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di Rossana Sisti

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di David Baldini

di David Baldini

Petrosino racconta la sua gioventù ai ragazzi di oggi

Un’infanzia difficile ma infelice mai

di Rossana Sisti

Anni Cinquanta. La guerra è alle spalle ma nessuno ne ha dimenticato le ferite. La Repubblica è giovane, il Paese ha voglia di crescere eppure nel profondo Sud nessuno conosce gli anni d’oro nascenti dell’economia italiana.

ACastellaneta, un puntino nella campagna pugliese a una manciata di chilometri dal mare, c’è un borgo antico circondato da campi e uliveti dove i più sono donne, vecchi e bambini; in gran parte senza lavoro, gli uomini hanno cercato fortuna al Nord o all’estero. In Francia come il papà di Lino, emigrato per mantenere la famiglia rimasta al paese, la moglie e il piccolo Angelo, Lino come lo chiamano tutti. Il bambino di nove anni che incontriamo tra le pagine di questo libro, illustrato con la consueta ironia da Sara Not, Bambini si diventa in uscita per Einaudi Ragazzi (pagine 186; 14,50 euro), l’autobiografia infantile che Angelo Petrosino, oltrepassati i settanta, regala a se stesso e ai bambini di oggi. Con uno sguardo di verità mai privo di leggerezza e tenerezza per il bambino che è stato in tempi tanto difficili per il Sud e per il Paese. Quasi un tributo dovuto ai suoi lettori con cui da sempre ha un filo diretto e che da sempre lo interrogano sulla sua infanzia. Come viveva, come andava a scuola, come giocava, che amici aveva, cosa leggeva, dove andava in vacanza, come ha scoperto di voler fare lo scrittore? Da oltre trent’anni Petrosino racconta con i suoi libri i bambini di oggi, accompagnandone la crescita e l’evoluzione: il mondo di Valentina non era più quello di Jessica e le sue fatiche non sono state quelle dei contemporanei Francesco e Marta, protagonisti freschi freschi del suo ultimo romanzo, Fratello e sorella per forza. Sempre da scrittore ha aiutato i bambini a capire il loro mondo e quello degli adulti, a interpretarne i bisogni e i sogni che coltivano, senza nostalgie o confronti saccenti con la propria esperienza del tipo «Eh, ai miei tempi…». «Ho vissuto in un tempo completamente diverso da quello attuale – racconta a Il Pepeverde Angelo Petrosino – gli anni Cinquanta del secolo scorso e in un paesino del Sud. Eppure proprio perché così strana ai loro occhi la mia infanzia ha sempre incuriosito i bambini che ho incontrato e incontro, o i miei scolari, spesso sconcertati dai confronti sulle diverse abitudini, sulle cose che li circondano e sono mancate alla mia generazione come sulle libertà di cui abbiamo goduto. Ma se oggi sono lo scrittore per bambini e ragazzi che i miei lettori conoscono, se ho potuto parlare di loro dalla loro parte, non è solo perché per quarant’anni il mestiere di insegnante mi ha permesso di conoscere tanti bambini e tante sto-

Foto di Angelo Petrosino per l’espatrio

La nonna di Angelo con le sue vicine e i loro figli

rie. È anche grazie al bambino che sono stato e che racconto nel libro. Il Lino intraprendente, coraggioso, curioso, che non si lamenta, non si spaventa e non piange, che cerca di alleviare le fatiche di sua mamma, cercando di mettere insieme scuola, casa, lavoro e gioco, senza mai sentirsi sfortunato. Cresciuto senza libri ma in mezzo alle storie che un nonno, un narratore formidabile, gli raccontava facendogli venire i brividi nella schiena». Perché spesso avevano a che fare con i morti che poi popolavano i suoi sogni. «Non è dunque un caso – continua Angelo Petrosino – se tutti i miei personaggi bambini possiedono quella grande forza interiore che è stata la mia e quella che mi ha salvato. Ho avuto un’infanzia difficile economicamente ma viva. Infelice mai. A pensarci mi sorprendo ancora. Ho vissuto in case gelide che trasudavano umidità, riposavo in un letto dalle lenzuola bagnate, per terra non avevamo mattonelle ma pietre grezze che mia madre si ostinava invano a pulire. Avevo poco da mangiare e ho patito la fame, nonostante questo godevo di una energia robusta. Presto mi sono trovato un lavoro dopo la scuola come garzone dal barbiere, tenevo pulite le macchinette dei capelli e svuotavo le sputacchiere, affogavo i pidocchi nel petrolio. Ma quel mondo affollato dagli uomini del paese e pieno di chiacchiere e di storie mi appassionava. Ho fatto anche il garzone del sarto; guadagnavo poco ma quel che bastava per potermi comprare qualche biscotto, le figurine e i fumetti che il maestro disapprovava ma io adoravo. Riuscivo persino a dare qualcosa anche a mia mamma. Non mi commiseravo, anzi provavo un grande orgoglio per quello che riuscivo a fare da solo». Questa del resto, di essere diventato il capofamiglia, di stare attento alla mamma e non farla preoccupare mai, era stata la consegna del papà prima di partire per la Francia: «Aiuta tua madre, non farla arrabbiare, e quando ti dice di fare una cosa, ubbidisci, anche se non ti va. Lo so che hai solo nove anni, ma devi cominciare a fare le cose da grandi». Ora è chiaro perché Petrosino si definisce un bambino nato adulto. Perché a sei, sette, otto anni le cose da grandi le faceva ma senza soffrirne. «Mi sentivo utile e forte – continua lo scrittore – e poi mi piaceva ascoltare i discorsi degli adulti. Ho sempre pensato che forse le mie radici di scrittore affondano in quella curiosità per l’imprevedibile mondo adulto che mi ha sempre appassionato. Sono cresciuto circondato da operai, contadini, muratori, barbieri, ciabattini, quasi tutti analfabeti. La scuola non mi piaceva tanto, scrivere neppure. Girovagare in campagna, rincorrere le lucertole, salire sugli alberi, mangiare quel che si trovava nei campi, quello sì che mi piaceva e forse avrei potuto anche scriverne ma a scuola tutto questo non contava. Una cosa è certa, mai ho immaginato che avrei potuto diventare scrittore. Da bambino non avevo sogni, né potevo immaginare un mondo diverso da quello in cui il destino mi aveva fatto nascere. Sebbene duro e faticoso non mi è mai parso ostile. Se non fosse stata per la possibilità offerta a mio padre di ricongiungersi alla famiglia, e per noi di raggiungerlo in Francia, non avrei mai visto il mondo fuori Castellaneta. Non avrei conosciuto persone e lingue diverse, sperimentato la voglia di studiare e scoperto la passione di scrivere. Sarei diventato anch’io, chissà, barbiere, sarto, muratore o contadino». Adulto di una comunità chiusa e legata alle tradizioni, dove la religione s’intrecciava alla superstizione, la generosità al pettegolezzo, la lotta per la vita alla dignità della morte, la durezza dei doveri e l’obbedienza imposte ai bambini alla libertà concessa loro di vivere la libertà della strada. Il grande privilegio di quei tempi». Ma per Angelo il destino ha deciso diversamente, presentandogli l’occasione di imboccare una strada diversa. Il viaggio verso Parigi che gli ha aperto nuovi orizzonti, e soprattutto sogni. Un cambiamento radicale nella sua vita, la fine dell’infanzia. Ma questa è un’altra storia.

Castellaneta (Taranto), anni Cinquanta: il salone del barbiere

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