di Gaia trema. Sono passati cinque mesi da quando l’azienda di moda l’ha sostituita «con una stagista neppure retribuita», ma ancora non si dà pace. Per lei, che ha 25 anni, quel tirocinio era il riscatto di una vita di sacrifici. I suoi sacrifici, certo, ma soprattutto quelli della madre, cassiera in un supermercato di Cormano, periferia Nord di Milano. Andrea di anni ne ha 17, vive a Tor Bella Monaca, frazione di Roma, c’è un’associazione che sta provando a coinvolgerlo in un progetto teatrale, per riportarlo a scuola. Ma in quale scuola se il quartiere ha tassi di dispersione scolastica da record? Poi c’è Fatima, 33 anni, eritrea d’origine, ha tre figli, parla poco italiano, non esce quasi mai di casa e al lavoro neanche ci pensa. Gaia, Andrea e Fatima non hanno granché in comune. Gaia ha in tasca una laurea triennale e a lavorare c’ha provato, anche se
l’essere stata respinta alla prima occasione l’ha demoralizzata; Andrea pensa che la strada sarà la sua scuola e fa spavento perché lì comanda un microcosmo autarchico in mano alla rete criminale dello spaccio; Fatima non ha mai sognato un futuro per davvero, guarda il mondo dalla finestra di una casa popolare di Verona. In comune hanno l’emarginazione dalla società, della scuola, dal lavoro. Il che li rende identificabili fra i tre milioni di Neet italiani, acronimo di Not engaged in education, em ployment or training. Tra dotto: essere uno dei tanti che in quel momento non studia, né lavora, né riceve una formazione. Persone dette per l’appunto “né-né”. Il Censis le fotografa come
una marea crescente: hanno fra i 15 e i 34 anni, più donne che uomini, in preda ad agorafobia, depressione, disagio. Dopo la Turchia, il Montenegro e la Macedonia, l’I talia è il Paese con il maggior tasso di né-né in Europa, attorno al 25 per cento, incidenza che raddoppia al Sud ed è più frequente fra figli di migranti e donne. Ma continuare a considerarli un’unica omogenea degene razione della società non serve granché. Lo hanno capito Action Aid e Cgil che presenteranno l’8 novembre il dossier “Ai margini del fenomeno Neet”, qui anticipato da L’Espresso, nel quale il comitato scientifico - le sociologhe Chiara Saraceno e Giuliana Orientale Caputo e il demografo Alessan dro Rosina - hanno per la prima volta scattato una nitida fotografia di chi sono i Neet per sfatare alcuni luoghi comuni (tipo che se ne starebbero tutti sul divano, ingrassati dal reddito di cittadinanza), arrivando a stroncare l’unica misura che le istituzioni dal 2016 a oggi hanno messo in campo per aiutarli, Garanzia giovani, che «non ha scalfito il fenomeno e ha lasciato indietro i più vulnerabili, quelli che ne avrebbero avuto più bisogno», si legge nel report. Un testo che dovrebbe aiutare il governo a me glio indirizzare le misure a sostegno dei giovani, specialmente quelle del Pnrr. Pec-
14 6 novembre 2022 La leva dei dimenticati
GIOVANE SU TRE
TRA I 25 E I 35 ANNI
PROSPETTIVA
N UN
NELLA FASCIA
NON HA ALCUNA
PER IL FUTURO, AVVERTONO ACTION AID E CGIL. E GARANZIA GIOVANI SI RIVELA UN FLOP
Gloria Riva Giornalista
cato che il governo Meloni abbia così a cuo re la situazione dei giovani italiani da aver affidato il tema ad Andrea Abodi, ovvero il nuovo ministro dello Sport e dei giovani (per l’appunto), uno con un curriculum lun ghissimo ma nel mondo del calcio e del Coni. Eppure il problema dell’Italia non è il calcio, piuttosto il fatto che un giovane su tre, che ha tra i 25 e i 35 anni non ha uno straccio di futuro, come avvertono Action Aid e Cgil: «Più si cresce con l’età, più aumenta la loro quota. «La maggioranza, il 42,2 per cento, ha un diploma di maturità, i laureati sono più di uno su dieci, mentre chi ha la licenza media è il 35 per cento», dice il rapporto, che per la prima volta dimostra come Gaia, Andrea e Fatima sono per l’Italia tre problemi diversi e come tali vanno affrontati, ministro permettendo.
I GIOVANISSIMI FUORI DA SCUOLA
«Qui le chiamano scuole parcheggio. Si iscrivono quelli che finiscono le medie senza le idee chiare. Sono istituti di periferia, hanno scarsa presa sui ragazzi che si sentono insoddisfatti, prima bigiano qualche lezione e nel giro di poco finiscono per abbandonare definitivamente. È un copione visto e stravisto», a parlare è Alessandro Bongiardina, psicologo di strada del grup-
PERIFERIE
Le foto di questo servizio sono state realizzate da Rocco Rorandelli per WeWorld che ha attivato S.p.a.c.e. acronimo di Studenti pendolari acquisiscono competenze educative, un progetto che sostiene i ragazzi e le ragazze delle periferie in Liguria, Piemonte, Abruzzo, Campania, Sardegna e Lombardia. A sinistra, la "piana" di via Boifava a Milano. Qui a destra, il Bar Central di Avezzano, uno dei luoghi di ritrovo nella città abruzzese. In alto, i preparativi per un'esibizione in occasione della giornata internazionale della donna presso l’Istituto superiore “Gaetano Filangieri” di Frattamaggiore, Napoli
po Abele che bazzica i quartieri torinesi Barriera di Milano, Vallette, Borgo Vittoria: «Si buttano nel contesto di quartiere, gironzolano coi più grandi, per noia fanno qualche crimine. Raggiungerli è difficile». A Torino come a Roma: «I clan che nella capitale spadroneggiano hanno gioco facile ad affiliare i più giovani, sfiduciati e consapevoli che il merito, l’impegno, lo studio non li porteranno da nessuna parte. Laddove non arriva lo Stato e l’istruzione, in quelle zone grigie, si infila la mafia. I giovani stanno sul divano? Magari. I più vengono assoldati dal crimine», avverte Giuseppe De Marzo, portavoce della Rete dei numeri pari. Sono i giovanissimi fuori da scuola, hanno fra i 15 e i 19 anni e il report di Action Aid e Cgil li descrive come ragazzi in cerca di nulla, tanto meno di un primo impiego, trasversali a tutto il Paese, vivono con la famiglia, non ricevono alcun sostegno economico dallo Stato, sono dimenticati dalla scuola e non ancora intercettati dai servizi sociali. Se, per fortuna, qualche associazione del terzo settore prova a rimetterli in carreggiata, non è detto che ci riesca.
ALLA RICERCA DEL PRIMO IMPIEGO
Vivono al Sud, hanno fra i 20 e i 24 anni, hanno un diploma. Spesso vivono in
6 novembre 2022 15 Prima Pagina Foto: Terra Project / We
World
città metropolitane con un solo genito re e sono per lo più maschi. Con entusia smo scemante cercano il primo impiego: «È il gruppo più numeroso e mette ancora una volta in luce la fragilità del mercato del lavoro del Sud, dove nonostante le azioni di ricerca e l’immediata disponibili tà al lavoro, i giovani hanno difficoltà ad introdursi per la prima volta nel mercato occupazionale. Sarebbe interessante ap profondire quanto influisca il lavoro som merso, molto diffuso nel Meridione», si legge nel report. La condizione di sfiducia, l’assenza di prospettive, il rancore assumo no le sembianze della violenza, dice Salva tore Inguì, assistente sociale di Palermo: «Pestaggi, estorsioni, sequestri, lesioni an che dentro casa. Sono fenomeni coerenti con i modelli diffusi dalla società. Però c’è anche voglia di offrire solidarietà, di par tecipare a processi di trasformazione, di migliorare lo stato delle cose. È lì che biso gna insistere per evitare che una genera zione affondi nella disperazione e nella rabbia perché si è resa conto che non ha più margini di riscatto».
EX OCCUPATI IN CERCA
Al terzo girone si incontrano i giovani dai 25 ai 29 anni, che hanno perso o abbando
nato un lavoro e ne stanno cercando uno nuovo. Sono principalmente maschi, con un alto livello di istruzione, vivono isolati e percepiscono un sussidio di disoccupa zione. Vivono nel Centro Italia e sono i meno numerosi, soprattutto perché chi ha buone carte da giocare trova presto una nuova opportunità, spesso all’estero, gli altri sprofondano verso la quarta catego ria dei né-né, gli scoraggiati.
GLI SCORAGGIATI
Sono i cosiddetti giovani adulti, hanno fra i 30 e i 34 anni. Per un po’ hanno lavorato, poi sono stati messi alla porta. Vivono al Nord, non in città ma in periferia o in pro vincia. Sono donne, senza figli, una buona quota ha un passaporto straniero. Sono i più numerosi. Non hanno un diploma per reagire hanno perso qualsiasi fiducia
3 25% MILIONI I NEET in Italia, di cui 1,7 milioni sono donne. Hanno tra i 15 e i 34 anni Sono il della loro generazione 13,2% 35,2% 42,2% Ha una laurea Ha una licenza media Ha un diploma di maturità 16 6 novembre 2022 I TITOLI DI STUDIO DEI NEET La leva dei dimenticati
Fine delle lezioni al Turismo del Filangieri. A destra, esercizi organizzati dagli educatori di strada di WeWorld ad Avezzano
Italia 5 20 07 20 08 20 09 20 10 20 11 20 12 20 13 20 14 20 15 20 16 20 17 20 18 20 19 2020 10 15 20 25 Da tutta Italia, tra i 15 e 19 anni, hanno una licenza media e sono senza precedente esperienza lavorativa Vivono in famiglia, non percepiscono alcun sussidio e non cercano lavoro Vivono nel centro Italia, hanno tra i 25 e i 29 anni Sono in cerca di lavoro e prendono un
Vivono spesso da soli, hanno una laurea 1,2% Servizio civile 0,1% Apprendistato 0,9% Autoimpioego e Autoimprenditorialità Vivono al Nord e hanno tra i 30 e i 34 anni. Sono per lo più italiani e donne. Non vivono nei centri, ma in periferie e province. Hanno per lo più un diploma professionale Alla ricerca del primo impiego Ex occupati in cerca Giovanissimi fuori dalla scuola Vivono al Sud, hanno tra i 20 e i 24 anni Sono per lo più maschi che vivono spesso con un solo genitore (maschio). Hanno un diploma, vivono in città e sono Italiani 56,3% Tirocinio extra-curricolare 19,5% Incentivi occupazionali 17,2% Formazione 4,8% Accompagnamento Francia Germania Spagna Unione Europa 6 novembre 2022 17 Prima Pagina L’IDENTIKIT DEI NEET LE MISURE DI POLITICA ATTIVA I NEET IN EUROPA (15-34 anni. Dati in percentuale) Foto: Terra Project / We World Fonte: ANPAL Infografica: Mistaker
Scoraggiati
sussidio.
La leva dei dimenticati
nel futuro. «Se i 15enni si affacciano al mondo del lavoro senza formazione ed esperienza, i 30enni hanno sviluppato una relazione diversa con il mondo dell’occu pazione. I primi sono privi di orientamen to, i secondi saprebbero come muoversi ma hanno perso la speranza», si legge nel report di Action Aid e Cgil, che prosegue: «Questa consapevolezza ci permette di sostenere che è necessario sviluppare e immaginare politiche di reinserimento la vorativo e scolastico diverse a seconda del target e della fascia d’età dei Neet a cui si rivolgono». Tutto il contrario di quanto fatto finora.
IL FLOP GARANZIA GIOVANI
Nata nel 2016 con l’obiettivo di attivare i né-né grazie a una dote da 1,3 miliardi di euro, i risultati di Garanzia giovani stanno a zero, visto che il numero di Neet - tre mi lioni - negli ultimi sei anni è andato au mentando. Oggi i giovani registrati al pro getto sono 1,7 milioni, ma quelli contatta ti dai centri per l’impiego sono 1,4 milioni e le Regioni in cui i Neet sono più numero si - Lombardia, Campania, Sicilia, Puglia – sono quelle in cui il servizio è più debo le. «Dai dati si capisce che uno dei limiti di Garanzia giovani è la difficoltà di raggiun gere i più vulnerabili, i più svantaggiati che sarebbero dovuti essere i primi bene ficiari del servizio», dicono Action Aid e Cgil. Solo alla metà dei ragazzi registrati è
di LUDOVICO ALBERT
Segregazione scolastica
L’Europa intende ridurre al nove per cento la dispersione scolastica entro il 2030. In Italia il miglioramento è indiscutibile: dal 19,6 per cento di dispersi nel 2008, al 12,7 del 2021. Un buon risultato considerato però che quando le percentuali si riduco no, gli allievi a rischio vivono situazioni di marginalità più radicata ed è difficile accompagnarli al successo scolastico. È tuttavia troppo poco, sia per gli standard europei, sia perché parliamo di grandi numeri, 517mila giovani. E, come suggerisce Invalsi, più di un allievo su cinque arriva al diploma con risultati deludenti, privi di un bagaglio di conoscenze e competenze utili per affrontare con sicurezza le sfide della vita e del lavoro, per l’esercizio di una cittadinanza colta, riflessiva. Un percorso scolastico verso l’esclusione, nel corso del quale molto spesso si è accumulata sfiducia nelle proprie potenzialità, è la premessa dello zoccolo duro e più difficile da trattare.
Le medie statistiche nascondono realtà molto diverse, con disuguaglianze che il Covid-19 ha accresciuto. Differenze ge ografiche con il Nord Est già in linea con gli obiettivi europei, mentre, all’opposto, la Sicilia si avvicina al doppio della me dia nazionale. Insieme ai fattori di contesto oggi l’attenzione
stata fatta una proposta - un tirocinio, un corso di formazione, un incentivo occu pazionale - e al termine dell’intervento sono 540mila gli occupati: in sintesi un terzo di chi si affida a Garanzia giovani ce la fa. Eppure la voglia di riuscirci è tanta se si considera che il 92 per cento dei ra gazzi a cui è stata fatta una proposta ha concluso l’intero percorso. Parte del flop viene dalla tendenza a utilizzare per lo
più il tirocinio, che «non funziona per chi ha bassi titoli di studio e chi è più scorag giato nella ricerca di lavoro», dice il re port, che parla anche di un effetto San Matteo perché Garanzia giovani finanzia politiche che funzionano per chi è meno svantaggiato, condannando all’invisibili tà i più fragili. I suggerimenti per invertire la rotta ci sono: creazione di misure ad hoc per i quattro gruppi di Neet, maggiore presa sui territori, investimenti su scuole, politiche attive e sociali, nuove politiche del lavoro, meno precarietà e più riqualifi cazione professionale, progetti innovativi per dedicare gran parte dei fondi del Pnrr a quei giovani che continuano a essere una risorsa sprecata per l’Italia, che senza i suoi ragazzi rischia di invecchiare vera mente troppo rapidamente.
18 6 novembre 2022
DOPO TURCHIA, MONTENEGRO E MACEDONIA, L’ITALIA È IL PAESE CON IL MAGGIOR TASSO IN EUROPA: IL 25 PER CENTO, CON PUNTE DEL DOPPIO AL SUD E RECORD FRA FIGLI DI MIGRANTI E DONNE
va però centrata anche sul fenomeno emergente, non solo in Italia, della segregazione scolastica. Le scuole, anche le ele mentari, sono in competizione per accaparrarsi gli allievi migliori che possono scegliere, anche fuori dal bacino di re sidenza, di frequentare quelle di migliore qualità. È un feno meno poco studiato dai pedagogisti, che preoccupa chi ha responsabilità nella programmazione urbana: molto del traffico che imbottiglia gli automobilisti nelle prime ore del mattino ha infatti a che fare con le mamme che portano i loro bambini in scuole lontane da casa. Un bello studio di Costanzo Ranci del Politecnico di Milano stima che nella sua città ben il 60 per cento delle famiglie fin dalla prima elemen tare sceglie di frequentare una scuola non di zona. Un feno meno che, seppure in proporzioni meno elevate, caratteriz za un po’ tutte le grandi città e che, soprattutto al Sud si rea lizza anche nella variante della scelta del plesso o della sezio ne migliore della stessa scuola. La possibilità di scegliere
crea tra le scuole, e talvolta nelle scuole, una composizione degli allievi socialmente mol to più polarizzata di quanto non lo sia quella del quartiere di residenza. Nelle scuole scel te dagli allievi “migliori” si genera un circolo virtuoso per cui i dirigenti e gli insegnanti sono più stabili in modo tale che, nonostan te i meccanismi di allocazione delle risorse - insegnanti e laboratori - siano formalmen te gli stessi, esse riescono a garantire mag giore qualità e alti valori aggiunti agli allievi che le frequentano. Al polo opposto le scuo le, tendenzialmente di periferia, che raccol gono i figli di quanti non hanno la possibilità (talvolta anche solo culturale) di scegliere, sono frequentate da allievi i cui genitori hanno titoli di stu dio più bassi, spesso sono di origine straniera, e in generale esprimono una domanda meno solida di istruzione, più fina lizzata al titolo, al pezzo di carta, che non al possesso di com petenze. In queste situazioni il circolo si inverte, gli inse gnanti sono spesso precari, gli ambienti di apprendimento più fatiscenti e anche le pur cospicue risorse dei Pon non hanno dimostrato nel corso di questi anni di produrre mi glioramenti significativi.
Il tema della dispersione resta quindi sicuramente anco rato al contesto sociale e culturale che nel nostro Paese sconta un passato di bassa scolarità, ma sempre di più si fa centrale il modo in cui le scuole che di più sono in difficoltà possano essere accompagnate in un percorso di migliora mento che consenta anche a loro di valorizzare i talenti degli allievi che sono loro affidati.
TAGLIO ALTO MAURO BIANI
6 novembre 2022 19 Prima Pagina
Foto: Terra Project / We World
L’area esterna del Filangieri
Flessibilità non precariato Circuito perverso da spezzare
INeet sono una popolazione eterogenea. Se non avere un’occupazione è un fattore di vulnerabilità per tutti, c’è poco in comune tra un laureato alla ricerca del primo lavoro, un suo coetaneo che ha lasciato precocemente gli studi e ha smesso di cercare un’occupazione, una giovane uscita dal mercato del lavoro all’arrivo del primo figlio. Così come c’è poco in comune tra un giovane senza occupazione in un contesto dinamico e uno che deve fare i conti con un mercato del lavoro caratterizzato da poca domanda qualificata. Questa eterogeneità nelle circostanze per cui un giovane può trovarsi nella categoria Neet non può essere trattata allo stesso modo. Chi è nel processo di transizione dalla scuola al lavoro e in cerca del primo impiego, ha bisogno di essere accompagnato, possibilmente già prima del termine degli studi tramite la collaborazione tra scuola e università, da servizi per l’impiego efficaci, per orientarsi nel mercato del lavoro a trovare le opportunità più corrispondenti alla propria formazione e possibilità di apprendimento. Ha anche bisogno di aziende capaci di attrarre e valorizzare giovani senza esperienza ma formati e disposti ad apprendere, imprese capaci di investire sul capitale umano all’ingresso e nel corso della vita lavorativa. Vale per i laureati e i diplomati. Richiede strategie imprenditoriali lungimi ranti, orientate all’innovazione e alla cura del capitale umano, an cora troppo rare e che, per questo, non riescono a essere competitive. Lo scarso investimento nel capitale
umano, che si traduce in sequenze di lavori precari senza futuro, spiega perché il numero dei Neet aumenta con l’aumento dell’età, a differenza di quanto succede in altri Paesi. È vero, infatti, che la temporaneità dei contratti di lavoro non è un fenome no solo italiano. La flexicurity è stata inventata in Danimarca, dove la mobilità occupazionale è elevata in un mercato del lavoro dinamico. In Italia, più che presentarsi come l’oc casione di esplorare il mercato del lavoro e fare esperienza, si presenta come una serie di occupazioni brevi per costrizione, spesso sotto-qualificate rispetto alle competenze e pro fili acquisiti. Più complessa è la situazione dei giovani a bassa istruzione che, oltre ad un rafforzamento delle loro qualifiche, specie se scoraggiati, richiedono un accompagnamento personalizzato che coinvolga an che le aziende nella costruzione di percorsi lavorativi che restituiscano motivazione e fiducia.
Altra è la situazione delle giovani mamme che abbandonano il lavoro non solo in aderenza a stereotipi di genere e maternità rigidi, ma perché è difficile conciliare un’occupazione, tanto più se a bassa remunerazio ne, con la presenza di bimbi piccoli, specie in assenza di servizi. Per uscire dal paradosso di un Paese che combina scarsità di giovani e alta disoccupazione giovanile, scarsità di laureati e sotto-utilizzo degli stessi, alta disoccupazione giovanile e dif ficoltà delle aziende a coprire i posti vacanti, occorre cambiare la pro spettiva: piuttosto che colpevolizzare i giovani (e la scuola), occorrono politiche attive del lavoro che li valorizzino e accompagnino, aziende che investano nel capitale umano e servizi sociali ed educativi che aiutino le donne a non dover scegliere tra maternità e lavoro. Lo sviluppo non è una precondizione perché ciò avvenga, ne è l’esito.
Prima Pagina 6 novembre 2022 21 Foto: Rorandelli / TErra project / WeWorld Il commento
di CHIARA SARACENO
Le Vele di Scampia
L’Italiaelapolitica
a che mondo è mondo, la destra al potere offre grandi opportunità alla satira. È così anche sotto il governo Meloni? Nel 1994, all’epoca del trionfo di Silvio Berlusconi e Forza Italia alle elezioni politiche, Altan pubblicò una vi gnetta profetica: due vecchietti seduti sulla panca con il basco di traverso. «Ci tocca vedere un’altra volta i fasci al governo», fa il primo. L’altro replica: «La vita è troppo lunga, ecco il dramma». Davvero lunga, verrebbe da dire. Per misurare lo stato di salute della satira abbiamo coinvolto Ste fano Disegni, disegnatore satirico di lungo corso e autore di programmi tv, e Fabrizio Barca, un tempo voce critica del Pd, già ministro per la Coesione territoriale del governo Monti (oggi non ha incarichi politi ci), attuale coordinatore del Forum Disugua glianze e Diversità. L’occasione: le sei vignet te sul tema delle diseguaglianze firmate da Disegni e completate con una battuta di un sostenitore del Forum, a favore della campa gna di raccolta fondi “Insieme per la giustizia sociale e ambientale” sulla piattaforma Pro duzioni dal Basso, pubblicate nelle scorse settimane su L’Espresso, sul sito e sui canali social del Forum.
È un’eruzione spontanea».
Fabrizio Barca: «Mi domando se l’assenza di scuole sia un altro segno dell’impoverimento del nostro Paese. Ma c’è anche un’altra cosa che non capisco: esistono momenti del la Storia in cui gli autoritarismi sono compatibili con la sa tira, penso all’Unione Sovietica degli anni Settanta e Ottanta, in cui esisteva una satira interessante, organizzata, per certi versi quasi tollerata. A volte la satira viene tollerata dai regimi purché non travalichi certi limiti, è uno sfogato io. Ma giro la domanda a Stefano: quel gruppo di disegnatori che a Bologna si è cimentato a difesa della Costituzione rappresenta un’eccezione?».
Emanuele Coen Giornalista
Barca, Disegni, qual è lo stato di salute della satira? Stefano Disegni: «È una domanda che torna ciclicamente. Più che di satira, però, parlerei di autori di satira. La gettata che tirò fuori gente come me, Vincino, Vauro, non si è ripetuta. Questo non toglie che oggi esistono figure di altissimo livello come Zerocalcare. Ma il punto è un altro. Questo è un Paese in cui in edicola non trovi un giornale di satira, dal punto di vista culturale è grave. Oggi le scuderie sono sparite, in questo senso la satira è in crisi. Ma gli autori resistono, la satira esiste dai tem pi di Tito Maccio Plauto ed esisterà sempre.
Disegni: «Sarò pessimista, ma temo sia un’eccezione. Tuttavia mi pongo un’altra domanda: quanta richiesta di sati ra c’è in un Paese addormentato? Una fetta d’Italia la vuole, un’altra se ne frega allegramente». Non sarà che la politica, con i suoi eccessi, ha superato la parodia?
Disegni: «In effetti, quando Berlusconi dice una cazzata, uno pensa: “Come farò a superarlo?”. L’autore capace invece sfrutta a proprio vantaggio anche le “autosatirizzazioni” dei personaggi per tirare fuori delle maschere in commedia. Anzi, non c’è niente di meglio della gente che sprolo quia. Sul Fatto Quotidiano disegno una striscia che si intitola “Monsters & Co.”, in cui ho messo insieme i cinque personaggi del momento: la signora un po’ coatta, il fasci-
22 6 novembre 2022
COLLOQUIO CON FABRIZIO BARCA E STEFANO DISEGNI DI EMANUELE COEN
ILSONNO DELLASATIRA
OGGI GLI AUTORI RESISTONO, SOSTIENE IL CELEBRE DISEGNATORE. MA MANCANO LE SCUOLE. E IN UN PAESE ADDORMENTATO QUANTI CHIEDONO ANCORA DI GRAFFIARE IL POTERE?
D
sta col braccio legato perché sennò gli si alza come il dottor Stranamore, Salvini che sta sempre col telefonino in mano, un signore anziano un po’ rincoglionito e un fanatico religioso che vorrebbe riportarci al Medioevo. Questa striscia sta riscuotendo molto successo, non me l’aspettavo. Non è un problema se i politici sono comici, anzi. Il guaio è quando il personaggio è opaco, Vincenzo Visco o Giulio Tremonti per capirci. Aspetto che Barca ricopra qualche incarico importante, è molto caricaturabile». Barca: «È un punto interessante. I tecnici che dominano la politica da moltissimo tempo sono meno attaccabili, sono rimasto molto colpito da quanto poco sia stato sfrugugliato Draghi. I tecnici dicono cose oggettive, sono impermeabili alle critiche, non possono essere ridicolizzati. È un altro
Sopra, da sinistra, Stefano Disegni e Fabrizio Barca. Di lato e nella pagina seguente, alcune vignette firmate da Disegni e completate da sostenitori del Forum Disuguaglianze e Diversità, pubblicate su L’Espresso
segno della vittoria del neoliberismo sulla politica». Oggi i politici si offendono di più rispetto al passato?
Disegni: «Tutti questi politici offesi non me li ricordo. Il politico ha un chilo e mezzo di pelo sullo stomaco, ha a che fare più con magistrati e carabinieri che con i satirici. Alla maggior parte di loro la vignetta può dare fastidio, ma poi se ne fregano, alcuni la considerano una medaglia. Ma il punto è un altro: lavoro per una rivista di cinema, la gente di spettacolo se la prende molto più dei politici. Le querele più pesanti le ho ricevute da Giulio Tremonti e da personaggi del mondo spettacolo, perché lavorano con la faccia».
Barca: «La difficoltà di intaccare i tecnici attraverso la satira probabilmente è legata al fatto che sono venuti me no i laboratori. Facevate politica, tu Stefano fai politica anche adesso, ma la fai da solo, manca il confronto con gli altri proprio nel momento in cui sarebbe necessario. I personaggi che esercitano il potere lo fanno sotto uno scudo potente della tecnica, manca una comunità in gra do di attaccarli».
Da un lato il politicamente corretto, dall’altro la volgari tà, il razzismo, la violenza di genere. Come si destreggia la satira tra questi due estremi?
Barca: «Viviamo nell’epoca della fine dell’ipocrisia, che è un freno importante della natura umana. Ipocrisia vuol di re essere consapevoli che certe cose non vanno dette. Sulle donne, sugli omosessuali, sui migranti. Si capisce che le pensi, ma il fatto che tu non le dica produce due risultati. Primo: eviti di affermare cose orrende. Secondo: ti offri alla satira. Chi ti prende in giro può grattare nella frase na-
6 novembre 2022 23 Prima Pagina Foto: S. De Grandis / Fotogramma, A. Casasoli / FotoA3
scosta, nella dichiarazione in cui non credi. Può far emer gere la contraddizione».
Disegni: «Svelare le ipocrisie dovrebbe essere una delle missioni primarie della satira. Personalmente, il concetto di “politically correct” me lo tengo stretto perché non vorrei vedere spalancare le porte a volgarità, insulti e satira di bassissima qualità. Devo poter chiamare negro un nero perché altrimenti sono politicamente corretto? In nome della libertà di parola passano i luoghi comuni più beceri. All’estremo opposto, quello che non accetto del politicamente corretto è che diventa una posa, la mania di cercare il pelo nell’uovo. Una vocale che da “o” diventa “a” perché è necessario, ma poi la parola fa schifo. Direttora al posto di direttore mi pare una cacofonia». Si usa dire che non è lecito porre limiti alla satira. Vale anche per i simboli religiosi?
Disegni: «Ho disegnato cardinali travestiti da donna, da transessuali che tra loro si chiamano Loretta e Donatella. Ho parlato di pedofilia nella Chiesa, attaccato il loro pote re economico. Cristo è nato in una mangiatoia e loro hanno miliardi alle Cayman. Però esito davanti alla ricerca che qualsiasi individuo compie nel corso della sua esistenza. E non mi sento di prendere in giro nessuno: né gli islamici, né gli ebrei, né i cristiani, né gli atei. Non sono credente, per certi aspetti mi reputo cristiano. Non so se Cristo sia esistito, certi valori però li condivido e, se fossero applicati, avremmo meno guerre. Se invece le religioni producono potere, denaro o follia omicida bisogna picchiare duro perché è irrispettoso per la dignità dell’uomo. Lo vediamo anche in Iran». Barca: «La sacralità è intoccabile, non necessariamente quella religiosa. Un conto è prendere per i fondelli, mostra re le contraddizioni di ricchi signori, indipendentemente dal fatto che siano ebrei, cattolici, protestanti. Un altro è rappresentarli con il naso adunco e far intravedere dietro i simboli dell’ebraismo o magari del comunismo. I limiti de-
L’Italia e la politica
vono esserci: se milioni di persone hanno un credo e scelgono un simbolo, ad esempio un crocefisso, prenderli in giro equivale a insultarli».
In una intervista con Il Venerdì di Repubblica, Altan ha detto che alle elezioni ha votato per il Pd perché «non vuole buttare il voto». Voi per chi avete votato?
Disegni: «Per Ilaria Cucchi, ho votato Sinistra Italiana. Faceva parte di una coalizione che volevo sostenere e poi ho voluto sostenere lei come persona. Se c’era Barca vota vo per lui».
Barca: «Faccio come ha fatto mio padre dopo lo scioglimento del Partito Comunista Italiano, che non ha mai det to per chi ha votato».
Una delle ultime vignette firmate da Disegni ha come protagonista Giorgia Meloni. «Ogni mattina Giorgia si sveglia sapendo che dovrà correre a tappare la bocca al rincojonito». «Che artro cazzo avrà detto, li mortacci sua!», dice lei. «Amore, sono le cinque…», replica il suo compagno. Il sottotitolo è «Resistiamo, forse durano po co». Il nuovo governo resterà in carica a lungo?
Barca: «Quella battuta mi è piaciuta molto, ci ho visto quella stranissima inconfessabile simpatia per Meloni che molti di noi hanno. Forse non tu, Stefano».
Disegni: «Ti concedo comprensione, simpatia ci devo la vorare».
Barca: «Fai un’operazione intimista senza armarti dell’ar madillo, visto che hai citato Zerocalcare. Non hai l’armadillo ma stai “armadillando” Meloni. Non mi convince invece la tua battuta di commento: essendo io un inguaribile veterocomunista, contrario al tanto peggio tanto meglio, mi auguro che riescano a governare. Per un motivo banale:
dobbiamo vedere quello che fanno, temo che la fragilità mostrata in Senato dia luogo non a una opposizione matura, ma a un “paciugo” di centro irraccontabile. E questo il Paese non lo merita».
Disegni: «Ammetto che quella battuta è più di pancia che di testa. Non sono così ottimista che durino poco, l’ho scritto, ma ho un punto interrogativo anche io».
Barca: «Ci vorrebbe un’opposizione di sinistra…». Disegni: «Di cosa? Non ho capito la parola… Opposizione di che?».
Barca: «Ci vorrebbe una opposizione di sinistra, ma richiede un po’ di tempo, visti i chiari di luna».
Prima Pagina 24 6 novembre 2022
ENTRO CERTI LIMITI ANCHE I REGIMI TOLLERANO PARODIE E CARICATURE. NON ESISTE, INVECE, UNA COMUNITÀ CAPACE DI ATTACCARE CHI GOVERNA DIETRO LO SCUDO DELLA TECNICA
di BRUNO MANFELLOTTO
I messaggi del governo a no vax, evasori, antiabortisti
Avolte basta un accenno, un annuncio, un segnale. È bastato per esempio che Ignazio La Russa si dichia rasse anti-antifascista - «Il 25 aprile non sfilerò, i cortei sono appannag gio di una certa sinistra» - perché centinaia di camicie nere si sentisse ro autorizzate a stendere il braccio dinanzi alla cripta Mussolini a Pre dappio. Si lancia la bottiglia in mare, chi la raccoglie legge il messaggio e si mette in moto. In questo brilla il go verno Meloni, forse per seminare in dizi identitari, o per la consapevolez za di poter più promettere che fare, o per preparare il terreno alla legge che verrà, come per il pericoloso comma anti raduni, o per la convinzione che, appunto, basta indicare una strada perché qualcosa accada. L’elenco degli avvisi ai naviganti è lungo. Sull’aborto, per esempio, me tafora della libertà di scelta indivi duale, Meloni ha insistito sulla pre venzione (senza però dire cosa farà) ed equiparato il diritto delle donne di abortire a quello dei medici di obiet tare. Diritti già oggi garantiti, e ci mancherebbe, tanto che gli obiettori (il 65 per cento dei ginecologi) sono spesso un ostacolo all’applicazione della legge 194. Insistere non sulle ra gioni del sì ma su quelle del no spinge inevitabilmente a spostare equilibri delicati. Senza bisogno di toccare la legge. Come non c’era alcuna necessi tà di parlarne - la percentuale di aborti in Italia è tra le più basse d’Eu ropa - se non per dare un segnale, ap punto.
Così per il Covid. La decisione del go verno di istituzionalizzare la dottrina no vax cancellando l’obbligo di vacci
nazione è stata non solo annunciata a più riprese, ma nei messaggi perfi no ingigantita fino a diventare un manifesto del liberi tutti e da tutto, anche dalle mascherine e dalle san zioni per chi disobbedisce. Un mes saggio è celato anche in quella deci sione di aggiungere la missione del Merito al ministero dell’Istruzione. Senza entrare, come dire?, nel merito del Merito (dei professori, degli stu denti, del ministro?) e dei mezzi con i quali si intende difenderlo (non se ne sa nulla), basta cogliere il segnale: Merito è stato accorpato non all’Uni versità e alla Ricerca, ma a quella che era la Pubblica Istruzione, quella del diritto garantito per tutti dalla Costi tuzione, quella della scuola dell’ob bligo. Dell’inclusione. Si cambia. Càpita poi che i segnali finiscano per contraddirsi. «Merito e uguaglianza non sono nemici, sono uno fratello dell’altra», ha detto Meloni. Ma i mes saggi in materia fiscale vanno in dire zione opposta. Qui Giorgia & C. han no dato il meglio di sé, in una sequen za mirabolante di annunci: sale il tet
to al contante, sale il fatturato da lavoro autonomo soggetto a tassazio ne forfettaria (e lavoratori dipendenti e pensionati? Alla faccia dell’ugua glianza!), scompare l’obbligo del Pos, arriveranno la pace fiscale e magari i condoni. Non è importante che ora seguano i relativi provvedimenti, il messaggio è già arrivato: l’evasore non sarà punito né inseguito. Forse Meloni ha bisogno di mostrare la carta d’identità ai suoi seguaci ora che per qualche mese non potrà che seguire l’odiata agenda Draghi. Ai suoi deve dire per esempio che a Bru xelles batterà il pugno sul tavolo per rinegoziare parti del Pnrr, insomma per avere più soldi, ma sa che è pres socchè impossibile, che sarebbero a rischio i finanziamenti programmati, che a quell’accordo, un Piano Mar shall degli anni Duemila, è legata ora come fu allora la possibilità di cam biare, migliorare, modernizzare l’Ita lia. Se vorrà farlo, Giorgia dovrà met tere da parte gli annunci e sciogliere le sue contraddizioni. Auguri.
6 novembre 2022 25 Prima Pagina Foto: S. Montesi –Corbis / GettyImages Il commento
Una manifestazione di protesta di movimenti No Vax
ENRICO LETTA INDECISO A TUTTO
26 6 novembre 2022 Il Pd nella bufera
I DEM DILANIATI, RINVIANO LA RESA DEI CONTI A UN CONGRESSO LONTANO. IL SEGRETARIO QUASI DIMISSIONARIO MA PRONTO A SPENDERSI PER NARDELLA O ASCANI. E, INSIDIATO DA CONTE E CALENDA, HA DI FRONTE LO SPETTRO SCISSIONE
L’
eterno indeciso, perfetto segretario del partito che non decide. Ma questa volta una decisione l’ha presa: nessun addio alla politica né ritorno in Francia nella sua cara Sciences-Po, l’Institut d’etudes politiques de Paris. Enrico Letta non ha intenzione di replicare la scena del 2014 con Matteo Renzi che gli “toglie” la campanella di Palazzo Chigi e la sua conseguente fuga silenziosa Oltralpe. Vuole restare saldo nei ruoli di vertice del Partito democratico e medita di sostenere una sua candidatura alla corsa alla segreteria del forse futuro Pd o della sua fase liquidatoria. Il nome sul tavolo è quello del sindaco di Firenze, Dario Nardel la ma la carta a sorpresa si chiama Anna Ascani. Carta che sulla scrivania di Letta ha posato il suo braccio destro Marco Meloni. Peccato però che questa sua decisione di non prendere una chiara via per i dem rischi di ingessare ancora di più non solo il partito ma anche l’intera opposizione, in vista di un congresso che si terrà tra cinque mesi e che lo stesso Letta sta rendendo un rompicapo con cavilli burocratici e passaggi vari. Cinque mesi in questi tempi veloci sono un’era geologica che potrebbe far davvero chiudere via del Nazareno o ridurla a un condomi nio per pochi intimi, mentre l’elet torato va di corsa verso le altri ali dell’opposizione, Movimento 5 stelle e Terzo Polo (Calenda più che Renzi).
Letta, nipote di Gianni Letta il gran consigliere di Berlusconi e del berlusconismo da anni, come lo zio ha provato ad agire con modi felpati. Ma così non ne ha azzeccata una, prima del voto e dopo.
Letta è stato lo specchio delle indecisioni del Partito demo cratico negli ultimi dieci anni: ha imbarcato tutti e promosso linee di governo che prevedevano tutto e il contrario di tutto. Ha candidato al Nord Carlo Cottarelli, volto del Fondo monetario internazionale che fino a qualche mese fa quasi auspicava norme in Italia per andare in pensione a 70 anni come «in Giappone», lui che ci è andato un bel po’ prima di questa età, ma anche Aboubakar Soumahoro, volto delle proteste dei braccianti, immigrati e non, sfruttati senza legge nelle campagne italiane dalla Val Padana ai campi della Puglia. Uno che parla una lingua diciamo abbastanza diffe rente da quella di Cottarelli. Letta ha candidato poi due ex segretarie nazionali di sindacati che non hanno tenuto linee uguali di fronte alle grandi vertenze del Paese, Susanna Camusso e Annamaria Furlan, che tra il 2014 e il 2015 non riuscivano a fare uno sciopero insieme. Per non parlare del record di paracadutati da altre regioni e da altre storie politiche che ha registrato il Pd nell’ultimo voto.
Tanto per citare alcuni dei tanti campanelli d’allarme sullo stato confusionale dei dem e in fondo anche del segretario. Ma, preso atto della sconfitta di una linea che evidentemente il Paese non ha capito, an che perché era difficile da comprendere, il giorno do po il voto Letta è rimasto immobile e di fatto impri gionato dalla perdita di ruolo e potere: come leggere altrimenti la scelta davvero singolare di riproporre come capigruppo al Senato e alla Camera Simona
6 novembre 2022 27 Prima Pagina
Il segretario del Pd
Enrico Letta
Antonio Fraschilla Giornalista
DI ANTONIO FRASCHILLA
Il Pd nella bufera
Malpezzi e Debora Serracchiani, che gli italiani hanno seguito negli ultimi anni in maggioranza con il governo Conte II e poi visto difendere il governo di Mario Draghi, la cui agenda (che non molti conoscono) era stata issata a bandiera della campagna elettorale dei dem.
Indecisioni, debolezze, che da un lato stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza del Pd non tanto nel Parlamento ma nel Paese; e stanno facendo anche un regalo insperato alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni alle prese con una maggioranza isterica e senza una linea politica chiara sulle cose da fare, se non appunto riempire i giornali e i tg con provvedimenti su presunta legalità, contanti, sicurezza, immigrazione. Temi ideali per la propagan da, ma non certo per risolvere i problemi drammatici dell’economia del Paese alla vigilia di un inverno che si annuncia durissimo in termini di costi e spese per famiglie e aziende.
Ecco, di fronte a questa scenario, l’assenza di un segretario che parli con Conte e Calenda di fatto rende l’intera opposizione parlamentare ininfluente per il governo Meloni. Ma nessuno tra i dem in questo momento alza più di tanto la voce, se non nel chiuso delle stanze del Nazareno. Tutti sono concentrati a capire cosa fare da qui al fantomatico congresso che potrebbe diven tare però, senza contenuti e senza leader compresi dal Paese, solo uno rito stantio questa volta con il rischio che sia l’ultimo prima della liquidazione del partito. Base riformista dell’ex ministro Lorenzo Guerini punta sulla candidatura a nuovo segretario del governatore dell’Emilia Romagna Stefa no Bonaccini, che non ha intenzione di fare accordi con il Movimento 5 stelle. L’ex ministro Andrea Orlando, con i suggerimenti dell’eterno Goffredo Bettini, cerca un can didato (anche lui stesso, ma si vedrà) per portare avanti un disegno che preveda una intesa forte con Conte, anche in caso di sconfitta alla corsa alla segreteria e vittoria di Bonaccini: non escludendo scissioni, per essere chiari. Poi tra l’area degli ex ds ci sono i giovani guidati da Giuseppe Provenzano, ormai in rotta con Orlando, che chiedono una costituente chiara per stabilire una linea che sciolga alcuni nodi irrisolti da dieci anni.
E poi ci sono loro, in gran parte moderati
BONACCINI
GUERINI
Il rappresentante di Base riformista sostiene la corsa di Bonaccini
arrivati dalla Margherita, che Letta ha candidato a man bassa in posizioni utili per essere eletti e che gli consentono di avere di fatto un ruolo in Parlamento e nel partito: da Silvia Roggiani a Mauro Berruto, da Antonio Nicita a Valeria Valente e Furlan. Una truppa, composta anche da Dario France schini e Francesco Boccia, che in queste ore cerca di fare la mossa del cavallo. Candidare un volto senza molte pretese di vincere ma consentendo loro di trattare e restare in gioco. Di trattare, ad esempio, con Bonaccini, o comunque di eleggere un buon numero di componenti della segreteria. Il nome sul tavolo di Letta è quello di Nardella, ma la carta vera dicono sia quella di Anna Ascani: vice presidente della Camera, nel 2007 ha sostenuto la corsa alla segreteria di Letta, nel 2010 ha appoggiato Pier Luigi Bersani, poi è stata folgorata sulla via di Matteo Renzi e adesso è considerata una delle predilette di Letta. Insomma, perfetta per chi non vuole prendere mai decisioni chiare.
PROVENZANO
Appartiene all’area dei giovani ex ds ormai in rotta con Andrea Orlando
Il regista dell’operazione che vede Letta restare saldamente dentro i dem è Marco Meloni che nelle scorse settimane ha più volte ribadito al segretario di non fare l’errore del 2014, quando anche lì non prese
28 6 novembre 2022
Il presidente dell’Emilia-Romagna è per il no al dialogo con i Cinquestelle
seppe Conte. Al di là delle strategia di Bettini o dei buoni uffici di Massimo D’Alema, che dopo aver provato a vendere armi alla Colombia è tornato guarda caso in tv a parlare di politica fiutando gli enormi spazi lasciati liberi dal segretario dem, Conte ha le idee chiare. Il leader del Movimento 5 stelle vuole diventare lui il riferimento della sini stra sociale, con pochi argomenti chiave che diventano dirompenti con il governo Meloni: difesa del reddito di cittadinanza, lotta al caro bollette, contratti di lavoro stabili e salario minimo, no all’invio di ulterio ri armi all’Ucraina. Pochi slogan, rilanciati ogni giorno, mentre punta anche a riprendere spazi e consensi al Nord parlando alle piccole imprese e al mondo degli artigiani e dei commercianti, con un tour che inizierà a breve tra Veneto, Lombardia e Piemonte. Conte vuole essere l’unico volto di vera opposizione al governo Meloni, e già nel di battito sulla fiducia ci è riuscito, attaccando la presidente del Consiglio sul Pnrr che lei e Fratelli d’Italia non hanno mai votato, né in Europa né a Roma. Il Pd si è presenta-
una posizione chiara contro il renzismo crescente e nell’arco di pochi mesi si trovò fuori dal governo e con Matteo nuovo presidente del Consiglio. «Non fare lo stesso errore», gli suggeriscono in tanti, non solo Meloni. Letta così oscilla tra la voglia di mollare la segreteria, che molti hanno sentito palpabile nel corso dell’ultima direzio ne, e il desiderio di provare una rivincita restando con ruoli di primo piano nel partito e ottimi rapporti con il nuovo possibile segretario. L’importante è non rispondere alla vera domanda di fondo: dove si vuole portare il Partito democratico? Verso quale direzione? Di sicuro la strada non può essere l’autosufficienza, ancora assurdamente evocata nell’ultima direzione: il risultato elettorale è stato chiaro e Conte e Calenda stanno stringendo sempre più il cerchio at torno alle contraddizioni dei dem. Non a caso se l’ala Orlando, diciamo, pensa anche a una cosa nuova con Conte e il Movimento 5 stelle, un pezzo del partito sta aprendo ponti di dialogo con Calenda ed è pronto a lasciare il partito: tra questi anche insospettabili ex ds che sono stati fatti fuori dal Parlamento dalle scelte di Letta.
Ma la vera spina nel fianco del Pd immobile di Letta, e senza linea, si chiama Giu-
I DELUSI E D’ALEMA ESCE DALL’OMBRA
L’ex ministro Andrea Orlando, con i suggerimenti di Goffredo Bettini, potrebbe anche correre per la segreteria ed è fautore della linea dell’intesa con Conte
to con il volto debole della Serracchiani che ha pensato bene di criticare la leader di Fdi per stare un passo indietro agli uomini: lei che è la prima presidente del Consiglio donna nella storia del Paese. Nel frattempo la prima proposta di legge presentata dal “nuovo” corso dem è una riforma costituzionale che ferma il presidenzialismo evo cato da Meloni e rilancia con il cancelliera to alla tedesca. Già detto così, l’argomento difficilmente scalderà gli animi del popolo di sinistra e non sembra proprio la chiave per recuperare consenso. La sensazione è che il problema del Pd oggi si chiami «indecisione perenne», perfettamente incarnata dal segretario in cari ca, anzi mezzo dimissionario, ma senza dimissioni ufficiali, Enrico Letta.
6 novembre 2022 29
Pagina Foto: pag. 26-27 I. Romano –GettyImages, A. Casasoli –A3 (2), A. Biagianti –Agf, R. Serra –Iguana Press / GettyImages
Prima
L’USCENTE SI ARROCCA CON L’ALA EX MARGHERITA, ORLANDO DIALOGA CON I 5S. BONACCINI NON NE VUOL SAPERE. IL LEADER DI AZIONE FA SCOUTING TRA
Ergastolo ostativo da cambiare manonper i mafiosi irruducibili
Senza entrare nelle altre questioni sul tema giustizia, certamente positiva è l’attenzione con cui il Governo come primo atto ha af frontato il tema dei reati ostativi alla con cessione di benefici penitenziari, il cosiddetto er gastolo ostativo, trasponendo in un decreto legge il testo approvato a larga maggioranza dalla Camera nella scorsa legislatura. Così come ho accolto con particolare favore l’annuncio del presidente Meloni, in conferenza stampa, di «passi avanti» nella lotta alla mafia e di possibili miglioramenti delle norme in sede di conversione. Si ha la consapevolezza che si tratta di un problema complesso la cui soluzio ne deve trovare il giusto equilibrio tra l’attuazione del principio costituzio nale della funzione rieducativa del la pena, messo in crisi dal “fine pena mai”, le esigenze di sicurezza sociale, travolte dalla liberazione di pericolosi condannati, e infine la salvaguardia, se non l’incentivazione, del sistema dei collaboratori di giustizia, che, su perando giuramenti di eterna fedeltà alla regola del silenzio e dell’omertà, si è rivelato fondamentale per il perse guimento di quel diritto alla verità, ancora parzial mente realizzato, il solo che possa restituire dignità allo Stato e alle vittime di sanguinose stragi. Non mi appassiona l’idea di partecipare al derby tra su per garantisti, magari tacciati di collusione con la mafia, e super giustizialisti, forcaioli e manettari, quelli del “buttiamo via la chiave”. La Corte costi tuzionale, con l’ordinanza 97/2021 ha dato un me ritorio segnale di leale collaborazione istituzionale, differendo la pur palesata dichiarazione di incosti tuzionalità, per consentire al Parlamento di appro vare le opportune modifiche.
me, dubbi applicativi e inaccettabili criticità, che ne hanno provocato la mancata approvazione in Senato prima della conclusione anticipata della le gislatura. Va certamente superata la criticità sorta con l’introduzione di un nuovo comma (1-bis.2) e la mancata abrogazione di un comma previgente (1ter) per identiche tipologie di reati se commessi in associazione, dal momento che non rimane chiaro, né per i condannati e tantomeno per i giudici, quale sia il regime istruttorio, l’onere probatorio, nonché l’organo competente a fornire i pareri e le informa zioni. Così come perplessità sorgono nel mantenere un regime più lieve per i reati di omicidio, rapina ed
IL DECRETO LEGGE DEL GOVERNO È UN PASSO AVANTI ANCHE SE MANTIENE ANCORA DIVERSI PUNTI CRITICI. MA CHI APPARTIENE A COSA NOSTRA NON PUÒ ESSERE AMMESSO AI BENEFICI
Il testo approvato a larga maggioranza dalla Ca mera il 30 marzo 2022 ha certamente il merito di avere superato i rilievi di incostituzionalità, tutta via nel cercare il consenso più largo possibile ha fi nito per mantenere talune sovrapposizioni di nor
estorsione aggravata rispetto, ad esempio, a forme di associazione finalizzate a reati contro la pubbli ca amministrazione. Il testo oggi trasfuso integral mente nel decreto-legge governativo ha accolto tanti dei suggerimenti prospettati dalla Corte, tra cui quello di considerare oltre all’attualità dei colle gamenti con la criminalità organizzata anche il pe ricolo del ripristino di tali collegamenti, tuttavia non ha avvertito la necessità - puntualmente richie sta dalla stessa Corte, ed evidenziata nella relazio ne della Commissione antimafia, approvata all’u nanimità, di cui sono stato correlatore - di mettere ordine tra reati espressivi di criminalità organizza ta e reati individuali che nulla hanno a che fare con tale criminalità, così creando una paradossale di sparità a danno di condannati per reati individuali, rispetto ai quali non ha senso chiedere di dimostra re l’estraneità ad organizzazioni criminali. La ra
30 00 mese 0000 Foto: Shutterstock Il punto
di PIETRO GRASSO
Campo da calcio con porte dipinte nel carcere di San Vittore, a Milano
gionevolezza di una procedura rafforzata si giustifi ca solo per quel tipo di reati indicativi dell’estrema pericolosità e di una conclamata difficoltà nel reci dere i legami con l’organizzazione criminale. Au spico che i parlamentari in sede di conversione pos sano far tesoro di tutti i precedenti lavori, nonché delle valutazioni espresse da vari Presidenti di im portanti Tribunali di Sorveglianza, per migliorare questa legge anche su altri punti che misi in eviden za con la presentazione di precisi emendamenti che possono essere recuperati. Del resto una legge che contraddice i principi di ragionevolezza e di egua glianza, da sempre a fondamento delle pronunce della Consulta, rischia di incorrere in nuove e diver se dichiarazioni di incostituzionalità.
Per evitare effetti e rapporti giuridici che posso no sorgere nel provvisorio vigore di un atto avente
forza di legge che può ancora essere modificato, si auspica che la magistratura di sorveglianza possa attendere la definitiva conversione in legge del de creto, così come la Corte Costituzionale, e la Corte di Cassazione, giudice che ha rimesso la questione al vaglio della prima, possano valutare positiva mente l’intento di provvedere con urgenza da parte di Governo e Parlamento, attendendo per le loro va lutazioni sul superamento dei rilievi di costituzio nalità i sessanta giorni di validità del decreto-legge. È troppo pretendere, nel trentesimo anniversario delle stragi del 1992, che mafiosi irriducibili che hanno rifiutato e rifiutano di contribuire all’accer tamento della verità, debbano fornire per ottenere anche il più piccolo beneficio, una prova rigorosa, oltre ogni ragionevole dubbio, che sia cessata la loro appartenenza a Cosa nostra?
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È
di TOMMASO MIELE*
Contro la “paura della firma” regole chiare e trasparenti
opinione diffusa che le len tezze delle amministrazioni pubbliche nello svolgimen to dell’attività amministra tiva e nella realizzazione delle opere pubbliche siano determinate dalla cosiddetta burocrazia difensiva, e cioè, dalla paura di amministratori e dirigenti pubblici di incorrere nella responsabilità di dover risarcire eventuali danni erariali che possono derivare dai loro provvedimenti. Sì è così diffuso nell’opinione pubblica e nella classe politica il convincimento che a bloccare i cantieri e a rallentare l’azione amministrativa sia la cosiddetta “paura della firma”, cioè, la paura di firmare provvedimenti da cui possono derivare danni erariali che gli stessi amministratori e diri genti pubblici possono essere chia mati dalla Corte dei conti a risarcire.
Proprio per attenuare le responsa bilità ed aiutare amministratori e di rigenti pubblici a superare la paura della firma, nel 2020 il Governo Conte approvò una norma, l’articolo 21 del decreto semplificazioni n. 76/2020, che ha limitato al solo dolo la reponsabilità per danno erariale derivante da condotte commissive, eliminando, di fatto, la responsabili tà per danno erariale dovuta a comportanenti connotati da colpa grave, e cioè, da grave negligenza.
Non si può negare che la paura della firma esiste, ma la soluzione
non è certamente quella di elimina re o di mitigare le responsabilità di chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica e a gestire ingenti somme di denaro, e tollerare che ta li somme vengano gestite con su perficialità e leggerezza - atteso che in questo consista la colpa graveperché in democrazia autonomia e responsabilità sono una endiadi in scindibile. Eliminare o attenuare i controlli e le responsabilità significa abbassare il livello di attenzione e creare sacche di impunità nella cor retta gestione delle risorse pubbli che e nel controllo della spesa pub blica. Significherebbe, in altre paro le, gettare via il bambino con l’acqua sporca, cosa che, soprattutto in un momento come quello attuale, in cui le amministrazioni pubbliche sono chiamate a gestire le ingenti risorse del Pnrr, non ci possiamo as solutamente permettere.
Il Paese, l’Europa, le imprese, le famiglie e i cittadini, invece, non solo chiedono di non abbassare la guar dia, ma hanno diritto di pretendere da amministratori e dirigenti pubbli ci che quelle risorse vengano gestite con la massima oculatezza e diligenza, anche perché gran parte delle stesse dovranno essre restituite dai nostri figli e dalle generazioni future.
Il rimedio per superare la paura della firma non è, quindi, quello scelto dal governo Conte nel 2020 con
l’art. 21 del decreto semplificazioni, eliminando o attenuando le respon sabilità derivanti da colpa grave per i fatti commissivi, perché questa solu zione ha creato un vero e proprio vulnus nella sana e corretta gestione delle risorse pubbliche. La soluzione per superare la paura della firma sta, piuttosto, nell’intervenire sulla qua lità della regolazione e della legisla zione. Per mettere le pubbliche amministrazioni in condizione di rea lizzare i programmi e di intercettare le risorse del Pnrr, ci vogliono regole chiare, occorre migliorare e semplifi care la legislazione e, in particolare, il Codice degli appalti.
È, pertanto, auspicabile che il Par lamento e il Governo che si sono ap pena insediati non solo non abbassi no la guardia su controlli e respon sabilità nella sana e corretta gestio ne delle risorse pubbliche, ma che intervengano in maniera decisa e radicale sulla qualità della regola zione e della normazione. Occorre una legislazione chiara e semplice, snella, accessibile a tutti, occorrono regole chiare per dare indicazioni precise alle amministrazioni pubbli che, alle imprese e ai cittadini, e agli stessi operatori del diritto. Oltre alla paura della firma per le possibili ipotesi di responsabilità per danno erariale, si eviterebbero il frequente contenzioso e i ricorsi al giudice am ministrativo che assai spesso bloc cano i cantieri e rallentano l’azione amministrativa.
*Presidente aggiunto della Corte dei Conti e Presidente della Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti del Lazio
6 novembre 2022 33 Prima PaginaL’intervento
contrastare il fenomeno dei burocrati che non vogliono assumersi responsabilità è sbagliato depenalizzare, come è stato fatto. Occorre cambiare leggi e procedure
Per
GRATTA E RICICLA
DI ROSARIA CAPACCHIONE
Dai quattro agli otto milioni a estrazione, tre volte a settimana. È la cifra che viene distribuita dalla Sisal ai vincitori del Supe rEnalotto quando non vengono centrate combinazioni molto fortunate, come il 5+1 o il 6. Le ricevitorie possono pagare in contanti fino a 5.200 euro, ma è possibile richiedere anche un assegno bancario non trasferibile; per importi superiori il pa gamento è sempre tracciato. Con i Gratta e Vinci funziona alla stessa manie ra. Biglietti vincenti anonimi fino al momento dell’incasso che possono circo lare liberamente quasi fossero una moneta alternativa e che diventano la pezza d’appoggio per giustificare con l’Erario il possesso di somme di denaro
di provenienza oscura. Una grande lavanderia alla luce del sole, perfettamente legale, che mette al riparo piccoli e medi evasori fiscali, spacciatori, uomini del racket, funzionari cor rotti, camorristi e mafiosi che così sottraggono enormi som me di denaro alle confische. Riciclaggio à la carte in un Paese in cui, secondo i dati Istat, ancora oggi l’economia sommersa ammonta a poco più di 183 miliardi di euro mentre quella delle attività illegali supera i 19 miliardi.
La trasformazione del nero in bianco attraverso il gioco va avanti da decenni, ma, con il proliferare delle lotterie e delle scommesse, è diventata più sofisticata e di difficile controllo. I piccoli evasori sono fuori della portata dei radar: è suffi ciente avere un rivenditore amico per acquistare una decina di migliaia di euro in ticket vincenti dei Gratta e Vinci, non ancora messi all’incasso, e poi “cambiarli” altrove, con paga mento tracciato. Una tecnica molto diffusa, ma, visti gli im porti relativamente modesti, mai indagata a fondo. Ben altri volumi di denaro, invece, riguardano il Supe rEnalotto (o, in passato, il Totocalcio). In più occasioni le Procure antimafia si sono im battute in capitali considerevoli nelle mani di soggetti legati a clan mafiosi, giustificati da vincite provvidenziali. Impossibile dimo strare che i tagliandi fortunati non fossero stati giocati proprio da chi, ai controlli, aveva esibito la ricevuta del bonifico fatto dalla Si sal. Fortuna che, in almeno due casi, le verifi
che hanno toccato uomini legati ai Casalesi del clan Zagaria: un miliardo di lire a tale Nicola Fontana; novecentomila euro alla famiglia Balivo, che se li è visti restituire una decina di giorni fa dalla sezione per le Misure di prevenzione di Santa Maria Capua Vetere, unico bene sfuggito alla confisca. Han no dimostrato che quei soldi erano frutto di un tredici, nel primo caso; di giocate vincenti puntando sulle date di nasci ta di parenti, nell’altro. Un habitué delle vincite al gioco legale era anche il napoletano Maurizio Prestieri, poi diventato col laboratore di giustizia, che esponeva i biglietti vincenti (del Lotto) in un bar del rione Monte Rosa. I dubbi sono tanti e tali sono destinati a rimanere. Ma non è trascurabile un altro dato: i centri scommesse, le sale gioco, la distribuzione di slot e vlt, le ricevitorie Sisal, in Campania e in Sicilia, sono state per decenni monopolio assoluto di famiglie mafiose o stret tamente collegate a esse. È storia giudiziaria lo smantella mento dell’impero dei fratelli Grasso, napoletani, che gesti vano decine di ricevitorie legali e la distribuzione delle mac chinette in tutta la Campania. Un comparto con migliaia di addetti che, inutilmente, la Dda di Napoli e il giudice delega to ai sequestri hanno cercato di salvare dal fallimento. L’ulti ma trattativa, naufragata durante il lockdown, riguardava la vendita in blocco dei totem e delle sale gioco a Sisal e Lotto matica. Aveva raccontato Renato Grasso, che da imputato nel suo processo (aveva già una condanna per estorsione e associazione camorristica) aveva reso una lunga testimo
34 6 novembre 2022 Affari criminali
Sono stati oltre 117 miliardi di euro i soldi spesi, nel 2021, nel gioco legale; la previsione per il 2022 è di 140 miliardi
Rosaria Capacchione Giornalista
nianza: «I miei fratelli ebbero la grande op portunità di ottenere dei contratti in esclusi va per la distribuzione delle New slot in tutta Italia a favore di oltre 2.500 ricevitorie e agenzie». Accordo raggiunto quando i centri gestiti o controllati dalla sua famiglia erano quasi 200. L’impero dei fratelli Grasso, nel momento in cui era intervenuta la Dda 13 anni fa, arrivava a 2.660 punti scommessa, con 288 ricevitorie in Campania, 119 nel La zio e altre centinaia in Abruzzo, Toscana, Lombardia, Sicilia, Calabria, Puglia. Gestori dei concessionari Lottomatica at traverso la Wozzup srl, raccoglievano oltre 100 milioni l’anno di giocate. Altrettanto attraverso la King slot. I rapporti con Sisal passavano attraverso la DueGi, incassando dal 2004 al 2008 oltre 635 milioni di euro.
persone e ha ordinato la confisca di dieci società riconduci bili ai fratelli Grasso. Nella sentenza, però, non c’è l’aggra vante di aver gestito l’attività illegale nell’agro aversano per conto della camorra, prevista dalla Direzione Distrettuale Antimafia ed esclusa per quasi tutti i capi di imputazione. Tra gli imputati, 30 sono stati assolti, cinque i condannati: Renato Grasso a 16 anni; Francesco Grasso a 10 anni e 8 me si; Luigi Di Serio a 3 anni e 8 mesi; Salvatore Giuliano e Giu seppe Misso a 3 anni e 4 mesi. Alterne decisioni dei giudici, invece, nel processo sulle sale Bingo gestite direttamente dai Casalesi (famiglie Schiavone e Russo) in provincia di Ca serta. L’inchiesta è stata smembrata in vari tronconi, con clusi solo in parte. Chiuse tutte le piattaforme online gestite un tempo dalla famiglia Schiavone: centri di sommesse che hanno fruttato centinaia di milioni di euro, ma che, soprat tutto, hanno consentito di esportare valuta nei Paesi dell’Est e a Malta. Un eccellente veicolo per ripulire il denaro prove niente da droga ed estorsioni.
Sono stati oltre 117 miliardi di euro i soldi spesi, nel 2021, nel gioco legale; la previsione per il 2022 è di 140 miliardi. Molto online (soprattutto giochi da casinò e scommesse sportive), moltissimo nelle ricevitorie: lotterie, lotto, estra zioni istantanee. Secondo i dati diffusi dall’Agenzia delle Do gane e dei Monopoli nel Libro Blu appena pubblicato, in calo slot machine e vlt, a causa del distanziamento per il Covid-19 e all’aumento dei controlli. Ed era in questo particolare seg mento che, fino al 2017, chiunque poteva convertire in dena ro tracciato qualunque somma posseduta senza giustifica
IL GIOCO D’AZZARDO È MONOPOLIO
La vicenda giudiziaria di Grasso e della sua famiglia non si è ancora conclusa. Fallite le società, a casa i dipendenti, su Renato e il fratello pendono condanne pesanti, ma solo di primo grado. L’inchiesta della Dda è datata 2009: 97 indaga ti e 29 arrestati. Secondo l’accusa, Renato aveva stretto patti con i principali clan della camorra napoletana e casalese per l’imposizione dei propri videopoker, versando in cam bio una consistente parte degli introiti ai camorristi. La pri ma sentenza è del 2019: la nona sezione del Tribunale di Napoli (presidente Antonio Pepe) ha condannato cinque
zione. Oggi, per acquistare le fiches è necessario fornire il codice fiscale; ma fino alla modifica di tutti i distributori au tomatici di gettoni era sufficiente inserire il denaro e, subito dopo, richiederne la restituzione. La macchinetta rilasciava uno scontrino che, portato alla cassa, si trasformava di nuo vo in denaro, ma pagato con bonifico bancario. Era impossi bile sapere se quei soldi erano frutto di una vincita o, appun to, di un semplice cambio.
Ma piattaforme online, sale, ricevitorie sono ancora tutte in piena attività. Collateralmente, il servizio di ripulitura del denaro offerto a pagamento: una commissione oltre all’aggio legale riconosciuto dallo Stato. Ed è così che il denaro per la corruzione ha smesso di viaggiare nelle ingombranti e visibi li valigette di un tempo per prendere la forma e la sostanza di un biglietto vincente. Perfettamente legale.
6 novembre 2022 35 Prima Pagina Foto: Pierpaolo
/ Agf
Scavuzzo
DELLE
MAFIE. I BIGLIETTI VINCENTI, ANONIMI FINO ALL’INCASSO, DIVENTANO LA PEZZA D’APPOGGIO PER GIUSTIFICARE IL POSSESSO DI DENARO SPORCO
di NICOLA GRAZIANO*
La Giustizia secondo Nordio Mix di idee contraddittorie
Èun vento che soffia for te quello che alimenta la fiamma e la sua luce risplende sulle idee che uomini e donne di governo hanno da sempre portato avanti come vessilli, simbolo di quel cambia mento gridato in più direzioni e da oggi da concretizzare innanzi a un’ardua prova del nove.
In questo contesto si attende la fat tiva concretizzazione dell’azione del neoministro della Giustizia Carlo Nordio, già magistrato con un curriculum da fare invidia e atti vo in politica da qualche anno. Sua è la partecipazione in prima persona nella battaglia sui recenti referendum sulla giustizia e fanno eco all’attualità le sue parole a so stegno del Sì referendario: «La ri forma Cartabia va nella direzione giusta e infatti il sindacato dei ma gistrati ha proclamato lo sciopero. Ma è una riforma timida, condizio nata da un Parlamento che non ha né la forza né la volontà politica di rimediare alle attuali anomalie».
Di quali anomalie intenderà far si carico il neoministro? E con quali conseguenze nei rapporti con la magistratura associata?
In attesa degli eventi futuri, non resta che fare un bilancio flash sulle prime dichiarazioni del mi nistro e sui primi atti ufficiali per cercare di individuare quella che potremmo definire, appunto, la Giustizia secondo Nordio. Partendo da questi ultimi emerge una volontà di cambiamento radi cale molto ancorato, però, anche a
una visione realistica degli equili bri della coalizione.
Efficienza della giustizia, riduzio ne dei tempi di risposta giudizia ria alle aspettative dei cittadini, rigore, ma anche benessere lavo rativo sono evidentemente gli obiettivi dichiarati nella scelta del nuovo capo di Gabinetto, Alberto Rizzo, presidente del Tribunale di Vicenza in carica. Mentre vice ca po di Gabinetto è stata designata Giusi Bartolozzi, anch’essa magi strato, ma eletta alla Camera dei Deputati nella precedente legisla tura. Questa nomina ha così aper to il fronte al tema, sempre attua le, della separazione tra politica e magistratura e fatto riaffiorare al la memoria le imbarazzanti pole miche che in passato hanno tra volto Bartolozzi. Quanto alle prime dichiarazioni programmatiche il neoministro ha appuntato la sua attenzione su alcuni temi cruciali.
La partita tra accusa e difesa, per esempio, e ci si chiede: sotten de alla (non dichiarata, ma con creta) intenzione di una riforma costituzionale sulla separazione delle carriere? È questo uno degli obiettivi prioritari del neomini stro e dell’esecutivo?
Fanno riflettere poi le dichiarazio ni sulla intenzione di abrogare l’a buso d’ufficio, che può certamen te contenere in sé germi di corru zione e altri più gravi reati. Ancora: un carcere umano, come extrema ratio e quindi con incenti vo alle misure alternative, ma una
pena da scontare con certezza. Si gnificativo sarà capire se il neomi nistro cambierà il vertice del Dap, oggi affidato a Carlo Renoldi, per la Lega, che parla di istituzione di un garante degli agenti di polizia penitenziaria e dell’abrogazione del garante dei detenuti, reo di in terpretare idee troppo rivolte a una visione della pena costituzio nalmente orientata.
In senso opposto vanno però le norme approvate dal governo sull’ergastolo ostativo e inutile è nascondersi dietro una norma già approvata da un ramo del Parla mento perché trattasi di un decre to legge per il quale si annunciano rigorose modifiche in sede di con versione.
Il neoministro, cui ironicamente la presidente del Consiglio ha di chiarato di aver tolto il bavaglio, accogliendo le sollecitazioni dei procuratori generali d’Italia sulla problematica entrata in vigore delle nuove norme del codice di procedura penale, ne ha disposto il rinvio, ma anche qui si potrebbe celare la volontà di rivedere quella che la destra italiana aveva defini to una legge salva-ladri o svuo ta-carceri perché troppo piena di norme che potenziano le pene al ternative al carcere.
Insomma, appare evidente che vi è un mix esplosivo tra idee del mi nistro e azione di governo e non resta che aspettare gli sviluppi che all’orizzonte sorgeranno.
*Magistrato
6 novembre 2022 37 Prima Pagina
L’analisi
Democrazia e futuro
tempo di automatizzare la democrazia, rim piazzando la nostra attuale classe politica con degli algoritmi? Niente affatto, ma il so gno proibito dei soluzionisti tecnologici re sta: risolvere le storture e il logorio della po litica umana con l’intelligenza artificiale. Non questo o quel problema politico: la politica, tutta. «In un periodo storico in cui la fiducia nei politici è bassa e l’efficienza dei governi discutibile», ha scritto sull’Econo mist il direttore esecutivo di The Fourth Group, Alvin Carpio, già nel 2018, «non staremmo meglio» se sostituis simo gli eletti umani con «macchine e robot?». Svariati cittadini sono pronti a dirsi d’accordo: secondo un son daggio del Center for the Governance of Change dell’Uni versità Ie in Spagna, uno su quattro in otto paesi europei vuole sia l’Ia a prendere importanti decisioni politiche. Molti tra i fautori dell’ipotesi dell’Ia “forte” - quella cioè di “Terminator” e di “Her”, capace di autocoscienza, intelli gente come e anzi molto più di noi - addi rittura lo teorizzano. Perché come potreb be un essere umano, con tutti i suoi limiti e le sue imperfezioni, competere con l’algi da, imperturbabile perfezione decisionale di un presidente del Consiglio artificiale? I politici in carne e ossa sono, secondo que sta vulgata intrisa di populismo tecnolo gico, corrotti e vanitosi: una macchina no, è sempre oggettiva. I politici hanno “perso il contatto con la realtà”: l’Ia, al contrario, sa tutto di ciascuno di noi. I politici umani hanno, infine, facoltà cognitive limitate: ma non quelli artificiali, che possono leggere, analizzare e confrontare migliaia di pro poste di legge in un baleno. Già oggi si potrebbe sviluppa re una idea “audace per rimpiazzarli”, ha teorizzato dun que in una conferenza Ted César Hidalgo, classe 1979, ci leno, direttore di un centro di ricerca all’Università di Tolosa, prima a Harvard e al Mit: sostituire la democrazia rappresentativa con una diretta digitale. Una democrazia
nuova, in cui la rappresentanza diventa artificiale (non con una persona fisica ma virtuale), ma il rapporto tra cit tadino ed eletto è di uno a uno: una chatbot per ogni elet tore. Carpio, in un altro Ted Talk spiega che sarebbe «un po’ come avere un super-politico, sempre connesso a tutti i dati del mondo, e capace di prendere decisioni sulla base di tutto quanto hai postato su Facebook». Questo potreb be consentire, al limite, di rendere obsoleto il governo per come lo conosciamo oggi; Forbes, non a caso, ne pronun
38 6 novembre 2022
DI FABIO CHIUSI
ILLUSTRAZIONE DI SIMONE ROTELLA
È GOVERNATI DA UN OLOGRAMMA SOSTITUIRE I POLITICI CON L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE. È L’ULTIMA PROVOCAZIONE DEI TECNOPOPULISTI, MA QUALCHE PAESE LA STA GIÀ SPERIMENTANDO. ECCO CON QUALI RISCHI
ciava la “fine” per mano della “regolamentazione algorit mica” già nel 2019, sostenendo con l’influente Tim O’Reil ly che o i governi cominciano a somigliare ad algoritmi di Ia capaci di apprendere continuamente dai propri errori e aggiornarsi, o sono destinati a perire. Obsoleto divente rebbe in quest’ottica perfino il voto. «Una democrazia au tomatizzata potrebbe rimpiazzare sia i politici che le ur ne elettorali», dice Carpio. Del resto perché recarsi alle urne, se i votanti non possono che confermare decisioni che il proprio rappresentante virtuale già conosce? La mente corre a un racconto di Isaac Asimov, “Franchise”, che già nel 1955 preconizzava un’era in cui una unica men te digitale, Multivac, avrebbe ridotto l’e sercizio elettorale al voto di un solo essere umano, scelto dalla macchina come rap presentante dell’intero elettorato. In Giappone Michihito Matsuda, candidato nella realissima competizione politica per
il sindaco di Tama City, a Tokyo, ha sostenuto qualcosa di molto simile avanzando la candidatura del primo “sinda co Ia”. La macchina, informata dalle preferenze di tutti i cittadini, avrebbe non solo preso decisioni politiche mi gliori, ma avrebbe anche “reso possibile”, ha dichiarato Matsuda in un’intervista, «ascoltare le storie di 10 o 100 milioni di persone alla volta». E questo, a sua volta, avreb be consentito di «ridurre significativamente il numero di parlamentari e consiglieri locali»: tanto l’Ia ascolta tutti comunque. Casi simili, al limite tra la provocazione intel lettuale e la denuncia politica, si sono verificati negli ulti mi anni in diversi altri paesi. Il più recente è il “Partito Sintetico”, che mirava a correre nelle elezioni di novem bre in Danimarca con una piattaforma decisa dall’Ia e con un algoritmo, “Leader Lars”, addestrato per rappre sentare le posizioni più marginali nel dibattito politico: quelle del 20% che di norma non vota. Ma già nel 2017 il presupposto tecnopopulista ha portato a un “primo poli tico Ia” , di nome “Sam”, in Nuova Zelanda. L’anno seguen te in Russia, poi, una rivisitazione politica dell’assistenza virtuale del motore di ricerca Yandex, “Alisa”, aveva cer cato provocatoriamente di sfidare Vladimir Putin pro mettendo di portare “il sistema politico” russo «nel futu ro, costruendolo sulla sola base di decisioni razionali pre se grazie ad algoritmi chiari». Se il dittatore russo è isola to nelle sue stanze, Alisa è invece «il presidente che ti conosce personalmente», che «sa tutto dei tuoi proble mi»: sì, proprio dei tuoi. E se Putin pare avere perso il sen no, ecco che Alisa «dipende dalla logica, non è guidata da emozioni, non cerca vantaggi personali e non emette giu dizi». Inoltre, sarebbe dotata di «un intelletto che funzio na sette volte più veloce di un cervello umano», ha scritto il Moscow Times, qualunque cosa significhi. L’idea appar tiene più al regno dell’arte e della comunicazione che alla politica, ma nel frattempo pare che i dati finiti in pasto ad Alisa le abbiano insegnato a schierarsi dalla parte delle «prigioni segrete sovietiche» e dello «sparare ai nemici del popolo». Segno, se mai servisse, che il progetto di ri solvere la politica dissolvendola nella tecnologia è desti nato a fallire. Peggio: a fallire mettendosi al servizio di chiunque voglia mascherare il proprio umanissimo auto ritarismo dietro la presunta, e inesistente, superintelli genza della macchina. E la pretesa di risolvere tutto tra mite intelligenza artificiale non solo ignora gli svariati problemi, concettuali e applicativi, che incontrano appli cazioni sociali dell’Ia ben più circoscritte e modeste, ma proprio non conosce il ridicolo. Come altro definire l’idea, espressa in un commento su The Hill dell’ex analista del Dipartimento di Stato Marik von Rennenkampff, che l’in telligenza artificiale possa «salvare l’America» e risolver ne la polarizzazione facendo risorgere i padri fondatori tramite il machine learning, così da poterli interpellare e sfruttarne la saggezza? Non serve l’ologramma di George Washington, per rispondere.
6 novembre 2022 39 Prima Pagina
Fabio
Chiusi
Giornalista
Economia ed ecologia
MINISTERI IN CONFLITTO SULLE COMPETENZE. SCARSA ATTENZIONE ALLE FONTI RINNOVABILI. L’APPROCCIO DEL GOVERNO METTE A RISCHIO I FONDI DEL PNRR
EUGENIO OCCORSIO
CHE FINE HA FATTO
Fra l’8 e il 10 febbraio 2021 Ma rio Draghi, prima di andare al Quirinale per sciogliere la ri serva e presentare al presiden te della repubblica Mattarella la sua lista dei ministri, all’abi tuale serrato giro di consulta zioni con i partiti e con le parti sociali ag giunse per la prima volta tre interlocutori: il Wwf, Greenpeace Italia e la Legambiente. Un gesto di consapevolezza che il cambia mento climatico e la difesa dell’ambiente do vevano entrare nel Dna della politica italia na, ma anche un’accortezza pratica: entrava nel vivo l’attuazione del Pnrr, e la maggior voce in assoluto - 71,2 miliardi pari al 37,1% dei fondi assegnati all’Italia - era destinata al
“green deal”. L’Italia con 191,5 miliardi com plessivi (più 30,6 di fondi propri aggiunti dal governo), è la maggior beneficiaria dei fondi del Next Generation Eu. A fianco degli inve stimenti sulla rete ferroviaria, sulla sanità, sulla scuola e su tutte le altre infrastrutture da realizzare con i fondi del Pnrr, è indispen sabile - secondo l’Europa e il buon sensoche il nostro Paese metta mano al dissesto idrogeologico, alla tutela dei boschi, dei fiu mi e del mare, alle migliorie nella rete distri butiva dell’acqua, allo sviluppo una volta per tutte delle fonti eolica e solare, persino alla ricerca nell’idrogeno pulito alla quale è asse gnato un miliardo e mezzo secco. E tutto questo entro il 2026, vicinissimo in termini di programmazione.
DI
40 6 novembre 2022
IL”GREEN DEAL”
Per affrontare tale mole di impegni nac que il ministero per la Transizione Ecolo gica, affidato a un tecnico come Roberto Cingolani, già a capo dell’Istituto italiano di tecnologia. Con base sul vecchio mini stero dell’Ambiente, nato nel 1986 sull’on da dell’incidente di Chernobyl ma rimasto ai margini del dibattito po litico e limitato nell’opera tività dalla carenza di ri sorse umane, veniva final mente creata una struttu ra organica in grado di interloquire con Bruxelles e di gestire i fondi con la capacità progettuale ne cessaria. Ad essa venne
La centrale solare Enel Green Power di Serre Persano, in provincia di Salerno
trasferito il dipartimento Energia dal mi nistero dello Sviluppo, furono poi creati un dipartimento chiamato esplicitamente “Sviluppo sostenibile” e un’unità di mis sione per il Pnrr. Nei venti mesi del gover no Draghi sono stati assunti (o sono stati banditi i concorsi), con i fondi del Pnrr, 300 tecnici: agronomi, forestali, esperti di energia. Si sono sbloccati più impianti fo tovoltaici che nei quattro anni precedenti. Niente più di tutto questo. La transizio ne ecologica scompare nell’organigramma dell’esecutivo Meloni. Jeremy Rifkin, indomito guru della sostenibilità, si dice «molto preoccupato» della dimenticanza e teme che «l’Italia rischi di perdere molti dei fondi del Pnrr e di riportare indie
Foto: R. Caccuri / Contrasto
6 novembre 2022 41 Prima Pagina
Eugenio Occorsio Giornalista
Economia ed ecologia
tro la protezione ambientale con rifles si negativi per tutta Europa». Si torna alla vecchia dizione, “Ambiente”, con l’aggiun ta della “sicurezza energetica” che fa teme re che si fugga dall’ecologia per concen trarsi sull’emergenza gas. L’ambientali smo in senso ampio e moderno, così come era entrato a Palazzo Chigi con Draghi ne esce con Giorgia Meloni, a conferma che l’ecologia non è in testa ai pensieri della destra in nessuna parte del mondo, da Trump a Bolsonaro. In questo versante politico cova una malcelata insofferenza per le tematiche ambientali quando non uno sprezzante revisionismo per l’emer genza climatica. Eppure il 2022 è stato l’anno della grande siccità, della spavento sa alluvione che ha travolto le Marche, del caldo anomalo a novembre, dei mille altri incontrovertibili segnali che qualcosa è già mutato e continuerà a mutare nel cli ma, e non in senso buono né da oggi: il 29 ottobre era il quarto anniversario della tempesta Vaia, la “martellata di Dio”, che abbatté 20 milioni di abeti secolari dalla Lombardia alla Carnia.
Ma nessuna memoria né alcuna emergenza attuale è servita. Ora bisogna rimettere mano all’intera organizzazione, e molte competenze potrebbero essere redistribuite a una mezza dozzina di ministeri. Il Mare, per esempio, cruciale nelle strategie sia economiche (il Pnrr prevede 390 milioni per aumentare le capacità dei porti) che ecologiche (molti altri fondi sono destinati alla lotta all’inquinamento e alla tutela delle specie marine), dovrebbe andare secondo logica al ministero cui è stato attribuito lo stesso nome (oltre che “del Sud”), affidato a Nello Musumeci. Il quale però sembra più intenzionato a duellare con Salvini sulle competenze nelle capita nerie che preoccupato della tutela ambientale. Del tutto orfano rischia di essere poi il capitolo «economia circolare, gestione dei rifiuti urbani, sviluppo di fonti di energia rinnovabile, agricoltura sostenibile» che da solo vale 59,5 miliardi ovvero il 31% del totale del Pnrr e comprende anche lo sviluppo delle “reti intelligenti” fondamentali per le rinnovabili (che non danno energia per alcune ore del giorno). Ci sarebbe un ministro, Raffaele Fitto, a cui sono state attribuite le responsabilità denominate “Affari europei, Politiche di coesione e Pnrr”
che però è senza portafoglio e quindi tecnicamente impossibilitato a occuparsi della gestione di una massa di investimenti così ampia e diversificata. Tutt’al più svolgerà una funzione di coordinamento fra Palazzo Chigi e… non si sa chi.
Il ministero più “vicino” alla Transizione, con cui la collaborazione è stata più intensa, è quello delle Infrastrutture, impegnato in un miglioramento della rete ferroviaria, stradale, portuale del Paese che vale nel Pnrr 25,4 miliardi (il 13,2% del totale) ed è tutto improntato alla sostenibilità. Compito al quale ha adempiuto il ministro Enrico Giovannini, economista di livello internazionale, che dimostra adesso un rimarchevole fair-play: «Non sarei così pessimista», ci spiega. «Certo, c’è qualche mutamento lessicale, ma l’essenza non andrà perduta. Almeno spero». Giovannini si è battuto per anni perché nella Costituzione venisse sancita la protezione ambientale, e all’inizio di quest’anno sono stati finalmente modificati gli articoli 9 e 41 che ora dichiarano: «la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione, tutela l’ambiente, la biodi-
ALL’AMBIENTE È STATA ACCOPPIATA LA “SICUREZZA ENERGETICA”. MA BISOGNA CAPIRE CHE SOLO CON LE FONTI PULITE SAREMO IN GRADO DI PERSEGUIRE ENTRAMBI GLI OBIETTIVI
versità e gli ecosistemi». E ancora: «la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali». Insomma, non si può più deragliare senza finire davanti alla Corte Costituzionale. Riflette ancora Giovannini sui temuti cambiamenti nell’ap proccio ambientale del nuovo governo: «L’importante è che non vadano disperse iniziative come l’attuazione del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima nonché del Piano per l’adattamento al cambiamento climatico. Oppure le materie ecologiche introdotte presso la Scuola nazionale dell’amministrazione, o ancora il neonato Cite, il comitato interministe-
CONTROVERSO
La nave a sinistra è una rigassificatrice
Golar Tundra, lo stesso modello usato da Snam per il progetto di Piombino. La città, guidata da un sindaco di Fratelli d’Italia, si oppone alla sua presenza nel porto
42 6 novembre 2022
riale per la transizione ecologica: bisognerà vedere se continuerà a chiamarsi così e se lavorerà intensamente come con il nostro governo». Questa è una fase cruciale, aggiunge l’ex ministro, «perché oltre alle misure per contenerlo occorre promuovere l’adattamento al cambiamento climatico, che è in parte irreversibile, e intanto ripristinare il più possibile gli ecosistemi distrutti. Tutto questo andrà fatto, e mi auguro che nessuno eccepirà, in stretto coordinamento con l’Europa. La stessa Giorgia Meloni ha affermato che da soli non si va da nessuna parte, e noi prendiamo per buone le sue parole».
Il problema è che la caduta di attenzio ne sulla questione ambientale almeno nell’atteggiamento iniziale («una follia visto che si gioca con il problema numero uno dell’umanità», la definisce Andrea Boitani, economista della Cattolica), arri va in concomitanza all’altra emergenza, la guerra con le sue conseguenze sul gas. «Non ci facciamo illusioni, è un’illusione riuscire a vincere insieme tutte e due le battaglie, quella contro Putin e quella per abbattere le emissioni», taglia corto l’eco
71,2
MILIARDI
Investimenti nella transizione ambientale previsti dal Pnrr dal 2021 al 2026. Per due terzi fanno direttamente capo al ministero dell’Ambiente
37,1
PER CENTO
La quota del Pnrr destinata alla transizione ambientale. Dei sei capitoli del progetto, è quello con la quota maggiore
191,5
MILIARDI
L’ammontare dei fondi europei destinato complessivamente all’Italia. Il governo Draghi vi ha aggiunto altri 30 miliardi di fondi propri
nomista tedesco Wolfgang Munchau nel la sua newsletter Eurointelligence del 31 ottobre. E l’economista Giampaolo Galli, direttore dell’Osservatorio sui conti pub blici, commenta a sua volta: «In una sorta di omaggio all’attualità, è stato non solo ridenominato il ministero secondo la vec chia dizione, ma è stato aggiunto: “e della sicurezza energetica”. Perché oggi è consi derata l’urgenza delle urgenze. Resta da capire se la questione della diversificazio ne delle fonti prenderà il sopravvento e farà dimenticare la lotta alla CO2, o se vi ceversa i due elementi si rafforzano. In somma al cittadino, tranne forse che ai più giovani, interessa di risparmiare sulle bollette piuttosto che salvare il pianeta, e questo è logico: tutto è far sì che si com prenda che con più impianti eolici e foto voltaici, con un maggior risparmio e un uso accorto delle fonti, si potranno cen trare in un sol colpo entrambi gli obiettivi. Per la sicurezza insomma servono le rin novabili». Proprio il fatto che i problemi sono così strettamente connessi, rendeva strategico un apparato ministeriale forte e organico: «Il ministero della Transizione era necessario - spiega Grazia Pagnotta, docente di Storia dell’ambiente a Roma Tre - per la necessità di un approccio uni tario all’intera problematica ambientale, come del resto è nello spirito del Pnrr: l’e nergia non può essere considerata scissa dalle infrastrutture, i trasporti e l’indu stria non possono essere considerati sepa ratamente dalle politiche del territorio e da quelle urbane, la biodiversità dall’agri coltura, i boschi dal mare».
Non a caso una delle soluzioni più origi nali del governo è far affiancare al nuovo ministro il vecchio ministro quale consu lente. Cingolani ha accettato di fare da advisor gratuito al ministro Gilberto Pi chetto Fratin, non propriamente un esperto visto che si autodefinisce «com mercialista e insegnante» con zero espe rienze nel settore. Ma sarà un advising li mitato a sei mesi e circoscritto a poche materie: price cap, stoccaggi, rigassifica tori, disaccoppiamento del prezzo dell’e lettricità. Tutto qui. Dopodiché, il Pnrr, per la sua parte più qualificante e più strutturale, volerà senza rete nell’empireo del centrodestra.
6 novembre 2022 43 Prima Pagina
44 6 novembre 2022 DI ALESSANDRO DE PASCALE ENERGIA VERDE QUANTO MI COSTI IL PREZZO DELL’ELETTRICITÀ È DETERMINATO DA QUELLO DEL GAS. LE LOBBY DEL FOSSILE SI OPPONGONO AL CAMBIO. E CHI COMPRA “PULITO” PAGA CONTI SALATI Bollette alle stelle
Un complesso di abitazioni a Grugliasco, in Piemonte, alimentate esclusivamente a energia solare, attraverso i pannelli collocati sul tetto
Marco (nome di fantasia) è un ambientalista convin to. Circa un anno fa ha deciso di sottoscrivere, per la propria abitazione, un contratto luce con una delle varie aziende italiane che da tem po vendono a privati e imprese energia elet trica prodotta al 100% da fonti rinnovabili. L’obiettivo era rendere il più possibile soste nibili i propri consumi domestici, senza do ver installare pannelli fotovoltaici o pale eo liche, cercare di risparmiare e magari anche mettersi al riparo dalle fluttuazioni e specu lazioni del mercato. Ma non è andata così. Perché nel giro di sei mesi, nelle sue ultime tre bollette bimestrali che L’Espresso ha po tuto visionare (quelle che vanno da marzo ad agosto), il prezzo al kilowattora gli si è praticamente raddoppiato, passando da 35 a 62 centesimi di euro. Nello stesso arco di tempo, con un altro fornitore, anche France sca (altro nome inventato) è stata colpita dallo stesso rincaro: prezzo salito da 37 a 62 centesimi. Cosa avvenuta, a quanto è dato sapere, a chiunque abbia sottoscritto con tratti non a prezzo bloccato delle decine di società che vendono solo energia rinnovabi le. Poco importa che si tratti dei piccoli re centi fornitori della green economy o delle storiche aziende del comparto con offerte dedicate.
Sole, acqua e vento sono di fatto una fonte energetica dai costi tendenti a zero: a diffe renza dei fossili non devono essere estratti e raffinati e per di più sono gratuiti. Ovvia mente al netto dei normali costi di esercizio: installazione degli impianti, gestione, ma nutenzione, imposte e oneri di sistema. Ma allora come mai chi compra solo energia rinnovabile alla fine la paga quanto quella fossile prodotta col gas? «Il meccanismo di fissazione del prezzo sul mercato italiano ed europeo è basato sul cosiddetto prezzo mar ginale orario. Significa che, per ogni ora del giorno, il fabbisogno netto di energia è sod disfatto dalle offerte dei produttori da fonti convenzionali, valorizzato al prezzo più alto proposto in quell’ora (…) e applicato a tutta l’energia immessa in rete», spiega il fornitore “ènostra” in una mail inviata ai propri clienti il 30 settembre. In poche parole, «nell’Ue il prezzo dell’elettricità è determinato da quel lo del gas», sintetizza ai propri utenti senza troppi giri di parole un’altra azienda italiana
che vende solo energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili (la milanese NeN del grup po A2A).
Per i consumatori, oltre al danno c’è quin di la beffa di essere costretti a pagare l’ener gia rinnovabile allo stesso prezzo di quella generata dalle normali e inquinanti centrali termoelettriche. L’Italia produce ben il 40% della propria corrente elettrica usando il gas, il cui prezzo è soggetto alle speculazioni del mercato. Venerdì 26 agosto, nel Title Transfer Facility sulla Borsa di Amsterdam, punto di scambio virtuale di riferimento eu ropeo, questo combustibile è stato venduto a 343 euro al megawattora. Appena un anno prima, quando i prezzi erano già saliti, ne ba stavano 50. «Dare la colpa alla guerra in Ucraina è molto comodo, ma l’escalation nel conflitto è una concausa, visto che l’aumen to del gas è iniziato ad agosto 2021, quando non se ne parlava ancora», denuncia Sergio Ferraris, direttore del portale web specializ zato QualEnergia. «Il problema è la specula zione da parte di fondi internazionali sugli asset energetici, resa possibile in Europa dal fatto che, a differenza di quanto avviene per il petrolio, per il gas l’unico punto di contrat tazione è sulla Borsa di Amsterdam». Per Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Le gambiente, «ora si stanno chiedendo tutti se il meccanismo attuale sia ormai superato. Ma nel settore energetico non esiste l’autar chia, il nostro mercato è comunitario e quin di le scelte vanno fatte innanzitutto a livello europeo».
L’attuale meccanismo di calcolo (detto pay-as-clear) è stato introdotto a fine anni Novanta con la liberalizzazione del settore in Europa e la nascita del mercato libero: nel regime tutelato il prezzo del kilowattora è invece stabilito dall’Autorità per l’energia ogni tre mesi e rimane fisso. Tale sistema mi rava a favorire la produzione di energia con le centrali termoelettriche senza penalizza re i piccoli produttori sottoposti a maggiori costi, impedendo che ogni operatore potesse fissare autonomamente il prezzo dell’energia che vende (il pay-as-bid), garantire mag giore trasparenza ed evitare speculazioni.
Il problema è che con la conversione delle centrali elettriche italiane dal
6 novembre 2022 45 Foto: Ipa agency Prima Pagina
Alessandro De Pascale Giornalista
Bollette alle stelle
carbone al gas, in Italia il prezzo finale dell’energia elettrica nel mercato libero si è trovato agganciato a questa fonte sottopo sta a grandi speculazioni e i cui costi sono profondamente influenzati dal contesto ge opolitico ed economico mondiale. Per Ka tiuscia Eroe «è sicuramente importante agi re su quelli che sono i meccanismi dei mer cati e delle Borse, evitando le speculazioni. Perché oggi c’è sul gas, ma domani potrebbe avvenire su qualsiasi altra fonte. Detto ciò, le regole del mercato non si cambiano in un mese. E mentre si individuano gli strumenti adatti, imprese e famiglie vanno aiutate a so pravvivere. E lo dico molto chiaramente, non basta azzerare gli oneri di sistema in bolletta, perché altrimenti queste restano ugualmente alte».
Su questo il precedente governo ha introdotto, nel marzo 2022, una tassa sugli extra-profitti delle imprese del settore energetico, innalzando a 600 euro il bonus che arriva direttamente in bolletta (previa presentazione dell’Isee con tetto a 12mila euro, che sale a 20mila in caso di famiglie con almeno quattro figli). Misura che il nuovo esecutivo guidato da Giorgia Meloni vuole estendere almeno fino a fine anno (dicembre è al momento scoperto), sempli ficarla e renderla automatica per la platea di beneficiari. Ma per esperti del settore e addetti ai lavori servono misure strutturali. Che vanno trovate in Europa. Per la responsabile Energia di Legambiente non basta nemmeno «il tetto al prezzo del gas nelle fasi acute», deciso a Bruxelles dopo mesi di trattative, «perché va trovata rapidamente una soluzione che permetta alle bollette di scendere». Nel caso delle rinnovabili, basterebbe «scorporare le fonti, rendendo quindi differente il loro prezzo, scelta che darebbe maggiore impulso anche alla ricer ca sull’energia pulita, perché se quella tecnologia mi permette di pagare meno aumentano l’interesse e gli investimenti».
Insedeeuropeasenestaparlandoeanche per l’ex premier italiano, Mario Draghi, quel lo tra gas e rinnovabili per la fissazione del prezzo «è un legame che non ha più senso». Ma le resistenze sono tante, come conferma a L’Espresso, chiedendo l’anonimato, un fun zionario europeo che segue dall’inizio que sto dossier: «Tale disaccoppiamento rende rebbe dalla sera alla mattina non più conve niente ai costi attuali l’energia prodotta da
fonti fossili».
I vantaggi dell’energia prodotta con sole, acqua e vento sono fuor di dubbio. Anzi, co me afferma l’Agenzia internazionale per l’e nergia nel proprio rapporto annuale diffuso il 27 ottobre, la guerra in Ucraina ha il po tenziale per accelerare la transizione verso un sistema energetico più sostenibile e sicu ro». Ancora di più in Italia, dove le rinnova bili possono diventare l’unica fonte in grado di ridurre le importazioni dei fossili e au mentare l’autosufficienza energetica. Nel mese di agosto, quando sul mercato è stato raggiunto il picco nel prezzo del gas, sole, acqua e vento hanno garantito alla Penisola quasi il 45% della produzione nazionale e coperto il 39% della domanda. Nonostante le lungaggini autorizzative per realizzare questi impianti.
«Nel luglio 2017, per poche ore, in Italia abbiamo avuto addirittura il prezzo dell’e lettricità negativo - ricorda Ferraris di Qua lEnergia - perché c’era un surplus da rinno vabili. Cosa che crea problemi anche agli stessi produttori, dovendo comunque esse re riconosciuto un giusto guadagno dalla produzione elettrica». La cosa, però, rende bene l’idea della loro convenienza rispetto ad altre fonti. Il direttore del portale web specializzato in materia non ha dubbi: «Il libero mercato attualmente non funziona, né in un senso né nell’altro. Per un prodotto primario a cui sei obbligato ad accedere è un paradosso e non può tutelare i produtto ri di energia. In questo momento bastona inoltre i consumatori, ancor più in Italia do ve abbiamo complessivamente in bolletta extra-costi di oltre 100 miliardi di euro».
6 novembre 2022 47 Prima Pagina Foto: Xxxxx Xxxxxx
L’approdo del gasdotto Tap a Melendugno in provincia di Lecce
I FORZATI DELLE POLITICHE
DI ANDREA SEGRE
Per superare i blocchi fisici, bisogna smontare quelli mentali. Questo è necessario per evi tare di riaprire l’ennesimo inutile dibattito sull’immigrazione, che rischia ancora una volta di essere sempre identico a sé stesso.
Per farlo è necessario dare voce ai diretti interessati. Non parlo solo dei migranti, ma anche degli in dividui e delle comunità che stanno a stretto contatto quotidiano con persone che decidono o sono costrette a mi grare: operatori della cooperazione, del welfare interculturale, dell’assistenza legale, dell’accoglienza. Sono centinaia di persone, di origine italiana e non, profondamente infor-
mati su dinamiche reali, su distorsioni amministrative, incongruenze legali, e anche tensioni psico-sociali, che andrebbero costantemente tenute al centro delle scelte e delle direzioni da prendere. Senza il loro contributo è inevitabile che il punto di vista sull’immigrazione di cui ci oc cupiamo sia sempre lo stesso da oltre 20 anni: come ridurre il numero di arrivi irregolari. Questa prospettiva è l’unica consegnata dalla classe politica all’opinione pubblica, perché ripete e conserva lo schema di cittadini non coinvolti e preoccupati che temono la pressione di non cittadini coin volti e disperati. In mezzo non c’è nulla, sembra non esserci nulla, tranne il ministro di turno che propone la nuova bacchetta magica all’eterno problema, continuando a spendere miliardi di fondi pubblici nella solita e unica dire zione della gestione securitaria della frontiera. È necessario interrompere questo schema. Il Forum per cambiare l’ordine delle cose, nato cinque anni fa da un’assemblea di oltre 500 persone a Roma, prova a fare esattamente questo. È oggi, in modo libero e interattivo, uno spazio di confron to costante di decine di realtà nazionali e locali che parten do da esigenze reali propone cambiamenti delle politiche migratorie. Lo farà anche il 9 novembre a Roma, alla sala della Protomoteca in Campidoglio, grazie al patrocinio dell’assessorato alle Politiche sociali del Comune di Roma, lanciando una provoca zione, seria e tutt’altro che simbolica: come liberare flussi di migrazione regolare. Flussi di energia, così si è deciso di definirli, mo vimenti che se gestiti con il principio del favorirne la regolarità possono diventare motori di energia sociale, economica e culturale di cui il mondo ha infinito bisogno. Se il flusso invece viene imbavagliato e
Regista
bloccato, l’energia si disperde producendo sprechi molto dannosi: i migranti viaggiano in modo illegale e rischioso, finanziando organizzazioni criminali e milizie di stati dittatoriali, e gli Stati che cercano di proteggersi agiscono con misure sempre più lontane dal rispetto dei diritti, finan ziando aziende private multinazionali specializzate in sistemi di sicurezza sempre più costosi. Secondo gli ultimi dati del dossier immigrazione Idos da poco presentato sono circa 280 milioni le persone che vivono in Paesi diversi dal proprio, di questi circa un terzo ha viaggiato in modo irregolare, senza poter accedere a vie regolari e sicure, e vengono definite statisticamente «migranti forzati». La domanda è quanti di questi migranti forzati non lo sareb bero se potessero muoversi in modo regolare? Certamente esiste una parte importante di migrazione forzata che è causata da crisi umanitarie ed ambientali a cui andrebbero garantite vie di fughe sicure e diritto alla protezione. Ma la sensazione di chi quotidianamente lavora a contatto con i migranti, forzati e non, è che vi sia una percentuale rilevan te di forzati dalle politiche migratorie stesse.
48 6 novembre 2022 L’intervento
L’arrivo di un barcone con migranti da Afghanistan, Iran, Iraq e Siria a Roccella Ionica
Andrea Segre
POLITICHE MIGRATORIE
frontare il tema). Non c’è più alcun dubbio che le economie e le società più ricche (il 17 per cento della popolazione mondiale, governata dalla costante e crescente urgenza di proteggersi) hanno in realtà bisogno di attrarre persone, soprattutto giovani, per svolgere lavori in cui l’offerta è am piamente superiore alla domanda autoctona e per rendere sostenibile il proprio sistema contributivo e di welfare. Questa consapevolezza non si trasforma però mai in co struzione di vie regolari. Perché? Semplicemente perché la gestione securitaria e la sua retorica rendono politicamen te (ed economicamente) di più. L’assuefazione dell’opinio ne pubblica a questo punto di vista sta bloccando la capa cità di cambiare lo schema, anche se le condizioni mate riali lo richiederebbero.
E così sta succedendo anche in Italia. Lo spiega bene Gianfranco Schiavone, uno dei promotori del Forum: «A vent’anni dalla legge Bossi-Fini sull’immigrazione i canali di ingresso regolari semplicemente non esistono ed entra re irregolarmente e poi restare in qualche modo è quasi l’unica strada percorribile da parte degli stranieri. Eppure una riforma delle norme su ingressi e soggiorni che preve dano effettivi canali di ingresso per lavoro e ricerca di la voro che eviti agli stranieri di finire per anni nel circuito del lavoro nero e del grave sfruttamento, è una strada pos sibile e necessaria. Tale riforma, liberando un’enorme quantità di energia, darebbe all’Italia sviluppo economico
Operatori dell’accoglienza e della cooperazione internazionale sanno bene che molti dei loro “assistiti” (che nel quotidiano diventato persone, uomini, donne, individui con storie, idee, desideri) avrebbero po tuto evitare la forzatura, l’illegalità, ma l’hanno dovuta scegliere come unica possi bilità. Molti di loro sapevano anche chi rag giungere, dove andare e anche cosa fare. Avevano un progetto e anche i fondi per attuarlo, ma hanno dovuto invece trasformarsi, fisicamen te non simbolicamente, in disperati in cerca di protezione. I «finti profughi» direbbe qualcuno: ebbene sì, sono finti in partenza, ma lo diventano necessariamente all’arrivo, se sopravvivono. Andrebbero trasformati in veri migranti regolari, e non respinti violentemente come «finti».
Ma è lo schema incancrenito del dibattito sull’immigra zione che impedisce di cambiare davvero rotta. L’esempio più lampante è quello economico (anche se per il Forum non può e non deve essere l’unica prospettiva con cui af
e maggiore sicurezza». Ci vogliamo provare? L’assessora Barbara Funari, che ha deciso di promuovere l’incontro a Roma, lancia un appello: «I flussi migratori sono per l’ap punto flussi, come tali regolabili e canalizzabili, almeno in buona misura. Sta a noi decidere se lasciarli all’anar chia di un mercato di vite umane, e alla volontà dei nuovi schiavisti, o assumerci la responsabilità di affrontare i problemi per provare, finalmente, a risolverli. Nell’inte resse nostro e di tutti».
6 novembre 2022 49 Prima Pagina Foto: Valeria Ferraro / SOPA Images / LightRocket via Getty Images
INVERTIAMO LA ROTTA: LE DERIVE SECURITARIE SONO CAUSA DI ILLEGALITÀ. E BISOGNA ASCOLTARE LE ISTANZE DI CHI LAVORA SUL TERRITORIO. I FLUSSI ANTIDOTO A SCHIAVITÙ E CLANDESTINITÀ
L’ESPRESSO. TUTTO CIÒ CHE ERA E TUTTO IL NUOVO CHE VERRÀ. SUL SITO, SU SPOTIFY E SU SPREAKER. lespresso.itL’ESPRESSO INIZIA UNA NUOVA STORIA. Borsellino, la grande impostura di EnricoBellavia L’editoriale del Direttore di LirioAbbate Podcast settimanale Bookmarks di SabinaMinardi Podcast settimanale Voci da Bruxelles di FedericaBianchi Podcast settimanale Ho visto cose di BeatriceDondi Podcast settimanale
Blitz della polizia ma è una processione
Comunicato di Palazzo Chigi. «Con virile determinazione, il governo del signor presidente Meloni ha sgomberato il ca pannone dismesso nel quale, tra trucioli e ratti, alcuni giova ni depravati si stordivano con musica straniera, assumendo sostanze proibite. L’arte corrotta ha i giorni contati. In sosti tuzione dell’adunata sovversiva, il governo intende promuovere la musi ca tradizionale italiana, capace di riunire le famiglie. Previa disinfesta zione, nello stesso luogo dove si svolgeva la manifestazione clandestina, festosamente addobbato con ghirlande di carta colorata e fiori di pla stica, avrà luogo il Nilla Pizzi Memorial Festival. A scopo rieducativo, i giovani e le fanciulle delle scuole superiori della zona sono severamente invitati a partecipare, accompagnati dai nonni».
La critica Dopo avere visto le prove del Nilla Pizzi Memorial Festival (in diretta su Raidue), anche la critica più radicale ha dovuto ricredersi. «Era dai tempi del punk che non si sentiva e non si vedeva niente di più devastante. Nessun tatuag gio dark può eguagliare l’estetica truce di quei vestitini di sartoria e di quelle messe in piega riarse», scrive l’influencer Seba Oltranza. Perplesso, invece, il giudi zio dello psichiatra Levi-Pumpkin, che in seguito al rilancio della musica melodica italiana prevede un aumento degli atti di autolesionismo non solo tra i giovani, ma in tutte le fasce di età.
Il disguido Per un disguido, le forze dell’ordine hanno fatto irruzione anche nel paese di Bisidizzi, nel santuario di Santa Maria Flagellata. Avevano avuto segnalazione di un assembramento di centinaia di persone, in visibile stato di esaltazione, con una musica assordante che copriva i loro gemiti, e avevano pen sato a un rave party. Si trattava invece dell’annuale processione dei Flagellan ti, che frustandosi in segno di penitenza trascinano fino al santuario una statua della vergine pesante quattrocento chili. Il questore Maritiello, dopo essersi scusa to con il parroco, ha fatto rapporto al mi nistro dell’Interno affinché si evitino, in futuro, incidenti analoghi. «Dal Palio di
Siena all’apertura di un outlet, dalla mo vida di Trastevere alle curve degli stadi, sono molte le situazioni in cui una folla in stato di esaltazione mette a repentaglio la propria incolumità e arreca turbamen to all’ordinato corso della vita civile. Si suggerisce accurata verifica delle fonti prima di intervenire in forze». Preoccu pa l’ipotesi che alcune persone possano chiamare la polizia, dicendo «c’è un rave da sgomberare», anche per ragioni perso nali, per esempio impedire il matrimonio del cognato, o disperdere una comitiva di turisti cinesi.
Altri provvedimenti Continua la cam pagna contro le distorsioni prodotte dal femminismo e dall’egemonia culturale della sinistra. Dopo avere chiarito che Giorgia Meloni deve essere chiamata il signor presidente, si procede nell’intensa opera di risanamento linguistico e revi sione storico-culturale. Donna Assunta Almirante, madre della Patria, di qui in poi sarà definita Uomo Assunta Almiran te, anche per valorizzarne ulteriormente la tempra indomita. Quanto alla legge 194, lungi dal nuovo signor ministro Eu genia Roccella l’intenzione di limitarla o abolirla, la sua applicazione sarà note volmente rafforzata: la donna che intende abortire sarà assistita non solamente da un medico, ma anche da uno psicologo, un filosofo, un cantante di gospel, una suora, un rettore della Cattolica, un me dium che parla con i morti e un esorcista. Solo quando lo staff sarà com pleto si potrà procedere all’intervento, ovviamente in presenza dello staff medesimo. Sarà dunque la donna a desistere dalla sua intenzione.
Identità La carta di identità dovrà contenere anche elementi che per mettano di rassicurare il cittadino (o il cittadino donna) circa la pro pria identità profonda. Oltre ai dati anagrafici e somatici, sarà presente anche un breve logo personalizzabile. Per esempio, sulla falsariga di “Io sono Giorgia”: «Io sono Ugo, sono italiano, sono romanista, amo le spi der e detesto il risotto».
Satira PreventivaMichele Serra 6 novembre 2022 51 Illustrazione: Ivan Canu
Dopo la stretta sui rave, nuove regole della destra anche sulla lingua Giorgia Meloni
è il signor presidente e Donna Assunta Almirante dovrà essere Uomo Assunta Almirante
Mentre l’Unione Europea sta affrontando una rivoluzio ne del proprio modello energetico e geopolitico, la coppia franco-tedesca, il cosiddetto “motore“, è in crisi. Raramente la Francia e la Germania so no andate così poco d’accordo. Mentre si po trebbe pensare che una crisi tra Germania e Francia possa rimettere in equilibrio le varie forze interne all’Ue, i fatti dimostrano che non appena le due nazioni si trovano in di saccordo le trattative si bloccano e la ricerca di compromessi fra Stati membri si complica.
A tre mesi dalla celebrazione del 60° anni versario del Trattato dell’Eliseo, simbolo del la riconciliazione e della nascita della coope razione franco-tedesca, sembrano esserci molti motivi di rancore e incomprensione su entrambe le sponde del Reno. Nelle ultime settimane le tensioni si sono concentrate su questioni legate alla crisi energetica e alla politica di difesa europea, concretizzandosi in un evento senza precedenti e dal significa to altamente politico: il rinvio a metà genna io 2023 del Consiglio dei ministri franco-te desco per discutere, come ormai è uso dal 2003, dei progetti bilaterali e delle questioni europee. Invece di recarsi al prestigioso ca stello di Fontainebleau (dove i turisti posso no contemplare il trono di Napoleone), il 26 ottobre Scholz è rimasto a Berlino insieme ai suoi ministri.
Le tensioni in campo energetico si sono cristallizzate innanzitutto sull’approccio “ca villoso” allo scudo da 200 miliardi annunciato dal governo tedesco il 29 settembre. Quando Scholz ha annunciato questo suo “doppio colpo”, Macron non è stato l’unico a sentirsi colto di sorpresa: le capacità finanziarie della Germania rischiano infatti di distorcere la concorrenza all’interno del mercato unico. Quest’imponentemisura,chemiraasostene re le famiglie e le imprese tedesche di fronte all’impennata dei prezzi dell’energia, avrebbe potuto essere discussa in anticipo con i prin cipali partner economici della Germania; ma, allo stesso modo, anche gli annunci fran cesi relativi al piano di sobrietà sono stati pensati unilateralmente, mentre si sarebbe potuto prevedere un coordinamento tra gli Stati europei per dare “sostanza” al Green De al europeo su questo aspetto essenziale del cambiamento nei comportamenti dei nostri concittadini.
PARIGI-BERLINO L’ASSE SPEZZATO
L’AUTORE
Michel Derdevet è presidente del think tank “Confrontations Europe” e della “Maison de l’Europe” di Parigi. Nato il 18 luglio 1960 a Béziers, è un saggista francese, ex Segretario Generale e Membro del Consiglio Direttivo di Enedis, specializzato nel tema dell’energia. È inoltre docente presso l’Institut d’Études Politiques di Parigi e il Collegio d’Europa di Bruges
Considerare solo questi punti di tensione significherebbe in ogni caso perdere di vista la solidarietà energetica che, di fatto, da quest’autunno è al centro delle relazioni fran co-tedesche. Dal 13 ottobre, la Francia forni sce gas alla Germania, che in cambio fornisce elettricità alla Francia per compensare la sua produzione nucleare in calo. Questo accordo senza precedenti, firmato lo scorso settem bre da Olaf Scholz ed Emmanuel Macron, di mostra l’interdipendenza e la visione comu ne delle due maggiori economie dell’Unione in questo settore essenziale.
Al di là della solidarietà a breve termine necessaria per l’inverno 2022/2023, l’Europa si trova anche di fronte all’imperativo di una rivoluzione copernicana nella politica ener getica entro il 2050: aumentare la produzione di energia elettrica di circa il 35% e raggiungere la neutralità delle emissioni di car bonio. Questa convergenza di vedute sul Patto Verde Europeo, riaffermata questo mese da entrambi i Paesi, costituisce il campo e la prospettiva centrale del lavoro del motore franco-tedesco, al di là dei blocchi di fronte all’emergenza.
Le attuali tensioni tra Francia e Germania si esprimono anche nel campo della difesa. Quando Olaf Scholz ha deciso di destinare
DI MICHEL DERDEVET
Francia e Germania sono in disaccordo. Questo non porta a un riequilibrio delle forze, ma a un’incapacità dell’Unione di prendere le decisioni necessarie
Europa Oggi A CURA DI AMÉLIE BAASNER
52 6 novembre 2022
100 miliardi di euro in più del bilancio federale all’esercito tedesco, la Bundeswehr, Parigi ha preso male la decisione di spendere gran parte del denaro per caccia americani e droni israeliani invece di privilegiare pro dotti europei e spingere i progetti militari comuni (il carro armato di nuova generazio ne e l’aereo di combattimento Future com bat air system, Fcas). Anche il discorso del cancelliere all’Università di Praga il 29 agosto, nel quale ha spiegato la sua visione sullo sviluppo dell’Ue, ha colpito nuovamente i partner francesi: Scholz ha proposto un nuovo sistema di difesa aerea senza neanche nominare la Francia, bensì altri 10 Paesi, dalla Svezia alla Slovacchia.
Tuttavia, anche in questo caso, esistono ancora molti campi d’azione comuni: si pensi naturalmente alla necessaria solidarietà con l’Ucraina, al meccanismo di valutazione dell’ambiente strategico europeo (Strategic Compass) o al Fondo europeo per la difesa. Soprattutto, è necessaria una convergenza di vedute sul ruolo geopolitico dell’Europa e sull’uso comune del concetto di sovranità eu ropea, come è stato sottolineato dal Cancel liere tedesco a Praga. È su questa base che Francia, Germania e Italia possono essere il motore di una rinnovata Unione geopolitica
IL TEMA
Mentre l’Ue sta affrontando grandi sfide, il cosiddetto “motore” franco-tedesco è in crisi. Si potrebbe pensare che una crisi tra i due grandi Germania e Francia possa riequilibrare le forze all’interno dell’Unione, e invece il disaccordo rischia di bloccare processi decisionali necessari in campo energetico e geopolitico
per l’Europa nella sua interazione con le grandi potenze: gli Stati Uniti e il posto della Nato nell’architettura di sicurezza europea, la Cina e le rivalità strategiche che segnano le nostre relazioni con essa.
L’attuale impasse franco-tedesca ed il ri schio di isolamento dei due maggiori Paesi dell’Unione non è una risposta sostenibile al le sfide del nostro tempo. Come nel 2008 con la crisi finanziaria, nel 2012 con il rischio di Grexit, nel 2020 con la pandemia di Covid-19, il motore franco-tedesco è il cardine della storia europea. Ieri ha potuto dimostrare la sua agilità e reattività di risposta alle sfide. Di fronte alla guerra e alle sue conseguenze, lon tano da rivalità “picrocholine”, per dirla con Rabelais, è giunto il momento di creare le condizioni per un nuovo dialogo tra questi due Paesi, e proporre un percorso a lungo ter mine per l’Europa su tali questioni esisten ziali. Ma anche per creare una nuova dinami ca con i Paesi del Sud Europa, tra cui l’Italia, al fine di garantire un rilancio plurale del pro getto europeo. Poniamo fine al “narcisismo delle piccole differenze” come diceva Sig mund Freud!
Foto: N. Economou/NurPhoto/Getty Images
Traduzione di Amanda Morelli e Nicholas Teluzzi
Prima Pagina
6 novembre 2022 53
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz
Crisi delle materie prime
l’Intelligenza Artificiale supporta l’industria con previsioni sempre più accurate
L’aumento incontrollato dei costi energetici e l’incremento dei prezzi delle materie prime, sono fenomeni ormai diffusi su scala globale.
La congiuntura sfavorevole seguita allo shock pandemico, aggravata dallo scoppiare nel 2022 del conflitto in Ucraina, arriva oggi a bloccare intere filiere e in Italia indebolisce la competitività internazionale dell’industria, soprattutto nel comparto manifatturiero. Nel primo trimestre 2022 il PIL era al -0,2% e a maggio i dati hanno confermato l’andamento negativo, con l’indice PMI dell’industria in calo (da 55,8 a 54,5) e la fiducia delle imprese al minimo storico (Congiuntura Flash, Centro Studi Confindustria, maggio 2022). La causa è da ricondursi, tra le altre cose, ai costi proibitivi delle materie prime con un effetto in vari
settori produttivi: dai metalli (rame, acciaio) ai semiconduttori, dalle plastiche al legname sino al petrolio.
In un contesto di tale incertezza, la competitività di un’azienda dipende anche dalla sua strategia di approvvigionamento, che, basandosi su informazioni accurate e aggiornate relative a fornitori e alla domanda dei clienti nei settori di riferimento, consenta di gestire l’approvvigionamento e coprire il rischio di carenze di materiale o ulteriori aumenti di prezzo. L’Intelligenza Artificiale dà supporto concreto in tal senso, in quanto, grazie a tecnologie di machine learning, elabora previsioni su disponibilità e costi delle materie prime. In particolare Vedrai, gruppo che sviluppa soluzioni di Intelligenza Artificiale per le PMI, mette a disposizione Becky, un agente virtuale che supporta il responsabile acquisti nei suoi processi decisionali. L’Intelligenza Artificiale di Vedrai trasforma dati complessi in informazioni strategiche facilmente leggibili, fornendo alle aziende accurati modelli predittivi. Attraverso il monitoraggio delle notizie macroeconomiche che influenzano i prezzi e il controllo dei principali indicatori (Stocastico, MACD, RSI), Becky permette al responsabile acquisti di avere un quadro previsionale di disponibilità e prezzi delle materie prime, supportandolo nell’elaborazione di strategie di gestione dei costi. A fronte di un dato iniziale del 2,9%, oggi Becky fa risparmiare mediamente alle aziende circa il 4,58%; una delle sue caratteristiche principali, infatti, è che impara costantemente: il suo indice di miglioramento della performance è del +57.93%. Questo rende Becky l’agente virtuale ideale per la definizione delle strategie di approvvigionamento.
INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
di GIGI RIVA
L’autunno caldo di Macron svolta a destra e sfida la piazza
Ifrancesi, per dirla con Paolo Conte, si sono incazzati, hanno già dato una fiammata all’au tunno che si preannuncia cal dissimo e il presidente Emmanuel Macron che fa? Va in televisione e sposta decisamente a destra l’azione di governo, strizza l’occhio ai Répub licains per puntellare la sua maggio ranza traballante, consolida un asse di continuità con il loro fondatore e suo predecessore all’Eliseo Nicolas Sarkozy. Sfida insomma una piazza destinata a farsi bollente nell’inver no di uno scontento diffuso e segna to, come in una gara ad ostacoli, da una serie di crisi: energetica, sociale, politica, climatica. La Francia non si fa mancare nulla e, avendo una lunga tradizione di conflittualità e di panni sporchi che si lavano in pubblico, traccia il possibile destino prossimo venturo di un’Europa che condivide grosso modo gli stessi guai. Assumendo una postura autorita ria, da uomo forte al comando, Ma cron declina la sua visione attraverso alcune parole chiave che, ascoltate da questo lato delle Alpi, suonano fami liari dal 25 settembre scorso in poi: la voro, ordine, merito. E bolla come «ci nica»lasinistrachehapresentatouna mozione di censura al governo racco gliendo il consenso anche della destra lepenista. È questa possibile manovra a tenaglia delle due ali estreme del Parlamento che lo ha convinto a se guire il suggerimento di Sarkozy, or mai quasi un consigliere personale, ed essere più audace. Scopo: consolidare un’alleanza dei moderati per rafforza re un esecutivo fragile e nella convin zione che non ci sarà «né oggi né do mani una maggioranza alternativa».
Ha così usato argomenti che sono musica per le orecchie dei conserva tori preannunciando anzitutto aiuti alle imprese altrimenti costrette a de localizzare causa il prezzo abnorme dell’energia. Non rinuncerà alla ma dre di tutte le battaglie, l’innalzamen to dell’età pensionabile, pur conce dendo che il passaggio dai 62 ai 65 anni non è un dogma di fede e può essere rivisto (a 64?), e dunque si co mincerà a discutere la relativa legge ad inizio 2023. Quanto al merito, la defiscalizzazione ulteriore delle ore straordinarie, in virtù dello slogan «lavorare di più per guadagnare di più» che fu sempre Sarkozy a coniare. Infine la stretta sugli immigrati irre golari, contro i quali saranno indurite le regole e saranno accelerate le prati che di espulsione.
Al contrario che da noi, esiste tut tavia in Francia una sinistra unita in Francia, racchiusa sotto l’acronimo
Nupes (Nuova unione popolare eco nomica e sociale), forte di un ottimo successo elettorale seppur soccom bente sei mesi fa. Una sinistra che è già riuscita a metà ottobre a paraliz zare il Paese con uno sciopero per chiedere aumenti salariali in misura tale da poter neutralizzare l’inflazio ne galoppante. Anche ricorrendo ai proventi della tassazione degli ex tra-profitti delle grandi compagnie petrolifere, a cominciare dalla Total. Sono state le prove di un conflitto lar gamente annunciato e che toccherà il suo acme nel contrasto alla nuova legge sulle pensioni, vissuta come ini qua dai sindacati dei lavoratori. “Ce n’est qu’un debut”, non è che l’inizio, si urlava nel Sessantotto. I paragoni sono sempre zoppi, ma il combinato disposto delle troppe crisi è il terreno fertile per una stagione molto, molto turbolenta.
Prima Pagina 6 novembre 2022 55 Foto: T. Camus –POOL –Afp / GettyImages Il commento
Il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron
di FEDERICA BIANCHI
Il patto immobiliare francese per rifilare un palazzo alla Ue
Quale migliore idea per le gare il fato di Strasburgo, la sonnolenta cittadina alsaziana, a quello del Par lamento europeo dell’acquisto di un nuovo edificio? Il presidente france se Emmanuel Macron è disposto a tutto pur di non farsi sfilare la sede di Strasburgo per le plenarie del Parla mento europeo, soprattutto ora che è chiaro a tutti quanto una seconda sede per l’Eurocamera sia diventata pletorica e inutilmente costosa.
Negli ultimi tre anni una serie di palazzoni tutti acciaio e vetri sono stati costruiti sul terreno antistante all’emiciclo dell’Europarlamento. Qualche marchio celebre, come Adi dads, ha preso a farvi capolino ma il palazzo Osmose, voluto dalle banche del territorio francese con l’approva zione delle autorità locali e regionali, è ancora vuoto. Ed è nuovo di zecca. La presidenza francese intende ven derlo all’Europarlamento e già nella scorsa legislatura i contatti con l’allo ra segretario generale Klaus Welle erano in fase avanzata. L’alleanza di destra tra i gruppi politici di Renew (a cui appartiene En Marche di Macron) e il Ppe, il gruppo più grande del Par lamento, e il placet dei deputati fran cesi potrebbero garantire sia in aula, sia nell’ufficio di presidenza, l’organo che dovrà prendere la decisione fina le, il buon esito del risultato. Per il momento il tentativo dei socialisti nella seconda seduta di ottobre di bloccare la possibilità dell’acquisto di Osmose con un emendamento al bu dget 2023 è stato fermato per 275 voti contro 274.
Certoèchel’acquistodiunulterio re edificio in un momento di crisi in
cipiente, in cui il budget europeo è insufficiente persino a garantire l’in dipendenza energetica del Vecchio Continente, è quantomeno super flua, se non del tutto fuori luogo.
Ecco allora l’idea maliziosa che la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola del Ppe, ha caldeg giato in una lettera, resa pubblica da “Politico”, che nel febbraio 2022 aveva inviato all’allora primo ministro francese Jean Castex: trasformare un altro edificio dell’Eurocamera, il Sal vador de Madriaga, connesso con Winston Churchill, l’edificio collega to a quello principale della plenaria con una passerella sul fiume, in un albergo in cui ospitare i parlamentari durante le trasferte a Strasburgo, «al leviando la pressione sul settore al berghiero». Una specie di ostello di lusso della bolla di Bruxelles. Così si aprirebbe immediatamente la neces sità di un nuovo palazzo da destinare adufficiel’acquistodiOsmosesareb be, almeno sulla carta, giustificato.
«Dicono che sarebbe un’operazio ne a costo zero, uno scambio di edifi
ci», racconta Nils Usakovs, europar lamentare lettone della commissio ne Bilancio: «L’Europarlamento rice verebbe il nuovo edificio Osmose e darebbe quello vecchio a un privato non meglio identificato che lo tra sformerebbe in albergo in cui ospita re gli eurodeputati». In realtà, anche se fosse così, e non è detto perché non c’è ancora trasparenza sui piani del la presidenza, l’Europarlamento do vrebbe spendere almeno 26 milioni di euro solo per la sicurezza del nuo vo edificio e altri 15 per costruire una nuova passerella con cui connetterlo ai vecchi edifici. «Tra l’altro ci vor rebbero oltre dieci minuti a piedi per andare da Osmose a Winston Chur chill», sottolinea Usakovs: «Una per dita di tempo enorme, oltre che uno spreco di soldi». Una pausa. «Che fi guraccia per l’Europarlamento!» In un momento di crisi epocale dimo strerebbe una totale assenza di em patia verso quei cittadini che lo fi nanziano. In barba ad ogni retorica democratica.
6 novembre 2022 57 Prima PaginaQui Bruxelles
Il palazzo Osmose a Strasburgo
Sette anni dopo il Bataclan
Ero giocatore di rugby a Moglia no, in prima divisione italiana. A un passo dalla Laguna da Vene zia, dove i palazzi invecchiano lentamente, rosicchiati dal ma re, dal sale e dal vento.
Sono stato ferito negli attentati del 13 no vembre 2015 a Parigi. Ero tornato a casa per trovare mia sorella e i miei genitori: pochi giorni a Massy nella mia banlieue Sud. Sono stato ferito tre volte da proiettili da guerra. Mia sorella è stata ferita al braccio.
Dopo le nazionali giovanili francesi, a un passo dalla nazionale italiana, quei colpi mi hanno spedito in un mondo sconosciuto, a camminare sul filo della vita.
Ero leader di gioco, parlavo tanto sul cam po, urlavo le direzioni di gioco alla mia squa dra, correvo chilometri come se fossero ter ritori da scoprire. Ho preso una pallottola al polmone. Calciavo un pallone ovale tra due pali per vincere e validare il duro lavoro di tutti. Ho preso due pallottole nelle gambe.
Mia sorella era acrobata di circo, flyer pro
ARTISTA
Rimasto ferito negli attentati di Parigi di sette anni fa culminati nella strage del Bataclan, Aristide Barraud ha detto addio allo sport e si è reinventato artista
I PROIETTILI CHE MI
fessionista, viveva sottosopra. Ha preso una pallottola nell’avambraccio.
Una settimana dopo gli attentati, lei mi ha detto che le prove più difficili capitano a quelli capaci di superarle. Tra interventi e al lenamenti al limite del sopportabile, per un anno e mezzo ho cercato di tornare sul cam po. Alla fine ho rinunciato e non ci sono mai tornato sul campo. Dopo un’intervista al giornale L’Equipe, Le Seuil, una delle case editrici francesi più prestigiose mi ha con vinto a scrivere, e l’ho fatto.
“Mais ne sombre pas”, il mio primo libro è uscito nell’ottobre 2017. Ci ho messo tutto il cuore.Nonèunatestimonianzaclassica,non volevo fermarmi agli attentati. Mi sono con centrato sulla vita, sulle storie che mi hanno dato gli strumenti per continuare a vivere, affrontarla e cercare la pace. Sono cronache che dovevano aiutare altri. Perché viviamo tutti i nostri momenti di demolizione e vole
DI ARISTIDE BARRAUD
vo mettere il mio sasso nel muro, nella bar riera che possiamo costruire collettivamen te, come una base stabile per vivere insieme. Ed è stato un grande successo di critica e di pubblico. Ma, dopo l’onda mediatica, mi sono trovato davanti all’evidenza della di struzione, alle rovine del mio mondo prece dente. Allora sono andato via, sono tornato nell’ombra. Ho vissuto in mezzo all’oceano
58 6 novembre 2022
GIOCATORE DI RUGBY, FERITO NEGLI ATTENTATI DI PARIGI DEL 13 NOVEMBRE 2015, ARISTIDE BARRAUD RACCONTA COME È RINATO. L’ARTE, LA SCRITTURA, LA FOTOGRAFIA E LE BANLIEUE
HANNO CAMBIATO
Atlantico su un’isola con i pescatori o nei bo schi profondi della Francia, nella roulotte guasta che mi ero comprato. Ho vissuto sui tetti di Parigi, di Massy o di Venezia dove tor navo spesso.
Mi trovavo bene sui tetti perché potevo essere nella città ma come all’esterno, tro vando altezza e orizzonte.
Ho capito allora che la scrittura, poco a poco, è diventata la mia vita. Esistevo con una macchina fotografica nella mano, una penna nell’altra, rullini fotografici e libretti in tasca. Ho cominciato a scrivere su tutto, scrivere ancora, scrivere sempre. Andavo di notte nelle strade di Parigi, sui tetti, sui ca mini. Ho messo la stessa determinazione, la stessa disciplina, lo stesso rigore che mette vo in pratica come giocatore.
A dicembre 2019 questo lavoro è stato notato dall’artista JR: mi ha selezionato per la sua sezione nella scuola “Kourtrajmé” crea-
ATTACCHI
Una giovane coppia si abbraccia in uno dei tanti luoghi commemorativi improvvisati nei punti in cui sono avvenute le atrocità dell’Isis, il 13 novembre 2015
ta dal regista Ladj Ly un anno prima. Eravamo 1.600 candidati, siamo stati 12 alla fine, meno di una squadra di rugby. È stato un regalo del destino perché dopo una vita di squadra, mi sentivo da solo con i miei progetti, con i miei dubbi. Lì, per 9 mesi, sono stato a contatto con pittori, disegnatori, fo tografi di grande talento. Solo due avevano letto il mio libro, sapevano del mio passato. Gli altri mi hanno incontrato come un ra gazzo di 30 anni, affamato di tutto quello che si presentava.
È stato come vivere un altro diciottesimo anno. Quando il mondo si apre davanti a te, quando le barriere sono la tua paura e la mancanza di esperienza.
Io però, ero a mio agio con le mie paure e quanto all’esperienza avevo vissuto successi e sconfitte formatrici. Ero pronto per questa nuova vita.
Il primo giorno di scuola ho alzato gli
6 novembre 2022 59 Prima Pagina Foto: T. Pilston / Panos, Contour / Getty Images
Sette anni dopo il Bataclan
occhi verso il cielo ho visto un palazzo gigante della periferia Nord di Parigi. De serto, quasi dimenticato, già vuotato del suo mobilio. Era il B5, palazzo 5 del quar tiere “Les Bosquets” a Montfermeil (93), ultimo delle 12 barre di costruzione origi nale. Quartiere utopico degli anni ’60, di ventato in quattro decenni un ghetto fran cese. Quel primo giorno, dopo le lezioni, ci sono entrato.
E nell’inverno 2020 mi sono introdotto nel cantiere come un fantasma, mi sono mi schiato con gli operai demolitori, avendo fe de nella mia stella e nella mia fortuna. Sono stato con loro per giorni: si spaccavano il corpo a rompere, caricare, buttare per uno stipendio misero.
Non ho cercato di creare amicizie, sono solo stato lì, silenzioso con loro. Ma le rovine hanno questo potere di unire le persone che si riconoscono. Dopo ore di conversazioni nei piani senza finestre, nel vento glaciale, mi sono accorto che una grande parte di lo ro era cresciuta in questo palazzo. Distrug gevano la casa della loro infanza. Ho fotogra fato alcuni di loro nei salotti, nelle camere dove le loro famiglie vivevano ancora poco tempo fa. Tutto con la pellicola, in bianco e nero. Ho fatto delle stampe di grandi dimen sioni e abbiamo fatto dei collage di queste immagini nelle stanze.
Io scrivevo sui muri e dal mese di luglio 2020, il palazzo è diventato una mostra gigante di 10 piani. Con i ragazzi del quartiere, ex abitanti del palazzo, schivavamo la vigilanza e di notte salivamo sul tetto con pennelli e pennarelli per scrivere intorno ai collage. All’inizio pochi scrivevano ma, piano piano, imuri sono diventati neri di parole scagliate come delle frecce nel vento cal do dell’estate. Guardavamo il tramonto prima di iniziare a parlare del passato, delle nostre vite, di tutte le vite del B5.
In autunno, una macchina di trenta metri e stata posizionata nel cantiere del palazzo 5, come l’angelo della morte. Lo spuntino del palazzo è iniziato cosi, con un morso solo, poi due, poi tre. Allora tutte le opere che ave vo creato in 10 mesi apparivano poiché Ie pareti cadevano per terra.
In quel momento preciso ho sentito che dentro di me le rovine si erano già riequili brate in una forma piacevole. Ho sentito che la distruzione si allontanava.
Non avevo anticipato nulla, non ho
“SIAMO SOPRAVVISSUTI NON REDUCI PER SEMPRE”
LEONARDO PETRINI DA PARIGI
Passeggiando lungo Boulevard Voltaire a Parigi in questi giorni viene spontaneo lanciare un’occhiata all’insegna luminosa all’entrata del Bataclan, dove sfilano i nomi degli artisti pronti a esibirsi nel teatro le prossime settimane. Sono tanti, a dimostrazione che qui il tempo non si è fermato il 13 novembre 2015, quando 90 persone furono uccise da un commando armato di tre terroristi legati all’Isis in una sala piena per il concerto degli Eagles of Death Metal (Eodm). Quella sera gli attentati di matrice islamica a Parigi furono diversi. Tre esplosioni intorno allo Stade de France - dove era in corso un’amichevole tra i Bleues e la Germania - e sei sparatorie in diversi luoghi pubblici della città. In totale 130 morti e 368 feriti. Oggi molti dei sopravvissuti agli attacchi, nonostante momenti difficili, sono tornati alla normalità.
60 6 novembre 2022
DI
Tra loro c’è Natasha, reduce del Bataclan. L’incontro con questa 45enne francese di origini italiane dai capelli biondi avviene al bar di un ostello al confine nord di Parigi. Nel 2015 Natasha lavorava in una biblioteca come responsabile della programmazione culturale. Fuori dall’ufficio, una festaiola appassionata di musica e concerti. Il 13 novembre allo show degli Eodm ci va con quello che all’epoca era suo marito. Dalla balconata del primo piano, è lui il primo tra i due a sentire gli spari in fondo alla sala. La coppia si barrica in un camerino assieme a una trentina di persone. Trascorrono due ore e mezza prima dell’intervento della polizia, con i terroristi e gli ostaggi nel corridoio accanto. Le prime due settimane dopo l’attentato Natasha le passa chiusa in casa con le tende tirate. Dopo venti giorni il ritorno al lavoro, ma «non ero più concentrata e perdevo sempre più peso». A giugno 2014 il suo capo le concede un mese di ferie. E invece in biblioteca non ci torna più. Il periodo di pausa dura due anni, nei quali fa la spola tra Francia e Regno Unito. «L’Inghilterra mi faceva sentire bene. Avevo bisogno di scappare da Parigi, dove ogni cosa mi riportava con la mente all’attentato». Si rifugia nel silenzio fino al 2021; poi l’incontro con un fotografo che le scatena dentro la voglia di parlare. Oggi Natasha ha un’altra vita. I concerti non li frequenta spesso e se ci va si assicura di essere vicino all’uscita di sicurezza. Ha un’energia ritrovata
grazie a una figlia di quattro anni e un nuovo impiego da tatuatrice. «Per me aiutare le persone a esprimersi con il proprio corpo è una terapia». Al Bataclan però non ci ha più messo piede. Ci passa davanti solo il 13 novembre di ogni anno per la cerimonia di commemorazione. Chi invece è tornato nella sala è Arthur Dénouveaux. Parigino dalla nascita, questo 36enne dagli occhi azzurri e la barba incolta lavora in una società mutualistica ed è presidente di “Life for Paris”, associazione delle vittime degli attentati del 13 novembre. Lui è tra quelli riusciti a scappare dal Bataclan poco dopo l’apertura del fuoco da parte dei terroristi. Sorseggiando un succo di pomodoro al tavolo di un bar a Saint-Lazare, parla di «dieci minuti che hanno stravolto tutto». A ferirlo di più nei mesi successivi è lo sguardo dei colleghi sul lavoro. «Ho avvertito un cambiamento. Un momento prima sei considerato valido. Quello dopo si chiedono se si possa fare affidamento su di te». Ad agosto 2016 lascia il posto in banca per il bisogno di ripartire da zero. E in questo senso Life for Paris gli cambia la vita. Nata come spazio di dialogo per le persone coinvolte negli attentati del 13 novembre, l’associazione si prefigge ben presto diversi obiettivi: un processo giusto, il risarcimento alle vittime, un aiuto psicologico adeguato e la costruzione della memoria collettiva. Nel 2019 Arthur ne diventa l’uomo in prima linea. «Si parla spesso del senso
6 novembre 2022 61 Prima Pagina Foto: A. Fillon / Hans Lucas / Contrasto, T. Munita / NYT / Contrasto
Un memoriale sorto spontaneamente per le vittime dell'attacco terroristico fuori dal ristorante Le Carillon a Parigi. A sinistra, il Bataclan
RAFFO ART COMMUNICATION ROMA
Sette anni dopo il Bataclan
calcolato nulla, ho solo iniziato un pro getto artistico mentre non sapevo neanche cosa fosse. Me lo insegnava JR ogni giorno, come un maestro di un’altra epoca. Era sempre presente per rispondere alle mie domande, chiarire i dubbi, aprire altre stra de, farmi incontrare persone giuste. Ho re alizzato un film di venti minuti su questo progetto, è stato scelto per alcuni film festi val nei prossimi mesi. Si chiama “Courte Vie Pleine”, breve vita piena, perché il B5 aveva solo 56 anni d’esistenza alla sua fine. Aveva conosciuto così tanta gente, aveva accolto così tante storie umane, il quotidia no di un quartiere povero, drammi e mo menti di felicità.
MI SONO INFILTRATO E SONO POI
STATO AL FIANCO DEGLI OPERAI CHE LAVORAVANO ALLA DEMOLIZIONE DE LES BOSQUETS. NE È NATO UN ALLESTIMENTO TRA LE ROVINE E NELLA POLVERE
Ho scritto un libro di scrittura e di fotografie. È uscito un mese fa in Francia con la mia casa editrice, “Le Seuil”, che mi dà fiducia.
Sono nell’età in cui dovrei comunque uscire dal campo di rugby. Sono felice della mia breve vita piena, felice di ogni giorno, sempre architetto del mio destino. Non ho paura di niente perché credo sempre nella mia capacità di trasformazione. Anche se lo sceneggiatore della mia storia ha troppa im maginazione.
Questo mese inizio un romanzo che ho nella testa e nei miei taccuini da cinque an ni. Questa scrittura sarà un momento di ve rità. Sono tornato a vivere in Italia, a Vene zia, dove i palazzi invecchiano lentamente, rosicchiati dal mare, dal sale e dal vento.
La settimana scorsa, all’uscita del mio li bro, mia sorella mi ha scritto una lettera col nostro motto: «C’è quello che ci accade e quello che ne facciamo».
Io, quello che faccio è rinascere dalla pol vere, rinascere dal peggio. E credo tanto in noi. Noi tutti. Io e gli altri.
di colpevolezza dei sopravvissuti. In me si è formato invece il senso di responsabilità». Per il ruolo avuto in questi anni, è stato spesso dipinto come un eroe, ma la cosa gli crea fastidio. «Io sono una vittima come gli altri. Nel 2015 ero un qualsiasi 29enne nel pieno di una vita serena. Ero ottimista e spensierato. Quella spensieratezza l’attentato me l’ha tolta per sempre», precisa. Oggi Arthur vuole archiviare la tragedia del Bataclan. In questo percorso lo ha aiutato il processo. «Inizialmente ho pensato di non testimoniare. Poi ho cambiato idea. Non volevo diventasse il processo dei terroristi. La voce delle vittime doveva essere la più importante». E lo aiuterà lo scioglimento di Life for Paris, previsto nel 2025. «Una volta raggiunti tutti gli obiettivi, bisogna capire che è ok dire basta. Fermarsi è il più grande dei traguardi». La stessa voglia di chiudere i conti con quel passato ce l’ha David Fritz Goeppinger, un altro dei sopravvissuti. L’appuntamento con lui è in una brasserie davanti al tribunale di Parigi. Di origine cilena, cresciuto nella periferia sud della capitale francese, nella vita fa il fotografo e lo scrittore. Ma a novembre 2015, al tempo 23 anni, lavorava come barman nel quinto arrondissement. Ripensando a quel periodo, si definisce «un ragazzino sul punto di assaporare la libertà della vita adulta». La sera del 13 David rimane bloccato al Bataclan per quasi tre ore come ostaggio e viene costretto a collaborare
con i terroristi. I primi mesi dopo l’attentato si accorge di dover rimettere tutto in gioco. Lascia il lavoro e casa dei suoi genitori, poi comincia a vedere uno psicologo. Come lui tanti altri. Secondo un’inchiesta dell’Agenzia nazionale per la salute pubblica francese, ha intrapreso la terapia il 67 per cento delle vittime dirette di quegli attentati, toccate nel 54 per cento dei casi da disturbo da stress post traumatico. Nel 2017 David torna a fare il fotografo e scopre la passione per la scrittura, coronata nel 2019 con la pubblicazione di un libro sulla sua esperienza al Bataclan. Il processo, durante il quale ha la possibilità di redigere un diario di bordo dei mesi in aula per France Info, segna nella sua vita un punto di svolta. «Dopo anni di testimonianze per la prima volta c’era la giustizia ad ascoltare dall’altra parte». E la sentenza che il 29 giugno 2022 condanna Salah Abdeslam all’ergastolo senza sconti di pena e riconosce colpevoli altre 18 persone ha per lui il sapore della liberazione. Il marchio della vittima, però, se lo sente ancora addosso. «È impossibile toglierselo ma io non mi considero più tale. Quello della vittima non è un’identità, è uno status». A dicembre, David volerà in Patagonia con i suoi amici. Un viaggio previsto poco dopo l’attentato ma sempre rimandato. Ne parla con l’aria di chi non vede l’ora. «Si chiude un ciclo», dice sorridendo.
Prima Pagina 6 novembre 2022 63
IL TERRORE CASA PER CASA
DI SABATO ANGIERI
Gli ucraini ora parlano di «guerra del terrore» ma l’e spressione si è caricata di una valenza simbolica tal mente forte da trascendere il semplice richiamo alla paura. Il terrore è quello della minaccia nucleare, di restare senza corrente, né gas né acqua ora che l’inverno è alle porte e il clima rigido si imporrà come un nuovo ne mico, quello dei bambini nei rifugi al buio sotto le bombe, ma anche quello degli at tacchi inattesi, dei palazzi sventrati e del le infrastrutture pubbliche diventate ber sagli. E la cosa più singolare è che ogni volta che uno Stato vuole accusare qual cuno o qualcosa di sovvertire la conviven za civile o il cosiddetto ordine democrati co, evoca il terrorismo. Lo stanno facendo gli uomini dell’Ayatollah Khamenei in Iran, escludendo accu ratamente da ogni discor so pubblico i riferimenti alle proteste o al malcon tento popolare. «Sono ter roristi stranieri», dice Khamenei, e come per uno
Una donna a Kiev davanti al memoriale per i soldati del battaglione Azov uccisi in combattimento dall'inizio dell'invasione russa
strano potere semantico, tutto il discorso rientra in un alveo già noto fatto di repres sione, infiltrati e proclami retorici.
Allo stesso modo si esprime il presidente russo Vladimir Putin accusando gli ucraini di atti di terrorismo contro il ponte di Crimea, la base della marina militare di Sebastopoli o le città del Donbass separatista. Il «regime ucraino» lo chiama Putin, quando vuole sottolineare l’illegitti mità delle azioni di Kiev, «dal 2014 opera contro la nostra gente». Peccato che quella stessa gente che il leader del Cremlino definisce «sua» da otto anni vive in una terra di confine ed è usata da Mosca solo come pedina in un gioco molto più ampio.
Per gli ucraini è diverso, innanzitutto perché sono le città del vasto territorio di Kiev a essere bombardate e non quelle russe. In secondo luogo, per le ricadute che questi attacchi hanno sulla vita quotidiana di milioni di persone e sul loro futuro prossimo. Pensare di dover affrontare i freddi mesi invernali avvolti in strati di coperte dentro cantine umide o garage scalcinati metterebbe a dura prova la resistenza psicologica di chiunque. Anche perché la consapevolezza che dopo nove mesi di guerra il peggio deve ancora venire è un’idea avvilente che succhierebbe ogni goccia di energia da chiunque, dopo aver spremuto la rabbia e l’odio da quanti riescono ancora a permettersela.
Dunque, una prima conclusione è che il cambio di strategia russo ha buone pro babilità di dimostrarsi efficace. Bombar dare le centrali elettriche, le sottostazioni urbane, gli snodi principali della rete
64 6 novembre 2022 Foto: F. O'Reilly / NYT / Contrasto Il
conflitto in Ucraina
Sabato
Angieri Giornalista
IL CAMBIO DI STRATEGIA RUSSO PREVEDE DI SEMINARE IL PANICO LONTANO DAL FRONTE. PER FIACCARE LA RESISTENZA NELLE CITTÀ E MINARE LE CAPACITÀ PRODUTTIVE DI KIEV
6 novembre 2022 65 Prima Pagina
Il conflitto in Ucraina
del gas, le condutture dell’acqua spa venterà la popolazione civile ucraina e ne fiaccherà il morale (nonostante le dichia razioni dei politici di Kiev). Tutto ciò è inevitabile. Se finora un ucraino di Leopo li, di Ivano-Frankivsk, o di Ternopil aveva della guerra un’esperienza diretta piutto sto scarsa, fatta principalmente di notizie dai media o dagli affetti coinvolti nelle forze armate e da pochi bombardamenti sporadici nel corso dei mesi; se questo stesso ucraino poteva dire «resisteremo fino alla fine» perché il fronte si trovava a migliaia di chilometri, ora tutto cam bierà. L’obiettivo dei russi e del nuovo co mandante in capo delle forze congiunte che operano in Ucraina, Sergey Surovikin, è palese: portare la guerra nelle case di tutti gli ucraini, soprattutto di coloro i quali finora hanno sorretto la fragile eco nomia del Paese.
Il presidente Zelensky dopo le armi ha iniziato a chiedere sempre più insistentemente i soldi. Almeno 17 miliardi di dollari subito e tra i 2 e i 3 miliardi al mese per non far crollare tutto. «Ne abbiamo bisogno adesso», ha sbottato il carismatico capo di Stato nei giorni scorsi a margine di un incontro internazionale. Forse perché, al netto della necessità di tenere alto il morale dei suoi uomini al fronte e dei milioni di civili dai Carpazi a Kharkiv, il governo di Kiev sa che per quanto impietosa la nuova strategia dei russi potrebbe scatenare una serie di reazioni a catena negative che avrebbero, giocoforza, ripercussioni anche sul campo di battaglia.
Diversi media hanno presentato il massiccio bombardamento di lunedì 31 ottobre come una risposta all’attacco alla flotta russa del Mar Nero di stanza a Sebastopoli. A Mosca hanno accusato direttamente Kiev dell’attacco, puntando il dito anche contro l’intelligence britannica. Per la controparte si è trattato di un errore delle truppe russe impegnate nella manutenzione, anche se stavolta il coinvolgimento ucraino è sembrato palese fin dall’inizio. Sia come sia, secondo un comunicato ufficiale del ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, «tutti gli obiettivi designati sono stati colpiti». Il che rende evidente che il bersaglio dei missili russi fossero effettivamente le infrastrutture energetiche ucraine. Si consideri che an
IL TEST
Un fotogramma del video pubblicato dal servizio stampa del ministero della Difesa mercoledì 26 ottobre 2022 sull’esercitazione nucleare russa con il lancio di un missile dal sito di Plesetsk, nella Russia nordoccidentale. Accanto, il ministro della Difesa Sergei Shoigu, il presidente russo Vladimir Putin e il capo di stato maggiore Valery Gerasimov
che l’attacco del 10 ottobre, il primo su larga scala di questa nuova fase, era stato considerato da molti una risposta all’esplosione del ponte sullo stretto di Kerch che collega la Crimea alla Russia continentale. Tuttavia, molto probabilmente, Mosca aveva già in mente di operare questo cambio di strategia al fine di fiaccare la resistenza nelle città lontane dal fronte e di minare le capacità produttive del Paese nemico. Possiamo dire che la tattica sta funzionando: i civili sono tornati a vivere nei rifugi sotterranei e i proprietari delle attività commerciali che avevano gradualmente ripreso l’attività si sono convinti in fretta a richiudere i battenti. Per quanto riguarda l’economia nazionale già provata da quasi nove mesi di guerra, il danneggiamento delle reti infrastruttura li primarie di acqua e corrente impone una serie di priorità nella spesa del governo di Zelensky che non possono che aggravare la situazione dell’erario.
Uno dei giganti dell’energia ucraina, l’azienda Dtek, è stata pesantemente colpita dagli attacchi russi che qualche settimana
66 6 novembre 2022
fa ne hanno preso di mira la sede centrale a Kiev. Ora, il direttore esecutivo, Dmytro Sakharuk, ha fatto sapere di aver esaurito le scorte di attrezzature per la riparazione della rete elettrica. Dopo aver dichiarato danni per oltre 40 milioni di dollari, Sakharuk ha affermato che «il costo delle attrezzature ora si aggira sulle centinaia di milioni di dollari». Anche la ditta pubblica nazionale Ukrenergo ha annunciato difficoltà simili ma si è soffermata di più sui tempi necessari alle riparazioni e sul fatto che in futuro le interruzioni di corrente dureranno di più. Per questo, il governo ucraino, dal leader ai ministri, continua ad accusare il Cremlino di essere uno «Stato terrorista» e chiede al mondo di riconoscere questo status a livello giuridico internazionale.
Anche perché la Russia non si perita af fatto di minacciare Kiev o l’Occidente che se la situazione dovesse farsi insostenibile e «la sopravvivenza stessa della Federa zione russa messa in pericolo», il ricorso all’arsenale nucleare sarebbe legittimo. Si tratta dello spauracchio definitivo del ter
rore, è evidente; la minaccia della distru zione di massa e dell’escalation globale. Ma il potere «deterrente» delle testate nu cleari è anche questo, la capacità di inci dere nella realtà pur venendo solo evoca te. Dopo aver trascorso la fine dell’estate in apprensione per quella che sembrava una corsa sempre più spedita verso la mi naccia nucleare, a fine ottobre lo stato maggiore russo ha effettuato dei test di lancio in puro stile Guerra fredda. Gli americani non si sono troppo scomposti: «Si trattava di operazioni di routine e ne eravamo stati avvisati», ha dichiarato Ned Price, il portavoce del dipartimento di Stato Usa. Tuttavia, dall’altro lato dell’Oceano il presidente americano Joe Biden non ha fatto altro che ripetere in ogni occasione possibile ammonimenti più o meno minacciosi al suo omologo russo. Nel frattempo, sui media interna zionali si legge che gli Usa potrebbero an ticipare dalla primavera prossima alla fi ne di quest’anno l’arrivo in Romania e Polonia della nuova versione delle bombe a gravità B61-12. Il che rappresenta una minaccia nei fatti. Ma stranamente, nella sua ultima uscita pubblica, il presidente Putin ha dichiarato che «non c’è alcun bi sogno di usare armi nucleari al momento, né dal punto di vista militare né da quello politico». Sappiamo che potrebbe trattar si solo di una mossa mediatica, come quando si definivano le esercitazioni al confine con l’Ucraina «manovre militari di routine» lo scorso inverno.
Tuttavia, al di là delle previsioni sugli svi luppi del conflitto, c’è un pericolo immi nente con il 40 per cento delle infrastruttu re energetiche ucraine inutilizzabili e deci ne di migliaia di nuovi coscritti in arrivo sui fronti, mentre Surovikin tenta di rende re tutto il territorio ucraino simile a ciò che è stato il Donbass per anni.
6 novembre 2022 67 Prima Pagina Foto:Ap / La Presse, M. Klimentyev –Sputnik / Getty Images
ACCANTO ALLA MINACCIA NUCLEARE, SI FA LARGO LA PAURA DI RESTARE SENZA CORRENTE, NÉ GAS NÉ ACQUA. CON L’INVERNO ALLE PORTE E IL CLIMA RIGIDO COME UN NUOVO NEMICO
Settimane 28, 29 e 30
La Russia ci ha rubato la nostra vita... Risuona netta la condanna di K., giornalista ucraina, una delle protagoniste di “Diaries of war”, il diario illustrato da Nora Krug, che L’Espresso ha pubblicato in esclusiva per l’Italia, insieme ad altre testate internazionali. Un resoconto a due voci: da una parte una giornalista di Kiev, che ha trasferito la sua famiglia in Danimarca e faticosamente tenta di recuperare normalità in mezzo alla guerra; dall’altra
D., artista di San Pietroburgo, contrario al conflitto e anzi preoccupato di come mantenere la sua libertà e quella dei suoi bambini in un Paese che porterà in sé, per sempre, la macchia di invasore. Riaprono le scuole e, a distanza, i due personaggi si specchiano: solo tre bambini ucraini su 10 ritorneranno a scuola. In Russia, invece, a scuola si insegna patriottismo e nazionalismo. Frammenti di un presente complesso. E di un work in progress che Krug
spiega a L’Espresso così: «Non ho mai lavorato in un modo tanto immediato: catturare una storia che accade in tempo reale, senza sapere cosa accadrà subito dopo. Posso solo rappresentare un momento specifico nel tempo: un disegno è un’istantanea di vita. Ma questo far luce sull'immediato è un modo per mostrare gli effetti a lungo termine che la guerra ha sugli uomini».
(SabinaMinardi)
68 6 novembre 2022
Foto: Nina Subin Graphic novel
Strategie militari
SE L’AMERICA CHIUDE I RUBINETTI
s long as it takes». Se questo mantra continua a tuonare nei corridoi della Casa Bian ca, l’eco della promessa di sostegno «fino a quando sarà necessario», nelle ultime set timane, arriva flebile in Ucraina. Kiev teme i risultati che usciranno dalle urne americane, in occasione delle elezioni di metà mandato per il rinnovo del Congresso. I sondaggi par lano di un’onda rossa e prevedono che i re pubblicani non solo riprenderanno la mag gioranza alla Camera, ma avranno buone chance anche al Senato.
In dubbio non c’è il sostegno bipartisan all’Ucraina nel breve periodo, ma la tenuta e la consistenza dell’impegno se i tempi della guerra dovessero allungarsi. All’interno del partito repubblicano aumentano le voci che chiedono conto degli ingenti finanziamenti elargiti finora dagli Usa. La minaccia di non firmare «assegni in bianco», come ha detto Kevin McCarthy, leader della minoranza alla Camera, lasciando intendere la chiusura dei rubinetti, non è più una posizione isolata. E la contingenza economica incalza: l’inflazio ne molto alta sta piegando gli statunitensi e la loro solidarietà.
Sin dai primi giorni dell’invasione della Russia, Washington ha garantito il suo soste
CON LE ELEZIONI DI METÀ MANDATO, NEGLI USA CRESCONO DUBBI E MALUMORI SULLA PORTATA DEL SOSTEGNO DA FORNIRE ALL'UCRAINA QUALORA L'INVASIONE RUSSA SI PROLUNGASSE
gno al presidente ucraino Zelensky impe gnando per la causa quasi 60 miliardi di dol lari, tra cui 18 in materiale bellico. Ultimo, un pacchetto da 275 milioni costituito soprat tutto da munizioni aggiuntive per le armi già in loco, compresi gli Himars, i sistemi missili stici ad alta mobilità.
«Hanno detto che se vinceranno, non con tinueranno a finanziare l’Ucraina contro i russi. Questa gente non capisce. È una que stione molto più grande dell’Ucraina: è l’Eu ropa orientale. È la Nato», ha ammonito il
72 6 novembre 2022
DA
A DI MANUELA CAVALIERI E DONATELLA MULVONI
WASHINGTON DC
presidente americano Biden, durante una raccolta fondi a pochi giorni dalle elezioni. In realtà, otto mesi di guerra qualche dubbio lo hanno insinuato anche in alcuni legislatori democratici. Ha creato imbarazzo l’appello per negoziazioni dirette con Mosca di una trentina di deputati progressisti, firmatari di una lettera poi ritirata a seguito delle sconta te rimostranze della Casa Bianca.
La domanda riguarda la strategia in Ucrai na, in una guerra che si teme possa diventare infinita. Ci si interroga su un piano dai con torni sfumati, data l’imprevedibilità di un av versario come Putin. L’impegno di Biden, comunque, non conosce tentennamenti e supera di gran lunga quello dei predecessori. Obama, ad esempio, nella crisi del 2014 si era rifiutato di fornire armi letali agli ucraini, puntando invece all’addestramento. Trump, pur sbracciandosi per migliorare le relazioni con Mosca, aveva approvato un pacchetto di aiuti e l’invio di missili Javelin anticarro. Ma
Bandiere dell’Ucraina, dell’Unione europea, degli Stati Uniti d’America e della Nato sventolano a Washington Square Park, a New York, durante una manifestazione del febbraio scorso contro l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia
aveva incluso la richiesta di un “favore” a Ze lensky, quello di indagare su Hunter, figlio di Biden, e i suoi rapporti con la società energe tica ucraina Burisma. Operazione costatagli un impeachment nel 2019.
«La stanchezza dell’opinione pubblica inizia a farsi sentire. In realtà, pensavo che sarebbe arrivata prima, sono molto sorpre so della solidarietà che hanno espresso gli americani», ci dice Sean McFate, esperto di strategie militari dell’Atlantic Council: «Le questioni interne influiranno, così come potrebbero diventare un problema i rifugia ti ucraini che iniziano a stabilirsi nel nostro Paese. E se poi all’America venisse chiesto di pagare il conto del riscaldamento dell’Euro pa? L’inverno non aiuta».
Ma soprattutto non aiutano le minacce di un attacco nucleare arrivate direttamente dalla bocca del presidente russo Putin. E neanche la risposta nebulosa di Biden, «il rischio Armageddon» che evoca la catastrofe atomica.
«La Casa Bianca vuole comunicare al mondo di avere la situazione sotto controllo. Però credo che nello Studio Ovale sia ancora vivo un dibattito con posizioni molto diver se», precisa McFate: «È difficile fare previsio ni. In Russia l’azione nucleare non dipende dalla decisione di un’istituzione politica, ma di un solo essere umano. E nessuno può en trare nella testa di Putin. Sono pericolose, però, le posizioni avventate. Ad esempio, quella del generale in pensione David Petra eus, che ha ipotizzato che in caso di attacco nucleare potremmo distruggere le loro forze armate e le flotte sul Mar Ne ro. E se poi la Russia lancias se bombe atomiche su Wa shington e New York?».
Di «conseguenze cata strofiche» per la Russia ha parlato il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sul livan. L’ultima diffida di que sta portata risale a ses sant’anni fa, quando Kenne dy garantì che qualsiasi mis sile balistico lanciato da Cuba sarebbe stato conside rato un attacco sovietico agli Usa. L’espressione conse guenze catastrofiche sem bra includere qualsiasi cosa, dai gravi danni all’econo
6 novembre 2022 73 Prima Pagina Foto: Erica Lansner / redux Pictures / Contrasto
Manuela Cavalieri Giornalista
Donatella Mulvoni Giornalista
mia russa agli attacchi militari sul territo rio, sottolinea su “Foreign Policy” Michael Auslin, ricercatore della Stanford University: «Questa ambiguità strategica di astenersi dal rivelare specificamente dove, quando e quale sarà la risposta scelta da Washington è una tattica consolidata, progettata per creare in certezza e rafforzare la deterrenza. Questo approccio è stato adottato soprattutto in re lazione a Taiwan: non sapendo come reagi ranno gli Stati Uniti, è difficile per la Cina calcolare i propri rischi. Dal punto di vista della deterrenza classica, togliere l’opzione nucleare dal tavolo indebolisce la posizione degli Stati Uniti, perché, se Putin non teme una risposta equivalente, potrebbe decidere che il rischio vale la pena».
Ad aumentare gli interrogativi è il piano sulla National Defense Strategy - presentato nei giorni scorsi dal Pentagono - in cui la Russia viene definita «minaccia acuta». La classificazione sembra far pensare a un ridi mensionamento del problema. Arrivato do po mesi di ritardo, il documento, invece, descrive come «sfida a lungo termine» quella cinese, con Pechino pronta a raggiungere circa 1.000 testate nucleari entro il 2030. Emerge un dato fondamentale: gli Stati Uniti abbandonano la dottrina del «no first use» e non escludono di usare per primi le armi nucleari.
La National Defense Strategy non soddisfa i repubblicani, che lanciano l’allarme sull’ef fettivo stato di salute della forza militare
americana. Debole, secondo la classifica dell’Index of U.S. Military Strength, il rappor to per il 2023 che gira tra le scrivanie di media e politici di destra. A stilarlo è il think tank conservatore Heritage Foundation. «L’eser cito americano rischia sempre più di non es sere in grado di soddisfare le esigenze di dife sa degli interessi nazionali vitali dell’Ameri ca, logica conseguenza di anni di finanzia menti insufficienti, di priorità mal definite», si legge. L’indebolimento sarebbe evidente soprattutto per marina e aeronautica.
«Se fossimo coinvolti attivamente in una guerra in Europa saremmo pronti, però non saremmo capaci di fare nient’altro nel mon do e questo potrebbe dare l’opportunità alla Cina di invadere Taiwan o alla Corea del Nord di attaccare quella del Sud. L’amministrazio ne Biden continua a promettere supporto a tutti, ma dobbiamo aumentare il budget per
WASHINGTON VUOLE COMUNICARE AL MONDO DI AVERE LA SITUAZIONE SOTTO CONTROLLO, MA NON È CHIARO
QUALE
SAREBBE LA SUA RISPOSTA IN CASO DI AZIONE NUCLEARE DA PARTE DI MOSCA
L'ANNIVERSARIO
Il presidente degli Stati Uniti d'America, Joe Biden, ricorda l'assalto al Congresso a un anno di distanza parlando nella sala delle Statue di Capitol Hill, a Washington. Un assalto che definisce come insurrezione armata contro la democrazia
la difesa», ci spiega Dakota Wood, ex ufficiale e oggi responsabile delle ricerche dell’Herita ge Foundation nel settore della difesa.
In realtà, il budget è già ingente: ogni anno vengono spesi oltre 700 miliardi. «L’America è ancora una grande potenza mondiale. Ma per l’Heritage Foundation il concetto di guerra è fermo all’era giurassica», replica McFate. La verità è che i numeri non rendono la reale forza.
«Dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli Usa hanno portato a casa pochi risultati. Se bastasse la forza militare, non si spiega perché non abbiamo sconfitto i talebani, non abbiamo vinto in Iraq o in Vietnam contro uomini in ciabatte». Non si vincono le guerre non convenzionali con armi e strategie convenzionali. «Sappiamo che è fondamen tale la cyber security, che l’America deve migliorare, il ruolo della disinformazione, la gestione della strumentalizzazione di pro blemi come quello dei migranti, solo per fare alcuni esempi».
74 6 novembre 2022 Foto:
Pool via CNP / Agf
Drew Angerer
Prima Pagina Strategie militari
I GIGLI DI NOLA TRA FOLKLORE E CULTO: L’EVENTO NOLANO CONQUISTA PROCIDA
Da lunedì 17 fino a Domenica 23 Ottobre, Piazza Marina Grande nell'isola di Arturo ha ospitato i momenti culturali e di intrattenimento legati alla Festa dei Gigli di Nola. Un evento reso possibile grazie alla sinergia tra il Comune bruniano, l'Associazione Festa Eterna – Mamma Nola, la Fondazione Festa dei Gigli e tutte le associazioni locali grazie al Protocollo d’Intesa siglato tra le due città. Sette giorni ricchi di attività e di promozione della Festa Eterna affidate eccezionalmente a un gruppo di giovanissimi diciottenni, destinatari di una borsa di studio speciale per aver ottenuto il massimo dei voti all'esame di maturità lo scorso mese di luglio. La borsa di studio è stata interamente finanziata da Associazione Mamma Nola. Per tutto il periodo di permanenza sull'isola sono stati loro gli “Ambasciatori delle tradizioni culturali nolane”. Sono state tre le tavole rotonde che hanno animato il dibattito culturale sulla Festa, grazie a relatori impegnati in campo universitario e della ricerca, esponenti politici locali e re gionali con le preziose testimonianze dei protagonisti della kermesse nolana, come capi paranza, musicisti, cantanti e cartapestai. Mercoledì 19 Ottobre ha preso ufficialmente il via la settimana di eventi dedicati alla città di San Paolino nell'ambito delle iniziative di "Procida Capitale della Cultura 2022". Piazza Marina Grande si è trasformata in un salotto culturale con dibattiti e confronti stimolati dai protagonisti della Festa, a cui hanno preso parte anche Carlo Buonauro, Sindaco di Nola, Leonardo Costagliola, Assessore al Turismo del Comune di Procida, i rappresentanti delle associazioni dell'isola e membri del mondo universitario, di studio e ricerca e del settore turistico regionale.
Lo stesso giorno si è tenuta la prima Tavola rotonda: “Valorizzazione e tutela della car tapesta” alla quale ha partecipato la dott.ssa Nadia Murolo, Dirigente Politiche Culturali della Regione Campania, Prof. Saverio Carillo, docente Università Luigi Vanvitelli e la dott. ssa Paola Pagliuca di Fondazione I.T.S. BACT Napoli. L’appuntamento è stato moderato da Stefania Sirignano di Radio Punto Zero. Giovedì 20 Ottobre si è svolta la seconda Tavola rotonda: “La Tradizione popolare –Corporazione, Cullatori, Paranze”. Hanno partecipato Antonio Napolitano, Tino Simo netti; i capi paranza Lello Guerriero, Francesco Pollicino, Luca Iorio e Felice Aruta; Ciccio Franzese, Presidente Corporazione storica degli Ortolani con la presenza del gonfalone centenario; le botteghe d’arte Tudisco e Nal; il Priore Matteo Germinario della Congrega dei Turchini e Giuseppe Lavadera, Pres. Ass. “L’isola dei Misteri” di Procida. Ha moderato l’incontro Alberto Isidoro di Videonola.
Venerdì 21 Ottobre è stata organizzata la terza Tavola rotonda: “La Festa dei Gigli di
Nola, in onore di San Paolino”
ca, simbolo della Festa, che è rimasta esposta per l’intera settimana. Si è tenuta anche una mostra dedicata agli obelischi di legno e cartapesta con le immagini più rappresentative della manifestazione popolare e un momento riservato al filosofo nolano Giordano Bru no con gli attori della “Compagnia Teatrale Nolana Pipariello”. Sabato 22 ottobre, a chiudere la settimana di appuntamenti, lo scambio culturale tra le due comunità con un omaggio musicale della fanfara nolana dei F.lli Forino e dei cantanti Enrico Bernardo. Prima della processione dei gonfaloni delle bandiere delle Corporazioni e della Santa Messa presso Abbazia San Michele Armando della Pia, Salvatore Minieri e Rosario Caccavale si sono esibiti interpretando alcuni brani caratteristici della Festa. La Santa Messa è stata celebrata da Monsignore Michele Del Prete e animata dal Coro Polifonico San Leonardo, grazie alla preziosa collaborazione di Rino D’Orio.
"Un successo strepitoso - dichiara Carlo Fiumicino, promotore dell’evento – a seguito di un anno intenso di duro lavoro per mettere insieme tutti i tasselli, necessari alla promo zione della nostra amata Festa in un contenitore straordinario come “Procida 2022 - Ca pitale Italiana della Cultura”. Un ulteriore traguardo, - prosegue Carlo Fiumicino - dopo Brescello e Parma, che ci ha consentito di approfondire alcune tematiche importanti quali la ricettività turistica, ma anche di far conoscere le antiche tradizioni delle arti e dei mestieri su cui si fondano le nostre botteghe artigianali e le storiche Corporazioni. La Festa dei Gigli non è esclusivamente spettacolo e folklore, racchiude anche molteplici al tre componenti essenziali per il nostro patrimonio storico, culturale e religioso. Ringrazio infinitamente l'Amministrazione Comunale di Procida per l'accoglienza e per aver creduto nel nostro progetto promozionale. Un sincero abbraccio all’assessore Leonardo Costaglio la per avermi accompagnato con pazienza permettendomi di concretizzare un obiettivo alquanto prestigioso”.
"Un punto di partenza o meglio di ri-partenza e non di arrivo - aggiunge Carlo Buonauro, Sindaco di Nola - Un banco di prova per ritornare a far festa in attesa di vivere il nostro evento di giugno al quale stiamo già lavorando con impegno e serietà. Rimbocchiamoci le mani perché siamo comunità festiva e di fede nel segno di San Paolino".
INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
Sono stati migliaia i turisti che si sono lasciati conquistare dal fascino della Festa dei Gigli di Nola. La spettacolare kermesse in onore di San Paolino ha letteralmente conquistato l'isola di Procida.
alla presenza dell’Assessore al Turismo di Procida Leonardo Costagliola, il Sindaco di Nola Carlo Buonauro, la prof.ssa Katia Ballacchino, Università degli Studi di Salerno, la prof.ssa Piscitelli Teresa, Università Federico II di Napoli e il prof. Raffaele Palumbo, Università Luigi Vanvitelli . A fare da scenografia la presenza della Bar
Guerra e geopolitica
MEDIO ORIENTE IN VOLO A KIEV
DI ALBERTO STABILE
Le sirene della contraerea squarciano l’alba delle città ucraine, come non succedeva dall’inizio della guerra. Il cielo si riempie di uccellacci neri, simili a giganteschi pipistrelli, che producono un ronzio fastidioso come quello di assordanti tagliaerba. E infatti, “tagliaerba”, o “motorini”, sono soprannominati dai servizi d’intelligence occidentale, i droni iraniani lanciati a sciami dall’aviazione russa soprattutto su obbiettivi civili: rete elettrica, linee ferroviarie, dighe, acquedotti, con l’intento palese di logorare la volontà di resistere della popolazione ucraina.
Come questi ordigni volanti senza pilota chiamati loitering munitions, munizioni vaganti, perché capaci di girovagare a lungo sopra l’obbiettivo in attesa che si scopra per poi colpirlo distruggendosi contro di esso, e per questo detti anche droni-kamikaze, siano finiti nell’arsenale di Putin è uno dei rebus tattici di questa guerra.
Teheran nega di aver fornito i droni Shahed 136 e Mohajer 6, di questi modelli si tratterebbe, alla Russia, pur ammettendo che tra i due Paesi esistono accordi per lo scambio di tecnologie. Ma gli apparati di sicurezza americani, israeliani e ucraini si dicono certi della loro provenienza dalle fab briche di armamenti della repubblica islamica. Così come dell’obbiettivo strategico che l’ingresso, senza precedenti, dell’Iran in un grande conflitto nel continente europeo la scerebbe intravedere.
Dando il proprio sostegno al tentativo imperiale di Pu tin di sottomettere l’Ucraina, ritengono alcuni analisti oc cidentali, il regime iraniano punterebbe a rafforzare il suo disegno egemonico sul Medio Oriente, sperando di di strarre l’Occidente dalla lotta per il primato che, diretta mente e attraverso milizie e governi alleati, Teheran con duce nel Levante. Dall’altro lato, i vantaggi per Mosca sa rebbero evidenti: grazie ai droni kamikaze, Putin cerca di capovolgere la narrazione attuale della guerra che vede la Russia dalla parte perdente, guadagnando tempo nella speranza che l’inverno produca quel colpo di spugna alle molte deficienze palesate dall’esercito invasore e indebo lisca la volontà del nemico.
Pur non appartenendo alla fascia alta della tecnologia militare, o forse proprio per questo, il drone Shahed-136 (Shahed vuol dire martire, in farsi) è in grado di provocare notevoli danni. Capace di volare a bassa quota per centi naia di chilometri, dotato di una struttura (approssimati vamente) “stealth”, relativamente invisibile ai radar, non è facilmente individuato dalle difese antiaeree. E comun que, il suo impiego a ondate, o sciami, garantisce sempre che, anche se intercettate, alcune di queste bombe volan ti, munite di cariche esplosive da 35-40 chilogrammi, cen trino gli obbietti designati.
L’altro grande vantaggio degli Uav iraniani è che costano poco, intorno ai 20.000 dollari ciascuno. Da qui la facilità con cui l’Iran riesce a piazzare i suoi droni nel mercato mondiale dei Paesi più sfavoriti: Sudan, Yemen, Tagikistan, ma anche Venezuela (che sarebbe un Paese ric co se non fosse stato colpito dalle sanzioni americane) nei cui modesti arsenali i droni iraniani rivestono il ruolo di arma segreta dei poveri.
Giornalista
Niente di paragonabile con gli Uav (Un-
76 6 novembre 2022
Alberto Stabile
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev vicino a un drone kamikaze
manned Aaerial Vehicle, o aereo senza pilo ta) di fabbricazione turca, schierati dall’e sercito ucraino sin dall’inizio della guerra. Un Bayraktar TB-2, capace di sparare missili di precisione, costa oltre 5 milioni di dollari. Il fatto è che anche i droni iraniani possono servire allo scopo.
Secondo l’intelligence britannica, total mente impegnata a fianco dell’apparato miliare di Kiev, lo scorso 12 ottobre, la contraerea ucraina ha abbattuto il 60% dei droni lanciati dai russi, mentre il 20 ottobre ne avrebbe distrutto l’86%. A questi dati vanno però aggiunti quelli forniti dal governo di Kiev secondo cui la campagna di bombardamenti a tappeto contro obbiettivi civili lanciata da Mosca, dopo l’esplosione dell’8 ottobre sul ponte di Kerch che collega la Russia alla Crimea, avrebbe provocato la distruzione del 40 per cento delle infrastrutture usate per produrre energia elet trica e il 50 per cento della quantità di corrente distribuita, oltre a gravi danni alla rete idrica. Il che ha materializzato lo spettro incombente sulla popolazione ucraina di un in verno al freddo, al buio e tormentato dai razionamenti.
Da qui l’offensiva diplomatica lanciata dal presidente Volodymyr Zelensky, di concerto con l’Amministrazione ame ricana, per convincere Israele a cedere all’Ucraina quello che viene considerato i miglior sistema antimissile in cir colazione, utilizzato per intercettare razzi a media velocità indirizzati su piccole città: il cosiddetto Iron Dome, o Cupola di Ferro, sperimentato con successo da Israele contro i razzi lanciati dalle milizie islamiste di Gaza e i droni degli Hezbollah Libanesi. Costo di una singola batteria, da 20 missili del sistema Iron Dome: 50 milioni di dollari.
Ora, la richiesta di Zelensky va ben oltre l’emergenza contingente provocata dai droni iraniani. Il leader ucraino ha tentato in tutti i modi di ottenere il sostengo materiale della potente macchina bellica israeliana, considerata una delle più moderne ed efficienti al mondo. Ma non c’è stato verso. I governanti israeliani non hanno mai offerto ai loro colleghi ucraini più di una certa collaborazione d’intelli gence e aiuti di tipo umanitario.
Secondo Zelensky, invece, i dirigenti israeliani non stanno capendo qual è la posta in gioco nella partita ucraina. E lo ha detto chiaramente intervenendo al forum sulla democrazia organizzato dal quotidiano Haaretz. Dall’inizio della guerra, ha spiegato Zelensky, i russi han no lanciato 4500 missili contro l’Ucraina. Il loro arenale si sta consumando, per questo hanno ordinato 2000 Shahed all’Iran. «Come pensate che pagheranno per questi dro ni?». Secondo il presidente ucraino Putin non pagherà in dollari ma aiutando l’Iran a realizzare il suo sogno di pos sedere la bomba atomica.
Ora, quello relativo al progetto nucleare iraniano è forse l’argomento più sensibile della politica estera israeliana, persino più della questione palestinese. Eppure i governan-
ti dello Stato ebraico restano titubanti davanti alle richie ste di Zelensky. Non vogliono perdere, dicono, la libertà di movimento di cui, grazie a un’intesa tra Vladimir Putin e Benjamin Netanyahu, hanno finora goduto in Siria, dove, con centinaia di incursioni, hanno colpito decine di obbiet tivi iraniani, mentre i militari russi, accorsi in Siria nel 2015 per difendere il rais Bashar el Assad, facevano finta di non vedere. Questa intesa con Mosca ha finora funzionato. L’esercito israeliano ha potuto condurre così la sua “guerra tra le guerre” all’Iran. Aprire un secondo fronte contro la Russia sarebbe assai rischioso.
6 novembre 2022 77 Prima Pagina Foto: Anadolu Agency / Getty Images
FORNISCE AI RUSSI
DRONI CHE BOMBARDANO L’UCRAINA. ZELENSKY CHIEDE A ISRAELE LO SCUDO ANTIMISSILE. MA GERUSALEMME NON VUOLE ROMPERE CON PUTIN
L’IRAN
I
ECOMOSTRI ALLA BOLOGNESE
CEMENTO SULLE COLLINE. NORME DI FAVORE PER I COSTRUTTORI. ASILI PUBBLICI A RISCHIO. VIAGGIO NELL’EMILIA DEL NUOVO SACCO EDILIZIO
DI PAOLO BIONDANI
Un edificio moderno, essenziale, con un disegno geniale. Non il solito cubo di cemento di quegli anni, il casermone di periferia che offende la vista e ostruisce il paesaggio, ma una struttura geometrica, aperta, circondata dal verde, lontana dal traffico e dallo smog, meno alta degli alberi che le fanno ombra, con le mura portanti a forma di triangoli che affondano nel terreno, un prato fiorito che sembra entrare nelle stanze. Dietro la siepe ci sono i bambini che giocano, ridono, ascoltano, imparano. Il piano terra è tutto per loro, le pareti interne sono scorrevoli, per cambiare e ricreare gli spazi secondo le necessità. All'ingresso c'è una scritta colorata dalle loro mani: «Nido d'infanzia Roselle, quartiere Fossolo. Per far crescere un bambino, ci vuole un intero villaggio».
Roselle è l'asilo simbolo del quartiere simbolo della città simbolo della buona urbanistica italiana. A Bologna, sessant'anni fa, sono nate le prime regole per progettare città vivibili e arrestare la speculazione edilizia. Il concetto di standard, cioè l'obbligo per i costruttori di garantire ai cittadini una dovuta percentuale di ver de, servizi e spazi pubblici, è stato concepito qui, ai tempi mitici del sindaco Dozza e dell'assessore Campos Venuti, due cognomi che i cittadini non dimenticano. Il Comune di Bologna, quando in Italia non esistevano
Biondani Giornalista
78 6 novembre 2022
Paolo
Democrazia urbanistica addio
COLATA NEL BOSCO
Sopra e in basso: immagini dal rendering del maxi-progetto per la nuova sede della Business School, sulle colline di Bologna, che per mezzo secolo erano state protette da vincoli di inedificabilità assoluta. A sinistra: i lavori in corso, con le colate di cemento tra gli alberi e le ruspe che asportano altro terreno nell’oasi verde che sovrasta la città
ancora leggi urbanistiche né piani regolatori, è stato il pri mo a tutelare l'intero centro storico, non più solo singoli monumenti. A salvare dal cemento le sue meravigliose col line, il polmone verde della città. A realizzare strutture pubbliche, reti di trasporto urbano e imponenti piani di edilizia popolare, che hanno offerto decine di migliaia di case, a prezzo politico, alle masse di famiglie emigrate dal Sud Italia, dalle campagne, dai paesi di montagna, negli anni del boom economico. Oggi, in Emilia, la buona urbanistica non esiste più.
A Bologna, nel 1969, era nato il primo asilo nido d'Italia. Un modello educativo, ma anche una conquista sociale per le famiglie povere e per le madri lavoratrici. L'asilo Roselle è una struttura a moduli, progettata per essere ripetuta e adattata ai diversi quartieri. Affiancando uno, due o tre moduli, si fa un nuovo asilo, più o meno grande, senza spese per architetti e varianti, perché il disegno è già pronto. Il Roselle è stato inaugurato nel 1973, con l'attuazione del piano, varato dalla giunta Zangheri, che in quattro anni ha creato 52 nidi, 77 scuole materne, 21 elementari e 13 medie. Quell'asilo «modulare» è stato celebrato in libri e riviste di architettura come un modello, perché ha saputo anticipare di mezzo secolo le esigenze più moderne. Edilizia spartana, mura in cemento armato, resistenti ai terremoti e ancora solidissime. E soluzioni innovative come le vetrate a tutta parete affacciate sul parco. Fu disegnato da un gruppo di tecnici pubblici, guidati da Fioretta Gualdi, architetta del Comune e direttrice dei lavori, che studiavano le carte insieme con pedagogisti e insegnanti. E ne discutevano con i cittadini in riunioni aperte. Democrazia urbanistica. Nei mesi scorsi l'attuale giunta di Bologna, che si vanta di essere «la più progressista d'Italia», ha proposto di demolire il nido Roselle. Due assessori in carica, parlando di «edilizia verde» e «risparmio energetico», hanno annunciato un progetto sostitutivo, da realizzare in fretta «per non perdere i fondi del Pnrr»: radere al suolo l'asilo simbolo, bollato come vecchio e anti-ecologico, e costruirne uno nuovo, in un parco pubblico, con il sistema del project financing. Tre bestemmie urbanistiche con un solo atto: si abbatte un luogo sacro per generazioni di bolognesi, si ricopre di ce-
6 novembre 2022 79
Prima Pagina
Democrazia urbanistica addio
dard più elevati dei Paesi scandinavi: 40 me tri quadrati di verde per abitante, trasporti pubblici, parchi tra le case, siepi al posto delle recinzioni, scuole lontane dalle strade, viali spaziosi e alberati. Era un quartiere po polare, oggi è uno dei più vivibili della città.
In tutte le altre zone, tra la tangenziale e il centro, oggi c'è un nuovo boom del cemento.
La giunta parla di «rigenerazione edilizia», slogan che l'attivista rosso-verde Sergio Ca serta ribattezza «degenerazione urbana». «Ecco gli ecomostri», dice, mentre indica un ammasso di grattacieli e fabbricati di oltre dieci piani, alla Bolognina, senza un parco, senza una sola struttura pubblica: «È il caos urbanistico, non c'è un palazzo che si affacci nella stessa direzione dell'altro».
mento e asfalto un'area verde e si consegna la gestione del nuovo asilo a una società privata. Il piano ha scatenato rumorose proteste di cittadini e comitati, lettere indignate di decine di urbanisti, contro-studi tecnici per salvare l'edificio esistente, ancora in buone condizioni nonostante an ni di incuria politica, ristrutturandolo con poca spesa.
Una mobilitazione così ampia da spingere la giunta a guida Pd a un parziale dietrofront. Il vecchio asilo non verrà demolito, almeno per ora. Di soldi per ristrutturarlo, però, non se ne vedono. Quindi si farà comunque un nuovo asilo. E il project financing? È il mezzo legale che permette di privatizzare la gestione di beni pubblici senza gare d'appalto: è il metodo applicato a diversi maxi-ospedali fabbricati nella Lombardia di Formigoni e nel Veneto di Galan, due governatori di centro-destra poi condannati per corru zione. Per il Roselle, la giunta non ne parla più. Ma in questi anni anche Bologna si è riempita di «progetti misti pubblico-privato», compresi altri «asili in project».
La giunta in questi mesi ha minimizzato il caso, trattando le polemiche sull'asilo Roselle come una piccola storia di quartiere. Ma è una piccola storia ignobile, che mette a nudo le cause più profonde della crisi di una sinistra che ha perso l'anima, anche a Bologna. «Consumo di luogo» è il titolo di un libro di denuncia pubblicato nel 2017 dai migliori urbanisti italiani, da Vezio De Lucia a Edoardo Salzano, Piero Alemagna, Pierluigi Cervellati e molti altri, nel tentativo, fallito, di fermare la contro-riforma edilizia emi liana: una legge regionale che, come hanno scritto quei maestri della pianificazione, decreta «la fine del governo pubblico del territorio» e «consegna ai privati il potere di decidere dove, come e quanto costruire». Per capire cosa sta succedendo a Bologna, dopo quella legge, basta fare il giro dei quartieri attorno al centro storico.
Il Fossolo, dove c'è l'asilo Roselle, è stato disegnato da ur banisti pubblici, che mezzo secolo fa hanno applicato stan
«A Bologna non c'è più un disegno pubbli co, solo speculazione edilizia», commenta Piergiorgio Rocchi, urbanista della scuola di Campos Venuti: «Il Comune autorizza volumi pazzeschi e i privati costruiscono quello che vogliono. C'è un consumo di suolo insensato». A Bologna l'architetto Rocchi ha schedato e fotografato 717 «vuoti urbani»: ex fabbriche, caserme, im mobili privati in stato di totale o parziale abbandono, che nessuno ristruttura, perché è più redditizio cementificare un terreno verde. Molti sono edifici pubblici, ignorati dal Comu ne. Gli ecomostri hanno già stravolto il paesaggio urbano: mentre i negozi storici e i piccoli artigiani sono in crisi, in città continuano a crescere i centri commerciali. Rocchi ne ha contati ben 131, spesso enormi, quasi sempre orrendi.
Sotto leggi regionali e piani comunali che propagandano future riduzioni del consumo di suolo, in realtà la crosta di cemento e asfalto sta iniziando a intaccare anche le colline, fino a ieri rimaste inviolabili. Tra i boschi e le campagne che sovrastano Bologna sono stati approvati tre progetti: le prime deroghe ai vincoli di inedificabilità assoluta. Un privato ha potuto costruire una super-villa nel bosco, sopra un ex fortino militare, che però era interrato. A Sabbiuno, di fronte al sacrario delle vittime della strage nazifascista, un'impresa sta fabbricando una schiera di almeno 15 villette, dove prima c'era solo un modesto cascinale agricolo: per chi guarda Bologna sullo sfondo, l'impatto visivo è impressionante, anche perché il blocco di nuove costruzioni è collocato poche decine di metri sopra i calanchi franosi. Poi, in mezzo ai tornanti, davanti allo splendido palazzo storico della Business School, c'è il cantiere più imponente, per la nuova sede del polo universitario. La base è già pronta: dove c'era il bosco ora c'è un'enorme colata di cemento, affacciata su Bologna. Anche in questi giorni le ruspe continuano a scavare, asportare terra, abbattere alberi. Nel viavai di camion e betoniere, il messaggio è chiaro: i vincoli di tutela durati mezzo secolo sono diventati derogabili, perfino sulle colline di Bologna il cemento non è più un tabù.
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Prima Pagina
La facciata dell’asilo Roselle, nel quartiere Fossolo, a Bologna
colloquio
Donna Libri Libertà
Il potere della femminilità, che terrorizza il regime. E quello della letteratura: arma di resistenza e di democrazia. Parla l’autrice di “Leggere Lolita a Teheran”
Rivolte
in Iran
con Azar Nafisi di Sabina Minardi illustrazione di Eleonora Castagna
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eggere Lolita a Teheran” è un libro nel cuo re di molti lettori. Nel 2003, quando uscì, fu un caso internazionale: per oltre cento set timane nella lista dei bestseller del New York Times, tradotto in 32 lingue, un pre mio dopo l’altro. Nel 2009 il Times lo consa crò come uno dei libri più importanti del decennio.
Perché “Leggere Lolita a Teheran”, pub blicato in italiano da Adelphi, non era solo il racconto di una docente che, costretta a lasciare l’insegnamento universitario, proseguiva le sue lezioni di letteratura clandestinamente, a casa sua, con le sue studentesse migliori. Ma svelava al mondo la libertà degli iraniani calpestata. Provocando l’indignazione generale: perché certi auto ri, che avevano emozionato milioni di letto ri occidentali – “Orgoglio e pregiudizio”, “Madame Bovary”, “Lolita”, “Il grande Gatsby”…, - in Iran erano severamente vietati?
La protagonista, Azar Nafisi stessa, invi tava tutti a immaginare quella libertà di leggere improvvisamente confiscata. E a non dimenticare quelle donne, che tutti i giovedì, per due anni, «con il sole e con la pioggia sono venute a casa mia, togliendo si il velo e la veste scura per diventare di colpo a colori». Levandosi di dosso, con quel gesto, anche di più: «Ognuna di loro acquisiva una forma, un profilo, diventava il suo proprio, inimitabile sé. Quel piccolo mondo, quel soggiorno con la finestra che incorniciava i miei amati monti Elburz, di ventò il nostro rifugio, il nostro universo autonomo, una sorta di sberleffo alla realtà di volti impauriti e nascosti nei veli della città sotto di noi».
Della Repubblica islamica Nafisi, figlia di Ahmad Nafisi, ex sindaco di Teheran, e di Nezhat Nafisi, prima donna a essere eletta al parlamento, è sempre stata oppositrice. Professoressa di Letteratura inglese all’università Allameh Tabatabai di Teheran (do po studi tra l’Inghilterra e l’università di Oklahoma), fu espulsa, tra il 1981 e il 1987,
per aver rifiutato di indossare il velo. Qualche anno dopo, impossibilita a vivere in un ambiente accademico più preoccupato del potenziale sovversivo di una ciocca di capelli che sbucava dall’hijab che della quali tà degli insegnamenti, «di espungere la parola vino da un racconto di Hemingway o di cassare dai programmi di studio Emily Bronte», lasciò l’incarico. E di lì a poco anche il Paese: si trasferì con la famiglia a Washington, dove ha insegnato Letteratura inglese alla Paul H. Nitze School of Advanced International Studied della John Hopkins University e diretto il Dialogue Project & Cultural Conversations.
Da lì ha continuato a far sentire la sua vo ce critica contro gli ayatollah: con libri co me “Le cose che non ho detto”, “La Repub blica dell’immaginazione”, “Quell’altro mondo. Nabokov e l’enigma dell’esilio”. Col suo ultimo saggio, “Read Dangerously”, è tornata a riflettere sul potere sovversivo della letteratura: attraverso lettere inviate al padre e dedicate alla scrittura di Toni Morri son, James Baldwin, Margaret Atwood, Sal man Rushdie. Arma di resistenza ai tempi bui, come quelli che l’Iran sta vivendo. E che Azar Nafisi segue con trepidazione.
«Provo emozioni contrastanti, dentro di
Rivolte
in Iran
“Leggevamo clandestinamente libri proibiti, ballavamo danze vietate, cantavamo canzoni messe al bando. Così siamo rimasti connessi col mondo”
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me», dice la scrittrice a L’Espresso: «Da una parte sono arrabbiata per il modo in cui il regime sta uccidendo così tanti giovani che chiedono soltanto libertà, dall’altra nutro grande speranza verso questo tempo: sono convinta che queste rivolte siano davvero diverse da quelle passate. Sono piena di fiducia perché penso che siamo arrivati a un punto di svolta: a prescindere da cosa accadrà, queste proteste cambieranno la faccia della società iraniana, in meglio».
Studenti in rivolta e ragazze in prima linea. Basiji armati fino ai denti, pronti a colpire con coltelli e pistole. E quello slogan che non accenna ad attenuarsi: “Donna vita libertà”. Le sue indomabili ragazze, che sfidavano la sorveglianza di fratelli e di mariti per leggere insieme libri proibiti, stanno idealmente guidando le manifestazioni: «In questi 43 anni in cui la Repubblica islamica è stata al potere ci sono state moltissime azioni di protesta. Una delle più impor tanti, quasi un’anticipazione di ciò che accade ora, è avvenuta all’inizio della Rivolu zione islamica, l’8 marzo 1979, quando milioni e milioni di iraniane sono scese in strada chiedendo libertà. Lo slogan era “la libertà non è dell’Est o dell’Ovest, la libertà è globale”. Sin dall’inizio, il regime ha avuto
Proteste femminili contro il velo, che richiamano quanto sta accadendo oggi: sopra, fuori dagli uffici del Primo ministro, a Teheran, il 6 luglio 1980. A destra: la scrittrice Azar Nafisi
nel suo obiettivo donne e minoranze. Questi gruppi, in particolare le donne, hanno fatto sentire la loro voce di protesta. Ma una delle differenze tra allora e oggi è che prima la gente riponeva speranza nel movimento delle riforme. Se ricordate la mag gior parte delle elezioni presidenziali pro poneva candidati riformisti, a partire da Khatami. E tutte le volte che questi candidati riformisti salivano al potere, ingiustizie e corruzione peggioravano. Ma questa volta nessuno ha come obiettivo le riforme: le persone sanno chiaramente che questo regime non vuole concederne. E a questo punto cercheranno di fermarlo più veloce mente possibile».
«Abbiamo mandato le nostre figlie, il nostro bene più prezioso, a lottare per la libertà di tutti», ha scritto Kader Abdolah su L’Espresso. «Gli iraniani, e le donne iraniane in particolare, hanno preso coscienza di come possono usare il potere», aggiunge Nafisi: «Sembra che siano solamente vittime ma non lo sono. Loro hanno capito quanto sono potenti perché solamente es sendo sé stesse sono diventate pericolose per il regime. Non è un gesto politico, il loro, è la consapevolezza di una condizione esistenziale. Ricordo quando sono stata
Foto:K. Kazemi –GettyImages, G. Jepson
–Writer Pictures / Rosebud2
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Rivolte in Iran
espulsa dall’università per non aver vo luto indossare il velo. Ho sentito, come donna, di dover proteggere la mia individualità e il mio senso di dignità: non potevo permettere allo Stato di definire chi io dovessi essere. E questo è ciò che provano milioni di donne iraniane oggi. Hanno scoperto quanto potenti possano essere andando nelle strade di Teheran senza il velo. Significa che qualcosa di fondamentale è cambia to: il regime è spaventato. Usano tanta violenza perché non hanno più altre armi. Il solo modo di dialogare è attraverso le pistole. Il regime ha paura e il popolo ha potere. Questo influenzerà non solo l’Iran e non solo il regime, ma tutto il mondo». Perché? «Gli iraniani, per 43 anni, hanno provato cosa vuol dire vivere senza democrazia. So no stati arrestati, imprigionati, torturati e uccisi senza alcuna colpa, solo per la democrazia», prosegue la scrittrice: «E quello che sta accadendo ora è in nome della democrazia, ragione per la quale il mondo dovrebbe supportare l’Iran, la democrazia di una parte di mondo dovrebbe aiutare la democrazia in altre parti del mondo. La mia speranza per l’Iran è che quanto sta accadendo non porti solo una nuova vita per gli iraniani, ma che diventi un modello. Allo stesso modo in cui è accaduto in Sud Africa o in Sud America, dove movimenti per i diritti civili sono diventati modelli per il resto del mondo. E questa rivoluzione contro la teocrazia è la prima guidata da donne: un fatto storico».
La premio Nobel per la pace Shirin Ebadi ha chiesto, parlando con L’Espresso, sanzioni sempre più dure contro il regime e i pasdaran da parte dell’Occidente. Le sembra una strada concreta?
«Prima di tutto, penso che la condanna che il mondo ha fatto dovrebbe andare oltre le parole. Per esempio, abbiamo bisogno che l’Iran sia espulso dalle istituzioni delle Nazioni Unite che hanno a che fare con le donne e con diritti umani. Come può questa gente sedere in queste sedi e rappresentare l’Iran, mentre le donne sono barbara mente uccise: non ha senso. Altre cose che i governi possono fare è congelare gli asset degli ufficiali di governo i cui figli e parenti vivono in lusso assoluto in diversi Paesi occidentali. È veramente vergognoso che mentre gli iraniani a stento hanno da man giare ci siano persone che vivono da miliar-
Manifestanti contro il velo, protetti da uomini, a Teheran il 10 marzo 1979; una donna davanti all'ambasciata americana durante la crisi degli ostaggi, il 12 novembre 1979
dari in Europa e nel Nord America. Penso che i loro patrimoni dovrebbero essere con gelati. E che quelle istituzioni che hanno a che fare con il governo, come le Guardie della rivoluzione, la televisione e la radio di Stato, dovrebbero essere sanzionate. Do vrebbe essere fermato il riciclaggio di denaro che si sta verificando, specialmente ora che molti del regime hanno paura e stanno mandando i loro soldi fuori dal Paese. Fino a questo momento l’Occidente è stato mol to, molto cauto, in attesa di vedere cosa accadrà. A prescindere da come andrà a finire, dovrebbe fare la cosa giusta».
Nella stanza tutta per loro, nella Teheran del 1995, fare la cosa giusta era aiutare giovani donne a sopravvivere in un contesto di censura. «Non cercavamo formule o risposte facili; speravamo invece di trovare un collegamento tra gli spazi aperti dei ro manzi e quelli chiusi in cui eravamo confi nate», scrive nel suo romanzo più famoso Nafisi, che non ha mai smesso di evocare la potenza della letteratura: quel “mondo por tatile” fatto di autori che rispondono alla nostra fame di vita, desiderio, libertà. E che atterrisce i fondamentalisti.
«Sono spaventati dalla letteratura, per ché arte e letteratura si basano sulla veri-
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tà», prosegue Nafisi: «Quello che l’autore di un romanzo fa è portare alla luce la verità del tema di cui sta scrivendo. Lo fa attraverso una struttura democratica, perché se sei un grande scrittore devi dare voce a tutti i personaggi, all’interno di un libro. Vai sotto la pelle di ogni singola figura per empatizzare e scrivere un buon racconto. Anche i più cattivi hanno diritto alla loro voce. Perciò i romanzi diventano pericolosi, come del resto accade col giornalismo. Il giornalismo scava nei fatti, per raggiungere la verità. La fiction vuole scoprire la verità attraverso l’immaginazione. Ed è per questo che entrambi sono considerati pericolosi per i regimi: da quando il regime islamico è salito al potere ha iniziato il suo attacco alla letteratura, all’arte, all’immaginazione. Khomeini ha detto: “Le università sono più pericolose delle bombe per noi”. Umanità e creatività li spaventano. Non la scienza o l’ingegneria: sono sempre stati terrorizzati dagli artisti, dagli scrittori, dai filosofi. Hanno ucciso sin dal primo giorno e imprigionato e arrestato tantissimi scrittori. Anche adesso, mentre noi parliamo, ci sono artisti e scrittori che vengono arrestati e imprigio nati nelle carceri iraniane. Come ogni regime totalitario, anche questo sin dall’inizio
ha attaccato soprattutto tre gruppi di per sone: donne, minoranze e oppositori. E ora vediamo che in particolare i più giovani sono scesi in strada, chiedendo libertà di riunione, libertà di scelta, non permettendo al regime di silenziare più la loro voce».
Allo scrittore Salman Rushdie, vittima di una indelebile fatwa, e recentemente ag gredito a New York, ha dedicato un capitolo di “Read Dangerously”. «Non ho idea di come stia, ma non dovremmo dimenticare cosa ha subito. Nel libro mi sono chiesta cosa c’è in un uomo, la cui sola arma sono le sue parole, che lo rende così pericoloso al punto che alcuni dei più potenti sulla terra vorrebbero distruggerlo. Perché Rushdie parla con le sue parole e non ha altre armi. Eppure il regime è così terrorizzato che il solo obiettivo che ha è ucciderlo. Questo non ha a che fare con la religione, ma col potere politico. I regimi totalitari sanno che scrittori, artisti e giornalisti sono altamen te pericolosi per loro. Perché si basano sulle bugie. Più grande è la bugia più si sentono a casa. Sono terrorizzati dalle verità degli scrittori». La letteratura insegue la verità. Ma mentre il sangue scorre per le strade si può ancora evocare il diritto all’immagina zione? «Sì, non penso ci sia contraddizione. Quando ero in Iran i miei studenti fotocopiavano centinaia e centinaia di romanzi per connettersi al mondo. Ciò che è successo dopo è che gli iraniani sono stati tagliati fuori dal mondo. Noi leggevamo clandestinamente libri proibiti, ballavamo danze vietate, cantavamo canzoni e ascoltavamo musica messa al bando, guardavamo arte proibita. Quella parte della nostra vita era ciò che ci dava speranza e ci faceva sentire connessi col mondo. Da bambina a casa si parlava di cinema francese e italiano. Poi, è arrivata la Rivoluzione, e Fellini, Antonioni, Rossellini, visti clandestinamente, erano i nostri spazi aperti. Gli iraniani faranno di tutto per ritrovarli».
Foto: Bettmann Archive –GettyImages, A. Mingam –Gamma Rapho / GettyImages
“I regimi totalitari si basano sulle bugie. Gli artisti, gli scrittori, i giornalisti cercano invece la verità. Per questo sono per loro estremamente pericolosi”
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salvareil pianeta Gesti estremi per
La deriva del capitalismo e del colonialismo sollecita misure urgenti. Dal dialogo con la natura alle soluzioni inaspettate della geo-ingegneria. Due grandi scrittori a confronto
colloquio con Amitav Ghosh ed Elizabeth Kolbert di Chiara Sgreccia
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Crisi climatica
Dall’alto: Elizabeth Kolbert; Amitav Ghosh.
A sinistra: due giovani attivisti del movimento “Just Stop Oil” dopo aver versato un barattolo di zuppa di pomodoro sul celebre dipinto “Girasoli” di Vincent van Gogh, alla National Gallery di Londra
Il capitalismo sta uccidendo il piane ta: ingabbia la natura, le toglie ogni diritto. Il modello di consumo occi dentale è responsabile della crisi cli matica e sociale di oggi. Per Amitav Ghosh, scrittore, giornalista e antro pologo indiano, tutto è iniziato con la sco perta del Nuovo Mondo che ha aperto a una visione meccanicistica delle terre di conqui sta, risorse da sfruttare e non entità vive, au tonome e ricche di significato. Per Elizabeth Kolbert, scrittrice americana e reporter del New Yorker, è tardi per riportare la natura a quella che era prima dell’intervento dell’uo mo: neppure l’immediata dismissione di se coli di progresso potrebbe salvarci. Così è necessario, almeno, guardare con attenzio ne a tutti i tentativi per contrastare la crisi climatica. Anche ai più stravaganti.
In “La maledizione della noce moscata”, l’ultimo libro di Ghosh, la distruzione di un villaggio nell’arcipelago delle isole Banda, in Indonesia nel 1621, da parte degli occupanti olandesi, per avere il monopolio sulla spezia, è la parabola della devastazione del colonia lismo occidentale e delle sue conseguenze che arrivano a oggi. “Sotto un cielo bianco” di Kolbert, invece, è un viaggio tra le soluzioni tecnologiche immaginate degli scienziati per salvare il pianeta: dalla possibilità di schermare le radiazioni solari iniettando nell’atmosfera particelle di calcite, di solfato, o di diamante, agli esperimenti per trasfor mare l’anidride carbonica in roccia.
Siamo in una situazione così drammati ca che anche i tentativi meno convenzio nali di contrastare la crisi devono essere presi in considerazione?
Elizabeth Kolbert «La mia ricerca parte proprio da questa domanda. Il libro ci intro duce all’idea che dobbiamo pensare a nuove soluzioni per contrastare il cambiamento climatico, perché lasciare che la natura ripa ri se stessa non è più un’ opzione percorribi le. Quindi è possibile che dovremmo affidar ci a soluzioni tecnologiche che tentano di risolvere problemi creati da chi cercava a sua volta soluzioni tecnologiche a problemi precedenti».
Amitav Ghosh «Occorre tentare molte stra de. Anche perché si è visto che le vie conven zionali non funzionano. Faccio un esempio: le due attiviste che alla National Gallery di Londra hanno lanciato la zuppa al pomodo ro sui “Girasoli” di van Gogh hanno scate
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Crisi climatica
nato reazioni in tutto il mondo. Incluse quelle di molti esperti che condannano il gesto. L’azione delle due attiviste potrà pur essere futile ma ha suscitato un’attenzione a livello planetario. E a me sembra ottimo se le persone, anche per effetto di quest’azione mediatica, si pongono delle domande. Il mondo si indigna tanto per lo sfregio fatto su un’opera d’arte ma a nessuno importa degli alberi che abbiamo davanti casa».
Come siamo arrivati a questo punto?
E.K. «Dobbiamo capire se arriveremo mai, a livello globale, a essere così disperati da pen sare di ricorrere alla geo-ingegneria per con trastare il cambiamento climatico. Uno degli scienziati con cui ho parlato, un chimico te desco, ha detto: “All’inizio, stranamente, non ero preoccupato come adesso. Perché l’idea che la geo-ingegneria potesse diventare real tà mi sembrava remota. Con gli anni, però, vedendo che le iniziative per salvaguardare il clima languivano, ho cominciato ad avere paura che potesse accadere sul serio. E la co sa mi mette molta ansia”».
A.G. «Tra le conseguenze tremende della concezione meccanicistica della natura è che gli stessi metodi ora vengono utilizzati anche dalle élite degli Stati del sud del mon do. Parlo del colonialismo di tipo estrattivo, una forma di autocolonizzazione. Significa scavare all’interno dei propri Paesi per estrarre risorse, come hanno fatto i colonia listi bianchi in America o in Australia, di fat to sottraendole ai nativi. L’autocolonizzazio ne si presenta come un sistema economico ma concentra la ricchezza in un gruppo esi guo di ultramiliardari. Lo sa che in India abi ta il secondo uomo più ricco del mondo? Si tratta del proprietario di uno dei più grandi gruppi di estrazione del carbone». Il suo libro contiene anche un invito a ri flettere sulla responsabilità delle azioni umane. La Storia dovrebbe avercelo inse gnato ma non capiamo?
E.K. «A quanto pare impariamo lentamente. Basta guardare la Storia per capire che ci so no molti schemi che ripetiamo anche se so no molto distruttivi. C’è una guerra ora, non lontano dall’Italia. Che scopo ha? Eppure, la portiamo avanti. Analizzo nel libro proprio questi schemi che sembra che le persone ri petano inconsciamente. Su cui, invece, do vremmo riflettere di più. Non nutro molta speranza che l’umanità abbia un’improvvisa illuminazione».
Le copertine dei libri “Sotto un cielo bianco” di Elizabeth Kolbert (Neri Pozza), trad. R.Vitangeli, pp. 240; € 18; “La maledizione della noce moscata” di Amitav Ghosh (Neri Pozza), trad. A.Nadotti e N.Gobetti, pp. 368, € 19
A.G. «Ci è stato insegnato che cose denominate “progresso, sviluppo, ricchezza” sono obiettivi da perseguire. Che il nostro benessere dipende dal numero di appartamenti, automobili o frigoriferi che posse diamo. È dal 1990 che non facciamo altro che diffondere il messaggio per cui lo stile di vita statunitense è il migliore possibile. Un’assurdità se si considerano gli esiti a livello sociale, su salute pubblica, mortalità e violenza provocata dalle armi da fuoco. Eppure, questo modello consumistico è stato spinto a tutta forza».
Qualcuno, però, che sembra aver chiara la necessità di invertire la rotta c’è. Sono soprattutto i più giovani e i movimenti che partono dal basso. Perché godono ancora di poca considerazione tra gli esponenti politici e imprenditori?
E.K. «Ci sono molte persone che hanno compreso la gravità della situazione. I Fridays for Future e i giovani che manifestano hanno chiara la posta in gioco. Ma viviamo in un mondo in cui è la maggioranza a governare, siamo in democrazia. In Italia, ad esempio, ci sono da poco state le elezioni. Il contrasto al cambiamento climatico non è stato tra i temi principali della campagna elettorale: si è parlato di buttare fuori gli immigrati, ecco cosa catalizza l’opinione
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pubblica. Così, ci si chiede: “Perché dopo un’estate anomala come quella passata non se ne è parlato?”. Devo davvero sottolineare che non si può tornare indietro nel tempo? Possiamo solo scoprire quanto la situazione peggiorerà. Le estati potranno solo diventare più calde. E perché questo non è stato un problema durante le elezio ni? Ditemelo voi».
A.G. «Tra i segnali più incoraggianti c’è il movimento di quanti ripropongono uno sti le di vita semplice, forse più antico: tornare all’agricoltura. In generale, i movimenti gui dati dai giovani, ad esempio a Occupy negli Stati Uniti, mostrano che è possibile costrui re un modello di vita diverso. Le energie che si muovono nella direzione giusta ci sono, ma i movimenti green in Europa sono inca paci di attingere a queste energie. Da decen ni i Verdi si sono trasformati in un gruppo di tecnocrati che cerca di entrare nelle cabine di regia, senza essere capaci di costruire e so stenere i sentimenti, gli atteggiamenti an ti-establishment. Doveva essere un compito della sinistra che, invece, ha perso la capaci tà di creare una vera controcultura. È evi dente nei fatti: la controcultura oggi provie ne dalla destra ed è pericolosa». Con la “Sesta estinzione” ha raccontato come la capacità di distruzione degli es
seri umani ha rimodellato il mondo naturale, in “Sotto un cielo bianco” invita i lettori a concentrarsi sulle sfide per sal vare il pianeta. Che conclusioni trae da questo reportage?
E.K. «“Sotto un cielo bianco” è il passo suc cessivo alla “Sesta estinzione”. Dopo aver compreso la situazione: che vogliamo fare? Dobbiamo agire. L’impulso degli esseri uma ni a cercare una soluzione tecnologica, e a comprendere la sua fattibilità, resta una que stione aperta. Come sottolinea uno degli scienziati che ho intervistato, Klaus Lackner, un meraviglioso personaggio tedesco che la vora negli Stati Uniti: “Dobbiamo togliere l’anidride carbonica dall’atmosfera. Se la te niamo lassù, è molto pericolosa. Dobbiamo toglierla”. Ha poi aggiunto: “L’iPhone è in commercio dal 2007 e oggi ce ne sono alme no un miliardo in circolazione”. Per dire che quando gli uomini si mettono in testa di fare qualcosa, sono davvero bravi a mobilitarsi». Dalla ricerca per la “Trilogia dell’Ibis” prende vita “La maledizione della noce moscata”. All’interno c’è l’invito ad ascoltare la natura: per salvare il pianeta serve un approccio olistico alla scienza. Che conclusioni trae dalla possibilità di costruire un dialogo tra umani e forze invisibili?
A.G. «Parlo di fare attenzione alle forze vitali che esistono e si esprimono nel nostro pia neta. In parte sta succedendo: ci sono tanti movimenti che si battono per i diritti della natura, come in Nuova Zelanda dove la Cor te suprema ha attribuito ai fiumi una perso nalità giuridica. I più importanti movimenti di resistenza alla crisi ambientale si fondano sui principi del vitalismo. Ma guardando all’Europa le considerazioni sono tristi: pra ticamente tutte le foreste sono state abbat tute. È deplorevole come l’Unione europea abbia spinto un modello di agricoltura indu striale che danneggia l’ambiente. Nei Paesi Bassi, ad esempio, ci sono più suini d’alleva mento che esseri umani. I suini producono quantità enormi di rifiuti che creano una crisi devastante per un Paese così piccolo. Tra le conseguenze c’è, infatti, che i movi menti in lotta per l’ambiente sono in conflit to con gli allevatori locali. Assurdo. È impos sibile recuperare i principi di uno stile di vita improntato al vitalismo con una pressione così forte».
6 novembre 2022 91 Idee Foto: Getty Images, Ansa; pag. 88-89: Getty Images (2), Basso Cannarsa
Sopra: attivisti ecologisti durante un corteo di Fridays for Future a Stoccolma. A sinistra: il movimento Occupy Wall Street a New York, nel 2011
Ghosh: “Da
decenni i Verdi si sono trasformati in un gruppo di tecnocrati incapaci di costruire e sostenere i sentimenti anti-establishment”
Cari giovanifate politica
DIECI LEZIONI NEL SEGNO DEL NOBEL
Questo testo, “A proposito di un apunte di Juan de Mairena”, è una lezione dottorale tenuta da José Saramago il 16 febbraio del 1990 presso l’Università di Torino, in occasione dell’attribuzione della laurea honoris causa. Il testo, rimasto inedito in Italia, nel marzo di quello stesso anno era stato poi pubblicato in Portogallo sul “Jornal de Letras, Artes e Ideias”. Il testo fa parte del libro “Lezioni italiane” (edito da La Nuova Frontiera, pp. 160, € 16,90), in libreria dall’8 novembre, che raccoglie dieci testi del Nobel portoghese che affrontano con coraggio questioni sociali e temi filosofici e politici tra i più delicati e urgenti per la società contemporanea.
L’impegno e il confronto tra generazioni.
I mille volti dei personaggi pubblici. La Spagna degli anni Trenta e il ‘68. Il grande scrittore invita a non cedere allo scetticismo
di José Saramago
La politica, signori – seguita a parlare Mairena – è un’attività importantissima… Io non vi consiglierei mai l’apoliticismo ma, in ultima analisi, il disprezzo per la cattiva politica fatta da arrivisti e scrocconi, senza altro scopo che quello di trarne profitto e sistemare parenti. Voi dovete fare della politica, anche se quelli che intendono farla senza di voi e, naturalmente, contro di voi, vi diranno il contrario. Oso solo consigliarvi di farla a viso aperto; nel peggiore del casi con la maschera politica, senza altro travestimento, ad esempio: letterario, filosofico, religioso. Poiché altrimenti contribuireste a degradare attività così eccellenti, almeno, come la poetica, e a intorbida-
re la politica in modo tale che non potremo mai più capirci.
E a chi vi rinfacciasse i vostri pochi anni, potrete ben rispondere che la politica non deve essere necessariamente affare di vecchi. Ci sono movimenti politici che hanno il loro punto di partenza in una giustificata ribellione di minori contro l’incapacità dei sedicenti padri della patria. Questa politica, vista con gli occhi della confusione giovanile, può sembrare troppo rivoluzionaria mentre, nel fondo, è perfettamente conservatrice. Perfino le madri – c’è qualcosa di più conservatore di una madre? – potrebbero consigliarla con parole simili a queste:
«Prendi il volante, figliolo, perché vedo bene che con tuo padre andremo a finire tutti quanti nel fosso.»
92 6 novembre 2022 L’inedito
Quando Antonio Machado scrisse questo, in un giorno qualsiasi tra l’anno 1934 e il 1936, aveva abbastanza esperienza e cognizione di causa per parlare di giovani e vecchi con quel misto di scetticismo e illusione che riconosciamo in questa pagina di Juan de Mairena. Sessant’anni bastano per comprendere determinati meccani smi del mondo, anche quando si è così tanto estranei ai loro vantaggi e alle loro schiavitù, com’è regola generale dei poeti, e di questo in particolare. Si considerino, d’altra parte, le circostanze della vita pubblica nella Spagna di allora – crisi economica, con flitto istituzionale, instabilità politica, agitazione sociale –, e avremo definito il quadro ideologico propizio a quelle manifestazioni di fastidio e disincanto
che si considerano caratteristiche del la vecchiaia, ma che, non di rado, esprimono piuttosto la profonda ama rezza, civicamente giustificata, di dover assistere al crollo, non dico dei sogni ideali, ma anche delle semplici speranze di una vita giusta. In Spagna si delineava all’orizzonte lo spettro della guerra civile, l’Europa e il Mondo contavano le armi e gli uomini.
Nonostante tutto, Juan de Mairena si mostra ancora fiducioso. Divide salo monico la politica in buona politica e cattiva politica, e condannando seve ramente i politici della cattiva politica, che sono, ma non a caso, i vecchi, fa appello ai giovani perché siano loro a fare la buona politica, quella che sarà, si suppone, foriera della salvezza della patria e della felicità dei cittadini. È ve
ro che Juan de Mairena, un ironico, converrà sempre leggerlo due volte, non tanto per scoprire nelle parole se condi e terzi significati, ma per cogliere le sottigliezze del tono, comprendere i mutamenti del registro stilistico, segui re la linea del sorriso. È che, all’improv viso, diventa irresistibile chiedergli se crede davvero in ciò che sta scrivendo. Non mi riferisco, è ovvio, al disprezzo con cui trattò gli opportunisti che fan no, o rendono, cattiva la politica – que gli arrivisti e scrocconi che se ne servo no per trarne profitto e sistemare pa renti –, ma è improbabile che Mairena non avesse presente, nel riflettere sulla questione, la vita di Machado, il quale, da giovane, senza dubbio si sarà aspet tato dal mondo ben di più e ben di me glio di ciò che il mondo stesso ora gli stava imponendo con l’indomabile for za dei fatti.
Trent’anni dopo, sarà la volta dei giovani del ’68 di rifiutarsi di accetta re passivamente il cammino che era stato loro aperto e convalidato dai ge nitori – gli stessi (parlo di generazio ni, non di Paesi o di popoli) dai quali Juan de Mairena, in questo suo apun te, sembrava aspettarsi tante e così diverse cose. Oggi, e non credo ci sia un’esagerazione critica in questo giu dizio, genitori e figli di tutto il mondo, uniti, sono finalmente concordi sui fini utili della politica e sul suo scopo programmatico: trarne profitto e si stemare parenti. Uomo scettico, disil luso, filosofo di origine stoica, tutta via ingenuo e semplice di natura,
6 novembre 2022 93 Idee Foto: G. Harari / Contrasto
Lo scrittore José Saramago, Nobel per la Letteratura
Juan de Mairena immaginava si potesse fare politica a viso scoperto, o, se una maschera era proprio indi spensabile, che fosse almeno una ma schera politica. Ora, noi sappiamo, e mi sorprende che lui allora non lo sa pesse, che nessuno usa la sua stessa maschera e che la politica ha bisogno non solo di una maschera, ma di tut te, di cambiare volto, aspetto e modi in base alle necessità tattiche e strate giche, arrivando al punto, nei casi no toriamente geniali, di usare più di un
travestimento allo stesso tempo, il che, come è ovvio, non significa che si riconosca in ugual modo in ognuno di loro. Anche la più succinta lezione della Storia ci dice che la maschera è stata mille volte religiosa, che in alcu ni casi ha portato visiere filosofiche e in questi nostri tempi moderni è or mai scandaloso vedere con quanta frequenza la politica si approfitti del la letteratura. Per non parlare dello spettacolo: basta leggere Mairena per sapere che non ha vissuto abbastanza per conoscere la televisione. Con que ste riflessioni, di tono pessimista, non ho in mente di allontanare i giovani
dalla politica. Al contrario, ciò che de sidererei è che sapessero praticare, da vecchi, una politica tanto buona co me quella che Juan de Mairena im magina per loro a partire dal mo mento in cui, giovanissimi, dopo aver allontanato il padre senile e irrespon sabile dal volante, ci guidassero lun go la strada nella giusta direzione, portando con sé la nostra eterna gra titudine e il motivato orgoglio di tutte le madri del mondo. Ora, anche su questo punto Juan de Mairena si è sbagliato: i giovani, oggi, guidano le loro auto, generalmente verso gli stessi disastri.
Non prendete tuttavia alla lettera ciò che dico. In generale, noi vecchi sap piamo, in quanto vecchi, molte cose che voi, in quanto giovani, non sapete. E alcune – va detto – fareste bene a non impararle mai. Altre, tuttavia, ecc…, ec cetera.
Insomma, Juan de Mairena non si fa ceva grandi illusioni sui benefici che i suoi alunni erano in grado di trarre dal le lezioni di Retorica e Poetica che pro pinava loro. Quest’altro apunte, con la sua ironica conclusione: ecc…, eccete ra –, rimette al suo posto quella sana dose di scetticismo che consiste nello sperare che ognuno faccia il suo dovere – ieri, oggi, domani, in gioventù e in vecchiaia, fino alla fine –, per poi, tirate le somme, avere un’idea più o meno chiara riguardo a chi siamo e a ciò che abbiamo fatto. C’è motivo di credere che Juan de Mairena, al contrario di ciò che ha detto di sé stesso, sia stato il me no apocrifo dei professori...
94 6 novembre 2022 Idee
L’inedito
Foto: G. Le Querrec
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Magnum Photos / Contrasto, B. Barbey / Magnum Photos / Contrasto
“Noi vecchi sappiamo, in quanto vecchi, molte cose che voi, in quanto giovani, non sapete. E alcune - va detto - fareste bene a non impararle mai”
A sinistra: studenti sulle barricate nel Quartiere Latino, a Parigi, il 23 maggio 1968. Sotto: manifestazione in Boulevard Raspail, nella capitale francese, il 27 maggio 1968
Dolce vita
sulNilo
Una metropoli cosmopolita. Un intreccio di lingue e di cultura. Il romanzo di Denise Pardo è una storia che incalza e muta i destini. Una vicenda familiare, un’epopea universale
di Wlodek Goldkorn
La scena più commovente (è il caso di usare senza imbarazzo questa parola) del bello e tenero libro “Una casa sul Nilo” di De nise Pardo, in uscita con Neri Pozza, è quando Fanny, la madre dell’autrice, ricevuto in regalo dal ma rito Sam un pianoforte Steinway - per ché la musica aiuta a far fronte alla malinconia - incontra il virtuoso e ma estro Ignacy Tiegerman, detto anche “lo Chopin del Cairo”. Siamo nel 1959 nella capitale d’Egitto, perché è quella la città raccontata nel romanzo, a par tire dagli anni Quaranta del secolo scorso e fino al 1961, l’anno dell’abban dono e della partenza verso Roma (un esilio, una cacciata dal Paradiso ma anche un inizio nuovo) della famiglia Pardo. Tiegerman, ebreo, considerato uno dei più grandi interpreti della mu sica romantica, da Chopin appunto a Brahms, era nato a Drohobycz, un luo go oggi in Ucraina, fino al 1914 facente parte dell’Impero austro-ungarico, ed è stato a sua volta l’insegnante di pia no di Edward Said, intellettuale pale
stinese, negli ultimi decenni del Nove cento il miglior amico di Daniel Baren boim, argentino ma pure israeliano: e insieme hanno fondato il West-East Diwan Orchestra che riunisce giovani musicisti arabi e israeliani. Ecco, tutto si tiene nella vita reale, le coincidenze e la casualità sono la regola e non l’ec cezione, le identità delle persone sono molteplici e solo gli stolti possono pensare a un mondo di appartenenze univoche. E sì, la musica aiuta davvero a lenire il lutto. Perché “Una casa sul Nilo”, oltre a tracciare un affresco di una metropoli una volta cosmopolita – con mille contraddizioni- e a rico struire una vicenda familiare che nella sua apparente singolarità risulta di una valenza universale, è un tentativo di far letteratura per affrontare il dolo re e il lutto. E per dire: c’è vita e deside rio dopo la perdita e anzi è la perdita che potenzia il desiderio.
Ma procediamo con ordine. O me glio, con il disordine linguistico, i ru mori e gli aspri odori delle strade del Cairo, il fascino di una vita sull’orlo dell’abisso, pensando invece che il pre
sente durerà per eterno. E allora, negli anni Quaranta c’era una città sul Nilo. Il mondo era in guerra, la seconda guerra mondiale. Le truppe delle po tenze dell’Asse, i tedeschi comandati dal generale Rommel, assieme a quelle italiane si stavano avvicinando alla cit tà. Gli abitanti avevano paura. Tutti gli abitanti? No. Solo, probabilmente, lo strato cosmopolita, le élite europee così come i loro amici dell’alta borghe sia locale. Il timore della fine (ma sem pre rimandata, finché non arriva dav vero), gioca un certo ruolo nella narra zione. La famiglia dell’autrice è più che benestante e fa parte di quella élite che si incontra nelle sale dei grandi alber ghi sul Nilo, nei circoli esclusivi come l’Automobile Club o l’Auberge des Pyra mides. Quei luoghi sembrano sospesi nel tempo e un po’ nello spazio. Siamo
96 6 novembre 2022 Memoir
nel cuore del Medio Oriente ma si par lano tante lingue che non sono l’arabo e ci si veste come a Londra o a Parigi. Si è detto che la protagonista del roman zo è Fanny, la madre di Denise. Ma c’è una seconda protagonista, in realtà paritaria a Fanny. È la nonna, chiamata in casa Bobe. Bobe vuol dire in yiddish, nonna appunto. Ecco, nel mondo scin tillante, francofono e anglofono e che frequenta la Corte reale (ci torneremo) è presente la lingua degli ultimi, dei più umili fra gli europei, degli ebrei dell’Est che parlano lo yiddish. In casa Pardo, al Cairo (e la saga narrata è in gran par te un racconto al femminile) le donne usavano quell’idioma, e l’autrice ne ri produce i modi, le frasi, le battute, in originale. E così non solo è fedele alla memoria ma riporta l’atmosfera di una lingua che trasmette una certa inquie
si parla molto - non solo restituisce in chiave spesso ironica e senza idealiz zare il passato coloniale il mondo che fu ma crea anche un universo metaforico, da non prendere alla lettera ma appunto quasi come una bella favola, dove ci sono le zie nel ruolo delle principesse, e una ragazza inglese che sbaglia amori e uomo. E come in tutte le favole c’è un re, Faruk. Ecco, non siamo però solo in una favola e così le storie diventano Storia.
“La casa sul Nilo” di Denise Pardo (Neri Pozza editore, pp. 288, € 18). Sopra: l’autrice. A sinistra: Il Cairo, la città vecchia, 1955
tudine e ansia, anche quando si è all’a pice della piramide sociale. La nonna viene da Czernowitz, città austrounga rica (patria peraltro di Paul Celan), luo go in cui di lingue se ne parlavano al meno quattro e che era una specie di piccola Vienna (oggi fa parte dell’U craina). Da quella che oggi è l’Ucraina, ossia da Odessa viene pure il nonno di Denise, fuggito dai pogrom. Il Cairo è quindi un rifugio dall’antisemitismo europeo. Così appare, salvo poi espel lere gli ebrei accolti (ci torneremo). Fanny è una ragazza bellissima. La sposa Sam, un ebreo che viene dai luo ghi dell’ex Impero ottomano, ha la cit tadinanza italiana, commercia in mar mi di Carrara, fa affari con i ricchi si gnori dell’Arabia saudita.
Il racconto delle feste, dei vestiti, dei cibi – dei modi di cucinare e mangiare
Il re Faruk è un uomo corrotto. Il monarca si dà agli affari, al poker (un gioco di cui il libro parla molto), alle belle donne, ma trascura i bisogni del popolo. Nel Paese cresce lo scontento. E così, nasce un gruppo di ufficiali che rovesciano il potere monarchico e in staurano un regime repubblicano e na zionalista. Stiamo parlando degli uo mini guidati da Gamal Abdel Nasser. L’atmosfera del Cairo cambia. Ci sono manifestazioni di ostilità nei confronti degli stranieri. In particolare insicuri si sentono gli ebrei, dato che alcuni ven gono accusati di essere spie di Israele. La dolce vita continua ma la sensazio ne di precarietà si fa sempre più forte. La cultura cosmopolita, in fondo colo niale, niente può contro quella in lin gua araba, incarnata (per fare un solo esempio) dalla meravigliosa cantante Um Kulthum, la vera regina dei cuori dell’intero Paese e della Regione. Co mincia un mesto esodo. Le amiche di Fanny partono e Sam le regala il piano forte. Poi, un giorno, un amico di Sam che fa parte del gruppo dei nazionali sti al potere (ma innamorato della ra gazza inglese, amica di Fanny di cui si parlava prima, e quindi scisso fra sen timenti intimi e dovere patriottico) av verte la famiglia: «È meglio che ve ne andiate via». E così, nel settembre 1961, la famiglia Pardo, finisce a Roma. Bobe, la nonna, nell’albergo in cui abi tano appena arrivati in Italia, apre la finestra ed entra “un’aria leggera”. Ma la Luna del Cairo manca.
Avvertenza: Denise Pardo è stata per anni collega all’Espresso di chi scrive. Ma l’amicizia (si spera) non ha influito sul giudizio sul libro.
6 novembre 2022 97 Idee Foto: Alamy –IPA
L'icona di stile
Da Bordighera, sulla co sta ligure, bisogna iner picarsi per cinque chi lometri per raggiunge re la frazione di Sasso, compatta come una fortezza. Accanto al duomo c’è un vico letto in salita e si arriva al cancello della vecchia casa Rossi, la famiglia di Irene Brin (vero nome Maria Vittoria Rossi, detta Mariù), una donna che è impossi bile racchiudere in un’unica definizio ne. Intellettuale cosmopolita, scrittri ce, gallerista, fondatrice dell’alta moda italiana e di un nuovo modo di conce pire il giornalismo, maestra di stile e di bon ton. Parlava quattro lingue e cono sceva Proust a memoria. Ma si definiva «specialista in frivolezze» e rivendica va il diritto delle donne a essere leggere senza venir giudicate sciocche.
Ad aprire la porta è il nipote preferi to, figlio della sorella Franca, Vincent Torre, di professione fisico perché «quanto a cultura letteraria e umani stica avevo già appreso tutto, fin da pic colo, da Gaspero e Irene». Gaspero Del Corso era il marito di Brin e insieme, attraverso la romana galleria L’Obeli sco, aperta nel 1943 in via Sistina, ave vano costituito per quasi tre decenni un imprescindibile punto di riferimen to per la diffusione dell’arte contempo ranea. «Essere portato nei musei da loro è stata una grande lezione di vita. La zia mi lasciava ore davanti ai quadri e poi m’interrogava. È così che ho im parato a riconoscere la Bellezza».
Irene, nata a Roma il 14 luglio 1911, amava la casa di Sasso, soprattutto ne curava il vasto giardino, tappezzato di prati irregolari, percorso da sentieri nascosti, abitato da qualche gatto. Lo riempì di opere d’arte, tuttora in parte presenti: sculture di artisti amici, da Arnaldo Pomodoro a Giacomo Balla, da Attilio Pierelli a Maria Dompè. E qui morì, il 31 maggio 1969, al ritorno da un viaggio in macchina a Strasburgo con l’inseparabile marito per vedere una mostra di Diaghilev. «Fu un viag gio terribile, a piccole tappe d’ango scia», raccontò Gaspero nella biografia “Mille Mariù. Vita di Irene Brin” di Claudia Fusani, edita da Castelvecchi:
A casa di Mariù
Scrittrice, maestra di moda, gallerista. Irene Brin amava soggiornare nella dimora di famiglia a Sasso di Bordighera.
E qui morì. Ad aprirci le porte ora è il nipote Vincent Torre
«Con lei che si sentiva sempre peggio, ma visitò la mostra, irriducibile, eretta nei suoi bei vestiti eleganti, inappunta bile nei suoi guantini bianchi». Soffriva d’un tumore ed era stata operata, ma diceva di avere l’epatite virale. Sulla via del ritorno si fermano a Sasso perché Irene non è in grado di continuare.
«È arrivata di giovedì e il giovedì do po è morta. L’ultimo giorno mi disse dalla sua poltrona che mi voleva molto bene», ricorda Vincent. Quel nipote era il figlio mai avuto, il figlio che aveva persino inventato di aver perduto du rante una supposta gravidanza. Ma Gaspero era omosessuale, anche se lei fingeva di non saperlo e quando nel ‘60 – racconta Vincent – aveva tentato il suicido per la scoperta di un tradimen
to del marito, la versione ufficiale fu di essere stata tradita per un’altra donna. «Eppure erano una coppia legatissi ma», riflette mentre attraversiamo il giardino. Suonano le campane del duo mo, che ha la torre proprio sulla «fascia de ca’», ovvero la parte del giardino più vicina alla casa. Da piccolo chierichet to, Vincent le suonava attaccandosi al le corde. Ora il suono è elettronico, ma la magia resta su quella «fascia de ca’» dove in agosto si organizzano eventi di fronte a sei cipressi. I più vecchi pianta ti nel ‘43 da nonno Vincenzo per mo glie e figlie. Gli altri, 17 anni dopo, per Franca, Irene e Gaspero.
Per il resto dell’anno il posto è un b&b e alla mia domanda se chi prenota viene per Brin, la risposta è sconsolata:
98 6 novembre 2022
di Sandra Petrignani
«Proprio no». Eppure c’è un piccolo museo, accanto alla chiesa, che si può visitare su richiesta. E dentro foto e ri tratti, compreso quello celebre firmato da Massimo Campigli, un’installazione di Picasso fatta per lei, il profumo di Christian Dior creato in suo onore. «A tavola, alla fine, beveva solo champa gne. Ma aveva sempre mangiato poco. Era fiera, alle sfilate, di entrare dentro i vestiti indossati dalle modelle», conti nua Vincent. Quelle sfilate che non co minciavano senza di lei, che con i suoi articoli convinse i sarti italiani ancora sconosciuti, le Fendi, le Fontana, i due Emilio – Pucci e Schuberth – Simonet ta…che potevano competere con i grandi stilisti francesi. E fu la nascita del made in Italy. Sempre inerpicata su
scarpe a tacco alto aperte sul davanti per lasciar vedere le unghie smaltate. Un vezzo, come quello di non mettere gli occhiali pur essendo miope. Sarà la prima, a metà degli anni ‘50, a far uso di lenti a contatto. «Era molto bella, con chiarissimi occhi spalancati sul mondo che guardava instancabile», la descris se Camilla Cederna. Ma in molti la mentavano la sua freddezza sprezzan te. Disse un’altra grande giornalista che la riconosceva amica e maestra, Lietta Tornabuoni: «Era anche molto genero sa. Non era affettuosa, né cordiale, non era fisica. Era una donna coraggiosa, forte, elegante, ma distante». Un gior no in cui Lietta attendeva di conoscere la sorte del fratello che aveva avuto un incidente, Irene era arrivata in clinica
con un thermos di brodo, tramezzini e caffè per tenerla su. «Pratica e genero sa, non sentimentale».
E anche con il nipote: «Affettuosa, ma senza esagerare». Secondo lui, era in re altà una donna infelice. Sia la zia Irene sia la madre Franca non avevano avuto ciò che desideravano «e magari la gran de bellezza di entrambe è stata un osta colo». Girando per il giardino si arriva alla piscina voluta da quegli zii speciali e dove amavano trattenersi. È ombreg giata dalle palme, circondata da instal lazioni e conchiglie. Il senso di sconfitta nella famiglia Rossi (fu Leo Longanesi a ribattezzare Mariù col tintinnante no me di Irene Brin) veniva da lontano. Il padre Vincenzo, comandante della Bri gata Roma e scampato a Caporetto, era stato accusato nel 1917 di alto tradi mento, suo fratello Francesco, sociali sta, era inviso ai fascisti e aveva rischia to di esserne ucciso. La madre Maria Pia Luzzatto, colta ebrea d’origini viennesi, confinata a fare la donna di casa, riversò le proprie ambizioni su Mariù. E lei, che voleva diventare scrittrice, si ritrovò a comporre “brinate”, come venivano de finiti i suoi articoli dai giornalisti del tempo, o a nascondersi dietro la famosa Contessa Clara che insegnava le buone maniere alle italiane. Nei suoi cassetti giaceva un romanzo dimenticato, “Le perle di Jutta” (ritrovato da Vincent, ha visto la luce due anni fa grazie alle edi zioni Clichy), troppo eccentrico per im porsi. E in tanti non conoscono il repor tage in forma di racconti “Olga a Belgra do”, ristampato da Elliot otto anni fa, che parla del fronte jugoslavo durante il secondo conflitto mondiale. E i ritratti di vita italiana raccolti in “Cose viste” o “Le visite” che vogliono (parole sue) «comprendere una generazione inge nua e triste che si illuse di vivere secon do un ritmo eccezionale». E poi gli “Usi e costumi 1920-1940” e il “Dizionario del successo dell’insuccesso e dei luoghi comuni” (tutti pubblicati da Sellerio). Infine l’ultimo libro, scritto quando le forze l’abbandonavano: “L’Italia esplo de. Diario dell’anno 1952” (Viella). L’an no in cui sbocciò l’Italia moderna. An che grazie a lei.
6 novembre 2022 99 Idee Foto: Pasquale De Antonis
Irene Brin ritratta da Pasquale De Antonis nel 1951
La prima impressione sul governo Meloni conferma l’allarme che Maria Chiara Gianolla, cartoonist e do cente di storia, aveva lanciato nella sua graphic novel “A Black Carol” (Momo edizioni): «Fin dal discorso d’insediamento», commenta l’artista, «è evidente che non c’è attenzione verso le parti più fragili della società, anzi mi sembra che ci sia una volontà di aumentare le disparità sociali». Come prevedeva il libro, dopo il fascismo nero e quello grigio è arrivato il fascismo bianco, che cancella ogni sfumatura e si scaglia contro tutto ciò che è diverso: i migranti, i poveri, la comunità lgbtqia+, gli universitari che protestano o chi partecipa a un rave. Nel suo libro, che riprende la trama del racconto di Charles Dickens, il primo fantasma a presentarsi alla protagonista è quello del fascismo passato: una sagoma nera con in te sta un fez, disegnata a testa in giù... «Il fascismo a testa in giù, con un riferi
Dopo il fascismo in camicia nera e quello grigio, è arrivato il fascismo bianco. E si scaglia contro tutto ciò che è diverso. Lo racconta una graphic novel
Fantasma a testa in giù
mento all’esposizione del corpo di Mussolini a Piazzale Loreto, è una scel ta satirica già usata nel mondo del fu metto (ad esempio in “Quando c’era Lui” di Fabbri e Antonucci). È un’imma gine iconica che rappresenta la fine di un’epoca, anche se di certo non ha rap presentato la fine del fascismo. Quindi nel momento in cui mi sono trovata a dover immaginare come raffigurare questofantasmadelfascismocheritor na, l’ho immaginato così, come è stato visto l’ultima volta: a testa in giù». Poi il fantasma cambia colore, di venta grigio e infine bianco. Perché? «Oggi, quando parliamo preoccupati di fascismo, non ci riferiamo più al re gime riconducibile al colore nero: il fascista tipico non è più un uomo col Fez e la camicia nera come il mio pri mo fantasma. È un fascismo che via via si è fatto meno riconoscibile ma non meno pericoloso. Negli ultimi an ni in Italia è stato alleggerito (e quindi “sbiadito”) il peso politico del fascismo sulla cultura, sulla politica e sugli ac cadimenti attuali. I media e le istitu
zioni hanno contribuito a modificare il linguaggio per rendere questa cultura più socialmente accettabile (oggi lo chiamiamo “sovranismo”), fino a crea re un’idea distorta di libertà d’espres sione che può essere applicata a tutte le affermazioni, anche quelle offensive, violente se non addirittura criminali (perché il fascismo, ricordiamolo, è un crimine e non un’opinione). È stata for zatamente democraticizzata la narra zione sui fascismi, passati e presenti, e questo ha reso il fenomeno sempre più chiaro (nel senso di schiarito), ma de cisamente più oscuro (nel senso di meno riconoscibile)».
Nel libro si parla sia del dibattito sia della violenza crescente.
«Cito molte delle aggressioni di matri ce omofoba, xenofoba, razzista o espli citamente e marcatamente fascista in cui sono rimaste ferite o uccise diverse persone dai primi anni 2000 ad oggi. I media spesso hanno derubricato que sti fatti a “risse per futili motivi”, ad “at ti scellerati di persone con disagio psi chico” o a “gesti isolati”. Ma sono ag
Storia e cartoon
colloquio con Maria Chiara Gianolla di Angiola Codacci-Pisanelli
100 6 novembre 2022
gressioni anche quelle da parte di go verni e amministrazioni: oggi non vengono più redatte le leggi razziali, come nel fascismo storico, ma ad esempio non vengono riconosciuti i di ritti civili per le persone appartenenti alla comunità lgbtqia+, o viene messo in discussione il diritto ad abortire e si chiede di abolire il reato di tortura per ché “impedisce agli agenti di fare il pro prio lavoro” (parole di Giorgia Meloni). Non vengono realizzati campi di con centramento o di sterminio, ma vengo no respinti i migranti e i richiedenti asilo lasciandoli morire in mare e lun go i confini dell’Europa. Oppure non viene consentita nessuna forma di soli darietà o di accoglienza verso i senza tetto, per cui vengono blindate le pan chine, chiuse le stazioni, sequestrate le coperte, sgomberati i centri di acco glienza… Tutto questo in nome di una finalità nobile che è il “decoro urbano”: rendere le nostre città più belle, più pu lite e più sicure (quindi “sbiancare” an che nel senso di “ripulire”). Ecco, que sta prassi di non chiamare le cose con il proprio nome ha camuffato l’avanzata del nuovo fascismo: è una sorta di “white washing”, per dirla in termini contemporanei».
Quindi siamo al fascismo bianco?
«In realtà più che bianco è trasparente. Non sembra una minaccia, riesce a co struire consensi e a risultare affidabile: Meloni non fa nulla per nascondersi, anzi! Sono esplicite le sue posizioni, le dichiarazioni passate e presenti, le simpatie, alleanze e malefatte sue o dei collaboratori del partito: che tra loro fanno il saluto romano e si scam biano battute razziste o antise mite. Gli italiani e le italiane sanno tutto, non c’è niente di nascosto, eppure…».
L’arrivo di una donna pre mier ha portato a un dibat tito sul femminismo. Ep pure libri come quello
di Mirella Serri hanno definitivamente smentito chi dice che “Mus solini ha fatto tanto per le donne”. «Il fascismo storico ha prima costruito il consenso sulle donne, esaltandole come figure fondamentali per la pa tria, per poi relegarle ai ruoli di madre e di moglie, subordinate al marito che era considerato il capo famiglia. In ge nerale la cultura fascista ha alimentato l’idea tipicamente patriarcale della se parazione delle donne in spose e putta ne: la sposa era sacra (l’angelo del foco lare) e la sessualità con lei era funzio nale alla procreazione, la puttana inve ce era quella con cui sfogare tutte le proprie fantasie sessuali. In entrambi i casi il consenso era del tutto seconda rio. Senza contare poi il fenomeno del “madamato” che altro non era che una forma di stupro istituzionalizzato». Con Meloni si sta affacciando un nuovo colore, un fascismo rosa?
«Meloni incarna perfettamente il mo dello di donna fascista “donna, madre e cristiana”, così lei si è presentata al grande pubblico. Resta implicito che non ci siano altri ruoli per le donne se non questi. Tant’è che parla di incentivare le nascite e la famiglia tradizionale, taccia tutti i comportamenti non conformi come devianze (in maniera confusa, grossolana, offensiva e ingiusta) e quindi procede verso una direzione profondamente conservatrice. Ma non le riconoscerei comunque il “merito” di aver aperto una nuova epoca del post fascismo italiano: il fascismo c’è sempre stato, non è mai stato processato politicamente e sto ricamente, non è mai stato supe rato neanche sul piano cultura le. E sono almeno vent’anni che, in maniera costante, viene sdoganato: e questo ha dato credibilità e legittimità po litica a personaggi parados sali, anacronistici e peri colosi che ora si accingono a gover nare l’Italia».
Idee
6 novembre 2022 101
Maria Chiara Gianolla e la copertina del suo libro “A Black Carol” (Momo). A sinistra: alcune tavole dalla graphic novel
Scacco ai dittatori
Giustizia, dignità, memoria. Al centro di “Argentina, 1985”, film-capolavoro sul processo ai
gerarchi
del regime di Videla. Il grande attore nei panni del procuratore Strassera. “È una storia universale”
Argentina, 1985”. È il titolo del nuovo film di Santiago Mitre, disponibile su Amazon Prime Video, che vede protagonista Ricardo Darín - classe 1957, attore argentino di spicco nel panorama cinematografico mondiale - nei panni del procuratore Julio Strassera. Sotto costante minaccia, senza mai rinunciare all'umorismo e affiancato da un’improbabile quanto coraggiosa squadra legale, si cimenta in una battaglia in pieno stile Davide contro Golia e diventa un eroe suo malgrado. L’obiettivo è ambizioso e delicato: indagare e processare i gerarchi della più sanguinaria dittatura militare argentina. Portare alla sbarra i vari Videla, Massera e i generali della giunta golpista per fare giustizia e restituire voce e dignità alle innumerevoli vittime e parenti delle stesse. Un film-capolavoro sulla ricerca della verità contro tutti e tutto, sulla condanna assoluta di violenze e torture di stato e sul valore dell’integrità personale e collettiva, che impone una riflessione importante sulle aberrazioni del potere. Oggi come ieri.
Darín, com’è stato calarsi nei pan ni di Strassera?
«Ho dovuto lavorare molto sull’au tostima. All’inizio del film lui ne ha poca, all’epoca nessuno credeva che il processo sarebbe stato possibile. L’avvento della democrazia era fre sco, la ricerca della verità faceva an cora paura, non era neanche imma ginabile poter perseguire gli aguz
Sopra: un’immagine dal film “Argentina, 1985” di Santiago Mitre. A destra: Ricardo Darín, 65 anni
102 6 novembre 2022 Protagonisti
colloquio con Ricardo Darín di Claudia Catalli
Foto: M. BertorelloAfp / GettyImages
zini che per anni perpetrarono vio enze e torture atroci in Argentina. Strassera si impegna e ci crede ogni giorno di più, anche grazie ai giova ni legali di cui si circonda – là dove i suoi esimi colleghi coetanei si defi lavano uno dopo l’altro – per sfidare insieme con convinzione un intero sistema. Si trattava di una missione complessa: trovare le prove incon futabili che potessero inchiodare coloro che avevano impartito ordini disumani. Perché chi è al comando non si sporca mai le mani, non usa direttamente le armi: per proces sarli occorreva provare che avesse ro ordito un piano di annientamen to sistematico, un vero e proprio
La sfida più grande di un perso naggio come questo? «Saper gestire la rabbia. Per perse guire i criminali serve sangue fred do, non puoi farti guidare dall’ira. Il rischio di chi fa il lavoro di Stras sera è farsi coinvolgere umana mente: ascoltando le testimonian ze come attore e come essere umano tutto mi colpiva e attra versava, ma sapevo di dover tenere alto l’equilibrio e il controllo proprio come Stras sera, che non poteva e non doveva cadere nello stesso errore delle persone che intendeva perseguire, accecate da un senti mento distruttivo».
Perché è importan te raccontare oggi un processo che ha reso giustizia alle vittime di un regime dittatoriale?
«Perché il cinema parla a tutti. Il film racconta una storia uni versale sulla giustizia, la di gnità, la memoria. Ho fatto molte ricerche, parlato a lungo con il regista e gli sceneggiatori, visto docu mentari e letto quante più notizie e documenti sull’epoca. Non è un film che racconta “so
lo” quello che è successo in Argenti na. Basta guardarsi intorno, vedere che cosa sta accadendo nel mondo. Molti popoli stanno tuttora soffren do, subiscono le azioni di governi che non rispettano le minoranze, che inneggiano all’intolleranza ver so l’altro, lo straniero. La violenza è ancora molto forte e diffusa nel mondo. Sono tempi difficili, dolorosi per tutti».
Rispetto al 1985 va meglio o peggio? «Alcune cose sono cambiate per il meglio. Allora non c’erano neanche i cellulari, oggi abbiamo un’immedia ta trasmissione di notizie, basta un tweet o un messaggio istantaneo per sapere cosa succede in una stanza. C’è una comunicazione rapidissima che a volte è anche distorta, ma sem pre preferibile alla nebulosità di chi mira a tenere nascoste le cose. Resta tuttavia ancora tanto lavoro da fare, per restituire dignità a tutte quelle persone che ogni giorno, loro mal grado, continuano a perderla in vari Paesi del mondo».
In effetti nel 2022 la democrazia è ancora estremamente fragile nel mondo. Come lo spiega?
«Da più parti stanno rispuntando nuovi spargitori di odio e intolleranza che vanno a diffondere e risvegliare quel sentimento insito nel Dna umano per cui è più facile puntare il dito che conoscere, giudicare più che capire, escludere più che accogliere e annientare l’altro anziché parlarci. Persino con il nostro pianeta, l’unico che abbiamo, abbiamo problemi a rispettarlo e fatichiamo a conviverci pacificamente. Per questo film come “Argentina, 1985” sono importanti: mostrano che un’altra via è percorribile, perché è stata effettivamente percorsa da persone comuni che hanno scelto di saltare oltre le proprie paure, oltre le minacce, oltre i pericoli individuali per sostenere tutti insieme una causa comune. Solo questo spostamento di prospettiva oggi può salvarci: dall’io al noi, dal battersi per il proprio individualismo alla lotta per il bene comune».
6 novembre 2022 103 Idee
A CURA DI SABINA MINARDI
LA SIGNORA DELLE FATE
DI EMANUELE COEN
Esistono tra le persone legami ancestrali che attraversa no le generazioni, fili misteriosi che uniscono destini e resistono al tempo. Ha qualcosa di magico l’incontro tra la scrittrice Silvia Ballestra, da decenni a Milano ma con solide radici marchigiane, e Joyce Lussu, partigiana e scrit trice, poetessa e traduttrice, scomparsa nel 1998. Quando si incontrano la prima volta, nel 1991, Ballestra ha ventun anni e Lussu 79. La giovane scrittrice va ad incontrarla nella sua bella casa di campagna tra Porto San Giorgio e Fermo, per porre delle domande a questa donna «formidabile, saggia e generosa» sulla sua vita straordinaria. Come farà tante altre volte e come secoli fa fecero pellegrini e viandanti, che saliva no sui monti Sibillini per interrogare la signora che, circon data dalle sue fate, tesseva nella sua grotta i fili di passato, presente e futuro. Prende il titolo da questo personaggio leggendario il libro “La Sibilla” (Laterza) di Silvia Ballestra, biografia documentatissi ma e appassionata di Joyce Lussu, all’anagrafe Gioconda Sal vadori, in fuga dal 1924 dal regime fascista. Il punto comune con il marito Emilio Lussu, intellettuale, scrittore, fondatore del Partito sardo d’azione, è Giustizia e Libertà, il movimen
C’è un luogo dove battono i cuori di migliaia di esseri umani. Si trova a Teshima, su una remota isola del mare del Giappone. È un Archivio ideato dal grande artista Christian Boltanski e scovato dall’autrice del suggestivo bestseller “Quel che affidiamo al vento”. Che torna con la storia di una profonda amicizia tra un disegnatore surfista e un misterioso bambino di otto anni e del loro viaggio: un cammino, mano nella mano, tra le emozioni, le gioie e le paure di cui è intrisa la vita.
“L’ISOLA DEI BATTITI DEL CUORE”
Laura Imai Messina Piemme, pp. 300, € 18,90
to antifascista fondato nel 1929 a Parigi, a cui Joyce e il fratello Max aderiscono da subito. Parte da qui il racconto avvincente di una vita, anzi di due vite insieme (con Emilio) che sembrano dieci, la storia di una donna bellissima e fortissima che pensa, scrive, agisce, lotta. E soprattutto viaggia come una forsennata: Parigi, Lisbona, Marsiglia, Roma, il Sud dell’Italia dove sono arrivati gli allea ti. Tra documenti falsi, missioni segrete, diplomazia clande stina. Dopo la guerra va alla ricerca di poeti da tradurre per far conoscere le lotte di liberazione dell’Africa e del Kurdi stan, scopre i versi di Nazim Hikmet, di Agostinho Neto, dei guerriglieri di Amílcar Cabral che compongono canti di lotta durante le marce. Un racconto che si conclude con un sogno vivido, finora mai raccontato. La preveggenza della Sibilla.
Silvia Ballestra
Editori Laterza, pp. 248, € 18
Due ragazzine crescono in un orfanotrofio. La vita le scaglia su barricate diverse. Ma le fa incontrare di nuovo, rimescolando pregiudizi razziali e punti di vista sul mondo. Allargando lo sguardo dell’una e dell’altra e restituendo alla parola “famiglia” un senso nuovo. Un racconto per la prima volta tradotto in italiano, che la Premio Nobel per la Letteratura considerava un esperimento: un gioco coi lettori a indovinare le identità. E fare i conti con i propri stereotipi.
“RECITATIVO”
Toni Morrison (trad. S. Fornasiero e M. Testa) Frassinelli, pp. 128, € 15,90
È stato uno dei designer più influenti della storia britannica, un rivoluzionario degli interni vittoriani, ma anche un ambientalista ante litteram, un imprenditore di successo, uno scrittore prolifico. Soprattutto, un pioniere del movimento Arts and Crafts. Con un corredo di centinaia di illustrazioni, questo importante volume esplora la vita, le idee, l’eredità di una straordinaria figura. Decisa a trasferire nell'arte il nostro rapporto con la natura.
“WILLIAM MORRIS”
A cura di A. Mason (trad. Veltri-Del Vecchio) Einaudi, pp. 432, € 80
6 novembre 2022 105
Bookmarks/i libri
“LA SIBILLA – VITA DI JOYCE LUSSU”
Silvia Ballestra dedica alla partigiana e scrittrice Joyce Lussu un’appassionata, e documentata, biografia
INSEGNARE IN SARDEGNA
La diaspora dei prof Quando il precariato fece riunire l’Italia
Come oggi, per una cattedra accettavano di spostarsi. Negli anni ’70 erano viaggi alla scoperta di luoghi allora remoti. Come l’Ogliastra di Chiara
Tore e Battista entrano nel sacco di iuta. Si muovono nell’aula mentre compiono gesti ripetitivi come lavarsi i denti, pregare, guardare l’orologio, prendere le medicine. Intanto Mario lino li pungola con un ramo di ulivo. La classe scoppia in una fragorosa risata mentre il professore si chiede che cosa ne penserebbe il premio Nobel Samuel Beckett della bizzarra inter pretazione della sua opera “Atto sen za parole II” che ha preso forma nella prima media, sezione D, di Baunei. Un piccolo comune di mezza collina nel centro dell’Ogliastra, in Sardegna.
Era il 1973. Baunei non era ancora conosciuto come uno dei borghi più belli d’Italia. Ma era un segno poco no to, come tanti altri, sulla cartina geo grafica. La Sardegna era considerata l’ultima spiaggia per chi, come Gian carlo Mirone, desiderava insegnare. Da terra dimenticata almeno fino a un pa io di anni prima, fino a quando la vitto ria del Campionato del Cagliari capita nato da Gigi Riva nel 1970 non ha assot tigliato il limbo che la separava dal re sto del Paese, si è trasformata in luogo di incontro, di formazione e crescita. In una casa per gli aspiranti insegnanti che per ottenere una cattedra lasciava no famiglia e amici, per trasferirsi in territori fino a quel momento scono sciuti. Come oggi. Ma le fila del preca riato erano meno ricche, le graduatorie per l’insegnamento più scorrevoli, tan
Sgreccia
te aree d’Italia ancora remote.
Conlaliberalizzazionedelleuniversi tà che ha seguito il Sessantotto, soprat tutto al Sud, è aumentato il numero dei laureati. Per questo l’offerta di cattedre in molte regioni era diventata inferiore alla domanda. Così, soprattutto cam pani e siciliani, iniziavano a trasferirsi in zone meno frequentate del Paese, co me la Sardegna. Di fatto rendendo più complicato per i locali l’accesso al mon do del lavoro. «L’anno precedente al mio arrivo nei vari provveditorati dell’i sola durante le convocazioni per l’asse gnazione delle cattedre c’erano stati veri e propri scontri fisici tra gli univer sitari sardi e gli immigrati titolati», scri ve Mirone nel suo libro L’Amore Sgram maticato, edito dalla società Cooperati va Pietro Vittorietti. Per sottolineare il disappunto in cui si era imbattuto ap pena il suo traghetto da Napoli aveva attraccato al porto di Cagliari.
«Ma con il tempo sarei riuscito a con vincere tanti dei miei interlocutori, non tutti, che ero consapevole del loro disa gio, invitandoli a riflettere sul fatto che pure io ero nella stessa barca e che, se solo fosse stato possibile, non avrei cer to lasciato la mia tribù per sfangarla in suolo altrui», racconta. La nostalgia della Sicilia, terra di nascita, di una Pa lermo pop e sessantottina, convive con la voglia di scoprire un posto nuovo nel percorso di crescita di Mirone. Un gio vane insegnante, 24 anni, alla prima esperienza fuori casa. La sua forma
106 6 novembre 2022
Foto: Mondadori Portfolio
La
scuola inclusiva
Alunni delle scuole elementari di Orgosolo, nel 1975, osservano un murale che ritrae Antonio Gramsci
Storie 6 novembre 2022 107
zione personale è contemporanea a quella dei 23 alunni della prima D di Baunei. La peggiore classe della scuola che, per mancanza di aule, era stata si stemata all’interno del municipio, al centro del piccolo paese. Dieci femmi ne e tredici maschi, in parte ripetenti, che assaltano l’insegnante, non appena entra in classe, in una lingua incom prensibile, il dialetto locale.
«L’impatto è stato sismico quanto mortificante». Così Mirone descrive il suo primo giorno. Ma scatta imme diatamente la voglia di rompere il muro di incomunicabilità. Il deside rio di comprendere gli alunni con cui avrebbe avuto a che fare per molte ore settimanali, diciotto: dieci al mat tino e otto nel pomeriggio per il do poscuola. La questione pedagogica diventa centrale nei pensieri di Miro ne e nei dibattiti che porta avanti con gli altri docenti al bar, a tavola o du rante le serate organizzate a casa, da vanti a una bottiglia di vino o a un
bicchierino di “fileferru”, un’acquavi te frutto della tradizione locale. Pro prio come in un circolo culturale in cui il desiderio di confronto porta le conversazioni tra gli interlocutori, fi no a poco prima sconosciuti ma che si arricchiscono e divengono amici nel dibattito, a spaziare tra gli argo menti più variegati: dall’impegno po litico ai fatti di cronaca. Fino alla fun zione sociale della scuola.
Perché non può esistere democrazia senza una scuola che consenta a tutti di comprendere la realtà, di esprimere la
Il libro di Giancarlo Mirone “L’amore sgrammaticato, la scuola che ti resta dentro”, edito da Pietro Vittorietti, che racconta l’esperienza di un professore siciliano in Sardegna negli anni Settanta
propria opinione, di capire quella degli altri. Tutti, a prescindere dalle opportu nità. Tutti devono avere la possibilità di migliorare la loro condizione di parten za. A questo serve la formazione: a ga rantire a ciascuno il sapere di cui ha bisogno per essere un cittadino consapevole. Come Don Milani in Lettera a una professoressa immagina una scuola che non respinga gli ultimi, Mirone cerca di costruire in classe tentativi di inclusione sociale per trasformare la prima D in un gruppo coeso. Dalle sperimentazioni più vicine al gioco, che traggono ispirazione dal pensiero di Gianni Rodari, alla scuola del fare. Al doposcuola nei campi, all’epistolario.
Una fitta corrispondenza tra studenti e insegnante in cui gli allievi hanno la possibilità di esprimersi liberamente. Che funziona. Tra le lettere, quella di Anna che scrive: «Il programma che noi svolgiamo a scuola, secondo me, non è sufficiente per prepararci ad una futura
108 6 novembre 2022 La scuola inclusiva
Una famiglia nel Nuorese negli anni Settanta
vita come dicono alcuni professori. Ci fanno studiare date e personaggi stori ci, che forse sono importanti, ma non ci fanno capire i veri problemi della so cietà sbagliata in cui viviamo. Non so se mi spiego. Mentre noi ce ne stiamo a scuola a studiare delle regole che dopo un po’ di tempo, forse, scordiamo tanti popoli lottano per avere la propria li bertà». O quella di Tore, il più irrequieto della classe: «Lei come proffessore spie ga molto bene, io qualche volta lo seguo nella lezzione ma quando non lo seguo è colpa dei miei compagni perché mi chiamano, e molte volte anche perché sono annoiato».
La creazione di consapevolezza degli alunni procede parallelamente a quella di Mirone che definisce la sua identità lontano da casa. Si forma grazie alla conoscenza di nuovi amici, posti ed esperienze. Diventa giornalista per il quotidiano “La Nuova Sardegna” e
mescolando le sue due passioni, per l’insegnamento e per l’informazione, porta in classe la realtà del mondo fuori, dagli accadimenti che caratterizzano i paesini dell’Ogliastra, come il rapimento di Olindo, uno dei più facoltosi commercianti di carni della zona, ai fatti che segnano la storia dei primi anni Settanta. Ma vale anche il contrario. Mirone porta la scuola sul giornale: cinque colonne, titolone e la fotografia panoramica di Baunei adagiato sul costone. E, nella parte centrale del servizio le lettere più significative tra quelle inviate dagli studenti al professore. «Un’alternativa diversa in un paesino di montagna. Che dire, oggi credo di potere ragionevolmente sostenere che ce l’abbiamo fatta. Ragazzi, finora siamo stati io e voi, da questo momento siamo noi».
L’epistolario ha rotto il muro di diffi denza e di iniziale incomunicabilità. Ha avvicinato il docente agli alunni e dato vita al “noi”. Però ha anche reso difficile
il distacco. Che fisicamente è avvenuto il 5 novembre del 1973, l’ultimo giorno diMironenellascuolaBauneiprimadel trasferimento nel liceo di Jerzu, in pro vincia di Nuoro. Un’opportunità di car riera a cui il docente precario non ha potuto rinunciare. Ma un distacco che nella memoria non è mai avvenuto tan to che quasi cinquant’anni dopo l’inse gnante e giornalista siciliano, tornato a Palermo, ha deciso di scrivere un libro sulla sua prima esperienza a scuola, ri cordandone e ripercorrendo ogni aspetto. Dedicato agli alunni della pri ma media, sezione D, con cui ha saputo costruire un’intesa che ha reso il pro cesso di insegnamento formativo per entrambi. Il resoconto di un amore sgrammaticato e genuino che ha anche il merito di ricordare come alcuni biso gni, l’accesso al sapere ad esempio, non debbano essere soddisfatti per merito ma per diritto, quando si vive all’inter no di una comunità.
Storie 6 novembre 2022 109
Foto: Archivi Alinari, Firenze, Getty images
La chiesa di San Nicola a Baunei. Ogliastra. Sardegna.
La psicologa e ricercatrice afghana Batool Haidari, attivista per i diritti umani nel suo Paese, rifugiata in Italia
GLI AGUZZINI DEL REGIME
Psicologa, con una ricerca shock ha squarciato il velo sul tabù dell’Afghanistan. Costretta a fuggire è rientrata nel Paese per portare via anche il marito. Ora vive in Italia. “Tornerò, sono una guerriera non una vittima” di Simone Alliva
110 6 novembre 2022 Fronte dei diritti
La battaglia di Batool Haidari contro la piaga dei pedofili talebani
“Ma uno di loro mi ha salvata”
Batool Haidari parla impla cabile e piange soltanto quando ricorda quella not te in cui la vita le è scivola ta di mano. Mentre la teneva salda sulla rotta di un compito: aiutare in Afghanistan chi soffre di pedofilia. Racconta l’arrivo dei talebani con gli occhi bagnati e lo fa come se fos se due persone: una che parla seria e spedita, attenta e concentrata. Una che piange lacrime diritte. Psicolo ga, docente universitaria, madre di tre figli ed attivista afghana rifugia ta in Italia. Siamo negli uffici della fe derazione delle chiese evangeliche in Italia, che attraverso il programma rifugiati e migranti, Mediterranean Hope, realizza i corridoi umanitari
dall’Afghanistan, tra gli altri Paesi, e ha permesso l’arrivo di Batool in Ita lia. «Non sono una vittima, sono una guerriera», è la premessa che scandi sce con una fermezza nello sguardo, una specie di durezza inflessibile e inevitabile che la sostiene per tutto il racconto.
«Prima eravamo felici. In una sola notte sono stati cancellati 20 anni delle nostre battaglie per la libertà, per il diritto allo studio, al lavoro». Dottoranda in psicologia con alle spalle una lunga esperienza in psicologia clinica e counseling racconta il mondo prima dell’arrivo dei talebani. «Un giorno si presentò alla mia porta un generale dell’esercito. Era molto triste. Iniziò a parlare e capii che c’era qualcosa che non andava. Era un pedofilo. Aveva un nipote che molestava. Consapevole della gravità era venuto da me a chiedere aiuto. Aveva lavorato in passato con i talebani e lì, come tutti i talebani nell’esercito, praticava questa perversione. Adesso aveva deciso di farsi curare».
Il grande tabù dei Paesi islamici si rompe per mano di Haidari che ini zia nel suo studio a raccogliere testi monianze di altri pazienti: «Per me era un problema nuovo. Fuori qual cuno ne aveva parlato, i giornali stranieri. Ma non c’era mai stato un dibattito nel Paese». Nel 2019 il quo tidiano britannico The Guardian aveva pubblicato un rapporto sul coinvolgimento di una rete di pedo fili responsabile dell’abuso di alme no 546 ragazzi di sei scuole nella pro vincia di Logar, a sud di Kabul. «Ave vo letto di Logar, ma è un problema che riguarda tutti i Paesi islamici. In quegli anni facevo la spola tra l’Iran e l’Afghanistan, studiavo per conse guire un dottorato di ricerca. Decisi che questa sarebbe stata la mia tesi. Andai dal mio professore con il mio soggetto. Non fu facile. Molto chiara mente il professore disse che era im possibile per motivi molto chiari: ero una donna, prima cosa. Poi: la pedo filia è un tabù in tutti i Paesi islamici quindi innominabile, figuriamoci per una ricerca universitaria. Rispo
si che non arretravo di un centime tro. Proprio perché era un problema del nostro Paese, lo avrei affrontato. Si riunirono in consiglio e la risposta fu quasi unanime: non si poteva scri vere. Poi un professore si pronunciò: questo è un problema anche per l’I ran ma lei è una studentessa stranie ra, viene dall’Afghanistan. Lasciate la lavorare, lo farà nel suo Paese sul suo Paese». Non una passeggiata: «Naturalmente nessuno voleva ac cettare le mie proposte. Ogni volta che presentavo un progetto per la te si lo bocciavano. È scritto male. Que sto dato è fasullo. Volevano che mol lassi. Per settimane ho studiato e tradotto tutti gli articoli sul tema. Dopo moltissimi no, alla fine è arri vato l’assenso. Potevo iniziare il mio lavoro. Così tornai in Afghanistan».
Batool si stabilisce a Kandahar, la seconda città più grande del Paese, ex capitale, cuore pulsante della cul tura talebana: «Lavoravo per il mini stero dell’ Interno. In segreto, ero pur sempre una donna. Ho incontra to più di 50 persone. Più di 50 pazien ti si raccontavano. Ero riuscita a mettermi in contatto con loro anche grazie ai miei studenti. Chiedevo: avete qualcuno in famiglia con que sto problema? Mi rispondevano: sì dottoressa, ma deve pagare. E così pagavo. Vendevo i miei gioielli per portare avanti la mia ricerca».
Passa quattro mesi tra i militari dell’esercito che diventano pazienti: «Un generale raccontò con orgoglio di tre ragazzi che dormivano con lui. Era molto importante che non si fa cessero crescere la barba. La pedofi lia è un grande problema che riguar da soprattutto i talebani. Interpreta no in maniera molto rigida la religio ne e il sesso viene represso. Ho visto a Kandahar ragazzini di 13 anni ri dotti in schiavitù. Non sempre capi scono cosa succede, sono troppo pic coli. Pensano: forse è un’iniziazione, forse è una scuola. Altri vengono pa gati per questo e lo fanno soltanto perché non possono fare altro. Non c’è altro modo per guadagnare. In contrai un bellissimo ragazzo che
6 novembre 2022 111 Storie
Fronte dei diritti
si prostituiva con i talebani. Sei felice? Chiedevo. No, vorrei avere una moglie ma devo fare questo per soldi. Sono schiavi sessuali».
L’attacco a Kandahar, cuore dei pashtun e luogo spirituale per i tale bani segna il momento in cui tutto cambia nella vita di Batool: «Avevo preso una stanza in un hotel picco lissimo proprio a Kandahar. Un gior no rientro da lavoro e il proprietario mi chiama: Batool, sono arrivati i talebani. Sei una donna, sei senza un marito o un uomo al tuo fianco. Cosa dobbiamo fare? Promisi che sarei stata più attenta. Salii in camera. E verso l’una di notte iniziai a sentire un gran fracasso. Erano arrivati ed erano nel mio hotel».
Èin questo momento della storia che Batool sembra cedere. Le chiediamo se ha avuto paura. E la stanza si riempie di un silenzio lungo che ro vescia gli animi, gonfio. Gli occhi si bagnano e la voce è incrinata: «Non sono una donna che piange. Scusa te». Pausa. Ancora un silenzio gonfio e allerta: «Io fino ad allora i talebani li avevo visti soltanto in televisione. Ho chiesto a quell’uomo di salvarmi. Avevo un anello, gliel’ho messo in mano e gli ho detto: salvami. Mi ha portato sul tetto dell’hotel e così so no riuscita a scappare. Correvo verso il nulla, poi all’improvviso ho ricevu to una telefonata: “Signora Haidari, tutto ok?”. Era un mio paziente, il generale. Non capivo perché in quel momento, nel cuore della notte aves se deciso di telefonarmi. “L’ho vista scappare dall’hotel. Le mando un taxi nella strada principale. Si met ta in salvo”. Ho capito che era molto potente, molto buono. Arrivai nella strada principale e ad aspettarmi c’era un’autista. Mi ha salvata».
Rifugiatasi da un cugino. «Ho ap preso lì la notizia della caduta di Ka bul in mano ai talebani. Non c’era molto da fare. Io avevo un visto per studenti. Potevo lasciare il Paese e tornare. Così ho fatto. Ho barattato ancora una volta il mio viaggio verso
l’Iran con i gioielli che indossavo. Un bracciale. E sono giunta in Iran con i miei tre figli. Qui la polizia mi ha ac colto. Ma non potevo stare molto. Il mio visto era in scadenza. Mi hanno detto: deve tornare nel suo Paese. Ri sposi che non potevo, perché il mio Paese, la mia città era stata conqui stata dai talebani. Basta coprirsi. Pensai tre lunghi giorni sul da farsi. Pensavo, pensavo, pensavo. Poi chie si a mio figlio che all’epoca aveva 16 anni: “Voglio andare in un posto, non so dove. Dobbiamo prima recu perare tuo padre. Se sei con me, pos
siamo farlo. Mi rispose che era d’ac cordo. Tornai a Kabul».
È un’immagine quella che Batool mostra sul suo cellulare. Lei, i suoi tre figli nella striscia di confine tra Iran e Afghanistan. Un fotogramma che immortala l’uscita di centinaia di persone che cercano di fuggire dalla terra caduta in mano ai taleba ni e una donna che sola, in una stra da deserta, con tre figli a fianco, cer ca di entrare: «Quando sono arrivata al confine dell’Iran ero l’unica che stava rientrando, mentre gli altri scappavano. Ai posti di blocco mi
112 6 novembre 2022
chiedevano, dove pensi di andare? Rispondevo: scusate, fatevi da parte, voglio tornare in Afghanistan per ché c’è mio marito. Arrivammo nella città di Herat e ricordo i corpi di quattro uomini appesi all’ingresso della città. Raggiunsi un cugino e lì riuscii a rivedere mio marito: “Per ché sei tornata?”. “Sai perché? Per i tuoi bambini, per te, per la nostra fa miglia. Forse tutto si risolverà per il meglio ma anche in quel caso sap piamo che tra 20 anni questa situa zione si ripeterà. I nostri figli avran no la nostra età e dovranno rivivere
tutto che quello che ho vissuto io. No, adesso è il momento di salvarli»
Rientrata nella Kabul dei ta lebani, Haidari, in attesa di un modo per scappare, non si ferma. Per due mesi organizza proteste insieme ad al tre donne. Scende per strada. Entra anche per questo nel mirino dei ta lebani. «Mi ero esposta troppo. Gli studi sulla pedofilia, le proteste. Poi grazie alla giornalista Maria Grazia Mazzola e alle chiese protestanti, con la mia famiglia abbiamo rag
giunto l’Italia, salvandoci».
Non si può mai dire dove andrà il futuro: «I miei figli, che hanno deci so di restare. Hanno trovato un po sto dove poter crescere, studiare, re alizzarsi. Ma io tornerò in Afghani stan. Per aiutare la mia gente. La vita è un privilegio se la usiamo per fare qualcosa per gli altri. Se diamo un senso. Sono una guerriera, non una vittima. Lo siamo tutti. E non perché siamo in guerra ma perché lottiamo per sopravvivere e per il futuro. An che fuori dal nostro Paese».
6 novembre 2022 113 Storie Foto: H. S. Arman / AFP via Getty Images, Hoshang Hashimi / AFP / Getty Images, Mohd Rasfan / AFP / Getty Images
Batool Haidari a una protesta a Kabul. Nell’altra pagina, dall’alto, combattenti talebani su un pick-up e donne col burqa in attesa del pane
Contro gli stereotipi
Da sinistra, Joshua e Benjamin, i due fratelli gemelli ventenni, protagonisti de “La timidezza delle chiome”. A destra, la regista Valentina Bertani
114 6 novembre 2022
CONOSCERE GLI ALTRI
La timidezza delle chiome
Il film sulla vita di Benjamin e Joshua persone oltre ogni barriera
Presentato a Venezia, arriva nelle sale il lavoro di Valentina Bertani. Ansie, emozioni e quotidianità di due gemelli ventenni con un deficit cognitivo che la regista ha seguito nel percorso di crescita dall’adolescenza all’età adulta
di Valerio Millefoglie
Settembre 2016: la regista Valen tina Bertani ha appena parcheg giato il motorino in via Gentilino 6,Milano,quandovedesfilareda vanti a sé due fratelli, gemelli nella capi gliatura frastagliata, nei lineamenti del naso come la capigliatura e nell’andatu ra che s’impossessa del marciapiede. In quei tratti rivede certi personaggi del ci nema indipendente americano, di una bellezza fatta di schegge e asimmetria. Prova a fermarli. Loro non le rivolgono la parola e continuano a camminare. «Nel vederli andar via mi chiesi se non avessilasciatoandareviaancheunasto ria. Noi che lavoriamo a film pubblicita ri, videoclip musicali o per la moda non ci soffermiamo mai a pensare se dietro alle persone ci sia un racconto e io quel giorno me lo domandai per la prima volta». Nel tentare di riacciuffare storia e contatti dei gemelli entra in alcuni bar della via e chiede se qualcuno li cono sce. Qualcuno li conosce. Nasce così “La timidezza delle chiome”, presentato a Venezia nella Giornata degli Autori e in uscita nei cinema il 10 novembre, un film che del documentario ha la realtà, ma che ha anche molto altro. Innanzi tutto ha il tempo: Valentina Bertani ha seguito per cinque anni Benjamin e Jo shua Israel, due gemelli omozigoti con un deficit cognitivo, che rimane quasi in sottofondo rispetto all’impeto dei suoi protagonisti che sognano di suonare con Beethoven, con i Muse, di prende re la patente, «di scopare frà» o di fare l’amore, «no, scopare è meglio frà». «Il
nostro è un racconto di formazione e di una separazione», racconta Valentina: «Non volevo che ci fosse un’ossessione morbosa nei confronti della disabilità. Questi sono i ragazzi, io te li presen to e quando conosci una persona non è detto che io debba comunicarti che disabilità o che orientamento sessuale abbiano, li devi conoscere tu». Valenti na e il suo gruppo di lavoro cominciano a conoscerli uscendoci insieme: «Ogni dieci giorni circa ci vedevamo e andava mo al bowling, al luna park, a giocare a calcio. Il calcio per loro è un gioco im maginario, di invenzioni, di bastoni che diventano porte. Ho capito che c’era un mondo che non conoscevo, che esiste nella loro testa e che mi sarebbe piaciu to raccontare». Le prime riprese sono state effettuate nel giorno dell’esame di maturità, qui la regia adotta il pun
to di vista dello smartphone rendendo ciò che vediamo già un ricordo. Altre volte compaiono filmati d’archivio, vhs dell’infanzia dei gemelli che entrano nella narrazione: così, dalla torta di compleanno dei venti anni, girata og gi, si passa ad una torta di compleanno con quattro candeline, Benjamin e Jo shua piccoli e poi un frammento tratto dal cartone animato di Braccio di Ferro in cui due gemelli sbattono i pugni sul tavolo e fanno saltare una torta in boc ca ad Olivia. La regia torna ferma e reale quando segue una seduta di terapia di Joshua con la sua psicologa, «Ho cer cato di non essere invadente, pur stan dogli addosso, infatti a un certo punto lui guarda in macchina. Ho perdonato questo errore perché è un film con una sua grammatica. In quel momento non stava guardando la macchina da presa, stava guardando me per dirmi “Ci sei? Va tutto bene?”. Il mio non fermarlo è stato un dirgli va bene, dì quello che vuoi. E lui dice: “Voglio scopare, almeno una volta, per vedere com’è”. Abbiamo rotto una barriera», dice Valentina. In un’altra scena le chiome fitte di due al beri vicini si ritirano e scompaiono co me in un rituale magico. Una ragazza nel bosco, stesa sulle gambe di Benja min, commenta: «Ci sono degli alberi che quando crescono non si intrecciano tra loro coi rami per non farsi ombra a vicenda. Si chiama timidezza delle chiome». La ragazza si chiama invece Michela e Valentina l’ha scoperta sulla pagina Facebook Sos Levrieri, «l’ho
6 novembre 2022 115 Storie
Contro gli stereotipi
vista ballare in un video, stupenda, in un modo tutto suo. Non sapevo an cora fosse ipoudente. Quando ci siamo conosciute mi ha detto che avverte le vibrazioni della musica da dentro e que sto arriva allo spettatore, perché quan do balla sembra che l’audio provenga proprio da lei». La scena delle chiome che si distanziano annuncia un’inaspet tata svolta della trama, a tavola Joshua dice di voler entrare nell’esercito israe liano. «Tra le tante cose inventate che dicono i gemelli ce n’è sempre qualcuna che tu reputi inventata e che invece è vera», racconta Valentina.
Prima di chiudere il montaggio definitivo del film, Valentina l’ha mostrato ad alcuni attivisti per assicurarsi che il raccon to della disabilità fosse stato condotto in modo corretto. Fra questi c’è Max Ulivieri, presidente del Comitato Love Giver, che forma gli operatori all’affet tività, all’emotività e alla sessualità per supportare le persone con disabilità a sperimentare l’erotismo. «Attraverso un racconto come questo ci si rende conto che i protagonisti hanno gli stes si desideri, fantasie e progetti di vita di chiunque. Ciò che manca è l’abitudine dell’occhio umano a vedere queste per sone immerse nella realtà perché sono nascoste. Il passaggio successivo sareb be avere persone con disabilità in film e fiction che non parlano di disabilità». Enrico Mecozzi, in arte Henry’S Corner, 1,2 milioni di follower su TikTok, non solo ha visto il pre-montato del film ma l’ha anche presentato a Venezia esor dendo con: «Mi chiamo Henry’s, ho 21 anni e mi manca un pezzo». Nel dirlo, ha sollevato il braccio sinistro mostran do che è senza mano. Lo stesso gesto l’a veva fatto in un video su YouTube in cui elencava le cinque cose che aveva e le cinque cose che non aveva, fra cui l’arto. Raggiunto al telefono racconta: «Prima di quel video non riuscivo ad uscire di casa senza una felpa gigante o in giacca anche il 15 di agosto. La vita era invivi bile ed è cambiata quando la manica si è arrotolata, ho scoperto le t-shirt e ho creato lo stile che per anni avevo tenuto nascosto». In merito al film dice che «fi
nalmente non si tratta la disabilità con il “poverino” o rendendo eroe uno che si allaccia una scarpa, perché poi si passa da un estremo all’altro. Questo è uno spaccato di vita su due ragazzi normali. Non vedo altro di diverso». Mostriamo il trailer a Roberto Spe ziale, presidente dell’Anfass, l’Associa zione nazionale di famiglie e persone con disabilità intellettive e disturbi del neuro-sviluppo; associazione sorta nel 1958, in un’Italia in cui era d’uso il ter mine «subnormale». Speziale pronun cia la parola «invisibilità», riferendosi a quel momento in cui un disabile di viene maggiorenne. «Nel passaggio dal tempo-scuola al tempo dell’adultità, mentre per i coetanei c’è un prosegui mento naturale della vita, nello studio e nel lavoro, per chi ha una disabilità co gnitiva c’è il vuoto totale. In assenza di
adeguati sostegni queste persone non riescono a sviluppare un percorso che ne garantisca la crescita. Li condannia mo a restare eterni bambini. Ciò avvie ne nei servizi, un esempio su tutti: fino a18annisièseguitidalneuropsichiatra infantile, subito dopo la psichiatria per adulti non se ne fa carico. Diventano utenti di centri semi-residenziali dove passano ore della loro vita a fare perli ne, a disegnare, ma non vivono la loro vita. Stiamo lavorando affinché questi luoghi siano palestre per l’autonomia e la socializzazione».
AMilano c’è Rab, un bar che già nell’insegna offre un punto di vista al contrario. Lo spazio è nato dall’asso ciazione di volontariato “Handicap su la testa!” ed è qui che incontriamo
116 6 novembre 2022
Joshua al luna park e con Benjamin in altre due scene del film di Valentina Bertani “La timidezza delle chiome”
Benjamin. Elenca le quattro scene più belle del film secondo lui, ma poi va avanti fino a nove scene. «La prima scena bella è quella dei preservativi, mi piace perché faccio ridere». Del primo non-incontro con Valentina dice che non le ha rivolto parola «perché era una sconosciuta. Quando ci ha pro posto di girare il film ho pensato che forse era la mia strada. E poi dato che ho il pallone, le donne, suono la bat teria, ora non so che fare». Parlando del film dice: «Altroché Harry Potter, Spiderman, qui non ci sono effetti spe ciali. Quando l’ho visto la prima volta, ero sconosciuto. Non sembravo io dav vero. La scena del campeggio non mi sembrava reale e invece lo è. Far parte di un film vuol dire che cambi te stes so, ti intravedi in una scena e capisci dove puoi andare: ovunque vuoi te, an
drai. Io potrò andare sicuramente nei cinema tipo a cinque stelle. A Venezia ero confuso, non ci credevo che ero a Venezia. Ho anche autografato la tetta di una. Era morbida la tetta di sinistra, quella di destra era un po’ duretta. Poi c’è anche la paura di non veder più le persone che durante il film lavorava no con te. Però quando dopo il film le persone restano sai che ti seguiranno sempre e tu seguirai loro. La Vale mi ha cambiato in meglio, sono più socievo le». Gli chiediamo se gli piace il titolo del film, «Bomba», e se lui è timido, «No, sono stronzo». Cosa vorrebbe che arrivasse allo spettatore? «Deve capire com’è fatto il mondo, che per sone ha davanti, deve capire come sono fatte le persone diverse, come sono dentro. Le persone si capiscono conoscendole, parlando, scherzando,
ridendo. Io capisco cos’hanno, io so no un sentimentale. Il finale del film commuove tutti. A me no perché l’ho fatto io il finale. Hai presente l’addio di Totti alla Roma? La stessa cosa». Mostra un video di saluti inviatogli da Francesco Totti, «quando l’ho visto mi son detto: cioè Totti mi conosce e io non conosco lui?!». Qualche giorno dopo Joshua ci invia un messaggio vocale: «Vorrei che la storia della mia vita tocchi il cuore perché la mia sto ria è vera. Racconta che ognuno de ve fare la propria strada. In futuro mi piacerebbe interpretare un musicista o Rocky, perché vorrei essere forte co me lui. Nel rivedermi nel film mi sono detto: Cazzo quanto sono cresciuto. Adesso ascolto di più. Guardo le stra de. Guardo le porte aperte».
6 novembre 2022 117 Storie
BEATRICE DONDI
CONTICINI, IL GIGI MARZULLO DEL QUIZ
Nel gioco“Una scatola al giorno” il conduttore si fa le domande e si dà anche le risposte
La premessa d'obbligo è che in qualche modo un palinsesto va comunque riempito. Non che sia una giustificazione a metterci proprio dentro di tutto, ma la fatica di andare avanti a buttar carbone nel treno va comunque considerata anche quando il risultato lascia a desiderare. Così, un gruppo assai nutrito di autori ha pensato bene di creare un giochino preserale, che tanto in giro ce ne sono pochi. Ma visto che i pacchi erano sta ti già aperti da tempo, nella scatola te levisiva ha deciso di inserirci un’altra scatola, parlante però, che fornisce in dizi al fine di arrivare alla soluzione di un inutile quiz. Così, portato da una cicogna sui davanzali italici, nasce appunto “Una scatola al giorno”, un ti tolo su cui non si possono fare battute perché a nessuno piace vincere facile. Alla guida del game show di Rai Due c’è Paolo Conticini, una bella voce al la Alberto Lupo, dotato del non facile dono dell'ubiquità (è contemporane amente sul Nove per il mercatino di “Cash or trash”) e che ha una sua gra devolezza indiscussa comprensiva di
garbo, colpi di phon e scarpe da tennis per rendere il tutto alla mano. Dopo la Volpe nel “Cantante mascherato”, le maschere gommose di “Tale e quale” e il tango figurato di “Ballando con le stelle”, l'attore si ritrova, non si sa se in qualità di complice o di pura vittima, a capo di un sorprendente insieme si tuazionista liberamente ispirato al maestro Gigi Marzullo. Innanzitutto Conticini è nella bizzar ra doppia figura di con duttore e concorrente, ovvero in poche parole si fa delle domande e si dà anche le risposte. Ma per completare l'omag gio a re della cultura notturna, nel bel mez zo del gioco prende da parte il vip del giorno per un’intervista sulle note di “Ancora”. Men tre Manzini e Mazzoc ca, i comici comprimari regalano imperdibili battute («Scusa se ti interrompo ma dov'è il bagno?») lo studio si amman ta di un umorismo raggelante che spesso e volentieri lascia interdetti gli stessi ospiti: «Tu che ami la cultura in diana, perché i santoni si fasciano la testa?». Oppure: «C'è un sorta di esi bizionismo nel mostrare il fianco?». O ancora: «Ma secondo lei, le tende da sole ci stanno?». Dopodiché superato il brivido si torna all’indovinello con inusitato entusiasmo, Conticini parla alla scatola come se fosse normale e si azzarda una soluzione. Se la risposta è esatta scattano gli applausi, se invece è sbagliata si applaude lo stesso tanto, colpo di scena, in palio non c'è un bel niente. Solo la linea al Tg2. Quando si dice, l'importante è partecipare.
La rivoluzione silenziosa dei giovani autori
Non ci si offenda se parlo di rivoluzione. Di questi tempi, poi. Il termine sfugge, nel tempo ha subito immani variazioni di senso, dall’imponenza degli eventi storici al più puro sciocchezzario. Prova ne siano questi versi: «Ci sarà la rivoluzione, nemmeno un cannone però tuonerà, ci sarà la rivoluzione, l’amore alla fine vedrai vincerà», cantava Gianni Pettenati al festival di Sanremo del 1967. Ma non andò così, l’amore quella volta non vinse, anche perché la canzone fu ripescata e mandata in finale, a differenza di “Ciao amore ciao” di Luigi Tenco, che quella notte si tolse la vita e indicò nel biglietto di addio come assurdità del tempo proprio quel pezzo di Pettenati, condannandolo alla damnatio memoriae. Ma nel suo modo balbettante e ingenuo la canzone si accodava a un generale clima che rivoluzionario lo era davvero, certamente lo era per la musica. Oggi sta succedendo di nuovo. Ma è necessario fare qualche precisazione. Dopo essere stato alternativamente massacrato prima per aver scritto su queste pagine che era in atto una straordinaria rivoluzione di musica, cioè che la nuova musica andava sostenuta, poi per motivi esattamente contrari, per aver scritto che la nuova musica faceva piuttosto schifo, ma mi riferivo strettamente alla scadente produzione stagionale dell’estate, mi piacerebbe essere massacrato per un pensiero che potrebbe essere definito come una giusta via di mezzo, ma in fondo non lo è. Piaccia o meno, in questi ultimi cinque anni si è consumata una rivoluzione radicale del sistema musicale. Nulla è più lo stesso di prima, è diverso il modo di produrre, è diverso il modello di comunicazione, è diverso il sistema di acquisto,
Ho visto cose/tv
#musica
CASTALDO 118 6 novembre 2022
GINO
è diverso perfino il modo in cui ci disponiamo ad ascoltare la musica. Questa non è un’opinione. È un dato di fatto oggettivo, misurabile, non contestabile. Il che ovviamente non vuol dire che non si possa oggi andare a vedere un concerto delle Variazioni Goldberg di Bach, esattamente come avremmo fatto cinque, dieci o cinquant’anni fa. Esattamente come è possibile scrivere o ascoltare una canzone fatta oggi come l’avrebbero fatta trent’anni fa. Fortunatamente queste sono parti inalienabili. Non cambieranno mai. Ma se parliamo di come si fa la musica oggi, come la si pensa, come la si comunica, allora dobbiamo accettare il fatto che i giovani sono entrati in una nuova era. Sono diversi. Prima ancora di accettare o rifiutare in blocco questo dato di fatto, prima ancora di rimpiangere i capolavori di Battiato, Dalla e Fabrizio De André, dovremmo sforzarci di capire che quel modo di fare musica, semplicemente non esiste più, e non è colpa dei giovani, non esisteva già più quando l’attuale esercito dei volti nuovi ha cominciato a occupare la scena. Non è colpa loro se senza neanche accorgersene hanno fatto una rivoluzione.
Diciamolo subito senza far tanto gli schizzinosi. Lo svedese “Triangle of Sadness” è uno degli oggetti più potenti apparsi in questi anni nella categoria (oggi trascurata) dei film “grand public”. Non solo per ciò che mostra e racconta, ma proprio per come lo fa. Facile liquidarlo come satira della lotta di classe e di genere additando gli eccessi: troppo lungo il naufragio, troppo vomito che schizza da bocche e toilette, troppo meschini i tanti personaggi. La verità è che Ruben Östlund, due volte palma d’oro a Cannes (la prima la vinse con “The Square”, altro film geniale e imperfetto), ha un dono. Sa far parlare i corpi. Ovvero sa incarnare con rara abilità i conflitti in cui siamo immersi (tanto da non farci nemmeno più caso) costruendo personaggi capaci di far esplodere le contraddizioni senza perdere un grammo di leggerezza e di simpatia. Sì, simpatia. I personaggi di Östlund possono essere tremendi ma capiamo sempre benissimo il loro punto di vista e i loro sentimenti.
Altro che cinismo insomma. Il povero Carl, fotomodello scultoreo fidanzato a una collega e influencer anche più bella(epagata)dilui,lacoriaceaYaya, fa tenerezza fin dal prologo, esilarante, che infilza tic e tabù dell’alta moda (e dei rapporti fra i sessi) mettendo a fuoco il potere esorbitante della bellezza e insieme il suo prezzo. Ma resta al centro di questa affollata sarabanda anche quando sembriamo perder lo di vista, durante la crociera di ul-
traricchi, per tornare in primo piano dopo il naufragio, che ribalta in modo insieme atroce e beffardo i rapporti di forza e di classe. Con una crudeltà che può mettere a disagio, certamente (si pensa a “Parasite” o alla seconda parte di “The Lobster”). Anche se il senso formidabile delle caratterizzazioni e le molte invenzioni di regia (gusto delle inquadrature e del fuori campo, uso della musica, etc.) permettono a Östlund di spingersi sempre più in là del previsto. Mettendo a fuoco con allegra spietatezza ciò che non cambia, anche quando il Caso redistribuisce le parti e una umile cameriera filippina diventa il capo dei sopravvissuti perché è l’unica che sa come sopravvivere su quell’isola. I detrattori parlano di mancanza di finezza. Ma è pura ipocrisia. A disturbarli davvero è l’alleanza, così insolita, fra il senso del comico e quello del sacro.
Scritti al buio/cinema
6 novembre 2022 119 Foto: Webphoto, Farabolafoto –Ansa
FABIO FERZETTI
Una coppia di fotomodelli e influencer fra tic e tabù dell’alta moda. Il nuovo potente film di Ruben Östlund
SE LA BELLEZZA HA UN PREZZO STELLARE
Luigi Tenco
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“TRIANGLE OF SADNESS” di Ruben Östlund / Svezia-Germania / Francia-Gb, 149’
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COSA NASCONDE L’IDEOLOGIA DEL MERITO
Cara Rossini, vorrei dire la mia sul “merito” perché sono una persona che senza la valorizzazione del merito, prima scolastico e poi lavorativo, sa rebbe rimasta indietro: per provenienza sociale, ricchezza, avvenenza, timidezza relazionale... La mia più grande qualità è sempre stata quella di essere “meritevole”, ossia di cercare di far bene e, se possibile, meglio degli altri. Ho avuto la fortuna di vedere riconosciuto tale merito: al liceo classico, ho ricevuto riconoscimenti che mi hanno consentito di vivere esperienze bellissime (ricordo tra tutte il Certamen Ciceroniano ad Ar pino); all’università ho frequentato la facoltà di giurisprudenza senza pe sare economicamente sulla famiglia: godevo dell’esonero dal pagamen to delle tasse, grazie al merito, e di una borsa di studio di 500 mila lire, con cui compravo i libri. Mi sono laureata molto presto con lode e il mio professore di laurea mi ha subito preso nel suo studio di avvocato. Tali riconoscimenti e opportunità mi hanno consentito di credere in me e di scegliere la mia strada. Così ho vinto un pubblico concorso da funzio naria in un’amministrazione statale, tanto importante per la collettività, quanto bistrattata (ahimè ), con la certezza di aver scelto la parte giusta, anche a costo di guadagnare meno. Sempre grazie al merito, ho avuto progressioni di carriera ed economiche. Da madre, il merito dei miei figli mi ha permesso di vedere realizzati i loro sogni perché hanno usufruito di borse di studio che hanno consentito loro di viaggiare e studiare, anche all’estero. Detto ciò mi chiedo e le chiedo, perché il merito fa così paura a noi di sinistra? Io e i miei figli che cosa abbiamo tolto a chi, avendo le stes se possibilità, non se ne è avvantaggiato? Perché invece di demonizzare il merito, non si discute di aumentare il numero delle persone che possono goderne i benefici? Ai tempi miei bastava avere la media del 28 all’uni versità per non pagare le tasse, senza limiti di reddito e di numero. Oggi mia figlia deve rispettare parametri dell’Isee, ma c’è un numero massimo di beneficiari ed è una lotta davvero crudele tra pari merito! Ampliamo i limiti, ma non condanniamo il merito. Questo, a mio parere, dovrebbe essere l’oggetto della discussione sul “merito”.
Anna Melillo
Credo che nessuno, quale che sia la sua parte politica, demonizzi il merito per come lei e i suoi figli lo avete vissuto. Ma immagino che non le sia sfuggito che nella dicitura del nuovo ministero la presen za del merito ha sostituito l’aggettivo “pubblica” accanto alla parola istruzione. Non è un dettaglio da poco: scompare così il richiamo al dovere delle istituzioni di dare un’istruzione a tutti (sancito nell’art 34. della Costituzione, dove pure è menzionato il merito) per punta re tutto sulle capacità individuali. In questa idea di scuola sembra sparire la presenza di quanti partono culturalmente svantaggiati. L’anno prossimo sarà il centenario della nascita di Don Milani, che ci ha dimostrato come dietro la teoria del merito si nasconda spes so il classismo della scuola e della società. È una ricorrenza da non perdere per ricordare, specie di questi tempi, la sua lezione.
stefania.rossini@espressoedit.it RISPONDE STEFANIA ROSSINI Noi e Voi L’ESPRESSO - VIA IN LUCINA, 17 - 00186 ROMA letterealdirettore@espressoedit.it - precisoche@espressoedit.it ALTRE LETTERE E COMMENTI SU LESPRESSO.IT 120 6 novembre 2022 N. 44 - ANNO LXVII - 6 NOVEMBRE 2022 Certificato ADS n. 8855 del 05/05/2021 Codice ISSN online 2499-0833
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La molestia fa scandalo il femminicidio no
L’opinione pubblica è sdegnata (giustamente) con Memo Remigi. Silenzio invece sull’uxoricida libero dopo dieci anni
Arriva un marziano da libro Urania anni 60, verde con tre nasi e l’orecchio lungo, per vedere come ce la cavia mo con la questione femmi nile. Le marziane si sono messe in testa di avere dei diritti, come fermarle? Forse qui hanno qualche idea. Ma ci rimane male: l’Italia è il paradiso delle donne! In tutti i media donne, donne, donne, qui si respi ra al femminile, film libri riconoscimen ti a grandine, parole parole premi mai concessi prima e omaggi, omaggi, elogi a tutto ciò che è femminile, enfasi, iperbo li, come se le donne fossero appena state inventate.
Il marziano vede in tv Memo Remigi che allunga la mano verso una natica di Jessica Morlacchi. Lei gliela scosta più volte, con eleganza e spazientita pietà per il trisnonno importuno. Lui insiste. Topesco, volgare, misero, di un mondo lontano, dove ciò era considerato diver tente. E la telecamera riprende. Scoppia uno scandalo nazionale. La Rai lo licen zia. Sacrosanto. Ha offeso Jessica, la rete, gli spettatori. Tutti ne parlano. Remigi ha l’arroganza di non scusarsi. L’Italia è sdegnata col vecchio satiro. Il marziano avverte la base: Qui le donne hanno pre so il comando. Se sgarri hai il disprezzo della nazione. Le nostre mettiamole sotto subito, se no finiamo come loro. E riparte.
Peccato. Restando avrebbe scoperto che questa è solo la facciata. Che le donne so no pagate meno, le madri non sono aiuta te. che è in atto da decenni una strage, che dal codice fu fintamente abolita la legge sul delitto d’onore, reimmessa in parte nei fatti, con pene inadeguate all’emergenza. Le vittime minacciate non sono protet te se denunciano, e l’assassino agisce. Il
femminicidio è spesso a buon mercato. C’è un’ambigua complicità fra chi uccide e chi giudica. Pubblico compreso. Quando l’assassino non viene adeguatamente pu nito, vuol dire che ha ucciso per tutti. Ho orrore della pena di morte, come dell’in dulgenza verso l’assassino. Barbaro è giu stiziare, barbaro non fare giustizia. C’è sotto la stessa immoralità.
Ma perché l’atto di Remigi risveglia l’in formazione, e non accade quando un uo mo che ha trucidato a freddo la moglie con 35 coltellate perché aveva un amante (lui), e voleva evitare il divorzio, viene scarcera to dopo 10 anni? (secondo il tribunale non c’era l’aggravante della crudeltà). Perché i media non sono insorti? La molestia fa scandalo. Il femminicidio no.
E basta con gli omaggi pelosi, gli elogi pubblici alle donne che sembrano cam pane a morto, noi siamo vive e vogliamo rimanerlo. Finitela di adularci come una specie protetta. La giaculatoria di lodi pelose ricorda quando ci negavano ogni diritto ma ci facevano l’inchino, per fre garci meglio. Io non sopporto più delitto e solennità. Perché mi offrite sacrifici, e operate il male? fa dire Isaia a Dio. Lo potremmo dire anche noi donne. Il san tino del maschilismo italiano è la scena in cui Giorgia Meloni annunzia di avere accettato l’incarico di formare il governo “all’unanimità”, e dietro di lei Berlusconi e Salvini a occhiate esprimono con arte di mimi scettica ironia. Berlusconi sem bra star serio a fatica. Annuisce, finto compunto, trattiene un risolino. Un mes saggio rassicurante agli italiani: Lascia mola dire, non vi preoccupate, Ci pen siamo noi. Un duetto da eterni padroni pazienti e occulti.
122 6 novembre 2022 Dispetti diviniBarbara Alberti Illustrazione: Ivan Canu
CARATTERISTICHE PRINCIPALI
fino al 50% del valore iniziale dei sottostanti Sede di negoziazione: SeDeX (MTF), mercato gestito da Borsa Italiana Rimborso condizionato del capitale a scadenza
NLBNPIT1HL67 INTESA SANPAOLO, MEDIOBANCA, POSTE ITALIANE 3,4% (13,6% p.a.) 60%
NLBNPIT1HL75 NEXI, LEONARDO, STMICROELECTRONICS 4,9% (19,6% p.a.) 60%
NLBNPIT1HL83 ASSICURAZIONI GENERALI, AXA, UNIPOLSAI ASSICURAZIONI 2,5% (10% p.a.) 60%
NLBNPIT1HL91 A2A, ENEL, ENI 3,75% (15% p.a.) 60%
NLBNPIT1HLA3 ENI, MONCLER, NEXI 4,45% (17,8% p.a.) 60%
NLBNPIT1HLB1* NRG ENERGY, VEOLIA ENVIRONNEMENT, VESTAS WIND SYSTEMS 4,6% (18,4% p.a.) 60%
NLBNPIT1HLC9* BIOGEN, NOVARTIS, SANOFI 2,6% (10,4% p.a.) 60%
NLBNPIT1HLD7 AIR LIQUIDE, REPSOL, VERBUND 4% (16% p.a.) 60%
NLBNPIT1HLE5* ADIDAS, KERING, NIKE 3,5% (14% p.a.) 60%
NLBNPIT1HLF2* CARREFOUR, L'OREAL, PROCTER & GAMBLE 2,8% (11,20% p.a.) 60%
NLBNPIT1HLG0* ADVANCED MICRO DEVICES, ASML HOLDING, INFINEON TECHNOLOGIES 4,55% (18,20% p.a.) 60%
NLBNPIT1HLH8* ALSTOM, ARCELORMITTAL, CATERPILLAR 4,65% (18,60% p.a.) 60%
NLBNPIT1HLI6* FORD MOTOR, GENERAL MOTORS, PIRELLI 5% (20% p.a.) 60%
NLBNPIT1HLJ4* AIR FRANCE-KLM, DELTA AIR LINES, SAFRAN 4,8% (19,20% p.a.) 60%
NLBNPIT1HLK2* LUMEN TECHNOLOGIES, NVIDIA CORP, UBISOFT ENTERTAINMENT 5,7% (22,80% p.a.)
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fermo
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capitale
investito,
restando
Emittente
rischio di assoggettamento del Garante allo strumento del bail-in
Ove Certificate
venduti prima della scadenza, l’Investitore potrà incorrere
in conto capitale.
in cui Certificate
acquistati
corso
Da ottobre 2022 ad aprile 2023, per ogni mille euro investiti nei Certificate, Reforest’Action pianterà (o curerà) un albero in una foresta situata in Italia INVESTIMENTO SOSTENIBILE investimenti.bnpparibas.it/esg
Memory Cash Collect Certificate su panieri di azioni Premi annui potenziali dal 10%1 al 22,8%, pagati trimestralmente con Effetto Memoria
Barriera
Scadenza a 3 anni (6/10/2025)
PREMIO TRIMESTRALE BARRIERA
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50%
ARRIVA L'INVESTIMENTO SOSTENIBILE CHE CONTRIBUISCE ALLA RIFORESTAZIONE DEL TERRITORIO ITALIANO IN UN MONDO CHE CAMBIA Senza rinunciare al potenziale di rendimento PER OGNI 1.000 € INVESTITI fino aL 5 aprile sulla nuova gamma di Certificate Memory Cash Collect REFOREST’ACTION pianterà (o curerà) un albero in una foresta situata sul suolo italiano
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