Bianca Magazine N. 22

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Anno IV - N.22 Aprile/Maggio ‘20 Copia Omaggio

ANDRà tutto bene Il lieto fine raccontato dai bambini

ALESSIO VASSALLO Amo raccontare storie

RACCONTI DI QUARANTENA Come la descrisse Giovanni Verga


W i Santi Patroni, San Michele e Santa Caterina. W Maria. Chiediamo protezione ai nostri Santi Patroni e preserviamone il culto.


I Santi Patroni San Michele e Santa Caterina grammichele 2 - 10 Maggio uscita trionfale 8 maggio ore 19:30

A Grammichele, il culto per San Michele Arcangelo, protettore dei terremoti, risale ai tempi della fondazione della città. Successivamente, il Santo fu eletto Patrono insieme con Santa Caterina D’Alessandria e ogni anno la festa, in loro onore, è celebrata dal 2 al 10 maggio. Con l’obiettivo di avvicinare quanti più devoti e rendere ancora più solenne la festa dei SS. Patroni della città, nel 2001 Francesco Tornello e Gianfranco Viola fondano l’associazione “Devoti San Michele e Santa Caterina”. Da allora, grazie all’impegno totale profuso dai volontari dell’associazione, tanti sono stati i risultati raggiunti e le opere realizzate. Dal 2004 i SS. Patroni di Grammichele vengono nuovamente portati a spalla, dopo sessant’anni, secondo l’antica tradizione. Inoltre sono state restaurate le loro statue, riportandole ai loro colori originali, ed è stato ripristinato l’antico baldacchino dell’Immacolata a quattro colonne, la cui copia in resina, realizzata nel 2010, viene portata insieme ai SS. Patroni. La festa viene organizzata dall’associazione in totale autonomia grazie al contributo e alle donazioni dei fedeli e dei Devoti. Ogni anno, l’8 maggio, San Michele e Santa Caterina insieme a Maria SS. Immacolata, vengono portati in processione dagli uomini dell’associazione accompagnati dai Devotini che a loro volta portano in processione la “varetta”; a seguire la banda musicale e le solenni preghiere dei fedeli. L’invito, anche quest’anno, è quello di partecipare ai festeggiamenti e per chi volesse, quello di sostenere l’associazione con una libera donazione.


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DIRETTORE EDITORIALE Emanuele Cocchiaro DIRETTORE RESPONSABILE Omar Gelsomino DIREZIONE ARTISTICA E IMPAGINAZIONE Samuel Tasca COORDINATORE EDITORIALE Angelo Barone PROGETTO GRAFICO Emanuele Cocchiaro GRAFICI Gaetano Cutello, Samuel Tasca REDAZIONE Via Giovanni Pascoli, 54 Grammichele (CT) - 95042 tel. 0933-946461 redazione@biancamagazine.it FOTOGRAFIA Alfio Bottino, Salvatore Brancati, Paolo Ciriello, Consorzio di Tutela Ragusano DOP, Arianna Di Romano, Giannì Motors, Gregorio Giarrusso, Angelo Micieli, Laredo Montoneri, Mario Strano, Mariagrazia Tedesco AMMINISTRAZIONE E CONSULENZA LEGALE Avv. Sofia Cocchiaro CONCESSIONARIA PUBBLICITARIA Bibicomm di Emanuele Cocchiaro info@bibicomm.it tel. 0933-946461 HANNO COLLABORATO Angelo Barone, Eleonora Bufalino, Francesca Cerami, Sofia Cocchiaro, Omar Gelsomino, Angela Fallea, Alessia Giaquinta, Maria Concetta Manticello, Titti Metrico, Vincè Mormina, Irene Novello, Simona Raniolo, Patrizia Rubino, Samuel Tasca, Irene Valerio EDITO DA Emanuele Cocchiaro Editore via Raffaele Failla, 66 - Grammichele (CT) 95042 Sede operativa: via Giovanni Pascoli, 54 Grammichele (CT) 95042 tel. 0933-946461 STAMPA FLYERALARM SrL, G. Galilei 8 a, 39100 Bolzano REGISTRAZIONE Tribunale di Caltagirone n°1 del 12/10/2016 periodico bimestrale Anno IV n°21 redazione@biancamagazine.it direttore@biancamagazine.it ROC N° 26760

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sommario

9. Editoriale 10. E alla fine... ce l’avremo fatta! 12. Tra le pagine di Giovanni Verga 14. Andrà tutto bene... io ci credo! 16. Pirandello e Camilleri 18. L’arte abbatte le distanze 20. Ispica nel sito Unesco 22. Ma che bel castello! 24. Sperlinga 26. Il complesso rupestre Grotta dei Santi 28. Alessio Vassallo 32. Giannì Motors 34. Roberto Strano 36. Fabrizio Fazio 38. Alfia Milazzo 40. Arancia di Ribera 42. L’ape nera sicula 44. La cassata siciliana 46. Piacere, Ragusano DOP! 48. Rubrica: Your Wedding Mood

Focus on Pantone 2020 50. Rubrica: I consigli dello Chef Risotto asparagi e salmone 52. Rubrica: Bianca Pet L’alimentazione del cane ai giorni nostri 54. Rubrica: SalutiAmo Festeggiamo dieci anni della Dieta Mediterranea

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Aprile/Maggio 2020

Cari lettori, eccoci qui, nonostante tutto, nonostante il critico periodo che abbiamo e che stiamo attraversando. Non avrei sinceramente pensato, sino a pochi giorni fa, di ritrovarmi a scrivere questo editoriale nel pieno di una pandemia. è difatti innegabile che si tratta di un evento così eccezionale che si è reso necessario cambiare le “carte in tavola” non solo in senso stretto, con riferimento alla rivista, ma anche in senso lato, con riferimento alla nostra vita. Questo doveva essere un numero dedicato alla Pasqua, agli eventi e alle tradizioni folcloristiche che animano la nostra terra. Ma la Pasqua prima di tutto rappresenta qualcosa di intimo, di personale. è una rinascita che ognuno di noi può vivere a prescindere dai festeggiamenti e anche se quest’anno non potremo festeggiare come sempre abbiamo fatto, la Pasqua arriverà e scalderà comunque i nostri cuori. Come sempre, di ogni situazione, cerco di cogliere i lati positivi perché in fondo sforzarci di vedere il bicchiere mezzo pieno è la chiave per superare paure e insicurezze, in ogni occasione ed oggi più che mai. Così ho riflettuto, ne ho avuto il tempo, sul fatto che il nostro stile di vita è cambiato e forse per sempre. Di certo ciò vuol dire che in futuro saremo più portati ad apprezzare aspetti minimi della vita, finora, persino trascurati, come ritrovare e apprezzare l’essenziale. Rileggendo ciò che auguravo ai miei lettori la scorsa Pasqua, in fondo, poco è cambiato se non che stavolta siamo costretti a fermarci avendo così l’opportunità di riflettere su ciò che conta davvero. Vi auguro di riscoprire il valore di un abbraccio. Emanuele Cocchiaro

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E alla fine…

ce l’avremo fatta! DI SAMUEL TASCA

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andemia. Un termine così particolare che molti di noi, compreso il sottoscritto, sconoscevamo e di cui oggi tutto il mondo ha dovuto impararne il significato. Come riportato dal dizionario Treccani, la pandemia è “un’epidemia con tendenza a diffondersi ovunque, cioè a invadere rapidamente vastissimi territori e continenti”. Ma davvero tutto quello che stiamo vivendo può racchiudersi in questa descrizione?

Proprio così, perché in un modo o nell’altro, magari impiegando più tempo di quello che avremmo voluto, tutto passerà. E allora sì che sarà una festa! Allora sì che anche i timidi si lasceranno andare a un abbraccio, perché adesso abbiamo scoperto che potremmo possedere tutto l’oro del mondo, ma restiamo poveri se non possiamo avere un abbraccio. E poi toccherà a noi, a noi italiani e a noi cittadini del mondo fare del nostro meglio per far ripartire tutto, facendo tesoro di ciò che abbiamo imparato. Perché alcune cose, una volta Questo virus, questo “nemico silenzioso arrivato da lontano”, sperimentate, non si possono più dimenticare; perché tutti siamo sicuramente ci sta insegnando il significato di molti termini, ma cresciuti, siamo maturati e abbiamo imparato qualcosa. Adesso soprattutto sta mettendo ognuno di noi nella condizione di dover i ragazzi conoscono il valore di un banco di scuola, il valore di tornare all’essenziale, di riposizionare la bussola su ciò che conta un insegnante, che nonostante tutto non li ha mai abbandonati. davvero aprendo i nostri occhi su tante cose che forse prima non Adesso sappiamo che la salute è il bene più prezioso e, quindi, riuscivamo a vedere. non possiamo più permetterci di farci trovare impreparati. Abbiamo imparato che in fondo siamo tutti uguali, tutti Sappiamo che anche i lavori più impensabili possono essere vulnerabili: ricchi, poveri, famosi o sconosciuti. Abbiamo imparato aiutati dalla tecnologia, che questa può essere utile a favorire che in un attimo possiamo diventare tutti immigrati, anche il progresso e non necessariamente ad abbattere le tradizioni. nella nostra stessa terra. Abbiamo imparato che la solidarietà Adesso sappiamo che le cose che contano davvero sono quelle che può arrivare dalle persone più insospettabili. Abbiamo imparato abbiamo ogni giorno a disposizione, ma che spesso ignoriamo, che forse non abbiamo bisogno di così tante parole, di così tanti dimentichiamo o semplicemente rimandiamo con l’illusione dibattiti, di così tanta polemica, a volte abbiamo bisogno solo di che tanto avremo tempo. Ora sappiamo che questo mondo può un po’ di silenzio per riuscire a percepire davvero la bellezza di ciò ancora avere cieli, fiumi e strade pulite che vanno tutelati con che ci circonda. Abbiamo imparato che i programmi, il tempo, l’impegno da parte di tutti. E sopra ogni cosa, tutti sapremo di i viaggi possono diventare di colpo relativi, che bisogna vivere al avercela fatta, con sacrificio e con impegno, ma ce l’avremo fatta meglio quella singola giornata senza necessariamente rimandare e nessuno potrà mai toglierci questa consapevolezza. E quando a domani. Abbiamo imparato che possiamo essere italiani anche riappariranno i problemi, le paure e gli ostacoli che prima ci senza vincere un mondiale, che possiamo cantare l’inno nazionale, bloccavano o ci sembravano insormontabili, ricordiamoci sempre anche se non siamo allo stadio, anche se la vera sfida sarà che ce l’abbiamo fatta, che abbiamo vinto una pandemia e ricordarselo anche quando tutto sarà passato. sicuramente potremo vincere tutto il resto!

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E poi toccherà a noi, a noi italiani e a noi cittadini del mondo fare del nostro meglio per far ripartire tutto, facendo tesoro di ciò che abbiamo imparato

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Tra le pagine di Giovanni Verga L’i mmagine di un tempo sospeso

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DI ELEONORA BUFALINO

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ono giornate sospese a mezz’aria tra l’incombere dei nostri doveri e il desiderio di respirare una primavera che quest’anno è stata accolta da ciò che non avremmo mai immaginato e che, forse anche per questo, è arrivata silenziosa e incerta. Il mondo ci ha imposto di fermarci, plasmando le nostre abitudini allo scorrere non più frenetico del tempo. È il momento di riflettere. Lo sguardo ammira la quiete dei luoghi in cui vivo e riscopre il loro fascino immutato. I Monti Iblei circondano Vizzini, immersa in un clima mite e distesa su tre colli: il Castello, il Calvario e la Maddalena. Cittadina feudale in passato, è stata sempre dedita ad attività rurali, ma ha anche saputo sviluppare una fiorente economia con i paesi del circondario, grazie al commercio dei prodotti caseari e della concia delle pelli, che si svolgeva nell’antico borgo della Cunziria. In questo paese dell’entroterra siculo, nacque il padre del Verismo italiano, Giovanni Verga. Sebbene il luogo della sua nascita rappresenti una questione dibattuta, l’ipotesi più accertata è quella secondo cui nell’estate del 1840 l’agiata famiglia Verga si trovava nella propria tenuta in contrada Tièbidi, a pochi chilometri dal centro abitato vizzinese, dove era solita trascorrere la villeggiatura; dopo qualche giorno, il 2 settembre 1840, l’evento venne però registrato all’anagrafe di Catania. Lo scrittore manterrà sempre un legame forte con la sua terra natìa, lasciandosene ispirare; fatti, personaggi ed emozioni scaturirono spesso da ciò che osservava tra strade, vicoli, cortili impolverati. La sua scrittura, intrisa di vicende legate alla gente del popolo, riesce a dar voce a quei “vinti” non ascoltati da nessuno, schiacciati da un destino già deciso e immutabile. Scorrendo alcune pagine della letteratura verghiana si trovano descrizioni che ricordano la

nostra attualità: lo scrittore, all’età di quattordici anni, visse, infatti, un periodo di isolamento nella villa di Tièbidi, in cui la famiglia si rifugiò per scappare dal colèra, che nel 1854 si abbatteva furioso su tutta la Sicilia. L’esperienza del giovane Verga fu alleggerita dalla spensieratezza dell’età, tra letture e passeggiate all’aperto, durante le quali s’invaghì di una giovane educanda del monastero di San Sebastiano di Vizzini. Il capolavoro “Storia di una Capinera” presenta, dunque, tratti auto biografici: la diciannovenne Maria, destinata a diventare monaca di clausura, s’innamora di Nino, durante il periodo di “libertà” dalle mura del convento, ai piedi dell’Etna, lontano dall’epidemia colerica che dilagava a Catania. Ma anche il “Mastro Don Gesualdo” richiama una situazione familiare: il protagonista si trasferisce a Mangalavite, “in un gran casamento annidato in fondo alla valletta, tra l ’aria fresca e la libertà della campagna”, lontano dal colera del 1837. La serenità del paesaggio è interrotta dall’immagine “dei dirupi, delle grotte, delle capannucce nascoste nel folto dei f ichidindia, popolati di povera gente scappata dal paese per timore del contagio”. Ed è come vedere un passato che ritorna, al quale assistiamo atterriti. Eppure, anche nella narrazione di eventi non certo lieti si svela il genio letterario. La vita spesso crudele e piena di sofferenza diventa il terreno fertile della resilienza. I personaggi verghiani parlano di noi e del nostro modo di reagire di fronte alle circostanze avverse e così, persino nello sconforto, si può scorgere qualcosa di positivo. Forse tra le righe dello scrittore verista, in mezzo ai drammi e alla sicilianità esasperata, vi sono degli insegnamenti celati. Nella “miseria umana” c’è anche dell’altro: le passioni e gli entusiasmi che nonostante tutto ci fanno procedere, cadendo e ritentando. E da tali spunti bisognerebbe ripartire, con umiltà, rileggendo le parole del “villano di Vizzini”, come lui stesso si apostrofò in un’annotazione di “Novelle Rusticane” indirizzata all’amico Luigi Capuana. 13


Andrà tutto bene.. di ALESSIA GIAQUINTA

“Andrà tutto bene”. Lo leggiamo sui disegni colorati e rassicuranti dei bambini. Un vero e proprio inno alla vita che scaturisce da piccole mani capaci di vedere il buono di ogni cosa e trovare la giusta soluzione nei casi di difficoltà. Cresciamo i bambini raccontando loro storie, non solo per il gusto di farlo, ma anche e soprattutto perché essi possano trovare in queste la giusta chiave di lettura per affrontare la vita. Storie di eroi che sconfiggono mostri e storie di animali che cantano e suonano: per i bambini tutto è possibile, persino che un rospo diventi principe. Hanno un vantaggio: essi credono, senza lasciarsi sopraffare dalla realtà. I bambini, però, non sono irragionevoli, tutt’altro: capiscono benissimo ciò che viene loro narrato, infatti, sorridono, pongono domande, provano sensazioni di paura e adrenalina e gioiscono per ogni lieto fine, assolutamente obbligatorio. Non si può narrare, infatti, una storia priva di lieto fine a un bambino: anche se non ci fosse, sarebbe la sua esigenza stessa a crearlo. Nei fanciulli, infatti, è insito il pensiero positivo e dunque la capacità di reagire di fronte ad un possibile pericolo. Se chiediamo, infatti, a un bambino cosa fa un eroe di fronte ad un personaggio malvagio, non esiterà a rispondere, con decisione, “lo sconfigge per sempre”. E se i racconti e le favole servono a crescere, chiediamoci allora in che modo, di fronte all’emergenza CoViD-19, possono essere un supporto per i nostri piccoli. A partire dal presupposto che è conveniente raccontare sempre la verità ai bambini (utilizzando un linguaggio appropriato), si può utilizzare l’espediente narrativo della favola per giungere a quell’ “andrà tutto bene”, una sorta di “vissero felici e contenti”. Ho deciso allora di raccontare l’emergenza che stiamo vivendo ai bambini, l’ho fatto attraverso un video animato (che trovate sulla pagina Facebook di Bianca Magazine). L’ho scritto per i bambini di ogni età, da 0 a +99 anni, perché sono convinta che solo con lo sguardo fiducioso di un fanciullo riusciamo a comprendere e credere in quel lieto fine che tanto attendiamo. 14

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.. Io ci credo! “C’era una volta, non troppo tempo fa, un membro della famiglia coronavirus che ha deciso di fare capolino e mandare il mondo in confusione. L’hanno chiamato CoViD 19 perchè è nato proprio nel dicembre 2019, in Cina, nella città di Wuhan. Si tratta di un tipetto strano, eh. Ama viaggiare e vorrebbe attaccare la vita di tante persone. È forte ma non è fortissimo. A sconfiggerlo sono tanti, tantissimi supereroi che - senza nessun potere magico - lavorano continuamente e senza tregua negli ospedali. Sono infermieri, dottori, anestesisti... E anche tu. Sì, proprio tu sei tra questi eroi. Tu che sei a casa e forse ti annoi un po’. Hanno scoperto, infatti, che per vincere questa battaglia, non servono le armi. No! Bisogna stare a casa, così il coronavirus non ci trova... e va via! Semplice. Eh già. Ti stai chiedendo perché si chiama così. Non è un re, neanche una regina eppure detiene l’orpello più regale che ci sia! Chi è riuscito a vedere questo mostriciattolo di virus al microscopio ci ha detto che assomiglia a una corona. Cosa ci fa pensare questo? Di non fidarci mai, e dico mai, delle sole apparenze. La nostra storia continua... E intanto viviamo tutti a casa per qualche tempo, sicuri che... andrà tutto bene!”. I bambini hanno la capacità di guardare gli eventi con gli occhi della speranza. Impariamo da loro quest’atteggiamento e, soprattutto, non disperdiamo questo tempo: stare a casa significa avere modo di apprezzare ancor più il calore della famiglia. Significa trascorrere del tempo con i bambini: giocare, cucinare insieme, raccontare loro favole e magari farci narrare una storia da loro. Stimoliamo la creatività dei piccoli e anche la nostra. Ne usciremo tutti arricchiti e, sicuramente, più attenti e rispettosi verso quell’essenziale che spesso, travolti dal caos quotidiano, poco consideriamo. Andrà tutto bene. Ce l’hanno detto i bambini. Io ci credo.

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PIRANDELLO CAMILLERI

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uigi Pirandello nasce ad Agrigento il 28 giugno 1867, “cadendo come una lucciola sotto un gran pino solitario in una campagna d’ulivi saraceni”; Andrea Camilleri viene alla luce a Porto Empedocle il 6 settembre 1925. Entrambi crescono nello stesso lembo di Sicilia, affacciati allo stesso mare, e tutti e due avranno lo stesso, singolare destino: saranno scrittori di fama mondiale e racconteranno, ognuno a modo suo, la sicilianità. Prima che ciò accada, tuttavia, essi saranno giovani come tanti, eccezionali e dotati di un raro talento, ma pur sempre fanciulli, sognatori che immaginano il mondo dalle finestre delle loro camere e che a un certo punto si sentiranno figli cangiati. Secondo una leggenda che circola nell’agrigentino, esistono spiriti dell’aria che di notte si aggirano per le case e si divertono a scambiare i neonati. Si tratta di vecchie rugose, dall’indole malignamente burlesca, alle quali la tradizione popolare ha attribuito l’appellativo di màgare o donni, e

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su cui girano numerosi racconti, come quello della madre che al mattino, al posto del figlioletto biondo e diafano messo a dormire la sera prima, trova nella culla una criatura irriconoscibile, scura e spaventevole: li donni l’hanno scambiato e adesso il pargolo è un figliu cangiato. Il piccolo Luigi ode queste storie dalla criata e ne è oltremodo incuriosito. Non solo implora la donna di ripetergliele di continuo, ma si convince di essere stato anche lui cambiato dopo la nascita e di trovarsi nella famiglia sbagliata: il bambino si guarda attorno e si domanda cos’abbia in comune lui con i tipi irruenti che lo circondano, si chiede se davvero sia figlio dell’iracondo Stefano, che una volta arriva addirittura a sparare in aria un colpo di lupara solo perché le campane della vicina chiesa lo infastidiscono. Il futuro premio Nobel si sente estraneo all’ambiente in cui vive e, notando che troppe sono le differenze che lo separano dal resto del nucleo familiare, la sua logica infantile gli suggerisce un’unica spiegazione plausibile: li donni lo hanno cambiato; egli non è figlio del tempestoso


Due “ figli cangiati” di IRENE VALERIO

Stefano, che in tutta la sua vita parteciperà a sette scontri a fuoco e a mezza dozzina di duelli, ma di qualcun altro.

futuri scrittori siciliani, poiché – come affermò da adulto Camilleri – “ogni siciliano si sente scangiato, sia che campi la vita ad acqua e a vento, sia che abiti nel palazzo del re”, ed è forse Simili dubbi sulla possibilità che ci sia stato uno scambio proprio il dubbio di esser capitati nel posto sbagliato, l’amara operato dalle màgare inquietano anche i genitori di Andrea consapevolezza della dissonanza “tra ciò che è e ciò che dovrebbe Camilleri, allorquando in terza superiore scoprono che il essere”, che permette a tanti talenti e artisti di germinare. figlio, preferendo bighellonare in giro per la città, ha saltato Se non fosse per il travaglio nato dall’insoddisfazione oltre la metà delle lezioni e poi ha modificato la pagella da per un’isola amata per la fiera bellezza e al tempo stesso far firmare al padre, motivo per il quale viene mandato in detestata per l’oppressione delle diversità forse nessuno collegio. Giuseppe e Carmelina discutono sulla bizzarria del potrebbe scrivere, inventare, dipingere e cambiare il mondo; figlio ed egli, origliando, si pone le loro stesse domande: e se se non fosse per il dissenso verso lo status quo e il senso di fosse stato davvero cambiato dalle donne? Se fosse figlio di un estraneità dall’ambiente circostante, non ci sarebbe stato carrettiere che le màgare hanno portato in quella casa? Forse nessun Pirandello, nessun Camilleri, nessun Sciascia, nessun non è un’idea sconclusionata, dal momento che lui, stravagante Quasimodo e nessun Verga. e anticonvenzionale, poco o niente ha in comune con la compostezza e l’ossequio per le regole del padre. A sentirle, queste storie non sembrano vere, ma forse non c’è nulla di eclatante nei quesiti che preoccupavano i due

Fonte: L’ombrello di Noè Andrea Camilleri e Roberto Scarpa, Rizzoli, 2002 17


L’Arte abbatte le distanze!

Esperienze virtuali da vivere in casa

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estare a casa per salvare se stessi e gli altri, un invito fondamentale per combattere e sconfiggere la pandemia COVID-19. La campagna social #iorestoacasa: fallo anche tu! è stata lanciata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero della Salute e da Facebook coinvolgendo diversi artisti e personaggi della cultura per sensibilizzare gli italiani a osservare le misure di sicurezza raccomandati nel Dpcm del 9 marzo. Tra le varie misure dei diversi decreti c’è stata anche quella che ha previsto la chiusura su tutto il territorio nazionale dei Cinema, Musei, Parchi Archeologici e Teatri. Una misura senza precedenti, ma necessaria. A questo lockdown il mondo dell’arte ha risposto organizzandosi soprattutto con l’utilizzo dei canali social. Tra questi, il Teatro Massimo di Palermo, tramite l’utilizzo della web tv, dà l’opportunità di fruire delle produzioni migliori come La Traviata di Verdi, Madama Butterfly di Puccini e tante altre opere.

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Attraverso i canali social del Teatro Greco di Siracusa, gestito dalla Fondazione Inda, è possibile visionare le produzioni che hanno ottenuto maggiore successo: Le Nuvole di Aristofane, Edipo a Colono di Sofocle e gli interventi degli attori che dalle loro case interpretano i personaggi della tragedia greca. Il Teatro Donnafugata a Ragusa Ibla mette a disposizione lo streaming sul canale YouTube de Il Barbiere di Siviglia e L’Elisir d’Amore, opere prodotte con l’Accademia della Scala di Milano. Sono, inoltre, disponibili online contenuti artistici realizzati dagli attori che hanno calcato il palcoscenico del teatro: Tullio Solenghi, Andrea Tidona, Moni Ovadia e molti altri. Anche il Teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania è diventato digitale con una raccolta di balletti, opere, come la Norma di Bellini e concerti trasmessi in streaming attraverso il canale YouTube dedicato. Attraverso i canali social del teatro sono disponibili anche fotografie storiche che ne raccontano la lunga e preziosa attività.


8:30

DI IRENE NOVELLO

Per i Parchi Archeologici e i Musei siciliani si è rivelata di fondamentale importanza, anche in questo momento, la piattaforma #iziTRAVELSicilia. Un progetto che mira alla valorizzazione e promozione del patrimonio culturale siciliano, coordinato da Elisa Bonacini e che al momento conta 240 audioguide. «La portata di questo processo - ci racconta Elisa - è stata tale da essere diventata un “modello” per altre regioni italiane e per altre realtà europee. Ho presentato il progetto al Vienna Contemporary Art e al Prague Global Platform “Enhanced digitally enabled cultural heritage participation for all citizens”, organizzato dal Directorate-General for Education, Culture, Youth and Sport, della Commissione Europea. La Sicilia ha partecipato per la prima volta a un tavolo tecnico sui beni culturali e sulla digitalizzazione con questo progetto, riconosciuto come una best practice di coinvolgimento e di partecipazione alla produzione di contenuti digitali culturali. Dobbiamo essere orgogliosi di quanto realizzato in Sicilia con questo progetto, perché per la prima volta in questo settore la Sicilia può “vantarsi” di essere un modello per altri!».

Elisa come si presenta la comunicazione digitale in Sicilia? «La tragedia della pandemia COVID-19 ha fatto venire al pettine tutti i nodi, anche quelli “digitali”. In Sicilia soffriamo pesantemente l’assenza assoluta di qualunque strategia nella comunicazione e valorizzazione digitale. C’è qualche sparuto progetto: come il Catalogo multimediale del Museo Archeologico Regionale“Paolo Orsi”, da me curato e realizzato da Gianfranco Guccione, così come il catalogo multimediale dell’Etna; o come il progetto del Parco della Valle dei templi su Google Arts&Culture. In questo gap indecoroso in cui naviga il nostro patrimonio, il progetto #iziTRAVELSicilia si è rivelato l’unica “luce” per comunicare e far conoscere i nostri musei e le nostre collezioni». Molteplici, dunque, le realtà siciliane che si sono organizzate per continuare a coinvolgere il pubblico e suscitare l'attenzione di nuovi fruitori, ma non dimentichiamo che, pandemia o non, è importante incentivare la comunicazione culturale anche attraverso le piattaforme digitali valorizzando i professionisti del settore, con la speranza che non siano vane le esperienze vissute in questo momento. 19


Ispica nel sito Unesco Le città Tardo Barocche del Val di Noto

di ANGELO BARONE FOTO DI salvatore brancati

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ella riunione per il Piano di Gestione del sito Unesco “Le città Tardo Barocche del Val di Noto” i sindaci di Catania, Caltagirone, Militello Val di Catania, Modica, Noto, Palazzolo Acreaide, Ragusa e Scicli hanno espresso il sì formale all’ingresso nel sito delle città di Acireale, Ispica e Mazzarino condividendone le motivazioni dirette a completare l’itinerario storico e architettonico, avviando così la procedura di allargamento del sito esistente ad altri comuni per i quali sarà riconosciuta l’uniformità culturale, urbanistica e architettonica che si espresse dopo il terremoto del 1693. Questa può essere una grande occasione per completare e ridisegnare il territorio delle Città del Tardo Barocco del Val di Noto e porre rimedio all’insipienza e indifferenza dei comuni che allora non seppero cogliere questa opportunità.

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Il sito “Le Città Tardo Barocche del Val di Noto” viene iscritto dall’Unesco nella World Heritage List nel giugno del 2002, a Budapest, nel corso della 26a sessione del Comitato Scientifico Internazionale con queste motivazioni: “Le otto Città del Sud-Est della Sicilia: Noto, Palazzolo Acreide, Scicli, Modica, Ragusa, Militello Val di Catania, Caltagirone e Catania furono ricostruite dopo il 1693, nello stesso luogo o vicino alle città esistenti al tempo del terremoto di quell’anno. Esse rappresentano una considerevole impresa collettiva, portata con successo ad alto valore di architettura e compimento artistico. Custodite all’interno del Tardo Barocco, esse descrivono pure particolari innovazioni nella progettazione urbanistica e nelle costruzioni delle città”. Di questo importante evento ne parliamo con uno dei protagonisti, Gianni Stornello - il vice sindaco di Ispica con la delega Unesco: «Oggi, a vent’anni di distanza, stiamo riprendendo


il cammino interrotto, affermando il valore e la valenza di un riconoscimento che non consideriamo un premio, ma il naturale sblocco di una condizione, di un assetto architettonico, di un’appartenenza geografica. Con questa convinzione abbiamo chiesto l’assistenza della Fondazione Unesco della Sicilia e siamo entrati in contatto con gli altri comuni che intendono farne parte, come Acireale e Mazzarino, e con quelli che ricadono nel sito. L’aver ottenuto dal Ministro dei Beni Culturali e dall’Unesco la possibilità di allargare il sito è già un fatto rilevante, così com’ è stato importante l’assenso degli altri otto comuni già ricadenti nel sito, che hanno dimostrato una lungimiranza e un’apertura fondamentale».

architettonico, urbanistico, culturale e turistico dell’intera area. «Ispica è nel cuore del Val di Noto: lo dice la geografia, lo dicono i particolari architettonici degli edifici, lo dicono le nostre tradizioni. Abbiamo dei gioielli tardo-barocchi che testimoniano quest’appartenenza: la basilica di Santa Maria Maggiore, l’antistante loggiato del Sinatra, parti significative della basilica della Santissima Annunziata, la chiesa di Santa Maria di Gesù del Convento dei Frati minori. Siamo determinati a lottare fra le obiettive difficoltà, facendo valere ciò che c’è e che si vede, senza inventarci nulla» dichiara il vice sindaco Gianni Stornello in merito ai punti di forza della richiesta di riconoscimento della città.

L’arrivo di altri comuni che condividono l’ “unicum” culturale nell’ambito del Val di Noto, è sicuramente una ricchezza, anche nella prospettiva di un Piano di Gestione che guarda al rilancio

Noi di Bianca Magazine continueremo a seguire con attenzione l’evoluzione di questo processo e visiteremo anche gli altri due Comuni di Acireale e Mazzarino. 21


Ma che bel castello! di alessia giaquinta foto di angelo micieli

C’

era una volta, tanto tempo fa, Bianca Navarra che dopo la morte del marito, capo del Regno di Sicilia, venne spietatamente corteggiata dal conte Bernardo Cabrera, aspirante al trono, che pur di averla, la imprigionò in un Castello, dal quale - si narra - lei riuscì a fuggire. Il Castello in causa, sebbene alcuni dati siano anacronistici, si trova in territorio ragusano: Donnafugata è il suo nome. Il nome, in effetti, fa pensare proprio alla fuga della regina ma, in realtà, pare derivare dall’arabo Ayn As-Iafaiat ossia “sorgente della salute”, presente nella parte in basso, a est del Castello. Ayn, sorgente, viene poi traslitterato in “ronna”, donna. Il toponimo Donnafugata così riassume storia e leggenda e si offre, oggi, come affascinante sintesi delle vicende di un castello, che non è castello. Quello di Donnafugata, infatti, non è un castrum con funzione di difesa: si tratta piuttosto di una villa, probabilmente edificata su costruzioni precedenti.

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Quel che possiamo dire di certo è che il primo barone di Donnafugata, nel 1628, fu Giovanni Arezzo-Propenso e che, da quel momento fu la famiglia Arezzo ad abitare la sontuosa villa. Si fa però riferimento a Corrado Arezzo De Spuches (18241895) se si vuole comprendere l’estensione e l’architettura della villa. Proprio lui, infatti, volle che l’edificio fosse testimonianza della grandezza della famiglia e luogo maestoso dove ospitare personaggi illustri. Egli fece edificare una fortificazione attorno alla villa che assunse così l’aspetto di un castello. Uomo di cultura, Corrado ebbe interesse per i viaggi, la botanica e l’esoterismo. Aveva anche uno spirito scherzoso tanto che fece costruire, nel parco, una panchina - dove si appartavano gli innamorati - collegata a un marchingegno che, se attivato, spruzzava improvvisamente acqua. Uno degli scherzi più famosi, però, era quello del monaco. Le donne ospiti al castello, passeggiando nei viali, trovavano una struttura simile a una chiesa in cui, all’ingresso, si trovava un finto monaco


che procurava loro spavento. In uno dei suoi viaggi a Londra, affascinato dal labirinto di Hampton Court, volle riprodurlo nel suo giardino aggiungendovi la statua di un soldato al posto di guardia. Oltre 1500 specie di piante arricchiscono la parte esterna della villa che ospita pure un tempietto e una CoffeeHouse dove, si narra, gli ospiti venissero accompagnati da una banda musicale. Dopo alcune vicende che coinvolsero varie generazioni della famiglia, il Castello fu venduto al Comune di Ragusa, nel 1982. Incantevoli gli interni: dal mobilio alle Sale, agli affreschi, alla preziosa libreria. Per parlare di “lieto fine” non si può non considerare l’impegno dell’architetto e museologo Giuseppe Nuccio Iacono, nominato dall’Amministrazione di Ragusa, gestore e manager culturale del Castello. Attraverso l’esposizione di mostre tematiche (di abiti e oggetti curiosi) e interessanti novità ha l’obiettivo di dare lustro al Castello, e non solo.

Quali sono le novità che introdurrà? «Ho proposto la variazione di orari e tariffe d’ingresso, adottando il sistema di biglietto combinato e separabile (es. solo giardino, solo castello...) ma soprattutto un’agevolazione per le famiglie: i paganti sono i genitori, i bambini sotto i 14 anni entrano gratuitamente. Altra cosa importante è la musealizzazione del parco: verranno poste, infatti, delle informazioni e QR Code che rimanderanno al sito, per approfondire. Ritengo importante creare un BookShop e un’area di ristoro, una zona di assistenza e che ci siano delle sedie rotelle di cortesia. Spero, infine, di portare presto al termine la trascrizione di un manoscritto di Francesco Arezzo. Un documento importante, da pubblicare». Qual è l’obiettivo? «Non è solo quello di incrementare il numero dei visitatori. Ancora più è importante suscitare meraviglia e benessere a chi visita, insomma puntare alla risonanza emotiva che può dare un luogo. Questo è un utile che non si vede ma che costituisce l’essenziale da raggiungere». 23


Sperlinga

Il Borgo più bello d’Italia scavato nella roccia

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perlinga, nome di origine greca che significa grotta, spelonca appunto. È un piccolo borgo nel cuore della Sicilia centrale, tra i Nebrodi e le Madonie, in provincia di Enna, inserito nella rete dei Borghi più belli d’Italia. Un sito caratterizzato da diverse grotte scavate nell’arenaria, spelonche di origine artificiale. Nel 1282, periodo dei Vespri Siciliani, Sperlinga fu l’unica fortezza della Sicilia a non ribellarsi alla dominazione angioina. A testimonianza di ciò è stato inciso, sull’arco del vestibolo del castello, un motto molto famoso nell’isola: “Quod Siculis Placuit Sola Sperlinga Negavit”, che tradotto significa “la sola Sperlinga negò ciò che piacque ai Siciliani”. Il suo fascino è arricchito dalla magia delle case scavate nella roccia, dai ruderi del castello, dalle viuzze che si arrampicano nel borgo attraverso scale intagliate nella roccia, da panorami mozzafiato dove splende il caloroso sole siciliano. Il sito è frequentato sin dall’epoca dei Siculi, come si può vedere dalle numerose grotte artificiali che caratterizzano il centro abitato e il territorio limitrofo. Si tratta di grotte scavate originariamente per funzioni funerarie e poi utilizzate nei secoli successivi dai diversi popoli che hanno abitato l’isola, adattandole a usi diversi. Con il tempo ne sono state scavate tante altre e così oggi il borgo è punteggiato di spelonche di epoche diverse, abitate dai contadini fino agli anni Sessanta. Oggi alcune di queste fanno parte del patrimonio comunale e sono state adibite a museo; altre sono ancora di proprietà privata e utilizzate come magazzini. Il cuore del borgo è il castello che svetta su un alto sperone roccioso e domina l’intero insediamento. La struttura fu realizzata sotto il periodo normanno, poi trasformato in fortezza, infatti, nel 1282 ospitò una guarnigione angioina e resistette all’assedio di Pietro d’Aragona per oltre un anno. Oltre la porta d’ingresso, appena entrati, si notano i segni di un ponte levatoio all’epoca presente. All’interno è possibile visitare diversi

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DI IRENE NOVELLO FOTO DI ALFIO BOTTINO

ambienti: magazzini, stalle, prigioni, cisterne per la raccolta delle acque piovane e i vani destinati ai feudatari. È uno dei castelli più alti della Sicilia ed è un rarissimo esempio di castello scavato nella roccia. È, infatti, noto come una fortezza inespugnabile grazie alla sua struttura morfologica e alle sue possenti mura di cinta. Il fianco del castello che si riversa sul paese, si presenta tutto traforato di grotte artificiali, collegate tra loro da stradine ricavate anch’esse dalla roccia, dove ancora sono presenti i segni dei secoli trascorsi lì dentro e costituiscono un bellissimo e suggestivo borgo rupestre. Alcune di esse sono state adibite a museo, dove si ripercorre la vita degli abitanti di Sperlinga fino agli anni Sessanta, dediti al lavoro contadino e alla tessitura, attività molto presente nel territorio poiché all’epoca si coltivava il lino. Ma l’arte tipica in cui il borgo si è distinto è la “frassata”, un tappeto realizzato dall’intreccio di stoffe riciclate da abiti dismessi. La storia del borgo è legata a quella delle famiglie che hanno posseduto il castello e i feudi annessi: i Rosso, i Ventimiglia, i Natoli e gli Oneto. Il paese è nato come borgo feudale ai piedi del castello e si è espanso dal 1597 in poi quando il re Filippo II concesse a Giovanni Natoli il titolo di principe di Sperlinga con l’annesso privilegio di poter espandere il borgo con altre costruzioni. Un’altra particolarità del borgo è il dialetto gallo-italico, così chiamato perché presenta influenze dei dialetti del nord Italia, diffuso in Sicilia a partire dalla conquista normanna dell’Isola. Sperlinga, con il suo borgo rupestre, il castello, l’antico dialetto, l’incantevole panorama e la tranquillità tipica del posto ci permette di immergerci in una Sicilia segreta dove sono ancora presenti i profumi e i rumori di un antico passato. 25


Il complesso rupestre Grotta dei Santi di IRENE NOVELLO

FOTO DI GREGORIO GIARRUSSO

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a Sicilia è una terra da scoprire, ogni angolo del suo territorio nasconde bellezze uniche, che incantano e tolgono il fiato. Molte di queste straordinarie ricchezze sono spesso sconosciute, come i piccoli siti archeologici disseminati nel territorio dell’isola, testimonianze storiche e culturali che hanno determinato la straordinarietà della nostra terra. Uno di questi siti ricade nel territorio di Licodia Eubea, a pochi chilometri da Vizzini, su di un colle che si affaccia sulla valle del fiume Amerillo. Si tratta di un sito rupestre arroccato sul colle, luogo adatto per lo stanziamento di villaggi rupestri che durante il tardo impero e il dominio bizantino si diffondono in Sicilia. In origine il sito fu utilizzato come area cimiteriale cristiana per la popolazione del territorio circostante, successivamente nel VI secolo vi si stabilì un piccolo gruppo di monaci cenobiti, dediti a una vita comunitaria, caratterizzata dalla condivisione del tempo, del lavoro e della preghiera, divenendo un centro importante per i piccoli insediamenti rurali presenti nel territorio limitrofo. L’area fu trasformata in un oratorio rupestre, un luogo di culto per le comunità vicine ed è stata frequentata per oltre un millennio: dall’epoca tardo antica al XV secolo. Inoltre, nei pressi del sito sono anche presenti delle abitazioni rupestri chiamate Ddieri dei Denari, dall’arabo “ad diar”: casa. Quello che oggi è possibile visitare nella Grotta dei Santi è il frutto di una continua trasformazione avvenuta in un lungo periodo di tempo. Al sito si accede attraverso un piccolo sentiero che percorrendolo fa presupporre la segretezza del luogo e il senso di raccoglimento che un tempo lo caratterizzava. Seguendo il sentiero si raggiunge il terrazzamento con il primo gruppo di camere ipogeiche, dove sono ancora presenti le tracce della loro

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destinazione cimiteriale, nonostante i rimaneggiamenti subiti nel tempo. Al secondo terrazzamento e alla catacomba meglio conservata si accede attraverso uno stretto passaggio. All’interno sono presenti i resti di diverse sepolture scavate nella roccia, un tempo coperte da grandi tegole e lastre di pietra. L’architettura della camera è caratterizzata da piccoli pilastri con delle incavature, dove si appoggiavano le lucerne per illuminare il vano. E con stupore inatteso sono visibili tracce di pannelli pittorici che probabilmente dovevano rappresentare la teoria dei Santi che dà il nome al sito. Da qui un piccolo corridoio a gomito porta a un grande arcosolio, isolato dalle altre sepolture, forse destinato a una sepoltura di un personaggio di spicco della comunità cristiana. Nella fase di trasformazione in oratorio, l’ambiente a fianco della catacomba perse le sue forme strutturali e si trasformò in una sala a pianta rettangolare con volta piana; sul lato orientale fu realizzata un’abside con un arcosolio, dove è presente uno straordinario pannello pittorico con il tema della staurosis: Gesù Cristo crocifisso con affianco la Madonna a destra e a sinistra San Giovanni e Longino, rappresentato nell’atto di trafiggerlo al costato e in alto i volti del Sole e della Luna. L’affresco è datato agli inizi del XIV secolo. Numerosi graffiti ricoprono il pannello pittorico, la firma più antica risale al 1445 ed è probabile che dopo questa data l’oratorio non sia stato più frequentato. Il pannello pittorico è stato restaurato grazie all’impegno della sezione locale dell’ArcheoClub da anni impegnata per la promozione e la valorizzazione dei beni culturali del territorio. Passeggiare per questi piccoli sentieri che conducono alla Grotta dei Santi è rigenerativo per la mente e per il corpo. La vista spazia tra la verde vallata arricchita dall’altopiano ibleo e, in lontananza, dalla splendida Etna.


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Alessio Vassallo «Amo raccontare storie » di omar gelsomino

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i è imposto nel panorama cinematografico e televisivo come uno dei più promettenti attori italiani. Nella sua giovane e brillante carriera ha ricoperto tantissimi ruoli, anche se il pubblico lo conosce come Mimì Augello de “Il giovane Montalbano”. Alessio Vassallo, trentaseienne artista poliedrico palermitano, dopo aver conseguito il diploma alla prestigiosa Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” debutta in teatro, senza mai abbandonarlo, iniziando a recitare

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FOTO DI paolo ciriello

oltre che nella serie dedicata al commissario di Camilleri, attraverso la quale ha conquistato la notorietà a fianco di Michele Riondino, anche in tante altre serie di successo: da “Agrodolce” a “Edda Ciano e il comunista” a “Romanzo siciliano”, passando per «Squadra antimafia - Palermo oggi 2», «I Medici» e in diversi film, cortometraggi e spot televisivi. Incontriamo Alessio Vassallo, conosciuto e apprezzato per il suo straordinario talento, e ci racconta la sua vita, la sua carriera e i suoi progetti come una qualunque persona normale, soddisfatto del suo bellissimo lavoro.


Raccontare una storia a qualcuno è una gran bella responsabilità. E ogni volta prima di mettermi sulle spalle una tale responsabilità ci penso molto bene.

Quando nasce la passione per la recitazione? «I primi anni all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico sono stati fondamentali. Oltre a nutrire quotidianamente la mia passione, questi anni mi hanno donato una forte disciplina che per il mio lavoro è l’ingrediente più importante». Tanti i ruoli interpretati sinora, ma quello che ti ha insegnato o colpito di più qual è stato? «Penso il primo. Nel film “La vita rubata” interpretavo Pasquale Campagna insieme con Beppe Fiorello, che impersonava Pietro Campagna. A questi due fratelli è stata uccisa barbaramente una sorellina di soli diciassette anni dalla mafia. Raccontiamo la storia di Graziella Campagna. Ricordo ancora i fratelli che vivevano con noi sul set durante le riprese. Ricordo l’emozione e la responsabilità di quel ruolo. È stato un inizio di carriera molto forte che mi ha anche imposto di perseguire una linea professionale molto precisa». Cosa ricordi del tuo esordio nel 2008? «Avevo una così poca consapevolezza che mi rendeva attorialmente sotto certi aspetti più libero».

Nella serie “Il giovane Montalbano” hai interpretato il ruolo di Mimì, quanto ti assomiglia questo personaggio? «Volete sapere se sono un femminaro? La risposta è no. Da buon siciliano amo le belle donne. Credo molto nell’amore e soprattutto spero presto, al contrario del buon Augello, di farmi una famiglia. Di certo la mia autoironia è molto simile a quella del personaggio scritto da Camilleri. E forse anche la sua genuinità». Ti rivedremo in una nuova stagione de Il Giovane Montalbano? «Il 23 Marzo sono tornato in tv sempre a Vigata con “La concessione del telefono”. Uno dei romanzi a mio avviso più belli del maestro Camilleri. Il giovane Montalbano a oggi non se ne parla... ma qualcosa mi fa pensare che prima o poi torneremo». Teatro, cinema e tv, cosa preferisci? «Amo raccontare storie. Il mezzo è l’ultimo dei miei problemi. Per me è più importante cosa racconto al pubblico. Raccontare una storia a qualcuno è una gran bella responsabilità. E ogni volta prima di mettermi sulle spalle una tale responsabilità ci penso molto bene». 29


Il momento più bello della tua carriera? «Mesi fa durante le riprese de “La concessione del telefono”. Era un progetto che aspettavo da un po’ di tempo. Davvero il classico sogno che diventa realtà». Cosa porti dentro di te della Sicilia? Quanto ti manca? «Io sono siciliano. Proprio nel modo di pensare, di vivere... quindi, dentro non porto nulla. Semmai sono io che porto qualcosa agli altri. La Sicilia mi manca tanto... Ogni volta che vado a trovare i miei, penso... Voglio tornare a vivere qui. Restare qui. Poi, ahimè, ho sempre un aereo che mi riporta a Roma». Sei soddisfatto del tuo successo? «Si. Sono soddisfatto felice della mia carriera fino ad oggi. Delle scelte fatte. Il successo o la popolarità... sono soltanto delle conseguenze del nostro lavoro. E sinceramente non ci ho mai fatto tanto caso. Sono un po’ fuori moda... lo so... oggi 30 BIANCAV.I.P.

siamo invasi dal successo, tutti hanno successo, ma spesso è un successo senza alcun contenuto». Fuori dal set cosa ti piace fare? «Stare con le persone alle quali voglio bene e sono davvero pochissime. Passare il tempo con i miei genitori e con la persona che amo. Puoi anticiparci il tuo ruolo ne La concessione del telefono? «Interpreto Pippo Genuardi. Penso possa bastare». Quali sono i tuoi progetti futuri? «Dopo la messa in onda importante de “La concessione del telefono” sono tra i protagonisti di un progetto molto interessante tratto dai racconti di Carofiglio “Passeggeri Notturni” in onda su Rai Play e tra poco inizio le riprese di un film per il cinema... ma non posso anticipare nulla».


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Giannì Motors

Prima concessionaria Nissan d’ Europa! DI SAMUEL TASCA FOTO DI GIANNI’ MOTORS

è

sempre più radicata la convinzione che, per eccellere, bisogna uscire fuori dalla Sicilia, che in altre regioni tutto funziona meglio e che per ottenere un servizio d’eccellenza bisogna trovare risposte al di fuori del nostro paese. Non la pensano così alla Giannì Motors, concessionaria ufficiale Nissan con sedi a Comiso e a Ragusa, dove attenzione e professionalità sono gli strumenti principali che vengono applicati ogni giorno nel loro lavoro. E quando c’è l’impegno, si sa, questo presto o tardi viene ripagato. Lo scorso luglio, infatti, la Giannì Motors è risultata essere la Miglior Concessionaria Nissan d’Europa nella gestione dei processi di garanzia.

Un vero e proprio traguardo consacrato dalla consegna del premio da parte dell’Amministratore Delegato Bruno Mattucci, presso la sede ufficiale di Nissan Italia, alla presenza di tutti i Manager dell’azienda. «Un punto di partenza e sicuramente non un punto di arrivo, ma senz’altro una bella soddisfazione - continua Antonio Lucisano -. Un bel risultato dove il lavoro di squadra è stato determinante e fondamentale. Il processo di gestione della garanzia implica il coordinamento di più risorse, non è qualcosa che si può gestire a livello individuale in maniera ottimale. È un processo che passa dall ’accettazione alla professionalità di tutto lo staff di off icina e magazzino che mette in campo tutte le loro Come ci spiega Antonio Lucisano, responsabile post vendita competenze. Successivamente, viene gestito il rimborso: qui per la Giannì Motors, «l’azienda Nissan, periodicamente, esegue entra in gioco il settore del post vendita amministrativo. Se dei controlli di qualità presso tutte le concessionarie effettuando ognuno di noi non fa bene la propria parte, non si riesce ad una valutazione sulla gestione delle garanzie. In altre parole, ottenere un buon risultato». la riparazione del veicolo e la sottomissione della richiesta di rimborso alla casa madre. All’interno di questo processo ci sono La Giannì Motors, guidata dalla famiglia Giannì, delle procedure da seguire che sono di fatto verificate per capire ha fatto della sua realtà un punto d’eccellenza per il se vengono rispettati i processi e gli standard dettati dalla casa settore dell’automotive. Avanguardista e innovatrice, madre. Nella verifica effettuata, la Giannì Motors è risultata rappresenta oggi sicuramente un punto di riferimento essere la migliore concessionaria in tutta Europa nella gestione anche nel settore delle auto elettriche, essendo l’unica dei processi ottenendo un punteggio di mille su mille». concessionaria del Meridione autorizzata da Nissan alla A rendere ancor più memorabile questo traguardo è riparazione delle batterie agli ioni di litio. il fatto che quello ottenuto dalla Giannì Motors è il A questa impresa vanno, quindi, i nostri migliori auguri massimo punteggio realizzato nella storia di queste per i risultati ottenuti e per la sua squadra vincente: verifiche in tutta Europa. siamo tutti pronti a festeggiare il prossimo traguardo!

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Roberto Strano «Racconto me stesso attraverso le foto» di Omar Gelsomino

foto di LARedo montoneri

«Nascere in Sicilia, come sostiene anche l’amico Scianna, è un

privilegio e forse anche una maledizione. E come tale, te la porti dentro, te la porti nel modo di guardare, di pensare, di fotografare e contemporaneamente cresci con la consapevolezza che quando sarai adulto, per avere fortuna, probabilmente dovrai andar via». Scrive così Roberto Strano, fotografo professionista, nel suo libro “Compagni di viaggio. Fotografi siciliani sparsi nel mondo” per Postcart. La sua sensibilità gli permette di raccontare realtà particolari sconosciute o lontane dal “nostro mondo”. Pur vivendo e lavorando a Caltagirone, Roberto Strano è un cittadino del mondo, predilige la fotografia sociale con i suoi fotoreportage collaborando con le più grandi agenzie fotografiche internazionali, è anche un docente e curatore della fotografia di film e protagonista del docufilm di Piero Sabatino “La pelle della bellezza. Viaggio attraverso la fotografia dell’essere”.

Roberto Strano ama definirsi “un artigiano della fotografia” perché «La fotografia si occupa di istanti di vita, li registra e li racconta, e io ogni istante di vita che mi ispirava, ormai lo immortalavo. Allora, come oggi, fotografavo quasi sempre in pellicola... E ancora oggi fotografo innanzitutto con gli occhi, perché devo prima penetrare la realtà che osservo, come a voler tratteggiare nella mia mente quella che sarà poi la mia foto». Questo libro nasce dalla sua esperienza professionale e dall’importanza delle interazioni di colleghi/amici incontrati lungo il suo percorso artistico. «Negli anni passati, più scattavo immagini sui fotografi di origine siciliana nel mondo e più prendeva piede dentro di me l’idea di realizzare un libro con un obiettivo preciso: raccontare me stesso attraverso le foto, raccontare i miei e i loro sogni, ma soprattutto le loro storie, anche di emigrazione. Nella mia mente si delineava un gran mosaico; riuscivo a intravedere i differenti pezzi, a collocarli nell’ordine 34 BIANCATALENT

corretto, esattamente come penso accadesse a Giacometti per una scultura o a Mirò per un quadro, o ancor più per un arazzo». Per il giornalista Gaetano Savatteri, “I fotografi fotografati da Strano svelano così questa sorta di patologia: siciliani che hanno inventato la Sicilia con le loro immagini. Dove l’invenzione sta per scoperta o rinvenimento. Possiamo dire che Roberto Strano ha riallacciato i fili, elaborando un catalogo di esploratori e viaggiatori che hanno attraversato in lungo e largo l’isola letteraria per formarne una nuova, più reale di quella reale, più duratura di quella di pietra e di vento. Un gioco di specchi, di rimandi, di rinvii, di affinità e di citazioni come un album di famiglia. Di una famiglia immaginata, immaginaria e visionaria”. “Un viaggio che racconta storie e persone con fotografie di prim’ ordine - lo definisce così il libro, il fotografo Ferdinando Scianna -. Non un semplice repertorio: un racconto. Un racconto di scoperta e di amicizia, un’iniziazione di appartenenza”. Fotografie e testi che ritraggono i fotografi siciliani più importanti, rapporti di lavoro diventati amicizia: Scafidi, Sellerio, Leone, Scianna, Battaglia, Zecchin, Minnella, D’Amico, Chiaramonte, Glaviano, Giaccone, Caleca, D’Agata, Palazzolo, Roma, Zacchia, Pasqualino, Leonardi, Giglio, Tornatore e Gentile. «Così, negli anni, è cresciuto il mio personale album di famiglia, composto da coloro che considero fratelli, amici, cugini, la mia “famiglia allargata” con cui condivido la mia vita professionale e spesso anche quella personale». Per quanto possa sembrare anacronistico con gli scatti in bianco e nero, Roberto Strano dimostra la sua scelta stilistica, una sua filosofia personale: a differenza del colore che mostra l’attinenza alla realtà con il bianco e il nero esprime il suo mondo interiore, dà allo scatto una profondità e un fascino tutto particolare, rendendolo eterno, fuori dalla concezione temporale e invitando chi osserva a immaginare e vedere oltre.


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Fabrizio Fazio

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Una passione trasformata in arte DI OMAR GELSOMINO FOTO DI ARIANNA DI ROMANO

asseggiando per le vie di Gangi, comune adagiato sulle Madonie ed eletto “Borgo dei Borghi” nel 2014, lungo Corso Vitale è facile trovare una bottega piena di tamburi. Alcune volte è proprio il suono ad attirare l’attenzione dei passanti e far scoprire così un mondo che affonda le sue radici nella tradizione popolare. Sin da piccolo per Fabrizio Fazio è diventata la sua passione: costruire artigianalmente, con materiali di recupero, tamburi a cornice, tammorre, tamburi medievali e imperiali. I più grandi percussionisti da Mario Incudine a Giovanni Apprendi, da Ruggiero Mascellino ad Alfio Antico, solo per citarne alcuni, hanno apprezzato gli strumenti di Fabrizio Fazio, perché i suoi tamburi e le tammorre sono diversi tra loro, così come il loro suono, vere e proprie opere d’arte che arrivano in tutto il mondo. Dalla materia al suono, passando dalla manualità all’arte. Realizzando così uno strumento antichissimo, Fabrizio Fazio mantiene viva una tradizione che altrimenti andrebbe perduta. «Vivendo a Gangi, un piccolo borgo immerso sulle Madonie, come tanti altri comuni dell’Italia meridionale e della Sicilia, legato alle proprie tradizioni, il tamburo è sempre stato uno strumento musicale presente nella storia dei gangitani, accompagnando alcuni momenti della loro vita, dalle processioni agli avvisi dei commercianti. Affascinato dal suono e dalla tecnica con cui gli artigiani realizzavano i tamburi, mi sono avvicinato a quest’arte, anche perché nessuno della mia famiglia mi ha trasmesso né la passione per la musica né le tecniche della manualità per realizzare questi strumenti.

Nella mia bottega c’è una foto che mi ritrae a quattro anni mentre gioco con un tamburello di plastica che mi era stato regalato, ci sarà un motivo se oggi mi ritrovo con dei tamburi artigianali da me realizzati: era previsto che io sarei dovuto diventare il divo dei tamburi». Le fasi di lavorazione prevedono l’impiego di materiali poveri che altrimenti andrebbero persi, usando pelli di capra, latta e setacci di legno. «Per i miei tamburi uso materiali di recupero: i telai dei “crivuli” o setacci, la pelle di capra e i barattoli di latta. Dagli antichi telai dei setacci, usati in tutte le case per la pulitura del frumento, ricavo le casse di legno; la pelle della capra, dopo averla pulita, è trattata con la calce per eliminare tutte le impurità e poi fatta asciugare su un telaio; la latta ricavata dai barattoli viene tagliata, riscaldata e battuta su un antico ceppo di quercia con un martello a palla che darà un’inconfondibile sonorità ai sonagli. Ogni mio tamburo ha un’anima diversa». L’arte e il sapere di Fabrizio Fazio, se per lui sono un modo di comunicare le sue emozioni e per questo vuole tramandare quest’antica tradizione popolare, sono così importanti che vanno tutelati e per questo sarà inserito ben presto nel Patrimonio delle Eredità Immateriali. «Sento il bisogno di percuotere la pelle per comunicare i miei stati d’animo, bisogna emozionarsi per emozionare, questo è il valore dell’arte. Un’arte che tutti dovrebbero conoscere visitando le botteghe degli artigiani perché custodiscono le tradizioni e i saperi, artigiani che amano il proprio mestiere fatto con passione e raccontano la Sicilia, facendone una terra antica e preziosa. Conservare e tramandare le tradizioni per me è motivo di orgoglio, così come sapere che i miei tamburi sono conosciuti in tutto il mondo. Non so se mia figlia, appena cinque anni, seguirà le mie orme, non potrei mai imporle la mia passione, deve sentirlo dal cuore ma mi rende felice vederla imitarmi, gira la mano come si percuote il tamburo. Grazie ai media sono diventato famoso e la gente viene da tutto il mondo per i miei tamburi, mi riempie di gioia vedere la gente appassionarsi al tamburo, mi piacerebbe lasciare un timbro in questo paese, essere ricordato come l’artigiano del tamburo». Un consiglio, se andate a Gangi fermatevi pure nella sua bottega, “La Capra Canta”, Fabrizio vi accoglierà con tanta gioia. 37


Alfia Milazzo

Quando la musica è

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na carriera di successo alle spalle a Milano nel settore dell’editoria con Mondadori, De Agostini e Rizzoli, ma per Alfia Milazzo, docente di Storia e Filosofia, scrittrice, blogger e life coach professionista, da oltre dieci anni l’impegno a favore dei bambini e dei ragazzi dei quartieri a rischio di Catania è una vera e propria missione. Nel 2009, insieme a Liborio Scaccianoce, dà vita alla Fondazione “La Città invisibile”. Una realtà oggi in continua crescita, il cui alto valore civico e sociale è riconosciuto a livello nazionale ed internazionale. Nel nome della Fondazione riecheggia il titolo del romanzo utopico “Le città invisibili” di Italo Calvino. «Proprio così, la nostra città invisibile è un luogo in cui le utopie possono diventare realtà. Purtroppo i bambini e i ragazzi delle periferie più disagiate, oltre alla povertà economica, subiscono anche un totale degrado di valori. L’intuizione è stata quella di utilizzare la musica per aprire i loro cuori e le loro menti a una realtà, in cui si condividono le regole, si rispettano gli altri e ci si nutre di cultura. Da qui la nascita della Scuola di vita e Orchestra sinfonica “Falcone Borsellino”. Bambini e ragazzi dai 6 ai 20 anni, oltre ad imparare gratuitamente l’uso di uno strumento musicale, secondo il modello venezuelano delle orchestre e dei cori infantili, vengono sostenuti in una crescita culturale attraverso laboratori artistici e creativi e motivati alla fratellanza e ai principi della civiltà e dei diritti. La Fondazione ha tre centri di formazione musicale nei quartieri catanesi di Librino e San Cristoforo e uno ad Adrano. I nostri ragazzi hanno suonato in oltre cento concerti, sempre a sostegno di iniziative dall’alto valore morale e civile». L’Orchestra è intitolata ai due magistrati Falcone e Borsellino. «Falcone e Borsellino sono i nostri fari. Quando affrontiamo il tema della legalità raccontiamo ai nostri allievi di come hanno combattuto con grande coraggio da uomini liberi per loro idee, ispirate ai

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BIANCAPEOPLE


di PATRIZIA RUBINO FOTO DI MARIO STRANO

palestra di vita principi di verità e giustizia. La cultura mafiosa in certi quartieri, esercita un potere che ammorba anche le menti dei più giovani. Sull’esempio di questi eroi del nostro tempo, spieghiamo che il cambiamento è possibile, che essere forti non significa sopraffare gli altri ma saper condividere e gioire anche delle cose semplici. I bambini ed i ragazzi, sono assetati di conoscenza e di esempi positivi, ma purtroppo alcuni ci lasciano proprio perché si rendono conto del cambiamento in atto e ne temono le conseguenze nella propria vita. Noi però, continuiamo ad aspettarli». In questi anni, infatti, si è intestata numerose battaglie a sostegno di chi combatte la mafia, ma anche in difesa dei “suoi” bambini. «Molti bambini di questi quartieri sono trascurati da un sistema che invece di proteggerli dall’abbandono, dalla trascuratezza e dalla povertà, si abbatte su di loro privandoli dell’affetto di quella parte sana della famiglia, perlopiù rappresentata dalle madri. Queste ultime spesso, oltre ad essere vittime di violenze, fisiche, economiche e psicologiche, si ritrovano da sole a dover combattere per non vedersi strappare i figli da uno Stato troppo distratto e indolente. Nei casi in cui abbiamo ravvisato un vero e proprio sopruso, ci siamo battuti con l’aiuto di avvocati e psicologi, per difendere i diritti di questi bambini e delle loro madri. Probabilmente siamo considerati scomodi, ma noi andiamo dritti, perché il cambiamento è anche questo». Lo scorso dicembre le hanno assegnato il premio “Top 100 Leaders in Education”, nell’ambito del “Global forum per l’istruzione e l’apprendimento” che si è tenuto a Dubai. «Essere riconosciuta tra i migliori 100 educatori al mondo, è un onore e un onere che mi spinge a fare sempre di più. Un piccolo gruppo di ragazzi dell’orchestra mi ha accompagnato a Dubai e ha potuto esibirsi in un concerto molto applaudito. Più di mille discorsi, la loro presenza ha testimoniato con i fatti, il nostro lavoro e il nostro impegno». 39


Il gusto esclusivo dell’

Arancia di Ribera DI ANGELA FALLEA

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a presenza dell’acqua, il clima favorevole, la posizione geografica e la maestria dei contadini hanno fatto sì che Ribera, paese in provincia di Agrigento, fondato nel 1636 dal principe Luigi Guglielmo I Moncada, diventasse il fiore all’occhiello con i suoi aranceti. Già intorno al 1800 vi sono documenti dell’epoca che testimoniano la presenza di produzione di “melarance”, arance vaniglia e altri agrumi. La svolta si ebbe intorno al 1930, nei versanti dei fiumi Verdura, Magazzolo, Platani e Carboj, quando i terreni sapientemente lavorati dagli agricoltori vedono l’introduzione delle prime piante di varietà Washington Navel. Un’arancia ombelicata dalle particolari caratteristiche. Capendone il potenziale e la bontà, si continuò e ampliò la coltivazione degli aranceti, sostituendo i vecchi alberi con le nuove varietà di arance. Nel 1994 viene istituito il Consorzio di Tutela dell’Arancia di Ribera e nel 2011 l’arancia di Ribera ottiene il marchio di tutela D.O.P. (Denominazione Origine Protetta, ndr), attribuito dall’Unione Europea e destinato a specialità alimentari, che devono rispettare un determinato disciplinare di produzione che descriva: storia, territorio e lavorazione del prodotto. L’Arancia di Ribera D.O.P. appartenente alla famiglia delle Rutacee, specie Citrus Sinesis, per essere definita tale deve essere prodotta nelle aree della provincia di Agrigento che comprendono i paesi di: Bivona, Burgio, Calamonaci, Caltabellotta, Cattolica Eraclea, Cianciana, Lucca Sicula, Menfi, Montallegro, Ribera, Sciacca, Siculiana, Villafranca Sicula e Chiusa Sclafani in provincia di Palermo. Secondo il disciplinare di produzione, il marchio D.O.P. è riservato alle produzioni derivanti dalle varietà: Brasiliano con i cloni: Brasiliano comune, Brasiliano risanato; Washington Navel, Washington navel comune, Washington Navel risanato, Washington Navel 3033; Navelina con i cloni: Navelina comune, Navelina risanata e Navelina ISA 315.


Le arance hanno delle peculiarità: un diametro traverso minimo di 70 mm; una forma tipicamente sferica-ellissoidale con ombelico interno; colore della buccia arancio uniforme; colore della polpa arancio e consistenza croccante e zuccherina; succo colore arancio con resa non inferiore al 40 per cento del peso totale del frutto; contenuto di solidi solubili compreso tra 9 e 15 Brix; acidità compresa tra 0.75 e 1.50; rapporto solidi solubili/acidi organici titolabili non inferiore a 8; assenza di semi. Affinché ci sia una buona resa in frutto, gli alberi di arancio vengono sottoposti a potatura mantenendo una struttura a “globo” armonica e “piena”, effettuando interventi cesori moderati, miranti a evitare che si crei un ammasso della vegetazione all’interno della chioma. La raccolta, comincia a Novembre e termina alla fine di Maggio con l’alternarsi delle varietà, si effettua con l’ausilio delle forbici per evitare di danneggiare il frutto. L’arancia di Ribera D.O.P. ha una consistenza della polpa croccante con delle vescicole contenenti il succo che si dissolvono in bocca, lasciando pochissimi residui membranosi. È ricca di vitamina A, B1, B2 e C. La “bionda” di Ribera D.O.P. vanta caratteristiche organolettiche eccezionali grazie al suolo ricco di argilla e di minerali primari facilmente assimilabili dagli agrumi stessi. La presenza di potassio per esempio, favorisce la migrazione degli zuccheri verso il frutto e contribuisce all’eccellente qualità gustativa dell’Arancia di Ribera D.O.P. È un’arancia che si presta a molti utilizzi in ambito culinario, dalla spremuta ai dolci. Dalle insalate alle creme. È possibile utilizzarla nella sua interezza poiché non prevede l’utilizzo di trattamenti pre e post raccolta, pertanto la buccia può essere utilizzata per preparare le scorzette candite o il famoso Pan d’arancio. La Sicilia non smette mai di stupirci con i suoi doni: che sia un prodotto alimentare, un paesaggio, un monumento. Ma il vero privilegio rimane essere siciliani. 41


L’ape nera Sicula di titti metrico

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FOTO DI MARIAGRAZIA TEDESCO

iccola e operosa creatura, di origine africana particolarmente forte e resistente, come se fosse rimasta allo stato selvatico, differisce dall’ape comune perché meno aggressiva. Nel nostro immaginario le api sono a strisce nere e gialle, ma l’Apis mellifera siciliana, in altre parole, l’ape nera sicula, ha l’addome scurissimo con peluria giallastra e ali più piccole. Ha popolato per millenni la nostra Sicilia, ma negli anni ‘70, gli apicoltori iniziarono a importare dall’Italia settentrionale la ligustica, comunemente definita ape italiana, portando l’ape sicula alla quasi totale estinzione. Nel 1986 l’entomologo siciliano Pietro Genduso aveva messo a punto la classificazione genetica dell’ape sicula attraverso l’elettroforesi. Alla fine del 1987 un suo studente, Carlo Amodeo, ritrova l’ape sicula che all’analisi risulta conforme, da lì parte il lungo cammino di amore e salvaguardia di questo insetto unico. Nel 1987 a Carini, Carlo Amodeo ritrovò nella terra di un anziano apicoltore gli ultimi bugni (le casse usate come arnie, ndr) di api nere sicule, li conservò in isolamento prima sull’Isola di Ustica e successivamente sulle Isole di Vulcano, Filicudi, Alicudi per la riproduzione in purezza, scoprendone le sue caratteristiche: la nera sicula, permette di effettuare le operazioni di smielatura a mani nude; è molto docile e molto più resistente alle temperature estreme rispetto all’ape comune; riesce a produrre miele sia in inverno sia in estate, ma non solo, è resistente anche alla varroa e alle virosi, consuma meno miele rispetto ad altre api; si accoppia in volo e la regina vola per chilometri, per questo è stato necessario isolarle. Con l’arrivo della primavera la troviamo nei fiori più belli con il suo linguaggio simile a una danza, l’ape più giovane sbattendo le ali si dedica alla pulizia delle celle, le bottinatrici adulte (api operaie, ndr) raccolgono il nettare e il polline dai fiori. L’ape nera sicula è Presidio Slow Food e a sollecitare l’attenzione sul rischio di estinzione di questa razza autoctona è

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stato proprio Carlo Amodeo. Oggi il Presidio è composto da otto allevatori che hanno recuperato le regine da Carlo Amodeo. Un grande successo è stato, nel gennaio 2012, l’avvio del “Progetto di reintroduzione e di conservazione della sottospecie a rischio di estinzione Apis mellifera siciliana”. Il progetto denominato “Ape Slow” nato dall’incontro tra Amodeo e Slow Food deve moltissimo a quest’associazione, grazie alla quale sono stati coinvolti più di 240 apicoltori siciliani, i più capaci tra questi hanno insediato in altre isole prive di fauna apistica oltre a quelle già citate e alcuni di essi sono già stati iscritti all’albo nazionale allevatori di api regine nella sezione ape sicula, diventando, così come Amodeo, custodi di questo bene unico. La forza di quest’ape sta nel fatto che i rari ceppi selvatici ritrovati e isolati sulle diverse isole non sono mai stati violentati con selezioni produttivo/comportamentali, quindi la loro memoria genetica intatta e la loro totale conformità genetica le rende uniche fra tutte le sottospecie di api al mondo mettendole al sicuro dal rischio estinzione.

È niura niura comu la pici, ringraziamu Diu chi la fici

Il miele dell’ape nera sicula Il miele della nera sicula viene sempre estratto a freddo, ha proprietà nutraceutiche, antiossidanti e antifungine, il suo gusto non si discosta dagli altri. Da uno studio dell’Università Federico II di Napoli si evince che il nettare prodotto dalla nera sicula possiede antiossidanti da tre a dieci volte superiori rispetto a qualsiasi altro miele, ma anche tredici sostanze antibatteriche e quattro antifungine, queste ultime mai riscontrate in altri mieli. Restano tante però le minacce, anche per un’ape tosta come questa, su tutti gli antiparassitari e gli insetticidi come i neonecotinoidi che per anni restano nel ciclo delle piante, dei fiori e dei loro frutti pregiudicandone l’esistenza. 43


La Cassata Siciliana di titti metrico

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uy de Maupassant scriveva: “La Sicilia è il paese delle arance, del suolo fiorito la cui aria, in primavera, è tutto un profumo…”. Attraverso il cibo si può raccontare l’intera storia della Sicilia, e quella che voglio raccontarvi in questo numero è la creazione della regina della pasticceria siciliana, lo dico con grande orgoglio e senza giri di parole, “la Cassata”. Molti lo definiscono il dolce più buono d’Italia, invidiato e apprezzato in tutto il mondo. Come tanti dolci siciliani, anche la cassata ha un’origine araba. Nell’ XI secolo Palermo era la città più grande d’Europa, gli Arabi vi avevano importato la canna da zucchero, il limone, il cedro, l’arancia amara, il mandarino, il pistacchio e le mandorle, ma usavano il burro per cui all’inizio la cassata non era altro che un involucro di pasta frolla ripiena di ricotta zuccherata e infornata. Ancora oggi la variante al forno è la più antica delle versioni di questo dolce tipico tradizionale. Con l’arrivo degli Spagnoli, che portarono la cioccolata, fu sostituta la pasta frolla con il pan di Spagna, da allora la cassata al caldo, cioè al forno, diventò una cassata al freddo. Con due strati di pan di Spagna farcito di ricotta e cioccolato, la cassata venne ricoperta della stessa ricotta, e nel periodo barocco incominciò a vedersi anche qualche candito. Ma a completare il tutto furono le suore del Convento della Martorana, note per avere inventato una delle specialità dolciarie più famose di Palermo: la pasta Riali (reale, ndr), di mennule (di mandorle, ndr) o più comunemente chiamata,

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appunto, Pasta di Martorana, un impasto di farina di mandorle e zucchero, colorato di verde con estratti di erbe. La frase “tintu è cu nun mancia a cassata a matina ri Pasqua” (meschino è chi non mangia cassata la mattina di Pasqua, ndr), fino a quel momento era considerata una pietanza pasquale, tanto che nel 1575 il Sinodo della Diocesi di Mazzara del Vallo nel 1575, vietò di prepararla durante il periodo antecedente alla festa religiosa per evitare alla gente di cadere in tentazione. È proprio con questi ingredienti che, nel 1873, il pasticcere palermitano Salvatore Gulì, titolare di un laboratorio nel centralissimo Corso Vittorio Emanuele a Palermo, in occasione di una manifestazione che si tenne a Vienna, rivoluzionò la cassata nella forma e nella decorazione con la zuccata, creando la coloratissima cassata siciliana che oggi conosciamo tutti, ma nonostante questa innovazione la cassata si affermerà nelle case e nella tradizione solo a partire del XIX secolo. Nel 1890, quando morì, Salvatore Gulì fu insignito del titolo di Cavaliere per meriti di lavoro. La cassata continuò a essere prodotta nello stesso laboratorio, fino ai primi decenni del XX secolo, prosperando durante il periodo Liberty, epoca d’oro per la città di Palermo, grazie all’attivismo di tanti imprenditori “illuminati”, fra questi spiccano i Florio. Fu il periodo più ricco per il turismo siciliano, grazie alle grandi casate nobiliari europee che venivano in Sicilia a trascorrere le loro vacanze, durante le quali si narra che fosse usata la posateria e gli arredi da tavola in oro massiccio. E dove la regina della pasticceria, sua maestà “la Cassata siciliana”, dominava tra tanti altri prestigiosi dolci.


Tintu è cu nun mancia a cassata a matina ri Pasqua

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Piacere, Ragusano Dop! DI ALESSIA GIAQUINTA FOTO DI CONSORZIO DI TUTELA RAGUSANO DOP

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e volessimo dare un sapore al territorio, sicuramente, sarebbe quello del Ragusano Dop ad avere la meglio. Sintesi dei profumi della terra e del lavoro artigianale dell’uomo, ecco uno dei formaggi più antichi di Sicilia e tra i più buoni al mondo. La certificazione Dop, ottenuta nel 1996, rappresenta per il Ragusano un importante riconoscimento di qualità. Già nel 1955, però, era stato dichiarato prodotto tipico e, da sempre, è una delle prelibatezze più conosciute. A confermarlo è un dato storico. Carmelo Trasselli scrive che, nel 1515, per il commercio di questo formaggio ci fosse “l’esenzione dai dazi” e, in un altro documento, riferisce del commercio via mare del Ragusano. È un formaggio unico: prodotto da latte vaccino intero e crudo, coagulato a circa 34 gradi durante la stagione foraggera e, dunque, caratterizzato da essenze spontanee ed erbai dell’altopiano ibleo. Anche la lavorazione, con utensili e metodi tradizionali, costituisce un elemento essenziale per la produzione. Il Ragusano Dop ha forma di parallelepipedo, è a pasta filata e compatta dal colore giallo dorato e dalla crosta sottile. Il peso può variare dai 12 ai 16 kg. Anche il sapore varia in base alla

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stagionatura: dolce e poco piccante nei primi mesi, piacevolmente piccante a stagionatura avanzata, oppure affumicato. Durante la stagionatura le forme vengono legate in coppia e appese a cavallo di travi di legno. Forse per questo, per molto tempo, fu chiamato impropriamente “Caciocavallo”. La riconoscibilità avviene attraverso la scritta punteggiata “Ragusano”, due marchi a fuoco e una matrice con numero identificativo. Dal 1991 il Consorzio di Tutela del Ragusano Dop lavora per la tutela, la valorizzazione e la commercializzazione del tipico formaggio. A farne parte oltre 60 aziende operanti nel settore lattiero-caseario. Enzo Cavallo, direttore del Consorzio, ritiene che «Il Ragusano Dop è un punto di riferimento sempre più importante per il rilancio dell’attività zootecnica iblea e per tutta la filiera lattiero casearia siciliana. La confusione esistente nei punti di vendita dei formaggi con particolare riferimento alla grande distribuzione, la mancanza di certezze sulla provenienza del latte e dei semilavorati usati per la produzione dei formaggi, sono le ragioni che inducono alla produzione del formaggio con marchio comunitario: certificato, tracciabile e garantito sotto ogni punto di vista».


Il Consorzio di Tutela come si muove per valorizzare il Ragusano Dop? «Abbiamo lavorato per ottenere la modifica dell’originario disciplinare di produzione e ci siamo riusciti. L’obiettivo di immettere al consumo il Ragusano Dop porzionato e grattugiato, etichettato, è stato raggiunto. L’impegno del Consorzio è promuovere, nel modo quanto più efficace possibile, il prodotto che, grazie alla sua etichettatura è facilmente riconoscibile dai consumatori che vanno adeguatamente informati. Ed è in questa direzione che stiamo orientando l’attività promozionale».

In che modo il Ragusano Dop può rappresentare un’opportunità di sviluppo per il territorio? «Il Ragusano Dop ha tutti i requisiti per poter conquistare i mercati che contano. Non sarà facile ma occorre riuscirci. A piccoli passi stiamo entrando nella grande distribuzione. Sappiamo che occorre fare ancora di più e per questo si sta cercando di dare il massimo. L’affermazione commerciale del Ragusano Dop potrà determinare risultati ottimali per la f iliera, per l’attività zootecnica del comprensorio e per lo sviluppo economico del territorio. Ecco perché siamo impegnati Quali i futuri obiettivi? a incoraggiare l’aumento della produzione, consapevoli che «L’attività del Consorzio non conosce soste. Stiamo cercando di l’auspicato aumento della domanda impone preliminarmente sensibilizzare i consumatori a familiarizzare con l’etichetta: strumento di la disponibilità di prodotto. Il processo non è facile ma col assoluta garanzia circa l’origine e la qualità del Ragusano Dop». contributo di tutti può essere realizzato». 47


Your Wedding Mood

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BIANCA WEDDING A CURA DI SIMONA RANIOLO

La rubrica interamente dedicata al mondo del wedding per guidarvi e consigliarvi fino al giorno del vostro sì.

Focus on Pantone 2020 “Viviamo in un’ epoca che richiede fiducia e speranza. Pantone 19-4052 Classic Blue, una stabile tonalità di blu sulla quale possiamo sempre fare affidamento, trasmette proprio questa sensazione di costanza e fiducia. Dotato di profonda risonanza, esso costituisce una solida base a cui ancorarsi. Blu sconfinato che ricorda il vasto infinito cielo serale, ci incoraggia a guardare al di là dell’ovvio per pensare più in profondità e fuori dagli schemi, ampliare i nostri orizzonti e favorire il flusso della comunicazione”, con queste parole Leatrice Eiseman, executive director del Pantone Color Institute, ha presentato il colore dell’anno. Il Classic Blue viene descritto come più scuro dell’azzurro del cielo di giorno, ma più chiaro dell’azzurro di mezzanotte e nell’ambito “nozze” è la classica tinta dall’eleganza senza tempo. Rispetto al Coral Living, colore Pantone 2019, con il Classic Blue è più semplice creare validi abbinamenti, dal bianco ottico all’avorio, ai neutri tutti, fino ai pastello ma anche all’oro e all’argento. Come si declinerà questa nuance, raffinatissima nella sua semplicità, sul fronte dei dettagli caratterizzanti il progetto di un evento come il matrimonio? 48

FOTO DI: 1 pinterest.com 2 pinterest.com 3 dennisroycoronel.com 4 insideweddings.com 5 marthastewartweddings.com 6 weddingringssets.net

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Wedding Suite Dal Save the Date alle partecipazioni fino ai segnaposti e tutti gli altri elementi cartacei personalizzabili, il colore dell’anno potrà essere coinvolto nella carta dell’invito vera e propria, in quella della busta che lo conterrà, nel colore del font e dei particolari grafici o ancora nella scelta dei nastri o del sigillo in ceralacca se il progetto della suite li prevede. Il Classic Blue per la wedding suite comunicherà ai tuoi invitati il mood dell’evento. Dress Code Il blue si adatta a ogni incarnato e valorizza la bellezza naturale di chi lo indossa. Sì alle damigelle in blue. Anche per gli abiti delle damine è un colore perfetto, fine anche toccato solo nel fiocco in vita su di un abitino bianco. Per la sposa, il pantone dell’anno lo si ritrova anche dettato dalla tradizione popolare che, per buon auspicio, vuole che indossi “qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo, qualcosa di prestato, qualcosa di blue”. Ma anche per lo sposo, sia classico sia contemporaneo, c’è qualcosa di più elegante di un intramontabile completo di questo colore? I fiori Cosa esprime questo colore nel linguaggio dei fiori? Oltre la serenità, che convenzionalmente ci permette di attribuirgli anche un potere antistress, i fiori blu simboleggiano creatività e apertura mentale. Negli allestimenti, sì all’utilizzo di ciò che la natura crea di questo colore, no ai fiori dipinti (una triste fine che spesso accade alle rose). Vi sorprenderà constatare come i fiori più conosciuti, quali l’ortensia, il fiordaliso, il giacinto, la fresia, cambino completamente “carattere” se scelti di colore blue. Scoprite la bellezza di varietà meno conosciute, quali l’anemone, la nigella, il muscari, il papavero himalaiano, tutti fiori particolarissimi che doneranno un tocco estroso e sofisticato. Mise en place e dettagli È qui che potrete stupire i vostri ospiti! Eliminate la classica tovaglia bianca, lo sfondo blue a tavola farà risaltare tutta la mise en place. Di gran classe per una cena sarà il match con posateria dorata e stoviglie in cristallo o simile, anche intagliate. Se il tovagliato blue vi sembra troppo audace, potrete scegliere di usare questa tonalità nei calici, nei tovaglioli, nei menù oppure nel setting del centrotavola, quindi nel vasellame e nelle candele oltre che nei fiori, ovviamente. Blue possono essere anche i cuscini delle aree lounge e i tendaggi dei gazebo per le postazioni show cooking. Infine, anche se è sempre da prediligere la luce calda, se avete coinvolto un service luci, chiedete loro un’illuminazione architetturale che, a un certo punto della serata, viri verso il blu per ricreare una vera atmosfera da party.

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Insomma, tanti sono gli spunti da poter cogliere per coinvolgere questa tinta e personalizzare il “file bleu” del vostro evento. Riflettete con saggezza sugli abbinamenti e accertatevi che ogni scelta estetica risulti armoniosa. È proprio l’armonia il criterio universale sempre vincente! 49


Risotto asparagi e salmone I CONSIGLI DELLO CHEF A CURA DELLO CHEF VINCÉ MORMINA “IL DELFINO” MARINA DI RAGUSA

Ingredienti (per due persone):

400 gr. di riso 300 gr. di salmone affumicato 100 gr. di asparagi 20 gr. di scalogno o cipolla olio evo q.b. sale q.b. Costo circa €7,00 per quattro persone. Soffriggere in una padella la cipolla e i gambi degli asparagi e far cuocere per 15 minuti aggiungendo ogni tanto un mestolo di brodo di verdure. Una volta cotti frullare il tutto con un mixer per ottenere una crema. Far cuocere le punte degli asparagi con una noce di burro sino a quando non diventano un po’ croccanti, nel frattempo, in una padella a parte, fare soffriggere la cipolla, aggiungere il riso, tostato e iniziare la cottura aggiungendo un po’ alla volta il brodo di vegetale caldo, quando mancano 10 minuti aggiungere le punte degli asparagi e la crema. A fuoco lento aggiungere il salmone affumicato. 50


GLI ESPERTI SIAMO NOI

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L’alimentazione del cane ai giorni nostri

BIANCA PET A CURA DI MARIA CONCETTA MANTICELLO

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egli ultimi anni, la nostra sensibilità nei confronti del cibo è aumentata, ormai tutto ciò che portiamo a tavola, è frutto di una presa di coscienza e di un percorso personale a garanzia del nostro benessere psico-fisico. La stessa sensibilità, per le medesime ragioni, è trasferita al nostro amico a 4 zampe, per garantirgli salute e longevità. Resta imprescindibile il fatto che il cane discenda dal lupo, ma con il suo addomesticamento, è cambiato anche il suo stile di vita. Oggi il cane fa una vita più sedentaria, non è più un predatore, ma il cibo lo trova pronto nella scodella. Ciò ha comportato, a causa di una scorretta alimentazione, l'aumento del peso di molti animali mentre l'obesità è in forte crescita. Chi possiede un animale sa che duole il cuore, vedere il suo sguardo mentre mangiamo, perché vuole qualche alimento presente sulla tavola. Ogni tanto è giusto accontentarlo, ma non deve diventare un'abitudine, gli spuntini non appropriati sono ipocalorici e pericolosi per la sua salute. Per garantire salute e lunga vita al nostro amato pet è opportuno rivolgersi al medico veterinario, perché in base alla taglia del cane, al tipo di vita che conduce, saprà consigliare il tipo di cibo che può assumere e, soprattutto, la quantità. Oggi in commercio si trovano vari cibi industriali, sia umidi sia secchi. La scelta del mangime da dare al proprio cane è fondamentale, ma non tutte le aziende che producono cibo per animali, usano materie prime di ottima qualità, per cui bisogna sempre leggere gli ingredienti del cibo. L'ingrediente principale del cibo è scritto sempre per primo. Un buon mangime viene prodotto con carne prevalentemente fresca, maggiore è il suo contenuto, migliore è il mangime. Un buon mangime dovrebbe contenere solo una piccola percentuale di cereali. La dicitura carni e derivati, significa che la componente animale è essenzialmente costituita da scarti di macellazione e, quindi, mangimi di scarsa qualità. Anche la dieta casalinga è consigliata, ma deve essere sempre suggerita dal medico veterinario, per la creazione di un piano - dieta specifico, affinché abbia tutti i nutrienti essenziali, tutto questo è necessario per non sbagliare l'alimentazione del nostro migliore amico, che deve essere appropriata in base alla sua età.

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Festeggiamo 10 anni della

DIETA MEDITERRANEA SALUTIAMO A CURA DI ANGELO BARONE CON Francesca Cerami – Direttore Idimed

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elebrando il decennale del riconoscimento dell’Unesco come Patrimonio Immateriale dell’Umanità (2010/2020) ricordiamo a tutti che “Dieta Mediterranea” assume per noi il significato di “Stile di vita” comprendendo insieme: identità gastronomica, biodiversità alimentare, cultura e tradizione, sostenibilità ambientale, economica e sociale. L’Istituto Idimed (Istituto per la promozione e la valorizzazione della Dieta Mediterranea) che ho l’onore di dirigere, dall’anno della sua fondazione, il lontano 2011, ha agito, da sempre in maniera proattiva e con grande senso di responsabilità sinergicamente alle istituzioni pubbliche e private per promuovere un nuovo modello di crescita del territorio siciliano al suo interno e, verso l’esterno, per presentare un’immagine positiva delle nostre eccellenze paesaggistiche, ambientali, agroalimentari, artistiche, all’interno di una cornice fatta d’identità, salute e sostenibilità. L’Idimed promuove e valorizza le eccellenze enogastronomiche siciliane ponendo in primo piano il benessere e il sano della Dieta Mediterranea, come luogo di civiltà e d’identità culturale, e

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ancora, considera, la sostenibilità ambientale l’unico volano di sviluppo integrato del territorio. La scelta degli alimenti che compongono la Dieta Mediterranea, e in particolare, delle dosi e delle modalità di consumo e trasformazione delle stesse, è basata sulle principali conoscenze che la ricerca scientifica ha potuto solidamente confermare, in decenni di ricerche cliniche ed epidemiologiche sul ruolo dell’alimentazione e dello stile di vita nella genesi delle malattie croniche che caratterizzano il mondo moderno. La promozione e la valorizzazione della Dieta Mediterranea, come strumento di prevenzione primaria delle principali malattie cardiovascolari, metaboliche, oncologiche e degenerative è l’obiettivo del nostro modello che coniuga la cultura, il gusto e la salute dell’ambiente e delle persone che lo abitano. Il cibo rappresenta, infatti, l’occasione per “far gustare” il territorio attraverso un’immersione e un coinvolgimento diretto del fruitore nelle specialità culinarie, culturali e ambientali che caratterizzano i luoghi di origine degli alimenti. Una Sicilia da ricordare a chi già la conosce, da presentare a chi non l’ha mia conosciuta, da raccontare a tutti quelli che… nel tempo verranno a scoprirla.




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