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di Ermanno Detti

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di Paolo Gheri

di Paolo Gheri

Le politiche culturali in Italia

Le vie del piacere

di Ermanno Detti

La ricostruzione delle scelte culturali ed editoriali del nostro Paese e i rischi di una regressione. Ricordando che rinnegare il piacere di leggere significa rinnegare le teorie di Rodari, Pennac e molti altri prima e dopo di loro. L’assenza di una politica governativa e dei partiti in favore del libro. Quelli che non leggono.

L’intuizione che il narrare sia legato al concetto di svago si perde nella notte dei tempi, dal mito, alle fiabe, alla commedia greco romana. Nell’Ars poetica, Orazio sostiene esplicitamente, parlando di scrittura, che l’obiettivo del poeta deve essere quello di istruire e di divertire il lettore1 . Per quanto riguarda la letteratura destinata a bambini e ragazzi è a partire da fine Ottocento che la questione si presenta con chiarezza. Si presenta come letture per il tempo libero, fra le quali giova ricordare Pinocchio: le famose Avventure di un burattino non nacquero subito come libro ma a puntate, per diporto, sulle pagine del “Giornale dei bambini” a partire dal 1881. Collodi era convinto di scrivere – lo dice lui stesso – una «bambinata», ovvero la storia di un burattino disubbidiente e bugiardo che con le sue trasgressioni facesse sorridere e favorisse nei bambini un naturale processo di identificazione. Dall’altra parte troviamo De Amicis che, con Cuore, resta nel solco della letteratura con finalità prettamente educative: con il suo diario di scuola, con alunni provenienti da varie regioni d’Italia, egli tenta la difficile impresa di unire gli italiani con gli insegnamenti morali e civili del buon maestro Perboni. Un discorso a parte meriterebbero i romanzi di Salgari, anch’essi spesso pubblicati su riviste a puntate e capostipiti dei romanzi di avventura. I due romanzi, Cuore e Pinocchio, tracciano fin da allora due strade parallele. De Amicis la strada dei sentimenti e della morale, della letteratura pedagogica; Collodi la strada del sorriso e dell’avventura, della letteratura “gaia” adatta al tempo libero, alternativa agli altri suoi stessi libri per ragazzi (pensiamo al Giannettino e al Minuzzolo, opere didascaliche pensate per la scuola). Non a caso agli inizi del Novecento la lettura di Pinocchio venne sconsigliata nelle scuole con una precisa motivazione: la gaiezza delle avventure del celebre burattino avrebbe potuto distrarre gli alunni dalla serietà degli studi. L’idea della lettura come divertimento e, diremmo noi, come piacere non venne però mai abbandonata. Già nel 1908, nell’editoriale del primo numero del “Corriere de Piccoli”, ci si proponeva di istruire e divertire, promessa mantenuta con le pagine giornalistiche e scientifiche, con quelle colorate dei fumetti, con le ottimistiche storie di Bonaventura scritte e disegnate da Sergio Tofano che, anche teoricamente, sosteneva in pieno 1937 il valore pedagogico del far ridere i bambini2. Nel famoso giornalino vi furono fin dagli inizi, è giusto ricordarlo, anche le pagine delle barzellette. È nel secondo dopoguerra che, fatico-

samente, le due strade parallele, piacere della lettura e pedagogia, cominciano a toccarsi. A volte facendo scintille, pensiamo all’avversione, negli anni Cinquanta e Sessanta, per la lettura dei fumetti che i ragazzi erano costretti a leggere di nascosto. Ma c’è nel contempo un’esplosione di giornalini, letture soprattutto del tempo libero (è giusto ricordare accanto al “Corriere dei Piccoli”, almeno il “Vittorioso”, il “Pioniere”, “Il Giornalino”, “L’intrepido”, “Vera Vita”). E ci sono alla fine alcuni grandi protagonisti che superano le avversità e le parallele convergono: Alberto Manzi insegna a leggere e a scrivere con il sorriso dallo schermo della tv e nelle aule scolastiche; Gianni Rodari scrive il famoso «ennealogo» in cui denuncia nove comportamenti degli adulti che fanno odiare la lettura ai bambini; Mario Lodi stampa giornalini scolastici e scrive con i suoi alunni un capolavoro come il romanzo Cipì; anche la severa scuola di Barbiana di don Milani prevede per i suoi allievi un «impegno che generi soddisfazione» e momenti di svago, come il nuoto e le escursioni montane. Insomma esperienze didattiche innovative fioriscono in tutta Italia. Scuola, studio e lettura non sono più viste solo come fatica: nessuno mette in discussione la fatica dello studio, ma si esalta l’impegno gratificante che scaturisce dalla conquista delle conoscenze. Bianca Pitzorno, Roberto Piumini e tanti altri proseguono sui solchi rodariani e non solo. Anche l’editoria per ragazzi, con spirito pionieristico, si adegua e nascono gli albi illustrati e le iniziative di ricerca di nuovi autori e nuovi italiani: è giusto ricordare tra questi personaggi Grazia Nidasio con la Stefi e Valentina Melaverde e Altan con la Pimpa. Ma compare anche qualche goffa “cordata”, l’editoria italiana manda in esilio un grande autore, uno dei più grandi disegnatori del mondo, Roberto Innocenti. È difficile capire questo esilio e perché esso sia raramente ricordato e non sia invece tenuto presente come esempio del nostro provincialismo. La preistoria finisce qui, inizia la nostra storia con tanti studi e riviste che parlano di piacere della lettura, con l’introduzione del libro di lettura nella scuola secondaria prima e nella scuola primaria poi, con l’esplosione nell’editoria della letteratura straniera e italiana dagli anni Novanta, anzi da un po’ prima. Come un romanzo di Pennac sembra chiudere il cerchio; se non altro, con il suo taglio divulgativo, fa da sostegno alla lotta che in Italia anche chi scrive da anni combatte contro le schede didattiche tanto diffuse nella scuola. Scarsi e scadenti gli interventi della politica governativa per la diffusione del libro e della lettura. Lodevole solo la Fiera del libro per ragazzi di Bologna, ma è un evento internazionale, dal quale troppo poco attinge la politica nazionale.

Gli attacchi all’innovazione

Succedono in seguito altre cose: l’arrivo del marketing che sostituisce le iniziative editoriali “artigianali”, fenomeni come Harry Potter i cui volumoni tutto travolgono e tutto sommergono (scompaiono i libri shorts tanto amati dai ragazzi). Si pubblica fantasy purché sia fantasy, si avvertono i primi segnali di disorientamento dovuti a un’editoria ormai iperproduttiva: si superano i 3mila nuovi titoli annui. L’editoria si rassegna alla vita breve dei libri in libreria, le nuove tecnologie cambiano la vita, si registra una diminuzione dei già scarsi dati sulla lettura anche tra i giovani, arrivano montagne di albi illustrati, molto ben fatti alcuni, altri lontani da una letteratura per bambini, altri ancora con testi non all’altezza delle illustrazioni. In generale si registra un appiattimento, non si cerca il libro eccellente, va bene quello di media qualità. Arriva la pandemia che chiude la forse eccessiva rincorsa agli eventi, alle letture pubbliche ad alta voce, alle animazioni che hanno sempre più il volto pubblicitario che puramente culturale. C’è una ridondanza di iniziative non sempre di qualità e di attività di promozione in cui l’animazione diventa quasi fine a se stessa o dal sapore a volte commerciale. Mentre la politica è assente e nelle campagne elettorali i partiti fanno promesse generiche di attenzione alla cultura. Non ci risulta che qualche politico rilevi o si preoccupi che gli italiani lettori sono circa la metà di quelli degli altri Paesi industrializzati. Nel frattempo arrivano segnali di restaurazione. I primi riguardano gli at-

tacchi a don Milani e alla scuola di Barbiana, c’è chi dubita di Rodari oppure lo dimentica (si è recuperato un po’ nel centenario, ma spesso con una celebrazione retorica più doverosa che sentita), grandi maestri come Mario Lodi finiscono dimenticati. Si giunge a parlare di pericoli del piacere di leggere3 . Noi del “Pepeverde” non mettiamo le mani avanti, ascoltiamo e rispettiamo le nuove argomentazioni. Ci limitiamo soltanto a ribadire che rinnegare il principio del piacere di leggere significa rinnegare non solo Rodari o Pennac, ma anche quanti prima e dopo di loro si sono impegnati su questo tema. Significa in sostanza una regressione culturale. Se mai con lo slogan “piacere di leggere” troppe iniziative e manifestazioni hanno invaso l’Italia. In tutto questo compaiono anche aspetti positivi: l’editoria per ragazzi richiama l’attenzione dei mercati e perfino dei grandi quotidiani. I ragazzi non si scoraggiano, molti si avvicinano alla carta stampata anche seriale. D’altra parte è noto che non tutti divengono lettori grazie alla lettura di capolavori letterari, ci sono molte strade per diventare lettori. Guardando al passato, non si può non ricordare per esempio come la letteratura popolare o la paraletteratura abbiano contribuito alla formazione di lettori in molti paesi occidentali, dagli Stati Uniti all’Europa.

La produzione italiana e la democrazia del leggere

Nell’insieme il mercato italiano offre, tra i circa tremila nuovi titoli pubblicati ogni anno solo nelle collane per ragazzi, anche del buono, sia grazie ad autori italiani sia alle opere straniere, in genere ben tradotte. Certo bisogna saper scegliere e non è sempre facile, occorrono competenze purtroppo non sempre diffuse. Una questione, che si pongono educatori e genitori, è quella se sia meglio proporre o lasciar libero l’utente, cioè se rispettare o no le scelte dei bambini e dei ragazzi. Crediamo che sia una falsa questione. I grandi maestri sono quelli che sanno proporre le buone letture, siano essi insegnanti, bibliotecari o genitori. Ma questa esigenza deve contemplare anche quella che chiameremmo “democrazia del leggere”, in altre parole il rispetto della libertà di scelta del lettore (indipendentemente dall’età). Perché se, come diceva Ludovico Ariosto, «diversi sono i gusti e gli appetiti», è giusto rispettare anche i gusti e gli appetiti dei lettori, proponendo è logico cibi ben cucinati. Può accadere –ed è molto sano – anche a un ricercatore scientifico di abbandonare riviste specializzate o manuali per dedicarsi a letture superficiali o a giochi enigmistici o rilassarsi con un videogioco o una leggera trasmissione della tv. Vogliamo dire che non c’è niente di male se anche i ragazzi anziché dedicarsi a letture solo impegnative sentono il bisogno di leggere qualcosa di molto più leggero, come un fumetto o una graphic novel (fanno male quegli educatori che impongono solo letture di grandi capolavori). La vita è bella perché non è uniforme e i sogni non hanno mai fatto male a nessuno, per cui ben venga anche un po’ di buona letteratura di evasione. Certo oggi il mondo è cambiato, le nuove tecnologie offrono nuovi scenari, la lettura elettronica appare dominante. Ma, ci dicono le ricerche, la lettura elettronica spaventa fin troppo, appare di più di quello che è, i veri lettori non leggono solo sui supporti elettronici. Sono cambiate se mai le abitudini soprattutto dei giovani ma non il cervello, né sono cambiati i principi del vivere. Pertanto giova ribadire che è giusto rispettare le varie interpretazioni che i lettori danno dei testi. Spingerli a ricercare con esplorazioni troppo sofisticate significa indirizzare unilateralmente e annientare elementi di creatività. E così si annienta il piacere degli stessi lettori che “viaggiano” in mondi immaginari dai quali tornano alla realtà arricchiti da quell’esperienza. Dobbiamo convincerci che la finalità dell’educazione alla lettura è di creare lettori critici e stabili per la vita. Non vogliamo parlare di lettura anarchica: è ovvio che vanno tenuti presenti gli studi della critica su questo o su quel testo, ma la libertà di interpretazione è un assioma a cui non dobbiamo mai rinunciare. Se si crede nel diritto di ciascuno di ragionare con il proprio cervello.

Quelli che non leggono

Fin qui ci siamo concentrati sui lettori, su cosa leggere, su come leggere. In chiusura vogliamo dedicare un po’ di spazio alla stragrande maggioranza degli italiani, a coloro che non leggono alcun libro. Ne vogliamo parlare anche per una questione di giustizia e di democrazia (sono la maggioranza). Perché se è vero che da oltre venti anni il patrimonio librario, a partire da quello destinato ai ragazzi, si è arricchito, se è vero che sono nate associazioni e riviste specializzate sulla lettura, se è vero che si sono diffusi eventi culturali, è anche vero che i lettori in Italia non sono aumentati, anzi negli ultimi tempi ci sono state recessioni anche tra i giovani. Sembra che quello che è stato fatto non sia servito e comunque non sia stato sufficiente. Alcuni parlano di responsabilità delle nuove tecnologie e di situazioni culturali nuove, sarebbe quella la causa di questi ritorni indietro. Il fatto è che le nuove tecnologie esistono e si diffon-

dono anche in altri Paesi industrializzati e lì la situazione è di gran lunga migliore di quella italiana e non ha conosciuto regressioni. Inutile girarci attorno, non possiamo nasconderci, in Italia si legge poco, l’ignoranza dilaga e le stesse nostre eccellenze universitarie non ripagano l’assenza di una cultura diffusa. Le cause sono molte e hanno radici nella nostra storia. Ma l’ignoranza ha i suoi costi nel presente, perfino nei rapporti sociali, perfino nella felicità delle persone, perfino nelle scelte politiche. Vivere nell’ignoranza o tra gli ignoranti non è un bel vivere per alcuno. Giova ricordare un dato vergognoso, circa il 60% degli italiani non legge nemmeno un libro all’anno; se poi osserviamo i lettori forti, quelli che leggono almeno un libro ogni uno o due mesi, la situazione dei non lettori si presenta molto più drammatica e allarmante, sorvoliamo per pudore. Quella dei non lettori è una maggioranza schiacciante che dovrebbe preoccupare non solo chi ci governa ma anche tutti noi. Si può fare qualcosa di diverso da quello che è stato fatto fino ad oggi per rimediare a questa situazione? Molti chiamano subito a processo le istituzioni educative. Ci piace ripetere che almeno in parte esse il loro compito l’hanno svolto e lo stanno svolgendo; dal dopoguerra a oggi hanno sconfitto l’analfabetismo diffuso, hanno fornito o ha cercato di fornire ai più gli strumenti culturali di base, i diplomati e i laureati sono aumentati di dieci e più volte. Questo in generale, poi gli educatori più o meno preparati si sa che esistono. Ma per tentare di rispondere alla nostra domanda dobbiamo guardare anche oltre il nostro sistema formativo, tenendo fermo un punto: gli italiani sono un popolo positivo, lavoratori intelligenti, con alto senso di responsabilità come stanno dimostrando anche in questo momento difficile. L’Italia ha forma allungata da nord a sud e, per scelte politiche scellerate più o meno antiche, non dappertutto è uguale anche sul piano culturale, anzi a veder bene le differenze territoriali sono molto rilevanti. Al nord i non lettori in assoluto – quelli che non leggono nemmeno un libro all’anno –sono circa il 52%, al centro il 55%, al sud e nelle isole il 70%. Altra differenza vistosa riguarda i centri urbani (50%) e le periferie cittadine (57%). La tendenza è fin troppo chiara e quello che stiamo per dire fin troppo banale ma giova ricordarlo: i non lettori aumentano con la povertà territoriale e con la disgregazione sociale. Non a caso il numero più alto dei lettori lo troviamo nella province di Trento e Bolzano, nel Veneto, nel Friuli Venezia Giulia, nell’Emilia Romagna… Tutti territori non solo caratterizzati da un certo sviluppo economico ma anche da una ricchezza e da una nota vivacità culturale (librerie e biblioteche diffuse, ad esempio). Nelle altre regioni, in particolare quelle del sud, troviamo spesso un angosciante deserto: disoccupazione, disorganizzazione, corruzione, malavita e altri fenomeni del genere, purtroppo sempre più presenti anche nei più ricchi territori italiani dove si stanno diffondendo come metastasi. In conclusione, non crediamo che la possibilità di sollevarsi possa passare coltivando solo le eccellenze. Nelle società democratiche se la crescita non riguarda anche le classi popolari si registreranno sempre diseguaglianze, discrasie gravi, si creerà aria malsana che tutti saremo costretti a respirare. Per questo se si vuole una vera ripresa bisognerà che riguardi tutto il territorio nazionale, con interventi economici e culturali capaci di ristabilire un equilibrio squilibrato da una lunga storia.

Note

1 Questa la frase completa di Orazio: «Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci, lectorem delectando pariterque monendo» (Ars poetica, 342-343). 2 Scriveva Tofano parlando di bambini: «…facciamoli ridere, poveri piccoli e non stiamo lì con il fucile spianato della morale, della religione, dell’amor patrio, dell’educazione… Facciamoli ridere… Ogni loro risata accenderà un raggio di più di felicità nella loro esistenza, predisponendoli così all’ottimismo e risvegliando in essi il senso della bontà: più benefica quindi dei predicozzi, dei pistolotti e soprattutto della retorica» (Recitare per i bambini, in “Scenario”, n. 5, maggio 1937, pp. 12-13). 3 Per esempio una nota associazione come Hamelin fa autocritica delle sue stesse scelte. Criticando le tante attività di educazione alla lettura scrive: «Come un romanzo di Pennac, con il suo decalogo per costruire lettori e lettrici, è stato per tutti una sorta di manifesto e un vessillo su cui fondare il proprio operato. A distanza di anni mostra invece la sua fragilità e, a volte, senza esagerare, la sua pericolosità”. E denuncia alcuni errori tra cui “pratiche laterali come il gioco, l’animazione, la performance, il racconto orale» (Hamelin e Rachele Bindi, Leggere per leggere, Salani, Milano, 2021, p. 29). Siamo in parte d’accordo: in particolare con Pennac sono stati innalzati vessilli che però non sono mai diventati basi di pratiche educative serie, quei principi sono stati nei fatti ignorati dalle politiche governative e stravolti da un didatticismo talvolta mal fatto.

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