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di David Baldini

Rilettura dell’opera di De Amicis

Quel che oggi resta del Cuore

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di David Baldini

Non ci sono bellezza e arte che compensino un unico istante di vera infanzia.

Heinrich Böll

In questo caso, la ri-lettura dell’opera deamicisiana da parte dell’illustre filologo rappresenta senza dubbio – per l’originalità delle condizioni in cui era avvenuta – una sorta di verifica a «quattro mani», nella quale – immaginiamo – un ruolo non secondario dovette essere svolto dal «ragazzetto» (il nipote). Possiamo arguire che, in quella occasione, il “sessantaduenne” Pasquali abbia avuto modo di verificare – sia pure in modo “riflesso” – non solo le reazioni prodotte dalla lettura del libro in quel bambino, ma probabilmente anche in se stesso, anche se non ne conosciamo il giudizio. Ma, al di là degli aspetti privati, occorre anche tener conto di quelli pubblici. Ce lo ha ricordato Michele Serra in un articolo comparso su “la Repubblica” alcuni anni fa, dal titolo La maestra che lasciò l’eredità alla sua classe. In esso il giornalista vi commentava uno specifico fatto di cronaca riguardante la maestra abruzzese (di Chieti) Ilia Pierantoni, la quale aveva lasciato in eredità ad una sua vecchia classe del 1971 – una 1ª elementare di Orogna – venticinquemila euro. Il lascito comportava però l’obbligo, da parte dei destinatari, di rispettare due vincoli: quello di non poter usare la somma a titolo individuale e quello che essa fosse utilizzata dagli alunni –all’epoca signori poco più che quarantenni – per finalità esclusivamente be-

Taluni libri sono definiti “classici” per la semplice ragione che non risentono dell’ingiuria del tempo. La loro longevità è, di

conseguenza, la migliore garanzia nei confronti degli effimeri nefiche. A fronte di un tal episodio, mutamenti imposti dalle mode e dai gusti del tempo. Serra non ha esitato a parlare di «baGiorgio Pasquali, ad esempio, circa un trentennio fa, scriveva: nalità del bene», parodiando così, con «Due anni or sono, che ne avevo sessantadue, dopo un intervallo una ardita inversione di segno, la celedi molti decenni, ho ripreso in mano Cuore di De Amicis per bre espressione usata da Hannah Arendt con riferimento ad Adolf Eichman («la banalità del male»).2 Inoltre, riportando la notizia, Serra non ha rileggerlo con un ragazzetto di ott’anni e mezzo, cui del resto non era nuovo»1 . potuto fare a meno di individuare –quale modello “archetipico” di riferimento dell’episodio – proprio l’Edmondo De Amicis di Cuore. Del resto, il riferimento letterario era quasi d’obbligo, se si pensa che in un altro articolo dello stesso giornale, un alunno, riandando con la memoria ai bei tempi andati, riportava un aneddoto – che più deamicisiano non si potrebbe –, sempre con riferimento alla

maestra Pierantoni. Questa, rivolgendosi ai suoi alunni, così li esortava: «La mattina, quando vi alzate, pensate subito a sbrigare le faccende basilari: fate il letto, pulite la vostra stanza e poi venite a scuola». Ebbene, come non sentir riecheggiare, in queste parole, gli ammonimenti del sempre moraleggiante Bottini-padre, impegnato quant’altri mai, con le sue “lettere”, ad educare – a suon di prescrizioni tassative – suo figlio Enrico? Ma, tralasciando considerazioni generali ed entrando nel merito della questione, occorre ricordare che Cuore, nel quale è descritto un intero anno scolastico di 140 anni fa (1881-82), non fu un libro scritto di getto. Ebbe al contrario una lunga e complessa gestazione, come lo stesso De Amicis rivela in una lettera da lui indirizzata il 2 febbraio 1878 all’editore milanese Treves. Queste le sue parole: «Ho in testa un libro nuovo, originale, potente, mio – di cui il solo concetto m’ha fatto piangere di contentezza e di entusiasmo… Mi son detto: per fare un libro nuovo e forte bisogna che lo faccia con la facoltà nella quale mi sento superiore agli altri – col cuore. Ho letto i volumi del Michelet. L’ultimo fu l’Amour. Tutta la mia anima si è ridestata. Ecco il mio libro, dissi. Il cuore di vent’anni, la ragione dei trenta… un’opera per tutti, d’una sincerità irresistibile, piena di consolazioni, d’insegnamenti e di emozioni, che faccia piangere, che rassereni e dia forza, una tesi indiscutibile, da doversi subire per forza, da tutti. Oh, come la sento nei nervi e nel sangue!»3 E tuttavia, al di là dell’apologetico fervore dei “vent’anni” –, cui è associata, da parte dell’ Autore, la visione di un’età genuina, generosa, ma anche “mitica” –, il termine «cuore», usato in quel modo polisenso, finisce per diventare generico, per non dire equivoco. Di tono troppo vago, ad esempio, rimane la definizione di «cuore» inteso come «identità» profonda, quasi l’Autore volesse indicare con essa, un po’ sulle orme di Rousseau, il nucleo pri-

FUORITESTO

ELOGIO DELLA LETTURA CORTA di Paola Parlato

Nel nostro paese c’è stata una felice stagione, tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni Duemila, in cui le case editrici Mondadori e El hanno creato le collane “Shorts” e “Corti”, libri da 60 a non più di 110 pagine, che raccontavano storie personali di ragazzi in crisi o alle prese con il primo amore, temi sociali e politici come la Shoah o il terrorismo. Ricordiamo Cinema Lux di Janine Teisson, del 1998, tenera storia di amore, cinema, musica e cecità; Quel giorno pioveva di Paola Zannoner, del 2002, che narra con ritmo incalzante la bomba di piazza della Loggia a Brescia, con le parole e lo sconcerto di una ignara studentessa quattordicenne; Soldati di Leila Sebbar, del 2004, che mette a nudo i danni morali di tutte le guerre; L’ ultima estate di Barbara Garlaschelli, del 1998, una vacanza diventa rito di passaggio per un gruppo di adolescenti. E fuori dalle citate collane vale la pena di citare Il vento di Santiago, ancora di Zannoner, un romanzo breve in cui alcuni liceali, per aiutare un compagno spiato da una anziana donna, si mettono a indagare e quasi per caso scoprono la storia dei desaparecidos e di una sanguinosa dittatura che solo pochi anni prima ha funestato il loro paese. Per molti ragazzi, soprattutto se sono arrivati all’adolescenza senza avere avuto un incontro felice con i libri, l’approccio alla lettura rappresenta una difficoltà insormontabile. La lettura è lentezza e riflessione, ma i ragazzi di oggi sono abituati a una comunicazione sempre più veloce e superficiale. E non è vero, non lo è quasi mai, che l’imposizione, la lettura di un libro proposta come compito, come dovere sia un mezzo efficace per introdurre i ragazzi al piacere di leggere. È forse per questa ragione che negli ultimi decenni si è sentito così forte il bisogno di elaborare tecniche di animazione e di promozione della lettura sempre più numerose e sofisticate. Proprio perché leggere un libro può essere una fatica ingrata per i ragazzi –soprattutto per i non lettori – bisognerebbe proporre loro in una prima fase libri soprattutto brevi. Un ragazzo non avvezzo alla concentrazione è difficile che possa reggere, alla sua prima esperienza, la lettura di un testo lungo. Non solo, la storia deve essere ben scritta e avvincente nel contenuto, il linguaggio agile e brillante, il giovane lettore deve essere catturato da questa esperienza nuova al punto da volerla ripetere, da sentire il desiderio di leggere un altro libro. Il libro breve sembra più facile da ideare e da scrivere ma non è così. Un tema stimolante, un intreccio coinvolgente e una scrittura chiara, tutto in non più di un centinaio di pagine, sono il prodotto di un autore esperto. E se un libro ha queste caratteristiche può trattare anche tematiche spinose, argomenti sociali o storici o problematiche individuali, continuando a incontrare il favore dei ragazzi.

mordiale della natura umana. Pertanto, fatte salve le definizioni – diciamo così scontate – di «generosità» e di «coraggio»4 associate al «cuore», tutte le altre rimangono quanto meno generiche ed indefinite. In Il nostro maestro, ad esempio, il termine «cuore» viene utilizzato per indicare «l’interiorità più profonda»5;. In Vanità, invece, esso viene usato con il senso di «indole ed istintività»6, un’accezione senza dubbio più sfumata e neutra della precedente. In Una palla di neve il cuore assume la connotazione di «lealtà»7. In In casa del ferito, esso diviene l’equivalente di «coscienza»8, e infine, in Il vaporino, finisce per essere sinonimico di una generosa attitudine al dono.9 Quando poi il padre di Enrico, in una delle sue lettere (Mia madre), vuol rimproverare il figlio per uno sgarbo ricevuto, non trova di meglio che far riferimento all’«anima», ricorrendo ad una metafora, dal forte impatto emotivo: «La tua parola irriverente m’è entrata nel cuore come una punta d’acciaio». Ebbene, pur nella sua approssimazione, la sequela di definizioni sopra riportate, relative al «cuore», ci consente di fare un po’ di chiarezza –anche in un’epoca che, quale è la nostra, potremmo dire post-freudiana.10 Due sono infatti i nodi più significativi su cui si è esercitata la critica deamicisiana. Il primo è quello che riguarda la struttura del libro. Il punto dolens di esso risiede infatti – essenzialmente –nella mancata compenetrazione tra il primo momento (quello della cronaca) ed il secondo (quello della morale). Ancora recentemente Vittorio Spinazzola, ripercorrendo le tappe della grande narrativa italiana per ragazzi, non mancava di osservare come, in ragione di una trama «molto policentrica», l’«impianto diaristico», che consentiva a De Amicis «di articolare una narrazione lunga, di tipo corale», finisse poi per parcellizzarsi «in segmenti di rapida lettura», combinati insieme «con sapienza ingegneresca». Il rischio implicito in questa operazione, come riconosceva l’illustre critico, era ovviamente quello che, «alla sbrigliatezza spregiudicata dell’intreccio», si sovrapponesse «una moralità appiccicata a forza dall’esterno»11 . Non è azzardato insomma affermare che, oggi come ieri, il problema fondamentale di Cuore deve essere ricercato in quella “separatezza” tra le varie parti del libro, a causa della quale il piano del diario di Enrico non riesce a interagire in modo convincente con quello delle «lettere familiari». Di conseguenza, mentre per Spinazzola (ed altri) tale giustapposizione è, nonostante tutto, da interpretare in modo positivo – in quanto l’«accettazione di quest’alea conferisce saldezza energetica al progetto testuale» –, per altri è da giudicare quanto meno debole, o tale da chiamare in causa non solo l’apparato formale del libro, ma anche quello concettuale. Il secondo punto riguarda la prospettiva dalla quale occorre collocarsi per comprendere appieno il capolavoro deamicisiano. In tal caso, il focus dell’attenzione deve essere concentrato, a nostro giudizio, su quell’età di transizione, quale fu quella post-unitaria nel quale De Amicis si trovò a vivere e ad operare. Questa, caratterizzata da uno spirito pubblico nazionale, ancora in formazione, è stata non a caso felicemente sintetizzata da Alberto Asor Rosa in quell’immagine efficacissima di un’ «Italia bambina»12, della quale Cuore di Edmondo De Amicis e Pinocchio di Carlo Collodi costituiscono lo specchio più fedele. E tuttavia anche questo giudizio non può essere considerato come definitivo. Esso non spiega, ad esempio, le ragioni del successo, nazionale ed internazionale, che Cuore e Pinocchio hanno riscosso nel corso del tempo, a segno di quella “classicità” che non ha mai lasciato insensibile il pubblico dei lettori, tanto piccoli quanto adulti. Per questi ultimi, poi, a parte le motivazioni sociologiche o psicologiche, c’è da tener conto di un elemento “esistenziale”, che forse, più di ogni altro, serve a spiegarci l’interesse e la “curiosità” di Pasquali, del resto comune a tutti quegli adulti che si trovano alle prese con un romanzo per ragazzi. Alludiamo a quel richiamo irresistibile del “fanciullino” pascoliano che, presente in ciascuno di noi, vuole che il tempo che “fu” si intrecci – nostalgicamente – con il tempo che “è”. Si tratta di quel tipo di nostalgia coinvolgente che lo scrittore tedesco Heinrich Böll ha riassunto con una espressione semplice ma chiarificatrice: «non ci sono bellezza e arte che compensino un unico istante di vera infanzia».13 E chi oserebbe dargli torto?

Note

1 G. Pasquali, Introduzione a Il “Cuore” di De Amicis, Garzanti, Milano 1978. Poco prima, anche L. Tamburini non aveva disdegnato di “rivisitare” Cuore, in modo quanto mai produttivo (si veda “Cuore” rivisitato, in Cuore, Einaudi, Torino 1972) 2 L’espressione riprende, con un segno rovesciato, il titolo del celebre libro di H. Arendt, La banalità del male, Feltrinelli, Milano 1965. 3 M. Mosso, I tempi del “Cuore”. Vita e lettere di Edmondo De Amicis, Mondadori, Milano 1925. 4 In Il nostro maestro, si dice “Mostratemi che siete ragazzi di cuore”. 5 […] “son certo che nel vostro cuore, m’avete già detto di sì”. 6 “Ebbene è vano; ma non ha mica cattivo cuore Votini”. 7 “Dammi la tua parola di ragazzo di cuore e d’onore che lo faresti”. 8 “…vattene pure col cuore in pace”. 9 “A Precossi piace il tuo treno. Egli non ha giocattoli. Non ti suggerisce nulla il tuo cuore?” 10 S. Freud scoprì l’inconscio con l’opera Die Traumdeutung (L’interpretazione dei sogni) del 1900. 11 V. Spinazzola, Pinocchio & C. La grande narrativa per ragazzi, il Saggiatore, Milano 1997. Chi sembra aver sottovalutato il problema ci sembra invece Lorenzo Gigli, uno dei maggiori biografi del De Amicis. A proposito della struttura di Cuore egli infatti scriveva: “Che importa se lo schema del Cuore è troppo semplice, se la invenzione è ingenua?” (E. Gigli, Edmondo De Amicis, Utet, Torino 1965). 12 A. Asor Rosa, La cultura, vol. IV, Storia d’Italia, Einaudi, Torino 1975. 13 H. Bőll, Croce senza amore, Mondadori, Milano 2004.

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