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LUCIANO CAGGIANELLO
Progetto grafico Liberementi www.liberementi.it Editore Biancoscuro www.biancoscuro.it
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LUCIANO CAGGIANELLO
L’Io-pelle di Luciano Caggianello: La continua e sempre insoddisfatta tensione evolutiva è l’elemento guida sia dell’uomo che dell’artista senese, Luciano Caggianello: mai limitata dai confini della forme e gli schemi standardizzati della nostra contemporaneità, essa lo muove in un perpetuo e dinamico cercare, in un metamorfico percorso artistico esistenziale, che sfocia in opere altrettanto multiformi ed eterogenee, ma conformi alla volontà del maestro. Questa peculiarità è percepibile già dalla sua variegata formazione: da un Diploma in Fisica Applicata alla Facoltà di Architettura, da una Scuola di Design fino agli studi di pittura e sperimentazione dei più svariati materiali. L’arte diventa una sorta di “Io-pelle” per Caggianello, dalla duplice funzione: capace di delimitare e difendere la sua identità crescente e, nel contempo, fornire un’osmosi con il mutevole mondo fenomenico. Strumento essenziale di questa interazione è il segno grafico, che associato alla componente verbale, rappresenta appieno il prodotto della fusione tra mondo interno ed esterno. Questo consapevole processo di scambio, porta ad andare oltre le forme e la standardizzazione sociale: né il fare artistico né
le opere del Caggianello, possono essere dichiarate di appartenenza ad alcuna corrente artistica, ma si organizzano, semmai, come il fenotipo della sua ricerca. Tale caratteristica si impone sempre nelle sue opere, dove la tensione emotiva è affiancata a tecniche multiformi e ad una spiegazione verbale che completa le stesse: la forza
comunicativa del verbo visivo, viene poi affidata alla digitalizzazione, considerata come il più potente e adatto canale espressivo per il suo messaggio.
Nonostante non si possa inserire in nessuna corrente, è certo che si possa definire il Caggianello come un uomo post moderno così come la sua arte, contemporanea al suo tempo: è infatti in grado di dipanare e ritessere ironicamente, i fili dei numerosi veli che mascherano, come in “CaMAOuflage”, l’uomo di oggi oppure, in “Siamo solo Numeri”, lanciare il monito agli altri numeri dell’universo di non essere solo tali, ma anche umani, liberandosi, in “Ombre Cinesi”, dalla schiavitù odierna della finta e prudente passione del benessere, fino a riscoprire, in “Il paradosso del mondo veloce”, che il paradossale uso della prudenza, può essere superato dalla capacità e dalla conoscenza. Molti sono i soggetti e gli oggetti, protagonisti delle sue opere: dalla Regina Elisabetta a Marx, da Mao fino al David del Buonarroti, oppure illusioni ottiche frammentarie che riproducono in maniera diversa forme già esistenti, una segnaletica dall’ironico linguaggio fino ad arrivare ad un buono artistico di rendimento. Stupisce che, a dispetto della cronologia di produzione, le opere siano collegate sempre da un nesso dialogico, dato dal fatto
di essere elementi eterogenei di un unico sistema che offre una chiave di lettura alternativa e mai scontata: il
tutto, condotto da un ritmo spaziale dei colori e dei materiali di uso quotidiano, scelti accuratamente per creare le sue opere. Una creata finestra, sempre aperta e vivacemente rivestita di senso critico, sul mondo che lo circonda, la trovata ma ancora cercata filosofia esistenziale e la lente insostituibile dell’arte, mai sfruttata, ma vissuta istante per istante: questi gli elementi della tensione guida dell’Artista Luciano Caggianello.
Mario Gambatesa
Se la semplicità è la forma più evoluta della complessità, il camuffamento è un esistenzialismo che ritrova il suo fluire attraverso modalità differite, attraverso cui esiste una presenza senza visione. E le presenze si rivelano spesso eterogenee: reali, virtuali, presunte, psicologiche, immaginarie… Nello specifico, la presenza dell’opera che si manifesta attraverso il gioco di parole, anche ludico, al cui interno s’inserisce il nome di Mao (così che Camouflage diventa CaMAOuflage), vuole essere la visione di una certa realtà che nel suo camuffarsi diventa e rimane comunque presenza. Ovviamente questo focus non ha, e non vuole avere, nulla d’indagatorio, di critico o di speculativo, poiché ogni realtà può e deve sviscerarsi attraverso i meccanismi e gli ambiti culturali che gli sono propri e inequivocabilmente congeniali. Pertanto, se il camuffamento non diventa soltanto un alibi per evitare l’interazione con la propria realtà, può allora anch’esso contribuire all’evoluzione di qualunque situazione e avvenimento, proprio come accade ad alcune specie animali che, per utilità al proprio percorso di sopravvivenza, si adeguano a nuovi itinerari di strategia visiva e comunicativa.
CaMAOuflage
digitale su DiBond alluminio anno 2014, 90x120 cm.
Vi sono, talvolta, perimetri entro cui sarebbe meglio immaginare piuttosto che vedere e attingere magari a quel cosiddetto sistema di “ombre cinesi” (il cui titolo diventa il pretesto contestuale per l’opera). Nella nostra società permeabile vi è infatti troppo di tutto. C’è troppa volgarità, troppa ignoranza, troppa furbizia, troppo dolo, troppa millanteria, troppa indifferenza, troppa immunità culturale, troppa accondiscendenza, troppo servilismo, troppo mancato rispetto. La tolleranza verso queste deformazioni mimetizzate realizza una “tranquilla disperazione” che finisce per disgregare qualsiasi pensiero critico ed etico, annullando le più solide evidenze. Si finisce quasi con l’identificare la mappa con il territorio e si perde facilmente il senso del limite, intendendolo sia come attributo di certificazione ad una possibilità, sia come perimetro di formale delimitazione. In fondo la nostra “schiavitù moderna”, qualunque sia la sua forma e la sua valenza, evidente o celata, è diventata il consenso elegante alla società, anche grazie alla nostra imperturbabilità e alla voglia di vedere tutto, che ci ha immunizzati verso ogni rilievo visivo. Dovremmo, probabilmente, anestetizzare un po’ la nostra saturazione e anziché assecondare quella voglia bulimica di visione, di presenza scenica, di teatralità evidente, potremmo saltuariamente sforzarci semplicemente di immaginare ed accompagnare il nostro quotidiano, proprio come le ombre affiancano la nostra presenza.
Ombre Cinesi
digitale su DiBond alluminio anno 2014, 90x120 cm.
Talvolta il coraggio o la consapevolezza di essere un “numero” diventa un resoconto di attinenza. Il mondo, o un certo mondo, determina le tendenze, e oggi va di moda l’appartenenza, qualunque essa sia. Per qualcuno l’afferenza è una sorta di garanzia, un’assicurazione verso l’oblio, o forse una rassicurazione. È la misura del desiderio umano che crede alla trascendenza del proprio percorso. Talvolta l’appartenenza diventa”la sorte” e non un destino prescelto o un progetto di vita. Questa è una metafora, uno strumento di circumnavigazione di quella prossemica esistenziale entro cui potremmo decidere se rimanere “elemento matematico”, quindi un numero, o se censire un modo e un’idea per migliorare il senso del vivere. Forse siamo solo numeri... ma anche no.
Siamo solo numeri
digitale su DiBond alluminio anno 2015, 100x70 cm.
Ăˆ una forma di polisemia che ironicamente vuole indurre una riflessione tra aspetti di quotidianitĂ apparentemente simili, ma profondamente diversi. Ăˆ sostanzialmente la domanda, mai posta, attraverso cui chiedersi se sia meglio un ordine caotico o un caos ordinato. Forse, sono anche gli atteggiamenti e le soluzioni umane che rattoppano questo nostro mondo senza trovare mai una radicale ed efficiente soluzione. Magari occorrerebbe aggiungere un disordine estetico da bilanciare ad una precisa confusione?
Ordine&Caos 1 e 2 digitale anno 2015, 180x90 cm.
È un concetto generato pensando all’immobilità o all’inazione, come la tragedia del Titanic riporta alla memoria riflettendo riguardo la sua decantata e profetica inattaccabilità e inaffondabilità. Ogni idea fissa diventa ossessiva e comunque sorpassata nella sua inamovibilità. La staticità è l’epoca che non possiede coscienza critica, tanto che il rimanere insensibili a questi fenomeni di valutazione conduce ad un sicuro travolgimento delle apparenti certezze. Talvolta l’immobilità delle cose intorno a noi diventa un rifugio effimero nonché un cadenzato adagiarsi intellettuale, quasi che l’inerziale generazione di pensiero, possa manifestare una sorta d’immunità al cambiamento verso quello che ci circonda e nei confronti di quello che le circostanze del momento imporrebbero invece quale azione risolutrice. Il “modello critico”, pertanto, dovrebbe essere una modalità estensiva di evoluzione concettuale, non sempre e non per spirito di assoluta contraddizione, però con la precisa convinzione secondo cui la verosimiglianza di pochi, o anche di uno soltanto, è più accettabile, o perlomeno possiede il beneficio del dubbio, della verità di molti.
Diario di bordo
installazione, 11x20x3 cm.
La società ha cortocircuitato gli oggetti e le sue funzioni. Ad esempio, un sorriso non è più un atto di cortesia bensì un segno obbligato di consumismo che la commessa offre al cliente affinché s’instauri complicità commerciale. Pertanto se ogni atto diventa ambiguo quando viene pervaso da una simile percezione, allora non vi è più distanza critica, ma solo collusione. Nell’opera, l’oggetto abbina (o meglio sposa) i concetti di Carl Marx alla produzione industriale. Il bullone non è più delegato ad una semplice utilità funzionale, ma si trasforma in magia culturale, propone una manifestazione prestigiosa che diventa prospettiva etica e morale ben oltre la sua funzione simbolica.
Le nozze di Marx
installazione anno 2015, 2,5x3 cm.
La forma è una mistica della sollecitudine che nella sua espressività parte dalla sterilizzazione, dalla profilassi, dall’asepsi, fino ad arrivare al suo contrario : la promiscuità, la contaminazione, la polluzione, proprio come un corpo organico. Ma in fondo è un’esorcizzazione perché diventa quasi un totem salvaguardato da ogni aggressione esterna, che ridefinisce i perimetri tra dentro e fuori, positivo e negativo, tra vizio e morale seppur in un’apparente modalità ossessiva. È il feticcio della garza, della benda, tra dolore e gioia, tra piaghe e guarigioni, una prerogativa allo sviscerare il proprio essere un po’ introverso e un po’ estroverso, attraverso un’etica del contemporaneo, sintesi di escrezione e secrezione, dissidio e pacificazione, compulsione e rilassamento. Ma come una garza, non vuole reprimere nulla solo fornire stimolo alla rigenerazione di un qualunque desiderio, oramai dimenticato e censurato.
Oltre la contaminazione installazione, legno e tessuto anno 2015, 26,5x20x3,5 cm.
Tra mistero, capacità e misticismo, il talento di un fakiro, reale o presunto che sia, trascorre e si cimenta attraverso la sua imperturbabile “maestria circense” al fine di ottenere cibo e rispetto. Obiettivi, questi, a cui ambiamo anche noi, tanto da sottoporci a disagi e scomodità, addomesticandoci e vaccinandoci nei confronti dell’arroganza di coloro che ci vedono solo come fenomeni da baraccone, usufruibili, manipolabili, esibibili, blandibili. Così attraverso questa “citazione”, l’opera desidera parafrasare il nostro incedere giornaliero, che apparentemente profumato come una saponetta, ci svuota di ogni contenuto e ci rende insensibili a qualunque taglio. Ma forse tale virtù si perfeziona non tanto per la nostra dimostrata talentuosità da fakiro quanto per l’inorganicità della nostra esistenza, che gradualmente si perde nel nulla proprio come succede ad un pezzo di sapone.
Fakiro soap
installazione, anno 2014, 9x5,8x2,7 cm.
Meno è meglio, perché spesso eliminare la ridondanza è una sorta di enciclica laica nei confronti dei concetti, del mondo, degli atteggiamenti. È l’antidoto verso i linguaggi drogati e verso gli atteggiamenti disorientati che la nostra società ha saputo evolvere nel suo perverso itinerario. L’essenzialità è l’etica dell’appartenenza, il minimalismo della quotidianità, la significazione assoluta e consapevole di un perimetro concettuale, il riferimento concreto di uno spazio di pensiero non insufflato da ridondanti elaborazioni bensì libero, essenziale, quasi vuoto.
Less is more
carta, graffe su tavola anno 2015, 20x20 cm.
Spesso l’arte possiede un’intrinseca propensione alla “rappresentazione” dell’individualità, rendendo evidente soprattutto la centralità egotica di chi la propone. Quell’individualità che spesso non racconta nulla, non inventa niente, non cerca tematiche di riflessione, ma è “articismo” fine a se stesso. Cerca solo di rappresentare il talento (ammesso anche che esista), appaga il personale narcisismo del proponente, fluttua attraverso l’artigianalità tecnica, in un percorso parallelo che non incrocerà mai temi e concetti idonei allo sviluppo del pensiero e della sensibilità. Ovviamente le contraddizioni sistemiche, in generale, non possono essere risolte attraverso soluzioni biografiche artistiche, qualunque esse siano, però fintanto che non si metabolizzerà l’idea che esiste, o possa esistere, una forma d’arte inadeguata, sarà difficile che si concretizzi l’idea di una “buona arte”. D’altronde, tra le diverse modalità proposte, l’unico parametro discriminante per chi intenda e sappia razionalizzare, può essere soltanto l’incalzante proliferare della noia…
Arte noiosa - Boring Art digitale anno 2015, 100x50 cm.
Se vi è uno spazio significa che vi è anche un suo paesaggio, così come si configura la possibilità di entrare e quella di uscire. Inoltre per riprendere il tema di Bloch, vi sarà, ulteriormente, una speranza o meglio il lavoro della speranza (come lui intendeva definirla nel dettaglio), che propone di tendere ad uno scopo, probabilmente anche una direzione non solo fisica, ma anche metafisica e concettuale. Si vuole evidenziarne l’aspetto spaziale e la corrispondente necessità di percorrerlo sino all’estrema soluzione: la fuga, l’uscita, si tende quindi a palesare quella tangibile possibilità di scelta riconfigurabile, anche direzionale. Infatti un’uscita può diventare un’entrata e viceversa. Nell’opera in questione s’intendono, pertanto, accentare i diversi parametri che, interrogandosi tra temporalità e l’immaginazione, vogliono o vorrebbero solo oggettivare un perimetro di itinerante e temporanea occupazione.
Exit
Digitale su DiBond
alluminio, anno 2014, 90x90 cm.
La tridimensionalità è l’evoluzione, è la cancellazione di forme di pensiero preordinato, equivale a liberarsi dalla zavorra della codificazione modulare. Ogni idea viene liberata dalla prigionia dei suoi codici identificativi e pertanto si evolve dimenticando qualcosa del suo retroterra. Se non ci fosse un rito di annullamento e precedente dimenticanza non ci potrebbe essere identità evolutiva, infatti apprendi qualcosa dimenticando quello che lo aveva preceduto, intanto stratifichi attraverso una relatività apparente. In questo processo di dimenticanza vi è una connotazione di vissuta e naturale semplicità. La semplicità è la forma più evoluta della complessità, e in questo la semplicità di uno zero, di un cerchio è esemplificativa.
Tridimensionale Tridimensioooonale Digitale su DiBond
alluminio, anno 2015, 90x90 cm.
Ăˆ la ripetizione imperativa di un modulo che in maniera razionale induce, attraverso l’avvenimento e la sua estroflessione, alla tautologia visiva.
Razioflessione Digitale
anno 2015, 90x90 cm.
Il mutamento di prospettiva concettuale fa riferimento al movimento artistico del cubismo, da cui scaturisce la modifica di archiviazione della conoscenza e si dissocia dai limiti di un linguaggio percettivo reale, per approdare a una sorta di falsificazione dell’esperienza visiva che attraverso una somma temporale di momenti si dissocia dal percorso cognitivo classico e inizia una riflessione sulla presenza, che esiste ma forse non dovrebbe essere presente. Infatti, viene da chiedersi quale sia il limite in questa valenza spaziale. Sono forse l’immagine, il contenuto, la valenza, lo sconcerto, la mutazione, la provocazione?
Cubismo
Digitale su DiBond
alluminio, anno 2015, 90x90 cm.
Il mondo rappresenta l’intersezione e l’aspetto prospettico di tante vicende, probabilmente anche di tanti minuscoli crocicchi di sofferenze, che spesso non consentono prospettive ammalianti ma solo un misero quanto illusorio appagamento. Vi è ancora, come del resto vi è sempre stata, una trasversale standardizzazione di un pensiero globale che induce al raggiro, all’inganno, allo stratagemma combinato, e manca sempre ”l’etica della competizione“ così come quella di una perimetrale correttezza comportamentale. In questi assoli di veleni e cattiverie l’evoluzione del mondo, antico come attuale, comincia ad essere inadeguata e insoddisfacente, ma forse sono solo parole, soprattutto considerando che la malevola furbizia è ancora trattata come un valore aggiunto e non una connotazione da mutare.
Cavallo di Troia Digitale su DiBond
alluminio, anno 2015, 90x90 cm.
Lo zig zag è una sorta di spostamento tattico, un camouflage visivo, quasi una performance per rimanere sotto traccia. Vorrei rimanere anonimo, no-social, invisibile, del resto l’invisibilità non era una qualità considerata come superpotere ? Voglio contemplare, voglio contemplarmi, come litania interiore, come rara manifestazione d’inerzia, di ritardo all’azione. Fermo, abbandonato, indifferente a qualsiasi mutazione di misura, di logica e di sentimenti, magari anche disgiunto da un qualunque incentivo consumistico, in attesa di un oblio corroborante. E la rigenerazione è sempre figlia di se stessa, della capacità di attinenza, della riproposta modularità.
Zig-Zag Digitale
anno 2015, 90x90 cm.
Popolare è un termine che dovrebbe avere una connotazione collettiva al di fuori del conformismo. Di fatto è invece più una sudditanza verso modelli culturali, di consumo, un’assenza di limiti e una becera, quanto finta, libertà individuale. Riappropriarsi di questo valore popolare, ovvero pop, significa anche ridare consistenza a un senso del limite, a un atteggiamento di “nobilità” interiore, reale (inteso in termini di vera significanza e di accurata necessità interiore di regalità). Infatti nel momento in cui la scissione, quasi psicanalitica, tra l’essere e il non essere, tra l’essere e l’avere, tra l’essere e il decidere di essere (quindi consapevoli) si sutura, allora si assiste a questa dilatata meraviglia comportamentale e sociale, dove essere pop non significa ritrovarsi in un elenco di pseudo-Conosciuti senza comunque validi motivi, insolenti e impreparati, ma si allinea a un valore referenziale attributivo e sostanziale. Essere pop in modo reale, come esprime l’opera, significa disporre di caratteristiche identificabili entro precisi parametri, al fine di poter validare l’aggettivo. Significa potersi permettere anche una busta di pop-corn in mano pur mantenendo la corona in testa. Essere popolari, realmente, si associa, per similitudine, alle scenette che il noto De Curtis spargeva ironicamente nei suoi famosi film, ovvero “Signori si nasce ..” e forse anche POP…
Realmente POP-REgAL POP
digitale su DIBond alluminio anno 2015, 100x140 cm.
Affrontare i problemi con l’ausilio di adeguati strumenti è l’unico realistico e incontrovertibile atteggiamento, indipendentemente da alcuni aspetti temporali. La nostra società, invece, si ritiene moderna per il solo fatto di bandire il vecchio e contemporaneamente segnalare incessantemente continue novità. Però un “novità” non è necessariamente nuova, è solo temporalmente collocata nella modernità, nella nuova e attuale quotidianità, ma ciò non significa che abbia necessariamente i requisiti per un’eredità cultuale, pedagogica, educativa, adatta alla situazione che intende sostenere. Vi sono spesso “cose moderne” assolutamente inadeguate, orribili e fuori tempo, rispetto ad altre “cose vecchie” che risultano viceversa assolutamente contemporanee, fresche e intellettuali.
Houston we are a problem digitale anno 2013, 50x70 cm.
Il ricordo non è una cartolina che puoi bruciare e distruggere, ignorare o conservare, puoi solo riscattarlo attraverso la memoria del suo frammento superando i confini della sua forma virtuale. Lo deformi se serve, lo cambi se opportuno, lo alteri se indispensabile, e intanto diventa la testimonianza della tua investigazione. Il ricordo ti viene spesso goffamente recapitato e passa attraverso la liturgia del dimenticare, rappresentando l’espressione più alta di una memoria remota, perché ricordi operando un rovesciamento concettuale della morfologia, testimoni un percorso di prassi comunicativa attraverso una critica operante che non distingue più quello che era reale da quello che avresti voluto, o avrebbe dovuto, essere reale. In questa sorta di mistificazione operi allora la sublimazione della perdita del ricordo, e bilanci la mancanza, attraverso un ritrovato condensato di materia interpretativa, che precede l’avvento del presente ritrovato e ricordato, seppur riassemblato.
Cartomemoria
digitale su DIBond alluminio, anno 2015, 70x50 cm.
Talvolta il merito, inteso come frutto del proprio talento, viene barattato o travisato come solo ed unico espediente sociale. Vi è un’indiscussa quanto ingiustificata comparazione e assimilazione del merito con la sola empatia, con la suadente ruffianeria, con la traboccante generosità del complimento. Il merito è, o dovrebbe essere, invece, la sola e unica zona di immunità al compromesso amichevole, al riscontro simpatico o alla zelante attitudine truffaldina che la palatabilità sociale e viziata hanno adottato, al fine di tradurre in “spessore” professionale quella vuotezza di contenuti che molti individui posseggono. Pertanto, quando nel nostro peregrinare si attraversano queste zone, si renderebbe necessaria una puntuale e adeguata segnalazione attraverso opportuni cartelli, poiché in questi territori d’inerziale inettitudine, tutto diventa possibile, perfino l’avvistamento di asini volanti.
Attenzione - Inizio zona invero-simile
digitale su DIBond alluminio anno 2014, 80x90 cm.
La velocità che il mondo attuale ci consente è quella di crociera del secolo scorso, il 900. Sembra quasi che la voglia di velocizzare non esista e quando, sporadicamente, appare risulta sempre una seconda scelta. Ovviamente la “velocità” non il solo parametro utile a identificare la modernità, però è sicuramente un dettaglio adeguato a delimitarne il perimetro, e quando si decide di adottarne questi criteri occorrerebbe la coerenza utile, ovvero l’ascesa costante ed evolutiva del criterio in senso generale, piuttosto che l’azione reprimente ed insicura di chi preferisce assimilare e gestire i soli paradossi. Il mondo ha una mutata “velocità”, e probabilmente anche una potenzialità, diversa da quella che certa “cartellonistica” vuol farci credere . In fondo la vera sicurezza è supportata dalla capacità e dalla conoscenza, e non certamente dalla prudenza, che talvolta è soltanto un pretestuoso alibi all’incapacità.
Il paradosso del mondo veloce digitale su DIBond alluminio anno 2015, 80x90 cm.
Se il consumismo odierno non serve ad accumulare, o meglio a comprare, delle cose, degli oggetti, bensì ad acquistare delle sensazioni, allora il BANCOMArT si propone proprio di assolvere a questa funzione intellettuale, perché unisce il perimetro economico alla potenzialità dell’arte. La gioia dello shopping spesso si esaurisce con l’acquisto, pertanto l’uso di questo “BANCOMArT” confida invece in un incapsulamento costante della gioia concettuale e mira a diventare una costante promessa di felicità.
BANCOMArT d’Artista
digitale anno 2015, 70x70 cm.
Anche i Buoni Artistici di Rendimento sono una provocazione intellettuale verso quella porzione di acquirenti che mira ad una lungimirante felicità e un’adeguata tranquillità economica. Infatti, spesso, l’arte è vista soltanto come un compiacente investimento commerciale e non invece come appagante desiderio di colmare e metabolizzare una necessità interiore di bellezza, conoscenza e riflessione. Ovviamente per tale scopo è stato creato un Buono che avrà rendimento economico a lungo termine.
BAR - Buoni Artistici di Rendimento digitale anno 2015, 70x50 cm.
L’assenso è un rapporto di collaborazione tra l’appropriatezza e la congruità di una verifica. È un percorso di vita significante che ingloba l’adeguata moralità verso un ideale di concordia. Se tutta quest’incorporazione di equilibri assemblati perde consistenza si concretizza un preciso divario tra pensiero e azione, tra etica e opportunismo, aprendo una cerniera tra il consenso e la sua negazione. Quando tale condizione accade, diventa inequivocabile darne conferma attraverso l’esteriorizzazione della parola, diventandone essa stessa il suo intrinseco significare. Fuori dal perimetro di contaminazione concettuale, il dissenso, diventa la ricollocazione tangibile di una diversa modalità di appartenenza, diventa l’atto di cronaca di un’esigenza riposizionata.
La cerniera del dissenso digitale su DIBond alluminio anno 2015, 80x100 cm.
Il progetto “Oscar Wild” è un’ironia letterale che se da un lato richiama in modo lessicale la memoria dello scrittore, dall’altro diventa l’Oscar selvaggio (wild appunto) soprattutto perché oggigiorno l’oscar è diventato il simbolo di un calpestio mediatico considerato irrinunciabile parametro di visibilità e agognato obiettivo di realizzazione professionale. L’opera ha il significato di un impatto sferzante e impertinente, come lo scrittore stesso ha dimostrato, nei riguardi di chi intende calcare un ipotetico palcoscenico quotidiano come se fosse sempre l’attore protagonista, unico ed assoluto. È la volontà concettuale di arginare chi intende mantenere intatti trionfalismi e presenzialismi di un incallito egocentrismo. È l’area selvaggia che vorrebbe preservare l’immunità verso questi contagiosi e poliedrici personaggi dell’assolutismo caratteriale. E come tale, è un’area che non si vorrebbe docile e addomesticata alla futilità dell’accondiscendenza, atteggiamento questo che spesso non mira al vero riconoscimento di un talento ma propone soltanto sfacciate soluzioni di luccicante connessione mediatica.
Oscar Wild
digitale su DIBond alluminio anno 2015, 50x70 cm.
Partendo dal termine riflessione si intende fornire un ironico parallelismo verso la parola bi-flessione, concependo l’intrattenimento di pensiero come concentrato sul concettualismo dello spazio. Infatti se la cultura è la dimensione continua della riflessione, l’arte diventa in quest’opera la dimensione spaziale della bi-flessione (seppur occorra bi-flettere tre volte).Se l’ambito intellettuale spesso non lascia traccia poiché effimero e speculativo, quello artistico, nello specifico, traguarda un asintotico elemento che percorre una definita impronta visiva, diventandone comunque elemento di concorrenziale ideazione concettuale.
Bi_flettere tre volte
Installazione carta su carta
anno 2014, 50x50 cm.
Nell’ambito di un gradiente luminoso, la luce o l’ombra sono soltanto la migliore interpretazione che si riesce a percepire nel perimetro del suo contesto spaziale. Rappresentano una “verità” soggettiva che si tramuta in pensiero coreografico celandosi tra illusione, simulazione e dialettica visiva.
Gradiente d’ombra
Installazione carta su carta anno 2015, 50x50 cm.
Luciano Caggianello nasce nel 1959 nella provincia Senese. I suoi studi si orientano nell’ambito di un apprendimento più tecnico (Diploma in Fisica Applicata, Facoltà di Architettura, Scuola di Design) e vengono successivamente bilanciati attraverso una “formazione artistica da laboratorio”, ovvero l’inizio di una frequentazione, sistematica e/o sporadica, verso studi di pittura (Burzio, Soffiantino, Campagnoli, corsi di nudo Accademia di Belle Arti) nonché la partecipazione a corsi, stage e atelier di grafica, illustrazione e comunicazione, formature artistiche, restauro (APRA, Atelier Artificio), dove, attraverso un’attuazione empirica, quasi quotidiana, conquista familiarità e dimestichezza con i materiali, le modalità di lavorazione, l’esecuzione, l’affinamento di tutte le tecniche pittoriche. I suoi esordi professionali, all’inizio degli anni ’80, lo collocano nell’ambito pubblicitario, in qualità di grafico e illustratore, e lo conducono a intraprendere anche un viatico personale di ricerca artistica e un proprio percorso espositivo. Inizia da una pittura che propone un gusto formale, quasi iper-realista, per poi approdare gradualmente a una concezione sempre meno definita dei soggetti. Primo segnale di distacco dal cromatismo classico è l’utilizzo parallelo del pigmento spray degli anni ’80, applicato su tele, carte, con il sostegno di altri medium o interposto ad altri materiali. Esso rappresenta la potenzialità del colore metallico, racchiude e conferisce uno scarto percettivo di preferenza monocromatica. Probabilmente invece il gusto per una pittura poco materica trae spunto dall’azione ripulitrice di una certa base illustrativa, che ha sempre sperimentato l’essenzialità, la fruibilità del cromatismo e l’azzeramento del medium, piuttosto che la sua densità. La pittura diventa una mano aperta attraverso cui si attorciglia l’importanza del cimento e della capacità di descrivere la cadenza e lo stupore dell’invenzione artistica. Tra la fine degli anni ’80 e la metà degli anni ’90 il gusto per la figurazione non si affievolisce, però muta nell’impostazione, nella composizione e nella realizzazione pittorica. Rimane la voglia di pittura ma probabilmente nell’inconscio si stanno sviluppando istanze che lo condurranno verso un informale segnico. In questo periodo incontriamo inoltre nella sua produzione le grandi dimensioni. Le opere degli anni ’90 si distinguono anche per l’impiego di elementi formalmente estranei alla pittura e soprattutto a quel genere pittorico, apparentemente classico. Si recuperano, infatti, corde, legni, piccoli oggetti, chiodi, plastiche. Elementi che poi, nel seguire della temporalità, saranno reintrodotti, riutilizzati e riassemblati attraverso modalità diverse e nuovi scorci prospettici, proprio perché il bello dell’essere e del fare l’artista è la libertà e l’indipendenza di potersi muovere, avanti o indietro, rispetto alla propria storia, avvantaggiandosi ogni volta per qualcosa di sconosciuto o dimenticato. Tra la fine degli anni ’90 e il primo decennio degli anni 2000, si sviluppa il gusto pittorico per quella rappresentazione del segno che aveva decretato la mancata collocazione della figura. Questa ricerca di gusto astratto e poetico non conduce a un azzeramento cromatico ma sicuramente lo attenua parzialmente, e la sua indagine procede verso elementi che iniziano a determinare un gradiente espressivo essenziale : segno e presenza spaziale. S’instaura un sodalizio dialettico tra la pittura raggrumata e una porzione di territorialità diradante, stabilendo una precisa configurazione dello spazio pittorico nel tentativo di afferrarne la dilatazione. Lo accompagna un libro, “ Intermediario Immateriale” del 2003, sulle cui pagine l’artista sviluppa l’idea di combinazioni fra parole e intesse un ricorso intellettuale alla poesia come mezzo di riflessione e approfondimento delle sue ricerche interiori. Nel 2014, pubblica il libro “Parole altrove” attraverso le cui
pagine prosegue ed evolve questa sua ricerca letteraria e filosofica. Da premettere, e tenere in assoluta considerazione, l’aspetto di duale intervento professionale mantenuto come illustratore, designer e quello parallelo di artista. Questa sottile pellicola che ha separato e separa molte considerazioni e interventi concettuali, risulta però anche un’opportunità osmotica non indifferente nell’incedere della potenzialità artistica. Infatti, l’intento specialistico di palese equidistanza, tende al susseguirsi di tentativi, espressioni, sperimentazioni che si collocano su un piano formale assai diverso dalla pittura. Gli approcci e le valenze espressive, che intanto dall’ambiente pubblicitario si sono trasferite a quello del design, influenzano in quegli anni anche l’interattività del modulo grafico. Da un espressionismo più illustrativo egli passa a una caratterizzazione più grafica, poiché il design tende, per sua natura, a premiare maggiormente l’aspetto ideativo piuttosto che quello comunicativo dell’immagine. Purtroppo, in seguito, questo valore aggiunto intrinseco al design si ritroverà negato e mutato, e con esse le relative attinenze “progettuali”. Anche i materiali e gli strumenti professionali influenzeranno la possibilità espressiva dell’artista. Egli passerà dall’uso di aerografi, bombolette spray, collage, fotografia, a quello di pantone, carta lucida, matite, gessetti, nastrini, sino alla comparsa del digitale e del tridimensionale matematico. Ovviamente questa caleidoscopica evoluzione rinnoverà anche la qualità per il gusto cromatico e la sua relativa manifestazione culturale. L’elaborazione massiccia di programmi espressamente dedicati al disegno e alla grafica (Photoshop, Corel draw, Paint), porteranno oltre che a una diversa possibilità esecutiva anche ad una sistematica variante di contenuto. Bisognerà, infatti, soffermarsi su quest’aspetto perché, di riflesso, esso svela il relativo processo artistico che Caggianello ha in qualche modo operato. La regola espressiva che ne scaturisce con l’avvento del digitale (dagli anni 2000), conduce a una presentazione dei lavori sempre più smaccatamente iper-realista, tendente a offuscare l’essenza e l’essenzialità del disegno, dell’idea, del concetto, tanto che spesso viene premiata più la sostanza “grafica” che quella espressiva, intesa come ideazione. Ciò, ovviamente, nega qualsiasi principio “utilitaristico” e funzionale del design e delle sue stesse origini (Bauhaus docet ), ma questo è purtroppo un altro discorso e, seppur interessante ai fini culturali, non lo è riguardo agli intenti biografici. A noi interessa, in questo momento, comprendere le fasi che hanno influito nella conduzione di un percorso sia artistico che intellettuale nonché il suo sintomatico approccio. Le conseguenze di tali trasformazioni professionali, (ovvero la pilotata mancanza di sostanza creativa nell’ambiente del design e l’accertato disinteresse verso un trasparente e talentuoso ingegno formale), si rifletteranno immancabilmente sugli obiettivi della personale ricerca artistica. Tale ricerca, iniziata a cavallo tra primo e secondo decennio degli anni 2000, per quanto coeva, prossima e tangente alle esperienze radicali dell’arte minimalista e concettuale risulta, comunque, attenta all’analisi, al dubbio, al concetto ideativo, alla valutazione ironica e poetica, della potenzialità di concretizzazione pittorica. Forse anche il clima del capoluogo piemontese, attivamente coinvolto nei perimetri di rinnovamento culturale e sociale, concorre alla formazione di una precisa coscienza artistica, che non vuole essere surrogato di nulla che lo abbia preceduto, ma, di fatto, ne può raccogliere un’eredità e una testimonianza rispettosa. Molte proposte artistico-concettuali sono, infatti, nate e sviluppate nell’ambito della crescita intellettuale torinese. E talvolta il riflesso che separa una declinazione dalla sua matrice, rimane esiguo ma comunque di elaborato supporto. L’approdo oltre i confini nazionali s’inserisce in un percorso che ha condotto Caggianello a esporre anche presso gallerie e istituzioni straniere, oltre ogni caratterialità ambientale. Egli prende inoltre parte anche a diverse collettive che ritraggono e vogliono diffondere la situazione e il valore dell’arte nazionale. In Italia espone le sue opere in molti luoghi, anche se la sua principale focalizzazione non è certamente quella di ottenere consensi narcisistici o allestire mostre per infoltire l’elenco del suo curriculum (…Ante lucrum nomen).
info: www. g ig a r t e. c o m/ lu c ia n o cag g i an e l l o
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