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Ricarica di stile

di Roberta Maddalena

Nuovo luogo e identità, ma stessi valori di artigianalità sartoriale. Alla guida del rilancio di Balestra c’è oggi la terza generazione con le figlie del fondatore, Fabiana e Federica, e la nipote Sofia Bertolli. “La nostra prima collezione si chiama Reload”

gusti che, a volte, vogliono solo una piccola metamorfosi per tornare protagonisti dei riflettori. A febbraio, la storica casa di moda aveva annunciato di voler inaugurare una fase completamente nuova, con una guida tutta al femminile nel segno della libertà, dell’innovazione e dell’inclusione. E così è stato: in occasione della settimana della moda milanese dedicata all’autunno-inverno 2022, la maison ha debuttato con la sua prima collezione prêt-à-porter, frutto della visione manageriale della nuova generazione Balestra. Da qualche mese, infatti, le figlie del fondatore, Fabiana e Federica, sono affiancate dalla nipote Sofia Bertolli Balestra, responsabile delle attività di ricerca, design e brand identity. Per cambiare del tutto veste, l’azienda ha modificato anche il suo logo con la versione che Renato Balestra aveva disegnato a mano nel 1971 che è stata rivisitata pur mantenendo una linea di continuità con il passato. Non ci sono scontri tra di loro perché, in realtà, la linea di comando è molto chiara. “Ci confrontiamo su tutto, ma poi ognuna ha un ruolo ben delineato”, spiega Sofia Balestra. “Per fortuna questo assetto aziendale relativamente nuovo ci ha unite, rendendo la transizione più semplice di quanto potessi mai immaginare. Ci sentiamo più volte al giorno, e credo che questo atteggiamento si rifletta sul lavo-

Maestro del blu, pittore della moda. Con queste due definizioni, negli anni ‘60 Renato Balestra aveva portato la sua passione per l’arte nella couture italiana, cambiandone il volto per sempre. Sua la famosa tecnica della “pittura ricamo”, che lo ha visto per tanti anni sperimentare con i materiali più disparati, dipingendo su ogni tipo di tessuto. E suo anche il merito, in un momento di cambiamenti sociali come quelli che hanno infiammato i ‘60 e ’70, di portare in passerella un nuovo concetto di femminilità, forte e meno remissiva. Ancora oggi, se si parla del blu, il nome Balestra viene accostato quasi automaticamente e ai più appassionati non sfuggirà il ricordo dell’abito a palloncino, tinto di un blu accesissimo, che a Roma fece innamorare buyer e stampa. Ma la moda, si sa, cambia. E cambiano anche i

“Roma è ispirazione e casa, il mondo è il nostro mercato. Siamo molto amati in Medio Oriente e Asia. E vogliamo riportare il brand in America”

ro in modo positivo. Sto scavando nell’archivio per rivedere in chiave contemporanea il lavoro prodotto da Renato in un periodo che Fabiana e Federica conoscono bene e questo mi aiuta”. Per dare impulso alla nuova immagine del marchio, il nome scelto per la prima collezione di prêt-à-porter è stato Reload, ovvero ricarica: “Si riferisce, in particolare, all’idea di caricare una pistola ma con l’intento di mirare agli obiettivi. È una simbologia forte, dirompente, sulla quale ho concentrato tutta l’idea di rilancio. Siamo alla terza generazione e ogni abito disegnato, in oltre sessant’anni di storia, è un mondo di ispirazione e conoscenza da cui attingere. Renato ha sempre pensato solo all’alta sartoria, mentre questa è la prima collezione di prêt-à-porter: un cambio importante che ci permette di aprirci a nuovi mercati”. Nella collezione tutto è nuovo, spiega Sofia, eppure ogni capo rivendica una storia più antica. Persino la felpa con stampe dell’architetto Giovanni Battista Piranesi, con cui Renato Balestra ha sempre condiviso il suo amore per Roma, sembra venir fuori da una collezione del passato, senza confini delineati. “Abbiamo attinto al nostro archivio concentrandoci sul periodo tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli ’80: spalline, paillettes, vestiti luccicanti per una donna che vuole vivere la notte”. Fil rouge di tutti i capi, realizzati da un team creativo di talenti emergenti, sempre l’artigianalità dell’alta moda, che dal 1959 ha definito l’estetica del brand. Certo, mantenere una tradizione così storica senza snaturarla e, al tempo stesso, riuscire a innovare rimane una grande sfida. “Abbiamo scelto di mantenere una qualità senza compromessi. La qualità ha un costo molto elevato, ma venendo dall’alta sartorialità non sappiamo fare altrimenti. Il nostro archivio di oltre 40mila disegni e bozzetti ci ha permesso di individuare i più interessanti, rivedendoli con gli occhi proiettati al futuro, attraverso nuovi materiali e tecniche avanzate. Ci sono molti riferimenti all’estetica di Renato come le foglie di alloro ricamate a mano, ma abbiamo cercato di applicarle su t-shirt o vestiti dal taglio completamente nuovo”. E se negli anni il successo di Balestra in Europa, Stati Uniti, Asia e Medio Oriente ha sempre portato Roma nel mondo, e invitato il mondo a Roma, i prossimi obiettivi strategici della maison continuano a puntare sull’espansione internazionale. “Roma è ispirazione e casa, il mondo è il nostro mercato. Siamo molto amati in Middle East e Asia, mercati esigenti che sanno capire la qualità. Vogliamo posizionarci nei migliori department store e aprirci a nuovi mercati. Uno step sarà riportare Balestra in America dove eravamo molto apprezzati in passato. Infine, grazie a un team creativo giovane vogliamo sviluppare le nostre due anime: alta moda e prêt-à-porter”. Anche la sostenibilità sarà un obiettivo primario: “Crescita sostenibile non significa solo attenzione nell’origine dei materiali, ma rallentamento della produzione contro la frenesia che ha coinvolto il sistema moda negli ultimi anni. Vogliamo fare collezioni che non ‘vadano in scadenza’ dopo sei mesi. Avere rispetto per il lavoro e le persone. Crescita sostenibile vuol dire guardare oltre e pianificare in un processo di miglioramento continuo”. F

Da sinistra Fabiana Balestra, Sofia Bertolli Balestra e Federica Balestra. Sono loro la terza generazione che guiderà il nuovo corso creativo della maison. A sinistra una foto d’archivio con Renato Balestra al lavoro nel suo atelier.

Il digital che non fa paura

Combattere i rischi legati all’avanzata delle nuove tecnologie è oggi la sfida più importante per tutte le imprese. Boole Server, azienda italiana di sicurezza informatica nata a Milano nel 2011, fornisce soluzioni di protezione dati a grandi aziende e istituzioni

Atante aziende la digitalizzazione fa ancora paura, e a ragione. Questo passaggio fondamentale per le imprese di oggi deve essere accompagnato da una serie di considerazioni importanti. Non a caso lo scenario che si apre di fronte alla prospettiva della digitalizzazione presenta rischi, più o meno gravi, e sfide da affrontare. Come il cybercrime, a cui la digitalizzazione espone i documenti aziendali riservati, e gli errori che spesso sono commessi involontariamente da dipendenti, consulenti o fornitori. Basti pensare che l’80% degli incidenti informatici è dovuto a errori umani. Ma la perdita di dati aziendali non dipende solo da errori involontari. E l’aumento sensibile dei furti di dati commessi intenzionalmente da ex colleghi o amministratori di sistema ne è un esempio lampante. Oltre ai rischi nel processo di digitalizzazione, ci sono anche importanti sfide che ogni azienda, in questo particolare momento storico, deve affrontare. Una di queste è la conformità alle normative che stanno diventando sempre più numerose e complicate. Per esempio, garantire una corretta gestione e conservazione dei dati è diventato un aspetto cruciale nel corso degli anni, soprattutto in alcuni settori come quello sanitario e quello finanziario. Anche in virtù del fatto che, ormai, il progetto di digitalizzazione deve rispondere alle sfide innescate delle nuove tendenze tecnologiche. Dall’uso di numerose piattaforme per la gestione dei dati aziendali, fino ad arrivare al sempre maggiore utilizzo della tecnologia che

Marco Iannucci

comporta un aumento di vulnerabilità, e alla necessità di proteggere i dati anche all’esterno del perimetro aziendale. Non è un caso, infatti, se aziende che non tengono conto di questi fattori durante il loro processo di digitalizzazione rischiano conseguenze molto gravi dal punto di vista finanziario, della continuità operativa e reputazionale. In questa direzione, la protezione dei dati può fornire a tutte le aziende la risposta comune per combattere questi rischi. Anche perché risulta la soluzione migliore sia per adeguarsi a regolamenti come il Gdpr, sia per garantire la protezione dai cyber attacchi. Ecco perché diventa di fondamentale importanza l’utilizzo di prodotti tecnologici adeguati che forniscano elevati standard di sicurezza. Ed è qui che entra in gioco Boole Server, l’azienda italiana di sicurezza informatica nata a Milano nel 2011 che fornisce le proprie soluzioni di protezione dati a molte grandi aziende ed istituzioni, dalla Commissione europea alle grandi griffe del fashion e alle grandi banche. Grazie a Boolebox, la sua suite innovativa di applicazioni per la protezione dei dati aziendali, la società preserva l’integrità e la confidenzialità delle informazioni da qualsiasi accesso non autorizzato, interno o esterno all’azienda, grazie a una crittografia di livello militare. E lo fa seguendo tutto il ciclo di vita del dato: quando viene generato, quando è archiviato, quando è in uso e mentre viene modificato. Questo permette di dare accesso ai propri file anche a persone che si trovano all’esterno dell’azienda senza rischiare che i documenti o parti di essi possano essere fugati oppure copiati. “Nonostante le numerose e avanzate funzionalità di sicurezza, come la cifratura di livello militare, la tracciabilità, il blocco della cattura dello schermo e la condivisione protetta dei file, per noi è sempre stato prioritario che Boolebox fosse una soluzione alla portata di tutte le aziende e quindi estremamente semplice da installare e pronta all’uso in pochissimo tempo”, dice Marco Iannucci, Ceo di Boolebox. LEADER IN AZIONE

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