Fabrizio Frignani
PAESAGGI visti dal treno Un viaggio sulla Reggio-Ciano
Edizioni Istituto Alcide Cervi
Fabrizio Frignani
PAESAGGI visti dal treno Un viaggio sulla Reggio-Ciano
Edizioni Istituto Alcide Cervi
Questo volume è stato realizzato grazie al contributo di
Consorzio di Bonifica Dell’Emilia Centrale www.emiliacentrale.it
T.I.L. - Trasporti Integrati e Logistica s.r.l. www.til.it
Impaginazione ed editing: Emiliana Zigatti
Copyright © MMXV Istituto Alcide Cervi – Biblioteca Archivio Emilio Sereni www.istitutocervi.it biblioteca-archivio@emiliosereni.it via Fratelli Cervi, 9 42043 Gattatico (RE) ISBN 978-88-904211-5-0 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore.
In un piccolo MONDO RURALE, dove riscoprire un paesaggio ricco di segni, un mosaico di ricordi, sentimenti e emozioni A Giusy, Miriel, Lorena
Indice Presentazione ...................................................................................
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Prefazione .........................................................................................
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Premessa ............................................................................................ 9 Un po’ di storia sulla costruzione della ferrovia Reggio Ciano ... 10 Che cos’è il paesaggio........................................................................ 23 Quali sono gli elementi che caratterizzano un paesaggio ............ 30 Le acque ............................................................................................. 36 La piantata ......................................................................................... 51 La fotografia ripetuta ...................................................................... 82 La Stazione di Santo Stefano a Reggio Emilia .................................. 86 Il Ponte sul torrente Crostolo a Reggio Emilia .............................. 94 La Stazione di Modolena ................................................................... 96 La Stazione di Cavriago ..................................................................... 98 La Stazione di Barco ......................................................................... 104 La Stazione di Montecchio ................................................................ 106 La stazione di Bibbiano ...................................................................... 108 La Stazione di Piazzola ..................................................................... 111 La stazione di San Polo d’Enza ......................................................... 113 La stazione di stazione di Ciano d’Enza a Canossa .......................... 119 Incrocio delle fonti e analisi testuali analitiche ........................... 122 Il paesaggio oggi ................................................................................ 124 La gestione dei segni del territorio ................................................. 151 Conservare le contestualizzazioni sul terreno ed corridoi visivi 153 Tutela del paesaggio e sviluppo economico .................................... 156 Bibliografia ....................................................................................... 159 Ringraziamenti .................................................................................. 163
Presentazione In Europa l’epoca d’oro dello sviluppo della ferrovia è individuato tra la metà dell’ottocento fino ai primi del novecento, sostenuto dal grande capitale privato. Cosi è stato anche nella nostra Provincia. Dopo la costruzione della linea ferroviaria Milano-Bologna nel 1859, nel territorio della Provincia di Reggio Emilia si dovette attendere sino quasi a fine secolo per vedere realizzata una rete ferroviaria locale Nord-Sud e Est-Ovest quale valido supporto dello sviluppo demografico e commerciale e nuovo modo di movimento per persone e merci. Risale infatti al 1887 la linea locale Reggio Emilia-Guastalla di km 28 e al 1891 la linea locale Reggio EmiliaSassuolo di KM 22 con alcune diramazioni previste nelle varie tratte. La realizzazione della linea locale Reggio Emilia-Ciano ebbe sorti diverse e controverse di carattere politico ed economico che ne determinarono un’impresa assai complessa, al punto che la sua realizzazione risale al primo decennio del Novecento come terza ed ultima delle tratte ferroviarie ancora presenti sul nostro territorio provinciale. Fu la caparbietà’ dell’Amministrazione Provinciale di Reggio Emilia che decise di affidare, intorno al 1903, alla SAFRE Società Anonima delle Ferrovie di Reggio Emilia, nata col capitale di grandi banche del Nord, la progettazione di una ferrovia da Reggio Emilia sino a Ciano d’Enza passando da Cavriago, Bibbiano e San Polo con l’aggiunta di una diramazione da Barco a Montecchio. Le cose pero’ non furono spedite, l’interesse dei privati di continuare a investire nel mondo delle ferrovie non ebbe più l’entusiasmo e forse la convenienza dei primi investimenti di inizio 800. Per questi motivi i rapporti tra Amministrazione Provinciale di Reggio Emilia e SAFRE si interruppero definitivamente nel 1904. In quel periodo, la diffusione dell’ideale di cooperazione, frutto di esperienze nate attorno al 1844 in Inghilterra, favorì a Reggio Emilia il 16 ottobre 1904, la costituzione del CCLP Consorzio delle Cooperative di Lavoro e Produzione, attraverso l’unione di 27 piccole imprese cooperative, con lo scopo di costruire e gestire la ferrovia. Nel 1907 il CCLP senza ancora le certezze dei fondi promessi, iniziò l’opera e il 9 Ottobre 1910 il primo treno entrò trionfalmente nella stazione di Ciano. La nuova linea ferroviaria Reggio Emilia-Canossa di km 26 ed il breve tratto Barco-Montecchio di km 4 prevedeva 17 carrozze viaggiatori, 60 carri merci e tre locomotive CANOSSA, OWEN e LASSALLE sulle quali evidente era la targa FRC (Ferrovie Reggio Ciano). Nel 1955 lo scarso numero di passeggeri e l’antieconomicità del servizio di trasporto, ha visto la definitiva soppressione delle tratte Barco-Montecchio, Bagnolo-Carpi e Reggio Emilia-Boretto. A seguito della realizzazione della tratta ferroviaria Reggio Emilia-Canossa , il Consiglio Provinciale nella seduta del 4 Aprile 1973, deliberò la costituzione del CCFR Consorzio Cooperativo Ferrovie Reggiane confluito poi in data 1 Ottobre 1975 3
in ACT Azienda Consorziale Trasporti quale esclusiva concessionaria del trasporto pubblico locale. Con il conferimento definitivo delle ferrovie in FER Ferrovie Emilia Romagna e del trasporto su gomma in SETA Società Emiliana Trasporti Autofiloviari, ACT ha definitivamente assunto dal 1 Gennaio 2013 il ruolo di holding, costituita da tutti i comuni della provincia di Reggio Emilia e dalla Provincia stessa , con il compito di gestire le proprie quote di partecipazione all’interno delle principali aziende di trasporto pubblico regionale. Ho voluto brevemente ricordare la storia della realizzazione del trasporto su ferro nel nostro territorio provinciale ed in particolare per la tratta Reggio Emilia-Ciano, per l’importanza che la stessa ancora oggi riveste per gli utenti studenti e pendolari. Il testo di Fabrizio, in modo scorrevole ben illustrato e nello stesso tempo approfondito e puntuale, introduce un ulteriore elemento ai più sconosciuto. Il paesaggio visto dal treno, un paesaggio ancora incontaminato, pieno di storia, di elementi originari che solo il passeggero può ammirare con la sensazione di attraversare un territorio lontano centinaia di chilometri quasi irriconoscibile come nostro. Con questa pubblicazione, credo possa nascere la curiosità di vivere una nuova esperienza, di abbandonare per un giorno la propria automobile e avventurarsi in un viaggio quasi irreale in un paesaggio nuovo ma li da migliaia di anni. Credo che anche qua sta la grande intuizione dell’autore.
Daniele Caminati Presidente ACT
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Prefazione In un breve e molto conosciuto scritto apparso postumo – Ipotesi di descrizione di un paesaggio – Italo Calvino parlava della fotografia come di un oggetto “finito” «che concentra il tempo in una frazione di secondo fino a farlo sparire come se lo spazio potesse esistere da solo», al contrario della descrizione scritta: «un’operazione che distende lo spazio nel tempo». Può allora la fotografia consentire di «tracciare una linea tra i punti discontinui che la memoria conserva isolati, strappati dalla vera esperienza dello spazio»? La questione non è da poco giacché la vista ha assunto precocemente un ruolo primario nell’interpretazione del paesaggio. Il geografo Lucio Gambi sosteneva attivamente il ruolo conoscitivo dell’immagine fotografica, a patto che questa venisse utilizzata per una ricostruzione storica, e non solo estetica, di come è nato e come si presenta il quadro in cui «si coagulano ed unificano» gli elementi dell’edificazione territoriale. Ovvero ciò che, nella sua globalità, forma l’insieme che usiamo chiamare paesaggio «più precisamente “paesaggio integrale” per distinguerlo da quello meramente naturalistico o ecologico (cioè geofisico) e da quello puramente estetico»1. L’intera esperienza scientifica di Gambi altro non è che lo studio delle modalità storiche in cui una società locale si rapporta o meglio costruisce e valorizza il suo ambiente, il suo territorio e i suoi paesaggi «perché niente di quello che la storia sedimenta va [e deve andare] perduto»2. Il paesaggio, secondo la concezione ancora attuale di Gambi, è “un palinsesto”, uno strumento operativo di “visualizzazione della storia” e dell’eredità o patrimonio culturale e storicoambientale di un territorio, tutto ciò che abbiamo ereditato dalle generazioni del passato e che dovremmo conservare a beneficio delle generazioni future: cultura materiale (monumenti, opere d’arte, libri, archivi, collezioni ecc.), natural heritage (paesaggi e biodiversità), persino la cultura immateriale (folklore, tradizioni ecc.). Questo spiega perché oggi la geografia umana è caratterizzata da quella che Michel Lussault ha chiamato «donazione del visibile»: da un lato essa ha superato lo spazialismo (l’analisi solo “orizzontale”, sincronica, del paesaggio e del territorio) e dall’altro ha riconosciuto che «parlare di spazio significa evocare il regime di visibilità delle sostanze sociali di cui è fatta la realtà territoriale». Studiare il paesaggio oggi significa attivare un processo conoscitivo che riunisce 1 Gambi L., La fotografia e il paesaggio in Cottignoli L. (a cura di), Scatti di memoria, dall’archivio fotografico della federazione delle Cooperative della Provincia di Ravenna, Ravenna, Longo Editore, 2002, pp. 186-188. 2 Vedi Quaini M., “Poichè niente di quello che la storia sedimenta va perduto”, Quaderni storici, 2008, 43, 1 pp. 56-109.
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“orizzontale” e “verticale”, presente e passato, natura e cultura. Un altro geografo, Bruno Vecchio3, ha messo in evidenza i due principali pregi che la fotografia offre in vista della decifrazione di quella «determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni» (cioè del paesaggio, secondo la definizione data dalla Convenzione europea del 2000 – CEP). Innanzi tutto la fotografia è traccia di fenomeni nascosti che si tratta di decifrare, con gli stessi strumenti con i quali un archeologo studia la successione dei sedimenti. Dello Sguardo dell’Archeologo parla lo stesso Calvino come dell’«unico metodo possibile di fronte al frantumarsi dell’insieme delle definizioni di Storia e di Uomo», fenomeno che stiamo quotidianamente vivendo. Per rinsaldare almeno in parte le nostre sempre più fragili relazioni col passato, per evitare di cancellare totalmente le nostre coordinate di vita, di comportamento e di memoria, la nostra identità individuale e quella delle comunità a cui apparteniamo, non ci resta quindi che assumere uno sguardo «che dissotterra “utensili di cui ignora la destinazione, cocci di ceramica che non combaciano”»4, quindi anche “lembi di paesaggio”, oggetti, manufatti, pratiche residue, che rimandano a cicli di civilizzazione ormai trascorsi ma per noi ancora fondamentali per non farci sentire, definitivamente, “fuori luogo”. La fotografia è poi rilevante anche per un secondo e fondamentale motivo: per ciò che ci dice dell’intenzione dell’autore e delle modalità di ricezione da parte dei destinatari dell’immagine. Proprio il suo principale elemento di debolezza scientifica, la sua parzialità, quindi quella mancanza di oggettività che aveva condotto i geografi neo-positivisti a contrassegnarla come irrilevante o addirittura fuorviante nelle loro analisi territoriali, è diventato oggi uno dei suoi maggiori punti di forza, proprio nell’ottica della CEP che interpreta il paesaggio non solo come insieme di “fatti” geografici e materiali ma anche come spazio “vissuto” della realtà territoriale, collettore delle memorie individuali e collettive, prodotto della cultura e delle esperienze che costituiscono “il bagaglio” dell’osservatore stesso. La fotografia diventa così «mezzo di accesso – più o meno mediato – alla conoscenza di processi anche indipendenti dall’intenzione del fotografo, ma altresì come strumento dell’intenzione del fotografo nei riguardi del suo pubblico»5 quindi «componente di un “discorso” sul mondo» e «indizio di un’intenzione del fotografo in quanto soggetto sociale e anche delle probabili modalità di ricezione del soggetto percipiente»6. Alla luce di queste considerazioni emerge il valore sociale che può assumere un “discorso” costruito sul confronto tra immagini realizzate in momenti diversi nel tempo, come quello che qui presentiamo, opera dell’amico Fabrizio Frignani. Ancora una volta è Italo Calvino a fornirci le coordinate fondamentali utili a rilevarne il senso più profondo. Il valore di questa “costruzione” sta nella trasformazione della fotografia in una descrizione. Un “dispositivo” che unendo immagine e testo si storicizza e diventa 3 Vecchio B., “La fotografia come strumento di riflessione sul territorio”, Memorie Geografiche, 8, 2009, pp. 335-347. 4 Belpoliti M., “Città visibili e città invisibili”, Chroniques italiennes n. 75/76, 1-2, 2005, pp. 45-59. 5 Vecchio B., “La fotografia come strumento di riflessione sul territorio”, cit., p. 343. 6 Ivi, p. 342.
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racconto: «c’è un io in movimento, e ogni elemento del paesaggio è carico di una sua temporalità cioè della possibilità d’essere descritto in un altro momento presente o futuro». A questo proposito viene spontaneo pensare al tracciato della ferrovia Reggio Emilia-Ciano d’Enza come alla metafora di un racconto individuale, lento e riflessivo. Mentre la strada moderna è un’asse rettilineo, un’infrastruttura veloce sulla quale scorrono, senza continuità con ciò che li circonda, flussi di uomini e merci rivolti solo alla meta finale, il viaggio lungo linee minori può aiutarci a ritrovare nessi relazionali ed esistenziali con ogni singolo contesto e ad osservare la città, il territorio urbanizzato, dal suo anello più fragile: la campagna. Uno spazio che cambia continuamente anche se impercettibilmente, rivelando non una sola, ma un susseguirsi di identità e valori tanto nascosti quanto preziosi. Le fotografie storiche raccolte da Frignani, quelle realizzate appositamente nella campagna, quelle da lui ripetute dagli stessi punti di vista (secondo una tecnica ormai nota nelle analisi paesaggistiche) e i testi che le commentano e le accompagnano costituiscono quindi un racconto e un “discorso” personale, pieno di sensibilità ma che non scade nel “percezionismo” perché conserva intatte le due proprietà citate in precedenza: una (intelligente) chiave interpretativa personale e la possibilità che altri, secondo la propria cultura e preparazione, possano utilizzare le immagini, oggi e nel futuro, cercando in esse “tracce” di organizzazioni territoriali passate, riflesse nella materialità e nella concretezza del paesaggio, nelle sue valenze storiche e sociali. Ciò che Frignani ha compiuto con questo suo lavoro è un’operazione che possiamo definire di patrimonializzazione cioè di riconoscimento, reinvenzione, attribuzione e ri-attribuzione di valore ai luoghi. Si tratta in fondo di una sottile strategia di identificazione del patrimonio locale attraverso il paesaggio e le sue singole componenti, materiali così come immateriali (paesaggio come «bene culturale complesso»). Un lavoro che ci può aiutare a identificare le regole di crescita e riproduzione sostenibile del territorio. Regole che vanno rispettate all’interno di un necessario progetto di trasformazione futura.
Carlo A. Gemignani
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Premessa Quando tutto va troppo veloce un viaggio in treno può diventare un momento per trovare il tempo di osservare. Dal finestrino vediamo immagini che sembrano in movimento, ci passano davanti senza una forma precisa, ma allo stesso tempo riattivano i nostri ricordi che si trasformano in sensazioni, emozioni. Un viaggio su un treno lento, per i pendolari forse troppo lento, che attraversa ancora Luoghi, dove la campagna umanizzata ha un sapore antico, rurale, dove è possibile ammirare paesaggi tranquilli con una alternanza di elementi naturali ed antropici, che ci appaiono diversi a seconda delle stagioni, delle ore della giornata, delle lavorazioni che si succedono nella campagna, con i tempi lenti dettati dai cicli biologici della natura. Paesaggi: è l’argomento principale di questo volume, quelli che si attraversano viaggiando da Reggio Emilia a Ciano d’Enza, in poco più di 20 chilometri, con 40-50 minuti di tempo. Diversi sono i paesaggi che si possono osservare, costruiti sulla morfologia strutturale dei siti, si passa dalla pianura alla collina, attraversando la pedecollina, con scorci che sicuramente lasciano stupiti per la bellezza e la biodiversità dei luoghi, ma anche per le bruttezze architettoniche che decontestualizzano gli antichi equilibri che l’uomo agricoltore ha modellato in centinaia di anni. Un territorio ancora vocato alla produzione di eccellenze alimentari uniche al mondo. Eccellenze che possono continuare ad esistere solo conservando le radici socio culturali che le hanno generate. Osservare questa è la parola chiave, perché in questo piccolo viaggio di cose da guardare attentamente ce ne sono veramente tante. Osservare per fissare e riabituare la nostra mente a percepire i segni che cambiano. Osservare per giocare con i sentimenti, perché ognuno di noi cela nella propria mente un paesaggio immaginato, costruito con le proprie esperienze personali, positive o negative esse siano, che grazie alla nostra memoria possiamo riscoprire quando pensiamo di averne bisogno, per potervici rifugiare e interporre una certa distanza tra noi ed il mondo esterno.
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Un po’ di storia sulla costruzione della ferrovia ReggioCiano Non essendo uno storico, non aggiungerò nessun tassello a quanto già scritto da autori autorevoli sulla storia delle ferrovie reggiane, ma semplicemente ne riprendo alcuni elementi, date, fatti, eventi, dati economici, motivazioni progettuali, per contestualizzare un’analisi sui cambiamenti del paesaggio, attraverso la fotografia ripetuta, partendo da fotografie storiche, realizzate durante l’esecuzione dei lavori. Nel 1870, quando si comincia a parlare di un progetto per lo sviluppo delle ferrovie interne, la Provincia di Reggio Emilia ha poco più di duecentotrenta mila abitanti, (oggi sono poco più di 487.000), di cui un quarto circa concentrati in città e nei 63 centri, i restanti tre quarti in casali e case sparse1. L’agricoltura è l’attività economica predominante, anche se comincia ad affacciarsi una timida industria manifatturiera che occupa circa il 11.9% di addetti. A Reggio città e nelle zone del suo circondario, sono presenti 621 opifici di cui 424 per la manifattura di materie animali, 73 per la lavorazione di materie prime vegetali e 124 per la trasformazione di quelle minerali . L’esportazione comprende cereali, vini, bozzoli, bestiame, burro, formaggio, tela, lana, carni suine manipolate, uva, truciolo, calce, ferro e legname utilizzato anche per costruzioni navali a Genova e Venezia2. Da questi dati emerge che l’industria prevalente è principalmente legata alla trasformazione dei prodotti agricoli. La ferrovia nasce con la volontà di diventare un elemento di sviluppo economico, sociale, ma anche dalla necessità di strutturare una nuova viabilità generale della Provincia che in quel momento non è particolarmente sviluppata. L’unica strada importante è quella che da Reggio Emilia saliva a Castelnovo nel Monti passando da Casina. La Val d’Enza ad esempio non è ancora collegata tutta da una strada, manca il tratto montano, carenza già indicata come priorità dalla Provincia nel 1869 e presentata con una petizione alla Camera dei Deputati: vallata immensamente ricca di prodotti che or non hanno valore e muoiono sul posto per difetto di tramite rotabile3, il ponte sul torrente Enza a San Polo arriverà solo nel 1918, (quello di Montecchio è già attivo da qualche tempo) ma in complesso la viabilità è scarsa ed alcune località non sono ancora raggiunte da strade facilmente praticabili, soprattutto la montagna non è assolutamente servita da una rete viaria degna di questo nome. Questo è un periodo molto euforico, si presentano diversi progetti sulla ferrovia 1 Giannetto Magnanini, I trasporti pubblici a Reggio Emilia, Bologna Grafica Editoriale S.p.A, 1985 ,pag. 1 2 Ibidem 3 Ivi, pag. 39
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anche da parte di privati come il conte Spalletti che nel 1883 dà incarico all’ing. Ottavi di studiarne uno di massima per il collegamento di Reggio Emilia, Bibbiano, San Polo, Vetto, Castelnovo ne Monti, Talada, Caprile, come diramazione per Lucca e Modena4. La provincia di Reggio ha sempre avuto problemi di viabilità, anche in quella considerata principale, utile per collegare velocemente i centri maggiori, soprattutto sugli assi pianura montagna. Già cent’anni prima nel 1783 lo stato della viabilità in montagna era in condizioni disastrose; la situazione è ben descritta nelle note contenute nel risultato della visita fatta da S.E il sig. Marchese Bagnesi Governatore di Reggio alla strada Ducale di Castelnovo né Monti o sia al Cereto dell’Alpi … dalla Magonchia a Castelnovo né Monti, estensione di tre miglia La strada viene intersecata dal Rio di Fellina e dalle Boare che sono coste Salatose e Lavinose che si estendono per quasi un miglio ed in oltre da una Lavina che s’incontra passata La Villa della Croce sotto il sasso di Bismantova; in questa pericolosa situazione non si mantiene mai la traccia della strada ed i Mulattieri sono obbligati di cercarla ora alte, ora bassa dove la Lavina è meno pericolosa. ….La strada nei Feudi di Busana per tratto di tre miglia, dove nella massima parte La Strada si perde e conviene mendicarla, per coste rovinose e pericolose delle Salate e Lavine, che la rendono impraticabile. …. Da questo rio si passa sotto Colagna, s’incontra un ponte di una sola luce con i piloni di pietra ed il piano di legno situato sopra alla Secchia5. Nella lettura di questo resoconto ci si rende conto, pur tenendo in considerazione che l’autore nello stendere il rapporto può avere enfatizzato le problematiche, che arrivare a Castelnovo né Monti da qualsiasi luogo della Provincia non è facile e comunque, visto che la maggior parte delle persone si spostavano a piedi, occorrono ore ed ore per percorrere anche brevi tratti. Questo a conferma che la montagna reggiana tra il 1700 e la fine del 1800, soffre di scarsa attenzione a discapito di uno sviluppo economico che già comincia ad interessare Reggio Emilia e dintorni. La carenza di viabilità alla fine del 1800 non è un problema solo della montagna, infatti anche in pianura, non era presente una rete viaria importante, se non per il collegamento delle grandi città. Riguardo questo argomento allego due mappe, la prima è uno stralcio della carta delle strade comunali obbligatorie d’Italia realizzata dal Ministero dei Lavori Pubblici Direzione generale dei ponti e delle strade scala 1:150.000 situazione al 31 dicembre 1880, pubblicata nel 1882, depositata nell’archivio del Servizio Cartografico della Provincia di Reggio. Anche se realizzata in una scala che non privilegia i dettagli, è comunque evidente l’assenza di tutta le rete interna, oggi costituita sia da strade comunali che provinciali, ad esempio nella Val d’Enza (che sarà servita dalla ferrovia); non esiste un collegamento tra pianura e montagna, la strada si ferma ufficialmente a Ciano, il collegamento con Vetto e Castelnovo ne Monti è probabilmente costituito da 4 Ivi, pag. 39 5 Rosa Maria Manari, Viabilità antica nella storia del crinale appenninico, Nuova TipolitoFelina, 2002, pp. 106-107
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mulattiere e sentieri; i primi ponti su questo tratto verranno realizzati intorno agli anni 30 del 1900. Praticamente quasi tutte le strade interne che collegano i centri principali, soprattutto della collina, sono poco più che sentieri (vedi fotografia n°01), la strada principale che da San Polo arriva a Reggio non passa come oggi da Quattro Castella, ma da Bibbiano; la strada principale per Quattro Castella si prende a Piazzola, che non a caso nel progetto originale è considerata la stazione di riferimento per questo paese.
Fig. 01 Strada nei pressi di Bergonzano con vista sul castello di Bianello, (Quattro Castella), nella foto degli inizi del 1900 è poco più di un sentiero, oggi è una strada provinciale. Fototeca Panizzi
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Fig. 02 Carta delle strade comunali obbligatorie d’Italia realizzata dal Ministero dei Lavori Pubblici Direzione generale dei ponti e delle strade scala 1:150.000 situazione al 31 dicembre 1880, pubblicata nel 1882, depositata nell’archivio del Servizio Cartografico della Provincia di Reggio
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Nella seconda mappa che risale al 1899, concentrata sulla media ed alta Val d’Enza, sono evidenziate le strade che dovranno essere realizzate nelle due Provincie confinanti di Parma e Reggio, si può osservare il tracciolino, che evidenzia l’idea di costruire una strada che da Ciano arriva a Vetto, poi continuando a fianco del torrente Enza, senza passare da Castelnuovo ne Monti, arriva fino al Passo del Lagastrello, per poi scendere in Toscana.
Fig. 03 Mappa della viabilità lungo la valle dell’Enza nel 1899, depositata nell’archivio del Servizio Cartografico della Provincia di Reggio 14
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Nel frattempo, oltre alla progettazione delle strade, si continua parallelamente nell’idea di realizzare diverse linee ferroviarie, per collegare vari centri della Provincia, la montagna con la pianura ed il fiume Po, da sempre considerato importante via per il trasporto delle merci, che vedrà il suo massimo sviluppo ed utilizzo a Boretto intorno 1930, dove verrà realizzato anche un primo semplice porto intermodale, posto oggi all’interno del canale nell’impianto di sollevamento. Impianto che permetteva il collegamento tra il trasporto ferroviario ed il trasporto navale su chiatte. Diversi saranno i progetti di massima che verranno presentati, nel 1886 Antonio Viappiani propone la costruzione di una Tramvia a vapore della lunghezza di 28 chilometri, con una motivazione interessante per quanto riguarda lo sviluppo economico dei luoghi che in futuro potranno essere serviti dal servizio affermando: Quanti si tengono dispendiosi cavalli li venderanno a profitto dei lavori agricoli, i contadini potranno recarsi in città, tutti i paesi da Reggio a Ciano, potranno essere luoghi di villeggiatura come i dintorni di Reggio, dove vi sono casini di campagna intorno alla città con prezzo elevato, lo acquisteranno anche in quelli dei Paesi.6Queste affermazioni sono particolarmente interessanti in quanto oltre ad un aspetto economico diretto, dovuto alla commercializzazione di merci, si introduce neanche in modo velato, il concetto di villeggiatura e quindi di turismo.
Fig. 04 fotografia di un tramvai trainato da cavalli immagine tratta da Alba ferroviaria notizie, progetto Bellacopia 2009-2010 Istituto Magistrale Matilde di Canossa Reggio Emilia. 6 Giannetto Magnanini, I trasporti pubblici a Reggio Emilia, Bologna grafica, editoriale S.p.A, 1985, pag. 39.
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Secondo le indicazioni del progettista la Tramvia era più pratica della ferrovia, in quanto poteva essere realizzata su strade esistenti, aveva una gestione più snella, compresa quella delle fermate a chiamata. L’dea della ferrovia viene ripresa nel 1889, il nuovo progetto viene presentato dall’Ing. Benassi; il tracciato partiva dalla stazione di Reggio attraversava lo stradone di Porta Castello, passava il Crostolo a valle del Ponte di San Pellegrino, costeggiava la strada del Migliolungo, attraversava il torrente Modolena, tagliava le collinette di Codemondo, raggiungeva Cavriago, Barco, da qui si staccava il tratto per Montecchio, raggiungeva Bibbiano, Piazzola come stazione per Quattro Castella, San Polo ed infine Ciano, per un totale di 27,975 chilometri. La valutazione economica dell’attività era fondata sulla previsione di operare su 30.000 abitanti, (nel censimento del 1901, la popolazione residente nei comuni interessati dalla ferrovia è la seguente, Reggio Emilia 58.993, Montecchio 4.899, Cavriago 3.868, Bibbiano 5.689, San Polo d’Enza 3.255, Ciano d’Enza 4.069, fonte Istat), con cinque viaggi in media a 0,75 lire, cereali per 2.200 tonnellate, formaggio vino e fieno per 1.800 tonnellate, legna per 9.000 tonnellate e 1000 tonnellate di generi diversi a 1,20 lire, inoltre si prevedeva di trasportare 6.000 capi bovini ed equini e 7.500 suini ed ovini7. Tralasciando il periodo nel quale gli interlocutori del progetto sono la Provincia e la società SAFRE, la data fondamentale diventa quella del 22 settembre 1904 quando il Consorzio delle Cooperative di Produzione e Lavoro presenta la domanda per la costruzione e l’esercizio della Reggio-Ciano, ed il 24 novembre 1905 gli viene rilasciata la concessione8. Nel frattempo il progetto Benassi era stato modificato, e nel 1907 il Consorzio chiede di iniziare i lavori a proprio rischio, il progetto viene approvato con Regio Decreto soltanto il 5 gennaio 1908.9
Fig. 05 progetto della stazione di San Polo archivio ACT presso Archivio storico del Comune di Reggio Emilia
7 Giannetto Magnanini, I trasporti pubblici a Reggio Emilia, Bologna grafica editoriale S.p.A, 1985, pag. 41 8 Ivi pag. 51 9 Ivi pag. 56
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Il 15 agosto 1909, viene inaugurato il primo tratto Reggio-Barco-Montecchio, il 6 luglio 1910 il tratto fino a San Polo, il 9 ottobre il tratto fino a Ciano, l’allacciamento della linea tra la stazione di Santo Stefano e quella delle FF.SS il 15 gennaio 1911. L’opera è una linea ferroviaria della lunghezza di 30, 211 metri, il dislivello complessivo tra gli estremi è di 156 metri, tra i manufatti più importanti c’è il ponte a traliccio con travate metalliche sul torrente Crostolo, sul torrente Modolena e sul torrente Quaresimo, ed il più grande, il ponte viadotto sul Rio Vico a 8 arcate ed una travata in ferro di 118 metri di lunghezza tra S. Polo e Ciano. I passaggi a livello erano 26 con cancelli e sbarre a manovra diretta, 13 con manovra a distanza, 23 con catena e chiave e 10 bloccati senza chiusura. I dipendenti erano 105 tra servizi di movimento e traffico, trazione e officine. Nel 1910 i viaggiatori furono 80.000 a tariffe ordinarie, 5.000 a tariffe ridotte, per un prodotto di 60.000 lire per i viaggiatori e 40.000 lire per le merci.10 L’utilizzazione turistica della ferrovia, che implica conseguentemente un interesse al paesaggio, viene messa in risalto nella produzione di manifesti ed opuscoli realizzati dal 1912 (risalgono a questo periodo i documenti a disposizione) per pubblicizzare la linea ferroviaria; da questi documenti è possibile compiere una lettura paesaggistica anche molto precisa).
Fig. 06 copertina dell’opuscolo con orari, notizie, storiche, turistiche, dei diversi paesi raggiungibili con la ferrovia, e le coincidenze con i treni per Milano e Bologna 1912. (I trasporti pubblici a Reggio Emilia di Giannetto Magnanini) 10 Giannetto Magnanini, I trasporti pubblici a Reggio Emilia, Bologna grafica editoriale S.p.A, 1985, pp. 57-58
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Nel primo sono evidenti alcuni elementi di comunicazione con la spettacolarizzazione dei luoghi raggiungibili con il treno. Da un punto di vista iconografico, siamo in presenza di siti paesaggistici dai colori intensi; il Torrente Enza visto da Selvapiana (località posta sulle colline di Ciano) evidenzia in primo piano il tempietto del Petrarca (l’edificio che oggi si può visitare percorrendo la strada provinciale che da Ciano d’Enza sale a Trinità, fu iniziato nel 1839 e completato pochi anni dopo per ricordare il soggiorno a Selvapiana del poeta nel 1343), sembra un lago, tanto è grande ed azzurro. In effetti, il letto del fiume agli inizi del 1900 non ancora interessato dai prelievi di materiale litoide e da opere idrauliche che hanno successivamente influenzato l’equilibrio idraulico alterando il normale trasporto solido ed inciso l’alveo, si trova ad una quota più elevata rispetto a quella attuale.
Fig. 07 vista dell’abitato di Ciano, dove è evidente il torrente Enza con un alveo molto ampio e posto ad una quota elevata che lambisce anche le case, inizi 1900. Fototeca Panizzi
I due estremi del tracciato della ferrovia, sono rappresentati dalla rupe del castello di Canossa e da una bella vista panoramica di Reggio Emilia: nello skyline risaltano chiese campanili e torri con un richiamo decorativo di fiori (garofani non tipici dei luoghi). Lo slogan contenuto nell’opuscolo evidenzia con una frase molto sintetica come, grazie a questa ferrovia, si possono raggiungere luoghi storici di primo ordine 18
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turistici con panorami di rilievo. Il paesaggio diventa elemento fondamentale del messaggio pubblicitario dello scopo di vendere un servizio. Nello stralcio cartografico è inserita la città di Reggio Emilia, in posizione baricentrica rispetto a Parma e Modena, facendole diventare due città da dove acquisire potenziali viaggiatori da portare sulle colline. Canossa, che in realtà era ed è anche oggi un piccolissimo borgo sul quale dominano le rovine del castello, è evidenziata a tal punto da essere importante quanto la città di Reggio. La cartografia inserita rappresenta una realtà deformata, tipico esempio della cartografia di propaganda.
Fig. 08 manifesto 76x105 con gli orari ferroviari della tratta Reggio Emilia – Ciano d’Enza 1912. (I trasporti pubblici a Reggio Emilia di Giannetto Magnanini) 19
In questo secondo manifesto la parte iconografica riprende quella dell’opuscolo precedente; vi sono state aggiunte viste del Castello di Rossena e dei quattro colli di Quattro Castella con in primo piano il castello di Bianello. La vista riprodotta nella parte alta del manifesto riprende l’iconologia contenuta nella fotografia 01, mentre la vista sottostante di Ciano d’Enza è molto simile alla fotografia 07 (era tipico del tempo riprendere immagini fotografiche e restituirle in forma di dipinto soprattutto per quanto riguarda i paesaggi). Su questo manifesto la cosa che incuriosisce sono le parole contenute nello slogan gite alpine. Il messaggio è molto chiaro: questa ferrovia, porta sulle colline, dove si possono ammirare paesaggi alpini, paesaggi che fino a quel momento erano raggiungibili solo da pochi benestanti. La ferrovia quindi permetterà una (psicologica) crescita sociale, anche i meno abbienti potranno imitare i ricchi permettendosi dei viaggi anche se solo in Val d’Enza.
Fig. 09 dipinto ad olio 110 x 152 del pittore reggiano Ottorino Davoli (Reggio Emilia 18881945) raffigurante la Provincia di Reggio Emilia con le ferrovie locali. (I trasporti pubblici a Reggio Emilia di Giannetto Magnanini) 20
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In questo dipinto con probabile punto di vista da Selvapiana – Trinità (nel comune di Canossa), in primo piano si vedono le rupi con il castello Rossena a sinistra e quello di Canossa a destra. Sullo sfondo i quattro colli di Quattro Castella dove risalta il castello di Bianello. L’autore per evidenziare la vista aperta sulla pianura ha tolto parte delle colline che da Quattro Castella vanno verso San Polo (gruppo composto da monte Covra, monte Pezzola e monte della Sella), falsando volontariamente la realtà geomorfologica e orientando le valli con andamento Sud-Nord, mentre la dorsale pedecollinare ha prevalentemente un andamento Est-Ovest. Sullo sfondo all’orizzonte s’intravvede il monte Baldo con una pianura completamente disabitata, dove risalta solo la città di Reggio Emilia. Questo tipo di rappresentazione cartografica è abbastanza tipica dei primi anni 3040 del 1900, a Reggio è possibile ammirare presso la sede della Bonifica dell’Emilia Centrale una rappresentazione di grandi dimensioni della bassa pianura reggiana realizzata da Marcello Nizzoli (Boretto 1895, Nervi 1969), pittore, grafico, designer.
Fig. 10 fotografia di Gualtieri Dino scattata nel 1928. In questa immagine si riassumono alcuni punti riportati in questa ultima parte del capitolo: la situazione della viabilità, la strada per la rupe di Canossa è poco più di una carrareccia la presenza di parecchie persone in fila evidenzia un certo flusso turistico, confermato in alcune foto di Sevardi (consultabili presso la Fototeca Panizzi) dove sono ripresi gruppi di persone in visita al castello. Fototeca Panizzi.
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In conclusione, si può affermare che, dalle relazioni preliminari del progetto e dalla successiva campagna pubblicitaria proposta durante l’attività prebellica della ferrovia, il paesaggio con la bellezza dei luoghi e gli edifici storici sono sempre stati elementi che in parte potevano contribuire al successo economico, oltre l’attività commerciale vera e propria del servizio. Queste emergenze paesaggistichearchitettoniche nell’insieme costituivano la composizione dei paesaggi, allora ben visibili dal treno. Probabilmente erano anche belli, invitanti, per cui piacevano e potenzialmente avevano un certo interesse anche economico da parte di una borghesia cittadina che stava emergendo a Reggio Emilia, oltre che nelle città vicine già tradizionalmente e storicamente più ricche. Il resto della storia della Ferrovia Reggio-Ciano non si ferma al 1912, così come gli eventi sociali e statutari che si sono succeduti, testimoniati da una ricca documentazione conservata presso l’Archivio Storico del Comune di Reggio Emilia. La storia del progetto e della relativa costruzione, attraverso la documentazione storico fotografica, sono serviti per leggere l’evoluzione ed i cambiamenti avvenuti nel tempo, nel paesaggio che oggi è possibile ammirare viaggiando in treno sulla Reggio-Ciano.
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Che cos’è il paesaggio La risposta più facile che si può dare a questa domanda è la seguente: paesaggio è tutto ciò che vediamo intorno a noi, affermazione molto elementare e banale che in parte, per il cittadino comune, può anche essere vera soprattutto oggi, in quanto molti dimostrano di non avere più la capacità di osservare. Se noi a questa affermazione aggiungiamo, alcuni aggettivi tipo: è una rappresentazione, è un fenomeno naturale, è un mosaico di ricordi, sentimenti, emozioni, valori, la parola paesaggio diventa un qualcosa di indefinito che spazia da elementi reali che si possono toccare a entità irreali che non si possono toccare, ma solo immaginare. La definizione di paesaggio in realtà è molto più complessa e ricca di curvature, da tempo è divenuta argomento di discussione di diverse discipline. Il paesaggio è prima di tutto interdisciplinarietà, alla base del quale ci sono la storia e la geografia, in quanto scienze che si occupano dell’uomo. Principale indagato nel bene e nel male dell’aspetto attuale della terra e quindi dei paesaggi. Degradi, parlando di sviluppo della geografia umana, determina tre aspetti nei quali l’uomo è parte determinante dell’evoluzione del paesaggio: tralasciando il primo ed il terzo, per il secondo afferma: i gruppi umani non sono passivi e reagiscono attivamente modificando, secondo il loro tipo di cultura e di organizzazione sociale, l’ambiente in cui vivono. Anzi, divengono protagonisti di profonde trasformazioni delle offerte o possibilità naturali, piegandole a soddisfare i loro bisogni: bisogni che sono un prodotto della storia, in quanto legati a una determinata fase dello sviluppo. La presenza a l’attività dell’uomo si inscrivono sulla terra con segni più o meno evidenti, attraverso i quali il paesaggio naturale diventa paesaggio umanizzato, cioè riplasmato dall’uomo. lo studio dei paesaggi è un procedimento storico, il paesaggio geografico è una ereditarietà che ci sfugge tanto più irrimediabilmente quanto più i progressi tecnici sono rapidi ed innovativi. I paesaggi restano sempre componenti fondamentali per una rilevazione geografica, poiché sono i segni concreti di una cultura.11 L’uomo è al centro di ogni azione che modifica ed influisce sempre più velocemente l’uso di un territorio e conseguentemente l’aspetto del paesaggio. Paesaggio umanizzato, questo è ciò che vediamo intorno a noi e possiamo osservare quotidianamente durante i nostri spostamenti, siano essi in ambito urbano, rurale, montano, litoraneo, ovunque volgiamo lo sguardo. Di fronte a noi percepiamo immagini, con abitazioni, infrastrutture, viali, campagne più o meno coltivate, spazi rinaturalizzati, fiumi, boschi, 11 Piero Dagradi, Uomo Ambiente società introduzione alla geografia umana, Patron Editore, Bologna, 1955, pag. 21
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colline montagne, coste, dove l’azione dell’uomo ha lasciato dei segni che sono legati alla storia, alle tradizioni, alla cultura di chi ci ha preceduto. L’antropizzazione, cioè il peso della presenza umana sul territorio, diventa una criticità per l’ambiente ed il paesaggio quando l’uomo, a seguito dello sviluppo industriale e della crescita sfrenata della cultura del consumismo, si pone come unico obiettivo gli interessi economici, dimenticandosi che lo spazio terreno non è infinito e tanto meno rinnovabile, inoltre quando pone il proprio ego al di sopra di tutto e di tutti. Alla base dello sviluppo economico sostenibile, l’ambiente e conseguentemente il paesaggio sono da considerare e percepire come risorsa per lo sviluppo e non come entità periferica generatrice di disturbo. Sicuramente nel territorio reggiano l’agricoltura è sempre stata la principale fonte di reddito per tantissimi nuclei famigliari e comunque ha sempre dato da mangiare dignitosamente alle famiglie contadine, ha prodotto reddito ed alimenti che sono stati ridistribuiti nel territorio circostante. Un’agricoltura che ha attraversato tutti i periodi favorevoli e critici del 1900 e che oggi sta lentamente, ma fortunatamente, riscoprendo che è stato inutile renderla industria. Viste le qualità intrinseche a questo territorio alla cultura contadina ed alle capacità di trasformare i prodotti di base in eccellenze, si sente sempre più la necessità di ritornare alle origini per far nascere prodotti legati alle radici e trasformati con arti e metodi del passato. Inoltre producendo una minore quantità di prodotti, si tutela maggiormente il territorio e allo stesso tempo si permette agli agricoltori, sfruttando anche le nuove tecnologie digitali, maggiori possibilità commerciali e conseguentemente più reddito.
Fig. 11 paesaggio agrario, località Codemondo (RE) sullo sfondo la ferrovia Reggio Ciano, foto di Fabrizio Frignani estate 2013
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Il territorio che si sviluppa ai lati dalla ferrovia Reggio-Ciano può essere in gran parte definito un paesaggio agrario-rurale interessato nel tempo da uno sviluppo urbano (più o meno disordinato) che in parte è conseguenza del naturale aumento demografico avvenuto tra i primi anni del 1900 ed oggi, in parte ad una certa volontà speculativa dovuta all’aumento di ricchezza di coloro che hanno trovato più semplice investire su quello che una volta veniva chiamato il mattone. Quindi identificare il paesaggio umanizzato con il paesaggio rurale diventa cosa facile ed immediata, sia per la situazione territoriale vera e propria, dove l’urbanizzazione smisurata, disordinata, in alcuni casi scellerata, non ha ancora avuto il sopravvento su un territorio rurale tuttora attivo, sia per l’alta qualità produttiva, sia per una tradizione cultural-rurale, ancora ben radicata nelle persone che vi risiedono e lavorano i terreni. Emilio Sereni, uno dei più importanti studiosi italiani di paesaggio agrario, nella sua opera più famosa lo definisce … quella forma che l’uomo, nel corso ed ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente sistematicamente imprime al paesaggio naturale.12 Questa frase storica, scritta da Sereni intorno agli anni 50 del 1900, sotto un certo senso, è piena di suggestività. Nella parola coscientemente c’è tutta la passione e la forza che Sereni vedeva nella classe contadina. L’opera di Sereni di grande utilità per gli studiosi di paesaggio, diventa documentazione di riferimento soprattutto quando descrive quel periodo storico che va dai primi del 1900 al 1950, dove Sereni traccia una descrizione dettagliata (dei territori studiati), basandosi anche su un osservazione diretta, sia del territorio e della popolazione rurale. Sarebbe interessante avere un commento di Sereni sullo stato dell’uso del territorio agricolo oggi, e dello sfruttamento commerciale delle campagne. Coscientemente nella frase di Sereni non è solo consapevolezza è una parola ricca di significati, di contenuti, soprattutto di tradizioni. L’agricoltura oggi ha subito trasformazioni industriali che hanno portato nella maggior parte dei casi alla disgregazione del tessuto rurale tradizionale, sostituito da una conduzione agricola dei terreni che è preferibile definire industria agricola, nella quale di agricolo non c’è più niente, ma solo uno sfruttamento indiscriminato della terra per la produzione di finti profitti, che spesso mascherano copiosi finanziamenti comunitari. In questo contesto il paesaggio rurale tradizionale come lo hanno costruito i nostri vecchi è stato perso in favore di una meccanizzazione estrema, che ha portato ad una forte crescita della quantità prodotta per ettaro, alla tanto desiderata riduzione dei costi,(questa voluta da chi gestisce il mercato) a discapito della qualità del prodotto finale. Significati e contenuti che possiamo ancora trovare in paesaggi rurali articolati, spesso posti ai margini delle grandi pianure dove nella conduzione agricola si rispettano e sono presenti le tracce delle tradizioni culturali tramandate nel tempo da padre in figlio, dove la biodiversità è alla base delle rotazioni colturali, e le sistemazioni territoriali vengono eseguite ricordando gli insegnamenti del passato.
12 Emilio Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Editori Laterza, 1961, pag. 29
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In questi territori sono sparsi i segni che arrivano dalla storia, soprattutto per quanto riguarda il territorio reggiano posto sopra la via Emilia, segni che trovano le radici strutturali in uno straordinario e ricco Medioevo con una viabilità storica ed un sistema irriguo artificiale, che da secoli accompagnano, influenzano e facilitano la vita della gente. Segni e tracce che legati ad una zona climatica particolare (sulle colline nel medioevo si coltivava l’olivo) e ad una struttura geologica unica condizionano le produzioni agricole ed i metodi di coltivazione; i cui prodotti unici fanno e faranno nel tempo la differenza rispetto alle monocolture dell’agroindustria.
Fig. 12 paesaggio agrario, localitĂ bassa pianura reggiana tra Poviglio e Novellara terreni destinasti a monocoltura, foto di Fabrizio Frignani tardo autunno 2013
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Fig. 13 paesaggio agrario, località alta pianura reggiana tra Reggio Emilia e Cavriago terreni, a diverse destinazioni produttive, con la presenza di alberi ad alto fusto e zone boscate-siepi. foto di Fabrizio Frignani tardo autunno 2013
Questo paesaggio, che spesso è percepito come naturale, rimane un paesaggio umanizzato; bravo è stato l’uomo dove, con il rispetto del territorio, e la conservazione delle tradizioni che si tramandano culturalmente di generazione in generazione, ha permesso al paesaggio umanizzato di mascherarsi di fronte ai nostri filtri mentali da paesaggio naturale. Filtri mentali che per consuetudine e localizzazione geografica, ingannandoci ci fanno vedere belli alcuni paesaggi agricoli umanizzati, paesaggi che generano in noi grandi sensazioni, ma in realtà da un punto di vista ecologico sono grandi criticità ambientali; un esempio esplicativo sono le monocolture che tanto consideriamo banali e brutte (giustamente) in pianura, al contrario le apprezziamo in montagna o collina, in quanto rendono bello il paesaggio. Questa tipologia di paesaggio si può rappresentare iconograficamente con i vigneti delle colline toscane e piemontesi ed i meleti della Val di Non e della Val Venosta. In questi luoghi ciò che noi percepiamo indiscutibilmente bello-poetico-romantico, inscritto in una nostra cornice mentale tipo, in realtà nasconde spesso un forte peso ambientale, infatti anche se a primavera queste valli si ricoprono di fiori bianchi o rosa, oppure delineano delle geometrie ondulate sulle colline dalle quali possiamo ammirare tramonti ed albe che ci rimarranno per sempre nel cuore, sono 27
in ogni caso monocolture a grande estensione, con la completa scomparsa della biodiversità, inoltre la filiera della coltivazione prevede comunque l’uso di sostanze chimiche oppure, come nel caso dei vigneti, l’asportazione della vegetazione dal substrato superficiale che causa un forte incremento del dilavamento superficiale. Sicuramente in questi ultimi anni, con la crescente domanda di prodotti naturali da parte dei consumatori, c’è stato un forte incremento del così detto biologico che non può far altro che migliorare la qualità di queste coltivazioni e dell’ambiente. Anche il paesaggio dell’area oggetto di studio è contraddistinto da una coltura dominante, il prato stabile, che diventa elemento caratteristico del paesaggio nella parte finale del Medioevo. Il suo sviluppo avviene sicuramente con la costruzione dei canali irrigui che permettevano di rendere fertili i terreni. Il sistema d’irrigazione utilizzato era quello a scorrimento superficiale in uso ancora oggi. Apparentemente il prato stabile può sembrare una monocoltura, in realtà è proprio la sua natura polifita, con una enorme quantità di specie erbacee che si rigenerano naturalmente e vengono concimate ancora, con i prodotti residui della stalla, a renderlo naturale e compatibile con l’ambiente.
Fig. 14 paesaggio agrario, località alta pianura reggiana località San Polo d’Enza, tipico prato stabile con irrigazione a scorrimento. foto di Fabrizio Frignani tarda primavera 2014
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Il paesaggio naturale ormai è una cosa rara, a fatica resiste in luoghi del pianeta dove la vita dell’uomo è praticamente impossibile. Ne sono esempio i deserti che vedono l’uomo sempre più presente non per le manifestazioni sportive dove ricerca l’estremo ed limite fisico umano, ma per la continua ricerca di depositi di petrolio e gas; le catene montuose dell’Asia centrale e dell’America meridionale, che stanno subendo l’assalto del turismo, che poco cosciente lascia rifiuti ovunque. Il continente antartico tutelato da diverse convenzioni dell’Onu e da trattati internazionali (il più importante è quello Antartico del 1959), in ogni caso subisce il continuo attacco da parte degli stati economicamente più forti, con spedizioni mascherate dall’appellativo ricerca, tese al possesso di territorio che un giorno potranno essere utilizzati per lo sfruttamento di grandi giacimenti di materiali pregiati. Lontano da questi luoghi ci dobbiamo accontentare di questo ambiente umanizzato, che mascherato da paesaggio naturale, permette di separarci fisicamente e mentalmente da una vita banalizzata e da un sistema economico territoriale ormai finalizzato al solo consumismo.
Fig. 15 paesaggio agrario umanizzato, località colline sampolesi, gioco di forme e colori, dove l’uomo e la natura, inconsciamente permettono ad un osservatore attento di cogliere sensazioni ed emozioni profonde, oppure semplicemente di guardare uno spettacolo che non potrà essere mai più ripetuto. foto di Fabrizio Frignani 29
Quali sono gli elementi che caratterizzano un paesaggio Partendo dalla definizione semplicistica di paesaggio data nelle pagine precedenti, si può affermare che tutto ciò che vediamo intorno a noi può diventare un elemento che caratterizza un determinato paesaggio. Nella eccessiva semplificazione, diventa però necessario determinare quali sono gli elementi che diventano segni rilevanti di un paesaggio, sui quali si può o si deve soffermare la lettura, tenendo in considerazione che nella scelta avrà un peso determinante la soggettività personale, perché ognuno di noi osserva un paesaggio attraverso i propri desideri le proprie emozioni e le proprie convinzioni. Per questo motivo non considero queste mie osservazioni uniche ed assolute, anzi sono molto influenzate dalla mia soggettività, dal mio punto di vista, dall’approccio adottato per osservare ed evidenziare gli elementi studiati che sono riportati nelle pagine seguenti. Ma soprattutto influenzate dalle sensazioni che mi trasmettono, in quel preciso istante, a quel punto, quando si liberano queste sensazioni giocano con la luce naturale le fisso in uno scatto fotografico. Tra i tanti elementi che formano un paesaggio, in primo luogo abbiamo quelli naturali, che costituiscono il così detto pacchetto ecologico, quello che madre natura ci ha dato in dotazione attraverso la genesi geologico-morfologica, con i connessi processi endogeni ed esogeni, che hanno portato alla formazione di rilievi e valli, una rete idraulica naturale e al suolo superficiale. La struttura morfologica è stata a sua volta colonizzata dalla parte ambientale, costituita dall’insieme di flora e fauna tipici di quella determinata fascia climatica, con habitat e micro habitat che si sono sviluppati nel tempo seguendo la naturale evoluzione biologica degli esseri viventi, formando degli ecosistemi. Successivi agli elementi strutturali-naturali, abbiamo quelli costruiti dall’uomo, la parte antropica che genericamente possiamo individuare con i segni, che possono essere storici e antropologici, visibili in quanto presenti, invisibili in quanto riconducibili a memorie narrate che si perdono nel tempo. Logicamente i segni storici sono quelli che percepiamo come più rari, deboli, misteriosi, li consideriamo da tutelare, li andiamo a cercare, e probabilmente li collochiamo in un paesaggio immaginato che noi vogliamo sentire presente anche perché ci affascina. Segni storici che ci ricordano spesso le nostre origini, alle quali sovente associamo i legami parentali, dai quali nel tempo ci siamo staccati, nonni, padri, madri, figure che ci riportano attraverso la memoria a ricordi che vengono a volte anche da un mondo narrato, più o meno distante da noi. Un mondo dove il legame con la terra era come il cordone ombelicale che lega la madre al figlio, dove le condizioni di vita erano più semplici, più povere ma più vere più reali, rispetto una vita odierna che spesso ci porta a nascondere i nostri veri sentimenti, dove sembra dobbiamo rincorrere sempre qualcosa, che spesso successivamente si può rivelare inutile o banale. 30
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Fig. 16 paesaggio storico, località Quattro Castella (RE) una delle torri difensive del castello di Bianello appartenuto alla Contessa Matilde di Canossa. L’immagine ci riconduce al Medioevo e rievoca un paesaggio a tre visioni: antico attraverso i documenti storici, reale attuale attraverso la visione diretta, ma anche immaginato in quanto nella nostra mente è presente un mondo narrato, dove i castelli rievocano anche storie di un mondo fantastico. foto di Fabrizio Frignani inverno 2013
I segni storici, conseguentemente, non sono solo i reperti archeologici delle grandi civiltà o castelli con le loro mura difensive, ma sono tutta quelle serie di strutture-manufatti costruiti dall’uomo per migliorare un tempo la vita quotidiana. Per potere coltivare era necessario irrigare i campi, dove possibile sono stati costruiti canali d’irrigazione con vere e proprie opere d’arte come chiaviche, derivazioni, botti, mulini, manufatti antichi, spesso ancora presenti lungo i canali ed i fossi. Rientrano a pieno diritto nell’ambito di studio dell’archeologia idraulica. Sono segni le abitazioni rurali con tutto il loro contesto socioambientale, le ville padronali e i casini, la viabilità storica con i relativi manufatti, le maestà ed i piccoli oratori, gli alberi monumentali utilizzati a delimitare gli ingressi dei viottoli alle case agricole o alle ville, le siepi, i piccoli laghetti vicino alle abitazioni utilizzati per abbeverare gli animali, macerare la canapa e allevare pesci. I pozzi generalmente a camicia, sia quelli nei campi (elementi solitari) che quelli vicini alle abitazioni dalla caratteristica struttura esterna a capanna con tetto a due falde e porta in legno con chiavistello. Nel pozzo c’era l’acqua, chi non l’aveva non poteva dare da bere agli animali e alla famiglia; il pozzo era vita e andava protetto. 31
Fig. 17 localitĂ Cavriago (RE) struttura esterna di un tipico pozzo a camicia annesso ad abitazione privata. foto di Fabrizio Frignani inverno 2013
Fig. 18 localitĂ Cavriago (Re )struttura interna detta a camicia di un tipico pozzo, annesso ad abitazione privata. foto di Fabrizio Frignani inverno 2013 32
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Oltre i segni architettonici, anche i metodi di coltivazione-conduzione dei terreni possono diventare elementi che caratterizzano il paesaggio, quindi dei segni. Primo fra tutti la piantata, presente nelle nostre campagne come elemento distintivo del paesaggio agricolo, dalla colonizzazione greca fino agli anni 60-70 del 1900. Oggi i pochi filari presenti sono da considerarsi veri e propri relitti per i quali sarebbe da valutare la possibilità di una tutela. Altro elemento paesaggistico presente da sempre nelle campagne è il bosco. Come riporta Filippo Re, al tempo dei romani il bosco faceva parte del sistema agrario: Polibio sullo squarcio riportato sulla fine del secondo capo, ci mostra quale veramente fosse il sistema agrario, almeno della pianura nostra. Pare che il campo il prato ed il bosco vi fossero in una certa uguale proporzione, e sembra potersi dedurre che non erravi a què dì di tante campagne lavorate come sono oggi, altrimenti non avrebbero potuto esservi tanti querceti a nutrire la quasi incredibile quantità di porcine gregge di cui parla lo storico greco. Oltre ciò non erano veramente allora le boscose pianure nostre le più opportune al allevare copiosi bovi, che meglio assai dovevano prosperare nell’antica Italia, cioè nella parte meridionale della nostra penisola.13 Nel Medioevo il bosco è un luogo che assume nelle narrazioni diversi aspetti: è un luogo per nascondersi, oppure dove risiedono figure misteriose malvagie o buone, oppure di conquista, le espansioni di terreno agricolo avvengono a discapito della superficie boschiva, non a caso nasce il termine runcare che significa appunto colonizzare-disboscare. Nel tardo Medioevo diventa parte fondamentale delle proprietà e come tale viene lavorato. L’uomo vi raccoglie i frutti, castagne, ghiande, faggiuole, funghi e frutti minori, vi preleva la legna e le foglie come cibo per l’alimentazione degli animali in inverno quando c’era carestia, vi fa pascolare i maiali. Nei secoli successivi il bosco assume sempre più importanza economica, con lo sviluppo dei commerci mercantili e delle esplorazioni si costruiscono sempre più navi, successivamente con la rivoluzione industriale il legname, oltre ad essere utilizzato per costruire manufatti, viene impiegato in alternativa al carbone per produrre energia utile ad azionare le macchine. Oggi, dopo che per decenni il bosco è stato luogo di razzia (per prelevare materiale da opera e per il riscaldamento), è stato abbandonato come gran parte dei terreni di montagna: il bosco appare ai più come una presenza marginale, lontana, slegata da qualsiasi attività caratterizzata dalla realtà complessiva in cui solitamente vive ed opera: per questo viene spesso invocato come elemento costitutivo del passato, bene semmai da tutelare, da conservare, da avvicinare di tanto in tanto, ma il bosco rimane sempre profondamente estraneo alla vita quotidiana del nostro tempo sta scomparendo perfino dalle fiabe dei bambini. 14 In realtà i nostri boschi raramente sono foreste naturali che non hanno mai visto la presenza dell’uomo coltivatore, soprattutto quelli collinari, per cui una loro conservazione deve passare gioco forza per una corretta coltivazione.
13 Conte Filippo Re, Saggio Storico sullo stato e sulle vicende Dell’Agricoltura Antica dei paesi posti fra l’Adriatico, l’Alpe e l’Appennino, Milano Giovanni Silvestri 1817, pagg. 175-176 14 Bruno Andreolli e Massimo Montanari, Il Bosco nel Medioevo, Clueb Milano 1988 pag.1
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Il bosco da anni non è più presente nelle aree di pianura, se non in piccoli lembi posti in prossimità dei corsi d’acqua maggiori, soprattutto su quelle interessate dal tracciato ferroviario. Diventa componente del paesaggio quando la ferrovia si avvicina alle colline di San Polo d’Enza e Ciano d’Enza ricoperte in parte da fitti boschi. Testimonianza della presenza del bosco nelle terre di San Polo e nelle pianure circostanti la troviamo in diversi testi scritti nel Medioevo. Salimbene da Adams nel suo Cronica, nel descrivere il monastero di Monfalcone posto alle pendici delle colline tra gli abitati di San Polo d’Enza e Quattro Castella scrive: …immerso… in nemore quod est ad radicem Montis Falconis… quasi nascosto fra le dense ombre del bosco15. Altrettanto interessante è un’altra testimonianza tratta dalle Carte dell’Archivio Canossa: il legname da Costruzione impiegato nella rocca e nella torre (costruzione della rocca e della torre di San Polo) fu tagliato nei boschi della Seta: Andegando a li boschi de la Seda per legname da riparare e fortificare questo Castello, quando arrivano a Ronchocesio (Roncocesi) gi è un fosso molto disconzo, dove non sì po’ passare (28 aprile 1455). Roncocesi era terra da bonificare e Seta fitta di Bosco. Boschi si estendevano tra Cavriago e Cella, che non fornivano materiale da costruzione16. La ricostruzione paesaggistica iconografica che si può ottenere leggendo queste carte dell’archivio Canossa è senz’altro interessante, in quanto descrive con un certo dettaglio una vasta area nel circondario di Reggio ricoperta da fitti boschi, situazione paesaggistica ambientale assolutamente non osservabile, ma neanche immaginabile ai nostri giorni. Nei primi anni del 1900 il bosco considerato nel senso stretto del significato della parola era praticamente assente dalle nostre campagne in quanto il terreno veniva tutto utilizzato per la produzione quasi esclusivamente di cereali per la trasformazione in farine e foraggio, come si potrà vedere nelle foto storiche; nella campagna dominava la piantata che delimitava campi aperti destinati a cereali, seminativi e prati. Dopo aver analizzato alcuni degli elementi caratterizzanti un paesaggio, per quanto riguarda quello rurale attuale, due sono gli elementi strutturali inseriti dall’uomo che hanno influenzato l’evoluzione paesaggistica e le attività colturali sul territorio dei comuni di Reggio Emilia, Cavriago, Bibbiano, San Polo d’Enza e Canossa interessati dalla ferrovia: le acque dei canali d’irrigazione e la piantata. Si tralascia la parte relativa alla viabilità e alle tipologie abitative in quanto necessiterebbe di uno studio particolare e più approfondito.
15 Massimo Mussini, Marco Bianchini, Aurora Marzi, Gabriele Fabbrici, Alberto Tedeschi, Massimo Casolari, Roberto Barani, Montefalcone contributi alla storia di un momunento, Tencograf, Reggio Emilia, 1984, pag. 17 16 Odoardo Rombaldi, Millenni sanpolesi, pag. 211
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Fig. 19 paesaggio storico, località San Polo d’Enza (RE) discesa da Grassano di una compagnia di cavalieri primi del 1900, oggi gran parte dei terreni sono ricoperti da fitto bosco. foto di Tito Magnavacchi archivio privato
Fig. 20 paesaggio storico, localitĂ castello di Baiso (RE) vista della valle del Tresinaro agli inizi del 1900, sullo sfondo in primo piano il monte Valestra oggi gran parte dei terreni sono ricoperti da fitto bosco. foto di Tito Magnavacchi archivio privato
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Le acque Questo territorio ai piedi della fascia collinare è il naturale punto di arrivo di molte acque superficiali che si possono suddividere in due grandi bacini idrografici, quello del torrente Enza e quello del torrente Crostolo; i rii minori dei comuni di Canossa e San Polo d’Enza sono affluenti in destra idrografica del torrente Enza, mentre i rii che attraversano i comuni di Bibbiano, Cavriago e Reggio Emilia, affluenti del torrente Crostolo, nascono nella zona pedecollinare prevalentemente nei comuni di Quattro Castella e Albinea. In ogni caso ci troviamo di fronte ad un territorio ricco di acqua, con molte falde acquifere alimentate dai subalvei che tracciano linee d’acqua sotterranee legate anche ai paleo alvei dei torrenti stessi, che nei secoli hanno divagato in una pianura ancora in formazione. Ne sono testimonianza i terrazzi fluviali su cui poggiano i comuni di San Polo e Bibbiano ed in parte Cavriago. L’ing. Lodovico Bolognini nei primi anni del 1800 scrive: spettava a queste Comuni la manutenzione dell’arginatura, come ancora la somministrazione de’ Carreggi, perché prima del mille le acque dell’Enza si spandevano divise in tre rami, ed inondavano con sommi danni quella giurisdizione. Uno di essi sortendo dal torrente superiormente a Montecchio scorreva per Barco e Fossa di Barco nei confini diCavriago passando per laGaida, eCadè diffondendosi nella gran padusa per la parte di Castelnovo, come chiaramente si rileva da un privilegio di Carlo Magno concesso alla Chiesa circa l’anno 800, nel quale assegna per confine della giurisdizione Ecclesiastica, il torrente Enza, che scorre per Barco, Gaida, e Campegine terminando nella valle di Castelnovo17. Quindi oltre ai terrazzi fluviali, traccia geologica della presenza antica di un corso d’acqua, anche le testimonianze storiche riportano di un torrente Enza che lambiva abitati che si trovano a diversi chilometri dall’alveo attuale. I corsi d’acqua naturali che scorrono a Sud dellaVia Emilia sono caratterizzati dagli alvei in fase erosiva, quindi si presentano con vallecole incise, mentre i corsi d’acqua posti a Nord della via Emilia si presentano arginati, in quanto hanno alvei sospesi, posti spesso ad una quota più alta rispetto il piano di campagna. Argini che man mano si scende verso la bassa reggiana, verso il fiume Po, assumono dimensioni sempre maggiori e rendono tridimensionale un paesaggio che mentalmente pensiamo piatto. La presenza di grandi quantità d’acqua ha permesso all’uomo di costruire una rete di canali artificiali. Le acque artificiali della provincia di Reggio Emilia prendono origine dal fiume Secchia e dal torrente Enza: il presente studio tratta solo quelli che prendono origine da quest’ultimo. I due canali principali che spesso interferiscono con la ferrovia sono il canale Ducale o d’Enza (nei documenti storici di Correggio) ed il canale di Bibbiano, altri canali si diramano verso Montecchio e la Provincia di Parma. 17 Ing. Lodovico Bolognini, Memorie idrauliche per il dipartimento del Crostolo, Reggio Co’ tipi di reggiani, MDCCCVIII pag 60
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Il canale Ducale Precedenti al canale Ducale nel territorio di San Polo vengono realizzati altri canali, scrive Odoardo Rombaldi…nel 1359 tra Caviano e Gabriotto (Canossa), cui competono le acque del canale di Caviano, si stipula un accordo che impegna quella comunità a mantenere il canale stesso; si tratta di un do ut des, considerato quod dictum Comune et homines Caviani multum indigent aqua pro ada quando et irrigando terras, prata et erbas. Essi s’impegnano a mantenerlo in funzione con opere, da gennaio a giugno. Nello stesso tempo Obizzo ( padre della prima moglie di Gabriotto Orsina d’Arco), concede a Gabriotto di estrarre l’acqua dal canale di Caviano per i suoi molini…..Ai due canali ricordati fin qui quello di San Giacomo della Cadè e questo di Caviano, se ne aggiunse un terzo, quando nel 1384 Gabriotto consente a Montecchio di scavare un canale su un terreno prativo e vallivo di Gabriotto.18 Il canale Ducale viene realizzato intorno al 1462, scrive Mario Iotti nel 1462 il canale era già ultimato e l’8 luglio dello stesso anno il duca Borso con la famosa Costituzione Borsiana regolamentava la conservazione del canale e l’utilizzazione delle acque. I sampolesi scavarono il tratto di canale che passava sul loro territorio, costruirono una seconda derivazione direttamente dall’Enza (la prima e più importante era l’incile ai mulini di Ciano) ed eresse le brigne (acquedotti) sopra il rio Bertini e quella più impegnativa sul rio Bottazzo. Il duca Borso ed i suoi successori concessero agli uomini di San Polo vari diritti sulle acque e li sollevarono da diverse gravezze per la loro fattiva collaborazione alla realizzazione del canale ed alla successiva conservazione e manutenzione.19 L’Ing. Lodovico Bolognini scrive: Questo è di antica costruzione. Mancano però le memorie onde si possa rilevare la sua origine, ed in quale situazione fossero imboccate le sue acque, che movevano molti molini, oltre quelli di Correggio, che esistevano sino dal 1400.20 Queste affermazioni lasciano aperta l’ipotesi dell’esistenza di canali già in epoche precedenti. Sempre Bolognini afferma: Poco importa al nostro assunto tali erudizioni, e cominceremo dall’epoca certa, della quale i documenti, e disposizioni esistono ancora e sono tuttora in attività. Nell’anno 1462 il Duca Borso di Ferrara, ideò la derivazione delle acque dell’Enza, e riconobbe necessario di levarle nel territorio di Ciano giurisdizione di Borsenna (oggi Rossena) e tradurle per un canale da farsi tutto di nuovo sino ai molini di San Polo, e da condursi a Reggio, e Correggio, fabbricando a tale effetto Ponti-canali, e botti sotterranee atte a traversare i torrenti, che s’incontravano passando per i territorj di S. Polo, Montecchio, Cavriago, Reggio, S. Martino, e Correggio non solo per comodo de molini, che esistevano in ciascuna di queste giurisdizioni, ma particolarmente per uso delle irrigazioni.21 Una interessante descrizione dettagliata del percorso del Canale Ducale viene fatta nel 1720 dal sacerdote geografo reggiano don Giovanni Andrea Banzoli che scrive: ….che si trova prima il Canale Ducale fatto d’ordine del duca Borso l’anno 1462 18 Odoardo Rombaldi, Millenni sampolesi, Tencostampa, Reggio Emilia, 1985, pag. 205 19 Mario Iotti, San Polo d’Enza Feudatari e comunità 1115-1798, Tipolitografia Condor, 1988, pag 41 20 Ing. Lodovico Bolognini, Memorie idrauliche per il dipartimento del Crostolo, Reggio Co’ tipi di reggiani, MDCCCVIII pag 154 21 Ibidem
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come esso dice né suoi capitoli per sovenimento del suo paese, che poi fu donato di Rosena da Enza, e macina, il molino di Cjano passa per una botte sotto il Rio di Ciano, poi sopra il Rio di Lusiera, confini di S. Pollo alquanto doppo passa due rivoli, che anch’essi cadono in Enza per due altissime navi di legno. E doppo si divide in due Canali, e ritornano pure in uno, passa sopra il canale di Castella per la nave di legno detta il Brigon da Favo. E venendo poi sempre a tramontana, se ne passa sotto il Canale dell’Homini di Montecchio, del quale, e di quello della Castella tratteremo a suo luogo. Et arrivato su quello di Montecchio, gl’homini di Raceto, di quel territorio imboccano ancor essi un loro Canale da Enza, e lo fanno cadere nel Ducale, facendo passare la loro acqua per mezzo di due pietre di marmo con quarti segnati in quelle. E dopo congiunte le dette acque assieme passando per detto territorio, detti homini, e Vicedomini, e quelli di Gaida si cavono fuori per mezzo de quarti di marmo forati d’oncie 4, e 4.5 la loro acqua posta in quello, come contengono le capitolazioni del 1366, e nell’istromento convenuto con quell’istessi di Montecchio. Venendo poi a levante passa sopra il sudetto Canale dell’homini per una nave di legno detta la Brigna del Giardino sempre rotta, acciò l’acqua dalla città cada nel loro canale, et arrivato nelli confini di Copriago, ivi passa il canale delle Castella detto di sopra per una nave in pietra. Et in detta nave, vi è posto il quarto, che dà l’acqua al canale di Copriago per adacquare li loro terreni. E caminato per detto territorio, volgendosi hor qua hor là, e passato sopra il rio dell’Avata, del rio del Castello, e di quello Tognacino per nave pur di legno, perviene al confine di Reggio, e scorrendo per il loro distretto, se ne passa tutto tortuoso per le ville di Pratoniera, Codemondo, Quaressimo, e Ronzina. Et avanti arriva alla città, passa sopra il Quaressimo, alla Coviola, al rio Moreno, alla Fossetta, Fossa Marza, Modolena e Quazadore per nave tutte di legno, eccetto l’ultima, che è di quadrelle e calcina. Poi se ne passa sotto Crostolo per una botte, e volgendosi poi intorno alla città, et arrivato al Canal grande vi passa sopra per una nave pur di pietra; e volgendosi sempre, sinchè ritrova il Rodano detto di sopra vi passa per una nave di legno. E passando per la villa di Gavassa, passa pur anche per due navi di pietra detta la Levada, e la Levadella, poste sopra due fossette, quali cadono nel naviglio detto di sopra, e dopo arriva al fiumicello confine di S. Martino, sopra del quale passa per un’ altra nave di pietra. E passando poi per detto territorio di S. Martino pui verso levante passa sopra il dugale detto dell’Argine per una nave, poi passa sotto Tresinara vecchia, e volgendosi a tramontana cammina tanto, che di nuovo trova detta Tresinara, e in quella s’attuffa, e di nuovo sorge per mezzo d’una chiavica fatta dai Correggiesi, et incanalandosi per detto territorio di Correggio per venuto a detta terra, e poi al naviglio detto sopra, in quello si perde e di nuovo uscisse, e se ne va tanto verso tramontana, che perviene a Fabricho et indi a Ruolo. E poi cadendo nell’istesso naviglio, ambidue si somergono poco doppo la Parmegiana, havendo scorso il camino di circa trenta due miglia e macinato quattordici molini, e mantenuto di cavamento nave, ponti, botte da ciascheduno commune per ove passa.22 22 Don Giovanni Andrea Banzoli, da disegni pjante e prospetti della citta di Reggjo suo canale maestro torrenti fiumi e canali del suo distretto con la djocesi del lei Vescovato e con tutto il stato della serenissima casa Estense per uso della Communa Gallana della Cattedrale . A. 1720, inserito nell’Atlante Storico Reggiano, pagg. 102-103, curato da Gino Badini, Reggio Emilia 1985.
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La capacità descrittiva del Geografo Banzoli è confermata dalle cartografie da lui realizzate, straordinariamente dettagliate per quei tempi, come si può vedere nella mappa delle acque della città di Reggio (fig. 21). Nella descrizione del percorso del Canale di Correggio traspare tutta questa sua capacità descrittiva, infatti indica con precisione luoghi, attraversamenti di altri corsi d’acqua e tipi di manufatti presenti lungo il percorso.
Fig. 21 Mappa delle acque dello stato e distretto della città di Reggio, realizzata dal sacerdote geografo Giovanni Andrea Banzoli Archivio di Stato di Reggio Emilia
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Il canale di Bibbiano Questo canale sembrerebbe addirittura antecedente alla costruzione del canale di Correggio, rimane comunque poco chiara la situazione precedente ai dati certi riportati nei documenti storici, perché dai diversi testi e manoscritti emerge che gli uomini hanno sempre utilizzato le acque dell’Enza sicuramente per muovere mulini. Per quanto riguarda il canale di Bibbiano l’Ing. Bolognini scrive: sei sono le imboccature che estraggono le acque dal torrente Enza, e che alimentano altrettanti canali tutti di private ragioni. La prima a tutte superiore si forma sotto il castello di Rossena, il cui canale vien descritto nel Circondario di Correggio. La seconda cade nelle rive di San Polo, e serve la Villa di Bibbiano. La terza giace pure nel territorio di San Polo, e somministrano le acque alla Villa di Pozzoferrato nel distretto di Montecchio. Il canale di Bibbiano porta due macine d’acqua capaci a dar l’opportuno moto a due ruote d’un molino da grano in tempo d’abbondanza d’acqua, ed una scarsa nei mesi estivi. Nell’asta del canale vi sono tre mulini, ed un battirame; serve alle irrigazioni. …Attraversa la Villa di Bibbiano, e quella di Barco, passa sotto il canale di Correggio con un manufatto di pietra, dopo che si divide in due rami….. Il diritto d’estraere queste acque dall’Enza per comodo degli uomini di Bibbiano fu ottenuto da Gabriello Canossa in compenso de’ servigi ad Obizzo d’Este Duca di Ferrara prestati come dallo storico Panziroli -Storia di Reggio Lib.4- questi gli concesse in perpetuo nell’anno 1344 addì 16 Dicembre la facoltà di estrarre l’acqua dall’Enza per uso dè molini, si del Parmigiano, che del Reggiano. ….a render attiva una tale concessione mancava un canale, ed un imboccatura nelle rive dell’Enza, come pure nella giurisdizione di San Polo…. …. Quindi Alberto e Guido figli di detto Gabriello convennero con i possidenti di Bibbiano, che questi costruissero con opere, e terreni del proprio per la formazione di detto canale col patto di potere servirsi delle acque dello stesso canale ed irrigare i loro fondi. Infatti nel 1390 comprarono terre in S. Polo per la formazione, ed imboccatura di questo canale. …. Si estende pure il diritto d’irrigazione alla chiavica di S. Polo detta la Tabarrina, che può usare di quelle acque per i fondi, che le sono soggetti dal levar del sole al sabbato sino al suo tramontare con una luce di oncie dieci ossia met. 0.44. La Villa di Barco gode pure di questo diritto d’irrigazione prevalendosi di quelle acque tre giorni d’undici in undici, come scorgesi dal decreto del supremo Magistrato e grida del 1723.23 Queste acque sono state spesso oggetto di contestazioni tra le diverse popolazioni, non ancora del tutto chiarite con recenti sentenze del XX secolo. Nel 1500 sui territori di San Polo visti gli importanti risultati ottenuti nelle zone del novellarese (bassa reggiana), viene introdotta la risicoltura che, per mezzo secolo circa, porta una particolare trasformazione al paesaggio rurale e ad ulteriori contestazioni tra le giurisdizioni confinanti. Odoardo Rombaldi riporta: La risicoltura introdotta dopo la metà del Cinquecento, 23 Ing. Lodovico Bolognini, Memorie idrauliche per il dipartimento del Crostolo, Reggio Co’ tipi di reggiani, MDCCCVIII pag 62-63
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dai Duchi nel 1563 aveva reso 819 pignoni, in parte esportati, essa si era estesa alla fine del secolo alla metà del Seicento. La popolazione protesta e il Duca intervenne prima per limitarla, poi per abolirla. Le risaie si formarono verso il confine di Montecchio, ad esse erano interessati i proprietari di S. Polo, che in un anno avevano seminato 18 biolche, derivando le acque dal canale Ducale. Seguì il divieto di seminare risi dal canale di Bibbiano in già lontano tre miglia da Montecchio. Si semina sui confini di S. Polo, contigui a Piazzola, Corniano, Monticelli, Bibbiano, e Casale.24 Da questo particolare frammento di storia, Loris Bottazzi, importante scrittore e uomo politico locale, con l’aiuto del ritrovamento di un vecchio manoscritto risalente al 1633 dal titolo Historia de una famiglia in loco casale de Bibiani, in feudo Monticuli, nel Ducato di Modena e Reggio, ha scritto un romanzo storico affascinante sulla vita nelle campagne interessate dalla risicoltura tra San Polo, Bibbiano e Montecchio nel 1600.25 Questa prima parte dedicata alla storia, supportata da una ricca quantità di testimonianze scritte, permette di descrivere le acque come elemento funzionale all’uomo, utilizzate per l’irrigazione (con il conseguentemente grande sviluppo ed aumento della produttività dei terreni) e per azionare macchine per la trasformazione dei prodotti.
Acque interne, valenza ecologica, ambientale e sociale I canali con le loro acque sono da considerarsi nei secoli una permanenza nell’orizzonte del paesaggio, questo lo possiamo affermare osservando attentamente il reticolo che non è stato interessato da grandi stravolgimenti nei tracciati. Al contrario dell’aspetto architettonico, dove la maggior parte dei manufatti è stata rifatta senza rispettare la conservazione degli stessi, andando così perduta una cultura idraulica interessantissima e per certi versi unica in Europa; il mondo delle bonifiche di pianura ne è un esempio particolare. Ma le acque nei canali a loro volta sono elemento iconografico nella composizione artistica del paesaggio, diverse infatti sono le rappresentazioni pittoriche nelle quali sono inseriti i canali; anche la fotografia dei primi anni del 1900 non poteva esimersi da questa rappresentazione, ed ecco che le acque dei canali diventano il luogo di molti scatti. Da un punto di vista paesaggistico è importante nella fotografia la componente naturale dalla quale si possono estrarre tantissime informazioni. Dalle fotografie di Roberto Sevardi (1865-1940), importante fotografo reggiano che ha lavorato a Reggio Emilia tra il 1900 ed il 1930 (dal 1915 apre lo studio fotografico dal nome Premiata fotografia artistica Roberto Sevardi), è possibile osservare, che agli inizi del 1900 i canali al contrario di quel che si pensa, considerando la necessità delle persone di utilizzare tutto il legno immaginabile per scaldarsi e preparare i cibi, erano ricchi di vegetazione anche ad alto fusto, inoltre erano mantenuti in perfetto ordine. Ordine che era necessario alle persone in quanto i canali venivano usati nella vita quotidiana, si abbeveravano gli animali, si faceva il bagno, si lavavano i panni, i bambini si divertivano, si pescava, si passavano dei momenti di socializzazione. 24 Odoardo Rombaldi, Millenni sampolesi, Tencostampa, Reggio Emilia, 1985, pag. 228 25 Loris Bottazzi, La morte ai tempi dell’acqua, Tolitografia l’Olmo, Montecchiostampa,2007
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Fig. 22 alla pagina seguente, paesaggio storico, localitĂ ignota (RE) momento di vita quotidiano vicino ad canale irriguo, 1910. foto di Roberto Sevardi fototeca Panizzi
Fig. 23 paesaggio storico, localitĂ ignota (RE) momento di vita quotidiano vicino ad un fosso, 1910. foto di Roberto Sevardi fototeca Panizzi 42
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Fig. 24 paesaggio storico, località ignota (RE) momento di vita quotidiano vicino ad canale irriguo, 1910. foto di Roberto Sevardi fototeca Panizzi
Oltre alla grande tecnica fotografica di Sevardi, dalle fotografie si può osservare prima di tutto una costante presenza che da valore umano a queste acque. I canali diventano luogo d’incontro, un luogo di riferimento per socializzare, al contrario di oggi dove i canali, se attraversano un centro abitato, vengono tombati e trasformati in un non Luogo in quanto considerati brutti, maleodoranti e riserva naturale di ospiti indesiderati. I corsi d’acqua sia naturali che artificiali, anche di fronte ad una emergente sensibilità culturale ecologica, quando diventano un ostacolo per la realizzazione di un nuovo intervento urbanistico, senza nessuna attenzione alla loro valenza ecologica, vengono chiusi dentro un manufatto di cemento e nascosti alla vista dell’uomo. Rispetto ai comportamenti attuali, diventa desiderio utopistico la realtà rappresentata nelle fotografie storiche, dove si può osservare la grande biodiversità ambientale: sponde ricche di vegetazione, alto contenuto paesaggistico naturalistico e vivibilità sociale dei luoghi. Oggi questi canali, sotto l’aspetto puramente ecologico ambientale, nella maggior parte dei casi, sempre considerando il territorio attraversato dalla ferrovia, sono ricoperti in parte da una ricca vegetazione maggiore composta da pioppi, roverelle e soprattutto da quella che i nostri contadini chiamano la gaggia (robinia pseudoacacia) e da una vegetazione minore quale la cannuccia e altre diverse specie erbacee. Dato che nelle zone di pianura sono scomparsi i boschi oggi si può sostenere che questi canali, se ricoperti di vegetazione, sono diventati a tutti gli effetti dei corridoi ecologici dove vivono un numero considerevole di specie vegetali e animali, quest’ultimi si possono spostare da una zona all’altra all’interno di una fascia protetta. 43
Fig. 25 paesaggio rurale, canale di Bibbiano tra località Barcaccia e Bibbiano (RE) tratto che può essere inteso come corridoio ecologico. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
In questi ultimi anni è in corso un dibattito tra chi vuole mantenere questi canali ricoperti da una vegetazione spontanea sempre più ricca e chi vuole invece i canali con le sponde completamente prive di vegetazione, in virtù di maggiore fruibilità delle stesse per la manutenzione e un maggiore sfruttamento del terreno. Probabilmente una prima risposta sta nelle fotografie di Sevardi dei primi del 1900: la pulizia in equilibrio con gli elementi naturali è probabilmente il compromesso ideale, anche perché la vegetazione che si sviluppa intorno alle sponde dei canali,diventa una siepe, che può portare grandi vantaggi anche alla produzione agricola, come l’aumento dell’umidità nel terreno, barriera al vento, al rumore, alle polveri ecc.. Probabilmente l’attenzione andrebbe invece rivolta alla qualità delle acque di cui pochi parlano. Oltre l’aspetto naturalistico, i canali si portano in dote dal passato tutta una serie di manufatti d’arte, dai semplici ponticelli per l’attraversamento dei fossi, alle chiaviche per la deviazione delle acque, verso il reticolo irriguo minore, ai mulini. Grandi manufatti invisibili sono anche le botti ed i sifoni utilizzati per attraversare altri corsi d’acqua, non presenti nel tratto studiato. Questi manufatti oggi si trovano spesso in pessime condizioni, dovute principalmente alla mancanza di manutenzione e soprattutto all’incapacità di vedere in questi componenti del paesaggio elementi che, oltre tramandare tradizioni, cultura e valori, possono considerarsi un interessante incentivo turistico e quindi economico. Non si tratta di restaurare tutto, un manufatto rurale vecchio, per essere interessante e trasmettere sensazioni, non necessariamente deve essere integro e riportato al nuovo, ma semplicemente essere reso visibile, in modo da esaltare la sua presenza. Diventa importante farlo riapparire dal nascondiglio più o meno naturale nel quale è avvolto, messo in un sistema o in una rete anche così com’è. Il piccolo manufatto, il sistema idraulico, la rete storica territoriale, richiamando visitatori, possono diventare un interessante incentivo economico per una zona che povera non è, ma che ha nel classico cassetto un qualcosa di utile per integrare le economie famigliari e soprattutto per valorizzare nuovi mestieri con nuove professionalità o riscoprirne antichi e riportare al proprio valore il territorio. 44
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Fig. 26 paesaggio rurale, fosso per l’irrigazione, una piccola chiavica di deviazione, tra l’altro una delle non più antiche che si riflette sull’acqua; una volta resa visibile, può attirare l’occhio del fotografo per uno scatto, località Predele a San Polo. foto Fabrizio Frignani primavera 2014
Fig. 27 paesaggio rurale, canale di Correggio località Barcaccia (RE) mulino Spadoni: è ancora presente la ruota verticale in metallo a pale piatte molto fitte, che aziona le macine interne al fabbricato. foto Fabrizio Frignani autunno 2013 45
I canali hanno da sempre visto la presenza dell’uomo sulle loro sponde, agricoltori, dugaroli e campari nel Medioevo, li hanno sempre tenuti sotto osservazione, ognuno per le proprie finalità. Ma i canali sono stati anche abitati dall’uomo, un esempio sono i mulini che, oltre ad essere un fabbricato industriale dove si trasformano le sementi in farina, era l’abitazione del mugnaio e della sua famiglia. La convivenza con i canali e le acque ha fatto sì che in alcuni casi le sponde dei canali sino diventate un luogo per vivere.
Fig. 28 a destra, paesaggio rurale, canale di Correggio località Barcaccia (RE) via Mole. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
Non pochi sono i casi in cui le abitazioni rurali sono state costruite non a ridosso ma sui canali stessi. Ne è un esempio Il canale di Correggio che, nell’attraversare il paese di Montecchio, dove il corso d’acqua non è stato ricoperto con tombamenti, ci permette di ammirare paesaggi urbani veramente suggestivi: purtroppo le porzioni scoperte visibili sono scarse, a conferma della blanda considerazione del ben acqua da parte dell’uomo. Pochi chilometri più a monte, in località Barcaccia nel Comune di San Polo d’Enza, nel tratto urbano il canale presenta caratteri interessanti, intervallati da interventi di tombamento di pessimo gusto. In questa località esistono ancora due mulini (Spadoni e Barazzoni), ma soprattutto si può trovare una serie di abitazioni costruite con il fronte Est proprio sul canale, quasi fosse la volontà dei proprietari di costruirsi un affaccio difeso dalle acque. Anche in questo caso lo scenario paesaggistico è decisamente suggestivo. Salendo verso San Polo, il canale Ducale è spesso a contatto diretto con le case abitate dall’uomo, fino ad arrivare in centro paese, dove il canale divide la parte antica costituita dal borgo che contiene il castello, la chiesa, la torre, dalla parte più vecchia del centro abitato vero e proprio. Il canale sino alla fine degli anni 80 del 1900 vedeva la presenza di una cartiera, che fino a pochi anni prima utilizzava l’acqua del canale per azionare le macchine. 46
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Una situazione particolare è stata rilevata a Cavriago in via Tornara zona Sud Est del paese. Qui una famiglia contadina ha vissuto a diretto contatto con l’acqua del canale; il fabbricato rurale infatti è costruito sulla sponda destra ed i muri sono diventati parte integrante del canale. Il fabbricato si trova in prossimità del passaggio a livello della ferrovia che oggi delimita perfettamente l’ambito urbano, ma che un tempo era segnato dal canale irriguo, entrambi veri e propri limiti-confini urbanistici che si sono succeduti nel tempo. Del fabbricato è suggestiva la composizione architettonica: sono evidenti i due classici corpi tipici della casa rurale reggiana, abitazione da una parte e stalla-fienile dall’altra, probabilmente una volta uniti dalla porta morta alla quale si accedeva tramite il ponticello che collegava l’edificio alla viabilità locale (fig. 29).
Fig. 29 paesaggio rurale, canale di Correggio località Cavriago (RE) via Tornara. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
Per certi aspetti incuriosisce la parte utilizzata ad abitazione, in quanto presenta gli elementi architettonici tipici della casa rurale a porta morta. Tuttavia anziché affacciarsi sull’aia le finestre hanno l’affaccio sul canale; probabilmente da queste la resdora (padrona di casa), poteva controllare i viandanti che passavano o che chiedevano di entrare. In questo caso, vista la vicinanza alla viabilità e l’assenza dell’aia esterna, la porta morta era chiusa completamente da un portone in legno oppure da un cancello di grandi dimensioni. Altro elemento di curiosità è la porta dell’abitazione che dà direttamente sul canale; evidentemente un tempo c’era un ulteriore ponticello che collegava la casa alla strada. Così interpretata, questa abitazione risulta essere ribaltata rispetto alle tipiche case contadine (aia a Sud ed 47
affaccio della cucina sullo stesso lato), probabilmente il canale ha influenzato anche la distribuzione interna, dando prevalenza alla necessità di proteggersi da chi proveniva dalla strada. Oggi il ponticello con la struttura della stalla sono da sostegno alla chiavica, come si può vedere nella fotografia 29. Siamo passati dal vivere direttamente le acque del canale dei tempi andati, dando a queste l’importanza che avevano per la vita quotidiana, all’indifferenza quasi totale che oggi il cittadino ha verso questi elementi artificiali costruiti dall’uomo fin dai tempi antichi; abbiamo perso completamente la cultura dell’acqua.
Fig. 30 paesaggio rurale, canale di Correggio località Cavriago (RE) via Tornara, particolare della porta d’ingresso. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
Una cultura dell’acqua I canali irrigui fanno parte di quella complessa rete idraulica ai più dimenticata, che interessa questa zona di studio. Acque che più o meno velocemente vengono portate in pianura e quindi nel fiume Po. Una rete di acque naturali e artificiali, completata da quel reticolo minore di canaletti e fossi che diventano elemento più o meno visibile del territorio di cui spesso dimentichiamo l’esistenza, accorgendocene solo quando l’acqua tracima ed esonda sui terreni agricoli o sul territorio urbanizzato che occupiamo. A quel punto ci lamentiamo e giustifichiamo il tutto con la motivazione che oggi sono aumentate le precipitazioni. Sicuramente il fatto che cada dal cielo una quantità maggiore di acqua in un tempo minore rispetto ad alcuni anni addietro è inconfutabile; ma è altrettanto vero e fuori discussione, che la rete idraulica minore è stata spesso obbligata per esigenze umane, all’interno di tubi in cemento, rilevatisi non adeguati alla sezione idraulica del fosso stesso che sostituiscono. Tubi che in assenza di pulizia dei fossi vengono intasati da ogni genere di rifiuto e quindi banalmente si tappano non permettendo il deflusso delle acque. Le stesse argomentazioni possono valere per la rete idraulica maggiore, con una grande differenza tra i corsi d’acqua naturali ed i canali d’irrigazione; questi ultimi per diverse motivazioni, anche economiche, sono sottoposti ad una maggiore attenzione per 48
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cui il problema diventa la manutenzione. Per affrontare queste problematiche, probabilmente dobbiamo cambiare il nostro punto di vista rispetto a questi oggetti idraulici (almeno quelli di antica o tradizionale fattura), che devono essere considerati a tutti gli effetti elementi di archeologia idraulica, ma che hanno ancora oggi una loro utilità funzionale. Non si riesce capire perché si devono sottoporre a tutela o ad osservazione della sovraintendenza edifici che hanno superato i 50 anni di età, mentre i manufatti irrigui sparsi nei campi, possono essere buttati tranquillamente via e sostituiti con manufatti in cemento, lasciato praticamente sempre a vista in modo che il nuovo oggetto sia ben visibile nel campo. Continuando con questo comportamento, andremo a perdere in poco tempo tutti quei piccoli manufatti realizzati quasi sempre in mattone pieno con cura maniacale. Nel tempo hanno assunto un colore particolare: il colore della vecchiaia che di stagione in stagione alterna cromatismi, prima vivaci poi caldi infine freddi, colori che danno poesia al paesaggio.
Fig. 31 paesaggio rurale, fosso per irrigazione in via Sessanta località San Polo d’Enza (RE) particolare di un momento d’irrigazione che si effettua ancora per scorrimento superficiale; il ponticello di attraversamento in realtà è una piccola chiavica realizzata in mattoni. In questa foto si può vedere il metodo d’irrigazione tipico per il prato stabile, oggi da molti agricoltori sostituito con sistemi di irrigazione meccanici, più veloci, ma che da un punto di vista ambientale sono decisamente più impattanti, in quanto il sistema tradizionale funzionava senza l’ausilio di energia, era ad impatto zero. Questo metodo utilizzato da sempre aveva un unico inconveniente, gli orari per l’irrigazione li dettava il Dugarolo, importante figura di origine medievale. La lunga giornata lavorativa del contadino poteva dunque protrarsi fino a tarda notte. foto Fabrizio Frignani estate 2013 49
La cultura dell’acqua è ciò che manca alle nostre generazioni, sempre troppo abituate alle semplificazioni della tecnologia. A chi vive nel mondo civile basta aprire un rubinetto e l’acqua è lì pronta, se proprio va male andiamo a prenderla al supermercato. Quando cade dal cielo da fastidio perché ci si bagnano i piedi e si sporcano le scarpe all’ultimo grido pagate centinaia di euro. Quando è troppa produce danni, dimenticandoci che siamo stati noi con le nostre opere a non permetterle di rioccupare i propri spazi naturali. Danni autoprodotti da noi che costringiamo l’acqua ad andarsene velocemente e non a percorrere lentamente il territorio sulla quale cade e attraversa. Quando cade allo stato solido, apriti cielo, non si può uscire di casa, si scivola con l’auto, ma nella peggiori delle ipotesi si scivola a piedi, poi già cinque centimetri non ci permettono di uscire di casa, perché nessuno è venuto a pulire le strade ed i marciapiedi. Ricordo: il mio bisnonno che abitava nella piccola frazione di Vedriano del comune di Canossa ( RE), mi raccontava che quando nevicava (e nevicava sul serio) tutti gli uomini del paese si ritrovavano e spalavano la strada a mano per alcuni chilometri, fino ad arrivare a Trinità, dove poteva esserci anche il dottore, quello che curava la gente, utile alla comunità per salvare una vita. Mio bisnonno faceva parte di quel mondo contadino rispettoso dei tempi della natura; che dettava i ritmi della vita. Anche se c’erano screzi personali, in caso di bisogno (come la semplice pulizia delle strade dalle neve) la comunità si univa e svolgeva un qualcosa per tutti, così come ognuno nel proprio campo puliva i fossi e manteneva tutto in ordine per il bene di tutti. L’Archeologa Renate Tölle Kastenbein, esperta in archeologia idraulica, autrice di diverse pubblicazioni sulla cultura dell’acqua scrive: Cultura dell’acqua con questa espressione si richiama il significato dell’ampio concetto di cultura sotto diversi aspetti. Il temine cultura designa innanzitutto l’insieme degli sforzi compiuti da una comunità per soddisfare le esigenze fondamentali dell’uomo.26 L’acqua nell’antichità era un bene prezioso, era un’esigenza fondamentale e spesso per poterla avere ed utilizzare era la comunità che se ne occupava, costruendo acquedotti, cisterne e quant’altro era utile per poterla portare da un luogo ad un altro: era un bene comune. Oggi molti non avendo più una cultura dell’acqua non la considerano elemento vitale in quanto, in modo molto semplicistico pensano: se ho sete da qualche parte compro l’acqua di cui ho bisogno. Ma aggiungo fino a quando ce ne sarà. Purtroppo questo concetto, per cui tutto ha un prezzo e tutto si può comperare sta disgregando una cultura generale che l’uomo ha acquisito in migliaia di anni non accorgendosi che l’acqua, specialmente quella dolce non è un bene infinito. Un grave segnale d’allarme è l’assoluta non percezione di quello che sta succedendo, con il surriscaldamento del pianeta e con il conseguente scioglimento dei ghiacciai alpini; per molti è difficile collegare la massa solida dei ghiacciai alpini con le falde freatiche della Pianura Padana e la conseguente diminuzione di questi grandi– piccoli serbatoi di vita. 26 Renate Tölle Kastenbein, Archeologia dell’acqua la cultura idraulica nel mondo classico, Longanesi e C., 1990 pag. 7
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La piantata Elemento caratterizzante i terreni agricoli fino agli anni 70 del 1900 era una coltura promiscua costituita dalla coltivazione della vite in filari sostenuta dalla piantata e, tra un filare e l’altro uno spazio aperto da destinarsi ai cereali o al foraggio molto importante in questo territorio per la produzione del parmigiano reggiano. La piantata era caratterizzata da filari di piante, generalmente olmo, acero campestre o piante da frutto come ciliegio, noce, roverelle che sostenevano la vite. Emilio Sereni afferma che il sistema della piantata risale agli Etruschi: Nell’elaborazione del paesaggio agrario dell’Italia centro settentrionale, tuttavia già in età etrusca sembra cominci ad assumere un rilievo particolare un elemento paesaggistico che manca nell’ambito della colonizzazione greca, e che diverrà invece decisivo nell’area del dominio etrusco, appunto: vogliam dire un sistema di allevamento della vite che a differenza di quello greco, nelle terre più fresche e più grasse dell’Italia centro settentrionale, lascia più libero sfogo al rigoglio dei tralci, che si lasciano correre in lunghi festoni, alti sul terreno, ed eventualmente appoggiati ad un sostegno vivo.27 Nel periodo romano si assiste a una diffusione della coltivazione della vite, ma solo nell’Italia settentrionale, c’è un notevole sviluppo della piantata o dello sviluppo della vite su sostegno vivo, sempre Sereni afferma: In età romana più avanzata, comunque la piantata di alberi vitati è comunemente denominata, piuttosto che rumpotinetum, che ci si presenta come termine della nomenclatura tecnica locale, arbustum gallicum, cioè piantata all’uso gallico: non già perché queste popolazioni avessero avuto una parte di rilievo nella diffusione di questo sistema di allevamento della vite ( che esse certo non praticavano nei loro territori doltr’alpe), ma per il fatto che proprio la Valpadana, la Gallia Cisalpina, ove gli invasori gallici erano subentrati ai coloni etruschi, era ormai il settore, nel quale il sistema della piantata di alberi vitati cominciava ad improntar più caratteristicamente delle sue forme il paesaggio agrario.28 Testimonianze della presenza della piantata nella pianura padana, nel periodo romano le riporta anche il l’agronomo Fillppo Re, che scrive: Varrone nel descrivere i quattro modi con cui solevasi nelle provincie formare le vigne, una particolare ricorda della campagna milanese ch’è delle viti attaccate agli alberi. Era questo il metodo comune a tutta l’intera Italia transpadana, ed io credo poterlo stabile proprio dell’intera Gallia citeriore, certamente dell’Emilia.29 Nel Medioevo si possono ipotizzare diversi periodi nei quali prima la piantata 27 Emilio Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Editori Laterza, 1961, pag 40 28 Ivi pagg 41-42 29 Conte Filippo Re, saggio storico sullo stato e sulle vicende Dell’Agricoltura Antica dei paesi posti fra l’Adriatico, l’Alpe e l’Appennino sino al Tronto, Milano, Giovanni Silvestri, 1817, pag 223.
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subisce una regressione e periodi in cui viene considerata importante per la stabilità del territorio. Queste considerazioni non valgono per la coltivazione della vite che era considerata nell’alto Medioevo coltura privilegiata. Nei territori della Val d’Enza la vite era molto diffusa. Ne testimonia Odoardo Rombaldi quando riporta un decreto di Uguccione sulla protezione della vigna, proibendo l’allevamento delle capre: per la moltitudine de le vigne che se piantano in questa terra, che sono la maggior entrata che habiano questi homini (1455 8 ottobre).30 Dal XII° al XIII° in tutta l’Emilia seppure con differenze fra zona e zona, l’economia si orienta decisamente verso la cerealicoltura e la viticoltura31, questo porterà ad un forte impatto dell’uomo sull’ambiente naturale che verrà progressivamente modificato. La modificazione dell’ambiente è fortemente voluta per aumentare la produttività dei terreni, addirittura alcuni statuti riportano l’obbligo ad abbattere le piante maggiori per evitare l’ombreggiatura. L’Episcopato di Reggio da ordine tramite Statuti di abbattere tutte le piante anche se sostegni di viti.32 Questa tendenza verrà modificata a seguito delle diverse carestie nel basso Medioevo: al poco foraggio si dovevano aggiungere conseguentemente, per nutrire gli animali di molte aziende rurali la paglia, le frasche, le ghiande, la pula, le vinacce. Nell’inverno la paglia costituiva spesso l’unico o il più importante foraggio disponibile. La mietitura del grano a metà stelo serviva anche per assicurare un magro pascolo al bestiame sui campi, così come la diffusione di sostegni vivi per le viti è riconducibile alla necessità di approntare alberi per la raccolta del frascame.33 Dal XVI° al XVIII° la piantata diventerà l’elemento dominante del paesaggio agrario della pianura padana e anche delle prime colline: questa forte espansione comincia nel 1500 quando, a seguito della costruzione di cavedagne e fossati, i campi assumeranno forme regolari e lungo i cigli verranno impiantati filari di piante.34
30 Odoardo Rombaldi, Millenni sampolesi, Tencostampa, Reggio Emilia, 1985, pag. 211 31 Bruno Andeolli, Vittorio Fumagalli, Massimo Montanri, Le campagne italiane prima e dopo il 1000, Club Bologna, pag 104 32 Ivi, pag. 106 33 Giovanni Cherubini, L’Italia rurale del basso medioevo, Laterza, pagg 29-30 34 Emilio Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Editori Laterza, 1961, pag 179
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Fig. 32 Opera Pia S. Pietro e Prospero, mappa delle possessioni del territorio di Pratonera (RE), in questa mappa risalente al XVII°-XVIII° si possono leggere i filari di piantata e sono descritti dei pascoli.presso Archivio di Stato di Reggio Emilia
Nel 1700 nella pianura padana c’è una forte accelerazione dell’estensione della piantata in quanto quest’area si pone all’avanguardia nel progresso agronomico in Italia come riportato da Emilio Sereni: la diffusione della piantata è strettamente connessa, nella Valle Padana, con tutta una evoluzione progressiva dei sistemi agrari, alla quale sarebbe difficile trovare riscontro nell’Italia centrale: e non si tratta solo della rapida diffusione della coltura del gelso e della canapa, ma dell’ulteriore diffusione del prato artificiale sia asciutto che irriguo, dell’entrata delle foraggere, del granoturco, della canapa, del lino e di altre piante industriali a rotazione continua, del miglioramento dei metodi di lavorazione del terreno e della sua sistemazione idraulica ed irrigua.35 Anche l’agronomo Filippo Re tratta dei vantaggi che la piantata porta ai terreni e per questo deve essere conservata: non erano soltanto il salice e l’olmo a cui maritavasi come abbiamo detto la vite e che servivano a dividere in tanti regolari campi con filari d’alberi, metodo che è doppiamente vantaggioso non solo pel doppio frutto 35 Emilio Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Editori Laterza, 1961, pag 278
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che ricaviamo, ma perché sono le piante riparo alla forza dei venti, ed al soverchio alidore, mentre le foglie che ogni cadono al suolo lo ingrassano.36 Per quanto riguarda il territorio reggiano, la piantata si conferma elemento prevalente nel paesaggio: interessanti sono le mappe prediali dei possessi di Ottavio, Giacomo, Giuseppe Manodori di Valestra, proprietari di diversi fondi sul territorio reggiano, redatte nel 1708, realizzate con una meticolosità e precisione da periti agrimensori dell’epoca, difficilmente ipotizzabile oggi, talmente belle che si possono considerare opere d’arte. Da queste mappe è possibile ricostruire le coltivazioni in atto nei poderi di proprietà della famiglia Manodori. Il prato è indicato con un fondo verde e generalmente è privo di alberi o filari di alberi, il seminativo generico è probabilmente quello lasciato con fondo bianco con i filari di piante, delle quali viene distinta ogni singola specie; non si parla mai di vite, mentre il bosco è presente nella maggior parte delle possessioni. Sulle mappe sono riportati inoltre dati relativi alle superfici, alla toponomastica, ai nomi dei proprietari confinanti: una enorme banca dati.
Fig. 33 mappa prediale delle proprietà Manodori, redatta dal perito agrimensore Carlo Zambelli; sulla sinistra la legenda, riporta i diversi tipi di piante che costituiscono i filari riportati sulla mappa: pomi, peri, noci e querce, in verde il prato. Fondo Manodori presso Archivio di Stato di Reggio Emilia
36 Conte Filippo Re, saggio storico sullo stato e sulle vicende Dell’Agricoltura Antica dei paesi posti fra l’Adriatico, l’Alpe e l’Appennino sino al Tronto, Milano, Giovanni Silvestri, 1817, pag 238.
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Fig. 34 mappa prediale delle proprietà Manodori, redatta dal perito agrimensore Carlo Zambelli: sono riportati i beni della proprietà nei pressi di Borzano di Albinea (RE) coltivazioni sono più differenziate rispetto all’immagine precedente, è presenta anche il bosco. Fondo Manodori presso Archivio di Stato di Reggio Emilia
L’800 è un secolo molto particolare per l’agricoltura, nella pianura padana si espandono le colture industriali, la risaia ed il prato irriguo rivoluzionano il paesaggio e, per dare spazio a queste tipologie agricole, ne fa le spese la piantata che fino a quel momento aveva imposto al paesaggio una trama geometrica ben precisa. Con queste nuove coltivazioni viene completamente cambiata la tessitura-trama del paesaggio che sotto certi aspetti diventa meno evidente. Non tutta la Pianura Padana è interessata da questo fenomeno ed il territorio reggiano ne è una conferma: nella bassa pianura la piantata persiste e nei primi decenni del secolo successivo subirà addirittura un forte incremento. Una testimonianza della presenza della piantata e della vite maritata si trova nella stima effettuata l’11 agosto 1877 per la domanda dell’Amministrazione del Collegio Convitto Maschile di Reggio Emilia per ottenere il riconoscimento ad Ente Morale, redatto dal notaio Alberto Bonati. Nell’allegato H si riporta:il primo principale che 55
comprende terreni aratori, alberati, vitati ed a prato, il bacino d’acqua, la ripa boscata ed i fabbricati sopra descritti…. Il secondo corpo prato irrigabile detto il Perdeto… Osservazioni: il Perdeto si può irrigare con le acque che derivano dall’Enza secondo gli usi ed i diritti sin qui praticati e quali risultano dagli atti esistenti presso la Direzione Demaniale di Reggio Emilia. 37 Sempre nello stesso documento c’è la descrizione della Possessione del Ghiardo nella Villa di San Bartolomeo nel Comune di Bibbiano composto da terreni aratori, alberati, vitati ed a prato con fabbricato colonico e rustiche dipendenze.38
Fig. 35 vista del Monastero di Montefalcone San Polo d’Enza (RE). foto Fabrizio Frignani estate 2013
Arriviamo al 1900, la piantata nel periodo che va dai primi anni del secolo agli anni ‘60-’70, quando verrà praticamente eliminata, è elemento fondamentale del paesaggio rurale, ne disegna le trame, permette di integrare le produttività. L’albero tutore della vite diventa un albero destinato alla produzione per diverse necessità in campagna. Olmo ed acero campestre, a volte anche altre piante, con la caratteristica capitozzatura forniscono al contadino pali dritti utilizzati anche per costruire strumenti, legname sia in fasciame che da taglio, foglie da dare da mangiare agli animali o per fare le lettiere agli stessi e a volte anche imbottitura di materassi e cuscini. H.Desplanques, uno dei maggiori geografi francese degli anni 50 del 1900 (la Francia è il paese dove nasce lo studio della geografia rurale) afferma: che i campi siano recinti o no, che gli appezzamenti siano allungati, quadrati o irregolari, e questi aspetti non si devono trascurare, il problema essenziale per capire i paesaggi 37 Ibidem 38 Ibidem
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rurali è proprio quello delle piantagioni stesse, viti e sostegni. I filari costituiscono la trama fondamentale del paesaggio, regolano o rivelano le forme e le dimensioni delle particelle agrarie, i tipi di sistemazione del suolo, e sono legati strettamente ai viottoli dei campi.39 Documento storico iconografico per eccellenza, vista la diffusione sia delle macchine fotografiche sia dei supporti per lo sviluppo, diventa la fotografia, sia paesaggistica sia quella che ritrae momenti di vita quotidiana nell’aia e nei campi, immagini dalle quali con un attenta osservazione è possibile fare una descrizione precisa sullo stato del paesaggio. A seguito, riporto una sequenza di fotografie, una carrellata d’immagini con cui è possibile osservare una finestra temporale di circa 60 anni, suddivise per decennio, dalle quali si può leggere dettagliatamente il paesaggio agrario reggiano, dalla collina alla bassa pianura; l’elemento paesaggistico comune è la piantata e per le immagini il bianco e nero.
Primi anni ‘900
Fig. 36 vista del borgo di Cadorio a San Polo d’Enza (RE), nei primi anni del 1900, sullo sfondo la campagna che si estende verso la pianura è completamente ricoperta di filari di alberi. foto Tito Magnavacchi archivio privato. 39 H Desplanques, Il paesaggio rurale della coltura promiscua in Italia, Rivista geografia Italiana, 1959, pag. 29
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Questa foto è stata realizzata nei primi anni del 1900, scattata sopra il borgo di Cadorio a San Polo d’Enza sulla pedecollina reggiana con orientamento Sud–Nord. Fa parte di una serie foto (fondo fotografico da me studiato) riprodotte da lastra in vetro, scattate da un fotografo locale, che ritrae l’antico borgo con alle spalle la campagna ricoperta da continui filari di piante; sullo sfondo si vede la Chiesa di Pontenovo. Oggi tutta l’area agricola, compresa tra il borgo di Cadorio e la chiesa, è scomparsa, sostituita da abitazioni e capannoni uso industriale-commerciale. Purtroppo ad oggi non sono ancora riuscito a fare la fotografia per la comparazione delle modificazioni del paesaggio, in quanto il punto di vista è impraticabile a causa dello sviluppo di un bosco di notevoli dimensioni.
Anni 1910 circa
Fig. 37 vista della campagna reggiana intorno al 1910, le alberature rigogliose a sostegno della vite sono elemento dominante dell’immagine Foto Roberto Sevardi. fototeca Panizzi Reggio Emilia
Roberto Sevardi è un fotografo molto attivo in questo periodo a Reggio Emilia e Provincia. Oltre ad una corposa raccolta d’immagini per cartoline, ci ha lasciato molti scatti di vita quotidiana, spesso in ambito rurale. Questa fotografia ritrae un ambiente rurale rigoglioso l’erba è alta, le piante delle viti hanno un buon diametro, e sono molto sviluppate in altezza. I tutori sono costituiti sicuramente da olmo ma potrebbero essere anche acero, in ogni caso sono molto alti e sembrano privi della tradizionale capitozzatura nella parte superiore. Interessante è anche la parte umana dell’immagine, composta da tre persone una delle quali è un bambino, per cui si può pensare che siano componenti di una famiglia. La donna che lo tiene per mano porta 58
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sulle spalle un grande rastrello tutto di legno. Dalle foto di Sevardi traspare sempre una campagna ricca ed anche i contadini raffigurati non sembrano poveri come spesso mentalmente pensiamo oggi di quel periodo. Probabilmente nel periodo precedente la prima guerra mondiale, nella nostra campagna, si stava bene.
Anni ‘20
Fig. 38 vista dell’abitato di Bibbiano nel 1920, la campagna rigogliosa è ricca di alberature. fototeca Panizzi Reggio Emilia
Fig. 39 fotografia comparata, vista dell’abitato di Bibbiano dalla base del Castello di Bianello a Quattro Castella. foto Fabrizio Frignani primavera 2014 59
Per rendere immediata la lettura della variazione paesaggistica avvenuta nel tempo, in questo caso propongo una comparazione con la situazione attuale. Per quanto riguarda la foto storica possiamo osservare una suggestiva immagine di Bibbiano, ripresa sicuramente dal castello di Bianello a Quattro Castella intorno al 1920. Il punto di ripresa è sicuramente una finestra del castello che guarda a Sud verso la pianura, questo lo si può affermare in quanto l’immagine è priva di orizzonte. Probabilmente, visto che si tratta di una cartolina, l’immagine stampata è stata ritagliata da un’immagine panoramica più grande. Nel realizzare lo scatto per la comparazione ho cercato il punto di vista, prima su foto aeree recenti mentre, in campagna ho cercato la linea di visuale libera. Mi sono accorto che, anche se utilizzavo un tele medio, non sono riuscito assolutamente a realizzare il riquadro stampato senza inquadrare una buona fetta di orizzonte. Considerando che ai primi del 1900 non era abituale utilizzare teleobiettivi e la mia posizione di scatto è almeno un centinaio di metri più vicino rispetto al castello, luogo dove è stata scattata l’immagine storica, opto per confermare l’ipotesi sopradescritta per la produzione della stampa. Nella foto storica, in primo piano c’è la Chiesa di Santa Maria Assunta, a fianco la Pieve, intorno e sullo sfondo domina la piantata, dai filari regolari che delimitano una maglia geometrica dei campi. La comparazione con la fotografia attuale mette in evidenza la grande variazione paesaggistica, risalta l’antropizzazione dovuta alla costruzione di una quantità incredibile di fabbricati dalle diverse forme, superfici e destinazioni d’uso conseguente all’urbanizzazione. C’è un forte incremento della vegetazione che occupa giardini privati con alcune specie non autoctone, ma di grande rilevanza decorativa che ostruiscono la visuale sull’orizzonte; in questo caso, almeno per quanto riguarda la parte aerea delle piante, ci troviamo di fronte ad una positività ambientale, non necessariamente corrisponde alla base con giardini e terreni naturali. All’orizzonte è scomparsa la piantata, di conseguenza anche il paesaggio geometrico tridimensionale, sostituito da un paesaggio sempre geometrico, ma privo delle delimitazioni verticali rettilinee, sostituite da una maggior presenza di vegetazione d’alto fusto lungo i corsi d’acqua naturali o artificiali.
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Anni ‘30
Fig. 40 volo aerofotogrammetrico dell’IGM del 1934-35, porzione di territorio compreso tra Quattro Castella e San Polo d’Enza, l’edificio di grandi dimensioni al centro della fotografia è il Monastero di Montefalcone. Ufficio Cartografico della Provincia di Reggio Emilia
Anche in questo caso per fare valutazioni immediate sullo stato della piantata, ho confrontato un documento storico con una foto area di recente realizzazione (2011). La prima immagine aerofotogrammetrica è di un volo sperimentale composto da diversi fotogrammi, racchiusi in due strisciate eseguite dall’IGM nel 1935, una prima strisciata sul territorio di Quattro Castella ed una seconda sul territorio di Castelnovo Sotto. In questo caso ho scelto un fotogramma che compone la strisciata realizzata sulla zona di Quattro Castella. Al centro di questa immagine è visibile il Monastero di Montefalcone, oggi posto sul territorio di San Polo d’Enza, più volte menzionato in queste pagine. Molto leggibili sono la viabilità, la rete dei canali, ma soprattutto risalta il fitto mosaico dei campi con la piantata che ha orientamento prevalente Sud–Nord. Il canale di Correggio o Ducale, è praticamente privo di vegetazione, mentre ci sono delle fasce boscate-siepi lungo le strade vicinali interne e lungo i corsi d’acqua naturali. 61
Fig. 41 volo aerofotogrammetrico della Regione Emilia Romagna realizzato nel 2011, località Comune di San Polo d’enza (RE)
I borghi denominati spesso con Villa, si presentano ancora con la forma dell’impianto storico e sono ben distaccati tra loro. Scarsissima è l’antropizzazione del territorio. Nello stralcio fotogrammetrico realizzato nel 2011 il territorio e relativo paesaggio, risultano completamente trasformati. La piantata è praticamente scomparsa si nota un certo sviluppo del bosco, sia nella zona in collina sia nelle zone pianeggianti limitrofe ai corsi d’acqua naturali. Oggi le Ville a causa di urbanizzazioni estese in alcuni casi si sono quasi unite, perdendo tutti quei caratteri storico-culturali insiti nel borgo, spesso rappresentativi di una famiglia che da tempo si trovava su quel podere. Bisogna evidenziare continue interferenze tra aree urbanizzate ed aree rurali, con una mescolanza continua tra aree artigianali ed aree residenziali, il tutto senza la realizzazione di filtri naturali come parchi, siepi o zone alberate. Le immagini come inserite nella pubblicazione sono fuori scala, pertanto non è possibile fare comparazioni con misure reali. 62
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Fig. 42 fotografia del 1936, località Coviolo di Reggio Emilia. Fototeca Panizzi Reggio Emilia
Immagine scattata nel 1936 in località Coviolo nella prima periferia di Reggio Emilia. La composizione fotografica è spettacolare oltre che perfetta, chi l’ha eseguita era un fotografo che conosceva bene la materia. Da un punto di vista paesaggistico, siamo in presenza della più classica piantata, albero tutore che sostiene la vite dallo sviluppo molto alto. Da questa immagine si può affermare che siamo in presenza di un’azienda agricola importante con una certa ricchezza economica in quanto sullo sfondo c’è un cavallo al pascolo, animale pregiato per i conduttori agricoli, utile per trainare carri, ma soprattutto il calesse. Nel 1936 non si utilizzava il cavallo per i lavori in campagna, si prediligevano i buoi e, dove possibile, il trattore meccanico. Altro indicatore di ricchezza è la quantità e la varietà degli animali da cortile ai quali la donna sta dando da mangiare. 63
Anni ‘40
Fig. 43 volo aerofotogrammetrico della RAF del 1944 durante il secondo conflitto mondiale l’agglomerato urbano in basso a sinistra è Cavriago. Fototeca Panizzi Reggio Emilia
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Fig. 44 volo aerofotogrammetrico della Regione Emilia Romagna realizzato nel 2011, località Comune di di Cavriago (RE)
Come per gli anni ‘30, per fare valutazioni immediate sullo stato della piantata ho confrontato un documento storico con una foto area di recente realizzazione. Si tratta di una fotografia aerea realizzata dalla RAF nel 1944 durante i bombardamenti di Reggio Emilia dove è ben visibile l’abitato di Cavriago, ancora suddiviso in borghi con vaste aree agricole all’interno. Oltre la rete viaria e ferroviaria, appare come sfondo dell’immagine il mosaico costituito dalle diverse colture. Anche in questo caso i filari delle piantate risaltano nel piano orizzontale della fotografia. Nel mosaico geometrizzato della campagna, costituito principalmente da campi di forma rettangolare, risalta sul lato destro una porzione del territorio che assume un andamento sinuoso–ondeggiante, tipico della presenza in tempi passati di un corso d’acqua importante. Nello stralcio fotogrammetrico realizzato nel 2011, il territorio e relativo paesaggio risultano completamente trasformati. In pratica valgono le stesse considerazioni fatte in precedenza sulla foto aerea della zona di San Polo d’Enza. In questo caso direi che è andata persa maggiormente la possibilità di lettura del mosaico agrario e territoriale, ad esempio sono meno evidenti le maglie dei terreni che mi hanno permesso d’individuare 65
gli antichi alvei dei corsi d’acqua molto più marcati nella foto storica. Anche in questo caso, le immagini come sono state inserite nella pubblicazione sono fuori scala, pertanto non è possibile fare comparazioni con misure reali. Anche l’orientamento delle immagini è diverso, quella attuale è orientata con il Nord geografico.
Fig. 45 volo aerofotogrammetrico della RAF del 1944 durante il secondo conflitto mondiale in evidenza Reggio Emilia con bombardamento e relativa esplosione in corso. Fototeca Panizzi Reggio Emilia
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Fig. 46 volo aerofotogrammetrico della Regione Emilia Romagna realizzato nel 2011, località Comune di di Reggio Emilia, vista dela città lato Nord-Est
Anche questa fotografia aerea è stata realizzata dalla RAF nel 1944 durante i bombardamenti di Reggio Emilia, più precisamente è in atto il bombardamento del ponte ferroviario sul torrente Crostolo. In basso a sinistra si può vedere la stazione di Santo Stefano ed un tratto della ferrovia Reggio Ciano. Anche se scattata verso la fine del secondo conflitto mondiale, la campagna si presenta rigogliosa, quasi a volere dimostrare la tenacia delle genti locali che si sono opposte con tutte le forze ed il prezzo di molte vite umane all’invasione straniera. La piantata sembra coprire la campagna, come una coperta protettiva. Il confronto con la situazione attuale rende evidente la forte espansione urbanistica della città di Reggio Emilia comune a tutte le città che dagli anni 60 del 1900, a seguito del boom economico. Le città diventano centro di attrazione per gli abitanti delle campagne con flussi migratori importanti in quanto sede di molte attività produttive. Vista dall’alto la città risulta essere comunque molto disordinata, cresciuta intorno a tutte le direttrici, senza cunei verdi o rurali che si possono spingere fino in centro, al contrario di come succedeva nel periodo bellico. 67
Anni ‘50
Fig. 47 foto aerea realizzata dal fotografo Vaiani 15 novembre 1951 seconda breccia sull’argine sinistro del torrente Crostolo pochi metri a valle del Ponte del Baccanello territorio di Guastalla (RE). Archivio Bonifica dell’Emilia Centrale
Continuando in questa carrellata, l’immagine ci porta negli anni 50 del 1900. In questo caso si tratta di uno scatto eseguito da un aereo durante un evento drammatico, l’alluvione del 1951. Siamo nella campagna intorno Guastalla, un territorio di grandi bonifiche, i cui terreni sono posti ad una quota inferiore sia rispetto al fiume Po sia al torrente Crostolo. Sullo sfondo è ben visibile la sagoma di filari che costituiscono la piantata che ricopre tutta la campagna.
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Fig. 48 foto aerea realizzata dal fotografo Vaiani 14 novembre 1951 rotta del torrente Crostolo a valle del Torrione di Gualtieri (RE). Archivio Bonifica dell’Emilia Centrale
Stesso evento, questa immagine è stata scattata nel territorio di Gualtieri, a valle del manufatto denominato il Torrione. In questo caso il torrente Crostolo ha rotto gli argini ed una grande quantità di territorio agricolo è stato sommerso dalle acque emergono solo le piantate e la parte superiore dei fabbricati colonici. Sul lato non interessato dall’alluvione in primo piano sono ben evidenti i filari che delimitano i campi.
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Anni ‘60
Fig. 49 foto aerea realizzata dal fotografo Vaiani 1960 territorio compreso tra i comuni di Brescello e Boretto (RE). Archivio Bonifica dell’Emilia Centrale
Foto del territorio di Boretto scattata da un aereo, probabilmente da Vaiani, sullo sfondo si vede l’impianto di sollevamento della Bonifica a Boretto, con l’argine principale che contiene le acque del grande fiume. In primo piano un territorio ampiamente suddiviso in parcelle regolari dove la piantata perimetra con geometrie perfette i terreni. Spesso si pensa alla presenza degli alberi allineati lungo le sponde dei canali invece in questa immagine, il canale risulta essere privo di vegetazione, mentre i filari diventano divisione dei campi. Sulla sinistra un complesso rurale a corpi separati, l’impianto si può approssimare alla tipologia a corte aperta. In questa immagine sembra di potere leggere, applicati con precisione certosina, i consigli che ai primi anni del 1800 l’agronomo Filippo Re dava: Da trent’anni a queste parti sono si fatti molti contratti di livelli con esborsi anticipati pè laudemj, e parecchie compre. I diversi acquirenti vollero rifarsi delle spese sugli alberi. Hanno spogliate le vecchie piantele campagne, le hanno ripiantate di nuovo ma assai più rade e per l’ampiezza dei campi e per la distanza degli alberi. Forse ciò fecero per minore spesa. Intanto ne è venuto un bene. Più ariosi e spaziosi i campi meglio in essi prosperano le biade. Quindi è desiderabile che tutte le campagne si riducono a diradare le piantagioni. Si tenghino i campi più larghi quanto più il terreno è umido. Gli alberi stiano distanti 70
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dalle 15 alle 20 braccia. Alcune campagne sono vuote d’alberi perché troppo cattivo ne è il terreno soggetto a fendersi in estate, o a gelare facilmente in inverno pel troppo umore di cui è imbevuto.40
Fig. 50 foto realizzata nel 1962 campagna nel Comune di Casalgrande (RE). Archivio Bonifica dell’Emilia Centrale
L’immagine è stata scattata nella campagne di Casalgrande, sponda sinistra del Fiume Secchia, ai piedi delle colline. Era ed è tuttora una campagna ricca dove si producono le eccellenze alimentari, ed anche vini di un certo pregio. La foto in particolare ritrae la fase conclusiva della costruzione di un pozzo irriguo da parte della Bonifica. Sullo sfondo la caratteristica piantata a sostegno della vite, gli alberi ancora con i polloni annuali sulla chioma non potati; si intravvede comunque la caratteristica forma ad U o V che assume la chioma dei tutori quando questi vengono sottoposti alla capitozzatura. La ripresa esalta la tipica geometrizzazione del paesaggio rurale, i filari diventano le due linee guida di una prospettiva centrale.
40 Conte Filippo Re. Memoria sull’agricoltura del Piano e del Piano-colle, Milano Tipografia Silvano Silvestri 1805 pag. 36-37.
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Fig. 51 foto aerea realizzata dal fotografo Vaiani 1965 territorio di Reggio Emilia, in primo piano Villa Pansa. Fototeca Panizzi Reggio Emilia
Per confermare la forte presenza della piantata sul territorio reggiano, questa fotografia aerea realizzata da Vaiani nel 1965 in prossimitĂ della citta di Reggio Emilia verso Nord non ha necessitĂ di altri commenti.
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Anni ‘70
Fig. 52 foto realizzata nel 1969 manufatti sul torrente Modolena in località Coviolo (RE). Archivio Bonifica dell’Emilia Centrale
Fotografia realizzata nel 1969 alle soglie degli anni ‘70 in località Coviolo alla periferia Sud di Reggio Emilia. Il corso d’acqua in primo piano è il torrente Modolena, nella campagna soprastante è presente un vigneto con l’albero tutore ancora dominante: siamo agli albori di un grande processo di meccanizzazione delle campagne che porterà in pochi anni alla scomparsa quasi totale di questo sistema di coltivazione, per passare lentamente a vigneti dove la maggior parte delle operazioni in vigna si eseguiranno tramite macchine.
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La piantata oggi Agli uomini toccavano scale più lunghe dello scalett, per raggiungere i grappoli più alti, appesi ai tralci avvinghiati ai tronchi e ai rami degli alberi. Le viti, infatti erano sorrette da filari di piante disposte in parallelo a coprire tutti campi.41 Ho voluto iniziare questo capitoletto con una frase tratta da un bellissimo libro di un’autrice locale che racconta la vita nelle campagne di Montecchio agli inizi del boom economico, proprio nel momento della vendemmia. Uomini e donne si dividevano i compiti in vigna: ai primi toccava raccogliere i grappoli sulle parti più alte degli alberi tutori. Oggi la piantata è praticamente inesistente: lungo il tratto interessato dalla ferrovia Reggio Ciano ne rimangono pochissimi filari, alcuni appena fuori Reggio e pochi altri tra San Polo d’Enza e Canossa, li accomunano tutti le modestissime dimensioni e soprattutto le pessime condizioni, spesso di abbandono, in quanto la poca vite molto vecchia non è più produttiva. Ho ritenuto quindi importante riportare su questo volume un rilievo dettagliato su piantate esistenti, ma che meriterebbe di essere allargato a tutta la Provincia. La piantata è da considerarsi a tutti gli effetti un reperto archeologico che viene da un passato lontano. Soppressa con la meccanizzazione, si portava in dote un mondo dove la tradizione e la cultura rurale erano profondamente legate al modo di vivere della gente comune oltre che, come scriveva l’agronomo Filippo Re, un importante valenza per l’equilibrio ecologico ambientale per i suoli. Le poche esistenti andrebbero in ogni modo tutelate o comunque preservate. Alcune di queste si trovano in località Barcaccia nel comune di San Polo d’Enza sui terrazzi ghiaiosi in destra idrografica dell’omonimo torrente. In questa località ho trovato delle piantate in buone condizioni che sostengono ancora delle vecchie viti dalle quali si ricava ancora un’ottima uva.
41 Adele Grisendi, Bellezze in bicicletta il mondo di una ragazza di campagna negli anni del boom, Milano Sperling& Kupfer Editori Milano , 2001 pag. 8
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Fig. 53 foto aerea con riportati i punti di rilievo località Barcaccia (RE) 2013
Come si può vedere dallo stralcio della foto aerea, ho rilevato quattro aree: A e B sono due filari che si presentano più completi all’interno di due vigne. Nel caso A i filari sono molto distanti tra loro e delimitano dei prati, nel caso B il filare rilevato è quello più completo, gli altri filari della vigna sono piantate anomale con solo due grandi alberi (noci) posti all’inizio e alla fine e qualche acero sparso lungo il filare, anche in questo caso la piantata delimita dei prati. Il caso C invece è una bella vigna tutta a piantata; il caso D è un filare di vigna modernizzato con addirittura l’irrigazione a goccia che in una piccola parte di un filare ha come sostegno tre splendidi esemplari di acero capitozzato. 75
Descrizione del filare A
Fig. 54 schema A rilievo dicembre 2013
Il filare A ha una lunghezza di poco più di 70 metri, è costituito da undici aceri del diametro (all’altezza di circa 1 metro) di 30–35 centimetri, la distanza tra un tutore e l’altro varia da un minimo di 5.00 m. ad un massimo di 7.00 m., gli aceri sono tutti capitozzati con la parte superiore che presenta la caratteristica forma ad U o V, il colletto si trova ad un altezza che viaria tra i 2,20 ed i 2,50 m. Il filare è costituito da diversi vitigni con le piante di diverse età, dalla classica Ancellotta, alla più recente Malvasia. Il metodo di allevamento è detto a Silvoz. Questo impianto è formato da un tronco verticale che prosegue come cordone permanente sul quale si inseriscono dorsalmente capi a frutto di 7-8 gemme, opportunamente distanziati tra loro (1520 cm) che vengono piegati e legati al primo filo. Questo tipo di allevamento è caratterizzato dalla formazione degli archetti dai quali prende anche il nome.
Fig. 55 foto della piantata riportata nello schema A rilievo dicembre 2013. foto Fabrizio Frignani 76
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Descrizione del filare B
Fig. 56 schema B rilievo dicembre 2013
Il filare B ha una lunghezza di poco più di 89 metri, è costituito da quattordici sostegni vivi di cui tredici aceri ed un ciliegio, del diametro di 30–35 centimetri (all’altezza di circa 1 metro), la distanza tra un tutore e l’altro varia da un minimo di 3.30 m. ad un massimo di 5.00 m., con una sequenza media in ripetizione di 4,80 m. In questo filare ci sono degli intervalli doppi in quanto il tutore e seccato. Gli aceri sono tutti capitozzati con la parte superiore che presenta la caratteristica forma ad U o V, il colletto si trova ad un altezza che viaria tra i 1,90 ed i 2,10 m. Filare B e A hanno lo stesso impianto e uguale metodo di conduzione.
Fig. 57 foto della piantata riportata nel profilo B rilievo dicembre 2013. foto Fabrizio Frignani 77
Descrizione del filare C
Fig. 58 profilo C rilievo dicembre 2013
Fig. 59 pianta schematica della vigna con profilo C rilievo dicembre 2013 78
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La piantata C fa parte di una vigna costituita da 6 filari, ogni filare ha una lunghezza di poco più di 68 metri, è costituito da dieci aceri che sono i sostegni vivi, i filari non completi sono due e sono composti da nove alberi, non per volontà di chi ha fatto l’impianto, ma per la morte di un sostegno. Il diametro degli alberi (all’altezza di circa 1 metro) varia tra i 25 ed i 30 centimetri, la distanza tra un tutore e l’altro varia da un minimo di 6.80 m. ad un massimo di 7.70 m., la distanza più frequente è di 7.30 m. Gli aceri capitozzati hanno nella parte superiore la caratteristica forma ad U o V, in questo caso il colletto si trova ad un altezza di 2.00 m. mentre la diramazione dei rami giovani inizia ad un altezza di 2.60 m. da terra. Questa piantata è caratterizzata da un tutore orizzontale fissato all’acero con filo di ferro perpendicolare all’albero stesso, per portare più fili di sostegno per i tralci della vite. Questo tutore è posto ad un altezza di 1,50 m. ed è largo 1,75 m. La vigna è costituita da vitigni di Ancellotta allevati con il metodo GDC, detto anche a doppia cortina. In questo caso ho constatato che, vuoi per casualità o per volontà di chi ha fatto l’impianto della vigna, la distanza tra i filari corrisponde ad un secondo di longitudine. Tutti i filari presi in esame hanno andamento Sud-Nord, ed hanno l’esposizione dei frutti con orientamento Est-Ovest.
Fig. 60 foto della piantata riportata nel profilo C rilievo dicembre 2013. foto Fabrizio Frignani 79
Filare D In questo caso ci troviamo di fronte ad una piantata modificata, modernizzata al punto che la vigna è dotata di impianto a goccia. Nella vigna gli alberi tutore sono stati tolti, ne sono rimasti tre che hanno come caratteristica quella di avere la capitozzatura formata da quattro rami, come a formare un capitello. Le tre piante sono veramente belle per cui, vista la particolarità, ho deciso di rilevarne le dimensioni. Il diametro dell’acero è di circa 55 centimetri, la capitozzatura si trova ad un altezza di 2.30 m, mentre l’altezza della corona superiore, dove si sviluppano i rami giovani, e a 3.10 m. Il cappello ha un raggio di 3.20 m. La vigna originale era costituita principalmente da uva Ancellotta al quale è stato inserito del vitigno Salamino. Il tipo di allevamento utilizzato è a cordone speronato, è un sistema di potatura corta, costituito da un cordone orizzontale posto a 90-100 cm. dal terreno sul quale vengono lasciati gli speroni corti a due-tre gemme.
Fig. 61 foto dell’acero campestre rilevato nel punto D con coordinate geografiche 44°39’35” e 10°25’30” rilievo dicembre 2013. foto Fabrizio Frignani 80
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Fig. 62 foto del capitello dell’acero campestre rilevato nel punto D con coordinate geografiche 44°39’35” e 10°25’30” rilievo dicembre 2013. foto Fabrizio Frignani
Non essendo un agronomo e tanto meno un esperto di vigneti (per molte informazioni mi sono rivolto ad un amico esperto enologo), non penso di avere realizzato un rilievo agrotecnico, ho solo voluto raccogliere alcuni dati tecnici e delimitare l’ambito geografico di una realtà che ormai sta scomparendo e probabilmente tra un po’ di tempo potremo conoscere solo dai testi. Penso e spero che queste non siano le uniche piantate rimaste, non considero questa parte di lavoro completata, anzi spero che possa essere sviluppata con ulteriori rilievi e descrizioni tecnico agronomiche.
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La fotografia ripetuta Se il paesaggio non è un oggetto, anche la fotografia nel quale fissiamo lo stato di quel paesaggio in quel determinato istante, non può essere considerata tale. Il pezzo di carta sulla quale viene stampata l’immagine diventa un documento dal quale, attraverso una lettura profonda, si possono ottenere un’infinità di informazioni, spesso interdisciplinari. Se la fotografia è storica, è possibile leggere il passato quando si confronta con la situazione attuale è possibile fare delle comparazioni e sviluppare considerazioni sui cambiamenti avvenuti nell’arco temporale intercorso tra i due scatti. Quindi la fotografia ripetuta diventa una tecnica di grande supporto per chi si occupa di territorio, sia per la ricerca territoriale vera e propria sia per analisi da utilizzarsi nella pianificazione territoriale. Per capire meglio cosa significa fotografia comparata riporto quanto scritto dal geostorico Antonio Canovi nel presentare recentemente una mia mostra fotografica: gli scatti comparati di Fabrizio Frignani, geografo, fungono da segnavia per chi, aduso ad orientarsi nei paesaggi geostorici, prova sofferenza crescente dinanzi a una contemporaneità dominata dalla indistinzione virtuale. Prendere uno scatto del passato, riprenderlo con uno scatto dell’oggi. L’operazione è concettualmente semplice, ma intrensicamente rivoluzionaria: consente di apprendere all’occhio, organo preposto a misurare lo spazio, il sentimento del tempo. Sono fotografie, queste che rappresentano il posto dell’uomo nel mondo, mentre ne raccontano la caducità. L’esito che se ne trae è vertiginoso: quel medesimo luogo a cui stiamo guardando appare -nel volgere di pochi decenni- incomparabilmente altro. Stupore, nostalgia, disorientamento, anche rabbia: sono sentimenti che questi scatti provocano in noi. Ecco, la fotografia ripetuta andrebbe proposta a grandi e piccini alla stregua di un esercizio didattico, per riappaesarsi -alla lettera, ricreare l’identità-paese- e così trovare il proprio posto per abitare il mondo. Questo sguardo ci consente di smontare dalla consueta postazione veicolare -gommata o virtuale- e, memori della nostra identità bipede, di reinfilare le scarpe, quindi ritrovare il passo da esploratore in questo tempo presente.42 Diversi sono i punti toccati in questa presentazione che danno un senso importante e significativo alla fotografia ripetuta, ma in due punti trovo che Canovi prova ad esplorare questa metodologia operativa con un occhio diverso, distanziandola da un semplice scatto fotografico che si riassume in un gioco di luce e tempo. Il primo punto è quello in cui affida all’occhio, organo dedicato alla percezione dello spazio, un qualcosa di molto profondo con il sentimento del tempo, andando così a raccogliere 42 Antonio Canovi Geostorico, presentazione mostra fotografica dal titolo, Dal Po a quota 1000, acque e Bonifica tra passato e presente, la fotografia comparata, una realtà documentaria per lo studio dei mutamenti del paesaggio rurale, circuito OFF Fotografia Europea, Reggio Emilia 2014.
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nella nostra mente il sentimento, quel qualcosa di misterioso che solo la mente umana può elaborare (realtà che comincia ad essere messa in discussione da interessanti studi-dimostrazioni sulla capacità degli animali di avere sentimenti). L’altro punto d’interesse è il posto dell’uomo nel mondo uno scatto, per dare un’identità all’uomo, per dargli certezze e fargli ricordare dove sono le proprie radici, da dove viene e dove può andare, l’appartenenza. Quando non è più possibile identificare uno scatto nello spazio nel quale è stato fatto, quando sono andate perse le memorie storiche che lo possono ricollocare, vuol dire che quello scatto, a quel punto, ha perso la sua identità. Non dimenticando che dietro uno scatto c’è un uomo. Questa particolare metodologia di indagine, basata appunto sulla fotografia ripetuta-comparata, nelle analisi a grande scala è molto utilizzata nel mondo anglosassone, in particolare negli Stati Uniti, soprattutto in ambito naturalistico. In Europa, in particolare in Francia, sono state fatte importanti applicazioni in contesti storico-geografici con l’archeologia di versante applicata all’indagine dei siti d’altura (Pirenei, arco alpino occidentale). Il metodo, anche se messo a punto da oltre venti anni, solo ultimamente sembra riscuotere interesse da parte degli scienziati territoriali. In Italia, il lavoro di riferimento di recente realizzazione è sicuramente quello descritto in un articolo di Carlo Alberto Gemignani e Orlando Strati43, dove gli autori propongono una interessante ed esaustiva metodologia operativa che può essere suddivisa in tre parti: la prima prevede la realizzazione di un immagine di confronto dallo stesso punto e angolo di ripresa (spot, viewpoints) di una fotografia terrestre precedentemente realizzata. La seconda prevede l’identificazione di ogni cambiamento visivo intervenuto nell’arco cronologico preso in considerazione e coerente con le problematiche indagate. La terza prevede l’incrocio con altre fonti documentarie e/o di terreno, utile alla creazione di documenti grafici/testuali analitici. Fase parallela e fondamentale è poi costituita dalle raccolta e dalla digitalizzazione dei dati prodotti finalizzata alla creazione di Archivi di sito. Particolarmente qualificante in una campagna di fotografia ripetuta di carattere geo-storico è la possibilità di utilizzare fotografie storiche realizzate precedentemente l’avvento della fotografia aerea e/o scattate a varie distanze di tempo, dal medesimo punto di vista, a costituire una serie. Solo a una seconda fase appartiene la decifrazione realistica dell’immagine che comunque inizia già con l’individuazione sul terreno del viewpoints e la conseguente realizzazione delle immagini di confronto che rispettino il più possibile le condizioni originali di ripresa e, possibilmente analoghe condizioni stagionali e di illuminazione. Logicamente il metodo può essere arricchito da interpretazioni che dipendono dalla tipologia e dalla quantità e qualità di materiale storico a disposizione. In un mio precedente lavoro, avendo a disposizione un fondo fotografico 43 Carlo Alberto Gemignani, Orlando Strati ,Verso gli osservatori liguri del paesaggio una campagna di fotografia ripetuta nel sito Unesco Cinque Terre, Portovenere le isol. (La Spezia) Rivista Geografica Italiana, 2011, pagg. 521-553
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costituito da immagini realizzate da un fotografo non noto, ho scelto di fare l’analisi dell’evoluzione del paesaggio indagando solo le foto del fondo, in quanto mi interessava dare valore oltre che alle fotografie, all’uomo . In questo caso di studio, ho trovato parecchio materiale suddiviso tra diversi archivi, principalmente presso l’archivio storico del Comune di Reggio Emilia, dove ACT (azienda consorziale trasporti) ha depositato tutta la documentazione storica, compreso il progetto della ferrovia Reggio Ciano, la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia la cui la fototeca è un enorme ed inesauribile serbatoio di fotografie storiche, e fondi fotografici di grandi autori. Inoltre ho trovato un po’ di materiale anche nella sezione informatizzata dell’Archivio di Stato di Reggio Emilia. Mancando una cultura fotografica, e soprattutto una cultura relativa alla fotografia documento storico che si svilupperà in forma embrionale intorno alla metà degli anni 70 del 1900 e vedrà il suo sviluppo nel 2001 con la nascita delle fototeche, è difficile o per lo meno non ne ho avuto ancora riscontro, ritrovare sequenze fotografiche di un determinato sito. Di questo studio al momento sono disponibili immagini scattate in diversi periodi storici, ma che non rispondono ai parametri previsti nella metodologia operativa proposta da Gemignani, di conseguenza mi soffermerò solo sulla comparazione tra foto storica e foto attuale che permette comunque di elaborare una serie di interessanti considerazioni e valutazioni, spesso d’impatto immediato sull’osservatore. Vi sono altri fattori che rendono complicato realizzare fotografie ripetute, uguali a quelle storiche di riferimento. Più sono antiche più è difficile trovare le condizioni ambientali osservabili nella fotografia storica, soprattutto in ambito urbano o periurbano, dove le nuove costruzioni occupano spesso gran parte delle visuali, l’orizzonte è spesso interrotto dalle sagome di alberi di grandi dimensioni dei nostri giardini. Anche se il contesto storico monumentale può essere ancora presente è comunque decontestualizzato rispetto all’ambiente originario. In questo tipo di ricerca bisogna mettere in preventivo di non riuscire a ripetere la fotografia dallo stesso punto di ripresa, che va quindi ridefinito. In ogni caso consiglio sempre di riprendere il nuovo contesto ambientale nel quale si trova il nostro punto di vista storico in modo da documentarlo per potere fare comunque considerazioni utili al lavoro. Per ogni punto di ripresa è fondamentale rilevare le coordinate geografiche, con l’uso di ricevitori satellitari portatili. Altra difficoltà è legata alla stagionalità delle riprese, spesso visti i tempi ristretti a disposizione per potere eseguire il lavoro, è impossibile rispettarla, in caso contrario se il tempo a disposizione per la ricerca è molto lungo il problema non sussiste. Un’altra complicazione difficilmente risolvibile è legata alla tipologia delle macchine fotografiche strumento fondamentale per fare le fotografie. Se le riprese sono state realizzate prima del 1960, non c’erano a disposizione le reflex 35 mm le focali erano le più disparate. Maggiori difficoltà ci sono per le immagini realizzate prima degli anni 30 del 1900, in quanto le macchine fotografiche avevano formati stranissimi ed il supporto era spesso una lastra di vetro, difficilmente si riesce fare il raffronto con le macchine attuali. In ogni caso consiglio di utilizzare almeno macchine fotografiche reflex, meglio ancora reflex con sensore 35 mm. Anche se può essere superfluo consiglio di utilizzare solo apparecchi digitali, anche se reputo affascinante ritirare 84
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fuori vecchie 6 x 6 a pellicola e immedesimarsi nel periodo storico di riferimento. Al momento escludo, per questa tipologia di ricerca, le foto comparative realizzate con i telefoni cellulari. Il vecchio supporto su lastra di vetro è sempre preferibile, permette di ottenere stampe di grandissima qualità, anche se non è di facile gestione, in quanto nell’elaborazione dell’immagine sono richieste esperienze specifiche e l’uso di strumentazione professionale, oltre che trasmettere grandi emozioni quando lo le si tratta, considerando la sua fragilità. Tra gli altri supporti, il negativo su pellicola se ben conservato può dare stampe di ottima qualità, in ogni caso se si è in possesso di una buona immagine almeno nel formato 20 x 30 cm. conviene trasportare in formato digitale quest’ultima. Ho trovato molto interessante per la lettura paesaggistica, dopo avere eseguito la ripresa il più fedele a quella del documento storico, aggiungere un immagine realizzata in versione panoramica in modo da potere analizzare una contestualizzazione ambientale più ampia. Per questo tipo di riprese fotografiche, si possono utilizzare le costose macchine fotografiche panoramiche che tanti fotografi hanno utilizzato soprattutto in montagna per fare scatti unici. Un alternativa più economica, è quella di unire più immagini con software dedicati, in questo caso bisogna porre molta attenzione alla tecnica utilizzata. Per la mia esperienza consiglio l’uso di una reflex digitale ed eseguire immagini il più piatte possibili con una copertura tra una foto e l’altra di circa il 30%. Il montaggio finale si effettua tramite appositi software che danno ormai, quasi tutti, risultati soddisfacenti. Purtroppo per questo specifico lavoro non ho trovato negli archivi immagini storiche di paesaggio visto dal treno o dalla ferrovia, per cui l’analisi paesaggistica ambientale storica è stata fatta leggendo quelle informazioni parziali contenute negli scatti ritrovati. I fotografi che riprendevano manufatti legati alla ferrovia,esaltavano nella composizione paesaggistica più l’elemento ferrovia, stazione, manufatto, costruito dall’uomo, che la parte paesaggistica circostante. Per questo motivo ho dato molta importanza al capitolo relativo alla piantata, dimostrando attraverso le fotografie che era la componente paesaggistica più rilevante, quindi è plausibile che lo fosse anche per il viaggiatore. Dalle fotografie selezionate, è possibile leggere nel contesto paesaggistico la presenza di questa tipologia lungo tutto il percorso. Sicuramente il viaggiatore dei primi del 1900 osservava con più attenzione e interesse, il paesaggio che gli passava davanti guardando fuori dal finestrino, con meno distrazioni di quelle che può avere un viaggiatore di oggi, il quale seduto sul sedile difficilmente volgerà lo sguardo all’esterno perchè concentrato sul proprio telefonino o tablet. Questo viaggio di confronto iconografico tra storico e moderno inizia dalla Stazione di Santo Stefano, Luogo di riferimento per i cittadini di Reggio, ma anche per tutti gli utilizzatori del servizio, soprattutto per i pendolari, in quanto è tutt’oggi la stazione più vicina al centro della città.
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La Stazione di Santo Stefano a Reggio Emilia Vari fotografi hanno ripreso in epoche e date diverse la stazione di Santo Stefano che nel tempo è stata trasformata e integrata all’interno dell’assetto urbano cresciuto attorno. Può lasciare stupito un osservatore di oggi la spazialità attorno alla stazione degli anni 20 del 1900, priva di edifici e spazi urbanizzati, condizione che si ripeterà per tutte le foto nella quali sono ripresi questi edifici quando è stata costruita la ferrovia. Interessante può essere il confronto con le dimensioni geografiche della città nei diversi periodi storici. I nostri filtri mentali non ci consentono di pensare che la città, anche solo 100 anni fa, potesse essere molto diversa da oggi, in realtà era un’altra entità, sia spaziale che umana. Per rendere ancora più evidente lo sviluppo urbanistico della città, in questo caso Reggio, ma le considerazioni valgono anche per le altre città, inserisco una prima mappa risalente al 1600, quando la città era quella dentro le mura. Una città piccola, il cui centro storico è ancora praticamente strutturato come rappresentato nella cartografia storica.
Fig. 63 mappa della città di Reggio, databile 1619. Archivio di Stato di Reggio Emilia 86
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Agli inizi del 1900, la densità urbana dei fabbricati era molto inferiore a quella attuale, Reggio cominciava ad ampliarsi al di fuori delle vecchie mura che sono state demolite alla fine del 1800. All’interno della città sono ancora presenti numerosi appezzamenti di terreno non edificati, cosi come si può vedere dalla mappa catastale foglio n° 105 d’impianto e successivamente aggiornata come indicato in basso a sinistra nella tavola, soprattutto vicino alla stazione. A Nord della stazione sono ancora presenti appezzamenti di terreno di grandi dimensioni con casini che presentano ancora la contestualizzazione territoriale originaria, mentre sul lato Est è visibile un frazionamento con l’individuazione di numerosi lotti di piccole dimensioni, destinati a nuovi edifici. Nella parte Sud – Est della mappa è interessante vedere il percorso del canale demaniale, oggi tombato. Per diversi Casini è ancora ben dettagliato, anche sulla mappa, il contesto storico della proprietà.
Fig. 64 foglio n° 105 mappa catastale d’impianto in questo caso con l’aggiornamento del 1936, l’immagine riportata non è in scala. Archivio ufficio Cartografico della Provincia di Reggio Emilia 87
A seguito riporto per un ultimo confronto cartografico l’immagine di una foto aerea della città fatta nel 2011. Rispetto alla mappa del 1600, è evidente che lo spazio occupato dalla città si è moltiplicato a dismisura per un numero di volte sproporzionato e purtroppo rimarco sempre con un certo disordine urbanistico, abbastanza tipico delle città italiane. Molto interessanti sono alcune letture che si possono fare a prima vista. La parte centrale storica è ancora caratterizzata, anche se priva di mura perimetrali, dalla forma esagonale più o meno irregolare, del 1600; vi risalta, anche se modificato nel tempo il grande parco, oggi denominato Parco del Popolo. In questa porzione centrale della città sono scomparsi, o è più giusto affermare nascosti, i canali che l’attraversavano, ancora presenti e ben visibili come riportato nello stralcio catastale dei primi del 1900. L’unico vero corridoio verde presente nell’ambito cittadino è il corso del torrente Crostolo che nel 1945 delimitava ancora la città sul lato Est, come si può osservare nella fotografia aerea nella fig. 45, oggi si può affermare che lo stesso divide la città in due parti non proprio baricentriche. La storia del torrente Crostolo sembra avere delle repliche, infatti il torrente ha riassunto rispetto alla città la posizione centrale che aveva nei secoli scorsi quando il Crostolo alla fine del 1500 scorreva nell’attuale posizione di Corso Garibaldi era stato spostato al di fuori delle mura. Oggi se osserviamo una qualsiasi carta, o foto aerea, Corso Garibaldi, sede della chiesa dedicata alla Madonna della Ghiara, dall’alto presenta ancora una forma sinuosa tipica degli alvei dei torrenti. Sempre osservata dall’alto la città non presenta altri ambiti verdi di grandi dimensioni, a parte alcuni cunei di ambito rurale che si inseriscono nella città. Una città che si presenta con un perimetro privo di una forma precisa, con le espansioni che si sono diramate lungo alcune direttrici quasi a rientrare nella tipologia della città stellare che si struttura proprio lungo lingue e propaggini altamente urbanizzate, dove è stata applicata la teoria di sviluppo dei nuclei multipli. Inoltre è possibile fare una comparazione dell’estensione della città con la fotografia aerea nella fig. 45, nel capitolo relativo alla piantata, dalla quale risalta l’enorme estensione urbanistica avvenuta a discapito delle aree rurali, che perdono sempre più terreno da coltivare.
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Fig. 65 foto aerea della città di Reggio Emilia realizzata nel 2011 dalla Regione Emilia Romagna
Dopo una visione spaziale ad ampio raggio sulla città, cominciamo a visionare le fotografie in dettaglio. Le immagini storiche evidenziano una stazione isolata dalla città, sviluppata su un terrapieno. Molto suggestiva la fotografia (67) di Corghi Luigi scattata nel 1920: in primo piano delle persone con la stazione da sfondo alla scena, il fotografo ha ripreso un momento di vita, la foto è particolarmente bella perché le persone sembrano in movimento. Nella fotografia successiva (68) siamo negli anni 60 del 1900, la stazione è stata completamente trasformata, l’edificio storico è sostituito da un edificio moderno (per i canoni stilistici del tempo), sono aumentati i binari e il conseguente traffico ferroviario; sullo sfondo si vedono dei capannoni, che erano le officine ferroviarie. 89
Fig. 66 stazione di Santo Stefano antecedente il 1920. Archivio ACT presso archivio Comune di Reggio Emilia
Fig. 67 stazione di Santo Stefano foto Corghi Luigi 1920. Fototeca Panizzi Reggio Emilia 90
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Nella fotografia attuale, utile per la comparazione (69) ho ripreso la stazione sul lato Ovest, verso Cavriago, a causa dell’urbanizzazione e dell’intensa edificazione di fabbricati dal notevole sviluppo in altezza, non è stato possibile eseguire degli scatti utili per la comparazione diretta ed effettiva delle immagini storiche.
Fig. 68 stazione di Santo Stefano foto Vaiani 1960. Fototeca Panizzi Reggio Emilia
Fig. 69 stazione di Santo Stefano. foto Fabrizio Frignani autunno 2013 91
Queste condizioni urbane confermano che non è possibile realizzare scatti comparati utili per il confronto. Quindi ho realizzato scatti che permettono di osservare i cambiamenti paesaggistici generali, ma non quelli puntuali. In ogni caso utili per leggere i cambiamenti a grande scala. Per la foto successiva, è stato possibile realizzate lo scatto comparato, ma essendo la foto storica più artistica che paesaggistica, non ha un valore comparativo ambientale rilevante, in quanto si evidenzia la scomparsa nella foto recente, di una tettoia. Più in dettaglio, l’area destinata a ricovero delle corriere oggi è un parcheggio a pagamento. La foto storica, ha comunque un certo phatos intrinseco, è a tutti gli effetti una foto artistica dove risaltano il gioco dei binari e la nebbia-sfuocatura all’infinito, mentre quella recente è semplicemente una foto documentaria puramente oggettiva, banale, come spesso sono i Non Luoghi della città.
Fig. 70 stazione di Santo Stefano probabilmente intorno al 1970. Archivio ACT presso archivio Comune di Reggio Emilia 92
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Fig. 71 stazione di Santo Stefano. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
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Il Ponte sul torrente Crostolo a Reggio Emilia Questo ponte è rimasto praticamente inalterato nel tempo, la tipologia a trave reticolare è sempre la stessa, mentre è cambiato completamente il paesaggio circostante. Oggi il ponte è immerso nella città.
Fig. 72 ponte sul torrente Crostolo , sullo sfondo e visibile la città. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
Devo ammettere che nella foto storica non sono riuscito a definire quale siano le due sponde, quella destra e quella sinistra, per cui ho deciso di riprendere il ponte in destra idrografica. In ogni caso il piccolo fabbricato probabilmente di servizio al ponte sullo sfondo non esiste più, mentre sono ancora presenti le spalle in mattoncino. La vegetazione è molto rigogliosa e diversificata nelle specie, questo bosco ripariale in realtà nasconde un alveo del torrente in gran parte cementificato per tutto il percorso 94
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cittadino. La foto di Luigi Corghi, essendo stata fatta durante l’esecuzione dei lavori può essere datata tra il 1907 ed il 1910. Il ponte come si può vedere nella fotografia aerea n°45, nel 1944 si trovava ancora quasi in aperta campagna.
Fig. 73 ponte sul torrente Crostolo foto Corghi Luigi 1907. Fototeca Panizzi Reggio Emilia
Fig. 74 ponte sul torrente Crostolo. foto Fabrizio Frignani autunno 2013 95
La Stazione di Modolena In realtà questa stazione fa riferimento alla località di Codemondo, posta tra Reggio Emilia e Cavriago. L’edificio in se stesso può avere solo un valore storico, in quanto la struttura rientra in una tipologia di fabbricato ben precisa per le stazioni di livello inferiore rispetto a quelle principali. In realtà questa stazione ha una caratteristica che la rende unica su tutto il tratto. Il vialetto di collegamento alla viabilità principale è piuttosto lungo ed è delimitato sui due lati da due filari di gelsi che presentano la caratteristica capitozzatura. Solo questo vialetto meriterebbe un opera di restauro conservativo, in modo da renderlo fruibile in visione di una utilizzazione turistica della ferrovia, considerando anche che, dall’innesto del vialetto con la strada provinciale, inizia una pista ciclabile ben collegata ad altre strade a basso transito automobilistico che portano verso la collina.
Fig. 75 stazione di Modolena viale con Gelsi foto Fabrizio Frignani primavera 2014 96
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Fig. 76 stazione di Modolena probabilmente intorno al 1930 Archivio ACT presso Archivio storico Comune di Reggio Emilia
Fig. 77 stazione di Modolena. foto Fabrizio Frignani autunno 2013 97
La Stazione di Cavriago Anche Cavriago ha avuto in questi ultimi anni una forte espansione urbana, cosa che non si era verificata tra gli inzi del 1900 ed il 1944. Come si può vedere nella successiva mappa catastale di impianto, risalente al 1900-1910, non sono ancora accatastati la ferrovia e la stazione. All’interno l’abitato presenta ancora ampi spazi non urbanizzati, ma la presenza di molti allegati che generalmente venivano elaborati in una scala di maggior dettaglio, evidenzia la presenza di fabbricati accostati l’uno all’altro, ipoteticamente di diversi proprietari. Molto interessante per eventuali studi è la toponomastica leggibile su questa mappa storica, oggi molti nomi hanno subito l’italianizzazione o sono stati sostituiti. Sul lato Sud della mappa non ci sono fabbricati, ma solo aperta campagna. Oggi gran parte di questa area è stata interessata da urbanizzazioni.
Fig. 78 mappa catastale d’impianto del centro di Cavriago, l’immagine riportata non è in scala Archivio ufficio Cartografico della Provincia di Reggio Emilia 98
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Diverse sono le immagini storiche reperite per il tratto di Cavriago, due scatti sono di Corghi Luigi, probabilmente incaricato di fotografare tutti i manufatti importanti realizzati su questa tratta ferroviaria. Inizio l’analisi delle foto storiche con il viale che conduce alla stazione, oggi molto diverso da allora, ma nella struttura di massima inalterato. Come spesso capitava lungo questi viali venivano costruiti successivamente dei villini: a Bibbiano erano già presenti, mentre a San Polo saranno successivi alla costruzione della stazione. Nell’immagine storica del viale, è molto strana la prospettiva ripresa che tra l’altro non sono riuscito a riprodurre. Interessante è la presenza del fabbricato a sinistra nell’immagine storica, praticamente rimasto inalterato nel tempo è già presente nella mappa catastale d’impianto, per cui possiamo definirlo una pemanenza nell’ambito del paesaggio. Per quanto riguarda la stazione, questa è rimasta praticamente simile al fabbricato originale, salvo la presenza di nuove costruzioni popolari, realizzati quasi sui binari. Nella foto storica si legge una cura particolare nel rendere bella la stazione con grandi vasi di fiori, ricerca del bello completamente assente nell’immagine di oggi, situazione che rende questi luoghi dei non luoghi, utilizzati solo per il transito. Per quanto riguarda i due ponti non emerge niente di particolare, se non che il ponte su via Bassetta rimaneggiato probabilmente per permettere ad automezzi moderni di dimensioni maggiori di passarci sotto. Nella fotografia relativa a questo manufatto s’intravvede sullo sfondo un olmo-acero capitozzato tipico sostegno della vite. Molto in lontananza uno stralcio di campagna; anche in questo caso non sono riuscito a realizzare lo scatto comparativo dallo stesso punto di vista, in quanto sull’area è stato costruito un fabbricato proprio sul limite della strada. Nella fotografia del ponte sul Rio Cavriago, si leggono solo alberi presenti nella sezione idraulica, oggi l’area è un parco comunale, con una pista ciclabile che occupa una parte della sezione idraulica che passa sotto il ponte.
Fig. 79 viale della stazione di Cavriago, casa colonica esistente nella foto storica. foto Fabrizio Frignani autunno 2013 99
Fig. 80 viale della stazione di Cavriago probabilmente intorno al 1920 Archivio ACT presso archivio storico Comune di Reggio Emilia
Fig. 81 viale della stazione di Cavriago. foto Fabrizio Frignani autunno 2013 100
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Fig. 82 stazione di Cavriago probabilmente intorno al 1930. Archivio ACT presso archivio storico Comune di Reggio Emilia
Fig. 83 stazione di Cavriago. foto Fabrizio Frignani primavera 2014 101
Fig. 84 ponte su via Bassina (strada vicinale della Bassetta). foto Corghi Luigi 1907 Fototeca Panizzi Reggio Emilia
Fig. 85 ponte su via Bassina. foto Fabrizio Frignani autunno 2013 102
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Fig. 86 ponte su Rio Cavriago foto Corghi Luigi 1907. Fototeca Panizzi Reggio Emilia
Fig. 87 ponte su Rio Cavriago. foto Fabrizio Frignani autunno 2013 103
La Stazione di Barco Purtroppo di questo importante snodo ferroviario ho trovato solo l’immagine relativa alla stazione. Barco è sempre stata una stazione di scambio, quando è stata costruita c’era la deviazione per Montecchio, di cui a seguito riporto le foto. Oggi è la stazione di scambio per i treni che arrivano da Ciano e quelli che arrivano da Reggio Emilia, essendo la ferrovia monobinario, permette una maggiore frequenza delle corse. Anche in questo caso siamo di fronte ad una permanenza architettonica, valgono le stesse considerazioni fatte per la stazione di Cavriago.
Fig. 88 stazione di Barco probabilmente intorno al 1930. Archivio ACT presso archivio storico Comune di Reggio Emilia
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Fig. 89 stazione di Barco. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
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La Stazione di Montecchio Le fotografie relative alla stazione di Montecchio sono riportate solo come documentazione storico archivistica; la foto di confronto vale solo per la parte architettonica. Da un punto di vista paesaggistico il vecchio tracciato percorreva un territorio del tutto simile a quello esistente nel tratto studiato, in prossimità di Montecchio è ancora presente un vecchio casello.
Fig. 90 stazione di Montecchio probabilmente intorno al 1907. Archivio ACT presso archivio storico Comune di Reggio Emilia
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Fig. 91 stazione del tram di Montecchio inaugurata nel 1901. Archivio ACT presso archivio storico Comune di Reggio Emilia
Fig. 92 stazione di Montecchio. foto Fabrizio Frignani autunno 2013 107
La stazione di Bibbiano Anche in questo caso non ho trovato molte immagini storiche sul paesaggio rurale, il poco materiale a disposizione è comunque estremamente interessante per la parte urbana. Nella serie di immagini utilizzate per la comparazione, risulta in linea di massima una prevalente permanenza architettonica, principalmente sui fabbricati di servizio alla stazione. Permanenza presente anche nei fabbricati posti nell’intorno della stessa. Confrontando le immagini risulta evidente un incremento del numero dei fabbricati con diversi stili, anche se risaltano, in quanto sono stati rispettati gli ambiti spaziali (parchi), i villini realizzati intorno al 1930. Anche il viale è rimasto contestualizzato, con il doppio filare di alberi, ma trasformato nella pavimentazione, oggi sicuramente più trafficato, anche per la costruzione di alcuni condomini che riversano sulla zona un buon quantitativo di mezzi. Quasi romantica nell’immagine storica la presenza della bicicletta, il più diffuso mezzo di trasporto allora disponibile. Lo svago preferito da Nicolò consisteva in una quotidiana scappata in bicicletta, al bar della Stazione di Bibbiano, frequentato dagli abbienti del paese e denominato il Bar dei Fascisti, per l’adesione al Regime manifestata dalla maggior parte dei frequentatori. Nicolò era un abitudinario; entrava, si sedeva sempre allo stesso tavolo d’angolo, ordinava il caffè e cominciava a sfogliare il giornale che naturalmente era il Solco Fascista. Essendo l’unico cliente dichiaratamente antifascista non trovava altro modo per esternare il suo dissenso che ghignare contenutamente con se stesso in determinati momenti della lettura.44 Ho trovato interessante e simpatico, riportare queste righe tratte da un romanzo di Loris Bottazzi che, descrivendo un comportamento di vita (provocatorio) di un abitante di Bibbiano, l’uso della bicicletta, il bar della stazione, sembra dar vita alle immagini storiche inserite. Fig. 93 viale della stazione di Bibbiano torre del villino. foto Fabrizio Frignani autunno 2013 44 Loris Bottazzi, Improvvisamente Sarah nel verde del parco, Tipolito l’Olmo , Montecchio 1998, pag. 22
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Fig. 94 viale della stazione di Bibbiano Archivio ACT presso archivio storico Comune di Reggio Emilia
Fig. 95 viale della stazione di Bibbiano. foto Fabrizio Frignani autunno 2013 109
Fig. 96 stazione di Bibbiano Archivio ACT presso archivio storico Comune di Reggio Emilia
Fig. 97 stazione di Bibbiano torre del villino. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
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La Stazione di Piazzola Questa stazione si trova nell’omonima frazione al confine con i Comuni di San Polo d’Enza e Quattro Castella. Analizzando questa fotografia storica, mi sono trovato in difficoltà a localizzare esattamente il punto di ripresa, l’unica cosa certa è la posizione geografica delle colline che fanno da sfondo all’immagine e che geograficamente si trovano a Sud. Ciò che pone molti dubbi è l’entità dello scavo ripreso nella foto. Sicuramente l’immagine mentale che ho del luogo mi ha portato a non leggere la realtà geomorfologica dell’area, infatti la ferrovia arrivando da Bibbiano è in trincea fino a pochi metri dalla stazione. Conseguentemente non ho mai letto il raccordo morfologico del terreno tra le case poste sopra la stazione (dove probabilmente era insediato il castello oggi scomparso), ed il piano della ferrovia, situata allo stesso livello della campagna coltivata. Questo è un classico esempio dei filtri mentali che ci costruiamo con l’osservazione semplicistica delle cose e soprattutto del paesaggio. Il limite superiore della collina, ed il suo raccordo con la parte della campagna pianeggiante, è andato perso, probabilmente scomparso con i lavori di realizzazione del piazzale dove è stata costruita la stazione. Nell’immagine storica è possibile leggere delle indicazioni relative al paesaggio, infatti su tutto il lato dello scavo a destra nell’immagine si vedono degli alberi in fila che identificano l’esistenza di una piantata.
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Fig. 98 stazione di Piazzola foto Corghi Luigi 1907. Fototeca Panizzi Reggio Emilia
Fig. 99 stazione di Piazzola. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
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La stazione di San Polo d’Enza Diverse sono le immagini storiche a disposizione dai manufatti in costruzione ad immagini della stazione e del suo intorno ad opere finite. La prima fotografia riguarda il ponte sul Rio Bertini, oggi Rio Bertolini. Nell’immagine storica il rio presenta un alveo ampio e per superarlo i progettisti hanno realizzato un manufatto con quattro archi. L’alveo ampio ha una sezione idraulica che può ospitare una considerevole quantità d’acqua. Oggi il corso d’acqua è costretto passare sotto un solo arco che si raccorda con il tratto a monte tombato in quanto passa sotto un edificio. A valle il corso del rio è stato raddrizzato per permettere la costruzione dei fabbricati vicini alle sue rive; scendendo più a valle è stato di nuovo ricoperto per permettere la costruzione di un piazzale, prima di passare sotto il canale Ducale. Il manufatto fotografato è stato modificato recentemente, con la costruzione sulla parte superiore di una sovrastruttura in cemento armato. Il viale della stazione risulta fotografato più volte ed in epoche diverse. Diventa interessante analizzarle insieme, in quanto è possibile fare una lettura dell’evoluzione urbanistica, distributiva della composizione iconografica architettonica del paesaggio urbano. Per chi come me vive a San Polo fin da bambino, il viale della stazione è sempre stato presente nella percezione visiva, così come si vede nella fotografia attuale, a parte alcune modifiche puramente estetiche, tipo tolgo l’erba dalle aiuole, metto dei sassi nelle stesse, evoluzioni funzionali o strutturali non se ne sono mai viste. Difficile immaginarsi il viale della stazione come ripreso nelle fotografie storiche con la stazione solitaria, senza fabbricati ai lati del viale, ma solo campagna coltivata. Nella successione delle fotografie storiche si vede chiaramente lo sviluppo urbanistico con un forte incremento edilizio, principalmente costituito da villini, alcuni successivamente abbattuti per fare posto ad alcuni condomini. Anche in questo caso per alcune immagini non è stato possibile produrre quella ripetuta.
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Fig. 100 ponte sul Rio Bertini (Bertolini) a San Polo d’Enza. foto Corghi Luigi 1907 Fototeca Panizzi Reggio Emilia
Fig. 101 ponte sul Rio Bertolini a San Polo d’Enza in primo piano la griglia che indica l’arco del ponte dove oggi passa l’acqua del Rio, il resto dell’alveo si trova sotto la pavimentazione del parcheggio. foto Fabrizio Frignani inverno 2015 114
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Fig. 102 viale della stazione di San Polo d’Enza 1910. Archivio ACT presso archivio storico Comune di Reggio Emilia
Fig. 103 viale della stazione di San Polo d’Enza 1920-1930 sono comparsi i villini. Archivio ACT presso archivio storico Comune di Reggio Emilia 115
Fig. 104 viale della stazione di San Polo d’Enza 1920-1930 sono comparsi i villini. Archivio ACT presso archivio storico Comune di Reggio Emilia
Fig. 105 viale della stazione di San Polo d’Enza. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
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Fig. 106 stazione di San Polo d’Enza 1910 Archivio ACT presso archivio storico Comune di Reggio Emilia
Nella fotografie successive è ripreso il ponte che serviva per collegare la Villa di Fontaneto (dove è presente una interessante casa a torre) con la strada vicinale delle Ambrogine, che passava a ridosso del piede collinare e collegava San Polo con Ciano. Nell’immagine storica sono evidenti degli alberi che costituiscono la piantata con la caratteristica capitozzatura, si conferma la permanenza della sezione ferroviaria in trincea.
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Fig. 107 ponte per accesso ai campi zona Fontaneto a San Polo d’Enza. foto Corghi Luigi 1907 Fototeca Panizzi Reggio Emilia
Fig. 108 ponte per accesso ai campi zona Fontaneto a San Polo d’Enza. foto Fabrizio Frignani autunno 2013 118
La Stazione di Ciano d’Enza a Canossa Prima di arrivare alla stazione di Ciano d’Enza, oggi nel comune di Canossa, la ferrovia attraversa subito il Rio Luceria (confine amministrativo tra i due comuni) poi Rio Vico che nasce ai piedi del castello di Canossa. La ferrovia, passando da San Polo a Ciano, per mantenere la pendenza di progetto, ha costretto i progettisti, nella parte terminale, a realizzare la struttura ferroviaria in rilevato, questo per raggiungere in quota la stazione di Ciano. Tale scelta tecnica per potere attraversare il Rio Vico ha portato alla costruzione di un manufatto di grandi dimensioni che rispettava anche l’ampia sezione idraulica del rio. Questo corso d’acqua ha un bacino idraulico di piccole dimensioni che raccoglie le acque della valle che da Vico sale verso Canossa, dove si chiude con una bella e caratteristica dorsale calanchiva. A causa degli edifici costruiti intorno all’alveo ed in prossimità del ponte, è impossibile realizzare la foto dallo stesso punto di vista in sinistra idraulica, quindi ho ripetuto la foto di confronto sul lato destro del corso d’acqua. Nella foto storica si vede chiaramente che il manufatto è costituito da otto arcate, nell’immagine se ne vedono sei, con un’arcata centrale più ampia dove passava l’acqua e l’alveo interessava diversi archi. Oggi sotto questo arco più grande passa la pista ciclabile, mentre il corso d’acqua è costretto a passare sotto un solo arco di dimensioni più piccole e la sezione idraulica dell’alveo e stata considerevolmente ristretta. Anche in questo caso, come per il ponte sul Rio Bertolini a San Polo d’Enza, oggi ci troviamo di fronte ad un restringimento delle sezioni idrauliche dei corsi d’acqua rispetto a quelle esistenti durante la realizzazione della ferrovia. Corsi d’acqua che in ambito urbano hanno subito rettifiche nei tracciati. Questo confronto iconografico dovrebbe fare pensare sul perché a volte anche i piccoli corsi d’acqua, quando ingrossano a causa di forti precipitazioni, possono provocare notevoli danni. Perché nel 1900 si dava più spazio alle acque? Per quanto riguarda la stazione possiamo affermare che, dal punto di vista architettonico e della distribuzione spaziale degli edifici d’impianto, siamo di fronte ad una permanenza. Allo stesso tempo è possibile osservare che il paesaggio posto alle spalle della stazione allora rurale, oggi è sostituito da un paesaggio fortemente antropizzato.
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Fig. 109 ponte su Rio Vico a Ciano d’Enza Canossa. foto Corghi Luigi 1907. Fototeca Panizzi Reggio Emilia
Fig. 110 ponte su Rio Vico a Ciano d’Enza Canossa. foto Fabrizio Frignani autunno 2013 120
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Fig. 111 stazione di Ciano d’Enza Canossa foto Corghi Luigi 1907 Fototeca Panizzi Reggio Emilia
Fig. 112 stazione di Ciano d’Enza Canossa. foto Fabrizio Frignani autunno 2013 121
Incrocio delle fonti e analisi testuali analitiche Premetto che come ho già scritto in precedenza, il materiale disponibile, è molto concentrato sugli edifici simbolo della ferrovia, per cui la lettura paesaggistica è stata costruita intrecciando anche altre fonti. Dal confronto tra le fotografie storiche e quelle attuali, si possono fare le seguenti considerazioni: Per quanto riguarda gli edifici di servizio al funzionamento della ferrovia come stazioni, depositi e servizi igienici, siamo in presenza di un buono stato conservativo (permananeza), almeno per quanto riguarda i volumi e la parte architettonica che risulta ancora molto gradevole ed identificativa. Per quanto riguarda l’utilizzo o il riutilizzo si può affermare che solo pochi fabbricati hanno trovato una seconda vita.
Fig. 113 tipico casello in area rurale, in via Antica tra Cavriago. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
Spesso risultano chiusi, addirittura con finestre e porte murate. Alcune stazioni più piccole sono addirittura ricoperte da vegetazione che ne fanno un interessante set fotografico. Spesso le stazioni erano sede di un bar (generalmente per i cittadini 122
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del posto chiamato appunto il bar della stazione) che diventava luogo di ritrovo sociale, anche questi ritrovi sono scomparsi, resiste ancora a San Polo d’Enza, ma ha perso la valenza social popolare che poteva avere qualche decennio fa. Questo inutilizzo è spesso motivato con la modernizzazione degli impianti, e la riduzione dei costi, che hanno portato conseguentemente oltre che alla chiusura dei fabbricati con i servizi annessi, alla scomparsa di alcune figure che svolgevano mestieri allora ambiti, ormai presenti solo nei ricordi dei più anziani o nelle storie fantastiche che si possono vedere al cinema o leggere su qualche libro, come il casellante che gestiva le barriere dei passaggi a livello, o il capostazione. L’edificio che più ha risentito di questa soppressione operativa è il casello, dove abitava il casellante con la sua famiglia che alzava ed abbassava le barriere al passaggio del treno. Il casello, generalmente di piccole o piccolissime dimensioni, può essere inteso come un elemento particolarmente rappresentativo della modernizzazione del paesaggio rurale. Questo fabbricato distante dalla stazione, era localizzato spesso in piena campagna e con molta discrezione è diventato un segno importante nel paesaggio, un punto di riferimento. All’esterno dell’impianto della stazione, avevano una certa importanza i viali d’accesso che oggi si presentano quasi sempre alberati con piante di notevoli dimensioni spesso delimitati da villini costruiti negli anni 20 e 30 del 1900. Questi viali meriterebbero una maggiore attenzione e dove necessario andrebbero recuperati valorizzandoli, in quanto sono veramente interessanti per la composizione iconografica del paesaggio urbano. Il viale della stazione dovrebbe essere il biglietto da visita per il viaggiatore che scende dal treno e decide di visitare uno dei paesi serviti da questo importante mezzo di trasporto. Soprattutto quelli dove non transitano automobili in quanto strada chiusa, come ad esempio quello della stazione di Barco. Il paesaggio rurale limitrofo alle stazioni e alla linea ferroviaria nelle fotografie non è mai troppo visibile. Per quel poco che traspare è confermata la presenza delle piante capitozzate che riconducono alla piantata presente praticamente lungo tutto il tracciato. Si deve purtroppo evidenziare l’attuale stato abbandono nel quale versano le aree limitrofe alle stazioni spesso infestate da erbacce, da rovi e da vegetazione di scarso valore ecologico e ambientale. Oltre le considerazioni ambientali, architettoniche, sociali, culturali, dalle fotografie emerge un dato tecnico ambientale, particolarmente interessante, relativamente all’asseto idraulico del territorio attraversato. E’ evidente che corsi d’acqua avevano a disposizione degli alvei con una sezione idraulica di maggiori dimensioni rispetto a quella attuale, più naturale, con la possibilità per le acque in eccesso di divagare su terreni non antropizzati, o peggio abitati dall’uomo. Questa considerazione non è valida per il torrente Crostolo in quanto era già dotato di ampi argini artificiali realizzati a protezione della città che però non gli era ancora cresciuta intorno.
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Il paesaggio oggi Questo argomento può essere sviluppato partendo dalla classificazione che la Regione Emilia Romagna ha fatto attraverso le Unità di Paesaggio, adottate nel Piano Paesistico Regionale. Negli intenti dei programmatori della regione, le ventitré unità permettono d’individuare l’originalità del paesaggio emiliano romagnolo, di precisarne gli elementi caratterizzanti che consentiranno in futuro, di migliorare la gestione della pianificazione territoriale di settore. Osservando attentamente le schede descrittive, è chiaro che questa rimane una classificazione e come tale diventa a mio avviso carente in quanto alcune specificità territoriali non vengono prese in considerazione per la specificità territoriale che hanno. Ad esempio non è stata evidenziata la realtà paesaggistica che può individuare la pedecollina con i terrazzi fluviali posti allo sbocco dei corsi d’acqua e dalle valli montane sulla pianura. Queste aree da un punto di vista morfologico, geologico, strutturale, sono completamente diverse dai terreni alluvionali che costituiscono le pianure, nel quale sono stati classificati gran parte dei territori pedecollinari. Posso essere d’accordo che sia necessario imporre una classificazione, in modo da definire dei parametri per regolare lo sviluppo urbanistico, ma penso che a volte sarebbe necessario fare uno sforzo maggiore per identificare e definire meglio le differenze paesaggistico territoriali, presenti in quel particolare territorio. Per comprendere meglio le realtà paesaggistiche locali, diventa fondamentale fare osservazioni attente e puntuali. Spesso tra valle e valle, diverse sono le condizioni geologico-morfologico-ambientali, l’esposizione dei versanti, le quote altimetriche, le condizioni microclimatiche, ma diverse sono anche le tradizioni, le culture, gli usi e le consuetudini, delle genti che trovano radici anche nelle diverse appartenenze storiche, succedutesi nel tempo. Attori e fattori che portano ad una diversa gestione della terra e delle colture, con un conseguente adattamento del disegno del paesaggio e dei contenuti che in esso gli uomini imprimono, i segni. Anche se ci troviamo di fronte ad un continuo consumo di territorio rurale o agricolo, come lo si vuol chiamare, è indiscutibile che il territorio urbanizzato comunque deve fare i conti con quello che succede nel territorio rurale. Prendiamo ad esempio il deflusso delle acque, quando piove molto, i terreni agricoli sono pensati per fare defluire le acque nei fossi e successivamente nei canali e poi nei rii, ma se questi elementi della rete idraulica quando attraversano le aree urbanizzate, vengono trasformati in condotti fognari, le acque non riuscendo passare in sezioni idrauliche ridotte, straripano e causano danni all’ambito urbano. Ma qui sorge una domanda, e la campagna che non è progettata per preservare l’ambito urbano, o è l’ambito urbano che non è stato pensato per convivere con un territorio rurale che 124
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comunque fa da filtro agli eventi naturali che da sempre interferiscono con la terra? Emilio Sereni nel 1950 parlava di gestione cosciente delle campagne, concetto che amplierei ad una gestione cosciente del territorio. Un rispetto ed una gestione cosciente, che negli ultimi decenni non è stata tenuta tanto in considerazione da chi ha gestito il territorio nazionale, ne sono un esempio i disastri che succedono tutte le volte che dal cielo scende un po’ di acqua in più (con tutto il rispetto di chi in questi eventi perde i propri beni e nei peggiori dei casi i propri cari). Ma fino a quando costruiremo in aree, dove un tempo potevano espandersi le acque di piena dei fiumi, o non facciamo più manutenzione nei versanti, dove da sempre i nostri avi hanno pulito fossi, realizzato drenaggi, mantenuto pascoli, ed hanno gestito i boschi, le frane saranno sempre più frequenti e le cose non potranno certo migliorare, anzi peggioreranno sempre di più. Il percorso della ferrovia Reggio Ciano attraversa un territorio prevalentemente rurale e pianeggiante dove rispetto e coscienza, almeno per le componenti relative alla salvaguardia dell’equilibrio storico-naturale, sono state tenute in considerazione. Meno per quanto riguarda quelli che alcune pagine sopra ho definito segni della nostra tradizione contadina, allora erano parte fondamentale del paesaggio storicorurale, in gran parte dimenticati e conseguentemente abbandonati a se stessi, fino a scomparire causa il degrado naturale nel tempo. Segni che ha volte sono lì nel paesaggio in parte abbattuti feriti, ma che orgogliosi della loro forza, accumulata in tanti anni di dura fatica delle persone che li hanno resi vivi, vogliono ancora testimoniare una realtà che non può essere dimenticata.
Fig. 114 casa colonica campagna tra Reggio Emilia e Codemondo. foto Fabrizio Frignani autunno 2013 125
La linea ferroviaria, attraversa 5 comuni, di un territorio compreso tra la via Emilia, linea di demarcazione territoriale tra alta e media pianura e la collina, con un dislivello tra i due estremi di circa 156 metri. Da un punto di vista paesaggistico attraversa tre unità di paesaggio tra quelle definite nel Piano Paesistico Regionale, ma gli ambiti paesaggistici che si alternano e si susseguono lungo il percorso sono molti di più. In una sequenza semplificata, si passa dall’ambito urbano della città alla campagna, dall’ambito urbano dei paesi, alla campagna posta ai piedi della collina fino alla collina vera e propria, quando la ferrovia s’incunea nella valle del torrente Enza, dove l’uomo è stato costretto a trovarsi spazi urbani tra l’alveo ed i dolci versanti delle colline che si spingono a lambire il ciglio del corso d’acqua. Un analisi dello stato del paesaggio di un sito è molto soggettiva, sicuramente si possono dare diverse interpretazioni, dipendenti dal messaggio che si vuole dare e nel quale si crede. Proprio per cercare di rimanere in un ambito descrittivo, cercando di evidenziare lo stato delle cose, ho prodotto una cartografia molto semplificata, del tratto sampolese della ferrovia (immagine n° 129 ) dove ho evidenziato lo sviluppo urbanistico con relativa occupazione di territorio rurale, sovrapponendo all’immagine del volo aereo del 2011 fatto dalla Regione Emilia Romagna e le mappe catastali d’impianto dei primi anni del 1900. Questa mappa ha la sola funzione di fare percepire, quanta superficie rurale l’uomo ha occupato in questi 110-120 anni. Dalla stessa cartografia ho sviluppato dati suddivisi per comuni relativi alla lunghezza dei tratti ferroviari liberi da ambiti urbanizzati che il viaggiatore può osservare, dati che per certi aspetti hanno riservato delle sorprese.
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Comune di Reggio Emilia
La stazione storica della Reggio-Ciano è quella di Santo Stefano, il collegamento con la stazione centrale è avvenuto successivamente. Il tratto di pertinenza a questo comune è di 6607 metri, a cui si devono aggiungere 1980 metri per il tratto Santo Stefano-stazione centrale.
Fig. 115 fotografia aerea ferrovia Reggio Ciano, tratto di Reggio Emilia. Regione Emilia Romagna 2011
Quest’ultimo tratto urbano è completamente antropizzato con fabbricati costruiti a ridosso della ferrovia su entrambe i lati. In questo tratto, dove esiste una ricca miscellanea architettonica, è possibile osservare ancora dei fabbricati risalenti agli anni precedenti il secondo conflitto mondiale. Il tratto Santo Stefano confine Comune di Cavriago, risulta per una lunghezza di 1210 metri urbanizzato sui due lati, di questi 680 metri sono area industriale-commerciale, per un tratto della lunghezza di 520 metri urbanizzato solo su un lato, non urbanizzato su nessuno dei due lati 4877 metri. Da questi dati emerge, escludendo il tratto cittadino che non faceva parte del progetto originale, che oltre il 70% del percorso risulta essere in campagna privo di influenze urbane. Questo dato è estremamente interessante perché risulterà essere il tratto più lungo privo di costruzioni. Allo stesso tempo diventa una sorpresa in quanto, grazie ai filtri mentali che mi ero costruito, associavo la città alla mancanza di paesaggio rurale, invece mi sono dovuto ricredere. Questo è avvenuto, perché a monte della via Emilia i terreni erano e sono più pregiati per l’uso agricolo, rispetto quelli posti al di 127
sotto della stessa a Nord della città, dove si concentrano la maggior parte delle aree industriali, costruite anche su terreni bonificati. Da un punto di vista paesaggistico, questo tratto si identifica con l’unità di paesaggio n°8 denominata pianura bolognesemodenese-reggiana45. Partendo dalla stazione, molto vicina al centro storico di Reggio, che merita sempre una visita, il treno esce dalla città. Si attraversa un ambito urbano fortemente antropizzato, con un alternanza di vecchi quartieri residenziali e inseriti in quell’economia reggiana costituita da piccoli artigiani, che definire geniali è poco. Questi spesso avevano il laboratorio vicino a casa o nell’autorimessa della stessa ed aree commerciali artigianali spesso oggi abbandonate di nessun valore architettonico. In pieno ambito cittadino si attraversa il torrente Crostolo, oggi racchiuso in un alveo rettificato e in gran parte cementificato negli anni d’oro dell’incompetenza ambientale ecologica, con il fondo quasi interamente ricoperto da una soletta di cemento che nel tempo la natura, ristabilendo propri equilibri, depositando con le diverse piene materiale limoso in prossimità delle sponde, si è riformato un suolo dove si è sviluppata una certa vegetazione. In questo tratto il torrente grazie alla vegetazione cresciuta sulle sue sponde si è mascherato da corridoio ecologico, facendolo sembrare un bosco cittadino. Questo verde comunque nasconde un ambito fluviale, con una scarsa qualità delle acque, anche se nel suo alveo si possono avvistare numerosi volatili.
Fig. 116 il Torrente Crostolo a Reggio Emilia sullo sfondo il ponte della Reggio Ciano. foto Fabrizio Frignani autunno 2013 45 Componenti del paesaggio ed elementi caratterizzanti Elementi fisici, Formazioni argillose, Aree calanchive e
salse, Area di transizione caratterizzata da insediamenti periurbani intramezzati da agricoltura fiorente, alternata ad aree argillose incolte, Elementi biologici, Vegetazione su terreni argillosi, Elementi antropici, forte concentrazione di cave d’argilla e di industre ceramiche prevalentemente nel modenese, Allevamenti intensivi, Castelli e borghi matildici, Viabilità storica. Invarianti del paesaggio, Formazioni argillose, Salse, Castelli e borghi, Viabilità storica.
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Lasciata la città, dopo avere attraversato l’area denominata parco Ottavi, un grande intervento, dove si è voluto ricostruire un finto paesaggio rinaturalizzato, che ipoteticamente avrebbe dovuto riprendere il paesaggio naturale precedente le sistemazioni agrarie, la ferrovia entra in aperta campagna dove il paesaggio si presenta ricco di quel tessuto rurale, tipico della nostra tradizione. I campi divisi dai fossi più o meno grandi formano quel reticolo funzionale che da secoli permette a questi terreni lavorati coscientemente dall’uomo, di produrre le materie prime per le eccellenze alimentari reggiane. I prati stabili si alternano ai seminativi con qualche vigneto molto specializzato dove non c’è più traccia della piantata. Siepi boscate e specie tipiche delle zone umide, si alternano in prossimità dei corsi d’acqua naturali come il torrente Modolena, ed il torrente Quaresimo, che in questa parte di territorio si presentano con argini molto alti rispetto il piano di campagna, ed in compagnia di qualche albero isolato, noce, pioppo, ma soprattutto roverella, muovono con onde sinuose il paesaggio percepito. Questa miscellanea di ambienti permette in un ambito rurale intensamente coltivato, anche se controllata dall’uomo per i propri scopi una certa biodiversità.
Fig. 117 campagna tra Reggio Emilia e Codemondo. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
In questa campagna i segni monumentali identificabili principalmente nella casa colonica e negli annessi (i bassi servizi, il pozzo, l’aia) sono praticamente scomparsi dalla vita attiva, ma sono presenti come relitti in mezzo alla campagna a ricordarci tempi passati dove famiglie numerose vivevano e lavoravano in queste strutture estremamente funzionali e finalizzate alla produzione agricola. Era una realtà rurale legata in perfetta simbiosi con la terra ed i ritmi delle stagioni. Niente era così perfetto e complesso come la casa colonica, che in questa area è della tipologia definita reggiano modenese con la classica porta morta. In questa zona vicina a Reggio sono presenti anche fabbricati rurali a forma quadrata con i bassi servizi staccati, tipologia più simile a quella bolognese. Inoltre si possono ammirare in lontananza alcuni corpi di fabbricati a fianco di case coloniche padronali che testimoniano il processo di trasformazione industriale dei prodotti agricoli.
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Fig. 118 campagna tra Reggio Emilia e Codemondo, casa colonica tipo, abitazione, stalla collegati dalla porta morta, elemento strutturale tagliafuoco, basso servizio. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
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Comune di Cavriago E’ il primo paese fuori Reggio con un’estensione territoriale limitata, conseguentemente anche la ferrovia ha uno sviluppo breve di soli 2900 metri di cui 550 metri urbanizzati su entrambe i lati con anche una piccola parte artigianale, 1780 metri urbanizzati su un solo lato di cui 750 metri sono area industriale, non urbanizzato su nessuno dei due lati 570 metri. Da questi dati emerge che, il tratto in campagna con la visuale libera risulta essere poco meno del 20% del totale. Dal un punto di vista normativo, questo tratto è inserito nell’unità di paesaggio n° 9 pianura parmense.46
Fig. 119 fotografia aerea ferrovia Reggio Ciano, tratto di Cavriago. Regione Emilia Romagna 2011 46 Componenti del paesaggio ed elementi caratterizzanti Elementi fisici, Grande presenza di paleoalvei e di dossi, Grande evidenza dei conoidi alluvionali Presenza di fontanili Elementi biologici Fauna della pianura prevalentemente nei coltivi alternativi a scarsi incolti, Relitti di coltivazioni agricole tipiche, Povera di alberature e impianti frutticoli, Presenza di esemplari isolati, in filari o piccoli gruppi, di pioppo, farnie, aceri, frassini, ecc. , Lungo l’area golenale dei fiumi Secchia, Reno e Panaro ed in alcune valli e zone umide della pianura è presente la fauna degli ambienti umidi, palustri e fluviali. Elementi antropici, Centuriazione nell’alta pianura, Centri storici murati e impianti urbani rinascimentali, Presenza di ville con corredo pregevole di verde arboreo (parchi gentilizi), Abitazioni rurali a due elementi cubici o a porta morta, Partecipanze nonantolane e persicetane, Evidente strutturazione della rete parrocchiale settecentesca, principalmente nel bolognese, Diffusione del fienile separato dall’abitazione in forma settecentesche, Fornaci e maceri, Vie d’acqua navigabili e strutture connesse (conche di navigazione, vie alzaie, canali derivatori, ecc.), Sistema metropolitano bolognese e insediamenti sulle direttrici della viabilità storica, Sistema insediativo ad alta densità di Modena, Reggio Emilia, Carpi, Sassuolo Invarianti del paesaggio Fontanili, Dossi, Vie d’acqua navigabili, Centuriazione e insediamento storico, Sistema infrastrutturale della via Emilia
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Nell’intorno dei binari il paesaggio non è interessante in quanto la linea ferroviaria si presenta sempre compressa tra edifici con alternanza di residenziale ed artigianale di scarso valore architettonico, inoltre anche la conformazione della linea, quasi sempre in curva, non permette una visuale con orizzonti liberi.
Fig. 120 muro di cinta dell’azienda agricola Franzoni e Boschetti a Cavriago. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
L’ambito urbano diventa affascinante all’ interno dell’abitato sia nella parte vecchia, dove si possono ammirare composizioni iconografiche particolari sempre legate al mondo rurale, sia verso Sud-Sud Est dove le case si immergono fino a scomparire in boschetti che si sono sviluppati dove la pianura si raccorda con sinuose ondulazioni ai terrazzamenti del Ghiardo. E’ questa la fascia dove le forme geologiche, i colori, la vegetazione, le acque e le sistemazioni agrarie fatte dall’uomo, formano unite un paesaggio particolare. 132
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Fig. 121 paesaggio rurale a Cavriago, fianco della strada provinciale che collega Montecchio a Reggio. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
Da Cavriago fino a Bibbiano centro la ferrovia, essendo stata costruita in prossimità del raccordo tra il terrazzo e la pianura, può essere concepita come un limite che divide l’abitato dalla campagna. Limite che a Cavriago così come nel Comune di Bibbiano comincia ad essere intaccato; i paesi stanno espandendosi oltre questo confine evidenziato da questa linea ideale. Linea che spesso si affianca nel paesaggio a linee di demarcazione tracciate precedentemente come i canali d’irrigazione. Un tratto molto suggestivo si può osservare in via Tornara dove la ferrovia incontra il canale Ducale. Le piccole porzioni di terreno residue tra la ferrovia e l’argine del manufatto idraulico, vengono coltivati prevalentemente a vigna, componendo secondo le stagioni scorci particolari.
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Fig. 122 paesaggio rurale a Cavriago, fianco della ferrovia dopo la stazione di Cavriago verso Barco. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
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Comune di Bibbiano Dopo Cavriago la ferrovia entra nel territorio del comune di Bibbiano che ha ben tre stazioni principali: Barco, Bibbiano, Piazzola. Questo comune ha il maggior sviluppo di rete ferroviaria, che raggiunge circa 8100 metri, dei quali 1260 metri urbanizzati su entrambe i lati con 535 metri di area artigianale, 1960 metri urbanizzati su un solo lato di cui 185 metri sono area industriale, non urbanizzato su nessuno dei due lati 4880 metri. Da questi dati emerge che il tratto in campagna libero da fabbricati, risulta essere circa il 60% del totale. Questo dato che è sicuramente molto interessante, in realtà nasconde dei risvolti che vanno letti con maggior attenzione. Il tratto più aperto sulla campagna, si concentra verso la stazione di Piazzola, area a maggiore vocazione agricola di questo comune. Di recente tra Bibbiano e Piazzola è stata ampliata una piccola area industriale commerciale, che per una lunghezza di circa 400 metri avvolge i binari sui due lati. Questo ampliamento realizzato al di là della ferrovia può considerarsi un primo importante attraversamento di questo limite che fino a poco tempo fa divideva l’area urbanizzata dalla campagna. Rispetto agli altri superamenti del limite avvenuti nel tempo, costituiti prevalentemente da piccoli interventi, quest’ultimo ha un impatto maggiore in quanto ci troviamo di fronte ad un area industriale con un forte peso architettonico sul paesaggio ed impone un nuovo orizzonte del limite visivo. Orizzonte non più costituito da due binari, che in ogni caso lasciano un ampia visuale, in quanto poco emergenti dal piano di campagna e formano allo stesso tempo una linea guida verso la collina, ma da grandi parallelepipedi monocromatici. Se si ponesse più attenzione al paesaggio, si potrebbero cercare altre tipologie architettoniche con capannoni meno impattanti, oppure più rispetto per il territorio attraverso il recupero di aree urbanizzate in disuso.
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Fig. 122 fotografia aerea ferrovia Reggio Ciano, tratto di Bibbiano. Regione Emilia Romagna 2011
A conferma del concetto che la ferrovia è un limite urbanistico, trova rispondenza nel dato relativo all’occupazione urbana su un solo lato della ferrovia, della lunghezza di circa 1960 metri. Arrivando a Barco da Cavriago la morfologia del territorio è caratterizzata dall’accentuazione della presenza del terrazzo pleistocenico, formatosi nel Diluvium medio (Quaternario), che si congiunge con la campagna, con ondulazioni più o meno accentuate, con la ferrovia che corre alla base, dove è possibile ammirare da un lato terreni ondulati, dall’altro terreni pianeggianti. 136
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Fig. 124 paesaggio rurale a Barco, a fianco della ferrovia dopo la stazione di Barco terreni ondulati del terrazzo pleistocenico. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
Fig. 125 paesaggio rurale a Barco, a fianco della ferrovia dopo la stazione di Barco terreni pianeggianti. foto Fabrizio Frignani autunno 2013 137
L’abitato di Barco è molto suggestivo, la sua parte più antica si affaccia proprio sulla ferrovia e sul canale di Bibbiano, particolarmente interessante è il complesso architettonico dell’azienda agricola denominata Corte Bebbi che merita una visita. Da non sottovalutare è il viale della stazione, opportunamente sistemato ha un potenziale nascosto che meriterebbe di essere svelato. Salendo verso Bibbiano ci troviamo sempre più spesso di fronte ad una condizione paesaggistica che presenta continue contraddizioni urbanistico-paesaggistichearchitettoniche. Lungo tutto il tratto si passa continuamente vicino a fabbricati storici sedi oggi di aziende agricole di pregio sia per l’architettura che per la qualità e specificità delle produzioni, oppure di fianco a attività produttive legate alla filiera dell’allevamento suinicolo di nessun valore architettonico e dal forte impatto paesaggistico. Spesso nascondono tra le mura, essendo legate ad attività molinatorie, impianti molinatori più antichi costruiti a fianco del canale irriguo di estremo interesse storico culturale, ma ormai lasciati al degrado più assoluto. In questa situazione i cosi detti segni sono ancora presenti ma come per le case rurali osservate nel tratto reggiano diventano componenti nascosti che aspettano solo di essere riportati alla vista di tutti e riprendere il loro ruolo nella composizione del paesaggio. A Bibbiano il centro abitato presenta diverse emergenze architettoniche interessanti; nel viale della stazione sono presenti alcuni villini risalenti agli anni 2030 del 1900. Da qui è possibile raggiungere via della Fila la strada più antica costituita da una serie di fabbricati storici che si affacciano sulla ferrovia dove emerge anche un bel torrazzo matildico.
Fig. 126 paesaggio rurale a Bibbiano il Torrazzo struttura difensiva risalente al periodo Matildico. foto Fabrizio Frignani autunno 2013 138
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Salendo verso Piazzola, nel paesaggio la sagoma delle colline diventa sempre più nitida; essa impone al paesaggio percepito una barriera visiva che divide la pianura dalla montagna. A valle l’alta pianura per lo più piatta o ondulata con tutta una serie di trame geometriche che disegnano il paesaggio, a monte una montagna che vista da qui diventa sconosciuta impercettibile. Questo elemento strutturale del paesaggio, fa da sfondo all’importante complesso architettonico delle Pieve con la chiesa di Santa Maria Assunta.
Fig. 127 chiesa di S. Maria Assunta a Bibbiano. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
In località Corniano la linea ferroviaria è stata inglobata in una nuova area industriale descritta precedentemente. Fino a qualche anno fa la ferrovia era un limite invalicabile, segnava il confine tra centro abitato e area agricola, purtroppo con le nuove programmazioni territoriali questo limite è stato superato, a discapito di una contestualizzazione rurale che continua ad essere sacrificata a favore di una industrializzazione che da risultati nell’immediato, ma grandi incognite per il futuro, l’unico dato certo è la perdita di suolo agricolo e della visuale libera sull’orizzonte. Proseguendo si arriva a Piazzola, stazione che serve un piccolo borgo sede nell’antichità di un castello. È una stazione di passaggio, oggi utilizzata anche come deposito di macchine per la manutenzione dei binari e di autobus di linea. Un paesaggio dai due volti, uno pianeggiante ed uno dove cominciano ad accentuarsi i rilievi sempre ben visibili dal treno un paesaggio dove la verticalità comincia ad assumere un aspetto rilevante. Da Bibbiano la ferrovia si snoda su campagne aperte, destinate a seminativi e soprattutto a prati stabili irrigui. I segni sono più presenti che altrove ed anche più visibili. Oltre alla grande quantità di manufatti idraulici, presenti sui canali e sui fossi, c’è una maggiore presenza di case rurali sparse di dimensioni minori rispetto a quelle viste nel territorio di Reggio e Cavriago. Questo si può spiegare con la presenza di un numero maggiore di piccoli proprietari, aziende di coltivatori diretti, che con poderi più piccoli avevano necessità di meno manodopera. Ci troviamo di fronte ad un territorio più frazionato, ma che probabilmente è stato quello che ha permesso una maggiore conservazione dei fabbricati, in quanto la casa era di proprietà del conduttore del fondo, nella maggior parte dei casi abitata anche oggi, o comunque 139
mantenuta attiva come deposito, in quanto il conduttore abita nella villettina a fianco e produce il latte nella stalla moderna.
Fig. 128 paesaggio rurale nelle vicinanze di Piazzola foto Fabrizio Frignani autunno 2013
In questo contesto territoriale, ha assunto un peso ed un impatto paesaggistico particolarmente accentuato, la costruzione delle nuove stalle. La scarsa attenzione al paesaggio legato ad un’altra altrettanta scarsa attenzione alla cultura e alle tradizioni ha portato alla costruzione di stalle senza anima architettonica, senza alcuna tradizione e rispetto dei volumi storici, ma più semplicemente prendendo in prestito dall’industria il capannone dalla caratteristica forma di parallelepipedo regolare, dal colore tipico grigio-cemento. Per alcuni decenni questa è stata l’innovazione per lo sviluppo agricolo zootecnico locale. Questi edifici dai volumi sproporzionati completamente decontestualizzati con il paesaggio il territorio, la viabilità rurale, sono stati sparsi sulle campagne con una leggerezza incredibile, spesso ostruendo i coni di visuale, interferendo spesso con monumenti, alterando irrimediabilmente l’armonia delle forme del paesaggio e lo skyline percepito. In questi ultimi anni, a seguito di una maggiore cultura da parte degli operatori che hanno capito che il paesaggio non può essere distinto dalla loro attività produttiva, anche nell’agricoltura sono stati inseriti dei vincoli costruttivi che hanno portato le aziende a fare investimenti più accurati in questo settore. Sono apparsi nelle campagne fabbricati con volumi ed architetture più pertinenti al territorio, alla storia, ma soprattutto al paesaggio e probabilmente anche alle necessità produttive.
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Comune di San Polo d’Enza Si entra nel territorio di San Polo d’Enza definito da molti il paese delle acque, vista la quantità di canali irrigui che lo attraversano e la presenza di una fitta rete minore per l’irrigazione dei campi, oltre a corsi d’acqua naturali che disegnano marcatamente la trama del territorio.
Fig. 129 fotografia aerea ferrovia Reggio Ciano, tratto di San Polo d’Enza Sono evidenziate le occupazioni di territorio rispetto la cartografia catastale del 1900 Regione Emilia Romagna 2011
La ferrovia in questo comune ha uno sviluppo di circa 4750 metri, dei quali 1570 metri urbanizzati su entrambe i lati, 1970 metri urbanizzati su un solo lato di cui 1480 metri sono area industriale, non urbanizzato su nessuno dei due lati 1210 metri. Da questi dati emerge che il tratto che non presenta urbanizzazioni su ambo i lati, risulta essere circa il 26% del totale. Questo dato è quello che mi ha sorpreso maggiormente, in quanto conoscendo bene questo territorio, me lo sono sempre immaginato verde. In realtà il territorio di questo comune è a tutti gli effetti agricolo, con una parte collinare che fortunatamente non ha conosciuto lo sviluppo urbanistico della parte 141
in pianura. Questo fa si che lo spazio naturale percepito è molto maggiore. In effetti lo spazio urbano non si è sviluppato a macchia di leopardo come è successo per altri comuni con frazioni molto distanti dal centro. San Polo d’Enza, compreso il suo nucleo storico è sempre stato costituito da borghi, che in parecchi casi prendevano il nome di villa, come Villa S. Matteo, Villa Grisendi, ecc. Nel tempo queste ville con il caratteristico fenomeno della conurbazione, sono diventate un tutt’uno molto compatto. Questo ha fatto si che la ferrovia costruita quando l’abitato era ancora frazionato in Ville è venuta a trovarsi inglobata nell’ambito urbano. Questa tipologia di espansione urbana ha, da un lato, avuto l’effetto positivo di avere concentrato le urbanizzazioni intorno ad un luogo ben preciso e conseguentemente avere mantenuto con una buona espansione territoriale una parte della trama rurale esistente; dall’altro ha avuto l’effetto negativo di avere perso per sempre quella trama storico culturale, sociale che era presente con la suddivisione in Ville. Purtroppo questa tendenza a seguito delle nuove programmazioni urbanistica è stata spostata, anche verso quelle Ville poste sulle prime pendici collinari, dove sono state autorizzate espansioni edilizie che stanno pian piano unendo i diversi borghi, da sempre corpi separati con una propria e ben precisa identità, spesso legata a famiglie locali. Dopo Piazzola si arriva al Predele, dove è ben visibile Villa Magnavacchi precedentemente Casa Sartori che risale al XVIII°, caratterizzata da un muro di cinta con due torrette a base ottagonale poste sul lato Sud e sul lato Ovest è difesa dal canale Ducale. Questo complesso estremamente interessante, composto da villa padronale, fabbricato del conduttore, bassi servizi per gli animali e le attrezzature, più recentemente è stata aggiunta anche una porcilaia, evidenzia una conduzione del fondo prima a mezzadria poi, probabilmente in tempi più recenti, in affitto. Nei primi del 1900 come si può osservare nella foto n° 130, la villa era priva di vegetazione, al contrario di oggi immersa in un giardino rigoglioso, che ne oscura la bellezza architettonica. Molto suggestivo è il lungo viale alberato di pioppi, oggi sostituiti con delle tuje (cipressi), che vogliono ricordare un paesaggio toscaneggiante, che nulla ha a che vedere con il nostro paesaggio, dove la signorilità e la grandezza dei viali è sempre stata accompagnata negli ultimi 100-200 anni dal pioppo o dal gelso. Dalla campagna circostante è scomparsa la piantata, lasciando il posto al prato stabile. Questo edificio è un segno di grande valore che rappresenta la trasformazione territoriale avvenuta nel XVIII°, pertanto sarebbe importante riuscire a mantenere intatta la contestualizzazione territoriale nel quale è inserito, interessando tutti gli enti competenti (che in Italia sono tanti), con una manutenzione mirata opportuna in quanto parte del muro di cinta sul canale è crollato.
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Fig. 130 paesaggio rurale sullo sfondo Villa Magnavacchi localitĂ Predele, con il viale delimitato da pioppo cipressino, si noti la mancanza di vegetazione davanti alla villa, foto realizzata da Tito Magnavacchi antecedente la costruzione della ferrovia, databile prima del 1907 Archivio privato
Fig. 131 ex villa Magnavacchi oggi localitĂ Predele. foto Fabrizio Frignani primavera 2012 143
Proseguendo verso la stazione di San Polo dal treno, prima di entrare nella zona urbanizzata, è possibile osservare il borgo denominato Villa Sessanta, dove risalta nel paesaggio una importante casa a torre. Questa è una presenza territoriale nuova nell’ambito dei paesaggi visibili dal treno; infatti le case a torre sono più tipiche delle zone collinari e raramente sono presenti nelle zone di pianura. Un ulteriore segno che deve essere assolutamente tutelato non solo nella struttura architettonica ma anche nel contesto paesaggistico, nel quale è inserito. Un’altra casa a torre si può osservare quando il treno, ormai prossimo alla stazione, attraversa la parte storica di Villa San Matteo. Dopo la stazione inizia un paesaggio agrario dominato dalla collina. Qui i prati stabili ed i seminativi non sono più irrigui in quanto il canale Ducale scorre più ad Ovest a ridosso del torrente Enza ad una quota più bassa rispetto i terreni limitrofi alla ferrovia. La piantata è scomparsa quasi del tutto e non disegna più le geometrie del paesaggio sostituita invece da rigogliose siepi naturali. Diverso era il paesaggio ai primi del 1900, come si può osservare nella fotografia sottostante, che raffigura la parte Sud di San Polo d’Enza fotografata da Est verso Ovest; la piantata era dominante nella campagna sampolese, le scarse abitazioni, formavano le ville ben distanziate tra loro, sullo sfondo c’è la costa di Guardasone (in provincia di Parma), a dividere le due Provincie, il torrente Enza ancora ben evidente .
Fig. 132 paesaggio rurale, bellissimo scatto su San Polo in primo piano i casini Magnavacchi e Ramusani, sullo sfondo il torrente Enza e la costa di Guardasone, in mezzo una bellissima distesa di campi con la tipica piantata. foto realizzata da Tito Magnavacchi antecedente la costruzione della ferrovia, databile prima del 1907. Archivio privato 144
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Essendo in prossimità della collina il bosco comincia ad intervallarsi ai terreni coltivati. Ne nasce un mosaico dove l’uomo è colui che disegna, secondo le proprie necessità, il paesaggio percepito. La natura ci mette la struttura morfologica e il colore dei suoli che emergono quando si effettuano le nuove lavorazioni di rotazione colturale.
Fig. 133 paesaggio rurale campagna tra San Polo d’Enza e Ciano d’Enza. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
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Comune di Canossa Ci si avvicina velocemente a Ciano d’Enza nel comune di Canossa, si entra nell’unità di paesaggio n° 1547. La ferrovia in questo comune ha uno sviluppo di circa 1690 metri, dei quali 1490 metri urbanizzati su entrambe i lati, di cui 740 metri sono area industrialecommerciale, non urbanizzato su nessuno dei due lati 200 metri. Da questi dati emerge che il tratto libero da ostacoli urbani risulta essere circa il 12% del totale.
Fig. 134 fotografia aerea ferrovia Reggio Ciano, tratto di Canossa. Regione Emilia Romagna 2011 47 Componenti del paesaggio ed elementi caratterizzanti
Elementi fisici Zone di maggior concentrazione dei fontanili. Elementi biologici: Prevalenza di colture foraggiere per la produzione di Parmigiano-Reggiano, Fauna della pianura prevalentemente nei coltivi alternata a scarsi incolti, Le aree golenali del fiume Taro, Parma ed Enza sono interessati da fauna degli ambienti umidi, palustri e fluviali. Elementi antropici: Centuriazione, Ville padronali, Grandi case rurali che tendono alla struttura a corte, Casello del latte, Castelli della Bassa, Navigli canali derivatori e chiaviche, Presenza di un unico centro urbano di grandi dimensioni sulla Via Emilia e di numerosi centri minori siti in un territorio prevalentemente agricolo, Sistema infrastrutturale della Via Emilia. Invarianti del paesaggio: Fontanili, Villa padronali/grandi case rurali, Sistema infrastrutturale della via Emilia.
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In questo tratto la ferrovia traccia un corridoio su terreni delimitati ad Est dai cigli dei terrazzi che danno sul torrente Enza, ad Ovest dal piede delle colline; è in questo ambito che il paesaggio rurale presenta caratteri forti, quelli di un agricoltura fatta su versanti ripidi, difficili da lavorare; un insieme di onde in un mare immaginario, dove all’orizzonte si possono osservare le sagome dei castelli e si può raggiungere mentalmente una realtà irreale.
Fig. 135 momento di lavorazione dei terreni tra San Polo d’Enza e Ciano d’Enza. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
Purtroppo la rete paesaggistica storica visibile dal treno è scomparsa perché il paese si è sviluppato sui pochi terreni pianeggianti disponibili. Ciano, che è il capoluogo, è stretto tra le colline e l’alveo del torrente Enza, conseguentemente la fascia di terreno pianeggiante disponibile è veramente esigua, non a caso negli ultimi decenni, il paese si è sviluppato sulle prime pendici delle colline, che circondano il paese. I borghi storici, Vico, Carbonizzo, lo stesso centro, sono stati ingabbiati da nuove costruzioni, anche se la parte più antica è stata in gran parte conservata, vuoi anche per i vincoli imposti dai piani di programmazione. Nell’espansione urbana 147
bisogna anche comprendere una grande area industriale posizionata a ridosso del centro, ed una vasta area commerciale-artigianale, edificata più a Nord verso San Polo. Non distante dalla ferrovia, appena passato il Rio Luceria che delimita il confine con tra i due comuni, c’è il sito archeologico di Luceria risalente all’epoca romana, purtroppo non valorizzato per quello che dovrebbe. Nella descrizione dei territori precedenti avevo parlato di case sparse, nel territorio di Ciano, bisogna parlare quasi esclusivamente di borghi, sia nella esigua parte pianeggiante che nella parte collinare-montana, borghi storici risalenti in gran parte al medioevo, queste sono le terre della Contessa Matilde di Canossa. Borghi storici, con case addossate una all’altra, che seguivano le forme e le quote imposte dalla morfologia del luogo. Oggi sono immersi dentro un nuovo paesaggio, geometrizzato con nuove costruzioni ed urbanizzazioni che strutturalmente s’impongono alla morfologia del luogo, cambiandone completamente l’aspetto paesaggistico.
Fig. 136 parte del complesso storico di Vico, nel comune di Canossa, composizione architettonica composta da diversi volumi, che compongono un insieme in perfetta armonia. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
Più affascinante è il paesaggio che si può osservare volgendo lo sguardo sulle colline, coltivate con sapienza da secoli, ricoperte da boschi, dove la presenza umana è ancora in gran parte rispettosa del paesaggio che gli è stato consegnato da chi precedentemente ha abitato e lavorato questi luoghi. Terra di segni importanti, oltre i borghi, le sagome del castello di Rossena ed i ruderi di quello di Canossa, ci rimandano indietro nel tempo. Segni che costruiti con materiali poveri del luogo, ma con grande maestria, sono arrivati a noi in gran parte integri, a simboleggiare un passato, che racchiude il nostro futuro.
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Conclusioni. La sensibilizzazione e l’osservazione Nel “territorio-laboratorio” si cammina, si cerca, si esplora, spesso si fotografa, si disegna all’aperto.48 volevo riportare questa frase alla fine del testo, ma leggendola più volte, mi sono convinto che potevo iniziare le conclusioni cominciando dal tema della sensibilizzazione al paesaggio. Sicuramente tutte le problematiche descritte nella pagine precedenti, derivano da una scarsa conoscenza della materia paesaggio, più specificatamente di una mancanza di cultura al paesaggio. Una mancanza che nasce già dalla scuola che ai livelli più alti, non tiene mai in considerazione la realtà locale, una realtà che negli ultimi anni è diventata sempre più spesso solo oggetto di laboratori, che le scuole possono più o meno attivare in base ai fondi a disposizione, che anno per anno però svaniscono. Un po’ provocatoriamente si può affermare, che siamo sempre più blindati all’interno di programmi didattici, che ci fanno studiare luoghi e storie lontane, ma che non tengono in considerazione, quel che esiste ed è successo intorno a casa. Quel territorio-laboratorio dove, non sono successe cose da poco conto. L’Italia ha sempre avuto nella storia dell’umanità un ruolo importante, assieme alla cultura greca, ha dato vita alla civiltà europea, i successivi passaggi nei periodi storici hanno portato il nostro paese a diventare un elemento chiave nel Medioevo nella fondazione dell’Europa moderna.49 Un periodo storico durato un migliaio di anni, che ha lasciato segni dominanti nel paesaggio italiano e soprattutto nel nostro territorio dove per un certo periodo ha governato la Contessa Matilde di Canossa, donna molto influente e potente, più studiata all’estero che in Italia. C’è anche da dire che nella eccessiva presenza di livelli storici da studiare, la ricerca archeologica si spinge sempre più spesso verso quello che è considerato il livello più nobile, cioè quello romano, dimenticandoci che il Medioevo è li davanti ai nostri occhi tutti i giorni, in ogni nostro paese c’è qualcosa di medievale. Probabilmente nella nostra mente ci costruiamo un filtro, che ci porta a non osservare ciò che diventa quotidiano davanti ai nostri occhi. I segni del passato spesso abbiamo cercato in tutti i modi di integrarli nel contesto urbano, distruggendo spesso per sempre il quadro nel quale questi erano inseriti, e che li avrebbe fatti esaltare nello skiline del paesaggio, come succede per i castelli arroccati su speroni rocciosi che isolati nello spazio e nel tempo, da secoli sono li a dominarlo. La sensibilità, induce gli attori alla curiosità, la curiosità spinge gli attori all’osservazione attenta, a questo punti gli attori danno un valore al paesaggio. Si può dire che una persona sia sensibile al paesaggio quando mostra un atteggiamento curioso, interessato ed aperto verso i paesaggi, quando gli attribuisce dei valori e quando agisce in maniera responsabile verso di essi. In altre parole, quando il paesaggio è qualcosa che fa parte della sua esperienza vitale e della sua cultura.50 48 Giovanna Iori, In fare geostoria nel tempo presente. Quaderni Canossa Collana di filosofia n° 6, Centro Stampa, Comune di Reggio Emilia, 2009, p. 331 49 Giuseppe Sergi, L’idea di Medioevo, Universale Donzelli, Roma, 1998, pag 35. 50 Autori Vari, La sensibilizzazione al paesaggio, una sfida per il XXI secolo, Genealitat de Catalunja Departement de Territori i sostenibilitat, 2011, pag. 38
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Quale luogo è migliore della scuola per avviare un educazione di sensibilizzazione, dove curiosità e responsabilità, conoscenza della realtà locale, ed esperienze di vita, diventano gli elementi, per dare al paesaggio un valore, e trasformarlo in patrimonio comune. Dalla sensibilizzazione si deve passare all’osservazione, rieducare le persone, i ragazzi ad osservare. Quanti di noi solo nel percorso casa-lavoro, casa-scuola, non si accorgono che da un giorno all’altro vengono inseriti nuovi elementi, vuoi un cartello stradale, un contenitore per i rifiuti, ed il negozio ha cambiato il colore della tenda della vetrina. Osservare attentamente, questa deve diventare la lezione, in modo da riabilitare i nostri sensi, per una più profonda percezione di ciò che ci sta intorno, per permetterci di far crescere le nostre conoscenze; come afferma Lucio Gambi: L’uomo si sta impoverendo culturalmente perché con le autostrade e le vie di comunicazione veloci attraversa i luoghi senza osservare ciò che lo circonda.51 Io sono un grande sostenitore della mobilità alternativa e dello spostarsi utilizzando le proprie gambe, o al più la bicicletta quando si devono percorrere distanze più importanti. Mezzi che permettono nella loro lentezza di osservare, ammirare, ascoltare, odorare, insomma inebriare i sensi e potersi fermare in ogni momento per poterli percepire. Una lentezza che deve tornare ad essere padrona della nostra vita, che va troppo veloce, e ci scorre davanti ad una velocità tale che a volte non c’è ne accorgiamo nemmeno. Questo è il motivo per cui si devono rivalutare queste vie di comunicazione più lente, come le ferrovie secondarie, in sostituzione di quei viaggi che ci portano velocemente da una città all’altra, e non ci permetto di assaporare il viaggio. Osservare dal finestrino di un mezzo di trasporto lento, in questo caso il treno, dove, davanti ai nostri occhi passano più o meno velocemente dei paesaggi, insiemi di elementi che compongono il tema generale, dal quale con un’osservazione attenta emergono i singoli elementi. Il treno può essere il mezzo ideale per ritornare ad assaporare il paesaggio, così come nei propositi dei progettisti alla fine del 1800. Esperienze interessanti, ce ne sono un po’ ovunque, in Italia l’eccellenza è quella raggiunta dalle linee ferroviarie interne del Trentino Alto Adige, dove lo sviluppo di questo mezzo di trasporto, recuperando linee che erano state definite rami secchi da parte delle ferrovie statali, è diventato fondamentale per incrementare la coscienza ecologica nella popolazione, e le presenze turistiche sul territorio, soprattutto nelle valli. Logicamente il treno da solo non può fare crescere il turismo in una determinata zona, servono altri elementi, ci vuole un paesaggio ben gestito, ricco di bellezze naturali, biodiversità, segni, cultura, assieme a percorsi pedonali e/o ciclabili, che mettono il turista nelle condizioni di sentirsi bene, un’educazione al turismo da parte di chi lo offre.
51 Lucio Gambi, Poveri simboli della perdente civiltà, Bologna, 2008, pp. 56-57
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La gestione dei segni del territorio Oltre sensibilizzazione ed educazione, che daranno i loro frutti nel tempo, nell’immediatezza, bisogna quindi gestire quello che nel territorio compone il paesaggio. Come evidenziato nella fotografia n°129 relativa al comune di San Polo d’Enza, dove si può determinare quanto territorio rurale è stato occupato dall’uomo, per le proprie necessità urbane in poco più di 110 – 120 anni di storia. Le stesse considerazioni valgono anche per gli altri comuni interessati dalla ferrovia. Una prima tutela del paesaggio, passa attraverso la necessità di non ampliare ulteriormente gli spazi edificati, ma di riuscire con politiche attente e mirate, a ricostruire sull’esistente, soprattutto dove edifici di nessun valore, storico culturale, diventano monumenti del degrado, comprendo in questa categoria, anche quei quartieri di edilizia popolare costruiti negli anni 60 - 70 ed 80 del 1900. Costruiti per dare l’illusione della casa moderna alla povera gente, innalzati e finiti con materiali di scarsissima qualità. Molta attenzione va posta alle aree industriali o commerciali, per le quali bisognerebbe porre molto impegno creativo principalmente in fase di programmazione, alla loro ubicazione, ma soprattutto bisogna cominciare pensare, ad aree produttive di vero interesse sovracomunale, in modo da non avere più aree di questo tipo, disseminate sul territorio, senza alcuna logica, se non quella della mera speculazione edilizia. Inoltre bisogna migliorare l’aspetto architettonico, permettendo a chiunque di disegnare il capannone secondo il proprio piacere estetico, eliminando la caratteristica forma di prisma regolare, devastante da un punto di vista paesaggistico, realizzati con materiali veramente ecosostenibili, volumi oggi spesso dalle dimensioni esagerate soprattutto nello sviluppo in altezza. Fig. 137 Monte Baldo con la pianura Padana, visti dal monte Pezzola a San Polo d’Enza in evidenza l’antropizzazione. foto Fabrizio Frignani primavera 2013 151
Aree industriali che ricoprono grandi superfici di terreno, le quali diventano impermeabili e difficilmente possono trovare una riconversione, senza grandi investimenti economici pubblici, che alla fine andrebbero a sottrarre risorse per servizi che le amministrazioni potrebbero erogare ai cittadini. La sempre maggiore occupazione-sottrazione di territorio porta come prima conseguenza alla perdita di superficie da destinare alla produzione di alimenti. Dato che la richiesta di prodotti alimentari è sempre crescente, per ottenere sempre più produzione diventa necessario utilizzare integratori chimici, che inquinano il terreno, le acque e si annidano nei prodotti stessi. La conservazione delle superfici agrarie produttive è importante perché il nostro territorio non ha la configurazione spaziale delle campagne del centro Europa, dell’America del Nord, delle grandi pianure asiatiche, dove vi sono aree pianeggianti che si perdono all’infinito, dove hanno destinato queste aree agricole, all’industria produttiva di alimenti. Il nostro territorio è immensamente frazionato, ricco di segni e presenze ambientali, che ne determinano forzatamente un uso più equilibrato, attento, per produrre ciò che gli altri non riescono. Ed è per questo motivo che in Italia, ci sono le eccellenze alimentari. Ed è per questo motivo che ci dobbiamo mettere in testa che la superficie a disposizione dell’uomo sulla terra non si può espandere, quella è, e quella rimane, per cui prima di sottrarne un pezzo da destinare ad una nuova strada, ad un capannone, ad una semplice abitazione, dobbiamo veramente valutarne attentamente la necessità, confrontando svantaggi e benefici, dando un valore economico anche a tutto ciò che legato alla natura e alla storia di quel sito oggi non viene tenuto in considerazione.
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Conservare le contestualizzazioni sul terreno ed corridoi visivi Non si può più pensare di modificare il paesaggio, inserendo nuovi elementi urbani o antropici, senza osservare l’orizzonte, per capire quali interferenze questi interventi hanno con il paesaggio in genere, oppure interferire nella viabilità storica, nella rete idraulica, nella sistemazione dei poderi, nel sistema rurale, o nell’insieme architettonico del Borgo isolato, soprattutto dove questi elementi sono ancora presenti, anche se a volte non troppo visibili. La tutela di queste componenti del paesaggio, diventa basilare per non perdere i caratteri peculiari di un luogo, caratteri che identificano una struttura socio culturale ben precisa, e la consapevolezza di chi siamo, i punti di riferimento servono anche per non perdere il senso della vita. Quindi non basta osservare il singolo elemento, ma bisogna osservare l’intorno, in modo da non alterare un contesto che è stato strutturato in tanti anni di storia, ed è estremamente funzionale, come ho precedentemente scritto riguardo dell’abitazione rurale. Nelle due immagini che seguono, riporto un classico esempio di decontestualizzazione di un fondo rurale, a discapito di parcheggi e capannoni. Questa operazione edilizia, che si può ammirare entrando nella tangenziale di Reggio Emilia per chi viene da Parma, ha portato oltre la decontestualizzazione territoriale, alla perdita di superficie agraria produttiva, per ospitare automobili e dei capannoni (bisognerebbe essere in grado di determinare quale sia il bilancio economico tra quanto vale il prodotto della terra e quanto vale il prodotto del capannone), alla perdita di visuale libera con la costruzione del parallelepipedo in cemento posto proprio di fronte al fabbricato rurale che doveva essere considerato un monumento. Questo è l’esempio perfetto di ciò che non si deve fare se si vuole fare una vera e seria politica di valorizzazione del territorio.
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Fig. 138 località Reggio Emilia in prossimità della tangenziale lato Ovest, bellissimo esempio di fabbricato rurale con basso servizio in buone condizioni di conservazione. foto Fabrizio Frignani primavera 2014
Fig. 139 località Reggio Emilia in prossimità della tangenziale lato Ovest, bellissimo esempio di fabbricato rurale con basso servizio in buone condizioni di conservazione con la nuova contestualizzazione urbano industriale. foto Fabrizio Frignani primavera 2014
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Paesaggi visti dal Treno
La struttura territoriale storica, è stata costruita dall’uomo, data la scarsità di mezzi, con piccole modifiche, avvenute in tempi lunghi, tempi che permettevano un osservazione attenta delle conseguenze che si potevano verificare. Spesso associamo il nostro stato evolutivo all’assoluta ragione, senza avere l’umiltà di osservare attentamente ciò che è stato fatto in tempi non recenti, ed è ancora li perfettamente intatto e funzionante. Dobbiamo uscire dal concetto che tutto ciò che è collegato alla matematica pura, può essere funzionale a tutti i costi, anche perché le variabili ambientali, sono decisamente infinite, ed imperfette. Questo per affermare che nei tempi passati non erano assolutamente degli stolti, avevano solo meno mezzi, rispetto a quelli oggi in possesso dell’uomo e quel poco che avevano lo utilizzavano sicuramente meglio. Soprattutto c’era più rispetto dell’ambiente, forse anche paura della sua forza incontrollabile. Fillipo Re relativamente alla capacità dei locali nel 1817 scrive: …ed affinché non sembri strano questo mio argomento, dirò di averlo appoggiato ad un fatto di cui sono stato testimonio, già da più anni trovandomi sull’Appennino. Un montanaro vedeva come la Secchia (fiume Secchia) scorrendo fuori del suo alveo, colmava or uno or l’altro picciolo tratto di terra, cominciò a riflettere ed a calcolare se avesse potuto forzare l’acqua e far lo stesso in suoi sterili campicelli. Pose mano all’opera, e formò ubertosi prati e certo non aveva idea di colmate. Ne meno credo essere stato necessario, come pure si opina generalmente di avere vedute o conosciute certe pratiche più rilevanti ed utili, come sarebbero per esempio le grandi imprese degli Egizj, per apprendere e derivare le acque, e per colmare terre. L’osservazione di quanto fa la natura, accompagnata dalla più attenta meditazione potè benissimo guidare gli italiani fatti colti ed esperti ad imprese di tale natura.52 Fig. 140 il Castello di Rossena, la visuale dall’alta pianura è spesso invasa dai tralicci dell’alta tensione, composizione paesaggistica spettacolare per i fotografi, meno per la contestualizzazione del paesaggio storico. foto Fabrizio Frignani autunno 2013
52 Filippo Re, Saggio Storico sullo stato e le vicende dell’Agricoltura Antica dei paesi posti fra l’Alpe e l’Appenino sino al Tronto, Milano Giovanni Silvestri, 1817, pagg. 23-24
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Tutela del paesaggio e sviluppo economico. il turismo ecosostenibile un volano per l’economia Con queste poche righe non sarò certamente esaustivo anche perché ci sono autori che su questo argomento fanno studi molto approfonditi; vorrei però solo dare alcuni spunti perché è un argomento a cui credo moltissimo e soprattutto sono convinto nella necessità di proporre un turismo semplice, che può essere fatto con quel territorio che tutti i giorni calpestiamo, ma non osserviamo; ed è di una bellezza unica e soprattutto ha ancora un’identità abbastanza precisa. Se pensiamo al concetto tradizionale di turismo, dove si devono concentrare grandi folle, in determinati periodi dell’anno, ma soprattutto se pensiamo ad un turismo dai grandi numeri, stiamo percorrendo la strada sbagliata. Il nostro territorio è vocato naturalmente ad un turismo di nicchia, legato indissolubilmente al proprio territorio, a ciò che vi si produce, a ciò che si può vedere, al grande sistema di valori ancora presenti, anche se in realtà un po’ nascosti. Un insieme che si può identificare solo nel paesaggio rurale. Per cominciare a sostenere un idea di questo tipo, bisogna iniziare dallo spostare, il concetto di centralità dalla città al mondo rurale, per questo motivo, è necessario porre molta attenzione in fase di programmazione territoriale, a non trasformare i piccoli paesi immersi ancora nel mondo rurale, in pseudocittà. Come purtroppo è avvenuto negli ultimi 20 anni, e collocare questi luoghi nella posizione centrale che hanno insita nella geospazialità nel territorio e nel paesaggio al quale appartengono. Per mettere i luoghi in questa condizione bisogna rafforzare l’idea di ruralità, che non significa ritornare indietro nel tempo, ma prima di tutto ridare valore all’identità del luogo, che per il nostro territorio è legata alla terra, allo stesso tempo fare distinzioni importanti, la prima tra urbano e rurale, la seconda tra rurale e agricolo soprattutto nella parte estremamente industriale dell’aggettivo agricolo. Per chiarire in poche righe questi due quesiti ho cercato risposte nell’ambito della sociologia urbana, scienza che cerca di capire i nuovi legami che legano l’uomo al territorio, Carlo Guidicini sociologo di fama internazionale afferma: Nella vita rurale, gli avvenimenti si susseguono lentamente ed i contatti interpersonali, poco frequenti e poco diversificati, lasciano adito alle personalità di sviluppare strutture emotive profondamente radicate nella psiche, nel mondo urbano specie nelle grandi metropoli l’individuo è portato a declassare l’importanza delle proprie emozioni ed a trasferire gli stimoli nervosi ad un livello più astratto della psiche... Il rurale va progressivamente distinguendosi dall’agricolo. L’uno inteso come modo di essere e di organizzarsi lo spazio, il secondo visto come modello produttivo. A tale distinzione non si è certo arrivati in modo automatico; rurale ed agricolo hanno infatti costituito, 156
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per lungo tempo, una specifica categoria unitaria che raccoglieva, al suo interno una precisa categoria di residenti. Il mondo rurale inteso come ideologia, come scelta di vita, come realtà capace di condizionare la vita dell’uomo, solo recentemente è uscita dalla cerchia di pochi intimi per diventare fatto generalizzato. E da questo momento ci si è trovati vieppiù in presenza di un tipo di realtà agricola orientata ad imitazione dell’urbano, mentre si venivano nel contempo delineando spazi del rurale autonomi, isolati dalla realtà circostante. Isolati avendo perduto significato per l’economia agricola, essi finivano con l’essere globalmente emarginati ed ignorati. In realtà era l’agricolo che tendeva ad entrare in competizione ed associazione ad un tempo con l’urbano; e finiva con il dissociarsi da quello che era il suo naturale contesto, con la sua più immediata proiezione di vita... ma un bosco incolto, una casa abbandonata, un terreno non inserito nel sistema produttivo agricolo ripropongono in tutti i soggetti il senso del ritorno alla fase primitiva ed all’ignoto.53 Per la sociologia diventa quindi determinante avere un paesaggio rurale, che va in contro tendenza ad un paesaggio agricolo, in quanto è nel paesaggio rurale che possiamo trovare o ritrovare le identità del luogo. Identità che ci portano ad un equilibrio tra passato e presente, tra tradizioni e modernità, tra economia e salvaguardia. Quindi il mondo rurale può essere centralità, attorno al quale sviluppare una proposta economica alternativa, con un ambiente ed una qualità di vita migliori, con prodotti alimentari tipici, le così dette eccellenze, con la storia e le tradizioni che diventano fruibili a tutti, con servizi efficienti che fanno arrivare in quel luogo un turismo di qualità. Un turismo che deve portare la gente a percorrere questo territorio, con lentezza, ed è per questo motivo che diventa fondamentale, il mantenimento ed il miglioramento della rete ferroviaria interna, con la costruzione di una rete di piste ciclopedonali, che si devono identificare veramente con questo nome e non con righe gialle che delimitano il limite tra una strada asfaltata e lo spazio destinato alle biciclette. Una rete di sentieri pedonali e ciclabili (MTB), mantenuta efficiente, ridotta in quantità, (oggi sono troppi i percorsi segnati solo sulla carta). Un’idea che soprattutto deve essere presa in seria considerazione sia dagli amministratori, che dai conduttori dei terreni, bisogna crederci, per farla diventare volontà. Un turismo che collega la via Emilia alla collina, la città alla campagna, con una mobilità alternativa. La ferrovia diventa il mezzo più idoneo per spostarsi su questo territorio, senza utilizzare le automobili, ma anche il mezzo dal quale si può ammirare il paesaggio, si può cominciare a sognarlo, ad immaginarlo, prima di poterlo vivere direttamente percorrendolo a piedi o in bicicletta. Un sistema che deve fare rete, ma prima di tutto un sistema che deve essere costruito nella cultura della gente, per fargli capire che questo territorio può dare reddito e quindi creare economia, allontanandosi dagli schemi tradizionali del recente passato costituiti quasi esclusivamente dal binomio capannoni e strade, che hanno fino ad oggi riscontrato il favore di amministratori e di programmatori economici territoriali, sul nostro territorio (ma non solo), forse perché era la cosa più semplice, quella dove c’è meno bisogno di fantasia. 53 Paolo Giudicini, Manuale per le ricerche sociali sul territorio, Milano, Franco Angeli, 1994, pagg. 32-190.
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Un sistema rurale che famoso per le sue eccellenze, dovrebbe essere aperto all’ospitalità, per la quale gli abitanti di questa Regione sono conosciuti nel mondo. Con gli agricoltori, che tornano ad apprezzare il loro mondo rurale, rispettando maggiormente la terra, ritornando a sistemi di conduzione meno industriale. Guardando il turista non come un intruso, ma come un’ospite che può diventare una opportunità economica, oltre che un arricchimento culturale (ma non corriamo troppo). Ricordiamo che generalmente questo tipo di turista è di alta qualità, sotto ogni aspetto. Ospitalità che purtroppo oggi si scontra troppo spesso con la burocrazia, per l’apertura di B&B, luoghi per la ristorazione, ecc, ma soprattutto si scontra con la scarsa preparazione degli operatori, che spesso vedono in questo tipo di attività, un mordi e fuggi economico, facendo pagare ai turisti prezzi improponibili, che porta quest’ultimi a non tornare. Una mancanza di cultura turistica, che conduce spesso a contrasti molto forti tra i conduttori dei fondi ed i fruitori dei percorsi che attraversano i fondi stessi, alludendo alle solite motivazioni, i ciclisti rovinano la carrareccia, perché quando piove con le ruote incidono la superfice, la gente a piedi calpesta l’erba, dimenticandosi spesso, che a loro volta loro per primi hanno eliminato per guadagnare qualche metro in più di coltivo, la rete interna di carrarecce. Senza la tutela del paesaggio diventa impossibile fare questo tipo di turismo. Tutelare non significa però conservare, purtroppo questo è il messaggio che oggi spesso passa, causa la burocrazia. La tutela è vista come un qualcosa che calato dall’alto non permette nessun tipo di sviluppo. La tutela del paesaggio è indissolubilmente legata alla presenza dell’uomo sul territorio e sulla diretta gestione di quest’ultimo, una presenza che deve essere rispettosa e cosciente, dove i segni tornati ad essere visibili, ridiventano oggetto vitale della nostra quotidianità. Un mondo rurale dove possiamo trovare contemporaneamente la nostre radici che vengono dalla storia, rimettere nuove radici per costruire il nostro futuro. Dove è possibile godere di un paesaggio che ci accompagna a vivere i sogni.
Fig. 141 tramonto sulla campagna che circonda la ferrovia Reggio Ciano, un territorio dove è possibile vivere i sogni. foto Fabrizio Frignani autunno 2013 158
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Ringraziamenti Sembra una frase di rito, ma oggi per potere pubblicare anche una semplice raccolta di note di viaggio nel paesaggio, come può essere classificato questo volume, di persone da ringraziare ce ne sono tante. Comincio con il geom. Daniele Caminati, Presidente di ACT della quale mi serviva consultare la documentazione presente nell’archivio, il quale, dopo avermi ascoltato, mi ha spronato ad andare oltre al progetto didattico sviluppando un volume e delle immagini fotografiche sull’argomento. La Prof.ssa Gabriella Bonini, responsabile dell’Archivio Emilio Sereni dell’Istituto Alcide Cervi, con la quale assieme ad un gruppo di colleghi portiamo avanti ricerca e didattica proprio su questi argomenti. Emiliana Zigatti per l’aiuto nell’impaginazione del libro. Ringrazio il direttore ed il personale dell’Archivio storico del Comune di Reggio Emilia, presso il quale è depositato l’archivio storico dell’ACT per la disponibilità dimostrata. La Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia e l’Archivio Storico di Stato, dei quali ho utilizzato molto del materiale digitalizzato, messo a disposizione direttamente sui loro siti. La mia famiglia che, volente o nolente, partecipa alle mie scorribande fotografiche, in giro per campi, colline, montagne e successivamente alla scelta delle immagini da utilizzare nelle pubblicazioni e nelle mostre. Ringrazio il Consorzio della Bonifica dell’Emilia Centrale, con il quale collaboro attraverso l’Athelier del Paesaggio della Bonifica; in particolare il geom. Maria Teresa Giglioli ed il Prof. Antonio Canovi geostorico con cui mi sono confrontato su alcuni temi storici ripresi nel volume e che mi hanno permesso di utilizzare alcune immagini dell’archivio storico della Bonifica, oltre che contribuire direttamente alla pubblicazione del libro. Ringrazio il personale dell’Ufficio Cartografico della Provincia, sempre disponibile nel permettermi di trafficare sulla cartografia storica in loro possesso. Ringrazio l’amico Enologo Alberto Grasselli, per la preziosa collaborazione nel campo dello studio dei vitigni locali. Ultimo, ma volutamente messo in questa posizione per poterlo ringraziare in modo particolare, è il Prof. Carlo Alberto Gemignani geografo, che oltre ad avermi seguito nella stesura della tesi, avvicinato alla fotografia comparata e, sotto un certo aspetto, ridato gli stimoli giusti per tornare a fotografare, ha scritto l’introduzione di questo libro e ancora mi segue in alcuni progetti di ricerca. A tutti coloro che ho incontrato durante questo viaggio, grazie ai quali, anche solo scambiando due chiacchiere, ho potuto completare questo lavoro. 163
resse zioni di inte n fu ti n a rt o p io svolge im e sociale e e il paesagg ch o d n ambientale , ta o a ic st g lo Con co e , le ra a, e che, se l piano cultu à economic it iv tt ire ’a ll a le generale, su uò contribu orevo adeguato, p a risorsa fav n o u d o ce m is u in it cost e pianificato to, gestito, salvaguarda one voro; all’elaborazi di posti di la ra e e n p o o zi co a e io cr g alla e il paesag damentale del fatto ch ponente fon m co a n u Consapevoli ta sen ndo così al cali e rappre a, contribue lo p ro re u u lt ’E ll cu e d e dell rale amento e al consolid lturale e natu i n cu a io m n u o ri e im ess del patr zione degli lla soddisfa a e re e ss e n be portante ea; elemento im p n u ro u o e g o tà lu ti i n n dell’ide ggio è in og ne e nelle e aree urba o che il paesa ll d e n n e i: sc n o o n zi o Ric pola ualità, nelle vita delle po di grande q i a ll ll e e u d q tà in li a e u m della q tidiana; degradati, co ella vita quo nei territori d , e e ll n e g u a q p e m ca com , forestale, eccezionali, one agricola zi te u d ra e ro d p si i n d he zone co teria di zioni tecnic prassi in ma che le evolu e o ll d e n d a e rv a e ri ss O e svaghi, minera reti, turismo nificazione i, ia rt p o e sp a le a tr ri , no, in istica indust iali continua riale, urban d o n it o rr m te i e ic n m o no pianificazi iamenti eco gi; ente, i camb lm ra i dei paesag e n o e zi g e più sforma n a tr le godere re d ra i n d accele polazio i a o , p si e ll ca i e d lt i o ic m gli ausp ivo nella sua o soddisfare un ruolo att re e lg o Desiderand sv i d tà e ggio di quali di un paesa chiave del one; un elemento ta n se trasformazi re p p ra ia, la sua il paesaggio a salvaguard su r la e ch e Persuasi che ale, nsabilità pe iduale e soci iritti e respo iv d d o n in a re rt e o p ss bene cazione com la sua pianifi gestione, e iduo. ciascun indiv l Paesaggio Europea de e n io z n e v della Con preambolo
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