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di Carla Ida Salviati

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di Paolo Gheri

di Paolo Gheri

Per il maestro di Piadena

Cento anni di Lodi

di Carla Ida Salviati

Ogni anniversario corre il rischio della celebrazione acritica, dell’adesione sentimentale, che può addirittura arrivare all’esaltazione. Poi, magari, cambiati i tempi e mutati gli umori, tutto va nel dimenticatoio assieme al personaggio in questione. È finita così per tanti illustri “a orologeria” – politici, intellettuali, artisti – e credo sia inutile per il mio lettore fare qui nomi o citare eventi.

Mi auguro che il centenario della nascita di Mario Lodi costituisca un’occasione per ritagliare la sua figura fuori dalla retorica del “maestro buono” riconducendola, attraverso nuovi documenti e nuovi studi, al reale spessore pedagogico e agli ideali che hanno sostenuto le sue scelte morali e didattiche. In altre parole, all’insegnante che “vuole bene ai bambini”, “al papà di Cipì” (come talvolta l’ho sentito apostrofare) va sostituita una più razionale e realistica dimensione culturale. Non è mai, questa, un’operazione semplice, soprattutto quando si tratta di personalità che hanno a che fare con l’infanzia: persino Gianni Rodari, che pure è ben inquadrabile entro un solido profilo intellettuale e politico, non è stato del tutto risparmiato da operazioni mielose intente a smussare gli spigoli del giornalista sociale e del militante di sinistra. Anche la Montessori non sfuggì a simile destino: pur sollecitando studi nuovi e ricostruzioni biografiche egregie, venne al contempo avvicinata a profili più vicini alla “maestrina dalla penna rossa” di deamicisiana memoria che non alla scienziata coraggiosa e controcorrente, madre nubile che affidò ad altri il proprio figlio, fascista per breve tempo ancorché piuttosto entusiasta… Si potrà obiettare che l’immaginario “di massa” poco ha da spartire con la seria ricerca. Tuttavia sappiamo bene che le convinzioni di massa sono assai abili a radicarsi, mentre le più complesse interpretazioni degli specialisti riescono poco – e talvolta per niente – a scalfirle. Mario Lodi era figlio del suo tempo: un tempo che infatti ben si riflette nel suo pensiero e nelle sue azioni, a cominciare dalle scelte didattiche e dalla scrittura. Venne a contatto con eventi e personaggi coevi che lo sostennero o, al contrario, lo osteggiarono. Nell’arco dei suoi novant’anni e più, conobbe la scuola fascista che frequentò per l’intero arco dei suoi studi; ebbe un padre antifascista e una madre che – come accadde a molte italiane –cercò di mediare tra le convinzioni del marito e il desiderio di assicurare ai figli una crescita equilibrata, giocoforza allineata, negli anni del maggiore consenso verso il regime1; conobbe la carcerazione dopo il ’432; entrò nella scuola dell’Italia repubblicana e vi rimase fino alla pensione nel 1978; nel dopoguerra fu attivo in numerose iniziative di impegno civile di ispirazione socialista; elaborò una profonda crisi

professionale e personale nel percepire come la scuola elementare, nonostante la Costituzione democratica, continuasse a riprodurre modi e metodi autoritari senza porsi il problema della selezione sociale di cui essa era ganglio attivo… Poi vennero gli anni della celebrità, di Cipì e de Il paese sbagliato, degli interventi contro la televisione, della laurea honoris causa, dei riconoscimenti internazionali… Sempre e comunque, però, il suo lavoro e le sue idee pedagogiche ebbero, accanto a seguaci entusiasti e appassionati, anche osservatori titubanti quando non apertamente avversi, collocati politicamente tanto a destra come a sinistra. Persino all’interno del Movimento di Cooperazione Educativa, dove pure divenne un mito, fronde agguerrite lo attaccavano per le posizioni moderate negli anni del trionfo della veemenza milaniana. In attesa dell’uscita alle stampe della biografia di Juri Meda, dalla quale ci attendiamo proprio in occasione del Centenario una sistemazione storica sostenuta dall’organica disamina dei documenti, vorrei dunque qui proporre un breve percorso tra alcune posizioni critiche che negli anni sono state assunte nei confronti del pensiero e delle azioni di Mario Lodi. A qualcuno, forse, questa mia proposta sembrerà peregrina: in fondo, davanti ai tanti stravolgimenti sociali dell’oggi, a chi può importare un dibattito del periodo post-sessantottino? Roba, del passato, si dirà. Però, in un modo o nell’altro la scuola è stata comunque oggetto di forte interesse anche da parte di osservatori non specialisti, che sono ritornati ad allora guardando – con occhio favorevole o critico – quella stagione eccezionale di tentativi di rinnovamento. E qui il sostantivo “tentativi” va sottolineato poiché la scuola egualitaria, l’ascensore sociale per i “capaci e meritevoli”, la scuola di tutti e di ciascuno, non si è davvero generalizzata, lasciando senza risposta tante (troppe) domande che il priore di Barbiana ci aveva posto più di cinquant’anni fa. Lo scontento (ma non la delusione) è al centro del recente Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza, Milano, La Nave di Teseo, 2021 di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi. I due autori forniscono la loro interpretazione dei tanti guai che affliggono la scuola contemporanea, facendo leva più sull’esperienza personale assunta come paradigma generale che su un’analisi di eventi politici, di riflessioni pedagogiche, di trasformazioni sociali, di prospettive storiche (ma qui la Mastrocola va assolta poiché afferma con un certo orgoglio di avere escluso volontariamente la storia dal suo personale percorso for-

mativo universitario). Nel saggio si parla spesso di “picconatori” della scuola del passato (quella gentiliana, va da sé, dalla quale non siamo mai pienamente usciti nonostante quasi tutti i ministri siano arrivati al dicastero promettendo/minacciando una riforma radicale…). Non si parla di Rodari né di Mario Lodi; si parla di don Milani quello che, a loro dire, vorrebbe “una scuola facile e divertente” (p.116). Proprio i medesimi aggettivi sono stati nel tempo utilizzati per denigrare la didattica lodiana. Se per “facile” si intende l’impegno quotidiano del docente nel mediare tra il sapere e il saper fare, tra la formalizzazione del sapere e il Mondo, allora sono d’accordo anche io che frequentare le aule di Piadena fosse una pacchia. Se per “divertente” si intende organizzare una didattica attiva nella quale il discente è protagonista, è gratificato da quello che va imparando ed è persino contento di imparare… ebbene sì, evviva la scuola “divertente”. In occasione della stampa de Il paese sbagliato (1970) Lodi ebbe l’occasione di spiegare come si svolgessero le lezioni nelle sue classi:

All’inizio dell’anno facciamo un piano di lavoro a lungo termine. Quest’anno abbiamo scelto di fare un’indagine sul nostro paese, da tradurre in film.[…] Adesso stiamo studiando il nostro fiume, l’Oglio. Preparare la sceneggia-

tura del film significa studiare l’italiano, osservare gli argini e gli animali del fiume vuol dire studiare le scienze, calcolare la distanza delle isolette dalla riva è matematica, è sistema metrico decimale fatto dal vivo. Il fiume stesso poi è geografia…3

Solo chi non ha mai vissuto dentro una classe ben organizzata secondo i principii (mai dogmi) dell’attivismo può coltivare il convincimento che là si passi il tempo a fare qualcosa di diverso dall’imparare. Infatti quello che contava (e che ancora conta, con Lodi o meno) non è il risultato ancorché soddisfacente (nella citazione, è un film) ma il percorso del gruppo e del singolo. Credo sia proprio l’approccio storico a far difetto a parecchi che si esprimono sulla scuola e segnatamente su quella

“progressista”: ed è curioso che il medesimo approccio spesso accomuni sia gli oppositori di Lodi sia alcuni suoi seguaci appassionati ma acritici. Seppure certi elementi della sua didattica appaiono oggi superati (ad esempio, l’uso della tipografia fin dai primi momenti di apprendimento della scrittura) la prospettiva storica ci fa comprendere il senso profondo – pratico e insieme simbolico – del “complessino per stampa a caratteri mobili” in un’aula contadina degli anni ’50. Nelle scuole tradizionali si imparava a scrivere con inchiostro e calamaio, e i ricchi avevano la carta Fabriano e i poveri i quaderni del Patronato che hanno contribuito non poco a sancire disuguaglianza e fallimenti scolastici. Analogamente, se la dura polemica contro il libro di testo (“cinghia di trasmissione della cultura dei padroni” era lo slogan) oggi può parere esagerata perché tutti (o quasi…) accediamo alla rete, essa va collocata nella scuola dell’immediato post-Sessantotto, e vanno letti gli “stupidari” che i maestri progressisti di allora andavano componendo con la selezione delle baggianate e dei falsi ideologici profusi a piene mani nei sussidiari4. E così va collocata l’esperienza della Biblioteca di Lavoro che Lodi coordinò con una buona dose di utopia, con limitatissime possibilità economiche, sorretta dal sogno che la pluralità delle fonti fosse in grado di smantellare un’editoria scolastica più che mediocre e che la valorizzazione delle ricerche dei ragazzi avrebbe convinto gli insegnanti a imitare e a innovare. Se rinunciamo alla chiave storica comprendiamo davvero poco di quella stagione contraddittoria e certo troppo urlata, spesso velleitaria, ma sinceramente convinta di poter dare una spinta al cambiamento (in meglio) della società grazie alla piccola freccia spuntata della scuola. Che l’auspicato cambiamento costituisse per una parte di docenti una motivazione sufficiente a imbarcarsi in una didattica nuova e tutt’altro che semplice – una didattica mai vista prima, dove il maestro rinunciava alla frontalità e si sedeva a dialogare maieuticamente in mezzo ai bambini – lo capirono fin da subito alcuni decisi oppositori delle proposte di Mario Lodi e dei suoi seguaci. Tra i più acuti cito l’editore Armando Armando che dalle pagine del suo periodico “AVIO” non mancò di additare, con vigorose bordate polemiche, l’obiettivo politico appena celato dietro al rinnovamento educativo; egli scriveva recensendo Il paese sbagliato:

Per Lodi è illegittima la società in cui [egli] vive, il suo sbagliato paese, non il libro di testo. E non diversamente, pur se a più alto livello, si muove Don Milani […] Possono essere considerati i Savonarola di questo ancor mussoliniano irreversibile paese di santi, di navigatori, di scienziati.5

Arrivare alla società attraverso la scuola è stato il leitmotiv per coloro che nel post-Sessantotto si impegnavano nel radicale ripensamento delle pratiche d’aula: obiettivo ambizioso che, prevedibilmente, non è stato mai conseguito. E poiché Mario Lodi,

dopo Il paese sbagliato, acquista fama nazionale e poi varca anche i confini6 , diventa il bersaglio preferito tanto dei conservatori quanto dell’ultrasinistra. Per fare un esempio, il profilo di Lodi per l’Enciclopedia Treccani, ravvisa fragilità (politica) nell’operato di Lodi:

il tema delle espressioni spontanee e via via coscienti della cultura di classe […] riformulato sul terreno dell’educazione, si risolveva nella formula certamente più inoffensiva del diritto all’espressione, garantito dalla Costituzione, dei semplici, bambini in testa. Nel nome di una scuola ancora una volta meno preoccupata di istruire che di controllare ideologicamente il nuovo popolo7 .

Argomentazione ardita, quest’ultima, se si pensa quanto profondo – fondativo, addirittura – sia stato l’impegno di Mario Lodi nel pensare e nel praticare una scuola che emancipa e che promuove consapevolezza e partecipazione: esattamente l’opposto dell’esercitare controllo ideologico. D’altra parte il maestro aveva raccolto dure accuse dalla raffinata rivista “Quaderni Piacentini”, palcoscenico di intellettuali di spicco vicini ai movimenti studenteschi ed extraparlamentari. In pieno stile del tempo, esce un articolo firmato “da un collettivo di insegnanti bolognesi”: il titolo, Il kennediano di Piadena, è di per sé già una piena condanna dell’autore, che viene accusato di “riformismo didattico […] il più ingenuo, e perciò più pericoloso”; e continua: “è fuor di dubbio” che “la scuola, come la fabbrica, per non dire dello stato si cambia sul serio soltanto se è nelle mani del proletariato. Niente rivoluzione pedagogica senza rivoluzione politica”. In altre parole Il paese sbagliato costituisce dunque “la risposta socialdemocratica, mistificatrice e riformistica” dell’industria culturale a Lettera a una professoressa. 8 E si potrebbe andare avanti a lungo tra chi denuncia Mario Lodi come maestro rivoluzionario (lo fu, eccome, ma non nel senso che intendevano i suoi avversari) e chi lo definisce “socialdemocratico”, appellativo che per la rissosa sinistra di allora costituiva un’offesa da sfida a duello! Non era nei modi dell’uomo e del maestro, che preferiva i toni del confronto e che insegnava ai suoi alunni a “chiedere la parola” e ad ascoltare le ragioni degli altri. Una cosa niente affatto “facile”. Forse non è un caso che, negli ultimi anni della sua lunga vita, Mario Lodi abbia deciso di raccogliersi nella scrittura meditativa con i racconti (alcuni davvero belli) di A TV spenta. Diario del ritorno, uscito per Einaudi nel 2002.

Note

1 Per questo particolare mi affido al racconto che ebbe a farmi Lodi durante un nostro incontro informale. Quando lui e il fratello iniziarono a frequentare la scuola e dovettero recarsi alle adunate del regime, la loro madre confezionò di nascosto dal marito le divise da Balilla; ovviamente il piccolo inganno familiare ebbe breve durata, però Mario ricordava ancora, a tanti anni di distanza, i puntuali mugugni paterni quando vedeva uscire i suoi ragazzi agghindati per il sabato fascista. 2 Alludono a tale esperienza due racconti di ispirazione autobiografica Il corvo (Firenze, Giunti Bemporad Marzocco, 1971) e La busta rossa (Firenze, Giunti, 1996). 3 “Periodico Einaudi”, 12, 1970, p.1. E altrove precisa: “non scuola anarchica” ma “duro lavoro liberamente scelto”; al centro sta il bambino, la scuola attiva aiuta a “liberarlo da ogni paura” e conferisce “motivazione e felicità” al suo apprendimento. 4 Gruppi di insegnanti dell’MCE a Bologna e a Genova avevano dato vita a libelli editati in proprio. Alcuni intrigarono importanti intellettuali del tempo che fiancheggiarono la denuncia collaborando a pamphlet di successo, come il celebre I “pàmpini” bugiardi. Indagini sui libri al di sopra di ogni sospetto.I testi delle scuole elementari, a cura di Marisa Bonazzi, Rimini, Guaraldi, 1972 con introduzione di Umberto Eco [pàmpini sic]. 5 Armando Armando, Libri di testo: legittimi o illegittimi?, “AVIO”, ottobre-novembre 1971, p. 332. Dello stesso v. L’antiautoritarismo degli antiautoritari, “AVIO”, maggio-giugno 1971, p. 183; e lodi a Lodi, dicembre 1971, pp. 423426. Per uno sguardo complessivo sul periodico dell’editore romano rimando al mio Una battaglia per la scuola. Armando Armando e il Bollettino “Servizio Informazioni AVIO”, Roma, Nuove Edizioni Romane, 2009. [ e lodi a Lodi sic] 6 Mario Lodi è celebre soprattutto in Spagna e Portogallo, nonché in America Latina e viene spesso identificato come simbolo di libertà e democrazia.

7 Adolfo Scotto Di Luzio, Voce Lodi, Mario in hiips://www.treccani.it/enciclopedia/mariolodi_(Dizionario-Biografico)/ 8 43, 1971. Ringrazio Selina Bini per la collaborazione nel reperire alcuni documenti dall’archivio del padre Giorgio, insegnante, pedagogista, saggista e parlamentare che si occupò a lungo dei problemi della scuola.

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